archivio carmelo bene
Il carosello che anima il campanile della Cattedrale della città sullo Stretto
All’ex Convitto Palmieri il fondo librario, documentario, oggetti di scena e costumi
Anno XVI - n 11 novembre 2021 -
l’orologio di messina
anno 163 numero 11 novembre 202 1
francesca mele cento anni fa nasceva domenico rea
i luoghi del cinema
Alla Biblioteca Nazionale di Napoli fino al 24 novembre la mostra Appunti d’Autore
A Paestum sul set del film “Pani e Tulipani” diretto da Silvio Soldini vincitore di numerosi premi
primo piano
le novità della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
Francesca Mele, Rovine, © olio , volume , cartariso su juta– 81 x104cm 2013
Non potevamo non dedicare la copertina di questo mese all’artista salentina Francesca Mele che ritorna in Germania con una doppia personale per lei sarà l’inizio di un anno speciale che coinciderà con i suoi primi quarant’anni di una brillante carriera artistica. Per chi vorrà approfondire, è on line il sito ufficiale dell’artista che compare anche sul CAM n.57 pubblicato da Editoriale Giorgio Mondadori. La stessa casa editrice che presenta il catalogo “Dante tra luci e ombre” tre straordinarie collettive allestite a Villa Claricini Donparcher. E nel segno di Dante la curiosa iniziativa della quinta edizione delle Gallerie Urbane per il progetto de La Città ideale che vede i canti sintetizzati in immagini che trasformano le campane del vetro di alcuni quartieri romani in opere d’arte. E a proposito un capolavoro da scoprire è il campanile del Duomo di Messina con il suo orologio astronomico come ci narra Sara Foti Sciavaliere mentre Sara Di Caprio ci racconta la retrospettiva al museo d’arte di Mendrisio dedicata all’artista tedesco Penck. Raffaele Polo ci conduce invece al primo piano dell’ex Convitto Palmieri alla scoperta dell’Archivio Carmelo Bene e poi ci racconta di un altro artista salentino, lo scultore Gaetano Martinez. Dario Ferreri ci fa entrare nello scurismo di Maurizio L’Altrella mentre Dario Bottaro ci porta a Sambuca di Sicilia svelandoci la regina di tutti i Santi: Maria dell’Udienza. Per i luoghi del cinema facciamo tappa, grazie a Stefano Cambò, a Paestum e a Venezia scoprendo i set del film Pani e Tulipani e tanti libri da leggere a partire da quelli proposti da Lucia Accoto . La squadra di Arte e Luoghi si arricchisce e diamo il benvenuto ad Aldo Recchia e ad Eliana Forcignanò ai suoi studi sulle scienze umane che si affianca alle considerazioni dello psicoterapeuta. Abbiamo bisogno più che mai di riflettere sulle relazioni umane. Scoprire chi è l’altro e provare, come dice Eliana, ad amarlo e non abusarlo. Parole che ci inducono a riflettere la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne è vicina ma è necessario agire sempre e concretamente contro la violenza di genere partendo da un’educazione sentimentale. è quanto intendiamo fare con i dialoghi itineranti del progetto “Le vittime del silenzio” che parte il 30 novembre da Lecce.(an.fu.)
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Raffaele Polo
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Dario Bottaro, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Sara Foti Sciavaliere, Eliana Forcignanò, Raffaele Polo, Aldo Recchia
Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
SOMMARIO luoghi|eventi| itinerari: girovagando |l’orologio astronomico di messina 30 |maria delludienza 66 itinerarte 89 | arte: francesca mele 4|Penck 74 | gau la street art rende omaggio a dante 80| isbn dante e le visioni 88 | i disegni di gaetano martinez 16 i luoghi della parola: | no alla violenza 20 |le vittime del silenzio 24|la presenza e la forma 50 | la suggestione di edipo 55 | curiosar(t)e: lo scurismo di maurizio l’altrella 42 | musica | documenti: anthropocene l’uomo, la terra e le immagini della musica 64 | interventi letterari|teatro |l’archivio carmelo bene 26 | salento segreto 104
cinema frida Kalho 56 | accordi@disaccordi 60 | da Paestum a venezia per Pani e tulipani 96 libri | rileggere dante dalla pittura alla miniatura 84 luoghi del sapere 90-95 | le recensioni di raffaele Polo 90 #ladevotalettrice 92 | #dal salentocafè 94 i luoghi nella rete|interviste| cento anni fa domenico rea 14| Numero 11- anno XVI - novembre 2021
FRancesca Mele, Alchimie. Di Terra, di Mare, di Cielo, olio , volume , cartariso su juta – 77x110cm, 2020
francesca mele. dall’invisibile della natura alle architetture Antonietta Fulvio
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Dal 14 novembre si è aperta a Rheine la personale di pittura dell’artista salentina a Gertrudenstift. Il 7 dicembre, una seconda mostra, a Münster completa il ciclo espositivo nella prestigiosa Accademia Sociale Cattolica Franz Hitze Haus. Entrambe le mostre sono documentate nel catalogo pubblicato dalla casa editrice tedesca Aschendorff Verlag
”
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ontestualmente al primo vernissage ,che fa ritornare l’artista Francesca Mele in Germania a distanza di due anni, è on line il sito ufficiale. L’indirizzo è francescamele.art e navigando tra le varie sezioni è possibile scoprire il percorso artisti-
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co dell’artista partita da Novoli (Lecce) quarant’anni fa. Tanti sono gli anni di una carriera a dir poco brillante che l’ha portata nelle più belle capitali del mondo, in primis Parigi dove ha vissuto quattro anni. «Sono stati anni intensi, abitavo nei pressi di
L’artista Francesca Mele
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Alcune immagini relative all’allestimento a Rheine
Montmartre ed era fantastico. I francesi mi hanno accolto con grande entusiasmo e all’epoca, era il 2002, sono stata la prima donna ad essere insignita con la Medaglia d’onore per meriti artistici dal maestro del Museo de la Grande Loge de France dove è presente nella collezione una mia opera. Ho esposto più volte al Museo, la prima mostra si intitolava “La quinta stagione”, ho dei ricordi meravigliosi e tornerò presto.» Ci ha confessato, mentre si preparava a partire per il primo dei due vernissage che segnano il suo ritorno in Germania con una doppia personale a Rheine, dal 14 novembre al 23 gennaio 2022 e a Münster dal 7 dicembre 2021 al 28 febbraio 2022 con due grandi progetti espositivi realizzati in esclusiva per le due prestigiose sedi che accoglieranno le sue creazioni pittoriche. “L’invisibile della natura” è il titolo della prima mostra che la vede ritornare negli spazi del Gertrudenstif dove è esposta nella collezione d’arte permanente l’opera “La morte non esiste più”. In occasione della personale è stato presentato il catalogo pubblicato per i tipi della casa editrice Aschendorff Verlag di Münster con i contri-
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buti critici del teologo e filosofo tedesco Elmar Salman e la prefazione di Christoph Hegge Vescovo ausiliare di Münster che spiega il valore di questo progetto artistico: «‘Written in Water, Visioni e riflessi di solitudine.’ – Il titolo di questo catalogo d’arte mira a far risuonare le dimensioni profonde, i regni “metafisici” della nostra percezione. Un dialogo tra uomo, architettura e natura che attraverso mezzi stilistici del Surrealismo e in parte del Cubismo mette in discussione l’esistenza dell’essere umano rispetto alla sua ragione significante e invita a partecipare visionariamente in solitudine alla formazione e alla conservazione del mondo e della creazione. Come membro della Commissione per la Scienza e la Cultura della Conferenza Episcopale Tedesca, è anche mia grande preoccupazione promuovere questo dialogo di ricerca interiore e di garanzia dello sviluppo umano – uno sguardo attento alle meraviglie della creazione ed al potere creativo dell’essere umano che è orientato, per dirla con san Tommaso d’Aquino, verso ‘il pulchrum, il verum e il bonum’.» Visioni oniriche che viaggiano oltre il tempo e lo spazio indagando pensie-
Francesca Mele, Melagrane, 2019 © olio , volume , cartariso su juta – 102 x102cm
ri, suscitando emozioni indimenticabili. Come ha già avuto modo di scrivere delle sue opere il filosofo e teologo Elmar Salmann: «È una pittura sul limitare di enigma e cifra, verso un segreto che soffia intorno a noi, ci assilla e ci lascia fuggire. Tuttavia non gli sfuggiamo.» Le tele di Francesca Mele catturano e incantano lo sguardo dell’osservatore e restano scolpite per sempre negli occhi di chi le guarda. Le opere presentate nella mostra "L'invisibile nella natura, spiega lo stesso Salman, «Non è una natura reale, ma piuttosto sono nature morte che vogliono cogliere l‘essenza della natura, la sua indole o apparenza invisibile. L’essenziale non si vede – e appunto questo viene qui raffigurato, messo davanti ad occhi che vedono e non vedono, che stravedono per qualcosa che non comprendono.» Ancora più complesso il secondo progetto espositivo che presenta al pubblico tedesco le opere di
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Visioni ed incantamenti. La mostra, in programma dal 7 dicembre 2021 fino a febbraio 2022, sarà allestita nelle sale dell’Accademia Sociale Cattolica Franz Hitze Haus a Münster e sarà presentata dal filosofo e teologo Elmar Salman che a proposito di questo nucleo di opere, intercettando la valenza simbolica delle stesse, scrive in catalogo: «Visioni ed incantamenti. Tra Venezia e New York come città apocalitti-
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che. Come se l’essenza della civiltà fosse la città inabitabile e l’essenza della città la sua decomposizione. Le strade sono vuote, bagnate o sommerse da una luce abbagliante – con qualche incontro inatteso, epifanico, angelico: “Tutto può succedere”. L‘America come inferno o come miracolo... Cosa sentiamo? Forse un fascino e un brivido, uno smarrimento. Tanta geometria, tanta architettura impres-
Francesca Mele, Poesia blu lagunare, 202, olio, volume , cartariso su juta – 90 x90 cm
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Un momento dell’inaugurazione a Rheine, Gertrudenstift
sionante ed impressionistica, tanta inafferrabilità, tanto vuoto che chiede una umanizzazione, forse vi prevale il terrore soave del sacro con alcune isole di conforto... Cosa pensiamo? Sembrano icone e segnature, riflessi e visioni di una grande solitudine, di un silenzio abissale, di una sfera del sacro che si sottrae e si impone nel medesimo momento. Le architetture sacre parlano, forse, di un Dio assente ed inquietante, eppure ci sono momenti di grande poeticità che ci dicono: “Si può sognare ovunque”, un quadro nel quale si riassumono molti tratti caratteristici della pittura di Francesca Mele.» Le oltre cento opere in mostra in Germania racchiudono la cifra stilistica di
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Francesca, la sua ricerca estetica ed etica perché le sue opere non sono solo belle da vedere ma mettono in relazione l’Uomo con se stesso, la Natura e il Mondo intendendo con esso anche le architetture, le costruzioni che dalle cattedrali ai grattacieli da sempre diventano slancio verso il Cielo, l’Infinito. Le creazioni pittoriche di Francesca Mele hanno radici profonde nella storia della pittura italiana, in quel Rinascimento che rivive attraverso le figure femminili che lei riesce a riposizionare al centro della narrazione artistica intrisa di simboli e di figurazioni meravigliose. Meravigliosa come la sua abilità tecnica, la padronanza pittorica, l'utilizzo di materiali diversi a cominciare dal supporto pittorico che realizza cucendo
Francesca Mele, Ceci n’est pas Venice, 2012 olio , volume su pioppo – 95 x102cm
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Francesca Mele, Serenissima, 2020, olio, cartariso su juta, – 84 x104cm
tele di canapa che incornicia o trattando tavole di pioppo. La genesi dell'opera inizia dalla scelta del supporto pittorico dove con maestria stende oli e carta riso giapponese lasciando fluire il pensiero che diventa segno e colore. E in attesa dell’inaugurazione della mostra a Munster, due altri tasselli van-
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no ad inserirsi nel suo brillante percorso: la segnalazione sul n. 57 del CAM, il Catalogo di Arte Contemporanea pubblicato da Editoriale Giorgio Mondadori e la pubblicazione di “Poesia lagunare blu” in copertina del libro “Emozioni liquide” di Ezio Calemi per i tipi de Il Raggio Verde edizioni.
Lo scrittore e giornalista Domenico Rea
cento anni fa... domenico rea
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La mostra Appunti di Autore, fino al 24 novembre alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Già in libreria, la ristampa di “Spaccanapoli” e nel 2022 in programma quella di “Ninfa plebea”
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Con il convegno "Domenico Rea e il Novecento italiano" organizzato dall’ Università Federico II e la Biblioteca Nazionale di Napoli " Vittorio Emanuele III" dal 9 all’ 11 novembre 2021 sono entrate nel vivo le iniziative promosse dal Comitato nazionale per le celebrazioni del Centenario della nascita di Domenico Rea, istituito dal MiC e presieduto dall’italianista Pasquale Sabbatino. Studiosi di Letteratura, saggisti, scrittori contemporanei hanno svelato la versatilità della scrittura di Domenico Rea sperimentatore dei linguaggi propri del novecento: dal romanzo, al giornalismo, alla narrativa breve, dal teatro, al cinema. L’apertura dei lavori congressuali è stata preceduta dall’inaugurazione della mostra Appunti di vita, visitabile nella Sala Rari della Biblioteca fino 24 novembre, a cura di Lucia Rea e Raimondo Di
Maio, con la collaborazione dei bibliotecari: saranno esposti documenti dell' Archivio Rea, libri con dedica, narrativa per ragazzi, articoli pubblicati su periodici e giornali, non mancano le traduzioni e le prime edizioni conservate dalla Biblioteca. Una sintetica carrellata che permette un significativo sguardo -un po’ diverso- su Domenico Rea, sul suo entusiasmo di idee e sulla sua smania di scrittura, sulle sue scelte e curiosità. In occasione della mostra la figlia dello scrittore Lucia Rea ha donato alla biblioteca un blocco di appunti, autografo di Domenico Rea, risalente agli anni settanta, periodo in cui lo scrittore collaborava per Il Mattino come critico teatrale. Sempre nell’ambito delle iniziative del primo centenario di Rea si segnala l’avvio della catalogazione e digitalizzazione da parte dell’Università di Salerno di die-
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rando con stile asciutto gli aspetti più umili della vita quotidiana napoletana e meridionale in genere, ma sfumando attraverso l’immaginazione la crudezza del racconto. A decretare il successo dell’autore ed a farlo conoscere dal grande pubblico è, proprio, nel 1992 il romanzo “Ninfa plebea” (premio Strega 1993) ambientato nella mitica Nofi dove la narrazione della povertà dei paesi dell’entroterra meridionale e l’umiliazione di tante donne adolescenti diventa cronaca di vita popolare espressa con linguaggio essenziale e spirito contemporaneo.
I luoghi nella rete
ci faldoni di opere edite e inedite, racconti, scritti giornalistici, foto, lettere del “Fondo Rea”, donato dalla figlia Lucia e coordinato dal docente Vincenzo Salerno. Per il centenario è stato ristampato il libro d'esordio di Rea "Spaccanapoli" (1947), a cura di Matteo Palumbo, già in libreria, mentre per 2022 è prevista la nuova edizione sempre per Bompiani di Ninfa Plebea (1992) Sono proprio le raccolte di racconti : “Spaccanapoli”, 1947; “Gesù, fate luce”, 1950; “Quel che vide Cummeo”, 1955, a portare all’attenzione della critica Domenico Rea che si inserisce nel filone di scrittori del dopoguerra in modo originale e fuori delle regole, nar-
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i disegni di gaetano martinez Raffaele Polo
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Dal 20 novembre al 13 dicembre 2021 in mostra alcune opere alla Galleria Arca di Lecce
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on solo scultore: ma artista a tutto tondo che merita, finalmente, una giusta collocazione nelle ricerche e nelle proposte delle gallerie contemporanee. Ed è proprio la galleria 'Arca' di Lecce a presentare “Gaetano Martinez
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(1892-1951) Disegni scelti da una collezione privata” a cura di Lorenzo Madaro dal 20 novembre al 13 dicembre 2021. Da un Autoritratto giovanile del 1918 (tema a cui è stato legato fino agli ultimi anni di attività) realizzato ad
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Disegni di Gaetano Martinez
inchiostro di china, alle delicate matite della maturità – Maternità, Nudi femminili e maschili, volti e profili animali –, concepite con un segno essenziale e sicuro: la mostra dedicata a Gaetano Martinez presenta una selezione ragionata di opere su carta di un padre nobile della storia della scultura italiana, che dal Salento ha attraversato una storia intensa, soprattutto a Roma, città in cui ha vissuto stabilmente sin dal 1925, riscuotendo importanti riconoscimenti. Basti pensare che per ben nove edizioni è stato protagonista della Biennale di Venezia, all’epoca la più importante rassegna d’arte contemporanea internazionale, che nel 1942 gli ha anche dedicato una sala personale. Scultore raffinato, si è concentrato costantemente sul fronte del disegno, sia per concepire studi progettuali propedeutici alla nascita di nuove opere plastiche, sia con lavori autonomi. In mostra vi è una panoramica molto esaustiva dei temi che hanno riguardato il suo percorso che – come ha sostenuto Antonio Cassiano, in un suo testo di presentazione del catalogo della mostra su Martinez, curata da Vittorio Sgarbi nel 2000-2001 nelle Scuderie di Palazzo Ruspoli a Roma – “è improntato ad una estrema semplicità ed essenzialità e l’assoluta mancanza di monumentalismo e retorica lo pongono nel filone degli innovatori”. Per Martinez la carta è un momento fondamentale del proprio lavoro, al pari della ricerca
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scultorea. D’altronde la carta, per dirla con Francesco Bonami, “È il mezzo, ma anche il materiale che per definizione è destinato alla comunicazione: dalle antiche pergamene alle pagine dei manoscritti medioevali, la
carta è sempre stata il ‘conduttore’ di messaggi politici, religiosi, estetici”. Le opere in mostra, oltre 25, provenienti dalla collezione di una nipote dell’artista, confermano quanto asserito dallo storico
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Disegni di Gaetano Martinez
dell’arte Raffaele De Grada all’indomani della morte dell’artista: “[Martinez] ha tutte le qualità, tutti i meriti, per essere considerato uno degli importanti scultori italiani da sistemare nella storia artistica dl nostro secolo”. La mostra sarà visitabile tutti i giorni dalle 16.30 alle 20 o su prenotazione telefonando al numero 329.10.61.70 3. Ingresso esclusivamente contingentato e con mascherina.
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no alla violenza. amore e risPetto Per non essere dei trogloditi Aldo Recchia
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25 novembre Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
” “Botte alla compagna sordomuta sotto gli occhi dei figli minorenni: arrestato”. La notizia è solo una delle ultime, una delle tante che, quotidianamente, riportano le cronache. Ebbene, quando tu uomo, fai questo, usi cioè la forza fisica al posto della forza dell’intelletto o (meglio) del buon senso, nei confronti di una donna, sei solo un troglodita. Naturalmente, il discorso vale anche se usi violenza verso un qualsiasi tuo simile, tanto più se è più debole di te. Il solo “carcere” è troppo poco. Meriteresti quanto meno i lavori forzati. Quelli sì che hanno bisogno della tua forza bruta e meno del tuo buon senso che, peraltro - così comportandoti - dimostri di non avere affatto, proprio perché sei un troglodita. Non sai cosa significa troglodita? Non mi meraviglio più di tanto. Eppure, basterebbe
solo consultare un vocabolario qualsiasi. Ma tu (suppongo) non ne avrai nemmeno uno a portata di mano. Te lo dico io, allora, cosa significa troglodita. Anzi porto alla tua attenzione solo quello che dice il dizionario enciclopedico Treccani che, in proposito, è chiarissimo. Il troglodita altro non è che l’uomo delle caverne, che abita ed ha il suo riparo abituale in caverne, soprattutto con riferimento ad epoche preistoriche. Epoche, cioè, abbondantemente (per fortuna nostra e dei nostri figli) ormai superate del tutto da molto tempo, anche e soprattutto perché nel frattempo è cambiato tutto e non c’è più bisogno - come lo era per i cavernicoli - di difendersi dagli altri con l’uso della forza fisica. Ecco perché quando tu usi la tua forza bruta contro una donna non sei un uomo, ma sei solo un troglodita, un cavernicolo se preferi-
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sci, tanto è lo stesso. Sei cioè un individuo (ed è tutto dire) primitivo, per di più rozzo, comunque molto arretrato sul piano culturale soprattutto. Lo so che per te è difficile seguirmi su questa strada. Da cavernicolo o troglodita, come dimostri di essere, quando usi violenza contro la donna che ti è accanto e che magari ti ha dato anche la gioia di aver dei figli. Un evento splendido, direi persino straordinario, che dà valore alla tua stessa esistenza e che dovresti apprezzare moltissimo, ringraziando costantemente la donna che ti è vicina e che, nei momenti del bisogno, si prende anche cura di te. Ti pare cosa da poco tutto questo? Perché non ti riesce di apprezzarlo? Ma da dove vieni? Nonostante tu non sia realmente un uomo delle caverne, dimostri solo di essere un barbaro, un incivile, un primitivo e per di più cafone, screanzato, selvaggio. Uno zoticone, insomma, vero e proprio. Uno
zoticone che nulla ha a che vedere con la civiltà. Uno zoticone maleducato o ineducato? E sì, perché può anche darsi che non sia del tutto tua la colpa di essere un asociale, scontroso, scorbutico. Cioè un individuo che - come sottolinea sempre la Treccani - non ha nulla a che vedere con il galantuomo, il gentiluomo, il signore. Come dire, insomma, una persona civile, in grado di stare civilmente tra la gente e, soprattutto, accanto ad una donna, per amarla e rispettarla come è giusto e doveroso che sia. Anche in presenza di inevitabili divergenze di opinioni e di idee. Questa è la normalità. Una normalità, che non ha bisogno certo dell’uso della forza bruta. Te lo dico da nonno. Tanto più se non te lo hanno mai detto i tuoi genitori o chi, per loro, si è occupato della tua educazione. Impara l’uso del buon senso. Impara ad essere uomo. Un uomo vero. Non ci vuole molto per riuscire nell’impresa. Un uomo che
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Simone Annicchiarico ritira il Premio in memoria di suo padre
sa rispettare gli altri, prima ancora di pretendere che gli altri lo rispettino. A prescindere. Un uomo che sappia amare e rispettare la donna, la compagna che ha scelto per il cammino della propria vita. Un uomo che sappia amare tutte le donne in genere, che non vanno assolutamente viste solo come oggetto di piacere, ma come esseri viventi allo stesso livello dell’uomo. Sia pure con pregi e difetti, come quelli che, appunto, caratterizzano l’uomo in generale. Nonostante tu sia un troglodita, hai la fortuna di vivere in un paese in cui la donna da tempo gode degli stessi diritti dell’uomo. Nulla a che vedere con altri paesi, come l’Afganistan - giusto per fare un esempio, ma non è il solo - dove proprio di recente è stata uccisa barbaramente Frozan Safi (una ragazza di 29 anni, docente di economia) solo perché è stata sempre in prima fila per difendere i diritti delle donne, ancora oggi costrette tra l’altro, a indossare il burca. E, infine, sempre in tema di donne, mi si permetta di evidenziare la mia gioia, quando per la prima volta nella storia repubblicana -
fu chiamata una donna straordinaria come Nilde Iotti a ricoprire la terza carica dello Stato, qual è la Presidenza della Camera dei deputati. Attualmente anche la seconda carica dello Stato, la Presidenza del Senato, è stata affidata ad una altra donna: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Mi permetto di ricordare tutto questo, perché forse - a questo punto - è giunto il momento propizio per affidare anche la prima carica, quella della Presidenza della Repubblica, ad una donna. I tempi sono ormai maturi. Tra l’altro, fra poco va fatta la scelta, visto che il presidente Sergio Mattarella ha finito il suo mandato. Donne meritevoli in giro ce ne sono tante. Forse scarseggiano gli uomini degni di tale carica. E, tra quei pochi che avanzano, non mancano gli indegni e gli impresentabili, comunque senz’altro ineleggibili. Anche e soprattutto perché il ruolo di Presidente della Repubblica deve essere assegnato solo e soltanto a gente al di sopra di ogni sospetto.
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le vittime del silenzio dialoghi itineranti Antonietta Fulvio
Parte da Lecce, il 30 novembre 2021 dalla Fondazione Palmieri la rassegna per contrastare la violenza di genere e mirare ad una“educazione sentimentale”. La serata è dedicata a Luciana Palmieri fervente mecenate contemporanea che ha restituito alla città un gioiello architettonico del Cinquecento. A dieci anni dalla sua scomparsa l’appello per dedicarle la piazzetta antistante l’ex Chiesetta di San Sebastiano «Alla data odierna, relativamente al periodo 1° gennaio – 17 ottobre 2021 sono stati registrati 230 omicidi, con 95 vittime donne di cui 81 uccise in ambito familiare/affettivo; di queste, 56 hanno trovato la morte per mano del partner/ex partner. Analizzando gli omicidi del periodo sopra indicato, rispetto a quello analogo dello scorso anno, si nota un leggero decremento (-3%) nell’andamento gene-
rale degli eventi (da 237 a 230), mentre le vittime di genere femminile aumentano leggermente, passando da 92 a 95 (+3%). 3 OMICIDI VOLONTARI I delitti commessi in ambito familiare/affettivo mostrano un leggero aumento, passando da 117 a 120 (+3%); le vittime di genere femminile passano da 79 nel periodo 1° gennaio - 17 ottobre 2020 a 81 nell’analogo periodo del-
Il report del Viminale sugli omicidi volontari avvenuti in Italia in questi dieci mesi del 2021 indica statistiche paurose purtroppo con incrementi positivi e snocciola numeri. Numeri che fanno rabbrividire. Che devono far pensare. Come devono far pensare quelle altrettanto terribili tragedie silenziose che pur avvengono dietro le mura domestiche o sui luoghi di lavoro, tragedie che non vengo-
l’anno in corso (+3%). Nell’arco temporale dell’anno in corso, le donne vittime del partner o ex fanno registrare un aumento rispetto all’analogo periodo dell’anno 2020, passando da 53 a 56 (+6%).» (report del Viminale sugli Omicidi volontari consumati in Italia - fonte D.C.P.C. - dati operativi estratti il 18.10.2021)
no denunciate ma sono pur sempre figlie folli della violenza, episodi di violenza che se non arrivano all’irreversibile epilogo finale lasciano il segno e sono il segno tangibile di una pesantissima sconfitta per tutta la società. Perché è la cultura per il rispetto della vita che si annienta dietro ogni schiaffo, ogni pugno…aggressione verbale, sudditanza psicologica… tutti indistintamen-
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te atti criminali. La violenza è un crimine inaccettabile quanto vergognoso e va denunciata. Senza paura. “Le vittime del silenzio” è un ciclo di dialoghi itineranti ideato dalla casa editrice Il Raggio Verde di Lecce e la rivista telematica Arte e Luoghi con l’intento di promuovere una campagna di sensibilizzazione contro la violenza di genere attraverso la parola di artisti, scrittori, poeti ai quali si aggiungono le voci di esperti e operatori della società civile. Riprendendo un progetto di qualche anno fa, si intende ripartire da Lecce il prossimo 30 novembre per realizzare una serie di incontri - al di là della giornata internazionale della violenza contro le donne, istituita dall’Onu, pur riconoscendone la valenza per avviare durante tutto l'anno - sul territorio provinciale e regionale - il confronto e la riflessione su un tema che è, purtroppo, un'emergenza sociale. È fondamentale interrompere l’isolamento in cui si vengono a trovare le vittime e annullare il silenzio che sovrasta la violenza in tutte le sue forme – fisica, verbale, psicologica - a partire da quella insospettabile che avviene tra le pareti domestiche, il luogo che dovrebbe essere sinonimo di protezione e rispetto della dignità personale. E non dimenticare che le vittime non sono solo donne, ma anche i figli - bambini e bambine - e le intere famiglie coinvolte. Ringraziamo sin d'ora il Sindaco di Lecce Carlo Salvemini e l'assessore alle pari opportunità Silvia Miglietta che hanno confermato la loro presenza, tutti gli autori e
operatori invitati, l'artista Gaia Di Leo che ha realizzato l'immagine guida del manifesto e le collaborazioni preziose, in primis con l’associazione Le Ali di Pandora, l’associazione teatrale La Barcaccia di Gallipoli e le tante altre che si aggiungeranno lungo il cammino. Perché facendo rete, insieme, è possibile veicolare con maggior forza il nostro no alla violenza. Un no che non vuole tradursi solo al racconto delle dolorose “storie” ma, facendo nostre le considerazioni dello psicanalista Massimo Recalcati, l’intento è contribuire a realizzare una "educazione sentimentale" che porti il maschio all'accettazione dell'altro come libertà e non come oggetto. Per questo è necessario ricorrere alla "parola", alla voce delle arti per veicolare la cultura del rispetto per l’altro, inequivocabilmente legato al rispetto per la vita. Un ringraziamento infine alla Fondazione Palmieri che ci ospita, questa prima serata vogliamo dedicarla ad una donna straordinaria Luciana Palmieri laureata in Lettere e Filosofia e specializzatasi alla Sorbonna di Parigi, dopo lunghe collaborazioni con l’Università di Lecce scelse l’insegnamento per trasmettere ai giovani la passione e il gusto per la ricerca. Docente di Storia delle Arti Visive, infaticabile operatrice culturale e anima della Fondazione, fu lei ad acquistare l’ex Chiesetta di San Sebastiano, a restaurarla , strappandola dal degrado a proprie spese. Restituì alla città un gioiello architettonico del Cinquecento per farne un contenitore culturale e avamposto della cultura salentina da divulgare nel mondo. “un progetto più ambizioso che tende a salvaguardare non solo la tradizione culturale ma anche le pagine di una storia spesso dimenticata che i secoli e il degrado celano dietro muri sbrecciati e decori in rovina. È in questi edifici che si ascolta l’eco di una città dalle mille voci.” Così lo aveva concepito Luciana Palmieri, scomparsa prematuramente il 18 dicembre di dieci anni fa e alla quale sarebbe bello poter intitolare la piazzetta antistante all’ex Chiesetta di San Sebastiano in ricordo della sua fervente attività culturale e di quel mecenatismo contemporaneo di cui si sente tanto la mancanza.
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l’archivio carmelo bene all’ex convitto Palmieri Raffaele Polo
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A Lecce il primo piano della Biblioteca Bernardini ospita il fondo librario, il fondo documentario, il fondo oggetti e materiali di scena, frutto dell’immenso lavoro culturale del Maestro
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inalmente, anche Carmelo Bene ha un chiaro, tangibile punto di riferimento per chi (e sono tanti...) volesse approfondire la conoscenza per questo personaggio che ha un complesso rapporto con il Salento e con le sue origini (Campi Salentina in primis), un misto di orgoglio e trascuratezza, come purtroppo avviene troppo spesso dalle nostre parti... Certo, i problemi con gli eredi e con i depositari della Cultura sponsorizzata e spesso politicizzata, non finiscono mai... ma stavolta, pare proprio che Carmelo abbia trovato la sua collocazione nel contesto del polo museale dell'ex Convitto
Palmieri, dove è stata allestito un percorso molto ben congegnato, che espone e conserva quelli che furono gli oggetti più vicini e più cari al Maestro. A partire dai libri, elemento imprescindibile soprattutto quando la 'cultura' nasceva sulle pagine stampate e possedere una biblioteca personale ben fornita era, di per sé, indice di un ottimo livello di conoscenza. Le cronache affermano che i libri di Bene conservati alla Biblioteca Bernardini oscillano tra i 5 e i 6mila: e molti di essi hanno annotazioni e interventi dello stesso Bene che, animo ribelle anche nella lettura, non seguiva le raccomandazioni dei cattedratici di
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Particolare dell’allestimento dell’Archivio Carmelo Bene all’ex Convitto Palmieri di Lecce
un tempo che proibivano e vedevano con fastidio annotazioni, sottolineature e, soprattutto, orecchiette ai libri che andavano considerati nella loro sacralità... No, anche in questo, Carmelo Bene ci suggerisce di 'vivere' i libri e ce lo testimonia con passione... C'è, poi, il Fondo personale, che raccoglie manoscritti, dattiloscritti, materiale audiovisivo, foto di scena, registrazioni e dischi. Quest’ultimo, sarà a breve oggetto di progetto di schedatura per favorirne la consultazione. Infine, il Fondo costumi ed elementi di scena, arredi e oggetti personali, che si compone di 22 costumi ed accessori di scena relativi a: Otello, Hommlette for Hamlet, Riccardo III,
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Pinocchio, La cena delle beffe. Insomma, c'è un po' di tutto quel che riguarda il Maestro, c'è la possibilità di farsi una chiara idea di quello che è stato, nel secolo scorso, il suo Genio e la sua 'sregolatezza', c'è soprattutto l'atmosfera indispensabile ad inquadrare la figura di questo artista in un contesto recente ma incredibilmente ancora poco conosciuto. Ora, ad essere sinceri, avevamo qualche prevenzione per questa sorta di tardiva rimembranza museale: ci sembrava molto più opportuno mantenere la figura di Carmelo Bene in quell'aura di mistero e dimenticanza nella quale era vissuto il suo ricordo, sino ad ora. A lui, eterno
Particolare dell’allestimento dell’Archivio Carmelo Bene all’ex Convitto Palmieri di Lecce
dissacratore, pensavamo, non sarebbe piaciuto avere un mausoleo dannunziano che lo commemorasse... E invece dobbiamo confermare l'ottima collocazione ed ambientazione del percorso che, all'interno della Biblioteca, ci consente di conoscere e ri-conoscere Carmelo Bene, attraverso i suoi libri, gli abiti di scena e una particolare disposizione di sedie e suppellettili che ci suggeriscono come la forza, la vitalità, l'impegno
del Maestro non siano ancora esauriti, anzi... Si ha come l'impressione che egli sia ancora là, ad aggirarsi nervosamente tra gli eterni compagni della sua vita: i libri, i dischi, i manoscritti... Bravissimi, allora, gli ideatori e coloro che hanno allestito questo importante momento culturale che è la migliore testimonianza per un figlio del Salento, onore e vanto di chi apprezza ogni forma di cultura.
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L’Archivio Carmelo Bene, che accoglie l’importante patrimonio librario, documentario e collezionistico del Maestro, è stato acquisito dalla Regione Puglia, d’intesa con il Teatro Pubblico Pugliese e il Polo biblio-museale di Lecce, il 30 ottobre 2019 firmando un epocale accordo con le eredi del Maestro Carmelo Bene, la vedova Raffaella Baracchi e la figlia Salomè, la soprintendenza archivistica e bibliografica di Puglia e la soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto L'Archivio Carmelo Bene è aperto da lunedì a venerdì, dalle ore 9 alle ore 13, ingresso su prenotazione ogni venerdì dalle 16 alle 20 visite guidate gratuite su prenotazione. Le visite guidate con orari: alle ore 16, 17, 18, e ultima con ingresso ore 19. Prenotazione tramite app IO PRENOTO o via whatsapp al numero 0832373576. Ex Convitto Palmieri primo piano
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Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
l’orologio astronomico e il duomo di messina Sara Foti Sciavaliere
“ Storie l’uomo e il territorio
Il carosello che anima il campanile della città sullo Stretto
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efinita fin dal Medioevo la “Porta della Sicilia”, Messina, adagiata sulla punta nord-orientale dell’isola della Trinacria, tra lo Stretto che porta il suo nome e le pendici dei Monti Peloritani, è una città ricca di storia e arte sopravvissuta alle sciagure di terremoti e guerre. Il centro storico di Messina è rappresentato dall’ampia Piazza del Duomo, dominata dalla Cattedrale intitolata all’Assunta e sul suo fianco si erge con le sue meraviglie il campanile con l’orologio astronomico. Nel mattino del 28 dicembre 1908 una scossa sismica di magnitudo 7,2 si abbatté sulle città costiere dello Stretto, distruggendole in pochi secondi, e uccidendo circa
”
120mila persone, delle quali 80mila nella sola Messina. La cattedrale di Messina, con l’annessa torre campanaria, non fu risparmiata dalla devastazione e fu quasi del tutto rasa al suolo. Ma non era affatto la prima volta. La primitiva fabbrica del 1120, promossa dal normanno Ruggero II d’Altavilla, subì nei secoli vari rimaneggiamenti dettati dall’adeguamento al gusto artistico corrente, fino al tremendo stillicidio di terremoti del 1783 che colpì l’area affacciata sullo Stretto. L’edificio ne uscì distrutto e il ricco repertorio d’opere d’arte in esso conservato andò perduto, anche il campanile del Duomo, in origine alto 90 metri (compresa la guglia lignea), in seguito a tale evento verrà ricostruito, ma appena 80
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Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
anni dopo, ne 1863, sarà demolito per inagibilità. Si dovrà aspettare il XX secolo per rivedere il Duomo messinese – ricostruito dopo il sisma del 1908 – affiancato nuovamente dalla propria torre campanaria. La Cattedrale, più volte distrutta, è stato sempre ricostruito sul medesimo sito. Subisce i primi gravi danni a causa di un incendio nel 1254 e in seguito a esso l’edificio sarà arricchito di pregevoli opere d’arte e di monumenti funebri di vari regnanti come Costanza di Castiglia e Alfonso II re di Napoli oltre a quelli dedicati a vescovi locali. Duranti i terremoti del 1873 e del 1908 e i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia saranno distrutte la maggior parte delle opere custodite al suo interno, crollano i muri e il soffitto rovinando il pavimento in marmo policromo, che purtroppo sarà impossibile recuperare. Si è debitori della tenace opera di ricostruzione promosso dal’arcivescovo Angelo Paino, che permetteranno di ripristinate le fattezze
normanne del Duomo. Oggi la Cattedrale presenta una facciata con fasce a mosaico in marmo, rilievi raffiguranti scene di lavoro nei campi e tre bei portali in stile gotico incorniciati da stipiti e architravi riccamente scolpiti. Il portale maggiore è affiancato da colonne tortili che poggiano su leoni e che sostengono delle edicole in cui sono collocate statue di santi e angeli; nella lunetta affrescata è scolpita una cinquecentesca Vergine, mentre nella cuspide in bassorilievo è raffigurata, in marmo, l’incoronazione di Maria. Nelle lunette dei due portali laterali strombati, invece, sono intarsiati la Vergine Benedicente (a sinistra) e Giovanni Battista (a destra). L’interno, a pianta basilicale e diviso in tre navate da colonne monolitiche, è spogliato dalle sue opere originali e presenta un soffitto rivestito da pannelli in legno dipinti. Nelle navate laterali sono disposti gli altari con le statue degli Apostoli, mentre nel-
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Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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Ritornando su Piazza del Duomo è impossibile non fermarsi a osservare, sul fianco sinistro del prospetto della Cattedrale, il campanile costruito sul progetto dell’architetto Francesco Valenti, Soprintendente ai Monumenti della Sicilia, dopo il terremoto del 1908 e altro 60 metri. Integrato nel campanile il complesso meccanismo del meraviglioso orologio astronomico realizzato dalla ditta Ungerer di Strasburgo nel 1933: i quadranti luminosi, del diametro di 2,50 metri, posti sui quattro lati del-
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Storie l’uomo e il territorio
l’abside centrale troneggia l’altare maggiore decorato con marmi policromi e dedicato alla Madonna della Lettera, la patrona di Messina, sormontato da un baldacchino baroccheggiante, rifatto dopo l’incendio del 1943. Dalla navata destra si accede al “Tesoro del Duomo”, una grande sala in cui sono custoditi pregevoli manufatti di arte sacra, tra i quali la cosiddetta “Manta d’oro”, tutta cesellata, è usata per coprire il quadro della Madonna della Lettera in occasione dei solenni festeggiamenti.
Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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la torre campanaria, sono visibili da ogni parte della città. La parte tecnica è stata ideata da Frédéric Klinghammer, mentre dal punto di vista artistico si basa sul progetto di Théodore Ungerer, un costruttore alsaziano di orologi per edifici. I meccanismi riprendono in parte quelli del rinascimentale orologio astronomico della Cattedrale di Strasburgo e fu commissionato dall’arcivescovo Mons. Angelo Paino in occasione del rifacimento del campanile di Messina, sotto consiglio di papa Pio XI, che gli fece dono un modello funzionante dell’orologio di Strasburgo. In cima al campanile sventolanti le bandiere del Vespro. Iniziamo però a esaminare le statue che popolano il prospetto che guarda la piazza. A partire dall’alto, davanti alla bifora, un leone, in bronzo dorato, coronato ed eretto sulle zampe posteriori (che ricorda il gonfalone della Provincia di Messina) muove la coda e la tesa mentre ruggisce per tre volte; subito sotto, al centro, un gallo muove le ali mentre canta, sempre per tre volte (rappre-
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Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
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A proposito faccio una piccola divagazione. Chi sono state queste due coraggiose e leggendarie fanciulle che ancora oggi vengono ricordate dai messinesi? Esse si legano allo storico assedio di Messina da parte di Carlo d'Angiò durante il Vespro siciliano, iniziato il 30 marzo 1282, lunedì dopo la Pasqua, sul sagrato della Chiesa del Santo Spirito di Palermo. La sommossa si propagò rapida a macchia d’olio in tutta l’Isola, nonostante i tentativi di Carlo d’Angiò di sedare la rivolta con la promessa di numerose riforme e alla fine intervenne con la forza di una flotta di duecento navi e 75mila uomini che presero d’assedio Messina e sbarrarono il passo a Reggio impedendo ogni possibile intervento a sostegno della città siciliana. La resistenza fu strenua e Carlo, nel tentativo di occupazione, non risparmiò nessun civile per espugnare la
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città, né anziani, né donne e bambini, poiché tutta la popolazione si impegnò a respingere gli attacchi. Durante la notte dell’8 agosto 1282 le truppe di Carlo tentarono di invadere la città dai colli e la tradizione narra che Dina e Clarenza, due dame messinesi, di guardia alle mura, appena avvistarono i nemici si prodigarono per respingere l’attacco: l’una scagliando sassi di continuo sui soldati nemici e l’altra suonando le campane dal campanile del Duomo da dove svegliò tutta la città, e in tal modo i cittadini accorsero a difesa della città riuscendo a respingere l’attacco. Non è dunque un caso la presenza di queste due figure femminile sull’orologio del campanile del Duomo, ma si mostrano a imperitura memoria della loro temerarietà, simbolo della resistenza dell’intera cittadinanza. Nel piano del gallo si conserva il “cuore dell’orologio”, un potente meccanismo di orologeria a contrappesi, che governa il movimento dei 54 automi che sfilano nelle sette scene sovrapposte. Nel quadro sottostante, la Madonna consegna la lettera dell’ambasceria mes-
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senta gli Angioini sconfitti e messi in fuga dal popolo siciliano, e tutt’oggi il gallo è il simbolo della Francia), e su ambo i lati troviamo le statue delle eroine messinesi Dina e Clarenza battono le ore e i quarti.
Messina, reportage fotografico di Sara Foti Sciavaliere
sinese e più giù scene che richiamano solennità religiose (la Natività, l’Epifania, la Pasqua, la Pentecoste). La scena che si riferisce alla Madonna della Lettera si ricollega all’antica tradizione risalente al 42 d. C. secondo la quale San Paolo venne a Messina per diffondere il cristianesimo ed entusiasmati dalla sua ardente parola, i messinesi inviarono a Gerusalemme un’ambasceria per rendere omaggio alla Madonna, ancora vivente; la Vergine diede agli ambasciatori una lettera, destinata al popolo messinese, in cui prometteva la sua eterna protezione alla città: la frase finale della lettera, “Vos et ipsam civitatem benedicimus”, è ancora oggi riportata sul basamento della Madonnina del Porto. Nel campanile poco dopo mezzogiorno, un angelo porta la lettera alla
Madonna, seguono, dopo di lui, S. Paolo e gli ambasciatori messinesi. Ciascun personaggio si inchina sfilando dinanzi alla Vergine. Sotto ancora, sul suono dell’Ave Maria di Schubert, una colomba vola in un moto circolare al di sopra di un monte dove sorge la Chiesa di Montalto, meglio definita Chiesa della Vittoria nella Guerra del Vespro: secondo la leggenda, una colomba volò su di un terreno, e in quel punto i messinesi edificarono la chiesa; e la collina in scena si riferisce a quella su cui si svolse il tentativo di invasione degli angioini nell’ agosto 1282, respinto dalle donne siciliane, tra cui Dina e Clarenza, che presidiavano le mura nelle ore notturne. Più in basso la Morte batte il tempo con la falce ogni quarto d’ora e nel frattempo davanti a essa scorre il carosello
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di figure che rappresentano le varie fasi della vita umana: l’infanzia, l’adolescenza, la maturità e la vecchiaia. Nel riquadro inferiore le statue di sette divinità pagane alla guida dei loro carri trainato da un animale (ad esempio per Diana, dea della caccia, si avrà un cervo, oppure per Venere, dea dell’amore, ci sarà una colomba) simboleggiano i sette giorni della settimana (Apollo per la domenica, poi Diana per il lunedì, Marte, Mercurio, Giove, Venere e Saturno). Ci spostiamo a osservare la facciata di destra (quella rivolta verso il Duomo), dove sono riprodotti i fenomeni siderali e che costituisce, di fatto, più propriamente l’idea dell’orologio astronomico: emerge un globo, dipinto in oro e
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nero, che indica le fasi lunari, e più in basso il grande quadrante del planetario (al centro è il sole e attorno i nove pianeti che ruotano intorno ad esso, collocati a distanza proporzionale a quella reale) e sotto quest’ultimo il calendario perpetuo affiancato da un angelo in marmo che indica anno, mese e giorno in corso. Il cambio della data avviene automaticamente a mezzanotte. A ogni mezzogiorno, per dodici minuti, il meccanismo mette in moto le statue dorate e le facciate del campanile prospicienti la piazza si animano. L’orologio astronomico di Messina è uno spettacolare memorandum che, in una danza periodica di allegorie, racconta la storia della città e la sua vita religiosa.
lo scurismo di maurizio l’altrella Dario Ferreri
“
Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea
”
«Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso»
CURIOSAR(T)E
Albert Einstein
Q
" “Per quanto sia vasta l’oscurità dobbiamo procurarci da soli la nostra luce” (Stanley Kubrick)
ualcuno ha scritto che “Il genio non è tanto la luce, quanto la costante consapevolezza dell’oscurità circostante”: “welcome to the dark” potrebbe essere l’adeguato benvenuto nello scuro e suggestivo universo figurativo di Maurizio L'Altrella: pittore italiano, classe 1972, nato a Milano, dove attualmente vive e lavora, e pre-
sente sulla scena nazionale ed internazionale sin dal 2010. L’artista è stato da Camillo Langone annoverato, per i suoi natali e luogo di vita e lavoro, per la tavolozza cupa e la netta contrapposizione ai Chiaristi Lombardi, tra i cosiddetti "Scuristi Lombardi". Suoi epigoni di riferimento sono,
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Maurizio L’Altrella, Il sussurro della lucertola
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CURIOSAR(T)E
Édouard Manet in forma di gazza appare a Lucignolo durante la trasformazione in asino
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La grande vespa svela il segreto della consapevolezza totale. Autocombustione dell'astante
in primis, i grandi maestri del Cinquecento e Seicento fiamminghi, italiani e spagnoli e quelli del XIX e XX secolo tra i quali spiccano Eduard Manet, Caspar David Friedrich, William Turner, Francis Bacon, Lucian Freud, Gerhard Richter, ma anche maestri contemporanei che si esprimono con differenti media oltre alla pittura, come Bill Viola, Peter Greenaway, Philippe Parreno, Pierre Huyghe ed altri. L’opera pittorica di L’Altrella è una sorta di soglia tra il mondo dell’iconografia e l’altro mondo, misterioso e suggestivo, della
destrutturazione/distorsione/dissoluzione dell’immagine e dell’esplosione delle infinite possibilità emozionali a questo mondo connesse: l’arte, pur essendo legata alla natura, suggerisce altre realtà, altri mondi possibili, diversi da quello di cui abbiamo esperienza: dinanzi alle sue opere (olio su tela è il medium preferito dell’artista) siamo immersi nell’oscurità, sospesi tra la poesia del racconto e le improvvise ma sapienti faville del pennello che tratteggiano e lasciano emergere le figure. L'ambientazione delle creazioni di L’Altrella è
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Giovanna del fuoco
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de nelle tele di grandi dimensioni, che stanno diventando le sue produzioni preferite. A proposito della sua poetica l’artista scrive sul proprio sito che “Nel mio viaggio tutto si muove attraverso visioni oniriche, mitologiche e metafisiche. Indago su tempeste vuote e piene lo spazio e la materia effimera che lo compone. Non ho mai un ordine predestinato nella ricerca. Mi immergo nel sé profondo, dove le strade si intrecciano inevitabilmente guidate dal sentimento e dalla memoria ogni elemento conserva il suo valore intrinseco. Posso solo ascoltare il mio cuore. Nulla è lasciato al caso”. Di recente inserito nella pubblicazione "Preparing for Darkness -A New Movement in Contemporary Painting" a cura di Uwe Goldenstein, è tra quegli artisti nazionali contemporanei proiettati verso un'arte figurativa, che si rifà alla tradizione classica, di elevato livello tecnico, con connotazioni surreali e che affondano la propria ragion d'essere sia nella malinconia, anche estetica, intesa quale rifugio nei confronti della imperante banalità visiva della società contemporanea e dei suoi protagonisti, sia anche nel recupero di momenti bui di isolamento che consentano di concentrarsi, riflettere ed esprimere in maniera artistica personale, critica e consapevole il proprio punto di vista su fenomeni, emergenze ed aspetti relazionali e caratteriali moderni. Oggi le sue opere fanno parte di prestigiose collezioni private, collabora con gallerie in Italia e all'estero. E’ da poco terminata la sua personale “Intra Corpore” presso Fondazione Uomo Fondazione D’Inverno a Milano, con curatela di Barbara Codogno ed in partnership con galleria Nuovospazio Artecontemporanea di Piacenza ed alcune sue opere sono tuttora esposte alla mostra d’arte contemporanea “A riveder le stelle” (le atmosfere narrate da Giotto e Dante nelle opere degli artisti del presente) presso il museo Eremitani di Padova. Carl Gustav Jung disse
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CURIOSAR(T)E
una sorta di versione "anti-pop" della Dimensione Oscura del multiverso dei fumetti Marvel che vive ed è ravvivata da lampi e bagliori di luce ed energia, una dimensione in cui lo spazio e il tempo non seguono le stesse leggi del nostro mondo: in questa dimensione oscura, il faro creativo dell'artista illumina, con la sua energia, figure umane, animali e mitologiche, facendole emergere dal brodo primordiale del proprio macrocosmo gnoseologico ed emozionale al fine di dare corpo alla propria personale narrazione. Un'arte antropocentrica ma con larghe aperture allo zoocentrismo, perché nelle sue opere hanno valore morale anche gli animali che, anzi, spesso risultano in un entanglement, di quantistica memoria, con l'essere umano accanto al quale appaiono, di modo che le azioni, le misure ed i pensieri eseguiti dall’uno abbiano effetto istantaneo ed irreparabile anche sull'altro. E' per questo che nelle opere dell'artista non esiste una realtà oggettiva, ma la realtà delle stesse è definita solo rispetto al loro osservatore; nell'analisi dell'opera non ci si deve neanche affidare alle categorie tradizionali di definizione del tempo (passato, presente e futuro): il tempo nelle sue opere non esiste, è solo una illusione, tutto accade nello stesso momento, momento in cui, ad esempio, il simulacro contemporaneo di un artista del passato può dialogare con il protagonista di un'opera letteraria di altra epoca o con un animale, reale e vivente che sia, ovvero nuova specie del futuro o con un animale che non è mai esistito e non esisterà mai, se non nella fantasia dell'artista. Anche se in situazioni di stasi, i protagonisti delle creazioni di L'Altrella, grazie alla peculiare tecnica pittorica dell'artista, danno la sembianza di moto, proprio come la realtà a livello quantico lampeggia ad alta frequenza dentro e fuori l’esistenza. Tale sembianza di moto, già intuibile nelle opere di piccolo formato, letteralmente esplo-
Max Hamlet Sauvage,, Venere acquatica, 1987; Pittore e modella
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CURIOSAR(T)E
che “a quanto possiamo discernere, l’unico scopo dell’esistenza umana è di accendere una luce nell’oscurità del mero essere”, pertanto l’invito che rivolgo ai lettori è di attraversare l’oscurità delle opere dell’artista per apprezzarne la luce. Per seguirlo sui social i riferimenti sono i seguenti : https://www.instagram.com/maurizio_laltrella/, https://m.facebook.com/maurizio.laltrella?locale2=it_IT,
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la Presenza e le sue forme. tra bisogno e domanda Eliana Forcignanò
I LUOGhI DELLA PAROLA
“
Inaugurando questo spazio di riflessione e incontro tra discipline differenti, ma comunicanti, si propone uno scorcio su un tema che aleggia nell’inconscio collettivo, per così dire. E che permea la riflessione più consapevole delle scienze umane allo snodo tra Io, Sé e Mondo.
”
N
el gergo della psicologia dinamica l’altro è l’oggetto. È oggetto, nel senso di meta della pulsione, richiamando Freud. Raccoglie l’amore e l’odio, la felicità e la frustrazione, l’invidia e la gratitudine, tornando al più noto tra i lavori di M. Klein. Da principio suscita una certa perplessità nei non addetti ai lavori l’idea dell’altro quale oggetto. Si pensa alla prospettiva della res e non a quella di un altro significativo. In fondo, il peluche, la copertina, il fazzoletto preferito del-
l’infante sono oggetti transizionali che aiutano a contenere l’angoscia. Cose. Il piccolo le afferra, le stringe a sé, le manipola, trasferendovi ambivalenze che il rapporto con il caregiver evoca e alimenta. Vi trasferisce – o vi proietta – l’amore, ma anche l’aggressività e il senso di frustrazione. Ma se il bambino è in uno stato di deprivazione affettiva o di frustrazione perenne, il giocattolo resta tale e può non entrare nella più complessa e creativa trama di significati che è intessuta dal gioco e
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dal “giocare con”. Linus con la propria copertina fa sorridere, ma anche riflettere sul bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di difendersi dal mondo, perché sotto la copertina è sempre possibile nascondersi. Sperando di non esser trovati e di esser trovati nel medesimo tempo: dipende dal perché sono in cerca di noi. Se per trattarci da adulti o per prenderci in braccio e salvarci dall’Uomo nero, quello che nelle nenie si tiene il piccolo un mese o un anno intero. E noi siamo in cerca? Nel migliore dei casi – quello «sufficientemente buono», direbbe Winnicott – la copertina uno la arrotola e se la ripone nello zaino: serve per il viaggio. Sì, nel migliore dei casi, ci si mette in viaggio o si comprende di esserlo sin dal momento in cui, per uno strano caso o per qualche misterioso disegno, siamo venuti al mondo. Ed è impossibile non aver paura di un viaggio
così lungo e incerto in cui avremo compagni e compagne, ma ci accadrà anche di esser soli, come quando la mamma ci lasciava nella stanzetta a giocare allontanandosi dalla nostra vista. Molti di noi sapevano che c’era, che era in un’altra stanza, ma presente. Che era al lavoro, ma presente. C’era, dunque, anche se non nell’immediata presenza fisica. Il medesimo paradosso che ripropone la morte di una persona cara o la conclusione di un buon percorso di analisi, ma, forse, la conclusione di qualsiasi rapporto. La presenza, nella forma della rappresentazione dell’altro, può anche assumere una connotazione problematica: un dialogo interno, talvolta denso di rabbia, che rievoca la frustrazione e il senso di abbandono. Prima di raggiungere la necessaria distanza, utile a rivalutare quanto di buono è stato scambiato e quanto ancora
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continua a germogliare, perché è in noi, nel me da solo e in relazione. La presenza – simbolica e non solo fisica – croce e delizia dell’umano, bisogno e mancanza, peso e desiderio, costruzione e annientamento. Rivisitando l’etimologia del termine che ricaviamo dal verbo latino composto “praesum”, ciò che è presente ci è dinanzi nelle vestigia del desiderio o della ripulsa, ma è anche un precedente tra contesti di appartenenza più intimi e più ampi. Le scienze sociali ripropongono, a tal proposito, lo schema a scatole cinesi di U. Bronfenbrenner. L’individuo, in quanto onto-sistema, inserito nel microsistema delle relazioni familiari; nel mesosistema delle agenzie educative e degli impegni professionali propri e dei propri cari; nell’esosistema delle istituzioni; nel macrosistema dei valori condivisi dalla società cui appartiene. In breve, perché
coscienza individuale e mondo ricompresi nel cammino di un fantomatico soggetto sovrapersonale. L’Io è solo di fronte a molti Tu: affronta il desiderio e il conflitto etico, incontra lo stallo e distingue chiaramente il pericolo di una mancata ricomposizione in una sintesi superiore. Quale alternativa rimane allora? Nell’ottica di Kierkegaard, un Dio personale al quale affidarsi riconoscendo l’impotenza del singolo, un lasciarsi cadere nelle braccia dell’Onnipotente. Nell’ottica opposta di Nietzsche, diventare l’Onnipotente. Un filo sottile, ma estremamente teso corre tra questi due estremi: se la ricerca di senso accompagna ogni domanda in filosofia come nelle psicologie, è l’assenza dell’altro che muove il pensiero di Kierkegaard e Nietzsche a riferirsi a un Altro trascendente o di là da venire. L’incapacità del contesto di essere significativo è la spinta a trascenderlo in maniera sprezzante: l’etica tradizionale non dà risposte e il rapporto sessuale è soltanto un’illusione temporanea, sebbene per Nietzsche salutare e necessaria. La disperazione, tuttavia, permea in sommo grado entrambe le filosofie, come il senso di esclusione e straniamento di questi pensatori. Di là dagli esiti, Kierkegaard e Nietzsche, ancor prima di Sartre e Lacan, ci restituiscono una riflessione di inusitata potenza: se l’altro non c’è in che cosa rispecchiarsi e riconoscersi?
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I LUOGhI DELLA PAROLA
vi sia un Io occorre la presenza di un Tu, ma anche di un Noi e di un Loro, come opportunamente scrive V. Lingiardi. D’altronde, perché l’infante impari a distinguere il me dal non-me, occorre la presenza della madre, come Winnicott non si stanca di ribadire. Intendendo per presenza un legame forte che si sostanzia di cure fisiche e psicologiche. Per imparare a distinguere i confini occorrono rapporti di prossimità, ma perché questi confini non divengano rigidi e invalicabili, la presenza – fisica, ancor prima che simbolica – è un presupposto imprescindibile. Così come lo sono l’amore e il conflitto. C.G. Jung scriveva della filosofia di Kierkegaard che era un prodotto della nevrosi; d’altronde giudicava in termini analoghi anche quella di Nietzsche talvolta, correlando negativamente la tendenza a chiudersi in un religioso e onnipotente isolamento con la salute mentale di questi pensatori. La psicologia complessa di C.G. Jung e il suo versante analitico muovono da altri presupposti rispetto alla psicoanalisi: se Kierkegaard e Nietzsche non sono per Jung narcisisti, ma schiavi di un’inflazione dell’Io fino a impazzirne, le loro filosofie, ai nostri occhi, rappresentano, invece, un tentativo di indagare la crisi dell’Io. Si sono oramai consumati il tramonto dell’idealismo e il naufragio di un felice, ma utopico ideale di conciliazione tra
I LUOGhI DELLA PAROLA
In un abbandono o in un progetto? E se in un progetto – come vorrebbe Nietzsche – chi avrà la forza di portarlo avanti, di abbattere le illusioni e sostenere l’abisso dell’incertezza? E Dio ci sarà a prenderci tra le braccia quando ci lasceremo andare? Una domanda blasfema in apparenza: Dio è presenza per definizione. Ma non è presente per l’uomo ciò che egli non è in grado di sentire, insegna Kierkegaard e condivide Jung. Un recente scritto della filosofa M. Marzano sul suo profilo social: racconta di Chiara e della sua morte per anoressia. Di una compagna che le è stata accanto disperata fino all’ultimo e di genitori che non hanno potuto o saputo aiutare. I commenti sono innumerevoli tra affettuosa condivisione del dramma della giovane donna e puntuali osservazioni sulla necessità di non colpevolizzare la famiglia né le famiglie, spesso lasciate sole e prive di strumenti efficaci. Scrive A.M. Nicolò, psicoanalista già presidente della Società psicoanalitica italiana, che l’anoressia è un fenomeno quanto mai complesso: non una, ma più anoressie in cui entrano come in un difficile rebus problemi che riguardano le relazioni primarie, l’orientamento sessuale e il tentativo inconscio di tenere insieme i pezzi, una difesa contro il crollo psicotico insomRifeRimenti
ma. Perché chi le rimette insieme le macerie, dopo? Si riafferma con l’evidenza del dramma inconscio e della psicopatologia il problema della presenza: del caregiver, del me, di un altro significativo che aiuti a raccogliere i cocci e ridefinire i confini. La disperazione di Kierkegaard che prelude all’abbandono nella morte e l’onnipotenza di Nietzsche che si perverte nel sommo rigetto anoressico della materia. Nietzsche non lo avrebbe voluto, certo. La morale dei signori non ha più nulla dell’originaria capacità di godere immaginata dal filosofo: d’altronde già nel suo pensiero vi è un “noi” che troppo spesso l’abbacinante luce del superuomo oscura. Ma dove sono signori e servi, dov’è Dio, mentre l’abisso ingoia le domande? È qui il nodo: nell’abisso non ci si può rispecchiare. E il volto di Dio non ha carne, se non quella del sacrificio. È l’altro, sono gli altri con la loro presenza che ci richiamano incessantemente alla vita, lasciando aperta la questione dell’uso. Ancora Winnicott: usiamo sempre gli altri, non necessariamente nel senso della manipolazione e dell’abuso. Usiamo la loro presenza per costruirci e per imparare ad amare e, nella più bella delle reciprocità, permettiamo che gli altri ci usino.
bibliogRafici essenziali
Jung, C.G. (26.XII.1953). Al pastore Will Bremi (tr.it.). In C.G. Jung, Lettere II. 1946-55 (pp. 320321). Roma. Magi (2006). Kierkegaard, S. (1849). La malattia per la morte (tr. it.). Roma. Donzelli, 1999. Klein, M. (1957). Invidia e gratitudine (tr. it.). Milano. Giunti, 2012. Lingiardi, V. (2019). Io, tu, noi. Vivere con se stessi, l’altro, gli altri. Torino. Utet. Nicolò, A.M., Russo, L. (2010). Una o più anoressie. Roma. Borla.
Nietzsche, F. (1883-85). Così parlò Zarathustra (tr.it.). Milano. Adelphi, 1976. Winnicott, D. (1957). La capacità di essere solo (tr. it). In D. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente (pp. 31-40). Roma. Armando 2013. Winnicott, D. (1965). La teoria del rapporto infante-genitore (tr. it.). In D. Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente (pp. 41-62). Roma. Armando, 2013. Per la storia della giovane Chiara, si consulti il profilo Facebook di M. Marzano (3.XI.2021). *PhD. in Scienze della mente e delle relazioni umane
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la suggestione di ediPo
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Giovanni Bruno
Le riflessioni dello psicologo psicoterapeuta Tutta l’impalcatura del pensiero freudiano è incentrata sulla organizzazione genetica della personalità e sullo studio delle fasi che caratterizzano lo sviluppo psichico. I concetti essenziali della teoria di Freud fanno parte ormai del bagaglio culturale dell’Occidente, e nel bene e nel male sono entrati nel linguaggio comune anche di persone non necessariamente legate alla psicoanalisi. Tuttavia ci sono alcune tematiche del dettato freudiano che ricorsivamente ritornano nella discussione tra studiosi. Una di queste è il tema di Edipo. Il complesso edipico rappresenta senz’altro un momento cruciale nello sviluppo della vita psichica dell’individuo. Sappiamo bene che tra i tre e i cinque anni il bambino manifesta un forte desiderio di amore e di possesso verso il genitore di sesso opposto, mentre il genitore dello stesso sesso viene vissuto con un sentimento di rivalità che spesso sconfina nella ostilità aperta. Questo appena descritto è l’enunciato basico dell’Edipo, in realtà le cose sono più complesse e articolate. Accade così che per il bambino maschio il padre diviene spesso l’oggetto da imitare proprio per impadronirsi della sua potenza e del suo carisma. Questa imitazione può sconfinare nella competizione aggressiva e nel forte desiderio di piacere al padre in una posizione di omosessualità passiva dove tuttavia il fine ultimo è l’amore esclusivo della madre. La femmina si rivolge al padre per poter ottenere quell’amore unico e peculiare che la madre non è riuscita a darle o le ha rifiutato. L’edipo nella bambina ha spesso il sapore di un risarcimento, caratterizzato da un forte
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senso di colpa nei confronti della madre che può protrarsi per diverso tempo. Sappiamo bene comunque che nessun oggetto d’amore basta all’amore. Quando l’ebrezza è irrimediabilmente trascorsa si apre una ferita melanconica che si proietta nel futuro. Si realizza così il declino del complesso edipico che è soprattutto caratterizzato da una progressiva rinuncia a possedere l’oggetto d’amore. Questa rinuncia avviene attraverso l’interiorizzazione dei divieti. È in questo modo che si costituisce il Super-Io, definito proprio dalla incorporazione delle figure e delle esigenze dei genitori. E se tale interiorizzazione è sufficientemente modulata le limitazioni e le regole imposte dalla coscienza morale del Super-Io saranno sorgente di soddisfazione proprio attraverso l’identificazione con le immagini dei genitori . Il piccolo Edipo sarà così consapevole di essere solo un bambino e di non poter avere l’autonomia che vivono i genitori, che potrà comunque conseguire solo dopo aver portato a termine i propri compiti evolutivi che sono imbricati nella famiglia e nel sociale. Il bambino così dopo essere stato dominato dal principio del piacere sperimenterà il principio di realtà considerando quelle che sono le limitazioni, le proibizioni, gli intervalli di tempo necessari perché la scarica pulsionale non abbia un aspetto destruente per se stesso. Il senso del limite sarà il nuovo codice introiettato e con cui misurarsi continuamente. Dal senso del limite nascerà la coscienza morale che sarà anche consapevolezza di sé e distinzione dal resto del mondo.
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The Two Fridas, 1939, Frida Kahlo, Museo de Arte Moderno, Photo ©
frida Kahlo art icons
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Primo appuntamento con la collana sulle icone indiscusse del mondo dell’arte che grazie ad Adler Entertainment arriveranno nelle sale cinematografiche italiane. Primo appuntamento con l’artista messicana il 22, 23 e 24 novembre
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hi era Frida Kahlo? Chi era davvero la donna dietro i colori brillanti, le grandi sopracciglia e le corone di fiori? Da questi interrogativi parte il viaggio della regista Ali Ray nella vita di un'autentica icona mondiale, alla scoperta della sua arte e della verità dietro la sua vita, spesso turbolenta. Al cinema, il 22, 23 e 24 novembre, “Frida Kahlo” è un film documentario distribuito da Adler Entertainment
prodotto da Phil Grabsky. Regista, scrittrice e produttrice Ali Ray ha diretto e prodotto sia serie che opere singole per Channel 4, Channel 5 e ha lavorato su produzioni per la BBC, Discovery e altre emittenti internazionali lavorando principalmente nel settore della storia dell'arte, dirigendo e producendo The Impressionists, Great Artists, High Five, Biennale di Venezia e Judgement Day. «Dirigere questo film ha
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cambiato totalmente la mia visione di Frida Kahlo come artista. Prima non le avevo prestato molta attenzione, sentendomi un po' scoraggiata dall'onnipresenza della sua immagine come icona sulle copertine di cuscini e magliette. Ora, avendo studiato le sue opere più da vicino e comprendendo il loro contesto di tempo e luogo, ne sono completamente affascinata. Avere accesso alle sue lettere personali è stata una parte fondamentale della realizzazione del film e nella mia comprensione del suo lavoro. Mi ha permesso di vedere come la fragilità e le insicurezze rivelate nelle sue lettere siano state elaborate attraverso l'atto della pittura. Le sue tele meticolosamente dipinte erano il suo modo di interpretare il mondo, la sua politica, le sue passioni ed emozioni, trasformandole in immagini di forza, sfida e
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Il poster del film, accanto la regista Ali Ray
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comprensione». Il lungometraggio girato per la maggior parte nella sua celebre abitazione, Casa Azul (Casa Blu), a Coyoacán, sobborgo di Città del Messico, nasce dalla collaborazione con esperti che conoscevano personalmente Frida Kahlo, insieme a coloro che hanno studiato e curato il suo lavoro, un insieme di interviste, commenti e una dettagliata esplorazione della sua arte offrono un tesoro di colori e un’esplosione di vivacità. Novanta minuti, tale è la durata del film, che consente un accesso privilegiato con un taglio intimo e personale, alle opere dell’artista messicana, scavando più a fondo di quanto qualsiasi film abbia mai fatto finora. «Quando Ali mi ha proposto di andare con lei a girare in Messico, - racconta il produttore Phil Grabsky - ammetto di aver esitato dopo un anno così impegnativo, ma chi avrebbe mai potuto rifiutare la possibilità di passare del tempo con chi ha conosciuto Frida Kahlo? Quando il Covid sarà finito (sempre ottimisticamente), vi consiglio una visita. I luoghi, la gente, la storia, la musica, il cibo e, sì, la tequila, sono meravigliosi. Le persone che abbiamo intervistato erano competenti e molto eloquenti, i luoghi erano evocativi e rivelatori, e vedere da
vicino il lavoro della Kahlo è stato commovente e stimolante.» “Frida Kahlo” è il primo appuntamento al cinema della nuova collana “Art Icons”, una serie di film documentari sulle icone indiscusse del mondo dell’arte, che grazie ad Adler Entertainment arriveranno sul grande schermo con tre imperdibili film evento
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con protagoniste altrettante personalità illustri del panorama artistico: tre autentiche icone pop del mondo dell’arte che hanno fatto la Storia, amate e conosciute in tutto il mondo. Non resta che andare (finalmente) al cinema i prossimi 22,23 e 24 novembre per conoscere la vita e le opere di un’artista piena di passio-
La corte dell’arte di Foqus (fonte: https://www.foqusnapoli.it/dt_gallery/foqus/)
accordi @ disaccordi cortometraggi in gara
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Dal 16 al 21 Novembre 2021 si terrà, a Napoli e online, la diciottesima edizione del festival diretto da Pietro Pizzimento e Fabio Garagano
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NAPOLI. Ai nastri di partenza, in presenza e on line, la diciottesima edizione di Accordi & Disaccordi il Festival internazionale del cortometraggio diretto da Pietro Pizzimento e Fabio Gargano. Un programma ricco e articolato: Centocinquantotto cortometraggi, documentari, film d’animazione e sperimentali, in rappresentanza di trentadue nazioni, con moltissime opere in assoluta anteprima europea e italiana sui tremilanovecentoventisette lavori pervenuti da centoventidue Paesi a cui si affiancheranno incontri con gli autori e gli attori delle opere presentate. Alle sezioni di sei concorsi consueti (internazionale, nazionale, Regione Campania, documentari, film brevi d’animazione e film a tematica ambientale) si affiancherà quest’anno, oltre alla sezio-
ne “Cortissimi”, quella fuori concorso dei film sperimentali giunti dagli Stati Uniti, dalla Germania, dalla Francia e da moltissime nazioni dei sette continenti. oltre al PAN – Palazzo delle Arti Napoli, che rimarrà la location di prestigio principale si aggiungerà la Corte dell’Arte di FOQUS che ospiterà la serata conclusiva della kermesse il 21 Novembre con la cerimonia di premiazione condotta dalla presentatrice Mariasilvia Malvone. Inoltre, dopo il successo della scorsa edizione, svoltasi interamente sulla piattaforma internazionale Festhome TV, causa normativa di contenimento della pandemia Covid-19, anche quest’anno parte del festival verrà presentato nella sala virtuale di FESTHOME fino al 5 dicembre, con l’intento di raggiungere un pubblico più ampio e di per-
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mettere ai cinefili di tutto il mondo di poter partecipare al festival a distanza. Con un accredito di 4 Euro si potrà seguire il programma del festival via computer, smartphone, tablet o smart TV e si potranno visionare oltre alle tantissime opere in anteprima nazionale ed europea anche molti film brevi destinati alla sola visione online, come se si avesse a disposizione un posto in prima fila al cinema. Parte attiva il pubblico chiamato ad assegnare il suo premio tramite FESTHOME mentre la Giuria artistica quest’anno sarà
composta dal presidente il produttore cinematografico e teatrale Angelo Curti e dai director casting, Adele Gallo e Massimiliano Pacifico; le giurie degli enti nazionali partnership della manifestazione AMC - Associazione Montatori Cinematografici e Televisivi e AIC – Associazione Italiana degli Autori della Fotografia Cinematografica assegneranno un loro premio al miglior montaggio e alla migliore fotografia ai film in concorso nelle sezioni, nazionale e quella della regione Campania. Le due associazioni nazionali di categoria hanno designato
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Da sx, Fabio gargano, Mariasilvia Malvone e Pietro Pizzimento, edizione 2019
come giurati i montatori: Alessandro Giordani, presidente, Cristina d’Eredità e Marco Monardo e dai direttori di fotografia Daniele Nannuzzi, presidente, Simone Marra e Luca Cestari. La giuria d’onore composta da Guido Lombardi, Nero Nelson e Marcello Sannino affiancherà quella artistica nelle decisioni di assegnazione dei premi. Il festival si avvarrà, come sempre, della preziosa collaborazione del Centro Sperimentale di Cinematografia – Production e del Centro Nazionale del Cortometraggio. Nella sezione internazionale si contenderanno la vittoria finale, l’americano Doug Roland con il film breve nomination Oscar 2021, “Feeling Through”, i registi inglesi David Bartlett con “Mousie” e Tommy Gillard con il pluripremiato film “Shuttlecock, il noto regista iraniano Alireza Ghasemi con “Extra Sauce”, film breve presentato a Locarno e nei principali festival internazionali, il brillante musical “Cris Superstar” di Guillermo Fernández Groizard; chiudono la sezione il film cileno ”Moostro” il francese “O Mà” di
Vincent Launay – Franceschini e il film del regista iraniano Alireza Teimori “Mostafa”. La sezione nazionale è ben rappresentata dal film premiato col Nastro d’Argento 2021, “Bataclan” di Emanuele Aldrovandi, dai film brevi prodotti dal Centro Sperimentale di Cinematografia, “Ninnaò” di Ernesto Maria Censori e “Tropicana” di Francesco Romano premiato con Menzione Speciale per la regia alla Festa del Cinema di Roma 2020 – Alice nella Città, dal sorprendente “La Terra delle Onde” di Francesco Lorusso ben recitato dai giovanissimi attori protagonisti. “Una nuova Prospettiva” di Emanuela Ponzano, presente in concorso nazionale, ci farà riflettere sui “muri” alzati in diverse nazioni. Si sorriderà con “Bailabamba” di Andrea Walts, apprezzeremo infine le recitazioni di Giorgio Colangeli presente in “Nel Blu” di Mounir Derbal e della commovente Milena Vukotic in “Con i Pedoni tra le Nuvole” di Maurizio Rigatti. Sorprendente e ricchissima la sezione della Regione Campania che esprime il momento
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di notevole vivacità creativa della produzione cinematografica campana - spiega lo stesso Pizzimento. La coppia di registi Chiara Marotta e Loris Giuseppe Nese rappresentano la punta di diamante di questa edizione del festival con il loro “Il Turno” presentato alla 78ma Mostra del Cinema di Venezia e in concorso anche nel nostro festival e con “Malumore”, fuori concorso” e premiato alla scorsa edizione Torino Film Festival. Valerio Vestoso presenterà in concorso dopo il successo alla recente Festa del Cinema di Roma, “Le buone Maniere” con la coppia di attori in gran spolvero, Giovanni Esposito e Gino Rivieccio. Maddalena Stornaiuolo con “Coriandoli” presentato alla Mostra del Cinema veneziana quest’anno e Edgardo Pistone con “Le Mosche” premiato lo scorso anno a Venezia, “Homeless” di Luca Esposito e “Estate Povera” di Andrea Piretti ci porteranno a riflettere sulle “periferie” del centro e di tutto il mondo. Chiudono la sezione “una Coppia” del regista del Centro Sperimentale di Cinematografia, Davide Petrosino, il film breve dall’atmosfera ovattata “Dal Giorno finché Sera” di Alessandro Gattuso, “La Musica nell’Anima” di Loris Arduino ottimamente recitato da Lello Serao, e “L’Invito” dei Fratelli Borruto con Andy Luotto. Tra i documentari selezionati in concorso, meritano attenzione, tra gli altri, “Fiaba Garganica” di Adriano Losacco, “Fritti dalle Stelle” del cinegustologo e critico cinematografico Marco Lombardi, “Vive Saint Sara!” di Daniele Lucaferri, un viaggio di 48 ore nel mondo dei gitani e “La Napoli di Mio Padre” di Alessia Bottone, un viaggio nel tempo che fu. Infine, uno sguardo alla sezione dei film brevi d’animazione, sia in concorso che fuori concorso, “Jung & Restless” di Joanna Priestley e “Memorabilia” di Mélissa Faivre. “Mondo Domino” di Suki Suki e prodotto da
Arte France Cinéma farà stupire gli spettatori e una sezione a tematica ambientale e sui cambiamenti climatici. Il festival “Accordi &Disaccordi” è organizzato dall’associazione Movies Event in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli e co-finanziato dal Piano Cinema della Regione Campania tramite Film Commission Regione Campania. Info: www.accordiedisaccordi.it Tel. 0815491838
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anthroPocene, l’uomo, la terra e le immagini della musica
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Dal 15 novembre esce il settimo album di Kekko Fornarelli prodotto da Eskape Music
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uando nel 1976 uscì “Oxigene” l’album di Jean-Michel Jarre (all’epoca i dichi erano solo in vinile) colpirono inevitabilmente due cose, la prima a livello musicale che vedeva l’utilizzo dei sintonizzatori aprire la strada alla musica elettronica, l’altra la copertina del disco, un’opera dell’artista francese Michel Granger, fonte d’ispirazione per lo stesso disco, che mostrava un teschio che fuorusciva dal pianeta terra scrostato. Un’immagine potente, aderente al titolo che puntava sul tema ecologico ambientale. Particolarmente d’effetto l’immagine scelta per Anthropocene, settimo progetto discografico del pianista, compositore e produttore barese Kekko Fornarelli che appare sulla copertina del suo disco mentre sta smaterializzandosi, frammentato, rimandando al concetto intorno cui ruota il suo nuovo album. Anche qui il titolo, Anthropocene, suggerisce il rapporto dell’uomo con il mondo che lo circonda,
sulle interazioni sociali e sulle conseguenze della sua evoluzione/invasione. È musica molto diversa, stilisticamente e concettualmente, rispetto a quella che Fornarelli ha prodotto finora. è lo stesso compositore a svelarlo: «È un album diverso, molto diverso da quelli che ho pubblicato in questi ultimi dieci anni. È figlio di stati d'animo, emozioni, pensieri, vissuti e metabolizzati in questi due lunghi anni di isolamento. Un disco che mi rappresenta moltissimo, come mai prima d'ora, e nel quale suono quasi totalmente da solo... come in questi ultimi due anni. Un lavoro che nasce come "colonna sonora" e che, presto, avrà un live immerso in queste stesse potentissime immagini». Nelle dieci composizioni originali, infatti, Kekko Fornarelli (piano, synthesizers, samplers) è affiancato solo in cinque brani da Leo Gadaleta (corde in “Antropocene” e “Ask the dust”), Rossella Racanelli (voce in “The day came”), Andrea
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Fiorito (drum-machines in “You can't understand”), Roberto Cherillo (voce in “All my life”). L’abbinamento con le immagini moltiplica le emozioni. Prodotto da Eskape Music e distribuito da Ird e Believe Digital da lunedì 15 novembre. Il disco è stato anticipato da “Shadow, il suono dell’ombra” un progetto multimediale tra musica e danza con la partecipazione della ballerina e coreografa Elisa Barucchieri. Girato nella dimora storica di Palazzo Tamborino Cezzi, il video è stato diretto e sceneggiato da Marina Damato, affiancata dal direttore della fotografia Roberto Leone, e prodotto da Eskape Music in collaborazione con ResExtensa Dance Company, Brandos Film, AirFilm nella Programmazione Puglia Sounds Producers 2020/2021 della Regione Puglia (FSC 2014/2020 Patto per
la Puglia - Investiamo nel vostro futuro), il cortometraggio è disponibile su YouTube (@KekkoFornarelli) e Facebook (@kekkofornarellipage). «Anthropocene è un album che ho fortemente voluto per la stretta connessione alle immagini, per il messaggio, per un fine cinematografico: quello del cinema, è un mercato a cui punto da un po' di tempo», racconta il musicista. «Ho firmato e curato editorialmente la colonna sonora di un docufilm sulle città italiane durante il primo lockdown (si chiama “L’Ospite”, prodotto da Pharos Film con la voce narrante di Alessandro Haber) che uscirà il prossimo anno e ho già due lungometraggi in programma per il 2022/2023, più altro in cantiere, si spera». Con sette album all’attivo e oltre 350 concerti in più di 60 Paesi in giro per il mondo, il musicista barese ha sviluppato uno stile unico, una morbida combinazione tra le più moderne idee nordeuropee e il lirismo neoclassico, filtrata dal suo caldo background mediterraneo. (an.fu.)
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reportage fotografico Dario Bottaro
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maria dell’udienza la regina di tutti i santi Dario Bottaro
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La Vergine avvocata Patrona di Sambuca di Sicilia
scono intorno alla tavola imbandita, con le prelibatezze tanto attese, che un tempo si preparavano solo in occasione della festività celebrata, e che oggi magari possono trovarsi con più facilità anche nei luoghi dell’esaltazione del palato, sempre pronti a soddisfare il desiderio di una memoria antica, quella della propria identità, che passa anche attraverso i cibi della tradizione. Mi piace vedere così il giorno di festa, in questo modo un po’ romantico che fa crescere una leggera e dolce malinconia della prima giovinezza e mi piace sottolineare
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Storie. L’uomo e il territorio
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ovembre è il mese di tutti i Santi, oltre che dei defunti, e tutti hanno un santo! In ogni paese si festeggia il santo patrono o protettore, si fa festa per una memoria importante che è parte della stessa identità del luogo. La festa del santo diventa un momento in cui tutta la comunità si identifica, s’incontra, si rigenera e rinasce. E non c’è momento più bello e atteso nell’anno dagli abitanti di tutti i luoghi in cui persista, ancora, il giorno di festa. Festa di luci, di colori, di commozione e di preghiere, ma anche festa nelle famiglie che si riuni-
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Storie. L’uomo e il territorio
reportage fotografico Dario Bottaro
come in ogni paese esista, un legame forte e profondo con Colei che la Chiesa invoca come la Regina di tutti i santi. Mi riferisco alla Beata Vergine Maria, che accoglie sotto il suo manto e ai suoi piedi, ogni singola località del nostro territorio, presso un altare, una chiesa che le è dedicata o semplicemente una edicola votiva nel tessuto urbano. Sono tante le devozioni ai santi in Sicilia, ma una sicuramente è quella più importante, ed è proprio quella rivolta alla Vergine Madre, così come la chiama il sommo poeta Dante nella Divina Commedia. E in Sicilia il culto mariano è profondamente radicato nel territorio e sono numerose le località che, oltre a venerarla, ne portano anche il nome. Un culto antichissimo, quello verso la Vergine, che affonda la sua radice già all’inizio del Cristianesimo, basti pensare alla città di Messina, di cui è Patrona e in cui è venerata sotto il titolo della Lettera,
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dalla tradizione che vuole come alcuni ambasciatori dell’antica Zancle (Messina) avessero portato omaggi alla Madre di Dio ancora in vita e Lei avesse ringraziato tutto il popolo messinese scrivendo una lettera, che dopo aver legato con una ciocca dei suoi capelli, aveva consegnato nella mani degli ambasciatori per portare il Suo saluto e la Sua benedizione alla città dello Stretto. Tradizione o verità storica, non ci è dato sapere, ma ciò attesta quanto sia antico l’amore che la terra siciliana, nutre verso la Madonna, Madre di tutti i popoli. Fra i tanti tioli con i quali la Vergine viene invocata in Sicilia ce n’è uno estremamente particolare e significativo, quello che ha per oggetto il titolo di questo scritto, la Madonna dell’Udienza. Un titolo di forte impatto, che ricorda quanto Ella sia così vicina a Dio, tanto da ascoltare le nostre suppliche e farsene portavoce. Maria è Colei che ascolta, così come viene presentata nel Vangelo, ascolta silenziosamente e medita, custodisce tutto nel suo cuore. Ciò non significa che non condivida quello che ascolta e che Le viene affidato, a Colui che può tutto, Suo Figlio Gesù.
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reportage di Dario Bottaro
Questa pia devozione fortemente sentita nella città di Sambuca di Sicilia, eletta Borgo dei Borghi nell’edizione 2016, si trasforma in testimonianza viva da parte di tutta la comunità sambucese che puntualmente ai piedi della bella statua della Vergine Maria si ritrova, in particolar modo nella festa che le è dedicata nel terzo fine settimana del mese di maggio. È Lei, la Regina di tutti i santi, lei che ascolta tutti coloro che Le si rivolgono con amore e sincerità. È Lei che infonde fede e coraggio, che fa sentire la Sua carezza materna e che accoglie tutti, paesani e forestieri. Trascorrere i giorni di festa a Sambuca vuol dire fare un’esperienza di bellezza unica nel suo genere. In questo luogo tra Palermo ed Agrigento, che sorge in collina, i giorni di festa assumono un valore aggiunto, si arricchiscono di quella bellezza interiore che è dettata dall’essere ospitali verso chi viene da fuori creando un’atmosfera familiare, che fa sentire a casa e fa stare bene. Lo si vede negli sguardi che si incontrano per strada o davanti la chiesa del Carmine – Santuario dell’Udienza – lo si percepisce mettendo piede in chiesa e sentendo recitare il Rosario in Siciliano. E mentre cerchi di capire ogni singola parola che viene ripetuta come una litania, ti ritrovi a
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E se questi significati trasmette la figura del Bambino – cosciente del disegno divino che dovrà compiersi – altrettanti rimandi ci offre la figura della Vergine Maria, avvolta in preziosi abiti e con un manto le cui tracce policrome non lasciano spazio ad alcun dubbio. E’ Lei la Mediatrice, è Lei, persona viva che è stata toccata dalla Grazie e per Essa preservata da ogni peccato. E’ Lei la Novella Eva, che mostra i lunghi capelli dorati, sciolti sulle spalle a simboleggiare da una parte il dolore per il presagio della Croce, dall’altro il riscatto di Eva. E ancora, questo colore oro che appare e impreziosisce l’abito e specialmente il manto, dipinto d’azzurro nel risvolto interno, diventa simbolo di quel mondo aulico in cui Maria è il primo essere umano a muoversi. Colei che vive pienamente la realtà Celeste, ma che può affacciarsi al mondo terreno per raccogliere i Suoi figli, per accoglierne le suppliche e per soddisfarne le necessità. L’immagine della bella Vergine dell’Udienza diventa allora materia teologica, interpretazione di dogmi, messaggio non soltanto di altissima espressione artistica, bensì anche di un valore universale che abbraccia tutti ed è per ciascuno. Durante “i giorni” della Madonna dell’Udienza, Sambuca si veste a festa e si prende cura della sua Madonna. Lentamente il pesante simulacro marmoreo, nella mattina della terza domenica di maggio, lascia la sua nicchia per prendere posto all’interno del sontuoso fercolo o “vara” lignea, sulla quale percorrerà le strade del borgo, sostenuta dalle spalle di uomini, giovani e adulti, che offrono il loro sacrificio alla Madre, esibendosi anche in una danza spettacola-
Storie. L’uomo e il territorio
recitarne il ritornello e a canticchiarne la melodia. E in questi stessi momenti, guardandosi intorno si percepisce tutto l’attaccamento dei sambucesi per la loro Madonna. E’ vero che la si può vedere sempre, esposta tutto l’anno nella nicchia al centro dell’altare maggiore, sempre adorna di fiori e sempre visibile anche da vicino, per mezzo di una piccolissima scala che conduce proprio dinanzi a Lei, trovandosi improvvisamente faccia a faccia con uno dei simulacri più belli della Sicilia rinascimentale. La statua della Madonna dell’Udienza, scolpita in marmo bianco di Carrara, è attribuita alla mano dello scultore Antonello Gagini e si colloca fra le più belle del primo decennio del XVI secolo. Rappresenta una Madonna attenta a sorreggere il Figlio con il braccio sinistro, mentre con il destro lo protegge e contemporaneamente lo presenta e lo indica ai fedeli. In questa scultura possiamo trovare molti riferimenti teologici, un’opera che riassume alcuni dei significati più importanti di Maria in quanto Madre di Dio e Avvocata dell’umanità. La statua della Vergine, insieme al Figlio, ha chiari riferimenti evangelici e biblici e, ai più attenti, risulta essere il rinnovamento del patto di amore fra Cielo e Terra, fra Dio e gli uomini. L’atteggiamento benevolo verso il Figlio è lievemente segnato da un’ombra di tristezza, quella tristezza per le sorti del Figlio, di cui lo stesso Divino Infante sembra essere consapevole, mentre stringe con le piccole dita della mano destra un mela. Quel frutto, simbolo del peccato, in questa immagine diventa il simbolo di un riscatto da esso, proprio perché nelle mani di Gesù, di Colui che sconfigge il peccato offrendosi come cibo della Nuova Alleanza.
reportage di Dario Bottaro
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in Maria dell’Udienza, scende sulla terra con la sua infinita bellezza. Questa bella occasione di festa, degno patrimonio immateriale siciliano, come moltissime altre festività, si connota di altri elementi peculiari, che la rendono unica nel suo genere. In occasione dei festeggiamenti, i sambucesi addobbano le loro strade di drappi con l’immagine della Vergine, vessilli che adornano i balconi arricchiti di luci e di fiori e provvedono anche ad illuminare le loro strade con le luci tipiche di questo borgo. Le “luminarie” di Sambuca di Sicilia non sono le tradizionali luci che tutti conosciamo, anche queste ultime testimoniano la forte devozione alla Madonna dell’Udienza, realizzate appositamente per questa occasione, sono ormai da decenni uno degli elementi che caratterizzano la ricorrenza. Archi di legno dove un tempo ardevano centinaia di lumini accesi, oggi splendono con l’energia elettrica, ma hanno mantenuto le antiche forme, così come altrettante luci colorate fanno splendere le colonne e i contorni del Santuario dell’Udienza. Infine, a rendere unici questi giorni di festa, c’è anche il dolce tipico, denominato “minne di virgini” che tradotto significa “seni di vergine”, pastafrolla in forma di seno ripiene di crema bianca al latte, crema di cioccolato e marmellata di zucca, la cui storia secolare appartiene alle abili mani delle suore del monastero di Santa Caterina. Si potrebbero scrivere ancora intere pagine su Sambuca di Sicilia, la sua bellezza, le tradizioni e quel senso di familiarità che accoglie tutti, ma certamente l’esperienza più bella è vivere queste sensazioni e questi luoghi personalmente, lasciandosi accompagnare dai sorrisi e le gentilezze dei suoi cittadini.
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Storie. L’uomo e il territorio
re che vedrà la corsa del fercolo lungo il corso principale, prima di rientrare in chiesa. Quello della “discesa” è uno dei momenti più emozionanti, caratterizzato dalla presenza di moltissime persone e dedicato – in un certo senso – alle donne. Sono le dame della confraternita infatti, ad occuparsi di preparare la statua della Madonna prima che Ella lasci il suo posto d’onore. Con profonda riverenza la statua viene avvolta da un lenzuolo legato con alcuni nastri e nella parte inferiore della scultura vengono legati anche dei cuscini. Questi ultimi - a ben pensarci – a poco servirebbero per tutelare la statua durante un’eventuale manovra sbagliata, ma la bellezza di questo gesto sta nel suo più profondo significato. E’ quasi come se le dame di Maria volessero proteggerne la statua durante la sua discesa, proteggerla e insieme prendersene cura e coccolarla per non farla sentire spoglia in questo breve, quanto emozionante tragitto che si compie lentamente, su binari che dall’altare entrano direttamente sul fercolo, così che la Madonna raggiunga il punto esatto di collocazione nella sua bella “vara”. Ma c’è un altro dettaglio che manifesta tutta l’attenzione verso questa statua della Madonna, e sono le rose. Non solo quelle delle composizioni floreali che addobbano l’altare e la “vara”, ma anche quelle che con delicatezza, prima della discesa, vengono inserite fra la scultura e i cuscini, un ulteriore gesto di affetto e di riguardo verso Colei che rappresenta il cuore stesso di Sambuca di Sicilia. Assistere a questi momenti diventa un’esperienza che ci catapulta nel passato, nei ritmi di un tempo che è rimasto immutato, quello della fede. Ritualità che la storia ha consegnato alla memoria e che ancora oggi vengono tramandate con la stessa intensità di sentimenti e di rispetto verso il Cielo che,
Standart, 1969, colori a dispersione su tela, 127.5 x 98.5 cm © 2021, ProLitteris, Zurich
a.r.PencK al museo d’arte di mendrisio Sara Di Caprio
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Si è aperta il 24 ottobre la grande retrospettiva dedicato all’artista tedesco che ha tradotto in pittura le contraddizioni della Germania post nazista
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i è aperta il 24 ottobre nelle sale del museo d’Arte di Mendrisio la retrospettiva dedicata a A. R. Penck (19392017) tra i più importanti artisti tedeschi della seconda metà del Novecento, colui che, insieme ad altri pittori e compagni (Baselitz, Lüpertz, Polke, Richter, Immendorff e Kiefer) ha saputo esprimere le contraddizioni della Germania post-nazista e del conflitto EstOvest. Nella retrospettiva di Mendrisio si potranno ammirare 40 dipinti di grande formato, 20 sculture in bronzo, cartone e feltro, oltre una cinquantina di opere su carta e libri d’artista che ripercorrono le principali tappe della sua carriera artistica. Nato il 5 ottobre 1939 a Dresda, Penck (pseudonimo di Ralf Winkler) trascorre la sua infanzia in un quartiere popolare di Nausslitz con la madre insegnante e la sorella. «Sono cresciuto senza l’autorità di un padre e ho acquisito presto una mentalità indipendente», ricorderà. Ha appena dieci anni quando comincia a dipingere e dopo il diploma frequenta un corso di disegno e pittura presso la Volkshochschule, dove entra nella cerchia di Jürgen Böttcher, detto “Strawalde”... ma
non riesce ad essere ammesso ai corsi dell’Accademia d’arte di Dresda e di Berlino. Conosce Georg Baselitz e prende un atelier con lo scultore Peter Mokolies e sperimenta la scultura in gesso. Lavora a scenografie, ritratti e disegni ispirati ad opere di Rembrandt van Rijn e Pablo Picasso. All’indomani della costruzione del Muro di Berlino nel 1961 partecipa a una mostra organizzata nella DDR, sarà l’unica. I suoi ritratti sono fortemente criticati perciò rielabora la sua pittura e per decenni è attivo nella Germania dell’Est con opere di chiara ispirazione socialista. Legge Kant, Newton e testi di psicologia, cibernetica, teoria dell’informazione. Simboli e figure diventano la sua cifra stilistica. In una lettera a Baselitz spiega «Ho lasciato perdere le questioni artistiche nel senso della pittura tradizionale e mi occupo di matematica, cibernetica e fisica teorica. Quello che ho in mente è una specie di fisica della società umana…» e, grazie allo stesso Baselitz, conosce il gallerista Michael Werner e in occasione della sua prima mostra a Colonia, assume lo pseudonimo di “A.R. Penck”. Le fondamenta della sua pittura monumentale
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The Battlefield (Il campo di battaglia), 1989, acrilico su tela, 340 x 1022 cm © 2021, ProLitteris, Zurich
risalgono alla fine degli anni Sessanta, con la nascita del progetto Standart. «Un metodo spiega lo stesso artista - per fare prodotti informativi, i cui processi di produzione ricadono nel campo del descrivibile; in tal modo i processi possono essere descritti in termini tecnici». Chiama così infatti la sua dottrina elementare della figura e la esprime in numerosi libri d’artista, i cui primi esemplari vengono pubblicati già intorno al 1970. Sono i primi anni Settanta e Penck riesce a partecipare a mostre in Svizzera, Paesi Bassi e Canada, riscuotendo ampi consensi. Nel 1972 espone a Documenta 5 di Kassel chiamato da Szeemann; si confronta con i principali esponenti della scena artistica occidentale: M. Duchamp, A. Warhol, J. Beuys. In stretta collaborazione con i curatori, progetta mostre ad Halifax, in Canada, quindi in Svizzera e nei Paesi Bassi. Alla fine del 1972 pone fine
ai lavori della serie Standart “inteso come personale contributo al socialismo” ormai fallimentare e inizia a lavorare ad opere su grandi formati. All’inizio degli anni Ottanta è tra i protagonisti delle rassegne New Spirit in painting (Londra) e Zeitgeist (Berlino). In seguito all’acuirsi del conflitto con le autorità della DDR, il 3 agosto lascia la Germania est attraversando la frontiera a piedi. «A mezzogiorno ricevetti il certificato che mi classificava come espatriato. Dovevo lasciare il paese entro mezzanotte. Non c'erano più treni. Un amico mi accompagnò in macchina alla frontiera... Avevo con me solo alcuni quaderni e due audiocassette» Si stabilisce a Kerpen, fuori Colonia. «Avevo la sensazione di tornare al tempo alla mia infanzia e, contemporaneamente, di esser stato spedito in un mondo fantascientifico. Il tempo si era fermato eppure continuava».
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Nel 1981 si tiene a Colonia una prima retrospettiva delle sue opere. Stringe amicizia con Markus Lüpertz e Per Kirkeby, fa visita a Joseph Beuys. Soggiorna in varie città dell’Europa occidentale, tra cui Napoli, Parigi, Londra, e in Israele. A.R. Penck è ormai considerato uno dei protagonisti della scena pittorica mondiale e ha già suscitato grande interesse a New York la galleria di Ileana Sonnabend presenta le sue opere. Partecipa a documenta 7 e alla Biennale di San Paolo.Basquiat e Haring lo ammirano per la sua vigorosa pittura monumentale, capace di delineare la complessità del mondo con la spontaneità e l’immediatezza di un graffitista. «Penso in immagini prima di pensare in parole. E prima di pensare in immagini, penso in moti astratti» - con queste parole l’artista spiega il suo processo creativo nel catalogo della sua prima personale, nel 1982, nel
Regno Unito dove si trasferisce l’anno seguente scegliendo di vivere in un quartiere popolare di Londra. Nel 1984 viene celebrato con una personale alla Biennale di Venezia; nel 1988 la Neue Nationalgalerie di Berlino lo consacra definitivamente con una grande retrospettiva. Dopo il crollo del muro nel 1989, la sua prima mostra di nuove opere si tiene all’Albertinum di Dresda nel 1992. Partecipa a documenta 9 di Kassel; disegna una BMW Art-Car. Soggiorna a Roma, Norvegia e Islanda. Realizza opere in ceramica. Riceve numerose commissioni di opere destinate allo spazio pubblico: murale ad Amburgo, “art'otel” a Dresda. Realizza altre sculture monumentali in bronzo. Mostre a Seoul, Aachen, Lisbona, Giappone e in alcune gallerie italiane. Nel 2003 riceve il titolo di professore emerito, quindi si ritira a vita privata. Muore a Zurigo nel 2017. Grazie alla sua celeberrima figura stilizzata,
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A.R.Penck, English head (Testa inglese)
che lo porta a fama internazionale, Penck ha saputo trasformare il campo figurativo in un megafono attraverso il quale diffondere le proprie convinzioni teoriche ed estetiche. spiegano i curatori. «La sua pittura monumentale si riallaccia sia al genere storico, specchio degli eventi contemporanei, sia alla pittura simbolica, a cui dà voce attraverso un intero bestiario di figure totemiche o animali arcaici. Il punto di forza dell’ultima fase della sua opera è però rappresentato da un terzo genere, il Weltbild, l’immagine universale. Fino alla sua produzione della maturità, A.R. Penck persegue l’idea di un’immagine visionaria capace di rappresentare in un’unica prospettiva la coralità del mondo. E lo fa privilegiando il medium pittorico, ideale per narrare l’epos della storia umana in vari formati.». Non solo pittura, però. Penck si occupa di
scultura fin dalla giovinezza, e il suo primo gruppo plastico è costituito dai modelli realizzati con materiali poveri nell’ambito del progetto Standart; a metà degli anni Settanta realizza a colpi d’ascia sculture in legno. A partire dal 1984 si concentra sulla tecnica di fusione in bronzo, lavorando a diversi formati fino a giungere alla dimensione monumentale, con un percorso analogo a quello già seguito in pittura. Una sua grande opera in bronzo sarà collocata nel chiostro del Museo. Con questo progetto espositivo il Museo d’arte di Mendrisio si pone l’obiettivo di presentare il percorso creativo di Penck attraverso le sue espressioni multiformi, cercando di fornire al pubblico gli strumenti per poter comprendere la struttura complessa e profonda di questo grande protagonista dell’arte contemporanea.
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il museo d’arte di mendrisio
Fondato nel 1982, negli spazi dell’antico convento dei Serviti, il Museo d’arte di Mendrisio propone esposizioni dedicate a grandi maestri del ‘900. Alterna a questa attività rassegne su temi e figure legati al territorio, approfondendo capitoli della storia locale e valorizzando artisti contemporanei. Grazie soprattutto a importanti donazioni, il Museo d’arte di Mendrisio può oggi contare su una notevole collezione che spazia dal XVI al XX secolo e che documenta capillarmente la storia artistica locale. Custodisce inoltre
gli oltre 650 Trasparenti, luminose opere d’ornamento per le Processioni notturne della Settimana Santa ed eseguiti dalla fine del XVIII secolo fino ai giorni nostri. Patrimonio di straordinario valore, essi costituiscono una testimonianza unica, storica e religiosa della regione. Il complesso sede del Museo è inserito per il suo valore storico-architettonico tra i monumenti di interesse nazionale. La chiesa di S. Giovanni, gioiello del XVIII secolo, di recente restaurata e l’oratorio della Madonna
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delle Grazie, con la preziosa lunetta attribuita a Giovanni da Milano (metà del XIV secolo) arricchiscono l’intero complesso ruotante attorno al suggestivo chiostro con arcate (XVI–XVII secolo). Mostre, pubblicazioni, visite guidate e animazioni per le scuole, forniscono l’occasione ai più giovani di familiarizzare con gli spazi del Museo e di avvicinarsi attraverso attività didattiche alla storia e alle tecniche dell’arte. museo d’arte mendrisio Piazzetta dei serviti 1 cH – 6850 mendrisio museo.mendrisio.ch
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gau, come la street art rende omaggio a dante Sara Di Caprio
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La street art a Roma rende omaggio a Dante grazie al progetto de La Città Ideale con la quinta edizione di GAU, gallerie Urbane
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ROMA. Con GAU ovvero le Gallerie Urbane i canti della Divina Commedia condensati in immagini finiscono a Roma, grazie alla steet art, sulle campane del vetro di Piazza Irnerio, Via Boccea, Circonvallazione Aurelia, Circonvallazione Cornelia, Via Mattia Battistini . Dal 2017 al 2020 Le Gallerie Urbane di Città Ideale - che hanno già trasformato in tele d’artista 140 campane per la raccolta differenziata e coinvolto in questi anni oltre cento arti-
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sti tornano con l’omaggio a Dante. Dal 19 al 21 novembre, in occasione della quinta edizione di GAU - Gallerie d’Arte Urbana, i canti dell’inferno di Dante saranno attualizzati e rivisitati in chiave contemporanea, su 34 campane per la raccolta differenziata del vetro nel quartiere Aurelio, con la direzione artistica di Alessandra Muschella e le firme di Moby Dick, Giusy Guerriero, Dez, Marta Quercioli, Zara Kiafar, Tito, Violetta Carpino, Kid-
do, DesX, Yest, Er Pinto, Olives, Lola Poleggi, Kenji, BloodPurple, Lady Nina, Orgh, Teddy Killer, Valerio Paolucci, Wuarky, Karma Factory, Muges147, Maudit, Hoek, Alessandra Carloni, Cipstrega, Molecole, Korvo, Alekos Reize, Gojo. Il quartiere Aurelio si trasformerà così in un laboratorio di arte urbana a cielo aperto, che - da Piazza Irnerio a Via Boccea, passando per Circonvallazione Aurelia e Circonvallazione Cornelia e proseguendo su Via Mattia Battistini - ridisegnerà il profilo del quartiere con le opere degli artisti coinvolti. A ognuno di loro un canto dell’inferno dantesco e una campana, per ricordare, nell’anno di Dante, al di fuori delle aule, dei luoghi istituzionali e delle università, quanto il sommo poeta fosse un rivoluzionario, un outsider, una mente libera, e raccontasse un grande sogno: un’Italia ideale, come ideale è la città che da cinque anni sta costruendo, con le sue progettualità diffuse, La Città Ideale. «La Città Ideale, il progetto creativo per la
città di Roma - spiega il direttore Fabio Morgan - dopo aver imperversato per tutta l’estate tra le periferie della città, torna a portare la creatività per le strade della capitale. La forza dei nostri progetti partecipati sta proprio nella rottura delle consuetudine della fruizione: grazie agli street artist che in in questi giorni sono all’opera per le strade del XIII° municipio, riscriviamo un nuovo modello del vivere la città, che immaginiamo essere sempre più alla portata di tutte le persone, inclusiva, orizzontale e piena di creatività.» «Per la sua quinta edizione - aggiunge ancora la direttrice artistica di GAU 2021, Alessandra Muschella, - GAU sceglie di omaggiare Dante Alighieri nel settimo centenario della sua morte. Gli artisti lavoreranno sui 34 canti dell’Inferno, attualizzandoli attraverso la peculiarità del proprio linguaggio artistico, reinterpretando simboli, luoghi e personaggi della Divina Commedia in chiave contemporanea. Gau si pone come obbiettivo quello di sensibilizzare i cittadini sull’im-
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portanza della raccolta differenziata, rendendo protagonista un materiale, il vetro, che andrebbe considerato come una risorsa e non come un rifiuto.» Le opere verranno presentate al pubblico in una staffetta di appuntamenti che coinvolgeranno l’intero territorio. Si partirà il 19 novembre con il laboratorio di riciclo creativo per i bambini “Differenziata Mon Amour / costruisci la tua Città Ideale” che si terrà nell’istituto comprensivo Borgoncini Duca sito in Piazza Francesco Borgongini Duca, alle ore 10.00 e 14. Il 20 e 21 novembre, chiude Open a RomaGAU, alle ore 10.00 e alle ore 14.00, le visite guidate attraverso il quartiere Aurelio, per raccontare ai cittadini il lavoro svolto dagli artisti sulle campane. Tutto il materiale fotografico e video verrà raccolto e pubblicato anche sulle pagine social di Facebook e Instagram @lacittàideale @progettogoldstein e sul sito Il progetto, promosso da Roma Culture, è
vincitore dell'Avviso Pubblico Contemporaneamente Roma 2020 – 2021 –2022 curato dal Dipartimento Attività Culturali ed è realizzato in collaborazione con SIAE” Info e prenotazioni www.gallerieurbane.com - info@lacittaideale.eu
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rileggere dante. dalla Pittura alla miniatura Antonietta Fulvio
Un luogo delle meraviglie, la Villa Claricini Dornpacher sede dell’omonima fondazione che firma una serie di mostre, dal 25 marzo 2021 all’8 gennaio 2022, dedicate al Sommo Poeta, raccontate nel catalogo dell’Editoriale Giorgio Mondadori
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i intitola “Dante 700 tra ombre e luci” il catalogo pubblicato dalla Editoriale Giorgio Mondadori nella collana Cataloghi d’Arte che documenta tre splendide mostre firmate da Artestruttura di Morgan Caneva nell’ambito delle iniziative nazionali per il VII centenario della morte di Dante Alighieri. Mostre che trovano un luogo straordinario nella Villa de Claricini Dornpacher, sede tra l’altro della omonima Fondazione che festeggia cinquant’anni di vita nel segno del custodire e produrre cultura. La Fondazione fu istituita, infatti, nel 1971 con lascito dalla contessa Giuditta de Claricini Dornpacher erede di una famiglia da sempre legata a Dante, basti pensare che nel 1466 il conte Nicolò de Claricini trascrisse la Divina Commedia, dotando così il suo casato di uno dei più antichi codici danteschi friulani: il “codex Claricinensis, e che nella villa c’è una imponente biblioteca dantesca (per non parlare di quella donata dalla stessa famiglia al Comune di Padova).
Quale migliore occasione, dunque, celebrare insieme, questi due anniversari, se non con i linguaggi trasversali dell’Arte? Sfogliando il catalogo in quadricromia, 216 pagine dalla pregevole veste grafica, è possibile immaginare il percorso espositivo delle tre collettive (Scultura e Installazione inaugurata nel Dantedì e visitabile fino all’8 gennaio 2022), Pittura I che si è svolta dal 23 aprile al 16 giugno 2021) e Pittura II dal 18 giugno al 22 settembre 2021) con un totale di 85 artisti che hanno scelto di leggere, indagare, ricordare Dante, ognuno con la propria cifra stilistica. L’intero catalogo è infatti pensato come ad un Commentario da parte dei partecipanti sull’opera poetica della Divina Commedia che, da sempre, artisti e illustratori di tutto il mondo hanno cercato di tradurre in immagini. Ma prima di addentrarsi nell’iconografia dantesca bisogna distinguere tra il racconto allegorico e la visione analogica come suggerisce nel saggio di apertura Giuseppe
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la copertina del catalogo pubblicato da Editoriale Giorgio Mondadori
Siano precisando le differenze tra allegoria e simbolo e come oggi l’arte si sia trasformata in narrazione di un’esperienza artistica e come “qualsiasi tipo di racconto può essere utilizzato per la ricerca di un momento artistico che ha come fine il narrare la condizione umana con le proprie aspirazioni, come in Dante”. Seguono i testi, ricchi di spunti di riflessione, di Boris Brollo, che si interroga su quale potrebbe essere l’inferno o gli inferni nella nostra contemporaneità e sulle visioni interiori che gli artisti di “Dante tra Ombre e luci” hanno elaborato e di Ernesto Cappelletto che si sofferma invece sull’asse portante di tutta la Commedia: il viaggio ultraterreno di Dante attraverso l’Inferno il Purgatorio e il Paradiso ricordando come in tempi più recenti nella storia dell’umanità ci siano altri inferni e purgatori che si possono parafrasare al girovagare dantesco e il pensiero non può che riportarci immediatamente alle navi negriere, al genocidio degli Armeni, ai lager nazisti. La parte centrale del catalogo è riservata alle schede relative alle opere delle tre mostre. Completa la pubblicazione la storia della nobile famiglia Claricini Dornpacher illustrata magistralmente da Oldino Cernoia presidente della Fondazione de Claricini Dornpacher corredata dalle bellissime foto della villa edificata alla fine del Seicento e restituita nelle sue forme settecentesche dall’ulti-
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Villa Claricini Dornpacher, prospetto e particolare del giardino segreto, sotto parte della balaustra di recinzione del giardin segreto
mo restauro del 2004. Censita dall’Istituto Regionale delle Ville Venete e patrimonio tutelato dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia, la dimora storica presenta un’architettura che richiama la casa padronale friulana, al suo interno mobili e oggetti d’arte originali, all’esterno il meraviglioso giardino all’italiana e il giardino segreto espressione di un’armonia perfetta tra le forme geometriche delle aiuole, la natura e il paesaggio. Il catalogo si chiude con due camei, uno squisitamente letterario”l’ultimo amore di Dante” a firma dello scrittore Giuseppe Arnone e l’altro artistico riguardante la mostra “Dante in miniatura”
allestita nelle sale della Villa dal 25 marzo al 7 novembre 2021 ulteriore omaggio al Sommo Poeta. Pensando alle celebrazioni dantesche, infatti, nel 2019 il presidente della Fondazione ha commissionato a Massimo Saccon, tra gli artisti dello Studio Vellum di Cividale del Friuli, le miniature contemporanee di alcune pagine della Commedia ovvero la trascrizione de fedele del I canto dell’Inferno del Codice Claricini Dornapacher, le sintesi del Canto I del Paradiso e del Purgatorio, il XIX canto dell’Inferno, inoltre il capitolo II del II libro, il X e XI capitolo del De Vulgari Eloquentia fedelmente riprodotti con abile maestria come facevano gli antichi emanuensi.
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Da dx Paradiso Canto I sintesi; Codice Claricini Dornpacher, Inferno, Canto I
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isbn dante e altre visioni
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A Gaeta, Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone” dal 25 novembre 2021 al 10 gennaio 2022
Dopo Los Angeles, Algeri, Firenze, Roma si inaugura giovedì 25 novembre a Gaeta, “ISBN Dante e altre Visioni”, di Corrado Veneziano. L’esposizione, unica mostra di un artista contemporaneo dell’ampio programma governativo Dante 700, è tutta imperniata sulla Divina Commedia. Veneziano, indugiando anche sul figurativo, rilegge le tre Cantiche di Dante attraverso i codici algoritmici degli ISBN letterari disponendo trentatré (o trentaquattro, per l'Inferno) linee tra loro parallele che si fanno di volta in volta graffi, tende, colonne, e poi righe, tratti e segni elegantissimi su cui in alto campeggiano le parole di Dante e delle sue terzine. In altre tele, l’artista valorizza invece un altro codice, l’alfabeto Morse, fatto di linee e punti, già presenti nella ricerca pittorica a partire da Kandinskji, e carichi di implicazioni ritmiche, orali e musicali. In altri quadri, infine, la mostra restituisce suggestioni e parole di grandi
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autori del Novecento (Eliot, Pound, Borges) orgogliosamente e dichiaratamente debitori della poetica dantesca. L’appuntamento di Gaeta, nella suggestiva cornice della Pinacoteca “Antonio Sapone”, è arricchito da altre opere originali e inedite (mai prima presentate al pubblico) di Veneziano, che attualizzano il messaggio dantesco, legandolo con la città di Gaeta, e proponendolo come messaggio universale e collettivo: insuperabilmente, profondamente umano.
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Il Catalogo, con i contributi critici di Francesca Barbi Marinetti, Niccolò Lucarelli, Raffaella Salato, è edito da Il Sextante di Mariapia Ciaghi, che ha curato i rapporti internazionali del progetto. La mostra è visitabile nella sede della Pinacoteca di Gaeta, in via De Lieto, n. 2. Per maggiori informazioni (anche su eventuali, contingenti necessità di contenimento dei visitatori), si suggerisce di telefonare al 339.2776173, oppure di scrivere a p_ricci4@virgilio.it. www.pinacotecagaeta.it
verona, gam Galleria d’Arte Moderna Achille Forti – Palazzo della Ragione Cortile Mercato Vecchio 6 – Verona Tel. 045 8001903 www.gam.comune.verona.it Facebook @GAMverona Instagram @museiciviciverona YouTube http://bit.ly/YouTubeIMUV Orarida martedì a domenica, dalle 10 alle 18. ultimo ingresso alle 17.15 chiuso il lunedì, biglietto: Intero: 4,00 € Ridotto: 2,5 € ottavio missoni (11 febbraio 192111 febbraio 2021) Museo MA*GA Gallarate, Via E. de Magri 1 Tel. +39 0331 706011; info@museomaga.it; www.museomaga.it Orari: dal martedì al venerdì, dalle ore 11.00 alle ore 16.00 Per visitare le mostre è preferibile prenotare al numero tel.0331.706011. ieri, oggi, domani. italia autoritratto allo sPecchio Firenze, Forte di Belvedere Info e prenotazioni Tel. 055 2768224 come un cane ballerino Esposizione di Natacha Lesueur 13 ottobre 2021 – 9 gennaio 2022 Accademia di Francia a Roma — Villa Medici Viale della Trinità dei Monti, 1 - Roma omaggio a virgilio guidi con uno sguardo alla collezione Sonino 17 settembre 2021 - 7 gennaio 2022, Venezia Fondazione Bevilacqua La Masa San Marco, Palazzo Tito, Ca d’Oro
inferno fino al 13 marzo 2022 Scuderie del Quirinale Via XXIV Maggio 16, Roma Informazioni su mostre, orari, biglietti e attività info@scuderiequirinale.it Info: 02 9289 7722 www.scuderiequirinale.it/ fuori dai cori tre "quadri di tarsia" di fra damiano zambelli da bergamo (1480 circa - 1549) A cura di Mark Gregory D'Apuzzo, Lorenzo Mascheretti, Massimo Medica Museo Civico d'Arte Industriale e Galleria Davia Bargellini Strada Maggiore 44, Bologna 2 ottobre - 5 dicembre 2021 Inaugurazione venerdì 1 ottobre 2021 h 17.30 (prenotazione obbligatoria) a.r. PencK Museo d’arte Mendrisio Mendrisio, Piazzetta dei Serviti 1 24 ottobre 2021-13 febbraio 2022 www.mendrisio.ch/museo museo@mendrisio.ch tel. +41. 058.688.33.50 Orari: ma-ve: 10.00 – 12.00 / 14.00 – 17.00; sa-do e festivi: 10.00 – 18.00 lunedì chiuso, tranne festivi. Chiuso 24/25 dicembre 2021 e 1 gennaio 2022 “Prevenire è meglio che curare”. bernardino ramazzini (16331714). Primo medico del lavoro Carpi (MO), Musei di Palazzo dei Pio (piazza dei Martiri, 68) 18 settembre 2020 – 31 dicembre 2021 Orari: da martedì a venerdì, ore 1013; sabato, domenica e festivi, ore 10-18; Ingresso contingentato con prenotazione obbligatoria: https://prenotailmuseo.palazzodeipio.it
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il mito di venezia. da hayez alla biennale Novara, Castello Visconteo Sforzesco 30 ottobre 2021 – 13 marzo 2022 a cura di Elisabetta Chiodini nelle sommosse e nelle guerre. gli archivi milanesi durante l’età naPoleonica 10.10.2021 31.01.2022 Milano, Archivio di Stato Orari: giovedì e venerdì, dalle 11 alle 12 e dalle 13 alle 14 Ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria: https://bit.ly/PrenotazioneMostraAsmi. www.archiviodistatomilano.beniculturali.it ferdinando scianna. non chiamatemi maestro Milano, Still Fotografia (Via Zamenhof, 11) 27 ottobre 2021 – 23 gennaio 2022 +39 02 36744528 www.stillfotografia.it/ isbn dante e altre visioni A cura di Francesca Barbi Marinetti e Raffaella Salato Pinacoteca Comunale “Antonio Sapone” Dal 25 novembre 2021 al 10 gennaio 2022 Via De Lieto, 2, Gaeta Biglietto: 5 euro Orari: Venerdì 16 – 11 Sabato e domenica 11-16 e 16-19 www.pinacotecagaeta.it L’Annunciazione di Tiziano dal Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini (p.zza Sant’Eustorgio, 3) 6 novembre 2021 – 6 febbraio 2022 Orari: martedì- domenica, 10-18 Chiuso lunedì Biglietti: intero, € 8,00; Ridotto e gruppi, € 6,00; Scuole e oratori, € 4,00 Informazioni: T. +39 02 89420019; www.chiostrisanteustorgio.it
ITINER_ARTE...DOVE E QUANDO...
raffaello e la domus aurea l’invenzione delle grottesche 23 giu 2021 – 07 gen 2022 Domus Aurea via Serapide nel parco del Colle Oppio Roma raffaellodomusaurea.it
LE RECENSIONI DI RAFFAELE POLO C'ERA UNA VOLTA UN ASINO DI GIUSEPPE ARNONE
GIUSEPPE ARNONE C’era una volta un asino Editoriale Giorgio Mondadori edizioni p.208 2021 ISBN 978-88-374-1915-8 25,00€
Per i tipi della Editoriale Giorgio Mondadori e con prefazione di Francesco Alberoni (e non tralasciamo le illustrazioni di Max Famoso, con la copertina che è di Giancarlo Caneva) questo 'C'era una volta un asino' consta di oltre duecento pagine, per un costo di 20 euro. L'autore è Giuseppe Arnone, siciliano di nascita ma trapiantato a Trento e poi in giro per l'Italia, proprio come si addice a chi, come lui, ama trasporre le sue esperienze nelle narrazioni fantastiche ma sempre venate di una decisa adesione alla realtà, creando una sorta di mondo parallelo dove può accadere di tutto. A metà tra la favola per adulti e la visione satirica del mondo politico che ben conosciamo, la vicenda è scandita in otto capitoli-racconti che presentano, in sequenza, personaggi e luoghi che sono caratterizzati dai nomi strani e dagli apparentamenti con i personaggi del mondo reale, in un divertente tourbillon che ci incalza e ci diverte. Come nella migliore tradizione delle fiabe dei secoli passati, ogni capitolo è introdotto da una breve sintesi che vuole sottolineare il motivo portante di quello che incontreremo nello sviluppo della storia. Il libro si apre, ad esempio, con la precisa sintesi del narrato: Qui inizia l'avventura/dell'asino senza nome/che per amore del suo padrone/affrontò sia gli umani che l'avversa fortuna, Abbiamo, allora, un altro asino che parla... Dopo Apuleio e Pinocchio, come sottolinea Francesco Alberoni nella sua prefazione, c'è però una differenza fondamentale. “Nell'Asino d'oro e ne Le avventure di Pinocchio, esseri umani diventano asini per via di un misterioso, soprannaturale sortilegio. È una condizione punitiva, vista la considerazione negativa che si nutriva per gli asini, simboli di pazienza, ma anche di passiva ottusità, (...)L'Asino senza nome di Arnone, un asino mi mezza età che trainava paziente il carretto sgangherato, si muove fra uomini. Ma non da essere inferiore, tutt'altro. Ragiona come gli uomini, anzi, meglio di loro, cosa per cui riesce presto a guadagnarsi un credito speciale...” E i personaggi sono indicati con nomi particolari, una precisa scelta dell'autore che vuole, come facevano gli Indiani americani, connotarli sin dall'appellativo: Benzina, Dalemanno, Tersani, Madama Boscogrande, Puffetta Serrapiani, Bosso Balosso si contendono la guida di una non meglio precisata 'cittadina in riva al lago' uno scenario anonimo che simboleggia proprio la nostra attuale Italia... C'è, comunque, una amara venatura di realismo pessimista: l'autore, attraverso la filosofia asinina ci indica quale è l'esito che dobbiamo attenderci dalle nostre peripezie terrene: Qui finisce (forse) l'avventura/ dell'asino senza nome/che alla Storia ebbe il coraggio di dire/ “Per favore, non mi ricordare”. Come dire, insomma, che la Storia degli umani è degna di essere dimenticata, soltanto ignorata, perché non c'è nulla che meriti di essere apprezzato... Una morale che Arnone ci sottopone senza parere, sorridendo, quasi con pudore. Ma che ci sentiamo di condividere, dopo aver letto 'C'era una volta un asino'...
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FULVIA PERILLO Metteva l’amore sopra ogni cosa C&P Adver Effigi 2021 pp.166 €14,00 ISBN 9788864339726
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Doppio gemellare. Due facce della stessa medaglia, giri e rigiri sei al punto di partenza perché vedi ciò che appare e le differenze le noti appena. L’amore ha mille volti, una molteplicità di sfumature, infinite declinazioni, ma è un sentimento unico e uguale per tutti.Supera confini, epoche, ceto sociale, si affida ai sentimenti che non si essiccano con il tempo. Usi anche l’amore per ricordarti le cose belle, per attaccarti al passato. Certo, tutto si può sbriciolare, finire, ma il senso di felicità vissuto senza regole dura e non si sfibra. L’amore poi torna e lo riconosci dagli occhi, dalle parole come le canzoni. Ti appelli all’amore dichiarandolo alla persona amata anche per finire in altri amori contemporaneamente. Senza non sai stare. E pensi, malamente, di fare fesso chi tace perché le giustificazioni o le parole al miele fanno effetto. Già, effetto deflagrante. Quando l’amore conosce bocche asciutte dalla febbrile sincerità amorosa, si è vigili e alla fine volti le spalle a chi ha avuto la sfrontatezza di abusare del tuo amore e della stessa parola. Ci vuole poco a profanarla e tanto, invece, ci metti a cercare l’amore quando lo desideri quasi ossessivamente. Tant’è che quando lo vivi ti pare di essere in paradiso e saresti disposto a saltare qualche stagione pur di sentirlo addosso ad ogni suono. Melodia, musica, in fondo l’amore è anche questo. In “Metteva l’amore sopra ogni cosa” di Fulvia Perillo finisci nella storia di alcune donne di uno stesso condominio che allargano la loro vite sul pentagramma di un’esistenza difficile. La musica, soprattutto le canzoni del Festival di Sanremo, le uniscono. Alcune di loro si salvano anche grazie alla kermesse canora italiana, attesa con trepidazione e di cui tutto sanno e tutto vogliono sapere. Fanno delle canzoni una terapia per uscire dall’oscuramento dell’animo, per avere un monito concreto con cui andare avanti nella quotidianità senza finire sotto il tiro di giudizi e pregiudizi altrui. Insomma, le loro sono esistenze che mettono l’amore sopra ogni cosa, sel senso vero, sincero. Distensiva la prosa. Bella, simpatica, la narrazione. Il lettore sente a pelle il realismo delle storie. La scrittura sincera, autentica, sfocia nell’umorismo e nella saggezza di chi ha dovuto cavarsela dinanzi alle difficoltà custodendo quella frivolezza per non crollare. Il lettore si porterà dietro la capacità di saper vivere delle protagoniste insieme alla loro freschezza di spirito.
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GIUSEPPINA TORREGROSSA Il basilico di Palazzo Galletti Mondadori 2021 pp.256 €11,50 ISBN 9788804712459
Pensiamo di conoscerci invece, capita, che sappiamo poco di noi stessi. A svelare chi siamo veramente sono le sensazioni che portano dritte dritte alla riflessione. Dapprima non ci facciamo caso, per strafottenza o per pigrizia, poi succede qualcosa che ci riporta a quelle sensazioni e allora diamo un nome alle cose, ai sentimenti. Ci capiamo con il fiuto o con l’istinto e ci lasciamo andare alla consapevolezza di ciò che non conoscevamo di noi. Ecco che ci sentiamo liberi, leggeri, di provare sensazioni nuove. Non dobbiamo dare conto a nessuno anche se siamo sentimentalmente legati a qualcuno. Alla coscienza invece dobbiamo tanto ed essa spesso ci rimprovera quasi fossimo scolaretti negligenti. Occorrono naso, sensibilità, per sentire e capire quello che ci sfugge. E a volte non capiamo quello che dovremmo per paura. Perché non siamo pronti. Arrenderci, però, all’evidenza è un dono che dovremmo farci, almeno qualche volta. Nel romanzo “Il basilico di Palazzo Galletti” di Giuseppina Torregrossa siamo a Palermo in un’estate torrida e senza acqua nei rubinetti. Ne esce solo un filo e per poche ore al giorno. I palermitani allora invocano l’intervento di Santa Rosalia affinchè faccia piovere in fretta ed abbondantemente. Intanto Marò fa carriera. È stata promossa capo del gruppo “antifemminicidio”. È un poliziotto, un commissario di polizia. Il ruolo appena conquistato la gratifica e la spaventa allo stesso modo e tempo. Si sente insicura e quando a ferragosto indaga sull’omicidio della ragazza dalla pelle di luna è sotto pressione. Le sensazioni ed il fiuto investigativo non la tradiranno a chiudere il cerchio sull’assassinio. La sua storia con Sasà è al capolinea e la passione per la cucina cresce senza abbandonarla mai. E si concede nuovi sapori che la vita le offre senza pretese. Vivace la prosa. Lo stile narrativo è fresco annacquato dal dialettismo siciliano che rende la lettura appassionata. La storia della Torregrossa profuma di rispetto, di compassione, di segreti, di sorprese e sensazioni che una città come Palermo nasconde sotto gli occhi di tutti.
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dalsalentocafé | le recensioni di stefano cambò via le mani dagli occhi di sandro mottura
SANDRO MOTTURA via le mani dagli occhi Il Raggio Verde Edizioni pp.70 €12,00 ISBN 979-12-80556-05-9
Vincitore del premio letterario "Maria Monteduro 2019" nella sezione racconti con il romanzo breve Storia di una favola, Sandro Mottura esce con un nuovo libro per la casa editrice Il Raggio Verde. La sua ultima fatica letteraria è “Via le mani dagli occhi” (che guarda caso è anche uno storico pezzo dei Negramaro). Infatti, il legame tra il romanzo e la band va ben oltre il titolo perché l'autore, attraverso le pagine, ci porterà addirittura per mano sotto il palco del mitico concerto milanese del 2013. Ma andiamo con ordine e raccontiamo un po' della trama. La storia, in realtà, affonda le sue radici nel Salento e lo fa attraverso gli occhi di Miriam, donna forte e coraggiosa che si ritrova a dover fare delle scelte importanti che condizioneranno fortemente il corso degli eventi. Si ripercorreranno epoche lontane, con gli anni che si rincorreranno e che abbracceranno eventi storici diversi, con una forte caratterizzazione per le problematiche sociali che lasceranno inevitabilmente spazio a riflessioni. Perche, “Via le mani dagli occhi” tratta il tema della violenza di genere senza mai marcare troppo i toni, facendoci conoscere Miriam nelle sue fragilità e nei suoi dolori, ma anche e soprattutto, nella sua rinascita. Una rinascita che riparte lentamente dalle gioie di tutti i giorni, dalla ricerca di una felicità creduta persa e chissà forse… Da un nuovo amore che torna a bussare alla porta. Ma per saperne di più, dovete mettervi comodi sulla poltrona, aprire il libro di Sandro Mottura e immmergervi tra le sue pagine.
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LUIGINA PARISI Malurmia Vj Edizioni, Milano 2021 pp.136 € 12 ISBN 9-788832- 250176
Partiamo dal titolo di questa bella antologia di racconti uscita dalla penna di Luigina Parisi. Ebbene, come ci spiega la stessa autrice nella nota introduttiva al libro, Malurmia in realtà sarebbe il termine dialettale salentino con cui si indica un'anima che vaga, forse in pena, persa a cercare qualcosa che chi la vede non capisce; apparirebbe come un'ombra incompresa, appunto "una mal'ombra", e tutto ciò che non viene compreso di fondo inquieta. Qualcuno ingenuamente lo potrebbe definire il lato oscuro che si cela nell'animo umano… Altri lo sguardo che indaga e che fa mettere a nudo le nostre fragilità. In un modo o nell'altro, l'autrice con questa raccolta ha voluto concentrare la sua forza espressiva su un unico comun denominatore: appunto l'ombra. E nell'ombra, riscopriamo il piacere della lettura grazie ad una serie di racconti che colpisce sia per lo stile narrativo fuido e scorrevole, ma anche per il piglio creativo con cui vengono affrontati di petto alcuni temi sociali che portano inevitabilmente alla riflessione. Tra tutte le storie, si apprezzano in particolar modo Malurmia (che dà anche il titolo al libro pubblicato con VJ Edizioni), Come la notte, Nena e Clochard. Inoltre, è giusto ribadire che il pensiero dell'autrice corre sulla consapevolezza che non ci potrà mai essere il buio senza la luce… E che quindi, di fondo, non dobbiamo avere paura della nostra ombra, anzi… Il fatto stesso che sia presente, deve far capire ad ognuno di noi, che da qualche parte ci sarà sempre una fonte di vita che illumina!
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dalsalentocafé | le recensioni di stefano cambò cristalli d’anima di maria camPeggio
Il tempoi odi Paestum, foto di Stefano Cambò
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da Paestum a venezia Per Pane e tuliPani Stefano Cambò
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Per i luoghi del cinema itinerari meravigliosi da Nord a Sud
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i sono dei film c h e diventano dei piccoli capolavori senza volerlo. Questo avviene quando la mano del regista, gli interpreti, il taglio della sceneggiatura e le locations giocano ognu-
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no un ruolo importante che s’incastra perfettamente nel disegno generale dando un senso ad una storia che riesce a conquistare lo spettatore, già a partire dal titolo, azzeccato e romantico nella sua semplicità.
I luoghi del cinema
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Venezia, foto di Stefano Cambò
Correva l’anno 2000 quando al cinema arrivò infatti Pane e Tulipani di Silvio Soldini che riuscì a portare a casa innumerevoli premi e riconoscimenti tra cui ben nove David di Donatello, cinque Nastri d’Argento e addirittura tre candidature agli European Film Awards. La storia del film ci porta a fare la conoscenza fin da subito di Rosalba, una casalinga di Pescara madre di due figli adolescenti e moglie di Mimmo, un marito grossolano ed infedele. Durante una gita turistica a Paestum, viene involontariamente dimenticata in autogrill. Allora la donna decide di tornarsene con un passaggio in auto, ma il viaggio si trasforma in un’avventura che le dà la possibilità di prendersi una piccola pausa di riflessione arrivando addirittura a Venezia. Nella città lagunare Rosalba rimasta senza soldi, verrà ospitata da Fernando, un cameriere di origini islandesi che sa parlare benissimo l’italiano e a trovare nella massaggiatrice Grazia una nuova e tenera amicizia. I suoi modi educati e garbati le serviranno per accettare un lavoro da un fioraio anarchico, mentre
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il marito rimasto senza aiuto nelle faccende domestiche le metterà alle calcagna un investigatore privato alle prime armi. Nel frattempo il rapporto tra la donna e il cameriere si fa sempre più intimo e romantico, nonostante a Venezia irrompe anche l’amante del marito per riportarla a casa. Costretta dal suo ruolo di madre, Rosalba decide malvolentieri di tornare a Pescara dove purtroppo l’attenderà la vita di sempre. Solo non ha fatto i conti con Fernando disposto ad aprirsi finalmente e a dichiarare il suo amore. Così disposto, da partire a sua volta per la città abruzzese convinto di poter far breccia nel cuore della donna che ha conosciuto. E così Rosalba, per la prima volta nella sua vita, decide di mettere da parte la ragione e ascoltare il suo cuore. Senza farselo ripetere, riparte nuovamente per Venezia, accompagnata questa volta dal figlio minore, l’unico col quale condivide affinità e sentimenti. Per quanto lo si possa definire più un road movie che una commedia, il film di Silvio Soldini è un vero omaggio al cinema italiano. Già a partire dal titolo che si rifà a due momenti catturati dall’occhio della cinepresa, perché il pane compare nella colazione che ogni mattina il
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Venezia, foto di Stefano Cambò
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La tomba del tuffatore, foto di Stefano Cambò
cameriere Fernando lascia a Rosalba, mentre i tulipani sono i fiori che la donna regala all’uomo la sera quando ritorna da lavoro (nonché gli ultimi che lascia prima di partire di nuovo per Pescara). Come accennato all’inizio, oltre al taglio della regia e alla prova attoriale degli interpreti (tutti premiati meritatamente con il David di Donatello) a farla da padrone nel film sono i luoghi, bellissimi e perfetti nell’assecondare le vicende della storia. Fra tutti spicca il Parco Archeologico di Paestum (Sito Patrimonio dell’Unesco dal 1998). Nota in passato anche con il nome di Pesto, questa antica città della Magna Grecia era devotissima alle dee Atena ed Era. Il suo splendore è dato sicuramente dai maestosi Templi dorici, giunti fino a noi in ottime condizioni. Infatti, sono presenti all’interno del Parco, quello dedicato ad Hera definito “la Basilica”, edificato a partire dal 220 a.C. e quello di Nettuno, il tempio più vasto ed imponen-
te, anche se l’attribuzione al famoso Dio del mare si pensa possa essere stato un errore degli studiosi del passato. Fatto sta che il nome è rimasto e con esso il fascino per questa costruzione che impone la sua spettacolare bellezza ai tanti visitatori che affollano i sentieri. Come è affascinante (per non dire unica), la famosa Tomba del Tuffatore, esempio di pittura greca, che mostra sulle pareti interne di un sepolcro, le attività quotidiane del defunto, tra cui appunto quella che lo immortala per sempre nello slancio da un punto per andare a spezzare la superficie dell’acqua (in un perfetto stacco a pesce come definiremmo oggi). Da Paestum risaliamo tutta la Penisola per approdare a Venezia, proprio come fa la protagonista della storia. Quando Rosalba arriva a Piazzale Roma, il principale snodo viario del capoluogo veneto, pensa di rimanerci appena una notte, giusto il tempo di vedere Piazza San Marco. In realtà, nella città lagunare la donna met-
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la locandina del film e il tempo iio di Paestum, foto di Stefano Cambò
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te radici tanto da trovarsi un impiego in un negozio di fiori in Campiello dei Miracoli. Altre locations del film sono legate al lavoro di ricerca dell’investigatore privato assoldato dal marito della donna. Il suo alloggio di fortuna diventa un barcone ormeggiato in Fondamenta di Santa Giustina, mentre lo vediamo girovagare perso per le calle del centro storico fino a sedersi esausto sui gradini che portano al Ponte di Corte Nova. Il tanto agognato incontro con Rosalba avviene al Campo do Pozzi, una grande piazza di Venezia con un pozzo al centro. L’ultima location del film è la casa del cameriere Fernando, i cui esterni si trovano nei pressi di Campo Santa Maria del Giglio, a pochi minuti da Piazza San Marco, tanto che per arrivarci la protagonista passa da Campazzo San Sebastiano. E con le immagini di una romantica Venezia (magari al tramonto), lasciamo che il film scorra verso i titoli di coda persi nel turbinio dei sentimenti, proprio come accade a Rosalba e Fernando che riscoprono l’amore, quello con la A maiuscola, attraverso i piccoli gesti quotidiani e soprattutto grazie a quel Pane e Tulipani, di cui
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foto di Mario Cazzato
era Pugliese nicola zingarelli autore del celebre vocabolario Mario Cazzato
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Passeggiando nel cuore antico tra vicoli e pagine di storia
Salento Segreto
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'installazione in piazza S. Oronzo di questa struttura provvisoria per ricordare la pubblicazione dell'ultima edizione del glorioso vocabolario Zingarelli non ha sottolineato alcuni aspetti della vicenda biografica e professionale del suo autore. Nicola Zingarelli è un pugliese di Cerignola dove nacque nel 1860 e fu sepolto nel
1935. Fu accademico e soprattutto maestro di intere generazioni. Fu sommo dantista. Dal 1917 le sue energie furono rivolte alla composizione del celebre vocabolario la cui prima edizione fu pubblicata nel 1922 e lanciata con lo slogan “l'Italia moderna ha il suo vocabolario“. Mai slogan fu più azzeccato.
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