Arte e Luoghi febbraio2018

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il teatro “mazzini”

vittorio fava

Il cortometraggio di Anton Giulio Onofri svela il teatro di Castiglione di Ravenna

A Fabriano il 3 marzo nel Museo della Carta e della Filigrana la mostra dell’artista

anno 133 numero 2 febbraio 201 8

Anno XIII - n 2 febbraio 2018 -

auguste rodin

rudiae international music festival

antonio leonardo verri

Dal 24 febbraio al 7 maggio in arrivo al Teatro Apollo: Sarah Jane Morris e Mario Rosini, Mike Stern, James Taylor Quartet e Dee Dee Bridgewater

Il 22 febbraio la città di Caprarica ricorda il suo scrittore con una mostra fotografica e un recital concerto. Al via la seconda edizione del concorso


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDITORIALE

Auguste Rodin, La Cattedrale, 1908 bronzo, 64 x 30 x 30 Parigi, musée Rodin© musee Rodin, foto Christian Baraja

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.

Due mani che si sfiorano, che si toccano delicatamente quasi a congiungersi in un unico atto di preghiera. Due mani diverse ma che unite insieme fanno pensare ad un arco di Cattedrale, probabilmente fu per questo che Rodin, terminata la scultura, decise di chiamarla così. Era il 1908. Sono passati cento anni dalla morte dello scultore francese al quale è dedicata la mostra che si apre il 24 febbraio a Treviso concludendo in accordo con il Musée Rodin le celebrazioni ufficiali. Nonostante l’immagine della mostra sia il celebre Bacio abbiamo preferito mettere in copertina l’opera Cattedrale perché ci fa pensare al filo rosso con il quale abbiamo voluto legare le pagine di questo numero di febbraio: la spiritualità e l’amore ma nel senso più ampio del termine pensando al sentimento che lega gli uomini all’arte, alla bellezza, al proprio territorio, al proprio lavoro. Dall’ammirazione di Rodin per l’arte rinascimentale italiana alle meravigliose creazioni di Vittorio Fava che elabora le sue opere utilizzando frammenti di antichi manoscritti. E se dal mondo dei manga si ispirano le immagini sensuali della pittrice Audrey Kawasaki sono di tutt’altro registro le immagini del reportage fotografico di Marcello Carrozzo, fotografie in cui ci mostra lo smarrimento, il dolore, gli sguardi di chi è in balia delle onde e della speranza alla ricerca di un approdo immaginato come terra promessa per cui vale la pena rischiare le insidie di un viaggio spesso, purtroppo, senza ritorno. Nel nostro continuo girovagare, continuiamo a raccontarvi i luoghi e le loro storie. L’amore dantesco, che move il sole e l’altre stelle, è davvero il motore di tutte le cose. Lo riscopriamo nelle parole di Marco Ciaponi giovane promessa della lirica che ci ha raccontato il suo rapporto con il canto, la determinazione e i sacrifici. E lo abbiamo visto nei fotogrammi del regista Anton Giulio Onofri che con la sua telecamera ha squarciato il velo polveroso che l’indifferenza umana ha fatto scendere sul teatro Mazzini, aspettando e sperando in una sua rinascita.Perché l’amore può fare miracoli. Basterebbe solo riuscire a sintonizzarsi con il battito del cuore pulsante del mondo. Buona lettura! (an.fu.)

SOMMARIO

Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno

Hanno collaborato a questo numero: Giovanni Bruno, Dario Bottaro, Stefano Cambò, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Sara Foti Sciavaliere, Dario Ferreri, Giusy Gatti Perlangeli, Francesca Pastore, Giuseppe Salerno Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

luoghi|eventi| itinerari: girovagando itinerarte 43 c’era una volta un teatro 56| il convento di santa maria di casole a copertino 73 |i segreti di lucrezia d’alagno 80| viva sant’agata tra culto e memoria 86 | napoli totò e la sanità 93| oltre il barocco 94| salento segreto 102 arte: rodin. un grande scultore al tempo di monet 4| meraviglia delle memorie 12| omaggio a castelluccio 26 | itaca sempre 30 | renato guttuso 34| musica: rudiae international music festival 52| muto musicale 84 i luoghi della parola: curiosar(t)e innocenza ed erotismo nei dipinti di audrey Kawasaki 20 | essere giovani 29| amori letterari anna Proclemer e vitaliano Brancati 36| teatro|danza| la stagione del Balletto del sud 41| io ti cielo. frida Khalo aurelia cipollini al Paisiello 85 | da delitto e castigo al sindaco del rione sanità 104 cinema: |”ossigeno” in francia il docufilm di Piero cannizzaro 55| Quando il cinema rivoluziona la fruizione dell’opera d’arte 83| luoghi del cinema divorzio all’italiana 106 libri i figli degli altri. un libro un dibattito 42 | luoghi del sapere 44-49 | antonio leonardo verri caprarica ricorda il suo scrittore 50 i luoghi nella rete|interviste|marco ciaponi, il tenore dell’isola d’elba che si ispira a Pavarotti 66 Numero 2- anno XIII - febbraio 2018


Auguste Rodin fotografato da Nadar nel 1891

rodin. un grande scultore al temPo di monet Sara Di Caprio

La mostra a Treviso chiuderà le celebrazioni per il primo centenario della scomparsa. Sarà inaugurata il 24 febbraio 2018 negli spazi restaurati della sala ipogea del Museo di Santa Caterina. In mostra 80 opere fino al 3 giugno

Novecento, segnando il passaggio tra questi due secoli e in vita tra i contemporanei fu anche il più celebrato. Una fama che ancora oggi segue la sua ombra e precede la visione delle sue opere. Ed è Treviso, la città dello scultore Arturo Martini, a celebrare il genio immortale dello scultore francese, con la mostra Rodin. Un grande scultore al tempo di Monet a cura di Marco Goldin che sarà allestita nel Museo di Santa Caterina dove, negli spazi integralmente restaurati della sala ipogea intitolata a Giovanni Barbisan, dal 24 febbraio fino al 3 giugno si potranno ammirare ben ottanta opere di cui cinquanta sculture tra le più famose e trenta lavori su carta. Un’esposizione realizzata grazie alla fondamentale collaborazione con il Musèe di Rodin a Parigi e che permetterà al fruitore di analizzare il percorso creativo, critico e storico, dell’artista francese. «Tra l’altro, -scrive il curatore della mostra Marco Goldin - la rassegna di Treviso sancirà ufficialmente la conclu-

TREVISO: La bocca mi baciò tutto tremante». L’amore eterno in un verso. Quello dantesco. Paolo e Francesca si baciano come se il mondo non esistesse, persi nell’amore che provano l’uno per l’altra, un bacio che dura secoli. Dal canto di Dante alla divina scultura di August Rodin (Parigi, 12 novembre 1840 – Meudon, 17 novembre 1917). Nel mese di febbraio che vede con la ricorrenza di San Valentino la celebrazione dell’amore, come non cedere alla tentazione di aprire la mostra di Rodin a Treviso proprio con la descrizione del Bacio? L’opera, scelta anche nel manifesto dedicato all’esposizione, e paradossalmente trae spunto dal famoso Canto V dell’Inferno e, originariamente, doveva essere inserita nel battente sinistro della Porta dell’Inferno, commissionata a Rodin da Edmond Turquet, per il Musée des Arts Décoratifs di Parigi. Auguste Rodin è stato il più celebre, il più ricercato scultore a cavallo tra Ottocento e

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Auguste Rodin, Il bacio, 1885 circa, gesso patinato, cm 86 x 51,5 x 55,5. Parigi, musée Rodin. © musee Rodin, foto Jérome Manoukianmarmo, cm 65,5 x 70 x 55

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Auguste Rodin, Paolo e Francesca tra le nuvole, 1904-1905, marmo, cm 65,5 x 70 x 55 . Parigi, musÊe Rodin. Š musee Rodin, foto Christian Baraja

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Auguste Rodin, La Cattedrale, 1908 bronzo, 64 x 30 x 30 Parigi, musée Rodin© musee Rodin, foto Christian Baraja

sione dell’anno centenario della morte di Auguste Rodin (1917), dal momento che il museo parigino ha deciso di inserirla nel programma ufficiale che sta vedendo in tutto il mondo, ma non in Italia finora, esposizioni che appunto celebrino, o abbiano celebrato, questa importante data, dal Grand Palais di Parigi nella scorsa primavera al Metropolitan Museum di New York attualmente. Dunque, Treviso sarà la sola sede italiana che potrà essere inserita in questo calendario internazionale.». Rodin modella nudi che prevaricano la barriera del tempo, le sue forme sono state rese immortali e in questo evento non si avrà solo l’occasione di ammirare il celebre Bacio ma, anche i Borghesi di Calais, o la scultura dedicata a Honorè Balzac aspramente criticata dai contemporanei che non ne capirono l’innovazione, addirittura additata dai critici dell’epoca a «un quarto di manzo». È assurdo pensare a quanto si sia stato ostacolato in passato il genio che invece adesso viene universalmente riconosciuto e ammirato. Rodin sul monumento di Honorè Balzac (scolpito su

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Auguste Rodin, Il pensatore, statua monumentale, 1880 circa, gesso patinato, cm 189 x 95 x 143,5. Parigi, musée Rodin. © musée Rodin, foto Jean de Calan

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Auguste Rodin, Balzac, studio finale, 1897 bronzo, cm 108,5 x 43 x 38 Parigi, musée Rodin © musee Rodin, foto Christian Baraja

richiesta della Societè des Gens des Lettres ma, rifiutata dai committenti proprio a causa del suo linguaggio sintetico) spiegò che aveva tentato una scultura che doveva «tracciare una linea di demarcazione tra la scultura commerciale e l’arte della scultura nella grande tradizione occidentale» dandola in pasto a un pubblico che non era preparato. Fu una delle opere che segnò una svolta nella carriera dello scultore parigino, e la forza nella sua forma sintetica si trova nell’espressività, nella caratterizzazione psicologica, diventato il ritratto più “fedele” del romanziere. Rodin che guardava al passato, in particolare assorbì tutta la lezione Michelangiolesca (come il “non finito” che apriva le porte all’espressività e all’immaginazione), non dimenticava di vivere il presente e di osservare i contemporanei (fu molto amico dell’italiano Medardo Rosso; il Balzac dialoga proprio con il Bookmaker del 1894). E allora ecco il Pensatore che si potrà ammirare nelle sale di Santa Caterina, dove emerge l’influenza del Buonarroti (Ritratto di Lorenzo de Medici, tomba di Lorenzo de Medici, nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo a Firenze), anche quest’opera prende vita in modo autonomo staccandosi dalla Porta dell’Inferno, in cui fungeva di essere il sommo poeta Dante. Rodin nel momento in cui “la libera” dalla Porta riesce invece a trasformarla in un pensatore moderno, imprigionando in un blocco di gesso l’immagine “fisica” del pensiero. Il viaggio in Italia del 1876 in fondo aveva segnato un forte legame con la figura di Michelangelo, per sua totale ammissione: «Andando in Italia mi sono d’un tratto innamorato del grande maestro fiorentino, e le mie opere hanno certamente risentito di questa pas-

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Auguste Rodin, La morte di Adone, 1891 marmo, 36 x 61,5 x 37 Parigi, musée Rodin © musee Rodin, foto Adam Rzepka

sione». Influenze e legami che si potranno scorgere nell’esposizione: «Sarà quindi ripercorsa nella mostra di Treviso, anche attraverso lettere e documenti, l’intera vicenda biografica e artistica del grande scultore […] – scrive il curatore nell’introduzione che presenta la mostra al pubblico - Attenzione particolare verrà data all’influenza che la cultura italiana − da Donatello a Michelangelo a Bernini, ma naturalmente anche il fondamentale rapporto con la Commedia dantesca – ebbe su Rodin nella creazione delle sue opere.». E un ulteriore regalo ai fruitori – come se non bastassero le sculture di Rodin - si avrà presentando il biglietto di “Rodin” alla cassa del Museo Civico “Luigi Bailo” che permetterà di visitare le mostre dedicate ad Arturo Martini e Gino Rossi. Una simbiosi perfetta dato che, ad esempio, Arturo Martini guardò a posteriori l’opera di Rodin e invece Gino Rossi non solo ne fu con-

temporaneo ma amico dello scultore trevigiano con il quale intraprese alcuni viaggi di studio. Il genio di Rodin come scrive il filosofo Henri Bergson, continua nei secoli a vivere «nella sua eterna forza creatrice; lui che vive nell’intenzione creatrice, vive in libertà, vive creando, vive come un vero Dio».

RODIN. Un grande scultore al tempo di Monet 24 Febbraio 2018 - 03 Giugno 2018 Treviso, Museo di Santa Caterina da lunedì a giovedì: 9 - 18; da venerdì a domenica: 9 19 chiuso domenica e festivi. Aperture straordinarie: 29 marzo, 2, 3, 23, 24, 25, 26 e 30; aprile: 9 - 19; 1 maggio: 9-19. La vendita dei biglietti viene sospesa un'ora prima dell'orario di chiusura Info e prenotazioni: tel. 0422 429999 biglietto@lineadombra.it

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Auguste Rodin, Le tre ombre, 1897, gesso patinato, cm 97,4 x 95,6 x 52,1 . Parigi, musÊe Rodin Š musee Rodin, foto Christian Baraja

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Nel riquadro il curatore Giuseppe Salerno, a lato un’opera di Vittorio Fava

meraviglia delle memorie le creazioni di vittorio fava Giuseppe Salerno

A Fabriano, dal 3 marzo al 1° aprile nel Museo della Carta e della Filigrana

FABRIANO. Se l’umanità non avesse manifestato la necessità di disporre di un supporto agevole, idoneo ad accogliere e tramandare nel tempo il pensiero che la ha accompagnata e, con esso, la propria storia, la carta non avrebbe avuto ragion d’essere e senza di essa la Città di Fabriano avrebbe vissuto un destino diverso. Fortunatamente è grazie alla carta che Fabriano vanta una storia gloriosa che la ha resa nota in tutto il

mondo e che Vittorio Fava, artista romano, ha potuto sviluppare quel percorso davvero singolare di cui ci offre uno spaccato in questa mostra presso il Museo della Carta e della Filigrana dal 3 marzo al 1 aprile. Alla carta ed in special modo agli antichi manoscritti rinvenuti nei polverosi depositi dei rigattieri di ogni dove ha dedicato grandi attenzioni questo artista che, in decenni di attività, ha individuato in tale materiale l’elemento fondamen-

tale per la messa in scena dei suoi mondi fantastici. Opere a parete, librioggetto, mobili e piccole strutture sono le realizzazioni scaturite da un fare dal quale emerge forte il senso della costruzione e della storia. Frammenti di memorie umane e piccoli elementi naturali si combinano in realizzazioni che, mai risolvendosi in vuoti assemblaggi, ci pongono di fronte a realtà insolite, immaginarie che, alimentate dal

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Vittorio Fava, Il grande tomo bianco e nell’altra pagina in basso Il libro degli angeli

passato, ci imbrigliano mentalmente in una dimensione atemporale. Nel fare sperimentale di questo artista il riciclo non è mai fine a se stesso essendo piuttosto il modo prescelto per porre in luce il senso di quel divenire che fa agio sul preesistente e da sempre muove il mondo. Con riferimento ai suoi mobili improbabili, trasbordanti di cassetti nei quali il ricordo immateriale si fa incrostazione, ogni piccolo elemento concorre a generare luoghi nei quali anonimi conglomerati polimaterici si trasformano in spettacolari contenitori di sogni. Sono aggressioni alchemiche quelle che l’artista esercita su documenti di archivio, manoscritti, trine, fiori essiccati e bottoni il cui incontro origina scenari caldi ed accoglienti pronti a dare spazio a nuove immaginifiche memorie. Ed è così che con Vittorio Fava le tracce del passato si convertono in ammalianti contenitori di futuro. Tentazione alla quale risulta difficile sottrarsi è accostare le opere

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Vittorio Fava, Il tomo delle streghe, nel riquadro Mnemosine, 1988 particolare; in basso Il mobile degli scacchi, 1989

di questo artista alle wunderkammer, le cinquecentesche camere delle meraviglie che, antesignane del moderno collezionismo, della natura e del prodotto

umano mettevano in mostra gli aspetti piĂš spettacolari. Un riferimento indubbiamente affascinante ma riduttivo per opere che ci catturano in modo ben piĂš

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Vittorio Fava

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Vittorio Fava, Il libro è al centro

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profondo di quanto possa una, seppur stupefacente, raccolta di oggetti. L’attrazione che i lavori di Vittorio Fava esercitano, muovendosi l’artista su un piano profondo che tocca il senso dell’esistenza, è assai più sottile. Sono opere le sue che si collocano in una dimensione altra, più complessa ed elevata di quella sottesa da ogni singola componente. Come cori polifonici, le composizioni di Vittorio Fava ci inducono all’ascolto di più voci narranti che nel loro sovrapporsi ed intrecciarsi ci conducono in una dimensione estranea al tempo ed allo spazio nella quale, sospeso il respiro, affrontiamo l’assoluto.

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Meraviglia delle Memorie Opere di Vittorio Fava a cura di Giuseppe Salerno Museo della Carta e della Filigrana Fabriano 3 marzo 1 aprile 2018 Inaugurazione: sabato 3 marzo dalle ore 16:00 alle ore 19:00


Nel riquadro Dario Ferreri; in questa pagina e nelle seguenti opere di Audrey Kawasaki, a lato Mur Mur, particolare:

innocenza ed erotismo fluttuante nei diPinti di audrey KawasaKi Dario Ferreri

Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea

"La confessione dei nostri peccati è il primo passo verso l’innocenza" Publilio Siro

CuRIOSAR(T)E

A

udrey Kawasaki, classe 1982, di nazionalità giapponese, nata e cresciuta a Los Angeles, sin da piccola disegnava manga ed ha respirato ed introiettato le culture americana e giapponese, ciascuna delle quali ha contribuito a forgiare la sua peculiare cifra artistica ormai globalmente riconosciuta ed apprezzata. Lascia il Pratt Institute di

Brooklyn senza terminare gli studi artistici perché non sentiva il richiamo dell’arte concettuale verso la quale i suoi docenti intendevano condurla e ritorna in California, dove presto diviene stella del firmamento artistico che irradia la propria arte nel mondo intero e registra puntualmente il sold out ad ogni esibizione. Il suo stile è stato descritto come una fusione di man-

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ga giapponese, ukiyo-e (letteralmente "Immagine del mondo fluttuante", un genere di stampa artistica giapponese su carta, impressa con matrici di legno, fiorita nel periodo Edo, tra il XVII e il XX secolo), Art Nouveau e ricco di influenze primarie di artisti del calibro di Gustav Klimt, Egon Schiele ed Alphonse Mucha.

L’artista stessa descrive i suoi personaggi come conflittuali, Jekyll ed Hyde emotivi, divisi tra diversi impulsi, desideri ed aspettative culturali: le sue donne non sono persone reali, ma una sorta di fantasmi, apparizioni, illusioni, l’effimero sogno di un giorno, una idea, il mistero ed un segreto.

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CuRIOSAR(T)E

Dall’alto: Yuuwaku; Carry on

Figure femminili intangibili ma al contempo dense di emozioni e pulsioni, innocenti e peccaminose al contempo; nei dipinti dei primi anni di attività le sue ragazze sono molto giovani, meno esperte e più ingenue: non lasciano trasparire una loro età anagrafica ma rappresentano il culmine dell'adolescenza emotiva e della maggiore età, quello spazio temporale che decreta l'inizio di una femminilità in fiore e tutti i tumulti che ne derivano. L’età emotiva dei soggetti delle sue opere procede di pari passo con quella anagrafica dell’artista e determina una connessione profonda con il suo mondo emozionale: i suoi personaggi dipinti hanno iniziato ad emergere e svilupparsi, e naturalmente hanno riflettuto l’artista e ciò che stava vivendo e, come è naturale, sono maturati nel corso degli anni: hanno ancora le loro debolezze, le paure, i dubbi e le vulnerabilità, ma sono venuti a patti con se stessi ed hanno sviluppato un sereno radicamento emotivo. A volte il loro sguardo nel dipinto è lontano dallo spettatore, quasi contemplativo ed auto-riflettente, ma, più spesso, si confronta con lo sguardo diretto dell’interlocutore per cercare un dialogo emozionale e riaffermare la sua esistenza oltre al medium e colorando la propria personalità, di volta in volta, con

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She Entwined

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Sotto: You come first; a lato, dall’alto in basso: Enrapture; Offering;

una sensualità che vira dal rilassato al passivo o che può essere accettante o ritirata, od ancora timida o diretta, conflittuale o seducente, ma, comunque, sempre affascinante. La sessualità ostentata in alcune sue opere è una operazione liberatoria per l’artista, che interpreta una aspirazione o conquista femminile del senso di potere e controllo sul proprio corpo e sulla propria persona in genere che, unita a sfumature di vulnerabilità e fragilità, crea una strana giustapposizione nella quale molte donne possono identificarsi. La presenza di fiori nei suoi dipinti rappresenta la temporalità e caducità della condizione umana: i fiori sono un ricordo del tempo che passa e che

allude al fatto che la bellezza fisica e la giovinezza sono impermanenti: e pur se le sue donne sono sempre le stesse, non invecchiano e si offrono come immortali, l’iconografia del dipinto ricorda che anche loro, nel tempo, si disintegreranno e saranno distrutte insieme al legno su cui sono dipinte svanendo dalla memoria. Le acconciature delle sue donne rappresentano una loro estensione e contribuiscono a rendere l’emozione che quel lavoro vuole trasmettere: se i capelli sono raccolti o legati, potrebbe essere indice di una emozione più composta, contemplativa o riflessiva; se i capelli sono sciolti e selvaggi, il pezzo potrebbe essere più feroce, appassionato od emotivo.

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Pochissimi sono i protagonisti maschili dei suoi dipinti. Il legno è di gran lunga il substrato preferito dall'artista: ciascuna tavola ha venature che la rendono unica ed è un elemento caldo al tatto e che allude ad un clima familiare e noto; spesso parte del disegno naturale della tavola viene lasciato scoperto per fare emergere dalla composizione un elemento completamente naturale. Nel 2005 disegna la cover dell'album "For Lovers, Dreamers & Me" di Alice Smith, nel 2011 la cantante Christina Perri si fa tatuare un dipinto della Kawasaki (My dishonest heart) dalla famosa tattooist Kat Von D in un episodio di LA InK. Sue opere ed interviste sono state ospitate sui famosi magazine Juxtapoz ed HiFructose e numerosissime altre riviste e giornali; ha customizzato con i suoi dipinti innumerevoli prodotti (cover di cellulari, scatole di caramelle, porcellane, capi di abbigliamento, ecc). Ha esposto in America, Canada, Australia, Europa ed Asia; su Facebook (https://www.facebook.com/audreykawasaki) ha oltre 712.000 follower e circa 400.000 su Instagram; attualmente ha un coefficiente 10 ed, oltre ai dipinti, anche le sue stampe in edizione limitata vanno a ruba tra collezionisti ed appassionati nel giro di pochi secondi. Per assaporare il suo mondo, oltre ai vari canali social, conviene dare un'occhiata al suo accattivante sito: http://www.audreykawasaki.com/index.php

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Oronzo Castelluccio, Prigionieri, 1980

omaggio ad oronzo castelluccio una mostra al rettorato

La mostra, curata da Letizia Gaeta e Massimo Guastella, si potrà visitare fino al 30 marzo

LECCE. Oronzo Castelluccio. Opere dagli anni ’70 al 2000 è la mostra retrospettiva dedicata al maestro salentino a dieci anni dalla sua scomparsa. Inaugurata il 14 febbraio nella sala espositiva del Rettorato l’esposizione avvia, per il quinto anno consecutivo, la rassegna di arti visive “Sull’arte contemporanea: metodologia e ricerca nei luoghi dell’Università” ideata e curata da Letizia Gaeta e Massimo Guastella, docenti di Storia dell’arte dell’Università del Salento. Nato a Lecce nel 1931, Oronzo Castelluccio venne a contatto con l’arte fin da bambino; suo padre, infatti, era un artigianodecoratore che si dedicava alla pittura per diletto. Frequentò i corsi serali di Disegno presso la Società Operaia di Lecce. Fu il maestro Luigi Balzani a incoraggiarlo a proseguire gli studi artistici. Ammesso nel 1950, durante la frequenza dell’Istituto Statale d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce seguì gli insegnamenti dei maestri Geremia Re, Raffaele Giurgola, Gaetano Giorgino e Virgilio Carotti. All’età di 24 anni venne assunto come docente di Pittura e arti applicate presso il medesimo Istituto e tenne la cattedra sino al 1992. A partire dagli anni Sessanta contribuì a diffondere l’arte nel territorio, grazie alla collabora-

zione con alcuni colleghi progettisti presenti nell’Istituto d’arte, come Orazio Antonaci, Beniamino Barletti, Antonio Tempesta: decorazioni, in cui pittura e materiali diversi si incontravano in una contaminazione continua, furono collocate in numerosi edifici leccesi e in luoghi pubblici e privati del Salento. Per Luigi Lezzi eseguì i disegni per gli arredi in ferro battuto di alcune cappelle del Cimitero di Lecce. Nel corso dei decenni Oronzo Castelluccio colse le novità delle tendenze artistiche contemporanee e tanto nella produzione artistica quanto nella docenza aggiornò il linguaggio figurativo mediandolo con le ricerche tecnico-materiche, lasciando un’impronta sulla formazione delle nuove generazioni. La sua attività artistica proseguì sino al 2004, interrotta solo per l’incedere della malattia. Castelluccio è ricordato come insegnante di molti artisti formatisi presso l’istituto d’arte “Pellegrino” di Lecce, dove dal 1955 ebbe la docenza di Pittura e arti applicate (poi denominata Decorazione pittorica) che mantenne sino al 1992, tuttavia la sua opera è ancora in attesa di pieno recupero in sede storiografica. Solo nella maturità si rivelerà, secondo Lucio Galante, una “riscoperta” essendo l’artista “qua-

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Oronzo Castelluccio, Labirinto, 2001-2003, tecniche miste su carta

si del tutto sconosciuto al grande pubblico, ormai al termine del suo percorso” agli inizi del nuovo millennio. In tal senso, notevole è stato l’impegno sulla figura di Oronzo Castelluccio della compianta Luciana Palmieri, che all’artista leccese e collega di scuola ha dedicato contributi critici di rilievo per la sua conoscenza. Carattere schivo e insofferente al clamore, Oronzo Castelluccio, il cui marchio linguistico ed espressivo si è consapevolmente rapportato agli sviluppi delle “avanguardie storiche”, a cui ha apertamente attinto con cifre di originalità, viene presentato in questa mostra attraverso un sintetico percorso antologico di dipinti e disegni eseguiti tra il 1975 e i

primi anni del nuovo millennio, quando una malattia invalidante gli procurò la morte, nel gennaio del 2007. La mostra è stata realizzata in collaborazione con l’Archivio Oronzo Castelluccio (19312007), costituita dagli eredi nel 2016, unico riferimento di autentica del corpus, con gli obiettivi di recuperare e tutelare l’opera del maestro e divulgarla tramite mostre, pubblicazioni e manifestazioni culturali. Si sta, infatti, procedendo all’archiviazione delle sue opere diffuse su tutto il territorio nazionale in collaborazione con il laboratorio Tasc del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento ed è imminente la pubblicazione di un catalogo

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con una significativa selezione di opere curata da Massimo Guastella per i tipi della Ed Art di Pianoro -Bologna. La mostra resterà aperta fino a venerdì 30 marzo, dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 19,00 (ultimo ingresso 18,30). La mostra è organizzata in collaborazione con TASC (Territorio, Arti Visive e Storia dell’Arte Contemporanea) CRACC (Conservazione e Ricerca Arti e Culture Contemporanee) Sala Espositiva Rettorato Lecce, piazza Tancredi, 7 Fino al 30 marzo Orario di apertura: lunedì/venerdì 9.30 - 19.00. Info: 338/2618983 www.unisalento.it/mostre


essere giovani un tema fuori dal diBattito Politico Giovanni Bruno

La riflessione dello psicologo psicoterapeuta

In questi mesi di forte contrapposizione politica ci sono temi e argomenti che sembrano esulare dal dibattito che i diversi schieramenti affrontano. Nessuno infatti parla dei giovani, della loro vita qui ed ora, di come il loro futuro possa costruirsi e articolarsi. Una vita che si affaccia sul mondo rappresenta la forza vitale che è l’essenza stessa dell’esistenza, il seme che determina l’inizio di un ciclo vitale caratteristico di ogni specie. I politici tutti sembrano molto attenti a questioni e argomenti legati a ordine pubblico ,pure fondante, immigrazione, temi economici, seppur di sostanziale importanza. Ma il ragionamento legato ai giovani sembra sempre più periferico , se non del tutto evaporato o comunque isolato in ambiti chiusi e settoriali. A cosa è dovuto questo mancato interesse della politica per le nuove generazioni che rappresentano la spinta propulsiva per il futuro ? Forse la prendo alla lontana ma ipotizzo che ciò sia dovuto alla fine delle ideologie , vale a dire a quel complesso di idee proprie di una società in un determinato momento storico. È pur vero che l’ideologia ha comunque rappresentato una rigidità che col passare del tempo ha legato gli stili di vita, le scelte, i mezzi espressivi a formule ormai sorpassate o desuete. Quindi pian piano tutto si è ridotto a un pavido pragmatismo che ha privilegiato la pratica e la concretezza dei risultati, a danno di una visione del futuro, del mondo e di tutto ciò che deve ancora avvenire. In questo senso il pragmatismo politico ha posto il

focus sull’immediato, sull’oggi, sull’esistente che deve essere solo amministrato. È evidente che con una simile ottica i giovani che comunque rappresentano una proiezione sul futuro sono penalizzati o addirittura dimenticati. Molto meglio nel dibattito politico parlare di certezze, o presunte tali, di pensioni, di ordine pubblico. L’argomento giovani pone invece domande stringenti, nodali, il più delle volte sostanziali. Le nuove generazioni hanno bisogno se non di ideologie almeno di valori comuni in cui credere, di una scala gerarchica di principi che ispirino atti e comportamenti, di esempi quotidiani che diano un indirizzo e producano una spinta alla identificazione. Perché non è vero che i giovani siano spesso individualisti e autonomi hanno invece sempre più bisogno di ideali e aspirazioni da condividere con gli altri pur nella diversità di intenti. Un grande studioso come Umberto Galimberti ci dice: la mancanza di un futuro non conferisce ai genitori, agli insegnanti, alla società in generale l’autorità di indicare una strada, un percorso. Una ricerca del CENSIS prende proprio il nome di: I giovani lasciati al presente. Leggendola si capisce come non sono i giovani a essere indistinti e omologati ma è il sistema politico a renderli tali. E ancora le nuove generazioni vivono in “una dimensione presentistica dell’ esistenza” e hanno grande difficoltà a prefigurare percorsi futuri. Tutto ciò deve portare la nuova classe politica a una profonda riflessione sulla condizione giovanile che deve comunque essere guidata verso una storia concreta che abbia un senso.

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In questa pagina e le seguenti le foto di Marcello Carrozzo

itaca semPre. il rePortage del fotografo marcello carrozzo Francesca Pastore

A Lizzanello fino al 28 febbraio nell’ambito della rassegna All Right? Arte & Diritti Umani a cura di Massimo Guastella

LIZZANELLO. E guardarsi intorno, nel buio della notte, alla ricerca di un appiglio, di un abbraccio, alla ricerca del domani, aspettando l’alba. Sono storie di paura, emozioni di speranza, coraggio di vivere. Sguardi negli sguardi, attimi infiniti che si nutrono di cantilene cullate sulle onde del mare. Lacrime di bambini, sguardi di donne, braccia grandi di uomini. Difficile raccontare e descrivere gli scatti di “Itaca sempre” del fotoreporter Marcello Car-

rozzo. Andare alla ricerca del contenuto di quelle storie è come guardarsi dentro e scorgere un profondo senso di smarrimento che fa fatica a venir fuori, che lotta per emergere ai primi raggi del sole. La mostra fotografica di Carrozzo in questi giorni ha trovato posto a Lizzanello, in provincia di Lecce, nel nuovo laboratorio urbano dell’ex mercato coperto, contenitore espositivo, culturale e di progettazione. Esposizione fortemente voluta dal

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Comune di Lizzanello, grazie al lavoro in stretta sinergia e collaborazione con i dipartimenti di Beni Culturali e Scienze Giuridiche Giurisprudenza dell’Università del Salento, nell’ambito del progetto All Right? Arte& Diritti Umani.

La produzione fotografica di Marcello Carrozzo, di elevato livello professionale, è l’esito di numerosi reportage che toccano l’Asia, l’Africa, le Americhe, il Medioriente. “Itaca sempre” è un racconto epocale, appassio-

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nato e commovente, che si rende visibile attraverso le riprese e le fotografie di Marcello Carrozzo, imbarcato a bordo dei mezzi della Guardia di Finanza, durante le operazioni di salvataggio al largo delle coste libiche, nel Canale di Sicilia, nel Canale d’Otranto e nel Mare Egeo. Immagini toccanti della incessante peregrinazione di chi spera di trovare un nuovo mondo, ospitale, tra vicissitudini personali e familiari, emozioni e angosce, soprattutto attese. Ma soprattutto, come illustrano gli scatti di Marcello Carrozzo, sono viaggi ad alto rischio. Un progetto espositivo fortemente educativo, che evidenzia

non solo l’abilità del fotografo ma anche la sua sensibilità trattando della dignità umana. “Il fotografo fuori dalla banalità del quotidiano – così Massimo Guastella, docente di Storia dell’Arte Contemporanea e Metodologia della Ricerca Dipartimento Beni Culturali Università del Salento e responsabile del progetto All Right? Arte& Diritti Umani, descrive il fotoreporter Massimo Guastella - in molti dei suoi reportage si percepisce che le sue tematiche spaziano dal disagio sociale alle zone di guerra, passando per quegli aspetti più drammatici della cronaca di questa nostra epoca, in cui la

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dignità umana è denigrata. Lui è innanzitutto un fotografo sociale; e anche se questa definizione fa pensare a formule più o meno abusate e vecchie, la differenza, oggi, la fa il tentativo di capire in ogni suo scatto fino a che punto non siamo responsabili in prima persona ma anche come collettività dei tragici avvenimenti che viviamo: l’abbandono dei deboli, delle persone più fragili, dei dolenti del pianeta. Questa consapevolezza della professione traspare fra il fotografo e i soggetti da lui trattati, prese dirette dalle regioni di sofferenza e di speranza. I suoi racconti si

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prestano, in modo singolare, a tradurre vicende dolorose e di molteplici condizioni dell’esistenza umana”.

ItACA SeMPRe fotografie di Marcello Carrozzo Lizzanello Laboratorio Urbano, ex Mercato coperto fino al 28 di febbraio Orario di apertura: tutti i giorni dalle 16,30 alle 20, e la domenica anche al mattino dalle 10,30 alle 13. è possibile prenotare visite di gruppo e per scolaresche telefonando al 392/7171471. Info: Comune di Lizzanello, www.comune.lizzanello.le.it


ricordando renato guttuso il maestro di Bagheria

Gran successo per la mostra allestita alla Contemporanea Galleria d’Arte di Foggia FOGGIA. Si è chiusa il 4 febbraio la mostra dedicata a Guttuso da Giuseppe Benvenuto proprietario della “Contemporanea Galleria d’Arte” . La personale, realizzata in collaborazione con la Galleria di Stanislao De Bonis di Reggio Emilia, ha raccolto trentacinque opere appartenenti a tutte le fasi dell’artista, dagli anni ‘30 agli anni ‘80. Tra le opere presentate spiccano alcuni lavori in olio su tela come la Natura morta con telefono e caffettiera (del 1973), Luxor del 1959 e Finestra con tenda rossa del 1960, oltre ad un’opera realizzata con matita, acquarello e china su carta dal titolo Due volti, del 1983, un’opera in china e acquarello stesi a pennello su carta intelata dal titolo I tetti di Roma, via Leonina, del 1961, e alcuni acquerelli su carta che ripercorrono il suo viaggio in Egitto (1959). «Opere scelte, circa trenta lavori, fra cui pezzi rari e preziosi, - ha commentato lo stesso Benvenuto - per meglio conoscere le diverse fasi della sua ricerca e la ricchezza tematica della sua pittura». In mostra, dipinti ad olio su tela, chine, tecniche miste e matite di ogni decennio e di ogni soggetto caro all’artista: intense nature morte, figure, luoghi quotidiani e moderne scene di genere. Ampio spazio è stato dedicato non solo a studi preparatori, ma

anche ad opere finite, parte di un preciso percorso di studio ed approfondimento. Buona parte della mostra è stata incentrata su una dimensione privata e intimista di Guttuso. Tra le chicche e perle curiose: rarissime chine raffiguranti la moglie ritratta dall'Artista durante i loro viaggi privati e i famosi nudi dedicati a Marta Marzotto. Per finire, opere della serie La Crocifissione ed una selezione di chine e disegni su carta, per analizzare i diversi approcci di Guttuso alla figura. Tra le opere ad olio anche una splendida opera dedicata all'eruzione dell'Etna pubblicata sul catalogo “Fondazione Pirelli” ed un suo autoritratto”.

“Renato Guttuso è un artista in aperto confronto con l’epoca in cui visse – sottolinea in una nota critica Giuseppe Marrone - e rimane impossibile poter cercare di limitare la potenzialità critica in una griglia che non tenga conto della complessità di un uomo che di questo confronto nutre il proprio senso morale esistenziale. La vita e la produzione artistica, assieme alle visioni ideologiche, sono un tutt’uno che si apre sul piano formale di contrasti necessari a fissare l’estensione della sua dimensione estetica. Guttuso sposa inizialmente un fauvismo coloratissimo, piano ed espressivo

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che ricorda Van Gogh e Sautine, per scegliere una dimensione spaziale più costruita, un colore “sonoro” e una disposizione complessa dove i piani si intrecciano a costruire “rifrazioni prismatiche” immerse in una prospettiva non tradizionale. Nel secondo dopoguerra, memore della propria giovinezza siciliana, e tenendo presente il

proprio impegno politico, aderisce alla definizione di arte dell’Internazionale comunista del ’48, che dichiara stile della rivoluzione il realismo socialista, che pure non annienta l’inquietudine della ricerca che si muove tra astrattismo e realismo.

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L’attrice Anne Proclemer nel 1946

anna Proclemer e vitaliano Brancati Giusy Gatti Perlangeli

La mia libertà era la sua disperazione

AMORI LETTERARI

«

M

i sei mancato ogni giorno. Ogni ora. Ogni mattina, quando aprivo il giornale… Adesso, quando apro il giornale o la TV (…) Mi manchi, Nuzzo. Mi manchi terribilmente». È il 1994, quarant’anni dopo la scomparsa del marito, la grande attrice Anna Proclemer gli scrive una “Lettera d’amore in ritardo” per dichiarargli un sentimento che non è morto con lui.

Lettere, Anna Proclemer.

«Mio padre era ingegnere, mia madre una casalinga inquieta con velleità artistoidi. Forse da lei ho ereditato il sacro fuoco dell’arte. Sin da bambina ero poco socievole, ma ho iniziato a fare la primadonna negli spettacolini all’asilo». Anna aveva letto “Don Giovanni in Sicilia” di nascosto dei genitori e quando vede Brancati per la prima volta, lo scrittore appare ai suoi occhi di “Lui” è Vitaliano Brancati, ragazza come «come un lo scrittore siciliano (era maturo signore ormai avvianato a Pachino il 24 luglio to alla vecchiaia». del 1907) autore de “Gli anni perduti”, “Don Giovan- Lui è gentile, la chiama ni in Sicilia”, “Paolo il cal- “signorina”. La invita al Teatro delle Arti ad assistere do”. alla rappresentazione dell’“Histoire du soldat” di È già famoso quando, a 34 anni, al Teatro dell’Univer- Igor Stravinski. La osserva sità di Roma, durante le pro- con intensità, è fortemente ve di “Nostra Dea” di Mas- attratto da lei. Lo colpiscono simo Bontempelli, alla fine le sue mani: le dita lunghe, del 1941, incontra la diciot- affusolate, da adolescente. tenne trentina studentessa di Si sente troppo vecchio per

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lei e questo pensiero, intrecciato col sentimento d’amore già sbocciato, gli occupa la mente e lo tiene lontano dalla scrittura sulla quale non riesce a concentrarsi. Pochi giorni dopo averla incontrata, non resiste a rivelarle per lettera due pensieri: «E il primo è che tu sei la più dolce, bella, intelligente, candida ragazza del mondo, e il secondo che sei tanto giovane e io no». La dichiarazione d’amore che si cela (neanche poi tanto) tra le righe, spiazza Anna che gli risponde con toni che marcano ancora di più la distanza che li separa. Nella lettera gli dà del “lei”: nel suo cuore c’è il teatro, dice, solo il teatro. Lo scrittore, deluso, strappa la lettera in mille pezzi: poi si pente, la ricompone con pazienza. Decide di non mollare. Le scrive con una frequenza quasi ossessiva. Nella Roma occupata dai nazisti, Anna si lega al regista Gerardo Guerrieri, ma la dedizione di Brancati l’ha colpita. «Vorrei piantare tutto – gli scrive – e rassegnarmi a fare la ragazza oca e civetta e basta. Mi è difficile saper guardare lontano». La corrispondenza, negli anni bui della guerra, non arriva sempre nelle mani di Anna: ma la lettera di Vitaliano, datata 31 dicembre, quella sì, arriva. Lui rievoca il loro primo incontro, fa leva sulla nostalgia che nasce per ciò che poteva essere ma non era stato; ricorda quella ragazzina vestita con gli abi-

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ti di scena che, durante le prove, sedeva in platea, tra le poltrone vuote. Lui avverte, sente che forse, se insiste, il muro che Anna ha eretto fra loro, può sgretolarsi, piano piano. Nell’agosto del 1945 Anna è in Sicilia, a Catania per girare il film di Giuseppe Amato “Malia”. «Rividi B. dopo più di due anni. Non ho più amato la Sicilia come in quei giorni. Anzi, in quelle notti». L’estate torrida della Sicilia la cattura; Catania “magica e astratta” la ammalia. Con Vitaliano compie lunghe passeggiate, incontra i suoi amici “straordinari personaggi di provincia pieni di manie, di tic”. Anna è affascinata da quell’uomo che le parla di Leopardi, di Keats, di Bellini e Chopin. Sa toccare le sue corde più profonde: le trasmette il suo entusiasmo, l’idea di una vita insieme. Anna non è insensibile a questa possibilità, tanto che quando, a ottobre, lascia la Sicilia, è “felicissima, infelicissima, confusa, turbata”. Lui le scrive immediatamente tutta la sua solitudine: «la più bella, la più nobile, la più dolce, la più intelligente e più sensibile ragazza del mondo» gli manca già terribilmente. «Nessuno ama la felicità quanto me e nessuno ne è meno adatto. Mi manchi in modo intollerabile». Anche Anna è presa da “Nuzzo”: «Lavora, promettimelo – gli scrive, temendo che il suo talento creativo risenta negativamente di quel sentimento – Pensa che mi farebbe soffrire il pensiero che anche una sola ora inconcludente tu passassi


Di collezione Lucio Sciacca - Lucio Sicacca, Catania anni trenta, Catania, Vito Cavallotto editore, 1983, p. 229., Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4800865

per causa mia». Lo stimola, lo spinge a sentire la scrittura come un mezzo per avvicinarli: «Lavora, e io lo sentirò e sarò accanto a te».

AMORI LETTERARI

A Brancati, tuttavia, non basta. È triste perché vorrebbe stringere forte Anna, baciarla appassionatamente “con una certa furia”, ma a lei quell’“acre esibizione di sofferenza” non piace: la trova addirittura patetica. «Ho bisogno di non pensarti anche per un’ora sola e non ci riesco» le scrive. Finalmente, nella primavera del ’46, Brancati raggiunge Anna a Roma: vuole sincerarsi dell’autenticità dei suoi sentimenti. Lei è stanca, il lavoro assorbe tutte le sue energie, ma la presenza dello scrittore dissolve ogni dubbio. L’idea di unire la propria vita a quella di un artista, «un artista vero, un uomo complesso, ambiguo, segreto, vulnerabile» la attira, pur nella consapevolezza che la strada da percorrere sarebbe stata «tutt'altro che armoniosa e riposante». La Proclemer si aggrappa all’amore di Brancati con tutta se stessa: il 22 luglio nella cripta della Chiesta di Piazza Euclide, ancora in costruzione, i due si sposano. Ha inizio la loro quotidianità. «La giornata era divisa in modo molto regolare – racconta l’attrice - Si

alzava abbastanza presto, leggeva i giornali, lavoricchiava. A mezzogiorno si andava a via Veneto dove ci si incontrava con gli amici: De Feo, Pannunzio, Patti, Talarico, il pittore Bartoli (…). Il pomeriggio lavorava. La sera, verso le 7, si tornava a via Veneto, da Rosati, alla libreria Rossetti, o si andava a piazza del Popolo. Generalmente si cenava con gli amici. Il nostro era un rapporto molto curioso e, in un certo senso, pericoloso, perché eravamo di una estrema educazione e... non so... diplomazia. Credo che fosse molto geloso, quando mi allontanavo. Ma non me lo disse mai. Cercavo di assentarmi il meno possibile. Ogni tanto mi chiamava il Piccolo di Milano e andavo: io ne ero felicissima; lui era infelicissimo». «Amore mio, Annina, pecorella»: quando è lontana Brancati la sommerge di lettere. Ma il 28 novembre è lui a ricevere il telegramma in cui Anna gli comunica di essere incinta. «Non esultai, confesso - ricorderà più tardi la Proclemer Avrei preferito aspettare un po’ (…). L’indipendenza economica è sempre stata per me una questione vitale. Non concepivo l’idea di farmi mantenere ora che ero sposata». Anzi, Anna vuole mettere un po’ di soldi da parte per pagarsi una balia e poi una governante dopo la nascita

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del bambino. Perciò continua a lavorare nel doppiaggio. Poche settimane prima del parto le offrono di doppiare Yvonne Sanson in un film con Amedeo Nazzari. Lei accetta: ogni turno dura cinque ore. Per oltre una settimana lavora per quindici ore al giorno, in piedi, col terrore di partorire lì, in sala doppiaggio. Il film termina il 4 maggio: due giorni dopo, il 6 maggio 1947 nasce Antonia. «B. ed io - scriverà la Proclemer - ci illudemmo di essere riusciti miracolosamente a evitarle di ereditare le nostre nevrastenie, ansie, depressioni, angosce». Un’illusione appunto, che non durerà che pochi anni ancora. Il 18 giugno 1953, Anna scrive al marito: «L'era della "pecorella" è finita. Mi sento molto più matura e sicura di me». Nonostante il matrimonio vacilli, alla fine di agosto i due coniugi cominciano ad arredare l’appartamento appena acquistato in via Fleming. Il teatro è vita per Anna che è spesso in tournée: «Ricordo un pomeriggio milanese. Una giornata d’inverno, grigia; una pioggia leggera. Mi fermai in mezzo a Piazza della Scala – ricorderà poi l’attrice, ricostruendo le tappe di quella crisi – il pensiero


del teatro che mi aspettava, del lavoro che amavo, mi invasero di un così forte senso di felicità, da sentirmene stordita. Durò un attimo. Ripiombai subito nel dedalo delle mie preoccupazioni per B. rimasto solo a Roma, e paragonai il mio stato di un attimo a quello che doveva essere il suo. La diversità dei nostri sentimenti mi sgomentò. Ciò che per lui era solitudine per me era libertà. Potevo fingere anche con me stessa che non fosse così, potevo vergognarmene o dolermene. La realtà rimaneva quella».

Anna. Non è così. Lei lo dice, lui non le crede. A quel punto, è costretta a mentire. Pur di essere lasciata libera, ammette sì, che c’è un altro.

«B. ne soffrì enormemente. Andai in un piccolo appartamento che era stato di mia nonna: una specie di cantina dalle parti di piazza Quadrata, dove mi sentivo terribilmente felice. Ci vedevamo, andavamo fuori con gli amici, a cena, lui veniva a casa mia, io andavo a casa sua a vedere nostra figlia che gli avevo lasciato, ma a volte tenevo con me. Non era stata una separazione Quel matrimonio, terrificante, non c’edopo sette anni, si sta rano interessi di avviando inesorabil- mezzo». mente alla sua conclusione. In una lunga intervi«Perché il rapporto si sta rilasciata al gioresaurì? – si chiede nalista Luigi Vaccari, dopo molti anni l’at- l’attrice riflette su trice - Ah, non lo so. quel rapporto a Non cambiò nulla: distanza di tanti anni: né in lui né in me. «Sarebbe stato un Avevo bisogno di amante straordinario. star sola: è una Mi sono sposata a 23 necessità ciclica». anni. Ero poco esperA trent’anni la Pro- ta. E per lui ero una clemer vuole capire donna un po’ angelidavvero chi è. Bran- cata. Mi aveva molto cati non comprende. idealizzata. Aveva un Lei cerca di spiegare, rispetto tale che limima non c’è molto da tava le effusioni: dire. Lui sospetta che aveva timore di consia entrato qualcun taminarmi. Sarebbe altro nella vita di potuta andare

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Anna Proclemer con la sua Alfa Romeo Giulietta Sprint nel 1955 Pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=1200690

fatto in due fasi. Il chirurgo decide di operare in un’unica seduta. Il suo cuore non regge. Vitaliano Brancati muore il 25 settembre del 1954, a quarantasette anni.

meglio, se non mi avesse considerata, o lo avesse fatto meno, una Madonna su un altare». Nonostante il matrimonio sia finito, Anna corre a Torino per assistere Nuzzo in ospedale: «Stemmo lì alcuni giorni perché doveva fare delle analisi. Dormii nella stessa camera, la sera prima dell’operazione». Un intervento “tranquillo” che doveva essere

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«Tu solo, con la tua intransigenza, con il tuo amore per la Ragione, con il tuo disgusto per il servilismo fanatico, tu solo avresti potuto aiutarmi a distinguere l'effimero dal permanente, la moda dalla necessità profonda, la vampata pittorescamente rivoluzionaria da un'autentica trasformazione della coscienza e della società. Da allora non ho cessato di rimpiangerti. Mi sei mancato ogni giorno. Ogni ora. Ogni mattina (…) A presto, mio carissimo Nuzzo. (…) Pensa come sarebbe bello se, accantonando per una volta le mie incredulità su un ‘al di là'

antropomorfico e individuale, io riuscissi a immaginare noi due come nella tua citazione shakesperiana in testa al primo capitolo del Bell’Antonio: "and away to Saint Peter for the heavens; he shows me where the bachelors sit, and there live we as merry as the day is long." …E via per i cieli a trovare San Pietro; egli ci mostrerà dove dimorano gli uomini liberi, e là noi vivremo, allegri, per l'eternità». tua Anna (Anna Proclemer a Vitaliano Brancati, 1994) Da donna libera, indipendente, magistrale interprete di Anna dei miracoli, La figlia di Jorio e Magnifica presenza, Anna Proclemer muore il 25 aprile del 2013 a 89 anni.


la stagione del Balletto del sud al teatro aPollo di lecce

Danza, musica, letteratura e arte, le coreografie di Fredy Franzutti

LECCE. Dopo il successo de Lo Schiaccianoci, il Balletto del Sud presenta al Teatro Apollo la nuova stagione con tre nuove produzioni e tanti artisti ospiti di rilevanza internazionale. Tutti gli spettacoli saranno eseguiti con la musica dal vivo dall'Orchestra di Stato Ungherese Alba Regia che grazie ad un progetto di abbinamento e cooperazione Europea (Austria, Italia, Ungheria) ha permesso la collaborazione duratura tra la compagnia di danza e l'orchestra (fino al 2022). Al via il 23 febbraio con Le Quattro Stagioni performance in due atti di teatro, musica e danza dedicata al poeta premio Pulitzer W. H. Auden, con l'attore Andrea Sirianni e le scenografie della pittrice Isabella Ducrot. Parola e danza nella novella di Luigi Pirandello, La giara, che andrà in scena il prossimo 3 marzo su musica di Alfredo Casella, e l’attore Sebastiano Lo Monaco nel ruolo del bisbetico Don Lollò e Andrea Sirianni in quello di Zi' Dima. Nei ruoli danzati interpretano quelli princpipali: Carlos Montalvan (don Lollò), Nuria Salado Fustè (la dolce Nela) e Ovidiu Iancu (Luigi, suo spasimente), primo ballerino dell'Opera di Bucarest ospite del Balletto del

Sud. Le scene sono di Ercole Pignatelli. La produzione gode del patrocinio del Comune di Agrigento ed è inserita nella programmazione ufficiale delle attività commemorative dei 150 anni dalla morte di Pirandello. Il 29, 30 e 31 marzo: Debutto della nuova produzione Le ultime parole di Cristo musica di Saverio Mercadante e testi di Jacopone da Todi e Maria Concetta Cataldo. Le scene sono di Francesco Palma. Nel ruolo di Maria, madre di Cristo, danza la stella della danza Luciana Savignano, in quello di Maria di Cleofa danza Nuria Salado Fustè e in quello di Maria Maddalena: Loredana Lecciso. Dal 1 al 6 maggio: la quarta edizione della Settimana della danza, organizzata in occasione della giornata mondiale della danza, il 29 aprile di ogni anno, istituita nel 1982 dal Comitato Internazionale della Danza – C.I.D. Matinée e repliche di due altre nuove produzioni della compagnia: il 3 e 5 maggio andrà in scena Serata Romantica danza e musica con la partecipazione del noto pianista Francesco Libetta e dei primi ballerini dell'Opera di Sofia: Katerina Petrova e Tsetso Ivanov. Le più belle pagine del repertorio ballettistico romantico (Giselle, La Silphide, Pas de quatre) intervallate dai brani di Chopin e le poesie di Leopardi. Infine il 4 e 6 maggio la nuova produzione L'àpres midi d’un faune in occasione dei 100 anni dalla morte del compositore Claude Debussy: un balletto in un atto con le scene tratte dai dipinti di Edoardo De Candia al quale lo spettacolo è dedicato. www.ballettodelsud.it

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i figli degli altri. liBro e diBattito sulla violenza

Martedì 20 febbraio alla Biblioteca Nazionale di Napoli incontro con la psicologa Rosetta Cappelluccio

NAPOLI. I figli degli altri, sei storie di minori abusati raccontate dalla psicologa Rosetta Cappelluccio. Il libro (Guida editori) sarà un’occasione di dibattito martedì 20 febbraio 2018 alle ore 17.00 alla Biblioteca Nazionale di Napoli con l’autrice, lo scrittore Mauro Giancaspro, la giornalista Bruna Varriale, il magistrato Alfredo Guardiano, segretario generale dell'Associazione “Astrea”, il direttore della Biblioteca, Francesco Mercurio Il libro nasce dall’urgenza di dare voce ai bambini vittime di violenza o abuso. Le storie inventate dalla Cappelluccio sono ispirate alle storie reali dei bambini violati, che non riescono a far sentire il loro grido d’aiuto ed ad esprimere la sofferenza in famiglia e nel sistema sociale. Nel volume i protagonisti sono i bambini con i loro drammi ed i loro conflitti, i luoghi sono le

mura domestiche, vissute non più come un ambiente sicuro, ma come una prigione piena di insidia. Gli imputati sono gli adulti, dagli abusatori che creano una relazione con il bambino per poi manipolarlo al fine di esercitare violenza, ai familiari, al contesto collettivo, che non prestano attenzione ai disperati segnali che i bambini in tutti modo lanciano. Famiglia, scuola, società allontanano da loro il problema, che avvertono come un elemento estraneo, riguardante “i figli degli altri”. La Cappelluccio denuncia quest'omertà che non ha connotazioni socio economiche o di istruzione, che si respira tra i palazzi grigi di alcuni quartieri degradati ma anche tra quelli medio alti, i racconti sono uno strumento per fare conoscere e sensibilizzare, ma innanzitutto per promuovere la cultura del diritto dei minori alla protezione dalla violenza.

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traiano. costruire l’imPero, creare l’euroPa Roma, Mercati di Traiano Museo dei Fori Imperiali fino al 16 settembre 2018 medioevo svelato storie dell'emilia-romagna attraverso l'archeologia a cura di Sauro Gelichi e Luigi Malnati Museo Civico Medievale, Bologna 17 febbraio - 17 giugno 2018 Inaugurazione venerdì 16 febbraio h 18.00 call for iolas’ house Acireale , Palazzo Costa Grimaldi Galleria Credito Siciliano Piazza Duomo, 12 25 Febbraio 2018 Orari e ingressi: da mercoledì a domenica 10.00 – 12.00 \ 17.00 – 20.00; ingresso libero tel. +39 095.600.208 a life: lawrence ferlinghettiBeat generation, ribellione, poesia 18 Febbraio 2018 Brescia, Museo di Santa Giulia http://www.bresciamusei.com revolutiJa da chagall a malevich da repin a Kandinsky MAMbo - Museo d'Arte Moderna Bologna, via Don Minzoni, 14 fino al 13 maggio 2018 arte riBelle. opere dalla collezione cesare marraccini Fano, Galleria Carifano, Palazzo Corbelli, Via Arco d’Augusto 47 fino al 25 Febbraio 2018 da martedì a sabato h. 17 – 20 chiuso domenica e lunedì,

rodin. un grande scultore al tempo di monet 24 Febbraio 2018 - 03 Giugno 2018 Treviso, Museo Santa Caterina Piazzetta Botter, 1 Mostra a cura di Marco Goldin Orario di apertura: da lunedì a giovedì: 9 - 18; da venerdì a domenica: 9 - 19. Aperture straordinarie: 29 marzo, 2, 3, 23, 24, 25, 26 e 30 aprile: 9 - 19; 1 maggio: 9-19 Tel. +39 0422 3095 la strage degli innocenti. manifesto del raffaellismo di guido reni Aosta, Museo Archeologico Regionale Piazza Roncas, 12 18 febbraio 2018 Orario: 9-19, tutti i giorni Ingresso: 6 euro intero, 4 euro ridotto; info: tel. 0165.275937 lotterie, lotto, slot machines. l’azzardo del sorteggio: storia dei giochi di fortuna fino al 18 Febbraio 2018 Treviso, spazi Bomben, Fondazione Benetton Studi Ricerche via Cornarotta 7, Treviso ingresso libero tel. 0422 5121 werner Bischof. Fotografie 19341954 Casa dei Tre Oci Venezia, Fondamenta delle Zitelle, 43 Giudecca fino al 25 febbraio Orari - Tutti i giorni 10 – 19; chiuso martedì. Infotel. +39 041 24 12 332 giusePPe mentessi (1857 - 1931). artista di sentimento Ferrara, Pinacoteca Nazionale di Ferrara - Palazzo dei Diamanti corso Ercole I d'Este, 21 10 marzo - 10 giugno 2018 Orari: da martedì a domenica, 10.00-17.30. Chiuso lunedì Ingresso: Intero: € 6,00; ridotto: € 3,00 Informazioni: Tel. 0532.205844

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oliviero toscani Più di cinQuant’anni di magnifici fallimenti Otranto (Lecce), Castello Aargonese 20 gennaio - 31 marzo 2018 Tutti i giorni, fino al 31 marzo 2018, dalle 10 alle 19. Biglietto d’ingresso mostra + castello 7,00 Euro, ridotto 5,00 Euro Picasso, de chirico, morandi, 100 capolavori del XiX e XX secolo dalle collezioni private bresciane Brescia, Palazzo Martinengo via dei Musei 30 fino al 10 giugno 2018 Orari: da mercoledì a venerdì, dalle 9.00 alle 17.30; sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 20.00 lunedì e martedì chiuso Aperture speciali: Pasqua, Pasquetta, 25 Aprile, 30 Aprile, 1 Maggio, 2 Giugno. Biglietti: intero 10 €. Info e prenotazioni: tel.380.4650533 da correggio a guercino. capolavori su carta della collezione dei duchi d’este Modena, Galleria Estense (largo Porta Sant'Agostino, 337) 17 febbraio – 13 maggio 2018 Informazioni: tel. +39 059 4395711 Orari: Lunedì chiuso. Dal martedì al sabato, 8.30-19.30. Domenica, 14.00-19.30. Prima domenica del mese ingresso gratuito, 8.30-19.30 Biglietti: intero € 6,00; ridotto € 3,00. Il biglietto consente la visita alla Galleria Estense www.gallerie-estensi.beniculturali.it sam havadtoy. noBody sees me liKe i do Monza, Villa Reale > Appartamenti Reali (Viale Brianza, 1) 20 febbraio – 22 aprile 2018 Orari: Martedì-domenica 10-19. Lunedì chiuso. La biglietteria chiude un’ora prima. Biglietto: intero: 10 euro Info e prenotazioni: tel.039.5783427 www.reggiadimonza.it

ITINER_ARTE...DOVE E QuANDO...

toulouse-lautrec il mondo fuggevole a cura di Danièle Devynck e Claudia Zevi Milano, Palazzo Reale fino al 18 febbraio 2018 Intero € 12. Tel. 02 54915


LuOGHI DEL SAPERE

il concilio di nicea ii, i vescovi e la difesa dell’icona nel saggio di antonio calisi

ANTONIO CALISI I difensori dell'icona. La partecipazione dei vescovi dell'Italia meridionale al Concilio di Nicea II (787) A.C. Edizioni 2017 pp.118 € 10,00

Nel saggio di Antonio Calisi, I difensori dell'icona. La partecipazione dei vescovi dell'Italia meridionale al Concilio di Nicea II (787) (AC editore, in vendita su Amazon), viene presentata in modo analitico la partecipazione dei vescovi dell’Italia meridionale al secondo Sinodo ecumenico tenutosi a Nicea nel 787. Le fonti storiche hanno registrato una grande partecipazione all’assise di vescovi che giunsero a Nicea dall’Italia meridionale, il che prova l’attenzione che vi era in questi luoghi, verso il culto delle icone e la salvaguardia della retta fede cristiana. Durante la crisi iconoclasta, gli iconofili – coloro che veneravano le sante icone – monaci e vescovi, fuggirono dalle loro terre a causa delle persecuzioni, per cercare rifugio in quelle regioni del Sud Italia, considerate periferia dell’impero bizantino. Convocati dal patriarca Tarasio e dall’imperatrice Irene, i vescovi dell’Italia meridionale divennero promotori di un Concilio ecumenico pronto a sanare le ferite che dividevano la Chiesa di Costantinopoli. La loro testimonianza fu ritenuta fondamentale e i loro interventi ebbero importante prestigio nello sviluppo degli argomenti sinodali. Testimoni credibili della fede appartenente a tutta la Chiesa, i vescovi dell’Italia meridionale manifestarono al Concilio la coscienza di riconoscersi uniti alla Chiesa di Roma e di Costantinopoli, per la qual cosa la loro opera fu fondamentale e decisiva. Il Concilio di Nicea II, l’ultimo dei sinodi ecumenici, espressione della fede comune della Chiesa d’Oriente e d’Occidente, può essere per i cristiani di oggi, esempio di concordia per la guarigione delle separazioni nella comunità dei credenti sul fondamento della comune Tradizione. I vescovi del Mezzogiorno d’Italia sono stati gli autorevoli esponenti di questo desiderio di comunione e difensori dell’unità. A tutt’oggi la presenza bizantina nell’Italia meridionale custodisce e coltiva ancora viva questa sua vocazione, quella di essere ponte tra Oriente e Occidente, punto di incontro tra la Chiesa Ortodossa e quella Cattolica, possibile strumento di riconciliazione tra i cristiani. Un libro che è un atto d’amore verso la ricerca della piena comunione tra le Chiese apostoliche. Antonio Calisi vive a Bari, con sua moglie Magda Pacillo, dove insegna Religione Cattolica al Liceo Classico Statale “Socrate”. È Dottore in Sacra Teologia, laureato in Scienze storico-religiose all’Università “La Sapienza” di Roma. Giornalista e direttore editoriale della testata “il Messaggero Italiano”. Maestro iconografo, dipinge icone secondo la tradizione bizantina che ha appreso dai suoi numerosi viaggi nei monasteri di Russia, Romania, Albania, Grecia e Monte Athos. Tra le sue pubblicazioni: Monachesimo ed iconoclastia. La partecipazione dei monaci al Concilio di Nicea II (787), Bari 2011; Teodoro Lo Studita, Antirrheticus Adversus Iconomachos. Confutazioni contro gli avversari delle sante icone, traduzione, introduzione e note a cura di Antonio Calisi, Chàrisma Edizioni, Bari, 2013; Lo Spirito Santo in Cirillo di Gerusalemme, Chàrisma Edizioni Bari 2013.

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grazie al crowdfunding le lezioni sulla mafia di giusePPe fava donati agli studenti siciliani Quando uno strumento innovativo come il crowdfunding incontra l’amore per la cultura della propria terra e il ricordo dei suoi uomini migliori, nascono iniziative che fanno de “I Siciliani” un popolo forte e generoso, che fa tesoro della memoria per consegnare al futuro lezioni morali e testimonianze di vita. La Fondazione Fava, da sempre attiva per tenere vivo il ricordo dello scrittore e giornalista catanese ucciso dalla mafia e per divulgare etica e legalità, dopo aver concluso con successo la campagna di raccolta fondi promossa sulla piattaforma www.laboriusa.it, donerà a sua volta ai giovani studenti dei licei siciliani 500 opuscoli cartacei che racchiudono l’ultimo discorso di Pippo Fava nelle scuole (il 22 dicembre 1983 a Palazzolo Acreide), poco prima di essere ucciso con cinque colpi di pistola davanti all’ingresso del Teatro Stabile di Catania. “La lezione sulla mafia” torna così a rivivere tra i banchi degli istituti che hanno aderito all’iniziativa. I libretti, stampati grazie alle donazioni (1.250 euro raccolti sul web) della #gentelaboriusa, saranno distribuiti nelle scuole superiori in cui i docenti si sono impegnati a svolgere con gli studenti un lavoro di approfondimento sul fenomeno mafioso. Il primo appuntamento si è tenuto giovedì 15 febbraio al liceo classico “Nicola Spedalieri” del capoluogo etneo (Piazza Annibale Riccò), alla presenza del presidente della Fondazione Fava Maria Teresa Ciancio, e della vicepresidente e nipote del giornalista Francesca Andreozzi. Obiettivo dell’incontro sensibilizzare e stimolare i ragazzi ad attualizzare i concetti approfonditi, riflettere sul valore della legalità e impegnarsi concretamente nella diffusione di una cultura dell’antimafia. Perché «se tutto quello che è accaduto negli ultimi cento anni, non è accaduto inutilmente, se la cultura ha valore, se il senso di libertà corrisponde veramente al senso di dignità dell’uomo, allora per Dio voi dovete lottare». Una lotta alla mafia e all’ingiustizia sociale che deve partire necessariamente dalle scuole, e che le stesse hanno il dovere morale di promuovere attraverso lezioni e appuntamenti formativi per gli studenti, affinché diventino un domani cittadini consapevoli. Promuovere la cultura della legalità attraverso la raccolta fondi “dal basso”, fenomeno sempre più attuale, ha permesso di individuare nell’attivismo della Fondazione Fava, una nuova Sicilia partecipativa, fatta di #gentelaboriusa che attraverso le donazioni si rende protagonista e promotrice di valori di giustizia sociale e libertà, con l’obiettivo di dare una nuova educazione ai giovani - destinatari prediletti di Fava - unici attori sociali a cui le istituzioni, attraverso la scuola, devono guardare per poter lottare contro gli atteggiamenti mafiosi. La Sicilia buona e coraggiosa, che investe in nuove forme di conoscenza condivisa e cultura partecipata, punta all’innovazione con il crowdfunding di Laboriusa - la piattaforma siciliana di crowdfunding ideata dalla giornalista Assia La Rosa e nata per sostenere progetti etici, civici e solidali - e alla diffusione di quei valori di legalità e riscatto etico e sociale che uomini come Giuseppe Fava, con una lotta convinta e appassionata, hanno portato avanti per tutta la vita.

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LuOGHI DEL SAPERE

le raPe di santino il noir enogastronomico di Pino de luca

PINO DE LuCA Le rape di Santino Il Raggio Verde 2018 pp. 112 978-88-99679-41-5 €12,00

Si intitola Le rape di Santino il noir enogastronomico che Pino De Luca firma per la collana I Racconti del Terroir che la casa editrice Il Raggio Verde apre per coniugare un genere letterario, il noir, e l’amore per il territorio. In copertina la bella immagine di Angelo Arcobelli, in arte WeA, che ha dato un volto al personaggio di Santino, professore di italiano, latino e greco separato dalla moglie che per scelta vive in una campagna del Salento. Amante della solitudine ma non troppo, Santino trascorre le sue giornate nella sua Villa curando solo gli ambienti del piacere – cucina, cantina, biblioteca, camera da letto e bagno - coltivando le sue rape, sfornando pane profumato e tanto altro può rendere buona la tavola. Santino, gourmet raffinato e altrettanto esperto culinario, ama cucinare per sé e per i suoi amici, abbinare i vini come il più preparato sommelier e ha un ineguagliabile fiuto investigativo. Non ha la tv né internet e alle diavolerie del web preferisce un buon libro, prediligendo Ovidio, Eschilo, Dante e Metastasio… la sua vita scorre tranquilla ma la notizia della morte di Menella, il suo primo amore, e l’arresto dell’amico Gigi, marito della donna, irrompe in un freddo venerdì di novembre e sconvolge il suo equilibrio esistenziale. Le apparenze lasciano presupporre un delitto passionale, ma sarà davvero così? E le rape, cosa c’entrano le rape con il misterioso assassinio di Menella? Avvincente, intrigante, divertente quanto basta; condito da un sottile vena di ironia che pervade le 112 pagine allertando tutti i sensi. Una scrittura fluida, colorata dall’uso del vernacolo salentino, un tessuto narrativo che si muove tra due registri – lo sviluppo del giallo da un lato e le ricette di Santino dall’altro - un libro ricco di colpi di scena e imprevedibile fino all’ultimo rigo. Ma cosa c’entrano le rape con il più ingarbugliato dei delitti? il noir di Pino De Luca, che potremmo definire non a caso enogastronomico e multisensoriale, accompagna il lettore alla scoperta dell’assassino ma anche di un “terroir” ,nell’accezione più ampia di territorio, fatto di profumi, gusti, emozioni per raccontare una storia dei nostri giorni insieme ad una galleria di personaggi verosimili in cui è possibile riconoscere tipologie e caratteri perché catturati dalla quotidianità. Quasi 60 primavere, una moglie e due figlie, tanti ricordi alle spalle e una seconda vita davanti . Pino De Luca è docente di Informatica all'Itis "E Fermi" di Lecce. Ha pubblicato "Regole e Diritti per essere cittadini" ed. Sapere 2000 (2005), on line, tanta roba che si può facilmente trovare tra le circa 1,5 milioni di referenze che produce Zio Google. Facendo attenzione a scansare quelle (circa 400000) di un eccellente artista e poche altre suddivise fra omonimi di varia umanità.

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Poi i racconti in opere a più mani e, per Kurumuni, collana di etnogastronomia, Per Canti e Cantine - viaggio enofonico nel Salento. Attualmente cura le rubriche di Birra e Distillati per Vinoway, scrive sulla rete e su qualche organo di stampa quando gli organi di stampa hanno qualche Euro da spendere. Della vita precedente conserva il motto "Nec Spe Nec Metu" continuando a pensare che ogni giorno che arriva è uguale a quello precedente e tocca a ciascuno renderlo migliore. Fra le cose più importanti: ha vinto il concorso di Cucina Dozzinale "Fornelli Indecisi" con i pomodori scattarisciati; ha abbracciato Edoardo Boncinelli e ha forato moltissimi palloni gonfiati. Fra quelle meno importanti: riesce a sopravvivere senza bisogno di alcuna divinità, nemmeno di quella più adorata di questi tempi. Coltiva una passione smodata per le persone per bene che spesso trova cercando persone per bere, senza distinzione di censo, razza, sesso o religione e ama fanaticamente la propria terra. Il libro sarà presentato in anteprima nazionale il 24 febbraio ore 18 a Lecce nella sala conferenze del Grand Hotel in viale Oronzo Quarta. Ingresso libero. ilraggioverdesrl.it

eterni secondi il nuovo romanzo di luca Bonaffini

LuCA BONAFFINI Eterni secondi 2017 Gilgamesh edizioni collana Anunnaki, pp. 120 ISBN 9788868672607 €15,00

"Eterni secondi” è un romanzo a tre tempi, ingannevole e mutante, strutturato come un lungometraggio a episodi degli anni ’70 e avente come filo conduttore il tempo e le sue avversità numeriche. Secondi si nasce, non si diventa e lo si resta per l’eternità, con tutti i vantaggi che offre la posizione “non illuminata” del non essere mai tra i primi. Cattivi romantici, L’internauta, La notte in cui spuntò la luna dal monte – scritti tra il 2011 e il 2017 – sono tre facce dello stesso orologio. Tre racconti apparentemente lontani, ma in realtà accomunati da quel romanticismo maldestro tipico della scrittura bonaffiniana e dei suoi personaggi spesso teneri, fastidiosi e surreali, che ritraggono le fragilità, la tenerezza e il cinismo della società contemporanea. E per un mantovano doc, gastronomicamente parlando, i “primi” di solito fanno la differenza…. Luca Bonaffini è nato a Mantova nel 1962. Compositore di musiche e autore di testi per canzoni, ha realizzato dodici album come cantautore e si è affermato intorno alla fine degli anni ‘80 come collaboratore fisso di Pierangelo Bertoli. Altri suoi brani sono stati interpretati da Patrizia Bulgari, Flavio Oreglio, Sergio Sgrilli, Fabio Concato, Nek, Claudio Lolli e ha scritto testi teatrali insieme a Enrico Ruggeri e Dario Gay. Nel 2015 Mario Bonanno ha pubblicato un librointervista dedicato ai suoi trent'anni di carriera, intitolato La protesta e l'amore. Conversazioni con Luca Bonaffini (Gilgamesh editrice). Insegna Storia della Popular Song presso Musica Insieme di Mantova e tiene seminari di alta formazione internazionale presso la Hope Music School.

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LuOGHI DEL SAPERE

DOVE TuTTO è A METà.IL LIBRO DI GIACOMO GENSINI E FEDERICO ZAMPAGLIONE, EDITO DA MONDADORI

GIACOMO GENSINI FEDERICO ZAMPAGLIONE Mondadori 2017 pp.318 €18,00 9788804674870

Un romanzo fresco, generoso e pieno di ritmo, che racconta l’amicizia, i sogni e le passioni di donne e uomini di generazioni diverse, disperatamente, come tutti, alla ricerca della felicità. Ecco Dove tutto è a metà, il libro scritto da Federico Zampaglione e Giacomo Gensini edito da Mondadori presentato nei giorni scorsi nel Salento, a Cavallino e a Poggiardo. Il Morrison Café è il tempio della scena musicale alternativa romana, e qui il giovedì sera suonano i Bangers, vent’anni e un rock “come un cielo sterminato e altissimo, bianco di nuvole trascinate via da un vento violento”. Lodo è il cantante. Grande talento e un’assodata allergia al palcoscenico, occhi azzurri magnetici e un’energia irrequieta che attende di potersi sprigionare, se solo lui sapesse come farlo. Lodo è innamorato di Giulia, una delle sue coinquiline, a Roma per studiare recitazione e cercare di sfondare come attrice, una ragazza intensa e carismatica che con la sua sola presenza è in grado di mandarlo in tilt e azzerargli i pensieri. Libero Ferri è un cantautore pop che un tempo riempiva gli stadi, ma dopo un paio di dischi sbagliati non riesce a venir fuori da un terribile blocco creativo. Il successo gli ha assicurato il benessere e una villa dotata di una sala d’incisione super accessoriata, in cui trascorre giornate frustranti a caccia di un’ispirazione che pare svanita. Accanto a lui Luna, la sua bellissima moglie, affermata press agent, sicura di sé, che da anni lo sostiene, ma che Libero teme di perdere, come ha perso il successo e la fama. Una ragione in più per cercare di mettere a segno il Grande Ritorno. Lodo sente che il mondo è là fuori, pronto a essere conquistato, ma talvolta gli sembra impossibile persino provarci. Vorrebbe essere più simile a Giulia, che affronta la grande città con coraggio, nonostante una famiglia lontana e ostile. Libero dal canto suo teme che il meglio per lui sia passato, ha bisogno di tornare a credere in ciò che fa, di ritrovare il se stesso di una volta. Luna invece vorrebbe spingerlo a vivere guardando avanti, magari mettendo al mondo un figlio. Strade che parrebbero destinate a non incontrarsi mai, quelle di Lodo e Libero, ma quando invece si incrociano, ecco scoccare la scintilla in grado di rimettere tutto in gioco. Tra amori e tradimenti, concerti travolgenti, party lussuosi, incomprensioni e riconciliazioni, successi, fallimenti e colpi di scena, i protagonisti si troveranno a fare i conti con i propri punti di forza e le fragilità, e a compiere scelte che condizioneranno le vite di tutti. Coniugando talenti e temperamenti in una jam session inattesa e sorprendente, Federico Zampaglione e Giacomo Gensini danno vita a un romanzo fresco, generoso e pieno di ritmo, che racconta l’amicizia, i sogni e le passioni di donne e uomini di generazioni diverse, disperatamente, come tutti, alla ricerca della felicità.

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LA GuERRA DEI LIKE DI ALESSIA CRuCIANI uN LIBRO CONTRO IL BuLLISMO

ALESSIA CRuCIANI La guerra dei like Il battello al vapore 2018 pp240 15€

Presentato al pubblico in occasione della 2° Giornata Nazionale contro il Bullismo ed il Cyberbullismo, La guerra dei like della scrittrice e giornalista Alessia Cruciani, edito da “Il battello a vapore”, racconta due casi paralleli di bullismo e cyberbullismo nelle classi terze di una scuola secondaria di primo grado. L’idea di questo romanzo è nata da una considerazione sullo smartphone. È un oggetto fantastico, permette a tutti noi di fare cose impensabili fino a pochi anni fa. Ma lo smartphone è anche un oggetto potente e, se usato male, può trasformarsi addirittura in un’arma letale. Ai ragazzi ormai viene spiegato in mille modi. Ma che barba sentirsi fare i predicozzi dai genitori a casa! Per non parlare di quelli dei professori a scuola... Ci vorrebbe un altro modo per far capire ai giovanissimi come evitare i guai. Un modo efficace ma appassionante allo stesso tempo e, perché no?, magari anche divertente. Ne La guerra dei like un narratore misterioso – sempre presente sulla scena accanto ai protagonisti – racconta le vicende di due amici, Cristiana e Ruggero, 13enni che frequentano la stessa scuola ma non la stessa classe. Lei sogna di fare la ballerina alla Scala, lui è un tifoso scatenato dell’Inter. Lei è molto carina e piace parecchio ai ragazzi (facendo ingelosire le invidiose compagne), lui è bassino, sempre vestito di nero ed è il più bravo della classe (infastidendo quelli con poca voglia di studiare). È un attimo e Cristiana e Ruggero diventano bersaglio dei bulli che il narratore misterioso non chiama mai con il proprio nome, ma solo con dei nickname che li definiscono correttamente (Divina Faina, Wrestler, Moviola, Never Repper…). Lo stesso trattamento è riservato a genitori e professori (Mamma Ologramma, La Sconnessa, Lo sceriffo, La Bussola…) e ai compagni (Justin Bomber, l’Amica Allergica...). Quali sono le regole del gioco in questa situazione? Denunciare i bulli chiedendo aiuto agli adulti oppure provare a farsi accettare da chi ti tortura? Fidarsi dei genitori o cercare di diventare più “popolari” a suon di like su Instagram? In un mondo in cui i giovanissimi sognano di diventare youtuber, interviene proprio uno di loro per dare una mano. Perché certe prediche si ascoltano più volentieri se fatte dai propri idoli. Basterà l’intervento di Daniele Doesn’t Matter? E a chi appartiene la voce che racconta la storia? Alessia Cruciani è nata a Roma nel 1971, ha iniziato ad andare a scuola nello stesso giorno in cui ha iniziato a frequentare la scuola di danza e ha smesso di ballare nello stesso anno in cui si è laureata in Lettere. Nel 2003 si è trasferita a Milano per lavorare alla Gazzetta dello Sport come inviata ai GP di Formula 1 e del Motomondiale. Per il Battello a Vapore ha pubblicato, a quattro mani con Luigi Garlando, Un leone su due ruote e, con Nicole Orlando, Vietato dire non ce la faccio. Ed è stato in occasione di quest’ultimo libro a Campi Salentina duranre “La città del libro” che la scrittrice ha conosciuto i ragazzi di Mabasta, il primo movimento anti bullismo animato da studenti e nato tra i banchi di scuola dell'Istituto Galiliei - Costa di Lecce il 7 febbraio 2016. Un movimento nato dal basso coinvolgendo tutti i giovani per fermare il bulllismo. (www.mabasta.org)

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Il ritratto di Antonio Verri a firma dell’artista Edoardo De Candia

antonio leonardo verri caPrarica ricorda il suo scrittore

Il 22 febbraio 2018, sarà presentata la seconda edizione del concorso Il “Naviglio innocente” e il progetto Biblioteca di Cortile e di campagna. A seguire il concerto recital e la mostra fotografica di Fernando Bevilacqua

CAPRARICA (LECCE). Era nato a Caprarica il 22 febbraio di sessantanove anni fa Antonio Leonardo Verri. Scrittore, giornalista, operatore culturale, è stato uno degli intellettuali salentini più importanti e prolifici nel periodo compreso fra i tardi anni Settanta e i primi Novanta del Novecento. La sua opera è attualmente al centro di una riscoperta che coinvolge non solo docenti e ricercatori universitari interessati ad avviare un processo di adeguata sistemazione critica, ma anche scrittori, artisti e critici militanti che gli hanno reso omaggio attraverso incontri, dibattiti, letture pubbliche di testi anche

inediti, spettacoli teatrali ispirati dalle sue opere, mostre, ecc. Verri, attraverso la frenetica sperimentazione stilistica che caratterizza le sue opere e il dibattito da lui stimolato nelle numerose riviste di cui fu promotore, è stato il primo scrittore a introdurre nella letteratura salentina le istanze del postmodernismo su cui ci si iniziava a confrontare a livello nazionale e internazionale, con l’evidente obiettivo di aggiornare e di far interagire la nostra tradizione letteraria con i più vitali fermenti culturali dell’epoca. - scrive Mauro Marino presidente dell’associazione culturale Fondo Verri che da sempre si occupa

divulgare il pensiero e la intensa attività letteraria dello scrittore di Caprarica. Un’attività caratterizzata, inoltre, dalla costante valorizzazione della cultura locale, sia attraverso l’infaticabile promozione di artisti salentini – scrittori, pittori, musicisti già noti o emergenti – sia attraverso lo studio di vicende e fenomeni caratteristici della nostra storia e del nostro patrimonio culturale. Il 9 maggio del 1993, un incidente stradale lo tolse alla vita e alla sua famiglia e ai suoi tanti sodali, divenuti orfani di quel Naviglio che tutto poteva contenere. La ricorrenza del suo compleanno diventa per l’Amministrazio-

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ne Comunale di Caprarica, guidata dal sindaco Paolo Greco, e per la stessa associazione Fondo Verri un ulteriore occasione per ricordarlo. Al mattino sarà presentato nelle Scuole di Caprarica la seconda edizione di "Fogli di poesia per Antonio L. Verri” il concorso rivolto agli alunni delle Scuole Primarie (Classi IV e V) e Secondarie di primo grado della Provincia di Lecce. Il titolo della seconda edizione “Il naviglio innocente” cita un’opera fondamentale del poeta salentino, aggiunge lo stesso Marino. Il naviglio è per Antonio Verri una figura retorica, una metafora della letteratura: la grande nave che come un’Arca biblica porta in salvo le parole, i libri, i generi letterari, le esperienze autoriali. La finalità è quella di condividere con le generazioni più giovani la riflessione sul-

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l'importanza della poesia e della cultura nelle relazioni umane e su come il rapporto con la scrittura e con il libro abbiano nel corso del tempo creato i presupposti per la crescita delle comunità umane. La poesia e la cultura sono l’essenza della Storia, sono coinvolte con la vita e sarà dunque la vita con la sua complessità il tema su cui i ragazzi e le ragazze saranno chiamati a confrontarsi con i loro testi stimolando la loro sensibilità verso forme di solidarietà attiva e creativa. Nella serata dalle 18.30, nella Sala “A. Verri” nei Giardini Antonio Montinaro, la presentazione del progetto per la “Biblioteca di Cortile e di Campagna”, vincitore del Bando “Puglia Community Library”, alla presenza di Loredana Capone, Assessore all’ Industria turistica e culturale alla Gestione e valorizzazione dei beni culturali della

Regione Puglia e dei partner del progetto. A seguire: i poeti e gli amici renderanno omaggio con letture e testimonianze a Antonio L. Verri; il concerto-recital “Il Naviglio Innocente” per le voci di Piero Rapanà, Simone Giorgino, Renato Grilli e le musiche di Emmanuel Ferrari. Chiuderà la serata il concerto di Les Trois Lezard con Roberto Chiga percussioni, Giovanni Chirico sax e Emmanuel Ferrari fisarmonica. In mostra le opere di Lucio Conversano e le fotografie di Fernando Bevilacqua. L’omaggio a Verri è realizzato dall’Amministrazione Comunale di Caprarica con l’Associazione Culturale Fondo Verri in collaborazione con Associazione Nazionale Città del Libro, Associazione Culturale Terra Mia, Associazione Culturale VivArch.


Al centro la cantante Sara Jane Morris (fonte: sito ufficiale dell’artista); la cantante Dee Dee Bridgewater

rudiae international music festival al teatro aPollo di lecce

Dal 24 febbraio al 7 maggio in arrivo Sarah Jane Morris e Mario Rosini, Mike Stern, James Taylor Quartet e Dee Dee Bridgewater

LECCE. Rudiae International Music Festival. Tutto pronto per la prima edizione che dal 24 febbraio al 7 maggio farà salire sul palco del Teatro Apollo di Lecce Sarah Jane Morris e Mario Rosini (24 febbraio), Mike Stern (17 marzo), James Taylor Quartet (15 aprile) e Dee Dee Bridgewater (7 maggio). Il Festival nasce dell'incontro artistico della MAXIMAorchestra con il violinista e compositore salentino Alessandro Quarta che firma la direzione artistica e musicale della kermesse che parte alla grande con quattro imperdibili appuntamenti. Si parte dunque sabato 24 febbraio (ore 21 - ingresso dai 18 ai 30 euro) con la cantante inglese Sarah Jane Morris, il pianista e cantante Mario Rosini, il chitarrista Tony Remy e la MAXIMAorchestra. Classe 1959, Sara Jane Morris inizia la sua carriera nei primi anni '80, frequentando anche gli ambienti musicali italiani. Nel 1986 duetta con Jimmy Somerville nel brano Don't Leave Me This Way dell'album d'esordio dei Communards. Come solista ha registrato numerosi album e si

è esibita in giro per il mondo. Nel 1991 ha collaborato all'opera rock The Fall of the House of Usher di Peter Hammill (musica) e Judge Smith (libretto). Vanta varie partecipazioni al Festival di Sanremo in coppia con Riccardo Fogli, Riccardo Cocciante (vincitrice con Se stiamo insieme) e Simona Bencini (Dirotta Su Cuba). Mario Rosini, pugliese, è un cantante, pianista, compositore molto duttile. Nel 2004 ha conquistato il secondo posto a Sanremo ma il suo repertorio spazia tra pop, funk, hip Hop, jazz, new age e musica sacra. Nel corso degli anni ha collaborato, tra gli altri, con Rossana Casale, Mick Goodrick, Anna Oxa, Grazia Di Michele, Mia Martini, Edoardo De Crescenzo, Gino Vannelli, Irene Grandi, Alex Britti, Dirotta Su Cuba e Tosca. Dal 2008 ricopre la carica di Presidente della Commissione artistica dell’ambito Premio Mia Martini. Attualmente è docente della cattedra di Canto Jazz al Conservatorio “Egidio Romualdo Duni” di Matera. Ospite della serata di sabato 17 marzo (ore 21 - ingresso dai 18 ai 30

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euro) sarà il chitarrista e compositore statunitense Mike Stern, con la MAXIMAorchestra. Classe 1953, cresciuto a Washington, ha studiato al Berklee College of Music di Boston, dove conosce Pat Metheny e Mick Goodrick. Nel corso della sua lunga carriera ha collaborato, tra gli altri, con Blood Sweet & Tear, Miles Davis, Jaco Pastorius, Bob Berg, Dave Weckl, David Sanborn, Randy Brecker, Chris Minh Doky, Steve Vai, Eric Johnson, Lenny White, Teymur Phell incidendo numerosi lavori discografici, esibendosi in giro

per il mondo e guadagnano varie nomination ai Grammy Award. Nel 2008 ha fondato la Mike Stern Band con Randy Brecker, Dave Weckl & Chris Minh Doky. Domenica 15 aprile (ore 21 ingresso dai 18 ai 30 euro) sul palco del Teatro Apollo approderà, insieme alla MAXIMAorchestra, il James Taylor Quartet che, con oltre 30 anni di attività alle spalle, è considerato uno dei gruppi che ha definito il genere acid jazz. La loro proposta è una miscela esplosiva di Soul, Funk, Jazz, Spy Movies, R’n’B, il tutto capitanato dallo splendido suono dell'organo Hammond di Taylor. Negli anni ottanta, in particolar modo, la band si è fatta conoscere grazie alla versione di The Theme from Starsy and Hutch che l’ha portata a colle-

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zionare le più svariate partecipazioni ai dischi di artisti del calibro di U2, Pogues, Manic Street Preachers,Tom Jones e Tina Turner fino ad arrivare alla colonna sonora del film Austin Powers. Lunedì 7 maggio (ore 21 ingresso da 25 a 40 euro) la prima edizione del Festival si concluderà con la cantante statunitense Dee Dee Bridgewater, considerata una delle poche eredi delle grandi voci femminili del jazz, insieme alla MAXIMAorchestra. Classe 1950, mei primi anni ’70 collabora con l’orchestra di Thad Jones/Mel Lewis e con grandi artisti come Dexter Gordon, Dizzy Gillespie, Max Roach e Sonny Rollins. Negli stessi anni la Bridgewater è nel cast del musical The Wiz. Dopo essersi trasferita


Il musicista James Taylo; in basso il musicista Mike Stern

eclettica formazione composta da 30 musicisti pugliesi, che vanta numerose esibizioni in prestigiosi Teatri nazionali con eccellenti musicisti e con una formula innovativa e originale che, con i propri arrangiamenti inediti, hanno sempre entusiasmato il pubblico trasferendo emozioni e coinvolgimento. Il RIMF 2018 è organizzato e prodotto dall’Associazione Club delle Idee, con la sovraintendenza di Paolo Tittozzi, in collaborazione con Regione Puglia (Assessorato al Mediterraneo, Cultura e Turismo), Comune di Lecce (Assessorato Cultura, Turismo e Spettacolo) e con il sostegno di numerosi partner privati. I biglietti e gli in Francia all’inizio degli anni ’80, le viene ricoabbonamenti sono disponibili on line e in tutte le nosciuto grande talento sia da parte del pubblico che della critica. Una delle sue canzoni più famo- rivendite del circuito BookingShow. se è Till The Next Somewhere (Precious Thing), interpretata in duetto con Ray Charles. Nel 1990 la cantante vince il Festival di Sanremo dove si Info e prenotazioni biglietti e abbonamenti esibisce con Angel Of The Night (versione ingle- 3385966934 se di “Uomini soli” dei Pooh). Nel 1991 propone Biglietteria on line ed elenco punti vendita - fuori gara - Just Tell Me Why, versione in ingle- www.bookingshow.it se del brano Perché lo fai, che vale il terzo posto a Marco Masini. Dopo cinque anni lontana dagli studi di registrazione la vocalist torna con un nuovo album Feathers che vuole ricordare il decimo anniversario della devastazione di New Orleans a causa dell’uragano Katrina. Il M° Alessandro Quarta ha studiato con Salvatore Accardo, Abraham Stern, Zinaida Gilels e Pavel Vernikov, ereditando dai suoi maestri la più grande tradizione violinistica classica. È poi maturato alla luce delle sue molte incursioni in territorio blues, soul e pop, fino a diventare il musicista non convenzionale che conosciamo oggi. Numerose le sue collaborazioni (Aretha Franklin, Ray Charles, Jamiroquai, James Brown, Carlos Santana, Tina Turner, Tom Jones, Joe Cocker, Lenny Kravitz, Jovanotti, Lucio Dalla per citarne alcune) e le sue esibizioni in Italia e all’estero. Il progetto che lo porta in giro per il mondo è sicuramente quello che ha arrangiato e interpretato su “Astor Piazzolla”. Il “musical genius”, come lo ha definito la tv statunitense Cnn, da pochi mesi dirige la MAXIMAorchestra,

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Il regista Piero Cannizzaro e lo storico Mario Cazzato e l’operatore francese Stèphane Vaillant Sotto l’artista Agrippino Costa

“ossigeno” in francia il docufilm di Piero cannizzaro

Martedì 20 febbraio a Parigi proiezione alla Maison d’Italie del docufilm sulla vita di Agrippino Costa. Presente il regista e lo scrittore Erri De Luca

Nei giorni scorsi è andato in onda sul canale francese Arte tv, che lo ha commissionato, Les Pouilles, une symphonie baroque ovvero la Puglia una sinfonia barocca, il documentario girato in settembre dal regista milanese Piero Cannizzaro. Tredici minuti di bellezza, di riprese spettacolari, anche dall’alto con l’ausilio di un drone, che restituiscono le immagini di un itinerario che si muove tra arte e storia. Dalla chiesa di San Matteo, esplorando il centro storico di Lecce, accompagnato dallo storico e architetto Mario Cazzato passando per piazza Duomo e lo straordinario complesso dei Celestini fino a catturare le meravigliose architetture di alcuni dei palazzi nobiliari più belli come Palazzo Turrisi e Palazzo Adorno. Non solo un itinerario nell’arte barocca ma anche un viaggio alla scoperta delle eccellenze come l’antica arte della cartapesta raccontata e svelata entrando nel laboratorio di Mario Di Donfrancesco. Un excursus nella provincia, Nardò e Maglie, tra le cave di pietra da cui proviene la pietra leccese spiegata dallo scultore Renzo Buttazzo per poi giungere infine a Gallipoli, la perla dello Ionio, sulle note della musica barocca che si fonde con la taranta. Un “invitation au voyage” che inserisce il Salento tra le mete più ambite e che è possibile visionare sul sito dell’emittente francese. E martedì 20 febbraio (ore 18) ancora in Francia e per la precisione alla alla Maison d'Italie di Parigi, al numero 7a del Boulevard Jourdan, alla presenza dello scrittore Erri de Luca, sarà proiettato “Ossigeno” un docufilm di Piero Cannizzaro sulla vita a dir poco rocambolesca e l’arte di Agrippino Costa, girato nel 2013. Siciliano di nascita, trasferitosi poi a Torino con la famiglia e giunto, dopo

vent’anni di prigione in Puglia, Agrippino Costa ex brigatista e militante dei NAP, ha continuato a coltivare la passione per l’arte. Nel documentario Agrippino racconta se stesso, i furti, il carcere e, soprattutto, la rinascita che passa attraverso la pittura, la poesia e la donna che gli ha dato “l’ossigeno” necessario per soffocare la rabbia.

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Particolare dell’affresco del Teatro “Giuseppe Mazzini”, tratto dal cortometraggio C’era una volta un teatro del regista Anton Giulio Onofri che si ringrazia per la gentile concessione.

c’era una volta un teatro a castiglione di ravenna Antonietta Fulvio

Il video girato dal regista Anton Giulio Onofri documenta lo stato di abbandono del Teatro “Giuseppe Mazzini”. Costruito nel 1913 vide sul palco anche il famoso soprano Lina Pagliughi

L

«

’indimenticabile M a r c e l l o Mastroianni asseriva “Il teatro è un tempio, un tempio dove non entra mai il sole. Si lavora sempre con poca luce, nel silenzio più assoluto; il testo va rispettato nelle sue virgole, va approfondito, perché tutto è nella parola». Già la parola, suono quasi magico capace di mettere in relazione le persone ancor oggi più che mai nel tempo dei social e dei pensieri che si rincorrono nel web. Ed è nel mio girovagar da internauta che mi sono imbattuta nel bellissimo

video realizzato dal cineasta e regista Anton Giulio Onofri che ha firmato un’altra delle sue perle documentarie, C’era una volta un teatro, dedicato al teatro “Giuseppe Mazzini” di Castiglione di Ravenna. Un teatro da tempo, troppo tempo, privato delle parole, avvolto nel buio e nell’oblio. Fotogramma dopo fotogramma, si entra in punta di piedi negli spazi di uno dei più bei teatri sociali d’Italia. Lo racconta nel video Luigi Natale Casadio, memoria storica del Teatro Mazzini «proprietà dell’omonima cooperati-

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Ah come poco indovinano gli uomini le condizioni dell’anima altrui, se non la illuminano — ed è raro — coi getti d’un amore profondo!

Giuseppe Mazzini

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In queste pagine alcuni fotogrammi tratti dal cortometraggio C’era una volta un teatro del regista Anton Giulio Onofri che si ringrazia per la gentile concessione.

Luigi Natale Casadio, memoria storica del Teatro “Giuseppe Mazzini” di Castiglione di Ravenna

va del Partito Repubblicano che una volta era, almeno nel comune di Ravenna, una forza che aveva il 22%». È il 22 agosto 1910 quando la Società Affratellate di Castiglione acquista dal Conte Carlo Rasponi per poco più di quattromila lire il terreno per costruire la sua Casa Repubblicana. Quando la cooperativa Muratori di Ravenna terminò la costruzione l’investimento fu pari a 60.423,35 lire. Una somma notevole che si raggiunse grazie alla Società democratica “Pensiero e Azione”, al circolo giovanile

“Ciceruacchio” che unirono le forze per dar vita alla vera casa del popolo che doveva servire da strumento di emancipazione sociale e culturale per le classi sociali più deboli. A lavori ultimati, la casa repubblicana realizzata secondo gli stilemi del Liberty era così strutturata: due sale al piano terra, il bar Osteria e al primo piano due camere adibite per la segreteria e le assemblee degli associati. Ma il vero gioiello fu il Teatro costruito nel 1913, qualcosa di miracoloso considerato che all’epoca a Castiglione erano

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In queste pagine alcuni fotogrammi tratti dal cortometraggio C’era una volta un teatro del regista Anton Giulio Onofri che si ringrazia per la gentile concessione.

quasi tutti braccianti. E che teatro. Furono chieste le consulenze del prof. Buscaroli di Firenze e del prof Enrico Tabanelli dell’Orchestra della Scala di Milano, padre del dr Sigfrido Tabanelli, entrambi ferventi mazziniani. Ed è ancor oggi in ottimo stato l’affresco del volto di Giuseppe Mazzini racchiuso nel berretto frigio simbolo di libertà e icona della Repubblica Romana del 1849 -

spiega Graziella Gardini Pasini titolare e curatrice del Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi di Ravenna. Ed è davvero incredibile la storia di questo teatro che vide esibirsi sul suo palco tra le più importanti voci ed orchestre anche il celebre soprano Lina Pagliughi. «Per l’inaugurazione fu messa in scena l’opera Madama Butterfly e nel ruolo del figlioletto fu scelto Mino Andreucci

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un bambino di Castiglione» ricorda ancora Luigi ripercorrendo, andando a ritroso, i tempi gloriosi del Teatro. Mentre scorrono le immagini che con delicatezza scrutano gli angoli anche più nascosti, rivelando purtroppo lo stato d’abbandono e l’incuria, non è difficile immaginare quanta bellezza sia appartenuta a questo teatro, con un palcoscenico dalle dimensioni importanti e la platea con due

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ordini di posti, tra galleria e loggione. Visioni che mostrano ferite. Ne aprono di nuove. Le voci struggenti e cristalline delle musiciste Matilde e Celeste Pirazzini risuonano tra le pareti di un palco su cui sembra essere calato inesorabilmente il sipario. Nel salone del Teatro - racconta ancora Luigi - si svolgevano feste danzanti una su tutte la Faraonica con le orchestre sistemate sul log-


In queste pagine alcuni fotogrammi tratti dal cortometraggio C’era una volta un teatro del regista Anton Giulio Onofri che si ringrazia per la gentile concessione.

gione. La gente dai paesi limitrofi e anche dalle vicine Ravenna, Cesena, Forlì e Cervia veniva a Castiglione per seguire gli spettacoli. Poi i fascisti lo requisirono e lo trasformarono nella casa del Fascio. Un incendio doloso distrusse il Loggione come testimoniato dalle capriate

ancora uste, ma al termine del conflitto mondiale, il teatro ritornò ai suoi legittimi proprietari che pensarono di installare la sala per la proiezione cinematografica realizzando perciò un piano ammezzato a gradoni digradanti dal loggione alla galleria che si estendeva fino a metà della platea,

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per recuperare alcune decine di poltroncine. Quasi da copione. Come raccontato nel film “Splendor” di Ettore Scola con Marcello Mastroianni e Massimo Troisi. Fu l’inizio della fine. Fu come snaturare il teatro oltre che comprometterne l’acustica. Ma fino alla metà degli anni Settanta si svolsero recite, feste ed eventi musicali come quello dei Casadei che ogni anno - rammenta Luigi - veniva al Mazzini per il concerto della Befana. Poi le luci si sono spente. Il silenzio regna sovrano. Come l’indifferenza degli uomini che lascia andare a pezzi un luogo che incarna l’identità culturale e sociale di una comunità. Una comunità che potrebbe solo beneficiare dalla rinascita del teatro Mazzini, a cominciare dalle scuole con gli irrisolti problemi di spazi e di strutture costrette a utilizzare le palestre per le attività culturali, dalle conferenze ai saggi di fine anno, come spiega Anna Rusticali docente di Matematica e Scienze alla Scuola Media “Goffredo Zignani” di Castiglione. Sarebbe

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La foto di Palazzo Grossi Rasponi, edificato nel 1560-65, è di Luigi Casadio

Matilde e Celeste Pirazzini, musiciste di Castiglione di Ravenna, foto del regista Anton Giulio Onofri

bello poter restituire alla comunità il teatro pensando ad un idea di scuola diffusa sul territorio. Fa male dover ammettere che erano di gran lunga più lungimiranti gli uomini di cento anni fa che avevano capito l’importanza di una crescita sociale che non può non passare dalla Cultura. Purtroppo oggi la si considera solo una voce di bilancio da depennare in tempi di crisi economica, ma finché non la si considererà un investimento a tutti gli effetti ci saranno luoghi come il “Mazzini” che progressivamente perderanno pezzi e rischieranno di essere dimenticati, trasformati all’occorrenza in depositi polverosi, in attesa magari di una demolizione per lasciar posto al supermercato, al residence o alla sala bingo di turno come è accaduto con il Teatro Ariston a Lecce dove la storia sta per ripetersi con il Cinema Santalucia, purtroppo, dimostrando come questo sia un male comune da Nord a Sud. In occasione del centenario della costruzione del circolo repubblicano di Castiglione di Ravenna, nel novembre del 2011, si è ricominciato a parlare del

destino del teatro. Un fuoco di paglia. Oggi un vincolo importantissimo della Sovrintendenza delle Belle Arti di Ravenna vieta un qualsiasi intervento all'interno della preziosa struttura che meriterebbe l’attenzione e soprattutto di rinascere grazie magari alla sensibilità di sponsor e di animi sensibili che possano prendersi cura di questo luogo. Magari lanciando, perché no, una campagna di crowdfunding per la rinascita del “Teatro Mazzini”, un tam tam virtuale che veda coinvolte le tante comunità dell’entroterra romagnolo e quanti credano che l’amore per l’arte e per la propria terra possa compiere un nuovo miracolo. Il miracolo di strappare all’oblio un pezzo di Memoria e di Storia che può rappresentare anche la rinascita dell’intero paese di Castiglione di Ravenna.

Per chiunque lo volesse visionare, il documentario del regista Anton Giulio Onofri è all’indirizzo: https://vimeo.com/177825261

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Il tenore Marco Ciaponi, vincitore del concorso “Riccardo Zandonai” a Riva del Garda

marco ciaponi, il tenore dell’isola d’elba che si ispira a pavarotti Antonietta Fulvio

Dopo aver vinto i concorsi Flaviano Labò, le Voci Verdiane e Operalia, il tenore si prepara a debuttare al Teatro San Carlo di Napoli. Una vita nel segno del belcanto. Un dono, una passione, ma anche tanto studio e sacrificio

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u a Lecce il 3 febbraio dello scorso anno, in occasione dell’inaugurazione del Teatro Apollo, protagonista con il soprano Cinzia Forte di uno spettacolo straordinario sotto la direzione artistica di Katia Ricciarelli. E che il tenore toscano Marco Ciaponi sia un astro nascente della lirica lo attestano le brillanti interpretazioni e le vittorie dei concorsi “Flaviano Labò” di Piacenza e del Concorso Internazionale “Voci Verdiane” di Busseto nel 2015 alle quali si aggiunge nel 2017, il premio “Pepita Embil” per la zarzuela al prestigioso Concorso internazionale “Operalia” ad Astana, guidato da Placido Domingo. Nato a Barga in provincia di Lucca nel 1989, ma residente nell’isola D’Elba, Marco Ciaponi inizia giovanissimo la sua formazione con il tenore Giuseppe Sabbatini e poi all’Accademia Internazionale del Bel Canto di Modena. Oggi vive a Modena e continua a specializzarsi sotto la guida del soprano Cinzia Forte e a dar prova di una crescente

maturità artistica unita alla bellezza e alla limpidezza di una voce che incanta. Come è accaduto al Municipale di Piacenza lo scorso 3 febbraio quando ha vestito i panni del Tinca (Il Tabarro) e di Rinuccio (“Gianni Schicchi”). Ripercorriamo insieme il tuo percorso artistico. Come è stato il tuo primo incontro con la musica? Beh, il mio incontro è stato uno scontro nel senso che all’età di nove anni le mie maestre, sapendo che la mia mamma insegnava canto pop nella sua scuola, mi chiesero: potresti farla venire per insegnarci i cori dell’operetta che vorremmo fare? L’opera era Cin-ci-là e fu così che iniziò tutto… Cosa accadde? Mamma venne a scuola, mi senti cantare e mi disse: «ma…sai che qui c’è qualcosa in più di una semplice intonazione…» c’era un imposto, un qualcosa che andava oltre… ho iniziato facendo dei semplici vocalizzi, respi-

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Il tenore Marco Ciaponi nel ruolo di Alfredo sul palco del Teatro Comunale di Bologna

razione e note… e sinceramente lo trovavo molto noioso, per cui dissi: ma chi me lo fa fare? Sono piccolo, voglio godermi la vita e così iniziai a fare le sciocchezze degli adolescenti… la prima sigaretta, i primi baci dati sotto la pioggia e le serate in discoteca. Quando però mia mamma mi disse: «tu sei sicuro che vuoi rinunciare a un talento come il tuo per ‘fare il ragazzo?» E in effetti non me la sentii di buttare via tutto, di rinunciare come se non avessi ricevuto questo dono meraviglioso che è la voce! Allora hai iniziato a studiare canto. Chi sono stati i tuoi maestri? Sì, iniziai a studiare sul serio, non con la mamma ma con il mio

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Il tenore Marco Ciaponi con tenore, baritono e direttore d'orchestra spagnolo Placido Domingo in occasione della vittoria al concorso “Operalia” nel 2017.

vero primo insegnante Nazzareno Antinori, un tenore molto famoso che con molto entusiasmo mi dava lezioni a Fermo, a Macerata ed io dalla mia piccola isola - all’epoca abitavo all’Elba - partivo con un panino e pochi soldi in tasca per la lezione e mi facevo otto nove ore di treno o quattro di macchina con mio padre per studiare canto. Purtroppo il destino mi mise di fronte a una brutta esperienza: dopo un paio di anni ebbi un'edema alle corde vocali e solo grazie al mio secondo insegnante riuscii a risolvere il problema. Avevo circa vent’anni e partecipai al primo concorso e conobbi Giuseppe Sabbatini, grande tenore che mi prese sotto la sua ala e mi indirizzò verso la tecnica, quella giusta, quella che ti porti per sempre, l’imposto quello vero! È grazie poi all’ultimo mio angelo, la mia attuale insegnante Cinzia Forte, che ho raffina-

to e sto tutt’ora raffinando e mettendo a punto la mia tecnica e il mio gusto lirico. Ci sono aneddoti che puoi raccontare riguardo alle difficoltà incontrate, l'emozione della tua prima volta sul palco ... se non sbaglio al teatro Municipale di Piacenza nel ruolo di Nemorino ne L'elisir d'amore, che ricordi hai? Sì, ho debuttato all'età di ventiquattro anni nei panni di Nemorino al teatro Municipale di Piacenza, con la regia di Leo Nucci e con il direttore Stefano Ranzani. È lì che c’è stata la vera svolta. Dal giorno in cui vinsi l’audizione e debuttai come protagonista ho davvero capito che quello era il mio mondo, che il canto era l'unico amore che non avrei mai tradito e mai lasciato.

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Il tenore Marco Ciaponi nel ruolo di Rinuccio

Hai vestito i panni di Rinuccio, del Duca di Mantova, dei giovani edmondo e Fenton.... don Ottavio, il tinca. A quale sei più legato e perché? Dopo quella bellissima esperienza ce ne sono state molte altre: la vittoria del concorso “Flaviano Labò”, quella delle “Voci Verdiane” e recentemente la vittoria al prestigioso concorso internazionale “Operalia” di Placido Domingo. Sì, ho debuttato in diversi ruoli in teatri importanti non per ultimo La Scala di Milano dove ho interpretato uno dei minatori ne La Fanciulla del West di Giacomo Puccini. Il ruolo del mio cuore resterà sempre e comunque Nemorino, sia come capacità vocali che interpretative: mi diverto, canto e la mia voce riesce a toccare e ad esprimere tante mie caratteristiche: la morbidezza, i piani e, infine, gli acuti. Dal prossimo 15 marzo debutterai al San Carlo di Napoli vestendo i panni di Aronne nell'opera rossiniana Mosè in egitto. è un debutto importante nel ruolo principale di un’opera che fu rappresentata per la prima volta proprio al San Carlo nel 1818. Come stai vivendo questo momento? Beh l’emozione è enorme: il San Carlo, La Scala, il Metropolitan e il Royal Opera House sono i teatri sognati da ogni cantante lirico e io uno di questi l’ho vissuto e uno sto per viverlo e, ovviamente, non vedo l’ora di iniziare! Descrivimi una tua giornata... La giornata tipo di un tenore ventottenne? È come la giornata di un vecchio pensionato. Cerchi di alzarti presto (ma non ci riesci mai), colazione (cibi non acidi per il reflusso), ti metti alla tastiera o al pianoforte (meglio), studi, controlli che la voce sia a posto e cucini il pranzo (cibi non acidi sempre per il reflusso), se è bel tempo il pomeriggio esci per una passeggiata, rientri ad un orario non troppo oltre il dovuto, perché devi mangiare abbastanza presto per riuscire ad andare a letto ad un orario decente e iniziare la giornata di nuovo: un pensionato, ve l’ho detto. Durante i tuoi studi e sognando la tua carriera hai pensato ad ispirarti ad un tenore in particolare e chi? Quando ho un ruolo nuovo cerco sempre di ispirarmi al migliore per quel repertorio... anche se colui che amo è Luciano Pavarotti.

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Il tenore Marco Ciaponi e la sua Rachele

Qual è il ruolo che non ti è stato ancora assegnato e che vorresti interpretare? Un ruolo che non ho mai interpretato ma che mi piacerebbe tantissimo è Rodolfo ne La Bohème. Eterno romantico, amante e amato perfetto, innamorato all’ennesima potenza della sua Mimì e vocalmente magistrale e soddisfacente. Spero di debuttarlo presto. A parte quello per la musica, quanto conta l'amore nella tua vita? Beh l’amore nella mia vita è fondamentale. La mia Rachele è il più bel regalo che mi potesse capitare. Mi sostiene, mi accarezza, mi abbraccia aiutandomi a superare le delusioni, a gioire dei trionfi e soprattutto mi ammonisce a dovere quando non canto bene o quando faccio «qualcosa di diverso rispetto alla scorsa volta» - come dice lei… - «eri teso? Stavi bene? No, perché sai, ti ho sentito un po strano…». Quindi l’amore è fondamentale, non solo per il sentimento in sé, ma anche per la mia professione che vi garantisco spesso è molto difficile proprio dal punto di vista emotivo. Un’ultima domanda quando tornerai all’Apollo di Lecce? Spero presto, intanto sono in partenza per l'Oper Köln di Colonia nel ruolo di Don Ottavio nel Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart.

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In queste pagine alcune immagini del Convento di Casole, foto di Sara Foti Sciavaliere

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il convento di santa maria di casole a coPertino Sara Foti Sciavaliere

Sulle tracce della presenza dei monaci bizantini nel Salento

COPERTINO (LECCE). Il convento di Santa Maria di Casole era posto fuori le mura di Copertino, ancora oggi i resti della struttura più recenti si trovano in un’area periferica del centro urbano salentino, dove le abitazioni lasciano spazio alla campagna. Attorno alla chiesa restano ancora vistose tracce del convento che la circondavano, e che faceva parte del casale medievale noto appunto col nome di Casole. Secondo la tradizione, nel III secolo d.C. arrivò un gruppo di monaci bizantini, che qui si stanziò e proprio il toponimo di Casole (parola greca che significa casupole) era assai diffuso fra i monaci greci, come ci ricorda la perduta Abbazia di San Nicola di Casole a Otranto, anch’es-

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sa di fondazione basiliana. La chiesa originaria fu eretta fra 700 e 800 d.C. e si trovava dove oggi c’è il coro. Le prime tracce scritte che citano questo casale ci riportano tuttavia al 1274, seppure la mancanza di documentazione circa le sue origini può essere sopperita da altre inconfutabili prove: monete, vasi e reperti archeologici rinvenuti nell’area occupata dal convento. Dopo la presa di Otranto del 1480, anche questo monastero dovette subire l’assalto dai Turchi, per essere danneggiato e quindi abbandonato. Durante l’episcopato di Ludovico de Pennis, nell’inventario dei beni ecclesiastici della diocesi di Nardò, viene riportata una nota dove si evince che il feudo di Casole


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era passato, dopo l’abbandono dei basiliani, sotto il diretto controllo dei vescovi di Nardò, che lo diedero ai Benedettini, i quali per più anni vi dimorarono, come si dedurre da alcune pitture di immagini, ancora visibili ma rovinate del tutto, nel lato nord del chiostro. Per un certo periodo vige quindi la regola di San Benedetto, «Ora et Labora», che fu ragione di un periodo di benessere e prosperità nel casale. Verso la fine del XV secolo però la Terra d’Otranto fu scossa da una nuova invasione, quella dei Veneziani, e il convento subì un nuovo abbandono, per essere poi occupato dai Francescani. È con questi ultimi, agli inizi del Cinquecento, che la costruzione assunse la forma che vediamo attualmente. L’interno è spazioso, luminoso, con due navate laterali sormontate da volte affrescate. Purtroppo, molti di questi cicli pittorici sono in parte rovina-

ti, sia a causa dell’azione degli agenti atmosferici che per atti di vandalismo, condizioni accentuate o meno a seconda che gli affreschi si trovino all’interno della chiesa o all’esterno, sui muri che un tempo definivano i vari ambiente dell’attiguo monastero e che oggi appaiono del tutto crollati. In linea di massima, l’apparto decorativo può essere datato tra il XV secolo e il XVIII secolo e, purtroppo, a causa dello stato di trascuratezza, molte delle tematiche raffigurate ormai risultano quasi del tutto illeggibili, almeno per quanto riguarda gli affreschi esterni. Sorte leggermente differente è spettata agli affreschi dislocati all’interno della chiesa che rappresentano la maggior parte dell’arredo pittorico superstite dell’antico complesso. Tali affreschi – per la fortuna di essere all’interno e quindi maggiormente protetti – sono ancora

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in parte leggibili e interessano l’intera superficie delle navate laterali, dalle pareti alle volte, dai piedritti degli archi ai sottarchi, con figure di Santi e Sante, Madonne col Bambino, Santi francescani, stemmi di antichi casati, decorazioni floreali. Da un’analisi superficiale è possibile rivelare strappi locali di pezzi di affresco e alla sovrapposizione di stucchi successivi: in gran parte questi affreschi sono infatti ricoperti da intonaco e calcina e in parte hanno subito la sovrapposizione di stucchi sei-settecenteschi in pietra leccese. Una particolarità delle rappresentazioni pittoriche presenti nella chiesa di Santa Maria di Casole è il ciclo delle Sibille, ubicate nella prima campanella della navata di sinistra. Tale presenza non va sottolineata per una forma di esaltazione dell’opera, data la mancanza oggettiva di pregio artistico (da non nascondere con l’alibi del pessimo stato di conservazione), bensì per puro gusto documentario. Ve ne sono rappresentate, o quantomeno ne sono visibili, dieci: di queste quattro raffigurate negli spicchi della volta solo due, cioè la Samia e l’Eritrea, sono visibili, delle rimanenti (sicuramente, per esclusione, la Libica e la Persica) sono leggibili pochissimi lacerti, insufficienti, comunque, a identificarle singolarmente. In totale dunque dodici: un unicum nel Salento, dove comunque troviamo altri esempi parziali in un convento di Racale e in una cappella di Specchia. Perché le Sibille, figure legate al mondo pagano, sono dipinte all’interno di una chiesa? Le Sibille erano le sacerdotesse

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In queste pagine alcune immagini della mostra, foto di Sara Foti Sciavaliere

dell’antichità dotate di poteri divinatori, a loro ci si rivolgeva per conoscere la propria sorte e queste, nella loro funzione di tramite tra l’essere umano e la divinità, fornivano un responso criptico. Il mito della Sibilla sopravvive attraverso i millenni, conservandone il fascino e giunge fino al Medioevo immutato nel suo significato, passando all’interno della cultura ebraica dove per primi gli Ebrei associano la figura della sibilla a quella dei profeti delle Scritture Sacre e da qui è stato introdotta durante il Medioevo nell’arte sacra cristiana, anche se già i Padri della Chiesa avevano trovato un´alleata preziosa nella Sibilla che diviene colei che illumina il cammino dell´umanità pagana verso il Cristianesimo. Nel 1481 apparve a Roma il libro «Discordantiae nonnullae inter sanctum Hieronymun et Augustum», del domenicano siciliano Filippo Barbieri, che nella sua opera enumera dodici Sibille, ascrivendo loro motti di inequivocabile derivazione cristiana, rafforzata dall´associazione con i Profeti canonicamente riconosciuti dalla dottrina della Chiesa: e così nelle mani delle Sibille visibili negli affreschi di Santa Maria di Casole a Copertino sono accompagnate da un cartiglio su cui si leggono dei passi in latino che alludono appunto a eventi profetizzati riguardanti la figura di Gesù, come la Sibilla Europa che si riferisce alla nascita di Gesù dalla Vergine Maria o quella Delfica che accenna alla natura di Gesù.

ancora una cappella, nota come “Cappella della Crocifissione”, o “del Moro”. L’affresco all’interno – ormai è in via di un deprecabile deterioramento – lascia intravedere sotto il Crocifisso, oltre alla Madonna e a San Giovanni, due personaggi che potrebbero essere stati il committente ed il costruttore: uno di questi era scuro, in volto, da qui il secondo nome con cui è conosciuta la cappella.

Ricordiamo però che questo luogo è legato indissolubilmente a un’altra figura di Frate Silvestro, per molti il padre spirituale di San Giuseppe da Copertino, che di sicuro personaggio molto più noto della cittadina salentina. Frate Silvestro in questo convento visse, operando miracoli che restarono a lungo nella memoria dei contemporanei e dei posteri. Il suo prodigio ricorrente: spezzare il pane, mentre da esso fluiva il sangue che Silvestro lamentava fosse dei “poveri, e oppressi sfruttati”. Le ossa di Fra Silvestro erano ancora sepolte proprio a Casole, finché nel 2003 furono trasportate nella Basilica di Santa Maria ad Nives, a Copertino. Di fronte al complesso di Casole c’è in piedi

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Il Maschio Angioino fotografato da Peppe Guida

i segreti di lucrezia d'alagno, l'amata di alfonso d'aragona

Nuove visite guidate al Maschio Angioino, dal Graal tra storia e mistero all’impossibile storia d’amore del re spagnolo e la giovane Lucrezia

Girovagando

NAPOLI. Due anni fa l’Associazione I.V.I. (Itinerari Video Interattivi) con Salvatore Forte, Francesco Afro de Falco e Annalisa Direttore scoprirono un nuovo fenomeno che si presentava nella sala dei Baroni del castello di piazza Municipio a Napoli. Lo stesso riprodotto anche in alcune opere, quadri e monete del passato, come nel dipinto in cui è raffigurato proprio Alfonso V D’Aragona. Da qui, approfondirono le ricerche e gli studi iniziati ancora un anno prima, è incominciata un’iniziativa coraggiosa. Dopo l'enorme successo registrato nella scorsa stagione, presentando visite e ricerche rese pubbliche per prima volta nella storia, fino alla primavera

2018, si aprono nuovamente al pubblico i portoni di Castel Nuovo, detto Maschio Angioino: l'idea è quella per mostrare i percorsi innovativi e cominciare nuove ricerche storiche. Dal percorso il “Graal tra storia e mistero”, passando per il “Libro di luce” e la storia di Alfonso V d'Aragona, alla prima video visita interattiva con lenti oled “Il segreto celato” di Lucrezia d’Alagno, i visitatori potranno andare alla scoperta di luoghi normalmente non accessibili e indagare - riprendendo le parole di Salvatore Forte - una “nuova storia di Napoli”. Ogni weekend, dal venerdì alla domenica, sarà possibile visitare la fortezza angioina

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voluta da Carlo I d’Angiò, costruita a partire dal 1279 insieme all'associazione IVI e i suoi tour innovativi-culturali: conoscendo le vicende, i protagonisti e guardando con i propri "occhi" quelle pagine di storia che non vengono comunemente

raccontate nei libri, il visitatore si troverĂ a vivere emozionanti avventure all'interno del maniero partenopeo. ÂŤIl nostro progetto si rivolge ai privati e alle istituzioni, che intendano valorizzare il loro patrimonio in maniera innovativa - spiega

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Girovagando

Particolare dell’Arco di Trionfo, Maschio Angioino, sotto ingresso Cappella Palatina, foto di Peppe Guida

Forte, presidente di IVI -, perché questo è il nostro punto di forza. Creare piccole storie legate ai monumenti o ai luoghi, dove il visitatore si sentirà direttamente protagonista, permette di far riscoprire in maniera coinvolgente vicende e itinerari a essi collegati, potenziandone l’interesse e aumentandone le possibilità turistiche». E, inoltre, prosegue il vicepresidente De Falco, «le nuove tecnologie ci danno una mano: grazie alla realtà virtuale e all'ausilio di lenti video oled, oggi è possibile rendere lo spettatore davvero un protagonista attivo della storia». Tra i percorsi a scelta, il primo è il percorso esoterico che parte dall’Arco di Trionfo, continua nel cortile e arriva alla Sala dei Baroni (o Sala del Trono): si chiama "Graal tra storia e mistero" e mostra in che modo il Sole disegna precise simbologie sulle mura. Si vedrà un vero e proprio libro di luce, svelando l’essenza segreta del Graal e la sua presenza nel castello. Il secondo è il percorso virtuale attraverso cui le persone, indossando delle speciali lenti oled, interagiranno con la dama più amata dal Re, cioè con Lucrezia d'Alagno, la giovane donna che conquistò il cuore di Alfonso appena mise piede a Napoli. Lucrezia è interpretata dall'attrice napoletana Annalisa Direttore, la quale condurrà il visitatore tra la storia e i misteri del castello, portan-

dolo virtualmente anche in quei luoghi inaccessibili, come ad esempio sulle sue torri, su cui si potrà godere di un panorama mozzafiato e di una storia vera e poco conosciuta. Per partecipare alle visite, è necessario prenotare al numero 3273239843 o via mail graalmaschioangioino@gmail.com

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Quando il cinema rivoluziona la fruizione dell’oPera d’arte

Una delle prime produzioni in Italia realizzate in 8K che permette di carpire dettagli delle opere non visibili ad occhio nudo

Dedicato a Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. Dopo ‘Firenze e gli Uffizi’ e ‘Raffaello, il Principe delle Arti’ debutterà nelle sale italiane il 19-20-21 febbraio 2018 Caravaggio – L’Anima e il Sangue, il nuovo film d’arte prodotto da Sky e Magnitudo Film. Un viaggio emozionante attraverso la vita, le opere e i tormenti di Caravaggio, artista geniale contraddittorio, che più di ogni altro ha raccolto in sé luci e ombre, genio e sregolatezza, generando opere sublimi. Caravaggio – L’Anima e il Sangue è un excursus narrativo e visivo attraverso i luoghi in cui l’artista ha vissuto e quelli che ancora oggi custodiscono alcune tra le sue opere più note: Milano, Firenze, Roma, Napoli e Malta. Il film ha ottenuto il Riconoscimento del MIBACT – Direzione Generale Cinema, il Patrocinio del Comune di Milano ed è stato realizzato in collaborazione con Palazzo Reale e con Vatican Media (già Centro Televisivo Vaticano) e con il supporto di Malta. La consulenza scientifica è stata affidata al prof. Claudio Strinati, storico dell’arte esperto del Caravaggio, che nel film racconta la figura dell’artista in stretta correlazione con le sue opere. Il film è ulteriormente arricchito dagli interventi della prof.ssa Mina Gregori, Presidente della Fondazione di Studi di Storia dell’Arte Roberto Longhi, che fornisce alcune letture personali delle opere dell’artista e della dott.ssa Rossella Vodret, anche curatrice della mostra “Dentro Caravaggio,” a Palazzo Reale a Milano fino al 28

gennaio 2018, che illustra i risultati dei più recenti studi sulla tecnica pittorica dell’artista. Un’approfondita ricerca documentale negli archivi che custodiscono traccia del passaggio dell’artista, ci conduce in una ricostruzione sulle tracce e i guai di Caravaggio e alla scoperta delle sue opere, di cui circa 40 trattate nel film, che, grazie all’impiego di evolute elaborazioni grafiche, di macro estremizzate e di lavorazioni di luce ed ombra, prendono quasi vita e corpo, si confondono con la realtà dando una percezione quasi tattile. La voce dell’io interiore di Caravaggio, emotiva, evocativa ed al tempo stesso intima, è quella di Manuel Agnelli. La sceneggiatura è di Laura Allievi e la regia è affidata a Jesus Garces Lambert.Responsabile e direttore artistico del progetto per Sky è Cosetta Lagani. Produttore esecutivo per Magnitudo Film è Francesco Invernizzi.

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Di Стенберг Георгий Августович (1900-1933) - Movie posterTranswiki details:Trasferito da ru.wikipedia su Commons da Sailko Cabinet of Dr Caligari 1920 Lobby Card, Goldwyn Distributing Company (US) - Heritage Art Gallery

muto musicale cinema, musica, teatro e arte

Quattro appuntamenti, dal 9 febbraio al 23 marzo al Nuovo Cinema Elio di Calimera

CALIMERA (LECCE). “Muto Musicale” è una rassegna di 4 appuntamenti, realizzata dalla cooperativa Passo Uno in collaborazione con l’associazione Lu ‘Mbroia art&lab e la cooperativa Kama, che avrà luogo tra febbraio e marzo 2018 presso il Nuovo Cinema Elio di Calimera (Le). Un’iniziativa che identifica la nuova gestione dello spazio, che alla programmazione tradizionale affianca eventi che coniugano il cinema alla musica, alle arti visive, al teatro. In “Muto Musicale” alcune delle opere fondamentali del cinema delle origini saranno sonorizzate dal vivo da musicisti del panorama nazionale e internazionale. Una sperimentazione unica, in cui le scene fissate nell’immaginario comune da quasi un secolo ispirano un flusso musicale irripetibile, fatto di contaminazioni, avanguardia e allo stesso tempo valorizzazione del passato. Il cinema come esperienza totalizzante, collettiva e intima insieme. Due le proiezioni al mese, in programma il venerdì sera.

Dopo Il Monello (1921, Charlie Chaplin), e il concerto di Emanuele Coluccia e Rocco Nigro lo scorso 9 febbraio si riparte il 23 febbraio con Il Gabinetto Del Dottor Caligari (1920, Robert Wiene) con il concerto di Valerio Daniele e Giorgio Distante. Il 9 marzo sarà la volta de L’uomo con la macchina da presa (1929, Dziga Vertov), e il concerto di Admir Shkurtaj. Muto Musicale si concluderà il 23 marzo con un Omaggio a George Méliès e il concerto di Giorgia Santoro e Adolfo La Volpe. Spettacolo+buffet : 10 euro, dalle ore 20:00 per info 335 5464107 - 338 6606640

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“io ti cielo. frida Kalho” aurelia ciPollini al Paisiello

Con Massimo Donno e Francesco Pellizzari con la voce registrata di Tomàs Acosta, per ripercorrere la vita della pittrice messicana

LECCE. Uno spettacolo che ripercorre la vita di una delle più grandi pittrici del Novecento sullo sfondo del Messico rivoluzionario: "Io ti cielo Frida Kahlo" di e con Aurelia Cipollini che mercoledì 28 febbraio (ore 21 - ingresso 10/8 euro), sarà di scena a Lecce nell’ambito della residenza artistica di Astràgali al Teatro Paisiello, supportata dalla Regione Puglia e dal Comune di Lecce. Scatti di un’esistenza tormentata, passionale, violenta; di una donna folle, dolcissima e innamorata della vita. «È lecito inventare dei verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente per amarti senza confini», diceva l’artista. Lo spettacolo liberamente tratto dalla biografia firmata nel 1983 dalla storica dell’arte Hayden Herrera per la casa editrice HarperPerennial e tradotta in Italia da Maria Nadotti per Neri Pozza - vedrà sul palco anche il cantautore Massimo Donno (voce e chitarra) e il percussionista Francesco Pellizzari. La voce registrata è di Tomàs Acosta. Nata nel 1907 a Coyoacan, un sobborgo di Città del Messico, Frida «sembra un personaggio uscito dalla penna di Gabriel García Márquez: piccola, fiera, sopravvissuta alla poliomielite a sei anni e a un brutto incidente stradale a diciotto che la lascerà invalida, con tremendi dolori alla schiena che la perseguiteranno fino alla morte», si legge nelle note di copertina della traduzione italiana della biografia scritta da Hayden Herrera. "Nella vita privata e nella produzione artistica, Frida è combattuta tra due anime: il candore, da un lato,

e la ferocia, dall’altro; la poeticità della natura contro la morte del corpo. La vita di Frida è un viaggio che affonda nella pittura tradizionale dell’800, nei retablos messicani, in Bosch e Bruegel, ma che subisce prepotentemente il fascino degli uomini più potenti del suo secolo: come il muralista Diego Rivera (marito fedifrago che le rimarrà accanto fino alla fine) o Trockij (di cui diverrà l’amante) o Pablo Picasso (che un giorno, al cospetto del marito, disse: «né tu né io sappiamo dipingere una testa come Frida Kahlo»). L’artista morì di embolia polmonare a 47 anni nel 1954. Fu cremata e le sue ceneri sono conservate nella sua Casa Azul, oggi sede del Museo Frida Kahlo.

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Foto di Dario Bottaro

cittadini! viva sant’agata! tra culto e memoria Dario Bottaro* Siracusa Arte e Cultura

Dal 3 al 5 febbraio si rinnova la festa dedicata alla Patrona di Catania in un tripudio di luci e suoni. Il reportage dell’edizione 2018

Girovagando

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na città in piena metamorfosi. Tre giorni in cui le ore scorrono nella clessidra del tempo che si rinnova nella memoria antica, che da essa prende vigore e ritrova gesti, luoghi, riti e tradizioni che non si esauriscono nel sentimentalismo, bensì esprimono l’identità di un popolo. E’ Catania. E’ Sant’Agata. Dal 3 al 5 febbraio le strade della città vengono attraversate da migliaia di fedeli o da semplici turisti, giunti in città dal richiamo di questa festa così importante – la terza al mondo – e ricca di quelle caratte-

ristiche che contraddistinguono la Sicilia. Colori, profumi, sapori, ma anche arte, tanta arte in movimento: le candelore, i grandi ceri che rappresentano le corporazioni di arti e mestieri, annunciano la festa della Santa Patrona di Catania fin dai primi giorni di gennaio. Ed è tutto un susseguirsi di emozioni che il cuore cavalca e di cui gli occhi godono. Barocco in movimento – le candelore – nella loro caratteristica “annacata”, l’ondeggiare ritmico lungo tutto il percorso della festa. Una festa che certamente è più feste insieme. Dopo il via ai festeggiamenti

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con i fantasmagorici fuochi “da sira o tri” (della sera del 3) che illuminano piazza Duomo a ritmo di musica, e le note solenni dell’orchestra e del coro del Teatro Massimo Bellini, già poche ore dopo,

nella notte, le strade sono un continuo brulicare di gente. Unica direzione è il Duomo della città, dove da lì a poco – esattamente alle 5 del mattino, la città tutta riabbraccerà la Santa. Il Duomo è gremito di

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Girovagando

Foto di Dario Bottaro

fedeli, migliaia di uomini, donne, giovani e bambini in attesa del momento più emozionante della festa: l’uscita del Busto Reliquiario e dello Scrigno con le reliquie della Santa, dal sacello in cui si custodiscono tutto l’anno. Attimi intensi, carichi di un’emozione che non si può spiegare…eccola, al grido di Cittadini! Viva Sant’Agata!, si affaccia dal grande cancello in ferro che chiude la cinquecentesca cappella per essere abbracciata dal suo popolo. Adesso Sant’Agata, raffigurata con un sorriso accennato, saluta la sua città, accolta come una regina in mezzo al suo popolo. E’ Catania. E’ Sant’Agata. Dopo la messa dell’aurora, lentamente si procede all’esterno dove una folla immensa attende di veder uscire il Busto Reliquiario e lo Scrigno delle reliquie. E’ la mattina del 4 febbraio e sono circa le 7. L’argenteo fercolo della Santa, opera d’arte per eccellenza che attraversa il cuore della città ospitan-

do al suo interno la Cittadina più illustre, inizia a muoversi lentamente, per percorrere il tragitto processionale più lungo: il giro esterno. La processione attraverserà le zone più antiche di Catania, passando dalla Marina per poi dirigersi fino alla stazione e poi al santuario del Carmine. Centinaia le candele e i fiori offerti a Sant’Agata mentre il fercolo si fa strada tra la folla per raggiungere piazza Stesicoro. Qui è la chiesa di Sant’Agata alla fornace e dopo il discorso del vescovo i devoti che tirano i cordoni del fercolo, inizieranno a correre e a spingere, per permettere a Sant’Agata di giungere in alto e arrivare così nella chiesa di Sant’Agata La Vetere, l’antica Cattedrale di Catania. La processione attraversa i luoghi della memoria, quelli del martirio e della gloria di Agata, giovane donna che ha deciso di donare la sua vita a Cristo. Testimonianze del primo cristianesimo e delle persecuzioni degli imperatori Dio-

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In queste pagine foto Dario Bottaro

cleziano e Massimiano. Luoghi sacri che parlano di Agata, ma non solo, poiché in questi luoghi e soprattutto a Sant’Agata La Vetere, c’è anche la silenziosa compagnia di un’altra grande Santa: Lucia di Siracusa. Secondo gli atti del martirio di Santa Lucia - Codice Papadopulo - la Santa siracusana si recò al sepolcro della martire Agata per ottenere da Dio la guarigione della madre. E così fu, Lucia ebbe la madre guarita e vide in sogno Agata che le annunciava il martirio e la gloria per la città di Siracusa. Molte opere d’arte nei luoghi agatini ricordano questo lega-

me indissolubile fra le due Sante siciliane: Agata è Catania, Lucia è Siracusa. L’arte e la devozione alla Santa Catanese, hanno lasciato numerose e importanti testimonianze, molte delle quali le celebrano entrambe, immerse nella gloria dopo il martirio, a proteggere le loro rispettive città. La prima lunga notte di Catania, prosegue nei quartieri popolari. Il passo è scandito dalla campana del Capo Vara – colui che dirige tutte le manovre del fercolo – dal suono delle campane nelle chiese e dallo sparo di fuochi d’artificio che salutano il passaggio delle Reliquie. In un tempo lungo,

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diluito ma vissuto da migliaia di persone si raggiunge piazza Palestro. L’ultima importante tappa prima del rientro in Cattedrale. E’ già mattina e Sant’Agata fa rientro in Cattedrale. Molti vanno a riposare un po’, i più tenaci si riversano poco dopo nuovamente in Cattedrale per assistere al solenne pontificale del Vescovo nel giorno della festa liturgica della Santa. E’ il 5 febbraio. Un continuo fiume di popolo si sposta tra la centrale ed elegante via Etnea e la piazza del Duomo. Nelle vetrine dei negozi troneggia la raffigurazione della Santa. Una gigantografia, la copia arti-


gianale del busto reliquiario realizzato anche in pasta di zucchero; poi le riproduzioni in miniatura delle candelore addobbate con fiori e circondate dai dolci tipici di questa festa e della Sicilia. Frutta martorana, canditi, pasta di mandorle e “alivuzzi di Sant’Aita” (le olivette di Sant’Agata in pasta di zucchero), fanno da coreografia a questi altarini che stuzzicano la curiosità dei turisti, intenti a fotografare

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ogni dettaglio per portare con loro un ricordo indelebile di questa festa. Non mancano le cassatine che a Catania si chiamano “minnuzzi di Sant’Aita” (mammelle di Sant’Agata), ricoperte dalla tipica glassa di zucchero bianco con una ciliegia in cima. Sono i dolci della tradizione, potremmo dire quelli del martirio, perché è dal supplizio dello strappo dei seni che traggono spunto. A ricordarci questi momenti è anche l’addobbo del fercolo. Il 4 febbraio sono i garofani rosa che addobbano il fercolo – strettamente con-


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Un momento della processione, foto Dario Bottaro

nessi al colore rosso del martirio – mentre il 5 predomina il bianco, il colore di Dio e della gloria. La giornata del 5 febbraio si caratterizza per la seconda processione delle sacre Reliquie: il giro interno. Il percorso è più breve, ma altrettanto caratteristico. Sant’Agata viene accolta dalla folla e a passo lento si fa strada lungo la via Etnea per raggiungere in tarda notte piazza Borgo, dove sarà effettuato il tanto atteso spettacolo pirotecnico. Il popolo è in festa, qualsiasi ceto sociale. E se a tirare i lunghi cordoni del fercolo sono in migliaia, altrettante migliaia sono le persone sparse per i bei saloni dei palazzi storici della Catania aristocratica. In queste

sale dove il tempo sembra essersi fermato, si consumano i dolci tipici della festa e si assiste all’impressionante incedere del fercolo fra la folla che dall’alto assume un’immagine quasi surreale: un lungo fiume bianco. Nelle prime ore del giorno la caratteristica salita di Sangiuliano, nel cuore della città e poi l’ultimo importante momento davanti la chiesa delle claustrali che attendono il passaggio del fercolo per rendere omaggio con il canto a Sant’Agata. Un’atmosfera fuori dal tempo, uno spazio che, seppur piccolo, accoglie il grande silenzio che cala nel momento in cui il fercolo di ferma davanti l’artistica cancellata che separa lo spazio.

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Da una parte il popolo con Sant’Agata, dall’altro uno schieramento di donne la cui voce soave nell’inno alla Santa fa rimanere incantati. Il tempo scorre e si rientra in Cattedrale. Sant’Agata saluta ancora una volta il popolo che la acclama fra le invocazioni. Le Reliquie percorrono la navata centrale, vengono rivolte di nuovo al popolo festante e poi condotte dentro il sacello. Cittadini! Viva Sant’Agata! Risuona incessante l’invocazione. E il Busto Reliquiario insieme allo Scrigno, d’un tratto scompaiono, inghiottiti dalla sacralità del piccolo sacello. E’ Catania. E’ Sant’Agata. Cittadini! Viva Sant’Agata!


Foto: Municipalità 3 - Stella, S. Carlo all'Arena - Comune di Napoli

naPoli, totò e la “sanità” una Piazza nel suo amato rione

In occasione del 120 compleanno del Principe inaugurato il 15 febbraio Largo Totò NAPOLI. Finalmente una piazza per il Principe della Risata nel suo amato Rione Sanità. Dopo i grandi eventi in ricordo dei 50 anni dalla morte di Antonio de Curtis, e mentre continua la mostra itinerante Totò il Genio approdata dal 29 gennaio al 1 maggio 2018, presso la Galleria di Arte Moderna – Ex Convento di Santa Chiara di Catania, giovedì 15 febbraio alle ore 10, in occasione dei 120 anni dalla sua nascita, il Sindaco di Napoli,

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assieme al Consiglio della Municipalità 3, inaugurerà "Largo Totò - Genio Napoletano maschera universale". Via Sanità angolo Discesa Sanità dove è già presente il Monolite del famoso Giuseppe Desiato, diventa il luogo che ricorderà Totò nel suo Quartiere di nascita, dove - ha ricordato la nipote Elena Anticoli de Curtis - tutto è cominciato perché il suo percorso artistico inizia dai vicoli del Rione Sanità.


Prospetto esterno di Villa Indraccolo, foto Sara Foti Sciavaliere

oltre il Barocco il volto eclettico di lecce Sara Foti Sciavaliere

“ Storie l’uomo e il territorio

Itinerario nella bellezza di architetture tra il Liberty e il moresco

LECCE. È facile associare l’immagine di Lecce con i monumenti del Barocco, ma il capoluogo salentino non è solo la città ricamata nella pietra dorata dai ricchi decori dell’arte sei-settecentesca, bensì vede anche svilupparsi, seppure più tardivo, il Liberty caratterizzato essenzialmente da motivi floreali e moreschi che s’intrecciano a modelli medievali, rinascimentali e neoclassici dando vita ad architetture eclettiche, visibili soprattutto nelle ville extra moenia, fino a un esempio di architettura neomedievale che è la Chiesa francescana di S.Antonio a Fulgenzio. Il gusto eclettico che si diffonde a cavallo tra XIX e XX secolo, sono ben rappresentati a Lecce, a partire da Villa Zaccaria e Villa Indraccolo, a pochi passi da Porta Rudiae e all’inizio dell’attuale Viale Gallipoli (un tempo Viale d’Italia), laddove c’erano i fossati che giravano intorno alla cinta muraria cinquecentesca. Proprio il riempimento dei fossati e la realizzazione dei Viali che corrono parallelamente alle mura

costituirono le basi su cui si fonderà, dopo l’unità d’Italia, l’espansione dell’abitato e quindi la costruzione delle nuove architetture. Progettati tra il 1820 e il 1825, gli stradoni alberati abbracciano l’intero circuito a forma di “nave”, erano il luogo privilegiato delle passeggiate extraurbane. Villa Indraccolo presenta un prospetto che propone una soluzione a “bow-window”, integrando il volume architettonico con una profusione di decorazioni in pietra leccese e denunciano all’esterno la presenza in pianta di un ambiente ottagonale. Altrettante interessante è il Villa Zaccaria, dello stesso anno e con avancorpo poligonale e grifi e altre figure fantastiche che si alternano a decori a grottesche. Nelle lunette del bow-window del villino Indraccolo, a cornucopie traboccanti di fiori e frutta sono affiancate cetre e altri strumenti musicali, in un festoso tripudio di decori in pietra leccese dai quali emergono radiose teste di Bacco, grappoli d’uva,

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Storie l’uomo e il territorio

Particolare del prospetto di Villa Martini oggi Bray, foto Sara Foti Sciavaliere

allegorie delle Arti e altri simboli. Di fatto i prodotti di una natura rigogliosa ispirano le decorazioni che, in continuità con il Barocco, ornano i palazzi e i villini ottonovecenteschi. La lottizzazione che si compie lungo la fascia sud occidentale della città, lungo Viale d’Italia, nel tratto che va dall’angolo delle mura in prossimità della Manifattura dei Tabacchi all’Orfanotrofio Principe Umberto segue quasi una programmazione. Nel 1883 viene approvata la concessione di suolo comunale in quell’area, destinata appunto alla costruzioni dei villini, che prevedeva una suddivisione in dodici zone e fissava alcune norme da rispettare: si stabilisce il periodo di quattro anni come termine massimo per il completamento dei lavori (in seguito ridotto a due anni); l’abitazione che prospetta sul Viale d’Italia deve essere distante 15 metri dalla strada e, se prospetta su altre vie, 8 metri (resta esclusa la strada aperta lungo le mura dove è permesso estendere il prospetto fino al ciglio stradale); l’edifico doveva inoltre risultare circondato almeno su tre lati da un giardino tenuto con gusto e diligenza, con piante di ornamento e alberi da frutto a carattere ornamentale come gli agrumi; era espressamente vietata la piantumazione di cipressi e si consigliavano alberi a fronda perenne; si stabiliva, infine, che ogni zona doveva essere chiusa da ringhiera in ferro su zoccolatura in pietra, nel rispetto degli alberi che fiancheggiavano il Viale d’Italia. È significativo che alla tipologia del villino si adeguino costruzioni con ben altra destinazione d’uso: quando nel 1897 un lotto risultan-

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te dalla demolizione della muraglia Carmine è occupata per esempio dalla Congrega della Madonna del Carmine e la facciata del nuovo oratorio assume l’aspetto di “una villetta, in conformità delle altre sulla linea”. Nel punto di cerniera fra il Viale d’Italia e il viale degli Orti (l’odierno viale Lo Re), il lotto angolare non è stato occupato da un villino bensì da una struttura educativa, il Collegio Argento, realizzato nel 1888-1896, su progetto di Carmelo Franco, ingegnere anche della Chiesa di Sant’Antonio a Fulgezio. Gli edifici residenziali lungo il viale Lo Re non presentano propriamente la tipologia “a villino”, se si escludono alcuni esempi pur significativi, quali la Villa Martini (1887) e la Villa Nuzzaci (1893). Le costruzioni “seguono l’antico tracciato delle mura per l’allineamento dei prospetti principali, sono provviste di duplice accesso (principale ed esterno sul Viale, secondario e interno dalla parte della città vecchia) e, dal momento che i fronti

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laterali sono sempre in comune con gli edifici contigui, il giardino si sviluppa solo davanti al prospetto principale e non circonda la residenza sui lati. L’’esempio più eclatante è appunto Villa Martini (oggi Bray), che si ispira all’architettura moresca: “come nell’Islam, non ci sono accentuate sporgenze, i balconi sono stretti, le cornici poco aggettanti, il blocco del volume appare compatto oltre che piatto, impressione questa accentuata dalla decorazione schiacciata. Sono fedelmente ripresi e riproposti elementi stilistici quali le caratteristiche strisce orizzontali gialle e rosse che fasciano completamente l’edificio, la merlatura, gli archi a ferro di cavallo”. Il cavalier Martini, magistrato a Oria, aveva acquistato anche i due lotti di terreno meno estesi posti a destra e a sinistra della villa, dove sarebbero dovute sorgere delle depandances, collegate alla villa mediante un sistema di ponti (attualmente chiusi in seguito alla divisione della proprietà) sottostanti alle due rampe di sca-


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Prospetto esterno e alcuni particolari di Palazzo Tamborrino, foto Sara Foti Sciavaliere

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le che circoscrivono il cortile: a sinistra il villino Nuzzaci (oggi Sansonetti) sorge su un preesistente fabbricato addossato alle mura. La principale differenza tra questo edificio e la Villa Martini risiede nella tecnica decorativa, in quanto il villino Nuzzaci-Sansonetti si avvale della plasticità della pietra leccese che ben si presta al repertorio di decorazioni arabeggianti trascritte nella facciata, l’altro raggiunge gli stessi risultati con l’ornamento pittorico relegando il rilievo alle cornici delle finestre. Un altro elemento singolare che sembra rimandare all’edilizia araba sono i quattro comignoli collocati sul tetto del villino di destra, che ricordano in maniera molto esplicita alle torri del vento delle abitazioni delle aree torride del Medio Oriente per facilitare la climatizzazione interna degli edifici. In fondo a viale Lo Re, basta alzare lo sguardo sull’elegante costruzione all’angolo, Palazzo Tamborino, per ammirare un vero esemplare di architettura Liberty e il più interessante del borgo. Progettato anche questo dall’ingegnere Carmelo Franco, è caratterizzato da una loggia a bow-window angolare sostenuto da leoni, da eleganti decorazioni in cemento e fregi in litocemento, un materiale edilizio costituito da un impasto di cemento e piccole pietre, meno rigido del cemento, usato specialmente per decorazioni brevettato dalla ditta leccese dei fratelli Peluso. Sul pannello del bow-window è scolpito lo stemma della famiglia Tamborino. Raggiungiamo quindi il borgo di Fulgenzio della Monica, dove si erge sobria e rigorosa la novecentesca Chiesa di Sant’Antonio a Fulgenzio, in stile neoromanico all’esterno e di matrice neogotica negli interni con le decorazioni pittoriche di Raffaello Pantaloni. Si tratta di una costruzione realizzata nella prima metà del Novecento. La facciata monocuspidata è affiancata da campanili quadrati che presentano finestre rettangolari al primo piano, ogivali al secondo e bifore e trifore al terzo e al quarto piano. Il portale ha un profilo ogivale decorato, ed è sovrastato da tre finestre leggermente strombate e da un ampio rosone posto centralmen-

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Villa Indraccolo, foto Sara Foti Sciavaliere

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Facciata della Chiesa di Sant’Antonio a Fulgenzio, foto Sara Foti Sciavaliere

te. Un motivo continuo di archetti pensili decorano sia la cuspide che la parte terminale dei campanili. Il portale munito di lunetta è rialzato su tre scalini e presenta semplici in legno. Nella lunetta è

inserito un bassorilievo in bronzo con l’effigie di S.Antonio da Padova. I battenti del portone, in legno, immettono nella bussola (a tre aperture) costruita nel 1925. La pianta della chiesa è particolare perché combi-

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Interno della Chiesa di Sant’Antonio a Fulgenzio, foto Sara Foti Sciavaliere

na insieme i due tradizionali tipi di costruzione a sistema centrale e longitudinale. Una serie di pilastri compositi, sopra cui sono impostati sei archi a sesto acuto (tre per lato), suddivide l’interno dell’edificio in tre navate. Il soffitto delle navate è scandito da quattro campate rettangolari a crociera sottolineate da costoloni e sostenute da pilastri compositi. La parte compresa tra l’incrocio dei braccio dei bracci del transetto e la navata centrale è coperta da una cupola emisferica che poggia, tramite i pennacchi, su robusti pilastri. Sopra questi sostegni sono impostati gli archi a sesto acuto d’ingresso alle absidi. Le absidi sono coperte da calotte emisferiche costolonate e il coro da volte a stella. La chiesa è pavimentata in “litocemento armato con effetto mosaico” realizzato dai fratelli Peluso. Il baldacchino, attualmente posto nel coro, si erge sopra quattro colonne lisce, sulle quali poggiano i capitelli compositi che, sovrastati da pulvini, li distanzia dalla soprastante trabeazione. Le absidi, di forma semiesagonale, sono coperte da volta a calotta, mentre le pareti

sono interamente decorate dagli affreschi di Padre Pantaloni. Probabilmente nei progetti originari la chiesa doveva essere decorata in ogni sua parte, ma a causa della morte di Pantaloni, avvenuta nel 1952, del programma è stato realizzato solo la parte relativa al triconco della chiesa, fino al sottarco di separazione della navata. Tutti gli elementi portanti dell’architettura sono sottolineati dal colore, che introduce un’atmosfera di gusto romanico toscano, pur nella struttura gotica. Le scene narrative sono inquadrate da finti archi acuti, dipinti in prospettiva in maniera tale che dal basso se ne possa scorgere la profondità; i loro conci alternativamente bianchi e neri interrompono la fuga verticale delle esili nervature, anch’esse bicrome affiancate da quelle più larghe decorate con i motivi geometrici tratti, dal repertorio medievale, e con ghirlande di rose. Seguendo questo itinerario è così possibile gustare un’altra faccia della città Lecce, oltre il Barocco.

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Nel riquadro l’attore e regista Sergio Rubini, al centro una scena della commedia Il Sindaco del rione Sanità, nel riquadro in basso l’attore Luigi Lo Cascio

da delitto e castigo al sindaco del rione sanità

Al Teatro Bellini di Napoli, dal 27 febbraio al 4 marzo il capolavoro di Dostoevskij, dal 6 al 18 marzo Martone firma la regia della nota commedia di Eduardo de Filippo

NAPOLI. Prosegue con successo la stagione teatrale del Bellini che dal 27 febbraio al 4 marzo vedrà in scena l’attore e regista Sergio Rubini con Delitto e Castigo. Si tratta di una delle più grandi opere letterarie di Fëdor Dostoevskij nell’adattamento teatrale scritto con Carla Cavalluzzi per la produzione Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana. Sul palco con lui Luigi Lo Cascio, un rumorista e una cantante, insieme condurranno il pubblico in un viaggio tra i capitoli di una delle più grandi opere letterarie di Dostoevskij in cui si narra il tormento di Rodion Romanovič Raskol’nikov, un giovane poverissimo e strozzato dai debiti, che uccide una vecchia e meschina usuraia. Nel romanzo è evidente il conflitto interiore del protagonista, che crea in lui una scissione; ne viviamo i lucidi ragionamenti, in cui si rifiuta di provare rimorso, per dimostrare a se stesso di appartenere alla categoria di quelli che lui definisce i “napoleonici”, i grandi uomini, le menti superiori dalle idee rivo-

luzionarie, autorizzati a vivere e agire al di sopra della legge comune, perché tutte le loro azioni, anche quelle condannate dalla morale, hanno come fine ultimo il bene collettivo. Tenta di convincersi che l'omicidio della vecchia usuraia, poiché ha liberato dal giogo molti poveri creditori e eliminato dalla faccia della terra un essere maligno, non solo non è condannabile e non dovrebbe procurargli alcun pentimento, ma costituisce la dimostrazione stessa della sua appartenenza ad una categoria superiore. Dall'altro lato, però, affiora in lui la consapevolezza di non riuscire a sfuggire ai sensi di colpa e al terrore di essere scoperto: deve rassegnarsi, alla fine, di essere non già un grande uomo, ma un “pidocchio”, e, come tale, di meritare una punizione. Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio saranno le due voci dell'opera e dell'ossessione del protagonista. Ma la stagione del Bellini continuerà a riservare sorprese. Dopo l’adattamento teatrale del capolavoro russo dal 6 al 18 marzo sarà di scena un altro capolavoro: Il sindaco del Rione Sanità di

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Eduardo de Filippo per la regia di Mario Martone. Secondo Martone «Il teatro è vivo quando s'interroga sulla realtà, se parla al proprio pubblico non solo osando sul piano formale ma anche agendo in una dimensione politica». Partendo da quest'assunto, affronta uno dei testi più cari a Eduardo con un approccio rivoluzionario, apprezzatissimo da pubblico e critica sia per il suo valore artistico che per la sua profonda valenza politica e civile, che attuale e viva, vicina alle vicende che affollano le odierne cronache. Il progetto è nato dalla collaborazione tra il Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale, Elledieffe, la compagnia di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi – il cui lavoro prosegue nel segno di Luca sia nella ricerca sul sociale e sul contemporaneo che nell'attenzione per i ragazzi a rischio – e Il NESTNapoli Est Teatro, la compagnia nata ad opera di un gruppo di giovani attori, registi, scenografi e drammaturghi nel quartiere napolentano a rischio di san Giovanni a Teduccio. Da questa sinergia di talenti e visioni, prende vita uno spettacolo che ci

mostrerà Antonio Barracano, il “sindaco” che amministra le vicende del rione nato dal genio di Eduardo – che lo dipinge come un maturo “uomo d’onore” che distingue tra “gente per bene e gente carogna” – ripensato in chiave contemporanea e calato nella realtà dei giorni nostri. Martone abbassa notevolmente l’asticella dell’età degli interpreti, rendendo i personaggi che il drammaturgo aveva dipinto crepuscolari (in quanto simbolo di un sistema di valori e disvalori al tramonto), ancora al centro del sistema criminale. Così il Sindaco di Martone è interpretato da Francesco Di Leva, giovane e deciso, che rimanda ai giovani boss, neanche trentenni che reggono la criminalità della periferia napolentana. Accanto a lui, vedremo in scena Massimiliano Gallo, Giovanni Ludeno e molti artisti che compongono il gruppo storico del NEST, in uno spettacolo imperdibile, che sancisce l’incontro di uno dei più autorevoli registi italiani e di alcuni dei più interessanti talenti della scena contemporanea con la scrittura eduardiana. Sul palco con Francesco Di Leva, Giovanni Ludeno, Adriano Pantaleo, Giuseppe Gaudino, Daniela Ioia, Gennaro Di Colandrea, Viviana Cangiano, Salvatore Presutto, Lucienne Perreca, Mimmo Esposito, Morena Di Leva, Ralph P, Armando De Giulio, Daniele Baselice. La commedia con la partecipazione di Massimiliano Gallo avrà le musiche originali Ralph P; firmano le scene Carmine Guarino, le luci Cesare Accetta, i costumi Giovanna Napolitano. Info e prenotazioni: Tel. +39 081.5491266

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i nostri film da Premio oscar divorzio all’italiana Stefano Cambò

Alla scoperta dei luoghi che furono set cinematografici di una pellicola cult diretta da Pietro Germi Premio Oscar per la migliore sceneggiatura

I luoghi del Cinema

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i solito, la fine del mese di febbraio coincide con l’evento cinematografico più glamour e importante al mondo: la notte degli Oscar! I maggiori registi, attori e produttori (senza nulla togliere alle altre figure che lavorano dietro le quinte di un film) si ritro-

vano a Los Angeles per duellare in senso metaforico e ritirare la prestigiosa statuetta. Così prestigiosa da diventare lo spartiacque per una carriera professionale. Perché chi vince, entra inevitabilmente nell’olimpo del cinema! Un cinema che si discosta molto dal mondo reale, per

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diventare qualcosa di leggendario e mitico, con tanto di passerella rossa e foto di rito ad incorniciare l’evento (anche se oggi vanno più di moda i selfie). Eppure c’era un tempo, neanche troppo lontano, in cui i film italiani la facevano da padrone a Los Angeles. Il nostro cinema d’impian-


Ispica (Ragusa), Basilica di SSAnnunziata (foto per gentile concessione della pagina fb Ispica CittĂ del profumo: https://www.facebook.com/pg/cittadelprofumo:

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I luoghi del Cinema

Veduta di Ragusa (fonte: sito istituzionale http://www.comune.ragusa.gov.it/turismo/percorsi_iblei):

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to neorealista veniva apprezzato e premiato alla pari dei grandi kolossal americani, tanto da diventare un vero e proprio marchio di fabbrica da esportare. I nomi di Vittorio De Sica, Roberto Rosselini, Luchino Visconti e Federico Fellini risuonavano spesso durante le proclamazioni del vincitore per l’Oscar al miglior film straniero. E per quanto, oggi il cinema italiano si sia evoluto e abbia intrapreso strade nuove e meno rischiose, il periodo che va dal dopoguerra fino alla fine degli anni Settanta rimarrà per sempre un’epoca d’oro per i nostri film. Un’epoca che ha visto trionfare tra i tanti, anche una pellicola che si è imposta al grande pubblico per essere una commedia brillante, se non addirittura satirica. Era infatti il 1961, quando nelle sale usciva Divorzio all’italiana di Pietro Germi.

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Interpretato magistralmente da una star del nostro cinema come Marcello Mastroianni, il film si aggiudicò l’anno successivo il Premio come miglior commedia al Festival di Cannes e l’Oscar per la miglior sceneggiatura originale (era in nomination anche per la miglior regia e il miglior attore protagonista con Marcello Mastroianni). Il successo fu tale, che parafrasando proprio il titolo della pellicola, i critici coniarono il termine di commedia all’italiana per caratterizzare la gran parte della produzione cinematografica degli anni Sessanta e Settanta. Con un classico canovaccio narrativo tipico del genere, il regista adatta e trasforma Un delitto d’onore, romanzo drammatico di Giovanni Arpino, in un sarcastico e divertente ritratto della mentalità e delle pulsioni della provincia meridionale, prendendo di mira soprattutto l’arretra-


Veduta di Ispica, piazza e Basilica di San Bartolomeo, foto: per gentile concessione della pagina fb Divorzio all’italiana https://www.facebook.com/pg/divorzioallitaliana

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tezza legislativa dell’Italia dell’epoca, che non prevedeva una legge sul divorzio (in vigore solo dal 1970), ma che consentiva per assurdo, tramite l’art.587 del codice penale, il delitto d’onore che verrà abolito solo venti anni dopo. Partendo da queste premesse, ne viene fuori una commedia graffiante (per non dire cinica) interpretata magistralmente da Marcello Mastroianni e anche da una giovane Stefania Sandrelli, che diventerà popolare proprio grazie a questo film. Ma di fondo, la pellicola oltre che per la bravura degli attori e la sceneggiatura da applausi di Pietro Germi e dei suoi collaboratori, deve molto del suo successo alle location scelte per l’ambientazione. Più che location, il paese in cui sono state girate la maggior parte delle scene. Perché a farla da protagonista in questa gradevole commedia, sono le chiese e le strade del centro storico di Ispica in provincia di Ragusa nel profondo sud-est della Sicilia. Infatti per alcuni momenti (ormai diventati dei veri e propri cult) sono state selezionate la Chiesa di San Bartolomeo, in

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I luoghi del Cinema

Duomo di San Giorgio (http://www.comune.ragusa.gov.it/turismo/percorsi_iblei)

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particolare la sua scalinata principale su cui passano in vari sketch tutti i protagonisti della storia, e la Basilica di Santa Annunziata, la cui facciata spicca al centro di alcune scene madri, tra cui quella dove Marcello Mastroianni corre per via Dante, con la pistola in mano, pronto a compiere il delitto. A chiudere il quadro su corso Umberto I (la strada che porta alle Chiese citate prima) c’è il bellissimo campanile che troneggia soprattutto nelle ultime scene, comparendo anche durante la processione riguardante il funerale del padre di Angela (Stefania Sandrelli), morto d’infarto dopo aver scoperto che la figlia prediletta era diventata l’amante di suo nipote Fefè, molto più grande d’età e soprattutto già sposato. Oltre al centro storico, il film rende omaggio anche alle spiagge di Ispica scelte per i momenti più forti e passionali con la famosa spiaggia di Santa Maria del Focallo diventata luogo di culto per tutti gli appassionati e i vacanzieri che la selezionano soprattutto per le sue acque cristalline (anche se, per essere corretti, alcuni momenti importanti sono stati girati sul litorale catanese e in particolare al porto di Ognina). C’è da dire che la comunità del paese è così legata a Divorzio all’italiana che in occasione dei 50 anni dalla vittoria dell’Oscar, proprio tra le strade del centro storico sono state fatte rivivere alcune scene celebri del film (tra cui quella del corteo funebre con la banda al seguito) interpretate da comparse locali e attori professionisti del Teatro di Modica.

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E per finire il nostro tour per i luoghi chiave della pellicola, ci spostiamo di circa una ventina di chilometri per andare ad ammirare una delle meraviglie del Barocco siciliano. Stiamo parlando naturalmente del bellissimo Duomo di San Giorgio, principale luogo di culto cattolico di Ragusa (rientrata a pieno merito nel 2002 tra i Patrimoni Mondiali dell’Unesco insieme ad alcuni comuni della Val di Noto), nonché simbolo storico e artistico della città e location scelta dal regista per girare alcune scene interne. Celeberrima è la sua facciata a torre che ingloba il campanile nel prospetto e che si conclude con una cuspide a bulbo, richiamando i tabernacoli lignei delle chiese cappuccine. La collocazione, al termine di un’alta scalinata in posizione obliqua rispetto alla piazza sottostante ne accentua l’imponenza e gli effetti plastici, dandogli un tocco unico ed inimitabile. Da ammirare, se possibile di sera, magari passeggiando per le stradine di Ragusa Ibla, il quartiere d’impronta barocca che forma il centro storico della città, conosciuto anche per il bellissimo Giardino Ibleo e gli scavi antichi di Hybla Heraia. E con le immagini suggestive del Duomo di San Giorgio illuminato dalla luce romantica delle stelle, lasciamo i luoghi che hanno reso magico Divorzio all’italiana, il film vincitore di un Premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale e grande propulsore della nostra amata commedia in tutto il mondo.


Foto di Mario Cazzato

lecce sconosciuta. il mistero della colonna scomParsa Mario Cazzato

Al centro della piazza il busto dedicato a Giosuè Carducci Premio Nobel per la letteratura

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Salento Segreto

a cura di Mario Cazzato

’attuale piazzetta Giosuè Carducci in origine era più ridotta in quanto superficie. Dal lato opposto alla facciata, ora demolita, della chiesa conventuale di S. Francesco d’Assisi, c’erano case private che affacciavano sullo stesso largo intitolato, per secoli, allo stesso santo. Questo spazio nel ’700 fu oggetto di aspre contese tra l'amministrazione comunale del tempo (l’Università) e i francescani dell’attiguo convento. Per sottolineare maggiormente la natura pubblica del largo, il Comune fece costruire, circa il 1740, un’alta colonna con in

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cima la statua dell’Assunta. Molti anni dopo, esattamente nel 1787, si aprì un contenzioso tra il Comune e i francescani perché entrambi ritenevano di loro proprietà il largo in questione. I francescani dovettero soccombere e il largo rimase pubblico. Quando a partire dal 1832 i gesuiti acquisiranno il complesso francescano per realizzare il famoso Liceo, tutti e tre i lati del largo furono oggetto, in tempi diversi, ad una nuova e radicale sistemazione. La colonna fu demolita e solo molti anni dopo la statua dell’Immacolata "riapparve" sul timpano del


corpo centrale dei propilei. Il largo fu denomina- ottenne il Nobel (1906) il Comune decise di to piazzetta degli studi. Nel 1904 il largo fu inti- dedicargli un busto marmoreo eseguito da Luigi tolato al Carducci e quando il grande poeta Guacci, inaugurato nel 1908.

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