Arte e luoghi novembre2016

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focUs sU retrosi

girovagando per napoli

La fotografa romana Ines Facchin è tornata a Retrosi, frazione di amatrice

alla scoperta della chiesa di San Marcellino e Festo fotografata da Giuseppe Guida

anno 1163 numero 11 novembre 201 6

anno XI - n 11 novembre 2016 -

caRLa cacIantI

non Una di Meno

le sorelle Mirabal

Il 25 novembre ricorre la Giornata Internazionale della lotta alla violenza contro le donne. L’appello, aspettando la manifestazione nazionale a Roma

Il ricordo dell’atroce violenza subita dalle tre giovani donne dominicane apre la rubrica “nel nome di

Eva” dedicata alle storie di donne straordinarie


primo piano

le novitĂ della casa

IL RAGGIO VERDE EDIZIONI

ilraggioverdesrl.it


EDItORIaLE

In copertina e sopra Carla Cacianti, TA, 70x100, 2015

Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic

Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno

Un nuovo sisma ha scosso l’Italia centrale lo scorso 26 e 30 ottobre, fortunatamente non ci sono state vittime questa volta, ma sono tantissime le persone che hanno perso tutto. E una nuova ferita si è aperta nel patrimonio immenso del nostro Paese che perde un gioiello come la Basilica di San Benedetto a norcia. La terra continua a tremare né smette la paura, l’angoscia, lo smarrimento. a noi resta il compito, solidarietà a parte, di tenere alta l’attenzione e raccontare per non dimenticare proprio come scrive l’architetto e fotografa romana Ines Facchin che è stata tra le vie di Retrosi, incantevole frazione di amatrice ormai svuotata. Una città fantasma, ferita nella sua vitalità, persa - ma speriamo non per sempre - nel suo silenzio. E si avvicina la data del 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne istituita dall’Onu nel 1999 ricordando le sorelle Mirabal, storia ripercorsa da claudia Forcignanò che apre la rubrica “nel nome di Eva”. abbiamo scelto di parlarne, a modo nostro, dedicando la copertina al progetto “Ferite” dell’artista carla cacianti presentato lo scorso anno a Roma e che ci spinge a riflettere su temi, ahimè, sempre drammaticamente attuali. E rilanciamo l’appello della Rete IoDecido, delle Donne in Rete contro la violenza e dell’Udi che scenderanno per le strade di Roma, sabato 26 novembre, insieme a tantissime associazioni per dar vita ad una manifestazione unitaria, come ci racconta ada Donno. Perché solo uniti si può vincere. E continuando a parlarne sempre, e non solo in queste occasioni, perché parlarne è utile, necessario per costruire la cultura del rispetto che coinvolga tutta la società. con forza vogliamo ribadire il nostro rifiuto alla violenza cui assistiamo purtroppo inermi e che non riguarda solo le donne ma anche i bambini, i migranti, gli omosessuali, gli anziani e tutti gli indifesi: parlare e difendere i diritti civili attraverso la pratica della non violenza, seguendo gli insegnamenti di Mahatma Gandhi che ci piace ricordare come monito per tutti perché come asseriva «Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fin tanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.»(an.fu.)

SOMMaRIO luoghi|eventi| itinerari: 3:36 per non dimenticare 15 |alla scoperta della chiesa di s.s.Marcello e festo 28| a papa francesco la carta di leuca 36 | lyght up the skyline 37 |itinerarte 41| due passi nella brindisi normanna 56| Knam giudice del concorso icam 64| arte: il photocontest: salento in love 60|dionisiache fermentazioni live painting a Monteroni 63 |il culto di sant’irene e i gesuiti a lecce. nuovi documenti 66| l’arte della ceramica di agostino branca 82 Musica: Kalashima in estremo oriente 9| partenze. in un videoclip il viaggio musicale di Massimo donno 40 cinema: nico e Mario. confetti arcobaleno 13 |alice e le altre cineforum al femminile 55

Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Maurizio Antonazzo, Michele Bombacigno, Giovanni Bruno, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Ada Donno, Ines Facchin, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Giusi Gatti, Peppe Guida, Bruno Lo Duca, Fabiana Lubelli, Anna Paola Pascali

Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it

Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.

i luoghi della parola: non una di meno 10| vivere senza 12| amori letterari: gabriele d’annunzio ed eleonora duse 50|Knam il re del cioccolato 77 teatro|danza|nel nome di eva: le soerlle Mirabal 80 Zoom sugli angoli di roma antica al teatro eliseo 86 attrattori di armonia 87 libri|scuola|concorsi: luoghi del sapere 42-45 |allegoria fa tappa a verbania 38 libri svelati: il manoscritto Vitae Patrum 46| torno da me il ibro di Maria neve arcuti ad aradeo 62 | non è petrolio. il libro di ceschin 72allegoria a brindisi e a lecce 79 I luoghi nella rete|Interviste: intervista all’artista carla cacianti4 | intervista allo chef Massimiliano esposito 67| intervista alla giornalista lucia accoto 84 Numero 11 - anno XI - novembre 2016


“ferite”. il silenZio delle donne nelle iMMagini di carla cacianti Antonietta Fulvio

Il progetto artistico della visual artist romana. Dolore e rabbia per i drammatici casi di violenza ma anche desiderio di evidenziare le implicazioni psicologiche

ROMA. Due sole lettere per identificare un ritratto in cui paradossalmente è possibile riconoscersi. Donne. Semplicemente donne. Volti, occhi, labbra lineamenti deformati che stravolgono l’identità perché è questa la matrice della violenza che mira ad annientare l’altro. Una spirale che inizia gradualmente, spesso con piccoli segnali, per i quali è sempre pronta una giustificazione, per poi aprirsi drammaticamente in un’onda incontrollabile senza più possibilità di ritorno. Ma c’è dell’altro di impercettibile, nascosto, tra quei lineamenti piegati su se stessi perché a volte la violenza la nascondiamo, la ricacciamo dentro pensando erroneamente di poterla controllare. Ma quanto dolore può essere nascosto in un volto o rivelato in uno sguardo? é questo il primo pensiero che ci suggeriscono le immagini delle opere di Carla Cacianti racchiuse nel progetto “Ferite”. Un titolo

perfettamente aderente al tema, scelto da Patrizia Santangeli che nel catalogo curato dalla storica d’arte Carlotta Sylos Calò e stampato dall’azienda Tiburtini scrive “Il lavoro di Carla interviene sulle ferite della vita e le trasforma in carta. Le sovrappone ai visi per diventare parte integrante come segni indelebili. Nessuno sarà uguale a prima, nessuno sarà uguale a nessuno”. Artista e designer romana Carla Cacianti vanta una lunga carriera e prestigiose collaborazioni. Giovanissima, dopo il diploma al Liceo artistico di via Ripetta, negli anni 70 incontra il Teatro Immagine di Mario Ricci e partecipa alla creazione degli “oggetti scenici” per gli spettacoli Re Lear, Moby Dick e Monaco ’72, rappresentati in Italia e nelle principali capitali europee. Nel 1973 è nel gruppo di artisti che con Umberto Bignardi creano le immagini di Implicor, nella versione per la

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XV Triennale di Milano. Crea giocattoli d’artista, che espone nella mostra internazionale Toys by Artist (Torino, 1973). Nel clima culturale di quegli anni matura un forte interesse per le discipline del progetto e segue i corsi di formazione dello IED/Istituto Europeo di Design di Roma. È all’estero per alcuni anni, in Europa e in America Latina, con esperienze professionali e di studio in case editrici (Nordan/Stoccolma, Comunidad del Sur/ Montevideo), stamperie e agenzie di comunicazione. Dalla metà degli anni ‘80 si dedica intensamente all’attività di visual designer firmando progetti per grandi aziende e istituzioni (Unione Europea, Confindustria, Camera Nazionale della Moda Italiana, Gruppo Eni, Alitalia, Conad, Coop, Peroni). Contestualmente l’attività espositiva in numerose rassegne nazionali e internazionali di design e l’insegnamento tenendo corsi e lezioni nelle maggiori scuole di visual Design presenti a Roma. Dal 2009, con la personale Life-like | Cinema e grafica/profezie e paraCarla Cacianti, LA, cm30x40, 2015,

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dossi, una mostra installazione pensata con Gualtiero Tonna (autore dei testi), torna alla ricerca artistica, a cui si dedica in forma esclusiva. Seguono diverse mostre, personali e collettive, tra le quali “Stanze” al Museo archeologico di Gela (2010), “L’illusione e il reale” alla Galleria Sblu di Milano (2011 ), “Rito, costume, paradosso/Il cammino del pane,” sempre a Milano allo Spazio Oberdan (2013-14) e “Ferite” al Centro Luigi Di Sarro inaugurata il 25 novembre 2015. L’abbiamo incontrata per parlare di quest’ultimo lavoro dedicandole la copertina della nostra rivista. In prossimità del 25 novembre, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, riparliamo di “Ferite”. Da quali esigenze nasce questo tuo progetto artistico? Sicuramente da rabbia e dolore per l’ingiustizia. Quella macroscopica che leggiamo nei giornali, dal femminicidio in casa nostra alle cronache di guerra in giro per il mondo. Ma anche dalla voglia di esprimere un altro aspetto, più sottile e complesso che, in sintesi, riguarda il silenzio delle donne, le auto limitazioni di carattere psicologico.


Ad un anno di distanza dalla presentazione al Centro Luigi di Sarro cosa ti è rimasto di quella esperienza anche in rapporto con le donne che hanno prestato il loro volto e come si sta evolvendo il tuo progetto? Il rapporto con le donne che hanno posato per le foto è stato generalmente molto interessante e positivo, sia durante le riprese che in seguito. Come sai, la tecnica di realizzazione è stata quella di stampare i “ritratti” delle donne, manipolarli con un sistema di piegatura non casuale, che crea un nuovo disegno sull’immagine, rifotografarli ed

sto, alle sofferenze invisibili agli occhi degli altri? Certamente la piega è anche una metafora della ferita, ma soprattutto una tecnica espressiva che mi serve a dare drammaticità e ambiguità all’immagine. Le foto originali non sono drammatiche, ma molto intense, soprattutto per gli sguardi delle donne che nel posare erano consapevoli di ciò che stavamo facendo. L’aspetto dell’ambiguità, delle parti nascoste, del non detto, mi interessa di più in questo nuovo sviluppo del La piegatura dell’immagine vuo- lavoro. le essere un rimando alla ferita ma anche allusione al lato nasco- Dalle opere di “Da-mater/Terraesporre le nuove stampe fotografiche. Ora sto lavorando sulla foto di inizio, il “ritratto”. Sono immagini più grandi, in bianco e nero. Oggetti da esplorare e manipolare, modificandoli. La manipolazione crea piani diversi di lettura e di senso e le rende tridimensionali. Possono essere osservate da punti di vista anche molto diversi e il disegno delle ombre, date dalle pieghe, cambia a seconda della luce.

Trittico: “AA” di Carla Cacianti, 30x40 cm, 2015

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madre”, dedicate al mito della fertilità e al potere femminile della creazione/trasformazione a “Ferite”. Quanto e cosa può fare l’arte della comunicazione visiva nella sensibilizzazione di tematiche sociali così importanti e purtroppo di drammatica emergenza come la violenza sulle donne ma anche nella valorizzazione del ruolo e dell’identità femminile? Vorrei fare una precisazione sul progetto “Da-mater/Terramadre”. Tre anni fa sono stata invitata a partecipare a una grande mostra collettiva a Milano, che aveva come tema generale il Pane. Ho scelto di lavorare sul

mito di Demetra, dea del grano, la Cerere di noi latini, per vari motivi: il fatto che sono estremamente affascinata dalle nostre radici culturali grecoromane, la bellezza di questo mito, che riguarda una figura femminile che ha un’energia tremenda, non solo creativa, anche distruttiva. Infatti uno dei quadri, che ho chiamato Furia, è ispirato al momento della rabbia di Demetra che inaridisce tutti i campi coltivati. Quanto all’aspetto creativo femminile, preponderante, non penso solo alla possibilità di procreare, ma proprio alla creatività in senso lato,

sempre molto repressa nelle società patriarcali. Infatti, nel mito Demetra ri-ottiene la presenza, almeno parziale, della figlia, solo facendosi valere con la sua forza. Ma, per tornare alla tua domanda, non sono in grado di dire se e quanto l’arte può incidere sul sociale. Naturalmente spero di sì, e sicuramente serve a chi la pratica, nel senso che si agisce per un bisogno profondo di farlo. Del resto non riesco ad immaginare una vita senza Arte. Per quanto riguarda il progetto “Ferite”, che ha un nesso così immediato con quanto avviene nella società, ti posso dire che ha avuto un numero di visitatori veramente alto in rapporto al fatto che si trattava di una galleria privata e che ho avuto, oltre ad un’ampia attenzione della stampa, interviste e riprese delle maggiori reti Rai. Mi sembra una conferma del fatto che il linguaggio artistico, andando oltre la pura cronaca, suscita interesse e reazioni a fatti che altrimenti vengono rapidamente dimenticati. Per la realizzazione di “Ferite” hai concepito una tecnica particolare utilizzando il mezzo fotografico. Quale è il tuo rapporto con la fotografia? Il segno? Il colore? Per “Ferite”, e anche per altri progetti, ho scelto la tecnica fotografica, ma io ho studiato e praticato varie tecniche pittoriche e di disegno. Credo che bisogna sentirsi molto liberi, la tecnica deve essere funzionale a ciò che si vuole esprimere.

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Carla Cacianti, AY, 30x40 (2015)

Artista e designer con una esperienza professionale ricchissima che ti ha visto firmare progetti per aziende di grande prestigio. Quale l’approccio del designer rispetto a quello dell’artista? E l’anima del designer influenza l’artista e viceversa? Nella mia esperienza, l’artista agisce per un suo bisogno epressivo profondo. Anche quando affronta tematiche sociali, in realtà c’è sempre un legame personale, psichico, con il tema. Bisogna essere in contatto con se stessi, senza preoccuparsi troppo di ciò che ne penseranno gli altri. Nel progetto di comunicazione visiva, che è il ramo del design in cui ho lavorato per tanti anni, nonostante molti aspetti tecnici siano simili, si deve essere interpreti tra committente e pubblico. È necessario curare ogni aspetto del linguaggio della comunicazione per far sì che il messaggio arrivi, di qualunque natura esso sia. Certamente è difficile tenere insieme questi due diversi modi di approccio e soprattutto è difficile fare ricerca artistica senza dedicarsi completamente a questa. Per questo motivo, da alcuni anni ho sentito il bisogno di fare scelte piuttosto radicali. Diciamo che oggi seguo pochissimi progetti di Design, ed eventualmente di carattere sociale o su temi che posso condividere. Dal 2009 hai scelto di concentrarti sulla ricerca artistica. A quali progetti stai lavorando? Quale tema sarà il filo rosso della tua prossima mostra? Sto lavorando a due progetti. Il primo è una riflessione sulle grandi ideologie o religioni o visioni “utopiche” della società, rappresentate dagli edifici monumentali. Per questo lavoro uso di nuovo l’immagine fotografica e la manipolazione. Infatti questo linguaggio offre altre possibilità espressive, oltre a quelle offerte dal lavoro sui volti. In un certo senso, mentre in “Ferite” ho lavorato su un “io” individuale, ora è in gioco un “io” collettivo e storico. Il secondo progetto, che si svilupperà in una serie di quadri con tecniche miste, è sul tema del Mediterraneo, come radice della nostra cultura europea, ma anche come luogo dell’esodo e dell’oblio.

Carla Cacianti, NE, 30x40 (2015)

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KalashiMa in estreMo oriente la MUsica salentina sbarca in cina

In tournée per presentare il nuovo disco Psychedelic Trance Tarantella

pe ad Hong Kong: la band salentina è stata definita da Stacey Rodda, coordinatrice della rassegna, “one of Italy’s hottest band”. “La nostra musica è lo specchio di chi siamo. Mettiamo noi stessi in ogni nostro pezzo, con gioia, energia, paura e speranza.” ha affermato Riccardo Laganà, voce e anima dei Kalàscima, rispondendo alle domande di Rodd; e ancora “Abbiamo scritto canzoni sulle nostre esperienze, ma parliamo anche di fatti importanti successi nel nostro territorio in passato; proponiamo la nostra musica tradizionale, ma utilizziamo anche gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione. Noi crediamo che la musica sia importante per divertirsi ma anche per dire e ricordare qualcosa”; ha poi concluso. I concerti di Hong Kong sono stati registrati dalla Radio Television Hong Kong (RTHK), e sono stati trasmessi in differita, insieme ad un approfondimento e ad un’intervista dedicata alla band. I Kalàscima sono ritornati in Estremo Oriente a poco più di un anno dalla tournée in Giappone del giugno 2015, dove si erano esibiti a Kagoshima, Fukuoka, Osaka e Tokyo, e dopo un 2016 ricco di concerti in giro per il mondo: sono stati tra i pochissimi Italiani ad aver preso parte al SXSW Music di Austin, in Texas, per poi volare Babel Med Music di Marsiglia. Durante tutta l’estate la loro musica è arrivata nei più grandi Festival europei, quali il Roskilde Festival (Danimarca), Colours of Ostrava (Repubblica Ceca), l’Ethno Port di Poznan, in Polonia, esibendosi, inoltre, in Spagna, Germania, Svizzera, Belgio. I Kalascima sono stati inoltre tra i protagonisti,solo due settimane fa, dell’ultima edizione della Fira Mediterrania de Manresa (Spagna), unica band italiana ad essere selezionata per lo showcase. La tourné è stata organizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Shanghai e Hong Kong, prodotta da Domenico Coduto e promossa da Puglia Sounds Export 2016-17.

Ritorno in Estremo Oriente per i Kalàscima. La band salentina dal 27 ottobre al 6 novembre 2016 ha presentato in una tournée in Cina il suo ultimo lavoro discografico Psychedelic Trance Tarantella, edito da Ponderosa Music & Arts. Quattro i concerti realizzati: il primo il 30 ottobre in occasione dello Shanghai International Art Festival (promosso dal Ministero della Cultura della Repubblica Popolare Cinese, giunto alla sua diciassettesima edizione); il secondo il 31 ottobre al The Pearl, noto locale della città cinese; poi due date il 5 e il 6 novembre a Hong Kong per partecipare a Music Beyond Borders (nelle foto) una rassegna realizzata da RTHK (celebre Radio Televisione di Hong Kong), all’interno del New Vision Arts Festival. La rivista musicale Fine Music ha dedicato ai Kalàscima la copertina e un lungo articolo nel numero di ottobre, dove si è parlato delle due tap-

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non Una di Meno. a roMa contro la violenZa Maschile sUlle donne Ada Donno

ROMA. “Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne. Vogliamo che sabato 26 novembre Roma sia attraversata da un corteo che porti tutte noi a gridare la nostra rabbia e rivendicare la nostra voglia di autodeterminazione.” Così apre l’appello lanciato dalla Rete IoDecido, dalle Donne in Rete Contro la violenza e dall’Udi, a cui ha risposto immediatamente un ampio ventaglio di

La manifestazione nazionale il 26 novembre in occasione della Giornata internazionale

decine e decine di associazioni e gruppi di donne diffusi su tutto il territorio nazionale, che si ritroveranno ancora una volta nella capitale in una manifestazione unitaria. Sta diventando quasi rituale questo appuntamento delle donne, ma ogni volta esso si carica di motivazioni e proposizioni più stringenti e pregnanti, di fronte ai fatti di cronaca che quotidianamente ci dicono quanto poco di concreto si stia facendo per contrastare e prevenire il

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fenomeno della violenza maschile sulle donne. E non parliamo solo delle zone dove infuriano le guerre, né di quelle parti del mondo che presumiamo essere “meno civilizzate”. No, stiamo parlando anche di casa nostra. Anzi, delle case nostre. Perché è qui che la violenza si consuma contro le donne nella maggior parte dei casi, le cifre e le statistiche ormai parlano chiaro: mano a mano che il fenomeno emerge dal sommerso, esso si rivela nella sua reale dimensione grazie al fatto che sempre più donne rompono il silenzio, dichiarano la propria indisponibilità a sopportare, elaborano le conseguenze. Un percorso di cambiamento profondo che da almeno tre decenni ha luogo nei Centri Antiviolenza, ma che richiede l’impegno delle diverse componenti della società, gli uomini in quanto genere maschile, le istituzioni


e i governi. Non basta aver sottoscritto e ratificato le raccomandazioni del Comitato CEDAW (Convenzione per l’eliminazione delle discriminazioni contro le donne) delle Nazioni Unite e la “Convenzione Europea per la prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne” adottata ad Istanbul nel maggio 2011. Occorre che tutte le istituzioni italiane, comprese quelle locali, si impegnino ad applicarle. Da questa prospettiva il percorso da realizzare è ancora lungo. “Non accettiamo più che la violenza condannata a parole venga più che tollerata nei fatti. – prosegue l’appello delle donne - Non c’è nessuno stato d’eccezione o di emergenza: il femminicidio è solo l’estrema conseguenza della cultura che lo alimenta e lo giustifica. È una fenomenologia strutturale che come tale va affrontata. “La libertà delle donne è sempre più sotto attacco, qualsiasi scelta è continuamente giudicata e ostacolata. All’aumento delle morti non corrisponde una presa di coscienza delle istituzioni e della società che anzi continua a colpevolizzarci. “I media continuano a veicolare un immaginario femminile stereotipato: vittimismo e spettacolo, neanche una narrazione coerente con le vite reali delle donne. La politica ci strumentalizza senza che ci sia una concreta volontà di contrastare il problema: si riduce tutto a dibattiti spettacolari e trovate pubblicitarie. Non c’è nessun piano programmatico adeguato. La formazione nelle scuole e nelle università sulle tematiche di genere è ignorata o fortemente ostacolata, solo qualche brandello accidentale di formazione è previsto per il personale socio-sanitario, le forze dell’ordine e la magistratura. Dai commissariati alle aule dei tribunali subiamo l’umiliazione di essere continuamente messe in discussione e di non essere credute, burocrazia e tempi d’attesa ci fanno pentire di

aver denunciato, spesso ci uccidono”. “Dal lavoro alle scelte procreative si impone ancora la retorica della moglie e madre che sacrifica la sua intera vita per la famiglia”. “Di fronte a questo scenario tutte siamo consapevoli che gli strumenti a disposizione del piano straordinario contro la violenza del governo, da subito criticato dalle femministe e dalle attiviste dei centri antiviolenza, si sono rivelati alla prova dei fatti troppo spesso disattesi e inefficaci se non proprio nocivi. In più parti del paese e da diversi gruppi di donne emerge da tempo la necessità di dar vita ad un cambiamento sostanziale di cui essere protagoniste e che si misuri sui diversi aspetti della violenza di genere per prevenirla e trovare vie d’uscita concrete.”… Che fare? È la domanda di sempre. È il momento di essere unite, certo. Ma è giunto anche il momento di “essere ambiziose e di mettere insieme tutte le nostre intelligenze e competenze”. La marcia delle donne del 26 novembre – che partirà da piazza della Repubblica alle 14, attraverserà le vie del centro di Roma toccando alcuni luoghi simbolici, e terminerà in Piazza San Giovanni - sarà propedeutica ad una giornata di “approfondimento e definizione di un percorso comune che porti alla rapida revisione del Piano Straordinario Nazionale Anti Violenza”. Sempre a Roma, il 27 novembre - dalle 10, nella scuola elementare Federico Di Donato (via Nino Bixio 83) – è convocata infatti una assemblea nazionale articolata per tavoli tematici in cui si discuterà di come dare continuità e respiro al percorso di elaborazione, di confronto e proposta. Il blog https://nonunadimeno.wordpress.com/ è a disposizione come spazio di confronto e di condivisione di materiali comunicativi e contributi di approfondimento in vista del 26 e 27 novembre.

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vivere senZa. e la paUra di incontrare l’altro Giovanni Bruno

La riflessione dello psicologo psicoterapeuta

Non voglio parlare di femminicidio. Voglio parlare di donne, certo soprattutto di donne, e uomini, persone, che a un certo punto della loro vita sono offese ferite colpite a morte dai loro compagni, mariti, amanti. Compagni mariti amanti dei quali un giorno si fidavano, condividevano tutto, c’era lo spazio e il tempo per le intimità più naturali, il proprio respiro era in sintonia col respiro dell’altro, gli sguardi d’intesa erano quotidiani, la vita andava avanti anche se a volte con fatica. Ma la fatica di vivere a un certo punto prevale e l’altro o l’altra non si riconosce più, tutto diventa difficile i gesti non sono più naturali come un tempo, si litiga furiosamente oppure nessuno parla ma il pericolo comincia a incombere. È qui che cambia tutto. Ma dietro lo sperdimento, la mancanza di senso e poi le aggressioni o le violenze ci sono tragedie familiari che producono danni fisici e psicologici sulle persone e quindi ci vuole rispetto e massima considerazione del dolore altrui. In punta di piedi cercherò allora di chiarire alcuni snodi a mio parere fondamentali. Da cosa nasce l’eventuale pericolo, l’aria di sfida che si respira

in casa, il senso di disagio al solo pensiero di incontrare l’altro? È qui che la narrazione fa un notevole passo indietro, inevitabilmente si deve tornare a un racconto di formazione del soggetto, a come ha vissuto le esperienze della propria infanzia e della adolescenza e della prima giovinezza. Le storie sono variegate, diversissime tra loro intrise spesso di scontento e incomprensione. Ci sono tuttavia alcuni elementi che spesso sono ricorsivi nei vari vissuti. Si apre così il capitolo della educazione dei propri figli, quali strumenti offrire loro, come mettere in atto un’educazione emotiva che significa sostanzialmente connettersi con i propri figli, sintonizzarsi con le loro risonanze più profonde, facendo in modo che i ragazzi esprimano e valutino le proprie emozioni così da promuovere una crescita emotiva e intellettuale. Cominciare a comprendere le proprie emozioni è fondamentale ma anche intuire ciò che provano gli altri, imparando a controllare i propri stati d’animo e il proprio umore. Ma tutto ciò richiede amore tempo e dedizione, sostantivi facili da pronunciare ma difficili da mettere in atto.

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È più facile allora per i genitori ripianare le mancanze, il poco tempo, con risposte sbrigative, ricompense, regali oppure con la mancanza di interesse o peggio l’indifferenza. Così se il soggetto non è attrezzato a subire le frustrazioni non ha lo strumentario per rielaborare la sconfitta, non mentalizza il disagio e spesso c’è un passaggio all’atto brusco e repentino senza interiorizzare il conflitto cercando poi di risolverlo. Questo schema potrà ripetersi negli anni successivi e le violenze saranno per il soggetto l’unico codice di accesso alla realtà quotidiana. Come aiutare e sostenere persone con tali difficoltà? Facendogli scoprire una solitudine affrontabile che può diventare il punto di partenza per una vita nuova, e ancora inducendolo a scoprire l’amore di sé che dura sempre se veramente siamo innamorati della nostra stessa persona. Il dolore, in seguito a un abbandono, è anche un processo naturale, funzionale che non deve essere vissuto in modo passivo ma piuttosto lo si deve attraversare così da raggiungere la salvezza che altro non è che ritrovarsi.


nico e Mario, confetti arcobaleno e protagonisti di “stato civile”

La storia di Nico e Mario sarà raccontata dal programma di Rai 3

LECCE. Confetti arcobaleno per Mario Cazzato storiografo e architetto, tra gli esponenti di spicco del panorama culturale salentino (recentemente ha firmato con Vincenzo Cazzato l’Atlante del Barocco Leccese) e Nico Maggi poeta, narratore, responsabile della Libreria del Sole, entrambi collaboratori della rivista “Arte e Luoghi” e della casa editrice Il Raggio Verde. Una pioggia copiosa non ha intaccato la gioia di un giorno atteso ventitré anni. Finalmente, lo scorso 28 ottobre nell’ex Conservatorio Sant’Anna a Lecce hanno realizzato il loro sogno che ha unito idealmente Lecce e Città di Castello (Perugia). é stata infatti Daniela Salacchi responsabile del Servizio di Stato Civile del Comune di Città di Castello (PG) a celebrare l’unione alla presenza di Laura Settembrini responsabile dell’Ufficio Nascite e Matrimoni del Comune di Lecce. “Sono stata molto lieta e onorata di celebrare l’unione di Mario e Nico, due amici e antiquari stimatissimi nella mia città, da oltre dieci con la Libreria del sole sono invitati speciali alla mostra mercato nazionale del libro e della stampa antica perché gli unici espositori provenienti dal Sud Italia” - ha commentato la dott.ssa Salacchi – aggiungendo “ogni anno nel primo fine settimana di settembre ci incontriamo nel loggiato di Palazzo Bufalini e ho imparato attraverso i loro racconti ad apprezzare la bellezza e la storia del Salento”. Un lieto fine raccontato anche dalla trasmissione “Stato civile - l’amore è uguale per tutti”, in onda da giovedì 3 novembre su Rai tre, alle 23:15. La direzione del programma ha scelto di raccontare anche la storia di Nico e Mario mandando la sua troupe a seguire la cerimonia e la festa nella splendida Torre del Parco. La puntata sarà trasmessa tra fine novembre e inizio dicembre. Ai nostri amici l’augurio di un futuro sereno e radioso come la forza del loro amore.

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Retrosi, foto di Ines Facchin

3:36. per non diMenticare a retrosi fraZione di aMatrice

Lo sguardo della fotografa Ines Facchin per documentare gli effetti devastanti del terremoto in uno dei luoghi a lei cari

Ines Facchin

RETROSI (AMATRICE). Le immagini si riferiscono a Retrosi, una delle tante frazioni di Amatrice. Un bellissimo paese adagiato tra splendide montagne in una estate dolce, con le vie apparentemente vuote, ma pieno di voci e musica. Poi altre immagini, lo stesso paese ora con le vie completamente deserte. Gli abitanti non ci sono, non ci sono rumori, tutti sono stati cacciati dalla forza della natura ma tutto sembra intatto, sospeso. Solo entrando si vedono le ferite, il paese ha l’aspetto di una preziosa ceramica incrinata che sta per disgregarsi in mille pezzi. È doloroso! Anche le persone che si sono salvate sono internamente disgregate, ma determinate a riprendersi ciò che le generazioni hanno creato con fatica

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Retrosi, immagini del centro prima e dopo il sisma del 24 agosto 2016, foto di Ines Facchin

e gioia. Una comunità determinata si lecca le ferite e progetta già la ricostruzione, il paese è distrutto ma si può e si deve ricominciare. Le persone hanno perso la casa ma non la forza e la dignità e con un nuovo e più forte senso di soli-

darietà si preoccupano di dare ristoro ai tanti vigili del fuoco e volontari che sono venuti in aiuto. Nel centro sociale di questa piccola realtà, in una delle poche costruzioni agibili, Francesca offre gratuitamente un caffé ed un pasto caldo ai

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vigili, ai volontari, agli abitanti rimasti. Una piccola sosta, una pausa tra fatica fisica e mentale dei soccorritori e dei terremotati, un momento di confronto, di racconto e condivisione. Ci vorrà l’aiuto dello Stato per non disperdere

un patrimonio, cosiddetto minore, sociale ed artistico. Questa piccola comunità è fatta di realtà lavorative produttive, di residenti e proprietari di seconde case molto vissute e di turismo, come ce ne sono tante nel nostro Paese.


Immagini di Retrosi, dopo il sisma del 24 agosto 2016, foto di Ines Facchin,

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Se perdiamo questa sfida o la affrontiamo male barbarie. Si possono e si debbono dare delle o indegnamente come fu per l’Aquila, veramen- prioritĂ di tempi ma non si può lasciare indietro te disperderemo la nostra identitĂ a favore della nessuno, lavoro, residenti e villeggianti, tutto fa

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parte di un’unica realtà, la mancanza dell’uno Non lasciamoli soli, facciamo in modo che il compromette tutto l’insieme. lampione continui ad illuminare la via. Si deve ricostruire l’intero tessuto sociale.

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dalla cina con sapore intervista allo chef Max esposito Antonietta Fulvio

Cuoco, che bella parola diceva Totò, ed io questa professione l’ho scelta iscrivendomi all’Istituto “Costaggini” di Rieti

Da Rieti a Pechino. Lo chef Massimiliano Esposito, di origini napoletane, classe 1979 ma reatino d’adozione, è oggi tra gli chef stellati della capitale cinese e, tra l’altro, ambasciatore del Grana Padano e Prosciutto di Parma e patron chef del ristorante “Simply Fresh” che aprirà nel febbraio 2017 a Pechino. Lo abbiamo incontrato a Rieti, dove Massimiliano Esposito ritorna quando può per abbracciare la sua famiglia. Con lui abbiamo ripercorso le tappe di una strepitosa carriera. Hai sempre sognato di essere uno chef? Dove ti sei formato? Cuoco, che bella parola, diceva il grande Totò – ed io questa professione l’ho sognata e l’ho scelta iscrivendomi all’Istituto Costaggini di Rieti dove ho conseguito il diploma nel 1998.

Poi il servizio militare e il corso alla SMICA (Scuola Militare Commissariato e Amministrazione) di Maddaloni in provincia di Caserta e in qualità di Sottufficiale al Vettovagliamento ho proseguito la mia carriera da militare fino all'anno 2001 presso il 183 Reggimento Paracadutisti di Pistoia e, successivamente, l’iscrizione alla Federazione Italiana Cuochi. Poi arrivano le esperienze all’estero…e la prima stella Michelin Sì, grazie alla FIC comincio a lavorare in Spagna, Egitto, Grecia. L’esperienza in Danimarca, al ristorante italiano Grappolo Blu, mi porta ad ottenere la prima stella Michelin e ho il grande onore di cucinare per la moglie del Presidente Americano Michelle Obama in visita alla capitale Danese per rap-

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presentare Chicago la sua città per i giochi olimpici del 2016 che poi furono assegnati a Rio de Janeiro. Sull'onda della stella Michelin sono chiamato come consulente dalla compagnia SALDALS leader di resort nell'area dei Caraibi per un nuova apertura sull'isola di Great Exuma nelle Bahamas del Resort Sandals Emerald Bay. È stata un’esperienza che mi ha arricchito particolarmente perché non mi ero mai trovato a dirigere

multi ristoranti con formula all-inclusive dove il cliente può decidere dove andare e che cosa mangiare all'interno del resort stesso. Una tappa fondamentale della tua carriera non è sulla terraferma ma a bordo di una nave… La Caribbean Princess, vi sono salito come executive sous chef sotto la guida del grande executive chef Antonio Cereda. Fu il Corporate Chef Pierre Marie le Prince a credere in me e a darmi la possibilità di poter far parte di una delle compagnie di Crociere più grandi del Mondo, la Princess Cruises appunto. Lì, in alto mare, mi sono aperti orizzonti culinari che non sapevo esistessero e lì che arriva la promozione ad executive chef e ancora oggi grazie a quell’esperienza affronto il mondo del lavoro sotto un altro punto di vista, diciamo a 360 ° proiettato verso il fascino dell’internazionalità. Nel 2014 approdi da chef stellato in Cina. Cosa ti ha colpito di questa terra? Fin dall’inizio mi sono reso conto che è una terra in forte espansione e, anche, per la nostra cucina italiana qui particolarmente apprezzata. Quando nel 2014 Paolo Monti, Corporative Chef di Gaia Group di Hong Kong che vanta in Cina ben 32 ristoranti, mi propone di dirigere la cucina del Ristorante Isola di Pechino è quasi un sogno che si avvera per me che sono sempre stato attratto dall’Oriente. E fai molto bene, visto che anche la stampa cinese se ne accorge. I più grandi magazine cinesi, Time Out, The Beijinger, City Weekend, Coofun, parlano di te e della tua filosofia culinaria. Così arriva il terzo posto al campionato mondiale della cucina cinese 2015, la partecipazione al master Chef cinese nel 2016. In Cina ormai sei popolarissimo e amatissimo, qual è il tuo segreto? Queste esperienze mi hanno arricchito moltissimo a livello personale e particolarmente il contatto con le persone, affrontare sempre nuove sfide ti dà in un certo senso la forza e lo spirito per andare avanti e raggiungere nuovi traguardi. Non ho un segreto, sono fortunato a svolgere un lavoro lo Chef Massimiliano Esposito

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che mi piace e che porto avanti con tanta passione. Hai cucinato per tantissimi protagonisti del jet set mondiale, dai personaggi della politica a quelli dello spettacolo, della moda e dello sport tra i quali Bulgari, Versace, Roberto Cavalli, Giorgio Armani, Flavio Briatore, Marcello Lippi, Peter Thiel fondatore di Pay Pal di chi hai un ricordo particolare? Mi sono rimasti nel cuore sono il grande Giorgio Armani uomo di classe innata e preziosa modestia anche se icona della moda mondiale e la Contessa Bulgari che ho avuto il piacere di conoscere, persona estremamente sensibile e donna fantastica con un senso della semplicità superbo. Sei anche molto legato alla tua terra. Lo scorso 24 agosto un terribile sisma ha distrutto borghi bellissimi del rietino come Amatrice e non hai esitato a dare il tuo aiuto in quella terribile circostanza, ti abbiamo visto tra i volontari impegnato a cucinare per la protezione civile e non solo… Sì, sono stato nel campo della Protezione Civile di Illica dove con i Colleghi della Federazione Italiana Cuochi e il Presidente dell’associazione Cuochi Reatini (FIC) Elia Grillotti abbiamo cuci-

nato e portato sostegno alle persone che purtroppo stanno affrontando con molto coraggio il dopo sisma. A proposito dal 16 al18 novembre, all’interno della fiera Anufood China di Pechino avrà luogo L'italian Pasta Summit China edition 2016 (Campionato mondiale della pasta) patrocinato dall’Ambasciata Italiana e ufficio ICE per il made in Italy nel mondo. Più di 200 Chef Cinesi e Italiani daranno vita ad un evento unico seguito dalla Rai, il sole 24 ore e Repubblica insieme a oltre 240 media cinesi e la Beijing TV dedicherà al Pasta Summit uno speciale. Parte delle sponsorizzazioni saranno donate al progetto Un futuro per Amatrice , che ho sottoposto all’organizzazione, ecco perché verrà preparata l'Amatriciana DOC con prodotti provenienti direttamente da Amatrice, con la partecipazione di 25 sponsor italiani tra i quali Barilla, Consorzio Prosciutto di Parma, Consorzio del Grana Padano, Olio extra vergine Casalaccio, Sterilgarda, Electrolux, Smeg, Olio Coppini, Vini Montresor, Berneri, Costa. La ricostruzione avrà tempi molto lunghi ed è importante tenere sempre viva l’attenzione e poi la pasta all’amatriciana, espressione della civiltà contadina, è diventato un simbolo della gastronomia italiana nel mondo e il terremoto ha danneggiato anche l’economia agricola di quei territori che vantano eccellenze nella produzione agricola e

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casearia e tutti dobbiamo dare una mano a chi per divulgare e far conoscere meglio il prosciutto oggi è in difficoltà e sostenere l’economia di quei di Parma e il grana padano che tutti conoscono territori gravemente colpiti. ma che pochi sanno realmente usare ed impiegare nelle ricette per esaltarne le qualità. Proprio per In Cina sei ambasciatore del Grana Padano e questo motivo sto preparando il mio libro di ricetdel Prosciutto di Parma, due marchi che spes- te che sarà pubblicato in tre lingue: Italiano, so sono oggetti di pericolosi frodi alimentari. inglese e cinese. In Italia abbiamo delle eccellenze e questi due prodotti di certo lo sono. Sono onorato di poter Su quali principi è basata la tua filosofica culidiffondere e sponsorizzare tramite questi prodotti naria? il meglio del nostro made in Italy. Tramite i due La cucina italiana è molto semplice io parto semConsorzi stiamo preparando molta formazione pre da questo concetto. Per noi Chef ci sono tre

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A lato lo chef Massimiliano Esposito; sotto: gnocchi Sorrento con mozzarella di bufala DOP e pomodorini ciliegino:

elementi che rendono unica la cucina: olfatto, gusto, visione. Un piatto deve essere presentato in modo sublime il cliente mangia con gli occhi se si presenta bene il 50% del lavoro e già fatto, poi si aggiunge il fattore olfattivo un piatto deve profumare per far scaturire sensazioni ed emozioni, infine determinante il gusto quando il piatto lo si assaggia deve completare le sensazioni risvegliate dal fattore visivo e olfattivo. La combinazione di questi tre fattori è il segreto di un piatto che resta nei nostri ricordi. Da buon napoletano, tra i tuoi piatti, non potevano certo mancare gli spaghetti allo scarpariello, gnocchi alla sorrentina e il babà. Quali di questi cibi preferiscono i cinesi? Il cinese di oggi conosce la cucina partenopea perché molto spesso viaggia o per vacanza o per lavoro proprio in quei luoghi, lo spaghetto allo scarpariello come lo chiamiamo noi a Napoli è

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Carpaccio di pesce spada marinato all'arancia con Orzotto e dadolata di vegetali

uno dei piatti più semplici, ma a mio parere più buoni della tradizione napoletana che i buongustai cinesi apprezzano moltissimo. Nato nei quartieri spagnoli, è una ricetta molto veloce, nata per permettere ai calzolai di prepararsi in breve tempo un delizioso piatto di pasta a base di sugo di pomodoro, spesso avanzi del ragù della domenica e il formaggio che spesso era la moneta con cui i contadini, impossibilitati a pagare, saldavano i loro conti con lo scarpariello.

nostra filosofia culinaria italiana che ho imparato ad amare inebriandomi dei profumi di casa. Mi permetti di dire un’altra cosa? Se ho un futuro e al di là dei progetti che avrò modo spero di realizzare vorrei dedicare questa intervista ai miei genitori, perché proprio grazie a loro oggi sono quello che sono.

Quali sono i tuoi progetti futuri? Il primo e sicuramente quello di aprire il mio primo ristorante proprio qui a Pechino, un ristorante molto semplice in chiave moderna ma che non abbandona mai le tradizioni e l’arte culinaria Italiana. Inoltre desidero concentrarmi sempre di più per far conoscere la cucina italiana in Cina e di concreto con la FIC stiamo cercando di istituire una delegazione Cina Della Federazione Italiana Cuochi. Desidero far conoscere i grandi marchi del nostro made in Italy ed educare il mercato cinese ed i Cinesi che a mio parere sono pronti per apprezzare l'unicità e la qualità dei nostri prodotti. Vorrei inoltre fare con il patrocinio dell'Ambasciata Italiana a Pechino e l'Istituto di Cultura una scuola di cucina in Cina per avvicinare la gente comune e non solo i professionisti del settore alla Focaccina Bresaola, pomodorini secchi, rucola grana e cremoso di Balsamico Dop

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Girovagando...conosciamo napoli e la campania

Foto di Peppe Guida, Chiesa di San Marcellino e Festo, Napoli, facciata esterna e controfacciata

alla scoperta della chiesa dei santi Marcellino e festo Peppe Guida

Tra i più affascinanti “luoghi della rete” gli itinerari del gruppo Fb ‘Conosciamo Napoli e la Campania’ organizzato da Peppe Guida nella rubrica ‘Girovagando’

NAPOLI. Andar per Chiese. Un itinerario praticamente infinito, da scoprire da un punto di vista architettonico e artistico al di là del fervore religioso che ogni tassello o centimetro di affresco

lascia per sempre negli occhi del visitatore che ha il privilegio di varcarne la soglia. Per iniziare questo viaggio nei luoghi di culto della città di Napoli abbiamo scelto la chiesa

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Foto di Peppe Guida, la Cupola della Chiesa di san Marcellino e Festo vista dal Chiostro

dei Santi Marcellino e Festo. Una chiesa monumentale situata nel centro storico di Napoli, nei pressi di largo San Marcellino, in prossimità del decumano inferiore. L’edificio conventuale è frutto dell’unione di due monasteri femminili basiliani confinanti risalenti all'alto Medioevo, uno del VII secolo dedicato ai

santi Marcellino e Pietro, l’altro invece dedicato al culto di Festo e Desiderio e fondato nell'VIII secolo per volontà di Stefano II, vescovo e duca di Napoli. La fusione tra i conventi dei SS. Marcellino e Pietro e dei SS. Festo e Desiderio, confermata dal primo Sinodo Diocesano del 29 dicembre 1565, fu ratificata il 26 marzo 1566.

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Appena due anni dopo la struttura venne nuovamente rimaneggiata su progetto di Giovanni Vincenzo Della Monica, i cui lavori di ammodernamento durarono circa trent’anni (dal 1567 al 1595). La chiesa di San Marcellino, che una parte della guidistica napoletana attribuisce a Pietro D'Apuz-

zo, fu iniziata nel 1626 e completata nel 1633, su progetto di Giovan Giacomo di Conforto, come si può ipotizzare sulla base di una documentazione non esplicita, ma tale da attestare la sua presenza in cantiere in qualità di architetto del monastero si legge nell’esaustivo saggio di Gaetana Cantone. Articolata su un impianto longitudinale, a navata con cappelle e ritmo alterno, è preceduta da un atrio con campate coperte da volte a vela, come quello di San Gregorio Armeno. Anche la cupola con riggiole di maiolica su disegno del di Conforto e risalente al 1645 sembra rifarsi alla chiesa di San Gregorio, anche questa legata ad una committenza benedettina, spiegata probabilmente anche dalla presenza nel cantiere di Vincenzo della Monica. “Gli affreschi della cupola, dei pennacchi e degli archi dei cappelloni, con Santi e Storie della vita di San Benedetto, di Belisario Corenzio (163040), furono restaurati all'inizio del Settecento da Nicolò de Simone. Le tele centrali della controsoffittatura sono opera di Massimo Stanzione”, si legge ancora nel testo della Cantone che precisa gli ammodernamenti in età barocca, nel 1666-67, ad opera di Dioniso Lazzari che vedono la realizzazione dell'apparato marmoreo del cappellone di San Benedetto (a sinistra della tribuna) e quello della cappella maggiore. Inoltre l'ancona preesistente viene trasformata arricchendola con le sculture delle nicchie, raffiguranti San Marcellino e San Festo, opera di Lorenzo Vaccaro, e dalla tela de La Visitazione, di Luigi Garzi, e alla fine del 1670 viene inserito un nuovo altare maggiore. “Il restauro conclusivo della chiesa di San Marcellino, nato dalla necessità di consolidare la cupola, ma concentrato sulla tribuna e in particolare sulle ancone dei due cappelloni, a sinistra quella di San Benedetto e a destra quella del comunichino delle monache, nel 1754 viene affidato a Mario Gioffredo, coadiuvato da Luca Vecchione e Gaetano Pallante, con la collaborazione dei marmorai Carlo Tucci e Antonio di Lucca. Più tardi le Benedettine affidano l’incarico a Luigi Vanvitelli, il quale, con la collaborazione di Antonio di Lucca e del figlio di Carlo Tucci, Domeni-

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Foto di Peppe Guida, nella pagina precendente particolare della Cupola, in queste pagine: Cappelle laterali (seconda e terza di sinistra),l’altare maggiore, particolare della volta

co, porterà a termine dapprima il 'restauro' della chiesa, dal 1759 al 1768, e poi l’ampliamento del convento con un nuovo chiostro. Nella cappella di San Benedetto, Vanvitelli interviene nella parete d'ancona, dove verrà inserita la tela dell'Apparizione della Madonna col Bambino a San Benedetto, di Francesco De Mura, e nell'altare caratterizzato dallo svuotamento del paliotto, dove Giuseppe Sanmartino inserisce due angeli che sostengono lo scudo con la croce. Un disegno di Vanvitelli del 1759 documenta l'idea dello scudo centrale, appena appena accennato, mentre più definiti appaiono il tabernacolo e il capoaltare, con un gioco di volute a conclusione dei gradini del dossale. Riveste con il nuovo apparato marmoreo anche il comunichino delle monache,

situato dal lato opposto del cappellone, dove è conservata la tela di G. Starace, Cena in casa di Simone”. Nel 1809, sotto il regno di Gioacchino Murat, il monastero fu soppresso e nel 1829 divenne educandato femminile assumendo la denominazione di "Secondo Educatorio Regina Isabella di Borbone". Nel 1907 un'ala del complesso fu destinata ad ospitare alcuni locali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, tutt'ora attiva nello spazio occupato dal chiostro monumentale e dall'oratorio della Scala Santa. Nel 1932 infine, in altri ambienti del monastero (come la sala del Capitolo e quella del Teatrino) venne istituto il Museo di Paleontologia di Napoli.

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Un momento della consegna della Carta di Leuca a Papa Francesco (foto Proprietà della Diocesi Ugento -S.Maria di Leuca)

consegnata a papa francesco la #cartadileUca.0 Maurizio Antonazzo

Il Santo Padre si è complimentato con il Vescovo d’Ugento per l’iniziativa “Il Mediterraneo, un mare di ponti

ROMA. In occasione dell’udienza papale del 22 ottobre scorso, in concomitanza con il Pellegrinaggio Giubilare della Diocesi a Roma, S.E. Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento - S.Maria di Leuca, insieme a Don Giuseppe Indino e Don Rocco Frisullo, hanno consegnato la #cartadileuca.0 a Sua Santità. Papa Francesco. Il Santo Padre nel ringraziare per il gradito pensiero, si è complimentato per l’iniziativa “Mediterraneo, un mare di ponti” 2016, esortandoli a proseguire nell’impegno per far del Mar Mediterraneo un'Arca di Pace, di solidarietà, di sviluppo sosteni-

bile e di pari opportunità. Papa Francesco, lo scorso agosto, alla vigilia dell’incontro internazionale con un propria missiva aveva benedetto l’iniziativa, svoltasi nel Capo di Leuca, con la partecipazione di circa 150 ragazzi provenienti da alcuni Paesi dell'Europa e del Mediterraneo (Italia, Francia, Germania, Israele, Libano, Russia, Tunisia, Turchia, Siria, Spagna, Algeria, Grecia, Albania, Egitto, Inghilterra, Marocco). Nel messaggio inviato dal Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin,il Pontefice rivolgeva ai partecipanti il suo cordiale saluto ed auspicava che

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la significativa manifestazione, che coinvolgeva giovani provenienti da varie nazioni, suscitasse un rinnovato impegno nel favorire una cultura dell’accoglienza e della solidarietà, promuovendo così la pace e la fraternità tra i popoli. Papa Francesco incoraggiava a considerare, la presenza di tanti fratelli e sorelle migranti un'opportunità di crescita umana, di incontro e di dialogo tra culture e religioni, come anche l'occasione per testimoniare, il Vangelo della carità, invocando la materna protezione della Vergine Maria e inviando la benedizione.


light Up the sKyline e il parco di locri si tinge di blU

In occasione della Giornata mondiale del diabete un convegno sul tema al Museo calabrese

LOCRI. Il 14 novembre si è celebrato in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Diabete, un evento voluto dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dall’Onu allo scopo di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sulla malattia diabetica. Anche il Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri - Polo Museale della Calabria - aderisce all’iniziativa simbolica Light up the skyline per la giornata mondiale del diabete 2016 illuminando di blu, dal 7 al 14 novembre 2016, il Tempio Ionico di Marasà nell’area del Parco. Particolarmente interessante è

stato il convegno, venerdì 11 novembre 2016, una conversa-

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zione sul tema Il tempo dedicato alla cura. Sono intervenuti: Rossella Agostino, direttore del Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri; Giuseppe Macrì, presidente Lions Club Locri; Mariella Bruzzese, centro diabetologia pediatrica Ospedale di Locri e Francesco Mammì, coordinatore rete diabetologica pediatrica calabrese. L’incontro è stato promosso dal Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri, Lions Club di Locri, Diabete Italia, Associazione Giovani con Diabete della Locride e centro diabetologia pediatrica Ospedale di Locri.


Nelle foto: Villa Giulia a Verbania, l’Istituto Cobianchi e alcuni momenti della presentazione

allegoria fa tappa a verbania dal cobianchi a villa giUlia Bruno Lo Duca

Doppia presentazione del romanzo storico di Walter Cerfeda edito da Il Raggio Verde

VERBANIA. Una matinée con gli studenti e un incontro in serata a Villa Giulia, è stato questo il denso programma della doppia presentazione del libro “Allegoria” di Walter Cerfeda svoltasi lo scorso 21 ottobre a Verbania. A promuovere l’evento le associazioni culturali VB/doc (Verbania documenti), Letteraltura e Società Dante Alighieri- Comitato di Verbania con il patrocinio dell’Assessorato alla Cultura e all’Istruzione del Comune di Verbania. Al mattino dalle 10.30 alle 12 lo scrittore è stato infatti ospite dell’I-

stituto Cobianchi, la nostra maggiore scuola con i suoi 1800 studenti provenienti da diverse provincie e regioni e i suoi 130 anni di attività festeggiati proprio lo scorso 22 ottobre. Centocinquanta studenti del terzo, quarto e quinto anno hanno ascoltato, in “religioso” silenzio Walter Cerfeda parlare delle vicende raccontate nel romanzo che indaga la storia di Otranto 536 anni fa, quella dei turchi e della strage degli ottocentotredici martiri che rifiutarono di rinnegare la loro fede. Ma Allegoria non è solo la ricostruzione sto-

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rica di come Otranto in realtà nel 1481 venne liberata. è una storia del passato che si presta ad essere Allegoria del presente “il sangue che scorreva allora è lo stesso che scorre oggi” e il riferimento inevitabile va al nostro presente, alle stragi terroristiche dell’Isis, ad una guerra che nulla ha a che fare con la religione utilizzata come pretesto perché l’obiettivo vero sono il potere e la ricchezza. Ne è scaturito un bel confronto vivace e interessante e molto apprezzato dagli studenti che hanno interloquito con l’autore a riprova di quanto da sempre si suol dire che la storia è maestra di vita. Nel pomeriggio alle 17.30, invece, la presentazione pubblica a Villa Giulia, una prestigiosa sede comunale che ospita in continuità mostre ed eventi culturali diversi. Il pubblico è accorso numeroso, incuriosito e interessato all'argomento trattato nel romanzo. Dopo i saluti di apertura la presentazione del libro è stata affidata al professore Francesco Somaini, milanese ma docente di Storia medievale a Lecce presso l’Università del Salento che ha dialogato con l’autore. Estremamente interessante la partecipazione attiva dei rappresentati delle confessioni religiose. Ha iniziato - a nome della comunità islamica che l’aveva invitato - il professor Micael Andenna, cattolico novarese, ma conoscitore di arabo e del mondo islamico, docente alla Cattolica di Milano. Sono seguiti poi gli interventi di Francesca Cozzi, per anni pastora della nostra Chiesa evangelica e infine quello di don Roberto Sacco di PaxChristi. Una serata bella e fortemente interessante.

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partenZe. in Un videoclip il viaggio MUsicale di MassiMo donno

Sul canale Youtube del cantautore salentino il brano che dà il titolo all'album prodotto dall'organettista Riccardo Tesi

È disponibile su youtube il videoclip di "Partenze", brano che dà il titolo all'ultimo lavoro discografico del cantautore salentino Massimo Donno, prodotto dall'organettista Riccardo Tesi. Realizzato da Meditfilm, diretto da Fabrizio Lecce, il video traduce il brano in immagini come una sorta di diario di viaggio, dove il paesaggio rurale delle campagne salentine incontra le coste dell'Albania, i palazzi e le strade di Tirana, i mercati di Kruja e Durazzo. E poi il mare che unisce le due coste, dove ad ogni nuova partenza c'è sempre un nuovo approdo. Tra i luoghi individuati per le riprese, anche la sede dell'associazione Art&Lab Lu Mbroia di Corigliano d'Otranto, fonte d'ispirazione come racconta il cantautore. «È il luogo in cui il brano è nato, dove io ho vissuto effettivamente l'infanzia, la natura ed i luoghi attraverso gli occhi di mio nonno. Ci passava, e ci passa, il treno e per me è sempre stato l'unico elemento che legava, e lega, quel luogo sospeso ed isolato, alla modernità», sottolinea Donno. «Poi un giorno il treno l'ho preso davvero e con gli occhi ancora permeati da quella dimensione ho iniziato a descrivere quello che ho vissuto, e vivo, immerso in una realtà molto diversa da quei tempi e luoghi, da quel respirare lento e da quei colori». "Partenze", uscito nel 2015 per Visage Music, distribuito da Materiali Sonori, è stato inserito nella rosa delle migliori proposte discografiche d’autore del 2015, nell'ambito del Premio Tenco. È un album di canzoni che raccontano di un viaggio verso Sud. Un Sud dal quale si parte e si ritorna come porto di approdo e di partenza. A trovare narrazio-

ne è il concetto stesso di viaggio. Ed è il Sud stesso a rappresentare non solo un luogo fisico/geografico ben delimitato ma una metafora di approdo e partenza, dove il Sud è anche l’Africa, l’America latina, l’Oriente. Focus dell’album è la Migrazione, in tutti i suoi caratteri, anche i più reconditi. Le canzoni hanno uno scenario sonoro che è il Mediterraneo, con particolare riferimento ai suoni e ritmi del Sud Italia. Riccardo Tesi ha curato gli arrangiamenti e la produzione artistica dell’album, lavorando, a quattro mani con Donno, anche alla stesura di alcuni brani del disco. Collaborano importanti nomi della world music in Italia come Vincenzo Zitello all’arpa, Redi Hasa al violoncello, Alessia Tondo ai cori, Maurizio Geri alle chitarre, Gigi Biolcati alle percussioni, Stefano Saletti all’Oud e chitarra elettrica. Il cantautore e musicista Massimo Donno si divide da diversi anni tra scrittura e cantautorato, tra progetti inediti e teatro. Realizza il suo primo album solista nel 2013, edito da Ululati/Lupo Editore, dal titolo Amore e Marchette, ottenendo ottime recensioni e calcando palchi in tutta Italia. Dall’uscita dell’album ha aperto numerosi concerti, da Daniele Silvestri a Nada e Fausto Mesolella (Avion Travel), Fabio Concato. Collaborazioni di spicco anche per il teatro e musica, da Alberto Bertoli a Luciano Melchionna, da Katerina Polemi ad Alessia Tondo. Premio speciale come Personalità artistica emergente al Premio Poggio Bustone (settembre 2014). Con l’organettista Riccardo Tesi che ha prodotto e arrangiato “Partenze”, sono stati ospiti, al Premio Andrea Parodi a Cagliari.

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antonio da fabriano. la Madonna della Misericordia

sol leWitt fino al 25 novembre 2016 StUDIO GIanGaLEaZZO VIScOntI Milano, c.so Monforte 23 Orari: da lunedì a venerdì, 11.00 - 13.00; 15.00 – 19.00. Ingresso libero l’UMbria sUllo scherMo. dal cineMa MUto a don Matteo Perugia, Palazzo Baldeschi al corso fino al 15 gennaio 2017 www.fondazionecariperugiaarte.it tel. 075. 5724563 i nabis, gaUgUin e la pittUra italiana d'avangUardia Rovigo, Palazzo Roverella fino al 14 gennaio 2017 Via Giuseppe Laurenti, 8/10 tel. 0425.460093 info@palazzoroverella.com riccardo dalisi IDEE In VOLO fino al 31 dicembre 2016 MUSt, Museo storico Lecce,Ex monastero di Santa chiara Via degli ammirati, n° 11 mustlecce.it 0832.0832.241067 l’iMpressionisMo di ZandoMeneghi Padova, Palazzo Zabarella via degli Zabarella, 14 fino al 29 gennaio 2017 Informazioni: tel. 049.8753100 info@palazzozabarella.it www.zabarella.it teMpi della storia, teMpi dell’arte. cesare battisti tra vienna e roma fino al 6 novembre 2016 trento, castello del Buonconsiglio Via Bernardo clesio, 5 tel. +39 0461 492811

la divina coMMedia di ventUrino ventUri fino al 26 febbraio 2017 Firenze, Villa Bardini, costa San Giorgio 2 da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00, (ultimo ingresso alle ore 18.00). Lunedì chiuso Info e prenotazioni: +39 055 20066206 la geografia serve a fare la gUerra? Mappe e arte in mostra treviso, Fondazione Benetton Studi Ricerche,via cornarotta 7 6 novembre 2016 - 19 febbraio 2017 a cura di Massimo Rossi e con la partnership di Fabrica. Inaugurazione: sabato 5 novembre, ore 18 Orario: martedì-venerdì 15-20, sabato e domenica 10-20; ingresso intero: 7 euro, ridotto: 5 euro, 3 € per le scuole tel. 0422.5121 www.fbsr.it alberto bUrri: lo spazio di Materia – tra europa e U.s.a. città di castello (PG), Ex Seccatoi tabacco fino al 6 gennaio 2017 tel. 0758554649 e-mail: museo@fondazioneburri.org www.fondazioneburri.org xxvi biennale di scUltUra Gubbio (PG), Palazzo dei consoli (Piazza Grande) e Palazzo Ducale (via Federico da Montefeltro) fino al 15 gennaio 2017 biglietti: € 10.00 interi. Info: servizio Iat Gubbio 075 – 9220693

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ItInER_aRtE...DOVE E QUanDO...

Museo Diocesano di Milano Milano, c.so Porta ticinese 95 fino al 20 novembre 2016 Orari: martedì-domenica, 10.0018.00 chiuso lunedì (eccetto festivi)

perUgino pintUricchio e gli altri. la fondazione cassa di risparmio di perugia apre lo scrigno dei suoi tesori Perugia, Palazzo Lippi alessandri corso Vannucci 39 fino al 20 novembre 2016 Dal martedì al venerdì, 15.30-19.30 sabato, 11-22; domenica, 11-20 ingresso libero


LUOGHI DEL SaPERE

il giorno dopo. rino gaetano “vive” nel roManZo di davide carroZZa

DaVIDE caRROZZa 3 giugno 1981 Il giorno dopo Il Raggio Verde Ris-Volti 2016 pp.104 € 12,00 isbn 9788899679088

Il giorno dopo: un giorno che rappresenta per l’autore di questo libro, Davide Carrozza, la possibilità di cambiare il corso degli eventi e di dare al destino di Rino Gaetano un’altra svolta. Nel libro “3 giugno 1981- Il giorno dopo”, edito da Il Raggio Verde, Carrozza fa rivivere il cantautore, morto in un incidente d’auto il 2 giugno 1981, per altri due anni circa, fino al 27 dicembre 1983. Secondo un’idea, che ruota comunque intorno ad una verità storica, l’autore delinea un concatenarsi di eventi che hanno come sfondo un piccolo paesino del Salento, San Cassiano, e che danno al romanzo una valenza poetica e filosofica rivalutando la figura artistica di Rino Gaetano. “Forse, non essenzialmente…” Affermazione che rappresenta il fulcro su cui verte il romanzo di Carrozza che vede protagonista Rino Gaetano. L’autore, nelle sue pagine, sottolinea come i testi delle canzoni di Gaetano, considerati per anni “non sense”, sono in realtà un geniale intreccio con la filosofia riconducibile soprattutto a Schopenhauer. Carrozza affida al professor Bidetti, docente storico dell’ateneo leccese, il ruolo dello scopritore dell’artista in chiave filosofica. In realtà, ne resta letteralmente accecato dalla luce di costui, tanto da mettere in discussione le sue stesse convinzioni sulla filosofia e sulla vita. La capacità del cantante di dare un senso al nonsense con l’ironia è unica e quindi va a rivoluzionare tutti i crismi di una filosofia antica all’interno di un’istituzione vecchia e statica. Un progetto che chissà si sarebbe davvero potuto realizzare se solo quel 2 giugno 1981 fosse andato diversamente. Forse sarebbe potuto davvero accadere ciò che descrive Davide Carrozza. Chissà cosa direbbe o farebbe oggi Rino se fosse ancora vivo. Forse Gaetano è stato davvero il precursore di una nuova filosofia che esce fuori dagli schemi e diviene arte e musica tra la gente con la semplicità di un sorriso. “Ho deciso di non essere più un eroe a tempo perso ma di diventare un pastore.” fa dire a Rino Gaetano lo scrittore gallipolino nel suo bellissimo libro. Un libro impreziosito dalla copertina di Valentina Manca che rievoca con il suo segno la figura di Rino, con la sua indivisibile chitarra, il suo cilindro, la magia dei suoi testi ancora oggi riascoltati e cantati anche dalle generazioni che non lo hanno conosciuto. Anna Paola Pascali

c’era Una volta...il libro fiera antiQUaria a cesena

“C’era una volta… Antiquariato” è il grande happening mensile di Antiquariato e Brocantage ospite – da 17 anni – negli accoglienti spazi di Cesena Fiera. Librerie antiquarie ed operatori specializzati saranno presenti accanto alla tradizionale mostra-mercato in una sezione esclusiva destinata alle rarità bibliografiche, cartografie e stampe. Due gli appuntamenti di questo fine anno il 17 e 19 novembre e il 17e 18 dicembre. ceraunavoltantiquariato.it

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UoMini e cani, nelle pagine incalZanti del roManZo di oMar di Monopoli

OMaR DI MOnOPOLI Uomini e cani Isbn Edizioni ISBn 9788876380556 2007 pp. 234 € 13,00

Alcuni anni fa, la mia amica Clara Nubile, grande scrittrice e traduttrice, mi aveva parlato di Omar Di Monopoli e di “Uomini e cani”. Avevo messo in lista d’attesa il romanzo, ma poi me ne ero dimenticato. Un po’ di tempo fa, rovistando tra gli scaffali di un’edicola, l’occhio era caduto su un volumetto quasi sepolto sotto riviste, quotidiani e DVD di ogni genere. Edizione economica, una copertina particolare (schizzi di sangue su fondo bianco, e le pagine con i bordi tinti pure di rosso sangue), un nome che mi ricordava qualcosa. Già, lo scrittore di Manduria (Puglia, terra di scrittori!) che mi aveva consigliato Clara… Impossibile non rispondere all’appello di quella storia che generosamente aveva scelto me, proprio me, come suo nuovo lettore. Come se mi avesse detto: Ah, mi hai snobbato finora, ma io non ti mollo! Ora non puoi più ignorarmi… Bastò l’incipit per conquistarmi. “Una tromba nera di fumo sozzo e limaccioso saliva da un ammasso di vecchi pneumatici in fiamme. Ovunque c’erano mucchi di letame, spazzatura e carcasse di elettrodomestici. Il fetore era insopportabile. I due pitbull pezzati di Pietro Lu Sorgi comparvero in silenzio da dietro un troncone d’autocarro arrugginito e gli si disposero attorno raspando nella polvere, pronti a sferrare l’attacco. Nico sentì dietro di lui Lupone, il suo enorme pastore tedesco, sollevare maestoso il capo e prepararsi alla lotta.” Un romanzo duro, potente, dal ritmo incalzante (“un ritmo che non dà tregua” ha scritto Repubblica), un’atmosfera, ricca di suspense, a metà tra la tragedia e il western (Omar viene considerato l’inventore di un nuovo genere, il “western pugliese”), molto cinematografica, un linguaggio originale e crudo, ma anche scorrevole e fortemente evocativo, magistrale impasto di italiano e dialetto, una Puglia assai diversa da quella delle cartoline, un’affascinante storia, ambientata in un paesino fittizio del tarantino, ricca di tante altre affascinanti storie, personaggi straordinari (il giovane sindaco Enrico, la bella Milena costretta a lasciare il paese, il boss Don Titta maneggione speculatore edilizio e corruttore, Nico che ha perso tutto ma non se stesso, l’eremita folle Pietro Lu Sorgi dietro i cui atti spietati si nasconde forse soltanto un disperato bisogno d’amore, i crudeli Minghella che addestrano cani da combattimento ed altri ancora). Sono stati scomodati veri e propri geni della narrativa e del cinema (Faulkner, Tarantino, Leone) per descrivere lo stile di Omar Di Monopoli e questi accostamenti non mi sembrano per niente irriverenti. Tanto vero che da “Uomini e cani” sarà tratto un film con la regia di Fabrizio Cattani e Sergio Rubini nel ruolo di protagonista (ma io direi di uno dei protagonisti, perché si tratta di un romanzo corale). A “Uomini e cani” (del 2007) sono seguiti, a comporre una vera e pro-

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pria trilogia, “Ferro e fuoco” del 2008 (storia, anche questa corale, GGGGG

LUOGHI DEL SaPERE

ambientata nel foggiano, tra gli immigrati, nuovi schiavi della raccolta nei campi) e “La legge di Fonzi” del 2010 (ambientato nel brindisino, terra di dominio della Sacra Corona Unita), tutti pubblicati da Isbn Edizioni. Per respingere l’eventuale accusa (che devo riconoscere non sarebbe del tutto infondata) di riservare sempre lodi iperboliche ai libri di cui scrivo in questo spazio, dirò che il secondo e il terzo romanzo sono “soltanto” belli, ma “Uomini e cani” è un piccolo capolavoro, la cui lettura ho già “imposto” a diversi amici (fortunatamente meritando la loro gratitudine) e consiglio a chi leggerà queste righe. Ma, letto “Uomini e cani”, sono certo che nessuno resisterà alla sana tentazione di leggere anche gli altri due (e non ne resterà per niente deluso). Michele Bombacigno

IREnE E FRIDa, DUE DOnnE tRa LE PaGInE DEL ROManZO DI SIMOna cLEOPaZZO

SIMOna cLEOPaZZO Irene e Frida Musicaos narrativa 10 pp.136 € 13,00 Isbn 978-88-99315-498

Irene e Frida, due “donne parallele” raccontate da Simona Cleopazzo nel nuovo libro edito da Musicaos. Una scrittura di precisione che mescola dubbi e moti dell’animo, dove l’esattezza geometrica delle passioni e il disincanto svelano il cambiamento. L’esistenza di Irene è nel suo diario, scandita dalle incombenze quotidiane, il lavoro in banca, la vicinanza al marito, imprenditore a capo dell’azienda di famiglia, l’amore per il figlio Nicola. Quando Paolo sarà coinvolto in uno scandalo di corruzione, tra i due si aprirà un precipizio. “E questa storia delle mazzette da dove salta fuori? E l’amore dove si è nascosto?”, nel suo diario la donna acquisisce la consapevolezza di una vita al margine, una costruzione fatta di menzogne che vengono alla luce. La reazione non si fa attendere, e se lo scandalo non turberà la routine sociale di Paolo, l’uomo non potrà nulla di fronte a una rivoluzione silenziosa e profonda, quella di Irene. Frida Mite è una studentessa, trentenne, che attraversa la vita ‘scoprendola’ ogni giorno; inviata di un quotidiano locale, conoscerà Lorenzo, avvocato di un ragazzo che è stato arrestato e del quale dovrà raccontare la storia. Annota su un diario ciò che le accade, la vita con le amiche e coinquiline, gli incontri casuali, le emozioni rubate... “Solo un lieve bacio. Un libro infilato nella mia borsa, clandestino”. Simona Cleopazzo, nata nel 1972, madre di tre figlie, vive a Lecce. Dagli anni Novanta lavora nel terzo settore, a Bologna e Lecce. Nel 2003 ha dato vita alla L.I.L.A./Lecce. Scrive e cura progetti culturali. Con Ammirato Culture House è referente per le attività di promozione della lettura, attiva nel gruppo “Orti di guerra”, volontaria della “piccola biblioteca”. Cura il festival cinematografico “Alice e le altre” e un laboratorio di scrittura sui “diari”. Nel 2012 ha pubblicato il suo primo romanzo “Tre noci moscate nella dote della sposa” (Lupo Editore).

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HaI MaI cORSO tRa LE nUVOLE? GGGG I VERSI DI LOREnZO cIOcE “Sussurrerai ‘apriti cielo' e spalancando l’immaginazione ti chiederai il perché del rarefatto respiro. Hai mai corso tra le nuvole?”

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HaI MaI cORSO tRa LE nUVOLE? di Lorenzo cioce Minerva editore collana: Ginkgo Biloba ISBn 9788873818724 pgg. 80 € 10,00

Hai mai corso tra le nuvole?": i versi Lorenzo Cioce per chi vive con i piedi per terra e la testa tra le nuvole. Lorenzo Cioce è un giovane autore emergente, romano di sangue pugliese, che a 18 anni, traducendo in italiano un classico greco, ha scoperto la bellezza che si cela dietro i versi poetici. Un incontro sui generis, dunque, ma leggendo "Hai mai corso tra le nuvole", la sua raccolta poetica edita da Minerva, che verrà presentata giovedì 24 novembre p.v., alle ore 19:00, presso: il b&b Chiesa Greca di Lecce, in Piazzetta Chiesa Greca, 11, si capisce immediatamente che non poteva essere altrimenti, perché Lorenzo è a tutti gli effetti una mosca bianca in un ambiente spesso reo di badare poco alla sostanza e troppo all'apparenza. La cultura umanistica, colorata dalle sfumature del linguaggio informale dei giovani e da una spiccata propensione alla comunicazione ereditata dai genitori, entrambi giornalisti, fanno dei versi liberi di Lorenzo Cioce unGGGGGG inno alla contemporaneità dell'arte poetica che si veste di dolcezza e sottile ironia in un libro da leggere, assaporare e amare incondizionatagggggggg mente. Cultura e spensieratezza, sensibilità e uno sguardo dritto al futuro sono l'arma vincente di Lorenzo che racconta se stesso la sua generazione attraverso cinquanta componimenti realizzati nell'arco di quattro anni durante i quali ritmo e contenuti si sono compenetrati in un percorso che ha portato a realizzare un'opera che arriva dritta al punto, senza giri di parole, abbandonando l'arroganza del linguaggio forbito per fare dei quotidiani accadimenti terreno fertile da cui estrapolare riflessioni, insegnamenti, sorrisi...poesie. Lorenzo ha 25 anni, una laurea in Storia Medievale, Moderna e Contemporanea conseguita alla Sapienza di Roma, fa volontariato presso l'associazione Progetto Insieme Onlus, legge Leopardi, Saba e Shakespeare, il suo cantautore preferito è Max Gazzè, ha una serie di sogni e molti progetti che sono la sua ancora di salvezza quando tutto sembra andare storto, perché come tutti i sognatori, cammina con i piedi ben piantati a terra, e la testa tra le nuvole. L'incontro di giovedì 24 novembre sarà introdotto da Marcello Apollonio, mentre Claudio Casalini modererà il dibattito guidando i presenti nell'esplorazione dei versi e dei pensieri dell'autore. Claudia Forcignanò

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Le foto dei preziosi manoscritti sono di Fabiana Lubelli

il Manoscritto vitae patrUM viaggio nella biblioteca “de leo” Fabiana Lubelli

LIBRI SVELatI

Una nuova rubrica che indaga nei luoghi del sapere: le biblioteche e i loro insestimabili tesori

Un vecchio detto recita che spesso non ci si accorge del valore delle cose quanto più sono vicine alla nostra realtà. Questa massima è applicabile alle persone che incrociamo quotidianamente, agli oggetti che siamo abituati a possedere e, in qualche misura, anche alle biblioteche. La biblioteca pubblica arcivescovile “Annibale De Leo” di Brindisi è un grande tesoro e una grande risorsa del territorio, che ancora aspetta di essere esplorato in tutta la sua ricchezza dall’utenza locale. I suoi libri, seimila volumi raccolti dall’arcivescovo Annibale de Leo nel 1798, attraversano i secoli narrando di storia, scienza, letteratura,

diritto, senza limitarsi al Mezzogiorno di Italia, e il loro valore è riconosciuto a livello internazionale. Nell’appuntamento mensile di questa rubrica si cercherà di sollevare, grazie alla collaborazione della direttrice della biblioteca, la dottoressa Katiuscia di Rocco, il sottile velo che ricopre i libri per svelarli, in qualche loro tratto peculiare, agli occhi dei più. I testi saranno scelti in base a qualche loro caratteristica, analizzando un tema diverso ogni volta, legato dal filo rosso dell’esplorazione di una magnifica biblioteca che prima di essere arcivescovile, è pubblica. Il primo testo preso in

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esame per iniziare questo percorso esplorativo risale alla seconda metà del 1300 ed è il Vitae Patrum. Si tratta di un codice pergamenaceo acefalo, che manca, cioè, della prima

pagina in cui sarebbero state inserite le informazioni su autore e titolo. Mentre il nome dell’autore è andato perso per sempre, il titolo dell’opera si conserva grazie al dorso, che è stato rivestito nel ‘700, trovando conferma, ovviamente, nei contenuti delle pagine che descrivono, a modo di exempla, la vita di santi uomini e sante donne degli albori della Chiesa. Nel manoscritto sono contenuti 256 fogli con numerazione romana, seguiti da un numero simile di pagine senza numerazione. La scrittura utilizzata è quella del gotico italiano, eseguita da mani diverse nel corso del tempo, anche se è impossibile verificare la differenza fra i vari amanuensi per via dei criteri uniformanti di scrittura delle scuole. Ciò che rende davvero prezioso questo manoscritto sono le 54 miniature che arricchiscono le

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sue pagine, spuntando, con i loro colori vivaci e ricchi, tra le lettere perfettamente vergate. Come accadeva di solito, le bellissime miniature sono state inserite dopo la scrittura, e ne è prova il fatto che il miniaturista abbia saltato, per necessità varie, alcuni spazi che erano stati riservati alla sua opera di riempimento e che ora risultano bianchi sul foglio. I colori venivano preparati con materiali preziosi, come smeraldi in polvere per il verde o zaffiri per il blu, mischiati a colla di pesce che, però, li ha resi appetibili al palato dei vermi. Spesso lo sfondo alle icone dei santi è realizzato con lamine d’oro, sottili e preziose. La pagina più riccamente decorata del manoscritto è la prima: oltre a presentare una miniatura di San Girolamo dallo sfondo dorato, sui bordi si rincorrono


libri svelati

meravigliosi motivi floreali, il cui intreccio viene teso all’estremità da due putti in alto sulla pagina. In basso, spiccano due galli dal forte valore simbolico: essi, infatti, sono colti nell’atto di beccare il mangime, mandando quindi un avvertimento al lettore che deve nutrirsi dell’esempio dato dalle biografie dei santi presenti nell’opera come la coppia di animali si nutre dei chicchi sparsi per terra. Conclude la rappresentazione della pagina un autoritratto del miniaturista posto al centro in basso, che, però, nonostante varie teorie proposte da diversi studiosi, non è stato identificato. Per quanto riguarda le bellissime miniature interne, invece, 47 rappresentano santi uomini della prima Chiesa, mentre solo 7 sono dedicati a sante donne, la cui strada per la santità era più difficile e lunga. Tutte le sante rappresentate in Vitae Patrum hanno la caratteristica di avere un velo in testa; solo una non rispetta questa regola: la bellissima rappresentazione di Santa Maria Egiziaca, i cui capelli dorati e fluenti spiccano sulla pagina. La santa, infatti, non proveniva da una vita casta e verginale, ma la sua forza in termini cristiani risiede nella conversione, nel cambiamento radicale di stile di vita, dopo l’incontro con Cristo. I capelli sciolti simboleggiano, allora, il passaggio dalla vita di peccato e prostituzione, che non può essere cancellata e deve servire come monito, alla vita casta e consacrata in Cristo. Il manoscritto in analisi, oltre a meravigliare il lettore a distanza di secoli con la sua cura dei particolari, rivela molto anche del rapporto che il Medioevo aveva con il testo. In origine, infatti, Vitae Patrum era stato scritto su fogli più ampi di come li vediamo oggi, che sono stati successivamente tagliati, probabilmente per permettere di accomodare il libro nella biblioteca dell’arcivescovo, alterando in questo modo la simmetria della pagina. Se si considera il pezzo mancante, infatti, ci si può rendere facilmente conto di come le miniature e il testo fossero perfettamente centrati nella pagina, lasciando uno spazio di uguale spessore nel margine superiore e inferiore. Un altro elemento che ci conferma la cura per l’ordi-

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ne e l’organizzazione del testo è intuibile dalla presenza di linee di costruzione che servivano a incolonnare il testo in modo preciso e a dividerlo in righe ordinate di uguale ampiezza, prima di iniziare a vergare i caratteri della storia. Tra le pagine del Vitae Patrum,

si nascondono anche alcune tracce dei lettori del passato giunte fino a noi attraverso i secoli; sono segni che stavano a indicare le righe più significative del discorso, le cosiddette manicula, disegni di mani ai lati della pagina che puntano il loro dito indice sul messaggio

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che si vuole sottolineare al lettore successivo, in un discorso ininterrotto che rimbalza nei secoli, dai lettori del passato, a quelli che sfogliano le pagine oggi, a quelli che ammireranno il Vitae Patrum in futuro, tra le mura della “Biblioteca De Leo”.


Nelle foto: il poeta Gabriele D’Annunzio

Gabriele D’annunzio. il fuoco che consumò la Duse Giusy Gatti

Una storia d’amore bella e travagliata tra il Vate e l’attrice

amori letterari

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n’epoca bella, travagliata e vivace quella fin de siécle dell’800. E Roma, è il suo centro nevralgico, il luogo in cui tutto nasce e tutto si consuma. Uno scenario alla Sorrentino, un’atmosfera decadente dove la vita culturale e mondana s’intrecciano tra i marmi dei palazzi, i broccati dei salotti e le vie eleganti della Capitale. Gabriele d’Annunzio era arrivato nel 1881 dall’Abruzzo per frequentare la facoltà di lettere e filosofia, ma subito si immerge con tale entusiasmo negli ambienti letterari e giornalistici romani, da trascurare gli studi universitari. Collabora con prestigiose testate: «Capitan Fracassa», «Fanfulla della Domenica». Tiene delle rubriche fisse, protagonista e paparazzo a un tempo della “dolce vita” capitolina: le donne leggono avidamente i suoi articoli.

Descrive le loro toilette, anzi, molte esponenti della Roma-bene, si vestono proprio con l’intento di suscitare l’interesse del giovane dandy, affinchè lui le “recensisca” nelle sue cronache. Proprio nelle vesti di cronista mondano della «Tribuna», nel 1882 incontra per la prima volta Eleonora Duse. Lui ha già tre opere pubblicate all’attivo, è giovane e noto, ma non è certo quel che si dice un bell’uomo. Più basso di lei, sembrava non avesse i numeri per sollecitare l’interesse della Divina. «È piccolo - scrive Gide - da lontano la sua figura parrebbe ordinaria o già nota: non c'è nulla in lui che ostenti letteratura o genio. Porta una barbetta a punta di un biondo pallido e

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parla con voce nitida un po' gelida, ma morbida e quasi leziosa. Ha uno sguardo freddo, forse un po' crudele ma probabilmente è l'apparenza della sua delicata sensualità a farmelo apparire tale». Lei «è molto più che bella. D’un pallore opaco e un po’ olivastro, la fronte solida sotto le ciocche nere, le sopracciglie serpentine, i begli occhi dallo sguardo clemente, una bocca grande, pesante nel riposo ma incredibilmente mobile e plastica[…]. La voce è chiara e fine» la descrive il critico Jules Lemaitre.


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Ma già a quell’epoca, il fascino del futuro Vate si è reso evidente, anche attraverso indiscutibili doti affabulatorie. La prima volta che la vede, le fa delle avances esplicite. Lei è sdegnata, ma segretamente compiaggg ciuta tanto che così lo descrive in quel giorno: «Già famoso e molto attraente, con i capelli biondi e qualcosa di ardente nella sua persona». Roma, Teatro Valle, 1888. Un’affranta Eleonora, nei panni di Margherita Gautier appena morta di tisi sul palcoscenico ne “La signora delle camelie”, si avvia verso il suo camerino. Dalla penombra del corridoio sente una voce che, con entusiasmo, l’apostrofa: «O grande amatrice!» Il giovane, esile ed elegante, è Gabriele D’Annunzio. Nel giugno 1892 D'Annunzio le fa pervenire un esemplare delle sue «Elegie romane» con dedica “Alla divina Eleonora Duse”. Lei aveva letto «L’innocente» e ne era rimasta colpita, anche perché nella storia dei tradimenti di Giuliana e Tullio Hermil, protagonisti del romanzo, rivede in parte la propria vicenda coniugale. Si è separata dal marito Tebaldo Checchi (suo collega di lavoro nella Compagnia Città di Torino e padre della figlia Enrichetta) ed ha sofferto per il distacco dall’amante Arrigo Boito (personalità di primo piano della Scapigliatura milanese

e stimato librettista di Giuseppe Verdi). Così nasce in lei il desiderio d’incontrare il poeta. E’ pronta ad abbandonarsi «alla presa di quegli occhi chiari, si sorprende a dimenticare tutta la sua amara sapienza della vita e a godere della lusinga che essi esprimono». Ma la loro relazione, secondo i biografi, avrà inizio solo il 26 settembre del 1895 e, tra alti e bassi, strazianti addii e impetuose riconciliazioni si pro-

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trarrà per più di otto anni. Dopo aver letto «Il trionfo della morte», l’attrazione della Duse per D’Annunzio diventa morbosa. Prova per lui attrazione e repulsione a un tempo. Lo definisce il “Poeta infernale”. «Preferirei morire in un cantone piuttosto che amare un’anima tale. D’annunzio lo detesto, ma lo adoro» confida proprio all’ex amante Arrigo Boito. Le potenzialità del poeta in


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ambito teatrale sono tutte da scoprire. Lei è stanca di interpretare il repertorio tradizionale che pure l’ha resa celebre. È insofferente nei confronti della vita girovaga che l’ha portata nei più grandi teatri del mondo e non vuole più stare sola. S’incontrano all’Hotel Danieli di Venezia, ed Eleonora sperimenta subito in D’Annunzio lo straordinario incantatore che tutti conosciamo. Lui la investe dolcemente di parole che la affascinano. Si separano, per incontrarsi qualche mese dopo all’Hotel De Russie a Firenze. La passione esplode fragorosa. Ma la mattina seguente lui riparte per Pescara, lei per l’ennesima tournée. Si scambiano lettere appassionate. Quelle di lui non esistono più, bruciate, pare, dagli eredi della diva dopo la morte di lei. Invece, quelle di Eleonora, “Testimone Velata” nell’Officina del Vate, sono ancora conservate negli archivi del Vittoriale. Sono lettere infantili, spesso sgrammaticate, forse vergate nella foga di momenti di passione, a cui l’inchiostro e il pennino non riescono a tenere dietro. La tisi che mina la salute della diva si fa sempre più visibile e fastidiosa. Si notano le interruzioni del segno, dovute forse ai colpi di tosse improvvisi e sempre più frequenti, all’inevitabile insonnia. «Je vous ecrit à Pescara trop souffrant de votre silence, j' ai telegraphiè la bas, je suis triste à mourir, ma vie est trop dur et vous ete loin, je vous parle moi continuellment». Andranno a vivere insieme nella zona di Settignano, vicino Firenze: lui affitterà la villa “La Capponcina” trasformandola nella degna cornice decadente del “signore rinascimentale, fra cani, cavalli e belli arredi”. Il gioco delle parti, come in teatro, ha scomposto i pezzi. Lei è diventata l’amante fedele che vive aspettando fremente un cenno dal suo uomo; lui ricambia il sentimento d’amore, ma asseconda i capricci del momento. Non si sa mai dove va, chi frequenta, quando tornerà. «Dove vai?»– gli chiede Ghisola (come lui soleva chiamarla) quando lo vedeva, vestito di tutto punto, montare a cavallo. «Sempre alla ventura», risponde lui.

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«Ma da che parte?», «Non dimandare», risponde enigmatico. «Per la via vecchia fiesolana», scriverà D’Annunzio nel «Libro Segreto»: «Scendevo al cancello di una villa chiusa in bossoli esatti dove m'attendevano le due sorelle suonatrici di virginale e di liuto, esperte in giochi perversi... Rientravo dopo tre ore, impaziente. Dal viale chiamavo l'unica mia compagna, gridavo l'amore col più tenero dei nomi: Ghisola, Ghisolabella! Gettando la briglia balzavo su la ghiaia. Ghisola! ero folle di lei, oblioso, incolpevole. L'infedeltà fugace dava all' amore una novità inebriante: la sovrana certezza. "Ghisola, Ghisola, ti amo, ti amo, e per sempre te sola"» Eleonora è soggiogata dal fascino di quell’uomo

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traditore. È felice dei suoi abbracci, dell’impeto d’amore che li sconvolge, ma è tormentata dal dubbio che si fa certezza. Annusa addosso a lui profumi estranei e sospetti, si chiede se lui la trova ancora attraente, con quei cinque anni in più ggg che lei percepisce come un abisso tra loro. Finisce quasi per giustificare l’ansia che porta il poeta verso altre distrazioni e non gliele rinfaccia, né lo rimprovera. Lui si è spesso pronunciato nei confronti della fedeltà in amore: «Non v'è menzogna sillabica più confusa e più diffusa di questa: la fedeltà. Ha il suono scenico delle false catene Non v'è coppia fedele per amore. Io sono infedele per amore, anzi per arte d'amore quando amo a morte».

«Perdonami anche questo – gli scrive Eleonora - cioè di sentire solamente la mia gioia quando ti sono vicina, poichè gioia io a te non so darne. Io sono la tua poveretta». Lo gratifica, denigrando se stessa e il suo talento d’attrice: «ma il genio quale sei tu... Ahimè so bene che l'artista che esegue l’opera d’arte non è l'opera d'arte». Lei lo mantiene economicamente, ma sta bene attenta a non farglielo pesare: piuttosto umilia se stessa, pur di non far sentire umiliato lui. Lui la ama, a modo suo. La vuole sempre lì, fedele e disponibile: «Voglio possederti come la morte possiede - scrive nel «Libro Segreto» voglio raccoglierti come un fascio spicanardo legato con un vimine (…) E poi voglio disperderti, soffiare sopra te e disperderti come il tarassaco si disperde al vento, disperderti alla rosa dei venti, discioglierti nel Gran Tutto Pan». Negli anni della relazione con la Duse, D’Annunzio è prodigiosamente prolifico. Compone «La città morta», il «Sogno d'un mattino di primavera» e il «Sogno d'un tramonto d' autunno», «La gioconda», «La Gloria», più tre Libri delle «Laudi», poi «Il fuoco», «Francesca da Rimini», «La figlia di Iorio», con l'aggiunta del rifacimento di «Canto Novo», dei «Sonnets Cisalpins» e della revisione dei racconti giovanili in vista delle «Novelle della Pescara». Eleonora viene invitata a Parigi e accolta come una regina, eppure non è felice, «Io non saprò mai dirti quanto questo esilio m' è parso crudele. Quanta forza per vivere contro la propria forza!» Solo gli applausi del pubblico la consolano dei lunghi silenzi dell'amato «Tutta una settimana son rimasta come fossi sott'acqua». Poi arriva una lettera di Gabriele e la gioia le esplode nel petto «Ti ringrazio, ti ringrazio, mi son buttata sulle tue parole. Sto di nuovo meglio. Sei buono, grazie. Purchè nulla ti turbi, purchè tu ritrovi la gioia di lavorare». Tutta immersa nella cecità della sua gratitudine e del suo amore, Eleonora è del tutto all’oscuro

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L’attrice Eleonora Duse (Vigevano, 3 ottobre 1858 – Pittsburgh, 21 aprile 1924)

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Eleonora Duse (1896) ritratta dal fotografo Aimé Dupont

del fatto che il poeta non la tradisce solo sul piano sentimentale, ma anche su quello artistico. Assegna infatti i suoi testi teatrali ad altre attrici dopo averli promessi a lei che, come sempre, si era adoperata per trovare i finanziamenti, il teatro, gli attori. Affiderà la parte della protagonista del dramma «La città morta», scritta proprio per la Duse, che doveva debuttare a Roma, all’attrice francese Sarah Bernhardt, spostando il debutto a Parigi. Quando Eleonora lo apprende, si fa forza per nascondere il dolore e la ferita narcisistica. Ancora una volta perdona Gabriele. Conosce le sue fragilità di uomo che vuole sentirsi vincente a tutti i costi e non gli si oppone, continuando ad amarlo incondizionatamente. D’Annunzio comincia a mostrare segni d’insofferenza. Questo sentimento invadente lo opprime e lo annoia. Vivono ancora insieme quando lui scrive «Il fuoco»: nel romanzo la Duse è dipinta nel personaggio de La Foscari-

na, una bella donna non più giovane che ama il protagonista, Stelio Effrena, fino all'annullamento di sé. Lui non si fa scrupoli nel descrivere con crudeltà «lo sfacelo fisico» della sua compagna. Eleonora è malata e, in più, si vede portar via la parte di Mila di Codra ne «La figlia di Iorio», scritta da D’Annunzio “per lei e accanto a lei”, dalla giovane Irma Gramatica. Griderà in una lettera «Tu m' hai accoppata - e con che arte - la tua!» è la fine. Tuttavia D’Annunzio non rimarrà solo. Eleonora sarà sostituita non solo sulla scena, ma anche nella vita, definitivamente questa volta. Il poeta si innamorerà della marchesa Alessandra di Rudinì, figlia dell’ex presidente del Consiglio, ventiseienne, bellissima, vedova con due figli. Gabriele la chiamerà Nike. Ma Alessandra, la vittoriosa, avrà su di lui una pessima influenza: verrà infatti sopraffatto dai debiti, rallenterà di molto il ritmo della sua produzione artistica per accontentare una moglie capricciosa, possessiva e noiosa. “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”, lascia scritto Eleonora. All’età di 66 anni, il lunedì di Pasqua del 1924 la Divina muore di tubercolosi. Sola. Ormai anziano, alla notizia della morte di Eleonora, pare che il Vate abbia mormorato «È morta quella che non meritai» Bibliografia Denis Mack Smith, L'Italia del XX secolo, Vol. I (1899-1908) Tomo I, Rizzoli, 1977 Anna Maria Andreoli Il vivere inimitabile, Mondadori, 2001 Giordano Bruno Guerri, D'Annunzio, L'Amante guerriero, Mondadori, 2008

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“alice e le altre”il cineforUM dell’aMMirato cUltUre hoUse

Una rassegna di cinema al femminile

LECCE. Continua all'Ammirato Culture House, la rassegna di cinema "al femminile" Alice e le Altre. Il cinema delle donne curata da Simona Cleopazzo e promossa dal centro culturale leccese e dalla Fondazione canadese Musagetes. Il cineforum, partito lo scorso maggio, proseguirà fino a dicembre con una fitta programmazione di film per conoscere “da vicino” i racconti, i sogni, le visioni di registe italiane e straniere. Ed ecco le date di novembre. Il 6 sarà la volta della proiezione di Mignon è partita di Francesca Archibugi, una commedia che ruota intorno alle vicende di Mignon, quindicenne francese snob e altezzosa che giunge a Roma ospite di un ramo 'popolano' della sua famiglia in un ambiente distante dal suo, nel quale non le sarà immediatamente semplice trovarsi a suo agio. L'unico con cui Mignon ha un'intesa particolare è Giorgio, tredicenne amante della letteratura e dell'arte che finirà per innamorarsi, non corrisposto, di lei. Il pluripremiato Lost in traslation di Sofia Coppola sarà invece proiettato il 20 novembre, la trama ruota intorno al particolare rapporto tra l'attore in declino Bob Harris e la neolaureata Charlotte, nato in un grande hotel di Tokyo. Una pellicola minimale di grande eleganza che ci racconta la cauta intimità che viene mano a mano crescendo tra i due protagonisti, il sollievo del riconoscersi e del lasciarsi andare a come si è, invece di essere sempre costretti a "tradurre" la propria individualità per il mondo che ci circonda. Il 4 dicembre è la volta di The hurt locker (4 dicembre), della regista statunitense Kathryn Bigelow e scritto dal giornalista Mark Boal, film vincitore di sei Premi Oscar nel 2010 tra cui quello per il miglior film, il primo che regala ad una donna la prestigiosa statuetta per la regia. Il titolo si rifà a una locuzione presente nel gergo militare

americano usata per descrivere un luogo particolarmente rischioso in cui i risvolti sono imprevedibili e racconta il lavoro di un gruppo di artificieri e sminatori dell'esercito statunitense in missione in Iraq, le continue missioni ad alto pericolo a cui sono costretti a sottoporsi, segnano indelebilmente le loro vite. La rasegna si chiuderà il 18 dicembre con il film di Cristina Comencini Quando la notte, tratto dall'ominimo libro della regista, presentato in concorso alla 68ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, racconta il dramma di una donna di fronte alla propria incapacità di essere la brava madre che dovrebbe, che vorrebbe, essere; una sensazione che si affanna a nascondere alla famiglia e persino a se stessa. Ammirato Culture House Via di Pettorano 3, Lecce www.ammiratoculturehouse.org FB: Ammirato Culture House

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Chiostro della Chiesa di San Benedetto, foto di Sara Foti Sciavaliere

dUe passi nella brindisi norManna decifrando Messaggi di pietra Sara Foti Sciavaliere

Alla scoperta dei tesori nascosti del maniero aragonese

BRINDISI. Brindisi è spesso ignorata nei percorsi turistici di chi giunge per la prima volta nel sud della Puglia, sebbene si tratti di una città ricca di storia e di un interessante patrimonio artistico. Una città dal notevole potenziale purtroppo non debitamente messo a frutto, lo si nota soprattutto se si gira nel centro storico, in più tratti trascurato e desolante. Non si può negare tuttavia che ci siano importanti espressioni d’arte e resti di un passato glorioso che ancora oggi potrebbero restituire a Brindisi la gloria di un tempo. L’antica Brundisium, come era conosciuta ai tempi dei Romani, crebbe in parallelo allo sviluppo della Via Appia, la Regina Viarum, che dalla capitale dell’Impero passando per Benevento giungeva fino al porto di Brindisi, dove commerciante, viaggiatore e

soldati si imbarcavano verso la Grecia e l’Asia Minore. La città visse prima dei successi dei Romani, ma caduto l’Impero conobbe un periodo di declino, a causa dei vari dominatori che ne frantumarono l’identità e a causa dei ripetuti saccheggi da parte dei Saraceni. Brindisi andò incontro alla sua rinascita solo dopo la conquista normanna. E su questo periodo mi vorrei soffermare, quando dal porto della città salpavano le navi dei crociati e i pellegrini per la Terra Santa, oltre alla folla di mercanti e avventurieri diretti in Oriente. Brindisi andò ornandosi di monumenti, molti dei quali visibili ancora oggi , malgrado i rimaneggiamenti e le offese del tempo, tra questi una particolare attenzione meritano la Chiesa di San Benedetto e il Tempio di San Giovanni al Sepolcro. La prima va fatta risalire

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agli ultimi decenni dell’XI secolo, seppure nei secoli successivi la chiesa fu inglobata in altre costruzioni: nel Cinquecento fu costruito, sulla linea di gronda, un muro che nasconde il tetto a due spioventi. Lungo il lato meridionale e nella parte absidale, in carparo, è possibile

ammirare una serie di arcate cieche che poggiano su pilastri; l’archivolto è a inserti bicolori e al centro di ciascuna arcata si aprono delle piccole monofore che riprendono nella ghiera il motivo della bicromia. Significativo è il portale nella terza arcata, incorniciato da una

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fascia intagliata a intrecci viminei con architrave tripartito su cui sono scolpite tre scene di caccia: uomini vestiti con tuniche e larghi pantaloni, forse di foggia longobarda, trafiggono leoni e un drago alato. Sul lato est, s’innalza il campanile, di forma quadrata e datazione


Storie. L’uomo e il territorio

Esterno e interno del Tempio di San Giovanni al Sepolcro e paricolari, foto di Sara Foti Sciavaliere

incerta, la cui cella campanaria è aperta sui quattro lati mediante trifore con colonnine cilindriche e capitelli a stampella che si abbinano artisticamente a quelli presenti nel chiostro. Quest’ultimo è addossato al fianco settentrionale della chiesa ed è cinto da un ambulacro a quadrifore con colonnine di marmo greco sfaccettate. Alcuni dei capitelli a stampella presentano motivi zoomorfi (leoni alati, arieti, buoi), altri invece sono palmiformi. Il complesso di San Benedetto, malgrado i rimaneggiamenti successivi, rimane un esempio di romanico, e soprattutto espressio-

ne della fusione culturale di cui il regno normanno è stato portavoce. Non molto distante, percorrendo alcuni vicoli del centro storico, in direzione della Cattedrale (anch’essa in origine di costruzione romanica), si incontra, nascosto tra le abitazioni moderne, il Tempio di San Giovanni al Sepolcro. Antiche fonti riferiscono che il normanno Boemondo ordinò l’edificazione della chiesa prima di partire da Brindisi con i suoi Crociati e che essa fu “rotonda, simile a quella di Santa Maria Maggiore di Lucera e di S.Lucia a Perugia, sostenuta da otto colonne, alcune di marmo

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cipollino, altre di granito, le quali avevano dovuto servire a più antico tempo. Questo santuario aveva tre altari con tre absidi, e riceveva la luce dall’alto della cupola”. Le decorazioni sugli stipiti del portale trasmettono presumibilmente un messaggio di purificazione e salvezza per coloro che avrebbero preso parte alle crociate. Osservando le rappresentazioni, in bellissimo stile romanico pugliese, si può notare che il motivo principale è quello dell’Eucaristia simbolo della Resurrezione di Cristo, rappresentato da intrecci di tralci di vite e grappoli d’uva, che rimandano al processo di purificazione di cui si parlava. La vite, per il Cristianesimo, è simbolo dell’unione di Cristo con gli uomini, ma è anche, come l’albero della vita

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nei coevi mosaici pavimentali delle cattedrali di Brindisi e Otranto, la “cerniera” che lega il mondo biblico a quello pagano, è raffigurazione del dramma umano dato dalla lotta fra il bene e il male. Fra i tralci si distinguono varie figure: alcune classiche di origine pagana, altre fantastiche tratte dal bestiario medievale ispirato dal Physiologus. Si riconoscono centauri, nereidi, animali bizzarri, mostri marini, pavoni, scimmie, serpenti, aquile, cavalieri ed elefanti, che simboleggiano vizi e virtù degli uomini, la redenzione, la liberazione dal peccato, la purificazione, il trionfo del bene sul male. È affascinante scoprire che quei messaggi scolpiti nella pietra, che parlavano ai viandanti di ieri, possano ancora meravigliare il


Al centro la foto vincitrice di Mario Silvestro, Torre Colimena.

il photocontest: salento in love i Mari e le torri Sara Foti Sciavaliere

Si è concluso con una rosa di cinque vincitori il PhotoContest “Salento in Love – I mari e le torri”, promosso dall’Associazione Morfè insieme al blog AgorArt. L’iniziativa, nata per promuovere la conoscenza del Salento, ha avuto in questa prima edizione come tema il mare e le torri. Si è voluto perciò porre l’accento su due elementi caratterizzanti del paesaggio salentino:coste variegate con insenature e anfratti ricchi di suggestione, mare cristallino dalle sfumature che vanno dal turchese al blu cobalto e le torri che si ergono austere e solitarie lungo i 250 chilometri di litorale del Salento, antiche testimonianze degli assalti di corsari e invasori saraceni e turchi. In tanti, fotografi amatoriali e professionisti, hanno aderito al Contest e le numerose foto sono state valutate, in primo luogo, da una giuria e infine sono state sottoposte al giudizio pubblico mediante un sondaggio online. Tra le foto rimaste in gara nell’ultima fase di selezione, ed ecco i vincitori. Sul podio “Torre Colimena”di Mario Silvestro Al secondo posto “Giochi di riflessi” di Gabriele Calò mentre al terzo “L’incombenza dei tempi andati” di Federico Artusi. Quarto posto per “Roca historical town” di Galbiebasta e quinto per “ La baia del pescatore” di ES Photographer Scoprite anche voi questi angoli affascinanti del Salento.

Conclusa la prima edizione promossa da Morfè e AgorArt

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In senso orario da sinistra le foto di: Gabriele Calò, Federico Artusi, Galbieebasta, Es photographer

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torno da Me. il roManZo di arcUti in antepriMa naZionale ad aradeo

“ Un titolo emblematico, “Torno da me”, per il libro d’esordio di Maria Neve Arcuti, edito da Il Raggio Verde, che sarà presentato in anteprima nazionale ad Aradeo, città natale dell’autrice, ospite della rassegna “Storie d’artista a Palazzo Grassi” promossa dai Cantieri teatrali Koreja a Palazzo Grassi, sabato 26 novembre, 20:45. Alla presenza dell’autrice interverranno Luciana Manco che firma la prefazione al testo e gli allievi del Laboratorio Koreja diretto da Il libro, impreziosito dalla copertina dell’artista Enzo De Giorgi, L’universo femminile e le molteplici situazioni in cui la donna nei suoi percorsi di vita, talvolta difficili, è coinvolta per motivi sentimentali, ideologici e di lavoro, sono il filo conduttore di sette racconti che vedono come protagoniste donne diverse per provenienza, estrazione sociale e sensibilità. Emergono, inoltre, i personali stati d’animo, spesso derivanti anche dal luogo di origine che diventa al pari attore insieme alle protagoniste. “Questi racconti sono soffi, respiri, sono finestre dalle quali entra aria buona. Aprono i polmoni di salute e di speranza, di dolcezza e di angoscia. “

La presentazione del libro in anteprima nazionale nell’ambito di “Storie d’Artista a Palazzo Grassi”

scrive in prefazione Luciana Manco Ma chi sono le donne protagoniste dei racconti di “Torno da me?” “Donne con le quali sentirsi al sicuro, con le quali perdersi – scrive ancora Luciana Manco. -Donne di ogni parte del mondo, che possono cambiarlo, il mondo. Donne piene di immaginazione, che anche se il mondo non cambia, loro lo vedono migliore. Disposte a tutto per la libertà. Sognatrici, fragili e potenti, piene di contraddizioni che le rendono colorate come fiori. E donna è la mano, la voce che racconta. Che si diluisce nel cuore di altre donne per rendere immenso il suo cuore. E non è facile parlare di culture diverse, di dolore, di determinazione se non se ne conoscono davvero, in prima persona, gli effetti, le cause, le deviazioni”. Maria Neve Arcuti è nata il 17 febbraio 1974. Laureata in Conservazione dei Beni Culturali è un’insegnante di Lettere con la passione per le arti figurative, l’amore per il teatro e il cinema. Curatrice di mostre d’arte, collabora attivamente con diverse realtà culturali del territorio tra cui il Circolo Arci di Aradeo (Lecce) per il quale cura la parte espositiva, si occupa della presentazione di libri e della programmazione del cineforum. Nel 2015, dopo l’incontro con Donatella Nicolardi, sperimenta un nuovo linguaggio che intreccia la scrittura con l’arte del mosaico e che sfocia nella mostra itinerante “Io donna, come io…mi vuoi”.

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dionisiache ferMentaZioni live painting a Monteroni

Massimo Pasca e bRIZZo impegnati per il San Martino in piazza Dionisiache Fermentazioni è l’intervento site-specific che si è svolto sabato 12 novembre in piazza Falconieri a Monteroni nell'ambito del San Martino in Piazza. Due gli artisti protagonisti del live painting Massimo Pasca e bRIZZO. Artista poliedrico, salentino di origine e pisano d’adozione, Massimo Pasca ha dipinto e illustrato per collezionisti privati, istituzioni, festival musicali, centri sociali, cineclub, teatri, musicisti e per la moda. Laureatosi a Pisa in Beni Culturali con una tesi sul cinema di Pier Paolo Pasolini negli anni toscani ha continuato a dipingere dal vivo sperimentando dall’astratto al surrealismo fino alla popart influenzata dal mondo dei fumetti, la maggior parte delle volte dipingendo con numerosi musicisti come Negrita, Piero Pelù, Bandabardò, Roy Paci, Cor Veleno Finaz, Marta sui Tubi,Luci della Centrale Elettrica, JoyCut, Esquelito, Roberto Angelini. I suoi live painting hanno toccato luoghi di prestigio come il MACRO (Museo Arte Contemporanea di Roma),

” Piper Club Mandela Forum di Firenze, IED Istituto Europeo di Design, MEDIMEX Bari. é l’illustratore del disco Helldorado dei Negrita nel 2008 (disco d’oro) e delle maglie del tour. Collabora e illustra per numerose riviste tra le quali, il Mucchio, Collettivo Mensa, Todo Magazine, Lungarno, Arbiter e con le etichette discografiche Alfa Romero , Arroyo Records, Elastica. Negli anni relizza i manifesti di Festival musicali come Metarock, SEI Sud Est Indipendente Festival, Antroporti, nel 2013 illustra la canzone “Boys don’t Cray dei Cure per il progetto TINALS presentato al Lucca Comics , ha collaborato con numerose case editrici italiane. La sua attività espostiva ha toccato le maggiori città italiane Roma, Milano, Firenze, Pisa, Benevento, Otranto (nella mostra Dalì il genio), Lecce, ed europee come Monaco, Dijon, Cracovia. Francesco Favale, in arte bRIZZO, studia e si laurea in Conser-

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vazione dei Beni Culturali all'Università del Salento. Da circa venti anni, dopo la prima collettiva pittorica a San Cassiano (Le), bRIZZO approfondisce gli studi artistici fino alla rielaborazione di un personale linguaggio figurativo che rimanda ai complessi enigmi metafisici. Dal 2011 affronta le elaborazioni foto digitali ed esegue la prima serie intitolata L'arte della musica. Nel 2013 viene selezionato per la IX edizione di Artour-o Must a Firenze mentre, nel frattempo partecipa a numerosi concorsi e collettive, come accade per la mostra di Human Right a Rovereto presso la Fondazione dei Caduti. Dopo l'esperienza maturata durante la collettiva CROSSROAD bRIZZO ritorna al disegno attraverso la tecnica dell’illustrazione. I nuovi lavori, realizzati con inchiostro di china su carta, arricchiscono il suo background artistico che non tradisce il personale linguaggio figurativo fatto di rimandi ermetici e metafisici.


KnaM, il re del cioccolato giUdice del concorso icaM

Tra gli eventi in cartellone della 23esima edizione di Eurochocolate

PERUGIA. Eurochocolate ovvero le mille declinazioni del cioccolato che invadono il cuore di Perugia, dall’installazioni in piazza IV Novembre un maxi selfie stick lungo 7 metri e una tavoletta realizzata con 6.000 kg di cioccolato utilizzata dal pubblico per scattare originali selfie e scenografia per premiazioni ed eventi. E ancora dalle Sculture di Cioccolato, quattro enormi blocchi di cioccolato scolpiti in diretta nel centro storico, ai laboratori artigianale come quello di Paul e Cecilia de Bondt, al convegno Cacao, Polifenoli e Salute e Chocofarm, l’esclusiva area benessere dedicata alla cura del viso e del corpo con dolci trat-

tamenti a base cioccolato. E imperdibili degustazioni, shoowcooking, mostre e incontri hanno animato questa edizione dedicata al cibo degli dei. E tra i tanti eventi in programma, ci fa piacere raccontare la finalissima di un grande concorso promosso da Icam Linea Professionale per celebrare i settanta anni della nascita del noto marchio. Il concorso ha coinvolto nel corso del 2016 tantissimi pasticceri e cioccolatieri che hanno dovuto superare rigide selezioni per realizzare una stupenda torta celebrativa. La finale si è svolta nella sede dell’Università dei Sapori sabato 22 ottobre. I 5 finalisti hanno avuto quattro ore di tempo

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per preparare 3 torte ciascuno; in gara Alessio Baietta di Limana (BL), Andrea Restuccia di Foligno (PG), Antonino Stella di Caltanissetta (CL), Enrico Tedesco di “San Zenone degli Ezzelini (TV) e Michele Giacalone di Castelvetrano” (TP). La giuria presieduta dal famosissimo e ineguagliabile re del cioccolato, Ernst Knam, testimonial ICAM Linea professionale (e completata da Giovanni Agostoni, erede dei fondatori e Direttore Commerciale dell’azienda; da un pasticcere tecnico di ICAM Linea professionale; da una giornalista rappresentante di “Dolce e Salato” e dal giornalista ed editore di “Pasticceria Internazionale”) ha decretato vincitore della competizione il giovane e talentuoso Andrea Restuccia, pasticcere di Foligno, già Campione italiano di pasticceria seniores 2016 al Sigep di Rimini. Il suo «Perla Nera», preziosa creazione ispirata alla forte personalità di Carolina Vanini, Cofondatrice di Icam, e al suo grande spirito imprenditoriale, ha convinto tutti, in uno straordinario viaggio di gusto tra i sapori esotici dell’Ecuador, della Repubblica Dominicana fino all’inesplorata Polinesia. La sua giovane età, il profondo senso estetico, le abilità tecniche, il gusto fresco ed equilibrato hanno decretato il successo di Restuccia che si è confrontato con ottimi professionisti, tutti bravissimi!. “Abbiamo apprezzato moltissimo il riconoscimento al ruolo di Carolina Vanini nella crescita e nel successo ottenuto dalla nostra azienda”, ha dichiarato Giovanni Agostoni, direttore commerciale e terza generazione della famiglia alla guida di Icam. “Un altro elemento che ha pesato positivamente sul giudizio finale è stata l’oppor-

tunità di dare un riconoscimento a un talento giovane. Andrea infatti ha solo 23 anni. Questa scelta ci aiuta a dare concretezza all’obiettivo che Linea Professionale, nella sua veste di leader di mercato, si è posto di affiancare non solo i moltissimi professionisti italiani, ma anche di sostenere la crescita di giovani talenti nel mondo della pasticceria nazionale” “Per noi un grande motivo di orgoglio ospitare la Kermesse di ICAM con professionisti che esprimono un sistema di valori condivisi, di recupero e valorizzazione del Mestiere, per la nostra cultura gastronomica - ha commentato Anna Rita Fioroni presidente dell’Università dei Sapori. E dopo l’estenuante svolgimento della prova, tutto lo staff si è potuto rifocillare grazie alle prelibatezze preparate da Paola e Italia dell’enogastronomia “Le bontà di Perugia”, un esclusivo menù a base di eccellenze umbre particolarmente apprezzato dall’insuperabile Knam che ha ricordato “La passione, da sola, non basta e non costruisce numeri uno. Occorre sempre un'ottima formazione di base, un’altrettanto ottima conoscenza delle lingue e del management aziendale ed una solida esperienza all'estero. Più si conosce, più si impara”. Divertente e originale il biglietto dedicato all’Università dei Sapori “se in Paradiso non c’è il cioccolato io non ci vado”. Come dargli torto? (an.fu.)

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il cUlto di sant'irene e i gesUiti a lecce: nUovi docUMenti Mario Cazzato

Il conflitto sul protettorato civico che a Lecce a partire dai primi anni del Seicento coinvolse gesuiti e teatini si rivelò, per le forze messe in campo, come la più acuta crisi religiosa accusata dalla città, in quegli anni, tale da coinvolgere tutti gli strati cittadini per tutta la metà del secolo fino a quando non s’impose un nuovo e completamente diverso protettorato urbano calibrato sulle istanze controriformistiche. La faccenda era nota anche agli eruditi locali otto-novecenteschi e ne parla diffusamente la popolare biografia del Germier su Bernardino Realino (1943). Ma fu la fortunata opera di Maria Antonietta Visceglia Territorio feudo e potere locale. Terra d’Otranto tra Medioevo ed età moderna, del 1988, ad impostare criticamente il problema alla luce di nuove fonti provenienti dagli

Il 2016 è stato proclamato anno bernardiniano, nel 400° anniversario della morte del Santo. Sabato 15 ottobre, a Palazzo Carafa, si è svolta la terza sessione del Convegno internazionale, “Modernità di Padre Bernardino Realino, magistrato, gesuita e Santo”, per far conoscere a tutti la sua figura e per ricordare la grande eredità umana, culturale, sociale e spirituale lasciata all'intera comunità. In tale occasione è stata scoperta una lapide commemorativa e ricollocato la testa del pellicano

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archivi romani dei due ordini che, com’è noto, giunsero a Lecce a circa 10 anni di distanza uno dall’altro, a partire dal 1575 per i Gesuiti. Nel 1602 i teatini benedissero la loro chiesa, in gran parte terminata e che su suggerimento di uno degli esponenti più qualificati della classe delle professioni di Lecce, il notaio Cesare Pandolfo, era stato dedicato a Santa Irene come protettrice della città. Questo stato di cose, soprattutto la polarizzazione dei leccesi, specialmente dell’amministrazione civica, sulla nuova chiesa e sul suo titolo, non poteva non impensierire i quasi confinanti gesuiti. Non è dunque un caso che, come scrive la Visceglia, durante la quaresima del 1603 nel corso di una predica nella chiesa del Gesù pronunciò frasi ambigue e oscuri dubbi sul culto di Sant’Irene, una forma di discredito ufficiale. I dubbi gesuitici sulla protettrice furono sentiti come un attacco diretto all’Universitas e alla sua chiesa, tanche che il parlamento cittadino offrì ben 2000 ducati alla chiesa teatina come riparazione all’offesa gesuitica che, tra l’altro, aveva provocato una vera e propria rivolta popolare. I Gesuiti cambiano strategia e nel 1604, 15 giorni prima dell’Ascensione fanno giungere da Roma alcune reliquie di Sant’ Irene. Giunte a Lecce, queste reliquie provocano immediatamente guarigioni prodigiose anche, com’è noto, per intercessione di Bernardino Realino che da quel momento ebbe una particolare consonanza con la santa tanto da dedicargli alcuni com-

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ponimenti poetici. Il fatto impressionò i teatini che temevano la perdita dell’egemonia del culto ireniano e, soprattutto, il legame che li univa al parlamento cittadino e quindi alle elités che esprimeva. Poche settimane dopo i teatini annunciano alla città che “nel cimitero della compagna di S. Sebastiano detto di San Callisto, per cavar reliquie tra l’altro si trovò un corpo che era in un monumento chiuso con tavole e calce attorno…et il nome era scolpito con lettere antiche mal fatte e difficili da leggere…” ma che era sicuramente il nome di HIRENIA, “e come tale il corpo fu cavato…”. Subito i gesuiti intraprendevano un processo che investe proprio l’identità della santa, affermando che le vere reliquie sono le loro e non quelle di questa HIRENIA, nome che forse va letto, dicono in HIRENIANA e che, quindi, non ha nulla da spartire con la protettrice di Lecce. Lo scontro tra i due ordini una vera e propria guerra delle reliquie si acuì dopo che il corpo di HIRENIA da Roma fu traslato a Lecce nella chiesa omonima. L’esistenza di due corpi diversi per la stessa santa provocò un grande clamore in città la quale si divise in due da una parte, per i teatini, i delli Monti, i Cicala, un ramo dei Prioli, e Vignes, i Lubelli, i Prato, i Paladini ed altri; per i gesuiti si schierarono i Tafuri, i Marescallo, gli Zimara i Mattei e i dell’Antoglietta. Non a caso questi ultimi nel 1605 presentarono un Memoriale contro il Sindaco e gli eletti per denunciare le spese esorbitanti sopportate dalla città per solennizzare il culto di S. Irene. E alle visioni ireniane di Bernardino Realino si appone quello coincidente acca-

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Due immagini della Chiesa del Gesù a Lecce, in basso le reliquie di San Bernardino Realino, foto Mario Cazzato

duta ad un altro illustre notaio nonché sindaco Lucrezio Perrone. Dunque: il corpo per i teatini è quello di Irene, per i gesuiti quello di Ireniana “con pregiudizio grande delli stessi santi” scrivevano i gesuiti, “li quali vogliamo essere adorati con li loro veri nomi”. Contro questo stato di cose c’è una lettera del 25 luglio del padre generale Claudio Acquaviva il quale, sperando in una pacificazione, ordina ai suoi confratelli gesuiti che “né in prediche, né in ragionamenti privati , né in qualunque altro modo pubblichino che la reliquia di Santa Irene sia quella della santa Padrona di Lecce, né l’esponghino tacitamente per tale, ma la onorino solo per reliquia di Santa Irene Vergine e Martire e non affermando intorno a ciò cosa alcuna che non sanno. Inoltre non dovendosi affermare che quella reliquia di Santa Irene sia della padrona di Lecce…”. I due ordini qualche giorno dopo sottoscrivono una convenzione in quattro punti che, tuttavia, pur calmando gli animi non risolse il problema e per molto tempo Lecce ebbe due santi sovrapponibili, Irene e Irenia. Si dimostrerà che solo dopo la morte del Realino, i gesuiti potettero sferrare un attacco per riprendersi il controllo del culto e mal digerirono che proprio un gesuiti illustre, Antonio Beatillo, il 1609 diede alle stampe l’Historia della Vita, miracoli e traslazione di Santa Irene da Tessalonica Vergine e Martire, opera dedicata proprio alla città di Lecce nata proprio durante i contrasti tra teatini e gesuiti, sicuramente in composizione dal 1604 e che contiene due componimenti latini diretti da Bernardino Realino al Beatillo. Era un

modo per dimostrare che la verità su Sant’Irene, comunque era patrimonio gesuitico. Noi seguiremo la vicenda finché la stessa non fu messa da parte e questa non avvenne prima del 1656 quando Irene fu proditoriamente spodestata dal suo antichissimo protettorato e al suo posto messo S. Oronzo, protomartire e protovescovo leccese.

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Federico Massimo Ceschin nelle foto di Maurizio Antonazzo

non è petrolio. il nUovo libro di ceschin sUll’heritage cUltUrale Maurizio Antonazzo

Dal Gran Tour ai selfie la nuova economia della bellezza raccontata da Federico Massimo Ceschin TAURISANO (LECCE) Lo scorso 27 ottobre a Taurisano, Federico Massimo Ceschin ha presentato il libro: “Non è petrolio. Heritage culturale, dal Grand Tour ai selfie, per una nuova economia della bellezza”, pubblicato dalla Claudio Grenzi Editore. All’interessante evento culturale, coordinato da Mario Carparelli, Presidio del Libro del Capo di Leuca, sono intervenuti: Raffaele Stasi, Sindaco di Taurisano, Lina Normanno, Assessore al Turismo di Taurisano e Carlo Nesca, Presidente dell’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo e S.E. Mons. Vito Angiuli, Vescovo di Ugento - S. Maria di Leuca. Federico Massimo Ceschin collabora con università, centri di ricerca, enti e

società nell’ambito dell’heritage culturale, consulente del Ministero e della Regione Puglia. Ha offerto assistenza tecnica al governo regionale pugliese in materia di normativa e governance turistica, progettazione europea, piani di eccellenza e sviluppo di buone pratiche. Esperto in creazione di grandi eventi e promozione del territorio,ha coordinato il grande evento dell’Ostensione delle spoglie di Padre Pio per il Comune di San Giovanni Rotondo e curato la visita pastorale del Santo Padre Benedetto XVI. Ideatore della “BITREL - Borsa Internazionale del Turismo Religioso, dei Pellegrinaggi e dei Cammini” e poi di Vie Sacre, “Esposizione dei Percorsi e delle

Manifestazioni del Sacro”. Ceschin attualmente è impegnato ai vertici dell’Associazione Europea delle Vie Francigene, rete portante del Consiglio d’Europa, e Direttore del Parco Culturale Ecclesiale "Terre del Capo di Leuca - De Finibus Terrae". All’inizio del nuovo millennio, iscritto all’albo dei Directors presso la UK Companies House di Londra, ha maturato esperienze nella Regione North West, tra Manchester e Liverpool (Capitale Europea della Cultura). Nel 2007 ha ricevuto il premio “Sfide” della Presidenza del Consiglio dei Ministri per le buone pratiche di sviluppo locale e nel 2008 il riconoscimento internazionale “Un Bosco per Kyoto” per le personalità

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che si sono distinte nella tutela dell’ambiente. Ha pubblicato saggi sui temi dello sviluppo turistico sostenibile e degli Itinerari Culturali con la statuni-

tense “World Water Engineering Society”, con l’ufficio Unesco di Parigi, con gli editori Guerini e Associati, Franco Angeli, il Centro Studi del Touring Club Italiano, Congedo Editore, Sudest Editore, IPSOA – Gruppo Editoriale Wolters Kluwer e (naturalmente) Claudio Grenzi Editore. Al termine dell’incontro, Federico Massimo Ceschin ha risposto ad alcune domande sulle tematiche del suo libro. Cos’è la “economia della bellezza” ? L'Italia si trova ad affrontare un tempo difficile, in cui nodi strutturali e vecchi debiti vengono al pettine. Ma l'atmosfera generale di recessione rischia di diventare progressivamente un alibi per nascondere la miopia e la sordità con cui il sistema Paese continua a gestire l'immenso patrimonio culturale che detiene. Non soltanto monumenti, musei e aree archeologiche ma altri fattori che continuano a ritenersi improduttivi, come l'ambiente, il paesaggio, la qualità della vita, la dimensione sociale dolce dell'entroterra, la ruralità e persino l'artigianato. Attraverso questo sguardo smarrito, sembra davvero impossibile individuare risorse e talenti su cui puntare per costruire un futuro migliore attraverso la creazione di nuovo valore, rispondente alle domande più evolute e profonde che agitano il nostro tempo. Una ricetta possibile - oggi come nel dopoguerra - probabilmente risiede nei fattori che individuava John Kenneth Galbraith per spiegare il “miracolo” italiano: “La ragione vera è che l’Italia sa

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incorporare nei suoi prodotti una componente essenziale di cultura. Città come Milano, Parma, Firenze, Siena, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza”. Oggi come allora, è proprio nell’intreccio tra cultura e bellezza che vanno ricercate le radici più profonde e feconde della nostra identità, su cui valga la pena investire in termini di ricerca e di innovazione. La “economia della bellezza” e la Puglia ? Nel trascorso decennio la Puglia ha lanciato una grande sfida economica ai mercati globalizzati, nutrendola con fattori assolutamente non delocalizzabili. È ripartita dai luoghi dove i prodotti diventano espressione della cultura territoriale, nutrendosi di “genius loci” e producendo “genius loci”. Emblematico il caso della "Notte della Taranta", che però è soltanto la punta dell'iceberg: dietro a quell'aria di festa c'è stato un grande lavoro di posizionamento che ha investito l’intero tessuto sociale, culturale e produttivo. Le politiche giovanili, non disgiunte dal welfare, dai trasporti, dalla green economy, hanno accompagnato un imponente lavoro di ricucitura e ritessitura della più autentica trama pugliese, proiettata oltre i confini con un'illuminata politica di brand. Non il solito schema partorito a Rimini o nel Veneto dei grandi numeri turistici: in Puglia si è prodotto in sette anni un importante aumento dei visitatori dall'este-


ro (+45%), con una crescita considerevole dei settori creativi e culturali in rapporto al PIL regionale, fino a diventare la prima economia (8%), in grado di superare addirittura la inossidabile euforia del mattone. Credo che i risultati raggiunti si presentino senza precedenti nella storia turistica del Bel Paese: potrebbe rivelarsi sufficiente non tornare indietro. Il ruolo del marketing territoriale nella “economia della bellezza” ? È un ruolo ancora troppo spesso frainteso, con troppi "esperti" a fronte di poche esperienze. Poca scientificità e scarsa specializzazione consentono di parlare di promozione anche di fronte ad una banale politica degli eventi, con improbabili partecipazioni a fiere interna-

zionali dove si trasferisce il modello della sagra paesana, senza nemmeno preoccuparsi di essere accompagnati da un prodotto turistico. Non si può continuare a lavorare sull'emergenza, con risultati attesi entro la breve scadenza del mandato dei governi territoriali: l'era della scarsità che andiamo attraversando richiederebbe piuttosto una visione di medio/lungo periodo, armonizzazione d'intenti, pianificazione degli obiettivi, ottimizzazione delle risorse e misurabilità della spesa, con sobrietà e rigore metodologico. Perché la "destinazione Italia", da meta del Grand Tour è diventata semplicemente una spiaggia? Forse non riusciremo più a tornare al primo posto tra le destinazioni preferite nel

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mondo. Lo siamo stati persino troppo a lungo, riuscendo nell'impresa paradossale di far fallire finanche la compagnia di bandiera. Siamo troppo concentrati sull'offerta, piuttosto che sulle attese del visitatore: ci limitiamo a considerare che il Belpaese continuerà ad esercitare una forza attrattiva in forza dell'ingente patrimonio e del proprio stile di vita, senza analizzare o comprendere i nuovi orientamenti dei consumi, mancando di spingere sulla competitività attraverso percorsi di senso, reti, servizi a valore aggiunto, esperienze e modelli innovativi di fruizione. Non c'è alcuna integrazione perché siamo sempre divisi, tra nord e sud, tra centro e periferia, tra costa ed entroterra, tra campanile e campanile, tra parrocchia


e parrocchia. Ne deriva che la capacità di fare rete è scarsissima, con il risultato che non esiste alcuna filiera produttiva o di servizio. E ciò si traduce in forme di accoglienza trascurate e di ospitalità spesso scadenti - o comunque non competitive senza nessun valore aggiunto, né per l'ospite né per il residente. Quale strategia per far tornare l’Italia turistica alle posizioni in classifica di un tempo ? Anzitutto dovremmo venire a pace con noi stessi, ammettendo che gli unici due prodotti turistici consolidati - il mare e le città d'arte - sono modelli obsoleti e superati. Il segmento balneare è divenuto estremamente competitivo, rimanendo fortemente stagionale; le città d'arte prese d'assedio non sono sostenibili. Quando avremo assunto questa consapevolezza

collettiva, forse capiremo anche che la nostra vera ricchezza abita altrove, non solo sulle coste e attorno alle capitali culturali. L'intero Belpaese è un museo diffuso! Non occorre pensare necessariamente ai crolli di Pompei: in queste tragiche ore sarebbe sufficiente rivolgere un pensiero a quanto patrimonio stiamo perdendo nei piccoli borghi appenninici colpiti dal sisma, per comprendere la sfida che ci aspetta. In fondo, siamo un Paese piccolo piccolo: il punto più a nord, la Vetta d’Italia sulle Alpi Aurine, dista soltanto 1.291 chilometri da quello più a sud, Punta Pesce Spada sull’isola di Lampedusa, eppure su questo piccolo pezzo di terra si è accumulata nei secoli una straordinaria varietà di esperienze umane, che hanno lasciato tracce di queste storie, numerose e diverse, che sono diventate paesaggi, tradizioni, culture e opere d’arte. Su cos'altro investire per il futuro? Quanto vale la cultura adesso in Italia? Il più recente studio, basato sui dati di Federculture, denota una tendenza generale: un chiaro segno positivo sui consumi in cultura, che vede crescere del 4% la spesa delle famiglie italiane per cultura e attività ricreative, che nel 2015 è risultata di 67.8 miliardi di euro. Rimane però un dato drammatico che deve essere segnalato: la completa "astensione culturale" riguarda ancora il 18.5% dei cittadini, vale a dire che circa 11 milioni di italiani non fruiscono di cinema, teatro, musei, concerti, né praticano la

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lettura. C'è quindi un grande lavoro da compiere, soprattutto in termini di politiche culturali, per tendere verso un adeguamento dei paradigmi, soprattutto nel Sud del Paese, che resta indietro su tutti gli indicatori. Non può dunque apparire un caso se anche il turismo rimane ancora fortemente concentrato in poche regioni: il 64.5% della spesa turistica degli stranieri si concentra in cinque regioni (Lazio, Lombardia, Veneto, Toscana, Campania), con differenze molto significative che andrebbero analizzate con attenzione, sia in base alla permanenza media, sia alla spesa media. Ci saranno dei motivi se, ad esempio, in Lombardia i turisti stranieri hanno speso 6 miliardi di euro e in Sardegna soltanto 600 milioni, esattamente un decimo. In termini di modello, penso alla società britannica, in cui due terzi della popolazione è interessata a visitare siti storici, ama i musei, va per gallerie e gode delle belle arti, consentendo di raggiungere la consapevolezza diffusa di avere la più importante economia culturale del mondo in rapporto al PIL, dove ogni sterlina investita in cultura ne produce due. Qual è il “petrolio” d’Italia ? Il petrolio è un giacimento, una dotazione mineraria ricevuta in sorte che produce reddito fino ad esaurimento. Il patrimonio culturale non è un fattore casuale ma rappresenta l'eredità dei padri, che abbiamo l'obbligo di consegnare ai figli. Ma soprattutto non si esaurisce se non "giace": dobbiamo uscire dalle cosiddette "corti dei


m momento dell’intervento dello scrittore Federico Massimo Ceschin

saperi colti" e indirizzarci verso nuove forme di fruizione. Tutela e conservazione sono valori costituzionali, ma il patrimonio va vissuto, va respirato, va interpretato e va trasmesso, per esprimere valore contemporaneo, per stimolare senso di appartenenza, per tornare ad essere amato e rispettato e - soprattutto - per essere valorizzato, sfuggendo alla mera rendita di posizione per creare nuove opportunità qualificate e qualificanti per l'economia del Paese. Strategicamente, occorre puntare sulla cura dei beni comuni, sulla manutenzione dei paesaggi, arrestando degrado ambientale, dissesto idrogeologico, rischio sismico e consumo di suolo. Occorre investire sul benessere e sulla felicità dei cittadini, attraverso un vasto programma nazionale di riqualificazione urbana, facendo leva sulla dimensione sociale dolce delle comunità locali,

sulla qualità della vita nei territori di provincia e nei borghi. Va in tutti i modi scongiurato lo spopolamento delle aree interne, da considerare vere e proprie riserve di ricchezza per il Paese, favorendo l'agricoltura, la pastorizia, l'artigianato di eccellenza, il “made in Italy”, le piccole imprese, l'industria culturale e creativa, il privato sociale. Ora è il momento di agire, con forte determinazione, perché il carattere di profonda e ineluttabile trasformazione proposto dalla globalizzazione non cancelli un patrimonio che è ancora vivo in noi e attorno a noi. Dalla splendida Venezia è venuto a vivere in Puglia. Per quale motivo? La mia amatissima città natale, orgoglio nazionale, patrimonio dell'umanità, è letteralmente presa d’assalto da “escursionisti”, ovvero visitatori caratterizzati da brevissima permanenza e limitatissima capacità di spesa. All’aumentare del numero dei visitatori, la qualità dei servizi offerti è divenuta progressivamente negativa e, già da oltre vent’anni, il “caso” di Venezia avrebbe dovuto far suonare l’allarme: il superamento della capacità di carico dell’assetto urbano ha scatenato una vera e propria competizione tra turisti e residenti per l’appropriazione delle risorse, con effetti nefasti sia da un punto di vista economico e sociale, sia dal punto di vista dell’ospite, nei termini della tanto celebrata ospitalità. Dal dopoguerra a oggi, Venezia ha perso centinaia di migliaia di residenti. Va detto. Non si può nascondere oltre. Non basta camuffare i dati dietro un punto percentuale di aumento dei turisti per definire il benessere o la ricchezza di un luogo. Già dieci anni fa pubblicai un breve studio dal titolo "Dal modello nordest al modello sudest": oggi sono ancora più convinto che la qualità della vita abiti in Puglia. Perché la bellezza ci salverà, tutti, ma soltanto a condizione di non lasciarci sedurre e abbindolare: dobbiamo mantenere saldamente le mani sul timone e non smarrire la nostra identità. Dal Gargano al Salento, passando per l'Appennino Daunio, le splendide città del romanico, le Murge, la Valle d'Itria, la Magna Grecia, sono un enorme serbatoio di biodiversità paesaggistica, culturale e sociale, impossibile da esaurire, impossibile da non amare.

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dal Weballa tv. “libriaMoci” nel palinsesto naZionale della fox Sara Di Caprio

Intervista alla giornalista Lucia Accoto

Stenta ancora a crederci. La notizia è una di quelle che non arriva per caso e neanche con tanta facilità. Nelle aspettative di un giornalista c’è sempre la speranza di approdare, un giorno, in un importante redazione. Eppure, non c’è mai realmente nessuna attesa perché quando la crisi ha le fauci del mostro che ammazza i sogni, allora si resta con i piedi per terra. E forse proprio questo ha spinto Lucia Accoto ad attaccarsi alle proprie forze e alla caparbietà di credere nelle idee, la parte vivace e libera di ognuno. E ha fatto bene a non mollare perché il suo format “Libriamoci” ha conquistato, oltre a diverse emittenti televisive regionali, anche una Tv nazionale, la Fox Production. A novembre saranno trasmesse otto puntate del programma che vede la regia di Giuseppe Anglano. Due mesi, quindi di messa in onda, ma la Fox punta e rilancia Libriamoci addirittura sui canali esteri che fanno parte del gruppo editoriale.

L’abbiamo incontrata all’indomani della notizia.

È arrivato con l’impegno. E l’inizio non è stato facile. Ho dovuto issarmi sulla consapevolezza che finire in ginocchio per via della crisi che rende precari o disoccupati rafforza il carattere, pungola le idee e la voglia di farcela. Professionalmente nasco nelle redazioni giornalistiche televisive e quando gli editori hanno iniziato a chiudere oppure a licenziare, ho dovuto guardare in faccia la realtà. Rimboccarmi le maniche per non morire con esse, perché nessuno mai sarebbe riuscito a spegnare la mia passione oppure a bloccare la mia professione, se non fossi stata io a deciderlo. Dalla Tv passo al web, ideando e conducendo format.

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in questa pagina e nella precedente: la giornalista Lucia Accoto, foto di Giuseppe Anglano

Il primo fra tutti Libriamoci. La rete risponde bene. Il programma è monitorato dagli addetti ai lavori: dalle case editrici, dagli scrittori, dagli editori. Crescono i consensi ed i folllowers. Gli internauti seguono anche il mio profilo Facebok fatto per lo più di scrittura. Dopo solo due puntate della prima edizione, le Tv regionali chiedono Libriamoci da inserire nei loro palinsesti. Il programma si presta bene alle due realtà. Una finestra culturale di circa dieci minuti è appetibile per i due mondi di comunicazione. Ecco tracciato il mio percorso all’inverso. Io che dalla televisione, approdo al web, torno in Tv grazie anche alla forza dei social. E così è successo con la Fox. Quando lavoro sono molto pignola e un programma non si improvvisa. Dietro ad un format c’è studio, ricerca, cura dei dettagli, c’è anima. Senza i contenuti non si va avanti, si possono fare alcuni passi, poi ci si ferma. Insomma, Libriamoci può piacere oppure no, la mia tenuta in video può essere gradita o pessima, ma non si può tradire se stessi e chi ci segue. Necessaria l’esigenza di una

squadra di professionisti. Dalle colonne sonore realizzate dal violinista Francesco Del Prete e dal pianista Francesco Maria Mancarella, dalla scelta degli scrittori che con i loro romanzi ci fanno entrare in storie che ognuno poi fa proprie o dalla voce narrante di Tonina Perrone che ci proietta nelle emozioni traslate dalle parole, dalla scrittura. Libriamoci è anche eleganza dettata dalle location. Dietro al trucco, poi, di fascino c’è un’idea precisa di sobrietà, di raffinatezza. Ecco, la figura di Fabiana Sacquegna, makeup artist, o di Susy de Marianis e dello stilista Antonio Franco che hanno curato l'eleganza nel corso delle varie stagioni tv. Le cose che potrebbero sembrare banali sono, invece, i dettagli più importanti.

No, e neanche in questo modo. Non mi sono mai fasciata la testa, ma ho sempre puntato dritto. Convinta ho seguito istinto e determinazione nel farcela. A volte, le cose non succedono per caso, ma siamo noi stessi a preparare il terreno pur non vedendo la strada o non avendo speranza.

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“allegoria” a brindisi e a lecce incontro con Walter cerfeda Riprende il tour nel Salento di "Allegoria" il romanzo storico dello scrittore Walter Cerfeda. Dopo lo straordinario successo ottenuto a Perugia e a Verbania, lo scrittore sarà ospite nel Salento con altre due imperdibili tappe. Il 17 novembre l’incontro con l’autore si terrà a Brindisi ore 18 nella splendida "Sala Reale" (nella foto) del Grande Albergo Internazionale. Dopo l'introduzione della prof.ssa Teresa Nacci Presidente Società "Dante Alighieri" Comitato di Brindisi, dialogherà con l'autore Walter Cerfeda il prof. Mimmo Tardio. Letture a cura di Fabiana Lubelli. Modera la giornalista Antonietta Fulvio. L'evento è organizzato dalla casa editrice Il Raggio Verde in collaborazione con la "Società Dante Alighieri" comitato di Brindisi e il Grande Albergo Internazionale. Una location di prestigio. Il Grande Albergo Internazionale si affaccia sul suggestivo lungomare di Brindisi che per cinque mesi, dal 10 settembre 1943 all’11 febbraio 1944, fu trasformata in capitale d'Italia da Re Vittorio Emanuele III e la regina Elena in fuga all'indomani dell'armistizio. Per i primi 21 giorni pugliesi i reali soggiornarono proprio nel Grande Albergo Internazionale e nelle camere perfettamente speculari, le attuali numero 101 e 123, dormivano separati perché così richiedeva la ragion di sicurezza e di Stato. In mezzo, tra

le due camere, la sala congressi da dove il Paese fu momentaneamente governato. Albergo simbolo di eleganza e di bellezza nel cuore di Brindisi, l'Internazionale vanta una storia centenaria e ha ospitato personaggi illustri, tra i quali Gandhi di passaggio per Londra come ricorda la sala a lui intitolata. Non meno prestigiosa è la location della tappa leccese, il Grand Hotel anch’esso del Gruppo Puglia Class, che lo scorso settembre ha festeggiato i primi sei anni di attività dopo il restauro che ha restituito alla città uno splendido gioiello dal cuore liberty nella città del barocco. E sarà proprio in uno dei suoi raffinatissimi salotti che il professore Pino de Luca dialogherà con lo scrittore Walter Cerfeda sul romanzo storico che indaga su una delle pagine più emblematiche e poco frequentate dalla storiografia ufficiale: la liberazione di Otranto nell’anno 1481 dopo cioè la strage degli 813 otrantini decapitati sul colle della Minerva. Ma il passato è allegoria del nostro presente. I Santi Martiri di Otranto non furono solo le vittime di una guerra di religione proprio come oggi il terrorismo islamico utilizza la jihad per le proprie mire espansionistiche che poco hanno a che fare con il Corano. Il libro, che apre la collana Futuro Anteriore diretta dal giornalista Nello Wrona, è impreziosita dall’opera in copertina dell’artista Tonino Caputo.

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In questa pagina la foto delle sorelle Mirabal: Minerva, Patria e Maria Teresa:

le sorelle Mirabal Una storia da ricordare Claudia Forcignanò

nel nome di Eva

Il 25 novembre è la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne in ricordo dell'assassinio delle sorelle Mirabal che lottarono contro il regime del dittatore Trujillo

Il 25 novembre 1960, tre giovani sorelle, nella Repubblica Dominicana, furono sequestrate dai militari al servizio del dittatore Rafael Trujillo, portate in una piantagione di canna da zucchero, torturate, bastonate e strangolate, ma Patria, Minerva e Maria Teresa non erano cittadine qualsiasi e la storia della loro morte, all'epoca, come uno tsunami travolse e stravolse un intero Paese diventando simbolo della lotta contro la violenza sulle donne. Nate da una famiglia benestante a Ojo de Agua, nella Repubblica Dominicana, Aida Patria Mercedes (1924 - 1960); Maria Argentina Minerva (1926 - 1960); Antonia Maria Teresa (1936 1960); Belgica Adele, detta Dedé (1925 - 1914), si trovarono a vivere durante uno dei periodi più bui della storia del loro Paese: la dittatura del dominicano Rafael Tujillo, iniziata del 1930. Sin da giovanissima, Minerva mostrò insofferenza per il clima di terrore e ingiustizia sociale cui la dittatura aveva costretto i suoi concittadini, arrivando a sfidare pubblicamente Trujillo durante la festa di San Cristobal, evento che segnò l'inizio della sua militanza politica e della persecuzione dell'intera famiglia da parte del governo che sottopose il padre alla confisca dei beni e a periodi di detenzione. Minerva era una donna combattiva, amante della giustizia, consapevole delle sue idee, e quando la

madre, temendo per la sua incolumità, le negò il permesso di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza, il padre le permise di imparare a guidare e le regalò, insieme ad un'automobile, la libertà di muoversi in totale autonomia. Nonostante ciò, Minerva non abbandonò il sogno di completare il proprio percorso accademico e andando contro tutto e tutti, nel 1952 si iscrisse all'università riuscendo a laurearsi, sebbene non le fu mai permesso di esercitare la professione. Quando Minerva si sposò, Maria Teresa, la più piccola delle sorelle, decise di seguire le sue orme iscrivendosi alla facoltà di architettura e dedicandosi alla militanza politica, nei cui ambienti conobbe Leandro Guzmàn, di cui si innamorò. Gli anni passarono in fretta, il giro di vite voluto dal regime continuava a calpestare i diritti civili più elementari, così il 9 gennaio 1960, Minerva, insieme a Dulce Tejada, aprì le porte della sua casa ad un gruppo di uomini con i quali diede vita all’organizzazione clandestina rivoluzionaria "Movimento del 14 giugno", cui presidente fu eletto il marito Manolo Tamarez Justo, sebbene la vera anima del movimento fu proprio lei, col suo entusiasmo e voglia cambiare lo stato delle cose, tanto da riuscire a coinvolgere anche Patria e il marito Pedro Gonzalez, che aveva sposato a soli sedici anni dopo aver abbandonato gli studi e col quale aveva quattro figli.

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Fu l'inizio di un'aspra battaglia che le tre sorelle, con nome in codice "Las mariposas", ingaggiarono contro Trujillo e il regime, diventando la vera spina nel fianco del dittatore. La risposta non si fece attendere: Minerva a Maria Teresa furono arrestate due volte e condannate a cinque anni di lavori forzati con l'accusa di aver attentato alla sicurezza nazionale, ma in seguito al tentato omicidio del presidente venezuelano Betancourt, e grazie alla loro influenza sulla popolazione, furono rilasciate e messe agli arresti domiciliari.

Ormai il dado era stato lanciato, la polizia segreta era sulle loro tracce e non si fermò finché scoprì il movimento smantellandolo e punendo i membri con una spietata persecuzione o con il carcere. Il clamore internazionale suscitato dalle gesta de "Las mariposas", generò una serie di pressioni che portarono alla liberazione loro, ma non dei mariti e quella fu l'ultima tappa di un piano vigliacco messo in atto per liberarsi definitivamente delle tre donne. Il 25 novembre 1960, Parria, Minerva e Maria Teresa decisero di fare visita ai loro mariti, che erano stati trasferiti nel carcere di Puerto Plata e là caddero in un'imboscata tesa dagli agenti del servizio segreto militare che le portarono in una piantagione di canna di zucchero dove vennero torturate, bastonate e infine strangolate. I corpi straziati delle donne furono caricati a bordo dell'auto sulla quale viaggiavano, che venne venne gettata in un dirupo simulando uno sfortunato incidente cui nessuno credette. La morte delle tre farfalle ebbe un'eco che nessuno avrebbe mai potuto immaginare: dopo la commozione e il dolore, il sangue dell'intera nazione cominciò finalmente a ribollire, fino all'assassinio di Trujilio che portò alla liberazione dalla dittatura. L'unica a salvarsi fu Dedé, ma semplicemente perché decise di non impegnarsi politicamente e così dedicò la sua vita alla cura dei sei nipoti orfani: Minou e Manuelito, figli di Minerva; Nelson, Noris e Raul, figli di Patria, e Jaqueline figlia di Maria Teresa e si impegnò a

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mantenere vivo il ricordo delle amate sorelle raccontando la storia al mondo intero, tanto che nel 1999 alla loro memoria dedicò il libro "Vivas in su jardin". Nel 1994, la scrittrice dominicana Julia Alvarez, scrisse il romanzo "Il tempo delle farfalle", da cui nel 2004 è stato tratto nel 2004 il film "In The time of Butterflies", di Mariano Barroso. Il 17 dicembre 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 54/134, dichiara il 25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in loro memoria. La morte delle tre "farfalle" è stata un'infamia che nessuna commemorazione potrà mai cancellare, racchiude in se tutta la ferocia e vigliaccheria di cui il genere umano è capace, ma è stata la scintilla che ha acceso una miccia che ha portato un popolo a gridare vendetta per tutti gli anni di ingiustizia cui era stato sottoposto. Eppure oggi sembra un ricordo che si perde nel tempo, perché nascere donna, tuttora significa correre il rischio di essere destinata a morire, a soffrire, ad essere umiliata, segregata, torturata, venduta come merce sul banco di un mercato gestito da uomini piccoli, insignificanti, che paradossalmente tirano i fili di vite altrui come abili burattinai. Raccontare la storia di chi ha lottato a costo della propria vita per il diritto a guardare il mondo a testa alta, è un modo per non dimenticare e gridare a gran voce che in una società civile, la parola "femminicidio" dovrebbe essere bandita da ogni vocabolario.

nel nome di Eva

In basso la statua commemorativa delle sorelle Mirabal, a lato Patria Mirabal


con la sUa ceraMica d’aUtore agostino branca conQUista la cina Maurizio Antonazzo

SPECCHIA. Settecento anni fa Marco Polo raggiunse la Cina, dopo un lungo soggiorno rientrò in Italia. Non fu il primo italiano ad andare in Cina, ma certamente fu quello che seppe comunicare meglio la sua esperienza, anche perché era davvero una bella storia, come la carriera artistica di Agostino Branca, apprezzato e stimato artista della ceramica, originario di Specchia, in provincia di Lecce, che ha ricevuto spesso riconoscimenti e premi in Italia e all’estero, dove ha esposto le sue opere. Branca si è sempre ispirato alla realtà artigianale della ceramica e interpretandola in chiave innovativa, operando da anni nel campo della ceramica tradizionale e artistica, nel suo laboratorio di Via Tempio a Tricase, coadiuvato dal suo staff artistico composto dalla moglie Lina, dalla figlia Agnese e da Vittoria e Sabina e con l’ausilio della figlia Sara. Da sempre applicano l'antica tecnica di lavorazio-

ne della ceramica tradizionale nella creazione di oggetti artistici di uso alimentare e ornamentale, sono rivolte all’arredamento, alla tavola e all’ illuminotecnica, con bottiglie e contenitori per olio e vino utilizzabili da produttori del settore per una presentazione raffinata, realizzandole ciascuna rigorosamente a mano. Dall’inizio della sua attività, Agostino Branca ha sempre seguito una ricerca approfondita sull’artigianato della ceramica popolare nell’area salentina, riscoprendo così forme e decorazioni caratteristiche della civiltà contadina locale. Le collezioni più caratteristiche sono i decorativi servizi da tavola policromi, contraddistinti dal fatto che ogni pezzo è dipinto in modo diverso dall’altro. Il risultato più significativo è la realizzazione degli “Uccelli della pioggia”, elaborazioni artistiche di un tipico innaffiatoio dal funzionamento assai interessante, utilizzato dai contadini salentini,

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Recentemente aPechino in mostra al Gozone Art Museum per il “China Art Industry Expo”


per usare con parsimonia l’acqua per le varie piantine da coltivare, confermando come questo elemento naturale è da sempre un bene da tutelare nel Salento. Non solo un artista, Agostino Branca è anche un formatore, sia quando organizza dei mini corsi di ceramica, nel suo laboratorio, adatti per tutti, rivolti ai numerosi turisti che raggiungono il Capo di Leuca, sia quando invita il semplice visitatore del suo punto vendita ad accomodarsi al tornio e a modellare l’argilla o a decorare con i colori un semplice piattino appena smaltato, rendendolo protagonista di una esperienza unica. Tra le originali produzioni che Agostino Branca e il suo staff realizzano periodicamente, anche la linea “Premi”, opere originali destinate a solenni cerimonie di premiazione, come è accaduto lo scorso giugno presso il Consolato Italiano a New York, alla presenza di parlamentari italiani e dello stesso artista salentino, in un evento organizzato dall'On. Fucsia Nissoli per la consegna di riconoscimenti realizzati appositamente dalla “Bottega Branca

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Italy” ad Armando Varricchio, Ambasciatore Italiano negli Stati Uniti d’America e al nuovo Console Generale d'Italia a New York, Ministro Plenipotenziario Francesco Genuardi. Recentemente, come un novello Marco Polo, anche Agostino Branca, insieme alla figlia Agnese, hanno raggiunto la Cina, patria dell’antica e preziosa porcellana, per esporre le sue opere alla Biennale "China Art Industry Expo" presso la Galleria Gozone Art Museum, una delle maggiori del Villaggio degli Artisti di Songzhuang a Pechino, evento organizzato tra il 29 settembre e il 5 ottobre scorsi dal Ministero dei Beni Culturali Cinese e dalla Municipalità di Pechino, dal distretto di Tongzhou, l'ENIT e l'Istituto Italiano di Cultura. Gli artisti partecipanti all’evento artistico provenivano da oltre 40 Paesi e rappresentavano tutte le discipline artistiche. La delegazione italiana composta da 8 artisti del Salento e del Veneto, invitata e ospitata dal Gozone Art Museum di Song Zhuang, era guidata dall'Associazione Culturale "Il Filo di Seta",


foto di Maurizio Antonazzo

un’organizzazione che promuove scambi culturali internazionali. La delegazione ha presentato un programma ricco di attività e iniziative, attraverso le performance di stone balancing, le esposizioni di opere d'arte, workshop, poesie, musiche, incontri e altre suggestioni. La visita di questo gruppo di artisti è stata un'occasione di scambio culturale, in cui alcune peculiari espressioni del Made in Italy, che hanno attirato l’attenzione della popolazione cinese e internazionale. L'evento artistico è stato ideato per sperimentare un modo sincero e immediato di comunicazione e proporre, in tempo reale, quanto avviene nel villaggio di Song Zhuang e negli angoli di Pechino. Per far conoscere la comunità artistica più famosa del mondo in Cina, così come la sua cultura, la sua arte e la sua storia, per coloro che sono curiosi di vedere angoli di un altro mondo e conoscere gli aspetti più sconosciuti della vita quotidiana di questo popolo. Le opere in ceramica artistica della recente collezione di Bottega Branca esposte in Cina, erano state selezionate dall’organizzatrice June Liu, inoltre,

Agostino Branca e la figlia Agnese, durante la manifestazione hanno realizzato laboratori e performance della lavorazione ceramica italiana, pugliese e salentina, sorprendendo i numerosi visitatori locali. Non solo in Estremo Oriente,ma anche la Polonia ha avuto la possibilità di ammirare i lavori e i colori delle preziose ceramiche artistiche di Agostino Branca e del suo staff. In occasione della Settimana della Lingua Italiana nel Mondo, dal 17 al 23 ottobre scorsi, nella città di Stettino, la Fondazione Nikolaos, in collaborazione con Assoapulian, hanno scelto l’artista del Capo di Leuca come ambasciatore dell’eccellenze pugliesi in "I Colori di Puglia", un percorso enogastronomico e turistico del tacco d'Italia, una vetrina privilegiata del Made in Puglia". L’evento finanziato dal Comune di Stettino, realizzato in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Bari, il Centro Culturale Pomerania occidentale Stara Rzeznia-Szczecine l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia. Il progetto presentava una nuova strategia di marketing territoriale tra la Città di

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Bari e quella polacca, città gemellate e collegate alle differenti forme d’arte presenti sui territori, al fianco di istituzioni come la Regione Puglia e la Camera di Commercio di Bari. New York, Pechino e Stettino, le ultime tre città che ha avuto la possibilità di esporre le opere artistiche di Agostino Branca e del

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suo staff, che si aggiungono alle tante città italiane ed estere che già avevano avuto la fortuna di far ammirare ai propri abitanti i manufatti a base di argilla mirabilmente realizzati e decorati e in futuro saranno molti coloro che in altre località del mondo rimarranno estasiasi dai lavori dell’artista salentino.


Nel riquadro Andrea Carandini, sotto veduta di Roma foto di Ines Facchin

ZooM sUgli angoli di roMa antica incontri di andrea carandini

Sei incontri al Teatro Eliseo per scoprire gli angoli nascosti nelle mura aureliane

ROMA. Dopo il grande successo delle Passeggiate nell’antica Roma della scorsa stagione, il professore emerito di Archeologia Classica Andrea Carandini torna con una nuova serie di incontri, questa volta dedicati agli angoli più nascosti entro le mura aureliane. Un ciclo di sei conferenze, nelle quali si porterà in primo piano una selezione di monumenti e contesti di Roma tra l’età regia e la tarda età imperiale. Nei vari quartieri della città antica, dal centro alla periferia, si scenderà in picchiata su imponenti e fastose opere architettoniche e su monumenti più piccoli, austeri e nascosti. Il mutevole e variegato paesaggio urbano sarà illustrato da Carandini non solo attraverso le ricostruzioni degli edifici e dei loro contesti, ma anche con il racconto di alcuni degli eventi più importanti o curiosi della storia di Roma. Ed ecco uno sguardo al calendario. Si comincia il 14 novembre con Scauro invade case altrui, la casa natale di Augusto. Si partirà dalla pendice del Palatino di età tardo-repubblicana che ospitava case di un lusso tali che, nell’atrio di una di queste, erano addirittura presenti colonne alte oltre undici metri, successivamente trasferite al teatro di Marcello, in Campo Marzio. Sempre al Palatino si esploreranno templi del divino Augusto posti ai suoi angoli. Templi del Quirinale sarà al centro dell’evento del 23 gennaio. Per ricollocare nello spazio alcuni degli edifici templari più importanti di Roma è necessaria una precisa analisi della topografia e dell’orografia del luogo che permetta di comprenderne il paesaggio. Dopo ciò si potranno collegare dati archeologi e fonti letterarie per ricostruire le archi-

tetture del Tempio di Quirino, dio della città protourbana, e di quello di Ercole e Dioniso, il maggiore di Roma e dell’impero. Il 27 febbraio occhio a Il quartiere più chic del Palatino La storia del passaggio dalla tarda età repubblicana alla prima età imperiale sarà rivissuta attraverso le vite dei protagonisti della scena politica e delle loro dimore. Attraverso i passaggi di proprietà, le distru-

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Nella foto l’attore e regista Salvatore della Villa

zioni e le ricostruzioni si ripercorreranno gli eventi e le vite dei personaggi che dominarono uno dei periodi più tumultuosi della storia romana. Tema del 20 marzo: I due palazzi: di Tiberio e di Domiziano. In età imperiale il Palatino sarà di appannaggio esclusivo degli imperatori che lo trasformeranno gradualmente nell’enorme reggia le cui rovine dominano ancora il centro della città. Il 10 aprile si parlerà de Il set privato e pubblico di Nerone Il paesaggio della città antica, a nord della Sacra via, era segnato da un monticello, la Velia, che fu di importanza capitale sin dagli albori della città. Non rimane ormai quasi nulla di questa altura che

ospitò i banchetti di Nerone e importanti edifici pubblici, ma i resti archeologici, le fonti letterarie e alcuni documenti rinascimentali permettono di ricostruire la topografia di questo luogo. Infine, il 15 maggio focus su Adriano: tre templi del Campo Marzio. Sotto il regno dell’Imperatore Adriano furono realizzate alcune delle architetture più stupefacenti dell’antichità. Alcune di queste occupano la zona centrale del Campo Marzio e ancora oggi caratterizzano il suo paesaggio. Teatro Eliseo Via Nazionale 183, Roma Biglietto € 10,00, Studenti € 1,00. Prenotazioni a cultura@teatroeliseo.com

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attrattori di armonia Dal 17 novembre con lo spettacolo "Il Grigio" di Giorgio Gaber e Sandro Luporini (con musiche originali di Gianluigi Antonaci e video a cura di Andrea Federico) prenderà il via a Galatone, in provincia di Lecce, “Attrattori di Armonia. Preludio di stagione”, rassegna teatrale a cura della Compagnia Salvatore Della Villa che proseguirà sino al 3 gennaio tra il Teatro Comunale, il Frantoio del Palazzo Marchesale e il Castello di Fulcignano. Tra gli ospiti Teatrodanza Duende, Simone Franco, Teatro della Fede, la Fondazione Giuliano Accomazzo, Officina Chinaski/Sounday, Enrico Lo Verso con Uno Nessuno Centomila di Luigi Pirandello in un adattamento scritto e diretto da Alessandra Pizzi. E con “Attrattori di Armonia" gra-

zie ad alcuni matinée le scuole incontrano il teatro e a latere del ricco cartellone anche attività di formazione rivolta al pubblico. Dal 5 al 9 dicembre (ore 18 -20) nel Teatro Comunale spazio al workshop di formazione attoriale con Marina Polla de Luca, autrice, interprete e regista; in programma anche il laboratorio teatrale per bambini e ragazzi "Il gioco dei quattro cantoni", gli incontri (post spettacolo) con alcune delle compagnie ospiti coordinati da Domenica Muci e le prove aperte dello spettacolo Caligola. Info: 0833.864941


FUORI DA 50 ANNI La tipografia Tiburtini nasce nel 1960 e sin dalle sue origini ha manifestato nel lavoro di ogni giorno la sua vocazione all’innovazione e alla qualità del servizio. La passione per questo lavoro e la curiosità di sperimentare strade insolite ha portata negli anni a maturare una grande esperienza nella stampa di materiali di ogni tipo. Grazie alla sua storia, oggi Tiburtini vanta una capacità produttiva, un know-how e una vocazione al problem-solving raramente riscontrabili in altre aziende del settore. Ecco perché, dopo il trasferimento nella nuova sede, Tiburtini si propone a livello nazionale e internazionale come struttura di riferimento per lo sviluppo di progetti di stampa particolarmente complessi e fuori dal comune. Oltre alle tradizionali attività di stampa e cartotecnica, offre infatti apprezzatissimi servizi di consulenza e prototipazione rapida (Quick Mock-up) ai reparti creativi e di sviluppo delle aziende clienti. La nostra missione è affiancarvi nelle produzioni fuori dal comune. Grazie al know-how tecnico sviluppato nel corso di 40 anni di esperienza sul campo, siamo infatti in grado di affrontare tutti gli aspetti produttivi e logistici di stampa e prestampa.


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