pasquale urso
Reportage a San Leucio nel borgo voluto da re Fedinando per creare una fabbrica illuminata
Tra pittura e acqueforti il racconto dell’arte e della vita dell’artista salentino
Anno XV - n 5 maggio 2020 -
il sogno di seta
anno 153 numero 5 maggio 202 0
eduardo alla scoperta di cosenza
Manetti e Bross
Un reportage alla scoperta di un centro storico carico di fascino e di storia sulle tracce delle orme federiciane
Per la rubrica i luoghi del cinema incursione nella città partenopea scenografia naturale per i set dei film “Song ‘e Napule” e “Ammore e Malavita”
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Il murales di Jorit Agoch sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Rosanna De Marianis, Sara Di Caprio, Giusy Gatti Perlangeli, Antonio Giannini, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Giuseppe Guida, Raffaele Polo, Seby Scollo, Giacomo Vespo Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Potrebbe sembrare di parte, viste le mie origini di cui vado fiera, ma questo numero di maggio non poteva non ricordare un grande Uomo di Cultura e di Teatro: Eduardo De Filippo. Più che inserire le sue fotografie sui palcoscenici dei teatri più prestigiosi, abbiamo scelto le immagini realizzate dall’artista Jorit Agoch, con il suo tratto inconfondibile che sa coniugare abilità pittorica e arte urbana veicolando importanti messaggi sociali. A lui, nel trentennale della scomparsa del Maestro furono affidati l’esecuzione dei murales sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando, raffiguranti i volti di Eduardo l’attore negli abiti di scena di alcune sue famose commedie e al centro l’Uomo. E l’uomo al centro - con la salute e il diritto alla vita - dovrebbe essere la stella polare cui indirizzare il nostro cammino per non perdere la bussola in questo momento così critico e doloroso provocato dalla pandemia da Covid 19. E anche questo numero abbiamo cercato di raccontare i risvolti “significativamente positivi” della DAD grazie alla professoressa Giusy Gatti Perlangeli con il suo intervento che ci svela dinamiche e invita a riflessioni importanti. Non abbiamo voluto rinunciare alla bellezza dei luoghi: restando a Napoli tra i naturali set cinematografici illustrati dallo scrittore Stefano Cambò, al sogno di seta di re Ferdinando che ci racconta Sara Foti Sciavaliere portandoci alle pendici del monte San Leucio in un antico borgo operoso, cuore della fabbrica di tessuti preziosi, ora tra i beni Unesco della città di Caserta, ricco di storia come lo è per altri versi il Museo di Arti sanitarie e di Storia della Medicina ubicato a Napoli nel cortile degli Incurabili, le cui sale portano i nomi di alcuni tra i luminari della scuola medica napoletana come Moscati, Cirillo e Cotugno. E tra bellezza e storia sulle orme di Stupor Mundi scendiamo ancor più giù a Cosenza grazie al reportage di Antonio Giannini per ritornare a Lecce con lo storico Mario Cazzato. Non manca il viaggio nel mistero con lo scrittore Raffaele Polo e la storia delle due statue,un tempo sul Sedile di Lecce, e nella fantasia con l’artista di curiosar(t)e presentato da Dario Ferreri. Un cameo, i versi di Giusy, omaggio alla maternità con il pensiero rivolto a tutte le mamme, soprattutto, a quelle che, purtroppo, non sono più con noi e, infine, i riti siracusani dedicati alla Madonna delle Lacrime raccontati da Dario Bottaro. (an.fu.)
SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: girovagando i l Museo delle arti sanitarie 34 | Maggio il mese di Maria 52| il Belvedere di san leucio 90 | cosenza 104 | arte: Buon compleanno eduardo 4 | i de Filippo il mestiere in scena 15 | pasquale urso 18 | Musica: #liveathome: Karima 74 i luoghi della parola: | i luoghi della parola| la scuola sospesa 24 | glossario al tempo del coronavirus 28 | ancora sul coronavirus 30 | curiosar(t)e: colin 76 | interventi letterari|i luoghi del mistero 44 | salento segreto 124 cinema:|i luoghi del cinema : le meraviglie di napoli nei polizieschi di Manetti e Bros 116 libri | luoghi del sapere 86-88 | i luoghi della poesia 32| i luoghi nella rete|interviste|giordano Bruno 20/20 18 | il concorso: il mare in una stanza 27 | M come miele, il concorso 84 Numero 5- anno XV - maggio 2020
Buon coMpleanno eduardo una vita per il teatro Antonietta Fulvio
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Il 24 maggio di centoventi anni fa nasceva a Napoli Eduardo De Filippo tra i più grandi drammaturghi del Novecento
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Puoi fare teatro se tu sei teatro perché il teatro nasce dal teatro… l’albero è uno, e i frutti sono pochi
Quando sono in palcoscenico a provare, quando ero in palcoscenico a recitare... è stata tutta una vita di sacrifici. E di gelo. Così si fa il teatro. Così ho fatto!
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Eduardo De Filippo Napoli 24 maggio 1900 Roma 31 ottobre 1984
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tiamo entrando nella fase 2. Quella più delicata di convivenza con il virus e che ci impone necessariamente di continuare ad usare il distanziamento sociale, i dispositivi di sicurezza e tutte le direttive per arginare la ripresa di una possibile e temibile ascesa del contagio. Forse dal 18 maggio saranno riaperti con le dovute precauzioni i musei e i luoghi di cultura e della nostra identità e da lì dovremo ripartire. Da ciò che ha reso grande agli occhi del mondo il nostro Belpaese con i maggiori siti Unesco e i grandi artisti e letterati di ogni tempo. E ad uno di questi, Eduardo De Filippo, regista, sceneggiatore, drammaturgo, scrittore, e poeta italiano che vogliamo rendere omag-
gio. Il prossimo 24 maggio ricorrono i centoventi anni dalla nascita di uno dei più grandi protagonisti del Teatro del Novecento. Figlio d’arte, suo padre fu Eduardo Scarpetta, Eduardo ha scritto la storia del teatro, e non solo. Eduardo credeva fortemente nela forza prorompente e comunicativa del Teatro anche come riscatto sociale e penso ai tanti progetti che lo hanno sempre visto in prima linea. A partire dall’acquisizione del settecentesco Teatro San Ferdinando, semidistrutto che rilevò nel 1948 investendo tutti i suoi risparmi per farne il fulcro di un nuovo teatro, rilanciando il teatro dialettale a teatro d’Arte. Titoli come Napoli milionaria! (1945), Questi fantasmi! e “Filumena Marturano” (1946),
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“Mia famiglia” (1953) “Bene mio core mio” (1956), “De Pretore Vincenzo” (1957) “Sabato domenica e lunedì “(1959), solo per citarne alcuni, sono stati rappresentati in tutto il mondo. Dalla fondazione della SIT Società Imprese Teatrali che gestì il teatro e le sue compagnie, alla san Ferdinando Film che portò con la partecipazione della Rai alla registrazione di alcune commedie di Eduardo, che confesso in questo tempo di pandemia avrei preferito vedere arricchire il palinsesto televisivo - a quel maestoso progetto della Teatrale Napoletana che nel 1964, vide il sodalizio con Paolo Grassi e Giorgio Strehler del Piccolo di Milano. La società puntava alla costruzione di un asse tra Napoli e Milano nel segno del teatro. Altro che veleni e fango dispensati gratuitamente in queste settimane di pandemia, minando il senso di comunità nazionale e aumentando pregiudizi e un divario che in tempi non sospetti Eduardo cercava di colmare come solo la Cultura sa fare. Ma l’esperienza si concluse, così come non decollò mai il progetto di fare del San Ferdinando un centro studi e un museo del teatro dialettale. Chiuso negli anni 80, il figlio Luca, scomparso prematuramente nel 2015, lo ha donato alla città di Napoli.
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Alcuni particolari del murales dedicato ai volti di Eduardo realizzati sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando dall’artista Jorit Agoch, foto di Peppe Guida
Eduardo come Totò è nel corpo di Napoli e allo stesso tempo è sublimazione dello spirito più autentico della città e della sua cultura millenaria. Dal 2014 sulle saracinesche del “tempio” della drammaturgia napoletana situato al n.20 in piazza Eduardo De Filippo, a pochi passi da via Foria, l’artista Jorit Agoch, con il suo tratto inconfondibile che sa coniugare abilità pittorica e arte urbana veicolando messaggi sociali, tra i più brillanti protagonisti delle nuove frontiere del writing urbano nel mondo (suoi tantissimi murales a Londra, Berlino, In Australia a Brooklyn e nella stessa Napoli, ma la sua arte merita un capitolo a parte) ha dato vita ai volti di Eduardo scegliendo tra i protagonisti di alcune delle sue commedie più celebri: Don Antonio Barracano “Il sindaco del rione Sanità”, Luca di “Natale in casa Cupiello”, Gennaro Iovine di “Napoli Milionaria”, Pasquale Lojacono di “Questi fantasmi”. Al centro però c’è il volto di Eduardo non l’attore ma l’uomo che ha fatto del teatro la scelta di una vita. Per i suoi meriti artistici gli vennero riconosciute due lauree honoris causa in Lettere dall'Università di Birmingham nel 1977 e dall'Università degli Studi di Roma La "Sapienza" nel 1980 e fu sempre impegnato nel sociale anche quando a
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Alcuni particolari del murales dedicato ai volti di Eduardo realizzati sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando dall’artista Jorit Agoch, foto di Peppe Guida
ottant’anni Sandro Pertini nel 1981 lo nominò senatore a vita. Restano così attuali le parole del suo discorso: «Io sarò al Senato quello che sono stato sia nella vita, sia nelle commedie. È per quello che ho scritto che mi lusingo abbiano voluto compensarmi con la nomina a senatore. Quindi lo sapevano e lo sanno che io sono per il popolo». E tradusse il suo impegno in quelle che furono leggi importanti per le politiche riguardanti il disagio dei minori e per i minori rinchiusi negli istituti di pena. Una delle leggi principali, la n. 41 del 1987, venne attuata nei progetti di Nisida,”Futuro ragazzi” e di Benevento “Villaggio dei ragazzi”. Purtroppo la mancanza di fondi dal 2006 ne ha fermato poi la realizzazione. Ripensando al teatro di Eduardo e a come rendergli omaggio ho ritrovato nell’hard disk un testo scritto il 17 maggio 2003 intitolato Buon compleanno Eduardo. Da Filumena a Bonaria. Le donne nel teatro di Eduardo de Filippo. Sebbe siano passati diciasette anni dalla sua stesura rileggerlo mi ha fatto pensare al
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tema che in quelle poche pagine scritte per mai interrompere il filo con la mia Napoli e le mie radici siano ancora condivisibili. E allora Buon compleanno Eduardo, a modo mio. iviamo in un mondo che è un continuo pantarei, sola certezza ormai capace di far crollare tutte le certezze dell’uomo sempre più in crisi e alla ricerca di una sua identità…E se non avessi più tempo? È questa la frase che continua a ronzarmi nella testa da quando un giorno, uscendo da un ambulatorio, cominciai a pensare ai miei reali desideri, alle cose che avrei sempre voluto fare ma che non avevo mai fatto…eh, sì il pronostico non era stato dei migliori ed ero stata scaraventata in un tunnel, dal quale ne sarei uscita solo in un modo… Un’esperienza a dir poco allucinante ma, per fortuna, si risolse tutto per il meglio, dal momento che sono ancora qua, ma quella settimana trascorsa nel dubbio se avessi o non avessi poco tempo mi ha aiutato molto… soprattutto a guardare e a concepire la vita sempre come se avessi poco tempo e ho
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cominciato a dar retta ai miei sogni e a non pensarli più solo come tali. In una di quelle notti in cui non riuscivo proprio a dormire, ho preso uno dei testi di Eduardo, incluso tra i preferiti sul mio comodino e mi sono ritrovata a rileggere “Gli esami non finiscono mai”. Eh, sì la vita non smette mai di metterci alla prova e ogni traguardo raggiunto è solo un punto di partenza: si rimescolano le carte e il gioco inizia di nuovo e con altri punteggi, altre combinazioni. Mi ha sempre commosso questo antieroe di nome Speranza, vinto dal sistema, che si regola sul perbenismo falso e ipocrita della società, decide di morire quando accetta di perdere e perde l’unica cosa a cui tiene davvero, la speranza, meglio, il coraggio di vivere un amore vero. Ironia della sorte, lui della speranza ha solo il nome… Mi faceva tenerezza ma anche un po’ rabbia questo suo subire come non capivo Bonaria. Si può rinunciare all’amore per amore? Sembra un bisticcio di parole. Qual è la via giusta da seguire? quella dettata dal cuore o dalla
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Alcuni particolari del murales dedicato ai volti di Eduardo realizzati sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando dall’artista Jorit Agoch, foto di Peppe Guida
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Regina Bianchi e Eduardo De Filippo in Filumena Marturano, Rai tv 1962
testa? Così ho cominciato a pensare alle donne di Eduardo: Amalia, Filumena, Concetta… e così, dopo l’omaggio a Totò*, ecco ancora una nuova avventura, insieme a quei compagni di viaggio che non solo hanno condiviso questa mia ennesima folle idea ma continuano a sentire forte quel legame con Napoli e tutto ciò che rappresenta. Forse anche questo è un modo di ritornare… Cercare di dar voce alle sue donne… un tributo ad un uomo di teatro al quale, a parte per le origini comuni, mi sento legata come ad un maestro di vita perché la sua amarezza, la sua ironia, i suoi silenzi, ormai non solo li condivido, ma li sento dentro. Come quel modo unico di nascondere la verità dietro un sorriso, che pochi riescono a decifrare fino in fondo, quel sorridere anche se dentro è tutta un’altra cosa…e quel suo linguaggio che come una lama può ferire l’anima o far battere il cuore… Filumena è una donna. Con la D maiuscola. Perché essenzialmente è madre con la M maiuscola. Ad una madre che non rinuncia ai propri figli, piezze e core e non fardelli di cui disfarsi, ad una donna del genere le si perdona tutto. Anche di aver venduto il suo corpo. Per gli occhi ipocriti della società
che è pronta ad etichettarla come una prostituta, anziché tenderle una mano, lei non ha dignità. Filumena inganna, ma per il più autentico degli amori. L’unico che non cambia, non tradisce. L’unico che può solo crescere col crescere del tempo: l’amore per i propri figli. È questo fa di lei la più bella creatura di Eduardo. Il più bel volto del suo teatro, il suo capolavoro perché la sintesi di amore e umanità e il tutto racchiuso nel cuore di una donna che, a testa alta, ha il coraggio di combattere e di contrastare l’egoismo di un uomo che non ha saputo amare che se stesso. Lui calpesta i sentimenti e merita perciò di non sapere quale è la verità. Il segreto di Filumena è la giusta punizione. È lui a non avere dignità anche se agli occhi della gente lui resta l’irreprensibile Domenico Soriano. Bonaria ha conosciuto l’amore in ritardo. Ma meglio tardi che mai… così si dice. Bonaria è dolce ed estremamente fragile però dalla sua fragilità nasce la sua forza. Comprende quando è il momento di uscire di scena. Comprende che il paradiso sta per diventare inferno e, allora, se ne va e del suo amore, restano solo delle cartoline… solo parole… potranno anche essere misera cosa ma se si è convinti della profondità di un
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Alcuni particolari del murales dedicato ai volti di Eduardo realizzati sulle saracinesche del Teatro San Ferdinando dall’artista Jorit Agoch, foto di Peppe Guida
sentimento anche un semplice coremio può bastare. Assurdo? No, non è poi così assurdo per chi l’amore, quello vero, non lo hai mai conosciuto. Può significare tantissimo quel coremio, tutto attaccato: Bonaria come Filumena proviene dai bassi, in una parola miseria, disperazione e ignoranza ma non senza dignità. E l’amore non si compra e non si vende, né si deve elemosinare: l’amore si regala. Ed è un dono incondizionato capace di accettare le peggiori condizioni… una dolce follia che se ne infischia della ragione. E tra queste due donne, che sono l’esempio più autentico dell’amore, una galleria di figure altrettanto interessanti: come l’avida Amalia di Napoli milionaria che diviene una pedina della borsa-nera, Maria anima perduta e consorte infedele in “Questi fantasmi” o Gigliola che incarna stupidità e cattiveria nel ruolo della moglie di Guglielmo Speranza...E tante altre. Farle parlare è un pretesto per addentrarsi in quel meccanismo infernale che è la società e i suoi sistemi. Come scacchi su una scacchiera si definiscono ruoli e posizioni in quel gioco senza esclusioni di colpi che è la vita. E siamo arrivati al punto di partenza. La vita… questo folle treno in corsa che sembra di essere appena saliti e si è già al capolinea… tutto cambia con una velocità impressionante e restano uguali solo il dolore, la solitudine e le domande… la vita come l’amore, la morte restano interrogativi ai quali è possibile dare solo delle ipotetiche risposte. L’esperienza soggettiva fa mutare il senso e la prospettiva delle cose. Ed ecco che la vita
meravigliosa per alcuni può essere ‘nfamità per altri, la morte una grande fregatura o una liberazione e… l’amore un grande bluff o qualcosa di indescrivibile che può rendere indescrivibilmente felice… che poi altro non è che l’assenza del dolore. Un’utopia? Mah! Totò diceva che la felicità è un fatto di dimenticanza. Ma è possibile dimenticare? Che bella invenzione quel punto interrogativo con il quale un’affermazione si trasforma in una interrogazione…e si mette in discussione tutto… «mi spiego? è giusto?» per usare le parole di De Pretore… è questo il fascino del teatro di Eduardo lui mette in discussione ogni cosa e infila i suoi interrogativi nel silenzio. Che bella scoperta quel silenzio che è l’unico modo per non rispondere ma insinuare il dubbio e lasciare apparentemente immutata la storia e le cose. Se fuori c’è il silenzio dentro però resta il dolore, perché il silenzio è la vera maschera dietro la quale trovano posto quei perché, i come e i se che è proprio difficile tirare fuori dalla propria anima. Ed ecco che la retorica del silenzio ha sostituito quella delle parole. Eppure è proprio con le sue donne che Eduardo dà voce al suo teatro…
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i de Filippo, il Mestiere in scena il ricordo di una Mostra
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on si può parlare di Eduardo De Filippo senza ricordare la famiglia intera con Titina e Peppino, attori e protagonisti indiscussi del teatro del Novecento. Sul finire del 2018 e fino al marzo dello scorso anno Castel dell’Ovo a Napoli ospitò una grande mostra dal titolo emblematico “i De Filippo, il mestiere in scena”. Voluta dalla famiglia de Filippo e promossa dal Comune di Napoli fu curata da Carolina Rosi, Tommaso De Filippo e Alessandro Nicosia, Presidente di C.O.R. Un affascinante e incredibile viaggio attraverso l’esposizione di oltre 70 costumi di scena, compreso il baule dell’attore, locandine, copioni manoscritti, foto e video inediti, conservati in archivi privati, in istituti e soprattutto dagli eredi Eduardo e Luca De Filippo, partendo dal capostipite Scarpetta, per poi entrare nell’uni-
verso teatrale di Eduardo, ma anche nei film, nelle sue poesie, nelle sue canzoni. E poi Vincenzo e Mario Scarpetta; i fratelli Titina e Peppino, Luigi De Filippo fino a concludere con Luca, l’amato figlio che aveva esordito a soli sette anni nel ruolo di Peppiniello in quel capolavoro che è Miseria e Nobiltà. In una sorta di passaggio del testimone nell’ultima apparizione al Teatro Antico di Taormina nel settembre 1984 Eduardo parlò del suo Luca venuto su dalla gavetta, “da una vita di sacrifici e di gelo (..) «perché - come spiegò in quel discorso - fare teatro sul serio significa sacrificare una vita». Magari in un prossimo futuro, passata la pandemia, sarebbe bello che altre città d’Italia potessero ospitare l’allestimento di quella mostra e rendere omaggio in toto ai De Filippo e al loro immenso Teatro d’Autore. (an.fu.)
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Nel riquadro il filosofo Aldo Masullo
giordano Bruno 20/20 e aldo Masullo
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On line sui canali social dell’assessorato alla cultura e completamente rimodulata a causa della pandemia ritorna a Napoli Il Maggio dei Monumenti Giordano Bruno 20/20: la visione oltre le catastrofi è il tema della XXVI edizione del Maggio dei monumenti la rassegna culturale che si svolge ogni anno in primavera nel centro storico di Napoli completamente rimodulata a causa dell’emergenza sanitaria da Covid 19 e i DPCM del 31 gennaio 2020 e successivi che hanno chiuso i luoghi della cultura e sospese ogni tipo di manifestazioni. Sarà una rassegna diversa come il contesto che stiamo vivendo e che regalerà una inedita visione sulla cultura, sul tempo, sull’attualità. E sarà dedicata a Giordano Bruno, pensatore moderno, eclettico, autore di innumerevoli tesi scientifiche, teologiche e filosofiche, che inquietarono così profondamente l’ortodossia cattolica da spingere il tribunale dell’Inquisizione a condannarlo al rogo, dopo interminabili
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processi e audizioni, durante i quali Bruno scelse di non ritrattare mai alcuna delle sue convinzioni. Al tema si aggiunge il doveroso e sentito omaggio al filosofo Aldo Masullo, cittadino onorario della città, appena scomparso, a cui sarà dedicata la giornata inaugurale della manifestazione, sabato 2 maggio, un programma che si svolgerà on line sui canali social dell’assessorato alla cultura e al turismo del comune di Napoli. Una modalità che l’assessorato sta sperimentando con successo dal 9 marzo con il palinsesto intitolato #nonfermiamolacultura che in meno di due mesi ha raggiunto circa 2 milioni e mezzo di visualizzazioni e la partecipazione di centinaia di artisti e personaggi del mondo della cultura.Per il Maggio dei Monumenti I la novità sarà l’ambientazione dei contributi culturali nei luoghi
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Cimitero delle Fontanelle, il Maschio Angioino, il Museo Ferroviario di Pietrarsa, il Museo Filangieri, lo Spazio Comunale Piazza Forcella, sono solo alcuni dei luoghi che hanno aderito al progetto rendendosi disponibili ad aprire. I templi della cultura ma anche piccoli gioielli meno conosciuti si riempiranno a maggio di artisti e performer che, da soli, si esibiranno per il pubblico collegato online. «Il Maggio dei Monumenti napoletano - ha spiegato il sindaco Luigi De Magistris- si prepara a vivere un’edizione del tutto inconsueta. Abbiamo ritenuto importante, in tutto questo periodo strano e doloroso, che la cultura mantenesse accesa la sua benefica fiammella. Senza distogliere mai lo sguardo dalle urgenze, dai bisogni della comunità, dalle istanze delle persone che questa situazione ha reso più fragili, abbiamo creduto che tuttavia non si dovesse mai sospendere la visione lunga di un ritorno alla pienezza del vivere. La cultura rappresenta il luogo simbolico dei nostri sogni e della nostra identità collettiva; in questo momento più che mai può essere il caleidoscopio che ci permette di alzare lo sguardo verso l’orizzonte del futuro. Già da alcuni mesi avevamo scelto di dedicare l’edizione 2020 a Giordano Bruno e al suo sguardo visionario che supera i limiti della propria epoca; magari adesso quei ragionamenti ci aiuteranno ad attraversare questo tempo difficile riflettendo sulle disfunzioni e sulle contraddizioni della nostra cosiddetta società del benessere. L’apertura del Maggio è intitolata alla memoria del grande filosofo Aldo Masullo, che da pochi giorni ha concluso la sua esperienza terrena. Facciamo uno sforzo di buona volontà perché la sua potente lezione morale, la sua eredità intellettuale e la sua straordinaria testimonianza di passione civile restino più a lungo possibile con noi».
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i luoghi nella rete
monumentali della città, noti e meno noti, nelle chiese, nei chiostri, nei teatri storici, chiaramente senza pubblico e rispettando le norme di sicurezza vigenti: la Certosa e Museo di San Martino, l’Antico Teatro romano all'Anticaglia, il Cortile delle Statue in via Paladino, il Convento di San Domenico Maggiore, la Chiesa di San Severo al Pendino in via Duomo, il Complesso Monumentale Real Casa della SS. Annunziata, l’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, il
Pasquale Urso nella mostra realizzata all’ex Conservatorio Sant’Anna qualche anno fa
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pasquale urso dalla pittura all’acquaForte Raffaele Polo
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Fondatore del Torchio “La Stella” fucina d’arte dal 1974 nel cuore di Lecce
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È
senz'altro l'artista più longevo, per attività e per presenza, nel pur frequentato e rinomato settore della grafica calcografica e, naturalmente, della pittura figurativa salentina. Diciamo di Pasquale Urso, grottagliese di nascita ma di adozione leccese, titolare del Torchio d'arte 'La Stella', antesignano e testimone ancora oggi di quel mondo particolare, delicato e fascinoso che va sotto il nome di 'acquaforte', con i corollari dell'acquatinta, punta secca, monotipo e via dicendo. Arti nobili, difficili, antiche. Che, da sempre, Pasquale ha
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frequentato, utilizzato, insegnato. Il suo studio, il suo Torchio, ha stampato migliaia di opere, di tantissimi autori che, da tutta Italia e anche dall'estero, hanno frequentato l'accogliente indirizzo di via Santa Maria del Paradiso, a due passi dalla chiesa del Rosario, come ama sottolineare lo stesso Pasquale. Con una inveterata coerenza, l'artista continua a proporre con entusiasmo le sue tematiche, legate tutte alla gestione del paesaggio, alternando i colori della campagna salentina ai chiaroscuri delle morsure
Pasquale Urso, lavoro pittorico ispirato a Il canto del pane del poeta armeno Varujan
all'acquaforte. E, senza parere, ci fa fare conoscenza con i modi della tradizione contadina, con i giochi di una volta, con le chiese e i principali monumenti salentini, fino ad arrivare al poeta armeno Varujan che, in tempi e geografie distanti, propone nei suoi versi proprio le tematiche care a Urso, mescolando i sapori, gli odori, i colori delle vite semplici e contadine, all'anelito verso tematiche di grande respiro, realizzando un piacevolissimo e commuovente
panteismo, dove gli elementi piĂš importanti sono tutti contenuti nella Natura piĂš schietta. E proprio queste scelte sintetizzano il mondo artistico di Pasquale Urso, che utilizza la sua maestria, la predisposizione cromatica, per lasciare messaggi importanti, legati all'armonia del Creato, vista attraverso uno sguardo cristiano che non demorde, non si lascia sconfiggere dalle delusioni del momento o dal dolore di perdite e privazioni. Al contrario, Pasquale
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Pasquale Urso nel suo laborratorio il Torchio d’Arte “La Stella” a Lecce in via Santa Maria del Paradiso
indica serenamente, con le sue nature, i suoi momenti di vita campestre, i ricordi legati ad una infanzia serena e ricca dei colori tipici della nostra terra, una via di affrancamento dal grigiore quotidiano, proponendoci un caleidoscopio variegato e scintillante, che suscita, da subito, approvazione e ottimismo. E pure nel mondo della grafica, le caratteristiche del segno di Urso non si smentiscono. Al tratto sicuro e vivace, si alternano le leggerezze che solo un sapiente uso dell'acido, gestito con la piuma, riescono a produrre e a realizzare sottigliezze e interiorità che paiono impossibili ad ottenere con gli elementi duri e materiali che servono per questo tipo di tecniche... Da ultimo, mescolando la Poesia alla sua Arte, Pasquale ci
regala momenti di grande condivisione e ci fa capire come sia possibile creare un mondo di sensazioni positive e piene di sentimento, offrendo ai colori delle proprie tele la possibilità di esporre chiaramente, senza esitazioni e sotterfugi, la schietta proposta che viene dal suo animo sereno. Ecco perché ci appaga, ci purifica, in un certo senso, l'arte di questo Maestro. Perché ci fa sentire migliori, ci fa scegliere col cuore e con il sentimento quello che è, senza dubbio, il messaggio più ambito ed efficace che possiamo trovare in un'opera pittorica o grafica: la fiducia nell'Uomo, nel Creato, in Dio.
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la scuola sospesa la didattica a distanza di Giusy Gatti Perlangeli
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Considerazioni sulla didattica ai tempi del Coronavirus
La scuola “sospesa”. Non è la distanza che fa la didattica. È la didattica che supera le distanze. Quando la scuola diventa una squadra, la partita si vince. E non c’è distanza che tenga! Ore 18.25 del 4 marzo 2020. Più di un mese fa oramai, arrivò l’annuncio. “È ufficiale: scuole chiuse da domani fino al 15 marzo Per il governo non è stata una decisione semplice, abbiamo aspettato il parere del comitato tecnico scientifico e abbiamo deciso di sospendere le attività didattiche da domani al 15 marzo - ha detto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina parlando a Palazzo Chigi”. Alle 8:00 del giorno dopo, giovedì 5 marzo, nella mia scuola tutti, studenti e docenti, erano nelle classi virtuali di Google Suite per riannodare un filo che non si è mai spezzato, a proseguire quel dialogo educativo che è un diritto di tutti coloro che frequentano la scuola. Un dialogo che, iniziato a settembre nelle aule, andrà avanti fino alla chiusura ufficiale
”
dell’anno scolastico 2019/2020. Un anno che passerà alla storia. Le competenze digitali non si improvvisano, l’acquisizione avviene nel tempo e in modo graduale: è frutto della costruzione di un sistema che in molte scuole è un processo avviato da tempo. Nella situazione di emergenza nella quale tutti ci siamo trovati improvvisamente, ogni cosa è andata al suo posto grazie all’impegno profuso negli anni. Ma per raggiungere un risultato così, il Dirigente del Majorana di Brindisi, l’animatore digitale e tutto lo staff di esperti nell’uso delle tecnologie applicate alle metodologie didattiche più innovative lavorano da anni e da anni coinvolgono tutte le componenti scolastiche in uno streaming che ci ha portato fin qui, ad applicare la DAD e a offrire “solidarietà digitale” a chiunque ne avesse bisogno. Alla fine, siamo diventati un po’ esperti tutti quanti (i ragazzi di più) e ogni giorno c’è uno scambio di conoscenze, di scoperte, di applicazioni che ci rende coprotagonisti del cambiamento
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che sta avvenendo nel mondo della scuola. La Didattica a Distanza non è facile (neanche quella in presenza, in verità): lo studente per connettersi dev’essere convinto che farlo è meglio, molto meglio che starsene per i fatti propri, perché quello che ottiene è un approccio mirato e di qualità. E al di là di quello schermo sa che troverà i compagni e i propri proff e si collegherà con piacere, perché sa che sono tutti lì, dalla stessa parte, per scambiarsi qualcosa di prezioso: una comunanza di intenti e una vicinanza empatica autentica. Come non è l’edificio che fa la scuola, non è lo schermo del computer o del tablet che rende efficace un’azione educativa, per di più “a distanza”. Non siamo lì per giudicare, né per essere giudicati. Siamo davanti o dietro uno schermo perché la situazione ce lo impone: non aggiungiamo stress allo stress.
Siamo i protagonisti di un atto educativo che cambierà per sempre la scuola. E se la scuola cambia, cambia la società. E questo ha effetti a lungo termine sul futuro. Ebbene sì, noi, insieme, costruiamo il futuro! Lo vediamo nei loro occhi tutti i giorni, in classe, lo cerchiamo nelle voci, ora che siamo “distanti”. Abbiamo affinato l’orecchio: riconosciamo il tono della loro voce, cogliamo le sfumature, “sentiamo” come si sentono. La mattina mi vesto, mi sistemo i capelli, mi trucco, indosso gli orecchini e metto il profumo…tutto uguale (niente tacchi però!). Il kit del prof. è già sistemato dalla sera prima. Accendo il computer, vado nella GSuite, seleziono Meet. Clicco su “partecipa” e li sento cinguettare. Parlottano tra loro, si scambiano impressioni e sensazioni come sempre hanno fatto. Che emozione la nor-
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malità! “Buongiorno prof! Buongiorno prof!” Ogni giorno è un miracolo sentire che ci sono: nessun assente! Caspita…non cedono! Scelgono di esserci, perché (è evidente) è meglio che non esserci. Questo mi commuove. “Come state ragazzi?” lo chiedo sempre, anche se ci siamo visti il giorno prima. “Come state ragazzi?” capiscono che mi preme proprio. Non è forma: è sostanza. Penso che se i ragazzi provano interesse per qualcosa (la costruzione del loro futuro) sono disposti a tutto per raggiungerla. Io sono qui e do loro una mano. Come? Attraverso le mie “discipline” (che nome inadatto per le materie umanistiche!): mi faccio portavoce di storie, storie di uomini e di donne la cui meditazione, la cui sofferenza, la cui ribellione è diventata un’immortale opera d’arte. Hanno
reso immortale l’humanitas. È questo che voglio che resti (in presenza o a distanza): non nozioni e informazioni, ma scintille di umanità che illuminino questo periodo oscuro, che li aiutino a superare restrizioni e avversità. Enumerare quante cose sanno è relativo, misurare con un voto da uno a dieci pure, ma individuare quali traguardi hanno raggiunto e come, per diventare giovani donne e uomini con la mente aperta e libera, questo sì che mi interessa. Questo voglio “valutare”, recuperando (come sempre ho fatto) il significato etimologico del termine (dal latino “valitus”), attribuire valore, stimare, apprezzare. Mettere in luce quello che di positivo c’è in ogni studente. Sono convinta che su di loro dobbiamo investire tempo, impegno e risorse... Sono migliori di noi. Se lo meritano!
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indicato. Sono previsti premi speciali e segnalazioni. 9.Il giorno e il luogo della presentazione ufficiale dei vincitori sarà tempestivamente comunicato tramite mail a ciascun concorrente. 10. La giuria sarà formata da appartenenti al mondo della cultura, del giornalismo, dell’ANMI, della Lega Navale, della Scuola Navale Militare "F. Morosini” e dell’Associazione Nazionale Scuola Navale Militare “F. Morosini”. I loro nomi saranno resi pubblici durante la cerimonia di premiazione. Il giudizio della giuria è insindacabile. 11. La partecipazione al concorso comporta la piena accettazione del presente Regolamento; l’inosservanza di una qualsiasi norma qui espressamente indicata, comporta l’esclusione dalla graduatoria. 12. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 26 settembre in una location istituzionale di prestigio che verrà comunicata in occasione della conferenza di presentazione della manifestazione. Info e contatti Segreteria organizzativa Associazione culturale ICARUS e-mail ilmareinunastanza@ilraggioverdesrl.it mobile. +39.3495791200
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I LUOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO
1.I partecipanti dovranno inviare una prova di narrativa, racconto o novella, con il mare protagonista “in una stanza”. Il limite massimo di scrittura è di quattro cartelle, spazio due (2), con rigo di cinquanta battute, tipo di carattere Times New Roman, dimensione 12, entro e non oltre la data del 10 giugno 2020. Non è consentito l’invio del cartaceo, con qualsiasi mezzo. 2.Alla domanda di partecipazione, ogni concorrente allegherà una scheda, max 10 righe, con le note biografiche. 3.Il lavoro deve risultare inedito e mai premiato (e tale deve restare fino alla prima presentazione pubblica). 4.Possono partecipare al Concorso Nazionale di narrativa “Il mare in una stanza” i cittadini italiani, civili e militari, che abbiano compiuto la maggiore età alla data della pubblicazione del presente bando. 5.Tutti i racconti in concorso dovranno pervenire entro la data stabilita tramite una mail che sarà di seguito indicata. 6.I racconti selezionati saranno pubblicati su apposita pubblicazione. 7.La partecipazione al Concorso non prevede quota di iscrizione. Sarà cura di ogni concorrente, provvedere all’acquisto di un minimo di 3 (tre) copie, senza obbligo di collaborazione futura. 8.I premi consistono in: coppe, targhe e pergamene, oltre alla pubblicazione come già
I LUOGhI DELLA PAROLA
glossario al teMpo del coronavirus Giovanni Bruno
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L’importanza delle parole Le riflessioni del psicoterapeuta
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ominciamo dall’inizio di questa nel presente, ma di più l’ONU ne ha dato narrazione. la seguente definizione: Crisi sanitaria globale diversa da qualsiasi altra in 75 anni di storia delle Nazioni UniI coronavirus sono una grande famiglia di te. virus, possono provocare varie malattie, alcune molto leggere come il raffreddore Responsabilità: il Governo italiano e a o lievi stati febbrili, altre ben più gravi seguire i Governi di moltissimi Stati stancomunque legate all’apparato respiratorio. no chiedendo responsabilità nei comporIl nuovo Coronavirus, quello che a noi tamenti individuali. E questo si traduce in interessa in questo momento, è un nuovo limitazioni, sacrifici, gravi rinunce da parte ceppo, mai identificato prima, che può delle popolazioni per contenere al massideterminare una sindrome respiratoria mo la ormai dichiarata pandemia. grave. Silenzio: la quiete, la calma, il rallentaZoonosi: è quella malattia infettiva che mento ha invaso le nostre città, i piccoli viene trasmessa dall’animale all’uomo. È comuni, le frazioni, i borghi. ciò che è accaduto con il nuovo coronavi- Il vuoto delle vie, delle piazze, degli incrorus. Già solo questo dovrebbe farci riflet- ci contrasta fortemente col pieno doloroso tere: l’uomo invade e colonizza sempre degli ospedali, delle case di cura, delle più spazi e ambienti che hanno un loro case di riposo dove anziani sono decimaecosistema con un equilibrio consolidato ti dal virus che aggredisce senza tregua. fin dalla notte dei tempi e tutto ciò porta ai Primavera: la primavera sembra non disastri che stiamo subendo ora. sapere non accorgersi del virus. Dopo il Crisi sanitaria: è quella che tutti viviamo letargo dell’inverno tutta la natura rinasce
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c’è vento, non ci sono tuoni o fulmini ma dobbiamo difenderci lo stesso da un nemico subdolo e invisibile. Cerchiamo dunque di essere strategici, affrontiamo la quotidianità compartimentandola, e dedichiamoci a ogni segmento con serenità, con una buona disposizione d’animo, compiendo anche dei piccoli rituali che ci terranno compagnia nella giornata. E non dimentichiamo la nostra dimensione Resilienza: termine forse abusato ma mai spirituale, tutto ciò che va oltre la materia come in questo momento è il caso di usar- tangibile e che si traduce nello scopo di esilo. Stiamo attraversando una tempesta, non stere per ciascuno di noi.
. I colori sono più vividi, illuminati da una luce rosata e tuttavia i parchi sono chiusi, i giardini pubblici delle città inaccessibili. Le persone però sono chiuse nelle case per legge e tutto si traduce in un ostacolo alla vita sociale di un tempo. Addirittura la modalità di esperienza interpersonale di prima del virus ci appare adesso come un baratro, un precipizio.
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I LUOGhI DELLA PAROLA
ancora sul coronavirusi per una nuova spiritualità Giovanni Bruno
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Cosa ricorderemo di questo lungo periodo di pandemia?
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utti noi esseri umani abbiamo una nostra letteratura, essa è rappresentata dai nostri ricordi, dalle tracce di memoria che hanno connotato tutta la nostra esperienza, plasmato e conformato la nostra vita. Cosa ricorderemo allora di questo lungo periodo di pandemia? Penso innanzitutto alla sensazione di spaesamento, di smarrimento che ci ha travolto quando una mattina ci siamo svegliati e abbiamo capito che i nostri codici, la combinazione di segni, gli abiti mentali del giorno prima erano del tutto ribaltati. é stato traumatico per molti, ma subito dopo dovevamo trovare una bussola, un indice di riferimento, una linea guida che ci rimettesse in carreggiata. Ci siamo dunque rivolti alla Scienza per capire, comprendere, avere il senso di quello che ci stava accadendo. In quel sistema di conoscenze ottenute attraverso la ricerca abbiamo affidato le nostre vite.
Abbiamo fatto nostre le parole di Nancy Pelosi: a coloro che preferiscono la preghiera alla scienza io dico che la scienza è la risposta alle nostre preghiere. Anche così però è prevalsa un po’ di confusione tra virologi, epidemiologi, scienziati, i messaggi a volte sono risultati ambivalenti, contraddittori, forse eccessivamente semplificati. Noi stessi abbiamo fatto propri vocaboli e termini che non conoscevamo: picco, plateau, indagine epidemiologica. Forse allora è stato meglio ricondurre tutto alle nostre vite e lasciare agli studiosi la facoltà e il tempo di approfondire e ricercare. Ma le nostre esistenze intanto hanno subito un tracollo, siamo stati esiliati dal nostro tempo, dal nostro Io. Ci sono adesso da ricostruire e inventarsi nuovi modi di stare al mondo. Cominciando per esempio da dettagli minimi: guanti e mascherine. Ma così bardati ci sentiamo ridicoli e al tempo stesso inermi.
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Foto di Gerd Altmann da Pixabay
La nostra inermità appunto è apparsa subito in primo piano. Inerme vuol dire senza armi, disarmato, indifeso, impotente. Siamo dunque in balia della nostra impotenza. Tutto questo è inevitabile ma la vita va avanti. Non possiamo fermarci. Soprattutto non possiamo spostare il confine della nostra vita al di là dell’ostacolo, alla risoluzione definitiva del problema virus. Dobbiamo ragionare sul qui ed ora, l’immediato ci richiama a combattere e accettare la sfida. Dicono gli scienziati che sarà lunga,
stili e comportamenti muteranno, dovremo capirli e assumerli in toto. Ma ci sarà una dimensione più intima, una spiritualità nuova da accogliere e coltivare. La parola spirito significa in molte lingue, greco, latino, ebraico, respiro, vento, aria che si muove. Seguiamo questo soffio vitale forse ci porterà verso la salvezza, verso un mondo nuovo e intanto amiamo nel presente ogni istante della nostra vita con fermezza e ostinazione.
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i luoghi della poesia l’aMore, la Madre Giusy Gatti Perlangeli
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i Luoghi della Parola | Poesia
E non so dove sei non so dove vai, se vai qual è la tua direzione, adesso Qual è la tua dimensione, adesso. Non so dove cercarti se ho bisogno di te non so dove ti nascondi. Guardo il cielo, ma non trovo consolazione, né risposte. Non so dove vai, se vai. Non so dove sei. Temo che non potrò ritrovarti dietro una fredda pietra che, se busso, non risponde Temo che non ti troverò da nessuna parte tranne che nel riflesso del mio viso stanco nello specchio. Niente cieli niente nuvole niente stelle nessun paradiso. Solo un'immagine: la tua nella mia.
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Piccolo mio, Quanto sei piccolo E quanto poco durerà questo stato... Con gli occhioni sgranati guardi il mondo. Tutto ti attrae Non stanno mai fermi i tuoi occhi Mai fermi i tuoi piedi Nê le tue mani
II La madre è colei a cui si chiedono le gioie e i sacrifici più grandi:
Quanto sei piccolo Piccolo mio E quante volte ti diranno: “Sta’ fermo!” E quante ti diranno: “Stai zitto!” Mentre tu sei come il mare, Come la primavera quando tutto sboccia Come il cielo quando il cielo è azzurro E non può stare fermo Se gli uccelli fendono l’aria O il vento soffia!
concepire un figlio, portarlo in grembo, nutrirlo, accudirlo, educarlo rispettandone le peculiarità, amarlo incondizionatamente abituandolo a fare a meno di lei
Resta piccolo Piccolo mio Così ti posso abbracciare stretto, Ti posso dare la mano E stringere ancora la tua
lasciarlo andare e rinunciare alla quotidianità perché trovi se stesso e la propria dimensione lontano da lei.
Resta piccolo Così ti posso proteggere Da rapaci e serpenti Posso ancora cucinare per te E fare l’aereo col cucchiaino bello
Ma esserci sempre Sempre un passo indietro A sostenere senza invadere Disposta a essere individuata come causa prima di tutti i problemi E punchingball di tutte le tensioni
Resta piccolo Piccolo mio Così posso sentire Due cuori battere in uno solo Così posso vedere ancora il tuo sorriso Che oggi, Ormai grande e lontano, È rivolto ad altri volti E io lo posso solo Immaginare Resta piccolo Piccolo mio Perché la mia vita Ha un senso Solo Se ho ancora La tua manina Stretta Nella mia.
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A chiedersi dove ha sbagliato E prendersi colpe mai avute Poi un messaggio: Auguri Mamma per la tua Festa E sciogliersi E ricominciare Consapevole che la felicità di un figlio È lontano da lei. Alle madri sono riservate le gioie e i sacrifici più grandi
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Napoli, Museo Arti Sanitarie, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
il Museo delle arti sanitarie di napoli Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
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Nel cortile degli Incurabili sulla collina di Caponapoli a ridosso dei decumani il Museo dedicato ai luminari della scuola medica napoletana: Giuseppe Moscati, Domenico Cotugno, Domenico Cirillo
Il Museo delle Arti Sanitarie e di Storia della Medicina si trova a Napoli nel cortile degli Incurabili, in uno stabilimento cinquecentesco con influenze barocche sulla collina di Caponapoli, in uno dei quartieri più antichi del capoluogo partenopeo, a ridosso dei decumani. Gli Incurabili hanno ospitato nelle
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proprie mura la storia della Scuola Medica Napoletana e il Museo espone antichi strumenti d’epoca come ferri chirurgici, farmacie portatili e numerosi libri esposti in quattro diverse sale, dedicate ai luminari proprio della scuola medica napoletana come Moscati, Cirillo e Cotugno. L’ampio scalone in
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Storie l’uomo e il territorio
Napoli, Museo Arti Sanitarie, Sezione Moscati reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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Le fondamenta per un museo delle arti sanitarie, sono profonde e allo stesso tempo recenti: la prima esposizione fu realizzata nel 2010, in occasione della celebrazione della fondazione dell’ospedale che si festeggia il 23 marzo, e venne allora istituito il primo nucleo di un museo di Storia della medicina che ha attualmente una sala biblioteca e quattro sale espositive dove sono confluite una collezione privata di libri e strumenti medici, donazioni e beni di carattere storico-sanitario provenienti da antiche strutture ospedaliere afferenti all’ASL NA1 Centro. Vecchi ferri e antichi strumenti medici, stampe e libri messi insieme in uno stesso luogo per custodire la memoria della Scuola Medica Napoletana e della storia sanitaria del Sud. Marco Aurelio Severino, Quadri, Chiari, sino a Moscati e Cardarelli esercitarono l’arte di guarire tra queste antiche mura. Gli oggetti raccolti con pazienza e passione da Gennaro Rispoli, chirurgo dell’ASL Napoli 1 Centro, sono frutto di una lunga ricerca e del desiderio di raccontare la storia di una scienza work in costante cammino: macchine anatomiche del Settecento in cartapesta e stampe mediche testimoniano la vocazione per la dissezione fine dell’anatomia; farmacie portatili, antichi microscopi accanto a clisteri d’epoca raccontano l’evolu-
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Storie l’uomo e il territorio
piperno sul versante sud del cortile degli Incurabili conduce a un edificio facente parte dell’originario corpo architettonico cinquecentesco, sede dell’ex monastero delle Convertite, note come Pentite, poiché si trattava di prostitute redente da Maria Lorenza Longo – in pieno Rinascimento – che aspiravano a una vita pia e di redenzione. Esse erano per lo più impiegate per l’assistenza alle affette da sifilide qui ricoverate, in quanto verosimilmente avevano già contratto la malattia. Sullo scalone è inserito in maniera inconsueta un pozzo detto “dei pazzi” per ricordare la presenza dei matti agli Incurabili sino alla fondazione del manicomio di Aversa in età murattiana.
Storie l’uomo e il territorio
Storie l’uomo e il territorio
zione di una scienza e i suoi riflessi sulla società. In una delle sale, in una sorta di nicchia – ricavata in quello che doveva essere una breve scalinata con volte a crociera sorrette da colonne di marmo e fiancheggiata da finestre ad arpa –, troviamo un insolito presepe napoletano, una visione della realtà partenopea – come era consuetudine per le rappresentazioni presepiali – ma come spaccato sanitario del passato, non le consuete scene di osterie e dei mestieri tradizionali bensì una carrellata di donne e uomini sofferenti, e quell’immancabile pizzico di ironia partenopea. Nel presepe del Museo delle Arti Sanitarie di Napoli, i personaggi sono disposti isolati o animano scene con più soggetti: c’è quella che rappresenta i malati di peste – firmata dalla Scarabattola dei fratelli Scuotto –; particolare quella del cavadenti – dalla collezione del professor Fernando Gombos – che riproduce un ciarlatano nell’atto di tirare un dente a un paziente sotto lo sguardo di una
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Nella pagina precedente Napoli, Museo Arti Sanitarie, Sezione Moscati , sala anatomica; a lato: Sezione odontoiatrica, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
piccola scimmia (che si utilizzava nel Seicento per attirare i clienti); c’è poi la rappresentazione di un piccolo chiosco dove monaci e alchimisti espongono boccette con spezie da vendere agli ammalati. Le statuette singole rappresentano ciascuna una o più malattie: c’è l’uomo che ha subito l’amputazione di un arto, chi ha il gozzo, l’ernia, chi è cieco, chi obeso, ma anche pastori deformi ben noti, ossia il nano e il gobbo (“o scartellato” in lingua napoletana), figure legate alla sfera delle superstizioni e considerate di buon augurio.
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In un’altra sala troviamo gli arredi e gli strumenti della Farmacia San Nicola, nata come spezieria nel convento dei Padri Carmelitani Scalzi per poi spostarsi – con la soppressione degli ordini religiosi all’inizio dell’Ottocento - in via Stella e diventare appunto farmacia. È un piccolo tesoro di falegnameria risalente alla metà del Settecento, pezzi in mogano con intarsi in bronzo e marmo. Gli arredi della Fra’ Nicola dal 1997 sono vincolati dal ministero dei Beni Culturali per il “loro valore documentario” e per l’”eccezionale interesse artistico e storico”. Sicu-
Napoli, Museo Arti Sanitarie, Sezione Moscati reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
Storie l’uomo e il territorio
ramente ben più nota straordinario anche per il suo valore artistico e storico è la celebre Farmacia degli Incurabili, che purtroppo non è accessibile per pericolo di crolli, insieme allo stesso ospedale. Al piano superiore del Museo, a parte una curiosa sezione di Storia dell’Odontoiatria distribuita in due ambienti, si trovano quattro sale dedicate a santo medico Giuseppe Moscati, che mostrano uno spaccato dell’attività professionale del medico e ricercatore che si dedicò alla cura dei malati, non prendendo denaro dai più poveri ma anzi aiutandoli economicamente nei casi di indigenza grave. Beneventano di nascita ma adottato da Napoli, – il suoi resti infatti sono, in un’urna bronzea nella Chiesa Nuovo del Gesù nel capoluogo campano – , dedicò la sua vita allo studio della medicina e alla fede, per lui di fatto scienza e fede non erano in contrasto bensì dovevano avere uno scopo comune, ossia concorrere al bene dell’uomo. Fu medico personale del Beato Bartolo Longo, il fondatore del Santuario di Pompei, e lui fu tra i primi a sperimentare l’insulina per la cura del diabete. La prima sala del Museo a lui dedicata ospita un laboratorio di analisi donato dal professore Eustachio Miraglia, primario emerito di Ematologia; la seconda è la ricostruzione di una sala anatomica (dove troviamo una targa che riporto il motto moscatiano: «Ero mors tua, o mors», «Sarò la tua morte, o morte», così come recitava un cartello fatto sistemare dallo
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stesso Moscati nella sala delle autopsie); la terza un ambulatorio medico con scrivania, camice bianco, mobili, oggetti in parte appartenuti al Moscati provenienti dai suoi laboratori e la quarta sala infine ospita la statua di marmo della Madonna delle Grazie dinanzi alla quale il Moscati si intratteneva spesso in preghiera. «Il dolore va trattato non come un guizzo o una contrazione muscolare, ma come il grido di un’anima, a cui un altro fratello, il medico, accorre con l’ardenza dell’amore, la carità», diceva Moscati, un principio su cui fondava la sua attività, che ricordava spesso anche ai colleghi.
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Surbo, la Chiesa di Santa Maria del Popolo
giovanni e Marcantonio il trasloco delle statue Raffaele Polo
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Lo strano caso delle sculture un tempo posizionate sul Sedile in piazza Sabt’Oronzo e poi finite a... per scoprirlo leggete la nuova indagine dell’ispettore Rizzo
I LUOGhI DEL MISTERO
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luoghi misteriosi sono, spesso, sotto i carta, era rimasto indeciso sul da farsi e nostri occhi. poi, finalmente, aveva infilato il foglio nel rullo della macchina da scrivere e cominStavolta, vogliamo parlare di Giovanni e ciato a battere sui tasti. Era una ‘lettera Marcantonio, le due statue che erano, 22’ della Olivetti, con tutti i difetti comuni assieme all'orologio, nei pressi del Sedi- a questo tipo di strumento: i tasti si imbrile, proprio in Piazza Sant'Oronzo, a Lec- gliavano tra loro e le lettere venivano ce. spesso stampate su linee non propriaTra fantasia, storia e finzione letteraria, mente orizzontali. In compenso, il nastro nel suo recente 'Le inchieste di Rizzo' era nuovo, cambiato da poco. Così ave(Robin edizioni, 2019), Raffaele Polo par- va iniziato a scrivere. Il suo Ufficio lo avela del trasloco delle statue che, dal loro va mobilitato per risolvere una strana facluogo originale, sono approdate a Surbo. cenda. Del resto, quella era la sua manE la storia inizia così: sione e lui era abituato a ricevere le “...Aveva una pagina bianca davanti, e la richieste più strane senza battere ciglio. tentazione di riempirla, di scrivere qualco- Di solito, gli arrivava una busta sigillata sa di getto, è stata subito pressante. Ma con la sommaria descrizione di quello si era trattenuto, per un motivo semplicis- che gli richiedevano. E stava a lui capire simo: la sua calligrafia era decisamente e risolvere... Compito non sempre facile illeggibile e, d’altro canto, scrivendo in soprattutto perché le indicazioni erano fretta, non avrebbe potuto migliorarla. sempre labili e frammentarie. Allora, guardando la penna e il foglio di Anche quella volta, infatti, non si erano
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I LUOGhI DEL MISTERO
Lecce, Il Sedile e piazza Sant’Oronzo in un’antica incisione
sprecati. Nella busta, che gli aveva recapitato il commesso, senza una parola, accorto solo a richiedergli la firma per ricevuta, con la specifica dell’orario, c’erano due immagini, di cui una sbiadita e rinveniente dall’altro secolo. E poi, un foglio manoscritto direttamente dal Generale che aveva la strana abitudine di firmare col pennarello. C’era scritto: ‘Sono le stesse? E perché sono andate a finire proprio lì? Rizzo ha guardato con attenzione le immagini. Sì, c’era qualcosa in comune, praticamente era l’orologio con le statue, con due figure umane che lo fiancheggiavano, ad essere al centro dell’attenzione del Generale. Che aveva scritto l’interrogativo riferito al femminile plurale: quindi, doveva riferirsi alle statue che, dal Sedile di Lecce erano finite sulla chiesa Santa Maria del Popolo a Surbo (era scritto nella didascalia della foto a colori)... Ecco in cosa consisteva la sua prossima, improbabile ricerca. E, stavolta, niente incarico protocollato, niente richiesta scritta dal Comando. Solo un appunto del Generale che, evidentemente, non voleva testimoni né ufficialità. Sospirando Rizzo si è chiesto come avrebbe fatto a giustificare la sua assenza dall’Ufficio. Ha lasciato sulla scrivania il libro che stava leggendo (un’edizione del 1980 di Fontamara di Ignazio Silone), lanciando un’occhiata dispiaciuta agli altri libri che aveva sistemato nello spazio tra lo schermo del computer e la stampante: 1) Brunella Gasperini, Le note Blu; 2) Andrea Vitali, Una finestra vistalago; 3) Arthur Perez Reverte, Il codice dello scorpione. Ricordava che, molti anni fa, aveva letto sull’argomento un articolo su Lu lampiune, un periodico di storia patria e curiosità salentine, edito da Ivan Cingolani, il sanguigno editore tragicamente scomparso, proprio su quell’argomento. Lo aveva scritto Raffaele Polo, uno degli suoi autori preferiti dall’Ufficiale. Ma, Rizzo ne era certo, si trattava di illazioni e realtà romanzesche che volevano solo segnalare quella curiosità e non altro... Come, in un altro articolo, si parlava di una lapide con iscrizione Mata Hari (Mata Hari nel Salento? Titolava il pezzo) oppure dei segnali massonici nei balconi leccesi... Bisognava comunque trovare quell’articolo e allegarlo, come documentazione, alla risposta da fornire al Generale...” Iniziano le ricerche di Rizzo che chiede a chi di dovere informazioni sullo scritto:
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Lecce, Sedile e particolare anfiteatro romano, foto a.f.
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“Un vecchio numero di una rivista di qualche anno fa, Lu Lampione. Non so se hai presente...” ha cominciato Rizzo. “Ho presente, ho presente. E cosa cerchi, in particolare?” ha chiesto lei, aspirando più del normale la sigaretta. “C’è un articolo di Raffaele Polo dove si parla delle statue che erano sul Sedile di Piazza Sant’Oronzo, a reggere l’orologio. Pare che siano finite a Surbo, sul tetto della Chiesa. E Polo ha scritto un pezzo interessante sull’argomento... Volevo leggerlo...” ha concluso l’Ufficiale, aspettando che la donna si decidesse a consultare la sua vasta emeroteca. “Di questa cosa ne so più io di Polo, puoi scommetterci. E ti do una dritta, ti faccio un nome: Ante Topic Mimara. Mai sentito nominare?” ha cominciato la donna, schiacciando il mozzicone di sigaretta nel portacenere accanto al letto. “In una breve sua comparsa nel Salento non solo sono spariti un po’ di importanti reperti e opere d’arte, ma sono anche stati rivenduti un po’ qua e un po’ là. E tutto è stato fatto abilmente e professionalmente alla luce del sole. Guardati attorno e quando non trovi qualcosa che dovrebbe essere al suo posto, sai a chi dovrai addossare la colpa. Ad esempio, dietro l’Anfiteatro, vicino alla Banca d’Italia, c’è tuttora un piedistallo, vuoto. Là c’era una bellissima aquila di bronzo...” “Ma quella è stata fusa ai tempi del fascismo, per farne armi e cannoni...” ha interrotto l’Ufficiale,
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che aveva sentito questa storia da suo padre. “Storie. Così hanno fatto credere. Ma se vuoi, ti dico anche dove è andata a finire, nel giardino di quale villa. E i cavalli della fontana che era nella Piazza del Vescovado? Anche quelli...” Non resta che recarsi sul posto, per verificare. E Rizzo coglie l'occasione per farlo con la sua abituale compagna, salendo fin sulla terrazza della chiesa. “Venite per le pubblicazioni?” ha detto un giovanotto che doveva essere sicuramente un sacerdote, anche se era vestito normalmente e non aveva neppure il solino bianco. L’Ufficiale e la sua compagna hanno sorriso impercettibilmente. Lei lo ha urtato intenzionalmente, quasi a fargli intendere che, allora, anche il prete aveva capito tutto... “Solo un’informazione, se è possibile” ha detto Rizzo, seriamente. “Prego. Accomodiamoci in sagrestia e parliamo” ha suggerito quello, precedendoli nell’anonimo stanzone adibito a ufficio della chiesa. “Le statue. Le statue che sono quassù...” ha detto l’Ufficiale, additando il soffitto e sospendendo la frase, aspettandosi che l’altro comprendesse al volo. “Ah sì, hanno bisogno di una ripassata. E voi siete del ramo?” ha detto il padrone di casa, guardandoli interessato. “Necessitano di un buon restauro. Sono anni che lo dicono tutti, non vorremmo che ci fosse il peri-
I LUOGhI DEL MISTERO
Leccce, piazza Duomo, foto a.f.
colo di un crollo...” ha aggiunto, guardandoli sornione. “Certo, c’è il problema del prezzo...” ha concluso. “Potremmo dare un’occhiata?” ha chiesto Rizzo. “Ma certo, andate pure” gli ha risposto il giovanotto, indicando una porticina alle sue spalle. Rizzo e la donna hanno intrapreso l’ascesa, nella semioscurità di quelle scale strette e poco pulite. Sono sbucati sulla terrazza, un grande spazio privo di alcun ostacolo, su un lato del quale troneggiavano le due statue. “Lu Giuanni e lu Marcantoni” ha mormorato Rizzo. Viste da dietro erano veramente brutte: scolpite rozzamente, senza alcun segno particolare, sorrette da sbarre arrugginite, facevano impressione. Due giganti perduti là sopra a sorreggere due inutili campane... “Sono gli stessi che erano sul Sedile, senza dubbio...” ha detto l’Ufficiale, scattando alcune foto dei due ruderi in pietra. La donna ha indicato qualcosa, alla base della statua di sinistra. C’erano due lettere, incise rozzamente, quasi a voler marchiare l’intera statua. “Questo può essere rivelatore” ha detto. “M. M. ovvero Mirko Mimara” ha compitato Rizzo. Sono discesi per la stessa scala, stando attenti a non scivolare sui gradini consunti. “Tutto bene?” ha chiesto il sacerdote (adesso aveva il colletto bianco simbolo della sua professione...) vedendoli riapparire dalla porticina. “Benissimo” ha risposto Rizzo. “Vedremo cosa si può fare. Piuttosto, quelle lettere sulla base di una statua...” ha buttato lì, senza parere l’Ufficiale. “Sicuramente stanno per Matris Mariae. O per qualcosa di simile. Una sorta di dedica
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per far capire che quelle due raffigurazioni non sono certo laiche e miscredenti, ma sono al servizio della Chiesa...” ha concluso il prete, sorridendo e porgendo la mano. “Arrivederci” ha detto, congedandoli. “A presto” ha assicurato Rizzo, uscendo da quella stanza, e dalla chiesa. Fuori, hanno alzato lo sguardo e contemplato i due giganti di pietra che sorreggevano le campane. “Sono loro” ha detto Rizzo. “Sì, ma non sapremo mai come sono arrivati qui...” ha concluso la donna, stringendosi a lui. La storia completa, naturalmente, si dilunga su questo misterioso personaggio e ci lascia con qualche lecito dubbio. Ma esitazioni non ne ha Rizzo che così conclude la sua indagine: Aveva cambiato alcune volte il foglio e adesso aveva concluso lo scritto. C’erano un po’ di errori da correggere e poi bisognava usare con precisione i correttori, strisce di carta con il verso che avrebbe cancellato il tratto d’inchiostro, sovrapponendo una patina bianca. Ruotando il cilindro della macchina da scrivere, ha estratto il foglio e lo ha impilato sugli altri. Ha scritto poco, sintetizzando il risultato della sua ricerca: “ Le statue sono probabilmente le stesse, per dimensione e rassomiglianza. Alienate dalla Piazza di Lecce, sono state in seguito posizionate sulla chiesa di Surbo. Non vi sono documenti al riguardo. Le statue necessitano di pulizia e restauro, al più presto. Con osservanza l’Ufficiale Rizzo”.
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Trionfale uscita della Madonna delle Grazie dal Santuario omonimo di Buccheri (SR), foto Seby Scollo
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Maggio il Mese di Maria itinerario siracusano Dario Bottaro
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Scopriamo insieme i Santuari dedicati alla Madonna in provincia di Siracusa
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a provincia di Siracusa, così come le altre provincie siciliane, oltre ad essere caratterizzata dalle numerose testimonianze storiche che narrano secoli di stratificazioni e del passaggio di molte culture che hanno dominato la Sicilia, si caratterizza anche per la profonda spiritualità. Una spiritualità che è tipica del sud, dove in alcune aree è ancora il tempo che scandisce la vita dell’uomo e non
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l’uomo a rincorrere il tempo che sfugge nella frenesia tecnologica dell’epoca contemporanea. L’orologio culturale che le grandi città purtroppo hanno quasi perso o trasformato vedendo nelle manifestazioni di una comunità un momento di “commercializzazione” delle tradizioni, in alcune zone sembra essere rimasto quasi immutato. Ci sono località dove le stagioni, seppur non più quelle di una volta, vengono
Storie l’uomo e il territorio
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Storie l’uomo e il territorio
accompagnate da ritualità e momenti culturali che si legano in modo indissolubile alla sfera del sacro. Il tempo del lavoro contadino ad esempio, come quello della pesca in mare negli antichi borghi marinari, viene così scandito da alcune date particolari che ricorrono nel calendario liturgico e che segnano il passaggio da una condizione temporale all’altra, mescolando sacro e profano, divino e u m a n o , volontà dell’intangibile e capacità dell’uomo. Queste ricorrenze importanti per tutta un’intera comunità, testimoniano il dialogo che l’uomo nel tempo, ha
costruito con la divinità, con la parte più sensibile di sé che riconosce i propri limiti e si affida a Dio, alla Madonna e ai Santi. Patronati differenti per ciascuna categoria: pescatori, coltivatori, carpentieri, orafi e argentieri, mietitori e ancora molte altre, hanno richiesto l’intervento divino ed hanno messo la loro categoria sotto la protezione di un santo particolare. Senza alcun dubbio però, la devozione alla Madonna, in quanto Vergine e Madre che ha accolto in sé le reminiscenze degli antichi culti alle dee madri ed alle ninfe, è statisticamente la più importante e quella con maggiore valenza nel-
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Santuario della Madonna delle Grazie di Buccheri (SR), foto Seby Scollo.
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Da sx: , Esterno del Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa; Siracusa, Santuario Madonna delle Lacrime, interno Basilica superiore; Cuore Immacolato e Addolorato di Maria realizzata dall'artista Francesco Caldarella e posta in cima al Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, foto Dario Bottaro
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Madonna delle Lacrime, Santuario di Siracusa, foto Dario Bottaro. A lato: Giovanni Paolo II benedice e dedica il Santuario della Madonna delle Lacrime, il 6 novembre 1994 a Siracusa, foto archivio del Santuario
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Statua della Madonna del Bosco venerata a Buscemi (SR), foto Michel Di Magro.
Pentecoste, olio su tela dell'artista Austin Camilleri, Cripta del Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa, foto Dario Bottaro.JPG
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Festa della Madonna del Bosco, Buscemi (SR), foto Giacomo Vespo
l’ambito delle comunità siciliane. In cima alla lista delle devozioni dunque è Maria, seguita poi dai santi patroni e quelli particolari, che rivestono cioè un ruolo importante all’interno della comunità pur non essendo i patroni del luogo dove la devozione è presente. Un primato del tutto unico, quello della Vergine Maria, che la vede venerata ed acclamata sotto numerosi titoli, spesso riferiti a luoghi che la tradizione vuole siano stati benedetti dalla sua presenza o da un qualche evento straordinario. Si rincorrono così, per le città e le contrade della Sicilia, le leggende popolari, molte fantasiose, eppure tenute in grande considerazione e rispettate, insieme a quei fatti più particolari che hanno visto nella devo-
zione e nella promessa di un popolo alla Vergine, il compiersi di miracoli e segni prodigiosi testimoniati da molte persone. Così in questa altalena della cultura dove fede, tradizione e folclore si mescolano confondendosi, si raccontano le storie dei miracoli ai ciechi, agli storpi insieme a quelle dei ritrovamenti di alcune immagini come ad esempio quella della Madonna del Bosco di Buscemi (SR), o quella della Madonna della Sciara di Belpasso (CT) e molti altri ancora. La forte devozione a Maria ha fatto sì, dunque, che venissero erette numerose chiese, cappelle e santuari, in tutta la Sicilia e che ad esse venisse conferito un titolo specifico, a volte scaturito proprio dalla devozione del popolo che ha interpretato
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Interno della Chiesa Madre di Buscemi (SR),altare maggiore in pietra intagliata, foto Davide Di Pietro
fatti e segni prodigiosi ed ha spesso eletto Maria come patrona, spodestando in alcuni casi il precedente santo titolare. Questa dunque la Sicilia, una terra benedetta da Maria addirittura mentre Lei stessa era in vita,
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quando inviando una lettera agli antichi abitanti dell’odierna Messina, benediceva quella comunità cristiana e legava l’epistola con una sua ciocca di capelli. Da qui il titolo con cui i Messinesi venerano Maria, la Madonna della Lette-
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Dipinto su muro della Madonna con il Bambino che prende il titolo del Bosco, Santuario Madonna del Bosco, Buscemi (SR), foto Giada Linzitto.
ra, patrona della città dello stretto che purtroppo però non possiede più il suo prezioso tesoro, il reliquiario con i capelli della Madonna, andato distrutto durante il terribile sisma del 28 dicembre del 1908 che rase al suolo la città causando migliaia di vittime. L’importanza del culto alla Vergine Maria trova dunque riscontro in molteplici aspetti che vanno dalle credenze popolari, ai fatti tramandati come realmente accaduti, a quelli accertati, alle numerosissime opere d’arte che nei secoli sono state prodotte in omaggio alla Madre di Dio e agli altrettanto numerosi luoghi di culto che le sono stati dedicati. Potremmo immaginare la Sicilia come un grande mosaico mariano, le cui tessere sono le chiese, i santuari,
le abbazie, le cappelle, le edicole votive presso cui si rivolge il viandante, l’uomo o la donna alla ricerca di un conforto, di uno sguardo benevolo, di una grazia ed a Lei si rivolge certo di essere esaudito. Il territorio della provincia di Siracusa custodisce tanti luoghi di culto dove la Madonna viene venerata con diversi titoli, noi in queste pagine ci occuperemo di tre di questi siti: il Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, il Santuario della Madonna del Bosco di Buscemi e quello della Madonna delle Grazie di Buccheri. Il culto della Madonnina delle Lacrime – così viene chiamata a Siracusa ha origini recenti, nato dall’evento avvenuto in città dal 29 agosto al 1° settembre del 1953. In una umi-
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A Trasuta (ingresso) della Madonna del Bosco in Chiesa Madre a Buscemi (SR), foto Giacomo Vespo
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Altare maggiore della Madonna delle Grazie di Buccheri (SR) nel suo Santuario, foto Seby Scollo.
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le casa, abitazione dei coniugi Iannuso al aumenta e non c’è spazio in casa per accocivico 11 di Via degli orti di S. Giorgio, nel gliere tutti. Sono ore calde, fuori e dentro il quartiere della Borgata S. Lucia, la mattina cuore dei siracusani. La gente prega, iniziadel 29 agosto una piccola effige in gesso no a portare i malati, accadono i primi miradel Cuore Immacolato di Maria comincia a coli sotto gli occhi di tutti. Di tanto in tanto versare un liquido trasparente. Solo dagli quel pianto silenzioso si ferma e la Madonocchi. Sono circa le 8.30 di una calda gior- na sembra tornare ad un’espressione nata di fine agosto e la signora Iannuso si immobile. Poi riprende a lacrimare e semtrova a letto per via della gravidanza in cor- bra cambiare in viso, sembra più luminosa, so che le reca alcune complicazioni di salu- quasi che quegli occhi siano vivi. Il 1° sette. Immediatamente avvisa la cognata che tembre una commissione medica riesce a in quei giorni la assiste mentre il marito va a prelevare con una provetta questo liquido lavorare nelle campagne. La donna, rag- che viene subito portato in laboratorio per le giunto il capezzale, si accorge di come que- analisi. Contestualmente vengono prelevati sto liquido abbia origine solo dagli occhi e i liquidi lacrimali di qualche adulto e qualche lentamente, ma in modo continuo, scorre bambino per poter comparare i risultati. Il rigando il viso della Madonnina e andando a verdetto non tarda ad arrivare. Per la Scienriempire gli incavi delle mani e del manto. In za non ci sono dubbi, quel liquido prelevato poche ore una folla accorre a vedere il mira- dal quadretto di gesso del Cuore Immacolacolo. E più passano le ore, più la folla to di Maria, analizzato meticolosamente in
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Statua della Madonna delle Grazie venerata a Buccheri (SR), nel santuario omonimo, foto Seby Scollo.jpg
laboratorio è liquido umano, contiene esat- guardia per l’epoca, potremmo dire un’opetamente gli stessi elementi delle lacrime di ra faraonica, ma di certo non si può sminuiun qualsiasi essere umano. A Madunnuzza re il suo significato. In questo luogo migliaia chianci! La Madonnina piange! di pellegrini durante tutto l’anno accorrono Questa è la frase che di bocca in bocca è per far visita alla Madonna delle Lacrime, stata ripetuta in quei quattro lunghi, caldi per inginocchiarsi ai suoi piedi, chiedere giorni dell’estate siracusana. E quelle paro- una grazia o semplicemente ringraziare per le fanno il giro del mondo, anche le immagi- averla ottenuta. Sono innumerevoli le testini fanno il giro del mondo e i cronisti alle monianze di grazie ricevute e per farsi un’iradio parlano dei fatti di Siracusa, di come dea in merito, basta percorrere alcuni luoghi questo evento abbia stravolto la città. Ci del Santuario. I Musei che sono nella Cripta sono voluti molti anni per costruire quello ad esempio, quello degli Ex-Voto e quello che nel 1994 fu benedetto dall’allora Ponte- della Lacrimazione, per ammirare oggetti di fice Giovanni Paolo II: il grande Santuario di ogni specie, oltre che preziosi donati dai Siracusa. Una struttura enorme. Un cono fedeli e che oggi costituiscono un ricchissiche ricorda una gigantesca lacrima o una mo tesoro materiale – certamente – ma immensa tenda per il popolo di Dio. Ognuno soprattutto immateriale. Sono gli oggetti che può pensare ciò che desidera, può esprime- parlano della memoria, della devozione, re giudizi di estetica o di funzionalità sulla della preghiera, del sentimento umano che struttura del Santuario, sicuramente d’avan- ha cercato un dialogo, un punto d’incontro
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Fuochi d'artificio salutano la Madonna delle Grazie di ritorno al suo Santuario di Buccheri (SR), foto Giacomo Vespo
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Reliquiario delle Lacrime, Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa, foto Dario Bottaro.
con il Divino e l’ha trovato e sperimentato con la Madonnina delle Lacrime. Sunu lacrimi d’amuri, sunu lacrimi i duluri, citano i versi di un bellissimo canto alla Madonna delle Lacrime, scritto e musicato dai Cantunovu, rinomato complesso folk siracusano. Quelle lacrime d’amore, quelle lacrime di dolore che hanno cambiato Siracusa, la Chiesa, il mondo. La festa della Madonna delle Lacrime è stata inserita nel calendario liturgico alla data del 1° settembre, giorno dell’ultima lacrimazione, ma i siracusani definiscono la festa, o meglio i quattro giorni di festa, con il termine festeggiamenti. Si tratta di una ricorrenza prettamente liturgi-
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ca che prevede come manifestazione religiosa esterna solo la processione dalla Casa del Pianto - divenuta oratorio – al Santuario. Il calendario è ricco di eventi che fanno da cornice alle celebrazioni più importanti; spettacoli, mostre, iniziative culturali, scandiscono il tempo di questa ricorrenza cara ai siracusani, fin da subito dopo Ferragosto. La domenica antecedente il 29 agosto si svolge uno dei riti più sentiti, ovvero l’apertura della teca blindata che conserva il quadretto della Madonnina per la benedizione del cotone. Centinaia di rotoli di cotone vengono poggiati sul quadretto e successivamente il cotone viene diviso fra i fedeli, per loro e
Museo della Lacrimazione, spazio dedicato a San Giovanni Paolo II nel Santuario Madonna delle Lacrime di Siracusa, foto Dario Bottaro.
soprattutto per gli ammalati. Un momento di intensa emozione, dove difficilmente si trattengono le lacrime perché nonostante il caldo, la grande aula liturgica del Santuario è gremita di fedeli, tutti in attesa di quel gesto, quella piccola chiave che viene inserita,
quello sportello di vetro che si apre e l’applauso e le invocazioni esplodono per quasi accogliere, in mezzo al popolo la nostra Madonnina. Molto più antichi sono invece i Santuari locali di Buscemi e Buccheri, piccoli centri dell’altopiano Ibleo dove sulla
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immagine della Vergine Maria che siede su una roccia e porta sulle proprie ginocchia il piccolo Gesù, a sua volta adagiato su un cuscino dorato. Alle prime luci dell’alba molte persone a piedi, partono dai paesi vicini, specialmente da Palazzolo Acreide, per fare il viaggio alla Madonna. Con questo sacrificio, camminando per diversi chilometri, i pellegrini chiedono una grazia o sciolgono un voto raggiungendo il Santuario. Una chiesetta semplice con un solo ingresso, una sola navata e una piccola cella campanaria in cima. All’interno nella nicchia centrale si conserva per tutto l’anno il bel simulacro della Vergine, ma origine del culto alla Madonna del Bosco è un antico affresco che si trova incorniciato in un altare sulla sinistra. Narra la leggenda che due religiosi, nel XVI secolo, privi della parola, si presentassero agli abitanti per chiedere il loro aiuto per farsi largo nella fitta boscaglia e raggiungere un determinato luogo. Alcuni uomini, per curiosità o per spirito di solidarietà si offrirono di aiutarli e andarono con i due religiosi. Grande fu la loro meraviglia quando, dopo non poca fatica, liberando la via dai rovi, si trovarono dinanzi un muro con ai piedi una lampada accesa e l’immagine dipinta della Madonna con
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distruzione del terremoto del Val di Noto del 1693, ha trionfato la rinascita dell’arte che si esprime soprattutto nei palazzetti nobiliari e nelle chiese dalle facciate barocche. Questi luoghi di culto hanno in comune alcuni aspetti, ad esempio si trovano entrambi fuori dal centro abitato, il primo – il Santuario della Madonna del Bosco di Buscemi – ai piedi del Monte S. Nicola, sul versante opposto della collina sul quale sorge il centro abitato. Il secondo invece – il Santuario della Madonna delle Grazie a Buccheri – si raggiunge attraversando tutto il centro abitato e dirigendosi verso la pineta Santa Maria. Si trova lì, davanti il polmone verde di questo angolo dei Monti Iblei, quasi protetto dalla natura. Due realtà contadine quelle di Buscemi e di Buccheri, dove ancora oggi il tempo viene scandito da alcuni momenti solenni, dove la comunità tutta si ritrova e riunisce per celebrare quel rapporto con il sacro che nei secoli ha impregnato tutta la vita cittadina, imprimendo i caratteri distintivi e fondamentali di ogni singola comunità. Buscemi festeggia la Madonna del Bosco, eletta Patrona a furor di popolo il 18 maggio del 1919, l’ultima domenica del mese di agosto. È chiamata la Regina degli Iblei, questa bella
L'abitazione dei coniugi Iannuso in via degli orti di S. Giorgio n° 11, in cui pianse la madonnina dal 29 agosto al 1° settembre 1953, foto Dario Bottaro.
il globo terraqueo e il Bambino sulle ginocchia. La notizia si sparse velocemente e in molti andarono a vedere la sacra scoperta. La decisione fu unanime, bisognava costruire una cappella in quel luogo, per protegge-
re l’immagine e rendere il sito decoroso per la dolce Signora. Fu in quel momento che gli uomini si resero conto della difficoltà dell’impresa per la quale era necessaria acqua, che nei dintorni mancava. Con altri
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tra gli stendardi azzurri che le fanno da cornice, e che con grande effetto scenografico si aprono dinanzi a lei, mostrandola in tutta la sua bellezza. Si arriva in Chiesa Madre, momento culminante della festa, i cuori palpitano, le mani applaudono, la Regina degli Iblei fa una sosta prima di salire la scalinata della Matrice. Poi di colpo, tutto d’un fiato viene caricata sulle spalle dei portatori che iniziano a salire velocemente le scale e a quel punto il cielo si apre, l’immagine della Madonna scompare sotto le nuvole multicolori degli ‘nzareddi – strisce di carta colorata e volantini – che coprono interamente la facciata della chiesa. Non si vede più nulla, solo grandi macchie di bianco, azzurro, rosso e verde. Dura tutto pochi istanti, ma quando il variopinto dipinto in movimento scompare, la Madonna riappare dinanzi l’ingresso principale della chiesa, salutata dagli inchini degli stendardi e dalla folla che acclama. La prima domenica di settembre è festa per la comunità di Buccheri, anch’essa profondamente legata alla Vergine Madre. Ne sono prova i numerosi altari eretti nella chiese del centro abitato e i momenti di comunione attorno alle sue sacre immagini, come la festa della Madonna della Provvidenza che si
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gesti i due religiosi fecero comprendere agli uomini di scavare proprio nei pressi del ritrovamento e così videro con i loro occhi il manifestarsi di una sorgente. Da quel momento, non trovarono più i due strani eremiti, forse due angeli che erano scomparsi, portando a termine il loro compito. Da allora in tutto il territorio si diffuse il culto alla Madonna sotto il titolo del Bosco, indicando il luogo ove la sacra immagine era stata rinvenuta. L’ultima domenica di agosto è il giorno – dicevamo – della grande festa. Alle 9.30 del mattino la Madonna sulla sua artistica vara (o fercolo processionale) portata a spalla da uomini e giovani devoti, oltrepassa il portale del Santuario per essere condotta in trionfo in paese, in Chiesa Madre, dove rimarrà per otto giorni e successivamente verrà riportata nel suo Santuario. Il caldo afoso non risparmia nessuno, ma nonostante questo la processione è partecipata da tutto il paese e da molte persone venute da fuori. Un continuo inno a Maria si innalza con le grida dei portatori che la invocano gridando Viva Maria! E la processione va, percorrendo le strette strade del borgo, tra le salite e le chiese, la vara della Madonna si ferma sotto i balconi addobbati con coperte ricamate e fiori, entra nelle chiese parate a festa,
Vergine annunciata, scultura in bronzo dell'artista Giuseppe Caruso, viali del Rosario nel Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, foto Dario Bottaro.
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celebra la prima domenica di luglio e i momenti salienti della Settimana Santa, dove l’Addolorata non viene mai lasciata sola. La festa della Madonna delle Grazie prende il via dal suo Santuario dove già anticamente sorgeva un’altra chiesa intitolata a S. Maria di Fontana murata, derivante dall’antichissima fonte considerata miracolosa, racchiusa in conci squadrati, ove si recavano gli ammalati per ottenere conforto e salute. Le fonti storiche fanno risalire il Santuario a prima del terremoto del 1693, ma distrutto dal sisma esso veniva immediatamente ricostruito, seppur non del tutto completato. Solo dopo la metà del XVIII secolo infatti verrà posato il pavimento e verranno completate le decorazioni in stucco. Il Santuario è recintato da muri perimetrali e dal cancello principale fino all’ingresso del luogo di culto, un viale di ampi gradini accompagna i fedeli che con devozione visitano la Madonna. Il giorno della festa, la
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Trionfale uscita della Madonna delle Grazie dal Santuario omonimo di Buccheri (SR), foto Seby Scollo
Madonna viene scesa dall’altare sul quale troneggia, sotto un ligneo baldacchino decorato. Ai lati dell’altare due colonne con grappoli fitomorfi decorati in oro incorniciano la nicchia. La Madonna si prepara ad essere accolta sul sagrato della chiesa, fra una moltitudine di volantini colorati che la salutano non appena fuori dalla sua dimora. La processione ha inizio, lentamente Maria si avvicina al centro abitato, presentando il Figlio che è in piedi sul suo
ginocchio destro. Anche la Madonna delle Grazie di Buccheri è raffigurata seduta, su una poltrona dagli alti braccioli, alla maniera antica, ed Ella in solenne posa, fiera e dolce come una regina che va incontro al suo popolo. Una volta raggiunto l’abitato la processione si snoda per le vie del paese, tra la folla che accompagna la Vergine, gli stendardi che danzano precedendo il fercolo con la sacra immagine. Ad accompagnare il popolo devoto, sono le grida di
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acclamazione alla Madre, Viva Maria! Viva Maria! E’ un continuo succedersi di invocazioni tra la gioia della festa sottolineata dalle note trionfali della banda musicale. La processione termina in Chiesa Madre, dove al saluto degli stendardi che si inchinano alla Vergine, la sacra immagine sarà portata in chiesa, visitata ancora dal popolo che a questa Madre consegna tutte le sue speranze.
La cantante Karima
live at hoMe: KariMa l’incanto di una voce
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Il 3 maggio un nuovo appuntamento streaming di Visioniin musica
Musica e solidarietà. Visioninmusica "Live at Home" si veste di raffinate corde vocali femminili. Per il suo nuovo appuntamento domenica 3 maggio alle ore 18:30 in diretta streaming dalla sua casa piemontese ci sarà Karima, accompagnata dal pianista Piero Frassi in live da Pisa. Un’attesa performance che comprenderà quattro classici standard tra i cult del repertorio di Karima: What a little moonlight can do, The nearness of you, Waitin' for Charlie, That’s what friends are for. Livornese, sin da bambina, Karima si avvicina alla musica partecipando a “Bravo Bravissimo” e successivamente a “Domenica In”. Nell’ottobre del 2006 entra nel programma “Amici di Maria De Filippi”, dove si classifica al terzo posto e vince il premio della critica, decretato all’unanimità dalla giuria tecnica, che la ritiene la nuova voce più interessante del panorama musicale italiano. Nonostante la sua giovane età, Karima ha già una lunga e ricca esperienza artistica, che l’ha vista protagonista al Festival di Sanremo
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nel 2009 vedendola collaborare con Burt Bacharach che ha composto dei brani per lei, registrati a Los Angeles, producendo il suo primo album dal titolo “Karima”. Sempre nello anno è stata scelta dalla Disney per interpretare la colonna sonora de “La Principessa e il ranocchio”. Ha aperto i concerti di Whitney Houston e di John Legend, partecipando inoltre a “Tale e Quale Show” e “I migliori Anni” su Rai 1. Con Umbria Jazz rappresenta l’Italia nei festival internazionali. Per due anni in tour con il progetto “Close to you” ha cantato al prestigioso teatro dell’opera di Pechino, tempio sacro della musica classica. Nel 2017 nel musical “The Bodyguard” canta nella parte della protagonista Rachel, ruolo interpretato nel film da Whitney Houston. Nel corso dell’evento in streaming verrà messa in evidenza la possibilità di contribuire con una donazione a favore dell' Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni, città natale di Visioninmusica, a sostegno del diritto alle migliori cure per i
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pazienti colpiti da Covid-19 nel contesto di una sicurezza sanitaria di interesse generale. Al link https://www.aospterni.it/pagine/donazioni sono indicate le modalità per effettuare la donazione. Il calendario di Visioninmusica "Live at Home" proseguirà successivamente con Javier Girotto (7 maggio), Giuseppe Albanese (10 maggio), Nicola Andrioli (14 maggio), Claudio Jr De Rosa (17 maggio), Cristina Renzetti (21 maggio). Tutti i live
saranno accessibili in diretta streaming sul canale YouTube di Visioninmusica. Sarà inoltre disponibile il link alla pagina del concerto in diretta sulle pagine Facebook, Instagram e Twitter ufficiali del festival. Visioninmusica è socio fondatore di Jazz Italian Platform (JIP), associazione nazionale di promoter di jazz, assieme a Umbria Jazz, Bologna Jazz Festival, Jazz in Sardegna, Jazz Network, Pomigliano Jazz, Saint Louis College of Music, Veneto Jazz.
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le Maschere di colin christian Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
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«Non ho particolari talenti,
"Spesso una maschera ci dice più di un volto Oscar Wilde
sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
C
olin Christian è uno scultore pop surrealista/lowbrow, oriundo londinese ma naturalizzato americano, noto per le sue grandi ed originali sculture in vetroresina e silicone che trovano ispirazione nell'estetica delle pin-up, nei vecchi film di fantascienza, nelle storie di H.P. Lovecraft ed opere di H. R. Giger, nel mondo degli anime e
della cultura leather e bondage, nella musica elettronica, ecc. Nasce a Londra nel 1964 da una madre, come gli piace ricordare, amorevole ed estroversa; poca passione per la scuola (lezioni d'arte escluse), che trovava piuttosto frustrante ed inutile. Ha avuto problemi di sonno ed ansia quando era molto giovane, e, una volta,
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Better out than in
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CURIOSAR(T)E
Gaia con l'artista
un dottore disse a sua madre che, probabilmente, i suoi disturbi erano dovuti ad una immaginazione iperattiva, e sospettava che sarebbe divenuto un artista. Sin da govane infatti, la passione per Batman e Thunderbirds si è unita a quella per le bambole G.I. Joe in plasticene, trasformate dall'artista negli ultimi mostri del Dr. Who mentre leggeva i libri di Jack Kirby e Stan Lee. All'età di 15 anni ha lasciato la scuola ed ha vissuto per un anno in Marocco con la madre, il fratello e la sorella: questo nuovo humus culturale ha contribuito ad arricchire e liberare il suo universo creativo di riferimento. Al suo ritorno in Inghilterra, a 16 anni, ha lavorato in un negozio di musica e discografia e nel 1982 è diventato DJ di un club specializzato in musica gotica, punk, metal ed elettronica; ha anche lavorato come direttore di scena per un popolare nightclub nel sud del-
l'Inghilterra: proprio qui ha incontrato la moglie Sas, anche lei artista figurativa, molto apprezzata, peraltro, del firmamento pop surrealista. Il duo si è trasferito negli Stati Uniti nel 1992 per dedicarsi all'arte, dato che all'epoca pareva non fosse una scelta di carriera praticabile nel Regno Unito. Nel 1995, Colin e Sas hanno avviato una piccola impresa, la Hotbox Inc., per produrre abbigliamento in lattice per negozi fetish di tutto il paese; il loro lavoro è apparso anche sulle riviste Penthouse e Skin Two. Prendendo spunto da ciò che aveva appreso dalla produzione di abbigliamento e combinandolo con il suo interesse per gli effetti visivi (VFX) dei film di fantascienza, Colin ha iniziato a produrre figure e display in vetroresina. Nel 1998 ha realizzato la sua prima scultura, una ragazza Anime chiamata "Suki" una scultura anatomicamente perfetta alta oltre 2 metri! - ed ha
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deciso di mettere da parte la sua carriera per qualche anno per dedicarsi alla scultura commerciale (tra i lavori più noti un robot che ha realizzato per l'American Heart Association e la più grande trappola per topi del mondo per la società di disinfestazione Truly Nolen, che ora è presente nel Guinness dei Primati) ma ha nel frattempo continuato a sviluppare e sperimentare diversi materiali per evolvere i propri lavori scultorei e cifra artistica: un miscuglio di Pinup americane, Manga giapponesi e feticismo europeo, fortemente influenzato da Kubrick e dal retro-futurismo tutto curve degli anni sessanta. Nel 2004 ha creato "Moist As A Snackcake", la prima scultura nella quale ha utilizzato il silicone, un materiale difficile da usare ma che lo aiuta a raggiungere l'obiettivo di vero realismo partendo dal cartone animato; l'artista infatti non cerca di ricreare ogni imperfezione, ma di prendere le esagerazioni e le perfezioni dei cartoni animati per dare vita a realistiche forme in 3D. Nel 2010, Christian ha partecipato alla mostra collettiva Art from the New World, ospitata dal Bristol Museum. Nel 2014, l'esploratrice spaziale cyborg di Christian, Hello Kitty, in scala gigante, rosa e bianco, è stata presentata in "Hello! Exploring the Supercute World of Hello Kitty", una mostra tenutasi al Japanese American National Museum JANM ed ha poi esposto al MOMA di Vienna e al MOMA PS1 di NY nel 2015 . Colin Christian ha molti collezionisti, ha lavorato con Kanye West nel suo tour "Glow in the Dark", ha curato la
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CURIOSAR(T)E
Miscellanea di piccoli lavori commerciali
realizzazione di accessori per alcuni abiti di scena di Miley Cirus e collabora con svariate gallerie d'arte in tutto il mondo. Il suo mascherone "Better Out Than In" con i tentacoli di un polpo che escono dalla bocca semiaperta e con gli occhi dal trucco sbavato è la maschera icona della mostra "Lacrima Aquarium" realizzata in collaborazione con la Galleria d’Arte contemporanea Dorothy Circus Gallery nello storico edificio A c q u a r i o Romano- Casa Dell'Architettura di Roma tra il 2013 ed il 2014. Sebbene sia noto soprattutto per le sue sculture con un fisico da top model o da anime, i colori funky candy e l'estetica pop
anni '60, le sue opere, già dal 2014, hanno preso una piega più oscura, a partire da quelle esposte nella sua personale "Trypophobia" presso la S t e p h e n Romano Gallery di New York, che hanno fatto virare parte della sua produzione artistica verso crinali quasi da horror, in un mix di fascino e repulsione che riesce a produrre una fantastica giustapposizione di emozioni. Sollecitato nel corso di un intervista sull'origine del proprio processo creativo, l'artista ha rimarcato il fatto che per lui l'idea base dell'opera si forma molto rapidamente, raramente realizza uno schizzo, e, se lo fa, è molto stilizzato
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Fuck You! con l'artista
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In senso orario: Pussywhipped; Tryphophobia; Insides out; Full Beam
CURIOSAR(T)E
e rappresenta grossolanamente l'idea che sta cercando di trasmettere; ciò che richiede più tempo invece è la realizzazione ed, a volte, l'ingegnerizzazione del pezzo: ci sono molte prove ed errori anche con i materiali d è costantemente alla ricerca di nuove tecniche e materiali; nella fase finale della pittura/verniciatura dell'opera è più spontaneo, in quanto i disegni o i lavori di verniciatura sono pensati proprio sul momento ed improvvisati, essendo condizionati dalla forma del manufatto e dagli schemi di colore immaginati più spesso nei suoi sogni: è questa la sua parte preferita del processo, quando riesce a vedere l'opera nel suo insieme. Le sue creazioni sono spettacolari e di elevato impatto visivo; ha oltre 205.000 follower su Instagram (https://www.instagram.com/colinchristian/?hl=it) e la sua pagina Facebook è raggiungibile al seguente link: https://www.facebook.com/Colin-Christian-611601092190292/
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I LUOGhI NELLA RETE | IL CONCORSO
LUOGhI DEL SAPERE
#ladevotalettrice | le recensioni di lucia accoto un giorno in più, storia di un FalliMento
PAOLO FRANCO Un giorno in più Gruppo Albatros 2020 ISBN 9788830617469 pp.210 € 14,90
Fa paura l’odore della sconfitta. La senti che avanza quando sei in ginocchio, che cresce sino a rimpicciolirti. E se sei un adolescente è anche peggio perché tutto ha un peso diverso ed ogni singolo problema sembra una catastrofe. Limitata la misura delle cose, delle situazioni, delle relazioni. Nessuno, in realtà, conosce ancora se stesso in un periodo in cui tutto cambia in un batter d’occhio, anche la visione della vita. Il carattere, poi, assorbe quello che i giovani respirano in famiglia, a scuola, per strada. L’esperienza, gli anni, la maturità, offrono un contributo alla formazione della persona. Anche se alcuni resteranno indietro, per scelta o per negligenza. Ma i ragazzi devono essere dei sognatori, dei cuori pirotecnici che esplodono di gioia. Quella, a loro, non deve mancare. Eppure spesso sono corrosi dalla solitudine, dall’ansia di non farcela, di non essere all’altezza. Di sentirsi sconfitti, in partenza. Assaggiano la paura e alcuni spezzano i lacci della vita, violandola. Nel romanzo “Un giorno in più” di Paolo Franco la gioventù, fatta di leggerezza, sembra l’epilogo di una storia a metà. Stoppata, non vissuta, anche mortificata. Sempre in fuga da qualcosa per finire poi nell’attesa che certi sistemi cambino binario. Poi, la sosta. Non solo nelle idee, nelle convinzioni, nell’orgoglio, ma anche nel modo di voler bene, soprattutto verso se stessi. Un libro forte quello di Franco che scivola nei turbamenti dell’anima, fino a sfociare nel suicidio del protagonista, il sedicenne Mark Gordon. Le pagine lievitano di amicizia, di contrasti familiari, di tradimenti, di primi amori, di bullismo, di fallimenti. La scrittura, però, appare schematica a tratti priva di battiti. Si sentono gli affanni dei protagonisti, e il lettore si immedesima nei loro problemi, ma tutto sembra disinfettato, preciso, ordinato. I colpi di scena lo scrittore li inserisce tutti alla fine, nell’ultimo capitolo, come se volesse chiudere in fretta il libro. Ma i messaggi lanciati dall’autore nel suo romanzo di formazione sono chiari. La vita ti prende per mano, sta a te essere vento, sole, tempesta. Ognuno è padrone di se stesso. Il romanzo, edito da Albatros che seleziona autori emergenti, vanta la prefazione di Barbara Alberti, che dà voce all’amore per i libri e di come gli scrittori siano amati dai lettori come se fossero loro parenti.
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un eBooK gratis per i BaMBini #ladevotalettrice spiegare un giornocoMe in più, diFendersi storia di dal un FalliMento coronavirus
PIETRO FAVORITO FABIO BONINI MELITA TONIOLO Andrà tutto bene Les Flaneurs Edizioni 2020 pp.92 €0
Disponibile on-line e gratuitamente l'e-book che esorta i più piccoli a tenere alta la guardia contro la diffusione del Covid-19. Nasce da un'idea di Pietro Favorito e Fabio Bonini questo singolare e divertente libro illustrato per bambini pubblicato da Les Flaneurs Edizioni. Protagonisti della storia sono il tigrotto dj Gino Vox e il cagnolino Oronzo, già insieme nel video musicale contro l'abbandono degli animali, Micio Macho, e nel libro illustrato contro la violenza sugli stessi, Jack Gnocco Superstar. Al loro fianco una special guest d'eccezione, la showgirl, modella, attrice, conduttrice televisiva e radiofonica, ex star del Grande Fratello: Melita Toniolo. Una testimonial tanto importante per dare un peso ancora maggiore a un'iniziativa a sfondo sociale che vuole ribadire la necessità di non abbassare la guardia contro la diffusione del Coronavirus, soprattutto in questo momento in cui i casi di contagio dal covid-19 sono in netto calo e ci si avvicina sempre più a quella che viene chiamata: fase 2. Mai come ora bisogna tenere duro e continuare a rispettare le restrizioni imposte dal governo a tutela della salute di tutti. Con le loro marachelle, Gino Vox e Oronzo fanno si' sorridere i bambini, ma danno anche lo spunto a Melita per richiamarli all'ordine e quindi ricordare come ci si comporta in questo difficile periodo. Ed è proprio al fine di raggiungere il maggior numero possibile di bambini che il libro sarà fruibile GRATIS in tutti i formati digitali.Per sfogliare il libro online: http://tiny.cc/2bn3mz Per scaricare l'e-book dal sito dell'editore: https://www.lesflaneursedizioni.it/product/andra-tutto-bene/ Per i bambini che ancora non sanno leggere, Gino Vox e Oronzo lo leggono per loro: https://youtu.be/7R3fvRQ5Ez8
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LUOGhI DEL SAPERE
il Mare è e la Meta i viaggi di antonio liaci
ANTONIO LIACI IL MARE è LA META Il Raggio Verde edizioni pp.214 2020 €18 ISBN 978-8899679842
Prendere in mano il libro “Il mare è la meta” di Antonio Liaci significa prepararsi mentalmente a fare un viaggio. Anzi due… Visto che il romanzo è suddiviso in due racconti ben distinti (basta capovolgere il volume e riaprirlo dall’altro lato per capire). Edito da Il Raggio Verde edizioni di Lecce, il primo lavoro dell’autore di origini gallipoline, deve molto della sua forza d’impatto all’opera “Abbozzo di Mare” dell’artista Cesare Piscopo che si presta perfettamente a farne da copertina, catturando non poco l’occhio del lettore pronto ad immaginarne il contenuto anche solo con uno sguardo. Come detto in fase iniziale, il libro è suddiviso in due storie, diverse tra loro, sia per struttura narrativa che per contenuti, ma tendenti ugualmente verso lo stesso comun denominatore: quel mare, dalle sfumature tipicamente salentine, che diventa la meta in senso figurativo (in quanto punto d’arrivo e perché no anche di partenza). Antonio Liaci ci porta con il racconto Il furto della macchina sulla costa di Gallipoli, dando un tocco noir ad una avventura che si districa abilmente tra i vicoli della città vecchia che si affaccia sul mar Ionio, apparentemente silente e tranquilla. Il profumo del mare si mescola a quello tipico del racconto d’indagine, in un giallo che prevede sia l’omicidio che il colpo di scena. Proprio come nella miglior tradizione del romanzo di genere. Il secondo racconto (Visions of Johanna), è un lavoro più intimista e per certi versi più sentito. Spicca una nota autobiografica che ci conduce in uno strano viaggio alla ricerca di una donna misteriosa (la Johanna del titolo) che sfugge e confonde, con il protagonista in balia dei sentimenti perso per lunghi tratti in una città lontana e poco amica (perfetta a tal proposito la ricostruzione di Londra e dei suoi luoghi più conosciuti). Come per il primo, è un racconto tutto da leggere… Magari durante proprio un bel viaggio, per assaporarne al meglio il contenuto delle pagine, immaginando posti, odori e colori lontani anche solo con la mente. Perché il potere di un buon libro… È tutto lì! Stefano Cambò
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#liBri a corte le Braci di sandro Marai
SANDOR MARAI Le braci Adelphi pp.181 1998 € 15,20 ISBN 9788845913730
Comincio subito dicendo che e’ un libro sulla memoria. Le braci sono cio’ che rimane di un fuoco che brucia per tanto tempo ma conserva la memoria di esso. È la storia di una grande amicizia tra due uomini Herrik e Konrad, legati da grandi passioni ma anche dall’amore per la stessa donna, Kristina, moglie di Henrik. Prevalgono subito questi opposti sentimenti sentimenti: amore, tradimento livore, orgoglio, rancore... Konrad fugge via, aleggia anche la paura di non farcela e il pensiero del suicidio per uno dei protagonisti... Gli anni passano e dopo quaruntuno anni Henrik si trova davanti al fuoco e attende di rivedere Konrad con lo stesso risentimento covato per tanti anni nonostante kristina sia morta nonostante la storia che faceva da contorno ai loro fatti umani sia cambiata del tutto. La grande guerra ha devastato tutto e ora si vive all’ombra di una nuova guerra. I protagonisti si accorgono di essere inadatti; le loro passioni, i loro tradimenti nulla valgono davanti alla grande vera tragedia dell’umanità intera. La riflessione è: possono le nostre passioni, l’orgoglio, far sopravvivere l’uomo per avere un giorno la possibilita’ di rivalsa? puo’ un uomo non tener conto della storia che lo circonda e non avere la possibilità di cogliere, anche in periodi di crisi (pandemia attuale?) il meglio per crescere ed andare oltre e ritrovarsi migliorato. Rosanna De Marianis Libri a Corte, recensioni, consigli e proposte di lettura a cura del gruppo di lettura della Farmacia Letteraria Corte Grande " Corte dei Lettori" una rubrica in formato audio, che potrete trovare sul canale YouTube della libraia Maria Assunta Russo. Un modo diretto per parlare di libri anche in questo momento storico in cui ci vengono imposte distanze sociali, e non solo.
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il Belvedere di San Leucio, reportage di Sara Foti Sciavaliere
il Belvedere di san leucio e il setiFicio reale: Ferdinandopoli Sara Foti Sciavaliere
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Il sogno di seta di Re Ferdinando di Borbone
Storie. L’uomo e il territorio
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l Complesso monumentale del Belvedere di San Leucio è stato il sogno utopico Re Ferdinando per dar vita alla sua Ferdinandopoli, un borgo ideale dove dare esecuzione a un modello di giustizia e di equità sociale nuovo per le nazioni del XVIII secolo ispirato a una forma di socialismo illuminato. Innanzitutto esso rientra nei Siti Reali nati dalla politica di potenziamento dei Borbone, e oggi è uno dei beni UNESCO nel territorio della città di Caserta, insieme alla Reggia e all’Acquedotto Carolino. Il Belvedere prende il nome al monte San Leucio la cui sommità, in passato, ospitava una piccola chiesa dedicata al vescovo alessandrino
Leucio che peregrinando, tra il IV-V secolo, porta il Verbum Christi a Brindisi, città all’epoca ancora pagana e da lui cistianizzata; la tradizione vuole che quando Leucio di Alessandria morì, fu sepolto nella sua casa nella città pugliese, eretta a chiesa, e in seguito i suoi resti furono traslati prima a Trani e poi a Benevento, da qui parte delle spoglie giunsero anche a Capua dove la devozione al santo divenne così grande che sulla montagna fu eretta una chiesa a lui intitolata, una costruzione della quale non rimaneva altro che ruderi quando la montagna passò ai Borbone. L’idea originaria di re Carlo era di creare sul monte San Leucio una
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serie d’importanti costruzioni funzionali sia alla produzione serica, quali la Gran Filanda e l’antica Cocolliera - dove venivano allevati i bachi da seta -, sia alle esigenze abitative della Real Colonia, come la Trattoria e i Quartieri di San Carlo e San Ferdinando. Dall’estero arriveranno macchinari nuovi e più avanzati che, in aggiunta al lavoro di tecnici specializzati e i giovani mandati in Francia a formarsi per prendere l’arte della tessitura, daranno vita alla produzione di lavori più difficili e delicati dei veli fino ad allora prodotti: si passerà ai cosiddetti “tulli e filosci”, oltre a finissime calze a traforo.
Nel 1788 il re decise di riunire la popolazione in una Colonia cui concedette, l’anno successivo, un proprio Statuto attraverso la promulgazione del Codice delle Leggi. Alle locali maestranze leuciane si aggiunsero subito anche artigiani francesi, genovesi, piemontesi e messinesi Saranno avviate una che si stabilirono a
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San Leucio richiamati dai molti benefici di cui usufruivano i lavoratori delle seterie. Di fatto, ai lavoratori delle seterie veniva data una casa all’interno della colonia, ed era inoltre prevista anche per i familiari la formazione gratuita e qui il re istituì difatti la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali, e le ore di lavoro erano 11, mentre nel resto d’Europa erano 14. Le abitazioni furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo (e sono tutt’oggi abitate) e fin dall’inizio furono dotate di acqua corrente e servizi igienici. Alle donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, anche se a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Era abolita la proprietà privata, garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fra-
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riserva per la caccia al cinghiale e, poco più che ventenne, Ferdinando IV - che intanto era succeduto, a soli otto anni, sul trono di Napoli - portò a compimento gli intendimenti del padre. Il Real Casino del Belvedere d San Leucio sorge su un preesistente edificio degli Acquaviva, principi di Caserta e proprietari del feudo della città. Quando il re inizia a dimorare più stabilmente in qui luoghi, gli viene in mente di impiantare nel sito reale una fabbrica per la produzione della seta nella quale dare impiego agli abitanti del posto, in netto aumento. Si incominciò con installare “una sala regolare per la filanda” e dei filatoi azionati dalla acque della cascata del condotto carolino. Così da riserva di caccia e luogo ameno i cui trovare ristoro, San Leucio divenne la punta più avanzata della politica industriale di Ferdinando che, pari a un vero e proprio imprenditore, fu una presenza attiva all’interno del sito.
il Belvedere di San Leucio, reportage di Sara Foti Sciavaliere
La contestualizzazione storico e lo sviluppo delle vicende che hanno fatto da scenario alla realizzazione delle Reali seterie e del complesso monumentale intorno a esso era d’obbligo, ma come era - ed è - articolato il borgo della mancata Ferdinandopoli? Immaginando una visita in questo sito, si fa ingresso dalla cosiddetta Porta dei Leoni, rifacimento dell’antico accesso cinquecentesco alla proprietà degli Acquaviva, un grande portale sormontato dalle stemma reale e affiancato da due leoni in travertino di Bellona. Ma percorrendo la salitella che raggiunge la Porta si incontra (sulla sinistra) l’edificio trapezoidale della Trattoria, realizzato al di fuori del perimetro della Colonia Reale e destinato a ospitare i visitatori. Quindi si entra davvero nella Reale Colonia
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tellanza. A San Leucio, uomo e donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. L’occupazione francese prima e i moti rivoluzionarono poi, misero in crisi l’attività della seteria. In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne completamente accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere, anche con appalto di gestione a società private, tuttavia con l’unità d’Italia, il progetto utopico di re Ferdinando finì. Tutto fu inglobato nel demanio statale, ma tradizione e qualità nelle produzioni di tessuti serici sono rimaste ancora oggi, e San Leucio rimane la più chiara espressione del sogno illuminato dei Borbone, l’esperimento socioeconomico tra i più avanzati in Europa.
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di San Leucio e su ambo i lati si sviluppano i quartieri operai, il San Carlo e il San Ferdinando, che comprendono trentasette unità abitative. Gli edifici, a due soli piani coperti a tetto, sono costituiti da due cortine di case dai prospetti semplici e uniformi, seppure l’elegante serialità risulta impreziosita da pensiline in ferro battuto di stile liberty,aggiun ti a cavallo della fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Agli spigoli delle cortine sono poste due fontane in travertino, sormontate da altrettante edicole votive destinate ad accogliere le immagini dei santi titolari dei due quartieri. Essi
dovevano ospitare gli abitanti della Colonia e ciascuna unità abitativa era costituita da seminterrato per depositi e stalle, pianterreno con cucina, gabinetto e zona pranzo oltre a un vano dove era posizionato il telaio, poi c’è il primo piano con le camere da letto e un orto-giardino. I Quartieri operai sono collegati al palazzo del Belvedere da una scalinata a doppia rampa che racchiude le scuderie reali. Le due rampe terminano sul piazzale del Belvedere, davanti all’ingresso della chiesa dedicata a San Ferdinando Re, ricavata dal salone delle feste del Belvede-
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re. Nella parte occidentale del Casino Reale del Belvedere vi sono una serie di giardini all’italiana disposti su terrazzamenti e collegati da scalette in travertino. All’interno sono presenti delle fontane intorno alle quali, sono posti alberi da frutta pero, melo, limone, pesco,albicocco, susino, melograno - oltre al giardino degli aranci. A destra dell’avancorpo del Real Casino si estende il cortile aperto, delimitato su tre lati da altrettanti edifici in collegamento e in fondo al cortile (a metà del prospetto del prospetto frontale), si erge la statua in stucco di re Ferdinando, il fondatore della colonia. Questa costruzione centrale ospitava al piano terreno la cucina reale, al primo piano ambienti con orditoi e incanatoi di sete colorate e una stanza destinata “al piegaggio”, mentre al secondo piano si trovavano gli spezi per i telai della Real fabbrica. L’edificio comunica, a sinistra, con la costruzione a due piani dove erano collocati - al pianterreno - i filatoi e al piano superiore - l’incannatoio per le sete grezze e le macchine
per “il raddoppiamento”. Qui, una porta, mette in comunicazione la Fabbrica con i Reali Appartamenti. Prima di spostarci però all’interno l’attenzione, soffermandoci nel cortile aperto, (a sinistra) no si può notare un’installazione contemporanea. L’opera, in ferro battuto, è un nastro scultura omaggio ai tessuti serici; “La porta della seta”, come è stata battezzata, è stata ideata dagli architetti Fabrizio Silvestri e Antonella Petrillo, vincitori di un concorso bandito dall’ordine degli Architetti di Caserta. La scultura vuole essere “un omaggio alla preziosità, alla raffinatezza, ai bagliori di luce che la sete riesce a catturare”, “è un segno di speranza, un’apirazione”. Quelli che erano gli spazi destinati al primo impianto per la produzione serica sono stati allestiti per ospitare una ricca sezione di Archeologia Industriale, che propone la storia della seta, la bachicoltura, le fasi del processo di lavorazione e le varie macchine e accessori necessarie per esse. Di notevole interesse, a piano ter-
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ra, i due grandi torcitoi che una volta erano mossi da macchine idrauliche, oggi da motori. I due torcitoi sono stati ricostruiti sugli antichi disegni esistenti. Terminato il giro didattico in questa sorta di museo che richiama le atmosfere dei tempi in cui quelle sale era vivacizzate dall’umana esistenza degli operai e delle operaie che qui dovevano essere impegnate alacremente, ciascuno al proprio compito, con la consapevolezza di realizzare tessuti raffinati che dovevano puntare alla perfezione della fattura, pensate che gli scampoli di seta imperfetti non uscivano dalla Reale Fabbrica, ma venivano disfatti e tes-
suti nuovamente. Negli Appartamenti Reali in cui si contavano trentaquattro stanze - , di particolare rilevanza, gli affreschi del soffitto della stanza da pranzo eseguiti dal Fedele Fischetti con scene allegoriche degli amori di Bacco ed Arianna, ma soprattutto il monumentale bagno cosiddetto di Maria Carolina, con, alle pareti, disegni a encausto di P h i l i p p Hackert rappresentanti figure allegoriche. Il grandioso bagno reale ha una capacità pari a “sessantadue botti d’acqua” con “pavimento di marmo a encausto nelle pareti all’Ercolana”. Esso fu commissionato nel 1792 dal re al pittore
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tedesco Hackert per uso suo personale. L’ i mp re ssi o n e , entrando nell’ambiente, è che la vasca sia più simile a una piscina al coperto per le sue dimensioni, e purtroppo i dipinti a encausto risultano assai danneggiati dall’umidità che filtra dalla parete posta a ridosso della montagna. Ma procedendo negli altri ambienti del Quarto Reale, le finestre della camera da letto danno sul cortile aperto, e lì lo sguardo cade di nuovo sul nastro in ferro battuto, i decori che simulano quelli del damasco e una farfalla che pare adagiarsi leggera sul nastro, che guarda la città di Caserta nel panorama sottostante. “La porta della seta apre verso il passato: la produzione serica, la colonia il lavoro, la maestria millenaria, la preziosità dei tessuti, la passione. La porta della seta apre verso il futuro, verso le nuove possibilità, le nuove lavorazioni e opportunità di sviluppo in una stretta di connessione di anime”, come hanno spiegato gli stessi autori.
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Cosenza, reportage fotografico di Antonio Giannini
cosenza Bella e Federiciana la storia che vive ancora in noi Antonio Giannini
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Girovagando tra le vie dell’antico borgo
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ro seduto sulle scale del sagrato del Duomo di Cosenza, in attesa dell’apertura del Museo Diocesano, assorto a ripercorrere con la mente tutto quello che durante la mattinata avevo potuto visitare di questo straordinario borgo antico così ricco di storia, che un brusio, fino allora percepito come sottofondo del fluire dei pensieri, si trasformò all’improvviso in una unica voce acuta e concitata di donna che, da come risuonava
forte, pareva provenire dalle vicinanze. Ma, diretto lo sguardo a valle della strada che fiancheggia il Duomo, a ben guardare, mi resi conto che veniva da notevole distanza, al punto che si poteva indovinare, a mala pena, un crocchio di persone al bordo della via intorno a due macchine della polizia. La donna continuava ad imprecare nel suo dialetto parole incomprensibili che avevano un non so che di minaccioso e musicale allo stes-
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reportage fotografico di Antonio Giannini
so tempo e, nel silenzio generale della prima ora pomeridiana, quella voce, che arrivava misteriosamente amplificata, rendeva la scena teatrale . Mentre cercavo di indovinare il significato di quelle espressioni gridate verso chi sa chi, quando sembrava che la concitazione e le invettive stessero per raggiungere livelli di tensione esasperate ed incontrollabili, calò per qualche istante il silenzio seguito dal rumore sordo dello sbattere delle portiere delle auto della polizia, dal rombo dei motori che si accesero quasi all’unisono dileguandosi veloce giù verso la città nuova, lasciando il borgo in un silenzio surreale. Forse perché suggestionato dai miei stessi pensieri che aleggiavano intorno a quel borgo così ricco di storia ed al segno così forte lasciato dai suoi protagonisti, quell’evento a cui avevo appena assistito, quella concitazione, il suo stesso rapido e drammatico svolgimento, quel ritorno inaspettato al vuoto silenzio, in quell’ora sospesa di un caldo pomeriggio d’autunno, lo percepii come metafora della vicenda umana, del tempo che passa, della storia ed i suoi misteri e di quello che ne rimane. E li, in quel luogo dal fascino fiabesco, il protagonista, ancora una volta, era lui un uomo dai capelli e la barba rossa come il nonno, il grande condottiero, l’illuminato statista, il divulgatore della scienza e della cultura, il fondatore di università che chiamò alla sua corte filosofi, giuristi, scienziati, quanto di meglio la cultura avesse da offrire, era lo Stupor Mundi, Federico II di Svevia. Questa città parla di lui soprattut-
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to. Parla di lui il castello pervenuto dai suoi avi normanni, parla di lui il Duomo che fece ristrutturare dopo la sua distruzione a seguito di un terremoto, parla di lui e della sua stirpe questo borgo, parlano di lui, l’urbanistica della città antica su cui si è formato il dedalo di strade strette che si snodano attorno agli antichi edifici, chiese, conventi, case fortezze, slarghi e piazze. Parla di lui e dei suoi avi questo luogo strategico ed ameno, questa collina, incastonata come una pietra preziosa, tra i fiumi Crati e Busento. E questa presenza ti sembra ancora più sorprendente trovarla qui in Calabria perché sei indotto erroneamente a credere che il Puer Apuliae, come voleva egli stesso essere chiamato, abbia un legame direi intimo ed esclusivo solo con la Puglia . Fiumi di pagine sono state scritte sulla figura di Federico II ed intorno alla sua figura si è anche favoleggiato, ma in tutta la sua vicenda umana e storica ci sono a mio parere delle opere, che più del potere, del successo politico e militare, ne fanno un grande innovatore, un precursore dei tempi e sono quelle in campo giuridico e culturale. Con i suoi editti di Capua il Regno di Sicilia divenne uno stato di diritto e questo rappresentò per il mondo medioevale, un avvenimento di portata rivoluzionaria in quanto demolì, senza traumi, l’influenza della chiesa ed affermò uno stato laico ed indipendente. La cose che mi sta più a cuore ricordare della sua opera è la fondazione nel 1224 dell’Ateneo di Napoli, la prima università statale europea, dove, tutte le facoltà dovevano esservi rappresentate affinché, si legge in una iscrizione, “i digiuni e affamati di sapienza trovino nel Regno di che saziare la loro avidità”. Così come furono Federico e i sui poeti i primi a verseggiare in volgare, cioè nella lingua del popolo, l’antico dialetto apulo – siculo, il che fa della corte di Federico la prima fucina della lingua poetica italiana passati poi alla storia col nome di Scuola Siciliana, da cui sarebbe nato il nostro volgare. Mi chiedo, ci sarebbe stata la Divina Commedia alcuni decenni dopo, senza di lui?
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Cosenza, reportage fotografico di Antonio Giannini
Mentre ripensavo a tutto questo li in quella piazza in attesa dell’apertura del museo, pregustavo il momento che, di quella visita, era il vero oggetto dei miei desideri: vedere a pochi centimetri dai miei occhi la Stauroteca regalata dal Puer Apuliae al capitolo della Città in occasione della consacrazione del Duomo, poterne appezzare la bellezza di quel gioiello che, come recitava la brochure che avevo in mano, è il prodotto di tanta maestria di orafi arabi a Palermo il cui interno contiene un frammento della croce. Ma chi è affascinato della figura di Federico II di Hohenstaufen non può fare a meno di cercare in tutti gli oggetti che parlano di lui, anche i più infimi, un segno, un dettaglio sconosciuto di una storia avvincente. La durezza dei gradoni su cui ero seduto da un bel po' cominciava a mettere a dura prova i miei glutei e, data l’ora, mi alzai per incamminarmi verso l’entrata del museo ma, un attimo prima di alzarmi, pensando alla miriade di piedi che vi hanno camminato in tanti secoli su quei gradoni, immaginai il ventiseienne Imperatore quel giorno del 1222 posarvi i suoi per guadagnare l’entrata del Duomo, seguito da alti dignitari dell’impero tra schiere laterali di chierici e, raggiunto l’altare, lo vidi, col suo manto rosso decorato con l’aquila imperiale, consegnare nelle mani di un alto prelato la reliquia, e qui, mentre l’immagine sfocava, un pensiero ricorrente si fece ancora una volta avanti. E pensai al tempo che passa, alla storia degli uomini, a quello che ne rimane e a quello che di essa vive ancora in noi.
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Napoli, il Vesuvio, foto di Stefano Cambò
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le Meraviglie di napoli nei polizieschi dei Manetti e Bros Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema a spasso tra i set del film “Song ‘e Napule” e “Ammore e Malavita”
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egli ultimi anni la città di Napoli è diventata l’epicentro di gran parte della produzione cinematografia italiana, grazie soprattutto alle sue bellezze architettoniche riconosciute in ogni parte del mondo e ad uno stile di vita unico ed irripetibile che da sempre la
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contraddistingue e la rende speciale. Infatti, molte delle fiction di successo del primo canale Rai sono state girate in questa suggestiva metropoli che si affaccia sul mar Tirreno. Come non ricordare a tal proposito L’amica geniale tratta dai romanzi di Elena Ferrante e le
I luoghi del cinema
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Napoli, Piazza del Plebiscito, foto di Stefano Cambò
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I luoghi del cinema
serie Sirene e Non dirlo al mio capo andate in onda in prima serata sempre con ottimi indici di share. Per non parlare de I bastardi di Pizzofalcone, gli episodi noir dedicati ai personaggi creati da Maurizio De Giovanni, con le storie che si intrecciano dentro un commissariato di polizia di periferia in una Napoli mai così bella e caratteristica. D’altronde, anche il cinema con la C maiuscola ha incominciato e non poco a fare la corte alla città costruita sul Golfo del Vesuvio, trasferendo sugli schermi film che hanno iniziato a fare la storia della nostra cultura. Grandi registi come Matteo Garrone e Ferzan Ozpetek hanno portato le loro produzioni tra le strade partenopee, dando sempre più risalto agli spaccati di vita quotidiana di una comunità che ha finalmente capito di essere bella nelle sue caratteristiche uniche. Eppure, tra tutti i nomi del nostro cinema contemporaneo, c’è soprattutto una coppia di fratelli che ha fatto di Napoli una vera e propria seconda casa, riscoprendo un enorme suc-
IIl murales di Jorit Agoch nel quartiere Sanità , foto di Stefano Cambò
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spettatore alla poltrona (con tanto di inseguimento all’ultimo respiro tra i vicoli caratteristici del centro storico), deve molto della sua forza narrativa anche alla scelta del cast e all’uso dell’ironia come punto di forza, soprattutto nei momenti di forte tensione. Inoltre, senza mai cadere nei cliché tipici, i Manetti Bros sono riusciti come pochi ad analizzare alcuni aspetti della vita quotidiana della città, come l’amore smisurato per la musica neomelodica con i cantanti locali che diventano dei veri idoli per la gente comune. Proprio come succede a Lollo Love, il protagonista della storia di Song’e Napule (interpretato da un vulcanico Giampaolo Morelli) che per sbarcare il lunario è costretto a presenziare ad ogni tipo di cerimonia, che sia un matrimonio o un compleanno di diciottenni ricevendo le telefonate delle sue tante ammiratrici (tutte definite affettuosamente cuoricine) ad ogni ora del giorno. Per non parlare del suo nuovo tastierista, il poliziotto Paco Stillo (l’attore Alessandro Roja) costretto dal suo superiore ad infiltrarsi nella band con il nome di Pino Dinamite e pronto ad agire in nome della legge, combinandole di tutti colori e riuscendo sempre a farla franca.
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Tra le rocambolesche avventure dei due musicisti, si inseriscono i personaggi di Marianna la sorella di Lollo Love (interpretata dalla bravissima Serena Rossi) che si innamora di Pino Dinamite in una scena cult che li vede camminare a braccetto in notturna sul famosissimo Lungomare Caracciolo e quello di Carlo Buccirosso spassoso nell’interpretare nel film il questore Vitali, che piomba alla fine di ogni situazione senza mai capire veramente quello che è successo. Una piccola curiosità: nel cast è presente anche Peppe Servillo, fratello del grande Tony e front-man del gruppo musicale degli Avion Travel (è il boss che fa fare la telefonata a Pino Dinamite durante la cerimonia del matrimonio). Per quanto riguarda Ammore e Malavita, la seconda pellicola girata a Napoli dai Manetti Bros, anche qui si riscopre tutta la bellezza della città vista questa volta da un punto totalmente inedito e per questo del tutto originale. Perché se nel primo film si analizzava il mondo della canzone neomelodica, in questo si è scelto addirittura un genere che potesse correre in parallelo con quello poliziesco ormai caro ai due registi. Infatti, la storia è stata pen-
I luoghi del cinema
cesso di critica e pubblico. Stiamo parlando naturalmente degli istrionici Marco e Antonio Manetti (meglio conosciuti come i Manetti Bros), che tra le strade della città e sopratutto del suo bellissimo centro storico Patrimonio dell’Unesco dal 1995, hanno girato i loro ultimi due film. Infatti, Song’e Napule e Ammore e Malavita siglati dalla coppia di registi, sono due piccoli gioielli del nostro cinema contemporaneo, tanto che l’ultimo si è aggiudicato addirittura il David di Donatello nel 2018 come miglior film. D’altronde, entrambe le pellicole sono un dichiarato omaggio ai polizieschi italiani degli anni Settanta, quegli che vedevano come protagonista il grande Tomas Milian nei panni del burbero Er Munnezza o in quegli più docili del maresciallo di polizia Nico Giraldi (sempre doppiati per l’occasione dal mitico Ferruccio Amendola). In realtà, il vero colpo di genio dei due fratelli, sta nell’aver usato all’interno del genere poliziesco delle varianti che ne hanno potenziato di molto lo spessore, sfruttando e non poco gli ambienti esterni per rendere le storie del tutto godibili. Per esempio, il film Song’e Napule, oltre alle scene d’azione che tengono soprattutto nel finale incollato lo
Napoli, Piazza del Gesù nuovo, la guglia dell’Immacoata, doto di Stefano Cambò
I luoghi del cinema
sata e di conseguenza girata, come se fosse un grande musical. Anche in questa produzione a farla da padroni sono gli attori, con i sempre presenti Giampaolo Morelli e Serena Rossi, perfetti nel gioco dei ruoli e nelle dinamiche narrative (lei incarna la maschera della commedia mentre lui quella più drammatica della tragedia). Un occhio particolare va però a Napoli, perché da Scampia a Posillipo, attraversando il rione Sanità e il porto di Pozzuoli, la città si trasforma in un’amante che stordisce e allo stesso tempo ammalia per quanto è bella. Ogni aspetto della pellicola si incastra con il mondo della musica, della pittura, del teatro e della narrazione dando un tocco unico a questo strano lavoro, che sotto il cielo della città partenopea, trova la sua combinazione perfetta, facendo riscoprire nell’occhio del-
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lo spettatore la voglia di poterla di nuovo visitare e ammirare. Un film, insomma, che omaggia Napoli celebrandone il suo splendore e la sua umanità irriducibile e allo stesso tempo barocca. Ma sopratutto un film che omaggia un cinema lontano che puntava tutto sugli interpreti e sulla sceneggiatura, senza lasciare nulla al caso, proprio come facevano i grandi registi di un tempo, amanti perduti del proprio lavoro, ossessionati dalla bellezza dei luoghi e dalla suggestione dei momenti rubati dietro l’occhio di una cinepresa.
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Foto di Mario Cazzato
le siBille della tradizione roMana e cristiana e la "siBilla leccese” Mario Cazzato
“ Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
Rileggendo i libri antichi...
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li amici della Fondazione Terra d'Otranto, Gaballo e Polito, hanno pubblicato nel 2017 questo eccellente studio sulle figure delle Sibille, ossia di personaggi mitici che nella tradizione greca e romana avevano spiccate virtù profetiche e proprio per questo passate nel mondo cristiano sia nella letteratura che nell'arte già a partire dal terzo sec. d. C. Tra l'altro ci fanno scoprire che a Copertino, nel convento di Casole, esiste uno sconosciuto ciclo di ben 12 Sibille raffigurate tutte con didascalie esplicative su nastri svolazzanti.
Gli autori propongono poi una serie di altri cicli, a partire dal XV sec. per dimostrare la grande diffusione europea del soggetto. Ricordano poi le Sibille di Racale e di Specchia, quest'ultima studiata dal lontano 1974 dall'amico Don Salvatore Palese. Ma non a tutti è noto che il Ferrari nella sua “Apologia Paradossica” dell'ultimo quarto del '500, in un passo dove elenca le Sibille secondo i libri sibillini, parla addirittura di una "Sibilla leccese" che aveva profetizzato l' Incarnazione del Verbo. Tale sconcertante notizia non fu ripresa da altri autori
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ma sembra strano che un'opera, come la “Apologiaâ€?, citatissima, non abbia offerto lo spunto agli artisti per qualche rappresentazione. Allora, appena possibile, cerchiamo sui muri di Lecce che possibili tracce di questo mito passeggero ma antichissimo. Io ne ho visto il dolce sguardo, anzi mi piacerebbe averlo potuto trovare,in questo volto scolpito su una finestra dietro Santa Chiara, illuminata dal sole meridiano. Sognare non costa nulla e c'è lo permette anche un farraginoso, mendace, libro di storia.
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Dieci anni senza di te Renato! Avevamo immaginato di ricordarti con un’antologica dei tuoi lavori perché al di là dei fiumi di parole che si possano scrivere su un artista, a parlare ancora per lui, lenendo in qualche modo il dolore per la sua assenza, sono e restano le sue opere. La tua Arte sublime continua a dialogare con tutti noi. Ci piace immaginarti lassù tra cieli musicali che continui a dipingere e a creare capolavori come quelli che ci hai lasciato. Grazie per aver condiviso con noi parte del tuo cammino... www.renatocentonze.it