la tela di saverio lillo
i Macchiaioli a roMa
la cappella delle “tarantate” a Galatina. il dipinto nella Cappella di san Paolo
Centodieci opere dei grandi maestri in mostra nel Chiostro del Bramante
anno 1163 numero 7 luglio 201 6
anno Xi - n 1/5 Maggio 2016 -
riCCardo dalisi
il fuMetto italiano sbarca a livorno
locoMotive Jazz festival
Cinquant’anni di romanzi disegnati è il sottotitolo della mostra dedicata al fumetto italiano e allestita nel Castello Pasquini fino al 4 settembre
l’undicesima edizione del festival musicale ideato dal sassofonista raffaele Casarano. in Puglia dal 24 luglio al 4 agosto. Tra gli ospiti Noemi e irene Grandi
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EdiTorialE
In copertina e sopra: Riccardo Dalisi, Il Compasso di latta, 2009
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.
é arrivata l’estate e si moltiplicano gli eventi, da Nord a sud, tra festival come quello dedicato al cinema francese che si apre ad acaya (lecce) a quelli musicali, come il Jazz locomotive ideato undici anni fa dal sassofonista raffaele Casarano che tra le tappe itineranti in Puglia farà arrivare per l’alba in Jazz a Marina serra di Tricase la cantante Noemi. Non meno interessanti i festival teatrali con un focus sulla rassegna nel meraviglioso paesaggio della Brianza. E anche in questo numero tante storie dedicate alla bellezza dell’arte e dei luoghi e, infine, le mostre. Tra le tantissime abbiamo scelto di raccontarvi i Macchiaoli al Chiostro del Bramante, le due retrospettive dedicate a leandro “unico primitivo” finalmente celebrato con una grande retrospettiva e quella dedicata allo scultore Umberto Palamà con la quale si inaugura il nuovo allestimento del Museo Cavoti di Galatina. la copertina questo mese abbiamo voluto dedicarla all’architetto e designer napoletano riccardo dalisi che fino al 31 dicembre abiterà le stanze della nuova ala del Must, un tempo Conservatorio delle Clarisse, con la sua mostra “idee in volo”, una ricca selezione di opere tra prototipi e creazioni che hanno, come del resto tutta la sua poetica, al centro l’uomo e la realtà in cui vive. Una realtà che ha provato a rimodulare secondo tematiche a lui care come il riciclo, la decrescita e la ecocompatibilità concentrando la sua attenzione sul design povero. Entrato a far parte di prestigiose collezioni museali internazionali, ultima in ordine cronologico l’acquisizione del Centre Pompidou, riccardo dalisi, vincitore del Compasso d’oro nel 1981 per il design della caffettiera prodotta da alessi, ha dedicato la sua vita alla cultura del progetto e da sempre è fortemente impegnato nel sociale convinto del valore terapeutico dell’arte per l’uomo e per l’ambiente. E a distanza di un anno dalla sua scomparsa, a proposito di arte e di impegno sociale, doveroso e sentito il ricordo del poeta e scrittore Franco Corlianò grazie ai contributi di Maurizio Nocera e Carlo Petrachi. Buona lettura!
soMMario
Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Michele Bombacigno, Maria D’Albezio, Mario Cazzato, Sara De Maio, Claudia Forcignanò, Salvatore Luperto, Sara Foti Sciavaliere, Fabiana Lubelli, Pierluigi Letizia, Pino Montinaro, Maurizio Nocera, Carlo Petrach, Ivan Serra
Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
luoghi|eventi| itinerari: il celacanto19 a calimera la festa dei lampioni 21 Gli eventi a lastation 23 conservatori a lecce 34 Palazzo ducale di Presicce 50 sulle rotte di enea 66 arte: riccardo dalisi 4|henri cartier bresson 8| i Macchiaioli 10 |itinerarte 25| leandro 39 |la tela delle tarantate 40 umberto Palamà 44 fumetto italiano 48 |Yuricani per amaci 52 |diario corale 56 andy Warhol 57 i disegni di enzo cucchi 67 Musica: locomotive Jazz festival 54 |art festival Jazz week summer 55 i luoghi della parola: franco corlianò 15| 18|io non l’ho interrotta 24|30 anni di sbn 30 teatro: il giardino delle esperidi il teatro incontra il paesaggio 60|dal libro allo spettacolo a cosa serve la poesia? 61 libri: luoghi del sapere 26-29 |corto Maltese e la poetica dello straniero 49| allegoria 64|sconfinamenti 33 la biblioteca annibale de leo 62 cinema: festival del cinema francese ad acaya 58 nei cineporti di Puglia colibrì 59 i luoghi nella rete|interviste: Quando il design incontra il territorio 14 cupido era miope. intervista a ciceri e tria e scemifreddi 31 Numero 7 - anno XI - luglio 2016
Lo studio di Riccardo Dalisi, il disordine creativo, 2003 foto di Fulvio Cutolo
riccardo dalisi. idee in volo l’arte coMe teraPia Antonietta Fulvio
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al Must, fino a dicembre, la mostra a cura di cintya concari e roberto Marcatti
”
LECCE. La musica e le canzoni sono nell’aria, basta saperle cogliere e portarle alle nostre anime asseriva il grande Eduardo De Filippo. E, probabilmente, ciò vale anche per le idee che però solo grandi visionari riescono ad afferrare e a dar loro una forma. E il rimando, oserei dire naturale, va alla bellissima mostra Idee in volo dell’artista e designer Riccardo Dalisi allestita al Must, museo storico della città di Lecce, che proprio nel titolo richiama la visione quotidiana dell’atelier dell’architetto nella sua Napoli, sulla collina di Pizzofalcone. Oggetti sospesi e ovunque, un immenso tavolo di lavoro ricolmo di colori, fogli, bozzetti e pezzi da assemblare: è l’immagine del “disordine creativo” di quel «caos dove è possibile intravedere delle condizioni di trasformazione che alimentano la creatività». Da schizzi, che ricordano gli scarabocchi e le visioni fiabesche dell’infanzia, nascono progetti e oggetti che
si rifanno a quel concetto che il maestro ironicamente indica come il design del faceto, giocando sull’ambivalenza del termine faceto che nel dialetto napoletano diventa “facite”, la seconda persona plurale del verbo “fare”. Ecco un verbo che piace al poliedrico inventore che ha firmato progetti di design straordinari come quello delle sculture caffettiere disegnate per l’Alessi che gli è valso nel 1981 il Premio Compasso d’Oro. L’anteprima della mostra è stata una interessante lezione di arte, con tanto di performance artistica per mostrare la forza espressiva del disegno che Dalisi Riccardo Dalisi, 2011, foto di Fulvio Cutolo
teorizza come cura, «una scala per salire verso le nubi, per andare oltre, anche se solo per un attimo, la malattia, la sofferenza, la pena. Qualcosa scorre fuori da noi nello scorrere della penna sul foglio, non lo sai mai di preciso, porta ad uno scrigno interiore. Non solo gli uomini, le donne, i bambini ma anche il territorio ha bisogno di terapia, e dunque di arte terapia, che è un modo più diretto, appropriato di “sanare” l’ambiente urbano,semi urbano, non ubano, di piccole o grandi dimensioni».
Nato a Potenza il 1° maggio 1931 Riccardo Dalisi vive a Napoli e fino al 2007 ha ricoperto la cattedra di Progettazione architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi Federico II di Napoli dove è stato anche direttore della Scuola di specializzazione in disegno industriale. Tra i fondatori della Global Tools con Ettore Sottsass, Alessandro Mendini e Andrea Branzi, da sempre è impegnato nel sociale ed emblematiche sono state le esperienze nei quartieri periferici della città, con i bambini del Rione Traiano,
Dall’alto in basso: Riccardo Dalisi, Totocchio pescatore, 2008; disegno su carta riciclata 2000; due modellini di architettura, anni 1997-2000.
gli anziani della Casa del Popolo di Ponticelli, con i giovani del Rione Sanità, con quelli del Centro Il Mammuth di Scampia e dell’Istituto penale dei minorenni di Nisida unendo la ricerca alla didattica e la vocazione artistica al valore sociale e politico. Un impegno che gli è valso nel 2014 il secondo Compasso d’Oro per la sua vita professionale dedicata alla cultura del progetto e che lo ha visto esporre nelle sedi più prestigiose, dalla Biennale di Venezia, alla Triennale di Milano, al MoMA di New York oltre che nei Musei di Denver, Dusseldorf, Copenaghen, Salonicco, Vienna, Berlino solo per citarne alcuni. Lo scorso 7 giugno il Centre Pompidou di Parigi ha inaugurato la mostra Un art pauvre per celebrare le acquisizioni di alcune sue opere nella collezione del noto museo francese. La consacrazione di un percorso artistico incentrato sull’uomo e la sua realtà attraverso la declinazione del tema della “decrescita” prima ancora della teorizzazione di Serge Latouche, come ha espresso autorevolmente Gillo Dorfles: «è Riccardo che ha inventato l’arte povera molto prima che questa diventasse una corrente ufficiale». Nelle cinque sale del museo, nell’ala dell’ex Conservatorio di Santa Chiara aperto per la prima volta, si snoda un percorso che abbraccia architettura, scultura, pittura, design, materiali e disegni. Spazi in cui è possibile “dialogare” con i cardini dell’agire artistico di uno dei primi architetti/artisti italiani a riformulare il concetto di sostenibilità applicandolo al design industriale. «L’alleanza tra artigianato ed industria che ho perseguito fin dall’inizio del mio fare design - si legge nella bella intervista in catalogo a firma di Toti Carpentieri - è a pieno titolo ascrivibile a ciò che oggi diciamo “decrescita”, soprattutto perché tutela ed incentiva le culture locali (più deboli e meno attrezzate). Controcorrente rispetto alla globalizzazione, ho sempre intravisto in questa alleanza la possibilità di aggiustarne il tiro e di deterinare uno “sviluppo” organicamente valido in quanto poteva e può mettere in relazione il Nord dell’industria con il Sud dell’artigianato secondo variazioni di modalità produttive e creative». Prediligendo dunque il “design povero” la ricerca dell’ar-
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chitetto napoletano si è concentrata sulla lavorazione con manualità artigiana di materiali poveri e di riciclo come latta, carta, rame, ferro, lamierino, ceramica, vetro, legno e stoffa. Esemplare, in tal senso, i numerosi prototipi della caffettiera napoletana, prodotta da Alessi che lo incaricò nel 1979 di disegnare una versione della classica napoletana, quella che nella commedia Questi fantasmi Eduardo, nei panni di Pasquale, mostra al suo invisibile dirimpettaio, il professor Santanna, rivelando il segreto per fare un buon caffè. Perchè il caffè è un rito. E per arrivare alla versione finale, terminata nel 1987, Dalisi ha prodotto più di duecento prototipi in latta inventati nel quotidiano rapporto con i lattonai e i ramaioli di Rua Catalana a Napoli: «la caffettiera napoletana è Pulcinella: nell’attimo in cui si capovolge è Pulcinella che si trasfonde in Totò, in Pinocchio, nei guerrieri, nei samurai...». Una sorta di opera buffa del design che spazia nel mito, nell’arcaico e nel sacro catturando il genius loci della città e diventando espressione di interrelazione feconda tra design, arte e artigianato. Le idee di Dalisi diventano creazioni che parlano sempre dell’uomo e della sua realtà e di quel delicato rapporto uomo/natura che deve essere alla base di un nuovo “Rinascimento” del pensiero che non può essere ignorato. Nell’architettura, come nella vita. Da quella stessa ricerca espressiva nacque anche Totocchio, burattino disarticolato a metà strada tra Pinocchio e il grande Totò che nei versi della poesia, il cimitero della civiltà, asseriva: «p’ ’e metalli ‘a morte non esiste; invece ‘ e n’ommo , quanno se n’è ghiuto manco na cafettera se po’ ffa! » rimarcando la precarietà della vita umana contrariamente a quella degli oggetti che l’uomo stesso produce. Dalisi con le sue creazioni suggerisce la strada possibile della eco-compatibilità riuscendo a “fare” oggetti con pezzi d’oggetti e l’arte con soffi d’arte riscoprendo ogni volta il valore del magico e del meraviglioso imprigionando la fantasia e l’eternità.
Riccardo Dalisi, Cavaliere, 2003
Riccardo Dalisi, Senza Titolo, 1999
Riccardo Dalisi, Ricerca sulla caffattiera, anni 80 e Arciere, 2001
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Brie, France, 1968 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos; Henri Cartier-Bresson, Normandy, France, 1970 © Martine Franck / Magnum Photos
the Mind’s eYe. henri cartier-bresson NAPOLI. Si potrà visitare fino al 28 luglio la mostra dedicata al fotografo Henri Cartier Bresson (19082004) che ha raccontato per immagini la Storia agli uomini del suo tempo. Definito l’occhio del secolo con i suoi scatti ha catturato il dolore, l’orrore di grandi tragedie come la Seconda Guerra mondiale, dalle immagini della liberazione di Parigi ai prigionieri di guerra, ha raccontato la Guerra civile in Spagna ma anche la Guerra fredda - fu l’unico fotografo occidentale, infatti, nel 1956 ad essere ammesso in Russia, al di là della cortina di Ferro. E si trovava in India quando Gandhi venne assassinato e fotografò la sua cremazione. Inserita tra gli eventi del Maggio dei Monumenti la mostra, curata da Simona Perchiazzi al Pan, Palazzo delle Arti Napoli in collaborazione con l’assessorato alla Cultura e la Fondazione Cartier Bresson, presenta al pubblico cinquantaquattro opere fotografiche tra le più importanti icone del grande maestro francese. Il genio della composizione, la sorprendente intuizione visiva, la capacità di catturare momenti fugaci e significativi fanno di Henri Cartier- Bresson uno dei più grandi fotografi del Ventesimo secolo. Nato il 22 agosto 1908 a Chanteloup in Francia, da una famiglia alto borghese sensibile alle arti, Henri
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“
La fotografia è il riconoscimento simultaneo, in una frazione di secondo, del significato di un evento
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in Messico. Nel 1932 la sua prima mostra fu nella galleria Julien Levy, nel 1935 negli USA iniziò a lavorare per il cinema con Paul Strand ma l’anno dopo, in un viaggio in Spagna, cominciò a realizzare le sue prime foto da reportage, elaborando quel suo stile personale che lo porterà agli inizi degli anni 40 ad essere un fotografo di fama internazionale. Catturato nel 1940 dai tedeschi, dopo 35 mesi di prigionia e due tentate fughe, riuscì ad evadere dal campo e a ritornare in Francia nel 1943, a Parigi, dove fotografò la liberazione. “L’avventuriero che è in me si sente obbligato a testimoniare le cicatrici di questo mondo con uno strumento più rapido del pennello”.- asseriva. E con la sua Leica catturò i momenti decisivi di eventi storici cercando sempre la semplicità espressiva attraverso la semplicità dei mezzi. Con un manipolo di ‘avventurieri mossi da un’etica’, come amava definire i suoi amici Robert Capa, David Chim Seymour, George Rodger e William Vandivert nel 1947 fondò la Magnum Photos, destinata a diventare la più importante agenzia fotografica del mondo. Pioniere del foto-giornalismo Henri Cartier Bresson è stato anche un teorico della fotografia al di là della bellezza i suoi insegnamenti valgono ancora adesso che la fotografia digitale e le manipolazioni in fase di post produzione finiscono per alterarne talvolta il valore realistico e documentario.
Brie, France, 1968 © Henri Cartier-Bresson / Magnum Photos
Cartier Bresson inizialmente si avvicinò alla pittura grazie all'influenza di suo zio, Louis, artista affermato e diventando allievo di Jaques-Emile Blanche e di André Lhote frequentò i surrealisti e Triade, il grande editore. Ma a partire dal 1931 la fotografia divenne il centro di tutta la sua vita. A 23 anni, con la sua Laica - diventata il prolungamento del suo occhio - partì per un viaggio che lo portò nel sud della Francia, in Spagna, in Italia e
PAN, via dei Mille 60, Napoli Aperto fino al 28 luglio 2016, tutti i giorni dalle ore 9.30 alle ore 19.30 - la domenica dalle ore 9.30 alle 14.30. Il martedì le sale espositive sono chiuse
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Federico Zandomeneghi, Il giubbetto rosso, 1895 Olio su tela, 80x70 cm, Collezione privata
i Macchiaioli. i contorni della realtà oltre oGni confine Claudia Forcignanò
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A Roma, nel Chiostro del Bramante in mostra 110 capolavori di grandi Maestri fino al 4 settembre 2016
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ROMA. Imboccando la storica via dei Coronari a Roma, nota in tutto il mondo per essere la sede di numerose botteghe d’antiquariato, si raggiunge via Arco della Pace e passando attraverso un anonimo portone, isolandosi completamente e involontariamente dal caotico via vai dei turisti e dal ronzio fastidioso del tran tran giornaliero, si accede al Chiostro del Bramante per immergersi in un’atmosfera d’altri tempi, in cui il silenzio regna sovrano. Una visita non casuale, perché fino al prossimo 4 settembre il Chiostro del Bramante sarà la cornice della
mostra “I Macchiaioli. Le collezioni svelate” a cura di Francesca Dini, realizzata con il patrocinio dell’Assessorato Cultura e Turismo del Comune di Roma, prodotta e organizzata da Dart - Chiostro del Bramante e Arthemisia Group. Quello dei Macchiaioli non è un semplice movimento artistico, ma un sogno portato avanti con determinazione da un gruppo di giovani artisti con idee innovative, che negli anni a seguire varcarono i confini italiani offrendo interessanti spunti e gettando le basi per quello che fu poi il movimento impressioni-
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sta parigino. Era il 1856, nell’aria si percepiva già il profumo di un cambiamento epocale, i giovani artisti si ritrovavano in una saletta del Caffè Michelangelo di Firenze, parlavano, si scambiavano idee e riflessioni, e alcuni di loro, ragionando sulla realtà fenomenica, teorizzarono che la forma non esiste, ma è generata da macchie di colore sovrapposte tra loro, che riflettendo la luce danno origine, appunto alle forme che l’occhio umano percepisce. I contorni dell’avventura di questi artisti iniziarono lentamente a definirsi dando al gruppo dignità
di vero e proprio movimento grazie anche al supporto di critici del calibro di Adriano Cecioni e Diego Martelli, i quali dettarono le linee guida del nuovo stile che proseguì il suo percorso in netta frattura con gli stili classici e le regole accademiche. Nel 1862, finalmente il movimento viene riconosciuto pubblicamente grazie ad un articolo uscito su “Il Corriere del Popolo” in cui si parla di “Macchiaioli”. Erano giovani, folli, idealisti, intelligenti e preparati, ma non per tutti la vita è stata facile: alcuni
Alphonse Maureau, La Senna, 1876-1877, Olio su tavola, 14,5x24 cm Firenze, Galleria d’arte moderna di Palazzo Pitti Credito fotografico: © 2016. Foto Scala, Firenze -su concessione Ministero Beni e Attività Culturali
Telemaco Signorini, Il Ponte Vecchio a Firenze, 1878 ca., Olio su tela, 152x130 cm, Collezione privata Silvestro Lega, La visita in villa, 1864, Olio su tela, 32x79,5 cm, Collezione privata
sono morti combattendo per la Patria, altri sono morti in estrema povertà e altri ancora hanno dovuto vendere tutti i loro averi e possedimenti. Di una scuola di alto spessore artistico e umano restano i colori, i paesaggi poeticamente incorniciati, gli sguardi gettati al di là delle finestre e
pochissime testimonianze scritte. Un’avventura narrata nei libri di scuola, alla base della formazione degli studenti d’arte e non solo, ma i cui dettagli si vanno perdendo nel tempo e nello spazio assumendo sfumature sempre meno nette che collegano i capolavori custoditi in collezioni pubbliche, ma soprattutto private, preziosi tesori spesso irraggiungibili, e che oggi, grazie alla mostra “I Macchiaioli – Collezioni svelate”, sono state in parte raggruppate lungo un percorso che le restituisce idealmente ai proprietari originari, grandi mecenati che già all’epoca riconobbero l’indubbio valore dei 110 lavori esposti: Cristiano Banti, Diego Martelli, Rinaldo Carnielo, Edoardo Bruno, Gustavo Sforni, Mario Galli, Enrico Checcucci, Camillo Giussani, Mario Borgiotti, uomini che a vario titolo entrarono in contatto con gli artisti instaurando alle volte veri e propri rapporti d’amicizia. Telemaco Signorini, Raffaello Sernesi, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani, Adriano Cecioni, Giovanni Fattori, Silvestro Lega, Stefano Bruzzi, Vincenzo Cabianca, Cristiano Banti, Vito D'Ancona, Nino Costa, Ferdinando Buonamici, Niccolò Cannicci non furono solo pittori, ma furono uomini che amarono profondamente l’epoca in cui vivevano, tanto da volerla raccontare cogliendone i
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Giovanni Boldini Ritratto della Marchesa Vettori 1865 ca. Olio su tela, 29x25,7 cm Collezione privata
Vincenzo Cabianca, Il Mattino (Le monachine), 18611862, Olio su tela, 36x99 cm, Istituto Matteucci, Viareggio, Credito fotografico: Viareggio, Istituto Matteucci
momenti più significativi e autentici, restituendo attimi preziosi di una vita spesso bucolica, fatta di piccole cose, come la fatica del lavoro nei campi, il dolore delle battaglie, la quotidianità delle giovani donne intente a ricamare, realizzando opere la cui dimensione è direttamente proporzionale all’emozione trasmessa: quadri imponenti che occupano un’intera parete e obbligano lo spettatore e sedersi per poterli ammirare e lasciarsi trasportare al loro interno, o quadretti sfiziosi da osservare a distanza ravvicinata per coglierne i particolari, ma tutti, indistintamente animati da una luce che elude le leggi temporali e giunge fino ai giorni nostri illuminandoli di vita, facendo pulsare i colori a volte violenti, sanguigni, altre delicati in un insieme mistico che annulla i confini, la linea di contorno e consegna all’immortalità i personaggi che animano la composizione. Nessuna location, più del Chiostro del Bramante poteva accogliere queste opere: il tempo congelato sulla tela si materializza nelle stanze cinquecentesche creando un connubio perfetto che avvolge il visitatore in un’atmosfera di pace assoluta e predispone l’animo alla contemplazione. “I macchiaioli. Le collezioni svelate” è una mostra da gustare lentamente, soffermandosi su ogni singola opera, guardandola, osservandola, studiandola fino a percepire nel profondo l’ampio respiro donato dall’intuizione geniale che ha reso grande questo movimento: l’abbattimento di ogni confine e la libera fruibilità del colore e della luce. fino al 4 settembre 2016 Roma, Chiostro del Bramante Informazioni e prenotazioni T +39 06916508451
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Foto di Gabriele Cialdella per m12AD
Quando il desiGn incontra i luoGhi “tiMo” di MichelanGelo olivieri
Sgabelli, sedie, poltroncine, chaise longue e una lampada, dalle linee essenziali. Una collezione di interior e lighting design che nella sua semplicità, traspone nella vita quotidiana, la luce che avvolge la Puglia. In una parola “Timo” la nuova linea che il designer Michelangelo Olivieri di m12 AD ha concepito ispirandosi ai colori e ai profumi della sua natale. Presentato in anteprima al Fuorisalone 2016 m12 AD, “Timo” conquista il pubblico per le nuance eleganti e sobrie, applicate a un design puro, realizzato con manifattura artigianale. “Questa collezione è nella mia testa da tanto tempo, sin da quando vivevo a Venezia. Ogni volta che tornavo in Puglia, avvertivo l’esigenza fisica di rifugiarmi sulle Murge per respirarne l’atmosfera, unica al mondo. Ho semplicemente trasferito su carta tutto quello che i miei occhi catturavano, insieme alle sensazioni che queste lande desolate, zen, riuscivano e riescono a trasmettermi: semplicità e equilibrio interiore, due elementi chiave che ritroviamo nella collezione “Timo”. Ciascun pezzo infatti è in costante equilibrio: dalla lampada dalla struttura molleggiata che torna sempre nella sua
posizione originale, alle sedute: due gambe sulle quali è appoggiata una piastra di metallo, posta in un preciso punto che consente la massima flessibilità e impedisce il collasso del materiale,” racconta Michelangelo Olivieri. La collezione si adatta perfettamente ad ambienti interni ed esterni. Per l’outdoor infatti,“Timo” presenta finiture in legno di teak e un trattamento di zincatura per il metallo, per un’ottima resistenza agli agenti esterni.
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franco corlianò. del Poeta ferroviere e delle sue canzoni
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di Maurizio Nocera
Canti struggenti, l’amore per la terra e la lingua madre grika che ha fatto conoscere nel mondo. Il ricordo di Franco Corlianò ad un anno dalla scomparsa
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nella foto il poeta Franco Corlianò
I
n internet, tra le tante immagini, ce n'è anche quella di un Franco Corlianò che, all'operatore che lo sta riprendendo, fa segno di non farlo. "No, non riprendermi" gli dice e, in quel suo dire, nasconde il viso tra le mani di macchinista dei treni della Ferrovia della Sud Est salentina. Il suo sguardo volge poi al pianto. Commozione. Fortissima commozione. Non mi riferisco alla sua, che c'è ed è visibile, ma alla mia. Anch'io storco le labbra, socchiudo le palpebre e il groppo alla gola sale fino a non farmi quasi respirare. Se le lacrime non raggiungono i lacrimatoi è perché si fermano nel lago ipogeo del rimpianto. Da quanto tempo non vedevo Franco? Non lo ricordo più. Eppure, per motivi di studi latinoamericani, non poche volte, in questi ultimi tre decenni, mi sono recato a Calimera, nella casa affianco alla sua, abitata da suo cognato ischitano Franco Vespoli e da Tonia Montinaro, sorella di sua moglie. Sì, forse, in tutto questo mare della memoria dimenticata, qualche volta ci siamo
pure visti, abbiamo incrociato i nostri sguardi, e ci siamo pure salutati, ma senza mai scendere nei particolari. Cosa c'era che ci impediva di approfondire? Sicuramente la mia timidezza, non minore della sua e, in un certo senso, il rispetto che avevamo uno dell'altro. E tuttavia, oggi, rimpiango per non essere riuscito a frequentarlo quel giusto tanto che me lo facesse apprezzate e stimare ancora di più di quanto già era in me. Ci fu una stagione, anni '70, in cui ebbi modo di incontrare Franco in alcune riunioni che Antonio L. Verri, a quell'epoca direttore del periodico di letteratura «Caffè Greco», organizzava a Calimera. Il luogo degli incontri era - non poteva essere diversamente - il bar di piazza del Sole, di fronte alla chiesa di san Brizio. Ricordo che già allora Franco si distingueva fra noi per via di quei suoi capelli già brizzolati. Spesso non interveniva, ma quando lo faceva, il verso era rivolto sempre alla lingua dei suoi avi, che lui stesso già
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Sotto la copertina del libro “C’è Facebook per te”, a lato Franco Corlianò
sapeva parlare e che andava pure imparando a scrivere: il griko. A quel tempo aveva già fatto conoscere al pubblico la canzone Klama (Pianto), meglio conosciuta col titolo di Andramu pai (Mio marito se ne va), ma che in griko Franco la scrisse come O klama i jineka u emigrantu (Lamento della moglie dell'emigrante), dedicata agli emigranti italiani, quelli della generazione di mezzo secolo, emigranti in Belgio come minatori nelle miniere di carbone e non pochi rimasti uccisi dai crolli di quelle loro stesse fabbriche sotterranee di morte. Una volta dissi a Franco che anche mio padre aveva fatto parte di quel tristissimo capitolo di storia mineraria europea, proprio in Belgio, in una di quelle miniere non lontane da Marcinelle, da dove ritornò ferito e con un piede storpiato dai crolli. Lo struggimento della canzone Klama (che lo stesso poeta musicò) sta tutto proprio nel pianto/compianto di una di quelle tante donne che noi, a quel tempo, chiamavamo "vedove bianche" e che qui vale la pena ricordare. Ha scritto Corlianò: «Voglio ubriacarmi... per non pensare,/ piangere e ridere voglio stasera,/ con grande rabbia io devo cantare,/ alla luna devo gridare: mio marito se ne va!// Svegliatevi, donne, svegliatevi!/ Venite a piangere con me!/ Siamo rimaste sole, la festa di San Brizio è passata/ e gli uomini se ne vanno uno ad uno!// Gli uomini se ne vanno, stanno partendo!/ Se andrà bene li rivedremo fra un anno!/ è questa la vita nostra?/ Questa è vita, mio Dio?/ Vanno in Germania piangendo con dolore!// Povera me, poveri quei bambini!/ Vedono il loro papà una volta all'anno:/ - Perché piangi papà? È San Brizio!/ Senti la banda, senti che bel suono!/ - Sento la banda e sento
questa musica,/ sto qui con voi ma penso al treno,/ penso al buio di quella miniera,/ là dove la gente muore al lavoro!// - Papà, perché devi andare?/ Dimmi, perché?/ - Perché questa è la vita, poveri ragazzi:/ il poverello lavora e suda/ per ingrassare i padroni con il suo lavoro!// Poveri noi, venite qui bambini,/ venite, inginocchiamoci a terra;/ il papà è andato via e noi preghiamo/ che arrivi un po' di luce anche per noi!». Come si fa, davanti a tanto struggimento, davanti a tanta disperazione degli addii, riuscire a reprimere la commozione? Come si fa? Infatti non si fa e ci si commuove platealmente con la stessa dolcezza dello sguardo del poeta Corlianò, che per sé non chiedeva nulla e che molto ha fatto per gli altri con la sua arte e la sua poesia. L'esperienza dei nostri incontri durò tre anni, ma abbastanza per non dimenticarci l'uno dell'altro. Per questo, ogni qualvolta che accadeva di incontrarci, ci salutavamo cordialmente ognuno di noi andando al tempo della comune frequentazione. Tuttavia, non averlo frequentato assiduamente negli ultimi tempi, non è significato per me non seguirlo nella sua attività di poeta e di pittore. Lo seguivo. Lo seguivo. Ah!, se lo seguivo. E sapevo quello che faceva. C'erano luoghi (della poesia, mi vien da scrivere, e della canzone, e della musica), dentro ai quali egli era immerso, ma che io ugualmente frequentavo, sia pure in modo meno coinvolgente. E lì, in quei luoghi, comuni amici mi dicevano di lui. Penso ai fratelli Gianni e Rocco De Santis di Sternatia, a Vito Maniglio del Mocambo, al prof. Toto Sicuro di Martano, a Rocco Aprile della sua stessa Calimera, ad altri ancora, che mi dicevano di lui, delle sue struggenti canzoni. Anche recentemente, due sue (e mie) amiche, Giusy Petracca e Antonietta Fulvio, mi hanno chiesto di presentare un libro - C'è facebook per te. Emozioni e pensieri condivisi in rete (Il Raggio Verde, Lecce, 2015) - una silloge di liriche con testi di Assunta Braì, Maria D'Albenzio, Michele Dell'Anna, Salvina La Marca, Nico Maggi, Gabriele Marullo, Anna Paola Pascali, Laura Rotella, Vita Silvestri, Francesca Zavattari, introdotti da Franca Soglia, presidente della Coo-
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perativa Sociale "Kara Bobowski". Nella citazione che ho fatto dei nomi dei poeti, ne ho saltato uno, appunto quello di Franco Corlianò che, al tempo della pubblicazione, non era più tra di noi. Se n'era andato da questo mondo all'inizio dell'estate 2015 (26 giugno). Questi i titoli delle sue liriche presenti nella raccolta: Fior di ginestra; Il vecchio bambino; 28 luglio. Tra queste poesie, secondo me, ce n'è una sicuramente autobiografica, Il vecchio bambino. Leggiamola: «Chi di voi/ ha da darmi/ ancor un po'/ di polvere d'oro?// Per voi ho dipinto/ la tela della mia vita:/ pane bianco/ e caldi panni,/ vecchie canzoni/ che mi cullavano,/ sguardi d'amore/ e dolci lacrime.// L'ho fatto per voi/ questo grande quadro/ pieno d'affetto/ sorrisi e gioia,/ e vi ho dipinto/ mari azzurri/ calce bianca/ amorevoli mani.// E dipingendo,/ sempre per voi,/ polvere d'oro/ ci ho fatto cadere:/ ho ricoper-
to la solitudine/ le notti fredde/ gli occhi inariditi/ di un vecchio-bambino./ Polvere d'oro/ sulla paura/ che lui aveva/ dello scherno di bimbi felici:/ le lacrime ho indorato,/ ho indorato i sassi/ che scagliava in cielo/ per colpire il Cristo.// Oggi è cresciuto/ il vecchio-bambino:/ volete che vi dipinga/ un altro quadro?/ Vi parlerò delle nuvole/ dove va a nascondersi/ con tutti i sogni/ che son la sua vita.../ Di quelle volte/ che toglie le scarpe/ e nelle pozzanghere/ va a camminare.../ mentre i suoi nipoti/ fanno volar l'aquilone/ correndo veloci/ con la gioia di vivere...». Ecco. Questo è stato per me il poeta di Calimera Franco Corlianò, la cui fisicità, purtroppo, non c'è più accanto a noi, però c'è la sua candida anima di aedo del griko del Salento che vive in ognuno di noi.
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Franco Corlianò a Melendugno presenta il suo libro “Tre civette sul comò”, 15 dicembre 2010.
ricordando il Poeta artista franco corlianò MurGhì di Carlo Petrachi
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Poeta e scrittore le sue opere e il suo impegno sociale sono un immenso patrimonio per tutti
”
Parlare di Franco Corlianò non mi è facile, sia perché era un ingegno multiforme, sia perché non avrei a portata di mano tutta la sua produzione letteraria e artistica per dare (se ne fossi capace) un’adeguata visione retrospettiva, sia perché, il semplice ricordare, mi fa venire l’amaro in bocca. Sebbene d’estate soggiornasse a San Foca da decenni, il caso ha voluto che non c’incontrassimo praticamente mai. Ci siamo incontrati solo nell’estate del 1988 per una fortuita, piacevole coincidenza: avevo appena pubblicato, per i tipi di Andrea Livi Editore, un romanzo breve, fiabesco più che storico, dal titolo La spada dai raggi di luna, oggi introvabile, e lui con la moglie, Maria Roca Montinaro, lo avevano acquistato da un’edicola di San Foca. Divoratolo in un fiat, come mi confidarono, (erano solo 141 pagine) volevano conoscermi e vennero presso la mia abitazione estiva senza trovarmi. Su indicazione di mia zia che abitava al piano di sotto, fui io ad andare a trovare lui e la moglie presso la sua casa estiva e lui, col suo tono pacato, mi fece qualche domanda sul mio romanzo, tra cui una che mi restò, chissà perché, impressa: “Quanto c’è di te nel protagonista?” “Tanto e niente”, gli risposi. Si erano talmente innamorati del romanzo che la
brava Maria Roca lo adottò disinteressatamente e lo fece adottare anche da un’altra collega come testo di lettura per gli alunni. Avemmo poi un altro interessante incontro nella sua casa di Calimera, dove mi fu possibile ammirare alcune sue pitture, restando colpito dalla forza espressiva che emanavano. Potei constatare che quasi nessuno come lui riusciva ad esprimere quella che, con un termine dal sapore sciasciano, chiamerei salentitudine. Poi sua moglie, professoressa di lettere alle scuole medie del luogo, mi fece vedere la bozza di una ricerca, ricca di foto, documenti e testimonianze. Io e mia moglie saltammo sulla sedia: non ci era mai capitato di imbatterci in una ricerca scolastica condotta con tanta scientificità storica, con tanta competenza didattica, con tanto amore e professionalità, riguardante i problemi dell’emigrazione salentina che portò al disastro di Marcinelle, in Belgio, con la morte di tanti nostri giovani conterranei e alla quale due melendugnesi – uno era zio di mia moglie – scamparono perché in ferie. Il lavoro, raccolto in un libro dal titolo La valigia di cartone, sarà, successivamente, presentato nella scuola media di Calimera. Proprio mentre discutevamo del libro – ancora in fasce – non potei fare a meno di notare i brevi, a volte monosillabici, interventi di Franco che partecipava emotivamente alla narrazione che andava sciorinando la sua Maria Roca, e le emozioni che, via via, gli trasparivano sul volto, rivelando così tutta la sua sensibilità e il suo afflato umano per le passate, dolorose vicende dei nostri conterranei. Dopo aver gustato una gradevole cenetta preparata da Maria Roca, ce ne andammo con la netta sensazione di aver conosciuto due persone veramente eccezionali, complementari, in perfetta
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sintonia che dedicavano la loro vita con costanza, tenacia e convinzione a quella che Carlo Alberto Augieri è solito chiamare “Cultura altra”: la nostra, quella che ci definisce e ci caratterizza come Salentini, una Cultura aperta e ricettiva che può essere arricchita, sì, ma non devastata nel suo DNA. In incontri estivi successivi, avemmo modo di parlare della sua produzione poetica e musicale e fu allora che mi disse che la sua canzone in grico, Klama (Pianto), da altri ribattezzata Andra mou paei (Il mio uomo parte), in Grecia era diventata una specie di inno nazionale, tanto, a suo dire, per merito dell’eccezionale interprete Maria Farantouri, quanto per l’esecuzione di vari gruppi musicali qualificati. Quel che più mi stupì era che, malgrado il grande successo, lui ne parlasse con molta umiltà, quasi con distacco, senza attribuire meriti a se stesso perché la sua maggior attenzione non era concentrata sulla notorietà ottenuta, quanto, invece, sui motivi che ne avevano ispirato la composizione e infatti continuò il suo racconto: «Da ferroviere, ero costretto ad
assistere alle partenze di tanti miei compaesani, dopo le ferie estive, con la famiglia che accompagnava il padre alla stazione di Lecce e sostava nei pressi del convoglio. Fu in un’occasione di queste che la moglie, disse al marito in partenza: “Me raccomandu, apri l’occhi!” Una di quelle frasi che, in sostanza non dicono nulla, ma dimostrano tutto l’attaccamento alla persona amata. Il marito le rispose triste: “E se li apru, nu partu cchiui!”» Anche se l’episodio era stato narrato quasi col sorriso sulla bocca, non mi sfuggì che i suoi occhi erano diventati umidi. Era la chiara dimostrazione del suo grande senso di umanità, del suo interesse per il sociale, del suo altruismo, virtù “inusuali”, direbbe certamente lo storico Raffaele Colapietra, qualità che oggi – in un mondo in cui la finanza detta legge e l’uomo è nient’altro che un codice fiscale – sembrano essere messe in soffitta. Anche se Lui fisicamente non c’è più, la ricchezza del suo esempio, del suo impegno e delle opere che ha lasciato, è conveniente per noi che vengano messi in giusta luce non come semplice ricordo, ma come lezione di vita.
il celacanto riaPre alla bellezza Presentate le attività del centro TRICASE (Lecce). L’ex casa cantoniera di proprietà della Provincia di Lecce, luogo simbolo del lavoro della cittadinanza attiva, dopo i lavori di ristrutturazione, è diventata un’area polifunzionale. Sarà utilizzabile tutto l’anno per lo svolgimento di incontri, convegni, laboratori, tavoli tecnici, corsi di formazione, esposizioni, eventi e tanto altro ancora. Lo scorso 30 giugno la fine dei lavori di ristrutturazione è stata scandita dal "Primo nodo al nastro", nastro che verrà tagliato ufficialmente a settembre e tanto di visita guidata dai padroni di casa, ovvero i soci di Coppula Tisa. Il Celacanto sarà il luogo in cui tutti possono sentirsi a casa, un posto aperto a giovani desiderosi di intraprendere un percorso di crescita individuale e collettiva di cittadinanza attiva e solidale, nonché attraverso la messa in rete di esperienze e risorse provenienti dal mondo dell'associazionismo e del volontariato attivo più
largamente inteso. Tra le attività in programma nel Celacanto si segnalano la creazione di un “Osservatorio civico”, Laboratorio del riciclo, una Galleria documentale e, infine, l’organizzazione di un evento finale, una campagna per la promozione della Bellezza, finalizzata all'acquisto e demolizione di una casa ancora allo stato rustico, costruita abusivamente in uno degli scorci più belli della costa salentina.
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a caliMera la festa dei laMPioni
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Un tappeto di fiori per le strade di Patù nel segno dell’Exultet della Misericordia
di Maria D’Albezio
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CALIMERA (Lecce). Prezioso scrigno di storia e cultura, dove le tradizioni sono vive e si interpretano nei migliori modi. È questa Calimera, graziosa cittadina nell’isola ellenofona nel cuore del Salento, dove ogni anno artigiani esperti costruiscono i lampioni per la Festa che sembra avere origini antiche. Dei lampioni primitivi, infatti, sono stati rinvenuti sotto forma di graffiti in alcune grotte della Cappadocia. La festa è stata ripristinata alcuni decenni fa e ritorna ogni anno più partecipata e sentita, tanto è vero che questa edizione si è tenuta per quattro giorni, dal 18 al 21 giugno. La festa dei lampioni celebra l’arrivo dell’estate. Anticamente non c’era la luce elettrica e si usavano candele per illuminare le notti buie, poi sono arrivate le lampade a petrolio, che nella calura implacabile del sole mediterraneo raccontavano un mondo
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magico e incantato. Si ricordavano le antiche feste e come si aspettasse il cambio di stagione. La primavera che lasciava il passo all’estate nel giorno del suo solstizio. È stato il Cristianesimo poi ad amalgamare il profano con il sacro. Ecco che con il solstizio d’estate si fa coincidere la festa di San Luigi. Fu durante la seconda metà del secolo scorso che alcuni giovani ragazzi ripresero a costruire i lampioni proprio come avevano sentito raccontare dai loro vecchi che a loro volta avevano ascoltato dai loro avi. I lampioni sono dei manufatti molto originali e si costruiscono con la lavorazione di canne raccolte a Gennaio e lasciate essiccare, si tengono insieme al filo di ferro e spago, infine si rivestono di carta velina. A questo punto è la creatività a fare da padrona, perché vengono fuori : navi, stelle, aerei, come per magia illuminano in questi quattro giorni le più antiche strade del centro storico di Calimera. La festa è piena di sorprese, alzando gli occhi si vedono illuminazioni artistiche, non mancano mostre d’arte e artigianato . In concomitanza si preparano stand gastronomici con tutti i piatti tipici della Grecia Salentina. Si degusta anche lu cuturusciu, un tarallo morbido, ottenuto dalla pasta del pane, condito con olio e pepe, cotto in forno di pietra. Le serate vengono sempre allietate da ottima musica e ballare la pizzica è sempre una gioia .
alcuni momenti della manifestazione (foto di Maria D’Albezio)
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lastation. eventi d’estate nella stazione ferroviaria di GaGliano
GAGLIANO (Lecce). Mostre, proiezioni, talk, sleep concerts, concerti d’autore al tramonto, esplorazioni artistico-culturali per la programmazione estiva 2016 di Lastation, centro artistico e culturale con sede nell’ultima stazione ferroviaria del tacco d’Italia (Stazione Gagliano Leuca). Si comincia mercoledì 6 luglio con l’appuntamento settimanale Terre Estreme: Visioni d’autore, un ciclo di otto appuntamenti in cui altrettanti registi pugliesi presenteranno lungometraggi e medio metraggi, che indagano il territorio da punti di vista differenti: geografico, socio-culturale, storico-artistico, etno-antropologico. Primo ospite il regista Gianni de Blasi, a seguire Corrado Punzi, Mattia Epifani, Giorgia Cecere, Rossella Piccinno, Davide Barletti. La programmazione di luglio prevede, inoltre, un ciclo di tre Sleep Concerts: si tratta di sonorizzazioni durante le quali “la musica e l’ambiente si combinano a creare una forma di “sonno attivo”, in cui il suono ha lo scopo di trattenere la mente che indugia tra la veglia e l’assopimento”. Tre i compositori ospiti: Candedicoda, eclettico artista contemporaneo (venerdì 22 luglio), Gabriele Panico e Donato Epiro. Dal 6 luglio, per quattro appuntamenti settimanali, Alberto Piccinni, educatore, musicista e responsabile della mappa sonora del Parco Otranto Santa Maria di Leuca, terrà un laboratorio dedicato al suono e al paesaggio, Ecosoundmap, per i bambini dai 6 ai 12 anni. Ad agosto sarà la volta di
Domenico Licchelli, astrofisico, che terrà un laboratorio di fotografia notturna dal titolo Paesaggio notturno. La fotografia è luce; e di Stefano Urkuma De Santis, con il quale si potrà partecipare ad un workshop dal titolo Paesaggio sonoro di Finis Terrae, che permetterà ai partecipanti di creare una mappa sonora del territorio. In collaborazione con l’associazione Sherazade – partner di progetto – a Gagliano il 23 luglio approda una tappa del Parco Narrativo di Fine Terra, passeggiata culturale per le strade del paese, durante la quale saranno eseguite dagli attori della compagnia A.Lib.I. quattro performance di teatro itinerante che si chiudono proprio alla stazione con una cena organizzata nel suo spazio al primo piano. Con l’associazione Made for Walking di Lecce per il 5 agosto appuntamento per le vie di Gagliano per un percorso di trekking, in notturna. Spazio anche all’arte contemporanea con una serie di eventi legati alla ricerca e al lavoro dell’artista visivo e film maker spagnolo Carlos Casas: il 30 luglio inaugura la mostra, “Caverne, Pietre e Luci”, visitabile sino al 20 agosto. A latere della mostra il 31 luglio la conferenza con Casas, Domenico Licchelli, astrofisico, e Paolo Mele, direttore dell’Associazione Ramdom, su temi legati al paesaggio da un punto di vista storico-artistico, scientifico, socioculturale. Inoltre, il 31 luglio e il primo agosto, su prenotazione, sarà possibile esplorare i luoghi che hanno ispirato il lavoro dell’artista. Info www.ramdom.net o www.lastation.it
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io non l’ho interrotta. Giornalisti a confronto
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Tra gli ospiti Marco Damilano, Stefano Bartezzaghi, Gianluigi Paragone, Alessandro Gilioli, Eva Giovannini, Giovanna Pancheri, Antonio Sofi, Wanda Marra, Marianna Aprile, Francesco Costa
”
SAN CESARIO (Lecce). Venerdì 8 e sabato 9 luglio a San Cesario di Lecce ritorna la seconda edizione di “Io non l’ho interrotta”, rassegna dedicata al giornalismo e alla comunicazione politica. Un ricco calendario con un’anteprima, giovedì 30 giugno, a Lecce con la presentazione del volume “La democrazia del talk show. Storia di un
genere che ha cambiato la televisione, la politica, l’Italia” (Carocci) di Edoardo Novelli . Il programma ospiterà seminari mattutini (dalle 9.30 alle 12.30 nel Palazzo Ducale) e incontri serali (dalle 20.30 alle 23.30 nell’Ex Distilleria De Giorgi) che coinvolgeranno, tra gli altri, Marco Damilano (l’Espresso), Stefano Bartezzaghi (La Repubblica), Gianluigi Paragone (La Gabbia – La7), Alessandro Gilioli (L’Espresso), Eva Giovannini (Ballarò – Rai3), Giovanna Pancheri (SkyTg24), Antonio Sofi (Gazebo – Rai3), Wanda Marra (Il Fatto Quotidiano), Marianna Aprile (Oggi), Gennaro Pesante (addetto stampa Camera dei Deputati), Francesco Costa (Il Post), Dino Amenduni (Proforma), Serena Fortunato (Moscabianca), Lorenzo Pregliasco (YouTrend/Quorum), Daniele De Bernardin (OpenPolis), Stefano Cristante (sociologo), Andrea Conte (Project Leader Commissione Europea, Centro Comune di Ricerca). La rassegna vuole indagare, tra il
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serio e il faceto, l’attuale situazione della comunicazione politica in Italia, con incursioni in Europa e negli Stati Uniti, attraverso l’analisi del linguaggio e dei social, delle parole e dei comportamenti dei giornalisti e della classe politica, ma soprattutto analizzare le contraddizioni tra “il dire” e “il fare”. Gli incontri delle mattine (ore 9.30/12.30) di venerdì 8 luglio (“La comunicazione Politica. Dalla Psicologia delle folle alla psicosi da like” con Stefano Cristante e Serena Fortunato) e sabato 9 luglio ("La politica dà i numeri: voti, sondaggi e open data" con Lorenzo Pregliasco, Daniele De Bernardin e Gennaro Pesante) sono validi per l’ottenimento di crediti formativi per gli iscritti all’Ordine dei giornalisti. Info e iscrizioni sulla piattaforma Sigef. La rassegna è ideata e organizzata da Comune di San Cesario di Lecce, (Ri)Generazione Politica, l’Alambicco e Cooperativa Coolclub, in collaborazione tra gli altri enti con l’Ordine dei Giornalisti della Puglia.
dal 17 al 24 luglio 2016 Presicce, Palazzo ducale Via roma, 171 Ingresso libero vivianacazzato.com
Matteo PuGliese. spiriti ostinati Marina di Pietrasanta (lU), la Versiliana (viale Enrico Morin, 16) fino al 15 settembre 2016 Ingresso libero. Orario: tutti i giorni, 17.00-23.30. Infotel 0584.265757
sol leWitt fino al 25 novembre 2016 sTUdio GiaNGalEaZZo VisCoNTi Milano, C.so Monforte 23 Orari: da lunedì a venerdì, 11.00 13.00; 15.00 – 19.00. Ingresso libero
antonio da fabriano. la Madonna della Misericordia Museo diocesano di Milano (Milano, c.so Porta Ticinese 95) fino al 20 novembre 2016 Orari: martedì-domenica, 10.0018.00 (La biglietteria chiude alle ore 17.30) chiuso lunedì (eccetto Festivi)
helMut neWton fotoGrafie White WoMen / sleePless niGhts / biG nudes fino al 7 agosto 2016 Venezia, Casa dei Tre oci Fondamenta delle Zitelle, 43 30133 Giudecca - Venezia Vaporetto: Fermata Zitelle; Da piazzale Roma e dalla Ferrovia linea 4.1 2 Da San Zaccaria linea 2 - 4.2 Orari: Tutti i giorni 10– 19; chiuso martedì. Infotel. +39 041 24 12 332
carlo bernardini. dimensioni invisibili fino al 18 ottobre 2016 aeroporto di Milano Malpensa, Porta di Milano Orari: dalle 8.00 alle 22.00 Ingresso libero. Infotel. 02 232323
saM havadtoY. only remember the future 1 giugno - 8 luglio 2016 Milano, Fondazione Mudima (via Tadino 26) Orari: lunedì-venerdì, 11.00-13.00; 15.00-19.00 Ingresso libero Info: tel. 02.29409633
dell’infinGiMento. Quello che noi crediamo di sapere della fotografia fino al 20 luglio 2016 lissone (MB), Museo d’arte contemporanea (viale Padania 6) Orari: mercoledì e venerdì, 10.0013.00; giovedì, 16.00-23.00; sabato e domenica, 10.00-12.00; 15.00-19.00 Info:tel. 039 7397368 divina bellezza dreaming siena duomo di siena, Piazza Jacopo della Quercia 4 luglio – 30 settembre 2016 Tutti i giorni ad eccezione della domenica e del periodo dal 13 al 16 agosto. Una rappresentazione al giorno alle ore 21:30, con degustazione di prodotti tipici a partire dalle ore 21:00. Biglietti: € 15,00 intero; € 12,00 ridotto: residenti nel comune di Siena. Gratuito: bambini fino a 6 anni, portatori di handicap e un accompagnatore; € 27,00 combinato con Opa si Pass all inclusive ticket. Info e prenotazioni: 0577.286300
alPhonse Mucha curata da tomoko sato fino al 11 settembre 2016 roma, Complesso del Vittoriano ala Brasini riccardo dalisi idEE iN Volo fino al 31 dicembre 2016 MUsT, Museo storico lecce mustlecce.it WilliaM Klein. il Mondo a Modo suo Milano, Palazzo della ragione Fotografia fino all’11 settembre 2016
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il Mondo di steve MccurrY Citroniera delle scuderie Juvarriane fino al 25 settembre 2016 Info e prenotazioni: tel. + 39 011 4992333 steve MccurrY. icons Castello di otranto fino al 2 ottobre 2016 vulcani.origine, evoluzione, storie e segreti delle montagne di fuoco Museo di storia Naturale di Milano fino al 11 settembre 2016 corso Venezia 55 M1 Palestro Orari: chiuso il lunedì, da martedì a domenica: 9.00 - 17.30 (ultimo ingresso ore 17.00) Biglietti: 10 € intero Info point Museo di Storia Naturale 02 88 46 33 37 GarrY WinoGrand. Women (are beautiful) MaN, Museo d’arte Provincia di Nuoro via s. satta 27, Nuoro dal 15 luglio al 9 ottobre 2016 tel. +39 0784 25 21 10 eadWeard MuYbridGe (1830 – 1904). Tra scienza e arte Milano, Galleria Gruppo Credito Valtellinese Fino al 1 ottobre 2016 tel. +39 0248.008.015 MeraviGlie dello stato di chu Museo Nazionale atestino di Este (Pd), Museo archeologico Nazionale, di adria (ro), Museo d’arte orientale di Venezia Fino al 25 settembre 2016 Infotel: +39 392 9048069 mostra-chu.it enzo cucchi lecce, Centro Culturale scaramuzza arte Contemporanea Via libertini, 70 al 17 luglio 2016 dal martedì alla domenica ore 17.00-20.30 (ingresso gratuito) info: scaramuzza.artecontemporanea@gmail.com tel: 3932118913 - 3297325036
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lUoGHi dEl saPErE
ANTONIO In verità non so perché sono così triste (Il Mercante di Venezia, I, 1)
BoB sMiTH il ragazzo che amava shakspeare 2004 Guanda editore traduttore M.dallatorre pagg. 322 €18,00 disponibile anche in versione e-book
In verità non so perché sono così triste… Le rilessi. Otto semplici, brevi parole, e naturalmente non potevo capire bene che cosa significasse “in verità”, ma non era necessario. Non cambiava affatto la semplice enunciazione, che non avrebbe potuto descrivere in modo più accurato il ragazzino che la stava leggendo. All’improvviso la finestrella colorata sembrava molto più viva sotto il sole del tardo pomeriggio invernale che adesso la colpiva. Credo che più si è confusi dentro, più si ha bisogno di credere in qualcosa fuori. Avevo un disperato bisogno di appoggiarmi a qualcosa che fosse più grande di me, ed era chiaro che William Shakespeare capiva com’era soffrire senza neppure sapere perché. In casa nostra vigeva la regola del silenzio. Come molta gente, evitavamo di parlare delle cose di cui più si sarebbe dovuto parlare. Shakespeare diventò così il mio linguaggio segreto, una lingua antica, remota, in caratteri cuneiformi che, in un certo senso mi rendeva più visibile a me stesso. Un processo al quale attualmente assisto in continuazione. Quando un’espressione trasmette al pubblico una verità assoluta che lo accende, vedo la gente emozionarsi e confermare con voce vibrante tale verità: “Sì, sì, è proprio così! È proprio quel ch penso io! Quando l’ha scritto l’autore?” Naturalmente l’eccitazione che provavo nei confronti di Shakespeare non aveva niente a che vedere con la sua posizione al vertice della letteratura inglese, né che fosse nato anche lui in una cittadina di nome Stratford. Non sapevo niente di lui personalmente, né me ne importava. Leggere Shakespeare era come fissare i calendari religiosi o ascoltare la messa in latino. La poesia divenne così un bellissimo luogo in cui nascondermi dalla mia vita e dai miei genitori, un luogo in cui sapevo che loro non mi avrebbero mai seguito (da “Il ragazzo che amava Shahespeare” di Bob Smith).
Può un romanzo non esente da diversi difetti risultare comunque delizioso e direi persino imperdibile per chiunque ami la letteratura e il teatro? Dopo aver letto “Il ragazzo che amava Shakespeare” la mia risposta è decisamente affermativa. È un libro autobiografico. L’autore, Bob Smith, con continui rimandi tra passato e presente, racconta da un lato la sua difficile infanzia e dall’altro il suo dolcissimo rapporto con un gran numero di simpatici anziani. E se William Shakespeare ha rappresentato per il bambino Bob la provvidenziale ancora di salvezza per affrontare una realtà personale e familiare dolorosissima, allo stesso modo il grande drammaturgo inglese rappresenta per le vecchiette e i vecchietti, spesso piuttosto malandati, ai quali il “professor” Smith legge amorevolmente gli immortali capolavori, una grande consolazione e una forte motivazione a sentirsi ancora vivi e a vincere la solitudine e la paura della morte. Il bambino Bob Smith vive in un piccolo paese statunitense chiamato Stratford, proprio come la cittadina inglese sul fiume Avon in cui nacque William Shakespeare. La sua è una famiglia modesta che deve affrontare il dramma di una figlia affetta da gravissima disabilità. Bob ama incondizio-
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natamente la sorellina e si dedica a lei con la massima devozione, ma soffre tantissimo, non solo per la condizione di Carolyn, ma anche e soprattutto per la distanza che lo separa dai genitori. Il padre, reduce dalla guerra, è insensibile e praticamente assente e non si sforza neppure di celare la propria disistima per il figlioletto del quale giunge anche a mettere in dubbio la mascolinità, la madre è fragilissima, nevroticamente accartocciata nel dramma della figlia gravemente ammalata, della infermità della quale in qualche modo sembra persino voler attribuire la responsabilità al piccolo Bob. Il quale non ha nemmeno amici, non solo perché è timido e insicuro, ma anche perché in molti lo evitano per via della sorella. Bob a dieci anni si sente terribilmente infelice, ma un giorno, recatosi in biblioteca per studiare, apre quasi casualmente un libro, è “Il mercante di Venezia”. Il bambino legge la frase “In verità non so perché sono così triste” e lì cambia il suo destino. Resta profondamente colpito da quelle parole e comincia a leggere le opere di Shakespeare e scopre che esse lo aiutano ad estraniarsi dalla sua dolorosa realtà, a sentirsi meno solo e triste, a sentirsi capito, a “vivere” in un nuovo e meraviglioso mondo. Qualche tempo dopo Stratford ospita un festival teatrale dedicato proprio a Shakespeare e Bob scopre il teatro, diventa servo di scena e da dietro le quinte, e così proprio da vicino, gode dell’interpretazione di grandi attori che rappresentano quei capolavori che lui conosce ormai quasi a memoria e in molti passi dei quali ritrova parallelismi e connessioni con la propria vita. È palpabile la sua sofferenza di bambino sfortunato e problematico, così come lo straordinario effetto terapeutico che hanno su di lui il teatro e in particolare Shakespeare ed è facile immaginare verso quale triste deriva sarebbe andata la sua vita senza quella magica e provvidenziale ancora di salvezza… Da adulto, poi, Bob organizza seminari con i quali, grazie al suo affetto e grazie alla lettura dei testi shakespeariani, porta conforto e momenti di vera gioia a gruppi di anziani desiderosi di sentirsi ancora amati, meno soli. Dicevo dei difetti di questo libro… Da più parti è stato rilevato che il romanzo è in alcuni punti prolisso e ripetitivo, mancando di un buon editing e forse anche di una efficace traduzione in italiano, che è troppo lento, che i salti tra passato e presente a volte risultano macchinosi. In parte tutto ciò è forse vero, ma i pregi superano di gran lunga questi limiti. È un romanzo poetico e commovente, dai temi forti e affascinanti. L’emarginazione cui costringe la disabilità, i drammi e i conseguenti danni psicologici irreversibili che spesso si consumano tra le mura domestiche, il potere salvifico dell’arte e della cultura, la capacità di trovare nella propria sofferenza il desiderio e la forza di andare verso gli altri e di comprenderne e alleviarne la sofferenza, la fragilità e la debolezza cui possono condannare genitori poco attenti, la solitudine cui di frequente sono condannati gli anziani, solitudine per la quale rimedi eccellenti possono essere semplicemente un po’ di affetto e qualche bella lettura in compagnia. La scrittura di Bob Smith, seppur semplice, è evocativa, spesso lirica, rivelatrice di un animo genuino e dolcissimo, fortemente introspettiva e prodigiosa nella sua grande capacità di comunicare sensazioni ed emozioni. Le numerose citazioni tratte dalle opere di Shakespeare sono sempre preziose e pertinenti, i dialoghi con gli anziani che seguono i seminari di Smith sono accattivanti, la rievocazione delle passate sofferenze e del grande bisogno di amore dell’autore coinvolgente, la condivisione con il lettore del rapporto del bambino e poi del giovane e dell’adulto Bob con la magia della letteratura e del teatro appassionante. Al termine della lettura non si potrà non voler bene a Bob Smith (nomen omen, verrebbe da dire pensando al suo desidero di stare sempre… dietro le quinte, di essere anonimo, quasi invisibile) e non desiderare di abbracciare idealmente lui e colui che gli ha salvato probabilmente la vita. Così come non si potrà non desiderare di approfondire la conoscenza delle meravigliose opere di quell’Immortale Genio. E di andare più spesso a teatro. Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi (Macbeth, IV, 3). Michele Bombacigno
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lUoGHi dEl saPErE
GioCoNda MisEria. il TaraNTisMo a TaraNTo
aNToNio BasilE Gioconda Miseria. il tarantismo a Taranto xvi-xx sec Pregedit 2015 pagg. 184 € 19,00 isBN 978-88-6194-274-5
Carlo MiNErViNi ComeTe Falco 2016 pagg. 238 € 14,00 isBN 978-88-6829-183-9
Si intitola Gioconda Miseria - Il tarantismo a Taranto XVI-XX secolo il libro dell’antropologo Antonio Basile pubblicato nella collana Antropologia e Mediterraneo della casa editrice barese Progedit. Il tarantismo è oggetto, ormai da secoli, di una vasta letteratura, ma tuttavia sollecita, ancora, l’interesse degli studiosi e di un pubblico piuttosto ampio, affascinati dal ballo dei morsicati o pizzicati dalla tarantola. Diverse sono le interpretazioni che si sono date del fenomeno, ma il suo nucleo fondamentale risiede nella credenza che esso consista in uno stato di grave malessere, causato dal morso di un animale, la tarantola chepìzzica preferibilmente le donne, durante il lavoro nei campi, al piede, alla mano o al pube, nell’ardore dell’estate; la terapia consiste essenzialmente in un prolungato e complesso rituale coreutico musicale, alla fine del quale la vittima si libera (di solito provvisoriamente) del male e dell’oppressione che avverte. Sebbene già le fonti più antiche indichino la città di Taranto come la patria del tarantismo, dalla quale deriverebbe il nome sia della tarantola che della tarantella (la musica spesso utilizzata nella pratica di guarigione), in anni più recenti l’attenzione si è concentrata soprattutto sull’area più meridionale della Puglia, cioè il Salento, mentre la zona ionica, malgrado la quantità di informazioni esistenti e spesso disperse in pubblicazioni di diffusione locale, ha ricoperto un ruolo a dir poco marginale. Lo scopo di questo volume è cercare di porre rimedio a una tale evidente distorsione e riattivare la curiosità e le indagini sul tarantismo tarantino, sui personaggi che lo hanno vissuto, sugli autori che lo hanno raccontato, sul mondo intriso di miseria e sofferenza in cui affonda le sue radici. ComeTe di Carlo Minervini, edizioni Falco, è un romanzo che racconta la bellezza in una chiave autentica e originale, in un tempo sospeso tra l’onirico e il reale. Il ragazzo si sveglia dalla seduta di ipnosi: la chiave del suo malessere è tra i ricordi che ha cancellato, sopraffatto dalla bellezza. La possibilità di risollevarsi è, invece, nel viaggio. Inizia così un percorso nello spazio che porterà il protagonista a vivere esperienze, sogni, allucinazioni nel tempo. Di città in città, di borgo in borgo, il suo cammino verso la salvezza impossibile si perde nella regione delle contraddizioni, quella che diede il nome all’Italia. Qui, tra miti, località, leggende e personaggi si dipana la storia di un giovane colllezionista di luoghi che impara a diventare uomo, tra ricordi fievoli e potenti passioni. La salvezza risiede negli occhi di una donna e nelle latebre di un passato perduto, svelato soltanto nel sorprendente finale, in un romanzo avvincente, che spazia tra il sogno, l’evocazione, la memoria e la realtà. Carlo Minervini è giornalista e cultore della materia in Letteratura Italiana presso l’università della Calabria. Dal 2002 scrive per il quotidiano Gazzetta del Sud. È stato autore e conduttore della trasmissione televisiva culturale In punta di penna e collabora attualmente alla rivista del programma di Rai Due Voyager. Ha insegnato Storia e Letteratura negli Istituti Superiori. Ama la bellezza in tutte le sue forme e crede che le domande siano più importanti delle risposte. Ma non ne è completamente certo. ComeTe è il suo primo romanzo.
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EXTra UMBria la NUoVa GUida sUllE UNiCiTà rEGioNali Extra Umbria è la nuova Guida sulle unicità regionali, dall'artigianato all'arte, dall'antiquariato al design, le risorse enogastronomiche e quelle dell'accoglienza fino ad arrivare ai servizi. Una Guida attenta a tutte le attività e persone originali che popolano la regione Umbria e che ne fanno un luogo unico e speciale.
Paola BUTEra Extra Umbria 4a Extra 2016 pagg.96 € 10,00
Una selezione di micro imprese eccezionali, dalla produzione di cibi e vini ai ristoranti, dalla bottega artigianale ai piccoli musei privati, dalle iniziative culturali ai servizi più innovativi. Tutto ciò che è unico e che si distingue per qualità e professionalità, che caratterizza il territorio e lo rende inimitabile e per questo Extra, cioè fuori dall'ordinario. Emergono le tradizioni e le innovazioni che caratterizzano il territorio umbro contemporaneo, utile ai tanti viaggiatori internazionali che vogliono realizzare un soggiorno indimenticabile e inusuale. La Guida, solo e rigorosamente in inglese, si presenta in una confezione pocket, facile da tenere in borsa o valigia, facile da consultare e supportata da Qrcode per una ricerca veloce di ulteriori informazioni sulle attività. È suddivisa in quattro settori: Food&Beverage, Art&Craft, Entertainment&Relax e Plus (servizi) ed è distribuita sul territorio, al prezzo di € 10,00 oppure si può scaricare l’e-book direttamente dal sito di 4aExtra e 4aMagazine. Tutte le informazioni e le news si possono trovare nella pagina Fb di 4aExtra
MiCHElE PiErri E alda MEriNi, CroNaCa di UN aMorE sCoNosCiUTo
silVaNo TrEVisaNi Michele Pierri e alda Merini, cronaca di un amore sconosciuto Edit@ edizioni pagg 208 2016 € 16,00
Michele Pierri e Alda Merini, cronaca di un amore sconosciuto, edizioni Edit@ è il libro di Silvano Trevisani che fa piena luce, attraverso materiale largamente inedito e il supporto di testimoni diretti, sulla storia d'amore tra i due grandi poeti, e sulla loro unione, a partire dai primi contatti, avvenuti nel 1981, fino alla morte di Michele Pierri, nel 1988. Il meticoloso e complesso lavoro dell'autore ricostruisce la vicenda, di fatto smentendo molte ricostruzioni e colmando molti vuoti che caratterizzano soprattutto la biografia della poetessa dei Navigli. Il 6 ottobre 1984, nella Chiesa del SS. Crocifisso di Taranto, Michele Pierri e Alda Merini si sposano. Il medico e poeta tarantino ha 85 anni, la poetessa milanese 53. Da quasi 4 anni sono uniti da un'amicizia profonda, in un ininterrotto colloquio telefonico, basata sulla poesia e sulla solidarietà. Sentimenti che si trasformano in amore. Alda, rimasta vedova dopo la lunga malattia del marito, isolata a Milano dopo i successi letterari giovanili e i lunghi anni in manicomio, si lega all'anziano amico, sedotta dalle sue qualità. Ha deciso da tempo di diventare la moglie di Pierri e, vinte le sue forti resistenze, lo sposa. Insieme vivono anni felici, pochi, per via dell'età di Michele, ma molto intensi. Il loro amore, che sembra a molti una bizzarria, è un legame sublime, assoluto. Quel legame consente ad Alda di ritrovare se stessa. A Taranto, sotto il segno di quell'amore, nascono le sue opere più importanti, che la imporranno al pubblico. La fine di quel legame, per la morte di Michele, è un trauma grave, che fa ripiombare Alda nel barato della follia. Due anni difficili, nella sua Milano, dov'è tornata nel 1987, quando Michele è malato terminale (morirà nel gennaio '88), e poi il successo. Ma quell'amore, che è rimasto inesplorato, assieme al periodo tarantino, è una storia esaltante, tutta da riscoprire.
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30 anni di sbn. esPerti a confronto su servizi e cooPerazione
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Un convegno per discutere una modernizzazione del Servizio bibliotecario nazionale
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NAPOLI. “30 anni di SBN: Cooperazione e servizi”, questo il titolo del convegno organizzato dalla Biblioteca Nazionale e la Biblioteca Universitaria di Napoli, che si è tenuto lo scorso 15 giugno nella sala rari della Biblioteca Nazionale di Napoli per ricordare la nascita della più grande infrastruttura culturale italiana, il Servizio bibliotecario nazionale (SBN) e fare il punto sulla situazione della Campania. Il convegno napoletano ha voluto recepire la sollecitazione giunta dalla Conferenza nazionale “1986-2016: 30 anni di Biblioteche in rete”, organizzata dall’ICCU il 1 aprile 2016 a Roma che ha visto interrogarsi esperti , docenti e bibliotecari in maniera critica sulla funzione del catalogo, su come può essere reso più accessibile allargando la rete ed integrando tutte le risorse digitali potenziare i servizi al cittadino, anche attraverso nuove forme di collaborazione . Il convegno ha visto la partecipazione delle 217 biblioteche del Polo di Napoli del Ministero dei Beni culturali e le 130 biblioteche del Polo Regionale della Campania che insieme ai rappresentanti dell’ICCU (l’'Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane), esperti del settore e bibliotecari si sono confrontati su come allargare la rete e potenziare i servizi digitali al cittadino, anche attraverso nuove forme di collaborazione, con colossi dell’informatica o
social network per semplificare l’accessibilità alle informazioni ed agli stessi documenti digitali. SBN è la rete cooperativa delle biblioteche italiane, promossa nel 1986 dal MIBACT in accordo con le Regioni e le Università e coordinata dall'ICCU (l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico delle biblioteche italiane), che ha segnato una vera rivoluzione nel mondo delle biblioteche. Cuore del Servizio bibliotecario nazionale è il catalogo collettivo, informatizzato dal 1997, che permette di interrogare le biblioteche di tutt’Italia 24 ore su 24, nonché di accedere ai servizi (richiesta di informazione, consultazione dei cataloghi, prestito e fotocopie del documento). L’utente dal proprio pc, smart o telefonino o da una delle biblioteche in rete può effettuare diversi tipi di ricerche per autore, titolo, soggetto, descrizione, classificazione bibliografica. Il Polo SBN di Napoli inizia le sue attività nell'ottobre del 1989, ed all'inizio del 1990 viene avviata la catalogazione partecipata tra la Biblioteca Nazionale e la Biblioteca Universitaria. Dal settembre 1996 è attivo il collegamento con l’Indice Nazionale che permette il collegamento con le biblioteche di tutt’Italia. 24 ore su 24. II numero di record bibliografici acquisito da tutte le biblioteche del Polo attualmente è di quasi 1.000.000 di notizie. I cataloghi delle biblioteche che partecipano alla base dati Napoli, quindi, sono interrogabili attraverso una modalità semplificata e libera, per 24 ore al giorno attraverso la pagina web, con tutte le informazioni gestionali, nonché l’accesso ai servizi (richiesta di consultazione, prestito e fotocopie del documento).
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cuPido era MioPe. Quando il trio raddoPPia risate a crePaPelle di Pino Montinaro
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Sul palco del Teatro Paisiello è andato in scena un doppio trio della risata made in Salento: Ciciri e tria e Scemifreddi
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LECCE. L’arte della risata da sempre richiede un impegno maggiore dato che, per far breccia nel pubblico, serve un testo frizzante, esercizio e
talento. Elementi non facilmente rintracciabili ma, quando presenti, sono fragorosi come gli applausi.
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foto di Giancarlo Greco
Ed è un po’ quello che è accaduto nella prima nazionale di “Cupido era miope”, commedia teatrale andata in scena al Paisiello di Lecce all'inizio dello scorso mese, e che ha visto per la prima volta sul palco un doppio trio della risata made in Salento: Ciciri e tria e Scemifreddi. Tre serate, dal 7 al 9 giugno, da sold out in cui il tema dell’amore è stato al centro di tutto. Uno specchio della nostra vita a teatro che ha portato difatti il pubblico a sorridere, riflettere e, al termine, tributare un lungo applauso ai protagonisti e, forse per trasporto tematico, anche a se stessi… Tre serate da tutto esaurito, ve lo aspettavate? Scemifreddi (Anthony Fracasso, Cristiano Nobile e Tony Rollo): <<È ammessa la sincerità, vero? Si, ce lo aspettavamo. Fin dai primi giorni di prevendita si notava un certo fermento
e tanta attesa. Poi il matrimonio con le “signore del cabaret salentino” ha fatto il resto>>. Ciciri e trìa (Anna Rita Luceri, Carla Calò e Checca Sanna): <<I maschietti erano più fiduciosi di noi sin dall'inizio. Comunque l'aver conquistato il pubblico ci ha permesso di prendere consapevolezza dell'intenso lavoro svolto e, al tempo stesso, di aver fatto del nostro meglio. Un successo decisamente bello, importante ed appagante>>. Un matrimonio quindi ben riuscito sotto tutti i punti di vista. Anthony (attore ed autore di “Cupido era miope”): <<Gli applausi sono solo la fine, giusta e gratificante, di un percorso lungo quasi un anno che ha visto questo matrimonio artistico essere sempre saldo, nonostante le tante difficoltà. Per questo devo ringraziare i miei colleghi per aver assecondato il mio istinto e la mia pazzia nel
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voler portare in scena la quotidianità dell’amore attraverso il difficile racconto della vita di coppia”. Un successo che forse è anche frutto dell’esperienze artistiche fatte da entrambi sui canali Mediaset. A tal proposito, quanto vi ha arricchito professionalmente l’aver lavorato a “Zelig” e “Colorado”?
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Ciciri e trìa: <<Per noi, soprattutto “Zelig” ha dato il contributo più attivo alla nostra formazione. Ma in questi anni, tutte le altre esperienze televisive hanno permesso di "sperimentarci". Il talento resta semplicemente talento se non viene trasformato dallo studio, dal lavoro, dalla riflessione>>. Scemifreddi: <<Essere nel cast di una trasmissione come “Colorado” ti dà tanta consapevo-
lezza ma ti mette nella difficile situazione di non poter sbagliare. Tutti si aspettano da te il meglio. Con questo spettacolo il rischio c’era, perché lontano dall’idea classica che il pubblico ha di noi da quando siamo in Tv”.
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Infine, in riferimento al vostro spettacolo “Cupido era miope”, quand’è che è scoccata la scintilla tra Ciciri e Tria e Scemifreddi?
Ciciri e trìa: <<La freccia ha colpito in pieno durante uno spettacolo in cui eravamo ospiti sia noi che gli Scemifreddi. C'è stata subito intesa, voglia di mettersi in gioco e soprattutto stima reciproca. Ci siamo scoperti sempre più simili e diversamente utili gli uni alle altre. Stiamo proprio bene insieme e presto metteremo in cantiere altro lavoro>>.
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La facciata esterna dell’ex Conservatorio San’Anna e il ficus magnolia nel giardino interno (foto S. F. S)
conservatori a lecce: una storia iGnorata di sPazi al feMMinile di Sara Foti Sciavaliere
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Un originale itinerario nel cuore della città del barocco
LECCE. Spesso camminiamo per le vie delle nostre città e dei nostri paesi, magari sostiamo davanti ad edifici che siamo abituati a vedere, forse conosciamo anche il loro nome ma non ci soffermiamo a pensare quale sia la loro storia. Può poi
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anche succedere che senza i dovuti approfondimenti le nostre riflessioni magari ci portino nella direzione sbagliata. Così succede spesso quando a Lecce si parla degli ex Conservatori Sant’Anna e San Sebastiano. Il pensiero vola subito alla musica, ad antiche sede di scuole musicali. Errato. Molti infatti non sanno che il conservatorio ha origine ben diverse da quelle che pensiamo noi, come istituzione per la formazione musicale. I conservatori nacquero a Napoli con una finalità che non sospetteremmo neanche: quello di proteggere, di conservare (appunto da cui il termine “conservatorio”), dai pericoli e dalle difficoltà della vita, i trovatelli e gli orfani. Tra il XIV e XV secolo, le vie della città brulicavano di scugnizzi, centinaia erano i ragazzini orfani o di famiglie poverissime - che vagavano
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storie. lâ&#x20AC;&#x2122;uomo e il territorio
la facciata dell’ex Conservatorio di San Sebastiano (foto S. F. S.)
per le strade abbandonati a sé stessi, bambini che avevano la strada come casa e che mangiavano ciò che la pietà della gente gli concedeva. Fu dunque per dare aiuto e riparo a questi piccoli abbandonati, che nel 1537 fu fondato, nei pressi dell’omonima chiesa, il Santa Maria di Loreto, quello che sarà il primo conservatorio italiano. Al quale presto seguì l’istituto Poveri di Gesù Cristo, e nel Seicento altri due: quello di Sant’Onofrio a Capuana e quello della Pietà dei Turchini. In questi quattro istituti i tantissimi bambini napoletani accolti, oltre all’ospitalità ricevevano anche un’istruzione: veniva insegnato loro a leggere e a scrivere ed un mestiere. Ricevevano anche un’educazione all’arte musicale, è così che, col passare del tempo, quando la professione di musicista divenne fonte di sostentamento, i conservatori si trasformarono in vere e proprie scuole di musica. A Lecce sono esistiti ben tre conservatori, che nulla hanno a che vedere con l’attuale Conservatorio “Tito Schipa” preposto invece alle attività per cui questo tipo di istituzioni sono oggi noti. Il 7 dicembre 1679 si rendeva pubblico il testamento del nobile leccese Bernardino Verardi - che di Lecce era stato anche Sindaco -, con quell’atto nominava erede universale del suo ingente patrimonio la moglie, la nobildonna Teresa Paladini, con l’“obbligo” di fondare un conservatorio, lasciando a lei la facoltà di dettarne le regole di funzionamento. Dal quel momento in poi Teresa sarà impegnata con tenacia a istruire le pratiche per l’edificazione del conservatorio e poi, a lavori ultimati, a definire le regole di governo. All’epoca, nella città di Lecce, erano attivi già due conservatori femminili con funzioni ben distinte: il conservatorio San Leonardo e il conservatorio di San Sebastiano. Entrambi erano primariamente luoghi di assistenza riservati a donne in stato di bisogno, o comunque incapaci di provvedere a se stesse per la giovane età o per la mancanza di mezzi. Nello specifico però il conservatorio di San Leo-
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Ingresso dell’ex Chiesa di San Sebastiano oggi sede della Fondazione Palmieri
nardo (fondato nel 1610) accoglieva le giovani leccesi di civili condizioni, mentre quello di San Sebastiano (risalente alla prima metà del Cinquecento), accanto al chiostro delle Cappuccinelle, dava ricovero alle giovani “pericolanti e pericolate”, ossia fanciulle povere il cui stato di indigenza poteva sospingerle verso la prostituzione, e donne “pentite”, cioè ex prostitute. Alle monache era affidata l’educazione o la rieducazione delle ospiti, condotta attraverso la pratica del lavoro (in prevalenza lavori di tessitura e ad ago) e della preghiera. La formazione poteva includere anche l’apprendimento del leggere e scrivere o qualche altra abilità. La permanenza delle conservande era, in linea di massima, temporanea: fino al matrimonio, al rientro nella famiglia d’origine o all’accettazione di un’altra conveniente sistemazione. In assenza di alternative non era raro, tuttavia, che le donne si fermassero nell’istituto per il resto della loro esistenza, accettando di condurre vita comune secondo il modello monastico ma senza l’obbligo di professione dei voti. Insomma, come era prassi per i primi conservatori, anche a Lecce questi enti andavano incontro ai bisogni concreti posti dalle povertà in generale, e a criticità più prettamente femminili, uniti alla tutela morale assicurata dalla vita ritirata in comunità. Teresa Paladini nel creare il suo conservatorio si muove tuttavia in una direzione diversa: prendendo spunto da esperienze realizzate sempre a Napoli, il suo conservatorio mirava ad alleviare altre sofferenze relative all’universo-donna. Per sua volontà il conservatorio S.Anna fu un ritiro destinato a ospitare gratuitamente “vergini, vedove o malmaritate” di famiglia nobile e di nascita leccese. Nel panorama degli istituti pii della città e della provincia, il conservatorio S.Anna si pone così come risorsa peculiarmente a disposizione delle donne del patriziato locale a cui si offre non come soccorso materiale a cui ricorrere in momenti di difficoltà economica, ma come presidio morale, come luogo di sosta in un passaggio complicato della propria vita. Particolarmente interessante infatti è il riferimento alle donne “malmaritate”: è noto che in un contesto aristocratico dove era norma che le unioni matrimonia-
li fossero decise dalla famiglia e non dai soggetti coinvolti, potesse accadere, soprattutto in assenza di prole, che i coniugi faticassero a dare senso a una convivenza rivelatasi tanto penosa da divenire insopportabile. Ne è un esempio la nobile letterata del Settecento Isabella Castriota Scanderberg. L’idea messa in atto dal conservatorio S.Anna era dunque quella di creare uno spazio femminile convenientemente protetto e confortevole, del tutto simile a quello di una residenza signorile. Teresa Paladini fa edificare un posto che riproducesse la ricchezza degli ambienti domestici di provenienza delle ospiti e dove sarebbe stato possibile per loro, ciascuna all’interno dei propri quartini (quartierino, piccolo appartamento), conservare i propri agi, ma anche entrare in confidenza con donne del proprio rango, prendersi cura di sé avendo la possibilità di applicarsi nelle occupazioni che maggiormente gradivano: certamente pregare e praticare le “arti” femminili per consuetudine, ma anche, a seconda dell’età e delle inclinazioni, istruirsi nel leggere e nello scrivere, ed esercitare la musica e il canto.
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leandro, unico PriMitivo celebrato con una retrosPettiva di Antonietta Fulvio
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Sedici anni dopo la mostra al Raggio Verde
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SAN CESARIO (Lecce) Si apre il 2 luglio a San Cesario, paese salentino originario di Ezechiele Leandro (19051981) una retrospettiva sistematica dedicata all’autore del Santuario della Pazienza, straordinario esempio di architettura babelica e visionaria situata in via Cerundolo a San Cesario di Lecce, recentemente oggetto di una dichiarazione di interesse culturale da parte del Mibact. Ben tre sedi per la mostra che cerca di proporre, nelle diverse sezioni, un percorso autonomo e di ricognizione con opere cronologicamente varie e concepite con differenti linguaggi e approcci. Nella Galleria nazionale della Puglia (con il coordinamento scientifico di Nuccia Barbone Pugliese) saranno esposte in particolare le opere – dipinti, sculture, carte – appartenenti ai collezionisti Girolamo e Rosaria Devanna; la tappa leccese della mostra propone invece, oltre a un’importante selezione di opere rare, tra cui mobili e sculture di diversi formati, una sezione dedicata agli artisti outsider, realizzata in collaborazione con Rizomi Art Brut di Torino (con opere di Giovanni Bosco, Carlo Zinelli e altri artisti). Infine, la Distilleria De Giorgi – situata a pochi passi dal Santuario della Pazienza – ospiterà un allestimento che si sviluppa tra le sale dell’ex opificio, in un dialettico confronto tra le opere – grandi dipinti, sculture in cemento e assemblaggi, in particolare – e le “reliquie” del glorioso passato dell’edificio. Nella distilleria sarà inoltre proposto un percorso multimediale dedicato alla documentazione video su Leandro e il suo Santuario rintracciata grazie al nipote dell’artista, Antonio Benegiamo, che tanto si è speso perché le opere e il linguaggio artistico di Leandro non cadessero nell’oblìo. Ricordo, diciotto anni fa, il primo incontro con Antonio Benegiamo e il racconto appassionato di suo zio Leandro e della sua arte nella sede di una piccola associazione culturale, Raggio Verde, nel cuore di quello che oggi è la movida leccese. Lì, nelle sale espositive in via
Federico D’Aragona insieme a Giusy Petracca, Ambra Biscuso e Raffaele Polo nacque l’idea di realizzare un gruppo di studio e di ricerca. Ambra Biscuso in primis con lo stesso Benegiamo cominciò a catalogare le polverose carte e con il compianto Mario Schiattone, Luca Carbone Maria Rosaria Pati e Angela Serafino si iniziò a studiare questo outsider di cui la critica e la storiografia non si era imposessato. Studi e materiali confuirono dapprima nella mostra “Disegni” (4-18 aprile 1998) e poi nel volume dato alle stampe nell’ottobre 2000 e intitolato L’opera di Leandro, tre approcci alla sua conoscenza, fermando la ricerca su quanto scritto alla data della sua morte. Un punto di partenza per far conoscere un artista più unico che raro nel nostro panorama artistico letterario la cui “vicenda artistica - scriveva nel citato volume il compianto Tonino Cassiano direttore del Museo Castromediano di Lecce - va probabilmente letta non guardando solo la storia di un pittorescultore, ma cercando tra le pieghe di un vissuto “diverso” il dipanarsi di un racconto intricato”. L’intento era di catturare l’attenzione dei media e degli addetti ai lavori e ad onor del vero, dopo che il gruppo si sciolse, Ambra Biscuso si è occupata fino al 2015 di aggiornare la bibliografia ed è oggi custode dell’archivio. Ne è passata di acqua sotto i ponti e fa piacere constatare quanto da quell’approccio si sia sviluppato e dell’attenzione che oggi si tributa all’artista Leandro divenuto come aveva profetizzato lo stesso Cassiano “quasi strumento per spaziare nel mondo dell’estetica, della poesia, della natura, rispondendo ad un’esigenza e ad una volontà di identificazione tra Arte e Natura”.
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foto di Mario Cazzato
la tela delle “tarantate” nella caPPella di s.Paolo a Galatina
salento segreto
a cura di Mario Cazzato
di Mario Cazzato
GALATINA. Migliaia di visitatori nel corso dei secoli, centinaia di studiosi tra cui il grande Ernesto De Martino, convegni costosi e nessuno si era accorto di cosa veramente rappresentasse la tela sull'altare in questione, né la data, tantomeno l’autore. Questi aspetti furono sciolti nel corso di una ricerca eseguita con gli amici Vincenzo Ligori e Luigi Manni e pubblicata nel gennaio del 2001 con il titolo "Sulle tracce di San Paolo". In questa sede (p. 35) si scrisse testualmente che l’opera “è firmata da F. Saverio Lillo” e risaliva alla fine del Settecento, non potendo essere più precisi per il cattivo stato della tela medesima per quanto doveva essere coeva alla cappella che la ospitava costruita nel 1795. La notizia innescò il problema del restauro della stessa che, poco dopo, fu eseguito dal Museo Provinciale tra il 20062007. I risultati furono pubblicati nel mio volume Da San Pietro a San Paolo del 2007.
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Luoghi e tracce del passato che hanno ancora qualcosa da dire
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storie. l’uomo e il territorio
Il restauro rivelò la data della tela, il 1795: ricordo che il Lillo scomparve il 12 ottobre 1796 come fu documentato per la prima volta nella monografia Ruffano, una Chiesa un Centro Storico, Congedo Editore, Galatina 1989 scritta a due mani con l’amico e studioso Aldo de Bernat dove per la prima volta fu pubblicata correttamente la data di nascita e il nome di battesimo del Lillo. Come nel S. Pietro seicentesco conservato ad Otranto il santo è rappresentato monumentalmente a tutt’altezza, avvolto da un mantello rosso che superiormente scopre la veste verde. Stringe la spada e con la destra indica un putto che innalza un volume aperto sulle cui pagine sono riportati alcuni versi della Lettera agli Efesini), un richiamo alla grazia accessibile soltanto a pochi. Alla destra del santo un gruppo di tre persone inscena un dramma racchiuso tutto nella figura dell’uomo languente, col volto cadaverico, sostenuto da
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foto di Mario Cazzato
prima volta un personaggio morso d uno di quegli animali per cui il ricorsorisolutivo a S. Paolo era ritenuto inevitabile. A fine Settecento era questa la raffigurazione uffi-
una donna che implora il santo mentre l’altra offre all’ammalato un sorso d’acqua - quella del pozzo? - da un contenitore metallico per alleviargli la pena. Ai piedi del santo, messi quasi in riga ai suoi ordini ci sno le cause di quel dramma: la tarantola, lo scorpione, il serpente. Non sapremo mai quale di questi tre animali è il responsabile della malattia dell’uomo ma riconosciamo comunque che in questa specie di ex voto è raffigurato per la
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ciale del cosidetto “tarantismo” anche se la taranta era posta sullo stesso piano simbolico dello scorpione e del serpente: vi è la presenza dell’acqua e l’assenza del ballo. Clamorosa fu la scoperta che l’ammalato raffigurato nella tela è un tarantato e non come poteva credersi una tarantata, che veniva assistito da due donne, le sorelle Farina, che secondo l’opera arcudiana del 1699 erano le ultime detentrici di una dote “simile a quella di Marsi” che guariva da “qualsiasi animale velenoso” attraverso “il tocco della saliva” vero e proprio “sputo medicinale”. Tra queste evidenze documentarie emerge anche una linea galatinese del fenomeno - la presenza delle donne guaritrici - che però non viene percepita dagli osservatori esterni come Il Caputi (1741), il maggior responsabile di quella letteratura che costruisce “il mito” di S. Paolo legandolo indissolubilmente al tarantismo, cancellando ogni ruolo a S. Pietro, imponendo il ballo come esclusivo momento risanatore. Pertanto la tela della cappella rappresenta l’ultima tardiva testimonianza di un’antichissima tradizione locale che attribuiva un ruolo fondamentale ai “guaritori”: dopo, ma anche durante il formarsi di tale modello culturale, la grazia veniva dispensata solo da S. Paolo. Alcuni decenni dopo, precisamente il 1835, un’altra tela, questa volta un vero e proprio ex voto, mostra solo la figura di S. Paolo, ai piedi un serpente e in basso , alla sua destra , una ragnatela con al centro la nera tarantola: gli elementi di una secolare tradizione sostenuta da una vasta letteratura si erano dissolti e sfrondati, era rimasto solo il santo con i terribili
animali che solo lui poteva dominare. Si era già consolidata una nuova tradizione culturale che sarà quella poi analizzata da De Martino. Sulla tela, prima del recente restauro, specie in corrispondenza del santo, erano visibilissimi i numerosi graffi dei tarantati che come testimonia la foto in bianco e nero si arrampicavano con agilità fin sulla mensa dell’altare.
foto d’archivio
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Foto di Ivan Serra
bentornato “Museo cavoti” uMberto PalaMa scultore di Ivan Serra
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A Galatina il nuovo allestimento del Museo apre con la retrospettiva dell’artista salentino
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GALATINA. Nei rinnovati spazi del Museo Civico “Pietro Cavoti” di Galatina è in corso di svolgimento la retrospettiva “Umberto Palamà. Scultore”. Nato a Sogliano Cavour nel 1912 e morto a Nardò nel 1995, Umberto Palamà è stato uno degli artisti più significativi ed a tutt’oggi maggiormente misconosciuti nella scena artistica salentina del secondo dopoguerra. La retrospettiva presenta una selezione fra le 29 opere che l’artista donò pochi anni prima della sua morte al Museo “Sigismondo Castromediano” di Lecce; la scelta di esporle a Galatina è dovuta al fatto che è stato nel locale istituto d’Arte che Palamà ha compiuto la sua intera carriera di insegnante, lasciando tracce profonde ed incancellabili in chi ebbe la ventura di essergli allievo e di condividerne lo slancio innovativo accompagnato da una vis polemica ed istrionica fuori dall’ordinario. Un personaggio quasi mitologico, Umberto Palamà, mai dimenticato dai suoi “ragazzi” e da quegli artisti più inquieti ed innovativi che in lui e nelle sue recensioni critiche trovavano sempre un ammiratore ed un incoraggiante “complice” che ne condivideva i difficili tentativi di svecchiare il panorama; non lo hanno mai dimenticato, dicevo, ed anzi in tutti questi anni ne hanno tramandato il ricordo e la stima e l’ammirazione in forme quasi leggendarie.
Questa retrospettiva – resa possibile dall’impegno pluriennale del Comitato per Umberto Palamà composto dal sottoscritto e da Gino Congedo ed Antonio Stanca, due ex allievi di Palamà insegnanti ed artisti essi stessi – intende riattivare l’attenzione su un percorso artistico che iniziato in forma molto tradizionale negli anni Cinquanta subisce nel corso del tempo una progressiva e sempre più decisa sterzata, figlia di quel clima innovativo e ricco di fermenti che Palamà aveva felicemente sperimentato durante gli anni di permanenza a Milano per frequentare l’Accademia di Brera, quando era venuto a contatto con il gruppo di Corrente e con gli altri artisti d’avanguardia che operavano in quel contesto. Il culmine di questa fase operativa di Palamà è rappresentata da “Prime avvisaglie”, opera del 1960. «I due buffi pupazzetti che saltellano allegramente» – come egli stesso li definì - lo portano al suo quasi febbrile 1964, in cui la sperimentazione si fa globale e diversificata con opere che a guardarle tutte insieme non sembrerebbero nemmeno tutte realizzate dalla stessa persona. “Oggetto” riflette sulla serie dei Plurimi di Emilio Vedova che Palamà ritiene un momento essenziale in quel processo di abbattimento della parete verticale e di ingresso nella vita attiva che a suo parere l’Arte deve intraprendere; “Strutturazione umana verticale” segna una ulteriore tappa sulla strada della sintetizzazione e semplificazione della figura umana, “Io e il bambino (Noi due)” e “Mamma e bambino”, rappresentano i primi “manichini” di Palamà, elementi di sintesi fra “Prime Avvisaglie”, le riflessioni sulla Sostanza e la ricerca
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intorno alla resa della figura umana. Ma l’opera che rappresenta una pietra miliare nella produzione dell’artista si presenta dal punto vista formale come una gigantesca cornice in legno alla quale sono rimasti attaccati solo brandelli di tela ed in cui una doppia pedana permette di passare materialmente attraverso lo spazio dello squarcio. L’opera si intitola “Transito” ed alla base vi è l’esperienza teorico-figurativa di Umberto Boccioni sulla quale Palamà meditò e rifletté lungo tutto l’arco della sua vita. «Noi vogliamo…che il soggetto si identifichi con l’oggetto»; «Il quadro per noi è una costruzione architettonica irradiante, di cui l’artista, e non l’oggetto, forma il nocciolo centrale»; «Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro»… Quelle che in Boccioni sono metafore, in Palamà diventano applicazione letterale, e lo spettatore/artista si ritrova realmente al centro dell’opera. È questa, fra quelle di Palamà, l’opera che meglio esprime quella dicotomia fra realtà e rappresentazione della realtà che resterà sempre un momento centrale della riflessione e dell’operatività teorico artistica di Palamà. Come riuscire a far scendere l’opera d’arte dalla parete della rappresentazione, a cui gli uomini l’hanno condannata ed a cui essa stessa si è autocondannata lungo millenni di sviluppo umano, per farla finalmente diventare viva, realmente operante in mezzo agli uomini? “Transito” è la risposta di Palamà, che si rifà anche all’esperienza dei tagli di Lucio Fontana ma ne costituisce una soluzione ancora più radicale, in quanto, come dice lo stesso Palamà: “Mentre nell’opera di Fontana, una volta praticato il taglio l’operatore arretra, riproponendo la contemplazione, nel mio telaiocornice, stante l’identificazione del SOGGETTO con l’OGGETTO, la
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Dall’alto in basso: Umberto Palama, Prime avvisaglie (1960)
contemplazione è finita”. E quando la persona attraversa il quadro, ecco che anche l’opera cambia titolo e diventa “Animazione spaziale”. Un’opera davvero rivoluzionaria, e non solo per il panorama salentino: la commistione inestricabile fra opera fisica, fotografia dell’opera e spiegazione scritto-verbale la rende, in fase di esposizione, quasi una sorta di gemella di ”One and Three Chairs” di Joseph Kosuth, realizzata però un anno prima che l’artista americano in pratica “inventasse” l’arte concettuale. In uno sperduto angolo del Salento – perché a quell’epoca il Salento era davvero “sperduto”, non certo lo snodo di flussi turistici che siamo abituati a conoscere oggi – un piccolo artista stava mettendo in pratica soluzioni che si muovevano su quella falsariga. Per non parlare del fatto, poi, che “Animazione spaziale” rappresenti una vera e propria opera di Body Art, in quanto il corpo della persona che attraversa il telaio è un indispensabile elemento costituente dell’opera stessa; ma tutto questo realizzato alcuni anni prima che la Body Art venisse effettivamente codificata e teorizzata. Umberto Palamà, che è stato anche un appassionato ed appassionante teorico dell’arte, tanto che la sua operatività non sarà mai disgiunta dalle riflessioni teoriche anche ad essa collegate, sarà in seguito un sostenitore ed un “fiancheggiatore” delle teorie e delle poetiche concettuali e bodyartistiche, ma dal punto di vista dell’operatività artistica “Transito – Animazione spaziale” resterà un unicum. Palamà si sente, è e si percepisce soprattutto come scultore, come “faber”. Ma lo scultore, il “faber” della sua epoca si deve porre il problema di come far scendere l’opera d’arte dalla parete e di come farla diventare vera vita e non solo rappresentazione di una vita. Per raggiungere questo scopo, Palamà da ora in poi si dedicherà ad approfondire operativamente il concetto di “Sostanza” su cui aveva già compiuto importanti riflessioni. Scriveva infatti Palamà nei suoi quaderni di appunti vergati durante la Seconda Guerra Mondiale nel campo di prigionia di Bergedorf: “MATERIA e SOGGETTO sono UNA COSA SOLA! Non esiste una materia e una immagine…da appropriare ad essa, ma esiste una SOSTANZA: materia e immagine insieme. Essa medesima, immagine, essa, Sostanza continuamente vivente, evolventesi ed esprimente la immagine di se stessa!”; “Bisogna creare la sostanza per impastare l’uomo nuovo! Quando sarò riuscito a concepire una nuova SOSTANZA fino a renderla concreta, palpabile, tangibile; V I V A potrò dire: da questa sostanza sorgerà l’uomo
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nuovo, con questa sostanza impasterò L’UOMO NUOVO!”; “Quando io avrò “trovato” la sostanza, quando cioè, io la avrò creata, allora, e allora soltanto avrò CREATO L’UOMO! VIVO!”. “Preparata” da alcuni Studi realizzati fra il 1965 ed il 1967, in cui materiali antichi e padronanza tecnica danno vita a liberi ritratti debitori della magia e del feticismo delle sculture primitive, dal 1967 al 1976 Umberto Palamà realizza “Homo sapiens faber”, mirabile sintesi di tutta la sua produzione. In questi nove anni Palamà modifica, usura, “rovina” la sua opera affinché quella che una volta si definiva “statua”, e che è ormai pronta per entrare nello spazio dell’azione, si evolva e mutui il proprio aspetto come un uomo vero. Crescono i capelli, compaiono i peli, la superficie delle mani e la fronte recano sempre più evidenti i segni e le tracce degli accadimenti fenomenici del vivere quotidiano, caricandosi di tutti quei valori umani e di tutti i significati maturati in questo lasso di tempo. La distanza fra il Soggetto e l’Oggetto è ormai definitivamente superata in quanto la Sostanza ha dato vita ad un essere vivo. Con “Gli amici” (1985) e “Veronica” (1986) il realismo è ormai raggiunto grazie anche ad un ricco e calibrato polimaterico. Sono queste le ultime opere realizzate da Umberto Palamà; un ingiusto ed ingeneroso oblio sembra essere caduto su questo artista almeno dalle ultime sue mostre allestite nel 1989. L’augurio è che questa retrospettiva possa riaccendere l’interesse su un artista complesso ed affascinante come pochi. “Umberto Palamà. Scultore” Museo Civico “Pietro Cavoti” – Galatina Fino al 19 settembre Il museo Cavoti è aperto il lunedì, mercoledì e sabato dalle ore 17.30 alle 21.00; il martedi ed il venerdì dalle ore 10.00 alle ore 13.30 e dalle ore 17.30 alle ore 21.00; il giovedì dalle ore 10.00 alle ore 21.00. La domenica il Museo rimane chiuso tranne la terza domenica del mese in cui è aperto solo il pomeriggio.
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fuMetto italiano. cinQuant’anni di roManzi diseGnati
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A Livorno, nelle sale del Castello Pasquini fino al 4 settembre
LIVORNO. Fa tappa, dal 16 luglio al 4 settembre 2016 nel Castello Pasquini di Castiglioncello (LI) la mostra “Fumetto italiano. Cinquant’anni di romanzi disegnati”. La mostra itinerante, dopo il Museo di Roma in Trastevere e il Palazzo della Permanente di Milano, ha registrato buoni risultati in termini di visitatori e di attenzione dei media testimoniando il costante interesse da parte del grande pubblico nei confronti del mondo del fumetto e del più recente fenomeno della graphic novel, settore in continua crescita nel panorama editoriale. “Fumetto italiano. Cinquant’anni di romanzi disegnati” è una panoramica sull’arte del fumetto: quaranta romanzi grafici scritti e disegnati da altrettanti autori, prende il via dal 1967, anno in cui iniziò la pubblicazione di “Una Ballata del Mare Salato”, capolavoro di Hugo Pratt, in cui appare per la prima volta Corto Maltese, e prosegue nei decenni successivi con straordinari lavori tra i quali Sheraz-De di Sergio Toppi, Le Straordinarie avventure di Pentothal di Andrea Pazienza, Fuochi di Lorenzo Mattotti, Max Fridman di
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Vittorio Giardino, Cinquemila chilometri al secondo di Manuele Fior, Dimentica il mio nome di Zerocalcare, passando dal romanzo a puntate ai graphic novel. In mostra trecento tavole originali, disposte in ordine cronologico e per la prima volta affiancate, di romanzi a fumetti scritti e disegnati da un unico autore: da Hugo Pratt a Altan, Carlo Ambrosini, Ausonia, Dino Battaglia, Paolo Bacilieri, Roberto Baldazzini, Sara Colaone, Marco Corona, Elfo, Luca Enoch, Guido Crepax, Manuele Fior, Otto Gabos, Massimo Giacon, Gabriella Giandelli, Vittorio Giardino, Francesca Ghermandi, Gipi, Igort, Piero Macola, Magnus, Milo Manara, Lorenzo Mattotti, Attilio Micheluzzi, Marino Neri, Leo Ortolani, Giuseppe Palumbo, Andrea Pazienza, Tuono Pettinato, Sergio Ponchione, Davide Reviati, Filippo Scozzari, Davide Toffolo, Sergio Toppi, Pia Valentinis, Sebastiano Vilella, Vanna Vinci, Fabio Visintin, Zerocalcare. Un indagine tra generi narrativi molto diversi tra loro romanzi d’azione, romanzi psicologici, romanzi biogra-
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fici o storici, romanzi satirici, romanzi tratti da classici della letteratura, romanzi contenuti in un solo volume, romanzi seriali. Percorrendo le sale del Castello Pasquini il visitatore potrà immergersi in un mondo di personaggi unici, di scenari mutevoli, di tavolozze colorate, di nero di china e di bianchi abbaglianti alla scoperta dei lavori dei Maestri del fumetto di ieri e di oggi. Il progetto “Fumetto italiano. Cinquant’anni di romanzi disegnati” è una co-produzione di ViDi e Agema® SpA. La
mostra, promossa dal Comune di Rosignano Marittimo in collaborazione con Armunia, è curata da Paolo Barcucci e da Silvano Mezzavilla con la consulenza scientifica di Daniele Barbieri, Sergio Brancato, Stefano Cristante, Enrico Fornaroli, Pier Luigi Gaspa, Giulio Giorello e Luca Raffaelli. Accompagna l’esposizione un catalogo edito da Skira che, oltre a saggi sull’argomento, pubblica gli incipit – composti dalle prime cinque pagine in bianco/nero e a colori - di tutti i romanzi disegnati trattati.
corto Maltese
e la Poetica dello straniero Quasi cinquant'anni fa, nel 1967, con Una ballata dal mare salato faceva la sua prima comparsa il marinaio Corto Maltese, uno spirito libero pronto a salpare da ogni porto, un personaggio malinconico e ironico, un crepuscolare come il suo disegnatore: Hugo Pratt. A questo straordinario personaggio cult dell'Atelier carismatico di Hugo Pratt il sociologo Stefano Cristante ha dedicato il suo nuovo libro, Corto Maltese e la poetica dello straniero, edito da Mimesis, nella collana Il Caffè dei Filosofi diretta da Claudio Bonvecchio, Pierre Dalla Vigna e Luca Taddio. Protagonista di mille avventure, mito letterario e personaggio cult della migliore graphic novel europea è un antieroe che preferisce la libertà e la fantasia alla ricchezza. In questo libro, oltre a rivivere i viaggi e le avventure del marinaio più ironico di tutti i tempi, Stefano Cristante si concentra su uno degli aspetti che rendono il suo personaggio quanto mai attuale: Corto Maltese è uno “straniero”, un apolide in perenne erranza. Non a caso, la sua figura unisce aspetto e carattere mediterraneo a una cultura anglosassone. Cristante, avvalendosi di un proficuo confronto con i principali sociologi del Novecento che hanno analizzato la figura dello “straniero” (Sombart, Weber, Simmel, Park), mostra come la forza innovativa di Hugo Pratt consista proprio nella scelta di mettere in primo piano personaggi anomali e irregolari, solitamente relegati tra i “cattivi” delle storie a fumetti. Direttore della rivista internazionale H-ermes, Journal of Communication, Stefano Cristante (Venezia, 1961) insegna Sociologia della comunicazione presso i corsi di laurea in Scienze della comunicazione e in Scienze filosofiche dell’Università del Salento. Tra le sue pubblicazioni recenti: Comunicazione (è) politica (2009), Prima dei mass media (2011), La parte cattiva dell’Italia. Sud, media e immaginario collettivo con Valentina Cremonesini, 2015.
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Veduta di Alì Terme (Messina) foto dal sito ufficiale
il Palazzo ducale nel cuore di Presicce
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Quando i luoghi raccontano la storia
di Pierluigi Letizia
PRESICCE. Il Palazzo ducale di Presicce, nel suo aspetto attuale, è il risultato di numerosi rimaneggiamenti ed ampliamenti che hanno interessato, nel corso dei secoli, l’antica fortezza d’impianto normanno edificata nel XI secolo per volere della famiglia De Specula. L’originario mastio si presentava a forma quadrangolare, con quattro torri poste agli spigoli del nucleo centrale e difeso su almeno due lati (a nord e ad est) da un largo fossato. Oggi rimangono ormai pochissime tracce dell’antica fortezza,
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completamente inglobata nelle edificazioni che si sono susseguite nei secoli successivi. Nel XVI secolo, il castello pervenne alla famiglia Gonzaga che avviò i primi interventi che lo trasformarono in un’elegante dimora gentilizia. Agli inizi del seicento, per volere della principessa Virginia Cito Moles, furono realizzati gli splendidi giardini pensili, sfruttando l’antico terrapieno delle mura normanne. Nello stesso secolo, venne realizzato un nuovo portale d’ingresso su Piazza Castello (attuale piazza del Popo-
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lo) ed eretta la cappella palatina dedicata all’Annunciazione nella quale si conserva una pregevole tela attribuita all’Imperato. Nei secoli successivi, sotto la signoria delle famiglie Bartilotti, De Liguori e infine Paternò il castello subisce ulteriori rimaneggiamenti con l’ampliamento del piano terra e del primo piano, la realizzazione dell’elegante loggiato e la copertura dello scalone che dal cortile d’ingresso conduce alla sala del Trono dal caratteristico soffitto ligneo a capriata. In questa che era la sala più grande del palazzo, con funzione di rappresentanza, faceva bella mostra una preziosa quadreria, decantata da numerosi scritti dell’epoca. Nella prima metà del novecento il comune acquistò il palazzo dai principi Paternò, ed attualmente in alcune stanze del cortile e del primo piano ospita il museo della Civiltà contadina con una importante collezione di oggetti, strumenti di lavoro e arredi.
Nelle foto: lo stemma del palazzo ducale di Presicce e i giardini pensili
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aMaci: Museo chiaMa artista e Yuri ancarani firMa “bora”
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L’opera sarà esposta al MAXXI di Roma fino all’ 11 settembre. Poi approderà a Firenze, Pistoia, Bolzano, Matera e Napoli
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ROMA. Prosegue con nuove tappe in altri sei musei AMACI la terza edizione di Museo Chiama Artista. Dall’Emilia Romagna al Lazio, dalla Toscana all’Alto Adige fino alla Campania, continua e si arricchisce di nuovi appuntamenti il viaggio di Bora (2015), la scultura-video commissionata a Yuri Ancarani dalla Direzione generale arte e architettura contemporanee e periferie urbane, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e AMACI - Associazione dei Musei d’Arte Contemporanea Italiani. Dopo essere stata presentata in anteprima alla GAM di Torino lo scorso novembre e successivamente a Bergamo, Gallarate, Milano e Venezia, Bora è stata ospitata fino al 5 giugno al MAMbo di Bologna, dal 14 giugno all’11 settembre al MAXXI di Roma, dal 17 settembre al 1 ottobre al Museo Marino Marini di Firenze, dal 13 al 16 ottobre a Palazzo Fabroni a Pistoia, dal 1 al 20 novembre al MUSEION di Bolzano, dal 26 novembre al 10 dicembre al MUSMA di Matera e dal 16 dicembre a Castel Sant’Elmo a Napoli, andando ad arricchire la programmazione dei musei associati AMACI in tutta Italia. Per questa terza edizione di Museo Chiama Artista, a cura di Ludovico Pratesi e Angela Tecce, i Direttori dei musei AMACI hanno scelto di com-
missionare la realizzazione di una nuova opera a Yuri Ancarani, artista che negli ultimi anni ha raccolto un crescente consenso in Italia e all’estero, dalle mostre in prestigiose istituzioni quali l’Hammer Museum di Los Angeles, il Palais de Tokyo di Parigi, il Mart di Rovereto o il Solomon Guggenheim Museum di New York, sino alla partecipazione alla 55° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Videoartista e filmmaker le opere di Ancarani nascono da una continua commistione fra cinema documentario e arte contemporanea. “Bora è un progetto in progress avviato nel 2011 e che si determina come opera autonoma in quest’occasione – scrive Ludovico Pratesi nel testo in catalogo – Tutto sembra ruotare intorno all’instabile equilibrio tra suono e immagine, a quel particolare interesse dell’artista per situazioni “ai confini del visibile”, per quell’impalpabile terra di mezzo tra sguardo e pensiero capace di generare una viscerale tensione narrativa. Un equilibrio che costituisce l’essenza di un lavoro come Bora, dove il paesaggio carsico della Val Rosandra – una riserva naturale tra il Friuli Venezia Giulia e la Slovenia – viene agitato dalla bora, un vento che soffia a 140 chilometri orari scuotendo e modellando quella natura rigida ed essenziale ripresa dall’artista con un’attenzione compositiva che rimanda ai dipinti di Caspar David Friederich e all’estetica romantica del sublime.”
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locoMotive Jazz festival tra Gli osPiti noeMi e irene Grandi
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dal 25 luglio al 4 agosto 2016 la kermesse ideata dal sassofonista raffaele casarano nei più bei luoghi di Puglia
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PUGLIA: Jazz game. Questo il tema dell’undicesima edizione del Locomotive Jazz Festival, la rassegna organizzata dall’associazione Locomotive con la direzione artistica del sassofonista Raffaele Casarano, che si svolgerà in Puglia dal 25 luglio al 4 agosto 2016. Sette date itineranti (gratuite) e quattro all’Anfiteatro Romano a Lecce (acquisto biglietti sui circuiti Bookingshow). La scelta dei luoghi passa ancora una volta per quegli scenari naturali e beni architettonici di particolare bellezza e prestigio per sensibilizzare al rispetto e alla tutela, in collaborazione con il FAI – Fondo Ambiente Italiano, altro partner del festival. L’apertura, fissata per il 25 luglio, segna la collaborazione avviata tra Locomotive in Movimento e FestambienteSud per “Ponte di Note”, il ponte di musica tra Gargano e Salento: doppio concerto, Marco Bardoscia Tutti solo alle 12.00 all’Abbazia di Santa Maria di Pulsano di Monte Sant’Angelo (Fg) seguito da una degustazione di prodotti enogastronomici tipici salentini mentre alle 19.30, si potrà
assistere a Medina, concerto di Raffaele Casarano con Mirko Signorile e Marco Bardoscia nella splendida Basilica di Santa Maria di Siponto, ricostruita da Edoardo Tresoldi in rete metallica. Il 26 luglio a Giurdignano arriva Carolina Bubbico con Caraluna nel Giardino megalitico d’Europa tra i menhir e i dolmen. Il concerto sarà preceduto dall’incontro con il fotografo Leonello Bertoluccinel Palazzo Baronale. Terza tappa, il 27 luglio, nel Castello de Monti con il concerto di William Greco solo Corale e alle 20.30 ancora una passeggiata sonora presso il nuovo serbatoio dell’Acquedotto Pugliese di Corigliano d’Otranto. Conclude la giornata il concerto “Simona Bencini incontra Mario Rosini – Tutto cominciò da Duke Ellington”, alle 21.30, presso la Torre dell’Acquedotto Pugliese. Il 28 luglio il Locomotive Jazz Festival torna nel luogo dove è nato, Sogliano Cavour. E lo fa in grande stile: alle 12 acustico di Raffaele Casarano nella Chiesa della Madonna delle Grazie. Alle 19, animeranno la pineta, giocolieri e saltimbanchi con la compagnia “Gessetti e Straccetti”, Be Dixie Jazz Band e Industria Filosofica. Alle 22 al Parco della Poesia Javier Girotto & Aires Tango feat. Peppe Servillo. Dalle 23.30 Locomotive After Concert nello stesso luogo. Il 29 luglio – Omaggio a Lucio Dalla a Monteroni con William Greco e Antonio Maggio. Evento speciale – in attesa dell’Alba in Jazz – il 30 luglio a Lecce, presso i Cantieri Teatrali Koreja, dove andrà in scena lo spettacolo “Katër i Radës – Il naufragio”. Alle 4 in punto, a Marina Serra (Tricase) saliranno sul palco allestito sugli scogli, Raffaele Casarano
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incontrerà Noemi, accompagnato da Michele Papadia (piano e tastiere), Maurizio De Lazzaretti (batteria), Marco Bardoscia (basso/contrabbasso) e Alessandro Monteduro alle percussioni. Il Castello e Borgo di Acaya saranno il 31 luglio la scenografia dell’ultimo appuntamento itinerante del Locomotive. Dalle 19, ci sarà “Arte in movimento” nel Borgo medievale in collaborazione con Cantieri Teatrali Koreja, Industria Filosofica e Be Dixie Jazz Band. Alle 22, invece, il palco del Castello di Acaya ospiterà Joe Barbieri 4tet in Cosmonauta da Appartamento. Dal 1 al 4 agosto il Locomotive fa tappa a Lecce. La mattinata del 1° agosto, alle 10.30, sfilata per le strade del centro storico della Be Dixie Jazz Band.
Alle 19, invece, aperitivo all’Accademia di Belle Arti con degustazione di prodotti del Gargano, in omaggio al progetto “Ponte di Note” in collaborazione con FestambienteSud. Alle 21.30, l’Anfiteatro, nuovamente trasformato in un elegante jazz club, ospiterà la “BPP Night” con il concerto di Gianluca Petrella Trio 70's feat. John De Leo. Il 2 agosto: “Locomotive Night” con Rubalcaba sul palco 10 Grammy Awards e Sean Noonan in un omaggio a Frank Zappa. Il 3 agosto, doppio show con Pieranunzi e Alemanno e poi “Triacorda Night” con Irene Grandi. Gran finale il 4 agosto con i Musica Nuda per la “Bmw Night”. Infoline: 345.1089622.
art festival Jazz WeeK suMMer il salento coMe neW orleans MATINO (Lecce). Dopo il successo della prima edizione 2015 ritorna Art Festival Jazz Week Summer 2016 OnTour. Lungo un “surreale viaggio picaresco” percorre i luoghi del Salento - Matino, Galatina, Soleto- trasformando piazze e contenitori culturali in “Jazz Club” all’aperto nei quali si esibiranno importanti artisti del panorama jazz e soul nazionale e internazionale. Tre date per il tour musicale, che apre i suoi concerti a Matino nella Piazza del MACMa – Museo Arte Contemporanea il 30 giugno con Dee Dee Bridgewater accompagnata dalla Forma Jazz Band e il 1 luglio con Simona Bencini (presenza e voce inconfondibile dei Dirotta su Cuba) e LMG Quartet, il 4 luglio a Galatina nella splendida Piazzetta Orsini con Guido di Leone trio featuring Barend Middelhoff - "Jim Hall tribute"; a Soleto nella cornice naturale dello Stagno Temporaneo Mediterraneo “Laccu de lu Craparu” il 25 luglio con il live di Andrea Sabatino - giovane trombettista salentino che firma la direzione artistica del festival- & Vince Abbracciante - “Melodico”. Art Festival Jazz Week Summer 2016 è un progetto di valorizzazione e razionalizzazione di cultura, spazi e realtà locali attive in ambito jazz che continuerà i suoi lavori per l’intera stagione estiva in collaborazione con i principali partner tecnici nazionali e internazionali protagonisti attivi nell’ambito Jazz, creando spazi interattivi della Cultura Jazz – Soul – Blues - Fusion, attraverso concerti, laboratori e jam session jazz che promuovano la divulgazione e la passione della musica jazz nelle sue poliedriche forme, nella ricerca e nella produzione nel campo della musica jazz, la musica suonata per strada tra la gente sullo stile di New Orleans. “Art Festival Jazz Week Summer 2016 OnTour” si inserisce nel macro progetto della programmazione culturale del Museum & ArtGallery Palazzo Marchesale "Del Tufo" – MACMa “Museo d’Arte Contemporanea Luigi Gabrieli” nel centro storico di Matino (Le). Il MACMa, incluso ne “I Luoghi Del Contemporaneo” del catalogo dei musei italiani contemporanei del MiBAC - edizione 2012, inaugura con la mostra “Di-segni poetici” riallestita negli ambienti nobili del Palazzo che mette in luce una realtà artistica della seconda metà del Novecento, non ancora del tutto conosciuta, grazie all’attività scientifico-artistica e letteraria dei curatori Salvatore Luperto e Anna Panareo, coautori del MACMa.
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diario corale (1962 - 2015) PiGnotti nel MacMa di Matino di Salvatore Luperto
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54 opere di Lamberto Pignotti, fondatore con Eugenio Miccini del Gruppo Settanta a Firenze ed esponente del Gruppo 63
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MATINO (Lecce). La mostra Diario Corale, curata da Salvatore Luperto e da Anna Panareo, si compone di cinquantaquattro opere, una per ogni anno: la prima riprende una contestazione di strada in cui un gruppo di persone il 21 agosto del 1962 protesta lanciando oggetti contro un mezzo delle forze dell’ordine, l’ultima del 27 febbraio 2015 ritrae esponenti dell’ISIS che distruggono opere d’arte del periodo pre-musulmano nel museo di Mosul, l’antica Ninive, capitale assira. Diario corale non sviluppa un tema o un soggetto in particolare e non ha nemmeno uno scopo ricordativo di carattere personale. Le immagini raffigurano scene, ambienti esterni, luoghi e situazioni, pubblicate nel corso degli anni, per illustrare eventi storici o di cronaca. Alcune fanno parte della storia dell’uomo e sono tanto efficaci e riconoscibili che non hanno bisogno di didascalia o di commento. Altre, più familiari, appartengono alla quotidianità, al tran tran di tutti i giorni e comunicano azioni, circostanze e avvenimenti festosi, bizzarri, improbabili, singolari, spesso comuni, ordinari che non hanno nulla di particolare nel ricordare consuete scene di augurio, di traffico, di folla, di festa, di divertimento. Sono però tutte eccezionali nel momento in cui trasmutano da un luogo a un altro assumendo un significato simbolico, proprio. Ogni opera totalmente autonoma, isolata, si esprime per la sua for-
za comunicativa, per il suo pregio estetico costituito spesso dalla sembianza evanescente, sfumata, che evocando coinvolge in quell’evento archiviato dal tempo. Diario Corale è una mostra sul tempo passato, una narrazione d’immagini che coinvolge il visitatore tanto da farlo ritrovare in una o più foto ritagliate dai giornali quotidiani dal 1962 al 2015. “… in quelle foto io c’ero, insomma: forse non c’ero proprio dentro, stavo a una certa distanza, avrei potuto esserci, ero uscito poco prima, sono probabilmente quello coperto da un altro… Quegli avvenimenti fotografati parlano di me, sono una proiezione dei miei ritratti…” sostiene Lamberto Pignotti proiettandosi nel “lector in fabula” (Umberto Eco) da lettore coinvolto nella storia raccontata con cinquantaquattro immagini datate e firmate. “Il Diario di Pignotti esprime, tramite la scena fotografica, una relazione stretta tra firma ed evento reale, in cui è ‘da leggere’ la partecipazione performativa dell’autore, nella cui emozione empatica si può cogliere una sua rispondenza nei confronti di ciò che l’icona fotografica comunica” (Carlo Alberto Augieri). Le opere “corali”, affascinanti per la specificità estetica dell’immagine: indeterminata, sfumata o ingiallita dal tempo e per la tensione lirica che le stesse esprimono, favoriscono relazioni empatiche con lo spettatore-lettore, il quale svincolandosi dallo stato emozionale degli accadimenti e dai nessi temporali della memoria, non si rifugia nel passato, ma si concentra nel presente per una libera interpretazione degli eventi accaduti che fanno parte della storia individuale e collettiva dell’uomo.
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andY Warhol e Maria Mulas nel castello carlo v di lecce LECCE. Si è aperta lo scorso 25 giugno ma si potrà vistiare fino al 20 novembre, nelle sale del complesso monumentale Carlo V, la mostra Andy Warhol – Ladies vs Gentleman e gli scatti di Maria Mulas, con 72 opere di Andy Warhol e 12 fotografie di Maria Mulas a cura di Spirale Milano e Lorenzo Madaro. L’itinerario espositivo ripercorre alcuni momenti principali della vita e della carriera artistica di Andy Warhol (Pittsburgh 1928 – New York 1987). Si comincia con il ciclo Ladies and Gentleman: dieci serigrafie del 1975 che ritraggono le drag queen afroamericane del club newyorkese The Gilden Grape, accompagnate dagli acetati dedicati alla serie, da polaroid e da opere uniche su carta. Si prosegue con due significative sezioni che accolgono, rispettivamente, le immagini maschili e quelle femminili realizzate negli anni dal maestro della Pop Art americana (Marilyn, Mao, Keith Haring), tra le quali trova-
no posto alcune tra le sue opere più note, entrate a far parte dell’immaginario collettivo della contemporaneità. Affiancano il percorso principale una serie di ritratti dell’artista realizzati da Maria Mulas nel 1987, un’opera dedicata da Warhol a Maria Mulas e un video. Gli scatti della grande fotografa italiana (Manerba del Garda, Brescia, 1935), opere uniche virate con cromie warholiane, costituiscono una preziosa testimonianza dell’ultima uscita pubblica – in occasione della presentazione a Milano del progetto L'ultima cena, rivisitazione in chiave pop del celebre capolavoro leonardesco – di Andy Warhol, a un mese dalla sua morte. Completa l’esposizione il video Factory Diaries, realizzato nel maggio 1982 da Andy Warhol e Peter Wise che, con un girato grezzo privo di regia, documenta un viaggio tra amici all’insegna dell’allegria, da New York a Cape Cod, nel Massachusetts. Un viaggio che fece dimenticare all’artista l’attacco frontale ricevuto solo tre mesi prima dalla voce autorevole di Robert Hughes, il quale sulle colonne del «The New Review of Books» lo aveva ritratto come l’uomo nero della cultura americana, confutandone la fama, stroncando il suo Ten Portraits of Jews fo The Twentieth Century, rimproverando alla rivista «Interview» la simpatia nei confronti dei reali persiani e della Casa Bianca di Reagan. Warhol conservò l’articolo in uno dei 34 album di ritagli di giornali, attraverso i quali sin dai primi anni Sessanta seguiva ossessivamente l’affermarsi della propria carriera. Ma se negli anni Settanta osservava: «Sono tutto quello che i miei album dicono di me», più tardi ebbe a dire: «Non fate caso a ciò che scrivono su di voi. Limitatevi a misurarlo in centimetri». L’evento espositivo, promosso e organizzato con il patrocinio dell’Ufficio Cultura del Comune di Lecce, è prodotto da RTI Theutra, Oasimed e Novamusa. Fino al 15 luglio: dalle 9.00 alle 21.00; dal 16 luglio al 31 agosto: dalle 9.00 alle 23.00; dal 1 al 30 settembre: dalle 9.00 alle 21.00; dal 1 ottobre al 20 novembre: dalle 9.00 alle 20.30. Sabato e la domenica l'apertura è alle 9.30.
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immagini dal sito ufficiale della manifestazione
ad acaYa arriva “viva le cinèMa” con i filM francesi in concorso
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Dal 13 al 17 luglio nel Castello di Gian Giacomo dell’Acaya master class, proiezioni e dibattiti
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ACAYA (Vernole - Lecce). Dedicato al cinema francese. Dal 13 al 17 luglio la cittadella fortificata di Acaya, frazione del Comune di Vernole, sarà la capitale italiana del cinema francese con la prima edizione del festival. Madrina d’eccezione Chiara Mastroianni che presiederà la giuria dei lungometraggi mentre presidente della giuria dei corti e documentari ci sarà il giovane regista e sceneggiatore francese Eric Forestier. Quattro giorni d’autore, alla presenza di alcuni tra i più importanti nomi della scena audiovisiva francese, per consolidare i legami creativi tra il Sud d’Italia e la Francia e segnare il primo passo verso un vero e proprio ‘patto culturale’ tra Puglia e Francia. Due giurie internazionali scelte ad hoc selezioneranno i migliori film della manifestazione. Nel corso delle serate sono previsti: incontri con gli autori, tavole rotonde con produttori francesi ed italiani, master class sulla regia, sceneggiatura e sul mestiere dell’attore, e proiezioni di film, cortometraggi e documentari inediti sul territorio nazionale in modo tale che la pellicola vincitrice possa poi avere una distribuzione in tutta Italia. L’iniziativa, voluta da Regione Puglia, Apulia Film Commission e Comune di Vernole, sarà realizzata sotto la direzione artistica di Angelo Laudisa, Alessandro Valenti e Brizia Minierva.
E ora uno sguardo al programma. Taglio del nastro il 13 luglio in piazza a Vernole dove a partire dalle 20:30 sarà presentata la manifestazione e la giuria. Dalle 21, la proiezione di “Fatima” di Philippe Faucon, film fuori concorso vincitore del Cèsar 2016 a seguire la festa di apertura con i ritmi degli Officina Zoè (ore 23). Il 14 luglio, nell’anniversario della Presa della Bastiglia, tutti al Castello di Acaya per entrare nel vivo del festival con il ricco programma delle proiezioni. Si comincia con la mas ter class di Philippe Faucon (h. 19:00 – 20:15) e a seguire la presentazione e le proiezioni del corto Maman di Maimouna Doucuré (h.20:30); di Les Cowboys di Thomas Bidegain (h. 22:45)
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di Le repas dominical corto vincitore del Cesar 2016 e in chiusura, alle 23:15 il film Et ta soeur di Marion Vernoux. La terza giornata del festival si apre in mattinata (ore 10:00) con una tavola rotonda sul tema della coproduzione italofrancese. Dalle 19 alle 20:15 master class di Thomas Bidegain e a partire dalle 20:30 un’altra full immersion nel cinema francese con il corto Ave Maria di Basil Khalil, Je suis un soldat di Laurent Lariviere di Adama di Simon Rouby, infine, Je suis Charlie di Daniel Leconte. Il programma del 16 luglio si apre con la Master class di Chiara Mastroianni seguita da un nuovo ciclo di proiezioni a partire dal corto Rèplique di Antoine Giorgini, al film Ni le ciel ni la terre di Clement Cogitore, Valley of love di Guillaume Nicloux e in chiusura il documentario No land’s song di Ayat Najafi. Serata conclusiva il 17 luglio per conoscere i vincitori nelle diverse sezioni (film, corto e documentario) e per seguire un ultima proiezione, Agnus Dei (Les innocentes) di di Anne Fontaine seguita dall’immancabile festa di chiusura.
nei cinePorti di PuGlia “colibrì” di toriello
Dopo la proiezione al Cineporto di Foggia lo scorso 27 giugno, arriva lunedì 4 luglio al Cineporto di Bari e lunedì 11 luglio, al Cineporto di Lecce Colibrì, il nuovo documentario di Luciano Toriello prodotto da Farfly, Luciano Toriello e dall’O.N.G. “Amigos do bem estar”. Il film è stato interamente girato nell’autunno 2015 tra la Foresta Amazzonica e le tribù indigene stanziate nel Nord del Brasile, grazie anche al supporto del Ministero brasiliano per la Salute indigena. Durante la serata, e a partire dalle ore 20.00, sarà possibile visitare in mostra il reportage fotografico che Pino Maiorano, protagonista del documentario insieme ad Alessio Michetti, ha realizzato durante la sua lunga permanenza in Brasile. La manifestazione è promossa dall’associazione CinEthic di Bari. Ingresso libero fino ad esaurimento posti.
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il Giardino delle esPeridi il teatro incontra il PaesaGGio
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La rassegna di teatro, musica, danza, poesia nei borghi e sui sentieri del Monte di Brianza
LECCO. Ritorna da venerdì 8 a domenica 17 luglio ritorna Il Giardino delle Esperidi Festival, rassegna di teatro, musica, danza, poesia nei borghi e sui sentieri del Monte di Brianza. Dedicato al “teatro nel paesaggio” questa dodicesima edizione, ideata e organizzata da Campsirago Residenza si snoda seguendo due linee artistiche principali che rappresentano le anime del Giardino delle Esperidi fin dalle prime edizioni: da un lato le performing art nel paesaggio dall’altra lo spazio dedicato alla drammaturgia contemporanea. Per il primo filone performativo si segnalano l’atteso ritorno del collettivo finlandese Other Spaces (Toisissa tiloissa) con Wolf Safari (sabato 16 luglio ore 21 Villa Sirtori, Olginate), l’omaggio a Shakspeare al 400enario dalla morte, con un’indagine su La tempesta (venerdì 8 e sabato 9 luglio ore 19.30 e 19.00, Colle Brianza) ad opera di Campsirago Residenza, Teatro Invito e Piccoli Idilli con la regia di Luca Radaelli e Michele Losi; la compagnia O Thiasos TeatroNatura con Tempeste, tri-
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logia della rinascita dalle Metamorfosi di Ovidio, scritto e narrato da Sista Bramini (17 luglio ore 19 ad Olgiate Molgora) e ancora la compagnia fiorentina Catalyst con Le Scacciapaura, viaggio nel mondo delle fiabe attraverso le suggestioni delle pagine più belle di Italo Calvino (domenica 10 luglio ore 16.30 a Olginate). Sempre in questa sezione la presentazione del libro Teatro Natura- il teatro nel paesaggio. Per la sezione dedicata alla drammaturgia contemporanea tra gli spettacoli in anteprima nazionale in programma Every brilliant thing, la nuova produzione di Tri-Boo in collaborazione con Teatro Sotterraneo (sabato 9 luglio Colle Brianza ore 21); Esodo, secondo capitolo del progetto Pentateuco messo in scena dalla Confraternita del Chianti che racconta l’esodo istriano una pagina poco nota della storia contemporanea (venerdì 8 luglio alle ore 22 a Colle Brianza); L’Amleto Prima di Francesco Gabrielli una produzione CRT Teatro dell’Arte (sabato 9 luglio h 22.30 a Campsirago Colle Brianza),
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una rilettura del dramma shakespeariano immaginando il protagonista adolescente. Debutto, domenica 10 luglio a Olginate, per "A cosa serve la poesia-Canti per la vita quotidiana, lo spettacolo di e con Gianluigi Gherzi e Giuseppe Semeraro. Con le parole della poesia i due attori percorrono i momenti della vita quotidiana: lo svegliarsi, il combattere col mondo, l’incontrarsi e il riconoscersi, il mistero dell’amore, la dimensione della notte e di ciò che è segreto e misterioso. Poesia e teatro. Il teatro che abbraccia la poesia come ponte verso le emozioni e le visioni del presente. Speciale evento gratuito è quello pensato per la località Ravellino a Colle Brianza, giovedì 14 ore 21 con Camillocromo in Musica per ciarlatani, ballerine & tabarin. Sabato 16 alle ore 21 tornano
Quando la Poesia diventa monologo teatrale, confessione, diario di vita quotidiana, dialogo col pubblico, invettiva, canzone. Tutto questo è confluito nel libro e nello spettacolo “A cosa serve la poesia?” scritto a due mani dagli attori Gianluigi Gherzi e Giuseppe Semeraro ed edito da “Sensibili alle foglie”. Poesia che si sporca e insieme ritrova splendore nel rapporto con quello che è di tutti noi: la difficoltà del passo e il respiro grande di fronte al mare, una traccia lasciata su una spiaggia da un’anima migrante e il paesaggio di una grande città, poesia della natura esplosa e dei luoghi quotidiani. Uno spettacolo, una festa poetica fatta di domande, di letture brevi, in cui la poesia cerca la sua strada nel teatro, nella sua dimensione di rito condiviso tra gli attori e il pubblico. Perché la poesia torni ad essere strumento necessario al canto delle vite, e alla differenza che
ognuno porta dentro di sé. Attore, regista e scrittore vincitore dei premi Scenario e Eti Stregatto con gli spettacoli Arbol, Ari Ari e Muneca Gianluigi Gherzi ha fondato a Milano nel 2011 il “Teatro degli Incontri”, progetto sul rapporto tra città, comunità e nuove forme d'intervento teatrale. Giuseppe Semeraro lavora come attore a partire dal 2001 con Danio Manfredini prendendo parte a Cinema Cielo (Premio Ubu 2004), il Sacro Segno dei Mostri (2007). Nel 2007 fonda “Principio Attivo Teatro” con il quale firma le regie di Storia di un uomo e della sua ombra e La Bicicletta Rossa (entrambi Premio Eolo come migliore spettacolo e migliore drammaturgia). Come scrittore nel 2004 pubblica le raccolte poetiche Cantica del Lupo ( Besa 2015) e Due parole in croce edito da Il Raggio Verde 2016 già alla seconda ristampa.
sui palchi di Campsirago Elvira Frosini e Daniele Timpano con la loro ultima produzione, Carne, Carne, drammaturgia di Fabio Massimo Franceschelli, caustica e corrosiva discussione tra coniugi sul “concetto di carne”, dalla questione animalista alla sacralità della carne come forma inalienabile dell'esistenza. Chiudono il festival due produzioni realizzate grazie al sostegno di Campsirago Residenza attraverso il bando triennale Cantiere Campsirago istituito per favorire dialogo, ricerca e compagnie esterne meritevoli sul piano artistico. Piccola Compagnia Dammacco torna alle Esperidi con uno spettacolo in prima lombarda dopo il fortunato debutto al festival di Castrovillari con Esilio, storia di un piccolo uomo, goffo e grottesco, che, dopo aver perso il lavoro, vede sgretolarsi a poco a poco il suo ruolo nella società fino a smarrire la sua stessa identità (sabato 16 alle 22.30 a Colle Brianza). E Little Bang di Riserva Canini, dedicato ai più piccini ma non solo (domenica 17 ore 16.30 a Olgiate Molgora), dove va in scena l’ipotesi immaginaria e teatrale delle origini dell’Universo e di tutto ciò che inizia e finisce.
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i lUoGHi NElla rETE
dal libro allo sPettacolo. a cosa serve la Poesia?
la bellezza seGreta la biblioteca annibale de leo
storie. l’uomo e il territorio
di Fabiana Lubelli BRINDISI. Alcune volte, la Bellezza che accompagna un luogo o un monumento fa sfoggio di sé, sfrontata, sotto i raggi del sole, con spirali che si allungano fino a toccare il cielo o cupole immense che, scintillanti, catturano la luce. In altri casi, invece, la Bellezza preferisce ritirarsi in luoghi poco frequentati, più bui. Meno sfrontata della Bellezza che si vanta del bacio del sole, quella che si ripara in luoghi solitari e silenziosi si adorna con altri gioielli e sobri tesori, come quello della cultura. La biblioteca Annibale de Leo di Brindisi vive all’ombra del meraviglioso duomo della città. Il suo ingresso è piuttosto semplice, dato da una porta verniciata di marroncino, e solo due targhe affisse sul muro ne ripropongono il nome e il credo della sua attività. Tuttavia la Bellezza che abita al suo interno è consapevole della ricchezza del patrimonio di cui è custode. La biblioteca, infatti, fu fondata nel 1798 da Annibale de Leo, arcivescovo e noto erudito che, nel tempo, aveva coltivato il suo amore per l’antico collezionando testi e documenti preziosi, confluiti tutti nel semplice edificio. Ottenuto l’assenso regio, Annibale de Leo scelse come luogo
in cui far vivere la Bellezza il piano terra del palazzo del Seminario Arcivescovile della città. L’arcivescovo, tuttavia, non voleva che la Bellezza sentisse la solitudine di quelle stanze e allora rese la biblioteca pubblica, primo caso in tutta la terra d’Otranto, lasciando inoltre in eredità a essa una parte delle sue ricchezze, per permettere che vivesse nel tempo. Dal 1789 la Bellezza scivola, a volte silenziosa o volte chiacchierina, fra i seimila volumi che si trovano nella biblioteca. Custodisce un patrimonio letterario unico, fatto di manoscritti, incunaboli, cinquecentine. A volte le è capitato di aprire le porte a grandi studiosi stranieri come il Kehr, Lenormant, Gregorovius. Altre volte, invece, è stata presa da un senso di nostalgia, di anni che si accumulano sui suoi fogli, e allora, in un angolo, si è messa a sfogliare i fogli del codice che il suo fondatore aveva compilato tempo addietro, il Codex Diplomaticus Brundusinus, composto di tre volumi, con documenti che coprono un periodo di quasi mille anni, dal 492 al 1499. Alcuni manoscritti le sono più cari: la pergamena crepata del Decretum Gratiani, che rivela la sua vetusta età, collocabile tra il XIII e IV secolo, oppure le
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Il Duomo di Brindisi e l’ingresso della Biblioteca “De Leo” nelle foto di F. Lubelli
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Al piano terra del Seminario Arcivescovile di Brindisi un archivio della bellezza
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Postillae super Ysaiam di Alessandro di Hales, databili al XIV secolo, tanto più preziose perché non ne è mai esistito un testo a stampa e perché ne esistono solo altri due testi, all’Ambrosiana di Milano e a Oxford. Gli incunaboli di questa preziosa biblioteca, cioè quei testi stampati da quando è stata inserita la stampa fino al 1500, sono diciassette e una volta la Bellezza, attenta, ha sentito il direttore della lontana British Library di Londra elogiare con grandi parole il valore unico del Confessionale Defecerunt, di Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze. Anche le cinquecentine, duecentosessantasette unità, sono state più volte lodate da altri illustri studiosi, specialmente quelle con contenuti geografici o quelle che sono prova dei primi esperimenti della tipografia brindisina nel XVII secolo. Tra tutti i suoi tesori, però, la Bellezza che vive nella biblioteca guarda con affetto un gruppo di codici che raccontano la storia della città in cui è cresciuta. Sono testi antichi, a volte delle raccolte di lettere, a volte dei testi giuridici, altre volte il tempo di composizione e l’autore servono da soli a rivelare molto su un particolare periodo storico e culturale attraversato dalla città. Tra i manoscritti preziosi e rari, sono questi quelli che la Bellezza preferisce tenere vicino a sé e accarezzare la sera prima di andare a dormire; perché le raccontano la storia della città in cui è nata e cresciuta, in cui si è
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formata, libro dopo libro, pagina dopo pagina. Sono le parole di questi codici che la Bellezza vorrebbe raccontare a tutti quelli che entrano nella biblioteca, dalla piccola porta marrone. A volte, timida, si spinge fino all’ingresso per provare a condividere i suoi tesori con i visitatori della sua casa e si ritira confusa se quelli parlano di altro o fanno finta di non ascoltarla. Così, gran parte dei suoi tesori rimane sconosciuta e la Bellezza indietreggia fra gli scaffali più nascosti, con l’orecchio sempre teso, però, a chi sussurri il suo nome.
otranto “alleGoria” del Presente riflessioni sul roManzo di cerfeda di Carlo Petrachi
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Un lavoro che riempe i silenzi, dietro le quinte della politica del 1480
Ho sempre ritenuto, quelle sulla guerra idruntina del 1480, pubblicazioni a rischio, sia perché troppi sono coloro i quali, più che preoccuparsi dell’indagine per la conoscenza dei fatti, si sono fatti cogliere da suggestioni talora fuor di luogo, sia perché vi sono dei precedenti, come, “Otranto” di Roberto Cotroneo – la cui fortuna editoriale, a mio vedere, è dovuta prevalentemente a un sostenuto battage pubblicitario, al di là della validità o meno dell’opera – oppure come “L’ora di tutti” di Maria Corti, che certamente, ancor oggi, fa lezione. Pertanto, l’Allegoria di Walter Cerfeda, Ed. Il Raggio Verde, feb. 2016, oltre ad una sfida coraggiosa, è un piacevole esempio di lavoro intellettualmente onesto che, come indicato nell’introduzione, vuol ricominciare là dove la Corti ha chiuso, quasi a riempirne i silenzi. Nell’ideazione e nella stesura del romanzo è stata certamente di supporto la documentatissima e imponente opera di Daniele Palma “L’autentica storia di Otranto nella guerra contro i turchi”. Allegoria è una narrazione storica dall’ottimo impianto, con uno svolgimento che non affatica il lettore, anzi, lo interessa, lo intrattiene, lo coinvolge, lo appassiona nel mentre insegna, avvalendosi di un equilibrato amalgama di ricerca storiografica scientificamente condotta e di vigile creatività. L’autore, ci conduce dietro le quinte della politica del 1480, ma con uno sguardo panoramico a 360°; parla dei fatti di Otranto all’epoca dell’invasione turca non come di evento racchiuso tra le mura del-
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la città, ma strettamente correlato alla situazione italiana, europea e alla confinante Asia, nelle cui corti ogni sovrano, per dirla con Antonio Pennacchi, enuncia le proprie ragioni dalle quali si evince come, più che mirare al bene comune, ci si limita a guardare i cavoli del proprio orto senza valutare (o valutando in modo asfittico) le conseguenze a lungo termine o, come nel caso di Maometto II, ad appagare i propri deliri di grandezza e di onnipotenza in nome della fede, anche se il Saracino lo ritiene, di fatto, miscre-dente. Dirò, divagando in un breve inciso, che più personaggi di Allegoria definiscono i musulmani con l’appellativo inappropriato di “pagani”. È lo stesso termine che ritroviamo in vari copioni de “La tragedia di Roca”, un dramma popolare rappresentato a Melendugno e nei paesi limitrofi dell’area rocana. Il fatto risulta poco comprensibile, soprattutto se si tiene conto che l’islamismo è una religione monoteista come l’ebraismo e il cristianesimo. Ad ogni modo, l’unico che sembra rendersi conto degli eventuali tragici sviluppi dell’occupazione idruntina è papa Sisto IV, il quale auspica una crociata, da far combattere ad altri, contro quelli che “non sono uomini” e sembra quasi di risentire l’incitazione di alcune gerarchie ecclesiastiche del medioevo secondo le quali, sopprimere i musulmani: “Non è omicidio, è malecidio”. L’autore, successivamente, attraverso i suoi personaggi, pare condividere la tesi di Antonio Saracino, il quale, in “Otranto baluardo dell'Occidente Cristiano”, affermava che la cittadina era solo una testa di ponte per la conquista di Roma. Ma dal romanzo emerge un progetto ancor più inquietante: quello di un’azione a tenaglia da Ovest e da Est del Mediterraneo per la conquista dell’Europa. Difendersi combattendo? Attendere lo sviluppo degli eventi? Fuggire? Su questi tre interrogativi si dipana tutta storia e le azioni conseguenti.
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In Allegoria, le voci narranti non sono esclusivo appannaggio dei potenti: pure l’arguto pescatore veneziano, nella sua lingua, esprime ipotesi, concetti e pareri tutt’altro che peregrini. Anche se i personaggi raccontano e si raccontano quasi singolarmente – un vago richiamo all’impianto narrativo de “La malapianta” di Rina Durante? – ne esce tuttavia un’azione corale di vasta risonanza. Particolarmente, colpisce il soliloquio interiore di Maometto II: qui l’autore sembra cambiare addirittura registro e stile per richiamarsi a quello di Ibn Kemal – non citato nella “bibliografia essenziale” del romanzo – grande storico e letterato turco che scrisse le “Storie della casa di Osman” e che, tra l’altro, partecipò alla guerra di Otranto. In proposi-
to, val la pena di consultare “L’Albero”, la prestigiosa rivista fondata da Girolamo Comi, n. 47, anno 1971. Volutamente, mi sono astenuto dal sintetizzare gli eventi del romanzo per non togliere al lettore il piacere di conoscere lo svolgimento dei fatti capitolo dopo capitolo, tuttavia non posso sottacere quello che l’autore stesso mette in giusta evidenza sin dall’introduzione: “Otranto in fondo non era che un’allegoria del presente. Che potevi cambiare i nomi dei governanti, dei pontefici, degli Stati, ma ti accorgevi subito che finivano per assomigliarsi tutti, a cinque secoli di distanza, in modo impressionante.” Insomma, Otranto non un incidente isolato, non un passato remoto, non un capitolo chiuso, ma un succedersi di eventi emblematici e allegorici che vichianamente – mutando nell’aspetto, ma non nella sostanza – vengono a riproporsi come attualità. A questo punto sorge spontanea la domanda: sarebbe successo quel che succede oggi in Europa con i migranti arabi e con gli stragisti musulmani, se i governanti, conoscendo bene la storia del passato e la cultura di quei popoli, non si fossero fatti irretire da deliranti e affrettate iniziative, prendendo a pretesto (per chi ci crede) la diffu-sione della democrazia… con le armi? Avrebbero valutato nello stesso modo la “primavera araba”, quando nessuna rondine ha preso il volo? Ecco a cosa dovrebbe servire la conoscenza della storia.
IL tour LetterarIo quest’estate neL saLento Continua il tour letterario di Walter Cerfeda che presenterà il suo nuovo libro in una sorta di itinerario nei luoghi del romanzo storico “Allegoria”. Lo scrittore pugliese sarà ospite il 9 luglio a San Foca, il 23 luglio a Casarano per l’evento realizzato in collaborazione con i Presidi del Libro nei Giardini del Palazzo De Donatis ma prima, il 22 luglio, sarà ospite ad Acaya per la rassegna Libri sotto l’aranceto - il profumo delle parole organizzata dall’associazione Assa, per la salvaguradia e la tutela di Acaya presieduta da Antonio Carlino e la casa editrice Il Raggio Verde. (tutti con inizio alle ore 21) Ancora due appuntamenti in agosto, il 5 ad Otranto, ospite della rassegna letteraria promossa dal Club Unesco, e il 9 agosto ad Apigliano (Martano) per l’evento organizzato dalla Libreria Farmacia Letteraria (ore 20:30).
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sulle rotte di enea. alla scoPerta deGli scavi archeoloGici di castro
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Visita a Castro con l’archeologo Francesco D’Andria
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CASTRO (Lecce). Promuovere un legame sempre più stretto tra Università e territorio, declinando in modo concreto ed efficace quella che viene definita ‘terza missione’ dell’Università. Parola del rettore Vincenzo Zara all’indomani dell’iniziativa “Sulle rotte di Enea”, la visita guidata agliscavi archeologici di Castro svoltasi domenica 26 giugno. “La risposta della comunità accademica a questa iniziativa è stata entusiasmante, con una larga partecipazione di studenti, docenti e personale e con il coinvolgimento di familiari e amici.” - ha espresso con soddisfazione il rettore cche ha aggiunto: “La nostra visita è stata di grande interesse grazie all’insostituibile contributo del professor D’Andria, che con passione ci ha guidati lungo il percorso mettendo assieme aspetti scientifici, storia e leggenda. Questo successo ci impegna alla programmazione di una serie di eventi di valorizzazione delle nostre attività di ricerca, in particolare di quelle con più immediata ricaduta sul territorio, con una più ampia apertura al pubblico. La speciale spedizione - circa cento cin-
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i diseGni di enzo cucchi alla Galleria scaraMuzza LECCE. Dieci disegni di Enzo Cucchi è la mostra, tura popolare. È un pittore a cura di Marinilde Giannandrea, allestita fino al visionario per il quale il pas17 luglio nel Centro Culturale Scaramuzza Arte sato è una dimensione Contemporanea (in Via Libertini 70) e dedicata ad antropologica popolata da uno dei protagonisti della Transvanguardia. figure minori, strettamente I disegni e la grafica costituiscono una parte cospi- legate anche alla sua casacua della produzione di Cucchi e preludono o regione, le Marche. accompagnano la pittura. I dieci disegni in mostra Nella sua incessante pratica sono databili tra il 1985 e il 1991 (con cornici pro- pittorica Cucchi procede gettate dall’artista) e fanno parte del suo lessico più attraverso un accumulo di noto. Le figure umane sottili, le case-arche, l’affio- elementi diversi figurativi e rare di un paesaggio desertificato, consentono di astratti, espliciti e allusivi, testare il cuore della sua ricerca. Sono segni sospe- muovendosi su un terreno di si nell’aria che seguono traiettorie oblique, miste- assoluta libertà che può essere posto in relazione riose e sfuggono alle leggi di gravità. solo con i suoi desideri, sogni e speranze. Le opePer Enzo Cucchi non c’è alcuna volontà aristocra- re in mostra si collocano un percorso ideale dentro tica nel suo essere artista, al contrario c’è il deside- il lessico dell’artista e rappresentano una perfetta rio di una “cultura francescana”, in cui si rintrac- sintesi del suo sillabario visivo. ciano: il mito, la storia dell’arte, la millenaria cul- Info: +39 329 7325036 quanta persone - condotta dal noto archeologo professore emerito Francesco D’Andria è giunta in mattinata a Castro per visitare le mura messapiche, il Santuario di Atena Troiana e l’approdo di Enea, quindi il Castello spagnolo, dove è in allestimento il Museo contenente le sculture rinvenute negli scavi tra cui la statua della dea Atena, fregi con girali vegetali del IV sec. a.C., i più antichi mai rinvenuti. Ultima tappa, i torrioni, dai quali si gode uno straordinario panorama sul Canale di Otranto che gli antichi chiamavano stoma tou Adriou kolpou (bocca del Golfo adriatico). «La scoperta del Santuario di Atena Troiana - ha spiegato il professor D’Andria - si collega direttamente al mito del viaggio di Enea, cantato da Virgilio nell’Eneide. Dopo aver lasciato Butrinto in Albania, Enea attraversa il canale ed entra in vista dell’Italia, nel punto segnato dalla presenza del tempio di Minerva: il nome antico di Castro era infatti Castrum Minervae. Gli scavi condotti in collaborazione tra Comune di Castro, Università del Salento e Soprintendenza della Puglia hanno portato alla luce il Santuario di Minerva cantato da Virgilio, del quale sarà possibile vedere i resti e i numerosissimi reperti. Il Progetto PoIn ‘Attrattori culturali, lavori parco archeologico sulle orme di Enea - tempio di Minerva’ ha permesso di inserire queste strutture dell’età ellenistica in un percorso che, correndo ai piedi delle fortificazioni spagnole, offre ai visitatori la vista di straordinari scorci paesaggistici, tra i terrazzamenti coltivati a orti e oliveti, il mare nel punto d’incontro tra Ionio ed Adriatico, il capo Iapigio, l’attuale promontorio di Leuca, de Finibus Terrae».
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