Artintime N. 12 - Dicembre

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ART

IN TIME n.12- Dicembre 2015

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE In scena c’è un ideale ascensore, luogo chiuso per antonomasia grazie al quale noi spettatori di teatro possiamo entrare, senza essere visti. All’interno dell’angusta gabbia, quattro donne, bloccate dentro. Cosa accade quando un ostacolo blocca il flusso inarrestabile e un po’ superficiale delle nostre vite quotidiane? A solleticare la domanda, in particolare, è stato lo spettacolo della compagnia Terra Vergine che Artintime ha seguito in una delle repliche torinesi. Una soluzione artistica – e assai godibile e ironica – attraverso la quale provare a fermarsi un attimo, magari non nel claustrofobico e limitato spazio di un ascensore bloccato, per meditare su tutte quelle trasformazioni che il vivere in società e l’attraversare correnti di culture e mode ci impone, sulle quali plasmiamo noi stessi. Forse è solo una perdita di tempo, un rallentare rischioso – noi che seguiamo le sorti di un giornale lo sappiamo bene -, ma quanto influirebbe sulla qualità della nostra esistenza fermarci un attimo in più dopo aver chiuso un libro, aver finito di vedere un film, aver ascoltato un disco nuovo e sviscerare le emozioni e i pensieri che ci ha comportato? Un po’ come Albus Silente, l’anziano e saggio mago della saga di Harry Potter, che estrapolava ricordi dalla sua mente grazie all’incantesimo imposto con una bacchetta in direzione delle tempie, sarebbe bellissimo conservare ogni cosa appresa, scoperta con emozione o con dispiacere, ogni speranza, entusiasmo e sogno che abbiamo scoperto essere nostro grazie al confronto – un po’ catartico! – con qualche opera artistica. È dicembre, e come tutti gli anni, l’ultimo mese porta con sé non solo l’arrivo dell’inverno e il piacevole clima natalizio fatto di luci, tazze di tè e dolci speziati, ma incombe su ognuno con il peso dei bilanci che, volente o nolente, siamo portati a farci. Bilanci concreti, nero su bianco, ma anche bilanci immaginari, che gravano sulla nostra serenità e ci aprono a speranze per il nuovo anno, quaderno dalle pagine immacolate che ci apprestiamo ad aprire il primo gennaio. E se sfruttassimo quelle pagine come mezzo sul quale riportare le traduzioni che ogni volta attraversano la nostra mente, tra noi e i libri, noi e i film, noi e gli spettacoli a cui assistiamo, noi e le melodie che ci attraversano, noi e i colori di un quadro che ci piacciono inspiegabilmente? Diventeremmo persone diverse, più profonde e consapevoli? Riusciremmo a non perdere niente del flusso di dati infinito che ogni giorno affrontiamo aperti gli occhi? Chi lo sa? Solo provando capiremo quanto e come arrestarsi sulla superficie infinita delle cose (ah, gli echi di Italo Calvino e del suo Palomar…) e preferire un po’ di scavo intimo e personale giù, nel profondo, saprà arricchirci e darci nuovi punti di vista una volta risaliti sulla linea di galleggiamento. Ma, come dicevamo, è dicembre: perché non riempire una scatolina con questo proposito e viaggio avventuroso e non riporla con curiosità sotto l’albero dei desideri che ci auguriamo di soddisfare nell’anno nuovo? Noi di Artintime faremo questa prova, a voi scoprire i risultati, leggerli e sfogliarli nelle recensioni e articoli che ne verranno fuori e, perché no, condividerli con i vostri, per costruire insieme un nuovo modo di scoprirci e scoprire le cose belle che l’arte sa offrirci. Buone feste, buona lettura e l’augurio di un luminoso 2016! Alessandra Chiappori

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chuck@artintime.it

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . HINDI ZAHRA by Angelica Magliocchetti

8 . 21 OTTOBRE 2015: IL NOSTRO RITORNO AL FUTURO by Matteo Ghidella

12 . OCCHI SUL ROMANZO by Alessandra Chiappori

14 . IL MITO DI RAFFAELLO IN MOSTRA ALLA REGGIA DI VENARIA by Roberta Colasanto

16 . CON TERRA VERGINE SULL’ASCENSORE by Alessandra Chiappori

20 . SALVARIO by Angelica Magliocchetti

22 . UNA COMMEDIA PER SITUAZIONI INATTESE by Alessandra Chiappori

24 . Paratissima è una HIT PARADE by Redazione

26. LARGO AI (GRANDI) VECCHI by Emilio Audissino

28. TEXTILE INTERIORS by Alessandra Chiappori

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ARTINTIME

HINDI ZAHRA Di origine marocchina, francese d’adozione, Hindi Zahra, debutta nel 2009 con un Ep omonimo, seguito l’anno successivo dal suo primo album. Prodotto dall’etichetta Blue Note Records, “Handmade” è subito un successo, tanto che sfreccia alla posizione 17 della classifica francese e ottiene nel novembre dello stesso anno il Prix Constantin come album rivelazione. Un primo lavoro che rappresenta un esordio affascinante, un po’ jazz, un po’ folk, dal sound ondeggiante, dal richiamo sinuoso. Difficile non farsi incantare da “Fascination”, o da “Oursoul” ,in lingua araba e dal retrogusto di terre lontane. Un brano, però, ottiene particolare risalto: “Beautiful Tango”, una meravigliosa ballata, ritmata, pizzicata e girovaga. Dopo un esordio nel mondo del cinema, nel 2015 esce il secondo album della cantate francese: “Homeland”. Più maturo, più elegante, registrato tra un riad della medina di Marrakesh, uno studio di registrazione parigino e la cit-

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tà di Cordoba questo nuovo lavoro mette in risalto quell’anima gitana che è traccia distintiva dell’artista. Nasce così il sound sudamericano di “Silence”, uno nuovo linguaggio tra l’inglese e il dialetto marocchino in “Cabo Verde”, la bossa di “Can We Dance”, la vita di un amore in “Un jour” e la sognante, cullante, “La Luna “. Ascoltare Hindi Zahra è un viaggio nel mix delle culture mediterranee, è perdersi nel deserto e ritrovarsi in un boulevard parigino, seppure sempre in equilibrio. Premete il tasto play, dunque, e... enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME 21 OTTOBRE 2015: IL NOSTRO RITORNO AL FUTURO Il 21 Ottobre 2015 Marty McFly e il Dottor Emmett Brown sono finalmente arrivati nel futuro. A bordo di una DeLorean volante. Una data storica, che ci riproietta in un attimo a trent’anni prima, quando cominciava l’avventura creata da Robert Zemeckis e interpretata da Michael J. Fox e Christopher Lloyd: “Ritorno al futuro”, la trilogia cinematografica forse più famosa e apprezzata di tutti i tempi. Quali sono i segreti di “Ritorno al Futuro”? Perché ha avuto un successo così straordinario? Perché non ci si stanca mai di guardarlo? E soprattutto, perché è così qualitativamente alta senza mai perdersi, nonostante tre film e un’idea, tutto sommato semplice, di trama? “Ritorno al futuro” è innanzitutto la storia di un’amicizia molto particolare: quella tra un normale adolescente con poca voglia di studiare, la passione per la musica e le belle ragazze, e uno scienziato cinquantenne un po’ svitato, che passa le sue giornate nella casa laboratorio nella quale lavora, dove progetta le invenzioni più particolari e strampalate. Un’amicizia profonda che non viene mai realmente spiegata, non conosciamo il passato dei due personaggi e il perché siano

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diventati così uniti, semplicemente sappiamo che si vogliono bene e passano molto tempo insieme. Il ragazzo, Marty McFly, appartiene a una famiglia molto strana, nella quale si sente un estraneo: il padre è un debole impiegato, succube e quasi schiavo del suo capo, Biff, la madre è una donna frustrata e sciatta, i fratelli, maschio e femmina, lo specchio dei due genitori. L’unico che non ha apparenti problemi caratteriali e che cerca di vivere normalmente le sue giornate è proprio Marty. Lo scienziato, il Dottor Emmett Brown (soprannominato affettuosamente Doc), vive solo e ha come unico amico, oltre all’adorato cane Einstein, lo stesso Marty, il solo che sembra capirlo e dargli credito. La vicenda comincia quando il Dottor Brown presenta a Marty la sua nuova straordinaria invenzione: una macchina del tempo sotto forma di automobile, una DeLorean. A causa di un incidente, Marty si ritroverà quella stessa sera indietro nel tempo di trent’anni, esattamente nel 1955, e nello specifico proprio nei giorni in cui i suoi genitori si sarebbero visti e parlati per la prima volta. Le peripezie del giovane ragazzo proiettato nel passato saranno infinite e lo vedranno inter-

rompere proprio l’incontro dal quale anni dopo egli nascerà. Con l’aiuto di un giovane Doc Brown, rintracciato fortunosamente da Marty e convinto della veridicità della storia, riuscirà a rimediare al suo errore e anche cambiare parzialmente il futuro, dando al padre la possibilità di riscatto nei confronti del suo futuro capo, Biff, all’epoca suo compagno di scuola. Quando tutto sembra essersi risolto nel migliore dei modi, Doc convince Marty a volare nel futuro con lui, proprio nel 2015, dove occorreva risolvere i problemi della sua futura famiglia. Ha così inizio il secondo capitolo della trilogia, molto più articolato e ricco di colpi di scena: un futuro reale, un presente alternativo, ancora una volta il passato del primo film e, alla fine, un nuovo viaggio casuale, ancora nel passato, nell’epoca storica preferita da Doc Brown: il selvaggio west. Il terzo capitolo, interamente ambientato in questo scenario, vedrà Marty andare a salvare il suo carissimo amico, con cavalcate, amori e duelli a colpi di pistola. Quando tutto tornerà alla normalità, rimarranno nella nostra memoria le meravigliose avventure vissute con questi due particolari personaggi


e con i loro incredibili viaggi, nella consapevolezza che difficilmente la bellezza e la semplicità di certe storie possano venire eguagliate ai giorni nostri. La grande forza della trilogia di “Ritorno al futuro” è proprio la sua semplicità. I rapporti tra i personaggi sono immediati e diretti, forse leggermente stereotipati ma occorre tener conto dell’epoca storica in cui i film sono stati girati e del target a cui puntavano, sia come storia che come spettatori. Ci sono i buoni, i cattivi, i forti e i deboli, nello schema classico della narrazione. E ai due protagonisti ci si affeziona immediatamente, sia per la qualità dell’interpretazione dei due attori, immensi, sia per il carattere disegnato per loro, brillante e simpatico a prima vista. Il vero punto di forza della trilogia è

comunque senza dubbio la storia. I viaggi nel tempo sono sicuramente un tema affascinante e di facile interesse per lo spettatore, ma il modo in cui sono stati narrati è certamente unico e irripetibile. C’è un’atmosfera favolistica che permea la trilogia, una vicenda che si snoda intorno a colpi di scena che tengono incollato lo spettatore, nella speranza che tutti i pezzi del puzzle prima o poi si ricompongano e che i personaggi ritrovino la loro serenità. Tutta la vicenda e i suoi colpi di scena vengono raccontati con un ritmo incalzante e mai rallentato, e una colonna sonora vivace che accompagna i momenti più intensi e con più suspense. Il ritmo che accompagna la storia è fondamentale per lo spettatore, che viene coinvolto nella classica avventura e ha poco tempo per

pensare alle eventuali discordanze della trama o ai piccoli buchi narrativi che certamente ci sono, si deve concentrare esclusivamente sullo sviluppo della vicenda e su come i protagonisti possano riuscire a districarsi dalle complesse situazioni in cui vengono proiettati. Il ritmo, la simpatia dei personaggi, le ambientazioni, l’ironia di fondo, indispensabile in film come questo, destinati ad un pubblico pressoché universale, sono i segreti che rendono la trilogia immortale e mai stancante. Nonostante si imparino le battute a memoria, difficilmente passa la voglia di tuffarsi dentro a quel mondo per l’ennesima volta per riscoprire le avventure di Marty e Doc. I film, poi, sono tutti e tre di altissimo livello qualitativo. Il primo presenta una trama tutto sommato lineare, nella quale è avvincente vedere come il giovane Marty deb-

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ba convincere la madre a disinnamorarsi di lui ma farsi attrarre dal padre, per salvare la sua vita e quella dei suoi fratelli; il secondo è molto più intricato e presenta colpi di scena e maggiori complicazioni spazio-temporali, risultando leggermente più difficile da seguire ma decisamente avvincente ed elettrizzante; il terzo, infine, è il più anomalo. Non ci sono incontri presente-passato-futuro, bensì semplicemente un’ambientazione nuova per i protagonisti, nella quale comunque la storia viene espressa in maniera altrettanto interessante e avventurosa. La trilogia di “Ritorno al futuro” è divenuta, in questi anni, una compagnia straordinaria per generazioni di persone. Per i nati negli

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anni ottanta è un classico d’infanzia, per i più giovani o più grandi è comunque una perla unica, capace di unire tutti sotto l’univoco giudizio di “irripetibile”, “indimenticabile” e “indispensabile”. “Ritorno al futuro” è la compagnia della domenica sera fredda e noiosa, quando si accende la tv e si scopre che, per l’ennesima volta, qualche canale ha deciso di riproporlo, cambiando la nostra serata e proiettandoci a Hill Valley con Doc e Marty. È la voglia di scoprire se anche questa volta Doc riuscirà a unire quel cavo della corrente alla fine del primo film e far ripartire Marty. È citazioni su citazioni, che risuonano nella nostra memoria senza mai andarsene. È la DeLorean dei nostri sogni, quella che deve percorrere 88 miglia orarie per partire nel

tempo e che, a un certo punto, non avrà più bisogno di strade perché potrà volare. È, semplicemente, una piccola parte di storia per tutti noi, uno di quei ricordi indelebili ai quali nessuno può rinunciare. Il 21 Ottobre 2015 tutti abbiamo festeggiato l’arrivo di Doc e Marty, condividendo una data apparentemente insignificante. Non siete ancora convinti dei poteri di questa trilogia? Quando iniziate una conversazione con uno sconosciuto, per andare sul sicuro provate a parlare di “Ritorno al futuro”: il ghiaccio si romperà molto più facilmente!

Matteo Ghidella


MOVIES SERIE TV

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ARTINTIME OCCHI SUL ROMANZO “Il cuore girevole”, opera prima dell’irlandese Donal Ryan, è tutto fuorché un romanzo banale da cui aspettarsi piacevoli conferme. La lettura, per contenuti e per tecnica di scrittura, vi destabilizzerà e allo stesso tempo riuscirà ad avvincervi. Partiamo dai contenuti: siamo nell’Irlanda del post bolla speculativa. Forse non a tutti è noto che insieme alla recessione vissuta da tutta Europa, nel 2009 il paese vide un crollo straordinario dei prezzi immobiliari, che contribuì in modo notevole alla paralisi economica dell’Irlanda. A monte di questa rovinosa caduta, una bolla speculativa aperta sul mercato degli immobili, che portò tra le altre cose a un numero di assunzioni spropositato di impiegati nel settore edilizio e a un incremento vertiginoso dei prezzi delle case. Ecco in quale contesto si sviluppa questa storia: villette a schiera deserte, un’intera impresa edile fallita, i cui diversi operai scoprono improvvisamente di non aver avuto i contributi previdenziali pagati e si trovano a fare i conti con la mancanza di lavoro e di salario. Siamo in un villaggio irlandese, la cui caratteristica è quella di accogliere piccole e ordinarie storie il cui intreccio riesce a dar vita a una trama che includerà

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anche omicidi e rapimenti. Un set di storie familiari disastrate, acrimonie e rancori passati e presenti, disoccupazione e pettegolezzi alimenta il procedere degli eventi. Una storia che non è solo corale nel suo contenuto, ma che di questa caratteristica fa il suo perno centrale anche per quanto riguarda la costruzione stessa del romanzo. I capitoli sono ventuno, come ventuno sono anche i narratori: uno per capitolo, sempre diverso, dall’operaio buono alla ragazza madre, una serie di capitoli come piccoli racconti a se stanti, narrati da una prima persona il cui punto di vista contribuisce a restituire una tessera personale, una prospettiva centrata sull’io. Ma quest’io è destinato a cambiare a ogni capitolo, allargando i mondi possibili e i punti di vista del romanzo e permettendo al lettore, dapprima disorientato, di fare la conoscenza dei diversi personaggi e, attraverso i loro racconti in prima persona, di ricostruire tessera per tessera un mondo che in realtà è ben più grande del piccolo giardino di loro. Un congegno narrativo tutt’altro che banale, che permette una sempre nuova visione dei fatti e un approccio alla storia certo non immediato, ma bisognoso di una partecipazione attiva da parte del let-

tore. Quel che accade attraverso le ventuno narrazioni in prima persona dove personaggi ogni volta diversi sfogano direttamente ansie, paure, rancori e delusioni, frustrazioni e ambizioni, è il delinearsi di una storia. Per quanto si tratti di ventuno punti di vista, l’autore non si limita a sommarli per dipingere un quadro statico, li dinamizza invece, creando il movimento narrativo, facendo procedere la storia. E così, raccogliendo informazioni da voci diverse, il lettore segue i fatti e il loro delinearsi lungo l’arco narrativo. Con un’attenzione che dapprincipio richiede uno sforzo di adattamento, il meccanismo si innesca poi spontaneamente, garantendo coerenza nella lettura e generando la giusta suspense in un costante gioco con il lettore che contraddistingue l’approccio a questo romanzo. Un romanzo la cui storia è in realtà tutt’altro che giocosa ma pregna di drammaticità. La lingua degli abitanti del villaggio, valutato il contesto, è graffiante e rude, densa di umanità delusa dalla vita e affogata nei trascorsi familiari e nelle difficoltà quotidiane. La parola che si snoda in prima persona sprigiona vivacità e garantisce una voce personale a ogni capitolo, contribuendo da sola e delineare ciascun personaggio nella propria interiorità, nei propri valo-


BOOKS ri e nelle relazioni con gli altri. Grazie a questo potente e complesso lavoro di scrittura – di lingua e costruzione narrativa – può così prendere vita una storia basata su fatti reali, utile ancora una volta, come ogni opera letteraria che si rispetti, a raccontare con una nuova prospettiva di insieme gli eventi

A lessandra Chiappori

““Davanti casa c’è un cancelletto al centro del quale un cuore di metallo rosso è incardinato su di un perno girevole. La vernice si sta scrostando e il rosso è quasi andato. Ha bisogno di essere scartavetrato, sabbiato, ridipinto e oliato. Però quando tira vento gira ancora e mentre mi allontano a piedi lo sento cigolare. Un cuore girevole, scrostato e cigolante”. Donal Ryan, “Il cuore girevole”, Minimum Fax, 2015

Donal Ryan Si è affermato ormai come autore l’irlandese Donal Ryan, con le opere che hanno seguito il suo esordio letterario, che arriva ora in Italia sulla scia dei grandi successi ottenuti nel paese di origne. “The Spinning Heart”, questo il titolo originale de “Il cuore girevole”, è stato infatti accolto con grande positività alla sua uscita, guadagnandosi nel 2012 l’Irish Book Awards per il primo romanzo e come libro dell’anno, nel 2013 il Booker Prize e il Guardian First Book Award, e nel 2015 l’European Union Prize for Literature.

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ARTINTIME IL MITO DI RAFFAELLO IN MOSTRA ALLA REGGIA DI VENARIA La suggestiva cornice della Reggia di Venaria ospita fino al 24 gennaio la mostra evento “Raffaello, il Sole delle Arti”. L’esposizione presenta 130 opere di vario genere, dai dipinti alle stampe, dalle maioliche agli arazzi, articolate attorno ad alcuni capolavori del Genio Urbinate: Raffaello, il pittore per eccellenza. Vero e proprio mito che durò nei secoli e non smise di influenzare profondamente gli artisti che seguirono, l’arte di Raffaello è qui raccontata con una speciale attenzione ai manufatti delle cosiddette arti applicate ispirati alle sue opere. La mostra si apre con dipinti di personaggi che segnarono la formazione del celebre artista: Giovanni Santi suo padre, il Pinturicchio, Luca Signorelli, il maestro Pietro Vannucci detto il Perugino. Con quest’ultimo Raffaello collaborò per la realizzazione della predella (parte inferiore di una pala d’altare di dimensioni maggiori) con le storie della vita di Maria, proveniente dalla chiesa di Santa Maria Nuova di Fano, di una immediatezza quasi bozzettistica e di una qualità commovente. Tra i ritratti realizzati dall’artista spiccano quello di Elisabetta Gonzaga, del 1502, proveniente da Firenze e il celebre

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ritratto di donna noto anche come “La Muta”, caratterizzato, oltre che dall’eccezionale finitezza pittorica, dalla resa dell’ attitudine profonda e quasi enigmatica dello sguardo della giovane raffigurata, una sorta di “Gioconda” di Raffaello. Segue una sezione dedicata alle Madonne di Raffaello e alla loro fortuna, ben rappresentata dalla “Madonna del Granduca”, proveniente dal fiorentino Palazzo Pitti, esempio di straordinaria delicatezza d’espressione e di colorito. Grandi protagoniste dell’ esposizione sono poi le stampe di traduzione, veicolo privilegiato di circolazione dei modelli raffaelleschi studiati e poi trasposti sui più diversi supporti, realizzate mediante incisioni a bulino. Uno dei più noti traduttori in incisione delle opere del maestro fu Marcantonio Raimondi, di cui si ammirano diversi esemplari di stampe. Emblematica, poiché racchiude l’intero senso della mostra, è la sala che espone il quadro la cui immagine svetta sui cartelloni pubblicitari che tappezzano Torino e dintorni: “La Visione di Ezechiele”. Dipinto ad olio che, con grande sorpresa degli spettatori abituati alle dimensioni del manifesto, è più piccolo di un comune foglio da

disegno. Una piccola opera di altissima qualità tanto da venire replicata più volte, come sull’arazzo postole di fronte in quella stessa sala, o in un disegno acquerellato del grande Rubens. Ma la vera chicca è sul finale: la magnifica e celeberrima pala con l’ “Estasi Santa Cecilia”, giunta da Bologna a Venaria a mostra già iniziata. Un trasferimento che ha suscitato non poco scalpore vista la forte carica identitaria che il dipinto, ammirato e studiato da tutti i più grandi artisti nei secoli, riveste tutt’oggi per la città emiliana. Un’opera esemplare nel disegno, nel colore , nella disposizione, con un eccezionale brano di virtuosismo nella natura morta di strumenti musicali raffigurati ai piedi della santa patrona della musica, tanto realistici da sembrare tangibili. Un caposaldo della storia dell’arte, ancora per un paio di mesi in territorio sabaudo: approfittatene.

Roberta Colasanto


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CON TERRA VERGINE SULL’ASCENSORE Artintime ha avuto il piacere di assistere al divertentissimo “L’ascensore”, il loro spettacolo andato in scena il 22 novembre scorso al Blah Blah di Torino grazie a Palco Oscenico nell’ambito della rassegna Off Stage. Loro sono Giulia Berto, Chiara Porcu, Sabrina Scolari e Federica Barbaglia, le talentuose ragazze della compagnia teatrale Terra Vergine. Le abbiamo incontrate per chiacchierare un po’ con loro a proposito della compagnia, dei suoi lavori e progetti, tra cui naturalmente “L’ascensore”. Terra Vergine: un nome per 4 componenti. Ci raccontate chi è ciascuna di voi? Sabrina: Ho mosso i primi passi nel mondo dell’arte attraverso la danza e la poesia, poi mi sono diplomata come attrice all’Accademia dello Spettacolo di Torino. Durante il mio percorso ho lavorato e studiato fra gli altri con Andrea Battistini, Marco Cavicchioli, Danny Lemmo, Ivan Fabio Perna e Jon Laskin. Giulia: Mi sono diplomata all’ac-

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cademia Scuola di Formazione Attori di Torino, dove ho studiato recitazione, canto e danza. La mia esperienza è varia e spazia da collaborazioni con registi teatrali quali Andrea Battistini, Fabiana Gariglio e I.F.Perna a cortometraggi e videoclip. Mi occupo inoltre di formazione grazie al progetto di mia creazione T.in.C - Teatro in classe. Federica: Ho conseguito il diploma in Teatro dell’Innovazione presso la Casa del Teatro Ragazzi e Giovani di Torino. Sin dall’infanzia ho amato la recitazione e mi sono impegnata in svariati progetti in molte scuole torinesi. Ho lavorato con Andrea Battistini per il Ctb Stabile di Brescia e ho prestato la voce per molti spot web. Elaboro e gestisco progetti teatrali per bambini e adolescenti. Chiara: Mi sono diplomata in una accademia di musical torinese e successivamente al Teatro Nuovo di Torino. Ho avuto l’onore di poter studiare con grandi docenti come Micheal Margotta, Denny Lemmo, Dimitri Bomologov e Daniel Mcvi-

car. Ho collaborato con molte compagnie portando in scena capolavori come “La Dodicesima Notte” e “Lisistrata”. Quando nasce la compagnia, a quale scopo, e come mai porta questo nome? La compagnia nasce quasi per caso in una giornata dell’aprile 2014, dopo esserci conosciute ad un laboratorio teatrale. Ci siamo unite perché abbiamo scoperto una visione simile di fare teatro, un teatro che punti alla riflessione e metta in luce determinati problemi sociali che toccano spesso noi per prime. Applichiamo un metodo quasi scientifico che da una tesi si sviluppa tramite l’osservazione per arrivare alla performance vera e propria. Il nome Terra Vergine è una metafora che racchiude in sé gli intenti della nostra compagnia. Infatti, una terra vergine è un substrato in cui puoi piantare e far crescere qualsiasi seme, allo stesso modo la nostra compagnia dà vita a spettacoli teatrali e non solo, dando loro la possibilità di nascere e crescere


TEATRO

Foto di Daniele Robotti www.robotti.it

con costante nutrimento. Crediamo che il nostro lavoro possa creare qualcosa di bello, su una “terra vergine” capace di accogliere e far nascere progetti, far ritrovare emozioni ormai perse. Questo concetto ha dato vita sia al nome sia al nostro logo, ideato e realizzato da Jolanda Fiaré, una giovane grafica che collabora spesso con noi e che con il nostro staff realizza i nostri desideri! Siete anche autrici dei vostri spettacoli: come lavorate, da cosa prendete spunto e quale apporto dà ciascuna di voi, con le proprie esperienze, al risultato finale? Ci ritroviamo spesso a parlare degli argomenti che ci toccano, e dal confronto nascono le idee per i nuovi progetti oppure, alle volte, le occasioni arrivano dall’esterno e insieme valutiamo se sia il caso di svilupparle o meno. Ogni

nuovo progetto parte dalla lettura di testi, romanzi, saggi, testimonianze e colei che ha avuto l’idea originale inizia a creare un copione. Il lavoro, in seguito, viene condiviso, ognuna esprime le proprie opinioni e durante le varie sessioni di prove il testo si perfeziona fino a prendere una forma definitiva. Lavoriamo molto bene insieme, abbiamo energie diverse, ma riusciamo a renderle univoche, cercando sempre di rispettare il lavoro e l’impegno di ognuna di noi. Abbiamo un rapporto molto bello: siamo attrici e colleghe, ma anche amiche ed è forse questo il nostro segreto. Come è avvenuto il vostro debutto con Terra Vergine? Nell’aprile 2014 ci fu chiesto di creare uno spettacolo come even-

to conclusivo di un laboratorio sulla genitorialità. Accettammo la sfida ed ispirandoci al testo di Cristina Comencini “Due Partite” abbiamo dato vita ad un corto teatrale dal titolo “To-to: tommorow is today” in cui si evidenziavano alcune dinamiche madre-figlia. Vostro secondo lavoro, che vanta già molte repliche, è “L’ascensore”: qual è la genesi di quello che nasce come corto teatrale per poi diventare un vero e proprio spettacolo? Come vi è venuta l’idea e come l’avete adattata alla messa in scena teatrale? Nel giugno 2014 partecipammo al concorso per corti teatrali “Nella casa di Camillo” a Santena in cui portammo a maturazione l’embrione de “L’ascensore”. L’idea in sé nacque da quattro chiacchiere fatte

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ARTINTIME sorseggiando una tisana, si parlava dell’essere donna, di che cosa significasse per ognuna di noi e siamo così arrivate ad un pensiero comune: il raccontarsi, il condividere idee intime e personali è un comportamento soprattutto femminile. Abbiamo quindi delineato quattro stereotipi femminili molto diversi tra loro e ci siamo chieste cosa potesse capitare se si fossero trovati a stretto contatto, senza poter sfuggire al confronto; per questo la scelta dell’ascensore, un luogo chiuso in cui gli spazi vitali, gli spazi di difesa vengono azzerati. Abbiamo pensato che spesso, indaffarati come siamo, non ci diamo il tempo di riflettere sulla nostra vita e così ci siamo chieste cosa sarebbe potuto capitare ai nostri personaggi una volta obbligate ad aspettare e quindi a dar spazio anche ai propri pensieri. Abbiamo infine incontrato Fulvia Roggero, attrice, regista e docente del Teatro delle Dieci (Torino), a cui abbiamo raccontato il nostro progetto, è nata una forte intesa che ci ha permesso di collaborare e grazie ai suoi preziosi consigli registici lo spettacolo ha preso vita. Ognuna di voi, in questo spettacolo, inscena una donna diversa: la ballerina, l’avvocato, la tassista, la casalinga. Ognuna con i propri problemi, le proprie paure e insicurezze, i propri sogni, le proprie relazioni. Su quali aspetti dell’universo femminile volete accendere i riflettori attraverso questo lavoro? I quattro personaggi sono molto differenti per le vite che conducono, ma la situazione forzata, il dialogo le porta a confrontarsi ed entrare in empatia. Lo spettacolo

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è quindi un modo ironico per evidenziare come in determinate situazioni si possa essere capaci di assistere, donarsi agli altri, di cadere e rialzarsi solo con le proprie forze, ci siamo concentrate sull’essere umano, un universo ricco di esigenze e cose non dette. Abbiamo voluto aprire quella scatola che ogni persona porta con sè. Il fatto che le protagoniste siano donne è in realtà quasi una casualità perché stiamo parlando di esseri umani: durante la nostra vita tutti noi ci troviamo a portare delle maschere imposte dalla società o da noi stessi, ma in determinate situazioni possiamo scegliere di toglierle, anche solo per un momento. L’ascensore che compare sul palco e all’interno del quale si svolge lo spettacolo è quasi un non luogo: privo di identità, neutrale, mette però in gioco le identità delle 4 donne. Come vi è venuto in mente di sfruttare l’ascensore e qual è il ruolo di questa sorta di “gabbia mobile” che allestite sulla scena e intorno alla quale vi muovete? L’ascensore bloccato dà la possibilità attraverso l’imprevisto di dilatare il tempo, creando uno spazio di riflessione personale per i quattro personaggi. Ognuna di loro, grazie al confronto con personalità così diverse fra loro e grazie alla sosta forzata, si dà forse per la prima volta la possibilità di raccontare la propria vita e i propri obiettivi, muovendo emozioni nuove e insospettate. Ne “L’ascensore” musica e ballo compaiono a stemperare il recitato e dinamizzare alcune scene. Che ruolo hanno questi elementi nelle vostre performance? Il “momento musical” all’interno del-

lo spettacolo è il vero momento in cui nasce l’empatia fra i personaggi. Quello che vediamo, naturalmente, non è quello che sta accadendo nella realtà, ma quello che accade nelle loro menti. Mentre nello spazio reale dell’ascensore le quattro donne reagiscono alla musica in maniera diversa, dentro di loro scatta un “momento di follia” in cui la loro femminilità esplode a ritmo di musica in un gesto di liberazione identico per tutte, proprio a indicare una connessione che sta nascendo tra loro in quel momento. Il vostro 2015 è iniziato con un nuovo progetto, il format teatrale “Mille e un Hammam”, di cosa si tratta? “Mille è un hammam” è un nuovo format teatrale che nasce dall’esigenza di ritrovare se stessi, riacquisire il contatto con il proprio corpo e scoprirne i benefici. Si svolge all’interno di un vero e proprio hammam, in cui tre muse e una moira accompagnano il pubblico all’interno del percorso. I personaggi hanno caratteri diversi: la maestrina, la frivola, quella antipatica e la “madre superiora”. Spieghiamo al pubblico le “regole” dell’hammam e le sue origini, grazie ad alcuni disegni realizzati da Christian Botton, un giovane illustratore e collaboratore di Terra Vergine. Durante il percorso diamo al pubblico il sapone nero spiegandone i benefici, raccontiamo in maniera simpatica i trattamenti da fare all’interno del “calidarium” e alla fine di questo intervento concludiamo l’incursione teatrale sorseggiando del tè con il pubblico. Si tratta di un format inedito e originale che si propone di far av-


INTERVISTANDO INTERVISTANDO

Foto di Daniele Robotti www.robotti.it

vicinare le persone a una cultura diversa tramite la cura del proprio corpo, un bene comune a tutti gli esseri umani. Un grande aiuto per la ricerca l’abbiamo avuto grazie a Paolo Ferrara, un giovane autore emergente. Lo abbiamo presentato al all’hammam di Villa 5 a Collegno e ci stiamo già muovendo per riproporlo quest’inverno. Cosa c’è nel futuro di Terra Vergine? Nel nostro futuro prossimo c’è “Rosso di Syria”, il nostro nuovo progetto. Uno spettacolo teatrale che parla di una storia d’amore. Tratta della condizione curda-siriana, ma non si propone di fare politica, è una storia che parla di uomini e donne. Sul palco si trovano tre personaggi: una madre, una giornalista italiana e una

combattente curda. Sottofondo allo spettacolo il violino di Enrico Belzer, un giovane violinista appena diplomato al conservatorio. La regia è di Teodoro Bungaro. Abbiamo debuttato con questo nuovo testo al Teatro del Poi a Bra con grande successo e stiamo già programmando nuove date delle quali certamente vi terremo al corrente!

A lessandra Chiappori

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SALVARIO “Dimmi soltanto che non avrai paura mai..”, così, la voce calda di Salvario riesce a stupire fin dal primo ascolto. “Caro amico”, in versione live è il primo approccio ad un giovane cantautore, che affascina fin da subito. Senza il peso di una struttura musicale eccessiva, grazie ad un suono netto, quasi scarno, si crea subito quell’atmosfera di intimità che avvolge e fa luce sui testi. Classe ‘84, pugliese, Salvatore Piccione inizia a plasmare il suo sound nel 2006 come autore, voce e chitarra dei Karma in Auge, trio rock tarantino. Oltre un centinaio di date, 2 EP e 1 album (“Rituali ad uso e consumo”) più tardi arriva l’incontro con Matteo De Simone dei Nadàr Solo, che diventerà ben presto un vero e proprio punto di riferimento per il giovane artista. Il trasferimen-

to a Torino offre l’ispirazione per un nuovo progetto musicale: nell’effervescenza culturale e artistica del quartiere di San Salvario - da qui il nome d’arte -nascono le prime composizioni chitarra e voce. Nel 2015 esce il primo EP omonimo da solista, prodotto proprio dai Nadàr Solo e masterizzato da Simone Squillario (già Sud Sound System, Giuliano Palma, Subsonica, ecc). Quattro tracce, caratterialmente molto diverse: la carica di “Mare”, assolata e al profumo di giovinezza e iodio, la rockeggiate “Per un istante”, “Natale 2014”, dal taglio quasi cinematografico, e la sentita “Tutto quello che ho da dire”. Un breve assaggio, ma già piuttosto indicativo del potenziale espressivo del giovane cantautore: provare per credere! Enjoy!

Angelica Magliocchetti

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MUSIC

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UNA COMMEDIA PER SITUAZIONI INATTESE Clelia è incinta, e proprio nessuno, né lei né i familiari, si aspettava un evento del genere dopo la rottura di un fidanzamento durato dieci anni. Chi è il padre? Come è potuta accadere una cosa genere a una come Clelia? E adesso? Così si apre l’esordio letterario del genovese Nicola D’Attilio: un’attesa non proprio attesa, e l’idea di un aborto che cancelli e porti rimedio a errori fatti per avventatezza. Un bambino, infatti, non era certo nei programmi immediati della trentenne protagonista, anzi, è il frutto piuttosto indesiderato di una notte di poca razionalità e molta sfortuna. Tuttavia, Clelia non è sola nella gestione del “problema”: intorno a lei la sorella e i genitori, il padre biologico e la sua compagnia di amici. Ecco qui il quadro completo della commedia allestita dall’autore che, con abilità, intesse relazioni e porta attentamente avanti i fili di ciascuna, senza far mancare al lettore colpi di scena e complicazioni, anzi mantenendo una struttura narrativa compatta e lineare, pregio di questa storia. Una storia che al cuore presenta, come si è visto, un grande problema etico, aspetto che, considerando l’editore – San Paolo – potrebbe distorcere l’approccio del lettore e far pensare a questo come un romanzo “bacchettone”. In realtà,

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invece, di pregiudiziale e orientato, questo romanzo non ha proprio nulla, e anzi propone i fatti senza alcuna opinione di sorta: nudi e crudi. Come tutte le storie che si rispettino, “Una famiglia imperfetta” si apre con un problema, e la vicenda che si sviluppa a partire dal nodo centrale non è che la conseguenza di scelte diverse, di cambi di rotta e di azioni combinate dei personaggi intorno alla questione iniziale. Nessuno dei personaggi, ognuno scolpito nel proprio carattere esterno ma soprattutto nei percorsi emotivi interiori, è guidato da imposizioni di alcun tipo. A pilotare scelte e azioni sono piuttosto riflessioni, maturazioni, e relazioni: con la famiglia e con gli amici, il vero nucleo della storia, grazie a cui la trama si sviluppa e prende la sua direzione, coinvolgendo sempre più il lettore. All’introspezione dei personaggi, che crea pathos e immedesimazione, si accompagnano poi le note da commedia, con la sapiente introduzione di momenti di ironia e comicità, tra tutti colei che campeggia nella copertina del volume, la capretta Marshmallow, intorno alla quale ruotano le vicende di quello che all’inizio è il gruppo di amici di Diego, il papà indesiderato, e che diventerà poi una sorta di nuova famiglia per lui e Clelia. Il legame e l’intreccio delle storie tra il gruppo

di amici e la famiglia costituisce la vera impalcatura del romanzo, ed è dalle sue variazioni e dai suoi sviluppi che la storia si snoda. E a proposito di famiglia, interessante è anche lo sviluppo della sottotrama che riguarda i genitori di Clelia, una storia nella storia che contribuisce alla ridefinizione del quadro iniziale sconvolto da un evento inatteso come l’arrivo di un figlio o di un nipote. Priva di alcun giudizio etico, la morale della storia è proprio questa: la gestione del cambiamento e del proprio stile di vita davanti all’imprevisto, l’accettazione, tra il maturo e il rassegnato, dell’impossibilità di vivere una vita – e dunque di costruire una famiglia – perfetta, quasi fosse scritta a tavolino o piuttosto immaginata da ragazzini. Quel che seguirà, sarà solo un’altra storia, a tratti sognata, appassionante divertente, e non certo priva delle difficoltà che costellano ogni percorso. Sullo sfondo della vicenda corale di Clelia e Diego, infine, la presenza forte e costante di Genova, città dalla quale un po’ ci si allontana, con sogno di vacanze e fughe riparatorie, ma che ritorna, tra il suo centro storico e i vicoli dove la stessa protagonista non sa orientarsi, e la campagna più isolata e sconosciuta. Un romanzo, insomma, che cuce insieme alcuni opposti che


BOOKS mai si sarebbero intrecciati senza l’aiuto del destino, un elemento che ritorna, tra le prese in giro di Margherita, sorella di Clelia tutta oroscopi e mancanza di inibizione, l’orgoglio e la fermezza di Clelia, classica maestrina dalla vita semplice, e l’inadeguatezza di Diego, esperto di marketing e di donne diverse ogni sera. Ognuno distante dall’idea mai concepita di diventare genitore, zia, nonno, ma ognuno coinvolto nella grande ondata di cambiamento con cui, volente o nolente, si troverà a fare i conti, aprendo cassetti di ricordi di un passato quasi cancellato, e al contempo abituandosi all’idea di un orizzonte futuro incerto ma non per questo più oscuro di un percorso già battuto e mai cambiato per paura.

A lessandra Chiappori

“Che cos’è la felicità? Clelia si accorse di non saperlo, o meglio, di dover forse rivedere il proprio concetto, perché aveva sempre pensato non occorresse chissà che per essere felici: pochi grilli per la testa, un compagno accanto, un lavoro non alienante, qualche buona amicizia e un paio di figli. Guardandosi indietro, però, trovava pochi momenti in linea con i suoi principi, anzi: in tutta sincerità non c’era traccia di quella felicità con la F maiuscola” Nicola D’Attilio, “Una famiglia imperfetta”, San Paolo, 2015

Nicola D’Attilio Nicola D’Attilio nasce a Genova nel 1976, si laurea in informatica e oggi lavora nella progettazione di sistemi di sicurezza fisica nel campo dei trasporti. La sua passione per la scrittura lo porta a partecipare al laboratorio milanese La Bottega di Narrazione a cura di Giulio Mozzi e Gabriele Dadati, che dà come frutto il suo primo romanzo, esordio per le edizioni San Paolo nel 2015.

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ARTINTIME popart@artintime.it

Paratissima è una HIT PARADE Numeri che spaziano dai 472 partecipanti, alle 14 nazionalità rappresentate, e ancora ai 27 workshop, alle 3000 merende per 2000 bambini, e ai 580 metri di pareti espositive aggiunte, ai 290 faretti, ai 200 litri di vernice, il tutto tenuto insieme dagli 11 chilometri di cavi elettrici, grazie alla collaborazione delle 124 persone dello staff e degli 80 volontari. Il totale? Quasi cinquantamila spettatori per la cinque giorni di Paratissima, la grande mostra “off” dedicata all’arte contemporanea, svoltasi lo scorso novembre a Torino Esposizioni. Un’undicesima edizione che ha confermato una crescita non solo numerica ma qualitativa. Tra qualche polemica – l’arte contemporanea, si sa, non mette sempre tutti d’accordo – il suggestivo padiglione di Torino Esposizioni è stato preso d’assalto da centinaia e centinaia di visitatori che, sulla scorta del quesito guida di questa edizione, Ordine o caos?, si è perso tra i colori, le invenzioni e le bizzarre o geniali idee dell’arte contemporanea. Nell’andamento a cerchi concentrici dell’allestimento, il cui cuore era rappresentato dallo spazio G@P, dedicato alle gallerie di street art e dalla mostra “Useless Army”, dal forte impatto visivo ed emotivo, ruotavano le diverse mostre del progetto NICE, caratterizzato anche quest’anno, per la sua seconda edizione, da una serie di mostre costruite ad hoc sulla base

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di temi specifici, e ricche di spunti e divertimenti. Come ogni anno, anche Paratissima numero 11 ha proclamato poi i vincitori delle diverse sezioni presenti a Torino Esposizioni. Eccoli qui di seguito. Il premio Paratissima è andato a Giorgio Tentolini, il premio PARAPHOTO’ a Massimiliano Pugliese. PARADESIGN è stato vinto da Solido Collettivo, PARAFASHION da Martina Bruna, PARATISSIMA INTERNATIONAL da Meng Yangyang, mentre il Claud Hesse si è aggiudicato il PREMIO MAURIZIO COLLINO. Infine, tra i curatori selezionati da NICE le vincitrici sono state Laura Carnemolla e Claudia Francisetti con la mostra “Cross the border”. 15, invece, sono stati gli artisti selezionati: Erjon Nazeraj, Arual Jay, Enrico Ferrarini, Gioia Aloisi e Monica Gorini, Natalia Saurin, Adriana Jaconcing, Matteo Cirenei, Noemi Priolo, Enrico Azzolini, Giorgio Tentolini, Paolo Tartarini, Giovanni Antico Gagliardini, Susy Cagliero, Matteo Tampone, Umberto Dattola. Ma non è finito tutto con la cinque giorni ormai alle spalle, perché il 3 dicembre, presso il Museo nazionale dell’automobile, è stata inaugurata in collaborazione con Paratissima HIT PARADE, una collettiva dei 30 artisti più rappresentativi di Paratissima, selezionati tra gli iscritti delle edizioni 2014 e 2015. La mostra, che sarà visitabile fino al 17

gennaio 2016, ospita forme diverse di creatività attraverso artisti le cui opere dialogheranno con la collezione permanente del Mauto, a sua volta organizzata per raccontare la storia della creatività applicata alla mobilità e al car design. Una festa dell’arte, con linguaggi artistici differenti a confronto: fotografia, pittura, scultura, videoarte per un discorso articolato e affascinante sul concetto di ispirazione artistica e capacità artigianale che, se applicato anche ai processi creativi dei car design di ogni epoca, contribuisce a sottolineare il valore dell’automobile non solo in quanto oggetto, ma reale progetto creativo. HIT PARADE sarà corredata dall’esposizione di 9 ART CAR che raccontano l’automobile come opera d’arte, dalle linee negli sketchbook dei creativi fino alla modellazione artigianale dei materiali più svariati. Nove modelli di vetture straordinarie, vere e proprie sculture che rappresentano il collegamento ideale tra il percorso museale del Mauto, la cui ultima parte è dedicata alla creatività applicata al car design, e lo spazio mostre, dedicato alla creatività in senso assoluto.


ART / SPECIAL PARATISSIMA

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ARTINTIME LARGO AI (GRANDI) VECCHI! IL RITORNO DI ENNIO MORRICONE E JOHN WILLIAMS L’anno cinematografico 2015 si chiude con due eventi attesissimi: il settimo capitolo della saga di “Star Wars (Il risveglio della forza)” e il nuovo western di Quentin Tarantino (“The Hateful Eights”), in Italia dal 16 dicembre e dal 4 febbraio rispettivamente. “Il risveglio della forza” è il primo film della serie targato Disney dopo che il suo creatore George Lucas ha venduto il marchio nel 2012. “The Hateful Eights” vede finalmente la luce dopo che il progetto era stato in un primo tempo abortito per il furto e la diffusione online della sceneggiatura, all’inizio del 2014. Ci sono altri motivi che fanno di questi due film degli “eventi” – per esempio il cast: ne “Il risveglio della forza” vedremo Harrison Ford, Carrie Fisher e Mark Hamill rivestire i ruoli di Han Solo, Leia Organa e Luke Skywalker dopo più di trent’anni, mentre Tarantino riunisce per il suo nuovo film alcuni attori iconici del suo cinema, come Samuel L. Jackson, Tim Roth, Michael Madsen... Ma questi film sono anche imperdibili perché i due più grandi maestri della musica cinematografica ne firmano le partiture: John Williams ed Ennio Morricone. Williams ritorna all’universo di “Star Wars” dopo che, dieci anni fa, sembrava aver completato il suo lavoro sulla saga – scrivendo più di dodici ore di musica per tutti i sei film delle due trilogie. Morricone torna al genere western dopo quarant’anni di lontananza. L’uscita quasi contemporanea di questi

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due film è una felice coincidenza che ci dà l’occasione di celebrare questi due straordinari artisti. Pressoché coetanei – classe 1928 Morricone, classe 1932 Williams – ed entrambi cresciuti in una famiglia di musicisti – trombettista il padre di Morricone, percussionista quello di Williams – questi veterani della musica per film sono forse gli ultimi rappresentanti di quella generazione che scrive musica con carta e penna, anziché con computer e sintetizzatori. La loro formazione classica li ha resi musicisti solidissimi capaci di affrontare qualsiasi genere. Morricone ha composto musica leggera per le commedie di Verdone (“Bianco, rosso e Verdone”, 1981), quell’immenso capolavoro contrappuntistico per coro e orchestra che è “The Mission” (Roland Joffé, 1986), musica da concerto d’avanguardia (per esempio, il suo Ut per tromba e orchestra) e anche canzoni di grande popolarità (“Se telefonando”, resa celebre dall’interpretazione di Mina), per non parlare della sua celeberrima collaborazione con Sergio Leone, a partire da “Per un pugno di dollari” (1964). Williams ha avuto una carriera come pianista jazz, è stato arrangiatore di musica leggera per Mahalia Jackson e Vic Damone, è stato per quattordici anni il direttore stabile della Boston Pops Orchestra – l’orchestra sinfonica più celebre d’America – ha ricevuto numerosissime commissioni per la sala da concerto e per eventi storici quali il centenario del-

la Statua della Libertà, e ha saputo spaziare nel cinema dalla composta eleganza di “Schindler’s List” (Steven Spielberg, 1993) o di “Turista per caso” (Lawrence Kasdan, 1988) all’esplosiva esultanza sinfonica dei film di “Indiana Jones” e di “Superman” (Richard Donner, 1978), oltre a essere da più di quarant’anni il compositore di fiducia di Steven Spielberg. “Il risveglio della Forza” e “The Hateful Eights” rappresentano importanti pietre miliari per questi due musicisti ottuagenari. Nella terza età straordinariamente attiva e artisticamente feconda di questi compositori, questi due film hanno offerto loro la possibilità di rivisitare quei territori – il western per Morricone, “Star Wars” per Williams – che hanno fatto decollare la loro carriera quasi mezzo secolo fa e a cui i loro nomi restano indelebilmente associati. Infine, Ma questi film testimoniano anche come l’arte possa aiutare a mantenersi giovani e possa essere più forte degli acciacchi dell’età: entrambi hanno avuto recenti problemi di salute – Morricone una vertebra spostata, Williams l’applicazione di un pacemaker – che li hanno costretti a interrompere ogni attività. Ma solo temporaneamente: sono risaliti, rispettivamente, in sella e a bordo del Millennium Falcon per continuare il loro straordinario viaggio artistico.

Emilio Audissino


MOVIES


ARTINTIME Textile Interiors Figure d’altri tempi, in bianco e nero, ad animare le scenografie di carta di Francesca Lupo. Un tuffo negli interni variopinti del passato, costruiti con ritagli di vecchie riviste, con frammenti di lettere scritte a mano, e ancora stoffe di abiti maschili di cataloghi selezionati e francobolli. Tanti materiali diversi a creare geometrie quotidiane, silenziose ma emblematiche, capaci di raccontarci molto di più di quanto le figure umane, mute e quasi distaccate, possano fare. Dei collage pop, colorati e geometricamente costruiti, ambientazioni a noi note in combinazione con materiali estranei, completamente fuori dal loro contesto, com’è proprio della pop art. La passione per le forme architettoniche che si fonde dunque con l’arte e la voglia di sperimentare. Così, Francesca Lupo inizia a farsi notare in occasioni di grande visbilità, come Paratissima 2012, per poi approdare a Torino, Bari, Genova e Londra. Ora, fino al 3 febbraio, sarà possibile visitare la sua personale presso Harridge DeiMille, a Torino.

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