Artintime N.4 - Aprile

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ARTINTIME L’EDITORIALE Aprile mese del libro! Lo abbiamo deciso noi di Artintime? Un po’ sì, ma un po’ siamo stati ispirati dal fatto che il 23 aprile, forse lo sapete già, l’Unesco ha deciso di festeggiare la Giornata Mondiale del Libro e del Diritto d’Autore. Sulla scorta di questa ricorrenza, l’Associazione Italiana Editori, in collaborazione con tante altre realtà culturali italiane, ha deciso di fare un tentativo per la promozione della lettura tra i più pigri ad affacciarsi al mondo dei libri. Lo ha chiamato #IoLeggoPerché, e attraverso l’omonimo sito ha costruito una fitta rete i cui nodi sono librai, biblioteche, ma soprattutto “messaggeri”. I messaggeri sono i veri cavalieri della lettura nell’ottica di questo evento che coinvolgerà centinaia di persone in tutta Italia: sono loro che, registrati sul sito e affiliati a una libreria della propria città aderente al progetto, hanno ricevuto un kit di libri gratuiti che dovranno donare ai non lettori, per convincerli ad appassionarsi alla lettura. Sono24 gli autori e rispettivi libri proposti dall’AIE “per la loro qualità letteraria”. Di loro si dice che “sono libri belli, importanti, capaci di raccontare storie a tutti. Sono stati scelti dagli editori e selezionati in modo tale da garantire la più ampia offerta libraria: metà sono titoli dei grandi editori, metà di piccoli e medi editori Italiani”. Tutti gli autori hanno scelto di non percepire alcun diritto per queste opere, che vi riportiamo qui cercando di incuriosire anche voi lettori, Messaggeri oppure no: Kader Abdolah, “Il corvo”, Iperborea Kamal Abdulla, “Il manoscritto incompleto”, Sandro Teti Editore Age & Scarpelli, Mario Monicelli, “Brancaleone”, Gallucci Silvia Avallone, “Acciaio”, Rizzoli Alessandro Baricco, “Oceano Mare”, Feltrinelli Ronald Everett Capps, “Una canzone per Bobby Long”, Mattioli 1885 Paola Capriolo, “L’ordine delle cose”, Edizioni EL Massimo Carlotto, “La verità dell’Alligatore”, Edizioni e/o Sveva Casati Modignani, “Lo splendore della vita”, Sperling & Kupfer Cristiano Cavina, “I frutti dimenticati”, Marcos y Marcos Andrea De Carlo, “Due di due”, Bompiani Diego De Silva, “Non avevo capito niente”, Einaudi Khaled Hosseini, “Il cacciatore di aquiloni”, Piemme Erin Hunter, “Warrior Cats. Il ritorno nella foresta”, Sonda Emily Lockhart, “L’estate dei segreti perduti”, De Agostini Margaret Mazzantini, “Splendore”, Mondadori Giuseppe Munforte, “Nella casa di vetro”, Gaffi Yōko Ogawa, “La formula del professore”, Il Saggiatore Maria Pace Ottieri, “Quando sei nato non puoi più nasconderti”, Nottetempo Daniel Pennac, “Come un romanzo”, Feltrinelli Roberto Riccardi, “La foto sulla spiaggia”, Giuntina Luis Sepúlveda, “Il vecchio che leggeva romanzi d’amore”, Guanda Marcello Simoni, “Il mercante di libri maledetti”, Newton Compton Editori Andrea Vitali, “Galeotto fu il collier”, Garzanti

Nel momento in cui questo magazine sta per uscire, i numeri dell’iniziativa sono incoraggianti: 25mila messaggeri hanno aderito al progetto, prime regioni Lombardia, Puglia, Sicilia ma anche Piemonte. Di questi, quasi 9mila sono studenti universitari. E spopolano anche le citazioni sul wall del sito: 14mila! Quasi 10mila utenti, invece hanno usato come propria descrizione la citazione da un libro. Insomma, nonostante le critiche dei più radical chic, #IoLeggoPerché sta facendo girare qualche idea, e la cosa a noi di Artintime piace, tanto che vogliamo crederci, e anche noi tifiamo per la diffusione della lettura. Per questo, all’interno del nostro numero di aprile troverete una simpatica sorpresa per giocare su lettura e scrittura. Pronti al viaggio? Buon mese di libri e storie a tutto voi! Alessandra Chiappori

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chuck@artintime.it

CONTATTI Grafica & Art Direction: grafica@artintime.it Ufficio Stampa: press@artintime.it | Marketing: marketing@artintime.it Social Media Management: media@artintime.it Editing: editing@artintime.it

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . TERRAKOTA by Angelica Magliocchetti

8 . ME & YOU DI JACK TEW by Francesca Cerutti

10 . UN GIORNALISTA-INVESTIGATORE A NAPOLI by Alessandra Chiappori

12 . SCRITTORI LETTORI PER #IOLEGGOPERCHE’ by Alessandra Chiappori

18 . RISCOPRENDO RAFFAELLO by Roberta Colasanto

20 . FLAVIA RIPA UN MIX DI TEATRO E MUSICA by Barbara Mastria

22 . BEARD by Cristina Canfora

24 . LE CARDAMOMO’ by Angelica Magliocchetti

26 . UN COCKTAIL DI VERITA’ E BUGIE by Alessandra Chiappori

28 . QUATTRO CHIACCHIERE CON FILODIRAME

by Francesca Cerutti

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ARTINTIME music@artintime.it

TERRAKOTA Lisbona, la terra del fado; o almeno, a un primo sguardo. È un’impronta totalmente diversa, invece, quella che vuole lasciarci la formazione portoghese dei Terrakota. Da una fusione di generi che spaziano dalla freschezza caraibica, alla sonorità africana, al reggae, prende vita, nel 1999, la band. Sulla scia di questa contaminazione, sia musicale che culturale, Junior, Alex, Francesco, Nataniel, Marc, Marcio, Diana, Gonçalo, Paulo, dopo un viaggio in Africa decidono di dare il via alla loro fortunata collaborazione. L’impatto sulla scena musicale portoghese si fa subito sentire tanto che nel giro di pochissimo la band parte alla conquista anche dell’estero, facendo una serie di concerti in Spagna, Francia e Italia. Durante questa esperienza i ragazzi vengono notati da numerosi agenti, ma decidono di tenersi fuori da ogni forma di lobbie musicale e di non firmare con nessuna etichetta

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multinazionale, affidando il loro primo album omonimo “TERRAKOTA” al produttore indipendente Zona Música. L’immediato successo e i successivi due anni di live portano la formazione a “HUMUS SAPIENS”, il secondo lavoro, più maturo artisticamente e soprattutto più ricco di energia e contaminazioni tanto che i brani sono scritti in dieci differenti lingue e dialetti. È solo dopo un lungo viaggio che li porterà attraverso Burkina Faso, India, Senegal, Cuba, Guinea, Brasile, Mali, Argentina, Turchia, Marocco, Costa d’Avorio, Mozambico e Messico, che realizzano però quello che viene riconosciuto come il loro miglior lavoro: “OBA TRAIN”. In questo album l’energia, la positività e la carica tipica delle performance live prendono il sopravvento, trascinando l’ascoltatore in terre assolate, lontane, sorridenti. “È Verdade?”, “Soul”, “Maghrebi”... un vero universo. Per festeggiare il decennale

della band, la formazione portoghese decide di esplorare l’Himalaya, realizzando il documentario “On top of the world – Roadmovie of Terrakota in the Himalayas” e portando a casa tutto il sapore di “WORLD MASSALA” (2010), il quarto lavoro. Energici, instancabili e sempre in movimento i Terrakota sapranno conquistarvi con la loro vasta, poliedrica, produzione. Un vero salto tra i colori del mondo, assaporandone il gusto e respirandone la leggerezza. Da provare! Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

ME & YOU DI JACK TEW Avete mai pensato di raccontare una storia d’amore con una telecamera piazzata sul soffitto di una stanza? Se la risposta è no, ma siete curiosi di vedere come andrebbe a finire, vi consiglio di dare un’occhiata all’interessante cortometraggio di Jack Tew, “Me & You”. Una successione di istanti racconta la storia di due ragazzi, dal momento del primo appuntamento fino a quando si arriva a un punto di rottura. Un’inquadratura fissa, dall’alto come dicevo, mostra una stanza di un ragazzo, un letto matrimoniale, un armadio e una scrivania, una classica camera da letto come molte, con la differenza che quella diverrà set cinematografico, teatro di una vicenda. Percorriamo ogni istante di questa storia e la vediamo sbocciare, crescere, i momenti trascorsi insieme a fare le stesse cose, l’amore, gli abbracci notturni, le chiacchierate davanti alle tisane la sera, le partite ai videogiochi, la voglia di rendere quel luogo qualcosa di loro. Foto, oggetti, vestiti iniziano a popolare la stanza che non è mai completamente in ordine, è vissuta ma soprattutto è viva, vivace, e partecipa alla relazione dei suoi inquilini. Gioisce con loro e diventa triste

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con loro. Proprio su quest’ultimo punto è curioso notare la scelta di inserire dei secchi per la raccolta di acqua piovana, sintomo che sta avvenendo una decadenza, come avveniva in “La schiuma dei giorni”, di Boris Vian. La malattia della donna amata, Chloé, consumava la casa del protagonista, Colin, e la invecchiava, così la rottura della relazione consuma quella stanza e la rende disordinata e sporca, un luogo invivibile. Azzardando sembra quasi che la stanza divenga specchio delle anime dei protagonisti, il loro disordine interiore, la loro incapacità di ritrovare la via per ricostruire la relazione sembra ben raccontata dall’immondizia che si riversa a terra, ostacolo insormontabile, muro invalicabile che ferma i sentimenti e non li fa passare oltre. La stanza di Jack Tew non si rimpicciolisce come quelle di Boris Vian, ma diventa ugualmente piccola, perché è difficile condividere spazi stretti con la persona che non si ama più. L’amore poi contagia tutti, quando c’è nella stanza regna un senso di pace, di ordine, nel momento in cui scompare non è più possibile mantenere quell’equilibrio e quindi la catastrofe si riversa su tutto, sulle vite dei singoli e sui luoghi coabitati. Si creano delle cesure nella relazione e tutte le attività che prima

venivano svolte insieme, man mano divengono un motivo per dissociarsi l’uno dall’altro. “Me & You” è un cortometraggio che è divenuto in brevissimo tempo virale sul web, non racconta niente di innovativo, in fondo è una storia d’amore che finisce male, il mondo della letteratura è pieno di queste storie, eppure è proprio il modo che sceglie per raccontarlo che colpisce lo spettatore. Alla fine quello che ci portiamo a casa non sono volti o nomi di personaggi, ma sono quasi percorsi, come se i nostri protagonisti fossero dei topi impazziti, topi di laboratorio vittime di un esperimento scientifico, eppure siamo noi, potremmo essere noi con le nostre gioie e i nostri dolori, l’amore e l’odio.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME books@artintime.it

UN GIORNALISTA-INVESTIGATORE A NAPOLI Lui si chiama Tony Perduto, vive a Napoli, nei quartieri spagnoli, e fa il giornalista. O meglio, fa anche il giornalista, oltre ad aiutare coi compiti un ragazzino svogliato e fan delle merendine che lo chiama comicamente “prussò” e si scopre suo malgrado talentuoso nei temi, e ad aggiornare e scrivere contenuti per un sito di floricoltori. Insomma, il classico trentenne che sognava una carriera nella carta stampata a cavallo dei grandi scoop e delle prime pagine, e che, un po’ per indole un po’ per il funzionamento paradossale delle redazioni giornalistiche, si è dovuto accontentare del ruolo di collaboratore precario e sottopagato. Tony però non si arrende, si emoziona ancora attendendo l’uscita dei propri pezzi sul giornale, specialmente quando si tratta di inattesi e curiosi articoli legati alla strana uccisione di un orso marsicano nel bel mezzo dei quartieri spagnoli, crocevia colorato e caotico nel cuore di Napoli. È questo il fatto strano che tinge di giallo la storia (e la copertina!) e che animerà l’esistenza di Tony, uscito, come spesso fa a causa dell’insonnia che lo affligge, una mattina all’alba per la sua solita passeggiata distensiva e contemplativa nei quartieri, e incappato nel cadavere del povero animale. Tra un “basso” e l’altro, i piani bassi dei caseggiati che affollano i quartieri spagnoli, scopriamo un mondo fatto di chiacchiere e regole implicite che i napoletani cono-

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scono e rispettano. Facile per Tony portare avanti le sue inchiestine di colore a caccia di blatte in tutto questo chiacchiericcio, un po’ meno facile improvvisarsi investigatore e scendere – letteralmente – nei sotterranei di una storia antica e misteriosa. Fin dalle prime pagine, oltre al fatto misterioso che un po’ sa di mafia – come non pensarci, se siamo a Napoli, direte voi – e un po’ di stravaganze evidenti fin dal titolo extralarge, ci è chiara un’altra cosa, e cioè che il personaggio di Tony diventerà nostro amico. È la chiave del libro, ciò che vi farà correre veloci verso la fine con la consapevolezza tristissima che, arrivati all’ultima pagina, vi mancherà un sacco e avrete voglia di un’altra storia in sua compagnia. Tony e la sua vita precaria in qualche modo ci stanno simpatici, l’affinità empatica che stabiliamo con questo ragazzo impaurito dalla vita ci farà appassionare alle sue vicende, lavorative, investigative, e anche personali. Tra una migliore amica che fa battere il cuore, una mamma pedante, un direttore di giornale irritante e i mille personaggi folcloristici che colorano i quartieri e con i loro occhi vedono e sentono tutto, in questo romanzo stiamo davvero in bella compagnia. E se siamo pretenziosi, c’è anche la dovuta suspense da storia poliziesca, con i capitoli finali che si velocizzano nel ritmo e ci portano dritti dritti nel cuore del buio che aleggia intorno al mistero

dell’orso marsicano ucciso in mezzo ai quartieri spagnoli. È in questa circostanza che Tony, prese per mano le sue fobie e ansie, decide di provare a rischiare e di mettersi in gioco di fronte all’ignoto, per un assaggio forse immotivato e realmente pericoloso di quella vita che osserva dal suo terrazzo, dove si ritira spesso a godere del bel sole mediterraneo e a tessere il filo dei pensieri, che non lo abbandonano mai. È un bel viaggio, ironico ma anche delicato, popolato da persone sfaccettate e per questo così umane da farci compagnia durante la lettura, tanto che ci dispiacerà realmente chiudere il libro e scoprire che quel mondo esiste solo all’interno del romanzo. Forse, però, solo a tratti: il talento di Menna, che giornalista lo è davvero, è infatti quello di riportare con consapevolezza estrema sulla pagina la realtà di un mestiere che da fuori sembra risplendere di luce propria e graziare chi lo fa, o tenta di farlo, e dipingere con parole, scene, dettagli, una Napoli viva e brulicante che sì, vede la camorra sempre presente, ma non finisce lì, un aspetto che dall’esterno non sembra, ancora una volta, trapelare. E così tra uno scooter bruciato, uno zoo in rovina, qualche personaggio svitato e il chiacchiericcio dei bassi che si alimenta di parole non pronunciate e di caffè gorgoglianti nella moka, il mistero dell’orso marsicano scivola verso la sua risoluzione lasciandoci nella mente l’idea che vorremmo ritornarci, in questo mondo


BOOKS complicato di Tony Perduto, emozionarci con gli abbracci della sua amica che “lo fanno morire” e tifare per il suo coraggio che ogni tanto azzarda e sfida il rischio, rivelando la stoffa di quel giornalista che Tony vuole davvero essere.

A lessandra Chiappori

“Penso che se dovessi mai raccontare a qualcuno cosa mi fa continuare a scrivere per il giornale, nonostante le delusioni, il fallimento, la stanchezza, l’insopportabile sensazione di essere marginale, i pochissimi soldi, la troppa fatica di rincorrere sempre uno spazio, be’, proverei a raccontargli questa emozione qui, i venti secondi prima di aprire la copia dove dovrebbe esserci un tuo pezzo”.

Antonio Menna, “Il mistero dell’orso marsicano ucciso come un boss ai quartieri spagnoli”, Guanda, 2015.

ANTONIO MENNA “A 13 anni decisi che avrei fatto il giornalista e lo scrittore. Ci sto ancora provando”, così recita il blog di Antonio Menna, luogo del web improvvisamente diventato famoso qualche anno fa per il suo post “Se Steve Jobs fosse nato a Napoli” da cui è stato tratto l’omonimo libro. Ed è proprio dal blog che emerge la voglia di scrivere di questo autore al suo esordio in narrativa: un primo romanzo che lascia tutte le porte aperte a possibili sequel. Siamo curiosi di leggerli!

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GIO VED dei Ì 23 APR ILE 2015 e che sono stati intercettati In occasione della grande festa toriale libri e della lettura che animerà la da Artintime per interviste e recengiornata del 23 aprile, Artintime sioni dei loro lavori. Non possiamo In collaborazione hacon: deciso, oltre chee condedicare la che ringraziare Con il patrocinio di: Noemi Cuffia, Marco il contributo di: Main partner: copertina del mese all’evento orMarsullo e Michela Monferrini per la ganizzato dall’AIE (Associazione simpatia e la disponibilità nell’accetPartner: #IoLeggoPerché, partner: Italiana Editori) tare questo nostroMediagioco “libroso”, di fare un po’ di domande sui lie naturalmente invitarvi a scoprire bri e la lettura a qualche vecchiaMedia Supporter: le voci di questi autori attraverso le conoscenza. Si tratta di tre giovaloro opere, i loro blog, i loro articoli ni autori che nel corso degli anni e tutto ciò che caratterizza la loro hanno esordito sul mercato ediattività di scrittori-lettori! un’iniziativa di

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GIOV EDÌ 23 APRILE 2015 un’iniziativa di

NOEMI CUFFIA Giovane blogger torinese, è nota nel mondo letterario per il suo seguitissimo “Tazzina di caffè”. È appena uscito per l’editore torinese Zandegù un suo delizioso ebook scritto a quattro mani con l’illustratrice Ilaria Urbinati dal titolo “Ricette per ragazze che vivono da sole” (lo trovate online!). Artintime l’aveva intervistata nel luglio 2013, poco dopo l’uscita del suo primo romanzo “Il metodo della bomba atomica”, Liberaria edizioni. Trovate la nostra intervista qui: http:// issuu.com/artintime/docs/luglio_ issuu

Qual è l’episodio da lettore più curioso, insolito o bizzarro che ti è capitato in prima persona o che ti va di raccontarci? A me come lettrice sono capitate cose molto strane. Avendo aperto un blog di libri, mi è capitato, e mi sta capitando ancora oggi, di conoscere molto spesso gli autori dei romanzi che leggo. Detta così sembra niente, ma mi capita con una frequenza innaturale, e non ho ancora capito se è un bene o un male.

Io leggo perché…? Io leggo perché leggere mi aiuta a vivere. Non sempre la vita è facile e la lettura è una forma di raccoglimento e nutrimento molto simile al cibo, all’acqua...

C’è un libro – o ce ne sono alcuni – che non hai finito di leggere? Come mai? Pensi che li riprenderai? Ce ne sono tanti. Sono una lettrice disordinata per la maggior parte del tempo. Lascio perdere moltissime letture, qualche volta senza una ragione che non sia l’economia del tempo. Sogno un futuro paradisiaco in cui avrò il tempo di leggere per la maggior parte della giornata!

Qual è il primo libro che hai letto (o il primo che ti viene in mente andando indietro con la memoria) e a quale ricordo si accompagna? Ricordo diversi “primi libri”. Il primissimo in assoluto mi sfugge dalla memoria: è come se la lettura fosse entrata di colpo nella mia vita, più che un singolo libro in particolare, cambiandola irrimediabilmente. Ho però un ricordo nitido della lettura de I Malavoglia. Da ragazzina, alle medie, e la sensazione chiara di stare facendo qualcosa di profondo, umano, utile e diverso da tutto ciò che avevo conosciuto prima di allora.

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Il tuo luogo preferito dove leggere? Nei caffè!

Chi è lo scrittore (o chi sono gli scrittori) che, come diceva Holden, ti piacerebbe chiamare al telefono subito dopo aver finito un suo (loro) libro? Oggi è troppo facile contattarli, grazie a mail e social network. Per chi ha un blog poi spesso sono loro per primi a farsi avanti, anche tramite gli uffici stampa. Mi è capitato di conoscere anche quelli di cui non mi importava nulla (sono spietatamen-

te sincera). Quindi oggi come oggi chiamerei al telefono solo Italo Calvino e gli chiederei “chi o cosa non è inferno” attualmente nel mondo. Come sono legate nella tua esperienza scrittura e lettura? Sono legate a doppia mandata, una non prescinde dall’altra. Con la differenza che leggere per me è molto più bello, piacevole e naturale che scrivere. Cosa c’è in questo momento sul tuo comodino? Ci sono le poesie di Seamus Heaney. Ti si prospetta un futuro alla Robinson Crusoe su un’isola deserta: quali libri decideresti di portare con te e perché? Porterei Robinson Crusoe! E poi tutto Calvino. E le poesie della Szymborska.

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ARTINTIME MARCO MARSULLO Ha trent’anni tondi, e il suo esordio in narrativa risale al 2013 quando Einaudi pubblicò il suo “Atletico minaccia football club”, caso editoriale di straordinario successo che ha permesso alla voce di Marco di farsi scoprire… e di finire anche sulla Gazzetta dello Sport. Ha un blog, che anima con post intessuti della stessa esilarante ironia con cui scrive i suoi romanzi. A proposito, nel frattempo è uscito il secondo, “L’audace colpo dei quattro di Rete Maria che sfuggirono alle Miserabili Monache” (Einaudi, 2014), e Artintime lo ha recensito sul numero di ottobre 2014, qui: http:// issuu.com/artintime/docs/ottobre_ def_38da8735b6c593 Io leggo perché…? Perché le storie sono il motivo per cui esiste il mondo. Perché la curiosità è la più grande adrenalina della mia vita. E poi perché, da autore, devo imparare. E credo che l’unico vero modo per imparare a scrivere, sia leggere chi scrive da prima di te. Qual è il primo libro che hai letto (o il primo che ti viene in mente andando indietro con la memoria) e a quale ricordo si accompagna? Credo Marcovaldo, di Calvino. Era un’estate, ero bambino, era per la scuola. Mi piaceva leggere, ma odiavo doverlo fare d’estate. Per me l’estate era (ed è) libertà. E mi infastidiva il concetto di doverlo fare per forza in quel lasso di tempo. Infatti, i libri di dopo, quelli che leggo anche adesso, li leggo agli orari più impensabili e nei momenti più lontani dall’ordinario (non leggo in treno, in aereo, mentre aspetto). Ho deciso che la lettura sarebbe stato un momento arbitrario, e non con-

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venzionale, della mia vita. Qual è l’episodio da lettore più curioso, insolito o bizzarro che ti è capitato in prima persona o che ti va di raccontarci? Leggevo lo stesso libro di una ragazza in un vagone di una metro, a Milano. Ed entrambi ce ne siamo accorti e abbiamo cominciato a sorriderne. E, prima di scendere, notando che lei era più indietro rispetto a me, le ho detto che l’assassino era il maggiordomo. Chiaramente, quel libro non aveva assassini. Ma lì ho sbagliato, avrei dovuto chiederle il numero. Il tuo luogo preferito dove leggere? Non ne ho, davvero. Credo il letto, ma semplicemente perché mi ci ritrovo di più. C’è un libro – o ce ne sono alcuni – che non hai finito di leggere? Come mai? Pensi che li riprenderai? Alcuni, non tanti. Non ho finito Il conte di Montecristo, per esempio, ma solo perché è troppo lungo e lo leggo a puntate, quando capita. Di norma finisco sempre i libri che inizio. Anche se non mi piacciono. Chi è lo scrittore (o chi sono gli scrittori) che, come diceva Holden, ti piacerebbe chiamare al telefono subito dopo aver finito un suo (loro) libro? Christopher Moore, un genio. Ogni tanto gli scrivo su twitter e facebook, ma il cellulare ancora non ce l’ho. Come sono legate nella tua esperienza scrittura e lettura? La scrittura è stata propedeutica alla scrittura. Non esiste romanzo da scrivere senza qualcuno letto. Come idee, esempi, stile da imitare, in un

certo senso. Cosa c’è in questo momento sul tuo comodino? Una pila di una quindicina di libri. Sto leggendo Lamento di Portnoy di Roth, La chiave a stella di Primo Levi e Il paradiso degli orchi di Pennac, che non avevo mai letto (colpevolmente). Ti si prospetta un futuro alla Robinson Crusoe su un’isola deserta: quali libri decideresti di portare con te e perché? Quelli che mi sono piaciuti di più. I primi di Ammaniti, Amore mio infinito di Aldo Nove, Gioventù Cannibale, che ho letto a diciassette anni e credevo che fosse tutto il mondo. E poi porterei tutti gli autori sudamericani che non ho letto; quello della letteratura latina è un mondo che sto scoprendo bene negli ultimi anni. Così avrei anche materiale nuovo. Ma tanto isole deserte è difficile da trovarne, purtroppo. Ormai, dove arriva l’uomo arriva un low vost Ryanair.


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MICHELA MONFERRINI

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Nel 2014 Mondadori pubblica il suo esordio letterario, una delicata ed emozionante storia, “Chiamami anche se è notte”, già finalista al prestigioso Premio Calvino di Torino nel 2012. Michela non ha ancora trent’anni ma uno spiccato talento per il lavoro con le parole. Trovate la sua firma anche su svariati giornali, dove scrive di letteratura (L’indice dei libri del mese, Nuovi argomenti…), nel frattempo legge e ama la poesia, e fa l’istruttrice di nuoto. Dettaglio poco importante? Forse no, lo scoprirete leggendo la recensione al suo romanzo e la sua intervista su Artintime di giugno 2014, qui: http://issuu.com/artintime/docs/giugno_def Io leggo perché…? Leggo perché sono stata abituata a farlo, perché avevo libri in casa, perché ho incontrato i libri giusti per me, perché ogni giorno passavo di fronte a una libreria enorme e profumata di carta e specializzata in libri per bambini; leggo perché alle elementari ho avuto una maestra che non mi ha fatto odiare la lettura – si chiamava Virgilio, di cognome, ed è stata davvero un Virgilio: una guida; leggo perché sono figlia unica in una famiglia poco numerosa e leggendo ero piena di gente; leggo oggi soprattutto perché le parole mi stupiscono, e mi stupiscono i modi infiniti di metterle assieme. Leggo per rincorrere quello stupore. Qual è il primo libro che hai letto (o il primo che ti viene in mente andando indietro con la memoria) e a quale ricordo si accompagna?

Ho imparato a leggere da sola su un libro che conservo ancora, da qualche parte, di cui non ricordo il titolo, ma che era la storia di una bambina alle prese con una festa di compleanno, con la preparazione di una torta, credo. Io lo chiamavo “Codetta e Bum Bum”, ma dubito sia il titolo giusto. Era uno di quei libri per l’infanzia di cartone spessissimo e poche pagine. Ricordo che ero in macchina di ritorno dal mare, sul sedile posteriore; mia madre lo stava leggendo per me, io mi sono affacciata lì davanti e ho letto da sola. Estate 1991. Grande sorpresa nell’abitacolo, di quella sorpresa esagerata e umanissima che hanno i genitori la prima volta che un figlio fa qualcosa di nuovo. Qual è l’episodio da lettore più curioso, insolito o bizzarro che ti è capitato in prima persona o che ti va di raccontarci? Non c’è un episodio, ma ci sono continui cortocircuiti tra vita vissuta e vita letta: come quando parlo di una parola con qualcuno, una parola anche strana, desueta, o mai sentita prima, o che non mi viene, e dopo poche ore apro un libro e quella parola strana, desueta, cercata sta lì. O come quando per giorni penso a qualcosa che non riesco a definire, a dire in parole, a me stessa o ad altri, e infine un libro corre in mio aiuto. Ma questo caso è meno magico: è che vediamo nei libri ciò che vogliamo vedere. Come nelle persone, del resto. Il tuo luogo preferito dove leggere? Mi piace leggere a letto. Non riesco a leggere a lungo nei luoghi all’a-

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perto, affollati, o nei locali, perché in quel caso le persone mi distraggono, mi sembra più interessante guardare la vita. Né riesco sui mezzi di trasporto: in macchina mi viene la nausea immediatamente, in treno mi viene la nausea dopo un po’, in aereo sono troppo presa dalla paura. Però ecco, un episodio: l’estate scorsa, in Grecia, ho preso un traghetto notturno, uno di quei traghetti per i quali salendo a bordo, se non corri a prenderti i posti migliori, non avrai spazio per sdraiarti e dovrai accamparti in qualche modo. Io non avevo corso, e mi sono sistemata su una semplice poltroncina. Né avevo intenzione di dormire. Così ho preso il mio Kindle, che è pieno di libri scaricati gratuitamente in pessima traduzione e mai letti, e per la prima volta e per qualcosa come sei ore, mentre dormivano tutti, ma tutti davvero, sono finita dentro a Delitto e castigo. Quando ho smesso di leggere erano le sei, e c’era l’alba nel porto di Atene. Bellissimo, uno di quei momenti in cui “senti” la felicità.

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ARTINTIME C’è un libro – o ce ne sono alcuni – che non hai finito di leggere? Come mai? Pensi che li riprenderai? Non ho mai finito Delitto e castigo, per esempio. Avremmo dovuto arrivare un paio di ore più tardi, per farcela. Ma non ho sensi di colpa, e non considero sacro l’oggetto libro: o è sacro nel modo in cui continua a esistere incolume per milioni di persone mentre io ho la mia copia e posso sfogliarla, regalarla, abbandonarla, sottolinearla. E posso scriverci sopra, ritagliarla, metterla in un angolo e ricordarmi dopo dieci anni che i capitoli finali no, non li avevo letti, li leggo ora. Chi è lo scrittore (o chi sono gli scrittori) che, come diceva Holden, ti piacerebbe chiamare al telefono subito dopo aver finito un suo (loro) libro? Non ho quest’istinto. Se amo un libro non ho voglia di chiamare l’autore, ho voglia di leggere qualunque cosa quell’autore abbia scritto oltre quel libro. Ecco, andare in libreria dopo aver finito un libro per comprare il resto della produzione di quello stesso autore, è il mio modo di telefonargli, cioè di dirgli grazie. Solo una volta, finendo un libro di autore non conosciuto, mi sono messa davanti al computer, ma non per scrivere all’autore, che non avrei proprio saputo come raggiungere, tra l’altro; ho cercato e scritto alla traduttrice, invece, per ringraziarla del lavoro enorme che immaginavo e che mi ha confermato.

Come sono legate nella tua esperienza scrittura e lettura? Ugo Riccarelli diceva: immaginiamo un’ipotetica dittatura che costringesse le persone a prendere una decisione, e dicesse “Da domani ciascuno di voi dovrà scegliere: se essere solo lettore, o solo scrittore”. Io, diceva Riccarelli, sceglierei di esser lettore, senza neanche starci a pensare. Ecco. Niente da aggiungere. Cosa c’è in questo momento sul tuo comodino? Un libro che ho finito di leggere: Il gatto di Schrödinger di Philippe Forest; due libri che sto leggendo: Riparare i viventi, Maylis de Kerangal e La planata, Anne-Gine Goemans; tre libri in vista di un viaggio che farò a breve a Dublino: Ulysse, L’isola che scompare di Fabrizio Pasanisi, Dubliners 100 (un’antologia di nuovi scrittori irlandesi che “rifanno” i racconti dei Dubliners); due libri in “coda”: Risvegli di Oliver Sacks e Tutta la solitudine che meritate. Viaggio in Islanda di Claudio Giunta e Giovanna Silva. Ti si prospetta un futuro alla Robinson Crusoe su un’isola deserta: quali libri decideresti di portare con te e perché? Porterei senza dubbio Isole di Derek Walcott, che viene sempre con me e con la persona che viaggia con me, se andiamo su un’isola, sin dalla prima nostra isola, quando dentro al libro mettemmo un rametto di rosmarino che è ancora lì.

A lessandra Chiappori

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

RISCOPRENDO RAFFAELLO La Pinacoteca Agnelli di Torino ospita fino al 28 giugno un importante dipinto di Raffaello stabilmente custodito al Museo di Capodimonte a Napoli e per la prima volta in mostra nel capoluogo piemontese: la “Madonna del Divino Amore”. L’opera, definita da Giorgio Vasari tra le più belle del periodo romano del maestro nonché “miracolosissima di colorito e di bellezza singulare”, subì durante i secoli diversi spostamenti: da Roma fu portata a Parma e poi a Napoli dove, dopo essere stata trafugata dai nazisti per ordine di Gӧring, nascosta in una miniera di sale austriaca e poi fortunatamente recuperata, risiede tutt’oggi. Il soggetto è il Divino Amore, l’amore materno, con le figure di Maria ed Elisabetta che osservano amorevolmente i figli, il bambino Gesù e San Giovannino. In secondo piano, in ombra, la figura stante del San Giuseppe. Oltre a esporre al pubblico questo dipinto di altissima qualità, la mostra ha l’intento di presentare i risultati delle indagini condotte in occasione del recente restauro e che hanno svelato preziosi dettagli riguardo ai processi di ideazione e alla tecnica esecutiva del pittore, oltre a confermare definitivamente

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l’autografia dell’opera. In particolare la riflettografia infrarossa eseguita sul dipinto, una vera e propria radiografia che mette in luce ciò che si trova al di sotto dello strato di pellicola pittorica, ha rivelato il disegno preparatorio di mano del maestro. Questo si presenta straordinariamente dettagliato, completo di griglia prospettica all’interno della quale Raffaello studiò come collocare i personaggi principali della scena, e in alcuni punti diverso dalla versione ultimata del dipinto. Il più evidente dei cosiddetti “pentimenti” del pittore sta nella riduzione del paesaggio sullo sfondo, completo di balaustra e nel disegno preparatorio definito con precisione, che lascia spazio invece nella stesura definitiva alla figura del San Giuseppe. La mostra si articola su tre ambienti. Una prima sala riporta i disegni preparatori e quelli tratti dal dipinto; in un secondo ambiente viene riassunto da un breve filmato l’iter dei processo di restauro, evidenziando le differenze tra il disegno di partenza e la versione ultimata del dipinto; il terzo ambiente mette lo spettatore di fronte all’opera. Questa, presentata priva di cornice, inserita in una nicchia su una base rialzata leggermente di-

stanziata (che riproduce la sacralità di un altare), è immersa nella penombra della sala, dove la “Madonna del Divino Amore” è l’unico oggetto illuminato e appare quasi come una visione. Osservandola, il visitatore può godere dello straordinario equilibrio degli accordi cromatici, della sapiente definizione di alcuni dettagli, come la mano perfettamente finita della Santa Elisabetta, la delicatezza dei capelli dai riflessi dorati della Vergine, la virtuosistica trasparenza dei veli e tutte le altre qualità che fanno di questo dipinto uno degli indiscussi capolavori del grande maestro urbinate.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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ARTINTIME

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TEATRO teatro@artintime.it

FLAVIA RIPA UN MIX DI TEATRO E MUSICA Era il 2003, quando la giovane neodiplomata Flavia Ripa lasciava la terra natia, la Puglia, per costruire il proprio futuro altrove. Oggi, a distanza di dodici anni, Flavia è attrice di teatro e cinema e non solo. Le sue ultime apparizioni fondono l’arte della recitazione con il mondo della musica e della letteratura, raggiungendo un risultato originale, fatto di musica e prosa. Flavia si forma a Roma, dove si laurea in scienze umanistiche, si diploma alla Scuola Nazionale di Cinema - Centro Sperimentale di Cinematografia e frequenta a Bologna la scuola di teatro “Alessandra Galante Garrone”, dove si perfeziona come attrice di prosa. I suoi insegnanti sono del calibro di Vittorio Franceschi, Alessandra Frabetti, Bob Wilson, Daniele Salvo e Andre Casaca. La giovane età non le impedisce da subito di inserirsi nel mondo della televi-

sione e del cinema occupandosi prevalentemente di fonia. L’ironia della sorte la riporta in Puglia per il debutto del suo primo lavoro teatrale, “Esterno Amore”. Nelle sue prime produzioni, Flavia racconta storie: coppie scoppiate oppresse da terzi incomodi che interferiscono nel rapporto a due; racconti affabulati, narrati con la leggerezza della musica e sospesi sul filo del circo, tra la fiaba e la realtà. Insieme a Giulia Angeloni, Flavia assume anche la parte del cantastorie in Santi, balordi e poveri cristi, uno spettacolo che poggia sulla tecnica del teatro, ma supera le sue pareti e va incontro al pubblico in spazi non convenzionali. Dalle valigie dei cantastorie vagabondi e divertenti non usciranno solo gli abiti di nuovi personaggi fiabeschi, ma anche quelli di una donna di teatro, dal volto intenso e a tratti melanconico.

Barbara Mastria

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

BEARD Beard seemed a real trend back in 2013, you could spot every kind of man gloriously preserving his facial hair, giving it weird shapes, walking chin high to the sky with his wellgroomed smug face. Years passed and the trend hasn’t faded, actually it became a cultural phenomena inspired by the past and giving a retro vibe to modernity. Now beard reaches its best becoming shared art. The free exhibition celebrating it takes place at the South Wing of the infamous Somerset House. It consists in a series of portraits by photographer Mr Elbank in which all of the subjects sport a beard. Thanks to social media, Mr Elbank’s shots got viral and his #Project60 images viewed all over the world. Everything started when Mr Elbank was living and working in Sydney and developed an interest on beards. Through a friend he met Jimmy Niggles, an Australian charity campaigner who grew his beard and set up a charity called Beard Season following a close friend’s death from skin cancer. To give Beard Season an international audience, Mr Elbank began a series of portraits tagged #Project60, sharing his beardy muses through social networking sites. More than 1200 people wanted to participate. He selected some who travelled at their own expenses from all over the world to Mr Elbank’s UK home to sit for their portrait. Subjects of his works include actor John Hurt, models Ricki Hall and Billy Huxley, artist Gavin Turk and British bearded woman Harnaam Kaur, who

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has been growing a beard since the age of 16 when she was diagnosed with polycystic ovary syndrome (a condition which causes excess hair growth). Hirsute faces with stories and appeal is what you’ll see attending the exhibition. 80 images that make you reflect and even debate on the enduring beard trend that has no geographical barriers and resists any given label. -----------------------------------------Farsi crescere la barba era un vero e proprio trend nel 2013, si potevano osservare facilmente diverse tipologie di uomo custodire gelosamente la propria peluria, darle forme bizzarre e camminare a testa alta con sorriso compiaciuto, contornato da un’impeccabile barba ben tosata. Gli anni sono passati ma con loro non è svanita la moda dell’irsuto, anzi è diventata un fenomeno culturale che trae radici dal passato e regala un tocco retrò alla modernità. A tutt’oggi la barba ha raggiunto il suo più alto picco, diventando forma d’arte da condividere. Ne è prova l’esibizione gratuita BEARD ospitata nell’ala sud della famosa Somerset House di Londra. Consiste in una serie di ritratti eseguiti dal fotografo Mr. Elbank, in cui tutti i soggetti hanno la barba. Grazie ai social media, gli scatti di Mr. Elbank sono diventati virali e le immagini del progetto #Project60 si sono diffuse in tutto il mondo. Tutto cominciò durante il soggiorno australiano del fotografo. Vivendo e lavorando a Sydney Mr. Elbank scoprì un in-

teresse per i soggetti con la barba. Tramite un amico conobbe Jimmy Niggles, un attraente giovane australiano che iniziò a farsi crescere la barba in seguito alla scomparsa di un caro amico morto di cancro alla pelle. Jimmy è il fondatore dell’associazione di beneficienza Beard Season, nata per sensibilizzare le persone sul cancro della pelle e incoraggiarle a fare periodici controlli. Per dare a Beard Season un’audience internazionale Mr. Elbank iniziò a produrre la serie di ritratti dietro #Project60 e a condividerli su svariati social media. Più di 1200 persone entrarono in contatto con lui per far parte del suo progetto. I selezionati volarono a loro spese da tutte le parti del mondo per farsi fotografare da Elbank nella sua sede inglese. I soggetti dei suoi lavori includono l’attore John Hurt, i modelli Ricki Hall e Billy Huxley, l’artista Gavin Turk e la donna barbuta inglese Harnaam Kaur, che si è fatta crescere la barba sin dall’età di 16 anni quando le diagnosticarono la sindrome dell’ovaio policistico (malattia che causa irsutismo). Al cuore di questa mostra ci sono volti barbuti carismatici che nascondono storie inespresse, 80 immagini che fanno riflettere e a volte discutere sulla persistenza della barba, non solo come moda senza confini geografici, ma anche come modo per ribellarsi alle etichette socialmente imposte.

Cristina Canfora


SPECIAL

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ARTINTIME music@artintime.it

LE CARDAMOMO’ “Valse de Meduse”, il video presentato a Parigi nell’ottobre 2014, già da solo è valso 5 nomination e 3 premi. C’è di più, però. Il brano, iconografico della produzione della band romana Le Cardamomò, è anche un viaggio, una chiave di volta per entrare di getto in un mondo lontano, evocativo e assolutamente retrò. Facile che compaiano alla mente delle immagini in bianco e nero, dei tram, dei bistrot di Parigi e non solo. Già, perché in questo caso la lingua è il francese ma la melodia ipnotica dell’organetto richiama una vasta gamma di sonorità dell’est: è l’incontro tra il mondo balcanico, la struggente chanson française e la tradizione italiana a creare il tratto distintivo del gruppo. È l’inizio del 2010 e Antonia Harper (voce e violino), Gioia Di Biagio e Marta Vitalini (organetto) e Ivan Radicioni (chitarra e fiati) decidono di

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creare una band capace di far leva su un’idea nostalgica di vecchia Europa, di riportarci in un’epoca fatta di maschere, di balli e di incontri in piazza. Basta un solo ascolto di un brano come “Amélie”, ad esempio, per rivivere con piena potenza un mondo che non c’è più. Nostalgica e incantevole, come in “Disamore”, così la musica dei Le Cardamomò è approdata in breve tempo in festival, locali e teatri, calcando le scene più disparate: dalla Casa del Jazz a Roma al Platoon Kunsthalle a Berlino passando per la creazione delle musiche per lo spettacolo “Manchi solo tu” su testi di Concita De Gregorio in scena al Teatro Valle di Roma. Con un sound che reinterpreta brani di artisti del passato, come Edith Piaf e Lucienne Delyle, e contemporanei, come Yann Tiersen, Riccardo Tesi o Goran Bregovic, la band romana riesce a far

breccia in un genere che non riesce a non incantare. Forti di due album, l’omonimo “Cardamomò” (2012) e il poliedrico”Valse de Meduse” che comprende anche i racconti dei quattro personaggi che lo animano, i quattro artisti hanno appena completato una felice campagna di foundraising per dare il via alla loro tournée in America. Una nuova sfida, quindi per una band capace di farci sognare. Nell’attesa, dunque, che Le Cardamomò parta alla volta del Nuovo Mondo e che torni carica di nuove atmosfere da regalarci, non resta che scoprirne l’originale produzione, con un tocco di “Balcan”, un pensiero di “Tumbalalaika”, e un giro di “Le Grand Coureur”. Sapranno travolgervi! Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

UN COCKTAIL DI VERITA’ E BUGIE Come atmosfera da noir, ci siamo: lo scrittore famoso e ricco, dall’apparente vita e famiglia perfetta, va in tilt alla notizia dell’inattesa gravidanza dell’amante, si susseguono fatti delittuosi, che serpeggiano in una storia fatta di luci e ombre, segreti, bugie. Apparenze, appunto, e cose che sembrano o vengono simulate. Del resto è il titolo stesso che ci porta a meditare sul gioco che Arango intesse miscelando, come in un coktail, verità e bugie, e poi shakerando, con la giusta manualità, calibrata e rodata da anni di esperienza nel settore “segreti e bugie”, in modo che alla fine non si distinguano più i confini di una e dell’altra. Hanno i bordi frastagliati e mescolati questi due insiemi che siamo abituati a leggere come riferimento in modo manicheo. Ma in questo romanzo la morale non c’è: ci sono i fatti, ci sono le storie, a cui bisogna sapientemente stare dietro senza perdere i fili dell’intreccio né le redini del percorso, della piega che le cose, per nostra volontà o loro malgrado, hanno intrapreso. L’ambientazione “letteraria” – lui famoso scrittore che in realtà non scrive nulla perché a farlo è la moglie, l’amante editor della casa editrice in cui entriamo a conoscere altri segreti e intrecci – rimanda probabilmente alle atmosfere metanarrative di “La verità sul caso Herry Quebert”, straordinario suc-

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cesso nel mondo del thriller firmato Joël Dicker e uscito nel 2012. Ma, oltre ai toni misteriosi e alla necessaria storia poliziesca che il romanzo si porta dietro dalla prima all’ultima pagina, qui c’è meno thrilling. Sì, è vero, la vicenda è quanto mai cinica e spietata, e siamo portati a scoprire cosa sta accadendo, a voltare pagina per correre verso uno sperato finale chiarificatore. Henry, il nostro fasullo scrittore protagonista, è “il cattivo” della storia: passato oscuro, interi buchi della sua biografia, di cui non ci è dato sapere, e così a nessuno degli altri personaggi, non si fa scrupolo di uccidere con le proprie mani, e non solo il capriolo ferito che trova nel bosco. Ma Henry è anche quello che parla col cane, unico amico, che vede fantasmi nello scantinato, e che si improvvisa filantropo aiutando amici e conoscenti sia economicamente sia con encomiabili gesti. Insomma, il brillante e fascinoso uomo al centro del romanzo è anche lui un cocktail così ben dosato da non lasciarsi acchiappare: verità e bugia, ferma e risoluta spietatezza e aria di follia si sono mescolati in lui così bene da non lasciarsi leggere, e il finale, a suo modo, ci sorprende proprio per questo motivo. E forse, nello stesso modo, sono andati contaminandosi anche i generi del romanzo, che del thriller ha connotati e contenitore, in una struttura godibilissima e in una

scrittura dichiaratamente consapevole, che lascia davvero qualche attimo di fiato sospeso. Ma che però si stempera in una quasi commedia, diventata tale perché colui del quale seguiamo le azioni è così egocentricamente impostato in ogni movimento e pensata, da fornirci una scusa per sopportarne anche la crudeltà. Ogni azione di Henry è infatti meditata con accortezza e realizzata a propri esclusivi fini, per la propria salvaguardia e per lo straordinario scopo di mantenere la propria bugiarda verità intonsa da dubbi e accuse. Eppure il rischio percorre tutta la narrazione, la convinzione di non averla sfangata è il brivido costante che scuote le interiora del protagonista. Vuoi però il caso, la fortuna, o solo un pizzico di abilità nel riformulare le storie e mettere insieme le tessere di un mosaico disordinato, vuoi improvvisi e inaspettati colpi di fortuna che talvolta aiutano l’audacia del bugiardo, Henry si barcamena. Con una formula tutta sua, ma altrettanto…vera? Alternare bugie e verità in un’unica narrazione, alimentare con veridicità le une e le altre, per impastarle insieme finché nulla sia più estrapolabile. In fondo, è un po’ la ricetta di tutte le grandi storie anche in letteratura. E questa, di storia, salutata come una delle più avvincenti tra gli esordi 2015, si alimenta proprio dei classici meccanismi letterari e di genere, riplasmandoli a modo suo. Forse


BOOKS non proprio per ottenere quell’esplosivo e imperdibile esordio 2015 annunciato dalle critiche, ma di certo per regalare qualche ora di avvincente lettura. Da gustare tutto d’un fiato, con un finale che, arrivati con fiatone e suspense, vi sorprenderà!

A lessandra Chiappori

“I bugiardi tra di noi sapranno che ogni menzogna deve contenere un pizzico di verità per essere credibile. Una spruzzata di verità spesso basta, ma deve esserci, come l’oliva nel Martini. […] I fatti inventati si dimenticano in fretta, le bugie vanno imparate. È faticoso e con il tempo ogni bugia diventa una mina vagante e dunque pericolosa. Henry lo sapeva. Le bugie che si sono scordate spesso rimangono a lungo sotto la superficie e arrugginiscono, perché nessuno ci bada. Si diventa avventati, imprudenti, si dimentica. Ma gli altri non dimenticano” Sascha Arango, La verità e altre bugie, Marsilio, 2015.

SASCHA ARANGO Tra una fiera internazionale del libro e l’altra, gli editori si sono strappati di mano i diritti di questo esordio in narrativa per un autore che, tuttavia, non è proprio un novello delle storie. Sascha Arango è infatti tra i più noti – e premiati – sceneggiatori tedeschi. Che abbia deciso di trovare altre strade per le sue storie di mistero? A giudicare dal successo ottenuto, sembrerebbe aver trovato la formula giusta!

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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON FILODIRAME Questo mese Artintime vi porta a conoscere un luogo dove architettura e teatro si sposano. Nascosto nella provincia Bresciana, a Palazzolo sull’Oglio, c’è un piccolo teatro bomboniera, una perla recentemente riscoperta da un gruppo di giovani: Mario, Francesca, Marco e Matteo, quattro moschettieri che si sono lanciati in un’avventura incredibile, un progetto ambizioso e che fa ben sperare nel futuro artistico dell’Italia. Li abbiamo incontrati quasi per caso, ma non abbiamo potuto lasciarceli scappare. Dietro un gruppo di persone che lavorano insieme e condividono dei sogni, c’è sempre una grande storia. Il vostro nome è Filodirame e siete di fatto una compagnia artistica. Come vi siete conosciuti? Filodirame (tutto attaccato mi raccomando), è il nome della nostra compagnia, un nome frutto di un mese di pensieri, di brainstorming, di confronti e di condivisioni, un nome che per noi ha un senso e un valore simbolico profondo. Generalmente si parla di un “filo rosso” che unisce le persone attraverso le relazioni, noi abbiamo trasformato il filo rosso in filodirame. Il rame è un elemento che ha molteplici applicazioni che vanno dal campo artistico a quello sanitario. Un “filo di rame” che ha unito Mario Pontoglio, direttore musicale con una grandissima esperienza di musica busker – ha frequentato i più importanti festival italiani col suo gruppo di musica Folk- popolare -, Francesca Fabbrini, direttrice organizzativa, che, dopo la laurea al Dams di Torino, ha lavorato come organizzatrice al fe-

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stival nazionale di teatro ragazzi di Padova, il più antico festival di teatro per ragazzi d’Italia e che dopo aver vissuto per due anni a Parigi è tornata in Italia per esaudire il suo sogno di gestire un teatro, Marco Pedrazzetti, direttore artistico che vanta una esperienza ventennale nell’ambito teatrale spaziando dal teatro di strada al teatro per adulti e ragazzi e che ha sviluppato esperienze formative sia in Italia e all’estero e Matteo Fabbrini , responsabile marketing e fundraising, laureato in politiche culturali per lo sviluppo territoriale e attualmente partecipante al master di fundraising di Forlì. Dopo anni passati a lavorare da soli o con realtà teatrali e musicali differenti ci siamo messi, come spesso capita, intorno ad un tavolo in occasione di una cena ed abbiamo condiviso la necessità di far nascere e crescere una compagnia che raccogliesse più artisti di differenti tipologie ed espressioni artistiche che si potessero appoggiare e “trovare casa” in uno spazio bello e stimolante al fine di poter far nascere nella zona della bassa pianura bergamasca e bresciana dove abitiamo, un centro culturale che si ispira ai grandi centri culturali europei. Abbiamo quindi prima cercato un posto, dove sviluppare la nostra idea, purtroppo con scarsa fortuna. Successivamente, come avviene talvolta quasi per caso, ci hanno invitato a partecipare al bando per la gestione del Teatro Sociale di Palazzolo sull’Oglio, uno splendido teatro del 1870 sorto sui resti di una antica chiesa. Abbiamo costituito il gruppo nell’arco di un mese, abbiamo partecipato al bando e

l’abbiamo vinto con orgoglio. E con altrettanto orgoglio nell’arco di un mese circa abbiamo creato una stagione di 21 appuntamenti di Teatro, Teatro ragazzi e musica, abbiamo allestito tecnicamente il teatro che era spoglio di attrezzatura tecnica e fatto nascere una scuola artistica e uno spazio culturale. Com’è nato vostro progetto relativo alla gestione del teatro di Palazzolo sull’Oglio? Quel giorno abbiamo deciso di trovare una casa dell’arte, un teatro che potesse essere non solo un luogo di spettacolo ma anche di incontro e di confronto come avviene in tanti spazi europei, tra artisti e artisti, tra persone e artisti, tra persone e persone di tutte le fasce d’età ed estrazione sociale. Una buona alternativa alla noia, un luogo dove i giovani che spesso non trovano spazio di espressione possano trovare un terreno fertile per sviluppare la creatività, un luogo dove poter fare cultura, un teatro aperto non solo nei giorni di spettacolo ma tutti i giorni, un luogo di scambio e di crescita e dove anche gli adulti possano riscoprire il teatro come un luogo stimolante dove passare giorni, momenti o serate grazie a proposte culturali varie e interessanti. Uno spazio culturale dove il lavoro di rete, tanto millantato ma poco effettuato nella realtà, possa essere il motore che mette in comunicazione e fa dialogare realtà di un territorio molto vasto come quello della bassa pianura bergamasca e bresciana, che spesso non hanno possibilità di farlo, uno spazio dove le varie arti siano risorsa per uscire dall’impoverimento delle relazioni e dalla crisi non solo


INTERVISTANDO...

economica che sta attraversando il nostro paese in questo periodo storico. Un progetto ambizioso e un po’ folle, forse, ma pieno di speranza per il futuro, dove i giovani, attraverso il confronto con le altre generazioni, possano traghettare se stessi e le nuove generazioni verso un futuro migliore. Noi crediamo che attraverso una attenta, minuziosa e professionale rete artistica e culturale si possa di nuovo intravedere la luce in fondo al tunnel di questo periodo buio. Ci sono state delle critiche prima dell’avvio o anche in fase di avvio del vostro progetto? Il Teatro Sociale da tempo è stato chiuso e mai dato in gestione a una compagnia che se ne prendesse cura: che gestisse gli spazi, li pulisse, lo migliorasse dal punto di vista tecnico e lo aprisse con costanza e non

sporadicamente alla popolazione di Palazzolo e dei paesi limitrofi attraverso una ampia e variegate offerta formativa, culturale e di intrattenimento. Pertanto la popolazione si è dimostrata entusiasta durante il periodo di apertura, con due date sold out dove purtroppo abbiamo dovuto lasciare “fuori dal teatro” molte persone. Come detto in precedenza, la popolazione non era abituata a un’offerta costante nel tempo, quindi, dopo l’entusiasmo iniziale, durante i mesi successivi abbiamo avuto un calo delle presenze, seppur sempre con un riscontro positivo degli spettacoli e delle attività. Ora la notizia della riapertura del teatro e della qualità delle proposte sta girando e piano piano il teatro si sta riempiendo. Un mese fantastico, oltre le nostre aspettative, è stato quello di febbraio,

quando abbiamo organizzato una mostra di Burattini dal mondo con un bravissimo burattinaio bergamasco, Virginio Baccanelli. Abbiamo registrato un gran numero di presenze e dei sold out durante gli spettacoli di teatro per ragazzi. Speriamo di poter continuare così e anzi, poter fare delle repliche su più giorni degli spettacoli e concerti in rassegna. Il progetto prevede anche la collaborazione con le realtà culturali e le associazioni del territorio. Un primo avvicinamento c’è già stato con l’organizzazione, per marzo, di attività per il mese della donna con corsi di scrittura e spettacoli che hanno coinvolto anche alcune realtà di disabilità. Un progetto ampio insomma, una rete non solo artistica ma sociale come il nome del nostro teatro. Che cosa vi ha fatto capire che

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ARTINTIME

quello che stavate creando era qualcosa in cui valeva e vale la pena credere? Noi sentiamo il bisogno di valorizzare la bellezza attraverso l’arte e valorizzare l’arte attraverso la sua bellezza. Crediamo che la bellezza che l’Italia ha in ogni suo paesaggio, nel suo cibo, nelle risorse artistiche e umane e che la genialità dei suoi artisti nelle varie sfumature possa rappresentare la vera eccellenza nel mondo.La nostra è una necessità di comunicare utilizzando gli strumenti artistici per poter creare e proporre cultura. La cultura rappresenta la risorsa per l’essere umano, per il bambino, l’adulto, e l’adolescente: il termine cultura deriva dal verbo latino colere, “coltivare”. Coltivare le giovani generazioni, ed educarle alla cultura apre la mente, favorisce i rapporti, crea adulti migliori, lavora-

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tori migliori e una società migliore. Pertanto, creare queste occasioni all’interno di un luogo meraviglioso come il Teatro sociale rappresenta un valore aggiunto. Sappiamo che in questo momento e in un territorio poco abituato a simili iniziative, questo tipo di proposta è stato forse un azzardo, ma vedere il pubblico e le persone tornare a trovarci, venire a teatro, sentire commenti positivi rispetto al lavoro che si sta facendo e trovare sempre più persone che “fanno il tifo per noi” è una grandissima opportunità per la popolazione di Palazzolo e uno stimolo anche per altri. Questo ci dà la forza e la carica per fare sempre di più e sempre meglio. Il teatro viene sempre visto come qualcosa di elitario o comunque poco in linea con le

persone “comuni”, vi è mai capitato di scontrarvi con questa mentalità? Nel caso, come avete risposto? Già, purtroppo è ancora così... come stiamo rispondendo? A suon di eventi che fanno capire che il teatro è per tutti, con una pubblicità e una grafica semplice, ma moderna e accattivante, una politica “social” anche se sappiamo che questo non basta. Stiamo avvicinando le varie generazioni con gite a teatro dove i bambini vengono messi al centro della scena e possono conoscere e riconoscere i ruoli e i protagonisti (professionisti) che si nascondono dietro al lavoro artistico e di vivere il teatro come “luogo amico”. Proponiamo spettacoli di qualità ma leggeri e alla portata di tutti. Organizziamo incontri e laboratori


INTERVISTANDO... semplici ma particolari. Stiamo sviluppando una campagna che abbiamo chiamato “Esci dal guscio” per far capire che il teatro, il nostro teatro vuole essere un luogo aperto a tutte le generazioni, che tutti ne possono usufruire a vari livelli, dove le persone siano coinvolte attraverso gli eventi e le attività. Vogliamo un teatro sociale, una sorta di portale social non virtuale ma reale, dove gli incontri e la qualità delle proposte rappresentano l’elemento fondamentale. Il teatro è libertà e gli artisti sono quei folli che vogliono esprimere e dare voce a questa sensazione che tutti, in realtà, vanno cercando. Venite a teatro e lasciatevi sorprendere, sarà come mangiare del buon cioccolato...quando lo proverete, non potrete più farne a meno! Nel cartellone proponete diverse stagioni teatrali, sulla base di cosa selezionate gli spettacoli? Qualità e diversità. Abbiamo voluto dare spazio a giovani compagnie, che si sono fatte riconoscere per la qualità delle proposte e per la necessità di emergere, e ad artisti di alto profilo conosciuti che volessero condividere la nostra idea di teatro e il nostro progetto di educazione culturale. Abbiamo cercato di dare spazio a vari generi, sia di teatro per adulti che per bambini. Lo stesso ragionamento è stato fatto anche per la stagione musicale. Una stagione di tutti e per tutti, per far venire tutti a teatro. Una stagione della quale siamo molto soddisfatti. Una particolarità del vostro Teatro è quella di non essere solo un luogo dove vedere gli spettacoli: accanto a questi proponete anche dei laboratori. Com’è nata questa scelta? Abbiamo sempre pensato a un teatro come una casa, e il nostro pro-

getto non poteva che esser questo. Siamo artisti di giro e giriamo spesso per teatri ed eventi. In noi è nata la necessità di trovare un posto dove fermarci o forse da dove ripartire. Tanti artisti come noi sono in cerca uno spazio e noi abbiamo avuto la fortuna e il coraggio di averlo e di investirci. Uno spazio, il nostro, molto particolare che si presta a varie attività e varie proposte. La nostra curiosità e il fatto che ci siamo ispirati a centri culturali europei ci hanno fatto credere che sia arrivato il momento, anche da noi, di far sviluppare un teatro così, aperto non solo agli eventi, ma che possa esser un punto di riferimento, un luogo dove formarsi, condividere e informare.

Una casa per artisti, per un collettivo artistico, una casa dell’arte. Il teatro di Palazzolo sull’Oglio ha anche un’altra particolarità, questa volta architettonica, che trovo davvero interessante. Ce la raccontate? Il teatro, costruito nel 1870, è sorto sulle rovine di una vecchia chiesa Romana, è nato dalla volontà di un gruppo nobili palazzolesi. Questo lo rende un luogo estremamente affascinante perché ricco di opere d’arte, dipinti, affreschi (ha anche un fondale affrescato che è stato oggetto di varie tesi). Il suo ingresso, non direttamente sulla strada ma all’interno di un cortile abitato, si presenta con il chiostro del vecchio convento. Dopo

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ARTINTIME essere passati dalla biglietteria, che è situata nelle vecchie celle dei monaci, si entra nel teatro: una piccola bomboniera, un teatro all’italiana di 134 posti molto caratteristico, pieno di storia e con molte sale affrescate, che ha molti limiti tecnici ma che ha anche tantissime particolarità e possibilità. Uno spazio che per troppo tempo è stato chiuso e lasciato deperire, e che ha bisogno di vedere nuova luce. Uno spazio che potrebbe essere meta di visite culturali ampliando così il turismo culturale della città di Palazzolo. E se voleste visitarlo, abbiamo costituito una piccola foto gallery del teatro e della stagione sul sito www.teatrosocialepalazzolo.it. A breve introdurremo anche una visita virtuale nel teatro così da poter stuzzicare le fantasie di molti e invogliare le persone a venirci a trovare realmente. Forse è presto per fare un bilancio della vostra attività, ma ad oggi come sta procedendo questa sfida? Dal punto di vista del pubblico e della soddisfazione personale molto bene. La gente che viene a teatro è molto contenta del luogo e delle proposte, le compagnie si stanno trovando bene e questo è un altro punto importante su cui vogliamo lavorare. Certo i numeri non sono ancora quelli che speravamo, ma stiamo lavorando e crediamo che presto il nome di questo spazio e della nostra compagnia possa essere sinonimo di qualità e di cultura facendo crescere i nostri sostenitori, gli appassionati di arte, il pubblico o anche solo

i curiosi che vogliano passare del buon tempo nel nostro Teatro e con noi. E prossimamente? Potete darci qualche anticipazione su come si evolverà il vostro progetto? Prima di tutto abbiamo finalmente ottenuto che Laura Kibel, un’artista conosciuta a livello internazionale con i suoi spettacoli molto particolari, possa concludere la nostra stagione che, ci auguriamo, finisca come è iniziata. Non ci dispiacerebbe, in senso buono intendiamo, dover dire alla gente che purtroppo abbiamo il teatro “TUTTO ESAURITO”. Stiamo collaborando con grandi giovani artisti che stanno abbracciando il nostro progetto: Martina Pilenga dei Kataklò, Giulia Rossi, una bravissima danzatrice, Angelo Ceribelli e Yuri Plebani per poter creare con loro un Collettivo Artistico e ampliare le proposte formative e performative creando spettacoli che possano essere un mix di varie arti e ci auguriamo che altri artisti sentano la necessità di condividere la nostra strada e accrescere il progetto. Sono già in cantiere nuove produzioni e nuovi debutti e speriamo che a breve sentiate parlare di noi anche per le nostre produzioni oltre che per il nostro progetto. Infine, ma non meno importante, il bando per la gestione del teatro per ora è solo di 2 anni. Sarebbe fantastico poterlo vincere di nuovo e far diventare il Teatro Sociale un punto culturale stabile per la bassa pianura lombarda e non solo. Puntiamo troppo in alto? Forse, ma già che sogniamo a noi piace farlo in grande! Grazie di cuore a tutti voi per l’intervista, a presto!

Francesca Cerutti

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