le sculture di finotti
carditello rivive
Fino al 5 novembre si potranno ammirare a Matera le opere dello scultore Novello Finotti
Cantieri Culturali Carditello ovvero musica, laboratori e visite guidate nel Real Sito
anno 123 numero 9 settembre 201 7
Anno XII - n 9 settembre 2017 -
giovanni boldini
i longobardi
isadora duncan
Si è aperta a Pavia la mostra itinerante sul popolo che cambiò la storia. Poi approderà al Mann di Napoli e poi all’Ermitage di San Pietroburgo
La vita e la carriera artistica della coreografa statunitense che con le sue idee rivoluzionò la danza segnando l’inizio di una nuova epoca
primo piano
le novitĂ della casa
IL RAGGIO VERDE EDIZIONI
ilraggioverdesrl.it
EDITORIALE
In copertina e sopra: Giovanni Boldini, L’amico fedele, 1872 ca., Olio su tavola, 26x14 cm, Collezione privata
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l.
Dalla mostra sui Longobardi al Castello Visconteo di Pavia alle sculture di Novello Finotti allestite a Matera, dal mondo whimsical di Dilka Bear alle visioni oniriche dell’arte in punta d’ago di Gianfranco Basso. E ancora, tra tanti approfondimenti, dalla Belle époque rievocata nei dipinti di Giovanni Boldini alle Feste dell’Ottocento che si sono svolte puntuali con gran successo lo scorso 17 settembre a Modigliana, dove tra l’altro si è concluso il progetto “Diversità è Ricchezza” nato dalla collaborazione della cooperativa sociale “Kara Bobowski” e la casa editrice Il Raggio Verde. L’esperienza nella terra di Silvestro Lega e di Don Giovanni Verità è stata raccontata da alcuni dei protagonisti del gemellaggio culturale tra Salento e Modigliana, un incontro tra culture che si è svolto su più registri passando dal reading letterario e il confronto alla scoperta di luoghi e persone straordinarie. Partiti dal profondo Sud, nota dolente si sa sono i collegamenti, abbiamo scoperto la bellezza della Romagna toscana e il calore della sua gente che ha un senso della comunità e dell’accoglienza a dir poco unico e abbiamo toccato con mano il valore aggiunto della solidarietà. Macinando chilometri su chilometri abbiamo rinforzato la convinzione, se mai ce ne fosse stato bisogno, della fortuna di essere nati nella nostra meravigliosa Italia, il cui “petrolio” non smetteremo mai di ribadirlo, sono l’immenso patrimonio artistico e naturalistico che vale la pena valorizzare e difendere perché ahimè lo scempio e il malaffare sono sempre in agguato. Dovrebbe essere compito della politica vigilare e trovare soluzioni perché tutta questa ricchezza di cui disponiamo non venga perduta o svenduta... Se è vero che oggi più che mai i pensieri corrono sul web vorremmo poter diffondere queste considerazioni, più dell’esercito dei selfie dovremmo cominciare a sentirci “Operatori di Bellezza”, citando l’amica Serena Pellegrino di bellezzaincostituzione.it, e impegnarci quotidianamente per difenderla. E a proposito di luoghi strappati al degrado ci piace segnalare la prima manifestazione di ampio respiro - Cantieri Culturali Carditello - che rianimerà il Real Sito borbonico oggi un bene dello Stato grazie alla tenacia di tante persone, in primis colui che amava definirsi l’Angelo di Carditello: Tommaso Cestrone. Lui cominciò ad accendere i riflettori proprio da una pagina fb e se oggi la Reggia rivive è anche merito suo. (an.fu.)
SOMMARIO
Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic
Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno
Hanno collaborato a questo numero: Tarcisio Benerecetti, Michele Bombacigno, Giovanni Bruno, Stefano Cambò, Carmelo Cipriani, Mario Cazzato, Sara Di Caprio, Dario Ferreri, Claudia Forcignanò, Sara Foti Sciavaliere, Peppe Guida, Federica Murgia, Giusi Gatti Perlangeli, Francesco Pasca, Anna Paola Pascali, Carlo Petrachi Redazione: via del Luppolo,6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it
Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
Luoghi|Eventi| Itinerari: Cantieri Culturali Carditello 42| Il Teatro olimpico di Vicenza 44 | Nella terra di Slvestro Lega 54 | Andata e ritorno da Modigliana 58| Un laboratorio d’arte con Luigi De Giovanni 66 | Itinerarte 71|La festa dell’800 76 | Girovagando Il ponte di Chiaia 90 | Salento Segreto 100 Arte: Giovanni Boldini 4| Dentro Caravaggio 11|La scultura di Finotti 12 | Il ritorno dei Longobardi a Pavia 20 | Profili complanari 36 | Gianfranco Basso 82 Musica: Alla galleria borbonica con il ritmo dei Quartieri Jazz 96| La Notte della Tammorra 58 Bisceglie Jazz Festival 102 I luoghi della parola: Amori Letterari Fernanda Pivano e Cesare Pavese 26|Curiosar(t)e Dilla Bear 32 Social asocial con empatia 52 | Quattro Giornate di Napoli nasce il Museo della Resistenza 98 Teatro|Danza| Diversirà è Ricchezza 69| La Scuola di Teatro con Astragàli 85 Nel nome di Eva Isadora Duncan 86 Cinema: |Otranto Film Fund Festival 38 | A napoli il Cinema trova casa 39 Luoghi del Cinema In giro per l’Italia con Chiecco Zalone 102 Libri Arcadia: Cultura vs Natura 40 | Norma Swenson a Lecce 54 | Luoghi del sapere 72-75 | Bologna Gramsci in giallo 70 | Fuori dal coro 89 I luoghi nella rete|Interviste|Gusto: Il Parco letterario delle Langhe Monferrato e Roero 31 Salento in Love contest 82 Numero 9- anno XII - settembre 2017
giovanni boldini, nella Pittura le atMosfere della belle ÉPoQue Sara Di Caprio
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Oltre cento opere, tra oli e pastelli, del maestro ferrarese provenienti da istituzioni museali europee allestite a Torino nelle Sale delle Arti della Reggia Venaria fino al 28 gennaio 2018 TORINO. Due anni prima dall’inizio della Belle Époque, Baudelaire scriveva nel 1869 l’Epilogo ne “Lo Spleen di Parigi” descrivendo la sua capitale con parole d’amore e odio: “Con il cuore contento, sul colle son salito. Di lì nella sua ampiezza contemplo la città: Purgatorio, ospedale, galera, lupanare, Dove fiorisce il fiore di ogni enormità. […] Sia che tu dorma ancora, infame capitale, Incimurrita e greve nel buio del mattino, O che ti pavoneggi nei tuoi veli serali Trapunti d'oro fino - io ti amo ugualmente! Cortigiane e banditi, voi li offrite sovente piaceri
”
come questi, che il volgo non comprende.” è questa la città della modernità, la “festa mobile” come la definirà Hemingway molto più tardi visitandola e vivendola, e nel 1800 è la città degli artisti che vivono a Montmartre e che discutono nei Cafè della capitale francese. Il clima della belle Époque si può rivivere e respirare Sale delle Arti della Reggia di Venaria a Torino dove fino al 28 gennaio 2018 sarà possibile ammirare la mostra antologica dedicata a Giovanni Boldini. L’artista ferrarese è uno dei più importanti esponenti della pittura dell’Otto-
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Giovanni Boldini, Coppia in abito spagnolo con due pappagalli, 1873 ca. Olio su tavola, 25x35 cm Collezione d'A rte Banca Carige , Genova
cento e protagonista di questo clima storico e culturale, che sposa Parigi dopo aver lasciato la natia Ferrara e aver vissuto a Firenze e Londra. La mostra è curata da Tiziano Panconi e da Ser-
gio Gaddi ed è organizzata su un registro non solo cronologico ma anche tematico. Presenta anche un confronto con ventisei opere di artisti contemporanei di Boldini: Giuseppe De Nittis,
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Cristiano Banti, Telemaco Signorini, Federico Zandomeneghi solo per citarne alcuni e che permettono di dipanare in quattro sezioni il percorso
artistico del pittore ferrarese. “Il soggiorno a Firenze. Poetiche della luce macchiaiolaâ€? è il tema della prima sezione dedicata agli esordi del pittore
iniziato nel 1864 quando vive nel clima rivoluzionario e risorgimentale di Firenze ed entra in contatto con i macchiaioli. In questo periodo che
Giovanni Boldini, Ritratto del padre Antonio Boldini 1867, Olio su tavola, 65x53 cm Collezione privata, Ferrara
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Giovanni Boldini, L’amico fedele, 1872 ca., Olio su tavola, 26x14 cm, Collezione privata
va dal 1864 fino al 1870 si evidenzia il rapporto tra il pittore e Telemaco Signorini, Vito d’Ancona, Cristiano Banti, Giovanni Fattori e Michele Gordigiani in uno scambio di reciproche influenze. Ed è in questa città che Boldini inizia a sentire il fascino e il richiamo della capitale francese che lo seduce anche da lontano, sovente Firenze era difatti meta di maestri europei, imponendosi come crocevia di scambi e di idee artistiche. In questi anni, a contatto con questi artisti, la pennellata di Boldini si delinea e assume grande intensità in tele come: Ritratto del padre Antonio Boldini del 1867 o nell’olio Il Paggio. Giochi col levriero del 1869 dove viene rappresentata in un atmosfera lussuosa un giocoso assalto tra un bambino e un cane. Qui emerge
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Giovanni Bldini, Ritratto di danzatrice 1905 ca. olio su tela, cm 57x 31 cm, Collezione privata, courtesy Museo archives Giovanni Boldini Macchiaioli
la differenza tra i macchiaioli e Boldini che non è concentrato sul ruolo della luce nella natura e sui campi di colore, ma preferisce descrivere con pennellate veloci gli ambienti eleganti dell’aristocrazia locale che impara ad osservare a Firenze. Le sue ambizioni gli faranno lasciare la città toscana nel 1871 per soggiornare qualche mese a Londra, per poi partire alla volta di Parigi. La seconda sezione cronologicamente abbraccia proprio il momento della svolta per Boldini: “I primi anni di Parigi: L’amore per Berthe, il gallerista Goupil e la contessa de Rasty”. Boldini piomba a Parigi durante gli anni dell’Impressionismo ed è possibile notare questo contatto in Signora con ombrellino (o parasole) del 1876 dove risente delle abbreviazioni formali e della luce del movimento artistico di Monet e degli altri, tenuti a battesimo da Felix Nadar pochi anni prima nel 1874. Una spinta fondamentale per la sua carriera artistica sarà l’incontro con la modella e amante Berthe, musa e compagna per dieci anni
che ritrae in Berthe che legge una dedica su un ventaglio (1878), assieme alla collaborazione con il mercante e gallerista Goupil. Questo periodo dura dal 1871 fino al 1878 ed è il più proficuo ed è contraddistinto da un arricchimento al genere “d’interno” francese grazie a una nuova vitalità e al dinamismo, mediante linee sinuose, che lo aiutano ad affermarsi nella Maison Goupil. Celebre è Lo Strillone del 1878 conservato al Museo Nazionale di Capodimonte. “Uno stile destinato al successo. Il pittore della vita contemporanea” - titolo della terza sezione - rende l’idea dell’affermazione stilistica di Boldini. Nel 1874 il pittore aveva conosciuto un’altra donna la Contessa Gabrielle de Rasty, con cui intreccerà una relazione sentimentale e che gli aprirà il salotto dell’aristocrazia parigina e della vita mondana. Parigi, la città delle luci, non ha veli e ombre per Boldini che la spoglia come una donna, rappresentandola anche a letto come in La contessa de Rasty coricata (1880). Boldini decide di interrompere nel 1878 la colla-
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Giovanni Boldini, La lettura a letto, 1914, olio su tela, cm 73x 92 cm. Collezione privata
borazione con Goupil affermandosi come ritrattista e mirando a incarnare lo spirito dell’Ottocento. Utilizza i ritratti a pastello come in Donna elegante seduta (1880) che altri non è se non la mecenate e musa Gabrielle, arricchendo la sua produzione artistica con scorci di strade in opere come Piazza parigina di notte (1883) e soprattutto cercando di immortalare la femme fatale come in Ritratto di signora in bianco con guanti e ventaglio (1889). Le donne di Boldini abbigliate nel lusso della moda dell’epoca sono immagini della ricchezza e della serenità della belle époque ma soprattutto incarnano la vita, sono palpitanti e dinamiche come nel pastello La Testa Bruna (1890) o come in Giovinetta sdraiata col suo cane, ove si può fare il confronto con il Paggio, l’olio dipinto in gioventù. Donne sensuali anche nello svolgere lavori umili
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come nell’olio su tavola Le Filatrici del 1890. Nella quarta sezione “Il fascino Belle Epoque. Sensualità e magia del ritratto femminile” è possibile ammirare la bella società dell’epoca che posa nel suo atelier. Boldini le chiama “divine” le donne della nobiltà ce vogliono essere sue muse come la duchessa di Marlborough, o la contessa de Leusse o la marchesa Luisa Casati solo per citarne alcune. Il suo successo viene consacrato alla mostra tenuta a New York nel 1897, facendo ammirare il suo talento come ritrattista. Le donne di Boldini piene di vita, vengono colte non solo in tutte le sfumature dei loro abiti alla moda ma anche nelle sfaccettature più intime come in La tenda rossa 1904, o come nell’olio su tavola Ritratto di signora nuda seduta. Le “divine” ben presto si trasformano in altro, i contorni diventano sem-
Giovanni Boldini, Mademoiselle De Nemidoff 1908, Olio su tela, 232x122 cm, Collezione privata
pre più inafferrabili, Busto di giovane donna su sfondo rosa 1912, e quasi impalpabili Busto di giovane sdraiata 1912, Nudo di giovane sui cuscini rosa 1917, e in queste sfumature che termina la Belle époque perché lo sfondo è quello della prima guerra mondiale. La mostra è arricchita con oggetti e mobili in stile Liberty che daranno la suggestione delle affascinanti case del primo novecento, gentilmente prestate dalla Fondazione Arte Nova. Atmosfere di un’epoca al tramonto anche attraverso i brani di film muti degli anni ’10, proiettati in mostra grazie al generoso prestito del Museo Nazionale del Cinema e dell’Archivio Nazionale Cinema d’Impresa Centro Sperimentale di Cinematografia. Edito da Skira, infine, il catalogo della mostra che pubblica, tra l’altro, un rilevante numero di lettere inedite che Boldini, in veste di Presidente della commissione d’arte per la sezione italiana alla Esposizione Universale di Parigi del 1889, invia a Telemaco Signorini a Firenze. Giovanni Boldini Reggia di Venaria Venaria Reale, Torino Biglietti Intero 14 euro Ridotto 12 euro
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dentro caravaggio. viaggio nella coMPosiZione dell’oPera
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Diciotto opere dell’artista lombardo a Palazzo Reale dal 29 settembre al 28 gennaio 2018 nella mostra curata dalla storica dell’arte Rossella Vodret
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Risale al 1951 e per opera degli studi dello storico dell’arte Roberto Longhi la “riscoperta” di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio che nasce a Milano il 29 settembre 1571. Una vita breve ma intensa quanto burrascosa lo porta ad essere il protagonista di un profondo rinnovamento della tecnica pittorica caratterizzata dal naturalismo dei suoi soggetti, dall’ambientazione realistica e dall’uso personalissimo della luce e dell’ombra. Dopo di lui saranno tantissimi i caravaggeschi in Italia come in Europa che prenderanno a modello le sue opere, al punto da far nascere il termine caravaggismo per definire la sua influenza che si protrarrà, con alterne vicende, sino all’Ottocento. E il 29 settembre si apre a
Milano, al primo piano di Palazzo Reale, la mostra Dentro Caravaggio curata dalla storica dell’arte Rossella Vodret. Coadiuvata da un prestigioso comitato scientifico presieduto da Keith Christiansen l’evento espositivo si pone l’intento di raccontare da una prospettiva nuova gli anni della straordinaria produzione artistica di Caravaggio, attraverso due fondamentali chiavi di lettura: le indagini diagnostiche e le nuove ricerche documentarie che hanno portato a una rivisitazione della cronologia delle opere giovanili. Diciotto i capolavori del maestro lombardo che arrivano oltre che dai principali musei italiani anche dall’estero: Sacra famiglia con San Giovannino (1604-1605) dal Metropolitan Museum of Art, New York; Salomé con la testa del Battista (1607 o 1610) dalla National Gallery, Londra; San Francesco in estasi (c.1597) dal Wadsworth Atheneum of Art di Hartford; Marta e Maddalena (1598) dal Detroit Institute of Arts; San Giovanni Battista (c.1603) dal Nelson-Atkins Museum of Art di Kansas City; San Girolamo (1605-1606) dal Museo Montserrat di Barcellona. La mostra sarà visitabile fino al 28 gennaio 2018. Biglietti prenotabili su vivaticket.it. (an.fu) Info: 0292800375. Dentro Caravaggio Milano, Palazzo Reale dal 29 settembre al 28 gennaio 2018
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Novello Finotti, Clessidra 1989_cm76x40x23,ph. Antonello Di Gennaro
le ProfonditÀ del teMPo nella scultura di finotti Carmelo Cipriani
La mostra, curata da Beatrice Buscaroli, è allestita nello storico Circolo Culturale La Scaletta e sarà visitabile fino al 5 novembre 2017
MATERA. è il 1959 quando a Matera nasce lo storico Circolo Culturale “La Scaletta”. Un vero e proprio cenacolo che si prefigge di studiare, recuperare e salvaguardare l'arte e le tradizioni di un territorio da poco bollato come la “vergogna d'Italia”. Mentre la vita dei sassi viene lentamente cancellata dagli effetti della legge nazionale n. 619 del 17 maggio 1952,
il neonato Circolo s’impegna in una lodevole azione di recupero del patrimonio culturale materano. Ne derivano operazioni pioniere e con tratti epici di salvaguardia del patrimonio, prima su tutte lo studio delle chiese rupestri sfociata nell'ormai introvabile volume “Le Chiese Rupestri di Matera” edito da De Luca nel 1966. In questa eroica attività di recupero e
valorizzazione interviene anche l’arte contemporanea. Conscio del grande valore dei Sassi quale insediamento abitativo senza eguali e nel costante tentativo di rivitalizzarli, nel 1978 il Circolo invita Pietro Consagra ad organizzare a Matera una sua grande personale. è quella la prima grande mostra nei Sassi, un esperimento perfettamente riuscito di un
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Nel riquadro in basso Novello Finotti, Omaggio a Shakespeare, ph Di Gennaro
dialogo ambientale tra arte antica e contemporanea, tra tessuto urbano e arti visive. Un’operazione di grande valenza culturale ripresa nove anni più tardi nel complesso rupestre di Madonna delle Virtù e di San Nicola dei Greci con la personale di Fausto Melotti, quando il rione dei Sassi è oramai totalmente sgombro (e in pieno abbandono), e proseguito con assiduità fino ad oggi, coinvolgendo scultori di prima grandezza, da Arturo Martini a Leoncillo, da Antonietta Raphael a Kengiro Azuma, da Duilio Cambellotti a Pericle Fazzini, fino alla personale di Pietro Guida dell'anno scorso. Una storia eccellente che si è avvalsa, fino ad un recente passa-
to, della competenza di un grande storico dell'arte qual è Giuseppe Appella e che ha portato alla creazione in città del MUSMA, museo tipologico (dedicato alla scultura) tra i più importanti d’Italia. In questa virtuoso succedersi di eventi rientra anche la personale di Novello Finotti “Dalle profondità del tempo”, ultima in ordine di tempo delle grandi mostre tra i Sassi, a cura di Beatrice Buscaroli e visibile fino al 5 novembre 2017. Nato a Verona nel 1939, Finotti avverte subito la propensione all'arte praticando fin da ragazzo la scultura modellando, come fossero steli di marmo, mozziconi di ceri e candele fornitegli dal sacrestano del Duo-
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mo cittadino. Si iscrive alla locale Accademia di Belle Arti diplomandosi nel 1959 e assumendovi incarico di docenza poco tempo dopo. Nel 1964 le sue sculture varcano l'oceano e approdano all'Armony Gallery di New York con quelle del pittore Giorgio Olivieri per una bipersonale. Due anni dopo la prima consacrazione: l'invito alla XXXIII Biennale di Venezia, quella del padiglione americano di Roy Lichtenstein, del premio per la pittura a Lucio Fontana e delle retrospettive di Morandi e Boccioni. Una biennale già dominata dall’arte programmata e cinetica in cui Finotti si presenta con tre opere, due delle quali in mostra: La macchina del tempo e Imma-
Novello Finotti, Il cammino dell'uomo_1968-1969, bronzo, cm148x1.200x60, ph. Valentina Gnassi
gine dissepolta. Forme compatte e organiche, apparentemente animate da sommovimenti endogeni, inspiegabili, come fossero testimonianze vive di un altrove lontano. Dalle profondità riemergono rigurgiti figurativi, brandelli di volti e corpi, residui di una perizia tecnica che cede il passo ai tempi moderni, votati al rifiuto della narrazione e della riconoscibilità dei soggetti. Un linguaggio efficace in termini formali ma che eviden-
temente lo scultore sente stretto, giacché a soli due anni di distanza, nel 1968 progetta e crea Il cammino dell'uomo, uno dei suoi capolavori, in cui l'avanzare dell'uomo è puntualmente riprodotto dalla successione di piedi e gambe in progressione crescente. Dettaglio antropico plurimo, reso nel bronzo con assoluta fedeltà di riproduzione di muscoli e tendini, attraverso cui il transitorio è tramutato in eterno. Un cambiamento reso noto dallo stesso artista ph. Antonello Di Gennaro_Il Cammino dell'Uomo_1968-1969_cm 148x1.200x60
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ph Valentina Gnassi_Donna tartaruga
che ha dichiarato: “La forma astratta cominciava ad assumere per me un valore mimico, che oltrepassava il soggetto e imponeva una sua vita più profonda e in continua azione. La natura diveniva per me, sempre più fonte di segreti e meraviglie”. Ecco che le sue sculture si animano di propensioni metamorfiche a cui contribuiscono in egual misura il prospettato ritorno alla natura e l’osservazione dell'arte greca, studiata alla fonte, in un viaggio del 1973 nella penisola ellenica. “Vedendo l’Acropoli e le sculture classiche – ha dichiarato l'artista – capii che il marmo doveva essere il materiale che meglio mi permetteva di esaltare la mia scultura. Oltre al marmo bianco, mi sono avvicinato ai marmi colorati come il Nero del Belgio: con grande difficoltà dovuta al materiale cristallino, lavorando con la tecnica della bocciardatura o della graffiatura o inventandomi altre tecniche, riesco ad ottenere movimento nella superficie che assorbe più luce e trapassa in varie gamme di grigio, fino al più profondo nero”. Un’evoluzione, o meglio, uno stato transitorio della sua scultura, bene rappresentato in mostra da Anatomia vegetale del
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1973, eseguita in marmo rosa del Portogallo, in cui un busto maschile si trasforma, in uno slancio verso l'alto e per contiguità formale, in un fascio di asparagi, tra profondità chiaroscurali e levigatezza del materiale. Inizia allora la sua passione per il marmo che diviene costante sul finire degli anni Settanta. Ne è prova lampante la scelta di lavorare a Pietrasanta, a due passi dalle cave di Carrara. Nascono in questi anni opere importanti come Annunciazione del 1978 e Omaggio a Shakespeare del 1980-84, complessa struttura plastica composta da 22 elementi in marmo di Carrara in cui moduli geometrici ed elementi antropici si combinano in una distesa di suadente morbidezza, una messa in scena tra il ragionato e il casuale. Panneggi, gambe, piedi, cuscini, cilindri, sono gli inaspettati elementi di una composizione di accezione surrealista ma dotata di una perfezione formale dichiaratamente classica. Al 1984 datano anche La notte dei galli, piccola scultura in marmo nero del Belgio con assonanze cambellottiane, e Rituale per la figlia del kamikaze, presente in mostra ed esposta in quello stesso anno alla XLI Biennale di Venezia, diretta da
Novello Finotti, il grande cobra (centro)Non ci indurre (destra ) Anubi ( sinistra), ph.Antonello Di Gennaro
Maurizio Calvesi, primo passo verso le culture orientali, mondi altri e alternativi tra medio ed estremo Oriente che l'artista scopre e accoglie definitivamente nel 1988, quando è invitato in Giappone alla storica rassegna “Scultura italiana del XX secolo”. Incontri con culture lontane nel tempo e nello spazio, da quella egizia a quella nipponica, che attraversano gli ultimi tre decenni della sua produzione e persistono anche nella produzione più recente. Anubi del 1988-89, Il piccolo cobra del 1992, Un rituale per la casa degli scarabei del 2015 sono opere che testimoniano una profonda meditazione sulla civiltà dei faraoni, di cui l’artista mostra di recuperare volentieri simboli e credenze, rivelando inediti e suggestivi punti di contatto tra quell’universo iconico e quello metamorfico-surrealista della plastica contemporanea. Interesse specificatamente artistico quello per le culture orientali che tuttavia non gli impedisce di trattare contemporaneamente anche temi di attualità. Lo dimostrano Dopo Chernobyl del 1986-87, sinuosa scultura che dietro il suadente fascino della levigatura marmorea rivela il dramma di un disastro umano epocale, e Il grande Cobra del 1999, trasposizione iconica delle vicende e degli interessi che nel corso dell’ultimo decennio del XX secolo hanno animato le guerre nel Golfo Persico. Un'inquietante figura, quasi un novello Cri-
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Nelle foto a partire da sinistra: Novello Finotti, Omaggio a Shakespeare, ph Di Gennaro ; Il Grande Cobra 1999 bronzo cm 195x170x16, ph Antonello Di Gennaro5
sto velato (evidente è in sculture come questa lo studio sui classici della scultura italiana), si erge ammantato da un sudario viscoso, quasi liquido, simile per colore e consistenza al petrolio. Gli anni Duemila regalano all'artista nuove soddisfazioni, dall'invito (in verità di per sé poco significativo) alla LIV Biennale di Venezia nel 2011, alla duplice personale in Corea, a Seoul e Busan, l’anno successivo. Anni di nuovi traguardi ma che da un punto di vista produttivo si caratterizzano soprattutto per la creazione di omaggi (Omaggio a Giulietta del 2014 e Omaggio a van Gogh del 2017) e per la ripresa di immagini e modelli dei decenni precedenti, da Rifarsi del 2010 e Rinascere ancora del 2011, puntuali ripre-
se della Donna tartaruga degli anni Ottanta, ad Anatomia vegetale del 2014, trasposizione in bronzo dell'analoga scultura marmorea del 1973. La ricerca di Finotti unisce la seduzione dei materiali alla raffinatezza di pensiero coniugando gravitas classica e visionarietà surrealista. “Finotti – scrive Beatrice Buscaroli in catalogo – disegna una poetica che s’incentra nell’enigma della forma che non si risolve in una curiosità enigmistica per puntare piuttosto sul confine sottile, incerto, ambivalente, che si dispone tra sogno e pensiero, tra passione e rigore”. E prosegue con uguale acume “nella sua scultura alberga qualcosa che ha a che vedere con il totemico, con il carattere magico del feticcio”. Una scultura che trova i suoi esiti migliori nelle forme compatte, su cui la luce è libera di scorrere, definendo ampie porzioni salvo poi perdersi in pieghe e rientri al fine di accentuare l’espressività di ogni dettaglio. Opere che celebrano l'incontro degli opposti (pieno e vuoto, gravità e leggerezza, organico ed inorganico, reale e fantastico, mistico e profano) delineando un percorso di ricerca intenso e di ampio respiro in cui la
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seduzione delle superfici si unisce al virtuosismo delle trasparenze, reali o fittizie, talvolta solo evocate. A Matera trentotto lavori di differenti datazioni sono poste a sintetizzare un tracciato di qualità che nella scultura ha saputo trovare i giusti mezzi per dare forma sensibile ad un pensiero complesso e sincretico, perennemente sospeso tra sguardo al passato e prospettive future.
Novello Finotti, un rituale per la figlia del Kamikaze, ph Antonello Di Gennaro
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Allestimento Longobardi-16 Foto Osvaldo Di Pietrantonio
il ritorno dei longobardi a Pavia nella Mostraal castello visconteo Dal 1 settembre al 3 dicembre la mostra itinerante che racconta la saga del popolo che cambiò la Storia. Oltre 300 opere provenienti da più di 80 Musei per un evento internazionale che approderà al Mann di Napoli e all’Ermitage di Pietroburgo
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PAVIA. Un salto temporale a ritroso al 568 d.C. anno di arrivo dei Longobardi in Italia. Oltre trecento opere provenienti da più di ottanta Musei ed enti prestatori italiani e stranieri riunite nella più grande mostra mai dedicata ai Longobardi il popolo che cambiò la Storia. Inaugurata lo scorso 1 settembre a Pavia, nelle prestigiose sale del Castello Visconteo, la mostra Longobardi racconta un periodo cruciale della storia italiana ed europea. Con la caduta dell’Impero d’Occidente, l’Italia, dominata dai Goti, era rimasta il cuore economico, culturale e religioso dell’Europa. Tutti i tentativi di riunire l’antico Impero si infrangono nel 568 con l’arrivo di un popolo “invasore”: i Longobardi. Gli "uomini dalle lunghe barbe" danno il via a quel lunghissimo periodo di frammentazione politica della Penisola che si protrae sino al Risorgimento. Ma, la storia di questo Popolo - spiegano i curatori - è anche il racconto di grandi sfide economiche e sociali, di relazioni e mediazioni tra Mediterraneo e Nord Europa, di secoli di guerre e scontri, di alleanze strategiche e contaminazioni culturali tra differenti popolazioni, di grandi personalità. Un’epopea che ha visto Pavia diventare capitale del Regno Longobardo e il Sud Italia, con il Ducato di Benevento, memoria e retaggio sino a oltre metà del XI secolo del dominio pavese abbattuto da Carlo Magno nel 774. La mostra, impreziosita anche da approfondimenti multime-
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Pluteo con l’Agnus, VIII secolo, Marmo, 66 x 75 x 6 cm, Pavia, Musei Civici
diali - ologrammi, video e touchscreen. - presenta il punto di arrivo di oltre quindici anni di nuove indagini archeologiche, epigrafiche e storicopolitiche su siti e necropoli altomedievali. Sono ben trentadue i siti e i centri longobardi rappresentati in mostra in occasione della quale tre cripte longobarde pavesi, appartenenti a soggetti diversi, saranno aperte per la prima volta al pubblico. Inoltre si potranno ammirare cinquantotto corredi funerari esposti integralmente; insieme a centinaia i materiali dei depositi del MANN vagliati dall’Università Suor Orsola Benincasa,
per individuare e studiare per la prima volta i manufatti d’epoca altomedievale conservati nel museo napoletano. Tra i materiali esposti spiccano il Pluteo con croci da Castelseprio prestato dal Museo di Gallarate (VA), la Lastra di Ambone con pavone dal Monastero di San Salvatore a Brescia o quella, sempre con pavoni, da Santa Maria Etiopissa di Polegge (VI); o ancora l’iscrizione funebre di Raginthruda o il bellissimo Pluteo con agnello entrambi dai Musei Civici di Pavia. In mostra da San Gallen (Svizzera) anche il più antico dei codici contenenti il famoso Editto di
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Fibula a disco a cloisonne da Torino,, Lingotto, Fine del VI - inizi del VII secolo Torino, Musei Reali di Torino - Museo di Antichita
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Fibule a S da Cividale del Friuli, Cella, 600 circa, Cividale del Friuli (Udine), Museo Archeologico Nazionale
Rotari del 643 e in prestito da Cava de’ Tirreni il Codice delle Leggi Longobarde del 1005. E ancora anfore, lucerne, pesi, monete evidenziano l’importanza raggiunta da diversi castelli e dalle città di riferimento dei ducati longobardi così come elementi architettonici e arredi liturgici testimoniano la diffusione del cattolicesimo in continua alternanza
Nei riquadri alcune immagini dell’allestimento, foto di Osvaldo Di Pietrantonio. Sopra: spada con impugnatura con decorazioni auree dalla tomba 1 di Nocera Umbra Fine del VI - inizi del VII secolo Roma, Museo delle Civilta` - Museo dell’Alto Medioevo
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alla fede ariana. Curata da Gian Pietro Brogiolo e Federico Marazzi con Ermanno Arslan, Carlo Bertelli, Caterina Giostra, Saverio Lomartire e Fabio Pagano e con la direzione scientifica di Susanna Zatti, Paolo Giulierini e Yuri Piotrovsky, è stata ideata per dare una
Corredo con guarnizioni di cintura in ferro ageminato, Bicchieri in petra e un coltellino, Inizio del VII secolo , materiali vari , Aosta, MAR-Museo Archeologico Regionale
visione complessiva e di ampio respiro (dalla metà del VI secolo, dalla presenza gotica in Italia, alla fine del I millennio) del ruolo, dell’identità, delle strategie, della cultura e dell’eredità del popolo longobardo che nel 568, guidato da Alboino, varca le Alpi Giulie e inizia la sua espansione sul suolo italiano: una terra divenuta crocevia strategico tra Occidente e Oriente, un tempo cuore de l’Impero Romano e ora sede della Cristianità, ponte tra Mediterraneo e Nord Europa. Organizzata con il Comune di Pavia-Musei Civici del Castello di Pavia e il Museo Statale Ermitage, - ha commentato Paolo Giulierini direttore del Mann, “ assume anche un significato profondo in un’ottica europea: alla base del ragionamento vige l’assunto di una Europa che
fonda sì la sua storia su Roma, già caleidoscopio di popoli, ma che si arricchisce di componenti germaniche, scandinave ed altro, rendendo sterili tutte quelle correnti di populismo e di nazionalismo che oggi, ancora, purtroppo, funestano le nostre terre.” E dopo Pavia, dove sarà visitabile fino al prossimo 3 dicembre, la mostra approderà al Museo Archeologico di Napoli - a partire dal 15 dicembre al 25 marzo 2018 - e infine al Museo Statale Ermitage di Pietroburgo tra aprile e giugno 2018. Pavia, Castello Visconteo: 1 settembre – 3 dicembre 2017 Napoli, Museo Archeologico Nazionale: 15 dicembre 2017 – 25 marzo 2018 San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage: aprile – giugno 2018
Corredo femminile della tomba 6 gota di Collegno, Prima metà del VI secolo, Torino, Museo di Antichità - Polo Reale
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Cesare Pavese, pubblico dominio, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=3919723
fernanda Pivano e cesare Pavese antologia di un non aMore Giusy Gatti Perlangeli
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«Le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza»
AMORI LETTERARI
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uella di rendere pubbliche lettere d’amore, scritte o ricevute, non è mai una decisione facile. Anche quando non è corrisposto, l’amore resta un fatto intimo e privato. Chi scrive mette la propria anima a nudo, alla mercé dell’altro: è vulnerabile, fragile, scoperto. Chi riceve la missiva gli guarda dentro, senza filtri, ma questa visuale è concessa a lui e a lui solo. La dimensione delle parole dell’amore non è pubblica: la loro diffusione può apparire perfino sacrilega, tanto che, nella maggior parte dei casi, si svela ad occhi estranei solo dopo la morte dei protagonisti. Fernanda Pivano la pensava così quando negò a Italo Calvino e a Lorenzo Mondo l’autorizzazione a inserire nell’epistolario di Cesare Pavese le lettere che il poeta aveva inviato alla «signorina Fernanda». «Le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza – scrisse motivando il suo rifiuto – Sono una parte dell’anima che non merita lo sgarbo della notorietà». E infatti sono almeno due le
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missive rimaste fuori dal corpus del carteggio pubblicato da Einaudi nel 1966, che comprende, oltre alle lettere, i diari dei due autori. Noto è il sentimento di profondo amore che Pavese aveva provato per l’allieva conosciuta sui banchi del liceo D'Azeglio e successivamente divenuta talentuosa autrice e traduttrice della Casa Editrice Einaudi. Il frontespizio di «Feria d'agosto» suggella le date dei due rifiuti opposti da Fernanda alle sue proposte di matrimonio: il 26 luglio 1940 e il 10 luglio 1945. A lei avrebbe dedicato tre poesie di «Lavorare stanca»: «Mattino»(«è buio il mattino che passa senza la luce dei tuoi occhi»), «Notturno» («Tu non sei che una nube dolcissima, bianca/impigliata una notte fra i rami antichi»), «Estate» («Tu muovi il capo/come intorno accadesse un prodigio d’aria/e il prodigio sei tu»). Era l’anno scolastico 19341935 quando il ventiseienne Cesare Pavese viene nominato supplente di italiano nella sezione B del Liceo Classico “D’Azeglio” di Torino. Tra i
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banchi la futura traduttrice, poetessa e scopritrice di talenti della Beat Generation, Fernanda Pivano. è lei stessa a raccontare nei Diari 1917 – 1973 (editi da Bompiani) il primo incontro con quel professore «giovane giovane» che per alcuni mesi coinvolse la classe con letture di Momigliano, di Croce e di De Sanctis. Annota nel suo diario “lo straordinario privilegio” di ascoltare Pavese mentre «leggeva Dante o Guido Guinizzelli e li rendeva chiari come la luce del sole». Accusato di antifascismo, Pavese venne arrestato il 15 maggio del ’35 e poi condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro. S’incontrarono ancora nel 1938. Fernanda si divideva tra il Conservatorio e l’università, quando Pavese, tornato dal confino, le portò i quattro libri in inglese che l’avrebbero fatta appassionare alla letteratura statunitense: Addio alle armi di Ernest Hemingway (che tradusse clandesti-
namente in lingua italiana e per questo fu arrestata), Foglie d’erba di Walt Whitman, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters e l'autobiografia di Sherwood Anderson. Queste opera cambieranno per sempre la sua vita e il corso della cultura e dell’editoria italiana. Lo scambio epistolare tra i due risulta davvero prezioso per ricostruire il disagio (soprattutto di lui) e la voglia di riscatto e indipendenza di genere (di lei) in un contesto storico ben delineato: quello della censura fascista e della guerra. La prima lettera è datata 22 agosto del 1940, l’ultima luglio 1945. Pavese appare «geloso come un gorilla»: a “Nanda” lo legano due forme d’amore, quello passionale e quello per la letteratura. Per questo non smette di esortarla a «studio e diligenza» e «studio, studio, studio». «Cara Fernanda, che lei è cattiva ed egoista l’ho sempre saputo, ma neanche io non scherzo e quindi sono disposto a correre il
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rischio. Ma parliamo di cose più decenti, si è decisa o no a studiare?». «Pavese cercava di farmi diventare un'intellettuale» annota la Pivano nei Diari. Li lega l’amore per la letteratura dicevamo: «La ringrazio dei programmi – le scrive il 19 ottobre 1940 - La telefonata di ieri mi ha aiutato a tornare alla poesia. Le offro i versi con lo stesso cuore con cui in agosto Le ho offerto i primi». Lui si atteggia a mentore della giovane mentre, forse, avrebbe voluto solo abbandonarsi al sentimento. C’è uno scritto inedito, datato 11 gennaio 1943, in cui, anziché palesare la propria preoccupazione per il richiamo alle armi che aveva appena ricevuto, è in pena per lei che incarna il suo ideale di donna «preziosa in un essere ignorato» (Il mestiere di vivere, Einaudi) e che spiccava per quella vivace intelligenza che la rendeva tanto diversa dalle «ragazze qualsiasi» (Vita attraverso le lettere, Einaudi). Nella lettera Pavese elargisce utili istru-
Fernanda Pivano, Torino 1949 circa
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Nanda lo preoccupa: sente che si è immalinconita, si è chiusa in se stessa. «Mi preoccupa di più la Sua malinconia e il tono di bestia condotta al macello da Lei assunto. Perché? è sola e disagiata, ma può studiare e lavorare; non se l’intende coi Suoi, ma studiando e lavorando si prepara il modo di farsi un’indipendenza; non Le sono vicino a farle prediche, ma gliele faccio da lontano, e tanto più meditate e inesorabili, e assisto i Suoi lavori e insomma non sono in Polinesia (...)». In realtà, l’isolamento della Pivano non è tanto una condizione personale, ma rappresenta la reazione egotica che molti intellettuali oppongono alla condizione di soffocamento a cui la guerra, il regime, la povertà li costringono. Parla anche un po’ di sé Pavese: «Pensi che qui soffro il freddo come a Mondovì. Siamo in quattro in una casa, anzi cinque, tre uomini e due donne; viviamo studentescamente; si mangia non male; io giro tutto lacero e scalcagnato, e a Torino dovrò venire certo uno di questi giorni, non fosse che per rifornirmi di abiti. Da Torino passerei a Mondovì (…)». Poi prende coraggio e le lancia una proposta anche piuttosto audace: «Faccia sì che il primo incontro avvenga tra noi due soli, perché vorrò abbracciarla e baciarla. Ho deciso. Ho trovato molti complimenti per «Il Mare» - (l'unico racconto scritto da Pavese, incluso in Feria d'agosto) - che pare abbia colpito tutta Roma, ma io vivo isolatissimo, anche perché a girare di notte su questi maledetti
“” zioni sulla storica traduzione dell'«Antologia di Spoon River» a cui la Pivano stava lavorando e che sarebbe uscita in quello stesso anno: la rassicura («farò tutto io qui» riferendosi al trucco che escogitò per aggirare la censura fascista trasformando l’Antologia di Spoon River in un’inattaccabile “Antologia di S. River”) e la invita alla cautela. «11 gennaio 1943 - Cara Fernanda, ricevo le due lettere, quella della malinconia, e quella su Spoon River e sul mio richiamo. Per S. R. farò tutto io qui, ma non s’illuda troppo presto perché vorranno vedere le bozze e potranno ritornare sulla decisione. Per il richiamo è una notizia del giornale, che dal 1° al 15 febbraio chiameranno tutti i laureati in congedo del 1923 e precedenti, per utilizzarli. Io, a buon conto, ho già cominciato a muovermi per sapere, primo, se sarò chiamato; secondo, se lo sarò davvero; terzo, per guarire dall’asma. Stia certa che i miei desideri coincidono coi Suoi (...)».
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autobus e circolari, dove non si capisce niente, non mi pigliano certo. Cara Fernanda, si sta meglio con Lei a Torino, e anche a Mondovì. Stia allegra. Pavese». Nelle lettere a Nanda ritroviamo un Pavese capace di atteggiamenti contrastanti: in alcune prevale l’uomo innamorato, in altre assume un tono vagamente paterno, in altre ancora indugia sulle proprie debolezze mostrando una propensione analitica verso la quella incapacità oggettiva di creare un legame affettivo autentico e duraturo. «Cara Fernanda – le scrive il 13 febbraio 1943 – durante il viaggio ho pensato molto alle mie cose e mi sono accorto di non essere più un ragazzino, perché
se fossi un ragazzino avrei goduto e sofferto molto e pensato bei pensieri e schizzato poesie. (…). Anzi, mi sento padre. Di che cosa o di chi, non so bene, ma mi sento padre, responsabile e noioso e superato. Com'ero più mascalzone e intelligente a venticinque anni. Allora ho scritto un libro che nessuno stima un soldo, ma comunque non sarà più superato da nulla che io scriva.(…) La verità, Fernanda, è che divento egoista (…). Allora vada tutto all'inferno: vuol dire che neanche volendo si può più scrivere una bella cosa, né "essere felici" in compagnia. Fernanda, sono molto infelice. Tuttavia L'accarezzo con riserbo, e la prego di ringraziare ancora la mamma per quella levataccia delle 5 1/2 e l'uovo e tutto. Pavese». Vuole andare oltre il poeta, camminare a fianco di Nanda nella vita di ogni giorno. La chiede in sposa due volte (nel 1940 e nel 1945, immortalando queste due date sul frontespizio di Feria d’agosto») ma senza successo: «Cara Fernanda, quando ci si rifiuta di sposarmi, almeno si ha il dovere di risarcirmi facendosi una cultura e imparandola più lunga di me... O sposi subito il capostazione e smetta!». Lei è innamorata da tempo dell’architetto Ettore Sottsass jr e non corrisponde il sentimento del suo mentore. Ma gli è grata del mondo che le ha fatto scoprire: «Caro Pavese io sono così contenta e so bene che lo devo a lei», annota su un biglietto. E aveva ragione la Pivano a
manifestare la sua gratitudine a Pavese. Non senza difficoltà (almeno all’inizio) Nanda diventerà un punto di riferimento imprescindibile della cultura italiana del ‘900. Traduttrice di Edgar Lee Masters, di Ernest Hemingway, di Francis Scott Fitzgerald, Dorothy Parker, William Faulkner, porterà l’America in Italia. Gli americani diventano i suoi eroi: prima in Italia aveva compreso quanto il loro urlo trasgressivo fosse importante per la cultura e la società. Senza la Nanda l’Italia avrebbe conosciuto la Beat Generation in ritardo e, nel frattempo, questa avrebbe perso la carica di protesta e di vitalità che la caratterizzava. Grazie a lei i loro testi sono diventati realtà: li ha tradotti, li ha impreziositi con le sue prefazioni e ha convinto perplessi editori a investire su di loro. Sarà lei, infatti, a convincere Mondadori a pubblicare il romanzo cult della Beat Generation: «On the road» di Jack Kerouac firmandone la prefazione. Ha letteralmente portato in Italia i beat, li ha ospitati, li ha accompagnati nelle loro scorribande: era come una sorella nei loro confronti, tollerante ma mai complice delle loro trasgressioni. Ha salvato Allen Ginsberg dall’arresto solo leggendo ai Carabinieri quattro versi dell’Urlo. Ne aveva compreso il genio e la sregolatezza: e molti autori e cantautori contemporanei devono a lei la scoperta di un mondo che ora è il loro.
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Innamorato della cultura statunitense fin dai tempi dell’università (si era laureato con una tesi su Walt Whitman), Cesare Pavese aveva tradotto numerose opere di scrittori americani e non solo, tra cui Anderson, Masters, Dos Passos, Steinbeck, Defoe, Stein, Dickens, Joyce, Melville, Henriques, Lewis, e Conrad. Le donne lo avevano deluso. Già prima di Fernanda Pivano, nel 1932 il ventiquattrenne Pavese si era innamorato di Tina Pizzardo, una donna di trent’anni, laureata in matematica e fisica, condannata a un anno di reclusione per la sua appartenenza al partito comunista clandestino, la cui voce «rauca e fresca» riecheggia in numerose poesie di Lavorare stanca (1936). Lei lo aveva lasciato rimarcando impietosamente la sua condizione “d’insufficienza”. Nell’autunno del 1945 aveva conosciuto Bianca Garuffi, ventisettenne di origini sicilia-
ne, segretaria dell’ufficio romano di Einaudi. Trasfigurata nella ninfa Leucotea, sarà al centro dei «Dialoghi con Leucò» (1947) e poi del romanzo «Fuoco grande» (pubblicato incompiuto nel 1959). L’ultima donna entrata nella sua vita, conosciuta nel capodanno del 1950 in casa di amici, è Constance Dowling, un’aspirante attrice americana, sorella della più famosa Doris, che aveva appena recitato in Riso amaro. Pavese non regge l’assalto dell’«inquietudine amorosa» e prova angoscia, nonostante i successi letterari. Dopo aver ricevuto il Premio Strega per «La bella estate» nel 1950 scrive: «Tornato da Roma da un pezzo. A Roma apoteosi. E con questo? Ci siamo. Tutto crolla». Nel Diario annota: «è la prima volta che faccio il consuntivo di un anno non ancor finito. Nel mio mestiere dunque sono re. In dieci anni ho fatto tutto.
Se penso alle esitazioni di allora. Nella mia vita sono più disperato e perduto di allora. Che cosa ho messo insieme? Niente. (…) Sono ricaduto nella sabbia mobile. (…) Resta che ora so qual è il mio più alto trionfo – e a questo trionfo manca la carne, manca il sangue, manca la vita. Non ho più nulla da desiderare su questa terra, tranne quella cosa che quindici anni di fallimenti ormai escludono. Questo il consuntivo dell'anno non finito, che non finirò». Il 18 agosto, mentre attorno a lui aleggia l’idea di una morte accarezzata da sempre e che si fa sempre più vicina e seducente, Pavese scrisse l'ultima pagina della sua vita: «Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più». «L'atto di scrivere, negato per l'avvenire, è esercitato per l'ultima volta. Pavese muore, ma da scrittore. Da scrittore che non scriverà più. è lo scrittore che ha voluto chiudere in modo degno il suo diario, vincendo
una temuta impossibilità» («Non si può finire con stile», 20 luglio 1950). Cesare Pavese venne trovato morto nell’albergo Roma di Torino: aveva ingerito oltre dieci bustine di sonnifero. Era il 27 agosto 1950. Sulla prima pagina dei «Dialoghi con Leucò», che si trovava sul tavolino della camera, aveva scritto: «Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate pettegolezzi». Fernanda Pivano, a questo punto, avrebbe potuto sfruttare le lettere di Cesare Pavese a proprio vantaggio. Invece negò all’Einaudi il permesso di pubblicarle, mantenendo il pudore e la riservatezza che il suo appassionato mentore meritava, consapevole del privilegio di essere stata destinataria di quel sentimento profondo che le aveva spalancato un mondo. «Le parole dell’amore non si pubblicano con leggerezza (…) Sono una parte dell’anima che non merita lo sgarbo della notorietà».
la fondaZione e il Pavese festival Il Centro Studi "Cesare Pavese" è stato ufficialmente istituito dall'Amministrazione comunale di S. Stefano Belbo nel 1973 per mantenere vivo lo studio e il ricordo dello scrittore santostefanese. L'attività vera e propria del Centro iniziò nel 1977 con una grande esposizione biobibliografica in cui vennero presentate per la prima volta dopo la morte dello scrittore le sue carte, i manoscritti, le lettere e i libri della sua biblioteca. Da allora il Centro Studi ha continuato a promuovere un ampio ventaglio di iniziative, in Italia e all'estero. Nel novembre 1994 le sue attività furono momentaneamente interrotte dall'alluvione che danneggiò gravemente la sede con i suoi fondi librari ed archivistici. In quella tragica circostanza il Centro Studi Cesare Pavese divenne il simbolo della
rinascita attirando, grazie al suo prestigio internazionale, l'attenzione e solidarietà di tutto il mondo verso una terra così duramente colpita. Grazie alla mobilitazione di tutti coloro che amano Pavese sparsi per il mondo nacque l'idea di dotare il Centro di una sede adeguata al suo prestigio: il complesso comprendente la Chiesa sconsacrata dei Santi Giacomo e Cristoforo e annesso edificio nel centro storico di Stefano Belbo, il vecchio paese di Pavese tra i "quattro tetti" del racconto 'La Langa". Oggi, nell'edificio annesso alla chiesa trovano posto gli uffici e gli archivi del Centro con relativa biblioteca mentre la chiesa è diventata auditorium della Fondazione Cesare Pavese (nata nel settembre 2004), quindi la sede ideale per congressi, spettacoli teatrali, musicali ed
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il Parco Paesaggistico e letterario "langhe Monferrato e roero
esposizioni. E nel variegato ambito di attività torna dal 22 al 24 settembre il Pavese Festival quattro intense giornate con l’inaugurazione della mostra “Che figura! Soggetti non convenzionali dall’Accademia Albertina” a cura di Antonio Musiari, in collaborazione con l’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. E poi un denso programma di eventi dal concerto di Eugenio Finardi alle passeggiate pavesiane ai tantissimi i reading letterari con ospiti d’eccezione come Peppe Servillo che legge Cesare Pavese. Non parole, un gesto. Progetto a cura di Alessandra Morra. Con Javier Girotto, Natalio Mangalavite. Fotografie di Michele De Vita. (maggiori info sul sito della fondazione http://www.fondazionecesarepavese.it e su www.santostefanobelbo.info)
Leggere il paesaggio e rivelarne l’identità culturale attraverso la vita e le opere di alcuni grandi autori. Con questo spirito è nato il Parco Paesaggistico e Letterario "Langhe Monferrato e Roero", un territorio, il basso Piemonte, che ha dato i natali a personaggi illustri tra i quali Beppe Fenoglio, Cesare Pavese, Vittorio Alfieri, Augusto Monti, Giovanni Arpino Davide Lajolo. Cesare Pavese, scrittore dall’esistenza amara e tormentata, aprì nuovi orizzonti culturali nella letteratura italiana del ‘900, pur mantenendo sempre un legame col mondo primigenio e autentico della Langa della sua infanzia. A questo autore, in particolare è dedicato Viaggio d'autore con Pavese...Il sentiero della luna e i falò. Un invito ad un lettore-viaggiatore, che non si fermi alle pagine di un libro ma che intenda entrare nel vivo dei suoi luoghi, respirare le sue emozioni, farsi raccontare dai profondi legami evocativi tracciati tra penna e paesaggio. Un trekking naturalistico nella Valle del Belbo, vista attraverso gli occhi e le suggestioni di Cesare Pavese. Un percorso alla scoperta dei più intatti luoghi d’autore, dalla casa dove Pavese nacque a S.Stefano Belbo al cuore della narrazione de La luna e i falò : la cascina della Mora, il laboratorio di Nuto, la palazzina del Nido, la collina della Gaminella: un’incantevole angolo di natura e di magica quiete. Il percorso con partenza dalla casa natale di Cesare Pavese si snoda lungo 18 chilometri. I trekking a piedi sono disponibili nei mesi di aprile, maggio, giugno, settembre, ottobre e novembre previa prenotazione da effettuarsi entro il giorno precedente (per visite infrasettimanali) o entro il venerdì per visite sabato e domenica. Approfondimenti sul sito www.parcoletterario.it info@parcoletterario.it
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Nel riquadro Dario Ferreri; a lato l’opera He knows di Dilka Bear
il Mondo WhiMsical di dilKa bear Dario Ferreri
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Un viaggio tra i luoghi e nonluoghi fisici ed emozionali dell'arte contemporanea "I giovani amano l’interessante e lo strano, ed è loro indifferente che sia vero o falso" (Friedrich Nietzsche)
CuRIOSAR(T)E
N
el 2011, durante una ricerca con google immagini delle opere di Antonio Bueno, non so per quale strano ed alchemico nesso multimediale, si affacciarono sul mio schermo alcuni "testoni" di Dilka Bear: è stato il mio primo tuffo nella Lowbrow Art ed un incontro virtuale che mi ha coinvolto in una passione per l'arte che ancora prosegue. Dilka Bear (al secolo Dilka Nassyrova), classe 1977, è una pittrice kazaka indipendente che, dopo aver studiato architettura presso l'Università di Almaty ed aver lavorato come illustratrice e graphic designer per aziende quali Cosmopolitan
Kazakhstan, Grey Central Asia, Saatchi & Saatchi Kazakhstan, ed essersi trasferita, dal 2005, a Trieste, ha deciso di seguire la sua passione per la pittura e vi si dedica tuttora, quotidianamente, con passione e continuità. Olio, acrilico e grafite sono i suoi medium preferiti; suoi epigoni di riferimento sono i maestri del Rinascimento italiano, ma anche Bosch e Bruegel ed artisti contemporanei internazionali del filone pop surreal. Le sue opere ritraggono personaggi fanciulleschi weird (un termine anglosassone che in italiano si traduce con "strani") inseriti in contesti dissonanti, ovvero non adat-
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”
ti, ove addirittura stridenti, con la presunta età anagrafica dei soggetti rappresentati: personaggi in genere malinconici che, come da consolidata tradizione lowbrow, si accompagnano a piccoli e/o strani animali o esseri, loro segreti confidenti. L'atmosfera dei suoi dipinti è whimsical, un aggettivo anglosassone che indica un qualcosa di bizzarro, strambo ed inusuale nel quale l'osservatore, suo malgrado, si ritrova coinvolto e dal quale è difficile non farsi catturare. In molti suoi dipinti, soprattutto i primi, si ritrovano le sue origini: luoghi e leggende kazaki, praterie e boschi
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CuRIOSAR(T)E
Dilka Bear, Into the night ; sotto: Devil's pipe
innevati, personaggi dalle manine e nasini arrossati dal freddo e gli occhi quasi a mandorla che invitano all'analisi dei legami mentali tra i vari elementi presenti in ciascuna opera. I personaggi dei suoi dipinti prendono vita dai sogni o dai ricordi dell'artista ed indugiano nel surrealismo ed in dimensioni oniriche e complesse dove il perdersi è affascinante. I suoi lavori sono stati esposti in gallerie lowbrow di tutto il mondo: Roma, Amsterdam, Los Angeles, Melbourne, Londra, Barcellona, ecc. Passeggiando a Roma su via dei Lentuli, al Quadraro, proprio all'inizio del percorso del M.U.Ro - Museo Urban di Roma, è possibile ammirare un bellisismo murales realizzato dall'artista insieme all'amico Paolo Petrangeli. Ha pubblicato sinora due libri: "Dilka Bear" (2013, Logos Ed.) e "Su Anasi. La donna dell'acqua"
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Dilka Bear, al centro: He loves me not; in alto a destra: Far away; in basso: Su ana
(2015, Logos Ed.) ed ha quasi 135.000 follower su Facebook https://www.facebook.com/Dilkabearart/ L'invito che vi faccio è quello di provare ad assaporare il suo universo whimsical che è capace di far vibrare corde molto intime.
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In basso un’opera di Cristina Criniti
Profili coMPlanari due artiste alla scaraMuZZa
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Doppia personale nella galleria d’arte leccese dal 23 settembre al 1° ottobre 2017
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LECCE. Profili complanari è il titolo della doppia personale di Chiara Criniti e Monica Taveri, che ne è anche la curatrice, che si apre sabato 23 settembre alle
ore 19.30, negli spazi della Scaramuzza Arte Contemporanea. La presentazione delle artiste sarà affidata a Monica Lisi. Due artiste, “portatrici sane” di
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visioni diverse, si sono dapprima casualmente conosciute, artisticamente piaciute e, sulla base del loro comune sentire, hanno deciso di dare vita ad un gemel-
A lato un’opera di MOnica Taveri
laggio culturale che le vede per la prima volta esporre insieme, dando origine ad una immagine di “sorellanza” di pensiero, di capacità e contatto di sguardi, che le ha portate ad incontrarsi anche concretamente in una mostra che presenta circa venti opere, incentrate prevalentemente sui ritratti. In questa esposizione si dà vita a tutta la forza creativa del ‘femminile’ contemporaneo, attraverso l’immaginazione che non ha paura dei confini, spesso imposti, perché libera di indagare i senti-
menti umani in tutte le sue sfumature. Chiara Criniti parte dall'illustrazione per bambini a livello nazionale ed estero per poi arrivare a dedicarsi, nel corso degli ultimi anni, alle tematiche legate alla psiche, ai significati profondi celati nelle parole, alle connessioni più ardite tra la parola e l'immagine, dando vita a immagini più mature e adulte. Le interessano le emozioni e i turbamenti dell'anima. I suoi lavori raccontano un mondo in cui la realtà viene rappresentata attraverso scene metaforiche, psicologiche, cariche di pathos e poesia. L'uso di colori vivaci e forti contrasti, unito alla mescolanza di varie tecniche pittoriche e del collage, le permettono di creare un mondo complesso in cui la realtà coesiste con elementi metaforici, surreali e psicologici; un mondo che può essere interpretato su più livelli. Monica Taveri nel corso degli ultimi venti anni si dedica prevalentemente all’attività di gallerista ma non dimentica la sua passione per la pittura alla quale si dedica con costante ricerca e sperimentazione. Tema a lei caro sono i volti femminili, immagini che sembrano essere catturate nella tela, figure apparentemente inaccessibili come una sintesi delle varie condizioni che ha attraversato. Sfondi ruvidi, creati dall’utilizzo di gesso mischiato a polvere di marmo, ossidi e sabbie danno vita ad un gioco alchemico dove l’artista interviene per realizzare forme che sembrano consumate dal tempo. Pittura che sembra incisa sulla pietra antica, graffiti che tagliano la sabbia e dal fondo informale il colore diviene pelle facendo affiorare figure che emergono in un contrasto affascinante di luci e ombre. Profili complanari rappresenta quindi un incontro delle due personali produzioni, dove astrazione e figurazione si avvalgono di una tecnica che permette loro di spaziare e sperimentare diversi materiali e supporti, raggiungendo sempre un risultato di grande impatto visivo, immediato, dove lo spettatore è invitato a vivere le emozioni più nascoste piuttosto che la oggettiva realtà. La mostra sarà visitabile fino a domenica 1 ottobre. Ingresso libero. Orari: tutti i giorni 10.30/12.30 – 18.00/20.30. Lunedì chiuso Info: monicataveri@gmail.com | mob +39 3209654542
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otranto filM fund festival si chiude con un ex aeQuo
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Cala il sipario sulla kermesse otrantina che dal 13 al 17 settembre ha trasformato il fossato del Castello aragonese in un cinema d’essai
OTRANTO (LECCE). Si è concluso con un ex aequo la IX edizione di OFFF – Otranto Film Fund Festival, diretta da Maria Teresa Cavina. Realizzato dalla Fondazione Apulia Film Commission in collaborazione con il Comune di Otranto il festival si è svolto con successo dal 13 al 17 settembre registrando una grande affluenza di pubblico. La Giuria composta da Maricla Affatato, Emilie Deleuze, Barbara Melega, Enzo d’Alò e Salvatore De Mola ha assegnato il Faro d’Oro a Amok (Macedonia, 2016) di Vardan Tozija con la seguente motivazione: “Alla sua opera prima, il regista racconta con misura ed emozione una storia di tortura e di vendetta, la caduta agli inferi di un angelo ribelle e, in fondo, di un’intera generazione. Un film duro e dolente, livido e potente, in cui la luce penetra solo da qualche stretto spiraglio. Ma è da quello spiraglio che può passare il futuro”. Faro d’Oro anche per Requiem for Mrs J (Serbia, 2017) di Bojan Vuletić con la seguente motivazione: “Una messinscena rigorosa ma costellata di ironia. Un’attrice che magnetizza lo sguardo.
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Una storia surreale ma anche molto universale, che ci consegna un autore con un’idea di cinema precisa, originale e poetica”. Il Faro d’Argento va a The black pin (Montenegro, 2017) di Ivan Marinovic, con la seguente motivazione: “La piccola storia di un pope che cerca di civilizzare la
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sua comunità superstiziosa e stralunata diventa metafora dello scontro tra modernità e tradizione. Il regista segue i suoi personaggi e li proietta sullo sfondo di un paesaggio bellissimo e immutabile in un’opera prima che, pur avendo a che fare profondamente con la morte, ti lascia in bocca un retrogusto di gioia”.
Palazzo Cavalcanti, foto di Anna Cesarin
a naPoli il cineMa trova casa a PalaZZo cavalcanti
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Negli spazi di via Toledo saranno ospitate le produzioni presenti in città
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NAPOLI. Il Cinema trova casa a Napoli. La Giunta comunale ha approvato, su proposta del Sindaco de Magistris e dell’assessore Nino Daniele, il progetto per la creazione della “Casa del Cinema”, uno spazio di circa 700 mq a Palazzo Cavalcanti in via Toledo in cui accogliere ed ospitare le produzioni cine-televisive presenti in città. Un progetto che nasce con l’obiettivo di incentivare la scelta di Napoli come ambientazione di film, fiction, spot meta sempre più privilegiata dalle produzioni. Tra le più recenti basta pensare alla serie tv I bastardi di Pizzofalcone e alle riprese del nuovo film del regista Ferzan Ozpetek che sono terminate
lo scorso luglio. Un ulteriore passo, dunque, a sostegno di un comparto che, negli ultimi tre anni, dalla nascita dell’Ufficio Cinema comunale, ha scelto sempre più Napoli come set, con importanti ricadute in termini di indotto, di occupazione e di promozione dell'immagine della città. La “Casa del Cinema” - gestita dall'Ufficio Cinema, che troverà lì la propria sede – prevede uffici per le produzioni, sale per casting, sale riunioni. Ma soprattutto è uno spazio in cui creare una sinergia tra attori locali e produzioni nazionali ed internazionali, sviluppare progetti di formazione ed attività di promozione del cinema, perché Napoli sia sempre più un punto di riferimento per il comparto dell'audiovisivo.
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arcadia: cultura vs natura Per le giornate del PatriMonio
NAPOLI. In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio 2017, la Biblioteca Nazionale di Napoli ha aperto al pubblico, domenica 24 settembre, un viaggio avventuroso e affascinante attraverso le sale monumentali splendidamente affrescate delle sezioni Manoscritti e Rari, Napoletana, e Consultazioni: eccezionalmente esposti il famoso Dioscoride, il prezioso codice dell'Historia
naturale di Ferrante Imparato, gli splendidi codici virgiliani illustrati e gli autografi leopardiani. La narrazione, attraverso pregiati autografi, esclusivi manoscritti, edizioni a stampa, ed incisioni di grande interesse illustra il grande rifiorire di studia humanitatis e opere letterarie nella Napoli dell’Arcadia ed evidenziano lo svilupparsi fra Cinquecento e Settecento di
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una moda culturale europea, che coinvolge letterati, poeti, pittori, musicisti di tutta Europa. Il percorso con visite guidate ed esposizioni a tema prosegue illustrando il nuovo mito idillico-bucolico-pastorale dell’Arcadia Romana e la riscoperta settecentesca dei luoghi flegrei e vesuviani dopo le scoperte archeologiche di Pompei e Paestum. Sempre domenica si è inaugu-
rata la mostra “Arcadia: Cultura vs Natura” che resterà aperta fino al 12 ottobre (feriali ingresso 9-18- sabato 9-13). Il filo rosso della mostra è il paesaggio, come espressione
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rie, nei quali il legame tra Natura e Cultura diventa l'esaltazione della vita pastorale, quale formidabile metafora del buon governo e del migliore assetto del territorio, al servizio della
In mostra il famoso Dioscoride, il codice dell'Historia naturale di Ferrante Imparato, i codici virgiliani illustrati e gli autografi leopardiani
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della storia e della società sviluppato attraverso una straordinaria esposizione di manoscritti ed altre rarità bibliografiche di Sannazzaro, Tommaso Moro, Metastasio, Tasso , Galiani, Paisiello, Jommelli. Il percorso espositivo si sviluppa illustrando le ragioni culturali dell’Arcadia ed evidenzia come tra 500 e 600 il tema pastorale è al centro degli studi umanistici e delle opere lettera-
più importante industria del tempo: quella tessile. La visuale della mostra si proietta fino al 700 quando sono le elite settecentesche a rendersi conto che occorre dare risposte di tipo diverso alla società in evoluzione. Letterati, pittori, musicisti ed economisti prendono le mosse sempre dagli stessi miti classici, questa volta dalla Georgiche, per delineare una nuova Natura ideale: questa
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volta agricola, che si contrapponeva a quella pastorizia. Gli strumenti dell’economia politica sostituiscono quelli della poesia e degli studi umanistici per affermare un nuovo immaginario e per costruire il consenso intorno a nuove idee di utilizzazione produttiva del territorio. Da segnalare nel’ambito dell’evento dedicato alle Giornate del Patrimonio, "Alla corte della Villanella" Concerto dell’ Ensemble 33 costituito dalle voci di Stefania Parisi, Antonio Parisi e Sergio Majocchi e da Giacomo Lapegna (flauto), Luca Petrosino (liuto) e Adolfo Tronco (calascione) che hanno eseguito musiche a Napoli (e non solo) nel XVI secolo. Un’ulteriore occasione per far conoscere la villanella napoletana, una forma musicale che incontrò un incredibile successo nella Napoli del '500'. Il programma proposto ha mostrato infatti i diversi aspetti della Villanella napoletana del XVI secolo: quello più popolare e il colto, la forma polifonica e la versione a una sola voce, con un accompagnamento vario e diversificato: a volte vede impegnato un solo strumento, in altre occasioni più strumenti affiancano la voce.
Biblioteca nazionale "Vittorio Emanuele III" Napoli , piazza Plebiscito, 1 Telefono: +39 081.7819111 Fax: +39 081.403820
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cantieri culturali carditello e il real sito ritorna a vivere
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Dal 29 settembre all’8 ottobre musica, laboratori e visite guidate ad ingresso libero
SAN TAMMARO (CASERTA). Con Cantieri Culturali Carditello dal 29 settembre all’8 ottobre il Real Sito di Carditello riapre i cancelli per ospitare l’evento promosso dall’amministrazione comunale con i fondi Poc della Regione Campania per i beni e le attività culturali. “La comunità santammarese è fortemente legata al Real Sito per la sua rilevanza storica e culturale – spiega il sindaco di San Tammaro Emiddio Cimmino – Cantieri culturali Carditello rappresenta il primo passo, dopo diversi anni di abbandono e disagio territoriale, nell’ambito di un percorso volto a conferire la giusta importanza al sito”. Un sito che oggi rivive grazie ad un “angelo custode” che ha vegliato e ci piace pensare vegli ancora da lassù. Il pensiero - è doveroso ricordarlo - va al custode volontario Tommaso Cestrone che prima di chiunque altro ha creduto e difeso la reggia di Carditello e a Massimo Bray che da ministro ha fatto sì che questo bene non andasse perso per sempre ma fosse acquisito dallo Stato e finalmente recuperato e restituito alla comunità. Il complesso borbonico costruito tra Napoli e Caserta, destinato da Carlo di Borbone a luogo per la caccia e l’allevamento di cavalli fu trasformato per volontà di Ferdinando IV di Borbone in una fattoria modello per la coltivazione del grano e l’allevamento di razze pregiate di cavalli e bovini. E doveva essere un vero paradiso circondato da boschi e vigneti se lo scrittore Wolfgang Goethe scrisse che bisognava andare lì “per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra”. E dopo anni di
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incuria e di abbandono, la Reggia pian piano riprende vita e accoglierà - commentano il Presidente della Fondazione Luigi Nicolais e il Direttore Angela Tecce - “per la prima volta un pubblico numeroso per spettacoli serali legati alla tradizione musicale della Campania, confermando la vocazione del sito a proporsi quale volano di attività di cultura e d’intrattenimento per il rilancio del territorio”. Si parte dunque il 29 e 30 settembre con il Festival di Musica Popolare La notte della Tammorra, un progetto a cura di Carlo Faiello in cui danza, musica e spettacolo s’intrecciano in un’unica performance artistica. Venerdì 29 le paranze itineranti sfileranno per le strade del comune di San Tammaro mentre nella sala Monta sarà proiettato il docufilm Libera nos a Malo del regista Luigi Ferraiuolo, prodotto da Tv2000 e dedicato alla musica dei Bottari di Macerata Campania. A seguire la presentazione del libro La Statistica Murattiana di Terra di Lavoro con l’autore e giornalista Andrea Massaro. In chiusura la Tammurriata Ritmo con Mimmo Maglionico e PietrArsa e l’orchestra delle Tammorre e Putipù. Sabato 30 ancora ritmi coinvolgenti, sul palco allestito nel sito borbonico saliranno Carlo Faiello e la Banda Dionisiaca. Tradizione partenopea e contaminazioni di ritmi senegalesi con la band “La maschera”di scena venerdì 6 ottobre mentre sabato 7 ottobre sarà la volta di Daniele Sepe, Capitan Capitone e i fratelli della costa, la variegata “ciurma” che mostra le diverse anime della musica partenopea spaziando dal jazz al
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nella foto l’organettista e e compositore Claudio Prima
punk, passando per il rap. Gran finale l’8 ottobre con Antonio Fresa e Fabrizio Fiore che presenteranno il loro disco South Designers nell’ambito del progetto Napoli Files. Per tutte le serate sarà allestito uno spazio Food and Drink a cura di Nino Cannavale e Nuova Cucina Organizzata con prodotti enogastronomici
del territorio mentre Coldiretti esporrà i prodotti con suoi stand nell’ambito del progetto Campagna amica. Tutti gli spettacoli serali con inizio alle ore 20,30 sono a ingresso libero e gratuito. Le visite e l’accoglienza saranno a cura dell’associazione Agenda 21 per Carditello. (an.fu.)
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In questa pagina esterno del Teatro di Vicenza, foto di Sara Foti Sciavaliere
il teatro oliMPico di vicenZa il testaMento sPirituale di Palladio Sara Foti Sciavaliere
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Patrimonio Unesco il progetto fu firmato da uno dei più grandi architetti italiani che si ispirò ai teatri romani descritti da Vitruvio
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VICENZA. Il Teatro Olimpico è uno dei luoghi affascinanti di Vicenza. Primo teatro stabile coperto del Rinascimento, oggi Patrimonio dell’UNESCO, è espressione della volontà degli Accademici Olimpici, che ne patrocinarono la realizzazione su progetto di Andrea Palladio tra il 1580 e il 1585. Questo teatro rappresenta l’apice della creatività di uno dei più grandi architetti italiani, Andrea Palladio, che si ispirò dichiaratamente ai teatri romani descritti da Vitruvio. L’Accademia Olimpica, tuttora esistente e attiva, si costituì nel 1555 a opera di ventuno soci fondatori, tra cui lo stesso Palladio, e si distingue al suo esordio, oltre per l’impegno nell’ambito delle discipline scientifiche, per la sua composizione sociale aperta, annoverando accanto a membri della più antica aristocrazia anche esponenti del mondo delle arti e delle professioni. Accanto alle scienze, gli Olimpici dimostrano sin da subito un appassionato interesse per il teatro, che si esprime attraverso la messa in scena di spettacoli. è proprio volendo creare un teatro stabile per le proprie rappresentazioni che il 15 febbraio 1580 gli Accademici, su iniziativa del
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neoeletto principe Pietro Porto, decidono di presentare alla Magnifica ComunitĂ di Vicenza una richiesta per ottenere
una sede adatta allo scopo, individuata in uno spazio coperto nel luogo delle vecchie prigioni comunali. Tale area
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rientra nel perimetro dell’antico castello di San Pietro, una struttura fortificata eretta nel XIII secolo nel settore orienta-
Particolari dell’interno del Teatro Olimpico di Vicenza, foto di Sara Foti Sciavaliere
le della città, a controllo del vicino ponte sul Bacchiglione e della via per Padova. I lavori del nuovo teatro, affi-
dati a Palladio, procedono con notevole celerità: il ritmo febbrile con cui l’architetto padovano – all’epoca settantaduen-
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ne e al vertice della sua carriera – ne mette a punto il progetto lascia intendere una certa familiarità con il tema teatrale.
Palladio infatti mette in gioco lo schema del suo teatro, ispirato a quelli del mondo classico, un progetto meditato per quarant’anni, a partire dai tempi del suo primo viaggio a Roma nel 1541.
Scaturisce così la fabbrica assolutamente originale dell’Olimpico. L’inizio spedito dei lavori subisce, tuttavia, presto un arresto per la morte di Palladio che sopraggiunge improvvisa dopo appena sei mesi dall’inizio dell’impresa, privandolo della soddisfazione di vedere realizzato il suo grande sogno: il vagheggiato progetto del teatro diventa il testamento spirituale di Palladio. Il 3 marzo 1585, ultima domenica di Carnevale, il Teatro Olimpico veniva solennemente inaugurato con la rappresentazione dell’“Edipo tiranno” di Sofocle. Agli inizi dell’Ottocento, l’Accademia, non più in grado di gestire il peso del suo teatro, lo cede all’Amministrazione comunale di Vicenza, dalla quale aveva ottenuto circa due secoli e mezzo prima lo spazio necessario a realizzarlo, riservandosi però la prerogativa di con-
tinuare a tenere al suo interno le proprie sessioni accademiche e di allestirvi annualmente cicli di spettacoli classici.
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Particolari dell’interno del Teatro Olimpico di Vicenza, foto di Sara Foti Sciavaliere
Palladio intendeva realizzare un teatro “all’antica”, sul modello di quello della tradizione classica. Fermo in quest’idea ma pressato di esigenze di natura pratica, l’architetto cala il suo teatro all’interno della scatola muraria delle antiche prigioni comunali. Pur tenendo fede allo schema geometrico vitruviano, impostato su quattro triangoli equilateri inscritti in una circonferenza, egli traduce la matrice circolare del modello in un impianto ellittico: ciò determina l’inusuale forma semiellittica della cavea – la zona destinata agli spettatori – e la sua forte pendenza verso la fossa dell’orchestra. La realizzazione della scenografia a più fiochi e l’illuminotecnica del teatro, invece, vanno attribuite a Scamozzi, architetto vicentino della generazione successiva a Palladio, polemico erede della sua cultura architettonica, virtuoso di prospettiva ed esperto di teatri. Concepita espressamente in funzione dello spettacolo inaugurale dell’“Edipo tiranno” di Sofocle, la scena ideata da Scamozzi per la prima messi scena – conservata fino ad oggi – raffigura idealmente le sette vie di Tebe, scenario della tragedia, ma che in realtà rappresenta scorci della Vicenza contemporanea al suo ideatore. La creazione di Palladio e Scamozzi trasforma l’area chiusa e coperta delle vecchie carceri in uno spazio aperto e arioso, grazie alla stupenda invenzione dell’esedra colonnata che sovrasta la cavea e al soprastante finto cielo. Non indifferente è la trasfigurazione dei modesti materiali impiegati (mattone, pietra delle cave locali, legno, stucco) nell’apparenza preziosa del marmo. Si aggiunge inoltre l’artificio prospettico che prolunga le vie di Tebe/Vicenza ben oltre l’effettiva profondità di dodici metri. Tutto rientra nell’illusionismo spaziale. Anche le statue, raffigurazione dell’aristocratica committenza, rivelerebbero da vicino che quella che sembra pietra è in verità un insieme di materiali eterogenei combinati in modo ingegnoso ed esperto: canne di palude o stoppa usate come isolante intorno a un’anima di ferro, che ne costituisce la struttura portante, e strati di coccio pesto e malta, fino alle stesure più superficiali in stucco. A tutto ciò si associa la suggestione delle luci, utilizzate dalla sapiente regia di Scamozzi, vera “meraviglia” dello spettacolo inaugurale. Dell’originale sistema d’illuminazione delle scene restano ancora oggi i corpi illuminanti, costituiti da ampolle
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di vetro, riempite all’occasione di oli colorati, o da batterie di stoppini infissi in scatolette metalliche, collocati in zone nascoste delle finte architetture. Alla definizione della fisionomia unica dell’Olimpico concorre in modo determinante il fitto apparato di statue in stucco che affollano la scena frontale e le versure (quarantadue in tutto) e che decorano le nicchie dell’esedra, raffiguranti gli Accademici fondatori e coeve alla realizzazione del teatro. A queste si aggiungono le statue in pietra collocate sulla balaustra soprastante il peristilio e nelle nicchie delle scale – se ne contano trentadue –, realizzate solo alla metà del XVIII secolo da Giacomo Cassetti, seppure previste sin dalle origini. Tra esse figurano, oltre agli Olimpici, anche personaggi di rilievo come Giangiorgio Trissino, posto accanto ad Andrea Palladio. Il progetto decorativo risale, nei tratti fondamentali, al disegno palladiano pervenutoci. Previsto in origine come una grande rassegna di statue femminili e maschili con carattere allegorico, legate ai singoli soci solo dal nome posto alla base, il progetto decorativo muta nel tempo, per arrivare a stabilire che ogni accademico fosse rappresentato con figura d’uomo vestito o armato come gli antichi condottieri. La scelta della statua ritratto conferma la volontà di autocelebrazione degli Accademici. Laddove fossero già state realizzate le statue con fisionomia di donna dovevano essere trasformate in maschili. Dell’opera di riciclaggio di statue femminili poi convertite in statue maschili, riportata nei documenti, restano visibili tracce sul corpo del monumento, dove non si possono non notare le pose inequivocabilmente di donna su cui spiccano poi volti barbuti. è definito dalla critica come «il più originale museo vicentino, se non italiano, della scultura del tardo Cinquecento».
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Particolari dell’interno del Teatro Olimpico di Vicenza, foto di Sara Foti Sciavaliere
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social-asocial con eMPatia il Pensiero corre sul Web Giovanni Bruno
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La riflessione dello psicologo psicoterapeuta
Il modo migliore per affrontare un problema è porsi in uno stato di osservazione, di ascolto, di riflessione. Social media è una espressione generica che sta ad indicare tutta una serie di tecnologie e pratiche in rete che gli utenti adottano per condividere testi, immagini , video e audio. I social sono diventati così uno strumento che ha permesso “una democratizzazione dell’informazione”. Ormai si utilizza il web per stabilire relazioni personali, lavorative, giornalistiche e naturalmente il bacino di utenza non conosce confini, potremmo definirlo globale. Di uno strumento come questo colpisce soprattutto la velocità di comunicazione, il fatto che nel giro di pochi minuti i nostri pensieri, le nostre parole, le nostre riflessioni raggiungono l’obiettivo che spesso è quello di produrre
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una reazione altrettanto veloce, rapida, a volte priva della necessaria rielaborazione. Tutto quindi è basato sulla immediatezza temporale tanto che il commento a una notizia vecchia di qualche giorno appare spesso superfluo e inutile. I social servono dunque a stabilire relazioni , ma sappiamo che una relazione sana è soprattutto paritaria, serve a produrre condivisione, punti di vista, non certo a elemosinare likes o following. Quindi tanti gli aspetti positivi dei social ma in fondo sono solo uno strumento che dovrebbe aiutare l’uomo al conseguimento di un fine utile e non produrre isolamento, inerzia, immobilità. Il rischio dunque è un allontanamento dalla realtà e come dicono gli psicologi forse con una frase a effetto : tutti insie-
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me ma soli. Si tratta di invertire una rotta e lanciare una sfida e questo vale soprattutto per i giovani che col web sembrano immersi in una dimensione illusoria, immaginaria, fittizia. Ma ogni sfida ,come tutte le sfide, ha bisogno di un terreno , di un contesto in cui compiersi e comunque di essere lanciata. A mio parere la reazione più giusta e autentica è quella di un coinvolgimento maggiore, di una sentita partecipazione alla vita, all’esistenza associata alle emozioni, alle passioni, alla storia di ciascun uomo. E c’è solo una sola parola che condensa tutto questo ed è : empatia. Così Colum McCann , famoso scrittore irlandese , in un recente articolo sull’empatia : “… l’empatia è tosta . L’empatia ti può squarciare a metà . Se
Di Bundesarchiv, Bild 146-1987-074-16 / CC-BY-SA 3.0, CC BY-SA 3.0 de,
ti lasci prendere puoi esserne cambiato. Preparati: ti definiranno un sentimentale. Ma la verità è che sono i cinici a essere sentimentali. Vivono dentro la nuvola della loro stessa ristretta nostalgia. Non hanno alcun vigore. Rimangono in un posto. Hanno un’unica idea da cui non scaturisce altro. Ricorda il mondo è molto di più di una storia. Troviamo negli altri la continuazione di noi stessi”. Due esempi di empatia in due esistenze lontanissime tra loro. Dietrich Bonheffer è stato un grande teologo tedesco, protagonista della resistenza al Nazismo. Muore a soli 39 anni impiccato nel campo di concentramento di Flossenburg. Benché abbia la possibilità di restare a New York, dove frequenta la chiesa della comunità afroamericana, nel 1931 torna a Berlino e subito ha inizio la sua attività di opposizione al nascente regime nazista. Nell’aprile del 1943 viene arrestato e in prigione si dedica a una serie di scritti in cui riflette sul rapporto fra fede e religione. E a proposito del suo impegno politico così scrive: quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante. Harry Athwal è il turista inglese presente a Barcellona nel giorno in cui la Rambla è stata attaccata con violenza inaudita
dall’Isis. Anche Harry è al riparo, guarda la scena dell’eccidio dal balcone di un ristorante, ma al momento della tragedia si precipita in strada a soccorrere il piccolo Jiulian assistendolo negli ultimi attimi della sua giovane vita. Un gesto di gran-
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de umanità in una società forse deumanizzata. La sfida dunque è quella di lasciare il mouse, abbandonare le postazioni e dedicarsi alla vita perché “la vera prova è la vita” (Osho Rajneesh)
nella terra di silvestro lega viaggio eMoZionale nella diversitÀ Francesco Pasca
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Grazie alla cooperativa sociale “Kara Bobowski” di Franca Soglia artefice del gemellaggio culturale Salento Modigliana (è) “Ciao Francesco, vuoi fare un viaggio con noi?” Così risuona il mio ricordo dall’altro capo del cellulare. Le mie due attente amiche di ventura letteraria, Antonietta Fulvio, redattrice del Raggio Verde Edizioni e Giusy Petracca, anima delle stesse, mi invitavano a intraprendere un loro percorso, un progetto. S’aggiunse l’accattivante motivazione, che avrebbe potuto ancor più solleticare la mia attenzione e quindi partecipazione: “Sai, stiamo andando a Modigliana, sì, proprio nel paese di Silvestro Lega, sappiamo che potrebbe
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interessarti e poi non finisce qui, incontreremo tanta bella gente per il gemellaggio fra autori, poeti Salentini e Romagnoli, un’occasione unica, ricca di tante iniziative per altrettante partecipazioni già programmate in loco.” Mi avevano messo, mi sentivo alla corda, ma cincischiavo e rimandavo con i soliti: vediamo, ci penso, vi farò sapere. Assolutamente non contente della mia indecisione mi finirono all’angolo di quel ring culturale con: “Andremo a trattare di un tema affascinante: “Diversità (è) Ricchezza”. - Come? Ma, con la (e) congiunzione o verbo?
Nelle foto, alcuni scorci di Portico, gli scrittori Francesco Pasca e Anna Paola Pascali e la Torre nel Giardino di Dante e Beatrice
“Ma che dici, tassativamente accentata, copula, copula, copula per essere sicura affermazione.” Bene! Allora ci sarò. A volte basta poco, che non (è) poi così poco, per convincere di un Fare che ne diventi la causa in un’idea. La sera di sabato 27 agosto alle ventuno, zaino in spalla ero pronto a fare il viandante, portato dalla curiosità e non nascondo anche dal piacere di affrontare un nuovo atto di partecipata compagnia. A parte alcuni, pochi, che avevo avuto sorte di conoscere, la totalità della compagine letteraria, m’era poco conosciuta. La compagnia era composta da (tredici umani dalla sventagliata diversità), di alcuno non v’era mai stata, come accennato, una mia conoscenza
diretta. Oggi ne scrivo e non nascondo di essermi sentito, in quell’approdo di pullman, in un dapprima, il tredicesimo, il fuori/luogo pronto al sacrificio con pane e vino sul tavolo. Convenevoli a parte, scomparve subito quel fuori/luogo e di quel paventato sacrificio ne bevemmo tutti, con la lieta abbondanza di quel pane e di quel vino. La mattina, un po’ scalcagnati dalle scomode posizioni notturne, toccammo il suolo romagnolo, poi, larghissimi sorrisi e altrettanti rocamboleschi convenevoli per non far conoscere agli ospitanti la nostra agitata agonia notturna sui sedili di quel mezzo di trasporto. Fummo subito accompagnati per una abbondante colazione.
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I nomi? Per me continuavano e rimanevano solo volti, non riuscivo a pronunciarne nessuno sebbene insistessero a ricordarmelo. -S’ebbe quindi l’insieme, quel raccontar l’utile in soste -perciò con fantasia si corse. -Furo anco risate pei tanti sorsa d’acqua -per quel bere e il forse. -Le acque pe’ ognuno ebbero il diverso -ch’è l’uguale -furo per tutti il Diversale. -Capir fu il modo, il senso ed il verso del colore -per dare il giusto piatto o carbonico all’umore -o per accorciare il tempo dell’azione -o dare alle parole quel loro giustappunto -ch’è fruizione. Quando si varcano i confini di
Nelle foto l’ingresso all’azienda Caviro, un immagine del bosco di Montebello, Faenza, e la località il ”Vulcano”
un borgo i poteri politici sono i primi a sentire la presenza dei nuovi venuti, nello specifico quei poteri ci attendevano nella sala consiliare. Il Sindaco con fascia dal verde al rosso per il bianco ci accolse per il benvenuto. Breve presentazione ed elogio all’iniziativa. L’Associazione Kara Bobowski, in delegazione ufficiale, aprì i festeggiamenti per i 25 anni della loro Coop, poi fu la volta dei 30 anni del GAD e infine i 10 di collaborazione con il Raggio Verde. L’abbraccio della Città s’era concretizzato nel migliore dei modi. La gente di Romagna e la sparuta delegazione dei poeti salentini avevano consegnato e al contempo ricevuto il primo segno della loro ricchezza nella diversità. Il concetto di Diversità inteso come plurima consapevolezza di una sicura e durevole Ricchezza a me personalmente suonava con manifesta e trasparente accondiscendenza. Nel vero di quanto scrivo, quell’(è) lo avevo precedentemente tradotto e condotto per esser stato principio e partecipe di un altro progetto e prodotto. Il vero di quel che s’assommava e si sovrapponeva. La Diversità (è) ricchezza l’avevo iniziata a distribuire in una rivista letteraria dal nome e dai significati non molto differenti con il nome di DIVERSALITÀ. Tutto tornava e ne faceva somma di equilibri. La simpatica ed accogliente cittadina si ricono-
sceva e in noi si specchiava, nell’altrettanto, si capovolgeva quella sensazione e se ne otteneva il totale. Raccontare di percorsi umani incontrati era e diventava il percorso primario. Arte e architettura di borgo faceva il resto. Camminare, osservare, ascoltare il suono romagnolo con il cordiale avvicendarsi di parole in dialetto dava l’armonia a quel tutto, allo spazio di cui s’era diventati protagonisti, di cui c’eravamo allegramente circondati. S’ebbe l’immediato confronto con un reading predisposto all’uopo in serata, non ricordo esattamente se nella prima o seconda di quella permanenza. Il dialetto, i dialetti, i versi e funamboliche presentazioni, nonché le descrizioni di ogni nostro e loro fare attirarono anche l’attenta e paziente accondiscendenza in ascolto dei molti del luogo aggiuntisi all’iniziativa. Si duellò di fino con le parole e quest’ultime s’ebbero nell’ulteriore loro mescolare e addizionare con le prelibatezze culinarie locali e salentine. L’(è) diventava sempre più tangibile. La ricchezza divenuta anche dialogo costante s’ebbe a consolidare con la concretezza economica dei luoghi, dei personaggi, di una storia unica e con l’apprendere di ornate aneddotiche storiche di cui s’avvolgeva il borgo di Modigliana, da sconfinare in “mito”.
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Figure dominanti della storia di Modigliana tante, quella più singolare, di un prete “carbonaro” (don Giovanni Verità) vissuto ai tempi di conclamate cospirazioni ai danni dello Stato Pontificio. Modigliana veniva a quei tempi riconosciuta in odore di una Giovine Italia tutta da raccontare e cucita abilmente in immagini di altrettanta diversità nell’allora Granducato di Toscana. In un’Italia tutta da scommettere in economia e finanza, in attitudine all’accoglienza e nel valore di diversità in Cultura e Arte, Modigliana insegnava, ci insegnava a meglio vedere ed osare. Il grande territorio romagnolo faceva la sua parte e, nel capoluogo, Faenza, si giocavano carte importanti sull’esportazione di quelle diversità (è) Ricchezze. CAVIRO industria del settore vinicolo volle accoglierci nei propri stabilimenti produttivi di Faenza. Oltre 30 ettari furono resi disponibili ai nostri occhi per conoscere come avviene la distillazione di un vino sino alla vinificazione, all’imbottigliamento, alla etichettatura e all’esportazione. Tutte le declinazioni qualitative nei nomi dei maggiori vini italiani e nelle ipotesi produttive, financo in una produzione di energia da fonti rinnovabili, ci venivano raccontate con orgogliosa professionalità. L’anello economico del profitto faceva vedere come l’essere diversi induceva con raffinata sommatoria di particolari a tale ricchezza. Tutto il circolo descritto e compiuto da me si concretizzava con il mio essere DIVERSALE. L’(è) ha consegnato l’opportunità, a noi il compito di conclamarla e curarla, esportarla sul nostro territorio. “Pronto?” - Sì! “Ciao Francesco, siamo in partenza per un altro viaggio che fai? Vieni?” - Un Viaggio? - Solo s’(è) l’opportunità di cogliere e di raccontare. - Ci sarò.
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Alcuni momenti dell reading Diversità è Ricchezza e la mostra realizzata dalla Cooperativa “Kara Bobowski” e Gad
andata e ritorno da Modigliana nella terra di silvestro lega Carlo Petrachi
Addentrandoci in provincia di ForlìCesena, notiamo ovunque coltivazioni di kiwi, anche se non poche piantagioni appaiono sofferenti per la prolungata siccità. Piccoli rigagnoli in aridi letti di fiumi disegnano sottili serpentelli argentei nel fondovalle. La campagna, costellata di abitazioni poderali, è interrotta qua e là da insediamenti industriali, soprattutto a carattere vinicolo. In alcuni appezzamenti si può vedere la nuda argilla riarsa, tanto da dare l’impressione di essere frammista a stoppie. Raggiungiamo la nostra meta: Modigliana, ex feudo dei conti Guidi, ex terra toscana, ora romagnola, un centro di poco più di 4.600 abitanti, strade pulite, gente cordiale e disponibile al dialogo seduta davanti ai bar (così come è d’uso anche nel Salento), 4 banche.
Quindi l’incontro con Franca Soglia, presidente della Cooperativa Sociale “Kara Bobowski” che si occupa delle persone disabili e… di chiunque abbia problemi anche d’altro genere, il tutto in un clima di solidarietà sociale. Spalleggiata dall’attivissima Barbara Framonti, ha voluto celebrare alla grande il 25° anniversario dalla sua fondazione con un tema davvero stimolante: “Diversità è ricchezza”, tema quanto mai opportuno in questo particolare frangente in cui la popolazione europea sembra avere rigurgiti xenofobi che, quando non degenerano in una strisciante lotta contro il “diverso” (quale che sia la “diversità”), sicuramente ne promuovono l’emarginazione. Con mostre e manifestazioni ha galvanizzato sull’evento l’attenzione delle Istituzioni del
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L’incontro, l’amicizia, la solidarietà... e ancora la bellezza, il paesaggio, l’arte e la storia...
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luogo, ma anche quella della casa editrice “Il Raggio Verde” di Lecce che partecipa con un congruo numero di delegati salentini e non solo. Dal momento che siamo sul luogo, non può mancare una visita alla Coop. CA.VI.RO. che imbottiglia ed esporta vini italiani – anche salentini – in tutto il mondo; quanto basta a farci capire che il Meridione, pur con tutte le sue potenzialità, ha ancora tanta strada da percorrere. L’interessante visita ha termine col dono, da parte della CA.VI.RO., di un buon frizzantino bianco. Verso mezzogiorno, il sindaco Valerio Roccalbeni, con fascia tricolore, ci riceve in municipio per darci il benvenuto a nome suo e della cittadinanza col dono di pregiati volumi sulla storia di Modigliana e qualche prodotto locale. Presenti il sindaco, l’assessora alla cultura Maria Alba Continelli, l’assessora al turismo Alice Gentilini e un numeroso pubblico, la sera del 28 agosto, lo scambio interculturale si apre con la
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mostra sulle iniziative solidali della Cooperativa “Kara Bobowski”, prosegue, quindi, con la lettura di alcune poesie sia in italiano che in modiglianese, in salentino e in siciliano (con relative traduzioni) a cura di Anna Signani, detta Annina, e Alberta Tedioli (Modigliana); Anna Paola Pascali, Nico Maggi, Anna Leo, Franco Pasca (Salento); Salvina La Marca (Sicilia), tutti al seguito di Giusy Petracca, presidente della casa editrice “Il Raggio Verde” e del direttore responsabile di “Arte e Luoghi”, Antonietta Fulvio. La presenza del pittore salentino Luigi De Giovanni assicura ai ragazzi piacevoli momenti di apprendimento con i laboratori di arte. Dopo un break per la degustazione di prodotti romagnoli, si riprende con la proiezione del mio breve trailer “Salentitudine” e dell’omonimo libro che suscitano attenzione ed interesse. Il 29 agosto una visita mordi e fuggi a Portico di Romagna, il borgo medievale di Beatrice Portinari, la Beatrice dantesca «tanto gentile e tanto onesta…». Le vie in forte pendenza o a scalinate costringono, noi abituati alla pianura, a saggiare «com’è duro calle» scarpinare in un borgo dell’Appennino. In periferia, attraversato un ponte a schiena d’asino, in un’edicola semiabbandonata, alla base di un altarino notiamo il “passaggio” dei Cavalieri di Malta, testimoniato da una croce a coda di rondine. Dopo altre degustazioni romagnole, è d’obbligo una visita al centro storico di Modigliana ed in particolare alla pinacoteca dove si possono ammirare i dipinti del modiglianese Silvestro Lega dai quali si evince, oltre alla straordinaria competenza tecnica dei quadri giovanili, anche l’evoluzione artistica e stilistico-espressiva dell’autore. Tra le
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Alcuni scorci del borgo di Portico
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Il Ponte della Tribuna, foto di Carlo Petrachi
altre opere pittoriche troviamo quelle di Getulio Alviani, Concetto Pozzati, Plinio Mesciulam, Francesco Nonni: un interessante percorso artistico che va dall'astrattismo storico, all'arte ottica e a quella concettuale, alla… provocazione di una tela completamente in bianco. Non è mancata, infine, una rilassante visita alla riserva botanica di Montebello, là dove si prevedono proposte per la salvaguardia della preziosa biodiversità delle piante provenienti da tutto il mondo, sia iniziative per un rilancio turistico. A sera un’importante tavola rotonda non solo sulla “ricchezza della diversità”, ma anche sulle possibili prospettive delle cooperative sociali che devono avere come fine lo sviluppo di un’economia inclusiva a dimensione umana. In particolare, il prof. Pascale sottolinea l’importanza dell’agricoltura tradizionale per la salvaguardia della diversità biologica pesantemente compromessa, negli ultimi decenni, dal delirio della globalizzazione. Intervengono poi Giusy Petracca e Antonietta Fulvio quali rappresenti della delegazione salentina, infine vengo chiamato nuovamente in causa al fine di evidenziare le diversità tra Romagna e Salento. Accennando appena al mio ultimo lavoro, Salentitudine, pongo, invece, l’accento su quanto di comune esiste tra Modigliana e il Salento in tema di sensibilità nei confronti dei cittadini meno fortunati; infatti sottolineo che in uno degli arenili più belli di San Foca è stato riservato uno spazio ben attrezzato per i portatori di handicap, denominato “Io posso”. La statua di don Giovanni Verità, prete modiglianese del periodo risorgimentale – molto scomodo perché condannava il potere temporale dei papi e mise in salvo Garibaldi, caricandoselo sulle spalle quand’era inseguito dai papalini – dall’alto del suo piedistallo assiste alla serata finale che si conclude con una cena nei giardini pubblici, (300 partecipanti). E qui nasce l’incontro degli eccellenti sapori romagnoli con le leccornie salentine, preparate dalla brava Lucia Cordel-
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Il monumento a Don Giovanni Verità (foto di Carlo Petrachi), alcuni scorci di Modigliana, l’ingresso della Pinacoteca e un particolare del Compianto nella Cripta del Duomo; nell’azienda Caviro
la. Inoltre è presente ed operante il famoso e pluripremiato pastry chef di Giuseppe Zippo di Specchia. Una bellissima torta commemorativa e poi la degustazione di pasticciotti leccesi opera, questi ultimi, di Nico Maggi. Una stupenda coppia, Anna Paola Pascali e Claudio Pizzuto, coinvolgono i modiglianesi, tra cui lo stesso sindaco, in una pizzica scatenata. Peccato che per il percorso da Lecce a Modigliana s’impieghi un tempo maggiore che da Roma a New York! Sarebbe stata auspicabile e gradita anche la partecipazione di almeno un rappresentante delle Istituzioni salentine, ciò nonostante, possiamo considerarla un’esperienza senz’altro positiva stimolante e culturalmente proficua.
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un laboratorio d’arte con luigi de giovanni
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Federica Murgia
Dalla mostra alle lezioni con gli allievi della cooperativa “Kara Bobowski”
Un’avventura da ricordare. Un programma, un percorso di conoscenza e scambio culturale che ha creato un bellissimo clima d’amicizia e solidarietà fra Salento e Romagna. Nuovi incontri, nuove opportunità per avvicinarsi al mondo che nella diversità sa trovare la ricchezza. Di questo siamo riconoscenti alla casa editrice Il Raggio Verde e alla Kara Bobowski che insieme hanno creato la situazione per una trasferta a Modigliana. Un’occasione che ha saputo donarci la bellezza e la positività di un’esperienza meravigliosa in cui il Salento si è raccontato agli amici romagnoli che a loro volta si sono offerti ai salentini con la loro realtà, in un’accoglienza ricca di calore umano, amicizia e scoperta.
Le opere di Luigi De Giovanni in mostra a Modigliana e alcuni disegni realizzati dagli allievi del laboratorio d’arte
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Modigliana, circondata da verdi campagne che si distendono su piccoli colli, ha saputo sorprenderci con la disponibilità alla socializzazione dei cittadini, le sue bellezze architettoniche e artistiche, con il clima di semplicità e amicizia nonché con la cura che hanno per le persone e le cose. Un gemellaggio, fra Salento – Romagna, capace di arricchire e di far sorgere il desiderio di continuare perché dopo, quando l’amicizia sarà consolidata e forte, viene il momento dello scambio vero e proprio che è quello delle acquisizioni delle diversità e delle ricchezze per farle divenire patrimonio di tutti. La disponibilità di Modigliana è stata tangibile in tutte quelle persone che con semplicità hanno consentito l’integrazione del gruppo
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Alcuni momenti del reading letterario
salentino, evidente soprattutto nello scambio di tradizioni e cultura, nonché di pietanze sempre troppo gustose per pensare alla dieta. Il pastry chef salentino Giuseppe Zippo, ospite d’onore della festa, nella cena sociale ci ha deliziato con antipasti e dolci, mentre i cuochi romagnoli hanno pensato a gustosissimi primi e secondi; in questo non dobbiamo dimenticare Lucia e Paola che per il pranzo nel bosco di Montebello, nasto come Foresta Sperimentale che presenta una varietà di alberi provenienti da tutto il mondo, ci hanno sorpreso con i minchiareddi e le orecchiette, meglio dimenticare quelle storte e bucate fatte dai miei maldestri tentativi. In un clima di amicizia è stata interessantissima la staffetta letteraria che ha unito, in un in un susseguirsi di ritmi, una selezione di testi di scrittori romagnoli ai quali si è aggiunto la presentazione del libro “Salentitudine” di Carlo Petrachi. La regia poetica è stata curata da Antonio Spino mentre quella sonora da Walter Perini. La parte dialettale mi ha colpito moltissimo
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perché nelle differenze si è colta tutta l’espressività e l’efficacia della sintesi caratteristica della lingua del popolo. Luigi De Giovanni, anche lui ospite d’onore, ha portato una selezione di paesaggi salentini e nature foreali. Con i suoi dipinti la sala si è illuminata dei colori e dei contrasti a volte bruschi della luce salentina. Una mostra molto significativa sotto il profilo umano e sociale, corredata anche da video, è stata quella curata da GAD, Kara Bobowski e Abbraccio Verde dove è emerso il loro specialistico e affettuoso lavoro con i disabili. In questo contesto Luigi De Giovanni ha svolto il laboratorio di pittura, rivolto ai disabili ospiti delle strutture d’accoglienza del Kara Bobowski: “La Libellula” e del Centro Socio – occupazionale Nonsololavoro “La Coccinella”. L’artista sotto forma di gioco ha spiegato come creare i colori usando i tre primari. Dopo aver insegnato come ottenere i colori secondari, facendo mescolare due primari per volta sulla tavolozza, ha lasciato che i partecipanti sperimentassero il colore sul
la torta realizzata dal pastry chef Giuseppe Zippo
foglio bianco ed è stato divertente per gli allievi realizzare dei lavori con i colori primari e i secondari. Questo è stato un momento di entusiasmo e partecipazione che ha visto la creazione di lavori individuali e parallelamente un dipinto collettivo. Vedere i loro visi distesi e coglierli nella ricerca di tonalità è stato per noi commovente. L’emozione è aumentata nel vedere l’impegno grandissimo che hanno profuso nel cimentarsi nella copia dal vero, dove si doveva interpretare la realtà osservando gli oggetti di una natura morta per coglierne i rapporti, la prospettiva e le ombre: non importa se gli oggetti, per la maggior parte dei partecipanti erano troppi e che ne dipingessero solo alcuni. Anche le forme ottenute dagli allievi erano solo un’idea lontana, ma questo era secondario perché il risultato più importante era dare a ciascuno l’opportunità di esprimersi. In tal senso è davvero ammirevole la missione delle strutture d’accoglienza del Kara Bobowski: “La Libellula” e del Centro Socio – occupazionale Nonsololavoro “La Coccinella”.
Il laboratorio è continuato con l’uso di tele di grandi dimensioni, dove ciascuno ha potuto dipingere liberamente intervenendo quando invitato a farlo, mentre parallelamente tutti lavoravano su singoli fogli. L’ultima fase dell’attività è stata quella dell’interpretazione e della creazione di una storia per ogni singolo lavoro collettivo. Ne sono state scritte tre: “Il micino”, “Il mondo della luna” e “La serpe”. Il laboratorio è terminato con l’allestimento di una mostra in una delle sale del LiverLoft – Art Campus, dove era già in corso la mostra del GAD. Confesso che per me l’esperienza del laboratorio è stata molto emozionante e mi ha dato una grandissima gioia avendomi riportato al mio lavoro d’insegnante nelle Scuole Medie Statali. L’esperienza a Modigliana è stata, per tutti noi, un arricchimento sotto il profilo umano e un momento da tenere con cura nei nostri cuori per le emozioni che ha saputo donarci. Il mondo della disabilità ha saputo riservarci sensazioni d’amore e solidarietà al di là dalle barriere mentali che troppo spesso ci condizionano.
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diversitÀ è riccheZZa nei versi coMe nella vita Anna Paola Pascali
Diversità è ricchezza Diversità è veramente ricchezza? Me lo sono sempre chiesto ogni qualvolta il “sentirmi diversa” ha attirato su di me non pochi sguardi. Diversa perché ho un altro accento (sono salentina trapiantata a Treviso), diversa perché spesso il mio linguaggio “poetico” prende il sopravvento nelle espressioni quotidiane, diversa come ognuno di noi può essere nella sua unicità.
Tra il 26 ed il 29 agosto 2017 la mia domanda ha avuto la sua risposta. Diversità è veramente ricchezza? SI! Il Salento ha raggiunto Modigliana, tra le colline Tosco-Romagnole, fondendo due tradizioni nettamente contrapposte ma complementari nello spirito e nell’intento: quello di allargare gli orizzonti e di fare di ogni diversità ulteriore ricchezza. Sono stati quattro giorni nei quali ogni puntino vagante ha trovato la sua “i” tra gli innumerevoli colori e folclori di una terra, la Romagna, che ha aperto le sue porte all’intercultura. Suoni diversi hanno raggiunto l’udito dei presenti attraverso le poesie in vernacolo, lette da me medesima, Alberta Tedioli e Franca Soglia, accarezzando l’anima, strappando un sorriso e, magari, mandando momentaneamente nel pallone gli spettatori se non fosse stato per l’immediata traduzione. Un’esperienza, dunque, ricca di emozioni resa possibile dalla collaborazione tra la Cooperativa sociale modiglianese “Kara Bobowski” e la casa editrice leccese “Il Raggio Verde”. Il momento delle letture ci ha visto “complici” e felici di rappresentare al meglio la nostra cultura rendendoci orgogliosi della nostra DIVERSITÀ e ha dato forma ad un interessante equilibrio in un mondo dove, ancora, si punta il dito verso chi non rientra in uno standard preconfezionato. L’abbraccio del linguaggio ha cinto tutti col calore del potere del sentimento e ha lasciato decadere ogni pregiudizio. Certo, il momento più bello è stato quello in cui, nell’ultima serata durante la cena salentinoromagnola, il sindaco di Modigliana ha ballato con me la nostra pizzica! Momenti di gloria? No, di comunione e civiltà con l’auspicio che rientri nella consuetudine di ognuno di noi.
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a bologna “graMsci in giallo” tra sherlocK holMes e Padre broWn
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Tre incontri il16, 23 e 30 ottobre. Videointervista di Lucarelli a Camilleri confronti con saggisti e scrittori - da Di Paolo a Fois, da De Giovanni a Zaccuri e letture di Lino Guanciale
BOLOGNA. “Gramsci in giallo” è il tema di una singolare iniziativa che si terrà a Bologna lunedì 16, lunedì 23 e lunedì 30 ottobre (alle ore 17.30 con ingresso libero) in occasione dell’ottantesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci. Politico e filosofo Antonio Gramsci partecipò nel 1921 alla fondazione del Partito comunista, di cui divenne segretario nel 1924, ma dopo l’ascesa del fascismo fu condannato a vent’anni di carcere. “Sherlock Holmes è il poliziotto protestante che trova il bandolo di una matassa criminale partendo dall’esterno, basandosi sulla scienza, sul metodo sperimentale, sull’induzione. Padre Brown è il prete cattolico che, attraverso le raffinate esperienze psicologiche date dalla confessione e dal lavorio
di casistica morale dei padri, pur senza trascurare la scienza e l’esperienza, ma basandosi specialmente sulla deduzione e sull’introspezione, batte Sherlock Holmes in pieno”. Nei “Quaderni” e nelle “Lettere dal carcere” Antonio Gramsci parla diffusamente delle differenze tra i due grandi detective, senza nascondere le sue simpatie per Padre Brown. Ed è proprio questo lo spunto iniziale di “Gramsci in giallo”, un ciclo di tre incontri con scrittori, saggisti, biblisti e attori in programma a Bologna, all’Oratorio di San Filippo Neri. Il primo appuntamento è dedicato a “Sherlock Holmes e Padre Brown; due modi per scoprire il colpevole”, con lo scrittore e regista Carlo Lucarelli, il biblista belga JeanLouis Ska e l’italianista Gian Mario Anselmi. L’incontro, introdotto da Chiara Daniele, responsabile della sezione “Epistolari” dell’Edizione nazionale delle opere di Gramsci, sarà coordinato dallo scrit-
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tore Paolo Di Paolo e accompagnato dalle letture dell’attore Lino Guanciale. L’attualità del romanzo giallo sarà al centro di “Brividi nazionalpopolari”, in programma il 23 ottobre. Saranno proiettati estratti di una conversazione tra Carlo Lucarelli e Andrea Camilleri. Seguirà un dibattito con gli scrittori Carlo Lucarelli, Marcello Fois e Alessandro Zaccuri, con il coordinamento di Roberta Scorranese del Corriere della Sera. Il ciclo si concluderà il 30 ottobre con un incontro su letteratura, fiction e potere dal titolo “Tutti i colori del giallo”. Il direttore di Radio 3 Marino Sinibaldi coordinerà un dibattito con Carlo Lucarelli, Maurizio De Giovanni e Marco Vichi. Le letture di Lino Guanciale impreziosiranno l’iniziativa organizzata da Fondazione Unipolis, Bottega Finzioni, Edizioni Dehoniane Bologna e Fondazione Gramsci EmiliaRomagna.
oMaggio al granduca: i Piatti d’argento Per la festa di san giovanni a cura di Rita Balleri, Maria Sframeli Firenze, Palazzo Pitti, Tesoro dei Granduchi fino al 5 novembre 2017 aniMe. di luogo in luogo christian boltansKi a cura di Danilo Eccher fino al 12 novembre 2017 Bologna, vari luoghi agnetti. a cent’anni da adesso Milano, Palazzo Reale fino al 24 settembre 2017 Ingresso gratuito Orari:lunedì: 14.30-19.30 martedì, mercoledì, venerdì e domenica: 9.30-19.30; giovedì e sabato: 9.30-22.30 (ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) PhiliPP hacKert i Porti del re Castello di Gallipoli fino al 5 novembre 2017 Ingresso: giugno e settembre dalle 10 alle 21 luglio e agosto dalle 10 alle 24 novembre 10/13 - 15/17 Biglietto. Intero 7 euro; ridotto 6 euro (studenti, professori, forze dell’ordine, gruppi di almeno 12 visitatori e convenzioni attive). Ridotto 4 euro (6-14 anni, oltre 65 anni, scolaresche, diversamente abili e relativi accompagnatori, gruppi superiori a 20 unità, residenti). Info e prenotazioni: 0833262775 federico seneca (1891-1976) segno e forma nella pubblicità Fano , Galleria Carifano Palazzo Corbelli, Via Arco d’Augusto 47 fino al 24 settembre 2017 Orario: fino al 31 agosto da martedì a domenica h. 20.30 – 23.30
Percorso illustrato sulla vita e l’oPera Pastorale di san carlo borroMeo Arona (NO), Parco della statua di san Carlo (piazzale san Carlo) fino al 15 ottobre 2017 Orari : tutti i giorni, 9.00 – 12.20 / 14.00 – 18.15; domenica orario continuato; Ingresso al terrazzo e interno statua: € 6,00; Ingresso solo al terrazzo: € 3,50 Informazioni: Tel. 0322.249 669 il secolo breve. tessere di ‘900 Viareggio, Fondazione Matteucci per l’Arte Moderna Viareggio, via G. d’Annunzio, 28 fino al 5 Novembre 2017 Orari di apertura: martedì/venerdì 17.30 – 22.30. biglietto intero 8 euro biglietto ridotto 5 euro. sabato/domenica 10.00 – 13.00 / 17.30 – 22.30 Info: 0584-430614 | www.cemamo.it a PalaZZo roncale, i caPolavori dei concordi Rovigo, Palazzo Roncale, 23 settembre 2017 – 21 gennaio 2018 Ingresso Gratuito. Orari Apertura: feriali 9 – 19, Sabato e festivi 9 -20 (apertura 7 giorni su 7). Info: www.palazzoroverella.com steve Mccurry. leggere Brescia, Museo di Santa Giulia fino al 1 ottobre www.bresciaphotofestival.it la belle ePoQue. illustri persuasioni. capolavori pubblicitari dalla collezione salce Treviso, Museo Nazionale Collezione Salce fino al 1 Ottobre 2017 www.collezionesalce.beniculturali.it Werner bischof. fotografie 19341954 Venezia, Casa dei Tre Oci Fondamenta delle Zitelle, 43 30133 Giudecca - Venezia Dal 22 Settembre al 25 Febbraio 2018 Orario: Tutti i giorni 10 – 19; chiuso martedì. Infotel. +39 041 24 12 332
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velÁZQueZ e bernini: autoritratti in mostra al nobile collegio del cambio Mostra a cura di Francesco Federico Mancini Perugia, Nobile Collegio del Cambio Corso Pietro Vannucci, 25, fino al 22 Ottobre 2017 Info: 0755.728599 www.collegiodelcambio.it toulouse-lautrec Il mondo fuggevole a cura di Danièle Devynck e Claudia Zevi Milano, Palazzo Reale 17 ottobre 2017 – 18 febbraio 2018 dentro caravaggio Milano , Palazzo Reale Dal 29 settembre 2017 al 28 gennaio 2018 Lun: 08:30 - 14:30 (riservato scuole) Lun: 14:30 - 22:30 Mar e mercoledì: 09:30 - 20:00 dal giovedì al sabato: 09:30 - 22:30 Dom: 09:30 - 20:00 ultimo ingresso un’ora prima della chiusura. Chiusura anticipata alle 20.00 nei giorni 29 settembre, 16 e il 23 ottobre. galleria Pesaro. storia di un mercante creatore di collezioni Milano, Gallerie Maspes Via Manzoni 45 21 settembre - 14 ottobre 2017 A cura Angela Madesani e Elisabetta Staudacher Orari: da martedì a sabato 10.0013.00; 15.00-19.00. Ingresso libero franco Pagetti.tutti i confini ci attraversano CMC- Centro Culturale di Milano (Largo Corsia dei Servi, 4- MM1 San Babila, MM3 Duomo) 6 ottobre 2017 – 21 gennaio 2018 Inaugurazione: giovedì 5 ottobre 2017, ore 18.30. Ingresso gratuito (donazione suggerita € 5) Info: 02 86455162
ITINER_ARTE...DOVE E QuANDO...
serPotta e il suo teMPo a cura di Vincenzo Abbate Palermo, Oratorio dei Bianchi fino al 1 ottobre 2017
LuOGHI DEL SAPERE
le febbri il nuovo libro di clara nubile tra oriente e occidente Da alcune settimane è nelle librerie il nuovo libro di Clara Nubile, Le febbri (Besa Editrice, 2017), raccolta di racconti con la quale la nostra conterranea, grande scrittrice, poetessa e traduttrice editoriale, torna ad ammaliarci con la sua scrittura elegante e fortemente evocativa e con nuove affascinanti storie nelle quali, come è scritto in quarta di copertina, “Oriente e Occidente si incontrano, si scontrano, s’intrecciano e a volte si separano, oppure si innestano”.
CLARA NuBILE Le febbri BESA EDITRICE pp.168 2017 € 15.00 ISBN 978-88-497-1106-6
Ancora una volta fanno da cornice ai racconti di Clara Nubile l’India e il sud est asiatico, luoghi carissimi all’autrice che, com’è noto, vive tra l’Italia e l’India, con tutto il loro fascino e le loro disarmonie, la loro bellezza e le loro atrocità. Echi di alcuni dei numi tutelari della scrittrice (o… santi, come li chiama lei stessa nella pagina dei ringraziamenti finali) – Vittorio Bodini, Joseph Conrad, Antonio Tabucchi – compaiono qua e là a ispirare e assecondare la magica scrittura della Nubile, accompagnando i personaggi dei quindici racconti, e con loro noi lettori, in un viaggio continuo a cavallo tra la nostalgia e i rimpianti e la ricerca interiore. Già, perché forse chi viaggia non vuole tanto visitare nuovi luoghi o conoscere altre persone ma piuttosto sfuggire ai propri fantasmi e/o (ri)trovare se stesso. Clara ci presenta personaggi umanissimi, straordinari nella loro normalità, nei quali ciascuno di noi si può di volta in volta in qualche modo identificare. Personaggi come l’inglese Stephen, bollato dai servizi sociali londinesi come “emarginato moderno”, al quale il fratello ha regalato un biglietto per l’India (“Ehi, bro’, tu c’hai bisogno di riprenderti”) e che nel tentativo di sfuggire a una ipotetica maledizione evocata da un sogno finisce impiccato per un equivoco, colpevole “di aver parlato la lingua sbagliata”. O come la scrittrice Bruna, dalla “cerniera del cuore rotta”, che nel racconto Lo sguardo ritornato, meraviglioso omaggio della Nubile ad Antonio Tabucchi, incontra il grande scrittore toscano che la invita a scrivere di Goa, un posto “intriso di sangue corsaro, saudade, superstizioni e incanto” e la consola per essere risultata positiva a una malattia piuttosto comune (“Il rimorso? Stia tranquilla, ne soffro anch’io, ed è per questa ragione che sono diventato un fantasma”). O la prostituta Cherry, dai “piedi spaiati” come Bangkok, città nella quale si è trasferita dopo aver lasciato il proprio villaggio, uccisa da un cliente
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piagnucoloso, contrariato da un semplice gesto d’affetto con il quale lei voleva confortarlo. E il buffo Hitendra, tornato in India dopo aver vissuto trent’anni a Roma, dove ha lasciato una casa e una ex moglie, e che vive di espedienti continuando a vagheggiare il ritorno nell’amata Italia e intanto fa scorpacciate dei film di Lino Banfi e combatte la nostalgia con “un limoncello fatto in casa, coi limoni di Sorrento”, e un “olio extravergine di oliva umbro, spremuto a freddo”. E, ancora, Giulia, studentessa italiana di sitar a Mumbai, che compare in diversi racconti. Coinquilina di Hitendra, infastidita dalla difficoltà di capire, durante il corso di hindi, il caso obliquo (“io amo i casi diretti”), ma in realtà irritata dall’obliquità della vita e consapevole perciò “di aver proprio bisogno di una lezione privata per imparare a districarsi in tutti i casi obliqui che si presentano, e si presenteranno, nella vita.” E poi il bellissimo personaggio di Sushila Gupta, anziana insegnante di hindi di Giulia, rigorosa come insegnante ma “sgrammaticata” nella vita privata, che in Giulia, “quell’italiana strampalata, che parla in hindi coi venditori di strada e i bambini randagi, e li bacia senza paura, li prende in braccio, asciuga il moccio di quella povertà col dorso nudo della mano”, rivede se stessa giovane, quando senza paura protestava contro i dominatori inglesi e rivendicava i diritti degli “intoccabili”, ragazzini e bambini fuori casta che non avevano diritto a varcare la soglia della mensa scolastica e perciò non mangiavano ma rovistavano nei rifiuti. E Tack, donna tailandese che studia italiano con un insegnante indiano e che ha trovato la serenità in un sogno; e la fascinosa Ulla, tedesca sessantenne che tiene a Goa corsi di art-therapy per bambini disadattati; e Joanna, che assiste amorevolmente il vecchio suocero Nadhir raccogliendo le sue confidenze e il suo rimpianto per la conturbante amante giovanile Roxenda; e l’italiana Barbara e la spagnola Susana, insegnanti a Mumbai, amiche inizialmente per necessità e poi per empatia e attese da un assai diverso destino. Se l’Asia fa da sfondo a quasi tutti i racconti di questa raccolta, non manca, il richiamo, sempre presente in Clara Nubile, delle irrinunciabili radici salentine, con le sue arcaiche e mitiche suggestioni. E così altro luogo a lei carissimo è l’Alto Salento, segnatamente la frazione di Tuturano, nel quale è ambientato uno dei racconti più felici, L’indiano, nato dal ricordo della nonna dell’autrice, Ernestina, che durante la guerra incontrò un soldato indiano dell’esercito inglese, internato presso la masseria Paticchi, e al quale regalò un pezzo di sapone lucente, semplice ma meraviglioso gesto di spontanea accoglienza.
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LuOGHI DEL SAPERE
E sebbene Clara Nubile, proprio parlando di quel pezzo di sapone lucente, concluda, un po’ amaramente ma purtroppo realisticamente, nella pagina finale intitolata Le geografie di questi racconti, scrivendo “Peccato che quella luce, come la tolleranza e la solidarietà tra i popoli, si stia lentamente estinguendo”, a me piace vedere in quel sapone lucente e in quel giovane indiano e quella ragazzina tuturanese, e nel loro fugace e gentile incontro, una fiammella di speranza di pace e fratellanza che non può spegnersi del tutto e che magari tornerà a risplendere. Un racconto, L’indiano, significativo, emblematico compendio di questo imperdibile libro che raccoglie, come conclude la quarta di copertina, “racconti preziosi, sul significato dell’incontro e della diversità”, anche quando a incontrarsi sono solo due fantasmi”. Il libro è stato presentato da Sabrina Amorella, su iniziativa del Comitato di Brindisi della società Dante Alighieri, lunedì 11 settembre nel giardino della Pasticceria “Bernardi”, sul lungomare di Brindisi. Michele Bombacigno Clara Nubile (Brindisi, 1974), scrittrice e traduttrice editoriale. Ha pubblicato 3 romanzi: Io ti attacco nel sangue (Lain, 2005), Lupo (Fazi, 2007), Tu come tutto quello che tocchi (Bompiani, 2012); una raccolta di racconti Tabaccherie Orientali (Perrone, 2010), oltre a diversi saggi e articoli e Squame (Lietocolle, 2014), una raccolta di poesie. Le febbri, è la sua ultima opera, pubblicata nel giugno 2017 da Besa editrice. Sono racconti ambientati soprattutto in India e nel sud-est asiatico, ma non solo. Tra le sue traduzioni in italiano: Vita di Pi di Yann Martell, Hotel Everest di Allan Sealy, Drugstore Cowboy di James Fowley.
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Madre GGGG terra, fratello fuoco. le MaMMe della terra dei fuochi
MAuRIZIO PATRICIELLO Madre Terra, Fratello Fuoco. La mamma della terra dei fuochi San Paolo Edizioni 2016 € 12.00 ISBN 9788821598500
LuIGI GARLANDO Io e il Papu Rizzoli editore 2017 pp.227 €16,00 ISBN 9788817093996
Madre terra, fratello fuoco. Le mamme della Terra dei fuochi" (San Paolo Edizioni). "Non sono una madre. Sono un sacerdote. Sono un padre. Padre Maurizio. Ma di madri piangere sui propri figli ne ho viste tante. Troppe". Così scrive il sacerdote simbolo della lotta contro la Camorra e i reati ambientali nella Terra dei Fuochi. E proprio insieme alle madri di questa terra bellissima e martoriata da fumi e veleni, don Maurizio ha scritto questo libro che racconta le storie dei bambini e dei ragazzi morti di cancro, o meglio uccisi dai camorristi, "dai colletti bianchi insozzati e dei politici corrotti, collusi, ignavi". Una Spoon River della Terra dei Fuochi - sottolinea Giuseppe Fiorello nella prefazione - per non "dimenticare il sacrificio di chi avrebbe dovuto avere il diritto di vivere la vita in totale libertà e gioia: i bambini" e fare da monito a quanti perseverano nella loro opera di devastazione e a quanti avrebbero dovuto vigilare e non lo hanno fatto. A raccontare le loro storie in prima persona sono le donne, madri e mogli, che hanno trovato la forza di reagire al dolore e di "cambiare la loro sofferenza in amore, fondando l'associazione onlus Noi genitori di tutti con la quale sono accanto, sia umanamente che materialmente, alle famiglie che cominciano a vivere il loro stesso calvario." IO E IL PAPu. IL NuOVO LIBRO DI LuIGI GARLANDO OSPITE DEL GIARDINO DELLE NuVOLE A CALIMERA Il giornalista della Gazzetta dello Sport autore del libro di successo “Per questo mi chiamo Giovanni”, presentato oltre 10 anni fa proprio a Calimera in anteprima nazionale, sarà presente due giorni, il 26 e 27 settembre, per incontrare i suoi giovani lettori nella storica libreria Il Giardino delle nuvole. Sarà inoltre testimonial di BIBLIONONNIBOTTEGA, una biblioteca per anziani che nascerà, all’interno della Casa Protetta Gino Cucurachi sempre a Calimera, attraverso la campagna Mettiamoci un libro grazie alla quale chiunque verrà invitato a donare un libro da destinare ai nonni. Tutto alla presenza della direttrice della struttura Simonetta Corlianò della soc. Athena che gestisce la struttura. In questo libro racconta la storia di Arcadio che non parla da due anni perché scampato ad un attentato terroristico in cui la madre è rimasta ferita ad un braccio, ma che comunica con le figurine dei calciatori con le quali costruisce un rebus che invia al Papa, dove lui è Arkadiusz Milik e il Santo Padre Papu Gómez. Da qui si sviluppa la storia raccontata da Luigi Garlando che come al solito riesce a raccontare ai ragazzi argomenti scottanti o scomodare personaggi importanti. Anche in questo caso l’autore, nel suo libro, usa la metafora del calcio per comunicare, tra i linguaggi da lui preferiti nei suoi ormai numerosissimi racconti. Luigi Garlando è uno degli autori più amati dai piccoli lettori italiani perché riesce, con un linguaggio molto semplice, a toccare argomenti che spesso è difficile trattare direttamente con i bambini e le bambine. Lo scrittore è particolarmente legato a Calimera perché proprio da qui è partita l’avventura del suo libro più celebre dedicato a Giovanni Falcone “Per questo mi chiamo Giovanni”, in un contesto dove la storia del magistrato è molto sentita; infatti, anche per questo motivo, per molti anni la libreria di Calimera ha proposto il testo ai nuovi piccoli lettori promuovendo la cultura della legalità.
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la festa dell’ottocento veste d’arte Modigliana
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Tarcisio Benerecetti
Una kermesse che si ripete ogni anno per ricordare l’artista modiglianese Silvestro Lega e la sua mirabile Arte
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MODIGLIANA (FC) Il fascino delle memorabili giornate della festa dell'Ottocento. Magia ed emozioni per le vie di Modigliana. Anche quest’anno si sono svolte, nella seconda domenica del mese di settembre, le bellissime Feste dell'800: Tableaux Vivants. Una idea nata nel 1995 in concomitanza con le celebrazioni per il centenario della morte del pittore modiglianese Silvestro Lega. Una manifestazione originalissima con la quale si intende perpetuare il ricordo dell’illustre concittadino, protagonista della pittura italiana ed europea del diciannovesimo secolo e far tornare l’orologio indietro nel tempo, al periodo in cui Silvestro Lega visse a Modigliana i suoi primi anni sino alla giovinezza. Per continuare a rendere omaggio al pittore ed ampliare la conoscenza delle sue opere, si ipotizzò di organizzare una festa che ricreasse le atmosfere e gli ambienti tipici dell'800 con l'allestimento di “quadri viventi” capaci di riprodurre le tele famose del pittore, con personaggi veri assomiglianti ai suoi modelli con i relativi fondali. Per l'allestimento dei quadri, spesso
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Foto, fonte: Modigliana Turismo
ambientati in angoli del paese che ricordano quei dipinti, vengono prodotti cornici, fondali e costumi con la partecipazione di figuranti volontari. Per l’occasione il paese, col suo centro storico, è stato allestito a festa. Oltre al mercatino di prodotti tipici, opere di artisti modiglianesi ed animazioni musicali, si sono potute ammirate molte persone vestite con i tipici costumi dell'800, cantastorie, gruppi musicali, giochi per bambini e ragazzi ed è stata data pure la possibilità agli ospiti della manifestazione di gustare piatti della tradizione ottocentesca. Si sono potuti ammirare, inoltre, molti personaggi con l’ambientazione della storia locale, garibaldini nell'accampamento e scaramucce con gli spari dei fucili a salve da
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parte e contro i militari d’oltre frontiera, papalini e/o austriaci, in attesa verso la salita alla chiesa di San Bernardo. Si è ricordato ancora Don Giovanni Verità, il coraggioso prete di Modigliana, il quale, nell’agosto del 1849, ospitò di nascosto nella sua casa Garibaldi ed il suo luogotenente Capitan "Leggero" Giovan Battista Culiolo, in fuga verso il Granducato di Toscana, braccati dagli austriaci e dai papalini dopo la rotta dei Garibaldini nel ravennate dopo avere lasciato il corpo di Anita alle Mandriole di Ravenna. E un cameo, lo svelamento di un dipinto mai visto prima.
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Nel riquadro l’artista Gianfranco Basso; nelle altre foto: un particolare dell’allestimento della mostar a Palazzo Vernazza; Second World, ricamo su tessuto, 2016, 150x137; a lato: Spettatori, ricamo su tessuto, 2017, cm 220x140”
gianfranco basso diPingere con ago e filo
L’antica arte del ricamo diventa medium espressivo per tracciare affascinanti visioni oniriche che invitano alla riflessione
Antonietta Fulvio
LECCE. Ago e filo come pennelli e colori per tessere su tela infinite storie. Come infiniti sono i punti in successione uno dopo l’altro per delineare spazi e forme. Fili variopinti si insinuano fra trama e ordito tratteggiando sagome o profili di soggetti umani e naturali per cucire pensieri, attraversandoli, imprigionandoli. É questa la prima considerazione che viene da pensare osservando le opere dell’artista leccese Gianfranco Basso che hanno trovato casa nelle sale di Palazzo Vernazza dal 9 al 24 settembre. Nedle time ovvero il tempo dell’ago il titolo della
personale, curata da Carmelo Cipriani, che ha presentato quindici lavori, tutti rigorosamente ricamati a mano (tranne uno eseguito a macchina). Una mostra che riannoda il filo con l’antica arte del ricamo, “che nella storia dell’Italia del Novecento - scrive lo stesso Cipriani nel catalogo edito da Esperidi - ha avuto due grandi assertori: Alighiero Boetti e Maria Lai”. Anche Gianfranco Basso l’ha scelta per comunicare ed esprimere la propria creatività dipingendo con l’ago, appunto, che muovendosi nel tessuto sostituisce il gesto pittorico senza tralasciare però la
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bellezza del “segno”. Il filo ricamato a punto pieno o a punto a catenella diventa segno e significante. É un rimando all’antica arte del ricamo ma anche alla storia dell’arte metabolizzata, cucita sulla propria pelle e trasferita in un immaginario di figurazioni in cui è possibile rintracciare atmosfere, dal Rinascimento alla Metafisica, alle quali egli aggiunge il proprio intimo sentire. Le sue opere sono raffinate “narrazioni” realizzate con un’abilità tecnica non comune e a dispetto di quanti possano trovare il mezzo anacronistico in una società che viaggia a 3.0 e costruisce ologrammi e realtà virtuali. Basso si perde o meglio rincorre il filo delle proprie idee, della propria cifra stilistica e vien naturale pensare che nella calma e nel silenzio
del suo studio egli tessendo su tessuti, stoffe a righe o a temi floreali, riesca a coniugare il suo microcosmo con le suggestioni e le inquietudini del proprio tempo. Un filo rosso diventa lo skyline di un tramonto che un uomo contempla in solitudine o può intrecciarsi e moltiplicarsi in un groviglio di corpi che oltre a dare l’idea del dinamismo fanno ben sperare ad un Second worl un secondo mondo dove ci sia posto per tutti, nessuno escluso. E dove nessuno resti indifferente al dolore e chiuso nel proprio egoismo. E ancora eleganti ricami di fili dorati bastano ad accennare le silhouette della serie Gold in cui ad essere indagati sono i temi della maternità o meglio della genitorialità e in senso allargato il rapporto con gli altri. Anche se
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spesso è ritratto di spalle, come ombra o figura appena accennata, l’uomo è sempre presente nelle sue opere che si caricano di simboli e di atmosfere sospese. E di precarietà. Come in sold out, un pachwork di tessuti, quasi dei frame di una pellicola ancora da girare o da assemblare, che diventano quinte scenografiche per fissare il concetto di attesa. Un tema che ritroviamo anche nella tela Spettatori. Qui l’artista ricama quattro sagome sedute su una panchina sullo sfondo di un tessuto fiorato che diventa parte della contemplazione insieme al volo di uccelli che si libra nell’aria. Una visione che sembra essere un fermo immagine di una dimensione poetica e onirica capace di reinventare la realtà. O di far affiorare ricordi dal passato.
A breve on line il sito della rivista
arteeluoghi.it
I LuOGHI NELLA RETE
Per contattare la redazione per informazioni di carattere giornalistico e/o pubblicitario scrivere a info@arteeluoghi.it è stata posticipata alla mezzanotte del 15 ottobre 2017a seconda edizione del contest “Salento in Love”, promossa dall’APS Morfè e il blog AgorArt, in collaborazione con la casa editrice Il Raggio Verde. Il tema scelto per la seconda edizione del contest è “C’era una volta… in Terra d’Otranto”. I racconti proposti potranno appartenere a qualunque genere letterario purché siano inediti e compaiono i riferimenti espliciti suggeriti dal tema. I luoghi e la Storia di una terra si mescolano spesso a miti e leggende, dando vita all’immaginario di un popolo. Il Salento, secolare terra di frontiera e di incontro di culture e genti, ha un preziosissimo bagaglio in questo senso, e la fantasia e la saggezza popolare, tramandate di generazione in generazione, raccontano ancora oggi di sirene e folletti, guerrieri e macare, santi e prodigi. Gli autori dovranno scoprire e lasciarsi ispirare da questo Salento “fantastico”. I racconti devono avere una lunghezza compresa tra le 6000 e 10000 battute, spazi inclusi. Ogni autore può partecipare con un racconto per contest. Ogni racconto dovrà essere inviato alla redazione di AgorArt (redazione@agorart.net) e per essere riconosciuti validi per la valutazione e la selezione devono essere corredati con tutti i dati utili, pertanto fatte attenzione a rispettare le modalità indicate nel regolamento scaricabile dal sito http://www.agorart.net
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la scuola di teatro con astrÀgali seleZioni al teatro Paisiello
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Aperte le selezioni per partecipare al nuovo anno accademico
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LECCE. A scuola Martedì 10 ottobre dalle 18 il Teatro Paisiello di Lecce ospiterà le selezioni della Scuola di Teatro a cura della compagnia salentina Astràgali Teatro. Dal respiro al corpo, dal gesto alla voce, dalla voce al coro, la scuola proporrà un lungo percorso sulla presenza scenica e sulla costruzione della “valigia degli attrezzi” per il lavoro in scena. «Torniamo a riflettere e ad agire sul senso e sul valore della formazione dell'attore e della pedagogia teatrale”, sottolinea Fabio Tolledi, (nella foto) direttore artistico di Astràgali e vicepresidente della rete mondiale dell’International Theatre Institute - Unesco. «Forti dell’esperienza
maturata in questi trent'anni in Italia e in tanti paesi in tutto il mondo, che ci ha permesso di entrare in contatto differenti modi di fare teatro. Forti del nostro lavoro che ha portato la nostra compagnia nei luoghi più importanti del mondo, cerchiamo modi nuovi perché il teatro, arte viva, parli alle nuove generazioni». La Scuola di Teatro di Astràgali, che accoglie un numero massimo di quindici tra allieve e allievi, è in costante dialogo con la programmazione artistica al Teatro Paisiello e nello spazio della compagnia in via Candido, ricca di ospiti nazionali e internazionali, in continua relazione con le attività realizzate dall'In-
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ternational Theatre Institute dell'Unesco. Venerdì 29 settembre (ore 19.30 - ingresso libero) nella sede di Astragali Teatro si terrà una conferenza spettacolo su "Le meravigliose ombre turche" forma d'arte tradizionale Karagöz con l'attore turco Onur Uysal. Astràgali nasce nel 1981 a Lecce per fare teatro, per formare attori, per dare vita ad uno spazio di circolazione dei discorsi e delle pratiche, per elaborare progettualità, per tessere trame e relazioni. Dal 1985 è riconosciuto dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali come compagnia teatrale d'innovazione. Dal 2012 è sede del Centro Italiano dell’International Theatre Institute dell’Unesco. è membro della Anna Lindh EuroMediterranean Foundation for the Dialogue between Cultures. Ha realizzato progetti artistici, spettacoli, attività in circa 30 paesi in tutto il mondo. Le selezioni avverranno tramite colloquio. Prenotazione obbligatoria teatro@astragali.org 0832306194 / 3892105991
la coreografa Isadora Duncan, doto di Dover Street Studios, 38 Dover Street, Mayfair, London, UK. Active 1906–c.1912.[1]
isadora duncan, la danZa e la vita libertÀ, leggereZZa e feMMinilitÀ Claudia Forcignanò
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Nel nome di Eva
La rivoluzione danzante della coreografa americana tra Ottocento e Novecento
In questo settembre che conclude un’estate resa insopportabile dalla cappa di violenza e morte che ha occupato le prime pagine dei quotidiani di tutto il mondo, risulta difficile scegliere una donna di cui raccontare la storia. Qualunque cosa si possa scrivere, scivolerà inevitabilmente nell’odiosa spirale della retorica da qualunquisti e nessuna morte eroica, nessuna rivalsa sul dolore, nessun gesto compiuto da grandi donne del passato o del presente, potranno mai dare coraggio o alleviare il dolore per vite distrutte. E allora, anziché raccontare il dolore, vorrei raccontarvi la libertà, in un tentativo profano di lacerare i nodi di una corda che oggi più che mai soffoca. Leggerezza, sfrontatezza e libertà sono le tre parole che meglio si adattano ad una donna che rivoluzionò per sempre il mondo della danza imponendo
il suo stile e la sua visione della vita: Angela Isadora Duncan, Isadorable, colei che per prima ebbe l’ardire di presentarsi sul palco senza bustino e scalza. Da quel momento, ci sarà un “prima” è un “dopo” nel mondo della danza che si rifletterà anche nella moda e nella società. Prima di Isadora, la danza era un rigido elenco di regole, imposizioni, impostazioni, dopo Isadora, la danza sarà leggerezza, movimento, passione. Originaria di San Francisco, avida lettrice di testi filosofici e animata da un innato spirito artistico, Angela Isadora Duncan è figlia di un periodo storico di profondo fermento, sono gli anni a cavallo tra 1800 e 1900, il mondo sta virando velocemente verso l’era moderna, la corrente elettrica ha stravolto le abitudini del genere umano che ora si trova a fare i conti con i primi timidi accenni di una globalizzazione che non tutti
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accettano di buon grado e così, tra chi fugge e chi si adegua, Isadora Duncan avvia una personalissima ricerca artistica per gettare le basi di un nuovo modo di intendere la danza come un perfetto connubio in cui corpo e mente si intersecano esprimendo attraverso il movimento armonia ed energia vitale senza mai togliere naturalezza ai gesti. La passione per l’arte di Isadora inizia presto, quando poco dopo la sua nascita, avvenuta il 27 maggio 1878 a San Francisco, il padre abbandona lei e i suoi tre fratelli con la madre Mary Dora Gray, la quale non si perde d’animo e si trasferisce a Oakland crescendo da sola i quattro figli e dando lezioni di pianoforte. La povertà in cui versano non è per Isadora un ostacolo, anzi le permette di crescere evitando con cura tutte le rigide regole della borghesia e la ispira a ricercare la medesima
delle materie che più la affascinano e che più le sono affini, come la filosofia, l’arte e la letteratura, ma saranno le cosiddette danze da sala, di cui diventa insegnante, a dare sostentamento a lei e ai suoi fratelli. Giovanissima, a soli 18 anni arriva a Chicago, dove lavora in teatro come danzatrice e grazie al sostegno di alcune nobildonne, riesce a lavorare come solista e a sbarcare il lunario, ma il fato è sempre in agguato e infatti quando un incendio sviluppatosi nell’hotel dove risiede la sua famiglia distrugge completamente tutti i loro averi, decidono di imbarcarsi su un carico di bestiame per cercare fortuna in Europa. Il periodo più proficuo sarà quello trascorso a Londra, dove studia l’arte greca, il Rinascimento italiano, frequenta i più importanti musei, ma soprattutto conosce la potenza di Beethoven, Nietzsche e Wagner, maestri di cui lei stessa parla con entusiasmo e descrivendo i loro grandi meriti: “Beethoven creò la Danza nel ritmo potente, Wagner nella forma scultorea, Nietzsche nello spirito.” Il talento di Isadora si affina, le sue esibizioni diventano più elaborate, propone assoli di danza su brani di musica classica e alle volte inserisce versi recitati, ogni esibizione ha un filo conduttore che spazia dalla pittura italiana all’arte greca. Il vero spettacolo sono però le sue movenze: lascia che sia il corpo, animato dal sacro fuoco della musica e dell’arte, a scegliere i movimenti da eseguire, senza schemi, senza passi studiati, senza orpelli.
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Sul palco Isadora corre, ancheggia, si accascia al suolo, vola leggiadra a piedi scalzi, avvolta in abiti leggeri che assecondano i suoi movimenti e lasciano intuire le linee morbide del suo corpo. Sarà l’inizio della rivoluzione, i benpensanti grideranno allo scandalo, le sua braccia nude sconvolgono gli spettatori, i suoi spettacoli vengono considerati un vero e proprio attentato alla morale pubblica, ma a Isadora tutto ciò non importa, danza sulle critiche con lo stesso spirito con cui danza sul palco e arriva a Parigi, dove viene accolta tra le più influenti donne della città e dove la vera star della Bella Époque, Loie Fuller, la invita ad unirsi a lei in una tournée per l’Europa Orientale. è la consacrazione definitiva di Isadora Duncan. La sua arte e il suo carisma diventano ispirazione per poeti e scrittori che le dedicano brani, mentre scultori e pittori ne fermano i gesti nelle loro opere, più di tutti sarà testimone della sue movenze il pittore Abraham Walkowitz che lascerà ai posteri oltre tremila disegni. Anche suoi colleghi si lasceranno ispirare e studieranno la sua danza, primi fra tutti Diaghilev e Konstantin Stanislavskij che faranno di lei la fondatrice della danza moderna. Il corpo è finalmente libero da punte in gesso, busti e tutù, le braccia libere di muoversi e il volto di sorridere. Libertà e naturalezza saranno le parole d’ordine che insegnerà alle allieve che incontrerà nelle scuole che fonderà in Germania, Francia, Stati Uniti e Russia, spronandole non solo ad imitarla, ma anche a pro-
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libertà e naturalezza proprio nei movimenti della danza. Osservare gli elementi della natura e riprodurne il movimento diventa per Isadora una sorta di mantra: trascorre ore e ore davanti al mare, studiandone le onde e traendo da esse la sua massima fonte di ispirazione. Una volta abbandonati gli studi, decide di dedicarsi allo studio
Il poeta russo Sergej Esenin (1895-1925) e la ballerina Isadora Duncan, che egli sposò. (1923).
carriera che la farà apparire spesso sul palco stanca, provata nello spirito e nel corpo, appesantita dall’abuso di alcool, eppure, nonostante ciò il pubblico continua ad amarla e seguirla. Il suo ultimo amore, forse quello più vero, arriverà nel 1926 quando incontra il pianista Victor Seroff, 25 anni più giovane di lei, ma non avrà tempo per goderselo perché morirà l’anno successivo, il 14 settembre, a Nizza, in un incidente assurdo: rimane strangolata a causa della sciarpa che indossava, rimasta incastrata nella ruota della macchina. Cosa resta a noi di Isadora? La femminilità estrema, potente e conturbante, la creatività, ma soprattutto quel senso di libertà che chiunque si approccia alla sua biografia, ai suoi scritti, alle sue immagini, sente sulla propria pelle come un grido di dignità rivolto a tutte le donne, un’incitazione a non cedere di fronte a schemi precostituiti da una società che non ha il diritto di decidere sulla pelle degli altri.
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seguire e perfezionare la sua ricerca. Tanto fortunata nella vita professionale, quanto sfortunata in quella privata: avrà molti amori, il teorico teatrale Edward Gordon Craig e l’industriale Paris Singer, da queste relazioni nasceranno Deirdre e Patrick. Nel 1913 la macchina su cui i bambini viaggiavano con la governante finisce fuori strada e per loro non c’è scampo. Dalla relazione con lo scultore Romano Romanelli, nasce un bambino che muore poche ore dopo il parto. Nel 1922 sposa il poeta russo Esenin, 16 anni più giovane di lei, ma é una relazione violenta e burrascosa che naufraga miseramente dopo un anno e a causa della politica anti-comunista americana è obbligata a lasciare l’America per sempre. Una vita emotivamente sregolata, caratterizzata anche dalla necessità di mantenere la madre e una sorella, oltre ai suoi amanti, la porta spesso in condizioni economiche precarie, i suoi sogni e progetti lavorativi sono spesso troppo ambiziosi e così inizia un periodo estremamente difficile della sua
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fuori dal coro. editoria a 360° a roseto degli abruZZi
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Incontri tematici, una mini fiera del libro e un convegno ROSETO DEGLI ABRUZZI. 7-14-21-28 non è un ripasso della tabellina del sette, ma le date di un ottobre dedicato all’editoria con “Fuori dal Coro: Immagini, Narrativa, Architettura, Diritto, Territorio, Editoria”. La rassegna, nata da un’idea della scrittrice Lorena Marcelli (nella foto), ora anche presidente dell’associazione culturale/editoriale Elle Emme, si terrà nel Palazzo del Mare di Roseto degli Abruzzi e prenderà il via il 7 ottobre con “Ogni scrittore ha bisogno di un coach”. Un incontro aperto a tutti coloro che amano la scrittura o la usano nel campo professionale. La lezione sarà tenuta da Simona Colaiuda, neuroeconomista ed executive and corporate Coach. Gli esercizi di scrittura saranno coordinati da Domenico Spina, insegnante di scrittura creativa al Circolo Virtuoso “Il Nome della Rosa” di Giulianova. Si prosegue il 14 ottobre, dalle ore 15:00, con “Le immagini raccontano le storie o le storie raccontano le immagini?” Ospiti d’eccezione l’architetto Laura Marini. A seguire focus sulla “Fotografia nella letteratura” con il fotografo Cristian Palmieri ideatore del progetto fotografico “Donne fuori dall’ombra”. Per l’occasione saranno esposte le sue opere e quelle di Fabrizio Ferri e di Manuel Vallescura insieme ai dipinti dell’artista Guerino Tentarelli. Alle 17:00 appuntamento con Roberta Andres, scrittrice e insegnante di scrittura creativa: “Lo scrittore è un visionario – Tecniche di descrizione e dettagli sensoriali nella narrativa dello show don’t tell” Le aspiranti scrittrici ed ex allieve di Artis scuola di teatro di Pescara, Alessandra Rossi, Valentina D’Onofrio e Nausica De Luca mostreranno il Castello della Monaca di Teramo e le immagini di Cristian Palmieri con le parole e con la tecnica descritta da Roberta Andres. “Come promuo-
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vere il territorio e il turismo attraverso la narrazione” è il tema della giornata del 21 ottobre che vedrà l’intervento di Maria Adelaide Rubini, scrittrice e presidente dell’associazione B&B Rive d’Abruzzo. Seguirà la presentazione del romanzo “Veleno nelle gole” di Simona Barba e Gisella Orsini. Le autrici spiegheranno la tecnica della scrittura nella sceneggiatura. Concluderà l’incontro la scrittrice/editrice Rita Angelelli, direttore editoriale de Le Mezzelune Casa Editrice, che presenterà il suo manuale “Body Building per scrittori”. “Fuori dal Coro” si chiuderà il 28 ottobre con una la prima mini fiera dell’editoria che ospiterà le quattro case editrici rigorosamente non a pagamento, partner ufficiali della Elle Emme: Arpeggio Libero di Lodi, Le Mezzelane di Ancona, Masciulli Edizioni di Catignano, Pescara, e More Notturne Books, di Roseto degli Abruzzi. Mario Giunco, storico responsabile dell’ufficio cultura del Comune di Roseto degli Abruzzi parlerà delle battaglie di Ortona e di Bosco Martese agli studenti degli Istituti di Istruzione Superiore di Roseto, argomenti trattati anche dalla scrittrice neretese Coralba Capuani, che presenta il suo romanzo storico “L’amore è un cerchio”. Nel pomeriggio i partecipanti al Contest letterario “Sinossi fuori dal coro” incontreranno gli editori che li hanno scelti e gran finale con “Scrittori e public speaking” con Mirella Lelli. Inoltre due anticipazioni, il 5 ottobre presenterà lo scrittore Piergiorgio Pulixi e il 29 ottobre lo scrittore Antonio Masseroni. Infine, non mancheranno di domenica, le presentazioni letterarie: l’8 ottobre sarà dedicato ai libri per bambini e alla fantascienza; il 15 ottobre agli scrittori abruzzesi e il 22 ottobre si parlerà di erotismo e amore.
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Girovagando...Conosciamo Napoli e la Campania
Prospetto del Palazzo dello Spagnolo, foto di Peppe Guida
il P0nte di chiaia ritorna al suo sPlendore Peppe Guida
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Tra i “luoghi della rete” il gruppo Fb ‘Conosciamo Napoli e la Campania’ e i suggestivi itinerari raccontati da Peppe Guida nella rubrica ‘Girovagando’
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NAPOLI. Finalmente, dopo circa un anno di lavori, il Ponte di Via Chiaia a Napoli è stato completamente restaurato nell’ambito del progetto Monumentando e riconsegnato al suo antico splendore alla cittadinanza. Il 25 luglio 2017, il sindaco Luigi De Magistris lo ha inaugurato con l’Assessore all’Urbanistica Carmine Piscopo. I lavori di restauro e messa in sicurezza, dovuti anche dalla caduta di calcinacci, aveva reso necessaria una rete di contenimento. Grazie ai lavori eseguiti, via Chiaia sarà ancora più sug-
gestiva e più luminosa, perché il Ponte sarà illuminato la sera, sia nella parte interna sia in quella esterna all’arco. Domenico Fontana, realizzò nel XVI secolo Via Chiaia per collegare Piazza del Plebiscito (allora Largo di Palazzo) con il litorale. La zona iniziò a popolarsi dal 1700, quando per ordine di Ferdinando IV fu demolita la Porta di Chiaia, poi alla fine dell'800 fu realizzata Via dei Mille. Il ponte fu costruito nel 1636 dal viceré Manuel de Acevedo y Zúñiga conte di Monterey per collegare la collina
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Girovagando...Conosciamo Napoli e la Campania
Particolare dell’arco del Ponte, (foto di Peppe Guida)
di Pizzofalcone con quella delle Mortelle e per questo venne chiamato inizialmente ponte Monterey. A causa di problemi statici, fu restaurato nel 1834 da Orazio Angelini, secondo lo stile neoclassico. Presenta sul lato di piazza Trieste e Trento, fregi in marmo eseguiti da Tito Angelini e Gennaro Calì, mentre sul lato opposto, verso piazza dei Martiri, due cavalli, opera di Tommaso Arnoud. Il torrino laterale del ponte ospita il vano
scala-ascensori che collega via Chiaia alla zona di Monte di Dio. Lo stemma dei Savoia, sostituì quello dei Borbone dopo l'Unità. Sotto il ponte sono presenti due lapidi che riguardano la costruzione e l'abbellimento ottocentesco. Terminati i lavori di restauro del Ponte di Chiaia a Napoli: l’arco ritorna al suo splendore e sarà illuminato la sera!
alla galleria borbonica con il ritMo dei Quartieri JaZZ Due giorni all’insegna della musica alla Galleria Borbonica: venerdì 29 e sabato 30 settembre, inizio alle ore 21.30, con il Neapolitan Gipsy Jazz dei Quartieri Jazz ed il loro ultimo album dal titolo “Le Quattro Giornate di Napoli”. Il chitarrista napoletano dei Quartieri Spagnoli reduce dal grande successo del primo disco “E strade cà portano a mare” ha dato vita ad un nuovo lavoro, originale e sperimentale all'insegna della consapevolezza e della rivalutazione dell'identità partenopea, attraverso la fusione tra la napoletanità dei vicoli in cui vive l’artista, e
il jazz manouche dei caposcuola come Reinhardt e Rosenberg, proseguendo così sulla strada del genere coniato ovvero il Neapolitan Gipsy Jazz. L’album “Le 4 giornate di Napoli” trae ispirazione da quell’incredibile momento storico rappresentato dal settembre del ’43 e dal sentimento di “unione e ribellione” che unì i Napoletani tutti contro un unico e comune nemico. E come ieri, oggi spira in città una forte voglia di riscatto e cambiamento, ma oggi è necessario imbracciare le armi della cultura e cavalcare questa nuova “Rivoluzione Napoletana”
partita dal basso, facendo "Resistenza Culturale". A fare gli onori di casa nell’ottimo progetto grafico di Maria Dalmotto (presso la Full Heads) tra le meravigliose foto di Marina Sgamato, i commoventi scritti di Enzo Sabatasso, amico d’infanzia già presente nel lavoro precedente, e lo scrittore partenopeo Luca Delgado, anch’egli impegnato nel #Riscetamento della città, regalandoci due pagine su “Le 4 giornate di Napoli”, ma soprattutto su di una “Quinta Giornata", all’insegna della lotta e di un nuovo “Riscatto Napoletano”. Info: 340.489.38.36
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Nel riquadro piccolo l’intellettuale Roberto Bracco (Napoli, 10 novembre 1861 – Sorrento, 20 aprile 1943) Nelle foto alcuni momenti relativi al la firma del protocollo d’intesa e la consegna della targa ad Antonio Amoretti Presidente Anpi , foto, fonte: ufficio stampa
4 giornate di naPoli nasce il Museo della resistenZa
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Grazie al protocollo d’intesa tra Anpi e Comune di Napoli il museo avrà sede in alcuni spazi della Galleria Principe
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NAPOLI. Sono trascorsi settantaquattro anni da quel 28 settembre, che sarebbe passato alla Storia come il primo delle Quattro Giornate (28 settembre - 1 ottobre 1943) in cui Napoli insorse contro gli occupanti tedeschi ed i loro alleati fascisti e si liberò con le sue forze, anticipando l'arrivo delle truppe alleate e dando a tutta l'Europa un segnale importante per la lotta di Resistenza contro il nazismo e il fascismo. Una ricorren-
za, quest’anno dedicata alla memoria di Roberto Bracco, anticipata nei giorni scorsi dai festeggiamenti a Palazzo San Giacomo del novantesimo compleanno di Antonio Amoretti presidente dell'Anpi al quale è stata consegnata una targa della città da parte del sindaco Luigi de Magistris e l'affidamento di alcuni locali nella Galleria Principe di Napoli e precisamente gli spazi contrassegnati dai civici XXXII e XXXIII. Grazie alla
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firma di un protocollo d’intesa tra Anpi e Comune di Napoli è nata la “Casa della Resistenza in Campania e Museo delle Quattro Giornate di Napoli”. Un museo militante con una biblioteca-emeroteca secondo le migliori tecniche espositive e comunicative con l’intento di promuovere e valorizzare la memoria della resistenza napoletana e più in generale delle “resistenze” ad ogni forma di oppressione e totalitarismo. Anche quest'anno le celebrazioni delle Quattro Giornate di Napoli si richiamano alla liberazione dalle mafie e dalle camorre, stabilendo un ponte ideale tra i valori della Resistenza e l'impegno di oggi contro la criminalità organizzata e in difesa della legalità e dei valori della Costituzione. Ma veniamo ora alle celebrazioni solenni, con un programma variegato di iniziative messe a punto dall'Assessorato alla Cultura e al Turismo di concerto con l'ANPI, l'Istituto Italiano per la Storia della Storia della Resistenza ''Vera Lombardi'', la Fondazio-
ne Premio Napoli e ancora con associazioni, enti, artisti, personalità del mondo della cultura che hanno voluto generosamente dare il loro contributo. Si inizia il 27 settembre (ore 17) a Palazzo Reale – Piazza del Plebiscito con la proiezione del filmato e l’apertura della mostra Le Quattro Giornate di Napoli: in Onore e in ricordo di Roberto Bracco a cura dell'Istituto Campano Storia della Resistenza “Vera Lombardi” e della Fondazione Premio Napoli. Nel corso della mattinata del 28 settembre (dalle ore 10) saranno deposte corone d’alloro al Mausoleo di Posillipo; in Piazza Bovio - lapide ingresso Camera di Commercio- e in Piazza Carità ai piedi della stele Salvo d’Acquisto. Nel pomeriggio (ore 17,30) nella Biblioteca Comunale Benedetto Croce – Via Ferdinando de Mura (Vomero) si terrà la presentazione del libro di Giuseppe Aragno “ Le Quattro Giornate di Napoli – Storie di antifascisti”. Alla presenza dell’autore interverranno lo storico Francesco Soverina, Antonio Amoretti e Gennaro Morgese per l’A.N.P.I, Daniele Quatrano consigliere Municipalità 5, Daniela Wollmann curatrice premio “Arte & Rivoluzione”. Il 29 settembre (ore ).30) sarà la volta del corteo storico con le scuole “Sulle orme di Maddalena Cerasuolo” curato dalla Municipalità 3 e A.N.P.I con partenza da Piazza Scipione Ammirato (Materdei). In serata (ore 20,00) nell’ambito dell’iniziativa “Resistenze” il Maschio Angioino sarà la location del concerto di Ciro Capano. Inoltre dal 29 settembre al 1° ottobre nell’ex Ospedale della Pace in via Tribunali sede della Fiera
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“Ricomincio dai libri” si potrà visitare la Mostra sulle Quattro Giornate di Napoli curata dall’A.N.P.I. E sempre nell’ambito della Fiera, il 30 settembre sarà presentato Il “Caso Bracco”- una ferita non sanata, il libro di Francesco Soverina dedicato a Roberto Bracco intellettuale antifascista, e 'nobel mancato'. In serata ancora un concerto ore 20,00 nel Maschio Angioino con protagonista Marco Zurzolo. Il 1° ottobre, alle ore 17,00 e alle 19,30 nell’ambito dell’iniziativa “Resistenze” andrà in scena Cravattari di Fortunato Calvino che firma anche la regia. Sul palco Antonella Morea, Rosa Fontanella, Pietro Juliano, Gioia Miale, Laura Borrelli. Il 2 ottobre, a partire dalle ore 9,30 sfilerà per le strade della città, dal Liceo Sannazaro allo Stadio della Liberazione (Collana) sfilerà il Corteo che ricorda i Martiri delle Quattro Giornate. L’iniziativa sarà curata da A.N.P.I. e Municipalità 5, mentre il 3 ottobre ore 9,30 – l’Istituto Campano Storia della Resistenza “Vera Lombardi” e Arcimovie cureranno la manifesazione con e per le scuole “La periferia fa Centro. Le Quattro Giornate nella zona orientale” interessando appunto le vie nei pressi della Rotonda Via Camillo De Meis – Ponticelli e Cortile Villa Morabito. Un lungo calendario di eventi con il coinvolgimento di giovani e meno giovani per far vivere e rivivere l'orgoglio napoletano di settantaquattro anni fa quando la Città, con il suo esempio e sacrificio, indicò a tutti gli italiani, la via verso la libertà, la giustizia e la democrazia. (an.fu.)
foto di Mario Cazzato
il MonuMento al re " Padre della Patria" e i restauri sconsiderati Mario Cazzato
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Salento Segreto
a cura di Mario Cazzato
La rimozione della protezione e la mancanza di sorveglianza favorisce gli atti vandalici
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opo un'attesa PATRIA/I SALENTIpiù che decen- NI. Restaurato nel nale il 23 ago- 2010 ognuno può constatare il degrado dello sto 1889, alla presenza di stesso, sorte che conUmberto I e del Prin- divide col monumento cipe ereditario,si inau- di piazzetta Castromegura il monumento diano, l'uno e l'altro bronzeo a Vittorio usati come sedili e Emanuele II, eseguito lavagne un po’ da tutti. da Eugenio Macca- Togliere la protezione gnani il cui bozzetto a questi monumenti, risultò più convincente sport tipicamente lecdi quello del Bortone. cese, ha innescato un La manifestazione processo di dannegebbe ampia eco anche giamento fonte di consulla stampa nazionale tinue spese per la e "L'Illustrazione Ita- comunità. liana", il periodico più Tra l'altro, dalla base è importante e diffuso stato trafugato l'arma dell'epoca dedicò un bronzea di Brindisi, rimangono servizio con una bella mentre incisione qui riprodot- ancora, ma non sappiamo per quanto, ta. Sulla base del monu- quelli di Lecce, Gallimento è scritto A VIT- poli e Taranto. TORIO EMANUELE II/PADRE DELLA
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in giro Per l’italia con la siMPatia di checco Zalone Stefano Cambò
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Alla scoperta dei luoghi dei set cinematografico del noto film dell’attore pugliese
I luoghi del Cinema
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Ormai, di un personaggio come Checco Zalone, conosciamo molte cose. Per esempio, sappiamo che in realtà si chiama Luca Medici e che è originario di un paese in provincia di Bari. Sappiamo che prima di diventare uno dei più famosi comici italiani, faceva piano bar durante le feste organizzate. E sappiamo anche che i suoi film sono stati dei successi straordinari al botteghino.
Quello che non sappiamo, o meglio che conosciamo appena, e che l’attore pugliese insieme al fidato amico e regista Gennaro Nunziante, attraverso le sue pellicole, ci ha fatto riscoprire alcuni luoghi della nostra amata penisola. Luoghi di straordinaria bellezza che vale la pena di visitare ed ammirare, non solo sullo schermo di un televisore. Proprio per questo, oggi
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omaggeremo il cinema di Checco Zalone ripercorrendo insieme a lui le tappe di Sole a catinelle, uno dei suoi film più famosi e riusciti. Partendo dal Veneto, scenderemo per lo stivale fino al Molise, per poi risalire fermandoci prima in Toscana e poi in Liguria, proprio come fece l’attore a bardo
l’Abbazia di San Galgano (foto: fonte http://confraternita-sangalgano.it/)
della sua macchina in compagnia del figlio durante le loro rocambolesche vacanze estive. Il nostro viaggio a spasso per l’Italia inizia con il paese in cui vive Checco Zalone nel film. Si tratta nella realtà di Monselice in provincia di Padova. Conosciuta soprattutto per il suo bellissimo castello (per l’appunto il Castello di Monselice) e per il Parco Archeologico sul colle della Rocca, questa ridente cittadina immersa nel verde della pianura veneta, è famosa per la sua storia medievale che viene celebrata a settembre con la Giostra della Rocca. Altra location che si rifà al film è quella della scuola che frequenta Nicolò, il figlio di Checco Zalone. In realtà si tratta della Facoltà di Lettere e Filo-
sofia di Padova che ha sede in Piazza Capitaniato nell’illustre Palazzo del Liviano, così denominato in onore di Tito Livio, il grande storico romano vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C. e nativo della città. Su progetto dell’architetto milanese Giò Ponti, il
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Padova, Cappella degli Scrovegni
palazzo venne edificato grazie 1943. Per chi volesse andare in fianco, alla celebre Sala dei a Carlo Anti, il rettore dell’Uni- visita, la struttura si collega tra- Giganti, dove attualmente si versità di Padova dal 1932 al mite una scalinata posta sul tengono convegni e concerti.
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Questo luogo suggestivo deve eroi e grandi personaggi delil suo nome agli affreschi che l’antichità tratti da un’opera di mostrano in grandezza naturale Francesco Petrarca, scritta quando era ospite dei signori di Padova. Altro luogo del film (quello che vede Checco in compagnia della moglie mentre le dedica una canzone) e simbolo indiscusso della città è sicuramente Prato della Valle, una piazza che per estensione totale è seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca. Per capire quanto effettivamente sia grande, bisogna pensare che è formata da un’isola centrale (Isola Memmi) e da un canale di circa 1 Km e mezzo di circonferenza che la circoscrive e che a suo tempo è circondato da una doppia fila di statue numerate (ben 78) di personaggi famosi del passato. Luogo d’incontro e di svago, questa piazza è diventata il punto di ritrovo da cui partire per un giro turistico della città che comprende oltre ai luoghi citati anche l’immensa Basilica di Sant’Antonio, la Cappella degli Scrovegni con i bellissimi affreschi del Giotto e la suggestiva Piazza delle Erbe con il caratteristico Palazzo della Ragione. E mentre abbiamo ancora negli occhi le meraviglie venete, così come accade nel film, ci spostiamo a bordo della nostra macchina virtuale per raggiungere una nuova terra e con essa nuovi paesaggi. Dal Nord-Est al Molise, per scoprire Casacalenda e Provvidenti, i paesi in provincia di Campobasso dove vivono la zia e gli altri parenti di Checco
Zalone nel film. Si tratta di due caratteristici borghi immersi nel verde delle colline appenniniche, dove si possono ancora respirare sapori e profumi legati alla tradizione molisana. Da vedere a Casacalenda, in particolare, sono il Palazzo Ducale con il Museo multimediale dedicato al Bufù, l’omonimo strumento musicale della tradizione contadina, e il caratteristico centro storico (quello della processione nel film). Dal Molise riprendiamo la macchina virtuale e risaliamo tutto l’Appenino per giungere in Toscana e più precisamente in uno dei luoghi più belli e spirituali della pellicola, ossia l’Abbazia di San Galgano distante una trentina di chilometri da Siena (nel film sarebbe quella dove il regista istrionico prova a far recitare Checco). Il sito è composto dall’eremo (detto la Rotonda di Montesiepi) e dalla grande abbazia, della quale rimangono solo le mura che ne danno la struttura principale visto che il tetto è completamente crollato. Sul luogo vige la leggenda di San Galgano, che qui si convertì nel giorno di Natale del 1180 dopo aver piantato nel terreno la sua spada, allo scopo di trasformarla in una croce. Per chi volesse andare in visita, è possibile osservare ancora oggi un masso dalle cui fessure spuntano un’elsa e il segmento di una spada corrosa dalla ruggine degli anni (evidente il riferimento al mito di Re Artù che ha portato a delle ipotesi fantasiose legate ai
Villa Durazzo veduta dal drone, (foto: sito ufficiale http://www.villadurazzo.it/
I luoghi del Cinema
cavalieri della Tavola Rotonda e alla loro storia). Riprendendo la macchina, ci spostiamo verso nord-ovest per arrivare in Liguria, meta finale del nostro viaggio. Prima di giungere a Portofino, ci fermiamo a Santa Margherita Ligure per ammirare Villa Durazzo (quella degli industriali che ospitano Checco nel film). La dimora immersa in un parco secolare risalente al 1660, veniva utilizzata come residenza estiva dalla famiglia Durazzo. Al suo interno, si può ammirare, oltre agli affreschi e ai manufatti in vetro di Murano, anche lo splendido piazzale pavimentato a rousseu realizzato con pietre bianche e nere rese rotonde dalle acque fluviali e marine. Finita la sosta, ci ributtiamo in macchina alla volta di Portofino e del suo incantevole borgo. Meta turistica conosciuta in tutto il mondo, questa località è famosa soprattutto per il Lungomare Amisani dedicato alla memoria del pittore Giuseppe Amisani che qui usualmente amava dipingere i suoi quadri, per la celebre piazzetta (quella dove avviene il convegno degli industriali nel film) e per il pittoresco Castello Brown arroccato sopra la collina che sovrasta il paese, raggiungibile anche a piedi dopo una passeggiata immersi nella natura.
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Porta Capo e Palazzo Ducale di Casacalenda (foto: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Porta_Capo_e_Palazzo_Ducale_di_Casacalenda_(CB))
E con l’immagine finale di Portofino al tramonto, come fece Checco Zalone in Sole a Catinelle, riprendiamo la nostra macchina virtuale e ritorniamo a casa con la consapevolezza che qui, come negli altri luoghi citati, abbiamo lasciato un pezzo del nostro cuore.
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Veduta panoramica di Portofino foto: http://www.comune.portofino.genova.it/
On line il sito ufficiale dedicato all’artista
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