palazzo Vernazza
Figli d’arte
uno straordinario contenitore d’arte nel cuore di Lecce
generazioni d’artisti. La “bellezza”, la vera eredità della famiglia Martina
anno 1163 numero 9 settembre 201 6 edizione speciale
anno Xi - n 9 Settembre 2016-
Luigi e Maurizio Martina
architetture del pensiero
Visioni del meraViglioso
Le opere di Luigi Martina sono architetture del pensiero che si fa forma, volumi tradotti nella leggerezza della cartapesta e nella sinuosità della pietra
L’uomo e la sua identità al centro delle composizioni pittoriche di Maurizio Martina che disegna geografie di un’umanità alla ricerca di se stessa
eDitoriaLe
In copertina e sopra: sovrapposizione di due opere di Maurizio e Luigi Martina, immagine guida della mostra allestita a Lecce dal 10 al 24 settembre 2016 nelle sale di Palazzo Vernazza. L’evento patrocinato dal Comune di Lecce è organizzato dall’associazione “Le Ali di Pandora” in collaborazione con la casa editrice “Il Raggio Verde”. Partner la rivista “Arte e Luoghi” Un particolare ringraziamento per la collaborazione ai relatori ospiti della conferenza “La bellezza che si tramanda”: On. Serena Pellegrino, lo storiografo Mario Cazzato, la giornalista Valeria Mingolla, il soprano Rosanna Mancarella, il sassofonista Massimiliano Guido, i poeti Giuseppe Semeraro e Fabiana Lubelli; la Libreria del Sole e l’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative per la collaborazione. Si ringraziano per le traduzioni dei testi in lingua inglese: Ottavia Crescini Paccani e Marta Paccani Si ringraziano la Banca Popolare Pugliese, Digital Copy, L’Ostrica Ubriaca.
Proprietà editoriale Il Raggio Verde S.r.l. Direttore responsabile Antonietta Fulvio progetto grafico Pierpaolo Gaballo impaginazione effegraphic Redazione Antonietta Fulvio, Sara Di Caprio, Mario Cazzato, Nico Maggi, Giusy Petracca, Michele Bombacigno Hanno collaborato a questo numero speciale realizzato in occasione della mostra personale di Maurizio e Luigi Martina: Ambra Biscuso, Mario Cazzato, Claudia Ingrosso, Valeria Mingolla, Serena Pellegrino Con i contributi critici delle storiche dell’arte Ilderosa Laudisa e Lorenza Trucchi Redazione: via del Luppolo, 6 - 73100 Lecce e-mail: info@arteeluoghi.it www.arteeluoghi.it Iscritto al n 905 del Registro della Stampa del Tribunale di Lecce il 29-09-2005. La redazione non risponde del contenuto degli articoli e delle inserzioni e declina ogni responsabilità per le opinioni dei singoli articolisti e per le inserzioni trasmesse da terzi, essendo responsabili essi stessi del contenuto dei propri articoli e inserzioni. Si riserva inoltre di rifiutare insindacabilmente qualsiasi testo, qualsiasi foto e qualsiasi inserzioni. L’invio di qualsiasi tipo di materiale ne implica l’autorizzazione alla pubblicazione. Foto e scritti anche se pubblicati non si restituiscono. La collaborazione sotto qualsiasi forma è gratuita. I dati personali inviateci saranno utilizzati per esclusivo uso archivio e resteranno riservati come previsto dalla Legge 675/96. I diritti di proprietà artistica e letteraria sono riservati. Non è consentita la riproduzione, anche se parziale, di testi, documenti e fotografie senza autorizzazione.
è questo un numero speciale: un’edizione monografica dedicata alla mostra Visioni. L'arte ha occhi ben aperti più del giorno di Luigi e Maurizio Martina che si terrà dal 10 al 24 settembre nelle sale di Palazzo Castromediano Vernazza nel centro storico di Lecce. La mostra è organizzata dall’associazione culturale non profit “Le ali di Pandora” in collaborazione con la casa editrice “il raggio Verde” e con il Patrocinio della Città di Lecce che ha concesso l’utilizzo di uno dei più belli e antichi palazzi del Salento. un evento d’arte contemporanea di assoluta novità perché nelle sale di Palazzo Castromediano Vernazza si snoderanno i percorsi artistici dei due fratelli, originari di Monteroni, ma formatisi entrambi all’accademia di Belle arti di roma. Due artisti di spiccata originalità e dalla brillante carriera espositiva che li ha visti ricevere prestigiosi riconoscimenti a livello nazionale e internazionale. il titolo, Visioni. L'arte ha occhi ben aperti più del giorno, suggerisce le molteplici chiavi di lettura per quanto concerne la produzione artistica dei fratelli Martina ma anche l’originalità di questo percorso espositivo che racchiude e presenta un vero e proprio confronto generazionale. in un continuum, senza soluzione di continuità, sarà evocato il ricordo dell’arte del nonno Luigi Martina, maestro scalpellino, nato nel 1892 ad arnesano di cui ci sono numerose testimonianze di opere tra l’altro nella Villa reale di Lecce, e in nobili casate come quelle del conte Fumarola, del nobile Lopez y royo. Quasi come in un passaggio del testimone il nonno ha ispirato lo zio paterno e il padre dei fratelli Martina, figli d’arte, così come lo è oggi il giovane alessio Martina di cui saranno esposti per la prima volta alcune opere. Per la prima volta a Lecce saranno esposte le opere di Maurizio Martina presentate alla Quadriennale di roma. in totale si potranno ammirare quasi cento opere. a latere eventi di spicco: dalla serata inaugurale con note jazz del sassofonista Massimiliano guido, al reading poetico con giuseppe Semeraro e Fabiana Lubelli, alla conferenza “La bellezza che si tramanda” in programma l’11 settembre con la partecipazione, tra gli altri, dell’on. Serena Pellegrino promotrice della proposta di legge “La bellezza in costituzione” (bellezzaincostituzione.it). Si parlerà di bellezza dell’arte come possibilità di leggere storicamente il nostro territorio con Mario Cazzato e di arte come terapia con Valeria Mingolla. La conferenza sarà intervallata dalla bellezza delle note del soprano rosanna Mancarella che con la sua chitarra eseguirà un repertorio di canzoni classiche spagnole, napoletane e salentine.
SoMMario luoghi|eventi| itinerari: palazzo Vernazza castomediano 21 | cenni biografici 15 arte: maurizio martina. dalle stoffe animate ai visi come possibilità di ritrarre l’umanità 4|luigi martina. la seduzione dello spazio tra volume e forma 10| le visioni antropomorfe del giovane alessio martina 31 i luoghi della parola: la bellezza ci soccorre sempre 23| l’arte come terapia 27 | l’eredità dei martina 28 musica: la bellezza in note con rosanna mancarella soprano chitarrista 21 teatro: Visioni poetiche. reading a due voci con i poeti giuseppe semeraro e Fabiana lubelli 21 contributi critici |un dominatore del tragico 16| scrutando una metamorfosi 17 i luoghi nella rete|interviste: conversazione con un artista 19 Numero speciale - anno XI - settembre 2016
In queste pagine due opere di Maurizio Martina della serie “Stoffe animate” in mostra alla Quadriennale di Roma nel 1996
maurizio martina. dalle stoFFe animate ai Visi come possibilità di ritrarre l’umanità di Antonietta Fulvio
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l’arte secondo maurizio e luigi martina dal 10 al 24 settembre palazzo Vernazza ospita quasi cento opere e l’11 settembre conferenza sulla bellezza
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LECCE. C’è una profonda connessione tra l’atto creativo e la genesi di un’opera d’arte in quanto elaborazione estetica del pensiero che solo l’artista, visionario, riesce ad immaginare e a tradurre in forma, colore, volume. Creare visioni è compito dell’arte tanto quanto quello di interrogarsi sul proprio tempo ed esserne, eventualmente, espressione, testimonianza e racconto per immagini, appunto. Visioni. L’arte ha occhi ben aperti più del giorno non è solo il titolo della mostra ma sintetizza tale assunto di partenza che aderisce perfettamente alla poetica dei fratelli Martina: Maurizio e Luigi uniti per la prima volta in una antologica che
vestirà le sale dei due piani di Palazzo Castromediano Vernazza nel cuore della Lecce barocca, dal 10 al 24 settembre 2016. Viviamo in una società fluida e le immagini irrompono nella nostra vita con una velocità tale da renderle ormai quasi inefficaci. Ci si abitua paradossalmente al dolore, alla sofferenza e niente sembra più scalfire la nostra egoistica quotidianità. Tutto si mostra e quasi nulla resta di ciò che vediamo, il tempo di un like ed è dimenticanza. Per qualsiasi emozione o accadimento. Ed è lecito chiedersi: può l’arte avere ancora la pretesa e la forza di raccontare il proprio tempo, di scuotere le coscienze ormai assuefatte ai codici binari che sono diventati il binario su cui scorrono le nostre stesse esistenze? Può ancora l’arte sporcarsi le mani e plasmare la materia qualunque essa sia - creta, cartapesta o pennellate di acrilici su stoffa o tela - e produrre quella bellezza che salverà il mondo? Osservando le opere di Maurizio e Luigi Martina, ci si trova al cospetto di visioni che ci restituiscono il senso del fare arte contemporanea oggi, al di là di sensazionalismi e di costruzioni concettuali che lasciano il tempo che trovano. Fermo restando che i linguaggi dell’arte contemporanea sono il risultato di una continua contaminazione tra pittura, scultura, fotografia, digital art e arti performative, ci sia concesso rilevare che la pittura - quella con la P
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In questa pagina: opere di Maurizio Martina della serie Stoffe animate in mostra alla Quadriennale di Roma nel 1996, (Tecnica: stoffe + grafite + acrilico
maiuscola - trova un altissimo livello di espressione nelle creazioni di Maurizio Martina che ritorna ad esporre a Lecce dopo un lungo periodo dedicato alla sperimentazione e alla ricerca. Lo avevamo lasciato nel 2008, vincitore del concorso “Kontemporanea” che dopo la mostra a Lecce, nelle sale del Castello Carlo V (organizzata dall’associazione “Raggio Verde”) lo portò anche nelle sale del Bramante nuovamente nella Roma dei suoi esordi e della sua affermazione artistica. Lì, dove aveva frequentato l’Accademia di Belle Arti e dopo aver esposto nelle gallerie più prestigiose, fu scelto dalla storica e critica d’arte Lorenza Trucchi tra i protagonisti di “Ultime generazioni” nella XII Quadriennale da lei presieduta nel 1996. Tra le nuove leve dell’arte contemporanea - in quella stessa edizione parteciparono tra gli altri Arienti, Cattelan, Beecroft, solo per fare qualche nome- «Maurizio Martina si impone tra gli artisti più originari e promettenti che operano
nel panorama dell’arte salentina»- scriverà la stessa Lorenza Trucchi. «I tessuti a righe che egli applica come una pelle resistente, alle sculture o che fa aderire ai disegni ne accentuano il dinamismo e ne esaltano l’espressività». Nascono così i suoi volti, una galleria di ritratti immaginari che altro non sono che il racconto dell’umanità nell’accezione più nobile e autentica del termine. E, infatti, l’identità dell’uomo, tra natura, storia e fede, il fulcro di una ricerca artistica in cui c’è sempre un profondo legame tra pittura e scultura. Sarà anche per le sue esperienze da scenografo nei prestigiosi teatri romani, ma in Maurizio Martina la stoffa, da ideale quinta teatrale, si fonde nel corpo dell’arte, prorompe in scena sulla tela che è spazio narrativo, concentrazione di idea e pensiero, forma e gesto. è la produzione che lui definisce Stoffe animate (19901996). «L’idea di utilizzare il tessuto a righe - ci racconta nasce dall’intenzione semplice di sposare l’immagine con l’e-
Maurizio Martina, Visi Possibilità 2004, Gesù, 2016
mozione». Le immagini sul tessuto creano movimento e il movimento diventa metafora delle infinite declinazioni dell’espressività, il movimento della tela che dà anche una diversa percezione dei volumi rimanda al dinamismo del mondo, «del mondo che muove insieme le cose e noi che camminiamo come figli sulla terra e nel buio delle sue radici, nel senso del disordine e nel salto del sangue». è il suo mondo romano, un periodo frenetico per Maurizio Martina che realizza numerose mostre, da Palazzo Valentini al Centro d'Arte Polmone Pulsante curata dalla stessa Lorenza Trucchi che nel 1994 presenterà nella Galleria D'Arte Dè Serpenti anche la personale intitolata “Argilla stoffa e colore". é un ulteriore passaggio: le stoffe animate diventano tridimensionali nelle sculture realizzate in perfetta continuità con il suo credo artistico. é sempre l’uomo, il volto umano e la miriade di sentimenti e di espressioni che può esprimere, il protagonista assoluto delle creazioni di Maurizio che diventano delle
vere e proprie maschere teatrali e propongono il rapporto maschera/volto che può passare dalla comicità al dramma proprio come nella vita si può passare da uno stato d’animo all’altro, repentinamente, perché le emozioni corrono sempre sul filo della precarietà. Sorprendono lo stile, la manualità e la tecnica di chi padroneggia la pittura quanto la scultura riuscendo ad essere sempre originale e raffinato al tempo stesso. Artista poliedrico, Maurizio Martina comincia a dedicare anche grande attenzione alla scrittura, in particolare quella poetica e teatrale componendo testi, versi e aforismi nei quali racchiude anche la sua poetica e il suo sguardo sulle cose e sul mondo. Ad un certo punto si fa forte in lui l’esigenza di mettere una distanza a ciò che fino a quel momento era stato il suo habitat e da Roma si trasferisce nel paese della sua adolescenza: Arnesano (Lecce). é il 1996 e, dopo aver esposto alla Quadriennale, sente l’esigenza di dedicarsi esclusivamente alla ricerca, alla fotografia, alla sperimentazione di nuove
tecniche e materiali. Ritorna ad esporre nel 2004 nel Palazzo Marchesale di Arnesano con la mostra "Osservando metamorfosi abbiamo visto appollaiarsi l'arte sui muri" che segna la ripresa degli eventi espositivi: nel novembre dello stesso anno espone a Lecce nella sede dell’associazione “Raggio Verde” con la mostra La finestra è un occhio scelto da Dio presentato dalla storica d’arte Ilderosa Laudisa sua ex docente che ne ricorda il rigore e lo studio della tecnica sin dai tempi dell’Istituto d’arte dove anni prima lo aveva conosciuto come alunno. Espone tele di grandi dimensioni, una scelta dettata «dalla volontà di realizzare forme che invadono lo spazio e che si impongono con la loro forte presenza icastica» scriverà la stessa Laudisa ponendo l’accento sugli esiti di una ricerca estetica ma anche tecnica delle sue opere «perché si confrontano e si mescolano il linguaggio pittorico e quello fotografico, con la complicità stimolante del computer». Ritorna ad esporre quest’anno in
Serie Visi Possibilità 2000-2016
due occasioni, la prima alla Itca dove presenta un emblematico lavoro su Gesù, la seconda è la collettiva d’arte Fragilità e leggerezza organizzata dall’associazione “Le Ali di Pandora” la stessa che con la casa editrice “Il Raggio Verde” cura l’antologica che si inaugurerà a Palazzo Castromediano Vernazza. Nei volti criptici di giovani donne, depositarie di bellezza e assimilabili alla dea madre terra - racchiude il senso della vita e della bellezza perché «nell’arte l’uomo si ricorda del significato, delle norme, del segreto della vita.» Nei volti racchiude e disegna le innumerevoli varianti dell’esistenza ad ogni latitudine, dall’Atlantico al Pacifico, dall’Oriente alle terre estreme del Nord. I lineamenti di questi volti femminili si confondono tra le rappresentazioni cartografiche del globo terrestre perché ciò che accade ovunque nel mondo in realtà accade a tutti, anche se consideriamo il pericolo, la guerra, il dolore e la morte solo quando fisicamente a noi vicine. Noi siamo come mappe: terra, fiumi, laghi, mari e pianure se solo ne avessimo la consapevolezza avremmo più rispetto per l’ambiente e per la vita. Sceglieremmo di vivere nella bellezza e per la bellezza e non prigionieri della paura, armati gli uni contro gli altri in guerre sanguinose che devastano l’umanità in nome del dio potere/denaro. Questo sembrano suggerire gli ultimi lavori pittorici di Martina, Visi Possibilità, ancora una volta il segno pittorico contamina lo scatto fotografico per disegnare come in un fermo immagine geografie dell’anima. Tele di grandi dimensioni costruiscono un nuovo racconto per immagini in cui labbra serrate in silenzi colpevoli o aperte in urla angoscio-
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se sembrano testimoniare questo nostro tempo: prigionieri del caos «l’uomo vive qui come può sulle colline del sangue». E come rivoli di sangue i confini dividono non solo i territori ma l’idea stessa di comunità, l’umanità ha smarrito la propria spiritualità che labbra appena socchiuse cercano di catturare nel respiro del mondo. Lo stesso respiro che aleggia nel suo spartano studio dove tra una multitudine di opere, tele, disegni, fotografie, bozzetti,
sculture trova un senso il disordine, visiva rappresentazione della creatività che appartiene all’arte. Basta osservare lo sguardo felice di Maurizio Martina mentre mostra le sue creature per capire quanto lui appartenga all’arte e quanta forza egli vi tragga e allora appare chiaro il significato di quanto, a proposito dei suoi ultimi lavori, scrive: «Amare l’arte per liberarsi il cuore dalla fregola del sangue. Sì, l’arte una caverna che non per caso è la nostra casa.»
Maurizio Martina, Visi Possibilità, 2016, Tecnica: foto + grafite + acrilico
luigi martina.la seduzione dello spazio tra Volume e Forma di Antonietta Fulvio
Cogliere l’essenza della vita nel tempo come nello spazio. Plasmare la materia sull’onda dei propri pensieri. Catturare attimi irripetibili. Intorno a questi principi si muove la poliedrica attività artistica dello scultore Luigi Martina. La sensualità delle forme tra incavi e morbide curve rivelano giochi chiaroscurali che ci riportano indietro nel tempo, all’abilità dei maestri scalpellini che hanno ricamato le facciate di chiese e palazzi nobiliari. E suo nonno, di cui porta il nome, maestro scalpellino lo era stato ed anche di altissimo livello e la scultura è sempre stata familiare in casa Martina. Luigi è sempre stato affascinato dalle creature di pietra perché in fondo le sculture riescono in qualche modo ad imprigionare le emozioni di chi le realizza. Ed è stato quasi un percorso inevitabile per lui, dopo aver visto scolpire suo padre e lo zio paterno, frequentare l’Istituto d’Arte “G. Pellegrino” di Lecce (oggi Liceo artistico Ciardo-Pellegrino) per approdare successivamente all’Accademia di Belle Arti di Roma e diplomarsi in scultura con il massimo
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dei voti. Poi la scelta di ritornare e operare nella sua terra di origine: Monteroni (Lecce). Entrando nel suo studio si ha la percezione della sua vasta produzione artistica che spazia dalla scultura in pietra leccese alla cartapesta, passando da oggetti di puro design a disegni, fotografie. Foto che in alcuni casi, alla stregua di tele, diventano spazio pittorico dove intervenire con il suo segno grafico. Con precisione chirurgica interviene sull’immagine rielaborando lo scatto rubato. Volendo delineare per immagini il percorso artistico di Luigi ci sono opere che, come pietre miliari, rappresentano su una ideale linea del tempo i temi e l’evoluzione di un percorso che non può non iniziare dalla scultura. Ce n’è una emblematica che rappresenta l’inizio della sua indagine, si intitola Prigioniero ed è stata realizzata nel 2003. In essa il fluttuare dei volumi contrasta con un perimetro regolare, delimitato da una struttura metallica rigida che la contiene. «Il tema della prigionia, o meglio il tema del dogma
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Architetture del pensiero che si fa forma, volumi tradotti nella leggerezza della cartapesta e la sinuosità della pietra
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Dall’alto in basso, le sculture di Luigi Martina: Prigioniero, 2008; Sensuale 1 (2012) 85x110, Stampa digitale su tela con interventi a matita
e del pragma apparentemente inconciliabili, spesso ritorna nei miei lavori» - ci rivela l’artista che non può esimersi dal rappresentare la realtà che vive. Così come la condizione umana, anime in bilico tra il desiderio di libertà e dunque di movimento e la costrinzione che può essere di carattere sociale o un limite entro il quale ci releghiamo da soli. La libertà e il desiderio di mutamento, il tentativo di realizzare nuovi stilemi che possano rappresentare come archetipi la nostra epoca è la motivazione che sta alla base dell’opera Pragma (2009) un intervento grafico sulla stampa digitale di una sua scultura dove evidenziando luci e ombre intende esprimere l’idea «del continuo mutamento qualcosa di magmatico che si muove sotto le cose». L’incontro con la stampa digitale e la successiva elaborazione grafico-pittorica risale al 2013, l’esigenza è dettata dalla rappresentazione del quotidiano da cogliere nella semplicità del divenire, dal desiderio di fermare attimi che non tornano più. Sintesi perfetta di questo assunto è lo scatto Due attimi del 2013 in cui vengono accostate due foto che ritraggono il figlio Lorenzo mentre guarda la tv nella sua cameretta. L’artista interviene pittoricamente sulla seconda immagine più scura, realizzata dallo stesso Lorenzo, dove i colori diventano quasi un filtro attraverso cui l’artista decodifica i
Luigi Martina, da sinistra a destra: Aileen (2016), 100x75 cm Stampa su tela, schizzo preparatorio; Prigioniero1, (2008) 80X100 cm, Pietra e Ferro
due momenti, irripetibili attimi come lo stato d’animo vissuto. L’opera che gli è valsa il premio Teknè quale artista contemporaneo emergente rappresenta un filone ben preciso della sua ricerca in cui si incontrano felicemente linguaggi artistici diversi. é il caso di Foto visione anche qui scatti di vita quotidiana sono al centro dell’opera: «Lorenzo dapprima immerso in una luce campagnola, lo ritroviamo successivamente davanti a quella di un computer. Due momenti apparentemente così semplici racchiudono la realtà di un mondo futuro esaltante dal punto di vista dell’osservatore, un corpo docile che diventerà un giorno un corpo di un uomo e l’uso di una nuova tecnologia che sta cambiando il mondo». In tale direzione va il suo più recente progetto, ancora work in progress: Aileen (2016), una serie di immagini che ripropongono la triste vicenda della serial killer americana condannata a morte per l’omicidio di otto uomini. Gli occhi di Aileen sono quelli della spietata assassina o saranno stati anche occhi docili di bambina con i suoi sogni e le sue paure come qualsiasi donna? L’intento dell’artista non è giustificare il male ma focalizzare l’attenzione «sull’uso violento e sistematico della pena di morte, un mezzo arretrato e disumano che non rende giustizia né alle vittime e ancora meno alla società.». Una società che d’altro canto sta diventando sempre più cinica, incapace di percorrere le vie del dialogo e della solidarietà. Siamo tutti chiusi nei nostri limiti come suggeriscono le forme di Condizione umana morbidi volumi di cartapesta che fluttuano leggeri nello spazio suggerendo la mutevolezza dell’umanità in perenne trasformazione, in movimento ma sempre comunque in uno spazio limitato, sempre più inchiodata ai monitor Condizione umana (2016) 250X130 cm, Legno e carta
Dall’alto in basso: particolare di Due attimi, 2013, 120x24, foto e stampa digitale resinata con interventi colorati; particolare di Senza titolo, vetrofonia, 2015
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Dall’alto in basso: Tele Visione (2016) 160x70 cm, foto e stampa digitale resinata con interventi colorati; in basso Cuore, stampa di una scultura su plexiglas, 2014
che raccontano esistenze da un angolo all’altro del globo. Nel bene e nel male non si può fare a meno delle immagini: è questo il concept dell’opera Tele Visione che si ispira a quanto descritto dallo scrittore francese Emile Zolà nel romanzo L’opera (1869) in cui descrive un momento dell’Esposizione universale di Parigi, dove gente di ogni estrazione sociale accorreva al padiglione degli artisti per poter visionare le loro opere. «Non ha senso in una società come la nostra ignorare il potere delle immagini» commenta Luigi Martina che in quest’ultimo periodo sta sperimentando una nuova tecnica: la vetrofonia su plexiglas. Rifacendosi alle visioni degli schermi digitali nella composizione entrano in gioco le forme e il colore: «L’adolescenza, momento proprio del passaggio, non può essere che posta al centro tra due corpi oscuri che sono il tempo passato e futuro. I tocchi di colore sono la speranza di un padre che osserva». L’esperienza della paternità con il suo carico di dubbi, di ansie e interrogativi viene raccontata attraverso il linguaggio dell’arte. Ma chi è l’artista? gli abbiamo chiesto. «L’artista è un po’ come lo sciamano del villaggio. Lui va oltre: la lente deformata attraverso la quale guarda la realtà gli permette di vedere in modo diverso, non convenzionale, arricchendo la visione anche degli altri. Negli ultimi tempi, la manifestazione dell’arte contemporanea mi lascia perplesso: una passerella sull’acqua, calchi di tronchi di ulivo secolari, cascate di numeri giganti in legno verniciato. Mi sono chiesto: all’artista è rimasto solo questo?! L’arte per far parlare di sé ha bisogno di essa? E allora ho nostalgia del minimalismo spinto, del totem di Kubrick e del barattolo di Manzoni. Dov’è la visione? è rimasto solo lo show?! L’arte è anche questo, ma non può essere solo questo».
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Luigi Martina frequenta l’Istituto d'Arte Pellegrino di Lecce successivamente prosegue gli studi presso l'Accademia di Belle Arti di Roma nella sezione scultura diplomandosi nel 1989 con il massimo dei voti. Scultore, affianca l’attività artistica a quella artigianale come scalpellino e ceramista. Ha partecipato a varie collettive d'arte riscuotendo riconoscimenti. Nel marzo 2001 per la scultura in pietra leccese Formica d'oro riceve il premio dal Consorzio Artigiani della Provincia di Lecce. Nel Maggio 2004, nella mostra d’arte Il Cuore organizzata da ASL Le/1 riceve la targa d’onore per la sua scultura. Nell'estate del 2013 riceve il Primo Premio nel Concorso di Arte Contemporanea Emergente Teknè organizzato dal Comune di Calimera. Attualmente continua il suo cammino di ricerca unendo costantemente tradizione e innovazione sia per quanto riguarda le tecniche sia per l’utilizzo di materiali. A Palazzo Castromediano Vernazza presenterà gli esiti della sua ventennale ricerca. Così ama definirsi: «Un uomo nato nel 1965 a Monteroni di Lecce, (dove attualmente risiede) che tra le altre cose costruisce immagini, per comunicare e mostrare mondi sotterranei sotto la luce del sole sforzandosi di essere efficace in modo di arrivare direttamente allo spettatore, mai banalizzando, usando al meglio gli strumenti propri della materia. Io sono per un’arte popolare.»
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cenni biografici...a ProPoSito di Maurizio e Luigi Martina
Pittore, scultore e poeta Maurizio Martina, nato a Monteroni il 23 maggio del 1964, vive e lavora ad Arnesano. Diplomatosi all'Accademia di Belle Arti di Roma nel 1989, inizia la sua attività artistica nella capitale. Nello stesso anno espone a Palazzo Valentini, all'Expo Arte di Bari ed è presente alla "Constituyente, arte y tradiction" Pabellon de Uruguay a Sevilla in Spagna. Tiene mostre personali a Palermo dove nel 1990 presenta "Timidi cinguetti" alla Galleria D'Arte Flacovio; nel 1992 espone a Roma al Centro d'Arte Polmone Pulsante le opere di "Stoffe animate" mostra con testo critico di Lorenza Trucchi. Ancora una mostra romana nel 1994 alla Galleria D'Arte Dè Serpenti con Argilla stoffa e colore presentato da Lorenza Trucchi. L’anno seguente espone i suoi lavori alla A.R.G.A.M.(Ass. Romana Gallerie D'Arte Moderna), alla Ca’ d’ORO e all’Accademia di Egitto. Nel 1996 è presente all'Esposizione Nazionale Quadriennale D'Arte di Roma “1956 - 1990 Ultime Generazioni”, sempre con testo critici di Lorenza Trucchi. Gli anni romani sono molto importanti sia per l’evoluzione della sua ricerca pittorica sia per le sue significative esperienze lavorative nel mondo dello spettacolo e del teatro. Trasferitosi da Roma ad Arnesano sperimenta e lavora su nuove forme espressive. Nel maggio 2004 tiene al Palazzo Marchesale di Arnesano la mostra Osservando metamorfosi abbiamo visto appollaiarsi l'arte sui muri” poi a Lecce nella sede dell’associazione “Raggio Verde” la personale intitolata “La finestra è un occhio scelto da Dio. Nel luglio del 2005 espone ancora ad Arnesano (Il Signore è il mio Dio Progetti ipotetici per il Calvario di Arnesano). Nell’ottobre 2005 partecipa e vince il concorso “Kontemporanea” annesso alla selezione della VI biennale del “CIAC” di Roma esponendo prima a Lecce nel Castello Carlo V e, successivamente, a Roma nelle Sale del Bramante nel febbraio 2006. Nel 2007 espone a Copertino nella manifestazione Arte in convento. Negli ultimi anni si è dedicato alla ricerca e sperimentazione e rare sono state le sue uscite artistiche. Quest’anno ha presentato un’anticipazione del suo nuovo lavoro Gesù alla ITCA (Istituto Terziari Cappuccini dell’Addolorata) e, lo scorso aprile, ha partecipato alla collettiva d'arte Fragilità e leggerezza organizzata a Lecce dall’associazione “Le Ali di Pandora” nelle sale di Palazzo Castromediano Vernazza.
un dominatore del tragico
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aurizio Martina è stato mio allievo all’Accademia di Belle Arti di Roma. Per quattro anni ne ho seguito il lavoro appassionato
Esigente, tenacissimo e verificato i continui progressi nell’ambito dell’incisione e della scultura. Martina è un dominatore del tragico: attraverso l’arte è uscito dal bozzolo duro del proprio isolamento ed ha conquistato un raro equilibrio ed una profonda libertà. La sua ricerca verte sul movimento delle forme e dei volumi e sulla simbiosi tra scultura e pittura. I tessuti a righe che egli applica come una pelle resistente, alle sculture o che fa aderire ai disegni ne accentuano il dinamismo e ne esaltano l’espressività. Il risultato è questa galleria di ritratti immaginari ipercaratterizzati ma non deturpati in un gioco sottile e non privo di humor, tra verità ed artificio, tra la maschera e il volto. Maurizio Martina si impone tra gli artisti più originari e promettenti che operano nel panorama dell’arte salentina. Lorenza Trucchi
ContriButi CritiCi
Storica dell’Arte
Maurizio Martina, Stoffe Animate, 1990 – 1996
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scrutando una metamorFosi
Maurizio Martina, Visi Possibilità, 2004
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ContriButi CritiCi
H
o conosciuto Maurizio Martina quando frequentava l'istituto d’Arte, presso cui insegnavo, e mi aveva colpito per alcune sue qualità. Fra tutte ricordo quelle che avevano colpito me ed i miei colleghi e che avrebbero in definitiva strutturato la sua futura attività: il desiderio di conquistare una sicura tecnica, fino a rasentare quasi un eccesso di rigore e di caparbio orgoglio, ed una grandissima sensibilità che gli permetteva di avvicinarsi al mondo dell'arte senza soggezione e senza pregiudizi. Queste sue caratteristiche hanno costituito un fertile humus, su cui le varie esperienze formative e lavorative hanno potuto germogliare e crescere. Ho potuto verificare negli ultimi incontri che, nonostante le varie vicissitudini che la vita riserva, è riuscito a conservare intatti alcuni aspetti peculiari del suo essere e del suo fare. E ciò mi ha favorevolmente stupita, considerato che non lo vedevo da circa vent'anni. Il periodo appunto durante il quale ha vissuto nella capitale prima per completare la sua formazione presso l’Accademia e poi per lavorare. Le sue esperienze lavorative più significative le ha fatte nel mondo dello spettacolo; quelli sono stati anni ovviamente molto importanti e non solo per l’evoluzione della sua ricerca pittorica. Ha instaurato tra l'altro un intenso rapporto con la scrittura, che costituisce per lui uno spazio, in cui convogliare tanta parte delle sue energie e delle sue emozioni. Sente sopratutto soddisfatta nella scrittura la sua ansia di spiritualità e di una espressività senza limiti. Da qualche tempo ha iniziato anche la stesura di soggetti per lungometraggi e testi teatrali. L’impegno per la pittura non ha registrato, però, battute d'arresto ed in questa mostra Martina espone alcuni dipinti, che rappresentano la sua più recente ricerca. Una esperienza interessante anche sul piano tecnico, perché si confrontano e si mescolano il linguaggio pittorico e quello fotografico, con la complicità stimolante del computer. Sono dipinti di grandi dimensioni. Per comprendere meglio questa scelta, credo sia utile ricordare le sue esperienze di scenografo. Ma non si tratta solo di questo; perché sarebbe una banalizzante enfatizzazione di una sola componente. Le dimensioni rappresentano, anche una precisa esigenza espressiva: la volontà cioè di realizzare forme che dialogano con l'intorno, fino a quasi dominarlo. Dalle grandi tele, infatti si affacciano misteriose forme che invadono lo spazio e che si impongono con la loro forte presenza icastica. Anche quando l'immagine è talmente criptica da non permettere una agevole decodificazione, nulla perde del suo fascino; anzi direi che lo accentua. Dietro una fitta rete colorata è avvolto quasi come
ContriButi CritiCi
una crisalide il volto di una donna, di cui si intravede solo qualche parte. E dall'intrigo intessuto tra l'involucro e l’immagine nasce la suggestione di assistere ad una metamorfosi. La sensazione della flagranza dell'evento sia dal dinamico brulichio del colore con effetti optical, ma anche dalla dislocazione in diagonale dei frammenti che si manifestano. L'imprevedibilità del divenire della forma nel suo continuo modificarsi evoca ambiguamente tante immagine del mondo reale, ma anche ancestrali. Il volto della donna diviene uno spazio in cui gli accadimenti ed i sentimenti della vita possono articolarsi e vivere, determinando i suoi continui mutamenti. In ogni dipinto compaiono diversi modi di essere della donna. Donna serpente, pantera, totem, succulenta mela, misterioso forziere. E non pare che queste creature vogliano liberarsi dall'involucro, che quasi diviene una seconda pelle che le protegge. Martina sintetizza in questi volti sogni ed esperienze e delinea una sorta di mappa del suo mondo. Ilderosa Laudisa Storica dell’Arte Maurizio Martina, Visi Possibilità , 2004
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conVersazione con un artista
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ttobre 2004. Calpestavo, con lentezza, 3200 basuli bianchi. 3200 lapidi su cui mi sforzavo di vedere inciso, con il ferro della lotta, i nomi dei pigri. Andavo alla ricerca di volti fanciulli, che non ho scorto, nessun frullare di ali né miagolii nel buio, solo l’andare indolente di tre randagi, che si appisolavano invisibili sotto il cielo di autunno, fu allora che mi imbattei in Maurizio Martina, e fu uno straccio nel cielo, e fu aria e fu vento. Mi urla: «L’arte non è morta!», si mi trovo d’accordo, ma… «L’Arte non è morta, è morto l’artista», mi dice! Siamo nel suo studio, ora, cerco una sedia con gli occhi, ma non ne vedo, ho un brivido di freddo nessun calorifero ed il camino è un ripostiglio per custodire i gioielli di Maurizio: diapositive, libri, disegni, insomma gli strumenti dell’artista pensatore. Accomodo la mente e resto immobile tra gli enormi disegni realizzati sul retro di manifesti elettorali. «Dunque dicevi che l’arte non è morta ma è morto l’artista», gli dico e lo guardo canzonandolo, cosciente che questo lo irrita, ma il mio rapporto con Maurizio è stato dal primo momento conflittuale e creativo, di scambio e stima, provocatorio! «L’Arte non è morta, come ti dicevo- mi spiega Maurizio- è morto l’artista che oggi è più un ideologo. L’arte è emozione, sperimentazione ed anche gioco». La vita di Maurizio Martina con l’arte è segnata da una convivenza silenziosa a tratti conflittuale ma produttiva. è utile ricordare che da subito le sue opere hanno destato curiosità ed interesse tanto che lo hanno portato giovanissimo, alla Quadriennale di Roma, l’ultima nel 1996. Il 1996 segna il momento della frattura tra Maurizio Martina ed il suo “fare arte”. Maurizio Martina vive l’arte in modo spartano, spartano è l’appartamento-studio, l’agio pare bandito per dare spazio agli strumenti per creare, per coltivare la mente, per arricchire lo spirito. Grandi, enormi manifesti con i suoi disegni, poggiati per terra sono l’arredo del suo studio, volti e ancora volti, multipli dell’essere, e materia modellata che urla muta; le matite, i colori, la colla, le fotografie sparse sul tavolo, lungo quanto la stanza sono i suoi ninnoli. «è morta l’arte di stupire- mi urla sul viso- perché l’artista nell’arte deve mantenere la capacità di divertirsi, di unire, di dividere, di cambiare un elemento così che cambi anche il concetto. Introdurre un elemento che può sembrare dissacratorio non è solo divertente ma ti pone di fronte ad un ulteriore riflessione. Nell’arte si mette la propria vita e la voglia di vivere.» La voglia di vivere a dispetto di tutto, dove un suonatore d’organo diventa, sostituendo un elemento altro, ed ancora altro e lui me lo dimostra. Mi fa osservare una scultura di creta sul suo tavolo: è una testa dove la bocca è l’elemento più evidente: allungata, come se soffiasse, o urlasse, o respirasse il respiro del mondo, Maurizio prende due lunghi tubi di cartone, quelli usati per avvolgere le carte da parati, li inserisce nella bocca della sua creatura: «questo come vedi è un suonatore d’organo, mi dice, ma se invece di metterli l’uno accanto all’altro li unisci
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….E Solone rispose: «Creso tu interroghi sulla condizione umana un uomo che sa quanto l'atteggiamento divino sia pieno di invidia e pronto a sconvolgere ogni cosa. In un lungo arco di tempo si ha occasione di vedere molte cose che nessuno desidera e molte bisogna subirle…»
ContriButi CritiCi
per la lunghezza ecco che cambia e non è più un suonatore d’organo ma altro, e se metti invece questo (e velocemente afferra un mocio vileda), cambia ancora il senso, se inserisci questo altro elemento (in questo caso sono le sue stampelle per camminare) cambia ancora il concetto» Credo che sia più che esauriente per tracciare il profilo di Maurizio Martina, e la sua voglia di vivere l’arte, il gioco, la capacità tecnica, il concetto, lo stupire, la cultura e ancora tanti altri elementi che fanno di lui un artista e non un ideologo dell’arte. corde vocali tese si allungano e soffiano in canne d’organo mute. occhi chiusi, dietro grate di sangue, percorrono il pensiero sul viso di donna, vagamente barocco. La bella addormentata chiude la bocca e ascolta il silenzio imprigionami il parlare voglio dormire tigrami di sguardi voglio dormire pettinami le ciglia voglio dormire scavami gli occhi voglio dormire. Spio dietro fessure di maschere orrende E spingo la bocca in avanti Voglio parlare adesso Imprigionami Tra il bianco e il nero. Io crisalide mi coloro E tu spii tra le mappe del mio viso che si colora di Verde Viola Magenta Azzurro. Ambra Biscuso
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maurizio e luigi martina 10 settembre 2016 Vernissage, ore 19:30 saluti istituzionali performance al sassofono massimiliano guido
apertura - intermezzo- chiusura
la bellezza in note
recital del soprano chitarrista
rosanna mancarella
programma g. donizetti Le Crepouscule da canzoni classiche spagnole
11 settembre 2016 ore 19:00 Conferenza: “la bellezza che si tramanda” interventi Valeria mingolla l’arte come terapia mario cazzato l’eredità dei martina on. serena pellegrino la bellezza che si tramanda
obrados El Vito V. bellini Malinconia ninfa gentile g. donizetti La lontananza Maine Liebe F. shubert Serenata g. rossini Canzonetta Spagnuola h.V. lobos bachianas brasileiras J. turina Cantares g. donizetti Me voglio fà na casa da canzoni classiche napoletane
e. mario g. lama
24 settembre 2016 ore 19:30 Visioni poetiche reading a due voci giuseppe semeraro “Due parole in croce”
Fabiana lubelli “con me”
Santa Lucia luntana Reginella
dai canti della grecia salentina
Aremo rindineddha Oriamu Pisulina To, To, To tito schipa beddha e tri-
palazzo castromediano Vernazza. il fascino della storia a pochi passi dalla Chiesa di San Matteo sorge il cinquecentesco Palazzo Castromediano Vernazza, uno dei più antichi del Salento. è qui che nel 2005, nel corso dei restauri, gli archeologi dell’università del Salento hanno iniziato gli scavi e il palazzo, una costruzione fortificata e decorata con archetti pieni di conchiglie, finestre centinate e raffinate mensole, ha svelato la sua origine più antica e sorprendente. i reperti rivelano tracce messapiche del iV secolo a.C. e, sotto l’attuale piano di calpestio, sono emersi una strada a quattro corsie e i resti di un tempio dedicato alla divinità egizia iside. il palazzo fu edificato nel XVi secolo: al centro aveva una torre e un complesso sistema di cisterne, dove giacevano le preziose riserve d’olio. L’edificio fu poi ampliato nel secolo barocco e nell’800, con una ristrutturazione generale e la creazione di ambienti nuovi. oggi è location per mostre ed eventi.
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itiner_arte...DoVe e QuanDo...
Visioni. l’arte ha occhi ben aperti più del giorno
Luigi Martina, Pragma (2012) 150X120 cm, Stampa su tela con intervento a matita
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Rieducare una società, non irrimediabilmente al declino promuovendo e facendo ri-conoscere la bellezza
di Serena Pellegrino
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a Bellezza... Per parlare di bellezza ritengo che sia necessario porsi una domanda: esiste la differenza tra bellezza con la b minuscola e Bellezza con la B maiuscola? Penso e temo di sì. è necessario in primis valutarne il valore estrinseco ed intrinseco, approfondire il valore determinato dal "bel-avere" in contrapposizione al "bel-essere", riconoscerne il valore dove sia il Bene che il Male non sono in antitesi ma in concorrenza. La ricerca della definizione di Bellezza è senz'altro ardua, è come cercare la definizione di Dio, per molti esiste solo per sottrazione. Porre un aggettivo accanto alla Bellezza rischia di essere deficitario o ridondante. La Bellezza "è". Di fatto l'essenza stessa della definizione di Bellezza passa unicamente attraverso il pensiero dell'essere umano: il ragno produce la sua tela senza la consapevolezza della sua essenza, la sua costruzione armonica è riconoscibile e decodificabile dall'occhio umano, qualunque altro essere ne beneficia senza doverne dare ardite definizioni.
”
La ricerca dell'uomo verso la Bellezza, nel corso della storia, è parallela alla ricerca dell'Infinito, dello Spirito, una continua e costante tensione dell'essere umano. A differenza dell'infinito la Bellezza però si vede, si sente, si assapora, si ascolta, fa vibrare tutti i sensi del corpo: è questa la sua grandezza che rende tutti gli esseri umani indistintamente affascinati. Ma le percezioni non sono assolute; è da qui che nasce la dimensione soggettiva della definizione di Bellezza. Le armonie delle volute e delle ville di Andrea Palladio fanno vibrare, danno emozione, sono oggettivamente belle? E le armonie della sinfonia del Nuovo Mondo di Dvorák sono oggettivamente belle? E i paesaggi dell'agro romano? E i versi di Leopardi? E si potrebbe continuare. Ma perché vediamo la Bellezza solo su opere, materiali e immateriali, storicamente riconosciute?
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Sarà perché abbiamo smarrito la via negli ultimi settant'anni e la Bellezza ha subito un colpo mortale? Non possiamo negare che la promozione e produzione di Bellezza sia andata man mano riducendosi e purtroppo le politiche dei nostri governi non hanno certo contribuito a darle linfa. è ormai unanimemente riconosciuto che l'ultimo pensiero architettonico in Italia risale al ventennio fascista: un colpo mortale per la nostra "giovane" democrazia. In tema proprio di architettura - ma forse dobbiamo più precisamente dire edilizia - è proprio sotto gli occhi di tutti che questi sette decenni, dal dopoguerra in poi, hanno brillato per l'assenza di un pensiero
interVenti...a ProPoSito Di...
“la bellezza ci soccorre sempre” la sFida: un principio in costituzione
architettonico pensato come "Progetto di Stato". L’obiettivo e il motore primario sono invece stati: dare una abitazione e un lavoro per tutti. Il nobile e ambizioso fine è posto tra i principi della nostra Costituzione. Ma oggi, leggendo il nostro territorio, il nostro tessuto urbano e paesaggistico, possiamo dire che il fine abbia prodotto Bellezza? Certamente no. E non perché mancassero le norme. Anzi. Le norme urbanistiche sono state stringenti, i piani regolatori scientificamente realizzati, i regolamenti edilizi rispettosi dei parametri urbanistici. E allora, perché anche in assenza di abusivismo la pianificazione territoriale non è riuscita a produrre Bellezza? Attuando le norme urbanistiche abbiamo potuto suddividere e sezionare il territorio, dimenticando che fosse un Patrimonio, come se fosse una torta, abbiamo realizzato le periferie residenziali - un tanto al metro cubo - suddividendole per gerarchie sociali, attraverso piccole e grandi lottizzazioni, relegato le aree industriali e artigianali lontane dai centri abitati e infine abbiamo potuto "miracolosamente" salvaguardare i centri storici per una intuizione di chi ha inventato la "zona A": unico reperto da salvaguardare della famigerata zonizzazione. Tutto questo ha scardinato completamente i canoni che avevano accompagnato la progettazione delle nostre città. Quella progettazione urbana e architettonica che ci ha dato la possibilità di essere ancora i
detentori di un Patrimonio considerato il più bello del mondo: Italia, il Bel Paese! Ma fino a quando? Una profonda e semplice considerazione la fece Philippe Daverio durante un convegno sulla Bellezza. Disse: «quando eravamo più poveri eravamo più belli, oggi invece siamo più ricchi ma miserabilmente più brutti». è un dato oggettivo che la ricchezza materiale non necessariamente produce Bellezza. Tant'è che oggi Venezia, la città che può vantare il privilegio di essere definita la città più bella e originale del mondo, con le norme urbanistiche di cui ci siamo dotati la potremmo più costruire? Oggi potremmo costruire un borgo mozzafiato come Positano? Probabilmente no, ma sicuramente Marghera si, Ilva a Taranto si, Mirafiori a Torino si, Servola a Trieste si, Corviale a Roma si, quartiere Zen a Palermo si, Quartiere Libertà a Bari si, Quarto Oggiaro a Milano si...: una sommatoria di cubi per abitazioni e luoghi di lavoro senza più interconnessioni sociali e trovando, nemmeno troppo incredibilmente su questo argomento, tutti d'accordo. E così dal dopoguerra in poi, in nome di un lavoro e di una casa - senza specificare quale lavoro e quale casa - abbiamo dapprima divorato tutti gli interessi del Patrimonio che i nostri Padri ci hanno lasciato, per arrivare a eroderne impunemente il Capitale. Insieme alla città abbiamo contribuito a sgretolare nel profondo una società.
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In questa pagina e in quella precedente: Maurizio Martina, Gesù 2016, Visi Possibilità, 2016, Tecnica: foto + grafite + acrilico
Tutte opere dell’uomo! Quale altro essere vivente ha la capacità di produrre Bellezza e Bruttezza con tale cognizione di causa? Possiamo definirlo, senza esitazione, che questo è il libero arbitrio? Possiamo dire che si alloca all'interno delle dicotomie umane? Possiamo ammettere che nella lunga storia dell'uomo mai come ora è accaduto che si progettassero e producessero così pochi manufatti architettonici degni di questo nome? Ma allora, cosa fare? è tutto perduto? No, la Bellezza ci soccorre sempre. L'anelito che ognuno di noi possiede come una sorta di patrimonio genetico ci conduce a livello individuale a tendere verso la Bellezza; ci salvifica. Agnes Heller, la ottantaseienne filosofa ungherese sopravvissuta all'olocausto, in una recentissima intervista dichiara: «la Bellezza ci può salvare dalla morte come anche dal peccato. Persino permetterci di affrancarci dalla stanchezza di vivere e dalla depressione». Ebbene è questa la chiave di volta, la chiave che ci porta, mai come ora, a parlare sempre più numerosi di Bellezza. Una necessità primaria, dopo un trentennio in cui la Bellezza si è ridotta a effimera rincorsa verso il giovanilismo, verso la ricerca di griffe, verso uno stereotipato consumo della moda e della sua conseguente scadenza a ridosso dei prossimi saldi! è questa la spinta che ha generato in me la necessità di rieducare una società, non irrimediabilmente al declino, promuovendo e facendo ri-conoscere la Bellezza. Un concetto smarrito nella coscienza della collettività, sia nella sua dimensione razionale sia in quella "cuorale". Un concetto con-
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siderato superfluo da alcuni e declinato in modo superficiale da altri. Ma la Bellezza deve essere «vista, vissuta, pensata, interiorizzata e solamente così può essere utile ad un progetto estetico educativo, come potrebbe essere quello di formare ogni persona ai valori della Bellezza, iniziando dalle bellezze sensibili, facendo emergere il contesto spirituale che ogni bellezza possiede, permettendo così di giungere alla Intelligibile Bellezza, con i movimenti del cuore, oltre che con quelli della ragione». Così mi scrive in una nota personale la scrittrice Maria Scalisi, autrice del saggio La Bellezza in Agostino di Ippona. è anche per questo che ho voluto sfidare il mondo istituzionale. Il ruolo che ricopro in questo momento storico della mia vita sono una rappresentante del Popolo Sovrano alla Camera dei Deputati - mi ha consentito di poter presentare una proposta di Legge di modifica Costituzionale. Una proposta audace. Una proposta che prevede l'aggiunta di un comma all'articolo 1 della Costituzione. Per qualcuno, un sacrilegio! Ebbene, il testo recita così: «la Repubblica riconosce la bellezza quale elemento costitutivo dell'identità nazionale la conserva, la tutela e la promuove in tutte le sue forme materiali e immateriali: storiche, artistiche, culturali, paesaggistiche e naturali». Perché questa scelta? Una provocazione, forse. Un credo, anche. Una necessità, sicuramente. Ma di certo è una scelta dettata da una vita tutta declinata a difendere e promuovere le Bellezze del nostro magnifico Paese. Il Bel Paese. Un paese, oggi in totale decadimento, che ha conosciuto, proget-
tato, realizzato e donato le massime espressioni storiche e artistiche - in termini di qualità e di quantità - che per secoli hanno segnato la via esprimendo la dimensione umana senza confronti. Nel corso della storia il variegato popolo italiano ha saputo declinare con sapienza, cura e amore inestimabile il pensiero in realtà. Le opere artistiche e paesaggistiche, segni positivi inequivocabili dell'uomo, hanno avuto la massima espressione sul nostro territorio, lasciandoci un patrimonio di inestimabile Bellezza. è proprio per questo che la caratteristica distintiva e reputazione universalmente riconosciuta all’Italia è la Bellezza. Ed è per questo, dopo essermi confrontata e aver avuto l'appoggio, il sostegno e, immeritatamente, anche il plauso dei maggiori interlocutori in tema di storia, di arte, di cultura, di architettura, di musica, di ambiente e di paesaggio ho lanciato questa sfida. Ma alle parole ora devono seguire gli intenti, i progetti e i cantieri. Ho ritenuto che fosse necessario restituire al popolo italiano, capace ancora e da sempre di produrre Bellezza - e al popolo umano in genere - una nuova grande opportunità, indispensabile per salvarci dalla bruttezza entro cui esso stesso si avviluppa. In un momento in cui il processo di globalizzazione economico, sociale e culturale che, dalla fine del '900, sta divorando tutto il mondo occidentale e di conseguenza anche il nostro paese, ho voluto porre l’accento su un tema che può dare il concreto valore aggiunto e non solo in termini materiali, ovviamente. Valorizzare i processi creativi riconoscendo i talenti di tutti, mettendoli a disposizione della collettività, nella cooperazione a scapito della competizione, è il motore e la forza di qualsiasi comunità, anche tra gli esseri animali. Purtroppo dobbiamo accettare che le politiche degli ultimi settanta anni, di qualsiasi colore, hanno seriamente frustrato questa fondamentale essenza. La crisi, materiale e immateriale, della società moderna è sotto gli occhi di tutti. Due sono i motori - in costante conflitto tra di loro - che spingono verso una risoluzione: quello della Bellezza, attraverso la promozione e la tutela del Patrimonio intellettuale, culturale, artistico e, perché no, spirituale e quello della Bruttezza, promotore di distruzioni, di devastazioni, di cementificazioni, di consumo di inestimabili risorse naturali e,
non ultimo, di guerre che mantengono quella fabbrica che è costantemente in attivo. Ma il dominio del secondo sul primo mai come oggi ha avuto la supremazia. Ed è per questo che oggi la consapevolezza sta affiorando con maggiore determinazione non solo a livello collettivo, ma soprattutto nel profondo della dimensione individuale. Per poterci affrancare abbiamo la necessità di rivivere un nuovo umanesimo. Ed è proprio per questo che ho osato intaccare l'immacolato art. 1 della nostra splendida Costituzione. Vedendo quanto è accaduto negli ultimi decenni appare evidente che i Padri costituenti, nello stilare la Costituzione non avevano coscienza di quanto sarebbe accaduto successivamente, degli scempi che si sarebbero perpetrati su tutto il territorio e sul suo inestimabile patrimonio artistico e architettonico. Era un valore intrinseco. Quanto rimasto di quello che i nostri Padri ci hanno donato lo dobbiamo a quelle persone - che ho voluto definire "operatori di Bellezza" - che hanno dedicato e investito tutta una vita affinché i nostri eredi potessero essere fieri della loro Storia. Paladini della Bellezza. è per questo che ho voluto sancire, assieme ad altri 120 parlamentari di ogni schieramento partitico, che la Bellezza è un principio fondamentale. Riconoscendone il suo valore intrinseco ed estrinseco si porterebbe ad un riconoscimento di consapevolezza e maturazione di un popolo che per troppi decenni ha vissuto la bellezza senza la coscienza di possedere un grande patrimonio. Aprire una porta al dialogo, alla ri-declinazione di una parola svenduta ai saldi di stagione: questa la sfida dal sapore epocale. Una sfida che ci permette di rideclinare, al contempo, la parola "lavoro" ridotta, nell'era del PIL, a mero scambio commerciale avendo perso totalmente la sua identità di dignità umana. Ebbene perché non coniugare, come è accaduto per secoli, la parola lavoro come strumento della Bellezza? Finalità assoluta e riconosciuta per la sua ricaduta sul Ben-Essere? Sarà un’utopia la mia ma, come tutte le utopie temo che valga la pena di crederci. E poi, chissà, non sarà forse che io abbia l'incommensurabile fortuna di "godere" della sindrome di Stendhal?
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l’arte come terapia Viaggio alla scoperta di sè
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di Valeria Mingolla
Anticipiamo l’abstract dell’intervento di Valeria Mingolla giornalista e responsabile di Arti Terapie Italia tra gli ospiti della conferenza La bellezza che si tramanda
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’arte si nutre di sensazioni. Visive, acustiche, olfattive, tattili. Percettive. Coinvolgendo le emozioni, attraverso i linguaggi creativi e i processi di simbolizzazione, essa dà forma all’esperienza, le restituisce una concretezza. Per questo motivo tutte le forme d’arte, dalle opere di fama mondiale alle creazioni più semplici realizzate dai bambini, sono manifestazioni dello status emotivo degli autori, la traduzione del loro coinvolgimento. In Arte Terapia legando l’espressività a un’esperienza di pittura, musica, teatro e danza è possibile creare una relazione, un ponte, tra il sentire e l’agire, liberando l’individuo da ogni repressione, da ogni gabbia emotiva. La maggior parte dei disturbi psichici e sociali sono attribuibili, infatti, a un’insufficiente manifestazione della spontaneità e della creatività. La Musicoterapia, l’Arteterapia Plastico Pittorica, la Danzamovimentoterapia e la Teatroterapia costituiscono il mezzo attraverso il quale è possibile recuperare la libertà espressiva. Esse sono metodiche finalizzate alla promozione umana con scopi riabilitativi, psicopedagogici, psicoterapeutici e soprattutto preventivi di qualunque forma di disagio psicosociale. Allora, l’arte è terapia nel momento in cui diventa una zona franca nella quale è possibile esprimere nuovi atteggiamenti e risposte emotive. è attività ludica e divertente che accompagna l’individuo in uno dei viaggi più affascinanti dell’uomo: la scoperta di sé.
Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative
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Viale Oronzo Quarta, n°24- 73100 Lecce Tel.: 0832.601408 Sito web: lecce.artiterapie-italia.it Fb: Arti Terapie Italia
l’eredità dei martina. agli albori l’abbacinante calcare salentino
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di Mario Cazzato
Dallo “spietrare” al “costruire” a regola d’arte. Luigi, scalpellino e costruttore, capostipite di una generazione di artisti
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A
rnesano ha un paesaggio di pietre, di tufo. Era la patria dei “zoccatori”, i tagliamonte che per secoli, da sempre, hanno cavato pietra da costruzione dagli aridi terreni della Cupa verso Villa Convento e Novoli. Squadre di individui a piedi - le biciclette se le potevano permettere solo agli albori del boom economico - con sulle spalle lo “zeccu”, ossia il piccone, unico strumento della loro arte, all’alba lasciavano le loro cose, ogni giorno dell’anno, frenati solo dalla pioggia battente e si recavano in quelle inospitali campagne dove si scorgevano rari e rinsecchiti olivi e cespugli di timo. Lì procedeva qualche carro sul quale, giunti sul posto, magari presso l’antico santuario di Monte vergine, caricavano a mani nude i pesanti blocchi di tufo. I carri tornavano indietro, stracolmi, spezzando l’attesa dei muratori. Molto dopo sull’imbrunire tornavano nelle loro case i “zoccatori”. Gli uni e gli altri, il costruire e lo spietrare, lavori pesanti, oggi li chiamerebbero
usuranti. Ricordo la faccia impolverata, le mani callose di mio padre: sulla strada del ritorno aveva trovato un cotogno, un grappolo d’uva e un fico d’India, una manciata di giuggiole e noi, ragazzi, eravamo felici di questi inaspettati doni che variavano con i mesi e le stagioni. Pietra ingrata, il tufo, arsa, secca, porosa, pericolosamente assorbente. Non potevano che nascere qui gli scalpellini. Per secoli e secoli questi artefici si organizzavano in veri e propri clan familiari, i Martina, a cominciare dal nonno Luigi nato alla fine del XIX secolo, sono la norma e non l’eccezione. Poi, come Luigi, per capacità innate, per un lungo tirocinio che partiva dai primi anni di vita, emergeva il vero “scalpellino” colui che ricavava da grezza pietra dalla sua sorda geometria, eleganti fantasie, ricci e quasi merletti, tutto quel repertorio di visi angelici, e demoniaci, frutta e fiori, volute e pigne, trofei ed esseri zoomorfi e fitomorfi che hanno reso famoso, per fare un esempio eclatante, il barocco leccese salentino. E rammentiamo che il massimo architetto di questo fenomeno ormai assorbito dal barocco nazionale, è quel Giuseppe Zimbalo che iniziò la sua formidabile carriera proprio come scalpellino: sua è l’invenzione di quei paffuti angioletti che caracollano e svolazzano da finestre e balaustre, agili e sempre sorridenti, lui che non fu mai padre. E forse per questo li inseguì sui bordi dei rosoni, sui lati degli stemmi, nelle nicchie e sopra i portali, su chiese e palazzi, per tutta la vita.
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Invano. E per tutta la vita, anche quando divenne il più celebre architetto dell’epoca non cessò di essere mai lo scalpellino che cesellava quei volti ridenti, come se cantassero al vento una sottile melodia. Questi erano gli scalpellini: piccoli poeti, al limite modesti prosatori della pietra. Il clan dei Martina testimonia ancora oggi - e oggi non più solo con la pietra ma anche con il pennello - come questa figura sia arrivata indenne, nelle sue più profonde caratteristiche, fino ai nostri giorni. Quando il rapporto tra arte antica e arte contemporanea non si era ancora scisso, quando cioè si riteneva il presente come diretta conseguenza del passato prossimo, Luigi poteva costruire per fare un esempio della sua febbrile attività di scalpellino-costruttore parte della facciata crollata del palazzo Baronale di Monteroni dei Lopez y Rojo per i quali lavorò nella residenza suburbana di Villa Saetta, sempre a Monteroni. Riproponendo le stesse finestre del ‘500, ingannando la filologia ma consegnandoci un monumento integro nella sua conformazione, lontano dalle astratte elucubrazioni dei teorici del restauro che spesso hanno torto. D’altra parte Luigi aveva un precedente illustre in Francia, Eugenio Viollet le Duc (18141879), il teorico del “restauro stilistico” al quale si deve la conservazione di gran parte delle cattedrali e dei castelli della Loria: Luigi stava quindi in buona compagnia. Come lo sono i suoi discendenti anche loro pervasi da questa totalizzante vis artistica che all’origine, un’origine molto lontana, ha come sorgente l’abbacinante calcare salentino.
Un disegno di Luigi Martina, nonno di Maurizio e Luigi Martina
Luigi Martina nasce nel 1892 ad Arnesano e apprese da suo padre muratore l'arte di costruire “a regola d'arte”. Frequentò la scuola primaria a Monteroni (Lecce) e più tardi sentì il bisogno di completare la sua preparazione professionale iscrivendosi per corrispondenza presso le ‘’Scuole Riunite’’ di Roma, questa esperienza lo portò ad approfondire le discipline del disegno geometrico e di ornato nonché l'aritmetica e il calcolo per avere l'abilitazione a costruire gli edifici in cemento armato. Conseguito il diploma di maestro costruttore, incrementò l'attività paterna studiando e sperimentando nuove tecniche. Significative testimonianze della sua intensa produzione, che va dagli anni '30 fino agli anni '60, in ville, masserie e edifici di nobile casate (Reale, Fumarola, Lopez y Royo). I lavori tutt'ora fruibili e visitabili sono villa Reale, contrada ‘’Mater domini’’, il Palazzo del barone Fumarola a Lecce e nella residenza estiva di Porto Selvaggio (Nardò). A Monteroni sue opere le troviamo al palazzo Baronale di Lopez y Royo, a villa Saetta, sempre dei Lopez y Royo, nella chiesa di ‘’Maria Ausiliatrice’’e Villa Villani a Carmiano.
L’ARTE CONTINUA. IL SEGNO DI KABO Gabriele Quarta, in arte ''kabo'', nasce a San Cesario il 18 aprile 1996 ed è nipote degli artisti Martina. Attualmente vive a Milano, frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera e la sua attività artistica spazia dalle illustrazioni, ai dipinti ai graffiti. Ha collaborato con ''writer'' di alto spessore a livello locale e internazionale. Uno dei suoi ultimi lavori, Hagakure, è attualmente esposto in Giappone.
L’Ostrica Ubriaca è la "PES 'CHIC' CHERIA" per eccellenza! Viale della Libertà, 133/d 73100 - Lecce Un depuratore di frutti di mare vivi pescheria e Fish Bar Friggitoria - Braceria di Mare Aperta 365 giorni all’anno dalle 07.30 alle 14.00 e dalle 17.30 alle 23.00 Tel. 0832 091986 info@ostricaubriaca.it www.ostricaubriaca.it/
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le Visioni antropomorFe del gioVane alessio martina
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I disegni e le grafiche in anteprima in mostra a Palazzo Vernazza
Non è facile essere figlio di un artista, può essere croce e delizia vivere, anzi, nascere in una famiglia dove l’arte si respira da generazioni, a partire da quel bisnonno scalpellino che ha decorato chiese e palazzi signorili del Salento. No, non è stato facile trovarsi immerso, catapultato in questo mondo sin da bambino, senza esserne consapevole. I ricordi del giovane Alessio Martina partono dall’infanzia, da quando facendo da tela umana suo padre, Maurizio Martina, permetteva al figlio di imbrattarlo con dita di colore, trascinate e spalmate inconsapevoli per puro divertimento. «L’amore per l'arte e il disegno si svilupparono in me attraverso costanti corsi fine-settimanali promossi da un padre, il mio, che dell’espressione e dell’arte ha fatto la propria vita. Corsi attraverso i quali lo studio dei grandi maestri del passato come Manet, Degas e Gauguin era seguito dai tentativi, decisamente vani, di riprodurre fedelmente le loro composizioni». Ma all’entusiasmo del padre, proba-
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bilmente per ribellione, corrispose crescendo la negazione e Alessio Martina mise da parte i pennelli e i sogni di un futuro artistico. Ma come la brace arde sotto la cenere così le esperienze di vita, l’approfondimento dell’animo umano, la conoscenza del dolore e della sofferenza hanno fatto sì che la matita timidamente riprendesse a disegnare. Il bisogno di condividere le immagini che in qualche modo rielaborano in modo antropomorfo la realtà spinge oggi Alessio a mettere in mostra le sue “visioni”. Un percorso da autodidatta e, ispirandosi ad artisti quali Beksinski, Blake, De Chirico, Alessio Martina prova a “leggere” l’umanità, a codificare segno dopo segno in composizioni surreali l’insieme di contraddizioni che appartengono allo spirito dell’uomo che siano sogni, incubi o percezioni del sé in rapporto con la natura e con gli altri. «Un percorso fatto di disegni e scrittura nel tentativo - come lui stesso spiega - di rendere tangibili gli animi umani.» (an.fu.)
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