un murales per siani
steve mccurry
L’opera realizzata dagli orticanoodles per ricordare il giovane giornalista del Mattino
si è conclusa ad otranto ma riapre a Palermo Icons la mostra del fotografo statunitense
anno 1163 numero 10 ottobre 201 6
Anno XI - n 10 ottobre 2016 -
MAssIMo PAsCA
colombia la pace negata Le riflessioni della giornalista e scrittrice Ada Donno di ritorno dal XVI Congresso della Fdim, Federazione Democratica Internazionale delle Donne
si fa a sud il panettone piĂš buono Intervista al pasticciere Giuseppe Zippo di specchia recentemente premiato al Panettone Day che ci ha svelato i suoi segreti e i suoi progetti futuri
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDIToRIALE
In copertina e sopra Affrida una Lacrima al Vento di Massimo Pasca
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Lucia Accoto, Maurizio Antonazzo, Michele Bombacigno, Guido Buffoni, Mario Cazzato, Carmelo Cipriani, Sara Di Caprio, Ada Donno, Claudia Forcignanò, Giusi Gatti, Peppe Guida, Federica Murgia, Giuseppe Salerno
Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Un altro numero denso di notizie e approfondimenti grazie al contributo di chi crede nel nostro progetto editoriale che punta sul valore della bellezza, la valorizzazione dei talenti e la scoperta. A proposito di scoperte, vi segnaliamo le iniziative che riguardano da vicino due castelli del nostro meraviglioso sud. La sinergia di studiosi, speleologi e l’assessorato alla cultura di Napoli hanno avviato dal mese di ottobre fino al prossimo maggio una serie di visite guidate che permetteranno di scoprire i sotterranei del Maschio Angioino, luoghi inesplorati ricchi di storia e di misteri come l’itinerario esoterico che rivelerebbe nel maniero la presenza del Graal. Aperti al pubblico dalla scorsa estate anche i sotterranei del Castello aragonese di otranto dove si è conclusa con successo la mostra del fotografo steve Mccurry che continua a girare il mondo. Un mondo su cui purtroppo soffiano sempre più prepotenti il vento dell’odio e della disinformazione come ci spiega Ada Donno nel suo reportage dalla Colombia. Il rapporto tra territori e luoghi è uno dei punti cardine della nostra rivista e ben volentieri accogliamo il contributo dello storico dell’arte Giuseppe salerno che è ritornato sull’installazione di Christo realizzata sul Lago d’Iseo. E sempre del legame tra arte e luoghi parla il critico Guido Buffoni riferendosi alla mostra di Lughia nelle chiese di Fabriano mentre grazie al reportage di Beppe Guida entriamo in punta di piedi nella bellissima Villa Pignatelli... Nel solco della valorizzazione di talenti, con un occhio particolare a quelli del territorio, vi segnalo le interviste al pasticciere Giuseppe Zippo premiato a Milano per il suo panettone celebrato come il più buono d’Italia, al cantautore Gianluigi Cosi impegnato in un progetto artistico che rende omaggio all’indimenticabile Rino Gaetano e, infine, all’artista Massimo Pasca recentemente selezionato per la sua ricerca artistica al Premio Città d’Isernia e al quale abbiamo voluto dedicare la copertina rendendo omaggio grazie al suo segno all’artista messicana Frida che ci ha lasciato straordinari capolavori insieme alla testimonianza del suo impegno civile e dell’amore per la vita, nonostante tutto.
soMMARIo luoghi|eventi| itinerari: conoscere villa pignatelli 18 famiglie al museo 26 |o’ maggio a totò 29| itinerarte 31| ad otranto tra storia e leggenda 42| un inedito maschio angioino 54| a napoli la peace run 74| visite ai giardini di pietra 87 arte: un murales per giancarlo siani 9|omaggio al giappone 14 incontri 28 “momentum” di gianfranco basso 46 |l’urlo nero di de giovanni 49| i templi della poesia 52 steve mccurry e la bellezza spudorata del mondo 70 musica: piano city napoli 10| equalart. tre salentini a màlaga 41 festival verdi 82 | cinema: otranto film fund festival 8 |fuocammare candidato agli oscar 30 |la festa del cinema di roma 72 |matera sport film festival 76 i luoghi della parola: ancora su christo 12 amori letterari 36 | gaetano stella, il primo ammodernatore di lecce 60|colombia, la pace negata 77 teatro|danza: principio attivo teatro in tourné 88 libri|scuola|concorsi: luoghi del sapere 32-35 |domenica di carta 27 con the big draw disegna anche chi non sa farlo 64| occhio allo scatto 65 | dal libro al concorso canoro 81 I luoghi nella rete|Interviste: intervista all’artista massimo pasca 4 intervista al cantautore gianluigi cosi 67 verdi museum 83| intervista al pasticciere giuseppe Zippo 84 | Numero 10 - anno XI - ottobre 2016
foto di Massimo Pasca
di segno in segno. l’arte di massimo pasca tra visioni, ironia e impegno Antonietta Fulvio
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L’artista salentino selezionato al Premio Città d’Isernia nell’ambito del "Progetto integrato Molise Arte e Cultura" 2016 LECCE. Ironico, incisivo, intraprendente e indipendente. Sono questi gli aggettivi che ben si prestano a descrivere Massimo Pasca e la sua arte. Sul suo profilo facebook ama definirsi pittore, musicista instancabile irrealista. Salentino di nascita, toscano d’adozione, per anni infatti è vissuto a Pisa città che ha rappresentato anche l’inizio della sua carriera artistica. Il ricordo va al 1998, alla stazione centrale dove su circa quaranta metri Massimo Pasca realizzò un murales sul tema dell’apertura delle frontiere. Poi vennero il Geko Gigante per la manifestazione Station to Station alla Leopolda di Firenze e l’Ossimoro Vivente sotto le Logge dei Banchi solo per ricordare gli esordi di un percorso seguito da numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali. Con la sua particolarissima tecnica riesce a riempire tutto lo spazio pittorico generando in un contemporaneo horror vacui un labirinto di segni, curve, linee che sono poi a ben guardare abozzi di figure, occhi che scrutano, gesti che scandiscono la tela con un ritmo simile a quello delle scale musicali, riuscendo ad impaginare visioni disincanta-
te della vita e dei rapporti umani. Sempre sul filo dell’improvvisazione, della velocità del gesto che traduce le immagini generate da una vis creativa capace di attraversare l’arte classica, la pop art e il surrealismo rinnovandosi ogni volta. Lo scorso 26 settembre (ore 18), nell’Auditorium Unità d’Italia di Isernia, è stato tra gli artisti italiani selezionati per la mostra P.A.C.I. 2016 – Premio Auditorium Città di Isernia, giunto alla sua 4^ edizione nella sezione dedicata agli artisti ospiti provenienti da altre regioni d’Italia. Il finissage è previsto per il 30 ottobre 2016 con la presentazione del catalogo. Abbiamo incontrato l’artista Massimo Pasca nel suo atelier, di ritorno dal vicino Molise, dove ha partecipato alla mostra Premio Città d’Isernia nell’ambito del “Progetto Integrato Molise Arte e Cultura”. Un riconoscimento importante che costella un percorso fantastico. Una gran bella soddisfazione, essere selezionati per la propria ricerca artistica tra gli artisti italiani ai quali quest’anno il Premio Città d’Isernia ha dedicato
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una sezione a parte. Per l’occasione ho portato all’Auditorium due opere, Gioconda ma non troppo e Affrida una Lacrima al Vento.
Una gioconda non tanto gioconda poiché nella nostra epoca da Madonna di gusto stilnovesco è costretta in una società fallocentrica ad aggredire per difendersi come mostra il suo
sguardo, non assorto, ma cinico e inquietante come la lama insanguinata che stringe tra le mani, chiaro riferimento all’episodio di cronaca di Lorena Bobbit... L’esigenza di questo lavoro nasce come per altri dall’esigenza di sottolineare l’importanza di certe storie o personaggi che mi piace rielaborare in chiave ironica e spesso amara come amo rielaborare immagini già conosciute dal pubblico perché capolavori della storia dell’arte. Diversamente in Frida hai voluto rappresentare la grande protagonista della pittura messicana, evocando uno dei suoi celebri autoritratti, una donna
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emblematica della forza e dell’amore per la vita nonostante le atroci sofferenze patite nel corso della sua esistenza. Sullo sfondo tra i cactus messicani il marito, il pittore muralista Diego Rivera, e una bomba con un fiocco, rappresentazione grafica dell idea che André Breton: ("La sua arte è come un fiocco legato aduna bomba") aveva della sua pittura. Le tue creazioni diventano una sorta di lente per analizzare la società contemporanea, tra vizi e virtù, l’arte è anche racconto del proprio tempo... Per me l’arte è soddisfare l'innato bisogno di conoscenza attraverso una emozione estetica. Spesso mi trovo a riflettere su quanto l’arte contemporanea abbia ancora bisogno di scrollarsi di dosso vizi del recente passato, retaggi di quel periodo che va dalla Transavanguardia in poi. Prima arte e società viaggiavano
in basso foto scattata da Alessandra Tommasi durante la mostra allestita a Specchia; nella pagina accanto Gioconda ma non troppo
che intuisco, stando tra la gente. Come nasce il tuo segno? Prendendo spunto dalla scrittura automatica, tanto cara ai surrealisti, cerco di seguire il mio ritmo interiore e farlo dialogare con la musica, la poesia, il rumore, e una serie di stimoli uditivi, per arrivare al segno. La variazione di intensità o di enfasi è qualcosa di riscontrabile nella maggior parte delle opere venute fuori dai live painting, opere molto diverse da quelle in cui l’icona è portatrice di messaggio. Come nell’opera realizzata questa primavera a Dijon in Francia... Sì, la direzione artistica della decima edizione del Festival Italiart contemporain et tradititionnel di Dijon mi ha proposto di esporre nello storico mercato di Dijon, quello tutto in ferro, disegnato da Gustave Eiffel. è stato un lavoro impegnativo anche dal punto di vista pratico, visto che ho dovuto lavore sull’alluminio e su grossi formati, affrontando il concetto di tempo.
a braccetto, poi ci si è concentrati esclusivamente sul pensiero oppure sull’esibizione dello sfarzo fine a se stesso, non piu osmosi ma solo chiusura e confronto tra addetti ai lavori. In questo putrido mare ci sguazzano ancora in molti, che hanno ereditato quella sorta di snobbismo, attualmente fuori luogo e fuori dal tempo. Ecco che le correnti più interessanti e fuori da quei meccanismi, una volta emerse, sono state attaccate di nuovo. Persisto-
no finti artisti e finti intellettuali ai quali conviene non far capire, quando è palese che la gente vuole non solo vedere. Ma capire. Spiegando l’arte del passato si potrebbe capire come mai oggi siamo in questo contesto storico, per certi versi già visto. Per chi conosce la storia dell’arte abbastanza prevedibile. di cosa parlano gli artisti? della ricerca fine a se stessa non frega niente a nessuno, del decorativismo fine a se stesso neppure. Questo è quello
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Un concetto molto caro alla tua pittura, ricordo anni fa la mostra alla Galleria Bernardini di Lecce, che ebbi il piacere di curare, “Il cane che si morde la coda”. Cosa hai realizzato per Hellas? Ho rivisitato in chiave ironica l’immagine classica del paradosso di Zenone (dove Achille e la tartaruga non corrono più come prima), ho messo in bocca a Kronos i soldi al posto dei figli, e ho fatto ferire Kairos con la lama su cui tiene in bilico la bilancia Immancabile l’omaggio al filosofo francese Gilles Deleuze e a Carmelo Bene e, giusto per restare in Puglia, subito dopo
la Francia sei rientrato nella capitale per esporre il tuo Sant’Oronzo a Roma... Sì la mostra si intitolava Exit Voto - 110 artisti italiani portano i loro “santini” nel cuore di una Roma che si muove lenta nell'iter del nuovo Giubileo. Ho rappresentato il patrono di Lecce sant’Oronzo, una china su carta, con questa didascalia: Sant'Oronzo è un santo, è una piazza, dove risuona la voce di Tito Schipa, è chiese sullo sfondo è segno verso il mare, nella destra un pasticciotto. Della storia, è quel che ci rimane. Sono ironico nel dire questo, ma c'è un fondamento di verità.
fronti di nessuno con i miei rifiuti, ma solo coerente con il mio percorso che cerca comunque nella dimensione del sogno e del surreale di occuparsi della realtà che lo circonda. Sei davvero instancabile e siamo sicuri che stai già lavorando a qualche altro progetto imminente. Qualche anticipazione per Arte e Luoghi? Tra pochi giorni, dal 7 al 9 otto-
Rimane molto invece delle esperienze di quest’estate 2016 che ti ha visto protagonista ancora a Roma, di “Blackstardust”, la rassegna dedicata a David Bowie, poi nel tuo Salento, a Muro Leccese, per “Darkroom project+ Art Tag 2016” e ancora a Matera per il live painting al Parco del Castello Tramontano nell’ambito dell’Urban Street Art Matera Art festival in collaborazione con MOMART Gallery. E ancora, in luglio hai partecipato alla collettiva Punto di Rottura/Qualcosa è successo realizzata con il supporto di Circoloquadro (Milano) a 15 anni esatti dalle giornate del G8 di Genova. Che si tratti di ricordare una grande star del rock o i tristi eventi di cronaca italiana, la tua arte è sempre più impegnata? Sì sono state diverse collettive interessanti e sicuramente positive. Oramai seleziono accuratamente le mostre nelle quali vengo invitato, se non sono sulla mia lunghezza d'onda, rifiuto. Non voglio essere sgarbato nei con-
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bre sarò a Lucera ospite del 5 Poinz Italy Festival delle Culture Metropolitane dove eseguirò un live painting dedicato alla figura di Federico II, lo Stupor Mundi. Posso di sicuro anticipare il titolo: Stupor Mundi VS “Stupor” Puglie. Immagino già un Federico II che si stupisce delle contraddizioni della nostra bellissima regione, e per ora vi anticipo solo che sarà un lavoro di grosse dimensioni.
otranto film fund festival premiato “sole alto” di matanic
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Pioggia di premi sul festival idruntino
OTRANTO (LECCE). è Sole alto (Croazia, Slovenia, Serbia, 2015) di Dalibor Matanic il film vincitore dell’ottava edizione di OFFF – Otranto Film Fund Festival organizzata dal Comune di Otranto con la Fondazione Apulia Film Commission e l'Istituto di Culture Mediterranee e diretta da Luciano Schito che anche quest’anno ha fatto registrare una grande affluenza di pubblico. La giuria, presieduta da Stefania Rocca e composta da Alessandra Acciai, Luca Lionello, Giorgio Magliulo, Edoardo Winspeare, ha assegnato il premio alla pellicola di Matanic “Per la sorprendente ed emozionante intensità del racconto che attraverso uno stile originale e perfetto, dove : macchina da presa, luoghi geografici, suono, silenzio e recitazione degli interpreti si fondono in una sinfonia che arriva dritta al cuore dello spettatore lasciandogli dentro un monito. è proprio quel cuore umano l'unico responsabile del bene o del male dell'amore o dell'odio, della compassione o della crudeltà e mai come
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in questo momento storico dobbiamo farne tesoro.” La giuria dei critici, composta da Luigi Abiusi, Luca Bandirali, Massimo Causo, Anton Giulio Mancino ha assegnato il Premio della Critica a Krom (Albania, 2015) di Bujar Alimani, con la seguente motivazione: “Per aver trasformato un clima di sospensione e di distanza familiare in un’allegoria lucida, visivamente rigorosa sulle dinamiche sociali, culturali e generazionali dell’Albania contemporanea.“ Il Premio Unisalento 2016, assegnato dalla giuria composta da studenti selezionati dal corso di Laurea di Cinema, Fotografia, Televisione, Scienze della Comunicazione, Università del Salento
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coordinata da Luca Bandirali va a Smac (Grecia, 2015) di Elias Demetriou, perché “riesce a raccontare le relazioni personali come relazioni economiche, costruendo un congegno narrativo capace di rovesciare più volte gli schemi; il raffinato progetto drammaturgico trova un ulteriore rilancio in una messa in scena calda ed empatica in cui risalta la performance di Yannis Kokiasmenos.” Il Premio speciale delle Giurie è stato assegnato a Non essere cattivo di Claudio Caligari (Italia, 2015), “Per lo slancio tragico tradotto in un’esemplare parabola sull’amicizia, l’amore e il valore ultimo del fare e sentire profondamente il cinema.”
foto ufficio stampa Comune di Napoli
un murales per giancarlo siani verità e legalità... in un sorriso
a ricordare alle future generazioni chi era Giancarlo, la sua voglia di vivere, la passione per il suo lavoro. Il suo sorriso di uomo libero, di un cronista diventato martire per la ricerca di verità, per affermare il valore della legalità. Una corona di fiori è stata poi depositata sulle rampe a lui intitolate poco lontane da via Romaniello.
NAPOLI. Nel giorno del 31° anniversario della morte di Giancarlo Siani, il 23 settembre, la città ha voluto ricordare il giovane giornalista de Il Mattino, il suo impegno civile in difesa della verità e della legalità. In mattinata è stato inaugurato il murales in via Romaniello dove Giancarlo Siani abitava e fu assassinato vigliaccamente dalla camorra. Una bellissima opera di street art curata dagli Orticanoodles (pseudonimo del duo Wally e Alita) e promossa da In Ward Osservatorio sulla creatività urbana, realizzato grazie ad una campagna di crowdfunding. “Per tanti anni via Vincenzo Romaniello è stata una strada da evitare. Un anfratto oscuro e sinistro. Una via di passaggio che metteva malumore e tristezza. Un fatto di pelle. Una percezione sensoriale. Un lutto sospeso e da elaborare.” - ha scritto il giornalista Arnaldo Capezzuto. Finalmente i colori, che ritraggono il sorriso di Giancarlo con il simbolo della pace disegnato sul suo volto, la sua macchina da scrivere e la sua Mehari - evocati anche dall’utilizzo dei toni prevalenti di grigio e verde - saranno lì per sempre a ricordare con fierezza che la camorra si può vincere e
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piano city napoli. e la città diventa un salotto ottocentesco
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Dal 13 al 16 ottobre il festival del pianoforte. In prima esecuzione assoluta 21 pianoforti in piazza del Plebiscito
NAPOLI. Ritorna Piano City Napoli, dal 13 al 16 ottobre con oltre 250 eventi diffusi tra abitazioni private, musei, scuole e piazze del capoluogo partenopeo. Nato da un’idea del pianista tedesco Andreas Kern, il festival del pianoforte reintroduce l’usanza, diffusa a Napoli nell’Ottocento, del salotto come dimensione più ravvicinata della musica, creando un momento culturale e musicale più spontaneo e vicino alla quotidianità. Due secoli dopo, Piano City Napoli, organizzata dal Comune di Napoli in collaborazione con l'Associazione Napolipiano,
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diventa passe-partout per 60 salotti napoletani che riaprono al pubblico in una festa del pianoforte e tutte le sue possibili suggestioni: dalla classica alla contemporanea passando per il jazz. La direzione artistica , in collaborazione con il pianista tedesco ideatore di Piano City Andreas Kern, è affidata a Dario Candela e Francesco D’Errico affermati pianisti napoletani. Piano City è un festival fatto dai napoletani per tutti coloro che amano Napoli e il pianoforte: fuori dagli schemi, senza discriminazioni di genere musicale, luoghi ed età, con al centro l’amore, l’energia e la gioia della musica, spiegano gli organizzatori. E a suonare saranno più di 300 concertisti professionisti, studenti e semplici amatori che, grazie alla loro partecipa-
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zione, hanno contribuito a costruire un programma originale ed eterogeneo. Saranno 60 gli House Con-
certs previsti all’interno del ricco e diversificato programma di Piano City che prenderà il via il 13 ottobre con uno straordinario evento che vedrà in piazza del Plebiscito ben 21 pianoforti in prima esecuzione assoluta diretti da Mariano Patti. Ma perché 21? “Scrivere musica per "Piazza del Plebiscito" significa pensare alla geometria della piazza, all'emiciclo delimitato dal colonnato, alle risonanze del porticato, agli echi, agli ampi spazi, nei quali il suono dovrà espandersi e prender corpo come una scultura”. - spiega il pianista e compositore napoletano Patrizio Marrone che aggiunge “21 sono gli spazi tra una colonna e l'altra di quella sezione dell'emiciclo destinata ad accoglierli. Ma i pianoforti potrebbero anche essere 42 o molti di più, potrebbero riempire l'emiciclo o l'intera piazza, perché essi suoneranno all'unisono con l'anima della città”. Una città che si prepara ad essere la protagonista di un grande happening intorno al pianoforte con grandi pianisti tra i quali Andreas Kern, Ramin
Bahrami, Adam Rudolph per fare qualche nome e tra gli ospiti per un eccezionale fuori programma il pianista Danilo Rea e Sue Song mentre Enrico Pieranunzi chiuderà la kermesse nel chiostro di Santa Caterina a Formiello. Cuore del festival, il Complesso Monumentale di S. Paolo Maggiore che ospiterà la maggior parte degli eventi ma altrettanto imperdibili concerti avranno location di prestigio, per citarne alcune: il Maschio Angioino, il Complesso monumentale di San Domenico Maggiore, il Museo Archeologico, le stazioni metropolitane di piazza Garibaldi e piazza Municipio e l’Aeroporto internazionale. Oltre alla sede principale gli eventi saranno distribuiti infatti in circa 60 sedi pubbliche diffuse per la città, tutte con ingresso gratuito. Per assistere ad un House Concert basta collegarsi al sito, www.pianocitynapoli.it, scorrere il programma nella sezione House Concert, scegliere il pianista preferito e prenotare il concerto compilando un modulo con i propri dati. (an.fu.)
the floating piers. ancora su christo Giuseppe Salerno
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Un contributo critico sull’installazione dell’artista sul Lago di Iseo
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ersino Ballarò nel chiudere i propri battenti non si è risparmiata dal mandare in onda uno sciatto servizio dedicato a The Floating Piers, la vistosa passerella galleggiante che, installata dall’artista Christo sul Lago di Iseo, ha cambiato la geografia del territorio stravolgendone le abitudini per 16 giorni. Larga 16 metri si è estesa per 90.000 metri quadrati ricavati su 220.000 cubi di polietilene ricoperti di tessuto giallo. L’opera poteva essere percorsa a piedi, osservata dall’alto dei monti circostanti, vista dall’acqua a bordo di gommoni, sorvolata a volo d’uccello con l’elicottero e, per chi al Lago d’Iseo non avesse proprio potuto recarsi, una Webcam ha trasmesso 24 ore su 24 le immagini dell’immensa struttura mentre veniva calpestata da quel milione e trecentomila persone che non avevano nulla di meglio da fare. Philippe Daverio ha definito “The Floating Piers” una “baracconata”. Vittorio Sgarbi non la ha neppur lontanamente presa in considerazione dal punto di vista artistico e l’ha definita “un ponte verso il nulla” sottolineandone la mancata funzione di condurre il pubblico verso le bellezze della natura e della storia che attorniano il lago. Lontano da queste considerazioni che nulla ci dicono dell’arte e al di là delle non secondarie implicazioni di natura estetico/concettuale connesse al meccanismo di apparizione/sparizione, ritengo che quell’opera sia nella sua complessità una splendida metafora del mondo d’oggi. è una realizzazione
colossale (per dimensioni, impegno economico e realizzativo) progettata per esistere soltanto pochi giorni al pari di molte architetture contemporanee (i grattacieli di Hong Kong demoliti per lasciare spazio a nuovi edifici più alti o, per restare in Italia, l’Expo di Milano smantellato immediatamente dopo la sua conclusione) e di quelle realtà, sempre più numerose, declassate ad oggetti di consumo rapido, il cui principale effetto è di produrre spropositate quantità di rifiuti. Il carattere della temporaneità e dell’impermanenza che connota il nostro tempo ha centralità nell’opera di Christo insieme alla natura altamente inquinante delle materie utilizzate. Un’opera relazionale che, per il suo essere percorribile, si contraddistingue da precedenti lavori dello stesso autore. L’instabilità, lo stato di incertezza, la precarietà vissute nel quotidiano da un’umanità vagante sono le condizioni offerte alle decine di migliaia di persone che, senza alcuna meta, hanno attraversato ogni giorno le acque sul pontile fluttuante. Un’opera colossale, i cui costi sono nella distruzione di ingenti risorse naturali e nel grave inquinamento che ne segue, si confronta con l’oceanica partecipazione di un pubblico “convalidante” che la trasforma, oltre che esserne metafora, in contenitore essa stessa di quella collettività che ha da tempo smarrito il senso delle cose; un immenso baraccone sostenuto dal “venghino, venghino!” di una comunicazione che tutto riduce a spettacolo. Un grande baraccone che non si fa scrupolo neanche di fronte a intermi-
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nabili colonne di migrantes in cammino verso il nulla! Nell’inglobare e dare centralità al vuoto bisogno di esserci, al presenzialismo di quanti hanno rinunciato ad essere, The Floating Piers, avvalendosi degli stessi meccanismi perversi che governano l’oggi, scatena indignazione in chi per le medesime nefandezze nelle quali è immerso ogni giorno mostra la più totale indifferenza. Un’opera dunque complessa che
arruola un’umanità incapace di sottrarsi al richiamo della sirena. Si va per esserci: non il millantato “c’ero anch’io” d’una volta, ma un inequivocabile “ci sono!” certificato in tempo reale sul web dal selfie. Un’opera poi che scandalizza a confermare il ruolo dell’arte che è di toccare il sentire e provocare reazioni, non certo di condurre, come è proprio di una passerella e come qualcuno avrebbe auspicato, verso altri luoghi!
The Floating Piers, Lake Iseo, Italy, 2014-16, Photo: Wolfgang Volz, © 2016 Christo
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omaggio al giappone. la fotografia nipponica si svela Sara Di Caprio
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Sette maestri giapponesi in mostra al Museo Civico Pier Alessandro Garda di Ivrea
Non colui che ignora l’alfabeto, bensì colui che ignora la fotografia, sarà l’analfabeta del futuro. La citazione dell’artista ungherese Moholy-Nagy, scritta in tempi non sospetti, oggi assume valore profetico quando ormai, a tutti gli effetti, la civiltà di oggi si nutre, consuma e parla attraverso le immagini. E in un tempo dove oggi tutti sanno guardare ma pochi sanno davvero vedere, la fotografia riesce, attraverso l’obiettivo, a “riflettere” ancora qualcosa a farci conoscere il mondo uscendo dagli schemi, travalicando i luoghi e facendoci attraversare muri e barriere. Al museo civico Pier Alessandro Garda di Ivrea (Torino), dal 3 settembre 2016 fino al 5 gennaio 2017, attraverso l’obiettivo di grandi fotografi contemporanei è
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offerto al visitatore un biglietto di sola andata per il Giappone. Omaggio al Giappone è una mostra che attraverso le 21 immagini di Noboyushi Araki, Yasumasa Morimura, Daido Moriyama, Naoya Hatakeyama, Toshio Shibata, Hiroto Fujimoto e Kazuko Wakayama, provenienti dalla Collezione Malerba, permette di conoscere la fotografia nipponica contemporanea. L’iniziativa si inserisce nel 150° anniversario dei rapporti tra Italia e Giappone. Cornice migliore non poteva esistere perché le fotografie completano il percorso espositivo del museo civico di Ivrea che conserva, oltre ai quadri della collezione Croff, proprio un’importante collezione di arte orientale. L’intera esperienza diventa, quindi, un viaggio. L’esposizione, organizzata
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dal Fondo Malerba, si avvale del testo critico del curatore e storico della fotografia Filippo Maggia. Le opere in mostra consentono di capire l’evoluzione della fotografia giapponese che fino al secolo scorso era strumento realistico utilizzato per la riproduzione fedele dell’ambiente. Oggi, invece i fotografi nipponici non solo diventano turisti-viaggiatori alla ricerca di altri luoghi ma,
soprattutto, sono proiettati alla continua ricerca del sè. Nobuyoshi Araki si lascia fotografare a Venezia tra le maschere del carnevale, non mostrando mai il suo volto ma indossando egli stesso una maschera che sembra uscita dai film di Hayao Miyazaki e che curiosamente richiama nella mente del fruitore italiano il teatro e il testo del grande Pirandello: Uno nessuno e centomila.
Noboyushi Araki, Araki in Venice, 2002, stampa sali d’argento, cm 61x51
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Toshio Shibata, Tajima town, 1999, stampa sali d’argento, cm 61x50
Yasumasa Morimura è da sempre alla ricerca del sé attraverso l’uso della body art e del travestimento. Nelle foto diventa Sophia Loren in un campo di girasoli, la diva hollywoodiana Marilyn, la femme fatale Marlene. Ma non solo cinema, l’artista trasformista diventa nel 1995 Frida che mostra fiera e interrogativa il proprio corpo. Gli scatti di Daido Moriyama tra luci e ombre catturano il Giappone sospeso tra modernità e tradizione. Naoya Hatakeyama immortala invece il suo paese trasformato dall’uomo e in bilico tra rocce calcaree e città di cemento. Toshio Shibata cattura composizioni astratte, motivi naturali e artificiali che si intrecciano in una danza che mostra l’ingegneria umana ma anche il movimento, questa poetica emerge in Tajima town (1999) e sembra quasi defluire in Onakami Village (1994). Hiroto Fujimoto segna sulla pellicola le montagne di Andorra La vella e finisce quasi per disorientare il visitatore portandolo a confondere i confini perché nella foto non vi è il monte Fuji ma Yasumasa Morimura, M’s self-portraits, Sophia Loren, 1995, polaroid, cm 10x13
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Kazuko Wakayama, Bonsai #10, 1997, stampa sali d’argento, cm 40x50
Daido Moriyama, Light and shadow, 1981, stampa sali d’argento, cm 36x44
tutto diventa rarefatto e sospeso. E infine la natura di Kazuko Wakayama che catturando i rami dei Bonsai sorprende il visitatore intrappolandolo nei suoi dettagli. Una mostra da non perdere.
Omaggio al Giappone Museo civico Pier Alessandro Garda Piazza Ottinetti, Ivrea (Torino) fino al 5 gennaio 2017
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Naoya Hatakeyama, LW17607, 1994, stampa sali d’argento, cm 57,5x28,5
Girovagando...Conosciamo Napoli e la Campania
Foto di Peppe Guida, Villa Pignatelli: ingresso, veranda neoclassica; facciata principale della Villa
conoscere villa pignatelli. reportage nella belleZZa Peppe Guida
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Tra i più affascinanti “luoghi della rete” gli itinerari del gruppo Fb ‘Conosciamo Napoli e la Campania’ organizzato da Peppe Guida nella rubrica ‘Girovagando’
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NAPOLI. Un itinerario tra il fascino della storia e la bellezza del paesaggio: Napoli. Riviera di Chiaia. Destinazione: Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes. La villa Diego Aragona Pignatelli Cortes è uno dei complessi sto-
rici più interessanti di Napoli, situata nel centro della città lungo la Riviera di Chiaia. Per volere di Sir Ferdinand Acton, nacque nel Borgo di Chiaja - cuore dell'espansione sette - ottocentesca di Napoli - di fronte alla Vil-
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la Reale di Chiaja, è decorata e arredata secondo lo stile neoclassico del momento. Costruita, su progetto dell'architetto Pietro
Valente, negli anni dal 1826 al 1830, a lui successe Guglielmo Bechi. Nel 1837 muore Sir Acton;
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qualche anno dopo, nel 1841, la Villa fu acquistata dal ramo napoletano dei Rothschild, celebre famiglia di banchieri al ser-
Foto di Peppe Guida, Villa Pignatelli : veranda neoclassica e biblioteca; a lato vestibolo circolare e particolare di un vaso
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vizio dei Borbone di Napoli. Dopo l’Unità d’Italia, sconfitti i Borbone, venne a mancare la fonte di arricchimento dei Rothschild a Napoli, il banchiere decise di vendere la Villa, che fu acquistata dai Pignatelli. Nel 1867 il Principe Diego Aragona Pignatelli Cortes e sua moglie Donna Giulia Cattaneo de’ Principi di San Nicandro comprarono la villa e continuarono i lavori di trasformazione già avviati dai precedenti proprietari. Non avendo figli lasciarono la villa all’omonimo nipo-
te principe Diego e a sua moglie Rosa Fici dei Duchi di Amafi detta Rosina. Nel 1952 la Principessa Rosina Pignatelli (che muore nel 1955) ne fa donazione allo Stato Italiano. Con la donazione la Principessa intese "legare" la Villa allo Stato perché fosse trasformata in un museo destinato a perpetuare il nome del marito, principe Diego Aragona Pignatelli Cortes. Nel 1998 è sistemata la pinacoteca a cura del Banco di Napoli.
la casa della fotografia Le sale del primo piano sono attualmente riservate alla presentazione di mostre periodiche internazionali, a carattere tematico, monografico o collettivo dedicate alla fotografia. è da qualche anno, infatti, che Villa Pignatelli si connota anche come “Casa della fotografia”, tra le mostre allestite si annoverano quelle di Ugo Mulas, Gabriele Basilico, Wim Wenders e la fotografia giapponese della scuola di Yokohama. Uno spazio per il confronto e il dibattito sui temi della fotografia come espressione culturale, che promuove la riscoperta di un patrimonio storico ancora poco noto e la conoscenza di autori e tendenze della fotografia contemporanea a livello internazionale.
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Foto di Peppe Guida, nella pagina precendente il salone da ballo; il salottino pompeiano, la sala rossa; il museo delle carrozze
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Oltre a conoscere le stanze con gli arredi originali Villa Pignatelli ospita il Museo delle carrozze, intitolato al marchese Mario d’Alessandro di Civitanova, che ha sede in alcuni ambienti già adibiti a scuderie e rimesse, collocati al piano terra della Palazzina Rothschild nella parte settentrionale del giardino di Villa Pignatelli. Inaugurato nel 1975 da Raffaello Causa, allora Soprintendente alle Gallerie della Campania, nasce da un’intuizione di Bruno Molajoli, che nel 1960 accolse la donazione della prestigiosa raccolta di vetture che il marchese con grande passione aveva collezionato nel corso di tutta la vita. A questo primo nucleo si aggiunsero altre donazioni dovute alla generosità di alcuni aristocratici quali il marchese Spennati (1960), il conte Dusmet (1962), il conte Leonetti di Santojanni (1973), fino alla più recente donazione Strigari del 1979. La sistemazione del Museo fu curata da Raffaello Causa su progetto dell’architetto Ezio Bruno De Felice, che per l’occasione donò una portantina di manifattura napoletana. Oggi, nei rinnovati spazi del Museo delle Carrozze riaperto dopo un lungo periodo di chiusura nel giugno 2014, è possibile osservare le differenti tipologie di quello che fu il mezzo di trasporto più utilizzato fino al sopravven-
to dell’automobile. L’attuale allestimento, articolato su due sezioni ai lati della Palazzina Rothschild, presenta da una parte l’esposizione di carrozze e calessi, dall’altra i finimenti. Dal 1 settembre a dicembre 2016 è partito il laboratorio “Signori in Carrozza! aperto ai bambini della scuola primaria e ai ragazzi della secondaria di I grado. Durante il laboratorio, calessi e carrozze, insieme ai raffinati finimenti e bardature per cavalli, offriranno preziosi spunti per la creazione di avveniristiche ed ‘ecologiche’ vetture che si sfideranno in una gara di velocità. 848.082.408 da lunedì a venerdì ore 9.00 - 13.00 / 14.00 - 17.00
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famiglie al museo. tra papiri, reperti e caccia al tesoro
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Percorsi guidati e laboratori didattici per conoscere le ricchezze dei nostri musei
Ritorna la“Giornata nazionale delle Famiglie al Museo”, in programma il 9 ottobre 2016, con tantissimi appuntamenti in tutt’Italia. A Lecce, ad esempio si potrà visitare il Museo Papirologico, complesso Studium2000, via di Valesio angolo viale San Nicola, Lecce, dove sarà possibile vedere 400 papiri di varia provenienza e altre importanti testimonianze scritte su supporti differenti. Alla fine della visita guidata un laboratorio per i bambini dai 6 ai 10 anni che avranno la possibilità di realizzare un piccolo manufatto da portare con sé come ricordo dell’esperienza. Info e prenotazioni: 328 9552610. Al Museo Diffuso di Cavallino, piazza fratelli Cervi, Cavallino (Lecce) l’associazione sportiva “Tre Casali” organizza in collaborazione con il Comune e l’Università del Salento la gara podistica “II Trofeo dei Messapi” 9 Km di corsa attraversando il Museo Diffuso. Nell’occasione, dalle ore 9.30 alle ore 12.30, sarà possibile visitare l’area, con i resti archeologici della città messapica di età arcaica, e il Museo Didattico Archeologico. Visite guidate gratuite a cura della cooperativa “Sigismondo Castromediano”. Info: 333 4253408. Il Club per l’Unesco di Brindisi in linea con il tema di quest’anno Giochi e gare al museo, il museo palestra della mente.., un’intera giornata di giochi e visite guidate nei tre musei brindisini: la Collezione Archeologica Faldetta, il Museo Diocesano "Giovanni Tarantini" (con prenotazione obbligatoria al 0831.562800, lecolonnearteantica@libero.it, cell e whatsapp 371.1128126) e il Museo Archeologico Provinciale "Francesco Ribezzo" dove si terrà un laboratorio didattico di Epigrafia latina a cura della dottoressa Barbara De Nicolò, dottore di ricerca in Storia antica presso l'Università di Bari, epigrafista e studiosa di epigrafia brindisina. La Galleria Nazionale di Cosenza, presenta, dalle ore 16.00 alle ore 18.00, la Iª edizione delle ANIMALIADI, una sorta di gara che prevede la ricerca
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degli animali raffigurati nei dipinti custoditi nel museo. Nell'ottica della competizione olimpica, i partecipanti, divisi in squadre secondo nuclei familiari, riceveranno un elenco di animali da ricercare nel minor tempo possibile. La Galleria Nazionale di Cosenza premierà i partecipanti con la Cartella d'Arte, brochure illustrativa realizzata dai Servizi Educativi del museo. In linea con la tematica del gioco e della gara, Al Museo Archeologico Nazionale di Vibo Valentia e al Museo e Parco Archeologico Nazionale di Locri si terrà il Museum Children Ebook ovvero laboratori ludico-didattici durante i quali, guidati dalla lettura delle pagine delle app dedicate ai due musei, saranno rivisitate le meraviglie e i tesori delle collezioni museali. Al Museo Nazionale Archeologico della Sibaritide sarà distribuita ai giovani visitatori che con le loro famiglie visiteranno il museo la mappa tematica elaborata dal Sed del MiBACT. Inoltre, alcuni alunni dell'Istituto di Istruzione Secondaria Superiore di Cassano allo Ionio (CS) prendendo spunto dai reperti archeologici esposti nel museo, racconteranno al pubblico favole di Esopo. Al Museo Archeologico Nazionale di Crotone si terrà invece una Caccia al tesoro che permetterà ai piccoli visitatori di conoscere più da vicino i preziosi reperti del museo. L’elenco degli appuntamenti è davvero lunghissimo, per conoscere quello più vicino basta andare sul sito dedicato: www.famigliealmuseo.it o sul portale del Mibact.
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domenica di carta. una visita all’officina dei papiri ercolanesi
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Visita gratuita ai Papiri Ercolanesi della Biblioteca Nazionale di Napoli
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NAPOLI. In occasione della Domenica di Carta il 9 ottobre 2016, dalle ore 11 alle 17, la Biblioteca Nazionale di Napoli consentirà eccezionalmente la visita all’Officina dei Papiri Ercolanesi, dove sono custoditi i famosi rotoli carbonizzati. Si tratta del più antico fondo librario posseduto dalle biblioteche italiane e straniere, di enorme interesse filologico in quanto ci ha restituito l’opera cardine di Epicuro "Sulla natura", il corpus delle opere di Filodemo di Gadara, e di altri filosofi epicurei. Per il particolare pregio e l'estrema fragilità dei papiri l’ingresso sarà consentito in gruppi (max 30 persone ogni 30 minuti). In Sala Rari è prevista la proiezione di un video sulla Villa dei Pisoni di Ercolano dove nel 1752, a seguito degli scavi voluti da Carlo di Borbone, sono stati rinvenuti i papiri ercolanesi. Al grande sovrano illuminato è dedicata la mostra in Sala Esposizione "Il Regno Ritrovato", che documenta attraver-
so rari autografi, splendidi manoscritti ed importanti libri a stampa, la Napoli di Carlo di Borbone. Nella giornata dedicata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo a conoscere i luoghi storici della memoria ed il patrimonio in essi contenuto, il percorso di visita alla Biblioteca di Napoli comprende non solo la visita alle sale monumentali del primo piano ma anche alla zona museale del “Fondo Aosta” (normalmente chiusa al pubblico), dove nella
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"Sala Africa" sono custoditi animali tassidermizzati e trofei di caccia, insieme ad idoli, gong, oggetti dell'artigianato indigeno, asce, pugnali, lance, fucili, una bella raccolta di minerali ed i reportage fotografici della Duchessa Elena d'Aosta. Sono visitabili inoltre la sezione di musica e teatro Lucchesi Palli ed il Laboratorio di restauro. Ingresso libero dalle ore 11.00 alle ore 17.00. Sono previste visite guidate ogni 30 minuti dalle ore 11.00 alle ore 16.30 (ultima visita).
“Preghiera per l’Europa” opera di Emilio Isgrò
dall’arte contemporanea all’arte della coesistenZa Giuseppe Salerno
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Incontri, una collettiva d’arte nel Palazzo dei Convegni a Jesi e un dibattito sull’arte
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JESI (ANCONA). L’appellativo “contemporanea”, applicato all’arte in stretto rapporto con il tempo ed il luogo in cui si manifesta e di cui è espressione significativa, ha ragion d’essere da quando la società ha preso a trasformarsi con una rapidità sconosciuta prima e l’artista, non più al servizio della committenza, ha guadagnato la propria autonomia producendo espressioni libere di un libero sentire. Sono le specificità di un tempo e di un luogo a suggerire, ispirare e condizionare l’operare dell’artista di nuove tecnologie. Strumenti innovativi si alimentandone il pensiero e l’emozione. Un concet- accompagnano a concettualità nuove che costrinto, l’arte contemporanea, che si risolve nel rappor- gono l’umanità ad un continuo risettaggio, necesto tra l’artista e la società di appartenenza. Per lo sario per affrontare scenari in divenire. Di questo spettatore è contemporanea l’arte di chi, condivi- mutante rapporto tra tempi e luoghi gli artisti si dendo con esso la medesima condizione sono dimostrati attenti testimoni e interpreti con spazio/temporale, si avvale di chiavi interpretative quella che abbiamo chiamato “arte contemporadel mondo circostante a lui ugualmente accessibili. nea”. Sin dalla seconda metà dell’800, con l’introduzio- Qualcosa di assolutamente nuovo e stravolgente ne dello strumento fotografico e poi con la diffu- accade negli ultimi decenni, da quando la telemasione della corrente elettrica, la tecnologia ha tica rende possibile che tempi e luoghi diversi, condizionato i comportamenti e modificato le per loro natura inconciliabili, convivano oggi e capacità percettive costringendo ad una continua dialoghino. Quella che sino a ieri era una prerogaridefinizione dell’arte e dei suoi territori. Con il tiva dell’arte (conciliare l’inconciliabile) è oggi il suo veloce, inarrestabile divenire il 20° secolo ha connotato del mondo che ci circonda. visto nascere, affermarsi e dissolversi numerose Il quotidiano è un’inestricabile groviglio di realtà aggregazioni di spiriti liberi che intorno a pensie- e finzione in una dimensione nella quale coesiste ri e modalità espressive hanno sviluppato scuole, ogni tempo ed ogni luogo. In questa condizione, movimenti, mode e tendenze inesorabilmente nella quale vengono meno le specificità di un destinate, in un rapporto fatto di rincorse ed anti- tempo e di un luogo, ha ancora senso definire l’arcipazioni, ad essere ogni volta soppiantate dai te dei nostri giorni “contemporanea”? nuovi mondi generati dalla continua introduzione “Incontri”, la collettiva d’arte con le opere di Angelo Accadia, Mario Boldrini, Leonardo Cemak, Guglielmo Girolimini, Lughia, Marta Mancini, Martina Marchetti, Luigi Pennacchietti, è inserita nella Giornata del Contemporaneo promossa dall’AMACI. In occasione del finissage si terrà alle ore 18 l’incontro “Dall’Arte Contemporanea all’Arte della Coesistenza”. Parteciperanno: Giancarlo Bassotti, Armando Ginesi, Giuseppe Salerno. La mostra si terrà dall’11 al 17 ottobre 2016 nrl Palazzo dei Convegni, Corso Giacomo Matteotti 19, Jesi (AN). Orario: 17.00/20.00
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maggio dei monumenti 2017 ovvero “ ‘o maggio a totò”
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e nemmeno una riscoperta, perché sull’immagine di Totò questi cinquant’anni sono passati rapidi e leggeri, senza cancellarla, senza nemmeno sbiadirla, così forte e viva è la sua presenza nell’immaginario, nel linguaggio, nella cultura napoletana e non solo. Ritornerà a maggio, per un mese intero nel quale sarà, protagonista nella sua città, nel Maggio dei Monumenti, egli stesso monumento dissacrante alla libertà dell’invenzione artistica, maschera popolare, profondamente napoletana eppure universale, sentimentale e iconoclasta contemporaneamente, Totò, principe della risata, maestro di libertà, strumento per pensare al futuro. E chissà che non sia la volta buona che possa prender forma e sostanza quel museo a lui dedicato nel palazzo dello Spagnuolo, nel cuore della sua Sanità. NAPOLI. Sarà dedicato al Principe Antonio de Curtis in arte Totò, l’edizione 2017 del Maggio dei Monumenti. Totò, morì il 15 aprile del 1967; ai primi funerali, celebrati a Roma, seguì una seconda cerimonia funebre, a Napoli e poi anche una terza, di nuovo a Napoli, nel suo quartiere, la Sanità, il successivo 22 maggio. Intorno a queste date si snoderà anche il filo del ricordo. Al centro di ‘O Maggio a Totò ci sarà, come è giusto, il suo quartiere, la Sanità, che si sta già mobilitando per l’occasione. Protagonista, tuttavia, sarà l’intera città, con un pensiero particolare ai giovani. Tra i giovani e i giovanissimi Totò è popolare come se fosse un loro contemporaneo, un personaggio dei nostri tempi, e forse proprio loro possono dare il contributo più originale per la riscoperta di un personaggio dalle mille sfumature. Non sarà una commemorazione, che il nostro Totò avrebbe forse scongiurato con un gesto scaramantico o sbeffeggiato con una delle sue battute surreali,
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Un’immagine tratta dal film documentario “Fuocammare” di Gianfranco Rosi
fuocoammare candidato agli oscar sul set la leZione di lampedusa
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Il film documentario di Gianfranco Rosi rappresenterà l’Italia
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è “Fuocoammare” di Gianfranco Rosi il film italiano candidato all’89esima edizione degli Oscar. La Commissione di Selezione per il film italiano da candidare all’Oscar istituita dall’ANICA, su invito della “Academy of Motion Picture Arts and Sciences”, riunita davanti a un notaio e composta da Nicola Borrelli, Tilde Corsi, Osvaldo De Santis, Piera Detassis, Enrico Magrelli, Francesco Melzi D’Eril, Roberto Sessa, Paolo Sorrentino e Sandro Veronesi, ha designato il film, già vincitore dell’Orso d’Oro al Festival di Berlino, a rappresentare il cinema italiano alla selezione del Premio Oscar per il miglior film in lingua non inglese. L’annuncio delle nomination è previsto per martedì 24 gennaio 2017, mentre la cerimonia di consegna degli Oscar si terrà al Dolby Theatre di Los Angeles domenica 26 febbraio 2017. “Sono molto felice. Questa candidatura va oltre il mio film”. - ha commentato il regista ringraziando i produttori Donatella Palermo, Paolo Del Brocco di Rai Cinema, Roberto Cicutto, Carla Cattani, Serge Lalou. “In questi 8 mesi il film è stato distribuito in più di 60 paesi. - ha proseguito - E mi sembra sia diventato un film di tutti. In un mondo in cui si continuano a erigere muri e barriere spero che questo film possa seguire le parole di Obama: chi costruisce dei muri costruisce una prigione per sé stesso. Meryl Streep mi disse a Berlino: ‘Vorrei che il tuo film arrivasse agli Oscar’. Sarebbe davvero un sogno portare a Los Angeles Pietro Bartolo, Samuele e Peppino. Ringrazio la commissione per
aver scelto un film documentario a rappresentare l’Italia”. E in America il film uscirà il 21 ottobre insieme ad una retrospettiva che sarà dedicato al regista al BAM, dopo i 3 festival più importanti in America (Toronto, Teluride, New York). “Siamo riusciti ad accendere un faro in Europa. Ora lo abbiamo acceso nel mondo. Questo grazie a Gianfranco. Questo perché io sono un medico. Non sono un attore”. - ha dichiarato Pietro Bartolo il medico di Lampedusa. “Sono anni che volevamo che si accendesse questo faro e spero che attraverso questo messaggio si possa contribuire a dare fine a questa tragedia. La gente comincia a capire e voglio sognare che sarà così. Per me Gianfranco è stato il genio della lampada. Per me io già vinto tutto”. Di certo Fuocammare ha vinto la selezione sugli altri film italiani iscritti: “Gli ultimi saranno ultimi” di Massimiliano Bruno; “Indivisibili” di Edoardo De Angelis; “Lo chiamavano Jeeg Robot” di Gabriele Mainetti; “Perfetti sconosciuti” di Paolo Genovese; “Pericle il nero” di Stefano Mordini; “Suburra” di Stefano Sollima. “Chiunque ha votato non importa, - ha commentato Donatella Palermo - ha votato la coscienza di un paese offeso violentato lasciato. Solo davanti alla più grande tragedia dei nostri tempi. Mi piace pensare che abbiano votato per lo sguardo felice dei bambini raccolti dal mare, per la compassione degli uomini di Lampedusa che li accolgono”.
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antonio da fabriano. la madonna della misericordia
sol leWitt fino al 25 novembre 2016 sTUDIo GIANGALEAZZo VIsCoNTI Milano, C.so Monforte 23 Orari: da lunedì a venerdì, 11.00 - 13.00; 15.00 – 19.00. Ingresso libero l’umbria sullo schermo. dal cinema muto a don matteo Perugia, Palazzo Baldeschi al Corso fino al 15 gennaio 2017 www.fondazionecariperugiaarte.it tel. 075. 5724563 tempi della storia, tempi dell’arte. cesare battisti tra vienna e roma fino al 6 novembre 2016 Trento, Castello del Buonconsiglio Via Bernardo Clesio, 5 tel. +39 0461 492811 i nabis, gauguin e la pittura italiana d'avanguardia Rovigo, Palazzo Roverella fino al 14 gennaio 2017 Via Giuseppe Laurenti, 8/10 tel. 0425.460093 info@palazzoroverella.com
carlo bernardini. dimensioni invisibili fino al 18 ottobre 2016 Aeroporto di Milano Malpensa, Porta di Milano Orari: dalle 8.00 alle 22.00 Ingresso libero. Infotel. 02 232323
riccardo dalisi IDEE IN VoLo fino al 31 dicembre 2016 MUsT, Museo storico Lecce,Ex monastero di santa Chiara Via degli Ammirati, n° 11 mustlecce.it
la divina commedia di venturino venturi fino al 26 febbraio 2017 Firenze, Villa Bardini, Costa san Giorgio 2 da martedì a domenica, dalle 10.00 alle 19.00, (ultimo ingresso alle ore 18.00). Lunedì chiuso Info e prenotazioni:+39 055 20066206 alberto burri: lo spazio di materia – tra europa e u.s.a. Città di Castello (PG), Ex seccatoi Tabacco fino al 6 gennaio 2017 Tel. 0758554649 e-mail: museo@fondazioneburri.org www.fondazioneburri.org carlo bononi. l’ultimo sognatore dell’officina ferrarese Ferrara, Palazzo dei Diamanti 15 ottobre 2017 – 7 gennaio 2018 Mostra a cura di Giovanni sassu e Francesca Cappelletti, organizzata dalla Fondazione Ferrara Arte Informazioni: tel. 0532 244949 www.palazzodiamanti.it la geografia serve a fare la guerra? mappe e arte in mostra Treviso, Fondazione Benetton studi Ricerche,via Cornarotta 7 6 novembre 2016 - 19 febbraio 2017 a cura di Massimo Rossi e con la partnership di Fabrica. Inaugurazione: sabato 5 novembre, ore 18 orario: martedì-venerdì 15-20, sabato e domenica 10-20; ingresso intero: 7 euro, ridotto: 5 euro, 3 € per le scuole tel. 0422.5121 www.fbsr.it
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garry Winogrand. Women (are beautiful) MAN, Museo d’Arte Provincia di Nuoro via s. satta 27, Nuoro fino al 9 ottobre 2016 tel. +39 0784 25 21 10 guttuso. la forZa delle cose fino al 18 dicembre 2016 scuderie del castello visconteo Viale XI Febbraio, 35 - 27100 Pavia Dal lunedì al venerdì: 10.0013.00/14.00-19.00. sabato, domenica e festivi: 10.00 - 20.00. Intero: 12,00 euro Ridotto: 10,00 euro; Audioguida inclusa nel prezzo; scuole: 5,00 euro www.scuderiepavia.com Tel: +39 0382 33676 monet. Quelle ninfee che anticiparono l'informale Mamiano di Traversetolo - Parma, Fondazione Magnani Rocca via Fondazione Magnani Rocca 4 fino all' 11 dicembre 2016 Aperto anche tutti i festivi. orario: dal martedì al venerdì:10-18 – sabato, domenica e festivi: 10-19. Lunedì chiuso tranne lunedì 31 ottobre. Ingresso: € 10,00 valido anche per le raccolte permanenti. Info: tel. 0521 848327 milano scultura Milano, Fabbrica del Vapore - locale Ex Locale Cisterne (via Procaccini 4) 7-9 ottobre 2016 Ingresso libero l’impressionismo di Zandomeneghi Padova, Palazzo Zabarella via degli Zabarella, 14 1 ottobre 2016 - 29 gennaio 2017 Informazioni: tel. 049.8753100 info@palazzozabarella.it www.zabarella.it XXvi biennale di scultura Gubbio (PG), Palazzo dei Consoli (Piazza Grande) e Palazzo Ducale (via Federico da Montefeltro) 16 ottobre 2016 al 15 gennaio 2017 biglietti: € 10.00 interi. Info: servizio IAT Gubbio 075 – 9220693
ITINER_ARTE...DoVE E QUANDo...
Museo Diocesano di Milano Milano, c.so Porta Ticinese 95 fino al 20 novembre 2016 Orari: martedì-domenica, 10.0018.00 chiuso lunedì (eccetto festivi)
perugino pinturicchio e gli altri. la fondazione cassa di risparmio di perugia apre lo scrigno dei suoi tesori Perugia, Palazzo Lippi Alessandri corso Vannucci 39 fino al 20 novembre 2016 Dal martedì al venerdì, 15.30-19.30 sabato, 11-22; domenica, 11-20 ingresso libero
LUoGHI DEL sAPERE
la GGGGG storia del calcio in un volume
Paul Dietschy Edizioni paginauno Traduzione sabrina Campolongo pp.558 € 22,00 IsBN 9788899699017
Arriva in libreria “Storia del calcio” il libro di Paul Dietschy tradotto da Sabrina Camplongo. Il calcio: la storia dei grandi club, le evoluzioni tecniche del gioco, gli allenatori e i giocatori d'eccezione, il rapporto con i regimi totalitari del Novecento e con il denaro tutto questo nelle 558 pagine del libro edito da Paginauno. Codificato dall'Inghilterra trionfante al tramonto del XIX secolo, il calcio è diventato lo sport più popolare al mondo. Eppure la sua storia resta largamente misconosciuta. Come sono nati club, federazioni e competizioni internazionali? Quando e perché sono state fissate le regole sul numero di giocatori o la dimensione del pallone, passando per i cartellini gialli e rossi, i corner e i punti di penalità? Quali sono state le grandi evoluzioni tattiche e tecniche del gioco, dribbling e colpi di testa? è a queste domande, e a molte altre, che quest'opera senza precedenti, basata su documentazione inedita proveniente in particolare dagli archivi della FIFA, dà una risposta. C'è la storia dei grandi club – Ajax, Bayern, Liverpool, Saint-Etienne, Real, Barcellona, Juventus, Milan, Inter, Napoli, Roma, Torino – degli allenatori carismatici e dei giocatori d'eccezione, come Platini, Rivera, Maradona, Pelé, Garrincha, ma ci sono anche la strumentalizzazione del calcio da parte dei totalitarismi del Novecento e le relazioni pericolose con il denaro e i diritti televisivi. Paul Dietschy, ex allievo della Scuola normale superiore di Fontenay-SaintCloud e aggregato di Storia, è oggi professore di Storia contemporanea e Storia dello sport all'Università di Franche-Comté, e anima in collaborazione con Patrick Clastres un seminario sulla Storia dello sport al Centro di Storia di Sciences-Po (Parigi). Ha pubblicato in Francia: Histoire du football (2010), Le
LA GRAMMATICA-DIZIoNARIo DEL VERNACoLo DI sANDoNACI
LINA CAVALLo CoNVERsANo Le recule e lle palore. Grammatica e dizionario del vernacolo di sandonaci (parlata leccese) Congedo editore 2013 pp.494 IsBN 9788867660155 €30,00
“Le recule e lle palore. Grammatica e dizionario del vernacolo di Sandonaci (parlata leccese)” è il libro della scrittrice Lina Cavallo Conversano, edita da Congedo. Un libro, un progetto di ampio respiro finalizzato a raccogliere un’erredità linguistica che rischia di perdersi. Il testo comprende una descrizione grammaticale e una raccolta lessicale espresse con padronanza e gusto. Assolutamente rimarchevole la raccolta dei principali vocaboli in vernacolo raccolto in maniera dettagliata dall’autrice. L’abbondanza degli esempi e dei modi di dire contribuisce infatti alla riscoperta delle espressioni e delle emozioni che, attraverso il lessico, vogliono fissare, rivalutare e conservare, specialmente nei giovani del Salento, il senso di appartenenza a questa terra e alla sua cultura, a salvaguardia della propria identità. Ha curato la prefazione del volume il prof. Franco Fanciullo, cattedra in glottologia all'Università di Pisa. Ex docente in pensione, Lina Cavallo Conversano ha insegnato da oltre trent'anni a San Donaci, suo paese natale. Legata alla sua terra e alle sue tradizioni, ha diretto per dieci anni Lu Mmile, un gruppo folk composto da circa 50 bambini dai sei ai dieci anni, organizzando spettacoli di recitazione, canti e pizzica. Tra le altre pubblicazioni “Un soldato italiano. Storia di un internato del Terzo Reich” edito dalla casa editrice “Sulla Rotta del Sole”.
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sULLE sToRIE DI ALICIA GIMéNEZ-BARTLETT Chiacchierando con la brava giornalista Francesca Alparone, che ho avuto modo di apprezzare per le sue brillanti interviste a diversi scrittori, mi ha detto di non andare matta per i romanzi polizieschi. Soprattutto, ha precisato, perché i protagonisti sono sempre e solo uomini… ALICIA GIMéNE BARTLETT Riti di morte sellerio 2002 pp. 388 € 13,00
Riflettendoci, ho dovuto ammettere che Francesca non aveva tutti i torti, ma immediatamente ho pensato alle storie raccontate dalla scrittrice spagnola Alicia Giménez-Bartlett. Seduta stante, ho promesso a Francesca che le avrei prestato e fatto leggere il libro, “Riti di morte”, che racconta la prima delle avventure investigative che vedono come irresistibili protagonisti l’ispettrice Petra Delicado e il suo stretto collaboratore, il vice-ispettore Fermin Garzón. Alicia Giménez-Bartlett, spagnola, ex docente di letteratura spagnola, già prima di raggiungere la notorietà presso il grande pubblico, aveva scritto diverse opere, sia saggi che romanzi. Ma la sua consacrazione come grande scrittrice amata non solo nel suo Paese è avvenuta con la lunga serie di romanzi polizieschi incentrati sulla figura, appunto, dell’ispettrice Petra Delicado. Per caso (o forse perché così era scritto da qualche parte), mi imbattei in “Riti di morte” che vendevano un bel giorno con il giornale “Repubblica”. La scrittrice mi era sconosciuta, l’avevo appena sentita nominare, ma mi incuriosiva. Il costo del libro (euro 5,90!) era allettante. Un lettore compulsivo può resistere a una tale tentazione? No di certo. Male che fosse andata, ci avrei rimesso una somma davvero esigua. Insomma, valeva la pena “rischiare”, tanto più che ho un debole per i narratori spagnoli. Ci sono dei libri che quasi certamente non saranno mai considerati delle pietre miliari della letteratura mondiale e che pure sono piacevolissimi, semplici ma ben scritti, rilassanti e, allo stesso tempo, sufficientemente profondi e per nulla banali: la compagnia ideale in quei momenti nei quali anche il lettore più esigente ha bisogno di godere, senza grande sforzo, di letture non troppo impegnative, ma leggere, scorrevoli e magari divertenti. “Riti di morte”, nonostante il tema trattato (l’ispettrice dà la caccia a uno stupratore seriale), e tutti gli altri episodi della serie (che naturalmente ho pian piano comprato e letto), appartengono a questa categoria. A tal proposito ricordo e condivido pienamente la considerazione del mio scrittore preferito, Arturo Pérez Reverte: “C’è un’opinione sbagliata per cui la letteratura deve necessariamente essere profonda e noiosa, oppure divertente e superficiale. Questo è falso: dev’essere invece insieme profonda e amena, deve far riflettere e divertire, affascinarti e nello stesso tempo darti una carica interiore che ti permetta di vivere quelle vite che ti sono negate nel mondo reale”.
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LUoGHI DEL sAPERE
GGGGG Tornando a “Riti di morte”, il romanzo costituisce in qualche modo una presentazione dell’ispettrice Petra Delicado e del suo vice Fermin Garzón. Lei, uscita da un’acuta crisi esistenziale (due matrimoni naufragati e una brillante carriera di avvocato abbandonata perché non appagante), barcellonese, attraente, elegante, colta, dura, snob e femminista, entrata in polizia e confinata (perché donna, a suo dire) in un archivio, si trova per circostanze fortuite a dover affrontare, finalmente, un caso spinoso. Lui, più anziano, provinciale, lento, grasso, goffo e sentimentale, carico di esperienza e (apparentemente) di pregiudizi, viene affiancato, suo malgrado, alla superiore. Tra i due, così diversi tra loro per carattere e ideologie, nasce pian piano un rapporto di amicizia e di stima (celato sotto le apparenze di un semplice rapporto di formale collaborazione) contraddistinto da una infinita serie di divertenti schermaglie – fulminanti battute e argute punzecchiature – che costituiscono uno dei tratti più felici della narrazione. La caratterizzazione dei personaggi, anche con le loro debolezze e incertezze (spesso giungono alla soluzione per puro caso o traendo spunto dai propri clamorosi errori), è magnifica. Un mix gustosissimo di ironia e autoironia, disincanto e riflessione. Ma “Riti di morte”, così come gli altri romanzi della serie, non è “solo” un poliziesco. è anche un’analisi di quei contrasti e di quelle problematiche sociali – e di quei veri e propri inferni – che affliggono Barcellona, ma che naturalmente sono comuni a tante altre realtà geografiche. Gli originali intrecci legati alle inchieste, il tono elegantemente leggero e divertente (leggendo ci si ritrova spesso a sorridere o addirittura a ridere di gusto), l’ironica ma anche sferzante critica sociale… Questo incastro di diversi registri narrativi rende i romanzi della Bartlett, da alcuni definita la Camilleri spagnola, una lettura veramente preziosa. A “Riti di morte”, che va letto per primo, sono seguiti, come ho detto, numerosi altri (e ancor più belli) romanzi che hanno per protagonista questa improbabile e deliziosa coppia di investigatori. Tra questi segnalo “Giorno da cani” e “Messaggeri dell’oscurità”, ma tutti, tutti meritano di essere letti. Chissà che Francesca (e con lei chi non ama troppo il genere), dopo aver conosciuto questa originale ispettrice, non possa cambiare idea sui romanzi polizieschi. Agli appassionati (e, in particolare, alle appassionate) che ancora non dovessero conoscere la Giménez-Bartlett , invece, dico che nella loro biblioteca non può mancare qualche avventura della burbera ma affascinante Petra Delicado… Michele Bombacigno
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FRANCo GGGG BATTIATo. LA CURA
FRANCo BATTIATo. LA CURA 27 canzoni commentate 1971-2015 di Paolo Jachia e Alice Pareyson Fabio D’Ambrosio editore IsBN 978-888831920-9, volume a colori, pgg. 224, € 15,90
In libreria dal 1° ottobre, Franco Battiato. La cura, per i tipi di Fabio D’Ambrosio editore che ha raccolto le analisi testuali di 27 canzoni scelggggg te di Franco Battiato, in ordine cronologico dal 1971, con testo a fronte. Il libro nasce dal tentativo di portare uno strumento di tecnica letteraria, il commento e la parafrasi, alla canzone d’autore e vuole sottolineare l’appartenenza di Franco Battiato a una concezione dell’arte che prosegue le tensioni più alte e più significative delle avanguardie artistiche novecentesche. L’analisi testuale permette di inverare (portare a un grado di maggior certezza) l’affermazione di tensioni mistiche e teologiche e filosofiche presenti in tutto il lavoro artistico di Battiato. Nell’officina di Battiato tali tensioni si sommano e non si escludono: la sua enciclopedia culturale è estremamente aperta e non dogmatica. La comprensione di questa organizzazione della mente artistica, filosofica e mistica di Battiato ci ha consentito di comprendere inoltre come sia potuto avvenire l’incontro fra Battiato e Manlio Sgalambro, per sovrapposizione e non per identificazione. Battiato è rimasto Battiato e Sgalambro è rimasto Sgalambro ma il punto di unità è stato artistico e non un improbabile dogmatismo. Dentro questa unità dinamica artistica di Battiato possiamo infine evidenziare una ulteGGGGGG riore “curvatura” ovvero quella buddistica che pare essersi accentuata negli ultimi dieci anni. gggggggg Il lavoro sottolinea l’importanza del contributo di Manlio Sgalambro ed evidenzia anche come concretamente tale contributo sia stato gestito da Battiato; sinteticamente possiamo dire che Sgalambro ha proposto o discusso o completato, dei testi o delle idee, Battiato ne ha fatto delle canzoni. Il lavoro è realizzato da Paolo Jachia e da Alice Pareyson. Paolo Jachia, classe 1958, critico di canzone d’autore italiana e critico letterario, ha al suo attivo una ventina di volumi per Ancora, Feltrinelli, Einaudi, Laterza, Editori Riuniti, Manni ed altri editori. è al suo secondo volume su Battiato dopo “Franco Battiato. E ti vengo a cercare” (Ancora, 2005). Alice Pareyson è studentessa a Lingue e Letterature Straniere, è alla sua prima esperienza d’autrice. è la nipote del filosofo Luigi Pareyson, uno dei maggiori filosofi del ’900 italiano. Il libro è scritto a quattro mani in uno scambio tra due generazioni diverse, nonché tra maschile e femminile. Il risultato rappresenta anche un radicale confronto culturale perché culturale è l’impatto di Battiato. Paolo Jachia ritorna quindi sul maestro Battiato dopo dieci anni anche in virtù di questo scambio.
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Foto in basso: il poeta Guido Gozzano (Torino, 19 dicembre 1883 - 9 agosto 1916) con la madre Diodata Mautino
amalia e guido.“non amo che le rose che non colsi” di Giusy Gatti
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Amalia Guglielmetti e Guido Gozzano una tormentata storia d’amore
AMoRI LETTERARI
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Il tema degli amori più o meno tormentati che hanno come protagonisti poeti, scrittori e artisti in generale, è affascinante e tutto da scoprire. Attraverso l’indagine sui loro sentimenti “veri”, se ne intravedono i riflessi sulla loro opera, retroscena poco noti al grande pubblico: un’occasione per strappare all’oblìo aspetti del mondo letterario che spesso le antologie non riportano. Arte e vita s’incrociano e si fondono, restituendo al lettore un’immagine più completa, palpitante e umana, di poeti e scrittori conosciuti solo sulla carta, che hanno vissuto veramente, si sono commossi, hanno gioito, pianto, sospirato come tutti, ma che sono stati capaci di trasformare la loro inquietudine in opera d’arte facendo sì che le loro gioie, i loro pianti, i loro sospiri fossero un poco anche i nostri.
La storia di oggi è quella tra Amalia e Guido. Lei è Amalia Guglielminetti, poetessa, fiera della propria solitudine e spirito libero, «donna appassionata e sensuale, dominatrice e crudele, ardente e sensibile vestita all'ultima moda di Parigi secondo lo schema del gusto liberty» (Giorgio BarberiSquarotti). Lui è Guido Gozzano, poeta in ascesa nella società letteraria d’inizio secolo. Torino, primavera del 1907. Gozzano ha 23 anni ed appena pubblicato “La via del rifugio”, una raccolta di 30 poesie, tra cui spiccano, appunto, “La via del rifugio” (che dà il titolo all’opera) e “L'amica di nonna Speranza”. La Guglielminetti ha 27 anni quando dà alle stampe la sua
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raccolta poetica “Le vergini folli”, “una sorta di viaggio nel sottosuolo della verginità”, in cui trasferisce e rievoca, al modo dei crepuscolari, la sua formazione avvenuta all’interno di un istituto religioso femminile. Nella Torino provinciale del tempo, i due poeti si conoscono e si scambiano i loro versi. Lei ringrazia il “Cortese Avvocato” del gentile e gradito omaggio e, senza imbarazzo, gli chiede un incontro diretto. Lui rivolge all’ “Egregia Signorina” non pochi complimenti per avergli inviato la soave «ghirlanda di sonetti», ma con garbo declina l’invito poiché la sua malattia (una lesione polmonare all'apice destro), gli impone una «solitudine obbligatoria» sulla «spiaggia d'esilio» in Liguria. Questa prima schermaglia, alla
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luce degli eventi che la seguirono, appare già come il paradigma della loro breve e ambigua storia d’amore.
Lei avanza, attacca, fa la prima mossa. ggg Lui, al sicuro, lontano da lei, si lancia nelle lodi della sua bellezza, abbandonandosi al ricordo dei suoi capelli nero corvino, della sua bocca «piuttosto grande e fresca e attirante», dei suoi «due occhi d'una dolcezza servile (…) gli occhi di colei che s'inchina al despota Signore e gli tende i polsi febbrili e li vede cerchiare, godendone, di catene». Ma incontrarla e trovarsi a pochi centimetri da lei … no, non è pronto. «Vedete
che c'è di che rifuggire la vostra conoscenza» commenta. Il fitto carteggio tra i due va avanti così per tutta l’estate. Poi, in autunno Amalia si fa più audace quando viene a sapere che Guido è poco lontano da Torino. Si trova infatti nella casa di campagna di Agliè, nel Canavese. è decisa e gli scrive: «Sentite e non spaventatevi. In uno di questi bei pomeriggi di primo autunno mi piacerebbe di venirvi a trovare» e poi «Il viaggio per giungere a Voi dev'essere un poco complicato, ma potreste compierne un pezzetto anche Voi - se la vostra salute lo permette - e indicarmi un'ora e un paese qualunque di convegno».
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Non si capisce ancora bene perché Guido si senta in pericolo. Tuttavia cede alle richieste pressanti di Amalia e accetta d’incontrarla, sia pur tra le mura amiche della propria casa e, per di più, alla presenza della madre. Nulla è trapelato di questo incontro, ma possiamo supporre che sia stato tutto improntato al bon ton inizio secolo: i due seduti precauzionalmente lontani, la mamma in mezzo, tra pasticcini, rosolio e profumo di violette. Una cosa è certa: Gozzano, che per lettera continua a decantare la bellezza della «terribile nemica», vuole che la relazione con lei si limiti ad un’amicizia esclusivamente intellettuale.
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Poche settimane dopo, però, il destino mette alla prova il giovane poeta. Avrà con lei un «colloquio» proprio nel salotto torinese di Amalia. Sono soli. Ce ne è pervenuto il racconto ancora una volta attraverso le parole di Guido: «Le donne d'un fascino spirituale come Voi non hanno il diritto d' essere belle. Sovente, quando parlate, io dimentico e non seguo le vostre parole, per il gioco attirante delle vostre labbra sane o per la carezza lenta delle vostre ciglia... E questo è male».
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Lui è stordito e impaurito, Cautelativamente vuole mettere una certa distanza tra loro e affidarsi completamente all’immaginazione. Lei, al contrario, vuole una relazione reale. Amalia lo desidera. Guido la rende protagonista delle sue fantasie che le comunica attraverso le lettere. Si trova nuovamente in Riviera. L’immaginazione prende il sopravvento: lui evoca con la mente un eventuale incontro ravvicinato con lei. Le dice che, se s’incontrassero davvero, non potrebbe trattenersi dal prenderle le mani e baciarla fino a morderle le «vene del polso», poi, la «mia bocca si troverebbe dietro il vostro orecchio, alla radice dei capelli fini, e vi morderei la nuca». «Il morso – scrive - è il mio vizio preferito». Amalia non teme l’eventualità che l’audace previsione di Guido si realizzi, anzi! Tuttavia, per non spaventarlo e indurlo a indietreggiare ancora, si rivolge a lui con dolcezza: «Non mi sfuggite, Guido, non abbiate paura di me, io non voglio farvi del male». Lo tampina, gli dà un altro appuntamento al Parco del Valentino. Lui non si vede e la donna, dopo averlo atteso invano per mezz’ora, fugge via «umiliata, avvilita, annientata», ferita nell’orgoglio femminile «per tutti i piccoli e grandi colpi già ricevuti in silenzio sussultando». Lui è capace di leggersi dentro, di analizzare se stesso e i suoi comportamenti: «Io provo una soddisfazione speciale quando rifiuto qualche
bella felicità che m’offre il Destino. E quale felicità, amica mia! (…) Già altre volte l’ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l’avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo…». Nella prima settimana di dicembre però, ancora nel salotto di casa Guglielminetti, si verifica la «cosa che accade e non si sa come accade». Aveva i suoi motivi, Guido, per non aver consentito, fino a quel momento, che i due si lasciassero andare al desiderio e al coinvolgimento dei sensi. Accade spesso infatti, e non solo nella vita dei grandi poeti, che l’amore idealizzato non regga l’assalto della realtà, e di fronte ad essa, s’infranga in tante minuscole caleidoscopiche schegge. Un amore sublimato, vergato a caratteri minuscoli nelle lettere, ineffabile e platonico: così doveva rimanere. «Della cosa cattiva più nulla
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resta - scriverà una volta fuggito in Liguria fuor che una dolcezza un po’ acre sulle labbra e sulle gengive». La donna «disfatta» nei vestiti non è più quella, angelica e «attirante» dei primi resoconti epistolari. ggg Niente più poesia tra loro. Di lei gli restano i ricordi del tutto prosaici di quella «cosa che accade», di un odore, di una bocca aggressiva dai «crudeli canini». è cinicamente crudele Gozzano. Lei lo implora di mentire, almeno per pietà: «Ditemi Voi, Guido, qualche cosa buona, qualche parola di tenerezza, mentitela se non la sentite, cercatela se non l'avete, ma datemi un poco di questa dolcezza». Lui è irremovibile: «Addio, Amalia, senza molta tristezza. Di lungi vi scriverò ancora quando avrò qualche bella notizia della nostra poesia. E voi anche. Ma non parleremo della nostra pas-
sione e del nostro passato. La passione è un ingombro al nostro cammino di gloria...». Amalia non si rassegna. La gloria poetica non le interessa: «Io non voglio che tu mi sfugga, Guido, io non voglio che tu mi segua di lontano come un estraneo, che tu mi riveda ancora un giorno lontano quando forse i miei capelli non saranno più tanto bruni e la mia bocca fresca e i miei occhi lucenti... Io sono per te come il primo giorno che ti vidi, non sazia, né stanca, né oppressa dalla più piccola parte di te. Sei nuovo e fresco al mio spirito come allora che m'eri ignoto... È un senso strano ch'io non so dire, ma che non ho mai sentito per altri, una malìa, quasi...». La donna fiera, orgogliosa della propria libertà, diventa fragile, tenera e appassionata quando lo implora: «Nessuno, ti giuro, mi ha mai veduta così spoglia d' orgoglio, così vestita di pura tenerezza». «Non farmi ancora piangere e rimpiangere, Guido, dammi qualche segno di bontà in cambio di tutta la mia tenerezza». A questo punto Guido è costretto a uscire fuori da quella rete di equivoci ed ambiguità: «Perdonami. Ragiono, perché non amo: questa è la grande verità. Io non t'ho amata mai... Non altro. Già altre volte t'ho confessata la mia grande miseria: nessuna donna mai mi fece soffrire; io non ho amato mai; con tutte non ho avuto che l'avidità del desiderio, prima, ed una mortale malinconia, dopo... Addio, mia buona Amica!» Finisce così la fuga dall’amore di Guido Gozzano, il cantore crepuscolare di donne dal fascino quotidiano e casalingo, oppure perdute in un passato di sogno: la signorina Felicita, Carlotta, Cocotte.
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“(…) Il mio sogno è nutrito d'abbandono, di rimpianto. Non amo che le rose che non colsi. Non amo che le cose che potevano essere e non sono state... Vedo la casa; ecco le rose del bel giardino di vent'anni or sono!” (Cocotte) Gozzano con alcuni amici al circolo della Marinetta a San Francesco d'Albaro
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Amalia Guglielminetti, nata in una famiglia all'antica, nel 1923 avrebbe dato scandalo narrando storie di eroine sensuali e anticonformiste, protagoniste di romanzi come “La rivincita del maschio” o di novelle come quelle della raccolta “Quando avevo un amante”. Perché dopo la fine della storia con Gozzano, le fu impossibile continuare a scrivere versi. “Essa è colei che troppo sola muore, è la notturna anima pellegrina che persegue il suo sogno ed il suo amore”. (Anima errante, in Le vergini folli, 1907). In un arco di quasi sei anni si scambiarono 124 lettere (quaranta quelle di lui, ottantaquattro quelle firmate da lei), pubblicate postume nel 1951 da Garzanti.
Guido Gozzano, malato di tisi, muore a soli trentadue anni, nel 1916. La sua poesia resta nel ricordo e nelle antologie scolastiche. Amalia Guglielminetti muore molto dopo di lui, il 4 dicembre 1941, a causa delle complicazioni di una ferita che si era procurata qualche giorno prima nel tentativo di raggiungere il rifugio antiaereo, in seguito all’allarme per il bombardamento che stava per incombere su Torino. Poco tempo prima aveva lasciato le sue volontà circa le modalità di sepoltura (una tomba a piramide con l'iscrizione "Essa è pur sempre quella che va sola") e l'istituzione di un premio letterario a suo nome. Entrambi i desideri non saranno mai esauditi. Bellezza della vita, io non ti trovo. Pure ti cerco in me, pure ti spio su fronti di sorelle. Ombre d’oblio or tento ed or gelosi veli io smuovo. Il primo balenar d’un riso nuovo scruto, m’insinuo in qualche spirto pio, indago ogni speranza, ogni desio, ma a scoprirti con vana ansia mi provo. Tu esisti forse in spiriti virili esperti in trar da ciascun fiore ebrezza, o in chiara gioia d’anime infantili. Non nel nostro anelar d’anime inermi: inquete fiamme, chiuse da saggezza d’antiche norme fra leggiadri schermi. (op.cit. 1907). Nonostante Gabriele D’Annunzio l’avesse definita “L’unica vera poetessa che abbia oggi l’Italia”, nelle principali antologie scolastiche non v’è traccia del suo lavoro, né un accenno al suo valore letterario.
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eQualart. tre salentini a màlaga in difesa della parità di genere
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Un progetto europeo di musica e danza
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Tre salentini approdano a Màlaga, la città nativa di Pablo Picasso, grazie allo scambio internazionale sulla musica e danza "Equalart", organizzato dall'associazione spagnola GDR Valle del Guadalhorce. Si tratta dell’iniziativa Erasmus Plus realizzato in collaborazione con l'associazione “Joint”, partner italiana del progetto che si svolgerà in ottobre nella cittadina spagnola con la partecipazione di artisti provenienti da Portogallo, Slovenia, Germania, Romania, Repubblica Ceca e Spagna. Tra questi anche i salentini Gloria Arnesano, Joele Micelli e la regista Agnese Correra impegnati con i loro colleghi europei a seguire i workshop e le attività musicali. L’intento è la realizzazione di uno spettacolo a promozione e a difesa della parità di genere contro il femminicidio, il razzismo ed ogni forma di discriminazione sociale. Joele MICELLI è laureato in Violino al Conservatorio “T. Schipa” di Lecce, sotto la guida del M° Fernando Toma. Ha frequentato corsi di perfezionamento violinistico ed ha partecipato a diversi concorsi musicali classificandosi sempre ai primi posti. Primo Violino dell’Orchestra del Conservatorio di Lecce, ha collaborato con la Filarmonica di Benevento, l’Orchestra Sinfonica Tito Schipa, l’Orchestra da Camera Salentina. Nel 2015 si è esibito alla prestigiosa Arena di Verona, e nel maggio scorso al Premio Barocco 2016 presso il Castello Angioino di Gallipoli. Gloria Arnesano è laureata in pianoforte al Conservatorio “T. Schipa” di Lecce sotto la guida del M° Roberto Corlianò, conseguendo in seguito la specialistica con il massimo dei voti e la lode. Ha frequentato seminari di didattica musicale per bambini, accademie di canto e masterclass di pianoforte, canto jazz e musica contemporanea. è stata ospite di importanti eventi condividendo il palco con grandi artisti come Antonella Ruggiero, Andrea Mingardi, Cheryl Porter. è direttore artistico dell’evento musicale “Note d’insieme”, si
esibisce regolarmente in formazioni classiche (solistiche e cameristiche) e moderne. Agnese Correra é laureata con lode in Cinema, Tv e produzione multimediale presso il DAMS di RomaTre e diplomata in Regia presso l'Act Multimedia di Roma dell'allora Direttore Artistico Carlo Lizzani. Agnese ha sin da piccola coltivato la sua passione per la musica studiando pianoforte e chitarra. Nel 2011 realizza il suo primo cortometraggio in pellicola “Zucchero e Farina” finalista al film festival Internazionale SA.FI.TER e trasmesso su Cooming Soon e Sky. Ha all’attivo numerosi videoclip, documentari e prodotti audiovisivi sia italiani che stranieri. Tra i numerosi progetti realizzati, ha lavorato come responsabile di produzione per il corto “Ultimo Beso a Roma” della regista spagnola Carla Vadell Arnanz e da tre anni cura la regia ed il montaggio di tutti i prodotti audiovisivi della scuola di danza francese Les Baladines, a Parigi. Nel 2016 firma come regista e sceneggiatrice tre nuovi lavori: il reportage sulla scuola di danza di Sofia Capestro "Les Baladines - La danse à Asnières" , il film documentario "Vino Su Tela - l'arte Enoica di Arianna Greco" e il cortometraggio "Santo Rizzello : 100 anni di Storia" sul primo centenario di Porto Cesareo. Da due edizioni é regista dei prodotti audiovisivi del festival di musica indie Ci vuole un paese.
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Veduta di Otranto, foto Dino Longo
ad otranto, tra storia e leggenda nei sotterranei del castello Claudia Forcignanò
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Alla scoperta dei tesori nascosti del maniero aragonese
OTRANTO (LECCE). Di Otranto narrano poeti e scrittori, giornalisti e visitatori, ma questa città antica, che si affaccia sul mare e odora si vento e salsedine, reca impressa la sua storia su ogni pietra delle vie che si snodano tra botteghe e locali, mentre attende che giunga l'inverno con i suoi giorni freddi e umidi a restituire pace e silenzio. è una donna paziente Otranto, bella e selvaggia come il Sud, austera e misteriosa, pronta a concedere maliziosi sospiri a chi passa a farle visita. Ed è così che lentamente, anno dopo anno, Otranto restituisce nuovi tesori nascosti, che si vanno ad affiancare a quelli che hanno ispirato racconti e leggende, come la Cattedrale con la sua cripta misteriosa, il colle della Minerva con il santuario meta di pellegrinaggi, le insenature magiche e il castello aragonese, silenzioso e dignitoso testimone di amori, guerre e morti, e che tra le sue mura vide scrivere e riscrivere la storia di intere generazioni.
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L’ultimo dono, in ordine di tempo, è stato fatto proprio dal castello aragonese con i suoi sotterranei che finalmente sono nuovamente fruibili al pubblico. Maestoso e imponente, questo castello ha resistito a guerre e pestilenze, ma non all'invasione turca del 1480, che portò distruzione e disperazione consegnando alla storia una delle sue pagine più tristi e sanguinose. Fu ricostruito nel 1481, come fortezza militare, non come residenza, ed è per questo motivo che le sue sale, seppur bellissime, sono spoglie da ogni forma di arredo. I primi che incontrarono questa fortezza, si trovarono di fronte ad una imponente costruzione di forma trapezoidale con quattro torri circolari, di cui una, quella più sporgente guardava verso il mare. I decenni passavano e cambiavano i costumi, i governi e le armi, fino al 1500, secolo lungo che vide il castello evolversi per rimanere al passo con tempi e
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così nacque il profondo fossato, come quello dei film cavallereschi, sul quale si abbassava il rumoroso ponte levatoio, ma che oggi é una lunga passerella in legno che culmina con un arco di pietra. Anche lo spessore dei muri cambiò: le armi erano più potenti, i nemici più aggressivi, il bisogno di sicurezza aumentava.
Ascoltando il suono dei propri passi mentre si percorre il ponte che unisce il castello alla strada, ci si prepara ad abbandonare il presente per entrare in una dimensione in cui il tempo è sospeso e fermandosi nel grande cortile, alzando lo sguardo verso gli ambienti circostanti, è possibile respirare ancora l'odore della polvere da sparo e immaginare le voci dei militari che là tra-
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scorrevano le proprie giornate, spesso andando incontro ad un ingrato destino. C’era la vita di superficie e quella terribile che scorreva lenta ai piani inferiori, in quel'intricato groviglio di cunicoli, gallerie e stanze che sono i sotterranei del castello, costruiti già nel 1400 è giunti fino a noi inalterati, preziosa testimonianza del tempo che fu, fatta eccezione per alcune piccole modifiche rese necessarie per adattarli alle nuove armi da fuoco. Il principe Alfonso d'Aragona, figlio del re Ferrante che nel 1481 governava il regno di Napoli, cui apparteneva anche la terra di Otranto, si occupò della ricostruzione del castello chiamando i migliori ingegneri militari dell'epoca, come Ciro Cirri e Francesco di Giorgio Martini, i quali, in seguito alla liberazione per mano delle truppe da lui guidate, rimodernarono anche il sistema di fortificazioni eliminando quelle medievali in favore di una struttura pronta a fronteggiare la potenza distruttiva delle nuove armi, senza trascurare il fossato, luogo in cui si combattevano le più strenue. Battaglie e pertanto, progettarono la rete di cunicoli con postazioni di fuoco orientate nella sua direzione. Solo una parte di questo affascinate labirinto è attualmente visitabile accedendovi, muniti di apposito caschetto con luce incorporata, da una ripida scala in pietra che dal piano terra porta in un ambiente claustrofobico, che si apre poi su una stanza realizzata nel 1500, in cui si riunivano le truppe, venivano custodite le armi.
storie. L’uomo e il territorio
immagini d’archivio e dal sito ufficiale
Si cammina tra soffitti bassi, cunicoli angusti e si prova ad immaginare la vita di trincea, l'olezzo della fame e della paura, semplicemente della guerra, il tour è veloce, il tempo per riflettere è poco, la contemporaneità viene in soccorso e cambiando armi e abbigliamento, non serve andar lontano negli anni per immaginare decine e decine di uomini e ragazzini ammassati per giorni senza vedere la luce del sole, cercando solo di sopravvivere. Eppure non è solo guerra e morte questo castello magnifico, è anche magia e leggenda, come quella della Torre del Serpe, simbolo dello stemma di Otranto, antico faro preso di mira da un mostro marino che nelle notti senza luna beveva l'olio della cisterna facendo affondare le barche, finché gli abitanti, stanchi, decisero di affrontarlo mozzandogli il capo. Da allora, nelle notti più buie si sente il lamento delle sua compagna che disperatamente vaga di costa in costa in cerca del suo amore che non tornerà, e ancora la storia di Giulio Antonio Acquaviva, cavaliere senza macchia che il 7 febbraio1481, al seguito di Alfonso d'Aragona che tentava di liberare Otranto, trovatosi solo in battaglia, a cavallo del suo fedele Baccaro, anziché fuggire, affrontò il nemico, ma un turco con un solo colpo di scimitarra gli mozzo la testa. Baccaro corse verso l'accampamento aragonese portando
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con se il corpo del suo cavaliere, mentre i turchi infilzarono la testa su un palco e la portarono in trionfo per la città esponendola sugli stalli del castello come trofeo. Attualmente il corpo di Giulio Antonio Acquaviva é custodito a Conversano, ma in alcune notti, monta in sella a Baccaro e torna a Otranto in cerca della sua testa. La vera signora del castello è infine Donna Teresa De Azevedo, sposa di Don Francesco de la Serna e Molina, castellano dell'epoca, morta improvvisamente il 23 febbraio 1707, lasciando nella disperazione più totale il suo amato sposo, che per lei volle fosse scavata una tomba nello stesso castello che sigillò con una lapide recante una commovente epigrafe: “neanche la morte ci dividerà” e ancora oggi, ogni notte tornano in vita per abitare la loro dimora passeggiano per le sale del castello, bellissimi e innamorati per l’eternità. La vita di Otranto, i suoi misteri infiniti, la sue storie di amore e guerra, i suoi martiri, i suoi eroi e il suo sangue è tutta custodita in un castello che guarda il mare e che dal 1400 protegge i suoi abitanti trasformandosi in rifugio durante la seconda guerra mondiale, e commuovono i nomi incisi sulla pietra, a triste testimonianza di un tempo destinato a ripetersi in ciclo continuo e maledetto, mentre i visitatori di oggi non sanno che i bambini di ieri giocavano indisturbati tra quei cunicoli, sicuri che mai Otranto li avrebbe traditi.
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Gianfranco Basso, Telephone; nei riquadri: la brochure della mostra e Nature second time
“momentum” di gianfranco basso dipingere con il ricamo Carmelo Cipriani
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A Roma, nella Loft Gallery Spazio MatEr la personale dell’artista leccese
ROMA. “Un artista – ha scritto Lionello Venturi – non può lavorare al di fuori della sua tradizione; può, e in un certo senso deve, trasformarla e creare una tradizione nuova, la propria”. Si avverte forte in queste parole l’importanza in arte della rivendicazione di originalità, che mai può scaturire dal nulla ma è sempre il frutto di una meditazione, più o meno conscia, sul trascorso dell’Arte, su quello sterminato percorso che accompagna l’uomo fin dalla nascita, puntellato da traguardi importanti non solo per il comune patrimonio visuale ma per lo stesso modo di concepire e interpretare il mondo. Come recita il titolo “Momentum”, la nuova personale di Gianfranco Basso rappresenta un’analisi sullo stato di fatto, espressione di un suo personale hic et nunc, ma anche riflessione sulla relatività dell’attimo, al tempo stesso punto di arrivo e di ripartenza. Nel suo
lavoro, pur nell’innegabile originalità, non è difficile leggere i segni di una riflessione profonda sul passato artistico, italiano in particolare. Nella precisione del segno, ad esempio, sempre conciso e mai esuberante, si legge in controluce il rigore del Rinascimento, mentre nelle atmosfere silenti e negli isolati protagonisti non è difficile riconoscere l’atteggiamento meditativo e solipsistico della Metafisica, nella versione però più prossima all’essenzialità morandiana che alla nostalgia classicheggiante di De Chirico. Un atteggiamento meditativo seguito da un fare discreto, il tutto filtrato attraverso le strette maglie della contemporaneità, quella stessa contemporaneità di cui l’artista sente di far parte, che avverte forte ma non dogmatica, interpretabile sul piano gnoseologico ma non necessariamente operativo. Ed ecco che alla seduzione dei mezzi tecnologici e dei linguaggi
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più attuali, Basso preferisce il candore di un mezzo antico ed inaspettato com’è quello del ricamo. Un medium non proprio à la page nell’era del virtuale, rievocativo di un fare lento e silenzioso, caparbio e paziente, di tradizioni antiche e atmosfere domestiche, che nell’Italia del Novecento ha avuto due soli grandi assertori: Alighiero Boetti e Maria Lai. Ed è soprattutto a quest’ultima che è possibile avvicinare il lavoro di Basso che, come la grande artista sarda, interpreta quotidianamente la creatività come uno sforzo speculativo e manuale insieme, nel quale il progetto non è mai disgiunto dalla realizzazione concreta e il risultato non tradisce l’obiettivo comunicativo, facendosi
portatore di significati morali e sociali. Nella dimensione appartata, a tratti epica, dello studio, Basso ricama ogni giorno, senza timore di apparire anacronistico, con il solo scopo di esprimersi, nella totale noncuranza (che non è disinformazione) di ciò che via via, in altri contesti e ad altre latitudini, si pensa e si produce. Cerchietto, fili variopinti e tessuti neutri, ma anche rigati o floreali, hanno preso il posto di tele e colori, rappresentando i nuovi-vecchi strumenti per la conquista dell’intangibile, in una dimensione solo all’apparenza paradossale, in cui le basi del nuovo si rintracciano nell’antico. Senza mai rinunciare alla riconoscibilità del sog-
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Gianfranco Basso, Second world
getto, Basso tratteggia le sue figure, dando origine ad inciampi percettivi che nell’imperfezione trovano la loro paradossale completezza. Opere calligrafiche, in cui oggetti, pensieri e frangenti sono epurati del superfluo, apparendo estrema sintesi del tema di partenza. Immagini incongrue si trovano a convivere in un mondo enigmatico, inducendo lo spettatore a continui cortocircuiti mentali e predisponendolo al recupero memoriale e alla riflessione profonda. L’artista riformula iconicamente il
concetto del vuoto, agisce per mancanze e sottrazioni, dando vita a opere non costrette nei limiti del mezzo prescelto ma capaci di trascendere le consuete modalità percettive. Giocando a raccontare eventi emotivi e visivi attraverso un uso elegante della composizione, riallaccia i fili con la vocazione narrativa dell’arte, sospendendola in una dimensione onirica e poeticamente rivisitata della realtà, senza clamori né pentimenti, finalmente appagato dalla tanta agognata individualità.
Gianfranco Basso è nato a Lecce nel 1978. Frequenta l’Accademia di Belle Arti di Roma laureandosi in Pittura nel 2009. Nel corso degli anni si appassiona anche alla fotografia e alla scultura. La sua ricerca indaga il rapporto tra spazio e individuo. Nelle opere è il vuoto a creare lo spazio, ambiente catartico in cui gli oggetti e le figure vivono, pensano ed esistono. Nel 2015 ha avviato una collaborazione con lo Studio Arte Cannaviello ed è stato scelto da Alberto Dambruoso, direttore artistico de “I Martedì Critici”, per partecipare al progetto di residenza artistica BoCS Art a Cosenza. Nel 2012 ha ricevuto il premio
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della critica alla “I Biennale Internazionale - Città di Lecce”, mentre nel 2016, sempre nel Salento, ha vinto il Premio di pittura intitolato al grande paesaggista Giuseppe Casciaro. è stato tra i finalisti al Premio Arte Cairo Editore, al Celeste Prize 2015 e al Donkey Prize III. Vive e lavora tra Lecce e Roma “Momentum” personale di Gianfranco Basso, a cura di Carmelo Cipriani. Loft Gallery Spazio MatEr, via Ludovico Muratori 11 Piazza Iside Roma Fino al 20 ottobre 2016, dal martedì al sabato, dalle 15.30 alle 19.30, o su appuntamento. Ingresso libero.
giornata delcontemporaneo l’urlo nero di luigi de giovanni Federica Murgia
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Le opere dell’artista specchiese dedicate ai migranti
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SPECCHIA (LECCE). è un grido di dolore. Una voce che si perde nella notte di un mare blu diventato tomba. L’ululo del tempestoso vento fa udire il canto delle prefiche che si straziano per affetti altrui e le loro lacrime diventano diluvio travolgente che alza le onde sino a mostrare le oscurità degli abissi: non c’è più speranza. Scappano, i profughi, su carcasse di barche perché hanno avvertito il richiamo di morte che i tamburi di guerra evocano rullando sempre più forte. Ecco lo strazio delle persone impaurite che cercano il loro ultimo soffio di vita. Nell’artista riaffiora la sinestesia di Quasimodo, in quella memoria ritrova l’oggi, le sue sensazioni, le sue emozioni e una società che sembra aver perduto il senno: tutto viene furiosamente fissato sulle tele dove il colore pare innalzarsi a coprire l’orrore. Pantarei. Tutto scorre e nulla pare mutare nell’animo umano assettato di potere e sangue. Si sono perse la pace, la fede nella giustizia e nella vita, il raziocinio: il loro spazio è diventato
utilitarismo, odio. Ora l’opportunità travolge i sentimenti d’amore e pare non serva più la gioiosa speranza nella religiosità del dono della vita. La bontà e la giustizia sono in putrefazione distruttiva come pure la fiducia nel futuro. In questo clima l’artista sente “l’urlo nero” e si ritrova nella poesia “Alle fronde dei Salici” di Salvatore Quasimodo. Un altro tempo: ma, sempre, lo stesso uomo. Nel suo studio “Sutta le capanne du Ripa” a Specchia Luigi De Giovanni metterà in mostra i lavori concepiti per la “Giornata del Contemporaneo” e sabato 15 realizzerà una performance che parlerà di morte di guerra e di orrore ma anche di vita di pace.
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La mostra è realizzata dall’associazione E20Cult in collaborazione con Il Raggio Verde eventi d’arte in occasione della dodicesima “Giornata del Contemporaneo” indetta da Amaci. Allestimento dell’arch. Stefania Branca Sutta le Capanne du Ripa Specchia, piazza del Popolo, 21 Dall’8 al 22 ottobre 2016 Vernissage: 8 ottobre 2016 Orari di apertura al pubblico: 10:15-12:30 -17: 20:30 con ingresso libero. Orari di apertura per la “Giornata del Contemporaneo”: 10:15 - 20:30 degiovanniluigi.com
Le opere di Lughia in occasione della mostra “I templi della poesia” a Fabriano
i templi della poesia. lughia... tra l’essere e il non essere Guido Buffoni
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Una mostra dedicata ai luoghi del silenzio, un omaggio alla città di Fabriano
FABRIANO. Davanti ad un opera artistica, le domande che affollano la mente sembrano spesso accavallarsi in una sorta di eccitante continuità che infervora e sconcerta nello stesso tempo. Molte riflessioni, profonde meditazioni, forse dubbi. Stimoli spesso forti, altre volte superficiali e lievi, ma sempre stimoli, anche quando le aspettative lasciano il posto all’indifferenza o alla sconsideratezza. Le domande più ricorrenti riguardano sicuramente , almeno per l’osservatore meno esperto, il carattere estetico dell’opera e ciò che essa vuole significare attraverso un linguaggio non sempre comprensibile e chiaro. Del resto non esiste processo comunicativo più intrigato di quello artistico che, nella sua complessità, non sembra sottostare a regole precise o a canoni preferenziali. Pur tuttavia, trattandosi comunque e sempre di una comunicazione, è legittimo ricercare tutti gli elementi che dell’opera decretino un valore sul piano del suo significato, del suo significante e della relativa significazione. Tre termini spesso non di facile cognizione che se ben compresi, possono risultare particolarmente favorevoli per una valutazione che abbia un senso sia sul piano formale, sia su quello del contenuto. è quindi legittimo chiedersi se l’idea che l’artista pone in campo, quella che costituisce il contenuto, il concetto, la pura ed astratta nozione mentale, il significato dell’oggetto da rappresentare, per
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intenderci, e che a sua volta costituisce il referente, sia stato espresso attraverso una forma, un modo, una dinamica rappresentativa efficace e chiara, detta significante, e se inoltre il sodalizio del significato con il significante, determinino una complessiva significazione capace di raccontare, secondo un preciso segno grafico, tutta la forza comunicativa di ciò che si vuole esprimere. Naturalmente un delicato e razionale equilibrio, almeno nella natura del loro rapporto, decreta un sicuro valore sul piano di ciò che l’opera vuol dire, mentre dalla raffinatezza emotiva ed espressiva della sua realizzazione si può cogliere tutto l’interesse per gli aspetti più direttamente legati all’armonia percettiva e quindi alla sua peculiarità estetica. In sostanza ciò che nella pratica quotidiana definiamo cifra stilistica dell’artista, che fonde in una totalità creativa il dire ed il modo di farlo. Un trampolino di lancio questo, alquanto impegnativo , che non può essere affrontato dall’artista con superficialità, incompetenza e disimpegno, e che può risultare un’ingannevole tranello dal quale uscire con estrema difficoltà Tutte qualità negative che Lughia sembra non possedere, anzi che forse non possiede affatto. Non a caso nella sua evoluzione di donna e di artista il senso ed il valore della creazione è emerge ad ogni piè sospinto, con determinazione e con prorompenza dialettica, alla luce di un “gesto” sempre intrigante e raffinato, capace di comunicare quello che forse non può essere detto a parole, ma che trova nella sua espressione grafica, pittorica e scultorea, il vero viatico, puro ed essenziale, per innalzare l’intelletto verso le vette più alte della sacralità. Una collezione di opere fatta di interpretazioni delicate, leggere, morbide, aggraziate e gentili, anche quando il “temi” si configurano con determinazione e perplessità, in cui il tempo sembra fermarsi ed il silenzio avvolgere come un manto il fascino della vita che scorre nell’immensità dell’assoluta dimensione cosmica. Passaggi terreni, tracce di anime silenti la cui vitalità si fonde in un atto percettivo che racchiude passato, presente e futuro in un incorruttibile monolite capace unire indissolubilmente ricordo, intuizione ed attesa, come in un immenso vagheggiamento esistenziale alla continua ricerca di una dimensione spirituale per la conquista di verità,
perfezione e bellezza. Vie dell’intelletto, percorsi attraverso una “dimensione altra”, capaci di custodire contemporaneamente la trascendenza dell’indigenza spirituale e l’epicurea immanenza della quotidianità, come se nulla fosse dovuto e tutto sia donato. E così lo scorrere del silenzio nelle opere di Lughia, diviene paradigma e metafora di un tempo che si ferma davanti all’idea stessa di una raggiunta perfezione. Quasi un arresto cardiaco a sentenziare che si è di fronte al “basta”, al “non andare oltre”, alla necessità inviolabile di “fermarsi” per non concedere nulla di più ad un atto finito che da quel momento in poi non avrà più bisogni. Anche quando la stessa materia inevitabilmente si dissolverà, perché il “gesto è stato terminato, finito, “completato”, e per questo, vivrà per sempre. Il suo “essere” diverrà un “essere stato” ed un “sarà” a cui nulla potrà più unirsi se non l’incon-
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In queste pagine alcune delle opere realizzate da Lughia in occasione della mostra “I templi della poesia” a Fabriano
taminato sapore di un’emozione vissuta, che vive, e che vivrà di continuo nella sacrale dimensione cosmica di ogni anima, divenendo pura energia capace di fondersi nell’assoluto, ed annullare, in un solo attimo, tutto il tempo e tutto lo spazio di cui si dispone. è questo che si respira nelle opere di Lughia. Una elettrizzante commistione tra l’oggetto della rappresentazione e le modalità che essa sceglie per animarla. Modalità
originali, forse trasgressive, sicuramente inedite ed eccentriche come nelle sue sculture di sabbia, in cui l’atto creativo esula deliberatamente dal canonico gesto artistico per divenire esso stesso arte. Arte allo stato puro, arte come ricerca e raggiungimento di livelli sensoriali inaspettati, liberi di colonizzare l’aerale circostante senza limiti, come eteree risonanze di presenze dialettiche, capaci di esondare dall’essenza della stessa vita per mostrarsi a noi.
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Un meraviglioso “gioco della creazione , dove la rigida struttura della materia si adagia sull’effimera voluttà di un’inebriante sintesi una sorprendente istintualità ed una fervida razionalità dell’intelletto. Per lei non ci sono ostacoli alla “creazione”. Ogni elemento che presenta “interesse” diviene il referente principe per discorsi sull’anima, sulla sacralità della vita, sell’essenza più vera delle cose. Su tutto quello che nasce come pura armonia dell’esistenza e che diviene per sua stessa natura “quintessenza” in grado di produrre improvvise “accelerazioni universali” . Nulla sfugge alla sua attenzione. Non vìola mai l’idea che non ci sono “no”, e che nulla può scartare dal rispetto, dalla discrezione, dalla sensibilità e dal riguardo. Ed è proprio per questo che tutti i suoi lavori costituiscono, quasi per incanto, una miscela esplosiva di energia primordiale, come se l’universalità cosmica prendesse forma proprio da quella animosità artistica scevra da ogni inganno e contraffazione. Non tradiscono questa visione i sette lavori sui “Templi della poesia”, nei quali misticismo, spiritualità, trascendenza, ma anche concezioni alchemiche e magiche, si fondono in una ascetica e religiosa liturgia dalla quale emerge con forza tutto il valore della vita e tutta l’armonia che da essa trasuda. Sette templi di culto, forgiati sulla stessa idea che proprio il numero sette veicoli tutto quello che ogni uomo dovrebbero
conoscere. La relazione tra la spiritualità celeste e le forze terrene, il valore della creazione cosmologica, l’universalità della verità e del sapere, l’equilibrio perfetto di un ciclo compiuto e dinamico, il valore della ricerca della perfezione umana, la ricchezza filosofica che deriva dalla solitudine e dalla completezza, ogni forma di scoperta e di conoscenza … Sette luoghi che diventano segni, simboli e metafore, dello sterminato patrimonio dell’esperienza , da cui l’uomo non può e non deve allontanasi, ma anzi verso cui e chiamato ad arrivare. Per purificarsi, per nutrirsi, per completarsi, per rinascere e per morire se vogliamo, sempre però sull’onda di un’attesa e di una speranza nelle quali adagiarsi e farsi cullare. Una visione questa che non può FABRIANO. Nell’Anno della Misericordia Lughia rende omaggio alla città di Fabriano con questa mostra dedicata ai luoghi del silenzio ed al potere taumaturgico della parola. Sette opere su carta a mano, realizzata con vecchi tessuti jeans, accolgono il profilo di edifici di culto, luoghi del silenzio e della parola nella sua manifestazione più alta, nei quali si incontrano, intrecciano e sedimentano innumerevoli percorsi in ricerca del senso della vita. La mostra, patrocinata dal Rotary Club di Fabriano, è allestita in occasione dei festeggiamenti per il cinquantesimo anno della
prescindere da quel valore elegiaco che Lughia interpreta con la poetica insita negli oggetti presenti. Libri veri, effettivi, concreti referenti cartacei che non rinunciano con il loro significato, di diffondere attraverso l’intrigante significazione di un linguaggio deciso,chiaro, e comprensibile, il vero senso dell’esistenza, della vita, del-
Chiesa della Beata Maria Vergine della Misericordia. LUGHIA, I templi della poesia Chiesa della Beata Maria Vergine della Misericordia, Fabriano, Largo Fratelli Rosselli 15
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l’essere in quanto tale, di quell’’armonia che nasce dalla meravigliosa infinità del creato. E di altrettanta carta sono realizzate le sette opere. Carta rifatta, rimaneggiata e ricomposta in una nuova purezza dove si conserva tutto l’essere stato di un mondo che vive come un fuoco eracliteo che non si spegnerà mai….
Orario: 07.30/20.00 tutti i giorni dal 1al 30 ottobre 2016 Curatore: Giuseppe Salerno, Andrea Baffoni, Guido Buffoni
Al centro pagina, Castel Nuovo, foto di Peppe Guida
un inedito maschio angioino, tra misteri e luoghi inesplorati
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Antonietta Fulvio
NAPOLI. Da sempre storia e leggenda si fondono a Napoli che è l’unica città al mondo a poter contare ben sette castelli nel suo perimetro urbano. Castel dell’Ovo sul lungomare è il più antico e secondo la leggenda il poeta Virgilio avrebbe nascosto nelle segrete un uovo da cui dipenderebbe la sorte del castello e della città. Meno conosciuto il normanno Castel Capuano, in via dei Tribunali, eretto su una fortezza bizantina divenne un palazzo reale sotto Federico II mentre gli aragonesi lo trasformarono in palazzo di giustizia e prigione. Castel Sant’Elmo, ancora oggi sovrasta la città dalla collina del Vomero, occupato dai rivoluzionari nel 1799 con la fine della Repubblica partenopea ospitò nelle sue carceri gli stessi protagonisti della rivoluzione tra i quali Francesco Pignatelli, Giu-
Tre nuovi itinerari per tuffarsi nella storia ed esplorare uno dei castelli più belli di Napoli
stino Fortunato e Domenico Cirillo. Un simile destino lo ebbe anche il Castello del Carmine, in piazza Mercato (in parte abbattuto dopo l’Unità e poi per far spazio al Corso Garibaldi), trasformato dal cardinale Fabrizio Ruffo in prigione per i rivoluzionari del 1799 e che vide imprigionata in uno dei suoi torrioni Eleonora Fonseca Pimentel fino al momento della sua impiccagione avvenuta in piazza Mercato il 17 agosto. Poi il castello cinquecentesco di Nisida, trasformato in carcere dai Borboni, oggi penitenziario minorile e il Forte di Vigliena costruito dall’ultimo viceré di Napoli, Giovanni di Zuniga conte di Villena, in gran parte abbattuto agli inizi del Novecento. Volutamente abbiamo lasciato alla fine di questa carrellata Castel Nuovo, impo-
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nente maniero medievale e rinascimentale che domina la città e ne è icona al tempo stesso. Quante pagine di storia sono state scritte tra le sue mura, una per tutte la Congiura dei Baroni ma custode di tanti segreti e leggende come quella del coccodrillo responsabile delle sparizioni dei detenuti che finivano nelle sue carceri. Conosciuto anche come Maschio
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In basso Castel Nuovo, foto di Peppe Guida
Angioino, tale era il nome del castello voluto da Carlo I D’Angiò, con l’avvento degli aragonesi Alfonso I fece modificare la struttura trasformando il castello così come lo vediamo oggi, caratterizzato dalla pianta trapezoidale e le cinque torri cilindri-
che di cui una in tufo e quattro rivestite in piperno, la particolare roccia vulcanica di Napoli. Andar per castelli è sicuramente tra gli itinerari possibili più suggestivi di chi visita il capoluogo partenopeo, che non smette mai di stupire e affascinare.
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E proprio Castel Nuovo dal 2 ottobre fino al mese di maggio 2017 svelerà i suoi sotterranei e luoghi inesplorati ad appassionati e curiosi, attraverso percorsi e visite guidate grazie a un accordo tra l’amministrazione comunale del sindaco Luigi de
A lato, particolare dei camminamenti , foto di Andrea Giuliano
Magistris e l’associazione Ivi (Itinerari Video Interrativi), che segue una specifica delibera proposta dall’assessore alla Cultura del Comune di Napoli, Nino Daniele, e approvata dalla giunta. Una delibera che apre uno dei luoghi simbolo della città, con una serie di iniziative che – grazie anche a parte dei fondi raccolti – permetterà in futuro di realizzare opere di riqualificazione che riguarderanno proprio il Maschio Angioino. Il progetto si chiama “Il Graal al Maschio Angioino”. Ma che cos’è il Graal? Per alcuni era la coppa dove venne conservato dalla Maddalena il sangue di Cristo quando il suo costato fu trafitto dalla lancia del soldato romano Longino. Per altri è Sangrèal, il Sangue Reale che univa in una funzione Sacra alcune dinastie occidentali; o ancora il “Lapis ex coelis”, la pietra che cadde dal cielo quando Lucifero, l’angelo ribelle, precipitò sulla terra. Ma tutte queste definizioni rimandano ad un compimento di un arduo percorso interiore poiché per tutti gli autori il Graal si rivelava solo a pochi. I ricercatori di Ivi, attraverso studi approfonditi, hanno trovato tracce inequivocabili della presenza del Graal al Maschio Angioino. “Il Graal e la sua misteriosa simbologia – affermano i promotori del progetto – attirano molto la curiosità. Immaginare che a
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Foto di Mauro Palumbo, nei sotterranei del Maschio Angioino
Napoli possa essere presente un segno così particolare e misterioso, pone la città al centro di vicende storico-esoteriche che percorrevano per vari secoli l’Europa ma di cui essa pareva fosse esclusa”. Tre, le tipologie di visite guidate (programmate ogni ora dalle 9 alle 13), destinate ad arricchirsi con il passare dei mesi. L’associazione Ivi sulla base di sue originali ricerche, propone un percorso esoterico che dall’Arco di Trionfo continuerà nel cortile per poi passare alla Sala dei Baroni, sulle cui pareti saranno svelate le simbologie disegnate dal sole. Ma non è tutto, l’associazione Timeline, costituita da un gruppo di geologi, ingegneri e archeologi, ha curato un nuovo itinerario che dal camminamento meridionale prosegue nella cannoniera sotterranea aragonese, sotto la Torre dell’oro, fino ad arrivare alle prigioni esplorando la fossa del Coccodrillo e i resti dei prigionieri della Congiura dei Baroni, per poi giungere davanti alla porta di bronzo del Castello. Per i più temerari, sarà possibile scegliere il percorso speleologico “La fuga di re Carlo” dalla gran sala fino al mare curato da HyppoKampos Adventure che condurrà i visitatori attraverso un pozzo, alla base di una delle torri del castello, retrostante la Sala dei Baroni. Risalendo lungo una bellissima scala elicoidale si potrà scoprire la stratificazione storica e geologica della rocca (visita aperta ai maggiori di 14 anni). Il senso del progetto è stato ampiamente illustrato nel convegno “Il Graal al Maschio Angioino” svoltosi lo scorso 27 settembre e che ha visto tra i partecipanti l’assessore Nino Daniele, Salvatore Forte e Afro de Falco rispettivamente presidente e vicepresidente di Ivi; Enzo De Luzio presidente di Timeline Napoli; Davide Lazzaro vicepresidente di Timeline Napoli; Mauro Palumbo presidente di Hyppokampos Adventure; Aldo Aveta professore di Restauro architettonico all’università Federico II; il consigliere comunale Francesco Vernetti. Info: 331 745 1461, il costo previsto varia dai 10 ai 15 euro in base al percorso prescelto. Da ricordare infine che il Maschio Angioino ospita la Società Napoletana di Storia Patria e il Museo Civico che è aperto dal lunedì al sabato, dalle ore 8,30 alle 19,00; ingresso: 6,00 euro. La biglietteria chiude alle ore 18,00.
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foto di Mario Cazzato
gaetano stella, il primo moderniZZatore di lecce
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Mario Cazzato
Dall’orto botanico, ai viali alberati, alle bonifiche, alla piazza dei Commestibili progettò modifiche urbanistiche importanti
salento segreto
a cura di Mario Cazzato
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l Palazzo di Gaetano Stella (1787-1862) in Via Carlo Russi già Tresca e poi de Angelis (la strada celebrata da Bodini in una sua poesia), angolo corte G. Stella anticamente detta "puzzu fetente". Nacque a Lecce il 19 giugno 1787 e conseguì la laurea in Medicina a Napoli. Rientrato nella sua città, fu nominato Segretario Perpetuo della Società Economica di Terra d’Otranto e fu il pri-
mo modernizzatore di Lecce progettando importanti modifiche urbanistiche della città. Ideò i viali alberati, la villa comunale - dove c’è tra gli altri un suo busto - e si dedicò soprattutto all’Orto Botanico, struttura della quale assunse la direzione, ma purtroppo distrutto. Favorì il miglioramento igienico della città grazie alle bonifiche dell’acqua stagnante e promosse il primo mercato coperto (Piazza dei Commestibili). Sotto la sua direzio-
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foto di Mario Cazzato
ne, l’Orto Botanico raggiunse l’estensione di circa tre ettari e mezzo e si arricchì di numerose specie vegetali, il cui catalogo fu pubblicato nel 1858. Presso l’edificio della “Casa Agraria” annesso al Giardino, lo Stella ebbe cura di sistemare ed ampliare negli anni la biblioteca della Società Economica, insieme al Gabinetto di Storia Naturale che, in seguito, fu trasferito presso l’Istituto Tecnico “O. G. Costa” di Lecce. Numerose furono le sue pubblicazioni scientifiche, spesso pubblicate sulle pagine del “Giornale di Economia Rurale” edito dalla stessa Società, alle quali si affiancarono i numerosi Rapporti redatti in ottemperanza agl’incarichi direttivi assunti. Tra tali lavori possono citarsi una Memoria sulla preferenza da darsi alla foglia del gelso delle Filippine per l’allevamento de’ bachi da seta, del 1839; Del Citiso falso ebano, Cytisus laburnum, e sua facile riproduzione per mezzo delle barbatelle; Del Sommacco dei conciapelli, entrambi del 1840; Della Batata dolce, Convolvulus batatas, del 1843; Della Quercia vallonea, Quercus aegylops, del 1847; Catalogo delle piante che si coltivano nell’Orto Agrario della Società Economica della Provincia di Terra d’Otranto, del 1858. Alla sua morte, avvenuta a Lecce, il 17 marzo 1862 lasciò la propria abitazione alla Società economica di Terra d’Otranto perchè diventasse una biblioteca specializzata. L'immobile fu venduto a privati negli anni Trenta del secolo scorso. Costituisce un altro ottimo esempio di neoclassicismo locale. Nelle foto oltre al palazzo è documentato l'ingresso all'orto botanico e un interessante esemplare arboreo superstite.
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salento segreto
a cura di Mario Cazzato
foto di Ada Scupola
con “the big draW” disegna anche chi non sa farlo Maurizio Antonazzo
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L’adesione al Festival mondiale del disegno con un laboratorio aperto da 6 a 6o anni
TRICASE (LECCE). Con l’iniziativa “Guardo, osservo ed esprimo le emozioni che provo”, l’Istituto Comprensivo Statale "Tricase - Via Apulia", guidato dalla Dirigente Scolastica, Prof.ssa Eufemia Musarò, il 10 settembre scorso ha aderito a “The Big Draw”, entrando a far parte del calendario del festival mondiale del disegno, iniziativa fondata nel 2000 in Inghilterra, dove ogni anno richiama circa 300.000 persone. L’iniziativa ha dimostrato che anche a Tricase il disegno è il linguaggio universale di apprendimento, espressione e invenzione, dove tutti possono scoprire tecniche e segreti della più antica forma espressiva, migliorare la propria abilità e, soprattutto, liberare creatività e fantasia. Un appuntamento per chi amava impugnare la matita e non l’abbandona mai nemmeno in età adulta, ma anche per chi voleva far emergere il proprio talento o imparare a disegnare e soprattutto, per chi era convinto di non poter disegnare… e si sbagliava! Presenti alcuni artisti salentini che, con dimostrazioni e performance hanno sollecitano i partecipanti, con un’età compresa tra 6 e 60 anni, genitori
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degli alunni e non, ad approcciarsi alle tecniche più diverse e a farsi guidare dall’ispirazione, tutti insieme per disegnare e far disegnare appassionati e irriducibili ma anche chi pensa di non saperlo fare con attività gratuite aperte al pubblico di tutte le età e capacità. Dall’acquerello al disegno dal vero, dalla libera espressione alle opere tridimensionali in creta, dai murales al disegno su pavimento, sino alle composizioni con piante e fiori: ognuno ha avuto la possibilità di mettersi alla prova. Nel cortile e nell’atrio della scuola, i partecipanti, guidati abilmente dagli artisti salentini: Mimmo Camassa, Benedetta Damiano, Elena De Donno, Annamaria Ferrarese, Gabriella Marchetti, Agostino Musarò,
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Rita Rizzello, Ada Scupola, Teo fotografo d’arte ed Elena Turco hanno permesso di emergere nel disegno i piccoli, i giovani e i meno giovani talentuosi e diffondere la passione del disegno ad ogni età. Madre Teresa di Calcutta diceva: “Il primo bisogno? Comunicare.” La protagonista della vita quotidiana è la comunicazione, ma non si comunica solo parlando o scrivendo, ma anche disegnando, usando le tecniche più diverse si può esprimere un’emozione, un parere o un progetto. “The Big Draw” ha dimostrato che anche coloro che sono convinti di non saper disegnare, con una matita o un pennarello riescono a trasferire qualcosa a chi guarda un semplice tratto di matita o di pennello.
Dall’alto in basso uno scatto dei corsisti nella Cantina Coppola di Gallipoli e la foto di Eleonora Carrozza
occhio allo scatto “clik e barriQue” Lucia Accoto
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Scattanti. Basta poco per opporsi all’indolenza della vita. Certo, servono idee ed istinto. Occorre anche intonare le passioni con la vivacità del tempo, bloccato poi in un istante. Ed i corsiti del workshop di fotografia Click e Barrique organizzato dall’Associazione culturale Lampus, tenutosi a Gallipoli nella Cantina Coppola, hanno dimostrato di essere famelici di attimi. Hanno cercato il dettaglio, percepito l’emozione, visto una storia e trovato l’obiettivo. I loro visi si sono fatti largo tra i vicoli della città mettendo a fuoco il filo dell’intuito artistico. Insomma, si capisce subito quando è il momento di scattare. Lo si sente a pelle, è qualcosa che viene da dentro, che spinge ad essere un tutt’uno con l’immagine. Perché svelare ciò che sembra nascosto, timido, è come tirare la luce dal buio, sentire l’odore della bellezza, scorgere il riflesso di un messaggio. Le foto sono un linguaggio, un punto di forza o di rottura nella comunicazione. Sono la scelta consapevole di un’espressione artistica che mette a nudo le sfaccettature della realtà. I partecipanti al workshop hanno anche sperimentato la tecnica a lezione con Michele Piccin-
Un work shop di fotografia nella cantina Coppola di Gallipoli organizzato dalla neonata associazione culturale Lampus
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Dall’alto in basso, foto di: Paolo Insalata, Federico Mudoni, Michele Piccinno
no, fotografo che vanta lusinghiere partecipazioni a concorsi nazionali ed internazionali arrivando ad avere visibilità su FIAF “Il Fotoamatore”, rivista ufficiale della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche. Nella fase teorica, i corsisti hanno sperimentato tecniche di base per scegliere le giuste inquadrature e affinare la capacità di scatto attraverso la conoscenza della propria fotocamera e della luce da usare. Chiudere un concetto in un fermo immagine e avvertire che dietro quella foto c’è la sensibilità fluida senza filtri significa anche camminare con la curiosità che fermenta idee, vita, stati d’animo. Esattamente come l’obiettivo di Lampus che intende valorizzare il territorio con una serie di attività socio-culturali ramificate su più settori. Sull’asse del “Sociale – Reale” l’Associazione favorisce l’incontro tra coloro che, interessati alla cultura, escono fuori dagli schemi digitali social per raggiungere una reale interazione di interessi comuni. Del resto il presidente, Paolo Insalata, ritornato nel Salento e sentendo forte l’attaccamento alla sua Leuca, dopo trentadue anni passati in giro per l’Italia, guidato dalla sua esperienza professionale maturata in più ambiti, ama mettere insieme e condividere le varie esplorazioni socio – culturali come forma di crescita individuale e collettiva. Senza iterazione, integrazione e partecipazione si è limitati nella conoscenza. Ed è bello meravigliarsi ancora della genuinità di un’idea, di un progetto, del confronto. Lampus è questo e molto altro. è la bellezza di un intercalare salentino come esclamazione di stupore, ma è anche la velocità, lo sprint giusto che serve per riuscire nella vita come forma di condotta da usare per raggiungere i propri obiettivi e fermarli nella mente. Come in un click.
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gianluigi cosi, la musica, le parole e il sogno dei “rinoplastici” Antonietta Fulvio
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Intervista al cantautore brindisino leader della tribute band dedicata a Rino Gaetano
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BRINSDISI. Quando mi sveglio la prima cosa che faccio è cercare la musica accanto. Quella di Endrigo, Battisti, Fabi, Gazzè, Bungaro e, soprattutto lui Rino Gaetano”. A parlare è Gianluigi Cosi cantautore e scrittore brindisino, leader e fondatore della tribute band “Rinoplastici” dedicata proprio al cantautore calabrese scomparso venticinque anni fa in un tragico incidente. Il tuo incontro con la musica? Ho iniziato a suonare chitarra dal 1990 poi sono passato al pianoforte per tre anni per poi ritornare alla chitarra. Dal 95 l’approccio con il pubblico
partecipando a divesi festival e concorsi canori. Come si chiamava il tuo primo album? Si intitolava Sogni e come per quelli che sono seguiti li ho tutti autoprodotti. Tra le varie esperienze anche l’Accademia di Sanremo... Sì ho partecipato due volte, 1998 e 2001 rispettivamente con due brani inediti Quando tornerai e Non esiste al mondo, brano che diede il titolo anche al mio secondo cd. Sono state esperienze positive, ho conosciuto tanti artisti che ancora fanno musica e con alcuni di loro sono nati dei rap-
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immagini d’archivio
porti di amicizia. Nel 2001, per esempio, ho avuto la possibilità di conoscere Tiziano Ferro anche lui era passato l'anno prima da lì... e poi mi è rimasto l’amore per Sanremo, l’unica città della musica. E tra le varie esperienze, l’incontro con Bungaro. Sì, uno stage di canto, Lo strumento dell’anima, ed è stata un’esperienza indimenticabile, per l’atmosfera - lo Studio Uno di Roma - e soprattutto per l’incontro ravvicinato con Bungaro uno dei miei idoli che mi ha aiutato molto a migliorare la scrittura dei testi delle mie canzoni. E a proposito di idoli nel 2006 vinci nella categoria cantautori della prima edizione del festival “Fiori di pesco” in ricordo del grande Battisti con Mogol presidente della Giuria. Un bella soddisfazione... Sì partecipai e vinsi con il brano intitolato l’Ottava meraviglia, una canzone d’amore dedicata a Rossella che è diventata poi mia moglie. Il tuo ultimo lavoro discografico? Si intitola Le cose che stiamo perdendo ed è un live registrato con la band al Cag di Brindisi, uno studio di registrazione dove sto preparando i nuovi brani. Continuo a scrivere tantissimo infatti sono già pronte le canzoni per il nuovo album e ho cominciato a comporre un disco di ninna nanne per i miei bambini, Isabella e Francesco. Sei sempre stato attento al mondo dell’infanzia uno dei progetti musicali del tuo variegato repertorio che da anni porti in giro con succes-
so è lo spettacolo Ci vuole un fiore... Esatto, è un lavoro a cui tengo tantissimo, fondere la musicalità di Sergio Endrigo con le filastrocche di Gianni Rodari un altro dei miei maestri ispiratori. è pensando a lui che ho scritto il libro Betta Caretta e gli amici della macchia, edito Il Raggio Verde. La casa editrice mi sta accompagnando in questo mio percorso autoriale e mi ha dato modo di conoscere un artista straordinario, Enzo De Giorgi, che ha disegnato in esclusiva i personaggi delle filastrocche. Personaggi che raccontano la bellezza dei nostri fondali, l’ambiente marino che dobbiamo salvaguardare e valorizzare partendo dalle nuove generazioni perché sono loro il nostro futuro e bisogna educare sin da piccoli al rispetto della Natura. Il libro, accompagnato anche da uno spettacolo con i burattini di Paola Giglio, sta ricevendo grossi apprezzamenti dal pubblico e dalla critica, ha ricevuto infatti una menzione speciale al Premio Fiabastrocca organizzato dall’associazione napoletana Accademia degli artisti ed è in concorso per il Premio Strega giovani. Ma veniamo ai Rinoplastici. Come nasce l’idea e come hai incontrato gli altri componenti della band? La band nasce nel maggio 2007 per realizzare il grande desiderio di cantare i successi di Rino per far conoscere la sua musica. Un desiderio condiviso con altri cinque giovani musicisti brindisini con precedenti esperienze musicali: Emanuele Pedote
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chitarra elettrica, Romolo Cennamo tastiera, Ciccio Salonna basso, Saverio Suma batteria, Silvia La Grotta violino e cori. Ci siamo trovati subito in sintonia, con grande entusiasmo abbiamo preparato il repertorio, scegliendo i brani da riproporre ed esordiamo in luglio. Il consenso ottenuto ci spinge ad andare avanti e sono passati nove anni di concerti in lungo e in largo non solo nel Salento. A proposito sabato 8 ottobre saremo a Mesagne, a Villa Bianca “Casa Melissa” per festeggiare il terzo anniversario della struttura. Quale criterio avete adottato per scegliere il repertorio dei vostri live? Abbiamo attinto nel repertorio di Rino privilegiando brani divertenti come Ahi Maria, Gianna, Berta filava, Nun te Reggae più ed altri ancora, ma non mancano l’esecuzione di quelli come Aida, Escluso il Cane, Mio Fratello è Figlio Unico, Il cielo è sempre più blu che ancor oggi suggeriscono spunti di riflessione su temi cari al cantautore e straordinariamente attuali quali l’emarginazione, il lavoro, la solitudine, la politica. Per la maggior parte dei brani abbiamo cercato di rispettare, per quanto possibile con una formazione di cinque elementi, gli arrangiamenti originali e le calde e malinconiche atmosfere che Rino ha creato quasi trent’anni fa. Non solo cover di grandi successi però. Hai firmato anche dei brani dedicati a Rino... Sì, alcuni anni fa scrissi Un eroe a tempo perso dedicato a Rino e al suo essere irriverente e ribelle, l’anticonformista che si prendeva gioco dei potenti con il suo non sense... e lo portiamo in giro con la band. L’ultimo si intitola Se fossi qui pensando a come sarebbe bello se Rino fosse ancora qui con noi e potesse con la sua ironia aprirci gli occhi su quanto succede nel nostro paese...per una strana casualità - ma poi le coincidenze esistono, eccome l’ho scritto quest’estate poco prima che uscisse il libro 3 giugno 1981 - il giorno dopo di Davide Carrozza, edito dalla mia stessa casa editrice. Un romanzo stupendo che fa rivivere Rino dandogli una seconda chance... e con Davide Carrozza è nata una bella sinergia, ci siamo ritrovati a collaborare già quest’estate e stiamo lavorando ad un progetto tra musica, teatro e letteratura che ci vedrà ancora insieme in futuro e nel nome di Rino, ma poiché sono scaramantico non rivelo altro.
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Rio de Janeiro, Brasile, 2009.
steve mccurry e la belleZZa spudorata del mondo Claudia Forcignanò
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Dopo il Castello di Otranto, la mostra Icons approderà il 15 ottobre alla Galleria d’arte moderna di Palermo, prorogata fino al 15 anche la mostra alla reggia di Venaria
OTRANTO (Lecce). Nascere a Philadelphia negli anni in cui l'America ancora era sinonimo di possibilità, significava anche avere la libertà di riempire uno zaino di rullini e prendere il primo aereo per l’India imboccando, senza averne piena consapevolezza, la strada che conduce all'Olimpo dei miti. Da circa 30 anni, Steve McCurry è considerato una delle voci più autorevoli della fotografia contemporanea; la sua carriera iniziò con uno zaino sulle spalle e una macchina fotografica al collo, durante un lungo viaggio ai confini del mondo, fino ad arrivare in Pakistan proprio nel momento in cui la Russia chiudeva le frontiere ai giornalisti occidentali che tentavano di entrare in Afghanistan, ma McCurry aveva una missione ben precisa: documentare la
guerra e la disperazione, così riuscì ad infiltrarsi tra i rifugiati indossandone gli abiti e trascorrendo con loro intere settimane. Fu l'inizio di una storia fatta di immagini, sguardi, colori e dettagli che sconvolsero il mondo restituendo i dettagli inediti di una guerra, ma fu anche l'inizio del lungo peregrinare di Steve McCurry, che da allora ha attraversato i continenti diventando il testimone di conflitti, culture e tradizioni e ricevendo alcuni tra i più prestigiosi riconoscimenti in campo fotografico. La sua maestria nell'uso del colore, l'empatia e l'umanità delle sue foto fanno sì che le sue immagini abbiano un impatto immediato e totalizzante sulla sfera emozionale di chi le osserva. La forza della fotografia di Steve McCurry risiede nella capacità di catturare nel suo obiettivo i dettagli dei volti che incontra in modo tale da liberarne la storia custodita tra le rughe e donarla al mondo. Sharbat Gula ne é l'esempio più emblematico: la ragazzina afgana incontrata in un campo profughi a Peshawar, il cui sguardo carico di
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Al centro: Mazar-i-Sharif, Afghanistan, 1991. sotto: Peshawar, Pakistan, 1984.
orgoglio e rabbia é diventato simbolo di un popolo, é stata ed é tuttora una delle fotografie più famose al mondo. Di Shabat Gula colpiscono gli occhi verdi, di un verde profondo e ipnotico, le labbra sottili, serrate, il contrasto netto con il colore del mantello sui capelli scuri. É lei che fino allo scorso 2 ottobre per oltre quattro mesi, ha accolto i visitatori e i turisti che si sono avvicendati nelle sale del Castello Aragonese di Otranto per visitare la mostra "Steve McCurry Icons" che ha portato nel Salento oltre 100 scatti dell'artista americano. Oggi la mostra si é conclusa, i visitatori, a migliaia hanno curiosato tra i dettagli delle foto esposte, alcuni si sono emozionati, hanno scattato foto a loro volta, altri ancora si sono lasciati andare ai soliti imbarazzanti selfie, molti hanno semplicemente attraversato le stanze, moltissimi hanno trascorso ore e ore tra le mura del castello, ma adesso le sale torneranno vuole fino alla prossima manifestazione, e finalmente il silenzio é tornato a regnare sovrano. Le foto di Steve McCurry continueranno il loro
viaggio, chi ha avuto la fortuna di vederle dal vivo ha potuto percepire l'odore della pioggia in Giappone e del fango in India, si é potuto beare del sorriso dei bambini e dello sguardo severo degli anziani, ha conosciuto l'Oriente con i suoi monumenti e tradizioni e ha incontrato donne velate e donne truccate, ma soprattutto ha incontrato un mondo vittima di una lotta impari contro un mondo che ogni giorno sbatterla sua spudorata bellezza in faccia al dolore. Chi non ha avuto la fortuna di visitare la mostra, può fare una ricerca, recarsi in libreria, sfogliare i cataloghi, non solo per vedere il lavoro di un grande maestro, ma anche e soprattutto per annodare un filo che congiunge continenti lontani avvicinando spiriti affini attraverso le immagini. Il mondo di Steve McCurry" allestita presso la Reggia di Venaria è stata prorogata fino al prossimo 16 Ottobre 2016. Per info www.mostrastevemccurry.it Icons sarà a Palermo dal 15 ottobre al 19 febbraio 2017 alla GAM - Galleria d'Arte Moderna di Palermo
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la festa del cinema di roma all’auditorium della musica
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Sul red carpet romano in arrivo, dal 13 al 23 ottobre, le star del cinema mondiale
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L’eleganza e la gioia di Gene Kelly e Cyd Charisse nello scatto del fotografo di LIFE Magazine J.R. Eyerman è l’immagine guida dell’undicesima edizione della Festa del Cinema di Roma che ritorna, dal 13 al 23 ottobre, con la direzione artistica di Antonio Monda, prodotta dalla Fondazione Cinema per Roma, presieduta da Piera Detassis. Proiezioni, incontri, convegni e mostre come quella aperta nel Museo Carlo Bilotti, PiacereEttore Scola. Cuore del festival l’Auditorium Parco della Musica, progettato da Renzo Piano, ospiterà le principali sale di proiezione - ma saranno coinvolte anche quelle in altri luoghi della capitale - e il Villaggio del Cinema, il lunghissimo viale che conduce alla Cavea si trasformerà in uno dei più
grandi red carpet al mondo. Tantissimi gli ospiti attesi tra i quali l’attore Tom Hanks che riceverà il Premio alla Carriera e i registi Andrzej Wajda e Oliver Stone, David Mamet, l’architetto Daniel Libeskind solo per citarne alcuni e la bellissima Meryl Streep e gli italiani Bernardo Bertolucci, Roberto Benigni, Lorenzo Cherubini, Paolo Conte, ElioeleStorieTese per la proiezione del documentario "Ritmo Sbilenco: Un filmino su Elio e le Storie Tese". 44 i film e i documentari presenti nella Selezione Ufficiale dove troviamo gli italiani “7 minuti” di Michele Placido, “Maria per Roma” di Karen Di Porto, “Napoli ’44 di Francesco Patierno e “Sole cuore amore” di Daniele Vicari. Quattro sono inve-
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In questa pagina: l’attore Tom Hanks, il regista Oliver Stone, l’attrice Meryl Streep
ce le pellicole inserite nella sezione “Tutti ne parlano”, dedicata ad alcuni titoli che hanno avuto un sorprendente esordio internazionale. Si potrà assistere dunque alla proiezione di Busanhaeng/Train to Busan di Yeon Sang-ho (Corea del Sud, 2016), Genius di Michael Grandage, Regno Unito, Stati Uniti, 2016, che vede un cast strepitoso con Colin Firth, Jude Law, Nicole Kidman, Laura Linney e, ancora Hell or high water di David Mackenzie, (Stati Uniti, 2016) e La tortue rouge di Michael Dudok de Wit, Francia, (Giappone, Belgio, 2016). In collaborazione con Alice nella città saranno proiettati Capitain Fantastic di Matt Ross, (Stati Uniti, 2016), Louise en hiver/louise by the shore di Jean-François Laguionie, (Francia, Canada, 2016), Sing Street di John Carney, (Irlanda, Regno Unito, Stati Uniti, 2016). Nel ricco programma è incastonato un cameo per ricordare, in questa edizione, Michael Cimino, scomparso lo scorso luglio, Fritz Lang, riproponendo uno dei film più amati dal pubblico, L’Armata Brancaleone, in versione restaurata a cura della Cineteca Nazionale, Luigi Comencini e Gregory Peck, a cento anni dalla nascita e il ricordo del decano dei critici, Gian Luigi Rondi (foto a lato), presidente della Fondazione Cinema per Roma dal 2008 al 2012. Tra gli eventi in preapertura - American Pastoral di Ewan McGregor, On the Town di Stanley Donen, Gene Kelly, Inferno di Ron Howard, In guerra per amore di Piefrancesco Diliberto (Pif) domenica 9 ottobre alle ore 19, la Festa del Cinema e Minimum Fax Media presenteranno, alla Casa del Cinema, La guerra dei cafoni, un film diretto da Davide Barletti e Lorenzo Conte, tratto dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis (ed. Minimum Fax 2008). La proiezione sarà rigorosamente vietata ai maggiorenni: gli interpreti del film (ventiquattro minorenni alla loro prima esperienza cinematografica), insieme con altri ragazzi pugliesi – anche loro tutti minorenni – incontreranno in sala solo coetanei, con cui vedranno – per la prima volta – l’opera che li vede protagonisti. La guerra dei cafoni è una commedia ma anche un affresco sociale, una delicata storia d’amore, un percorso di formazione, una storia di adolescenti ambientata in Puglia nella metà degli anni Settanta. Prevendite sono aperte, parte degli incassi della Festa sarà devoluto alle popolazioni colpite dal terremoto in centro Italia. (an.fu.) Info e prenotazioni sul sito romacinemafest.it e su www.ticketone.it
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alcune immagini della manifestazione , fonte ufficio stampa Comune di Napoli
a napoli la peace run, la fiaccola della pace e della fratellanZa
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La pace non consiste nell'assenza di guerra. La pace è presenza di armonia, amore, unità e soddisfazione nella famiglia umana
NAPOLI. Ci sono notizie belle da raccontare perchè possono contagiare con la loro positività e rappresentano una boccata di aria fresca e pulita che ossigena i polmoni e la mente. Ha fatto tappa a Napoli lo scorso 5 ottobre- in Piazza Trieste Trento- ‘Peace Run’, la staffetta podistica internazionale per la pace più lunga del mondo. Il passaggio della fiaccola è stato accolto dal sindaco Luigi de Magistris e dagli studenti del territorio che hanno marciato insieme ai tedofori sino a Piazza Municipio dove si è svolta l’esibizione delle scuole. Partita il 24 febbraio dal Portogallo, la marcia europea della Pace è arrivata ieri in Campania, a
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Pompei, e dopo aver fatto tappa a Napoli si è fermata a Caserta per poi riprendere il suo viaggio che si concluderà a Roma, dopo aver attraversato 49 nazioni e percorso 24.000 km. “Napoli è la città della pace - ha commentato il sindaco de Magistris – una città che accoglie e che fa dei valori della fratellanza e della solidarietà i punti caratterizzanti della sua storia”. Fondata nel 1987 dal filosofo di Pace Sri Chinmoy, la Peace Run ha coinvolto finora oltre dieci milioni di persone in più di 150 paesi del mondo (in Europa per esempio, ad anni alterni un team di internazionale mette in collegamento tutti i paesi europei su un percorso continuo di 25.000 chilo-
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storie. L’uomo e il territorio
metri). I podisti consegnano la fiaccola ai membri delle comunità locali: sportivi, rappresentanti delle amministrazioni pubbliche, bambini, anziani ma anche a celebrità del mondo dello sport e dello spettacolo. L’intento è la condivisione di un’esperienza di unità e di fratellanza che ha nel passaggio della fiaccola, di mano in mano, il simbolico collegamento di comunità diverse che possano sentirsi parte di una “famiglia mondiale” abbattendo confini geografici, culturali e sociali. Dalla nascita del progetto ad oggi hanno incoraggiato e appoggiato l’iniziativa numerose istituzioni tra cui la Commissione Europea, la Fao e l’Unesco e tra i luminari e prestigiose personalità che hanno aderito spiccano Nelson Mandela, Madre Teresa, Giovanni Paolo II, Mikhail Gorbachev, Vàclav Havel, Desmond Tutu e delle leggende dello sport tra cui Muhammad Alì, Carl Lewis, gli All Blacks, Haile Gebrselassie, Paul Tergat, Tegla Loroupe, Paula Radcliffe.
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Nella foto: Michele Di Gioia, direttore di Matera Sport Film Festival, consegna un riconoscimento al direttore del FIFE 2015 di Rio de Janeiro, Antonio Urano.
matera sport film festival le immagini dello sport
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Dal 24 al 26 ottobre nei suggestivi e antichi rioni dei Sassi e nei palazzi storici di Sant’Arcangelo
MATERA. Prorogato al 15 ottobre 2016 il termine ultimo per poter iscrivere le produzioni alla sesta edizione di "Matera Sport Film Festival" che si svolgerà dal 24 al 26 novembre prossimi - a Matera e in altre località della Basilicata. L'evento, che sarà realizzato in collaborazione con la Fondazione Matera-Basilicata 2019 ed il Comitato Regionale UISP di Basilicata, ha lo scopo di promuovere la migliore qualità delle produzioni di immagini sportive, e la valorizzazione dello spirito olimpico e dei valori universali dello sport, attraverso un programma fitto di appuntamenti: Proiezioni, Meeting, Workshop, Mostre ed Eventi collegati. Cinema, Televisione, Comunicazione e Cultura sportiva diventano i mezzi per la creazione di un luogo capace di stimolare lo studio, il dibattito e la conoscenza delle tematiche culturali e creative. L'organizzazione dell'evento, curata da Matera Sports Academy - organismo riconosciuto dal Comitato Nazionale Olimpico Italiano (CONI) - vanta, tra gli altri, il prestigioso patrocinio di Commissione Nazionale Italiana per l'Unesco, Regione Basilicata, Fondazione Lucana Film Commission, Comune e Camera di
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Commercio di Matera, Rai Basilicata. Il Festival aderisce, inoltre, al network di festival lucani di qualità "BasilicataCinema International Film Festival". Nutrito il novero delle collaborazioni avviate con i festival italiani e stranieri: tra i partner figurano il Festival Nazionale dello Sport Integrato di Courmayeur e il FIFE di Rio de Janeiro. La manifestazione sarà articolata in un programma a ingresso libero per 3 giorni di attività, ospitata in prestigiose sedi: all'interno degli antichi Rioni Sassi di Matera - Patrimonio Mondiale Unesco, in palazzi storici di Sant'Arcangelo (PZ), e in altri luoghi della Basilicata. L'edizione 2016 sarà caratterizzata e valorizzata dalla relazione tra Matera e la città olimpica di Rio de Janeiro - sede dei recenti Giochi Olimpici e Paralimpici - dove il festival lucano è stato ospitato a dicembre scorso, e dalla cui interazione è scaturito il tema principale del concorso: "Giochi Olimpici - Spirito Olimpico". La competizione potrà comprendere cronache, ricerche, reportage riguardanti lo sport, i suoi protagonisti e i suoi valori culturali, storici ed etici attraverso la preparazione e la partecipazione ai Giochi Olimpici.
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Sono quattro le sezioni competitive di quest'anno: "Movies", "Documentari", "Trasmissioni TV e Nuove Tecnologie" e "Sport e Società". Quest'anno, per la prima volta, Matera Sport Film Festival sperimenterà inoltre la sezione speciale in concorso "Sport4Youth", in cui si inviteranno gli alunni delle scuole secondarie della regione a raccontare storie di sport, con le moderne tecnologie digitali, su tre differenti temi: "Oltre le barriere: sport e inclusione sociale"; "Nutrizione e Benessere: stile di vita sano e corretta alimentazione per una cultura della prevenzione"; "Sport e arte di strada: nuove tendenze di creatività giovanile". I lavori, della durata massima di 120 secondi, saranno "postati" dagli studenti nei rispettivi account su YouTube e ripresi dal sito ufficiale www.materasportfilmfestival.com per essere valutati attraverso una votazione online, a seguito della quale le opere più meritevoli saranno premiate nel corso dell'evento.
Alcuni momenti del Congresso, foto di Ada Donno
colombia la pace negata Ada Donno
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Reportage da Bogotà, sede del XVI Congresso della FDMI
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Il plebiscito, infine, ha detto No agli accordi di pace in Colombia. Tremendo risultato – mi scrive attonita Judy González-Oriano - sembra che la guerra continui ad essere un affare per alcuni. Con astensioni fino al 60%, con manipolazioni e ostacoli frapposti da poteri legittimi e sotterranei, il rifiuto degli Acuerdos de Paz scatenerà ulteriori divisioni non solo politiche, ma soprattutto sociali là dove la guerra per oltre 50 anni ha colpito più forte. Negli Accordi sottoscritti a L'Avana nel giugno scorso dopo quattro anni di negoziati fra il governo colombiano di Santos e le Farc, Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia, propiziati dall'attiva mediazione del Venezuela bolivarano, di Cuba, Cile e Norvegia, si stabilivano le condizioni - tra gli altri punti - di una riforma agraria con la distribuzione delle terre, la lotta al narcotraffico e la sostituzione delle colture illegali, di un percorso di costruzione di una nuova architettura statale basata sulla partecipazione politica delle organizzazioni popolari, l’istituzione di un Tribunale speciale per giudicare i crimini connessi col conflitto armato e risarcire le vittime. Inoltre cosa niente affatto secondaria – s’introduceva il criterio dell’uguaglianza di genere e del rispetto dei diritti delle donne nell’intero percorso negoziale e
di ricostruzione politica ad ogni livello. La Fdim, Federazione Democratica Internazionale delle Donne, che è fra le organizzazioni non governative internazionali designate dal tavolo negoziale per vigilare sull'applicazione degli Accordi, una volta che questi avessero ottenuto la ratifica plebiscitaria - ha sostenuto strenuamente il Sì alla pace. Il risultato funesto che registriamo oggi – scrive scoraggiata Victoria Saudade - è frutto dell'odio, la disinformazione e il risentimento di un paese
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Immagini di Bogotà e del Congresso, foto di Ada Donno
profondamente malato che si nega al perdono e alla riconciliazione. Eppure, chi ha letto il testo completo degli Accordi - 297 pagine di testo concordato cosa che pochi hanno fatto, anche tra i mass media addomesticati colombiani e internazionali, sa bene che l'uscita politica dal conflitto armato è la cosa migliore che possa accadere in Colombia. Bogotà. Alla vigilia della partenza, un’amica mi aveva detto: “Vai a Bogotà? Verifica se è davvero la città più brutta al mondo, come dicono”. Un’altra mi aveva raccomandato: “Attenta, c’è molta violenza. Non andare in giro con gioielli o altro, ché te li strappano di dosso”. Ogni luogo si porta il suo stigma. La Colombia paga il prezzo di una fama radicata, oltre che in secoli di dominio coloniale e sottosviluppo neocoloniale, in cinquant’anni di ininterrotto conflitto armato fra insurgencia popolare ed esercito governativo e narco-paramiltare. Per assurdo, e come ad esorcizzare paure diffuse, le agenzie di viaggi assicurano invece che la Colombia è il paese più felice al mondo. In realtà Bogotà ha le bellezze e le brutture, le miserie e le nobiltà, l’allegria e le sofferenze di tutte le capitali latinoamericane. Ricca di musei, librerie e teatri, puoi essere attratta da luminosi murales e angoli lerci. Una visita al museo di Botero ti mette di buon umore; un giro nel museo del Oro ti trasporta per un’ora nei fasti delle civiltà precolombiane; un’ascesa in teleferico al santuario del Cristo
Caìdo sul Monserrate ti regala una visione a perdita d’occhio dell’altopiano su cui si è estesa e si e ammassata questa città di otto milioni. Un gigantesco Garcia Marquez – finalmente tornato in patria dall’esilio di una vita - colora di blu l’intera fiancata di un palazzo della Candelaria e ti dà la speranza del cambiamento. Per le carreras e le calles, ad ogni ora sciamano senza fretta scolaresche di ogni età e gente di ogni tipo che ti sorride, se ne ha voglia, oppure no, come accade dovunque. A ogni passo chioschi, edicole e banchetti vendono ogni genere di mercanzie, di qualità buona o dubbia o pessima, come dovunque. A meno che non te ne vai girando di notte nelle strade malfamate dei barrios, certo, ma allora te la sei cercata. Come ti può accadere dovunque. La Fdim ha scelto di tenere a Bogotà il suo 16° congresso, il 15-18 settembre scorso, in coincidenza con la stipula degli accordi di pace. La Fdim fu fondata a Parigi il 1° dicembre ‘45 dalle donne che uscivano dalla resistenza europea contro il nazifascismo e dalla seconda guerra mondiale, e la pace è rimasta il suo costante nord in questi settant’anni. Lo ha riconfermato anche nel motto di questo congresso: donne unite nella lotta per la pace e contro l’imperialismo. La Fdim è un’organizzazione prestigiosa nell’ambito del movimento femminile e femminista internazionale, gode di statuto consultivo presso il Consiglio economico sociale delle Nazioni Unite, ha avu-
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to un ruolo importante nell’inclusione dei diritti delle donne e della prospettiva di genere nelle politiche delle Nazioni Unite, presso la Corte internazionale dei diritti umani, nelle conferenze mondiali in difesa dell’ambiente e della diversità culturale, contro la fame e l’apartheid, nei forum mondiali dei passati decenni. Negli ultimi vent’anni ha conosciuto una crescita straordinaria nei paesi dell’America Latina ed è stata inserita fra le organizzazioni non governative internazionali incaricate di vigilare che sia rispettata l’ottica di genere nell’applicazione degli Acuerdos de Paz. Salutati solennemente il 26 settembre a Cartagena de Indias, gli accordi sono tuttavia vincolati alla ratifica popolare attraverso plebiscito, in cui la popolazione colombiana è chiamata ad esprimersi il 2 ottobre, con un Sì o un No. Le colombiane al congresso sono in grande fermento. Hanno compiuto un grande sforzo unitario l’Associazione di donne per la pace e la difesa dei diritti della donna colombiana (Asodemuc), l’Unione delle donne democratiche (UMD), i coordinamenti femminili di Marcia Patriotica (Conamu), Poder Ciudadano, Fundacion Nacion Activa, dei sindacati e dei partiti di sinistra – per accoglierci, noi trecento delegate delle 68 organizzazioni affilia-
te alla Fdim in cinque continenti, nella Casa de Eventos Tequendama di Bogotà. Si mostrano fiduciose - la vittoria del Sì è data per certa dai sondaggi - ma nei loro occhi affiora un’ansia che la pelle percepisce. Già due precedenti cicli di trattative – nei cinquant’anni di conflitto armato – sono saltati per il voltafaccia della parte governativa. E ne son seguite offensive più feroci. Viene suggellato un Patto di donne per la pace, letto al termine di una marcia per la pace che attraversa Bogotà, in cui si dichiara l’impegno a non retrocedere nel proposito di costruire la pace. In ogni caso. La propaganda del Sì è sorridente e festosa – El Sì es una fiesta! Sì a la vida, Sì a la paz, Sì a la reconciliaciòn! - mira a rassicurare e convincere, con argomenti semplici che spiegano nel dettaglio le buenas razones para decir Sì a los Acuerdos de Paz. Vi partecipano partiti e sindacati, intellettuali e artisti, gruppi musicali organizzati e spontanei, associazioni culturali e singole persone di buona volontà. Si ha davvero la sensazione che nessuno possa negare il voto agli accordi di pace. Le cifre del conflitto armato dicono che ha causato 260 mila morti ammazzati, 45 mila desaparecidos, circa sette milioni di sfollati. Le radici del conflitto tra il governo e l’insurgencia
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foto di Ada Donno
sono nell’estrema disuguaglianza e l’ingiustizia sociale, la concentrazione della proprietà agraria (il 46 per cento della terra è nelle mani dello 0,4 per cento della popolazione), la criminalizzazione della protesta sociale, la persecuzione delle organizzazioni sindacali, l’assenza di democrazia. Se ne può uscire solo creando un “sistema integrato di verità, giustizia, riparazione e non ripetizione” che favorisca la transizione. La propaganda del No è subdola, torva e menzognera. Mira a resuscitare i fantasmi insanguinati di questi cinquant’anni di guerra, ad alimentare le oscure paure del presente, ad annichilire le timide speranze di futuro. Quella del fondamentalismo cattolico evoca il diavolo in persona: “la Colombia è in pericolo di cadere sotto una dittatura comunista e sotto l'imminente approvazione dell'Ideologia del Gender”. Gli accordi contemplano – vade retro Satana! - i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere come criterio politico imprescindibile della ricostruzione. Suonano diabolici all’estrema destra - quella legata alla proprietà terriera che della guerra ha approfittato sottraendo quattro milioni di ettari ai campesinos, al narcotraffico e alle multinazionali - i punti degli accordi che riguardano la riforma agraria integrale, la distribuzione delle terre incolte e la conversione delle colture illecite. Ci tornano alla mente le campagne elettorali democristiane di casa nostra, nel ’48 e negli anni ’50. Quando è urlata, la propaganda del No assume qui la faccia dall’ex presidente Uribe, l’uomo del famigerato Plan Colombia americano, degli escuadrones de la muerte, dell’oligarchia latifondista e finanziaria. Il plebiscito infine ha detto No agli accordi di pace. Un’astensione altissima e un No che è prevalso di stretta misura. Il paradosso è che le percentuali più alte di Si si sono avute nelle zone più funestate dal conflitto, quelle che più avrebbero avuto motivo di coltivare l’odio. Il No ha vinto invece nei territori urbani che la guerra l’hanno vista attraverso i telegiornali e la stampa di regime. Paradosso solo apparente, in realtà, che descrive bene dove sta il bisogno di una uscita politica dal più lungo conflitto armato in America Latina. “Noi donne di Colombia vi promettiamo di non essere inferiori alla Storia”, ci aveva detto Victoria Sandino, dandoci il benvenute al congresso. Ma per il momento è la Storia a segnare una battuta d’arresto, in Colombia.
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dal libro al concorso canoro così tito schipa entra nelle scuole Antonietta Fulvio
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Un libro e un progetto didattico dedicato all’Usignolo leccese
LECCE. Dalle pagine di un libro al concorso canoro passando per un progetto didattico che vede coinvolte ad oggi una cinquantina di scuole della provincia di Lecce e Brindisi. L’intento? Far conoscere ai bambini il tenore Tito Schipa, la storia e la voce. É questo il progetto firmato dall’associazione “Orpheo per l’alba di domani” che parte dal libro, Tito il cantante piccoletto, scritto a due mani dai fratelli Francesco e Matteo Spedicato. Uniti dalla passione per la musica e per l’usignolo leccese in una sorta di fiaba moderna, in maniera semplice e a tratti poetica, hanno provato a raccontare la storia del bambino Tito Schipa, nato a Lecce, nel quartiere delle Scalze, il 27 dicembre 1888 da una famiglia arbëreshë, il suo incontro con la musica e la passione per il canto che lo portò anche oltreoceano, acclamato nei più prestigiosi teatri del mondo. Tradotto in inglese da Laura Clifton Byrne e impreziosito dalle illustrazioni di Piero Schirinzi, il libro è infatti il fulcro di un progetto più ampio costituito da un percorso didattico rivolto ai bambini dalla scuola dell’infanzia fino alle prime classi delle superiori, dal titolo “Stregati dalla musica”, che si concluderà con uno spettacolo musicale,
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tratto dallo stesso libro, anche con musiche originali e con arrangiamenti curati dal M° Eliseo Castrignanò. L’obiettivo è quello di coinvolgere in maniera attiva i giovani studenti che, di volta in volta, saranno in platea, non solo invitandoli a cantare insieme le parti corali che avranno studiato in classe ma anche attraverso piccoli oggetti o strumenti coreografici che saranno invitati a costruire in un percorso di eduzazione all’immagine perchè è sulla trasversalità dei linguaggi artistici che si vuole puntare. Ne è stato un esempio la serata di presentazione del progetto, lo scorso 28 settembre, nel cine teatro della Scuola dell'Infanzia e Primaria Filippo Smaldone di Lecce. Sul palco sono saliti Francesco e Matteo Spedicato, rispettivamente voce e percussioni, il maestro Eliseo Castrignanò al piano, Gianluca Milanese al flauto e la giovane Claudia Presicci. In scena anche il coro di voci bianche “Piccoli cantori salentini” diretto dal M° Vincenza Baglivo che hanno intonato in anteprima quattro dei brani che comporranno lo spettacolo che sarà prodotto in primavera dalla stessa associazione. Ai dirigenti e referenti in sala, aderenti all’iniziativa, è stato consegnato utile all’avvio del
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percorso didattico nelle classi; per gli istituti che vorranno far pervenire la loro adesione c’è tempo fino al 17 ottobre. Completa il progetto l’attivazione di un doppio concorso: uno canoro, “Una voce per Tito”, per ricercare le due voci che parteciperanno alla realizzazione del disco “Canta con Tito”, pubblicata sempre dall’etichetta Orpheo, l’altro di prosa, poesia e grafica, “Tito tra le righe” entrambi riservati a bambini e ragazzi delle scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado. Tra i collaboratori del progetto, che gode del sostegno dell'Ufficio Scolastico Provinciale (ex Provveditorato agli studi) e del Comune di Lecce - Assessorato alla Pubblica Istruzione e il patrocinio della Provincia, figurano “Il Veliero parlante”, rete di insegnanti e dirigenti di scuole di ogni ordine e grado dell’intera provincia di Lecce, “Prozìmi”, rete delle istituzioni scolastiche della Grecìa Salentina, e la Biblioteca comunale “Gino Rizzo” di Cavallino.
Foto in basso: Daniel Oren _ph Roberto Ricci
dal teatro regio al farnese passando per busseto: è festival
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Un ricco cartellone, per celebrare Giuseppe Verdi eil rapporto con Schiller
PARMA. Friedrich Schiller sosteneva che “L’artista è figlio del suo tempo; ma guai a lui se è anche il suo discepolo o peggio ancora il suo favorito”. Una frase di straordinaria modernità come lo è il pensiero dei grandi. E sarà il filosofo, drammaturgo e poeta tedesco la figura centrale dell’edizione 2016 del Festival Verdi, che dal 1 al 30 ottobre torna a Parma e Busseto. Shiller fu fonte inesauribile per i compositori italiani spiega Anna Maria Meo, direttore generale del Teatro Regio di Parma - “oltre a Verdi, che ne musica ben quattro opere, pensiamo soltanto a Rossini col Guglielmo Tell e a Donizetti con Maria Stuarda, alla Turandot pucciniana ripresa dalla versione di Schiller della fiaba di Gozzi), al quale dedicheremo un percorso che intende indagare il rapporto che il Maestro intrattiene in varie fasi della sua carriera col poeta e drammaturgo tedesco, uno dei grandi protagonisti del movimento romantico europeo, al quale anche Verdi possiamo senz’altro annoverare”. Spettacoli, concerti, incontri, giornate di studi faranno rivivere il grande compositore italiano in luoghi simbolo: il Teatro Regio di Parma e il Teatro Giuseppe Verdi di Busseto, ai quali per il prossimo triennio si affiancherà il Teatro Farnese dove quest’anno Peter Greenaway metterà in scena Giovanna d’Arco. Altre opere in cartellone sono il Don Carlo, che apre il festival nel nuovo allestimento firmato da Cesare Lievi e con il maestro Daniel Oren sul podio, I masnadieri e Il Trovatore, che vedrà sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini il direttore Massimo Zanetti. “Il Teatro Farnese sarà anche il luogo delle contaminazioni di AroundVerdi, ove la musica verdiana
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Dall’alto in basso: James Conlon_ph Mark Lyons Vinicio Capossela_ph Luca Zizioli
Nazionale della Rai in un programma che accosta sinfonie e preludi tratti dal repertorio verdiano a celebri pagine sinfoniche di Gustav Mahler. E ancora il concerto, interamente dedicato a Verdi, in programma il 26 ottobre al Teatro Regio che vedrà Daniele Callegari sul podio della Filarmonica Arturo Toscanini e il gradito ritorno di Gregory Kunde che il 28 ottobre sempre al Teatro Regio interpreterà alcune tra le più amate arie verdiane, nel recital accompagnato al pianoforte da Beatrice Benzi. L’immagine esclusiva del Festival è il ritratto di Verdi realizzato a matita da Renato Guttuso negli anni ’60, donato al Teatro Regio di Parma dall’Archivio storico Bocchi e concesso da Fabio Carapezza Guttuso ©Renato Guttuso by SIAE 2016. (an.fu.) Info: 0521 203999 www.festivalverdi.it
i luoghi nella rete. #verdimuseum il museo digitale diffuso di verdi
Girovagando in rete, a proposito della grande kermesse verdiana, segnaliamo #VerdiMuseum, un portale web e un'App museale gratuita al servizio del turista e di tutti gli appassionati di Giu-
seppe Verdi. Nato a Parma nell’ottobre 2013 da una proposta di SQcuola di Blog, il portale è una mappa che permette di scoprire ogni traccia del compositore italiano più eseguito al mondo: la vita, il carattere, le opere, i luoghi che ha attraversato e i personaggi con cui ha lavorato, la musica, le lettere, le curiosità, gli studiosi e le associazioni di appassionati che lo venerano. Percorsi di visita, informazioni, suggerimenti in un'unica piattaforma gratuita, multilingue, social, accessibile e costantemente aggiornata. #VerdiMuseum si finanzia attraverso crowdfunding, ovvero donazioni elargite da tutti coloro che vogliono essere mecenati del Maestro nel mondo.
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I LUoGHI NELLA RETE
incontrerà la musica elettronica, il jazz di Uri Caine, le composizioni di Fabien Lévy, le note poetiche di Vinicio Capossela, la maestria attoriale di Ugo Pagliai, le performance teatrali di Lenz, in cinque commissioni del Festival Verdi eseguite in prima assoluta”. Tra gli obiettivi del festival infatti c’è infatti la ricerca di nuovi talenti che ha nel Teatro Giuseppe Verdi di Busseto e il Concorso Internazionale Voci Verdiane il suo momento tra i più fecondi; in questa edizione i giovani si cimenteranno con I masnadieri, nel fortunato allestimento di Leo Muscato ripreso per l’occasione e diretto da Simon Krečič. Tra i tantissimi eventi in programma si segnalano la cerimonia a Parma, il 10 ottobre, nel 230° compleanno del maestro, la partecipazione per la prima volta al Festival Verdi di James Conlon che il 22 ottobre, al Teatro Regio, dirigerà l’Orchestra Sinfonica
Foto di Nunzio Pacella
specchia spodesta milano. si fa a sud il panettone più buono Maurizio Antonazzo
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Intervista al pasticciere specchiese vincitore del Panettone Day
SPECCHIA (Lecce). In uno dei borghi più belli d’Italia, si produce il panettone più buono d’Italia. Il panettone del pasticcere Giuseppe Zippo, titolare di “Le Mille voglie” a Specchia, in provincia di Lecce, è stato premiato come il “Miglior Panettone Tradizionale 2016”, riconoscimento assegnato nell’ambito dell’evento “Panettone Day”, organizzato durante la manifestazione “Sweety of Milano”, importante evento gourmet, che si è svolto lo scorso 17 Settembre. Al concorso hanno partecipato 150 pasticcieri da tutta Italia e Zippo è risultato vincitore dopo una selezione tra 20 finalisti, classificandosi già alla prima selezione, al primo posto in Puglia, Basilicata, Calabria, Molise e Sicilia, arrivando al settimo posto con il “Dolce di Natale all’olivo” per l’altra categoria “Miglior Panettone Creativo Dolce”, dove venivano selezionati per la finale solo i primi 5 pasticcieri. I finalisti sono stati giudicati da una giuria d’eccellenza composta dal pasticcere amalfitano Sal de Riso, dal pasticcere bolognese Gino Fabbri, dalla food blogger Chiara Maci, mentre il presidente di giuria era il noto pasticcere bresciano Iginio Massari, secondo il Gambero Rosso dal 2011 al 2015, miglior pasticcere italiano e per ben due volte allenatore della Nazionale Italiana
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Pasticceri alla Coppa del Mondo di Pasticceria. Zippo opera a Specchia, una cittadina che può vantare diverse famiglie che dal secolo scorso, nell’ambito dell’arte dolciaria, hanno raccolto consensi nell’intera Puglia: i Maisto e i Lombardo, e tuttora, può ancora annoverare il Gruppo Martinucci che commercializza la pasticceria in tutta Italia e nel mondo. Qual è la prima sensazione che hai provato, appena è stato pronunciato il nome della tua pasticceria come vincitrice? Non pensavamo assolutamente alla vittoria. Mi aspettavo di collocarci al quinto o al quarto posto, avevo quasi perso ogni speranza e dopo aver sentito che al terzo e secondo posto non pronunciavano il nome della mia pasticceria, ero pronto a congratularmi con il collega primo classificato, poi ho sentito il nome “Le Millevoglie “ e non ho capito più nulla. Certamente è stato premiato il nostro impegno che c’è costato tanti sacrifici. Non è facile conquistare Milano con un prodotto come il panettone che è tipico del territorio lombardo. Come nasce il pasticcerie Giuseppe Zippo? In primo luogo, devo ringraziare, soprattutto, mio padre Antonio e mia madre Pina, volata in cielo troppo presto, che mi hanno incoraggiato dal primo
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momento, vedendo l’ impegno e la passione che ci mettevo. Già a 8 anni, infatti, ho iniziato a frequentare i laboratori di pasticceria e dopo il Diploma all’Alberghiero di Santa Cesarea, a soli 19 anni, nel 2003, con mia moglie Federica ho avviato la mia attività in un locale più piccolo di quello attuale, poi dal 9 luglio 2014 ho investito in una sede più ampia e molto vicino al borgo antico, supportato in laboratorio e al bancone da uno staff competente di ragazzi e ragazze, che in questi ultimi tempi mi hanno sostituito nella produzione della pasticceria, in quanto io ero impegnato nelle prove per produrre il panettone vincente. Che cosa hanno valutato i giurati in ogni panettone ? Secondo alcune caratteristiche fondamentali di ogni panettone come il gusto, la forma, il colore, il profumo, la sofficità e la fragranza, il taglio, l’alveolatura, l’uniformità di distribuzione della frutta e cottura e la qualità degli ingredienti,ed abbiamo scelto i migliori e possibilmente anche locali come il miele salentino e le mandorle pugliesi. Come si produce il panettone più buono d’Italia? Occorrono due giorni tra lievitazione e produzione, ma molto importanti sono i prodotti di qualità, esclusivamente naturali, come la farina, lo zucchero, il miele salentino, le bacche di vaniglia, il burro, la pasta di arancia, i torli d’uovo freschi, naturalmente uova salentine, l’uva sultanina, i cubetti di cedro e arancia, apprezzati anche da coloro che non mangiano i canditi, il tutto più volte impastati, a lungo lievitati, con glassa di farina di mandorle pugliesi e albume d’uovo fresco, con zucchero a granella a velo e cotto in forno rotante. Cosa ha permesso al panettone vincitore di superare quelli dei più grandi pasticceri italiani, ma soprattutto, del Nord Italia? Mi sono confrontato con i colleghi finalisti e ho scoperto che la nostra produzione è più complessa, infatti, il nostro panettone ha una maggiore quantità di burro, uova e frutta candita. Con il burro che si scioglie a 32 gradi e il panettone lievita a 28 gradi, quindi risulta fondamentale come si prepara l’impasto. Siamo andati al limite su tutte le temperature, ma questa scelta ha permesso di produrre un prodotto di eccellente qualità. Essere un salentino e vincere il primo premio proprio nella capitale del panettone? Produrre a Specchia un panettone artigianale e vince-
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Foto di Nunzio Pacella
re a Milano è stata veramente una grande impresa. Al concorso erano presenti grandi maestri pasticceri e fornai lombardi con un’esperienza di circa cinquant’anni. Tra l’altro sono rimasto sorpreso che abbiamo superato i fornai, e alcuni di essi si sono classificati nei primi cinque posti, essi ogni giorno utilizzano il lievito madre per fare il pane, rispetto a noi pasticceri che lo usiamo prevalentemente nei periodi di Natale e per produrre le colombe a Pasqua. Dopo questo risultato prestigioso quali sono i programmi futuri ? A seguito della partecipazione al “Panettone Day”, l’appuntamento più prossimo è naturalmente la nostra presenza fino al 31 ottobre al “Temporary Store”, in Corso Garibaldi 42 a Milano,nella zona della movida della città meneghina, insieme ai 24 panettoni dei finalisti, sia con il panettone tradizionale vincitore e sia con il Dolce di Natale all’olivo (con olive dolci), quello con cui abbiamo concorso per la categoria “Panettone Dolce Creativo”, sarà possibile degustare i nostri panettoni e acquistarli in formato da 500 gr al prezzo promozionale di 10 euro. Nei giorni successivi all’ottenimento del riconoscimento siamo stati contattati e abbiamo ricevuto molte richieste per il panettone, sia per grossi quantitativi, sia per partecipare a varie iniziative. In ogni caso, cercheremo di partecipare ad altri concorsi analoghi con le torte e l’arte dolciaria di “Le Mille voglie”.
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attraversare territori e storia visite ai giardini di pietra
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Visite nei luoghi di produzione e gran finale con lo spettacolo nel segno di Antonio Verri
MELPIGNANO. “Visite ai Giardini di Pietra” la rassegna itinerante di parole, musica e canti in cammino nel Parco delle Cave” a Cursi entra nei luoghi della produzione facendo incontrare maestranze e artisti. Si parte domenica 2 ottobre dall’azienda Pitardi di Melpignano per un omaggio alla pietra con le parole di Piero Rapanà tratte dalla pièce teatrale “Che fortuna sono qui” seguito dallo spettacolo “Ben oltre” con l’attrice Anna Dimitri accompagnata dalla voce di Raffaella Aprile. In chiusura i suoni di Valerio Daniele e Giorgio Distante Domenica 9 ottobre, appuntamento sul piazzale di Bianco Cave (zona industriale di Melpignano) con la scrittrice Maira Marzioni che presenta “Cronache minime da Cursi”, lettura di un reportage di parole scritte per “Serre delle Arti – Territori di Pietra”. In sottofondo il suono del violino e la loop station di Valentina Marra. Seguirà il concerto di Ninfa Giannuzzi e Valerio Daniele che presenteranno brani da “Aspro” progetto di riappropriazione della lingua grika e della tradizione orale della Grecìa. Il disco è una danza propiziatoria al ritorno della passione popolare collettiva; un ritorno che apra la strada verso una “rinascita comunitaria” non ancorata al passato ma rivolta al futuro. Domenica 16 ottobre ci si sposterà ancora a Melpignano ma negli spazi della Pimar, sulla statale Lecce Maglie, uscita Melpignano Stazione. A tessere il racconto le parole di Silvia Lodi tratte dallo spettacolo “Senza voce, storia di Ciccilla. Briganta sì e santa no”. Silvia Lodi incarna e interpreta la verità oggettiva, la verità inaccettabile perché plebea. La verità figlia di voglia di giustizia. La giustizia anelata dai briganti, non etichettabili con faciloneria quali malviventi, ma ribelli a una società imposta dai piemontesi e organizzata secondo le trame e la tracotanza dei
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signorotti locali. A seguire “Paesaggi di pietra visioni di danza” della Compagnia Tarantarte. Alla danza, il nostro Salento ha affidato molto: nel passato la credenza della cura quando in “segreto” tentava di sanare i guasti della malinconia; nel suo presente (e ahimè, nel suo futuro) nella “consumazione” del ballo popolare, la pizzica-pizzica. Maristella Martella e la sua Compagnia danza sulle pietre, doma questioni di musica e di forma, muove lo sguardo ai luoghi sospende il sentire, il giudizio e ri-scopre la poetica intima della terra. In chiusura il “Jukebox letterario” dell'attore Simone Franco dedicato ai versi di Dino Campana in un gioco di scambio con il pubblico che sceglierà i versi da leggere e la musica che sosterrà la lettura. Il 23 ottobre, un ultimo imperdibile appuntamento nell’azienda Ecade di Zollino dove il Fondo Verri presenterà lo spettacolo “La cultura dei Tao” di Antonio Verri. La rassegna, con la direzione artistica di Mauro Marino, rientra nell’ambito del programma delle residenze di “Serre delle Arti - Territorio di Pietra”.
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Nel riquadro un momento dello spettacolo Hana e Momò, al centro un momento de La bicicletta rossa
principio attivo teatro in tourné romania, cina e giappone Ancora una tourné, oltre i confini europei, per la compagnia teatrale leccese Principio Attivo Teatro. Dopo aver portato Hana e Momò a Singapore, Opera Nazionale Combattenti a Macedonia e Storia di un uomo e della sua ombra in Bulgaria, la compagnia teatrale leccese Principio Attivo Teatro concluderà il 2016 portando i suoi spettacoli ancora una volta oltre i confini europei. Si prepara a partire, dunque, la compagnia composta Leone Marco Bartolo, Dario Cadei, Silvia Lodi, Otto Marco Mercante, Cristina Mileti, Francesca Randazzo, Raffaella Romano, Felice Russo, Giuseppe Semeraro, Adamo Toma. I primi di ottobre tornerà in Romania e precisamente a Bucarest ospiti dell’International Theatre Festival for Children “100, 1,000, 1,000,000 stories” con il pluripremiato spettacolo La bicicletta Rossa vincitore Premio Eolo Awards 2013 per la migliore drammaturgia e menzione speciale all’interno del festival Festebà 2012 di Ferrara. La bicicletta rossa nasce da una forte necessità di raccontare e tradurre per la scena la storia di una famiglia capace di parlare dell’oggi. La scommessa è stata quella di creare un lavoro adatto a un pubblico tra-
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sversale che attorno al tema della crisi possa unire adulti e bambini. - spiega il regista Giuseppe Semeraro. Abbiamo costruito e inventato una favola che, in maniera molto semplice, racconta la parabola di una famiglia che per vivere mette le sorprese negli ovetti di cioccolato, tenuta in scacco da un personaggio inventato, a cui abbiamo dato il nome di Bankomat che rappresenta il potere economico cieco e avido, che si occupa solo di accaparrare sempre più denaro, senza occuparsi delle persone, che rende sempre più povere ed impaurite, alle quali toglie progressivamente tutti i diritti, compreso quello di guardare le stelle poichè è lui il proprietario di tutto della fabbrica degli ovetti, della casa ma anche della luna e delle stelle e nulla può essere fatto senza pagargli qualcosa. Tutta la vicenda è raccontata dalla piccola Marta, la bimba che, mentre i fatti si svolgono, sta ancora nella pancia della mamma. La famiglia, forse metafora di un intero paese, diventa il luogo in cui si sperimenta la povertà ed allo stesso tempo si matura la rivolta (pacifica ma coraggiosa) contro Bankomat e i suoi soprusi nei confronti dei poveri. Quasi per caso, grazie al sogno di Pino, il fra-
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con due spettacoli, La bicicletta rossa e Hana e Momò la compagnia leccese fa tappa in oriente
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tello di Marta, che per il suo ottavo compleanno desiderava tantissimo una bicicletta rossa, la famiglia, e non solo lei, ritroverà la sua dignità e il suo riscatto. Finalmente tutti, non solo l’avido Bankomat, alla fine della storia, saranno liberi di avere dei desideri e di guardare il cielo”. Una favola senza tempo, con echi del teatro di Edoardo e la visionarietà noir di Tim Burton, che utilizza un linguaggio da film muto, a tratti clownesco, capace di attraversare differenti stati emotivi, passando dal riso, alla riflessione, alla commozione. La tourné proseguirà alla volta dell’Oriente con lo spettacolo per la primissima infanzia Hanà e Momò che affronta il valore dello scambio, dell’incontro e dell’importanza del concetto di unione. Hana e Momò che in giapponese significa fiore e pesca, oscilla tra l’arte teatrale “di figura” utilizzando oggetti, alcuni dei quali costruiti in scena durante lo spettacolo e l’arte “d’attore” essendo supportato dalla recitazione delle attrici. Il filo narrativo dello spettacolo, si snoda sulla continua combinazione di azioni-trasformazioni tra le due protagoniste e il pubblico anche attraverso il gioco della competizione. Solo alla fine le due scopriranno quanto sia più importante attingere dallo stimolo reciproco e dalla gioia del “ fare insieme” piuttosto che superarsi. La prima tappa in Cina, a Nanjing, non lontano da Shanghai dal 7 all’11 novembre, e l’altra in Giappone a partire dal 15 al 27 dicembre 2016 durante la quale la compagnia toccherà diverse città dal sud al nord del paese per quasi 15 repliche totali. Principio Attivo Teatro non è nuova alle tournée internazionali infatti i suoi spettacoli a partire dal 2009 sono replicati anche all'estero. Tra le tappe più importanti ci sono quelle fatte in Brasile, Cile, Tunisia, Turchia, Francia, Germania, Austria, Croazia ma anche il Fringe Festival di Edimburgo uno dei più importanti Festival al mondo, riscuotendo sempre un grande successo di critica e di pubblico. Nata nel 2007 e raccoglie al suo interno un gruppo di persone e artisti impegnate da vent’anni in ambito teatrale e vanta partecipazioni ad importanti Festival ed Eventi nei più importanti teatri italiani e prestigiosi riconoscimenti. Dal 2009 lavora a livello internazionale presentando i propri spettacoli all’estero (Spagna, Austria, Svizzera, Francia, Polonia, Croazia, Turchia, Germania, Gran Bretagna, Sud America). Tra le ultime produzioni, spicca un nuovo lavoro di teatro contemporaneo rivolto ad un pubblico di adulti “Opera Nazionale Combattenti” che ha debuttato a maggio 2015 presso il Teatro Comunale di Novoli e lo spettacolo di teatro di narrazione “Digiunando davanti al mare, per un racconto su Danilo Dolci”. (an.fu.) www.principioattivoteatro.it | fb: @principioAttivoTeatro | twitter: @PrincipioAtt
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