il foro romano
La nuova serie fotografica dell’artista toscano Francesco Zavattari dall’Eicht Borromini
L’impronta della storia passeggiando in uno dei siti archelogici più belli di Roma
Anno XVI - n 1 gennaio 2021 -
visioni di roma
anno 163 numero 1 gennaio 202 1
la vittoria alata
san cataldo
i luoghi del cinema
La marina dei leccesi, un luogo misterioso da riscoprire con il vecchio molo Adriano
Il Salento con le sue bellezze paesaggistiche è il set naturale preferito da tantissimi registi
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldeweg Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ©Fotostudio Rapuzzi
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio
Benvenuto 2021 auspicando che presto si possano riaprire le porte dei musei, dei teatri e dei cinema, abbiamo pensato di dedicare la copertina alla Vittoria alata, capolavoro bronzeo dell’arte scultorea romana del I secolo dopo Cristo, che dopo due anni di restauro, ha fatto ritorno a Brescia. In attesa di poterla ammirare dal 16 gennaio con l’apertura del Capitolium e del parco archeolgico di Brixia, misure anti Covid permettendo, ci piace immaginare che la Vittoria alata diventi per noi metafora della vittoria contro la pandemia, una battaglia durissima che richiede ancora la massima attenzione da parte di tutti. Determinante sarà la campagna vaccinale come ci spiega l’economista Stefano Quarta mentre lo scrittore Walter Cerfeda ci illustra cosa cambia con la Brexit, un dato di fatto dal 1 gennaio. E quotidianamente dal primo giorno del 2021, l’Accademia della Crusca ci ricorderà le parole di Dante, tra le iniziative in programma per celebrare i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta patrimonio dell’Umanità e icona culturale e identitaria del nostro Paese. E sulle tracce della romanità ci immergiamo nella bellezza della Città Eterna grazie alle foto dell’artista Francesco Zavattari all’Eicht Borromini, ai disegni dell’artista e scrittore Roberto Di Costanzo mentre nel sito archeologico del Foro Romano ci guida Sara Foti Sciavaliere. Affascinanti reperti romani ma più a sud sul litorale leccese di San Cataldo ce li racconta invece il giornalista Raffaele Polo, ma restiamo ancora nel Salento con Stefano Cambò che ci conduce tra i set naturali preferiti da noti registi, da Ferzan Ozpeteck a Carlo Verdone. Non mancano le pagine dedicate alle recensioni dei libri dal Salentocafènoir dello stesso Cambò alla devota lettrice, la giornalista Lucia Accoto. Per Curiosar(t)e Dario Ferreri ci svela i mondi onirici di Sicioldr, e puntuale l’intervento dello psicologo Giovanni Bruno con le sue preziose considerazioni così come gli interventi di Giusy Gatti Perlangeli e di Dario Bottaro. Lo storico Mario Cazzato ci riconduce nel Salento segreto, tra le vie di Lecce che spesso nascondono autentici tesori e contiamo di tenervi compagnia e di continuare a raccontarvi anche in questo nuovo anno tutta la bellezza che ci circonda. Auguri! (an.fu.)
SOMMARIO
progetto grafico Pierpaolo Gaballo
luoghi|eventi| itinerari: girovagando |Passeggiando lungo la via sacra del foro romano 30 |Pianura Padana verso il delta del Po 80
impaginazione effegraphic
arte: la vittoria alata 4|roberto di costanzo 62| roma da Palazzo Pamphilj 64
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
i luoghi della parola: | essere o non essere...vaccinato 42 | Brexit. ora zero. 46 la sfida del vivere 52 | curiosar(t)e: i mondi onirici di sicioldr 54 | musica: tamburellisti di torrepaduli 76 |
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Walter Cerfeda, Mario Cazzato, Dario Ferreri, Giusy Gatti Perlangeli, Sara Foti Sciavaliere, Raffaele Polo, Stefano Quarta
interventi letterari|teatro |luoghi del mistero: san cataldo e il molo adriano 20 | addio 2020 Benvenuto 2021 90 |salento segreto 108
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
cinema napoli eden in corsa per le nomination agli oscar 2021 80 | il salento tra borgni, mare, e belle commedie 97
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libri | luoghi del sapere 92-94 |il culto di santa lucia 74#ladevotalettrice 92 | #dal salentocafè 94 i luoghi nella rete|interviste| l’anno di dante 52 | dono della gioia, la valle dei sorrisi 82 Numero 1- anno XVI - gennaio 2021
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la vittoria alata e la riaPertura di Brixia Antonietta Fulvio
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Dal 16 gennaio, misure permettendo, riapre il Parco archeologico di Brescia con il nuovo allestimento dell’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg. E nel rinnovato Capitolium fa ritorno la straordinaria statua in bronzo del I secolo d.C, capolavoro dell’arte romana
”
BRESCIA. Apriamo con un ritorno. Il ritorno della Vittoria alata a Brescia e guardiamo a questo capolavoro dell’arte classica romana come ad una metafora tutta contemporanea di speranzosa vittoria contro il Coronavirus. E immaginiamo che la paladina di Marte rappresenti l’Umanità che è riuscita a vincere la più dura delle battaglie. Ci siamo lasciati alle spalle il 2020, ma, purtroppo, non ancora l’emergenza sanitaria che potrà essere superata grazie al vaccino ma - è sempre bene ribadirlo -
anche grazie ai nostri comportamenti. Dobbiamo continuare a tenere la massima attenzione, distanziamento fisico, igiene delle mani e utilizzo della mascherina. Solo così ce la faremo. E se un anno fa non potevamo immaginare cosa sarebbe accaduto né tantomeno la portata micidiale della pandemia, a distanza di un anno abbiamo capito chi è il nemico e come possiamo sconfiggerlo per poter ritornare ad una “normalità” fortemente compromessa e che è necessario essere più responsabili
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠAlessandra Chemollo
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perché i gesti contano più delle parole. Ma la speranza non deve mai abbandonarci così come la determinazione e il coraggio che, a volte, proprie nelle avversità impariamo a riconoscere e a misurare. Anche il mondo dell’arte ce lo indica con storie esemplari. Come il ritorno, quasi duecento anni dopo il suo ritrovamento, della Vittoria Alata nel Tempio Capitolino di Brescia in uno spazio concepito specificamente per valorizzarne le straordinarie qualità estetiche come assicura la Fondazione Brescia Musei che ha messo in piedi, sin dal 2019, un programma di eventi guardando a quando nel 2023 sarà insieme a Bergamo capitale della Cultura. La grande statua in bronzo, simbolo della città, amata da Giosuè Carducci che la celebrò nell’ode “Alla Vittoria”, ammirata da Gabriele d’Annunzio e da Napoleone III che, tra gli altri, ne vollero una copia. La storia della Vittoria alata è di per sé carica di suggestione e radicata nel passato poiché è una delle opere più importanti della romanità per composizione, materiale e conservazione nonché uno dei pochi bronzi romani proveniente da scavo giunti fino a noi. Era il 20 luglio 1826 quando durante una campagna
di scavi, condotti nell’area dai membri dell’Ateneo di Scienze, Lettere e Arti di Brescia, fu ritrovata in un’intercapedine dell’antico tempio dove forse era stata occultata per preservarla da eventuali distruzioni. In tutto erano «95 pezzi fra cornici lavorate, sei teste, due pettorali di cavallo, una statuetta e una statua muliebre alta due metri con le braccia staccate e poste ai fianchi della medesima e due grandi ali.» si legge nel testo del Presidente dell’Ateneo, Antonio Porteri, che ricorda come la scoperta segnò di fatto il momento fondativo delle collezioni civiche bresciane: «La campagna di scavo, coordinata da una Commissione dell’Ateneo costituita da Girolamo Monti, Antonio Sabatti e Luigi Basiletti, riportò alla luce l’area del Foro romano; il cuore della Brescia romana si presentava così per la prima volta all’ammirazione della cittadinanza. (...) Da quel momento la statua della Vittoria si è identificata sempre più con Brescia, diventando il simbolo di una città che, anche attraverso questo tesoro di bellezza e di storia, si apre all’Europa e al mondo.» Realizzata in bronzo con la tecnica della fusione a cera persa, costituita da almeno 30 parti fuse separatamen-
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldeweg Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠFotostudio Rapuzzi
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Panoramica, Brixia - Parco archeologico di Brescia Romana ©FeboFilms
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te e poi saldate tra loro, è databile intorno alla metà del I secolo dopo Cristo, e si ispira probabilmente a modelli più antichi. Un chitone leggero avvolge in parte il corpo di una donna la cui figura elegante è completata dai lineamenti delicati del volto incorniciato dai capelli raccolti in una sorta di chignon mentre le due ali ampie lasciano intuire la fine del volo. Nel bronzo - spiega Francesca Morandini conservatore collezioni e aree archeologiche di Fondazione Brescia Musei - è riprodotta una figura femminile alata, alta poco meno di due metri (cm 194), con una postura oggi incompleta per la perdita di alcuni elementi che ne completavano il gesto e la posizione di equilibrio; il piede sinistro doveva poggiare molto probabilmente sull’elmo di Marte, il braccio sinistro doveva trattenere uno scudo, sostenuto anche dalla gamba flessa, scudo sul quale, con uno stilo, la divinità aveva inciso il nome del vincitore, affidandolo al bronzo e offrendolo alla vista di chi la guardava. Indubbiamente il bronzo doveva trovarsi in un edificio o in uno spazio pubblico dell’antica Brixia,
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Storie l’uomo e il territorio
La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldeweg Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ©Fotostudio Rapuzzi
offerto alla vista dei cittadini e a ricordo forse di un successo militare. » Ci sono voluti due anni per il restauro, condotto dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, e promosso dal Comune di Brescia, dalla Fondazione Brescia Musei, della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Bergamo e Brescia, con il sostegno della Regione Lombardia e con il patrocinio dell’Ateneo di Brescia, Accademia di scienze lettere ed Arti e dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Provincia di Brescia. L’operazione di restauro e di ricerca ha coinvolto circa trenta professionisti che a vario titolo, ciascuno con la propria specializzazione, sono stati impegnati nelle numerose attività di conoscenza e di conservazione del
bronzo. Gli interventi si sono concentrati dapprima sulla pulitura della scultura, quindi sulla rimozione controllata dei materiali che riempivano la statua e della struttura interna di epoca ottocentesca a cui si agganciavano le ali e le braccia della Vittoria, e infine sulla stesura di un materiale protettivo. Durante questo processo, sono state condotte indagini scientifiche ed esami volti a una conoscenza più approfondita della tecnologia di costruzione, oltre alla cronologia e origine della statua stessa. Inoltre l’équipe dell’Opificio, della Fondazione,del Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale della Sapienza Università di Roma e dell’azienda Capoferri hanno progettato e realizzato un nuovo supporto interno alla statua per sorreggere le ali e le braccia, che furono tro-
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ©Alessandra Chemollo
vate staccate dal corpo centrale nel 1826 e che fino a due anni fa erano sostenute dal dispositivo ideato nell’Ottocento. Gli esiti preliminari di questa lunga attività di ricerca sono stati già presentati nel maggio 2019 nell’ambito del convegno: Il restauro dei grandi bronzi archeologici. Laboratorio aperto per la Vittoria alata di Brescia, ma il Soprintendente dell’Opificio Marco Ciatti aggiunge: «Sono attualmente in preparazione nuove iniziative editoriali per la pubblicazione dei dati conclusivi del restauro che – è
bene sottolinearlo con forza - non equivale ad un impraticabile “ritorno all’antico splendore”, come a volte vengono acriticamente definiti gli interventi di restauro. Scopo della conservazione è quello di rallentare quel naturale processo di invecchiamento insito nella natura stessa dei materiali costitutivi delle opere d’arte e di garantirne la trasmissione, nei suoi valori materiali e immateriali, alle generazioni future attraverso un insieme di azioni accuratamente progettate.» In tale ottica va letta anche la collocazione
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠAlessandra Chemollo
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del capolavoro bronzeo nel Capitolium in un allestimento museale progettato dall’architetto spagnolo Juan Navarro Baldeweg (Santander, 1939) e concepito per esaltare le caratteristiche materiche e formali valorizzate dalla complessa operazione di restauro così come spiegato da Pierre-Alain Croset, curatore della mostra “Juan Navarro Baldeweg. Architettura, Pittura, Scultura”, in programma nel Museo di Santa Giulia, fino al 5 aprile 2021, tra gli eventi collaterali concepiti per celebrare il ritorno della Vittoria alata. Il visitatore non potrà non notare alcune affinità con l’architettura romana nella scelta dei materiali: il rivestimento in mattoni e malta che evoca i muri esterni della cella, il pavimento in terrazzo che ricorda l’antico, e il basamento cilindrico in marmo di Botticino che richiama fusti di colonne. «Allo stesso tempo, l’architetto introduce elementi di evidente discontinuità con lo spirito neoclassico che aveva animato la ricostruzione ottocentesca: rompe la simmetria nel collocare la Vittoria sulla diagonale, introduce l’elemento singolare della lampadaluna concepita come oggetto poetico prima che tecnologico, esibisce le cornici in bronzo in una composizione insieme astratta e monumentale.» L’inedito allestimento, con il coordinamento della direzione lavori dell’architetto Camillo Botticini, si pone all’avanguardia nella museografia internazionale; si tratta infatti di un progetto complesso in cui sono rispettati i criteri conservativi, illuminotecnici e tecnologici, la cura de materiali nonché la sicurezza e la stabilità della statua. Un tavolo-vetrina presenta le cornici in bronzo ritrovate insieme alla Vittoria nel 1826. Altri frammenti di cornici sono disposti sulla parete occidentale della cella, secondo uno schema che richiama la geometria tipica delle decorazioni di età romana mentre la luce, sospesa nello spazio, rievoca la luna e crea un’atmosfera di grande suggestione. Il progetto sulla Vittoria Alata ha dato vita a un ricco apparato editoriale che comprende la
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Storie l’uomo e il territorio
1.Tempio Capitolino, Brixia - Parco archeologico di Brescia Romana ŠFotostudio Rapuzzi
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Tempio Capitolino, Brixia - Parco archeologico di Brescia Romana ©FeboFilms
In basso: 3. Tempio Capitolino, Brixia - Parco archeologico di Brescia Romana ©FeboFilms
monografia “Non ho visto nulla di più bello” racconto fotografico firmato da Alessandra Chemollo, la guida aggiornata dell’area archeologica, il volume “Vittoria d’autore. Gli scrittori e la dea alata” a cura di Marco Roncalli che ripercorre la fortuna della scultura bronzea negli ultimi due secoli, così come l’hanno celebrata alcuni dei più importanti scrittori e uomini di cultura e, infine, il volume “Il restauro dei grandi bronzi archeologici. Laboratorio aperto per la Vittoria Alata di Brescia”, a cura di Francesca Morandini e Anna Patera, che
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contiene gli atti del convegno internazionale sul restauro dei grandi bronzi tenuto a Firenze a maggio 2019. Tantissimi, si diceva, gli eventi collaterali ideati dalla Fondazione Brescia Musei per celebrare la Vittoria Alata, una serie di progetti espositivi al Museo di Santa Giulia e al Capitolium che le misure del Dpcm del 3 dicembre per contrastare la pandemia ha di fatto sospeso e, salvo diversa evoluzione della situazione epidemica in atto, l’accesso a Brixia - parco archeologico di Brescia romana avverrà congiuntamente
La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠAlessandra Chemollo
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠAlessandra Chemollo
La Vittoria Alata Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠFotostudio Rapuzzi
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Storie l’uomo e il territorio
alla riapertura delle sedi museali prevista in relazione alle disposizioni di legge vigenti sabato 16 gennaio 2021. Un appuntamento a cui non ci si potrà sottrarre perché in qualche modo per noi oggi la Vittoria alata rappresenta la forza e il desiderio di vincere la pandemia e l’isolamento e, per dirla con le parole di Francesca Bazoli e di Stefano Karadjov, rispettivamente Presidente e Direttore Fondazione Brescia Musei, «La Vittoria Alata è un bronzo che “parla”: dall’estate del 1826, anno in cui fu ritrovata, ha incarnato gli ideali della comunità: quelli risorgimentali patri come quelli modernisti del primo Novecento. Oggi, nel 2020,
(ormai 2021, ndr) le tensioni positive verso un avvenire di speranza e fiducia nella creatività, nella ricerca, nell’innovazione e nella capacità di questa comunità di resistere alle battaglie più aspre.» La Vittoria Alata per il nuovo Capitolium di Brescia dal 16 gennaio 2021 Brixia – Parco Archeologico di Brescia Romana (via Musei, 55) bresciamusei.com vittorialatabrescia.i t Info prenotazioni: 030.2977833 – 834 email: santagiulia@bresciamusei.com
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La Vittoria Alata dopo il restauro nel Capitolium con il nuovo allestimento di Juan Navarro Baldewe Credits: Archivio fotografico Musei di Brescia ŠAlessandra Chemollo
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San Cataldo reportage fotografico A.F.
san cataldo la marina leccese Raffaele Polo
I LUOGhI DEL MISTERO
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Il vecchio molo Adriano con le sue rovine all’ombra del Faro racconta ancora pagine di Storia
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LECCE. A volte i 'luoghi misteriosi' sono vicini, vicinissimi. Magari li frequentiamo giornalmente e non sappiamo che lì, proprio in quel posto, c'è ancora qualcosa che, se conosciuta, potrebbe solleticare la nostra curiosità e la voglia di trovare qualcosa di inconsueto, di strano, di poco conosciuto. Del resto è proprio del genere umano, come ci
dimostra il mito di Ulisse, la ricerca di sempre nuove realtà con le quali cimentarsi e alle quali offrire un temporaneo interesse... sempre pronti a ripartire, per ri-attraversare le colonne d'Ercole. A proposito di questo, spostiamoci di poco dal capoluogo e approdiamo a San Cataldo: ci sarebbe piaciuto farlo con Sant'Oronzo che la tradizione vuole
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I LUOGhI DEL MISTERO
San Cataldo reportage fotografico A.F.
approdasse proprio là dove ci sono i resti del molo di Adriano, incredibilmente ancora saldamente protesi a proteggere la piccola insenatura della spiaggia dei leccesi. E già questo basterebbe a fare di questo luogo un interessante punto di studio e ricerca per capire come sia possibile che le costruzioni dei romani siano così bene sopravvissute, resistendo dove sabbie, paludi e marosi hanno invece fatto scomparire tutto, inghiottendo il p o s s i b i l e che,ogni tanto, fa affiorare qualche infinitesimale vestigia, proprio per confermarci che quello di san Cataldo non è solo un lido semideserto, frequentato solo l'estate, ma ha avuto una storia importante e ricca di testimonianze delle qua-
li si è persa traccia. San Cataldo era un importante approdo, lo testimoniano le strade che ancora segnano con i solchi profondi che avevano realizzato i rudimentali mezzi di trasporto, nell'andirivieni per caricare e scaricare ogni tipo di masserizie dalle agili imbarcazioni che si ricoveravano proprio al molo di Adriano. E dove adesso non c'è praticamente più nulla, se non il faro , unico testimone di un glorioso passato, c'era un po' di tutto. Abitazioni, magazzini, casupole di pescatori, una chiesa... A proposito di 'chiesa': nel sottofondo marino, a poca distanza del litorale, c'è quella che è denominata 'chiesa'. Ma non è, propriamente, un edificio religioso. E', piuttosto, una costruzione con
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San Cataldo reportage fotografico A.F.
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San Cataldo reportage fotografico A.F.
una entrata molto vasta, che fa pensare al frontale di una chiesa, appunto. E il fondo melmoso nasconde tante altre sperdute realtà, inghiottite dal tempo e dai marosi. A San Cataldo c'era la stazione di arrivo del tram che collegava il lido alla città. Costruita da una ditta italo tedesca, restano un po' di fotografie e documenti che ci parlano di una realtà completamente scomparsa, così come i binari che partivano da Piazza sant'Oronzo e ad andatura molto blanda, consentivano il tragitto del mezzo elettrico che si ricoverava poi a San Cataldo, per le intuibili riparazioni e le lunghe soste. Testimonianze di chi tale mezzo aveva frequentato, dicono che verso la metà del tragitto, complici alcuni avallamenti e saliscendi, era una sorta di gioco quello di abbandonare il tram in corsa, rifornirsi di bacche e
frutti selvatici che erano numerosi ai lati della strada e poi risalire velocemente sul mezzo che, nel frattempo, arrancava lentamente... Tempi eroici, di cui non è rimasto nulla; anche adesso, se pure con l'aiuto di vecchie cartoline, si cerchi di localizzare dove era la stazione, la chiesa , non si riesce a comprendere come possa essere mutato il panorama pur in una morfologia che è sempre la stessa, dominata dal molo di Adriano, testimone da migliaia di anni delle imprese di chi voleva ampliarlo prima e magari distruggerlo ed eliminarlo poi... Relitti di navi affondate, poi, non mancano se ci si spinge un poco al largo. E, anche qui, a voler indagare, nell'intreccio di 'sentito dire' e constatata la quasi assoluta mancanza di documentazione, la fantasia galoppa, a cercare di immaginare cosa potesse
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I LUOGhI DEL MISTERO
San Cataldo reportage fotografico A.F.
farci una nave da guerra vicino al lido di San Cataldo. Piuttosto, le triremi romane, quelle si che erano plausibili, non fosse altro che per aver consentito al Santo nostro protettore di sbarcare proprio qui, in tutta solitudine... E siamo tornati alla tradizione più sentita che, non a caso, vuole le nostre coste teatro di guerre e sbarchi clamorosi. Se non è Sant'Oronzo, è certamente Enea, un po' più a Sud. E chissà
quanti altri personaggi hanno calcato il molo di Adriano, tra i pochissimi manufatti romani ancora presenti nell'Adriatico e certamente ricchi, ricchissimi di storia. Ma una storia che abbiamo facilmente dimenticato quando, ad esempio, diciamo: “A San Cataldo? Ma non c'è nulla di interessante, là...” Invece, è vero proprio il contrario. Ma noi non lo sappiamo.
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L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
a Passeggio lungo la via sacra del foro romano Sara Foti Sciavaliere
“ Storie l’uomo e il territorio
L’impronta di secoli di Storia...
A
i primordi di Roma, la tradizione narra la lotta fra i Latini del Palatino e i Sabini che occupavano invece il colle Quirinale e tale scontro ebbe come scena la valle tra due colli, dove un tempo c’era un’area paludosa adibita alla sepoltura dei defunti degli abitanti dei colli e poi si stabilirà il Foro, la piazza del mercato e cuore di una città, frutto del compromesso che seguirà la lotta tra Latini e Sabini. Nel Foro, di fatto,
”
convengono i cittadini a trattare gli affari, a vendere e comprare, e conserverà sempre quell’impronta commerciale, anche quando fu circondata da nobili edifici e, le umili taberne saranno sostituite dai locali per gli orefici e i cambiavalute. Sono sempre tutt’intorno disposti, fin dalla più remota antichità, i luoghi sacri che celebrano le divinità più venerate e le sedi dei poteri supremi del governo: il tempio di Vesta e la casa delle Vestali, il
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Storie l’uomo e il territorio
L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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tempio di Giano, l’ara di Saturno e quella di Vulcano, la Regia – residenza del collegio dei Pontefici -, la Curia – sede del Senato -, il Comizio – luogo per le assemblee ufficiali del popolo. Una più consapevole monumentalizzazione si avviò con la fine delle guerre puniche (fine III - inizi II sec.a.C.), quando Roma giunse a dominare tutto il Mediterraneo e il Foro diviene il sito più celebre e significativo della città, un riflesso di secoli di vicende storiche e del progressivo sviluppo della potenza romana. La via Sacra attraversa il Foro da est a ovest e lì sfilavano le processioni religiose e trionfali. Alle spalle del Campidoglio, la
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via Sacra prosegue sotto l’Arco di Settimio Severo, arco trionfale a tre fornici rivestito di marmo, fatto erigere ne 203 d.C. per celebrare la vittorie sui Parti. Sull’attico si legge l’iscrizione di dedica di Settimio Severo e al figlio Caracalla. Accanto al pilastro sud è una struttura circolare in mattoni, chiamata Mundus o Umbilicus Urbis, luogo considerato il centro di Roma e punto di contatto con il mondo dei morti. La scena alle spalle dell’arco è dominata da uno dei monumenti più importanti della città, il “Tabularium” che, costruito nel 78 a.C., era anticamente destinato ad ospitare gli archivi pubblici dello stato, in particolare le “tabu-
L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
lae” di bronzo sulle quali erano incisi decreti e leggi, finché nel XII secolo fu scelto come sede del Comune, spostandone l’ingresso sulla piazza del Campidoglio, alle spalle. Sempre in questa zona del complesso monumentale c’era il percorso delle scale gemonie, che nell’antica Roma, erano una scalinata di accesso al colle Campidoglio che saliva appunto dal Foro e dovevano passare (come testimonia una scalinata moderna ancora esistente) tra il tempio della Concordia e il carcere Mamertino. Su queste scale, vicine al carcere, vennero gettati i corpi dei condannati a morte per il delitto di lesa maestà sotto l'imperatore Tiberio e successivamente anche di diverse vittime dei conflitti legati al potere imperiale.
Lungo l’estremità opposta della Via Sacra, nel punto in cui si sale verso il Palatino,troviamo l’Arco di Tito, che deve la sua conservazione all’inglobamento nelle fortificazioni medievali. Fu eretto da Domiziano in memoria del fratello Tito divinizzato per celebrarne il trionfo nella guerra giudaica del 70-71 d.C.: lo rivela la dedica incisa sul lato verso il Colosseo, nell’attico sopra l’unico fornice. Sul fianco di questa si allineano ancora i monumenti dell’impero: la basilica di Costantino, il tempio di Romolo figlio di Massenzio, il tempio di Antonino e Faustina, il tempio di Venere e Roma. Quest’ultimo ci dà l’idea di Roma percepita come una divinità e in effetti nelle province fin dagli ultimi tempi dell’età repubblicana, Roma - alla apri di una persona divi-
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gerne i lavori, realizzando il tempio più grande di Roma antica: un’enorme piattaforma artificiale sosteneva due celle absidate, circondate da ricchissimi colonnati di marmi orientali; una delle due celle conteneva la statua di Venere e l’altra quella di Roma. Nel VII secolo le tegole di bronzo dorato del tetto furono utilizzate per rinnovare il tetto della basilica Vaticana e tre secoli dopo, sull’area del tempio, verso il Foro, si stabilì la Chiesa di Santa Maria Nova, tuttora esistente – conosciuta anche come Chiesa di Santa Francesca Romana alla quale fu intitolata nel XV secolo - e che, insieme al suo campanile e con il chiostro, costituisce uno dei più sin-
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na – cominciò a essere venerata, e il suo culto si diffuse nel periodo imperiale associato per lo più al culto dell’imperatore divinizzato. A Roma tale culto fu introdotto da Adriano, insieme a quello di Venere, ma non nel suo ruolo di dea dell’amore ma in qualità di progenitrice di Enea e quindi la primigenia origine di Roma; inoltre Venere era considerata la progenitrice della gens Julia alla quale apparteneva Augusto, fondatore dell’Impero. Così a Roma e a Venere, Adriano nel 135 eresse un tempio che glorificasse le origini della città e quelle dell’Impero, e fu Adriano in persona – studioso di architettura e appassionato di costruzione – a progettarlo e a diri-
L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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golari gruppi monumentali, dove il tempo e gli accadimenti storici hanno lasciato la loro impronta. A partire dal VII secolo avvengono i cambiamenti più profondi, in coincidenza con le trasformazioni politiche e religiose che caratterizzano questi tempi, come l'installazione di officine per la rilavorazione dei metalli e dei marmi ottenuti dalle spoliazioni, che testimonia come molti edifici non fossero più ritenuti tanto importanti e venivano trasformati a volte in chiese. Il ruolo della Chiesa diviene sempre più centrale: nell’VIII secolo sono create nelle chiese del Foro cinque diaconie, istituti religiosi dediti all’assistenza, in cui sono da collocare le granarie, i pozzi e una piccola terme nella Casa delle Vestali. E su quest’ultima mi vorrei brevemente soffermarmi. Vesta personificava il focolare domestico che la mater familias accende, alimenta e custodisce, e anche se con il tempo tale culto si identifica con quello del focolare pubblico e
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quindi dello Stato, le sue caratteristiche discendono dalla dimensione domestica che rimane intrinseca. Di fatto l’edificio di culto era rotondo come l’antica capanna laziale e all’interno non vi era la statua della dea ma un focolare e nient’altro; più che un tempio, si potrebbe dire insomma una capanna nobilitata dal pregio dei materiali in uso e dagli ornamenti. Il focolare era continuamente vigilato dalla vestale affinché quello non si spegnesse, pertanto questa sacerdotessa era paragonabile alla mater familias di tutti i cittadini, da dove derivano i privilegi e il rispetto che essa godeva. Oggi del tempio, più volte rinnovato dall’età regia fino ai tempi di Settimio Severo, restano solo il rudere circolare del podio e frammenti architettonici. E adiacenti i resti la Casa delle Vestali, dove dimorava il collegio di sei sacerdotesse dedite al culto fin dai 10 anni, ai 40 anni quando potevano anche lasciare l’atrium Vestae e sposarsi. Dei
L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
resti recuperati da scavi archeologici della fine dell’Ottocento, sicuramente fanno bella vista le statue allineate con le iscrizioni dedicatorie delle Vestali massime, alle quali fosse concesso in via esclusiva l’onore di una statua che in genere era innalzata da chi avesse rice-
vuto qualche beneficio. Ma fu la presenza di istituti religiosi in epoca cristiana a favorire l’aumento del circostante abitato, che fu però radicalmente alterato a partire dalla seconda metà dell’IX secolo da tragici eventi naturali quali il terremoto e l’allu-
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vione dell’847. L'accumulo delle macerie non fu rimosso né si risistemarono gli impianti fognari, che poi vennero abbandonati, causando in tal modo l’impaludamento e l’innalzamento dei piani, su cui poi si costruirono anche dimore di buon livello e attività artigianali e commerciali.
Roma, Pantheon reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
Tuttavia sarà necessario arrivare agli inizi del XIX secolo per ritrovare attenzione per quest’area di Roma che ne era stato per secoli il cuore pulsante: saranno avviati scavi metodici e restauri razionali dei monumenti del Foro, caduta nel degrado e nell’abbandono. La valle dal Campidoglio all’arco di Tito era coperta da strati di terre di scarico , dove in un ‘ampia distesa, il cosiddetto “Campo Vaccino” si teneva il mercato del bestiame, e tutt’intorno e a ridosso dei monumenti
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Storie l’uomo e il territorio
L'area monumentale del Foro Romano, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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che emergevano dal terreno con le estremità superiori, stavano umili case e fienili, botteghe e officine di fabbri e facocchi, artigiani che costruivano carri. Le demolizioni incominciarono dietro l’impulso di Papa Pio VII e dagli scavi i primi monumenti a riprendere respiro furono gli archi di Tito e Settimio Severo. Le campagne di scavo, proseguite sotto varie direzione, tra le quali quella del Valadier – il famoso architetto del Pincio – , furono condotte a pieno ritmo fino al 1853 per essere quasi abbandonate o quantomeno proseguite con una certa fiacca, per poi scavare completamente l’area nei primi del Novecento.
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essere o non essere ...vaccinato Stefano Quarta
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Considerazioni sulla vaccinazione contro il Covid 19
i Luoghi della parola
I
”
n molti avranno visto un bellissimo film del 2001, vincitore di quattro premi Oscar, con un brillante Russell Crowe nel ruolo di protagonista. Si tratta di A beautiful mind, un film sulla vita del matematico ed economista John Nash. Un uomo con aspirazioni in campo matematico ma che nel 1949, durante il dottorato, formulò la teoria che gli sarebbe valsa (45 anni più tardi) il premio Nobel per l’economia, la teoria dei giochi non cooperativi. Questa teoria descrive bene l’egoismo intrinseco nel comportamento economico. Il fatto che individui diversi collaborino per un fine comune non è un atto di altruismo, bensì l’esatto contrario. Ognuno decide di collaborare solo per raggiungere il proprio obiettivo. Il filosofo inglese Hobbes descriveva questo comportamento con la massima latina “homo homini lupus” (uomo lupo dell’uomo), spiegando che la cooperazione sociale si basa sulla paura dell’aggressione altrui. In pratica, chiunque può uccidere qualcun altro, pertanto, un accordo che bandisca l’omicidio è vantaggioso per tutti. Ma questo accordo non si basa sull’amore per la vita altrui, bensì sul desiderio di preservare la propria vita. Nash esamina, a mio modo di vedere, questo concetto, quantificando i risultati per i vari
scenari possibili ed esponendo un metodo per trovare quello scenario che sia accettato da tutti gli attori in gioco. Questo scenario è detto equilibrio di Nash. Normalmente si utilizza l’esempio del cosiddetto dilemma del prigioniero per spiegare questa teoria. Si immagini di arrestare due sospettati di furto. I due soggetti vengono posti da subito in due stanze diverse, in modo tale che non possano accordarsi. Successivamente si procede con due interrogatori distinti, proponendo ad entrambi le seguenti pene in base alla loro collaborazione: • Se solo uno dei due collabora, riversando la colpa sull'altro: chi ha collaborato evita la pena; chi è stato accusato viene condannato a 5 anni di carcere; • Se i due sospettati si accusano a vicenda: vengono entrambi condannati a 3 anni. • Se nessuno dei due collabora: entrambi vengono condannati a 2 anni di carcere per reati accessori. Questo schema dovrebbe risultare molto familiare, perché usato molto spesso nei film polizieschi come tecnica per far parlare uno dei due sospettati. Ma vediamo come trovare l’equilibrio. Innanzitutto, rappresentiamo con una tabella
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Tabella 1 Matrice di interazione (dilemma del prigioniero).
Come interpretare la tabella per trovare l’equilibrio: • Ogni giocatore cercherà di minimizzare la propria condanna; • Poniamo che il giocatore 1 non collabori (riga inferiore); in tal caso, il giocatore 2 otterrebbe una pena di 2 anni non collaborando e di 0 anni collaborando, quindi collaborerebbe; ma se il giocatore 2 collaborasse, al giocatore 1 converrebbe collaborare a sua volta, per prendere 3 anni anziché 5; • Se invece entrambi collaborassero, nessuno dei due avrebbe incentivo a cambiare strategia (cioè a non collaborare), perché altrimenti avrebbero una pena di 5 anni anziché 3. Un metodo pratico per trovare l’equilibrio è quello di confrontare, per ciascuno scenario, il primo numero in colonna e il secondo numero in riga. Se lo scenario considerato esprime i payoff migliori per entrambi i gio-
catori, allora è un equilibrio di Nash, cioè stabile rispetto a strategie alternative. In pratica, ogni giocatore confermerebbe la propria strategia anche dopo aver conosciuto la strategia altrui, perché la strategia alternativa sarebbe meno conveniente. Perciò, in questo caso, l’equilibrio (collabora; collabora) è l’equilibrio di Nash in quanto, per ogni giocatore, la strategia alternativa porterebbe ad una pena maggiore. Nash ha vinto il Nobel perché questo ragionamento è applicabile e modellabile ad un’infinità di ambiti. Si immagini due imprese che debbano decidere se competere nella produzione di un nuovo prodotto. Immaginiamo che dopo attente ricerche di mercato si ottengano i seguenti payoff (i payoff sono i numeri all’interno della tabella, quindi i risultati attesi in base allo scenario):
Tabella 2 Matrice di interazione (competizione tra imprese).
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i Luoghi della parola
i vari scenari sopra esposti (Tabella 1). In questo caso i payoff sono i profitti attesi, quindi ogni giocatore preferirà i valori più alti. Immaginiamo che se entrambe le imprese decidessero di competere nel nuovo mercato, avrebbero dei profitti di poco superiori a quelli di partenza (situazione in cui nessuno compete nel nuovo mercato). Tuttavia, se solo una delle due imprese competesse sul nuovo prodotto, otterrebbe risultati eccezionali, mentre l’altra impresa subirebbe una forte contrazione dei profitti, dovuta a cali di popolarità o altre motivazioni. Come per il dilemma del prigioniero, anche in questo caso l’equilibrio di Nash è quello in alto a sinistra, in cui entrambi competono. Tuttavia, in questo caso l’equilibrio di Nash coincide con l’ottimo sociale, mentre nel dilemma del prigioniero no. L’ottimo sociale può essere inteso come lo scenario in cui la somma dei payoff è la più desiderabile. Sommando i payoff dei due giocatori in quest’ultimo esempio, otteniamo 120 se entrambi competono, 100 se entrambi non competono e 110 nei due scenari misti. Quindi l’equilibrio di Nash è anche quello in cui la società, che qui è composta dai soli due giocatori, ottiene il payoff massimo (o in altri termini, ottimo). Nel dilemma del prigioniero, invece, i payoff sociali sono 6 nel caso di doppia collaborazione, 4 se entrambi non collaborano e 5 negli scenari misti. Ricordando che in questo caso è preferibile un numero basso (trattandosi di una pena), si ha l’ottimo sociale nello scenario in cui entrambi non collaborano. In altri termini, ad entrambi converrebbe non collaborare ma, nonostante ciò, alla fine confessano entrambi. Per questo motivo si parla anche di paradosso del prigioniero, proprio perché i comportamenti razionali individuali contrastano con i comportamenti razionali sociali. Attenzione, i comportamenti sono in ogni caso razionali, cioè ogni individuo sceglie il meglio per sé. Cionondimeno, non ottengono il meglio per sé. Come detto, questa teoria trova infinite appli-
cazioni, con equilibri che possono essere di reciproca non collaborazione, oppure equilibri misti, in cui a ciascuno conviene che la propria strategia sia opposta rispetto a quella della controparte. Tutto dipende dai payoff in gioco. In questo periodo, un’applicazione particolarmente interessante può certamente riguardare la vaccinazione contro il Covid-19 (tuttavia il ragionamento è estendibile a qualsiasi altro vaccino). I vari sondaggi mostrano come da un quarto a metà della popolazione sia tendenzialmente contrario all’idea di vaccinarsi. Ormai sono chiari a tutti gli effetti del Covid-19, sia in termini sanitari che economici. Ciononostante, una rilevante porzione di popolazione non si vaccinerebbe, preoccupata da possibili reazioni avverse. Proviamo quindi ad immaginare dei possibili payoff, in modo da costruire una matrice e vedere l’equilibrio di Nash e l’ottimo sociale. Nel fare ciò, ammettiamo l’esistenza di effetti collaterali dovuti alla vaccinazione, poiché senza questi effetti negativi sarebbe del tutto irrazionale la scelta di non vaccinarsi. Immaginiamo che i payoff siano una sorta di punteggio di benessere che varia tra 0 e 100, preferendo quindi i valori più alti possibile. Come al solito restringiamo la popolazione a due soli individui per semplicità di trattazione e calcolo (si può comunque immaginare di essere il giocatore 1 e di avere a che fare col giocatore 2 che rappresenta il resto della popolazione). Le possibili scelte sono di vaccinarsi oppure no ma, partendo da un benessere pari a 100 in condizioni di normalità, ipotizziamo i seguenti malus: • “-30” per gli effetti collaterali dovuti al vaccino; • “-50” per le restrizioni che ci impone la pandemia; • “-25” in caso di circolazione parziale del virus, con conseguenti restrizioni parziali, come risultato di una parziale vaccinazione. Ne risulterebbe la matrice in Tabella 3. Date queste assunzioni, entrambi i giocatori
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Tabella 3 Matrice di interazione (vaccinazione pessimista).
non si vaccinerebbero. Ricadremmo, quindi, nello stesso risultato ottenuto col dilemma del prigioniero. L’equilibrio stabile non è quello socialmente ottimale. In altre paro-
le, l’egoismo di ognuno danneggia la collettività (di cui si fa parte). Ma proviamo a ridisegnare i possibili malus, semplicemente ridimensionando il
possibile danno da effetti collaterali da “-30” a “-20”. La matrice diverrebbe quella in Tabella 4.
Tabella 4 Matrice di interazione (vaccinazione ottimista).
In questo caso, l’equilibrio di Nash coincide con l’ottimo sociale e prevede che entrambi i giocatori si vaccinino. Il tutto si può riassumere nella comparazione tra il danno da effetti collaterali e il danno dovuto alle restrizioni e alla malattia stessa. Siccome da un lato abbiamo a che fare con un virus che uccide, mentre dall’altro vi sono dei vaccini che dovrebbero avere i soliti effetti collaterali che si limitano a pochi giorni di malessere, non vedo come si possa
considerare valida l’ipotesi in Tabella 3. Per far si che alla fine i vaccini risolvano questa crisi pandemica, occorre che una percentuale rilevante si vaccini. Per diverse malattie si fissa al 95% la quota di sicurezza per raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. Tuttavia, per il Covid-19 ancora non si conosce quale possa essere il livello minimo da raggiungere. Al momento non si rende necessario l’obbligo di vaccinarsi perché le dosi dispo-
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nibili sono molto poche ma in estate, al raggiungimento di una disponibilità di dosi rilevante, sarà certamente opportuno valutare delle misure che, anche obtorto collo, permettano di raggiungere questo livello minimo necessario. Per il momento, resta solo da sperare in una corretta valutazione dei vari “effetti collaterali” da parte della popolazione ricordando che, un po’ come per l’astensionismo dal voto, chi elude i doveri, rinuncia ai diritti.
Brexit, Puzzle, Dell'Unione Europea, Europa, foto di DANIEL DIAZ da Pixabay
Brexit ora zero Walter Cerfeda
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Da Capodanno la Gran Bretagna sarà fuori dall’Unione Europea. Cosa cambia?
I luoghi nella parola
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E alla fine l’accordo è arrivato. Nei prossimi giorni su di esso si pronuncerà il Parlamento inglese, mentre nel corso del mese di gennaio, lo farà quello europeo. In ogni caso da Capodanno, la Gran Bretagna sarà definitivamente fuori dall’Unione Europea, concludendo quel ciclo che era iniziato quattro anni fa’, con il referendum del giugno 2016. Ma al di là dei primi prevedibili, scontati e come al solito un po’ eccitati commenti di Boris Johnson, vale la pena cercare di capire cosa contiene l’accordo siglato dopo un’estenuante trattativa durata più di due anni. E forse ancora di più provare a capire perché il premier britannico dopo aver a lungo propugnato il “No deal” o in subordine la cd. “hard Brexit”, alla fine abbia firmato un accordo che, testo alla mano, è pressoché identico anche nella quantità (525 pagine) oltre che nei contenuti, a quello siglato da Theresa May nel 2018. Accordo quello però, al quale si era duramente opposto, provocando la fine anticipata della legislatura e le nuove elezioni dell’ottobre 2019 poi stravinte, con il proposito di cancellare proprio quell’accordo. Infatti il merito dell’intesa non è in sostanza cambiato.
Su tutti i tre punti sollevati dalla Gran Bretagna come condizione per evitare il No deal, ovvero i diritti di pesca, le regole del mercato unico e la governance per la gestione futura dell’accordo, i punti di mediazione appaiono tutti e tre assolutamente ragionevoli e quindi a portata di mano anche prima. Ma resta nella memoria di tutti che soltanto poco più di un mese fa, a metà ottobre, Boris Johnson aveva formalmente disconosciuto l’accordo di recesso firmato da Theresa May e annunciato il No Deal, provocando una durissima reazione della Commissione Europea che quell’accordo aveva invece approvato sia in Parlamento che nel Consiglio. Invece poi, alla fine, la montagna ha di fatto partorito il classico topolino. Vediamo il perché. Sui diritti di pesca nel Mare del Nord, Johnson subentrato personalmente nelle ultime ore di trattative al suo negoziatore Frost cui aveva dato un mandato rigidissimo, ha semplicemente firmato un testo che afferma che da qui e per i prossimi sei anni, sulla pesca in quel mare non succede assolutamente nulla, tranne il rivedersi nel 2027 per fare una verifica. Ovviamente, per questo, l’intesa ha solleva-
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Regno Unito, Foto di Please Don't sell My Artwork AS IS da Pixabay
to la furibonda reazione scozzese, che è tornata a minacciare un referendum per una Scotland exit, ma non dall’Ue, bensì dalla Gran Bretagna. Sulle regole del mercato unico e dei suoi standard da non violare ( il cd. Level playng field) l’accordo conferma che nessuna regola e principio possa essere né violato né cambiato. Va così in archivio definitivamente anche la suggestione che tanto aveva affascinato gli elettori britannici quella per cui con la Brexit “ torneremo padroni a casa nostra”, cioè potremo adottare leggi e norme in deroga ai vincoli europei, compresi quelli in materia di aiuti di Stato o di criteri ambientali o, ancora peggio, sugli Ogm, per i fitofarmaci o in materia sanitaria. Sapendo bene che ogni distorsione di quelle regole avrebbe significato nei confronti dell’Europa, la pratica di una concorrenza sleale e di un dumping commerciale ed industriale. Per questo l’Unione non ha arretrato mai, su questo punto e il premier britannico ha dovuto alla fine firmare un testo che recita che “nessuna azione da parte britannica potrà essere fatta che possa arrecare danni alla libera e leale concorrenza nel pieno rispetto delle norme comunitarie che disciplinano il mercato unico europeo”.
Ed anche sulla governance futura dell’accordo si conviene, molto ragionevolmente, che in caso di divergenze sarà la procedura di un arbitrato quella a cui sarà affidata l’autentica interpretazione dei testi. Né più né meno di come in tanti contratti di lavoro, anche nel nostro piccolo, da molti anni si é disciplinata l’insorgenza di eventuali controversie interpretative. Dunque tanto rumore per nulla? Possibile che tutto lo strappo con l’Europa sia stato per portare a casa lo scalpo dell’Erasmus o per far esibire un passaporto sia ai cittadini europei che si recano in Inghilterra come a quelli inglesi che vogliono venire in Europa? Ed allora perché? Allora la verità è che, per capire cosa c’è dietro e dentro questo accordo, bisogna passare dalle ragioni di tecnica negoziale a quelle più squisitamente di natura economica e di natura politica. Quelle di natura economica sono in realtà molto semplici e note da tempo. Lungo tutti questi quattro anni dal referendum ad oggi, la situazione economica della Gran Bretagna, al netto delle conseguenze del Covid, si è continuamente e lungamente deteriorata ed a poco sono valse le contromisure per cercare di arginarla. Anche la svalu-
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I luoghi nella parola
Foto di Tumisu da Pixabay
tazione ripetuta della sterlina per cercare di rilanciare le esportazioni non ha ottenuto, nei fatti, alcun effetto apprezzabile. Basti solo pensare che, in questo lasso di tempo, la sterlina è stata svalutata più del 20%, passando da 0,70 centesimi di sterlina per un euro a novanta, ma senza alcun risultato. E questo perché oggi nel mondo, gli scambi avvengono solo tra grandi aree commerciali e grandi volumi. E sono i grandi volumi che permettono i grandi fatturati che, a loro volta, sono la condizione per tenere alto il saggio degli investimenti con le ricadute sociali in termini di occupazione. Fuori da questa realtà e con i piccoli volumi nazionali su scala mondiale, tutto diventa soltanto un’illusione ottica. Non ci voleva un genio per comprenderlo. Bastava dare un’occhiata semplicemente alla bilancia commerciale inglese per capirlo. La Gran Bretagna esporta il 43% delle proprie merci nell’Unione europea. Quindi quasi la metà della produzione della ricchezza del Regno Unito, dipende esclusivamente dalla sua relazione con l’Europa. E non vale il contrario, perché invece l’Unione esporta in media in Gran Bretagna appena il 6,5%, con un picco solo in Olanda al 10%. L’Italia si colloca al 5%. Ciò vuol paradossalmente dire che l’Europa poteva e può fare a meno, sul piano economico, della Gran Bretagna ma non viceversa.
Questa è la ragione per cui il negoziatore europeo Michel Barnier ha sempre saputo di avere lui in mano il coltello dalla parte del manico e che, per questo, la ricerca di un accordo era senz’altro utile ma non a tutti i costi. Ciò invece non è mai valso per gli inglesi. Peraltro proprio dal momento in cui Boris Johnson, dopo aver vinto le elezioni, aveva apertamente perseguito il No Deal, era contemporaneamente iniziato lo stillicidio delle grandi imprese che avevano deciso una Brexit al contrario, ovvero di chiudere i battenti in Gran Bretagna per riaprirli in Europa. D’altronde specie le grandi multinazionali non avevano certo scelto di investire aprendo stabilimenti nel Regno Unito, con il solo scopo di puntare a quel mercato interno. Bensì per poter da lì produrre e penetrare nel grande e ricco mercato unico europeo. Per questo la prospettiva di una rottura con l’Europa con le loro merci che sarebbero state sottoposte a dazi, avevano portato semplicemente al cambiamento dei piani industriali. Dopo le elezioni di poco più di un anno fa, nell’ottobre 2019, e la schiacciante vittoria di Boris Johnson, la giapponese Panasonic, leader mondiale nell’elettronica ha deciso di spostare la propria sede e le produzioni in Olanda, ad Amsterdam. La prima azienda per fatturato inglese, l’Unilever con capitale misto inglese e olandese, si è spostata a Rotterdam. La Sony l’ha seguita, lasciando solo due reparti in Inghilterra, trasferendosi anch’essa in Europa e cambiando anche ragione sociale, ribattezzandosi Sony Europe. Nel settore degli autoveicoli rispetto al quale, l’Unione aveva prospettato di sottoporre, in futuro, i prodotti inglesi al dazio previsto dal Wto del 10%, la Honda ha chiuso la fabbrica a Swindon e riaperto in Germania ed altrettanto ha deciso di fare la Nissan che ha spostato ad Anversa la produzione della sua auto di punta, il fuoristrada X Trail, svuotando di fatto la fabbrica di Sunderland con il licenziamento di più di mille lavoratori.
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E poi quando da ultimo anche la Ford e la Jaguar Land Rover che vendono in Europa oltre il 70% dei loro autoveicoli, hanno annunciato di fare altrettanto, la CBI, ovvero la Confindustria britannica, ha mandato un ultimatum a Downing street di smetterla di giocare con il fuoco con l’Ue e subito dopo il potente Cancelliere dello Scacchiere Sajid Javid, ha pubblicamente ricordato al suo Premier che il fallimento di un’intesa con l’Ue avrebbe portato conseguenze ancora più drammatiche di quelle prodotte dallo stesso Covid 19 con il rischio concreto di far precipitare il Regno Unito in una recessione senza fine. Peraltro tutto ciò non solo è accaduto nell’industria, ma anche nella finanza, in termini ancora peggiori. La Barclays Bank, la JP Morgan, la Bank of America già dal 2018 avevano lasciato Londra spostando sede e personale a Francoforte, seguita dalle principali banche d’investimento giapponesi che invece da Londra si sono spostate a Amsterdam come la Nomura, la Mitsubishi UFJ e la Mihuzo Financial Group, svuotando di fatto gran parte del volume di affari della City. D’altronde i grandi centri finanziari del mondo, per loro stessa natura, stanno sempre accanto là dove la ricchezza e i grandi affari si producono, non in luoghi che da essi decidono invece di isolarsi. E la situazione su questo punto si è fatta per Londra talmente grave, che, al di là della pressione inglese, l’Ue ha deciso di tenere duro e di stralciare dall’accordo proprio quella dei servizi finanziari, perché la gran parte dei buoi quella stalla l’avevano ormai deciso di lasciarla. Per tutto questo Boris Johnson non aveva alcuna alternativa se non quella di firmare un accordo con l’Ue. Da ultimo la goccia che ha definitivamente fatto traboccare il vaso è stato il risultato delle elezioni americane e la sconfitta di Trump. Trump, con la sua prospettiva di un mondo con un futuro improntato sul binomio nazionalismo e protezionismo, aveva rappresenta-
to, in questi anni, non solo la sponda più forte alla Brexit, ma anche la prospettiva per la Gran Bretagna di poter far parte di un'altra grande alleanza economica e commerciale, alternativa a quella europea. Trump per quattro anni non ha fatto altro che cercare di indebolire e di dividere, fomentando nazionalismi di tutte le risme anche i più squallidi e inqualificabili, assumendo proprio l’emblema della Brexit come l’esempio e il modello da seguire. Ma dopo il 3 novembre di tutto questo non è rimasto più niente. Nemmeno Trump. Quella prospettiva infatti è finita e con sé ha generato tutte le conseguenze politiche di cui la marcia indietro di Johnson non ne è che un tassello coerente. Il mondo trascinato in una recessione epocale dalla pandemia, già nel 2020 infatti ha generato un nuovo paradigma e una nuova prospettiva economica che ha prodotto il cambiamento dello stesso funzionamento del commercio mondiale. Ovvero che dalla recessione si esce solo trovando un nuovo equilibrio tra tutti i grandi centri della produzione della ricchezza. Perciò, in questa nuova fase in atto della vita economica del mondo, la globalizzazione si è regionalizzata. E proprio per questo è naufragata la ragione e la prospettiva stessa della Brexit destinando la Gran Bretagna, che pure sognava di poter finalmente navigare in mare aperto, invece di doverlo fare molto sottocosta, il più vicino possibile cioè, alle coste europee, per non essere travolta dai nuovi marosi. Ecco perché, alla fine l’accordo è un buon e ragionevole accordo. È un buon accordo perché è semplicemente un accordo di libero scambio, così come l’Europa ha già con altri Stati come la Norvegia, l’Islanda con l’Efta o la Svizzera, su base bilaterale. Serviva proprio la spettacolarizzazione di un referendum con tutto il sovraccarico ideologico che ne è derivato per giungere poi ad un’intesa che di fatto tutto cambia per non cambiare quasi niente?
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I luoghi nella parola
Foto di Pete Linforth da Pixabay
Per l’Unione europea la separazione resta certo dolorosa, ma, disciplinata in questo modo, è anche vero che i rischi sono stati ridotti al minimo, mentre ne restano chiari i vantaggi. I vantaggi dell’impegno ad un lavoro comune sancito nell’intesa, sul delicato terreno della sicurezza e dell’intelligence contro un terrorismo che di qua e aldilà della Manica resta sfuggente ed insidioso e non perde occasioni disperate per manifestarsi. Il vantaggio di un altro lavoro comune, anche esso ribadito nell’accordo, sul terreno della ricerca e della prevenzione sanitaria, campo in cui il Regno Unito tocca valori di assoluta eccellenza come dimostra il vaccino ormai prossimo di Astrazeneca, così come le capacità di ricerca epidemiologica che ha portato a scoprire per primi e ad avvertire l’Europa intera della recente mutazione del virus Covid19 e della sua maggiore contagiosità; così come la preziosa attività farmaceutica della Glaxo, proprio nel momento in cui la tedesca Bayer aveva invece delocalizzato in Cina la propria produzione farmaceutica e per questo ora impegnata ad un affannoso reshoring. Ma resta ancora di più il vantaggio di veder sgonfiarsi la più pericolosa bolla sovranista, davanti all’uscio di casa. D’altronde in questi mesi davvero tutto è cambiato. L’Europa invece di disfarsi sotto il maglio dei colpi trumpisti e della Brexit, si è invece più unita e più rafforzata ed è alla vigilia di utilizzare una mole gigantesca di risorse comuni per rilanciare la propria crescita. Ha anche ritrovato negli Stati Uniti di Biden una sponda democratica con cui operare per riorganizzare un nuovo ciclo di ordine mondiale, a partire dal rispetto delle regole e dell’ambiente. Cioè esattamente l’opposto di quel vicolo cieco in cui aveva portato il mondo la strategia trumpiana e dei suoi epigoni. È proprio vero che il 2020 in fondo è la rivincita sul 2016, dove sembrava che un altro ciclo politico si fosse invece radicato e per un lungo tratto di tempo.
Ora è iniziato davvero un tempo nuovo. A Boris Johnson, anche per questo, sarebbe sbagliato chiedere abiure. Ciò che veramente conta è che alla fine, il Regno Unito resta vicino all’Europa e l’Europa al Regno Unito, al quale l’Ue non ha mai sbattuto la porta in faccia, lasciandola sempre socchiusa. Poi vedremo dove questo tempo nuovo condurrà il mondo. Per intanto accontentiamoci di vedere, sotto i nostri occhi, come alla recessione dell’economia non abbia corrisposto, come per il passato, la recessione della democrazia. Anzi dall’Europa agli Stati Uniti, è alla democrazia che si chiede ora di portarci fuori dalla crisi e di assicurare il futuro. E se ciò essa sarà capace di fare, anche le scelte democratiche del 2016 potrebbero essere ribaltate. Negli Stati Uniti è già avvenuto, perché allora disperare che, la prossima volta, ciò non possa avvenire anche nel Regno Unito?
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l’anno di dante, un Portale Per celeBrare i 700 anni dalla morte
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logismi creati da Dante come Trasumanar (Paradiso, I, 70), per indicare un’esperienza che va oltre l’umano insieme a voci onomatopeiche e altre parole dense di significato oggetto di studio, tra l’altro, di un altro progetto: il Vocabolario dantesco frutto della stretta collaborazione fra l’Accademia e l'Istituto del CNR Opera del Vocabolario Italiano, una risorsa informatica accessibile gratuitamente e in continuo aggiornamento vocabolariodantesco.it. La parola di Dante, “fresca di giornata” nonostante i 700 anni che ci separano dalla morte del sommo poeta, sarà rilanciata attraverso i canali social dell’Accademia (Facebook, Twitter, Instagram). Anche in questo modo si intende sottolineare la capacità creativa, l’attualità e la straordinaria leggibilità del grande poeta. www.accademiadellacrusca.it
I luoghi nella rete
no dei luoghi della rete in cui vi invitiamo ad imbattervi è il portale 700dantefirenze.it, dove è possibile consultare e conoscere le tantissime iniziative, organizzate per celebrare i 700 anni dalla morte del sommo Poeta. Questo mese abbiamo scelto di segnalare, tra gli eventi in programma e a cui il portale rimanda, le celebrazioni dantesche dell’Accademia della Crusca. Per ciascuno dei 365 giorni dell’anno dantesco, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021, nel sito Internet dell’Accademia della Crusca apparirà una diversa parola o espressione di Dante arricchita da un breve commento, pensato per raggiungere il pubblico più ampio. Locuzioni divenute proverbiali come “Il ben dell’intelletto (Inferno, III, 18), Bella persona (Inferno, V, 101), lo bello stilo (Inferno, I, 87), latinismi come “Rubro (Paradiso, VI, 79) e Colubro (Paradiso, VI, 77), e neo-
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I LUOGhI DELLA PAROLA
la sfida del vivere Giovanni Bruno
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Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta
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pesso accade che nei momenti di forti pressioni esterne o di affanni dell’animo, come in questi mesi calamitosi dovuti alla emergenza pandemica, l’uomo ricerchi un senso da dare alla propria vita, alla propria esistenza. Dobbiamo tuttavia chiarire il termine “ esistenza”. Condonando tutta la letteratura filosofica che ha espresso i più vari orientamenti sul termine, da Platone a Kierkegaard, per esistenza intendiamo comunemente l’essere in un certo momento, nel presente piuttosto che nel passato o nel futuro. L’esistere dell’uomo porta a produrre effetti su se stesso e sul contesto che lo circonda. La sua effettualità produce invariabilmente
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modificazioni sul proprio stato interno e sulle persone con cui è in relazione. Il senso, il significato da dare alla propria esistenza acquista dunque una valenza potremo dire ontologica, che riguarda la conoscenza del proprio “IO”, della realtà esterna, del fenomeno umano in generale. Abbiamo finora parlato di esistenza e di senso, termini intimamente legati a una questione di cromosomi o più esplicitamente al carattere e alla personalità di ognuno. Se dunque dalle definizioni generaliste passiamo a un campo più circoscritto, come appunto l’Uomo, considerando la sua essenza, il suo stare al mondo ,ecco che tutto diventa più agevole ma anche più complicato. Il segno dei tempi ci porta a
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esaminare un Uomo che, almeno in Occidente e non solo, porta in sé dei paradigmi, dei codici che sono il portato di valori ampiamente diffusi, con tutta una serie di desideri impliciti o espliciti che soggiogano il soggetto. E qui è bene fare una distinzione tra desiderio e aspirazione. Il desiderio, seppur importante, può avere un significato ambiguo, esso può diventare una prigione , l’unico fine per cui attivarsi, una meta sempre più irraggiungibile. L’aspirazione al contrario è il proprio sogno che si persegue, è quella ambizione per la quale si è al mondo, la realizzazione del proprio demone, l’eudaimonia dei Greci. Tuttavia gli strazi della mente sono fortemente legati al contesto civico e questa è una società che in ogni momento ci chiede immagine studiata, bellezza dei corpi, soddisfacimento veloce. Come resistere a queste sirene, a queste creature tentatrici che incantano e seducono? Molto dipende da noi stessi, dal nostro essere, dalla nostra costituzione psichica che si deve orientare verso un senso di giusta misura e di bene comune. Ma più esplicitamente è la nostra coscienza morale che ci deve guidare, che può e deve agire dentro di noi e fuori di noi. Forse allora abbiamo bisogno di essenzialità, di togliere la pompa, di saltare le cerimonie e i riti del superfluo. Semplicemente dipende da noi, dipende da te . Forse, così facendo, la costruzione di un
senso si farà strada e sarà legata per esempio alla scoperta che possiamo essere indispensabili a qualcuno per un’ora o per tutta una vita. O ancora scoprire che le persone vengono prima dei principi e degli stili di vita e che esiste un individualismo da declinare continuamente in un monologo collettivo. Sempre dunque nella ricerca di un senso la dimensione del simbolico deve contenere il reale, perché l’esistenza è un percorso, un processo dove nulla è statico e dove l’altro è sempre forma di nutrimento , perché “ l’uomo senza l’uomo muore”. Un’ultima notazione voglio riservarla a un libro di recente pubblicazione. Il testo è “Avere” , l’autore è Paolo Virno, pubblicato da Bollati-Boringheri. L’angolo visuale è quello di un linguista che vede il verbo avere al centro delle nostre esistenze. La vita dell’uomo è costellata dall’avere, avere molte cose non solo materiali, avere progetti, pensieri, relazioni senza tuttavia coincidere con nessuna di queste. Paolo Verno ci dice dunque che il verbo avere “incarna perfettamente la natura relazionale dell’uomo, sempre in comunicazione con l’altro da sé”. Potremo concludere che non bisogna cercare il senso della vita perché la vita è già senso, racchiuso nella miracolosa stranezza di essere al mondo e di condividere questo mistero con chi ci è vicino. Di questo solo ci dobbiamo accontentare.
Mettiamo in cantiere i vostri sogni!
immobiliaregirasoli.it
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i mondi onirici di sicioldr Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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" La «Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
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“Io lavoro con i miei sogni o incubi” David Paul Cronenberg
l luogo non luogo di oggi, nel quale vi dò il benvenuto, è l'affascinate, oscuro e simbolico universo sospeso di Sicioldr (alias Alessandro Bianchi), giovane pittore surrealista/simbolista toscano, classe 1990, che vive e lavora tra Tuscania e Perugia. Ignota è l'origine dell'onirico pseudonimo "Sicioldr", sorta di mantra cui l'artista tributa valenza magica e di guida del suo percorso artistico. Sicioldr nasce e cresce a Tuscania, dove il
padre, pittore classico, lo erudisce sui fondamenti della pittura e stimola la sua curiosità da "scenziato della pittura" che lo porta a scoprire "il Libro dell'Arte" di Cennino Cennini, famosa guida ai metodi pittorici del XV secolo, contenente informazioni su pigmenti e pennelli, sulle tecniche della pittura e dell'affresco e numerosi consigli e "trucchi" del mestiere, ed a sperimentare tecniche e materiali di una volta attraverso la preparazione delle tavole secondo la tecnica antica,
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Sicioldr, Senza titolo
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CURIOSAR(T)E
Sicioldr, la Sibilla
il mescolare e macinare pigmenti, costruire e decorare cornici personalizzate, utilizzare sfumature chiaroscurali particolari, velature sottili, ecc. Sicioldr si esprime principalmente con la pit-
tura ad olio, la grafica (matite e matite colorate) e l'acquerello. Gli elementi ispiratori delle sue creazioni sono, come giĂ accennato, le visioni oniriche e l'eterogeneo background culturale individuale (un meltin pot di storia
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Sicioldr, la Musa
dell’arte, psicologia, esoterismo, mitologia, filosofia, storia, letteratura e scienza). Per quanto attiene alla poetica delle sue opere, lo stesso artista, nel corso di una intervista tempo fa ha affermato che "Le visioni da
cui nascono i miei quadri spesso si presentano sotto forma di impressioni che rapidamente appunto su taccuini‌ Ogni giorno mi sembra un miracolo, una magia, che un insieme di macchie di colore su di una superficie –
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Sicioldr, La nascita - The Birth
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levigate, scrostate, accarezzate, umettate – possano rendere l’illusione di un pensiero, di un’impressione di altri mondi che scaturisce dal profondo dell’anima”. "Con le mie opere voglio creare degli specchi, io le chiamo “immagini staminali”, come le cellule staminali, anch’esse si adattano al contesto. Quando l’immagine ha una certa potenza ognuno tende a rivedere se stesso in quella immagine, come la sentenza ambigua di un oracolo si presta a una moltitudine di intendimenti. Dunque io evito di dare qualunque interpretazione sui miei quadri". Le sue opere sono finestre su mondi differenti ed oltre la quarta dimensione, i personaggi sono maschere dai volti senza apparenti emozioni, se non quelle che l'interlocutore trasfonde loro e per questo, distanti ed allo stesso tempo vicine da un punto di vista emozionale, e
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CURIOSAR(T)E
Sicioldr, The Wayfarer
presentano vividi occhi che invitano ad entrare nelle storie raccontate, dove simboli, regni ed esseri si intrecciano tra loro ed avviluppano in modo intrigante l'osservatore riportando ad armonica unità l'insieme degli elementi rappresentati. Da un punto di vista metodologico e creativo, all'artista piace lavorare contemporaneamente su molti dipinti, assecondando i propri personali flussi creativi del momento. Suoi epigoni di riferimento sono certamente i maestri classici europei come Tiziano, Rembrandt, Leonardo Da Vinci, Raffaello, Jan Van Eyck, ecc , così come il simbolista Odilon Redon, spesso dall'artista citato, ma le sue creazioni aprono a molti altri parallelismi e similitudini: i suoi affollati mondi onirici sono più atei rispetto a quelli immaginifici di Hieronymous Bosch, con cromatismo meno accentuato di Redon, crepuscolari come in Bocklin e con aspirazioni immortali similmente a quelli di Odd Nerdrum; a livello nazionale, le atmosfere dei suoi lavori lo collocano sulla scia crepuscolare animata da Nicola Samorì e dagli "scuristi lombardi" (in particolare Agostino Arrivabene), ma con una gradevole salvaguardia dell'iconografia contro l'attuale imperante dematerializzazione del ritratto e del corpo ed una cifra artistica che viene caratterizzandosi sempre meglio e mettendosi a fuoco (talvolta anche grazie a contaminazioni figurative del miglior macrocosmo pop surrealista internazionale) nella rappresentazione dell’irrazionale, dell'inconscio, del fantastico, del mistero e dell'onirico. Dal 2014 espone regolarmente in Italia ed ha inoltre partecipato a collettive d'ar-
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Sicioldr, Sogno di Apollo
te a New York, San Francisco, Valencia, Dublino, Melbourne, Parigi, Manila e Bruxelles. Ha oltre 65.000 follower su instag r a m (https://www.instagram.com/alessandro_sicioldr/?hl=it) e altrettanti su
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F a c e b o o k (https://www.facebook.com/Sicioldr/). Il suo sito web lo trovate a questo indirizzo http://www.sicioldrart.com/
roBerto di costanzo: "roma. viaggio segreto con eros
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Palazzi storici, fontane barocche, ville monumentali in punta di china e di matita
”
U
na narrazione per immagini, un percorso visionario e onirico attraverso gli occhi di un gatto per rendere omaggio alle meravigliose architetture della Città eterna. È "Roma. Viaggio segreto con Eros", il libro dell’artista Roberto Di Costanzo, pubblicato per le Edizioni Efesto, nella collana in artem. Il volume, in libreria dal 3 dicembre è stato concepito durante il periodo del lockdown e ha come protagonisti due capisaldi della vita dell'artista: la sua amata Roma ed il suo gatto nero Eros. Ventidue disegni ad inchiostro di china e pastello che ritraggono Eros nel suo tour romano, partendo proprio dall’Atelier dell’artista situato in Via Giulia 111 e attraversando ponti storici, palazzi nobiliari, fontane barocche, ville monumentali, fino al rigore “metafisico” dell’Eur.
Per quest’opera artistica, Roberto Di Costanzo ha scelto i gatti di Roma, i veri anfitrioni che vivono liberamente la bellezza di una città millenaria... - si legge nella prefazione a firma di Paolo Maria Noseda che continua - un soggetto iconico e allo stesso tempo semplice per trasporre la metafora della libertà, della scoperta, del sapere acquisire un punto di vista privilegiato sulla vita, esibendo tuttavia un certo distacco e noncuranza, ma restituendo vita a materiali che sembrano solo apparentemente inanimati e tutto ciò attraverso una silente presenza di un gatto. Dopo anni di bianco e nero, i suoi paesaggi sono ora peculiarmente velati di colore e assumono un significato nuovo che è il simbolo della tridimensionalità dell’essere umano all’interno della sua esistenza. Una storia e un viaggio del-
l’anima." Illustratore, ritrattista, pittore. Dopo gli studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, si diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia in costume, scenografia e arredamento per il cinema sotto la guida del suo mentore, il Maestro costumista Piero Tosi. Comincia quindi a lavorare come illustratore per numerose case editrici italiane ed estere tra cui Azimut e Editions Nomades. Dopo molte mostre collettive e personali in Italia, presenta le sue opere all’Espace Pierre Cardin su invito dello stesso Pierre Cardin, ed entra in contatto con il pubblico di collezionisti francesi. I suoi lavori vengono poi esposti alla Casa dell’Architettura di Roma, all’Institut Français - Centre Saint-Louis e alla 71esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia durante la quale rende omaggio a Federico Fellini con una serie di illustrazioni a china ispirate ai suoi film. Al momento è insegnante di anatomia artistica e disegno dell’architettura presso l’Accademia Italiana. Dal 2018 conduce masterclass e seminari di disegno del paesaggio presso isole o dimore storiche, proponendo ai suoi
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allievi l’esperienza del disegno dal vivo en-plein air con grande successo di pubblico di tutte le età. Nel 2019 ha inaugurato il suo atelier in Via Giulia 111, nel cuore di Roma, dove propone corsi di disegno, mostre ed eventi culturali; l’atelier vanta come madrina dello spazio Anna Fendi, già estimatrice e collezionista delle opere del maestro. L'opera artistica nasce in occasione del quinto compleanno del felino Eros, notturno e fedele compagno dell'artista. Per la ricorrenza Roberto Di Costanzo affida al suo amato gatto la narrazione poetica e segreta della città vuota, dall'arcobaleno di Villa Pamphilj, al tramonto sulla Piramide Cestia, fino alla luna piena, che illumina San Pietro, su Via Piccolomini.Nel carnet de voyage, dedicato al suo maestro Piero Tosi, l’artista intende destinare al suo pubblico di estimatori ed allievi un forte messaggio di tenacia e di speranza, nel quale la difficoltà del momento storico vissuto può diventare opportunità creativa, trasformando la sofferenza in vera bellezza.
Francesco Zavattari, Eitch-Borromini, Roma, 2020
roma da Palazzo PamPhilj gli scatti in e out di zavattari
“
Una inedita serie fotografica realizzati dalla storica dimora disegnata da Borromini oggi sede del prestigioso hotel Eitch Borromini
”
ROMA. Tutto il fascino di Roma, la magia di piazza Navona da insoliti e intriganti punti di vista. Prospettive inedite e ricercate dallo sguardo dell’artista Francesco Zavattari, impegnato recentemente in un servizio fotografico che lo ha portato all’interno del Collegio Innocenziano, ramo di Palazzo Pamphilj, sede dell’Eitch Borromini. Da questa straordinaria dimora storica, disegnata dal Borromini autentico scrigno d’arte con gli affreschi settecenteschi e le sculture presenti, è possibile ammirare tutta la bellezza della fontana dei Quattro Fiumi del Bernini, la maestosità della chiesa di Sant'Agnese in Agone, la grandiosità di Piazza Navona e poi i tetti di Roma e lo sguardo da quelle altezze può sconfinare dalla cupola del Pantheon a San Pietro. Eitch-In" Ed "Eitch-Out": è questo il nome dato alla serie fotografica che è possibile ammirare sul sito ufficiale e le pagine social dell’artista toscano.
Catturare la luce degli ambienti fotografati nella maniera più naturale possibile, questo l’intento. Nessun tipo di cavalletto, flash e luci supplementari, questa la scelta. Una vera sfida tecnica che ha connotato sempre più la firma di Francesco Zavattari a livello internazionale, in particolare a fronte della serie "Timeless", un progetto in divenire che nel 2019 lo ha visto al Museum Speelklok di Utrecht in Olanda, poi negli spazi dell’Hospital de Bonecas di Lisbona, con la cura di Clàudia Almeida, e a Londra nel The Cinema Museum, portando tale chiave espressiva tecnico/concettuale ai più alti livelli. Con questo principio è stata colta la bellezza dell'Eitch Borromini di Roma. L’artista ne ha indagato intimamente gli spazi, le architetture, cogliendo i giochi di volume e di luce nonché le viste panoramiche attraverso una chiave di lettura del tutto differente rispetto alla consueta fotografia solitamente realizzata in ambito ricettivo.
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Francesco Zavattari, Eitch-Borromini, Roma, 2020
«Negli anni ho fotografato Roma molte volte, anche per importanti servizi pubblicati su riviste internazionali, ma questa è una suite di immagini uniche perché, pur offrendo un'ampia veduta sulla Capitale, sono state tutte realizzate dallo stesso edificio.» racconta l’artista. «Dettagli unici e interni caratterizzati dai delicati contrasti di cromie calde e fredde: un tripudio d'arte elevato da un fine intreccio di luci e ombre così come Borromini stesso volle creare, anche con una straordinaria progettazione di doppie finestre poste a livelli differenti in grado di irradiare in modo dolce ma deciso. Abbiamo scelto di suddividere l'intera suite di immagini in due sezioni che riprendono il concetto di "CheckIn" e "Check-
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Francesco Zavattari, Eitch-Borromini, Roma, 2020
Out". Ecco quindi "Eitch-In", dedicata agli scatti inerenti gli interni di questo splendido luogo, e "Eitch-Out", uno sguardo non solo su Piazza Navona ma sulla città intera, colta dalla peculiare prospettiva di questa incredibile dimora.» Scatti in notturno o in piena esposizione, inquadrature che emozionano nel rivelarci la bellezza monumentale della Città Eterna, il respiro della storia catturato in ogni scorcio. «Questi scatti sono un modo per augurare a tutti voi che seguite il mio e nostro lavoro, splendide festività all'insegna della bellezza. Sono però anche un omaggio a tutte quelle attività che stanno soffrendo importanti disagi in funzione della situazione sanitaria. Una volta che il mondo sarà "riaperto" saranno proprio loro a dare un importante impulso per tornare a godere della normalità
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Francesco Zavattari, Eitch-Borromini, Roma, 2020
di tutti i giorni. E ringrazio la famiglia Doria Pamphilj e il General Manager Daniele Zarfati per la squisita collaborazione ed entusiasmo.» La pandemia ha fatto posticipare la personale in America ma Francesco Zavattari, instancabile, ha dato vita a nuovi entusiasmanti progetti come l’iniziativa, anche questa fotografica, #restiamolegati e la creazione “Color State of Mind - On Air!” il podcast attraverso il quale parlare di colore. «Con il Covid tutti gli schemi sono cambiati spostando tutto sul digitale e attività divulgative che avrei dovuto svolgere in presenza si
sono quindi trasformate in dirette live come una specifica lezione di Color State of Mind dedicata a Rembrandt e Van Gogh svolta in esclusiva per il Rotary Club The Hague Metropolitan, “Restart360” una visita virtuale e immersiva di una delle mie più celebri serie che per 808 giorni è stata presente al Museo degli Strumenti per il Calcolo e Museo degli Strumenti di Fisica e la presentazione del mio nuovo catalogo “Ad Maiora”, realizzato interamente in pieno loockdown attraverso un lavoro internazionale ed edito da Il Raggio Verde.» (an.fu.)
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la copertina del volume edito da Il Raggio Verde
il culto di santa lucia nella sicilia siracusana Raffaele Polo
“
Il nuovo lavoro dello studioso Dario Bottaro sulla pittura aretusea
”
C
'era bisogno di un testo come questo. Una interessante ed esaustiva ricerca, attraverso i comuni della Sicilia, legata al culto di Santa Lucia per la quale, in verità, l'attenzione si ferma allo splendido dipinto di Caravaggio, finalmente restaurato e installato nella sua sede ottimale, ovvero nella Chiesa che domina la piazza di Siracusa, proprio dove si svolgono i tradizionali festeggiamenti per la Santa, tra voli di colombe e lancio di pani appena sfornati... Non c'è solo Caravaggio, insomma. E questo testo, ricco di immagini e di documentazione, lo testimonia abbondantemente, portandoci in giro nel Sud dell'isola, a ri-scoprire affreschi e pale d'altare altrimenti trascurati e sconosciuti. L'autore, Dario Bottaro, ci presenta così il suo 'Santa Lucia nella pittura aretusea - pale
d'altare e dipinti devozionali nelle chiese della provincia di Siracusa' (Il Raggio Verde edizioni, 10 euro) : “Avvicinarsi alla figura di santa Lucia può significare tante cose. Fede, devozione, storia, arte, culto, cultura, tradizioni popolari e molto altro. Il mondo di Lucia è un mondo pieno di sfumature che, da studioso siracusano, penso meritino di essere ricercate, incontrate, vissute e approfondite. Nell’incontrare Lucia c’è la gioia della luce che si rivela poco per volta, illuminando le pieghe del passato e rendendole nitide. Certamente questo studio non ha la pretesa di essere un lavoro completo in tutte le accezioni del mondo di Lucia, ma cerca di gettare nuova luce sulle testimonianze artistiche che, come veri e autentici tesori di arte e di fede, è possibile conoscere e osservare
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percorrendo le strade della provincia di Siracusa, entrando nelle chiese dei tanti paesi che ne fanno parte, curiosando con lo sguardo all’insù, alla ricerca delle opere che la ricordano e la rappresentano. Per questo motivo, mi auguro che ciò che in queste pagine è presentato, possa suscitare il desiderio di riscoprire la nostra storia e la bellezza di una devozione che oltrepassa i confini della fede, diventando oggi, memoria e identità del territorio aretuseo.” Ed è estremamente interessante il percorso geografico che l'autore ci propone, attraverso l'esame delle Pale d’altare situate a Siracusa, chiesa di S. Lucia alla Badia, Martirio di S. Lucia; Augusta, chiesa Madre, Trinità con S. Emidio e S. Lucia; Avola, chiesa di S. Giovanni Battista, Martirio di S. Lucia; Buccheri, chiesa Madre, Madonna della cintura con i Santi Benedetto, Scolastica, Lucia e Agata; Buscemi, chiesa di S. Antonio di Padova,Viatico di S. Lucia; Buscemi, chiesa Madre, L’arcangelo Raffaele e Tobia con S. Lucia; Canicattini Bagni, chiesa delle Anime Sante del Purgatorio o di S. Nicola, Seppellimento di S. Lucia; Carlentini, chiesa Madre, Madonna col Bambino e
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S. Lucia; Ferla, chiesa di S. Sofia, Madonna del Gonfalone tra le sante Lucia e Apollonia; Floridia, chiesa Madre, Martirio di S. Lucia; Melilli, basilica di S. Sebastiano, Martirio di S. Lucia; Melilli, chiesa dello Spirito Santo, Martirio di S. Lucia; Noto, chiesa della Madonna del Carmine, Martirio di S. Lucia; Noto, chiesa di S. Antonio Abate, Martirio di S. Lucia; Palazzolo Acreide, chiesa di S. Antonio Abate, Martirio di S. Lucia; Sortino, chiesa di S. Antonio Abate, Martirio di S. Lucia. Sono presenti importanti dipinti ad Avola, chiesa della S. Croce, S. Lucia; Belvedere, chiesa di S. Maria della Consolazione, Viatico di S. Lucia; Buccheri, chiesa di S. Maria Maddalena, S. Lucia; Francofonte, chiesa Madre, Martirio di S. Lucia; Noto, chiesa di S. Chiara, S. Lucia; Noto, chiesa di S. Antonio Abate, S. Lucia; Priolo Gargallo, chiesa dell’Immacolata Concezione, S. Lucia; Sortino, chiesa di S. Sebastiano, S. Orsola con S. Lucia, S. Agata, S. Maria Maddalena, S. Sofia e sante
Tamburellisti di Torrepaduli, foto Andrea Rizzo, ARTEN
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tamBurellisti di torrePaduli la via dell’armonia
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On line il nuovo album. Continua il viaggio tra tradizione e innovazione per generare bellezza
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La vita è un sogno, Balla Afrodite, Mani di ragno, Cantico nuovo, Extraterrestri a Creta (ft. AR10), La via dell’armonia (ft. Nandu Popu), Il ritmo dell’armonia, Spunta la luna, Pizzica erotica. Sono i titoli dei nove brani inediti del nuovo lavoro discografico dei Tamburellisti di Torrepaduli. Nove tracce per raccontare una pizzica onirica, utopica, erotica, secondo la cifra dei Tamburellisti di Torrepaduli - Pierpaolo De Giorgi (chitarra e voce), Donato Nuzzo (tamburello e fisarmonica), Rocco Luca (tamburello), Gioele Nuzzo (percussioni e didgeridoo), Michele
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Wilde (violino) - che per questo album vediamo insieme a due eccellenti collaborazioni: Nandu Popu (Sud Sound System) nel brano “La via dell’armonia”, che dà il nome all’album, ed AR10 (Andrea Rizzo) in “Extraterrestri a Creta”. «Un viaggio dell'uomo nel proprio abisso alla ricerca di un fine o di una fine, un'anima persa tra sogno e vita reale che si chiede dove sia la via dell'Armonia, se esista davvero». E in un tempo che impone sempre più bilanci e critiche introspezioni la musica può essere ancora di salvezza, approdo per l’anima che si ritrova nella cultura ance-
Tamburellisti di Torrepaduli, foto Andrea Rizzo, ARTEN
strale della propria terra di appartenenza, una culla salentina dove danzare a ritmo di pizzica sui suoni del profondo Sud del mondo. Tra i più amati ed apprezzati musicisti della tradizione pugliese, i Tamburellisti di Torrepaduli sono stati tra i primi, sin dagli anni Novanta, a rivalutare la pizzica secondo l’assunto “L’innovazione consisterà nel riprendere l’antico incrementandone la forza espressiva e producendo nuova bellezza.” Durante una ricerca del 1989, lo studioso Pierpaolo De Giorgi incontra il depositario Amedeo De Rosa. Nel 1990 i due, assieme ad un nutrito drappello di giovani danzatori e percussionisti, fondano lo storico gruppo dapprima denominato “Pierpaolo De Giorgi e i Tamburellisti di Torrepaduli”. Nel corso dei primi anni Novanta i Tamburellisti di Torrepaduli, con i loro concerti inediti e pionieristici, divengono i protagonisti della riaffermazione della dimenticata pizzica pizzica musica e danza attorno a cui in passato gravitavano i valori universali del culto di Dioniso e della Madre Terra. La cultura popolare viene utilizzata a tutto campo ma non ripetuta in forma banale o pittoresca, in osservanza dei precetti del grande musicista ed esperto Béla Viktor János Bartók. Il gruppo riprende la musica che guarisce i “tarantati” dalla malinconia, spesso riela-
bora o reinventano musiche, testi e danze, si ispira alle grandiose tradizioni del tamburello e della danza-scherma di Torrepaduli (Ruffano-Lecce), dove ogni anno, il 15 agosto, rivive una cultura antichissima legata al Santuario di San Rocco. I Tamburellisti di Torrepaduli vantano la collaborazione di Paolo Pellegrino, docente di estetica dell’Università degli Studi di Lecce, del grande poeta greco Nikos Bletas Dukaris, di Antonio Anchora, ambasciatore dell’ellenismo nel mondo nominato direttamente dal governo greco e dell’influente Dr. Ioannis Koutsandreas. Recuperano anche il grico della cosiddetta Grecìa salentina, lingua sopravvissuta dopo la colonizzazione magnogreca e la dominazione bizantina, cantandone alcuni brani significativi e scrivendone di nuovi. E nel 1998 sono sul palco della prima edizione del Festival de La Notte della Taranta. Il virtuosismo delle percussioni, le tecniche vorticose della danza e i contenuti artistici e poetici delle loro canzoni sorprendono e conquistano il pubblico e non si contano le esibizioni in tutto il mondo, in teatri prestigiosi e persino nel Cortile della Pigna dei Giardini del vaticano (2019). E dallo storico “Fantastica pizzica” del 1991, sono seguiti tantissimi album di successo: “Pizzica e trance” del 1995, “Pizzica
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e rinascita” con più di ventimila copie vendute nel 2000 e diffuso a livello nazionale, “Il tempo della taranta: pizzica d’autore” del 2003, “Pizzica grica” del 2006 molto noto in Grecia, “Taranta taranta” del 2009, “La via della taranta” del 2013, che contiene anche una pizzica in inglese, “La grande pizzica” del 2017 e a tre anni di distanza “La via dell’armonia: pizzica d’autore” prodotto da Tamburellisti di Torrepaduli ed ARTEN (cui è affidato il management del progetto) con il sostegno di Puglia Sounds. «Quest’album è un lavoro collettivo scritto,
suonato e cantato con entusiasmo ed emozione. Abbiamo utilizzato gli stilemi e i caratteri più significativi della tradizione per creare un’opera innovativa di taglio attuale che metta in evidenza le potenzialità universali della pizzica” – sottolinea Pierpaolo De Giorgi (membro del gruppo) – “Poesia contemporanea, versi antichi, melodie intriganti e virtuosismo si mescolano a un ritmo ancestrale, cardiaco e terapeutico in grado di gettare luce sull’armonia profonda che anima la pizzica e di cui tutti oggi abbiamo un grande bisogno.» (an.fu.)
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naPoli eden in corsa Per le nomination agli oscar 2021
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Dopo aver vinto otto premi internazionali il documentario sull’artista Annalaura di Luggo diretto da Bruno Colella entra nei titoli in gara come miglior “Feature Documentary”
Cinema, società e ambiente in settantaquattro minuti. Coniugando emergenza ambientale e inclusione sociale e mostrare come rinascita etica e culturale possano concretizzarsi anche in zone considerate difficili come i Quartieri spagnoli . Tutto questo e ancora di più è Napoli Eden, il documentario (durata 74’) sull’artista Annalaura di Luggo diretto da Bruno Colella, che supera la difficilissima barriera d’ingresso al concorso degli Academy Awards ed entra nei titoli in gara agli Oscar 2021 come miglior “Feature Documentary”. Dopo aver svolto il percorso di qualificazione con proiezioni negli Stati Uniti ed aver ottenuto ottime recensioni, tra cui quella di Hap Erstein (membro del Florida FIlm Critics Circle), NAPOLI EDEN entra nella lista delle opere in corsa per le nomination dell'Academy che saranno annunciate il 15 marzo 2021. NAPOLI EDEN è il viaggio creativo percorso dall’artista Annalaura di Luggo un’artista che ama le sfide e cerca
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sempre soluzioni superando difficoltà tecniche e burocratiche. Il film racconta la sua ultima avventura, la realizzazione di quattro monumentali sculture in alluminio riciclato da installare nei luoghi più significativi della città di Napoli come simbolo di rinascita e riscatto. La necessità di un confronto con la città e con la sua stratificazione sono l’input da cui è nato il progetto artistico e documentaristico “Napoli Eden”, volto a sensibilizzare, attraverso il linguaggio dell'arte, sull'importanza della tutela dell'ambiente e sull'inclusione sociale. Così, un colorato manipolo di “scugnizzi” dei Quartieri Spagnoli si è trovato coinvolto dalla protagonista nella costruzione di uno stupefacente albero fatto di scarti in alluminio e lo stesso materiale di risulta si è trasformato in abiti scultura. In Napoli Eden vedremo Annalaura intrufolarsi disinvoltamente nei vicoli suscitando incomprensioni della gente del posto disarmata dalla lucida follia e dall’estro creativo dell’artista la quale darà vita ad un’emozio-
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nante esperienza destinata a lasciare un segno. Le opere di Napoli Eden sono state successivamente esposte anche agli Studios de Paolis di Roma (agosto 2020) e al Citylife di Milano (dicembre 2020-gennaio 2021). Qualificato film d'essai Napoli Eden è stato selezionato dal MAECI (Ministero degli affari Esteri) nell’ambito del “Progetto Promozione Paese Italia nel mondo” attraverso il Cinema di settore relativo all'arte, con proiezioni in tutti gli Istituti Italiani di Cultura all’estero a cura del MAECI. Il documentario è già vincitore di 8 Premi Internazionali, tra cui Miglior Documentario all’Impact DOCS Awards California 2020, all’Hollywood Gold
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Awards 2020, al Venice Film Festival 2020 e all’Age d’or International Arthouse Film Festival 2020 e di una Menzione Speciale della Giuria Critica ad Annalaura di Luggo al Social World Film Festival (Vico Equense) 2020. Prodotto da Annydi Productions e Annalaura di Luggo, con la regia di Bruno Colella, il docufilm Napoli Eden è impreziosito dalle musiche di Eugenio Bennato e dalla fotografia di Blasco Giurato. Insieme all’artista Annalaura di Luggo e la partecipazione di Francesco Gallo Mazzeo, Olindo Preziosi, Eugenio Bennato, Enzo Gragnaniello, Nino Frassica, Patrizio Rispo ci sono i ragazzi dei Quartieri Spagnoli. https://www.napo lieden.com
La cattedrale di Noto simbolo di un'intera area della Sicilia, quella sud orientale che appunto anticamente era il Val di Noto, foto Dario Bottaro
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il dono della gioia. la valle dei sorrisi Dario Bottaro
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Val di Noto, terra di bellezza, di speranza e di sorrisi. Qui opera l’associazione “ I Sorrisi degli ultimi” ve la raccontiamo
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ze” per dirla con le parole di Tea Ranno - affermata romanziera originaria di Melilli, caratteristico paese definito la terrazza degli Iblei in provincia di Siracusa - che da questa terra strappa ricordi e amore trasformandoli in storie che spargono bellezza. E cos’altro può esprimere la bellezza di un gesto autentico se non speranza per chi ci circonda e incrocia le strade di chi, di una certa bellezza interiore si è fatto strumento e portavoce? A Noto, perla del Barocco patrimonio dell’umanità c’è un’altra fonte di bellezza di cui – permettetemi dirlo – la nostra terra e la nostra società hanno bisogno urgente in questo momento storico e specialmente in questo periodo di difficoltà sociale ed economica che stiamo vivendo. Questa “bellezza sociale” altro non è
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La Sicilia è terra di bellezza intesa in mille sfumature, da quelle testimonianze antiche che raccontano la storia millenaria di questa terra, alle realtà che in essa convivono, nascono, affondano le loro radici e s’intrecciano come un grande rampicante affacciato sul mare. Un mare che bagna l’isola d’Europa, che la rende affascinante e misteriosa, carica di una forza al confine tra il cielo e la terra. È la bellezza autentica, trasmessa dai popoli, dalle dominazioni che qui hanno lasciato un seme che è diventato albero e poi frutto. Il Val di Noto come anticamente si chiamava il territorio della Sicilia Orientale, ha avuto tanti semi che si sono trasformati in alberi e hanno dato i loro frutti e questi frutti non sono altro che la bellezza, esteriore sicuramente ma, spesso anche silenziosa e invisibile, fatta di gesti e di “amurusan-
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Raffaele Baglieri presidente dell’associazione “I sorrisi degli ultimi”
che un’associazione chiamata “I Sorrisi degli Ultimi”, che come seme di bellezza e missione principale ha il desiderio e l’obiettivo di regalare sorrisi ai bambini che vivono il dram-
ma della malattia. Presidente di questa realtà che si è costituita sul finire del 2019 è Raffaele Baglieri, un gigante buono e sempre sorridente che insieme ad altre otto persone ha
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deciso di trasformare l’esperienza del dolore in fonte inesauribile di sorrisi e gioia attraverso l’attenzione ai più piccoli che purtroppo convivono con patologie oncologiche. “I Sorrisi degli Ultimi” è una macchina di solidarietà che collabora nel territorio regionale e nazionale, attraverso iniziative benefiche rivolte proprio ai bambini ricoverati
nei reparti di oncologia infantile delle diverse strutture sanitarie. Partendo proprio dalla città siciliana della bellezza per eccellenza, Noto, e dalla chiesa del Sacro Cuore il cui parroco è il referente spirituale dell’associazione, i giovani volontari sono costantemente attivi nel cercare di donare un sorriso ai bambini, predisponendo iniziative benefiche che si tra-
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ducono concretamente nella raccolta di giocattoli da portare poi ai piccoli degenti, regalando loro un sorriso. Lo spirito dell’associazione però non si ferma solo a questo gesto di carità ma, andando ancora più in là abbraccia anche le famiglie di questi bambini, donando loro la possibilità di un supporto psicologico, legale ed anche ulteriori aiuti concreti nel caso in cui le famiglie ne avessero necessità. Non sono rari, infatti, i casi in cui alcune famiglie sono costrette a lasciare le città di origine per recarsi in altre località, dove i bambini possono essere meglio curati ed assistiti e così, anche in questo caso, i volontari dell’associazione si organizzano facendo rete, contattando le strutture e facendo in modo di sostenere i nuclei familiari che vivono il dramma della malattia. La “Creatura” come amorevolmente viene chiamata l’associazione, ha messo radici forti nel territorio regionale e in alcune occasioni anche nel resto d’Italia, portando la gioia di un sorriso ai bambini ricoverati, facendo esperienza continua di una realtà forte, che a volte spacca il cuore, ma che con i sorrisi dei piccoli guerrieri si trasforma sempre in momenti di gioia vera che attraversa il cuore e scorre come sangue nelle vene e, lo sappiamo
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bene, il bene genera altro bene, in una lunga catena di solidarietà che coinvolge sempre nuove persone che sposano la causa di questa associazione e si danno da fare per donare un sorriso. Per fare solo qualche esempio, grazie ai volontari de “I Sorrisi degli Ultimi” sono state organizzate tante feste per questi bambini, in alcune strutture di Catania, Messina e Palermo, ma anche a Lecco e Taranto. Tante altre iniziative hanno consentito, ad esempio a Catania, di donare un frigorifero alla casa Famiglia Ibiscus e un computer e materiale didattico alla scuola interna del reparto oncologico pediatrico, mentre a Messina è stato possibile sostituire tutti i divani letto a disposizione delle mamme nel reparto oncologico pediatrico di Messina. Come succede tutto questo? Con la condivisione di molte persone che, anche nel silenzio, operano a favore di questa realtà, sposandone la missione e sostenendola con tutti i mezzi a disposizione, generando bene su bene e diffondendo bellezza. Di bellezza abbiamo bisogno, di gioia e di solidarietà, perché è questo il motore del mondo, la bellezza autentica che sgorga come un fiume dal cuore di uomini e donne che, fra i tanti impegni della vita, riescono a ritagliare uno spazio per condividere e aiutare il prossimo. Di questa “Creatura” si parlerà
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I luoghi nella rete
sicuramente ancora per molto tempo, perché i volontari sono instancabili nella loro missione e non perdono occasione per condividere la loro gioia con gli altri. Guardare le foto delle consegne dei giocattoli è solo un piccolo tassello di bellezza, che riempie il cuore e ci rende tutti capaci e consapevoli di quanto sia importante essere uniti per portare avanti un progetto di solidarietà che altro non è che manifestazione di un cuore grande, che ha saputo ribaltare l’evidenza del dolore, trasformandolo in occasione di gioia. E come sempre in tutte le realtà che si muovono nel sociale e sono riconosciute, c’è un simbolo che accompagna ogni viaggio verso un nuovo incontro di sorrisi, e nel caso della “Creatura” il simbolo è un cuscino. Un oggetto semplice ma, dal profondo significato che in un certo senso sostituisce la fredda targa. Il cuscino, come spiega Raffaele Baglieri, è simbolo di sollievo. Quel sollievo cercato e desiderato dai bambini, dalle loro famiglie, ma anche dai medici e dagli infermieri di questi reparti. Il cuscino de “I Sorrisi degli Ultimi” è non solo simbolo di sollievo, ma anche e soprattutto di sostegno per tutti coloro che in modi diversi, vivono anche momenti di stanchezza nella realtà della malattia. Cominciamo dunque questo nuovo anno, il 2021, con la consapevolezza che aiutare gli altri è un atto meraviglioso, che ci riveste di nuova luce, ci fa riflettere, ci aiuta ad andare oltre le nostre idee, ci consente di aprire il nostro cuore al valore della vita e ci fa amare di un amore che non conosce confini e prende sotto braccio le difficoltà, camminandoci insieme, a piccoli passi, fiduciosi che donare un sorriso è una delle gioie più grandi che ogni essere umano può sperimentare.
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Foto di Free-Photos da Pixabay
addio 2020 Benvenuto 2021 Giusy Gatti Perlangeli
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i Luoghi della poesia
Auguri in punta di biro
Passerà alla storia come l’Anno della Grande Pandemia Planetaria questo 2020. Abbiamo pianto le vittime di questa e di altre malattie, persone che non abbiamo mai visto ed altre che abbiamo conosciuto, di cui ci piaceva la risata, lo sguardo, il sorriso. Abbiamo pianto per le colonne di camion che trasportavano bare, per coloro che hanno sofferto e sono morti da soli e per quelli che sono stati lasciati soli nel dolore. Abbiamo visto diventare vittima chi era preposto a curare, i medici, gli infermieri, il personale sanitario tutto. Gli studenti, i docenti hanno preso la scuola in mano e l’hanno rivoltata come un calzino, creando legami che non conoscono distanze, o schermi, o microfoni. Siamo stati disciplinati, rispettosi delle leggi, abbiamo scoperto che spesso l’autorità ha come finalità il bene comune, abbiamo sperimentato che “si può fare”, che l’individuo e la collettività possono interagire per un fine più alto.
Un Paese si è unito, la pandemia ha “fatto gli italiani”. E perciò non me la sento di apostrofare questo 2020 con gli epiteti che leggo sugli stati dei social. È vero: la nostra libertà personale è stata limitata. Penso ai bambini, ai ragazzi, agli anziani…che sono stati fortissimi e pazienti. Penso a chi non ha potuto far ritorno al nido… Ma penso che molti di noi non si sono ammalati, che hanno vissuto cose belle, che hanno potuto riabbracciare un figlio…che un anno di vita è un anno di vita…prezioso, unico, irripetibile. Non so se quello che viene sarà migliore: sarà come sarà e lo affronteremo con coraggio…come la vita.
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Perciò dico “addio” a questo strano anno e conosce; non la vita passata, ma la futura. dico “benvenuto” all’anno nuovo che non Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a tratvoglio caricare di troppe responsabilità. tar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero? L’importante è esserci, anche tra gli ostaco- Venditore: Speriamo. li e gli imprevisti. Esserci per poter contribui- Passeggere: Dunque mostratemi l’almanacre. co più bello che avete. Esserci per migliorare. Venditore: Ecco, illustrissimo. Cotesto vale trenta soldi. Esserci per vivere. Passeggere: Ecco trenta soldi. Auguri a tutti. Venditore: Grazie, illustrissimo: a rivederla. Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi” “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si Giacomo Leopardi, Operette Morali
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LUOGhI DEL SAPERE
#ladevotalettrice | le recensioni di lucia accoto “ragazze lontane” di isaBella nicora
ISABELLA NICOIRA Ragazze lontane Project Editore 2020 ISBN 978-8894918496 pp.198 € 15,10
#recensione #luciaaccoto #recensore #giornalista #libri #ladevotalettrice
Ci sono cose che passano, svaniscono, si perdono. Insieme ad esse si sgonfiano anche i sentimenti. Si spengono. La famiglia, invece, resta attaccata alle sue radici, anche quando va via un pezzo, un nome, si fissa nei ricordi. Nel cuore, la famiglia, c’è sempre stata e lì starà fino all’ultimo respiro. La famiglia è importante, fondamentale. È l’abbraccio che ti fa allentare i muscoli, le difese. È come l’acquasantiera a cui ti avvicini con riverenza per sentirti bene, in pace, consacrato agli affetti ed alla vita stessa. Se sei quello che sei lo devi all’inizio, alla famiglia. Puoi cambiare, prendere strade sbagliate, intossicarti di una moralità becera, rinnegare quello che ti è stato insegnato, ma lo sai che in fondo ti sei perso da solo anche se la famiglia è pronta ad accoglierti, a metterti in piedi. Puoi stare lontano quanto vuoi, per necessità o per scelta, ma non dimentichi mai quello che hai vissuto e che è rimasto tatuato nell’anima. Allora, torni bambino e respiri la bellezza che hai respirato, che ti sei messo addosso, fatta di sorrisi dati e ricevuti, di sguardi che avevano le parole negli occhi, che ti dicevano ogni cosa, che non riuscivano ad uscire dalle labbra, per timidezza o perché si è ruvidi anche con un cuore grande. Nel romanzo Ragazze lontane di Isabella Nicora non sei mai solo. Sei parte della famiglia Manzi, senti e ti affanni con loro, come loro. Sei questo o quel personaggio, tutti hanno una capacità di trasmetterti quello che ti manca, che vuoi. Da ognuno prendi qualcosa, ti affianchi a loro perché ti senti sicuro, al posto giusto. Giovanna e Salvo, marito e moglie, sono costretti ad abbandonare la loro casa, in Abruzzo, perché un gruppo di tedeschi ne fanno il loro quartier generale. I Manzi, con tre figli al seguito ed un altro in arrivo, vanno a vivere in una grotta. Soffrono patimenti, fame, freddo, ma abbracciano la solidarietà degli amici e l’amore della famiglia che non barcolla dinanzi agli stenti e alla paura. Poi, il trasferimento a Roma, dopo la fine della guerra, ed i sacrifici, il tormento per i figli e la solidità dell’amore che fa della famiglia l’unico posto vero del cuore. Casa. Delicato ed autentico lo stile narrativo. La storia è ben scritta e il lettore è un tutt’uno con essa. Entra in uno spaccato di vita, circa un secolo di storia, che si aggiunge alla sua. Una ricchezza da mettere da parte, da conservare e ricordare. Il romanzo è ricco anche di non detto, quello che il lettore avverte, sente, legge tra le righe e fa suo. La scrittrice è stata generosa, nella storia, per come l’ha fissata su carta, e per le emozioni che ha sprigionato pagina dopo pagina. Il libro è un profumo, che resta ed annusi quando hai bisogno di ricordi, di amore, di famiglia.
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“di un romanzo ai temPi di instagram, e di una storia d’amore” di alice gransassi ferretti
ALICE GRANSASSI FERRETTI “Di un romanzo ai tempi di instagram e di una storia d’amore” Gruppo Albatros Il Filo 2020 pp.212 €14,90 ISBN 9788830626591
Guardarsi ancora e ancora. Gli occhi sanno parlare e raccontano cose che restano, spesso, bloccate in gola. Ci sono momenti di labbra che andrebbero consumati con la voce. Baciarsi con le parole, con un confronto alla pari, diretto, dirompente, prepotente, vero, sincero. Ecco, parlare a due a volte è come un bacio. Eppure, è lo sguardo che cerchiamo. Gli occhi svelano ciò che resta taciuto. Quando si ama non si cammina mai a testa bassa, si ha più di un motivo per vedere oltre come se da un momento all’altro cambiasse il mondo. Guardarsi, in amore, significa spalancare le braccia alle emozioni. Accogliere e sentire il profumo della felicità, di ciò che è bello e ci fa star bene. Guardarsi è anche il momento della verità, che non sfugge anche se vorremmo essere in fuga dall’evidenza. Non serve a nulla mettere delle pezze sui tagli che le storie complicate, autentiche, hanno sempre e comunque. Le favole esistono nei libri e nella fantasia. La favola la viviamo nell’istante in cui ciò che vogliamo sia fiato, respiro, farfalle nello stomaco, sorrisi. Guardare, invece, le cose come stanno quando non vanno bene porta il freddo nel cuore. Si deve scendere in fondo al disfacimento di se stessi per uscirne, nuovi. Per guardare e guardarsi ancora. In Di un romanzo ai tempi di Instagram, e di una storia d’amore di Alice Gransassi Ferretti respiri tutto quello che ruota attorno all’amore. Ad un amore tra una psicologa e un editore. Un amore fatto di tante cose, di lasciate e prese, di condivisione, di ostinazione, di sguardi, di poche parole e di tante altre sputate per rabbia. Nessuno dei due dimentica, si fanno un po’ più in là per vivere e respirare. Per guardarsi ancora e ancora. Il romanzo è ben strutturato. Lo stile narrativo è avvolgente. La scrittrice sa come coinvolgere il lettore e portarlo dentro alla storia senza alcuna forzatura. Sorprendenti i colpi di scena, non sono mai abbastanza. Quando il racconto pare appianato dai fatti tutto è ribaltato. Nulla è scontato, tutto è emozione. Non puoi cambiare niente, solo sentire le vertigini dell’amore.
Per l’invio di libri da recensire scrivere a redazione@arteeluoghi.it
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dalsalentocafé | le recensioni di stefano camBò
LUOGhI DEL SAPERE
il coraggio nasce col sole il romanzo di valessandra Politi
ALESSANDRA POLITI Il coraggio nasce col sole Esperidi 2019 ISBN 9788855340113 pp.456 € 18
Che cos'è il coraggio? O meglio… Cosa rappresenta? Per qualcuno potrebbe riguardare semplicemente una forma d'azione che richiede una certa dose di adrenalina con annesso rischio e pericolo. Per altri potrebbe essere legato al labirintico mondo dei sentimenti. Per Alessandra Politi, autrice del libro che stiamo prendendo in considerazione, questa parola racchiude più significati e di conseguenza più sfaccettature. Con Il coraggio nasce col sole (pubblicato da Edizioni Esperidi), la scrittrice ci porta a scavare dentro noi stessi e a trovare le risposte nell'intimo delle nostre paure, sfidando anche il destino lì dove fosse necessario. Perché, come sottolinea in un bel passo del libro, "a volte si ha la sensazione che non siamo noi a scegliere il nostro destino, ma è il destino che sceglie noi… E bisogna anche accettare questo pensiero con una falsa serenità." E così, leggendo le pagine del romanzo, entriamo in punta di piedi nella vita di Sara Baroncini, una giovane e brillante giornalista che decide di prendere di petto la vita e di credere nell'amore, quello con la A maiuscola, che ti rempie e ti stordisce per la sua bellezza. Ma che ti fa anche cadere quando meno te lo aspetti, mostrandoti all'improvviso l'altra faccia della medaglia… Perché, il sentimento nascosto in questa semplice parola sfugge a qualsiasi interpretazione, coinvolge e travolge il cuore di chi intende accoglierlo e spesso come il coraggio… Nasce col sole! Soprattutto quando l'alba si avvicina e la notte fuori sembra essere ancora più buia.
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Faro di Punta PalascÏa (Otranto), foto di Stefano Cambò
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il salento: tra Borghi, mare e tante Belle commedie Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema scopriamo i più bei set naturali della provincia di Lecce
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migliori, facendo conoscere i suoi bellissimi paesaggi anche fuori dai confini nazionali. Lo stravagante connubio, però, sembra riguardare particolarmente un genere ben
I luoghi del cinema
Negli ultimissimi anni è sbocciato l’amore tra il cinema italiano e il Salento. Tanti bravi registi nostrani hanno scelto il tacco d’Italia per ambientare alcune scene dei loro film
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Guglia dell'Immacolata Piazza Salandra Nardò (Lecce), , foto di Stefano Cambò
distinto, che ha una forte tradizione e che spesso la fa da padrone ai botteghini, trascinando e non poco il pubblico nelle sale, soprattutto durante il periodo natalizio. Infatti, il vero corteggiamento tra il Salento e le nuove produzioni cinematografiche sembra essere legato principalmente alla commedia, intesa nella sua forma più classica, che porta spensieratezza e perché no… Anche tante risate! Mettendo da parte Sergio Rubini e Ferzan Ozpetek, due grandi registi del nostro cinema contemporaneo molto legati a questa terra, ci soffermeremo sui film usciti negli anni più recenti. E soprattutto… Su quelli che hanno scelto i borghi per ambientare le loro storie. Il nostro viaggio nel Salento cinematografico inizia con Sei mai stata sulla Luna? del 2015, brillante commedia di Paolo Genevose con Raul Bova, Neri Marcorè e, senza farlo apposta, Sergio Rubini nei panni, questa volta, dell’attore. Per alcune settimane il fulcro delle riprese del film è stata la bellissima Piazza Salandra di Nardò, da sempre considerata il cuore pulsante della città nonché centro della vita amministrativa, sociale e religiosa sin dalle sue antiche origini. Qui, infatti, erano ubicati i due bar del film e sempre qui è stata girata la suggestiva scena corale della festa patronale con il lancio delle lanterne volanti nel cielo da parte dei protagonisti.
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La nascita di questa piazza risale al XIV secolo ed è resa ancora più importante dalla presenza di numerosi monumenti di una certa rilevanza storica e architettonica. Infatti, al centro, si innalza La Guglia dell’Immacolata, realizzata per forte volontà della popolazione locale a seguito del terribile terremoto che sconvolse il Salento nel 1743. In perfetto stile barocco, è alta ben 19 metri e la sua base è di forma piramidale a pianta ottagonale. La costruzione in carparo (tipica pietra del territorio dall’inconfondibile colore), è costituita da cinque differenti blocchi di grandezza crescente dal basso verso l’alto ed impreziositi dalle statue di San Giuseppe, Sant'An-
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I luoghi del cinema
Navata centrale Santa Caterina D'Alessandria (Galatina), foto di Stefano Cambò
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Lago Rosso (Otranto), La cava di Bauxite, foto di Stefano Cambò
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I luoghi del cinema
na, San Gioacchino e San Domenico. Da Nardò ci spostiamo a Galatina, il cui centro storico è diventato il set principale per molte scene del film. Conosciuta in tutta Italia per la Festa dei Santi Pietro e Paolo e per aver dato origine al mito della Taranta, negli ultimi anni è stata riscoperta a livello turistico anche per un gioiello architettonico messo in risalto dalle trasmissioni televisive di Alberto Angela e dall’influencer Chiara Ferragni. Si tratta della bellissima Basilica di Santa Caterina D’Alessandria, che mostra tutto il suo splendore nelle navate interne con i suggestivi affreschi, i quali ricordano molto quelli della Basilica di San Francesco ad Assisi. Sempre del 2015 è un’altra brillante commedia che porta la firma di Cristina Comencini. Si tratta di Latin Lover, con la grande Virna Lisi (nella sua ultima apparizione al cinema) e Valeria Bruni Tedeschi. Per le scene interne è stata utilizzata una villa privata a Monteroni di Lecce, mentre per gli esterni si è optato per il paese di San Vito dei Normanni, con molte scene girate presso la piazza Leo, il corso, lo storico cinema Malacca e soprattutto il Castello Dentice di Frasso. Dopo una piccola pausa, nel 2019 è la volta di uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi. Stiamo parlando naturalmente del mitico Carlo Verdone, che è sceso nel Salento per girare molte scene di Si vive una volta sola, l’ultima
la locandina del film
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Castro (Lecce), Grotta della Zinzilusa, foto di Stefano Cambò
graffiante commedia del suo estro creativo. Tra i tanti borghi scelti dal regista romano ci sono Otranto e Castro, due vere perle che si affacciano sul mare Adriatico, ormai mete indiscusse del turismo estivo. Per la prima, tristemente conosciuta anche come la città dei martiri per il sanguinoso assedio del 1480, non si può non visitare il centro storico e la bellissima cattedrale con il suo prezioso pavimento-mosaico. Per gli amanti delle attività all’aria aperta si
consiglia una capatina al suggestivo Faro della Palascia (il punto più ad Est dove sorge la prima alba d’Italia) e alla famosa Cava di Bauxite con il suo incantevole Lago Rosso, che sembra essere il set di un film girato su Marte. Per quanto riguarda Castro, immancabile la visita al castello e al centro storico medioevale, ma anche alla bellissima grotta della Zinzulusa (i cui scorci sono presenti in alcune scene del film).
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I luoghi del cinema
Si tratta di un’insenatura scavata in una parete a picco sul mare il cui nome deriva dagli “zinguli”, ossia le stalattiti che si sono formate con il passare lento del tempo e che pendono dal soffitto come se fossero stracci. Altre locations scelte sono state Santa
Cesarea Terme con il famoso palazzo Sticchi e la baia di Porto Badisco, dove si narra approdò per la prima volta Enea e dove é collocata anche la suggestiva Grotta dei Cervi, una cavità naturale che ospita alcune delle più importanti pitture murarie eseguite dagli uomini primitivi.
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Lungomare degli Eroi (Otranto), foto di Stefano Cambò
Chiudiamo il cerchio delle commedie girate in Salento negli ultimi anni, con i mitici Aldo, Giovanni e Giacomo che, dopo il primo e fortunato film Tre uomini ed una gamba (ambientato nel finale sulla costa ionica intorno a Gallipoli), ritornano qui nel 2019 con Odio l’estate.
Tra i borghi scelti dalla troupe, oltre ad Otranto, il suo lungomare degli Eroi e le spiagge dei Laghi Alimini, è stato selezionato il paese di Ugento con il caratteristico centro storico e il Castello (completamente restaurato) che domina tutto il belvedere e la cui costituzione iniziale risulta essere ancora
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ignota. E con le immagini di queste bellissime località a n c o r a impresse negli occhi salutiamo il Salento, che si è riscoperto ancora una volta grazie al cinema e soprattutto grazie alla commedia italiana, che negli ultimi anni l’ha scelto, valorizzandone soprattutto i borghi, piccoli gioielli incastonati tra la terra e il mare e baciati quasi sempre dal sole!
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Tramonto sui Laghi Alimini (Otranto), foto di Stefano Cambò
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Vico dei Sotterranei, foto di Mario Cazzato
lecce segreta il vico dei sotterranei Mario Cazzato
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Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
Salento Segreto
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A
lle spalle della cattedrale la strada denominata Vico dei Sotterranei è un concentrato archeologico tra i più importanti della città. Qui verso il 1517 nel rifare l'abside della cattedrale fu rinvenuta la famosa epigrafe romana di Lucio Epulione. Di fronte nel 1520 fu costruita la chiesa di S.
Sebastiano su un precedente luogo di culto i cui resti furono ritrovati nel'700 dando luogo ad una serie di ricostruzioni fantastiche sui presunti meandri sotterranei che collegavano questa chiesa alla cattedrale dove sarebbero stati nascosti i corpi dei protettori. E già il Pappacoda si fece promotore di ricerche in tal senso
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Vico dei Sotterranei, foto di Mario Cazzato
co ritrovò, a circa due metri sotto il livello stradale,il mosaico in questione e se ne fece un bel rilievo pubblicato poco dopo e qui riproposto. Forse sarebbe stato il caso di recuperare quel mosaico e restituirlo alla città nella sede competente del MUST. Dunque, mai denominazione stradale fu più giusta.
Salento Segreto
risultate infruttuosa. Ricerche riprese nel'900 dal canonico Paladini. Ma in fondo al vico quasi ai piedi dell'accesso al giardino del Vescovado, a partire dal 1872 il De Simone ritrovò, sottoterra, resti di edifici di grandi dimensioni e un mosaico romano a figure e motivi geometrici di grandi dimensioni a tutto fu ricoperto. Nel 1999 nel rifare il basolato in quel punto, l'impresa Gre-
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