Arte e Luoghi | Dicembre 2022

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anno numero dicembre 202 Meraviglie da scoprire nel Parco archeologico di Norba nel comune di Norma L’ARtE ItALIANA APPRODA A PARIgI Sei artisti all’Istituto di Cultura italiana a Parigi nella mostra curata da Angela Ghezzi MUccI N e l b o r g o a n t i c o d i A n d r i a d a l 1 9 5 4 i l l a b o r a t o r i o d e i m a e s t r i c o n f e t t i e r i 173 12 2 A n n o X V I In 1 2 d i c e m b r e 2 0 2 2RIcORDANDO tOtò Tappa a Napoli nel quartiere Sanità per ricordare il principe della risata e i suoi tanti film DA
RIAPRE IL MUSEO BODONI
NORBA A NORMA

primo piano

l e n o v i t à d e l l a c as a

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EDITORIALE

Siamo giunti all’ultimo numero dell’anno e siamo sempre più convinti che c’è sempre più bisogno di raccontare la bellezza anche quando tragedie come la guerra, le calamità come quella che ha colpito Ischia continuano a provocare sgomento e disorientamento E allora grazie a Marco Tedesco e a Beatrice Cappelletti scopriamo le meraviglie del Parco archeologico di Norba, Raffaele Polo invece ci svela luoghi misteriosi come la via Caponic a San Cesario di Lecce e ci riporta nel mondo colorato dei fumetti avamposto di politica con Cocco Bill nato dalla matita di Jacovitti. Stefano Cambò ci porta a Napoli nel quartiere Sanità dove nacque e visse il principe della risata mentre Massimiliano Manieri ci racconta il film La ragazza d’autunno Con Sara Di Caprio ci avviciniamo alle percezioni selettive di Grazia Varisco in mostra a Lecce alla Fondazione Biscozzi Rimbaud mentre Sara Foti Sciavaliere ci porta ad Andria nel borgo antico dove dal 1954 la famiglia Mucci produce i confetti più buoni d’Italia e non solo E a proposito di dolcezze, Veronica Di Maglie ci racconta la magia della notte di Santa Cecilia a Taranto e Dario Ferreri per Curiosar(T)e ci illustra le figurazioni al limite del fiabesco di Ania Tomicka... Per i luoghi del sapere abbiamo scelto di recensire due libri, la raccolta poetica “Di politica e d’amore” di Mauro Marino e “Lecce Sacra” la ristampa anastatica del libro dell’Infantino a cura dello storico Mario Cazzato, lo stesso che ci svela ogni mese perle di storia e bellezza del suo Salento Segreto. E sempre in tema di bellezza abbiamo voluto dedicare la copertina ad un particolare fotografato da Giovanni Hanninen i punzoni tipografici di Bodoni il cui Museo rinnovato riapre a Parma nel Complesso monumentale della Pilotta. In primo piano quei caratteri mobili, esempio di rara bellezza e della creatività del Bodoni, che permisero la pubblicazioni di tanti capolavori letterari che siano di buon auspicio perché discorsi e parole di pace possano fiorire e moltiplicarsi in questo nuovo anno che ci apprestiamo, non senza ansia, a salutare. Auguri a tutti!

SOMMARIO

Luoghi|Eventi| Itinerari: girovagando | Mucci, maestri confettieri 18| Da Norba a Norma 28 | ItinerArte 61 La magica notte di Santa cecilia 76 Arte: grazia Varisco. Sensibilità percettive 40 | A fleur de peaux 54 |

Interventi letterari|Luoghi del mistero: Il mistero di caponic 14 Salento Segreto 74

teatro|Danza|Moda Paola turci al teatro Paisiello 16

Musica |Napoli Word 2022 |

cinema| I Luoghi del cinema Prima v isione La ragazza d’Autunno 66| A Napoli ricordando totò 68

I luoghi della parola: | gli eroi del fumetto e della politica 38 | curiosar(t)e: Ania tomicka 48

Libri | Luoghi del sapere 62-65 |

I luoghi nella rete|Interviste| Musei | Bodoni il più antico museo della stampa 4

Numero 12 anno XVII -dicembre 2022

Museo Bodoni, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen editoriale Il Raggio Verde S r l Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo Hanno collaborato a questo numero: Stefano Cambò, Beatrice Cappelletti, Veronica Di Maglie, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Massimiliano Manieri, Raffaele Polo, Marco Tedesco Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi it

BODONI IL PIù ANtIcO MUSEO DELLA StAMPA

Riapre a Parma il Museo Bodoni il più antico museo della stampa italiano. Aggirarsi tra le teche e ammirare capolavori dell’editoria, i ferri del mestiere - campionari, cassette lignee di punzoni, matrici in rame e anche una fedele ricostruzione del XX secolo del torchio bodoniano - è un’esperienza quasi immersiva per comprendere l’antica arte della stampa. Già la stampa, la carta, l’odore forte dell’inchiostro l’estetica

della composizoine tipografica Chi almeno una volta non è rimasto affascinato dalla vista di quei magici parallelepipedi di piombo con in rilievo le lettere incise grazie ai quali iniziò la rivoluzione della scrittura? Il mondo cambiò quando il tedesco Gutenberg nel 1453 ideò la tecnica tipografica della stampa a caratteri mobili. Ad onor del vero, la tecnica era già nota in Asia intorno all’XI secolo e l’invenzione si attribuisce al

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Antonietta Fulvio
Il Museo apre al pubblico dal 30 novembre, in occasione dell'anniversario della morte di Giambattista Bodoni, tipografo piemontese che rese Parma capitale mondiale della stampa
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Il nuovo Museo Bodoni, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen

cinese Bi Sheng, sta di fatto però che ad introdurla in Europa fu l’incisore ed orafo tedesco Johann Gensfleish della corte di Gutenberg. E fu una vera rivoluzione. Quella della circolazione della cultura anche se non fu immediata e fu necessario attendere la fine del ‘700 per la sua diffusione. E non si può parlare di stampa senza menzionare la creazione dei caratteri che distinguevano la produzione tipografica. Il primo vero e proprio disegnatore e incisore professionista di caratteri fu Garamond che, nel Cinquecento,

ideò il carattere omonimo. Nel Seicento, l'olandese C Van Dyck creò i caratteri elzeviriani, così chiamati I BER perché utilizzati a lungo da Elzevier, famiglia di tipografi ed editori. Nel XVIII secolo, in Inghilterra ritagliarono un loro stile gli ideatori di caratteri W Caslon e successivamente Baskerville, contestualmente in Francia due famiglie di editori, i Fournier e i Didot, inventarono i primi caratteri con versione sia tondo che corsivo. In Italia Aldo Pio Manunzio, umanista ed editore, nella prima metà del Quattrocento

introdusse il carattere corsivo e il formato del libro in ottavo segnando la storia dell’editoria con le sue pubblicazioni contraddistinte dall’aldina la più famosa marca tipografica nella storia della stampa E arriviamo a Giambattista Bodoni (1740-1813). Nel XVIII secolo, il tipografo piemontese divenne famoso per aver ideato una serie di caratteri dallo stile neoclassicomonumentale riuscendo a legare il suo nome a Parma capitale mondiale della stampa.

Nato il 26 febbraio 1740 a

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Museo Bodoni, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen

Saluzzo (Cuneo) da una famiglia di tipografi, Giambattista Bodoni si formò nell’officina del padre, Francesco Agostino, proseguendo poi a Torino la sua formazione e, successivamente, a Roma dove fu impiegato presso la Stamperia della Congregazione di Propaganda Fide prima come compositore di opere “esotiche” quindi nel delicato compito di riordinare le serie di punzoni per caratteri orientali che Sisto V aveva fatto incidere ai rinomati Garamond e Le Bè. L’esperienza romana fu determinante per la sua attività di incisore. Nel febbraio del 1768 viene chiamato dal Duca Ferdinando di Borbone a Parma, per impiantarvi e dirigervi la governativa Stamperia Reale,

di cui resterà alla direzione per il resto della vita. Bodoni cura la costruzione dei torchi e degli altri utensili, in pochi mesi la Stamperia viene collocata nel Palazzo della Pilotta. Inizia subito la collaborazione con l’architetto Petitot e l’incisore Benigno Bossi per la stampa di edizioni celebrative dei fasti del Ducato quali l’Ara Amicitiae in memoria della visita dell’imperatore Giuseppe II Nei primi anni di attività per le pubblicazioni sono utilizzati caratteri provenienti dalla Francia, ma già a partire dal 1771 Bodoni inizia il disegno e la produzione dei propri caratteri coadiuvato dai collaboratori, primo fra tutti il fratello Giuseppe chiamato a Parma per sovrintendere alla fonderia. Si susseguono nume-

rose edizioni che impongono i torchi parmensi all’attenzione dei letterati, dei bibliofili e dei viaggiatori del Grand Tour che in città giungevano per ammirare le pitture del Correggio e per visitare la tipografia bodoniana.

Nel 1791 Bodoni ottenne dal Duca il permesso di aprire una privata stamperia da cui uscirono in seguito tutti i capolavori della sua produzione, tra i quali The Castle of Otranto del Walpole, per conto del libraio londinese Edwards, le Odi del Parini, i sontuosi in-folio di Orazio (Q. Horatii Flacci Opera, 1791), di Virgilio (P Virgilii Maronis Opera, 1793) e degli elegiaci latini (Catulli, Tibulli, Propertii Opera, 1794), Pitture di Antonio Allegri detto il Correggio

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Museo Bodoni, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen

per citarne alcuni. Le commissioni si moltiplicavano e continuarono con l’arrivo dei francesi nel 1796-97 e l’annessione del ducato nel 1802. L’anno seguente l’Anzianato di Parma gli conferì la cittadinanza onoraria e venne coniata una medaglia in suo onore. Nel 1806 si aggiudicò la medaglia d’oro del primo premio all’Esposizione di Parigi, dove aveva inviato quattordici sue edizioni. Riconosciuto “sommo artista”, Gioacchino Murat prima e Napoleone dopo gli assegnarono una pensione vitalizia “in considerazione dei progressi che egli ha fatto fare all’arte tipografica” L’annuncio della sua morte, il 30 novembre 1813, fu comunicato dal suono della maggiore campana del Duomo, i cui rintocchi funebri erano riservati a principi, alti dignitari e ai personaggi più illustri E Parma, in occasione dell’anniversario della

scomparsa, apre le porte del rinnovato Museo Bodoni nel Complesso Monumentale della Pilotta Perfettamente in linea con l’imponente opera di ristrutturazione e risistemazione critica degli spazi e degli allestimenti guidata dal suo Direttore Simone Verde, il nuovo Museo Bodoni, il più antico museo della stampa in Italia, trova collocazione al piano terra della Biblioteca Palatina, con il suo inestimabile patrimonio librario e documentaristico nonché custode di un fondo di disegni e stampe unico al mondo.

Nato nel 1963 il Museo Bodoni – gestito da una Fondazione appositamente costituita al fine di illustrare l’opera, la figura e le collezioni del celebre compositore e stampatore nonché per promuovere studi e ricerche nel campo dell’arte grafica e tipografica – si trovava al terzo piano della Biblioteca Palatina in una posi-

8 1 Bodoni, Fregi e majiuscole 1771

zione di difficile accesso e scarsa visibilità. Un intervento importante – reso possibile grazie a uno stanziamento di fondi del Ministero della Cultura di circa 760.000 euro - che ha portato a un ripensamento dell’intero percorso espositivo, la cui curatela è il frutto di un progetto congiunto del Direttore della Pilotta Simone Verde e del Direttore scientifico della Fondazione Museo Bodoni Andrea De Pasquale

«Il nuovo allestimento museografico del Bodoni – dichiara il Direttore Simone Verde - ha comportato una totale riprogettazione degli spazi precedenti, con lavori strutturali, di impiantistica e realizzazione di nuovi arredi espositivi Uno sforzo importante volto a resti-

tuire valore e dignità a un autentico gioiello primo e unico nel suo genere in Italia. Da oggi –prosegue Verde - pubblico e studiosi in visita al nuovo Museo Bodoni potranno vivere un’esperienza doppiamente immersiva, che da un lato rievoca l’aspetto dell’antica tipografia e, dall’altro, ripercorre la storia e la nascita della stamperia ducale e la cultura di un’epoca in cui Parma era tra le vere capitali europee». Una scelta felice l’allestimento del Museo nei locali posti a piano terra destinati in precedenza a magazzini della Biblioteca stessa che dopo un’attento restauro si svelano agli occhi dei visitatori.

Si è scelto infatti di caratterizzare il Museo scegliendo un’estetica coeva agli anni di atti-

9 5 Descrizione Feste 1769 8 Orazio 1791

vità di Giambattista Bodoni, il pavimento in legno riprende il modello e il disegno dei parquet francesi dell’Ottocento e le pareti color verde impero contribuiscono a creare la giusta cornice per esaltare la ricca selezione di edizioni bodoniane (compresi esemplari unici e rarissimi, stampati su pergamena o seta), la suppellettile tipografico-fusoria ed altri cimeli di assoluto rilievo appartenuti all’officina di Bodoni che fu tipografo nel senso più ampio del termine: stampatore, disegnatore, incisore e fonditore di caratteri con risultati di eccellenza formale esemplari Nuove lampade a sospensione dal design essenziale danno luce a una serie di vetrine in cui sono esposte opere che sono indiscutibili capolavori della storia dell’editoria e più in generale della grafica.

Nel percorso espositivo il torchio tipografico, fedele ricostruzione di quello usato dal tipografo saluzzese, e gli armadi originali Luigi XV, all’interno dei quali Bodoni custodiva le cassette dei punzoni, introducono alla sezione dedicata a “La Fabbrica del Libro” All’interno di quattro grandi vetrine,

parte del mobilio originale del museo degli anni ‘60, sono ricostruite le varie fasi di lavoro di Bodoni: a partire dal disegno del carattere e creazione dei punzoni, dalla fabbricazione delle matrici e fusione della lega tipografica con tutti gli strumenti di lavoro utilizzati, forme per la fusione dei caratteri, lime, pialle, cucchiaini etc., fino alla rifinitura e composizione per stampa tipografica, calcografica e xilografica

La sala si completa con una grande armadiaturalibreria realizzata su misura dedicata a “I capolavori di Bodoni” in cui viene esposta la raccolta dei volumi bodoniani, con particolare riguardo alla raccolta palatina ancora con legature originali, al fine di documentare la bibliofilia bodoniana. Fra questi, spiccano alcune delle edizioni più rare quali le Odi di Anacreonte su pergamena di Baviera e le Stanze di Poliziano stampate su seta.

Al centro dello spazio, un tavolo multimediale e interattivo presenta, in formato digitale, diversi volumi fra cui il Manuale tipografico composto da cento caratteri latini tondi, 50 corsivi e 28 greci a cui Bodoni lavorò per tutta la

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Museo Bodoni con il tavolo interattivo multimediale per la consultazione digitale dei materiali del museo, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen
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Museo Bodoni, Fedele ricostruzione del XX secolo del torchio bodoniano, particolare allestimento © Ph Giovanni Hänninen

vita, e l’immane opera dell’Oratio Dominica, il Padre nostro in 155 lingue utilizzando ben 215 caratteri diversi tra latini, greci ed esotici, stampato da Bodoni in meno di un anno Grazie a tale dispositivo touchscreen è possibile effettuare una ricerca per volume e sfogliare le pagine dell’opera nella sua completezza, potendo così ammirare la raffinatezza e l’alta qualità del lavoro tipografico di Giambattista Bodoni Da poco è stata ampliata la collezione grazie ai 34 disegni originali a lapis utilizzati nel 1800 dall’incisore Rosaspina per illustrare il libro di Bodoni Pitture di Antonio Allegri detto il Correggio, donati dal professor Corrado Mingardi, consigliere della Fondazione Museo Bodoni.

Il nuovo Museo Bodoni costituisce un ulteriore tassello del complesso programma di riqualificazione della Nuo-

va Pilotta e si aggiunge alla recente inaugurazione della Sala Paciaudi, uno spazio monumentale completamente rinnovato e che costituisce il nuovo ingresso separato della Biblioteca Palatina, proprietaria delle collezioni esposte

Il Complesso monumentale della Pilotta con l’inaugurazione del Museo ha voluto commemorare Sabina Magrini, direttrice della Biblioteca Palatina dal 2012 al 2015, prematuramente scomparsa nel maggio 2022.

Il Museo Bodoni apre al pubblico dal martedì alla domenica con il medesimo orario di apertura del Complesso monumentale della Pilotta, dalle ore 10.30 alle 18.30 (ultimo ingresso alle 17.45).

h t t p s : / / c o m p l e s s o p i l o t t a i t / m u s e obodoni/

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L u o g h i d e l m i s t e r o

IL MIStERO DI cAPONIc E StORIE DI LUPI MANNARI

Raffaele Polo

Partiamo da lontano ma non sorprenda che tutto sia collegato... Allora, Horace Walpole ha scritto 'Il Castello d'Otranto', tenebrosa vicenda ambientata proprio nel castello della cittadina salentina. Lo stesso Walpole, tra l'altro, ha coniato il termine 'serendipity' : lo ha fatto in una fiaba, travasando pari pari l'antico nome dell'isola di Ceylon in una parola che, letteralmente, significa 'la capacità o fortuna di fare per caso importanti scoperte

Il mistero di Caponic Ora, proprio questo mi è accaduto: sono andato a trovare l'amico Luca Pensa, a San Cesario, presso la sede della sua casa editrice, che è in via Caponic. E proprio a lui ho chiesto quale fosse il motivo di quella strana denominazione della via Non ne sapeva nulla e neppure a tutti coloro cui l'abbiamo chiesto in via Caponic vi è però la chiesetta dedicata a San Giovanni Evangelista, il più antico monumento di San Cesario di Lecce. Costruita nel 1320-21 in stile romanico pugliese la chiesa è decorata da una successione di archetti pensili lungo tutto il perimetro esterno e ha un interno ad aula unica con le pareti avvolte da affreschi di matrice bizan-

tina. Vi è anche custodito un sarcofago medievale emerso durante i lavori di restauro che mostra incisioni simboliche e un labirinto a ricorrere Ecco, proprio questo sarcofago, le iscrizioni e l'aura di mistero che avvolge questo luogo, ci ha spinto a ricorrere alla Biblioteca Universale, proprio quella che aveva immaginato Borges, ovvero a Internet... Niente, neanche lì, incredibile. Solo un aggancio ad un fatto di cronaca, riportato sul giornale nel1946, a proposito dei lupi mannari nel Salento. In un interessante pezzo a commento di questa poco conosciuta vicenda del 'Salento misterioso', l'autore (Raimondo Rodia) si sofferma con dovizia di particolari ad una tradizione che affonda le radici nel passato e riguarda, en passant, proprio la via in questione Scrive dunque Rodia: 'Ma torniamo a San Cesario di Lecce per svelare il segreto del sarcofago del cavaliere, mistero che nessuno ha compreso, chi è e da dove proviene questo mitico cavaliere? Ad aumentare la suggestione la chiesa si trova in via Caponic, che rimanda ad un quartiere che nel corso della sua storia ha visto la presenza di slavi provenienti dai balcani. Forse da qui proviene la storia che vi racconterò Un

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Una curiosa scoperta passeggiando tra le vie di San Cesario di Lecce

tempo si diffuse la leggenda, per alcuni storia vera, di un gruppo di cavalieri che sotto la protezione di San Cristoforo combattevano la magia nera trasformandosi in feroci Lupi Mannari, mangiando spesso il malvagio cuore di chi con magie e stregonerie induceva altri individui in schiavitù.' All'esterno della chiesa, in alto, vi è poi una sbiadita ma ben visibile immagine del volto di Cristo altro mistero sul quale poco o nulla si sa... Non aggiungiamo altro, se non invitando a leggere la esaustiva ed interessante vicenda raccontata dal bravo Rodia sul suo blog 'LoscrivodaMe'

Il mistero di via Caponic è svelato ma, con 'serendipità', è collegato a numerosi altri misteri...

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PAOLA tURcI AL tEAtRO PAISIELLO PER LA StAgIONE tEAtRALE DI LEccE

LECCE “Mi amerò lo stesso” il recital concerto di Paola Turci con la regia Paolo Civati aprirà il 3 dicembre (sipario alle 21) al Teatro Paisiello la stagione teatrale promossa dal Comune di Lecce in collaborazione con il Teatro Pubblico Pugliese nei teatri comunali Apollo e Paisiello fino al 22 maggio “Mi amerò lo stesso” è il racconto della vita di una donna, in cui è facile identificarsi: i suoi desideri e le sue debolezze, i ricordi e le speranze per il futuro Il tutto legato da alcune canzoni che hanno fatto da colonna sonora a ogni fase della sua esistenza. Lo stesso giorno prenderanno il via anche i laboratori “Vengo anch’io” a cura dell’associazione Fermenti Lattici, un’attività destinata all’infanzia per consentire la fruizione degli spettacoli da parte degli adulti mentre i bambini sono occupati in laboratori e percorsi tematici nelle sale del Teatro Apollo e del Teatro Paisiello. Mentre gli adulti si godono lo spettacolo, i bambini potranno vivere l’opera teatrale in una dimensione di gioco, in uno spazio tranquillo e allestito per loro.

Per il secondo appuntamento, il 17 dicembre, ci si sposta al Teatro Apollo per “A che servono questi quattrini” con Nello Mascia, Valerio

Santoro, Luciano Saltarelli per la regia di Andrea Renzi. La commedia di Armando Curcio, messa in scena per la prima volta nel 1949 dalla compagnia dei De Filippo con grande successo di pubblico, è ancora oggi di grande interesse e attualità I temi dell’inutilità del denaro e della dannosità del lavoro, benché calati nella realtà di due famiglie napoletane degli anni ’40, una poverissima, l’altra in apparenza arricchita, riescono, sul filo del paradosso, a incuriosirci, ad aprirci nella fantasia strade alternative e a divertirci Il 12 gennaio al Teatro Apollo, per il primo degli appuntamenti dedicati al tema dell’inclusione, sarà la volta di Dario D’Ambrosi, tra i principali artisti di avanguardia in Italia e creatore del movimento teatrale chiamato Teatro Patologico Attore, regista e autore di spettacoli che rappresentano pensieri e comportamenti di malati di mente, è da oltre quarant’anni uno dei più interessanti fenomeni teatrali della scena nazionale A Lecce porterà la sua particolarissima versione di “Medea” di Euripide che nel 2017 è stata presentata anche alle Nazioni Unite di New York in occasione della Giornata internazionale delle Persone con Disabilità (4 dicembre),

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Lo spettacolo della cantautrice inaugura il cartellone dei teatri leccesi. Spettacoli e laboratori fino al 22 maggio 2023
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frutto di un intenso e riuscito percorso teatrale per ragazzi diversamente abili che li vede in scena insieme ad attori professionisti

Il 26 gennaio al Teatro Paisiello arriva Pino Ingrosso con il suo spettacolo teatrale musicale “Canto Pasolini” (regia Daniela Guercia) tratto dall’omonimo disco che contiene 11 poesie di Pier Paolo Pasolini musicate da Ingrosso e una canzone inedita scritta da Pasolini e da Domenico Modugno A febbraio due appuntamenti al Teatro Apolo, l’8 saliranno sul palco Luigi Lo Cascio, Vincenzo Pirrotta e Giovanni Calcagno (che firma anche testo e regia) in “Gilgamesh mentre il 25 febbraio arriva Fabio Troiano con “Il Dio bambino” (regia di Giorgio Gallione): un monologo che prosegue e approfondisce il particolarissimo percorso teatrale di Giorgio Gaber negli anni Novanta.

Il 22 marzo al Teatro Paisiello, saranno protagonisti Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari con il loro “I figli della frettolosa”, uno spettacolo che affronta il tema della cecità e del significato più ampio che ha oggi la parola “vedere”. Sul palco i protagonisti saranno gli attori non vedenti e ipovedenti del laboratorio che i due artisti terranno a Lecce nei giorni precedenti lo spettacolo, che

faranno il coro, accanto a Ludovico D'Agostino, Flavia Neri e Silvia Zaru. Doppio appuntamento il 18 aprile per Mario Perrotta con il suo “S/Calvino o della libertà” con la matinée per le scuole (ore 11.00) e la recita serale al Teatro Paisiello: uno spettacolo dedicato al desiderio di libertà di ciascuno che da sempre si scontra con la libertà dell’altro. Sempre ad aprile, il 27, al Teatro Apollo arrivano Ambra Angiolini e Arianna Scommegna dirette da Serena Sinigaglia, in “Il nodo”, uno spetta-

colo intenso sul bullismo che dà voce a un confronto senza veli sulle ragioni che lo generano La stagione si chiuderà il 22 maggio al Teatro Paisiello con “Hamleto” di Factory Compagnia Transadriatica. Ispirato ad Amleto di William Shakespeare, a cura di Tonio De Nitto e Fabio Tinella, l’“Hamleto” che andrà in scena al Paisiello è un progetto speciale frutto del laboratorio permanente di teatro e disabilità di Factory inaugurato a Lecce nel 2021.

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S t o r i e l ’u o m o e i l t e r r i t o r i o

MUccI, MAEStRI cONfEttIERI DAL 1954

La storia della confetteria Mucci di Andria inizia nel 1954, quando Raffaele Mucci decide portare avanti l’attività del padre Giovanni, affermandosi come raffinato artigiano esperto nella produzione di cioccolato, confetti e caramelle. Una tradizione di famiglia che giunge oggi alla quarta generazione, capaci di unire artigianalità, passione e innovazione in prodotti di eccellenza Con oltre 120 anni di attività, i Maestri Confettieri

Mucci continuano a ricevere riconoscimenti, che attestano l’elevata qualità della loro produzioni di confetti e dragées.

Tutto ebbe però inizio nel 1894 nel primo laboratorio per la produzione di confetti, cioccolato e caramelle, a quattro passi dalla Cattedrale, in una piccola bottega del centro storico di Andria, dove un giovanissimo Nicola Mucci, sperimentava la creazione di prodotti

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Presicce, reportage fotografico Sara Foti Sciavaliere
“Una dolce tradizione di famiglia nel cuore del borgo antico di Andria”
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S t o r i e l ’u o m o e i l t e r r i t o r i o

dolciari che sapessero sedurre i palati più raffinati, inebriando gli acquirenti con quel profumo di cioccolato, vaniglia e cannella che pervadeva le stradine del vicinato, e che ancora oggi si respira quando entri nella bottega Mucci in quella che è stata intitolata, non a caso, via del Museo del Confetto Difatto è qui che è ubicato anche il Museo del Confetto “Giovanni Mucci”, riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e annoverato fra i Locali Storici d’Italia

Nicola dunque comincia a produrre cioccolato, caramelle e confetti, utilizzando, per questi ultimi, le mandorle pugliesi, poi nel 1920 inventa “Mandorla Imperial”, un inedito confetto realizzato con la pregiata mandorla pelata “Fra Giulio”, nota come “Avola di Puglia”, ricoperta da uno strato di cioccolato bianco e leggermente confettata. Arriverà negli anni Trenta alla creazione dei famosi “Tenerelli Mucci”, lavorati ancora oggi secondo la ricetta originale, con mandorle pugliesi della varietà “Filippo Cea” di Toritto, presidio slow food in terra di Bari, e “Nocciole del Piemonte IGP”, ricoperte da cioccolato fondente bianco e da

un leggero strato di confettura colorata

Le dolci creazioni di Nicola hanno successo e la produzione cresce, l’intraprendente andriese, nel 1926 fa edificare un primo grande stabilimento, dotandolo di nuovissimi impianti per la fabbricazione di cioccolato, confetti e caramelle Il nuovo opificio contava oltre ottanta dipendenti, di cui tre quarti erano ragazze addette alla decorazione dei confetti, all’incarto di caramelle, cioccolatini e uova pasquali Nel 1934, a causa della crisi del ‘29, la produzione si riduce e Nicola è costretto a ridimensionare l’azienda e a trasferirsi nuovamente nella prima fabbrica.

Giovanni Mucci erediterà la fabbrica avviata da papà Nicola e sviluppa l’attuale brand “Mucci Giovanni dal 1894” I loro prodotti diventano rinomati per qualità e gusto e ben presto varcano i confini regionali e nazionali Nel 1975 l’azienda passa nelle mani dei figli di Giovanni che, con la stessa passione portano avanti i segreti di famiglia con immutata passione, cura e dedizione per il proprio lavoro.

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Presicce, reportage fotografico Sara Foti Sciavaliere
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Gli attuali eredi Mucci, figli e nipoti di Giovanni, inaugurano poi, nel 1987, il moderno stabilimento a Trani, dove, ancora oggi, si producono confetti e dragées, sempre fedeli ai canoni e ai metodi artigianali dell’alta tradizione confettiera I Mucci giungono così, con grande orgoglio alla quarta generazione di Maestri Confettieri, e nel gennaio del 2004, nasce anche la prima confetteria ad Andria, nell’elegante cornice della piazza Vittorio Emanuele II - conosciuta da tutti come piazza Catuma, storico ritrovo dell’aristocrazia locale.

Quando entri nella confetteria di Via del Museo del Confetto, si viene avvolti dal profumo di cioccolato, vaniglia e cannella, il profumo delle feste, accolti dal coloratissimo banco da esposizione che racconta oltre un secolo di antiche tradizioni custodite gelosamente custodite dalla famiglia Mucci, sotto lo sguardo della Musa Glauce che ha ispirato Nicola e Giovanni Mucci, e che dall’affresco del soffitto, eseguito nel 2004 dal pittore andriese Carmine Conversano, soprannominato il “pittore della povera gente”, mentre sembra lasciar scivolare su quanti entrano una pioggia di confetti variopinti. Da qui è possibile seguire, in un percorso “storicodidattico” che svela le tecniche di lavorazione che, anche laddove le attrezzature più antiche come le bassine vanno a evolversi in più moderni impianti tecnologici, continuano a eseguite nel segno dell’antica tradizione confettiera: spellatura, imbiancatura, confettatura e lucidatura rimangono le quattro fasi per trasformare in tre quattro giorni

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Presicce, reportage fotografico Sara Foti Sciavaliere
S t o r i e l ’u o m o e i l t e r r i t o r i o
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Presicce, reportage fotografico Sara Foti Sciavaliere

la materia prima in confetto.

I confetti Mucci raccontano più di un secolo di storia di prelibate dolcezze, con accostamenti di sapori originali e raffinati, uniti alla selezione di materie prime di qualità e coloranti del tutto naturali. Numerose sono le specialità firmate Mucci. Una delle ultime creazioni sono stati i confetti “Regina Elisabeth”, prodotti con mandorla siciliana “Pizzuta di Avola” ricoperta di cioccolato bianco ed olii essenziali di limone, arancio, mandarino o bergamotto Tra i prodotti più famosi ci sono pure i Fruttini di Marzapane, ancora oggi lavorati e decorati a mano; le Gocce al Rosolio con un ripieno analcolico alla frutta; gli storici Cannellini e Confetti Ricci, questi ultimi nelle varianti zucchero di canna o zucchero di barbabietola; le specialità Ghiaia, una lavorazione che rende questi confetti esternamente assai simili ai sassolini di mare, ma che nascondo al loro interno un cuore tenero e delizioso. Una gustosa alternativa ai classici confetti sono i dragées: rifiniti con una copertura di cioccolato bianco, al latte o fondente, racchiudono un’anima morbida, liquida o croccante. Negli anni Ottanta nasce il primo dragée alcolico, ripieno di liquore alla Sambuca, grazie alle idee innovative ed ai continui esperimenti della famiglia Mucci. In seguito, vengono introdotti i dragées con altri tipi di liquore e non solo: nascono i dragées al caffè, ai canditi, alla liquirizia, al cocco, alla gianduia

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Una piccola chicca ci rimanda all’imperatore Federico II, che qui era di casa. Di fatto, a 18 km da Andria troviamo l’iconico Castel del Monte, Patrimonio UNESCO, emblematicamente legato al nome e alla fama del Puer Apuliae, e pochi metri dalla Cattedrale di Andria, nella cui cripta hanno trovato sepoltura due delle moglie di Federico II, Iolanda di Brienne e Isabella d’Inghilterra Ma per noi diventa protagonista un’altra delle donne dello Stupor, quella che si dice l’imperatore abbia davvero amato, Bianca Lancia, la cui fedeltà fu messa in discussione da Federico, al punto che accecato dalla gelosia la fece rinchiudere nel castello di Gioia del Colle; la donna, esasperata, pur di dimostrare l’errore e l’ingiustizia che stava subendo, compirà un gesto estremo recidendo i propri seni per consegnarli, serviti su un vassoio di argento, al sovrano. Nascono così “Lacrime d’amore”, opera confettiera con l’aroma della viola - si dice amata da Bianca Lancia - per ricordare la tragica vicenda e presentate in occasione dell’800esimo anniversario dall’incoronazione, nel 2015, a Castel del Monte.

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Presicce, reportage fotografico Sara Foti Sciavaliere
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S t o r i e l ’u o m o e i l t e r r i t o r i o

DA NORBA A NORMA, VIAggIO StORIcO SUL BALcONE DEI LEPINI

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Meraviglie da scoprire nel Parco

archeologico di Norba nel comune di Norma

Un’imponente striscia di pietra intarsiata da enormi blocchi perfettamente incastonati tra loro, posta a picco su uno sperone roccioso. E’ questa la visione che dalla pianura pontina segnala la presenza dell’antica città di Norba, sui Monti Lepini, dove storia, archeologia e paesaggio si fondono, dando vita a un luogo unico da conoscere e ammirare: il Parco archeologico di Norba, presso il comune di Norma, straordinario e magico borgo in provincia di Latina. L’abbraccio di pietra che circonda l’area archeologica si schiude per accogliere il visitatore presso la Porta Maggiore, il varco più spettacolare tra quelli che si aprono intorno al circuito murario lungo 2600 metri. La porta principale della città non è più visibile, consumata dagli

avvenimenti e dal tempo, è uno spazio compreso tra le mura e il torrione semicircolare posto a destra, strutture costituite da enormi blocchi di pietra calcarea, perfettamente incastonate, tra i più celebri e conservati esempi di opera poligonale, punto di riferimento per gli studi dedicati a questa tecnica costruttiva. Sono le stesse mura erette oltre duemila anni fa per difendere Norba, segno della sua identità culturale e che fin dall’inizio dell’Ottocento attirarono l’attenzione di viaggiatori e studiosi di diversa nazionalità, giunti qui per ammirarle e immortalarle nelle loro opere. Una volta varcata la Porta Maggiore inizia un vero e proprio viaggio nel tempo che ci riporta a circa duemila anni fa.

L’abitato di Norba ha origini

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Marco Tedesco e Beatrice Cappelletti
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strada romana, particolare degli scavi dell'antica Norba (foto di Beatrice Cappelletti)

latine, è uno dei populi del Latium Vetus. Successivamente, nel 492 a.C.,Roma la scelse come colonia per la sua posizione strategica, quaearx in Pomptino esset, come scrive lo storico Tito Livio, “perché fosse una roccaforte sull’agro pontino”. Nel corso della sua storia, Norba fu sempre fedele a Roma, anche durante delle guerre puniche, quando altre colonie rifiutarono di osteggiare il temuto Annibale. Le sue mura imponenti innalzate e ristrutturate nel tempo, ne difesero l’integrità, ma nulla poterono contro un tradimento. Infatti, alla fine delle guerre civili combattute tra Caio Mario e Lucio Cornelio Silla, Norba schieratasi con il perdente Mario, dovette subire l’attacco delle truppe sillane. Si difese finché, stando al racconto di Appiano, qualcuno di notte aprì le porte al nemico. Gli abitanti di Norba, consapevoli del proprio destino, decisero di non lasciarsi conquistare, ma di uccidersi l’un l’altro e appiccare il fuoco alle proprie case Un incendio, alimentato dal vento sopraggiunto, che distrusse la città, mai più ricostruita Era l’ 81 a C Tracce di un incendio distruttore sull’ultimo strato di vita, indagate nel corso dei più recenti scavi archeologici condotti dall’Università Luigi Vanvitelli e diretti da Stefania Quilici Gigli, testimoniano la tragica fine della città e in parte la veridicità di quella testimonianza, dal sapore leggendario Un gesto forte e terribile a cui

non è seguita alcuna ricostruzione, se non qualche sporadica rioccupazione altomedievale, che ci restituisce un luogo suggestivo e di grande interesse storico archeologico.

Le mura poligonali e la terra hanno custodito per secoli tracce dell’antica città, raro esempio tra quelli conosciuti appartenenti all’epoca roma-

na repubblicana. Le domus, ricche abitazioni, templi, edifici e strade da ammirare e tornare a percorrere anche grazie agli scavi che si sono succeduti nel tempo. Il primo di questi già nel 1901, diretto dall’archeologo Luigi Pigorini ed eseguito da Luigi Savignoni e Raniero Mengarelli, costituisce il primo scavo archeologico diretto in Italia dalla

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Scuola archeologica italiana. Passeggiando sulle strade di Norba, perfettamente intatte e corredate di marciapiedi e attraversamenti pedonali, è possibile farsi un’idea del vissuto dei suoi abitanti. Dallo stradone principale, una sorta di via del Corso del tempo, si intersecano altri diverticoli su cui si affacciano domus ampie e dotate del tipico

impluvium, per la raccolta dell’acqua piovana e, nonostante il luogo privo di fonti idriche vicine, un edificio termale posto al centro dell’area cittadina, edificio costruito poco prima della sua distruzione, come indicato dalla tecnica costruttiva in opus cementicium con rivestimento in opus incertum. Un’area che comprende circa

40 ettari, un pianoro con due acropoli, punti sopraelevati caratterizzati dalla presenza di edifici templari, di cui restano i basamenti, segno della devozione degli abitanti dedicata alla dea Diana, sull’acropoli maggiore e ad altre due divinità non identificate, sull’acropoli minore. Sul versante sud-occidentale, sorgono i resti del tempio

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Norma da Acropoli Minore di Norba (foto di Beatrice Cappelletti)

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dedicato a Giunone Lucina, dea del “dare alla luce”, protettrice delle partorienti. Un tempio parte di un vero e proprio santuario frequentato nel corso di tutta la storia norbana dal V secolo a.C. fino all’epoca altomedievale, quando fu trasformato in chiesa. I numerosi reperti fittili e bronzei, votivi, iscrizioni ed elementi architettonici, sono emersi nel corso dei primi

scavi e sono in parte esposti, insieme a quelli degli altri templi, presso il Museo Nazionale di Roma, Terme di Diocleziano. Le più recenti testimonianze archeologiche rivelano e confermano l’importanza culturale e storica di Norba, una cittadina che in età medio-tardo repubblicana, è perfettamente inserita nel contesto economico e culturale del tempo,

nonostante la sua posizione arroccata. Gli interessanti reperti, provenienti soprattutto dalle abitazioni, mostrano quanto gli abitanti fossero legati alla propria tradizione culturale e allo stesso tempo, aggiornati sulle tendenze culturali ed economiche del tempo.I frammenti raccontano quanto fossero abili le donne norbane nell’arte della tessitura, quanto gli abitanti fosse-

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particolare degli scavi dell'antica Norba (foto di Beatrice Cappelletti)

ro devoti, ma anche quanto apprezzassero pregiati vini importati da lontano e tenessero a far mostra dell’uso di cenare nel triclinio e illuminare le proprie stanze con lucerne di ultima fattura. È possibile ammirarli e conoscerne i dettagli presso il Museo civico archeologico di Norma, la cittadina erede di Norba, sorta intorno all’anno Mille a poca distanza, su una rupe

chiamata “Rave”. Il museo, piccolo gioiello custode della memoria storica del paese, sorge tra i caratteristici vicoli del centro storico di Norma, raggiungibile dopo aver attraversato il Corso della cittadina. È intitolato a Padre Annibale Gabriele Saggi, figura religiosa e culturale importante per il paese, studioso della storia locale, poeta, pittore, autore della volta della Chie-

sa Santissima Annunziata affrescata nel 1945, con santi e profeti raffigurati con il volto dei normesi, immersi in scorci e paesaggi familiari.Devozione, storia, arte e paesaggio si fondono anche nella più antica testimonianza della chiesa, un affresco datato alla fine dei Cinquecento, appartenente all’allora Cappella della famiglia Caetani, voluta da Antonio, signore di Norma. Qui, ai lati della Madonna incoronata da due angeli, sono raffigurati Sant’Antonio da Padova e Santa Barbara, protettrice del paese, riconoscibile dall’ inconfondibile fagotto tenuto saldamente e delicatamente tra le braccia: si tratta della rupe di Norma, con il suo abitato, immortalato dal pennello del pittore. Un’istantanea del paese del XVI secolo in cui si distinguono la chiesa, le mura, le abitazioni disposte lungo le strette viuzze comprese tra le cosiddette “Porta di Taloccio” e la “Porticina” e in alto il castello, oggi non più visibile, la cui struttura è inglobata negli edifici oggi sorti intorno all’area di Piazza di Pietra, l’antica piazza d’armi Da qui è possibile affacciarsi e ammirare il paesaggio dal Balcone dei Lepini, Norma, il paese che all’imbrunire si trasforma nel profilo di una Bella Addormentata La famiglia Caetani ha per secoli dominato parte dei territori del Lazio oggi compresi tra le province di Latina e Frosinone Proprio a questa famiglia si devono gran parte delle ricchezze e dei tesori

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artistici che questa parte del Lazio offre Nella chiesa dell’Annunziata a Norma abbiamo una straordinaria testimonianza di tali tesori: la Madonna col Bambino e i Santi Barbara e Antonio da Padova, straordinario affresco del XVI secolo che decorava la parete a ridosso dell’altare di quella che un tempo era la cappella della Famiglia Caetani,

il cui patronato era sotto la giurisdizione di Antonio Caetani, all’epoca signore di Norma Lo stile compositivo dell’affresco ricalca lo schema dettato dai principi della controriforma, ossia una composizione che vedeva una struttura a piramide il cui apice era rappresentato dalla Madonna in gloria nell’atto di mostrare il Bambino e le due

estremità laterali da figure di Santi che avevano il compito di essere da esempio per il pellegrino che doveva prostrarsi in preghiera dinanzi alla Vergine In molti casi, come ad esempio a Norma, queste figure di santi sono legati al territorio: Santa Barbara infatti è la patrona di Norma mentre Sant’Antonio da Padova era uno dei santi

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Madonna col bambino tra i santi Antonio da Padova e Barbara, XVI secolo, Norma, chiesa dell'Annunziata (foto di Marco Tedesco)

protettori della famiglia Caetani. Non è infatti il primo caso in cui Sant’Antonio da Padova compare in un affresco commissionato dalla famiglia Caetani. Basta infatti spostarci di qualche secolo più indietro, più precisamente nel XIV secolo, a Minturno, altra roccaforte storica della famiglia Caetani oggi compresa nella provincia di Latina, dove nella chiesa di San Francesco vi è una nicchia affrescata raffigurante la Madonna in trono col Bambino tra i santi Pietro e Paolo ed ai lati San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova, San Nicola e i ritratti dei conti Niccolò e Onorato I

Caetani. Sant’Antonio da Padova, inoltre è anch’esso un santo proveniente dall’ordine dei frati minori francescani che proprio a partire dal XIV secolo grazie alla famiglia Caetani cominciò a penetrare nei territori della provincia di Latina. Nel caso dell’affresco di Norma è evidente anche un’esaltazione del nome del committente attraverso la raffigurazione della figura del santo omonimo, quasi come un omaggio al potere che la famiglia Caetani esercitava sul territorio Anche questa volta, la storia dell’arte ci ha mostrato altre sue pagine nascoste: ci ha narrato la storia di un affasci-

nante borgo medioevale quale è Norma, la storia di una famiglia, quella dei Caetani, che alla storia stessa ha donato altri straordinari protagonisti come Gelasio II e papa Bonifacio VIII, rispettivamente in origine Giovanni e Benedetto Caetani, i cardinali Jacopo Caetani degli Stefaneschi ed Enrico Caetani, il quale fu proprietario dell’omonima cappella nella chiesa abbaziale dell’abbazia cistercense di Valvisciolo Abbiamo dunque scoperto una famiglia che alla storia dell’arte ha legato il suo nome rendendo noi posteri eredi di un passato straordinariamente glorioso

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Madonna col bambino tra i santi Antonio da Padova e Barbara, XVI secolo, Norma, chiesa dell'Annunziata, part della veduta di Norma nel XVI secolo (foto di Beatrice Cappelletti)

I l u o g h i d e l l a p a r o l a

gLI EROI DEI fUMEttI E LA POLItIcA

Raffaele Polo

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I primi 65 anni di Cocco Bill nato dalla matita di Jacovitti

Nota preliminare: Ma cosa c'entrano i fumetti con Arte e Luoghi? Mi meraviglio di lorsignori: il fumetto è l'Arte contemporanea che meglio caratterizza il Novecento Ed è di pedissequa imitazione dei maestriartisti più acclamati. Ergo Scopro con stupore che Cocco Bill ha raggiunto la veneranda età di 65 anni e, con i tempi che

corrono, è alle soglie della pensione È vero che Capitan Miki e il Grande Blek ne hanno di più, ma questa cosa degli anni mi impressiona non poco perché mi certifica, ineluttabilmente, di come passa il tempo.

E il problema (vero) è che loro, i nostri eroi di carta, mantengono una freschezza ed una efficienza incredibile Non

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parliamo, poi, degli ‘antichi fumetti’ (l’Uomo Mascherato, Mandrake, Nembo Kid, Bibì e Bibò) che sono addirittura commoventi per il loro essere così platealmente fuori dal tempo corrente. Ma volevo scrivere di Cocco Bill perché è personaggioprincipe di Jacovitti, estroso e incredibile disegnatore che mi ha accompagnato per tanto tempo, soprattutto sui banchi della scuola, dove il diario Vitt era un ‘must’ come lo zaino Invicta e altri oggetti che caratterizzavano il momento storico… Jacovitti mi piaceva, mi piace per quel suo infoltire le tavole di particolari irreali e grotteschi, novello pittore fiammingo che fa delle minuzie il suo cavallo di battaglia. E, a proposito di cavallo, proprio Trottalemme, il cavallo di Cocco Bill, può assurgere alla identità di deus ex machina di quasi tutte le vicende, toccando a lui dipanare la matassa imbrogliata dal suo spavaldo padrone.

Delle trame, delle storie di Cocco Bill, meglio non parlare: sono spesso insulse e di una ingenuità talmente esplicita da far concorrenza alle storie di EsseGesse ovvero Capitan Miki con Doppio Rum e Salasso e Blek Macigno con Roddy e il dottor Occultis. In queste strisce si capisce subito chi sono i cattivi (tutti col ghigno stereotipato e la faccia di canaglia) e anche

chi si camuffa (Magic Face ) lo si scopre in quattro e quattr ’otto. Piuttosto, l’idea della morte viene beffeggiata da Jacovitti che non si preoccupa di costellare di cadaveri trivellati dai colpi i suoi disegni mirabolanti. Esito evitato accuratamente dagli altri autori che puntano maggiormente sui combattimenti con sani cazzotti (emuli e precursori di Bud Spencer) o con la precisione della mira delle infallibili pistole. E, anche se stiamo parlando di personaggi che fanno parte della storia e non più della cronaca contemporanea, il piacere innato nel rileggere le inossidabili avventure su carta dei nostri beniamini, ci fa asciugare in fretta la lacrimuccia di nostalgia che affiora dalle nostre datate ciglia… Ora, in questo periodo travagliato, mi è venuto da pensare: a chi darebbero la fiducia, per chi avrebbero votato questi eroi di carta? Cocco Bill, ne sono certo, sarebbe stato un emulo di Salvini e della Lega Nord, anche se Trottalemme lo avrebbe consigliato ad una maggiore moderazione. Ma il dubbio maggiore lo avrei con Tex Willer, che adesso ha compiuto settantacinque anni, ma è sempre vivo e vegeto come non mai; mi chiedo per chi voti il bravo cowboy. So di suscitare il riso, ma sono domande che vengono spontanee, soprattutto quando questi personaggi

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Abbazia di San Mauro - Sannicola Lido Conchiglie, foto Eugenio LIgetta

finiscono per entrare nella memoria comune di chi li ha frequentati, amati e conosciuti sin dalla più tenera età. Di Tex io, seguace patito del Grande Blek e di Capitan Miki, ho sempre avuto un po’ di timore reverenziale. Per quel suo volto prevalentemente triste, il suo incedere alla Gary Cooper (altro eroe della nostra infanzia) e la sua manifesta timidezza nei confronti del genere femminile (scarsamente presente nelle tavole di Bonelli), ci pareva la quintessenza dell’uomo saggio, a cui avremmo dovuto ispirarci per crescere onesti, coerenti e saggi Magari liberi e uniti… no, lasciamo perdere.

Ecco, allora, proprio ai nostri eroi di una volta, a Tex, al tenente Rip Masters (Rin Tin Tin, chi se lo ricorda?) e anche a Zorro vorremmo chiedere, serenamente, per chi sono andati a votare, il 25 settembre.

Proprio a loro, che avevano una vita avventurosa ma che credevano ciecamente nell’ideale, ben chiaro, della difesa dei ‘buoni’ contro i ‘cattivi’, vorremmo chiedere una conferma…

E ci sembra di intuirle, le sintetiche risposte Tex ci guarderebbe in silenzio e, con uno scarto del cavallo, se ne andrebbe al galoppo nella sconfinata prateria.

Il Tenente Rip, ligio al dovere, ci indicherebbe il cane lupo protagonista delle sue avventure e mente di ogni vicenda dei cavalleggeri impegnati contro indiani e bianchi malvagi, ‘Chiedete a lui’ ci suggerirebbe…. E Zorro Povero spadaccino, i vessatori spagnoli del suo tempo sono nulla in confronto ai malfattori di stampo nostro contemporaneo Solo allora, magari, scopriremmo che questi personaggi, non dissimili da noi, furono costruiti e inventati per indicarci una via di giustizia, coerenza e positività Con la loro incrollabile fiducia in chi li aveva creati, aspettavano le ultime scene, le ultime vignette, per vedere trionfare il buono, il giusto, l’onesto contro il malvagio, il disonesto, il superbo Il problema è che, a noi, queste ultime scene, queste vignette finali, non ce le hanno realizzate Siamo noi stessi a doverle completare… E invano chiediamo agli eroi della nostra infanzia di darci una mano. Sono rimasti solo figurine. Figurine di cartone Che fanno sorridere perché inesorabilmente fuori dal tempo.

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particolare striscia interna di Cocco Bill n 1 (iFumetti Imperdibili): Album de Il Giorno n 1, gennaio 1962
I l u o g h i d e l l a p a r o l a
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I l u o g h i d e l l
Cocco Bill il coccobello, il brutto e il cattivo di Benito Jacovitti e Luca Boschi, 1 gennaio 2018
a p a r o l a
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Grazia Varisco, Tavola magnetica trasparente ³Filamenti liberi², 1960, telaio in legno, rete metallica, filamenti mobili con calamita, 60,5 x 48 cm

SENSIBILItà PERcEttIVE L’ARtE DI gRAzIA VARIScO

In mostra fino all’8 gennaio 2023 a Lecce nelle sale della Fondazione Biscozzi Rimbaud, le opere dell’artista milanese

LECCE Dopo “L’artista del bianco” mostra di apertura di Angelo Savelli, e “L’altra scultura” con le opere dello scultore salentino Salvatore Sava, la Fondazione Biscozzi Rimbaud continua a sorprendere il pubblico con un nuovo progetto espositivo che dallo scorso ottobre vede protagonista l’artista Grazia Varisco Reduce dalla partecipazione alla Biennale di Venezia nel Padiglione Centrale e da una recente mostra antologica a Palazzo Reale a Milano, Grazia Varisco presenta fino all’8 gennaio 2023 negli spazi della Fondazione leccese una piccola

ma preziosa mostra di diciassette opere che coprono l’intero arco della sua carriera, un percorso in cui i singoli lavori, dalla fine degli anni Cinquanta al 2009, costituiscono un corpo unitario, pur conservando ciascuno la propria originalità.

«Donna salda e priva di timori reverenziali, che giustamente – ma con coraggio – ha sempre dato per scontato di non avere nulla in meno dei propri colleghi uomini quanto a capacità e inventiva, Grazia Varisco non ha avuto bisogno di rivendicare alcunché: si è limitata a fare e a essere, da autentica

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artista (termine che in lingua italiana, al singolare, è felicemente invariabile al maschile e al femminile). Si legge nella introduzione al catalogo di Paolo Bolpagni curatore nonché direttore scientifico della Fondazione che aggiunge - E la sua potenza creativa, già vivacissima alla fine degli anni Cinquanta, ha continuato e prosegue tuttora a suscitare meccanismi percettivi, strutture formali e significati visivi differenti, disparati, eppure accomunati da un tratto, da un tocco che è peculiare e riconoscibile, al contempo serio, arguto, sorprendente, ironico ma non troppo, ben consapevole di sé.»

Intitolata “Sensibilità percettive” la mostra parte da Tema e svolgimento (1957-1959), risalente al periodo di apprendistato all’Accademia di Brera, “semplice e lieve – scrive Bolpagni nel suo saggio in catalogo – quasi à la manière de Paul Klee un rotolo di car-

ta caduto e l’idea di trarre da un simile evento casuale lo spunto per un’interpretazione estetica”. L’opera rivela già la sensibilità percettiva della Varisco e il suo porsi in osservazione e “in ascolto” costante della realtà Nel 1959-1960 comincia l’avventura del cinetismo con il famoso Gruppo T, che nasce a Milano con la partecipazione della Varisco insieme con Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele Devecchi: la loro poetica è incentrata sul concetto di miriorama, cioè sull’idea della variazione dell’immagine nella sequenza temporale Nascono le tavole magnetiche di Grazia Varisco, di cui in mostra sono presenti due esemplari – Tavola magnetica a elementi quadrati (1959) e Tavola magnetica trasparente “Filamenti liberi” (1960) – con elementi fissati al supporto tramite magneti e quindi spostabili: oggetti semplici, dalle forme rego-

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legno, vetro industriale Q 250, borchie di acciaio, 42 x 82,7 cm
Grazia Varisco, Oggetto ottico-cinetico, 1968-1969,

lari e geometriche, oppure filamentose e aree

Le opere Oggetto cinetico luminoso (1962), Variabile + Quadrionda 130, Scacchiera nera (1964), +Rossonero- (1968) e Oggetto ottico-cinetico (1968-1969), (i primi due dotati di motore elettrico e dunque di un movimento connaturato all’opera stessa) rappresentano lo studio dell’artista sulla frammentazione della luce. Conclusa l’esperienza del Gruppo T, Grazia Varisco prosegue il proprio percorso in auto-

nomia, seguita da critici attenti come Ballo, Belloli e Dorfles, realizzando nel 1966 la sua prima mostra personale. Negli anni Settanta l’artista sperimenta la manipolazione libera della carta e del cartoncino e l’apertura programmatica all’azione perturbante del caso, mantenendo sempre al centro l’analisi dei meccanismi percettivi. Nascono serie fortunate come le Extrapagine e gli Extralibri: in mostra sono presenti quattro lavori come Meridiana 2 (1974), Extralibro (1975), Spazio potenziale (1976) e Extrapagina

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Grazia Varisco, Meridiana 2 (da ³Meridiana² in nove versioni), 1974, legno, collage di cartoncini, porzione di perimetro mobile in ottone, 50 x 50 cm

“Spartito musicale” (1977)

Nella seconda metà degli anni Ottanta, la Varisco crea il ciclo Fraktur, con l’osservazione degli angoli di raccordo tra due o tre piani ortogonali e uno studio delle soglie e delle disarticolazioni.

In mostra troviamo Implicazioni B (1986), Incastro giallo (1987) e Fraktur - Ferro 1 (1997) E poi, degli anni Duemila, Quadri comunicanti (2008) e Filo rosso (2009)

La mostra si chiude con Silenzi (2006), articolazione di piani e vuoti prodotta dalla sovrapposizione di semplici telai: un altro salto concettuale per interpretare il mondo di un’artista visionaria e ad alto tasso di creatività Nata a Milano il 5 ottobre 1937 Grazia Varisco negli anni Sessanta è allieva di Achille Funi all’Accademia di Belle Arti di Brera La sua ricerca artistica, dopo l’esperienza con il Gruppo T, prosegue in maniera autonoma svolgendo parallelamente attività di grafica per l’Ufficio Sviluppo della Rinascente, per la rivista

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Grazia Varisco, Incastro giallo, 1987, due telai in ferro verniciato, 160 x 65 x 50 cm

«Abitare», per la Kartell (dal 1961 al 1967) e per il Piano intercomunale milanese (19621963).

Nel 1969 e nel 1973, in occasione di prolungati soggiorni negli Stati Uniti, incontra e frequenta artisti e docenti dei Departments of Fine Arts, intrattenendo rapporti che contribuiscono alla sua formazione.

Dal 1979-1980 si impegna nell’attività didattica e dal 1981 al 2007 è titolare della cattedra di Teoria della percezione all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano Nel 2007, su segnalazione dell’Accademia di San Luca, riceve dal presidente Giorgio

Napolitano il Premio nazionale Presidente della Repubblica per la scultura seguito nel 2018 dal Premio Feltrinelli per le Arti Visive conferitogli dall’Accademia dei Lincei. Sue opere figurano in musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero dalla Collezione dell’Accademia di San Luca e la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma al Museum of Modern Art di New York, solo per citarne alcuni.

45 Grazia Varisco, Quadri comunicanti, 2008, quattro elementi in ferro e alluminio, 64 x 49 cm l'uno

NAPOLI WORLD 2022. LA cIttà DELLA MUSIcA OSPItA I SUONI DEL MONDO

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NapoliWorld 2022 è un festival di "world music", importante evento live rivolto ai musicisti e addetti ai lavori del campo musicale ma aperto alla città Nasce come seconda edizione di Music ConnectItaly dopo Pistoia nel 2021, da un’idea di Davide Mastropaolo e Fabio Scopino, fondatori di Italian World Beat, che ne curano la direzione artistica. Nel solco delle linee guida di "Napoli Città della Musica", Napoli World 2022 intende valorizzare le professionalità musicali del territorio attraverso un percorso di internazionalizzazione, sviluppando l’export delle attività musicali della città e mettendole in rete con le varie realtà musicali nel mondo. In quest’ottica lo showcase festival rende possibile attivare relazioni culturali e imprenditoriali durature con prestigiose istituzioni da tutto il mondo.

Lo show-case festival e meeting b2b si svolgerà dal 7 al 10 dicembre presso la Fondazione Foqus, il Teatro Nuovo, l'Hotel Oriente, ubicati nei suggestivi Quartieri Spagnoli, per poi concludersi con un grande evento al Teatro Mediterraneo confermandosi anche come iniziativa policentrica

La partecipazione agli eventi è a titolo gratuito, sarà sufficiente prenotarsi tramite il sito ufficiale oppure, per i fruitori e appassionati a questo link https://linktr ee/napoliworld

Il programma prevede 17 live showcase, due workshop e due panel con i migliori rappresentanti della cultura e imprenditoria musicale partenopea

Al via mercoledì 7 dicembre (dalle ore 22.00 presso Fondazione Foqus) con un giorno dedicato alla musica di tradizione con l’esibizioni live di: Tammurianti World Project, i Vesevo e gli Ars Nova Napoli

Giovedì 8 dicembre (dalle ore 21.30 presso Teatro Nuovo) sarà un giorno dedicato alla canzone napoletana con gli showcase live dei Suonno D’ Ajere e Raiz & Radicanto La mattina (dalle ore 10.00 presso Fondazione Foqus) invece ci sarà il panel sulla canzone napoletana con il musicologo Pasquale Scialò, il giornalista Federico Vacalebre e la direttrice del Teatro Trianon-Viviani e attrice Marisa Laurito Dalle ore 12 15 previsti i primi incontri B to B / networking tra delegati e operatori e seguire (tra le ore 15 00 e 18 30) i concerti di artisti

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Dal 7 al 10 dicembre, un ricco programma di eventi dalla Fondazione Foqus, al Teatro nuovo, dall’Hotel Oriente al Teatro Mediterraneo

emergenti selezionati attraverso la call to action. Il pomeriggio verrà chiuso dal primo ospite internazionale: El Pelujáncanu, gli spagnoli si esibiranno in virtù della collaborazione con il MUM (Jornadas Internacionales de la Musica de Extremadura) di Merida

Venerdi 9 dicembre (alle ore 10.00) inizia con l’incontro a Palazzo San Giacomo tra i delegati internazionali e operatori italiani con il Sindaco Gaetano Manfredi per ribadire e ampliare le linee guida del progetto “Napoli Città della Musica” e le sinergie in atto La giornata prosegue (presso la Fondazione Foqus, ore 12 30) con un panel che omaggerà il festival Ethnos di Gigi Di Luca, l’evento di world music & culture più longevo che da ventisette anni si svolge nella provincia vesuviana Il pomeriggio (ore 15 00-18 30) seguiranno altri showcase con gli artisti sele-

zionati dalla call to action più un ospite internazionale che sarà la marocchina Sonia Noor che si esibirà in concerto in virtù della collaborazione con il meeting festival Visa For Music di Rabat. In serata (dalle ore 21.00 al Teatro Nuovo) i concerti della cantautrice Flo e dello storico cantautore Enzo Gragnaniello.

Sabato 10 dicembre (dalle ore 10 00) la manifestazione si conclude con gli incontri business to business dedicati agli operatori presso Hotel Oriente mentre la serata finale avverrà al Teatro Mediterraneo (dalle ore 20.30) con il concerto di Lucibela, terzo ospite internazionale che si esibirà in virtù della collaborazione con l'AME (Atlantic Music Expo di Capo Verde). A seguire il concerto dei padri della musica folk la Nuova Compagnia di Canto Popolare

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«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso» Albert Einstein

sul senso della vita” (Paulo Coelho)

La presenza, all’interno della vita creativa di un artista, di cambiamenti di cifra stilistica (conosciuti come “periodi” o “fasi”), dimostrano, oltre alla poliedricità dell’essere, anche quanto l’arte sia di fatto connessa alle personali esperienze ed influenze di vita dell’artista stesso La brava artista che presento oggi è Ania Tomicka, classe 1985, polacca di nascita ma

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italiana di adozione e nella cui produzione artistica, al momento, si possono individuare due netti e distinti periodi creativi: il primo, ascrivibile al pop surrealismo, ed il secondo, grossomodo post 2017, definibile invece come surrealismo realistico, nel senso che più avanti andrò a delineare Il curriculo artistico di Ania parte, oltre che dalle sue grandi passione ed attitudine, dal- C u R I O S A R ( T ) E
Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte
contemporanea “Vivere è sperimentare, non restare immobili a meditare
LE SPERIMENtAzIONI SURREALIStE DI ANIA tOMIckA

l’Istituto d’Arte di Vittorio Veneto (TV) e dall’Accademia di Belle Arti di Venezia per poi proseguire a Firenze presso la Scuola di Arti Digitali ed Illustrazione NEMO, dove ottiene il premio di alunna dell’anno.

Durante gli studi scopre il pop surrealismo americano, ai cui maggiori esponenti ispira le sue prime creazioni che inizia ad esporre in gallerie italiane ed estere dei circuiti lowbrow e pop surrealisti, raggiungendo grande popo-

larità I lavori di questo periodo, ispirati dai manga giapponesi e dagli universi creativi di riferimento del movimento pop surrealista (a titolo non esaustivo, in alcune sue recenti interviste, l’artista ha raccontato la sua passione per Orwell, il genere distopico ed il fantasy) pullulano di strani malinconici personaggi dai grandi occhi e dalle grandi teste, inseriti in surreali contesti dissonanti ed accompagnati da strani esseri ed animali,

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Personality
Ania
Tomicka,

loro confidenti o “significanti con significato”, parte oscura del sé, come da migliore tradizione lowbrow Il medium artistico preferito di questa prima fase è l’acrilico, ma anche matite, fusaggine, tempere, pastelli ed anche acquerello.

Negli anni a seguire Ania Tomicka matura grande interesse per i maestri del passato e le loro tecniche pittoriche e la sua produzione artistica evolve verso una rappresentazio-

ne più classica, quasi rinascimentale, e realista, nel senso della tecnica pittorica utilizzata e della resa iconografica delle figure, in quanto la connotazione delle opere e la stessa poetica dell’artista sono di chiara matrice e gusto surrealisti. Il medium preferito di questo periodo creativo è, ovviamente, per compiutezza di intenzione espressiva e resa estetica, la pittura ad olio: un medium cercato e conquistato sia grazie ad approfondi-

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Da sinistra: Ania Tomicka, Deep Breath; Your alter ego; Nocturne n
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menti personali quanto grazie a workshop di pittura dal vivo e ad olio con competenti artisti figurativi italiani del calibro di Roberto Ferri. Le ambientazioni dei lavori di questa fase sono più oscure e si collocano, pur se caratterizzate dalla peculiare cifra artistica originale di Ania, nel solco del surrealismo dark che, attualmente, sta facendo rivivere il figurativo a livello internazionale (epigono di riferimen-

to dell’artista, tra gli altri, Zdzislaw Beksinski). Questa evoluzione artistica, se in prima battuta può apparire abissale, in realtà la colloca perfettamente in quel che Andrew Hosner, della galleria americana Thinkspace, ha definito come il “New Contemporary Art Movement“, evoluzione contemporanea del pop surrealismo, che è arte per le persone, con radici saldamente piantate nell'illustrazione,

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nella cultura pop, nel tattoo, nei fumetti, nella street art e nei graffiti, nel surrealismo ma con un occhio ai classici ed all’iperrealismo, fatta da artisti molto skillati, alcuni dei quali padroni delle classiche ed antiche tecniche pittoriche. La fase pop surrealista l’ha resa nota ad una vastissima platea di appassionati (attualmente su Facebook ha quasi 530.000 followers) che con lei è cresciuta evolvendo il proprio gusto e seguendola nella sua trasformazione artistica Le sue opere hanno una sensibilità ed un gusto molto femminili e non è un caso che il soggetto preferito dei suoi lavori (tranne qualche recente eccezione) sia e sia sempre stata la donna, di varia età, ma che, in definitiva, rappresentava e rappresenta alter ego dell’artista e lo specchio dei suoi microcosmi interiori, in continuo divenire, nel corso degli anni; talvolta le sue donne non hanno volto, ma solo fumo ovvero colore nero che prelude ad una trasformazione dagli esiti inattesi e non ancora conosciuti o immaginati, assurgendo ad archetipo femminile, smaterializzato rispetto a fattezze estetiche che possano rendere il viso identificato o identi-

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Ania
Tomicka, A dream in static

Ania Tomicka, Phoenix

ficabile: un complesso percorso quasi di cambio di identità che però lascia affiorare e suscita peculiari stati emozionali e del sé profondo

Secondo Einstein la cosa più bella che possiamo sperimentare è il mistero: è la fonte di ogni vera arte e di ogni vera scienza ed Albert Camus scrisse che “Non puoi acquisire esperienza facendo esperimenti. Non puoi creare l'esperienza. Devi sottoporti ad essa”: e da questo punto di vista le sperimentazioni d’arte di Ania Tomicka evolvono con lei in un continuum che affascina e coinvolge ed i cui esiti siamo curiosi e desiderosi di seguire I lavori dell’artista sono stati e sono esposti in mostre in tutto il mondo, dall’Italia all’America, passando per Australia e Giappone. Da qualche anno le sue opere hanno anche iniziato a passare in asta in Polonia. Alcuni dei suoi lavori sono stati scelti dall’autore francese Eric Fagny per illustrare le copertine dei suoi libri. Per seguirla sui social ecco i suoi riferimenti: https://itit.facebook.com/Ania.Tomic ka.Art , https://www.instagram com/ania tomicka/?hl =it ; sito web https://www.aniatomicka.co m/

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à fLEUR DE PEAU. qUANDO L’ARtE INDAgA IL cORPO

Si è aperta il 22 novembre all’Istituto di Cultura italiana a Parigi la mostra curata dalla salentina Angela Ghezzi. In mostra le opere di Salvatore Alessi, Marco Cornini, Daniele Galliano, Alessandra Maio, Leo Ragno, Samantha Torrisi

“ ”

PARIGI “À fleur de peau” Ovvero l’arte di indagare il corpo attraverso i linguaggi dell’Arte. Da questo assunto prende spunto la mostra “À fleur de peau” curata da Angela Ghezzi a Parigi Salentina d’origine trapiantata a Parigi dal 2011, dove cura eventi espositivi, ha invitato sei artisti italiani a una rifles-

sione sul corpo lasciando che le opere realizzate dagli artisti - dipinti, sculture, installazioni - dialogassero con gli spazi dell’Istituto di Cultura italiana (50, rue de Varenne) Lo sguardo degli artisti indaga il corpo, la sua percezione nell’attuale società ma anche il superamento della sua dimensione spirituale

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Loop, 2021, huile sur toile, 130 x 100 cm - Foto © Federico Tomasi
Nel riquadro la curatrice Angela Ghezzi;
lato, Salvatore Alessi,
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proprio attraverso l’arte. Dalla sublimazione erotica di Marco Cornini all'elevazione sacra di Salvatore Alessi, attraverso l'espressione del desiderio in Daniele Galliano e Leo Ragno, allo sguardo più meditativo e riflessivo di Samantha Torrisi e Alessandra Maio Sei artisti ognuno con la propria cifra stilistica rappresentano - spiega la curatrice - «ciò che nella vita ci spinge ad andare avanti a volte mettendo in risalto, a volte bypassando, una delle pulsioni più importanti quella associata all’eros, costitutiva del nostro essere, offrendoci strade alternative verso nuove forme di felicità.»

Le sculture di Marco Cornini sono donne belle e sensuali che da sole o sorprese nella tenerezza di intime effusioni amorose esprimono sempre un desiderio di libertà e di autodeterminazione. L’artista ama infatti modellare corpi nati dalla sua immaginazione (e non dei ritratti) per rendere omaggio alla bellezza femminile. Vive tra Milano, sua città natale, e Pietrasanta e dopo essersi diplomato all’Accademia di Brera nel 1988 ha iniziato la sua carriera artistica esponendo in mostre personali e collettive e ottenendo prestigiosi premi tra cui, nel 1993 il Premio San Carlo Borromeo di Scultura e nel

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Leo Ragno, Je te regarde comme j’etais, 2022, huile sur toile, 100 x 100 cm - Foto © Federico Tomasi

2012 il Premio Fabbri quarta edizione alla Pinacoteca Nazionale di Bologna Leo Ragno, professore ordinario di Tecniche dell'incisione e Arti grafiche all'Accademia di Belle Arti di Brera a Milano (dove è nato nel 1984) ama dipingere bambini, ritratti di famiglia, nudi i cui contorni si dissolvono fino a diventare nient'altro che sensazioni «La mia intenzione è quella di integrare la dimensione temporale nelle mie immagini, di dipingere soggetti sospesi in un'atmosfera che appartiene alla mente, alla memoria » Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive di incisione e pittura, in Italia e all'estero Le sue opere fanno parte di collezioni pubbliche e private, tra cui quella del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

«Con Daniele Galliano, il corpo, oggetto di desiderio e di espressione d’identità sessuale, è spesso isolato L’energia carnale è presente e si affaccia come una porta aperta su un universo amoroso che trionfa sulla solitudine » scrive nel catalogo Angela Ghezzi Nato nel 1961 a Pinerolo, vive e lavora a Tori-

no ed è un artista autodidatta. «Nei miei dipinti emergono sicuramente le contraddizioni, i vizi, le idiosincrasie del nostro mondo contemporaneo, ma la mia intenzione non è di condannarli », spiega Daniele Galliano che cerca di descrivere la realtà sempre con uno sguardo poetico. Le sue opere sono entrate in importanti collezioni pubbliche e private, come la Galleria Civica d'arte Moderna e Contemporanea di Torino, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, il MART di Trento e Rovereto e la collezione Unicredit Private Banking di Milano. «Alessandra Maio - commenta Angela Ghezzi - ci invita ad accettare la bellezza delle irregolarità che possono mortificare la pelle, ma soprattutto i sentimenti di una donna se considerate imperfezioni e non unicità E va oltre, associando ad ogni sua opera una frase poetica, ci porta a pensare che la pelle possa essere quasi un’estensione della mente capace di lavorare al suo fianco per farla (ri)fiorire prima che entri in gioco l’intelletto.» Nata nel 1982 a Bologna dove vive e lavora, nel 2005 si diploma all'Accademia di Belle

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Marco Corini, Il divano rosso, 2019, terre cuite, 65 x 100 x 49 cm

Arti di Bologna nel 2008 si laurea in Storia dell'Arte Contemporanea. Ha vinto diversi premi, tra cui la 54° edizione del Premio Vasto nel 2021 ed è stata finalista del Premio Exibart 2020.

Samantha Torrisi è nata nel 1977 a Catania, alle pendici dell'Etna, dove vive e lavora. Nel 2002 si diploma all'Accademia di Belle Arti di Catania con il massimo dei voti Samantha Torrisi descrive un mondo irreale attraverso delle immagini di « non luoghi », secondo la definizione dell’antropologo Marc Augé Non rappresenta luoghi precisi, ma idee, pezzi di natura in cui colloca l'essere umano, generalmente solo, pronto ad essere

assorbito da una fitta nebbia. Le sue tele silenziose ci introducono a una prospettiva positiva e piena di speranza Samantha rimane sempre ottimista per lei il futuro è un percorso che, «per quanto incerto, suscita curiosità e apre infinite possibilità »

Le sue opere sono entrate in collezioni pubbliche e private, tra cui quelle della Fondazione Orestiadi di Gibellina e della Collezione Andrea Bartoli, Agrigento. Salvatore Alessi «ci spinge a lasciare fiorire dentro di noi il Sacro Salvatore è consapevole del caos del nostro tempo e l’intreccio dei suoi corpi raffigurati in un atto estatico, dipinti in un movimento verso l’alto traducono

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In basso da sinistra: Samantha Torrisi, Lac bleu, 2022, huile sur toile, 120 x 100 cm; Alessandra Maio, Prie ̀ re, 2018, stylo sur papier et laine, dimensions variables; Daniele Galliano, Sans titre, 2022, huile sur toile 50 x 40 cm

la sua riflessione e il suo bisogno di un ritorno al Sacro per ritrovare i valori smarriti.» Nasce nel 1974 a San Cataldo (Sicilia) ; vive e lavora a Milano. Nel 1994 si diploma all'Accademia di Belle Arti di Palermo in scenografia L’arte di Salvatore Alessi è segnata da una parte dalle sue esperienze nel campo del teatro e del cinema dall’altra dalla fascinazione che ha avuto fin da bambino davanti agli altari delle chiese. « «Nel mio lavoro - racconta - c'è la citazione costante delle pale d'altare del 400, 500, 600 perché in quel preciso momento storico l'essere umano era in una grande crisi sia esistenziale, economica e sanitaria e per me c'è

una grande assonanza con la condizione attuale. Oggi l'uomo ha perso il senso del sacro della pura essenzialità e, come nel 400 e ancora di più nel 600 l'umanità aveva bisogno di vedersi integrata al sacro di percepirlo vicino Il crepuscolo c'è ma noi siamo sacri ed è ora di riappropriarsi di questo elemento inscindibile per l'uomo. » Le sue opere sono entrate in collezioni pubbliche e private, come la Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, la collezione Massimo Caggiano, la Fondazione Cari Perugia Arte Perugia (an fu )

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gRAzIA VARIScO

Lecce, Fondazione Biscozzi | Rimbaud piazzetta Baglivi

9 ottobre 2022 - 8 gennaio 2023

Apertura: tutti i pomeriggi, escluso il lunedì dalle ore 16 00 alle 19 00, la domenica dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 16 00 alle 19 00 Biglietto d’ingresso: 5 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione)

Biglietto ridotto: 3 euro (comprensivo anche di visita dell’esposizione permanente della Fondazione) - per gruppi superiori alle 15 unità, minori di 18 anni, scolaresche (della primaria e delle secondarie), studenti di università, accademie d’arte e conservatori provvisti di tesserino, insegnanti tel. 0832 1994743

www.fondazionebiscozzirimbaud.it

MARtA

Museo Archeologico Nazionale

Taranto, Corso umberto n. 41 Tel. +39 099 4532112

www.museotaranto.beniculturali.it

cOLLEctION

150 fotografie della collezione Bachelot a cura di Sam Stourdzé 7 ottobre 2022 -15 gennaio 2023 Roma, Accademia di Francia Villa Medici Viale della Trinità dei Monti, 1

VAN gOgh Palazzo Bonaparte, Roma dall’8 ottobre 2022 al 26 marzo 2023 Orario apertura: dal lunedì al venerdì 9 – 19 Sabato e domenica 9 – 21 Aperture straordinarie: Giovedì 8 Dicembre 9 – 21; Sabato 24 Dicembre 9 – 16; Domenica 25 Dicembre 16 – 21 Lunedì 26 Dicembre 9 – 21; Sabato 31 Dicembre 9– 16; Domenica 1 Gennaio 16 – 21; Venerdì 6 Gennaio 9 – 21

La biglietteria chiude un’ora prima Biglietti; Intero € 18,00; Rid. € 16,00 T. +39 06 8715 111

PIttORI DI POMPEI

23 settembre 2022 - 19 marzo 2023 Museo Civico Archeologico, Bologna Museo Civico Archeologico Bologna, Via dell’Archiginnasio 2, Biglietti: intero € 14 | ridotto € 12 | scuole € 5 Info e prevendite: +39 02 91446110 mondomostre vivaticket it ipittoridipompei.it

RIchARD AVEDON: RELAtIONShIPS

100 scatti per celebrare il grande fotografo Richard Avedon Milano, Palazzo Reale fino al 29 gennaio 2023

Lunedì chiuso. Martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica 10 0019.30. Giovedì 10.00 - 22.30 Intero € 15,00 www.palazzorealemilano.it

LISEttA cARMI. SUONARE fORtE Gallerie d'Italia - Torino fino al 22 gennaio 2023 Martedì, Giovedi, Venerdì, Sabato, Domenica dalle 9 30 alle 19 30 Mercoledi dalle 9.30 alle 22.30 Lunedì chiuso ultimo ingresso: un’ora e mezza prima della chiusura. Ingresso: 10 € www gallerieditalia com/

ARtEMISIA gENtILESchI A NAPOLI Gallerie d'Italia - Napoli Napoli, Via Toledo, 177 Dal 3 dicembre 2022 al 20 marzo 2023 Da martedì a venerdì dalle 10:00 alle 19:00 Sabato e domenica dalle 10:00 alle 20:00. ultimo ingresso: un ' ora prima della chiusura Lunedì chiuso. Intero: 7,00 Info: 800 167 619

ROBERt DOISNEAU

CAMERA Torino, CAMERA - Centro Italiano per la Fotografia Torino, Via delle Rosine 18, fino al 14 febbraio 2023

La mostra sarà aperta tutti i giorni dalle 11.00 alle 19.00 e il giovedì dalle 11 00 alle 21 00 www.camera.to

PIER PAOLO PASOLINI. SOttO gLI OcchI DEL MONDO

Villa Manin di Passariano e il Centro Studi Pier Paolo Pasolini a Casarsa della Delizia fino al 8 gennaio 2023 da martedì a domenica 10.00 – 19.00 lunedì chiuso

Aperture straordinarie: martedì 1° novembre, giovedì 8 dicembre, sabato 24 dicembre fino alle 14.00, sabato 31 dicembre fino alle 14.00, venerdì 6 gennaio 2023

Ingresso Villa Manin: Intero € 8,00 Ingresso Centro Studi Pier Paolo Pasolini: gratuito https://www.villamanin.it/

I MAcchIAIOLI

Museo Revoltella, Trieste fino al 10 aprile 2023 Orario apertura

Dal lunedì alla domenica e festivi 9-19 Martedì chiuso (la biglietteria chiude un’ora prima) Biglietti Intero € 16,00; Rid. € 14,00 Informazioni e prenotazioni +39 040 982781

Jago, Banksy, tVboy e altre storie controcorrente Palazzo Albergati, Bologna fino al 7 maggio 2023 Orario apertura, Tutti i giorni 10 – 20 Biglietti Intero € 15,00, Rid. € 13,00 Informazioni e prenotazioni T. +39 051 030141

ESchER

Museo degli Innocenti, Firenze fino al 26 marzo 2023 Orario apertura: tutti i giorni 9 – 19 Biglietti mostra + Museo degli Innocenti: Intero € 16,00, Ridotto € 14,00

RAOUL DUfy. IL PIttORE DELLA gIOIA

Palazzo Cipolla, Roma fino al 26 febbraio 2023 BIglietto: € 10,00 Telefono: 06 983 7051

I T I N E R _ A R T E . . . D O V E E Q u A N D O . . . 61
Al cinema solo il 17, 18 e 19 gennaio 2022 il film diretto dal regista David Bickerstaff distribuito da Adler Entertainment

L u O G H I D E L S A P E R E

DI POLITICA E D’AMORE

LA POESIA DI MAuRO MARINO

Poi arriva un momento in cui tutti, ma proprio tutti, facciamo memoria di quello che ci è accaduto sino al momento attuale, ci guardiamo attorno e cerchiamo, per l'ennesima volta, una risposta alle nostre domande. E troviamo questa risposta, questa soluzione proprio dentro di noi, ce l'avevamo dentro ma non lo sapevamo oppure non avevamo il coraggio di tirarla fuori... Mauro Marino, uomo e poeta, compie questo viaggio dentro sé stesso e lo quantifica relativamente agli anni che vanno dal 2000 al 2020, privilegiando i due filoni che più gli stanno a cuore, che più lo hanno visto protagonista: politica e amore Temi comuni, soprattutto l'amore Ma un cammino diverso per ognuno di noi, che è giocoforza ripercorrere, con brevi soste, per poi tentare un riassunto e cercare un motivo, un senso, una sentenza. Per Mauro, il simbolo di questo viaggio dentro le nebbie del nostro intimo passato è una parolina semplice un 'non' che identifica tanti dei suoi pensieri e simboleggia, molto sinteticamente, quello che c'è attorno a noi, azzarderemmo soprattutto in 'politica'. ' Questo non, questo non/ che ormai assedia' , come afferma con un guizzo ungarettiano nella raccolta 'Non c'è' con sottotitolo 'Torcito e altri luoghi', datato 2003 Non sorprenda l'affezione per un monosillabo che, d'altro canto, ci ricorda il 'nu' lasciatoci in eredità da Bodini Che volete, questi poeti sono così, ci additano un minuscolo particolare nella complessità che ci circonda e poi se ne vanno, trasognati, inseguendo altre chimere... Magari non proprio 'chimere' ma oggetti tangibilissimi che abbiamo sotto gli occhi ma che, nel caso di Mauro, si caricano di piacevolissime introspezioni: 'Nelle cose della casa c'è/ il conto del tempo/ la memoria trattenuta nell'abitudine./ Certe volte/ non ricordi più i numeri,/ le stagioni e i riti e gli incontri/ onorati, governati/ con una caffettiera/ o col servizio buono dei piatti/-reliquia, nella credenza-/ o con la tovaglia ricamata- ah! quanto altro tempo/ ancora in quelle mani creatrici-/ o anche con quella scopa,/ poggiata lì, nell'angolo / Una scopa non è solo una scopa/ se la pensi in quanto ti ha servito/ per quanto ti ha accompagnato/ nei giri di danza per far pulita la casa./ Una scopa non è solo una scopa/ se la pensi per tutto e in tutto il

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MAuRO MARINO Di politica e d’amore Spagine 2020 p 140 €10,00 ISBN 9788894471274

tempo/ che è stata la scopa della tua c appartengono alla raccolta dedicata a 'L'archivio della superficie' di Elena Campa e dal titolo 'Le cose della casa', risalente al 2016. Insomma, con questo 'di politica e d'amore' (spagine, pag.140, euro 10) Mauro ci presenta una ideale galleria di ricordi e sensazioni, tutti legati al suo mondo che viene definito, dallo stesso autore, come 'un sentire trattenuto, ciò che è rimasto a lato, sul margine a nutrire il diario dei giorni'. Mauro Marino, nel consegnarmi il suo libro, scrive nella dedica: ' sperando in un pensiero schietto e frontale': in altre parole, lui che conosce benissimo coloro che commentano e criticano con giri di frase, orpelli e spesso incomprensibili onanismi, vuole conoscere, da me, la Verità E io dovrei chiedergli, pilatescamente, 'La Verità, cos'è la Verità?', soprattutto in politica e in amore...

Ma lo sguardo di Marino è profondo e sincero, le sue parole sono esattamente lo specchio dei suoi pensieri che condividiamo senza alcuna esitazione. E siamo felici che per lui si schiuda il magico, pesante cancello che delimita e racchiude il Parnaso dei Poeti salentini, proprio là dove ci attende l'immortale amico Antonio L Verri, che ci accoglie con il suo sorriso ironico e l'occhio fuori asse che gli dona un indimenticabile sguardo introspettivo

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G H I D E L S A P E R E

G H I D E L S A P E R E

Lecce Sacra

a cura di Mario Cazzato

Edizioni ArtWork Cultura 2022 pp.410 €45,00 ISBN 9788894711301

LEccE SAcRA DI gIULIO cESARE INfANtINO

LA RIStAMPA ANAStAtIcA A cURA DI MARIO cAzzAtO

Quando nel 1634 Giulio Cesare Infantino, parroco di Santa Maria della Luce, diede il suo manoscritto al tipografo Pietro Micheli probabilmente mai avrebbe immaginato l’importanza che la sua opera, definita utile e curiosa, avrebbe avuto nel tempo. Lecce sacra, ispirata alla Napoli sacra di Cesare D’Engenio Caracciolo al punto da emularne il titolo, trattava le origini di tutte le chiese, monasteri cappelle e altri luoghi sacri della città di Lecce, ripotando epitaffi e iscrizioni così come uomini illustri e reliquie di santi. Un libro destinato a diventare, attraverso i secoli, tra i più importanti della letteratura salentina e una preziosa testimonianza della Lecce seicentesca con le sue chiese, ma anche un compendio della stessa storia della città attraverso il racconto di fatti e avvenimenti che l’Infantino documentò con uno sguardo da cronista. A testimoniare la fortuna dell’opera parlano le ristampe a cominciare da quella del 1859 da Nicola Del Vecchio con notevoli errori di stampa e quella successiva nel 1998 da Mario De Marco. La ristampa della versione originale fu realizzata nel 1973 da Pietro De Leo, a questa si aggiunge l’operazione editoriale effettuata da Art Work Cultura nel 2022 grazie alla quale si potranno sfogliare le pagine dell’opera in anastatica dell’Infantino curata dallo storico e architetto Mario Cazzato che ha corredato questa nuova edizione con un apparato di note esplicative, archivistiche, documentarie di notevole interesse. «Cazzato con le sue oltre duecento schede, puntuali, approfondite e documentate –scrive nella introduzione Domenico Urgesi presidente della Società Storica di Terra d’Otranto – sembra accompagnare l’Infantino e aiutarlo a colmare le lacune coeve, le impressioni che per lui erano scontate, i riferimenti sottaciuti o appena scorti » Un impegno notevole quello di Mario Cazzato che ci restituisce una visione approfondita del testo dell’Infantino incrementando gli esiti delle ricerche e degli studi che si sono susseguiti nei 4 secoli successivi alla prima edizione dell’opera «Scorrere le pagine di quest’opera seicentesca - si legge nella presentazione dell’Arcivescovo Michele Seccia - significa fare un tuffo nel passato, rivedere Chiese e Cappelle di cui poco o nulla è rimasto, ma vuol dire anche rilegger la storia di Lecce, arricchita dall’opera di artisti, architetti, scultori di grande pregio, così come dalla presenza di tanti ordini religiosi maschili e femminili che popolarono il capoluogo barocco»

Le prime 288 pagine sono dunque la copia anastatica della versione originale, da pagina 289 inizia il commento preciso e scientifico dello storico Mario Cazzato che da sempre si adopera per divulgare, anche attraverso i social e con una rubrica sulla rivista Arte e Luoghi

GIuLIO CESARE INFANTINO
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curiosità, aneddoti e perle di storia salentina che da attento studioso ricerca consultando libri e testi antichi. Difatti la pubblicazione in anastatica della Lecce Sacra - spiega nella premessa Paolo Babbo presidente di ArtWOrk Cultura - è dovuta alla sua lungimiranza e al suo impegno che coincide anche con quella della cooperativa ArtWork che firma anche LecceEcclesiae, un progetto per la fruizione artistica del patrimonio culturale ecclesiastico di concerto con la’Arcidiocesi di Lecce creando un circolo vizioso tra luoghi, persone e istituzioni. Una guida preziosa, dunque, non solo per gli addetti ai lavori ma per chi vorrà approfondire la storia del patrimonio artistico e architettonico di Lecce. Addentrandosi nella lettura, infatti, è possibile approfondire l’evoluzione dei monumenti citati dall’Infantino come avviene ad esempio per il Duomo, la cappella di San Sebastiano, oggi sede della Fondazione Palmieri, e via via tanti altri, anche quei monumenti che non esistono più come nel caso della Cappella di Santa Lucia che sorgeva in corrispondenza dell’odierno civico 6 di piazzetta Lillo o quelli che, rimaneggiati, nel corso del tempo presentano un aspetto diverso da quello descritto nella Lecce Sacra dell’Infantino come nel caso dell’originaria Chiesa gotica di Santa Chiara.

Concludendo, il prezioso apparato documentario in appendice ci illustra gli stravolgimenti architettonici e i cambiamenti urbanistici che hanno cambiato il volto della Città Chiesa che, non a caso, all’epoca del Regno di Napoli, ricordando le parole del filosofo Giambattista Vico, era seconda alla capitale «per magnificenza di edifici e per frequenza di abitatori e per isplendore di civili costumi e per ricchezza di marittimi traffichi »

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Antonietta

A u t o r e

n e m a d

PRIMA VISIONE (REcENSIONI E RIfLESSIONI)

LA RAGAZZA D’AUTUNNO (ovvero, la guerra attraverso gli occhi di una donna)

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Mi addentrerò in questa occasione in un film passato quasi inosservato a tanto pubblico, ma osannato dai pochi che han potuto bearsi delle sue trame

Può una telecamera pennellare anziché inquadrare?

Possono dei colori raccontarci storie più delle parole?

Quanto ci scava dentro una singola immagine?

Sono svariati i tentativi di cinema che ha provato a tessere simili connotati di linguaggio, in testa, per obbligo stilistico mi sovviene la trilogia del Kieślowski, ma ancor più, tra i cinefili, è noto il percorso di Sokurov, che fece del suo modo di riprendere una scena, un’elegia dell’immagine.

Ed in effetti il presente regista (Kantemir Balagov) si ritiene lui stesso discepolo di Sokurov, riprendendone le trame narrative, ma acuendo ancor più una ricerca visiva che in lui sfiora il perfettibile, ed attuando una rivoluzione nel modus operandi a più livelli.

Ragazza d’Autunno immerge la sua trama in un dramma storico ambientato a Leningrado nel 1945 durante l’immediato secondo dopoguerra, è liberamente ispirato al libro di Svjatlana Aleksievič, “La guerra non ha un volto di donna”.

Qui la timida e bionda Lya, detta “giraffa” per la sua statura spropositata, lavora come infermiera in un ospedale in cui sono ricove-

rati i reduci di guerra e nel contempo si occupa del piccolo Pashka (Timofey Glazkov) Lya (interpretata da Viktoria Miroshnichenko) è anche affetta da un morbo che periodicamente blocca il suo corpo, la immobilizza, come rimanesse “incantata”. Quando l’amica Masha (Vasilisa Perelygina), la madre di Pashka torna dal fronte, il bambino non c’è più e Lya si sente colpevole della sua scomparsa. Spinta psicologicamente al limite dal dolore e dagli orrori vissuti, Masha, rimasta sterile, vuole un altro figlio e Lya dovrà aiutarla, a tutti i costi

Potremmo spingerci a definire in quest’opera la mano del regista, come un arto sovversivo, visto che ribalta decenni di cinema russofono, perennemente machista, staticamente virile, per porgere la vista a due donne, mettendole al centro di una scena ove son paradossalmente le figure maschili a subire il collasso del tempo intorno in modo infragilente, mentre costoro (le due donne, appunto) paiono ergersi e reagire in modo molto più attento agli eventi, sfiorando per certi versi anche una amoralità, che infine le schioda da secoli di visione omocentrica dei fatti.

Le due donne si ergono marmoree, dinanzi i mali del mondo, dinanzi ad una società avvelenata ed avvilita dalla scia della guerra e dall’assurdo bisogno dell’uomo di guerreggiare per sentirsi vivo In questo impegno narrativo profuso, la telecamera non inqua-

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dra, ma cesella immagini, dosa cromatismi, simbolismi visivamente forti per il cuore, eppur delicatissimi per la pupilla.

Le due donne per giunta, non si spalleggiano del tutto, ma alternano competizione a complicità, ma nonostante ciò, sembrano soltanto loro gli argini reali all’esondazione di una crescente disumanità post/bellica

Ma tornando alla qualità visiva estrinsecata nel film, raramente si era visto nel mondo del cinema una tale capacità chirurgica di operare con le immagini, tanto da far venir voglia allo spettatore di fermare ogni sequenza per immergersi ancor più La rivoluzione narrativa si completa con l’annullamento dell’eroe soldato, a favore della figura femminile, in una

infermiera che lenisce i mali, ma non solo quelli fisici, e dismette una immobilità estetica, la stessa ostentata nei decenni trascorsi, da plotoni di registi che han messo sempre l’uomo al comando dei destini del mondo, peccando di mancanza di obiettività, oltre che di fantasia, peccando finanche nel dar forma alle nuvole, se queste presagivano solo e soltanto tempeste.

Nell’occhio del regista speranza e tristezza paiono mischiarsi, per poi tornare a scindersi, destabilizzando lo spettatore, per poi rinfrancarlo inaspettatamente.

È un cinema potente quello di Balagov, richiede pupille capaci di cogliere infinitesimi dettagli, e cuori capaci di battere ben oltre una cassa toracica contenuta.

È un cinema che lascia solchi profondi, che agendo su corde che giudicheremmo inaspettate, ci desta più luoghi dell’io, prima dormienti È il cinema che serve, nel torpore della coscienza oggi vigente

Scheda tecnica: LA RAGAZZA D'AUTUNNO Regia di Kantemir Balagov. Con Viktoria Miroshnichenko, Vasilisa Perelygina, Andrey Bykov, Igor Shirokov, Konstantin Balakirev Titolo originale: Dylda Titolo internazionale: Beanpole. Genere Drammatico, Guerra, - Russia, 2019, durata 120 minuti. Distribuito da Movies Inspired

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in arte Totò I l u o g h i d e l c i n e m a
Antonio
De Curtis in arte Totò, foto
archivio
Antonio De Curtis

A NAPOLI RIcORDANDO tOtò

IL PRINcIPE DELLA RISAtA

Antonio De Curtis, meglio conosciuto come Totò, è l’attore simbolo della commedia italiana tanto da essere soprannominato il Principe della Risata.

In realtà, il grande artista napoletano è stato anche uno sceneggiatore nonché un raffinato poeta e paroliere, senza dimenticare che molti registi italiani di fama mondiale lo hanno scelto per fargli interpretare dei ruoli drammatici

Il nome di Totò è stato associato negli anni ai grandi divi della commedia dell’arte come Buster Keaton e Charlie Chaplin (ma anche ai mitici fratelli Marx).

In quasi cinquant’anni di carriera ha recitato a teatro in numerosissime rappresentazioni e al cinema ha preso parte a ben novantasette pellicole, per non parlare di alcune serie televisive e di vari sketch pubblicitari. Le sue prove attoriali ancora adesso rimangono geniali, perché associate spesso a una mimica facciale che lo contraddistingueva e lo rendeva unico nel panorama artistico italiano La sua devozione verso il mondo del cinema lo ha portato a lavorare addirittura, nei sui ultimi anni di vita, in condizioni criti-

i Luoghi del cinema

che con una grave forma di corio retinite che lo ha reso quasi cieco. Stroncato dalla critica e dagli esperti del settore in molte situazioni, il suo nome fu giustamente rivalutato dopo la morte anche grazie alla compagna Franca Faldini che gli dedicò nel 1977 il libro Totò: l’uomo e la maschera in cui veniva apprezzata non solo la figura dell’artista ma anche quella dell’uomo lontano dal set, smentendo tutte le voci e le false dichiarazioni che lo avevano contraddistinto come un personaggio difficile da gestire Di sicuro, con la sua instancabile attività attoriale, Totò è riuscito a fare breccia nel cuore del pubblico, tanto che nel 2009 un sondaggio condotto da una testata on-line lo ha incoronato a tutti gli effetti come il comico più conosciuto e amato, seguito a ruota da due altri grandi nomi del cinema nostrano come Alberto Sordi e Massimo Troisi. Un estimatore dell’artista napoletano è stato per anni lo scrittore Umberto Eco che lo ha sempre elogiato e difeso, mentre la figlia Liliana si è sempre battuta per mantenere vivo il suo ricordo.

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un viaggio tra i set della produzione cinematografica che vide protagonista l’attore comico Antonio De Curtis in arte Totò
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Ci sono ancora molti italiani che si rivolgono a Totò come se fosse un amico di famiglia, inviando lettere e messaggi alla sua tomba, per confidarsi, per chiedere un favore o addirittura per tributargli solo un ringraziamento, quasi fosse un santo All’estero purtroppo, l’attore non ha mai riscosso il successo che meritava, molto probabilmente perché la sua comicità era essenzialmente espressa con il linguaggio

del corpo, tanto è vero che durante la proiezione del film Totò Sceicco in Francia, l’artista dovette uscire prima che arrivassero i titoli di coda perché amaramente deluso di come la traduzione avesse completamente stravolto e distorto i suoi dialoghi e peggio ancora il senso stesso della pellicola. Nonostante questo, negli ultimi anni molti nomi importanti della settima arte hanno riconosciuto e apprezzato la sua comicità

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Napoli, Quartiere Sanità i murales di Tono Cruz (foto Ciro Guida)

gestuale, come Jim Beluschi che lo ha definito addirittura un clown meraviglioso o George Clooney, che durante un’intervista in Italia in occasione del lancio del remake statunitense de I Soliti Ignoti, lo ha paragonato a un vero poeta popolare, un fantasista espertissimo nell’arte dell’arrangiarsi e di arrangiare ogni gesto A suo parere, i film a cui prendeva parte potevano benissimo essere anche muti perché, grazie alla mimica facciale, riusciva sempre a trasmettere il senso della storia al pubblico presente in sala E proprio per elogiare la sua arte e la sua comicità che oggi vi porteremo per mano nei luoghi cari all’attore.

Perché non si può parlare di Totò, senza nominare Napoli.

Più che Napoli, il quartiere che lo ha visto nascere e crescere.

Ossia… Rione Sanità. Qui, infatti, la gente lo considera come uno di loro, quasi fosse ancora vivo e vegeto La sua presenza è talmente forte che basta farsi un giro in Via S. Maria Antesaecula per rendersene conto. Un’occhiata alla casa natale, all’antico alterino a lui dedicato, al mitico bar Totò, al busto realizzato dai fratelli Scuotto e per

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Quartiere Sanità, largo Totò foto d’archivio

un attimo sembra che il tempo si sia fermato Perché l’attore è in ogni angolo di strada e la sua immagine di Principe della Risata rimbalza ovunque

La sua comicità pulsa nel cuore del popolo napoletano, tanto che i più affezionati ricordano a memoria intere scene dei suoi film e nei dialoghi ricorrono spesso i modi di dire da lui inventati come “senza nulla a pretendere”, “ohibò", “eziandio”.

La presenza di Totò è così forte in questa città perché qui si pratica ancora oggi la sopraffina arte dell’ironia intelligente e dello sberleffo nei confronti del potente di turno. D’altronde, nel Rione Sanità, si è tenuto il terzo funerale dell’attore nel lontano 1967.

In quell’occasione, tutti gli abitanti del quartiere scesero in strada per abbracciare simbolicamente il suo artista, nonostante la bara fosse vuota e si fossero tenute già due esequie ufficiali in suo onore

Per capire quanto sia sentito il legame, basta partire dalla Piazza che è stata denominata in seguito Largo Totò. Qua si trova un vero e proprio monolite realizzato da Giuseppe Desiato con la sagoma dagli inconfondibili lineamenti ma completamente cava, quasi a voler simboleggiare il vuoto incolmabile che ha lasciato nel cuore dei napoletani.

Dopo Piazza Sanità è la volta della suggestiva Chiesa di San Severo Fuori Le Mura, da cui si accede alle catacombe e della mitica salita Cinesi, tappa imperdibile per tutti gli amanti dei film di Totò Sugli scalini, infatti, sono state girate alcune scene de L’oro di Napoli e di Ieri, Oggi e Domani.

Ma se vogliamo rendere davvero omaggio al Principe della risata, allora bisogna fermarsi per forza davanti al civico 9 di Via Santa Maria Antesaecula, dove si trova la casa natia dell’attore

Per tutti i fans fra qualche tempo sarà anche possibile ammirare e apprezzare i cimeli, i costumi di scena e altri oggetti legati a Totò, nel Museo che verrà a lui dedicato all’interno del Palazzo dello Spagnuolo, luogo storico di Napoli e famoso set di molti film e fiction girate in città Dulcis in fundo… Non si può non pensare a Totò senza fare una menzione al cibo, o meglio alla fame (tema spesso ricorrente nella vita e nella cinematografia dell’artista).

Due sono i luoghi da non perdere nel suo quartiere: il ristorante-pizzeria La Taverna di Totò e la famosa pasticceria Poppella dove si può ancora assaggiare la mitica bombetta, ispirata al cappello dell’attore E con queste ultime informazioni ci allontaniamo da Napoli e dal Rione Sanità con una delle massime più belle che l’attore ci ha lasciato parlando, in un’intervista, del suo lavoro: “Non è una cosa facile fare il comico, è la cosa più difficile che esiste Molta gente sottovaluta il film comico, ma è più difficile far ridere che far piangere.”

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S a l e n t o S e g r e t o

L’ADORAzIONE DEI PAStORI NELLA chIESA DEL ROSARIO

Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia

Buon Natale con l’Adorazione dei pastori nella Chiesa del Rosario di Lecce, straordinario capolavoro di Giuseppe Zimbalo costruita tra il 1691 e il 1728 Abbiamo già detto che questa splendida tela è copia fedele di un celebre dipinto addirittura del Correggio ora conservato a Dresda alla Gemaldgalerie Sappiamo pure che fu commissionato dalla famiglia Tarallo, su disegni di Mauro Manieri, verso il 1725. Ma è importante sottolineare che quest'altare si inserisce in una tipologia fin qui non considerata, ossia l'assoluta identità tra il titolo dell'altare medesimo, l'Adorazione dei Pastori, e il suo corredo scultoreo fatto, appunto, di pastori adoranti che portano i doni vestiti con i costumi tradizionale dell'epoca. Anche gli angeli svettanti in alto sono concettualmente in tema.

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Mario foto di Mario Cazzato
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LA MAgIcA NOttE DI SANtA cEcILIA A tARANtO

Come ogni anno, nella notte “magica” del 22 novembre, la città ionica si sveglia attendendo gli albori dell’alba, con il carezzevole suono della tradizione pastorale natalizia dei gruppi bandistici, poiché Santa Cecilia è infatti la protettrice dei musicisti. Tale festa così suggestiva entra nella casa di ogni famiglia tarantina, che si mostra essere pronta ad aprire le porte all’atmosfera del Natale, che la stessa ricorrenza porta con sé Nonostante non manchi la premura del freddo, il calore delle case è vivo negli occhi assonnati dei più piccoli, nella commozione dei giovani, nella cura degli anziani a realizzare una specialità culinaria: “le pettole” La leggenda narra che in questo giorno particolare, una donna si fosse svegliata alla buon’ora per preparare l’impasto

del pane Mentre attendeva i tempi di lievitazione si sentì “chiamare” dall’armonioso suono delle zampogne e decise di seguire quella melodia, abbandonando l’impasto ad una crescita totalmente inaspettata Quando rientrò nella sua umile dimora si accorse che l’impasto era andato oltre la sua lievitazione e non poteva più essere utilizzato per la preparazione del pane. Nella sua casa anche i più piccoli si svegliarono per dare il “buongiorno” a quella giornata, ed oltretutto erano anche molto affamati L’istinto materno la convinse a trovare una soluzione a quell’apparente problema, quindi pensò bene di friggere delle palline di quell’impasto e di offrirle anche agli zampognari Quella donna, in quella giornata

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reportage fotografico di Veronica Di Maglie
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Girovagando in terra magno greca tra antiche vestigia e il mare v
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così gelida, trasmise un importantissimo insegnamento di vita, che come ben si può notare resta eterno e vince la fugacità del tempo.

Santa Cecilia, mediante il suo umile gesto, insegna che anche una pietanza così “povera” e semplice può arricchirsi di un ingrediente magico; cioè l’amore Da ciò si può facilmente evincere un evidente parallelismo con la realtà sociale, infatti anche la bontà di una persona non risiede nel proprio stato di ricchezza, ma nella sua semplicità e umiltà Ogni essere umano può acquisire nel corso della sua vita plurimi ingredienti e mescolarli

in maniera del tutto arbitraria, infatti in tale ottica risiede la bellezza della diversità A causa di una propensione sociale, volta a considerare i valori economici dei beni/ingredienti, è necessario sottolineare che per quanto si possa arricchire e addobbare il proprio “io”, ci accomuna l’essere in possesso di un solo cuore Lo spirito del Natale è in questo, nella bellezza di condividere ogni pietanza e il battito del proprio cuore con le persone che siedono alla propria “Tavola”, chiamata “Vita”

A volte da un errore o da un’imperfezione nasce l’inimitabile.

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reportage fotografico di Veronica Di Maglie
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