Artintime N.6 - Giugno

Page 1

Copertina Fonte web

ART

IN TIME n.6 - Giugno 2015

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE Non ricordo se nel 2012, quando sperimentammo il primo numero di Artintime con articoli “di prova” e una copertina che ci colpì per freschezza e colori, pensavamo all’ipotesi che il nostro progetto – quello che poi a tutti gli effetti è diventato il nostro giornale – arrivasse a soffiare sulle candeline del suo terzo compleanno. Eh sì, cari lettori, con giugno 2015 Artintime taglia il traguardo dei suoi 37 numeri, che hanno attraversato ininterrottamente i mesi che vanno dal giugno 2012 al giugno 2015, sul quale state posando ora i vostri occhi. Il passato inizia a farsi ampio, e importante. Ampio perché in tre anni succedono cose che, col senno di poi, non si leggono più come transitorie e di poco conto, ma come svolte che hanno condizionato scelte e decisioni. Ampio anche per l’immenso patrimonio di persone e storie conosciute: sono tantissime le recensioni di libri, film e cortometraggi, dischi, musicisti e band, artisti, personaggi che a loro modo si sono interfacciati con la nostra storia, oppure hanno dato vita a qualcosa per riuscire a emergere, a farsi conoscere. Ecco, noi in questi tre anni abbiamo sempre dato spazio a loro: gli emergenti. I giovani come noi, anche se ora possiamo considerarci ragionevolmente meno giovani di tre anni fa, con esperienze belle e brutte accumulate nel bagaglio, sicuramente utili ad affrontare nuove e ancora nuove scalinate, per raggiungere un traguardo che si sposta sempre più in là, ma che ci divertiamo un sacco a inseguire. È bello che su questo numero di giugno, che celebra il nostro terzo compleanno, compaia un’intervista a un gruppo di ragazzi torinesi che, dopo la laurea e un po’ di rodaggio, è diventato Laborafilm, piccola casa di produzione indipendente, che sperimenta cose e cerca di definirsi, divertendosi e mettendo a frutto le cose studiate e le passioni. Era il nostro intento, e lo è ancora: non smettere mai di aprire porte e, pur riuscendo a crearci un abito su misura, che sappia esaltare il nostro lavoro e distinguerci positivamente tra gli altri, tenere sempre vivo il lume del divertimento, della passione. L’amore per le cose belle, fatte bene, scritte da noi. L’affetto per il nostro progetto che arriva a tre anni, nonostante ostacoli e bernoccoli, portando con sé un database ricchissimo, ma anche strette di mano, storie che hanno lasciato un segno, esperienze, volti, sorrisi, ritornelli nelle orecchie e modi di pensare. Insomma: tre anni sono un mondo intero. E sono gli stessi anni di un corso di laurea triennale, dove al posto degli esami ci sono i numeri mensili, tenuti insieme da una rete di lezioni, amicizie, fatiche, notti sui testi, organizzazione, ritmo, feste, scoperte. Cosa dite, ci meritiamo di chiudere il libretto con soddisfazione? E se il percorso di laurea durato tre anni è giunto al termine, non significa che si fermerà qui: come ogni laureato triennale ci prendiamo del tempo per guardarci intorno e capire cosa ci piacerebbe fare per la laurea magistrale. Sì: continuiamo a studiare, pensiamo sia giusto così, proseguire nell’esplorazione del mondo che insieme a tutti gli emergenti di cui abbiamo parlato e di cui parleremo ci si presenta oggi molto complesso, ma ancora e sempre ricco, colorato, magico. Ci piacerebbe che anche questo nuovo percorso proseguisse con voi lettori, con il vostro supporto, il vostro affiancamento e il vostro consiglio. Avere un pubblico pronto ad accoglierci mentre portiamo avanti la nostra ricerca e le diamo voce è ciò che di meglio possiamo augurarci in vista del nostro terzo compleanno. Ci trovate sempre qui: accumuliamo le idee e i progetti mentre l’estate illumina e allunga le giornate e ci suggerisce tanta positività. Seguiteci: sarà una bella festa! Alessandra Chiappori

ArtInTime | 3


chuck@artintime.it

CONTATTI Grafica & Art Direction: grafica@artintime.it Ufficio Stampa: press@artintime.it | Marketing: marketing@artintime.it Social Media Management: media@artintime.it Editing: editing@artintime.it

4 | ArtInTime


ARTINTIME SOMMARIO 6 . STRAMASH by Angelica Magliocchetti

8 . UN VIAGGIO SULLA STRADA DELL’ORRORE by Matteo Ghidella

12 . STORIE DI ANNI CHE SCORRONO SENZA CRESCERE by Alessandra Chiappori

14 . WUNDERKAMMER GAM: CONCETTI SPAZIALI by Roberta Colasanto

16 . QUATTRO CHIACCHIERE CON LABORAFILM by Alessandra Chiappori

20 . LA MAGIA DEI MONDI METANARRATIVI by Alessandra Chiappori

22 . JOHAN-BASTIEN POLLE ALIAS EGREGOR by Cristina Canfora

26 . FOJA by Angelica Magliocchetti

28 . IL FASCINO PERICOLOSO DELLA MUSICA by Alessandra Chiappori

30 . SLIP OF THE TONGUE 32 . EVENTI

ArtInTime | 5


ARTINTIME music@artintime.it

STRAMASH È un brillante ed energico mix di rock e e musica celtica quello proposta dagli Stramash. Nata nel 2010, la band scozzese composta da Andy Lowrie (batteria), William Maxwll (voce e basso), Andrew Jackson (voce e chitarra), Michael GilFeather (chitarra) e Alan Buchan all’inizio poi sostituito da Iain Alexander Marr (cornamusa), unisce un folk tradizionale a una potente influenza rock. A solo un anno di distanza dalla formazione esce l’album d’esordio, “The Uprising”, in cui emerge nitido il sound originale del gruppo, definito Tartan Folk’n’rock. Già da questo inizio costato loro “lacrime, sudore e sangue” è chiara la direzione, la novità e il retroscena di tradizioni musicali. Una vera esplosione sulle scene scozzesi che li porta nel 2012 a compiere numerosi tour live, a suonare alla Royal Concert Hall di Glasgow e a ottenere il riconoscimento agli Scottish New Music Award. È da questo periodo di successo e rivo-

6 | ArtInTime

luzioni che prende vita, a maggio 2013, il secondo lavoro della band: “The Lion Rises”. Un nuovo disco ancora più potente, veloce ed energico; ed un nuovo successo. È il 2014 e dopo due album e numerosi premi, i giovani artisti decidono di mettere un freno momentaneo ai tour, prendendosi una pausa e dedicandosi alla scrittura di un nuovo lavoro, “Wheel of Time”. Questa nuova produzione si differenzia fin da subito per l’aumento delle influenze musicali che contaminano e arricchiscono il sound della band. Un’evidente prova dell’evoluzione e della crescita del gruppo, che presenta un disco che “suona esattamente com’è nato in studio”, dal sapore energico e genuino. Infine, il 29 giugno di quest’anno (2015) si prospetta pieno di sorprese grazie all’uscita di “San Ramone” il nuovo EP della band, che presenta anche un ‘b side’ con “Bang Bang” e due concept grafici tutti nuovi realizzati

da Elena Albanese e Ray Favourite. Un folck un po’ rock e un po’ tradizionale, un’energia che saprà catturarvi (ancor più se avrete la fortuna di vederli suonare live), tre album da gustare e uno in arrivo. Ce n’è abbastanza per farsi conquistare! Ascoltare per credere, enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

ArtInTime | 7


ARTINTIME movies@artintime.it

UN VIAGGIO SULLA STRADA DELL’ORRORE Il cinema horror ha una tradizione fortissima e radicata nel tempo, in assoluto rappresenta uno dei generi più longevi della storia. “Nosferatu” di Friedrich Murnau, film muto del 1922 universalmente riconosciuto come capolavoro indiscusso e pietra miliare della storia del cinema mondiale, è infatti un film horror, che racconta per la prima volta in pellicola la storia di un vampiro, ispirandosi fortemente a “Dracula” di Bram Stoker, altro capolavoro della storia della letteratura, del quale cambierà praticamente solo i nomi dei personaggi (lo stratagemma non eviterà comunque al regista la querela degli eredi di Stoker e la pena di distruggere tutte le copie del film. Murnau per sua e nostra fortuna riuscirà a salvarne una, consentendo alla sua opera di arrivare fino ai giorni nostri). Da quel momento, il vampiro diverrà protagonista di tutta una serie di film horror e simboleggerà uno dei personaggi più rappresentati e di successo del genere. Ma andiamo con ordine: come detto, il film horror nasce molto presto, dal bianco e nero e dal muto. Queste due prerogative, soprattutto la mancanza del colore, sono state poi riprese anche in epoca contemporanea, perché il bianco e nero rievoca atmosfere gotiche e

8 | ArtInTime

misteriose che senza dubbio aiutano a incutere timore e inquietudine nello spettatore. Questo particolare genere si è naturalmente evoluto, mutando di forma e contenuti; cercherò di tracciarne brevemente una sorta di classificazione tematica. Perché particolare? Perché l’horror è soggettivo come nessun altro genere cinematografico. Troppo spesso un film horror viene escluso a priori per il timore di rimanere impressionati e spaventati. Troppo spesso, quindi, dipende dal carattere e dalla personalità dello spettatore, che non conosce il genere e la sua storia perché troppo spaventato dall’idea di affrontarlo. Ovviamente, inutile specificarlo, un film dell’orrore ben fatto ha il dovere di spaventare e inquietare, quindi per determinati caratteri è giustamente sconsigliato, anche col rischio di perdersi forme d’arte senza dubbio di altissima qualità. Classificare il genere horror non è certamente semplice, cercherò comunque di svilupparne un’analisi il più completa possibile identificando le tipologie fondamentali e più comuni, a cominciare da una delle più riuscite e apprezzate e che più si avvicinano, per tematiche, al thriller: l’horror psicologico. Pervaso di inquietudine costante e brivido latente, lo spettatore di questi film

entra a contatto con personaggi dalla mente distorta, pronti a scatenare la propria pazzia in un vortice di sguardi, sussurri, lamenti, grida. La peculiarità del genere, che lo rende tanto spaventoso, è che racconta scene di vita quotidiana, ovviamente esaltando la negatività e il lato oscuro della mente umana. Questo lato oscuro, se sviluppato nel modo giusto dal punto di vista registico e attoriale, renderà il film indimenticabile. Uno degli esempi più famosi è senza dubbio “Shining” di Stanley Kubrick, uno dei capolavori del maestro statunitense che conferma ulteriormente quanto anche questo genere possa regalare indimenticabili opere d’arte. Un film magistrale, curato nel minimo dettaglio, dall’inquadratura più apparentemente di contorno, al dialogo meno significativo. E le prove attoriali sono tra le migliori mai apprezzate, che coinvolgono alla perfezione lo spettatore nell’agghiacciante vicenda, da Shelley Duvall, la terrorizzata Wendy, al piccolo Danny lloyd, che interpreta l’omonimo Danny, il bambino schiavo della sua chiaroveggenza, per finire, naturalmente, al monumentale Jack Torrance Nicholson, la cui follia è divenuta famosa in tutto il mondo. Di questo particolare genere fanno anche parte molti dei celebri horror giapponesi di nuova generazione,


MOVIES

Fonte web

divenuti famosi in occidente soprattutto per i remake statunitensi, che perdono però molto della peculiarità dell’originale, basati soprattutto sui ritmi lentissimi, gli scarsi dialoghi e i giochi di sguardi. I due esempi più famosi sono senza dubbio “Ringu” (“The Ring” negli Stati Uniti) e “Juon” (divenuto “The Grudge in America), film che hanno componenti fantastiche (delle quali parleremo tra poco) ma che, soprattutto o quasi esclusivamente in Giappone, mantengono come costante il terrore nascosto, la paura della mente distorta, quella che si insinua lentamente e che risulta essere forse la più fastidiosa per lo spettatore. Una differente tipologia è l’horror fantastico o soprannaturale, quel genere che presenta elementi distanti dal reale e che contribuiscono a rendere l’atmosfera e la storia intrisa di paura meno latente rispetto al lato psicologico, ma più palesa-

ta e tangibile. Punta di diamante di questo tipo di horror è senza dubbio l’immortale “L’esorcista” di William Friedkin, nel quale il fantastico è presente nella sua forma più diabolica e spaventosa, ma è doveroso citare anche “Nightmare” di Wes Craven, capostipite di una lunghissima serie incentrata su Freddy Krueger, il truculento assassino con lame al posto delle dita proveniente dal mondo degli incubi, che vide tra l’altro Johnny Depp all’esordio assoluto come attore, o ancora “La casa” di Sam Raimi, dove i demoni e gli spiriti si impadroniscono di uno chalet di montagna tormentando un gruppo di ragazzi capitati lì per caso. Ovviamente ci sono importanti eccezioni. A parte i film giapponesi già citati, possiamo ricordare “Rosemary’s Baby” di Polanski, nel quale il terrore soprannaturale rimane sempre nascosto renden-

do, proprio per questo motivo, la pellicola così inquietante, oppure esempi contrari come il già descritto “Shining”, dove il soprannaturale è presente ma è di fatto solo un contorno della storia, incentrata prevalentemente sulla pazzia della psiche umana. Un’altra tipologia ancora è l’horror letterario, ispirato alle più famose opere di letteratura gotica che sono state trasposte al cinema e divenute veri e propri cult. È facile, ovviamente, rievocare (e la parola non è casuale) il già citato Dracula, ispirato al romanzo di Stoker, che ha dato il via ai film sui vampiri che rappresentano un filone a sé stante del cinema dell’orrore del quale fa parte, ovviamente, la trasposizione ufficiale del romanzo, “Dracula di Bram Stoker” di Francis Ford Coppola con uno strepitoso Gary Oldman nei panni del Conte. Come dimenticare poi “Frankenstein” di Mary Shelley,

ArtInTime | 9


ARTINTIME

Fonte web

di cui esiste l’omonimo film diretto da Kenneth Branagh e interpretato, tra gli altri, da un certo Robert De Niro, anch’esso fenomeno letterario prima e cinematografico poi, con numerose versioni e rivisitazioni del personaggio. E vorrei citare anche il famosissimo “Strano caso del dottor Jekyll e del Signor Hyde” di Robert Louis Stevenson, altro esempio famosissimo che ha ispirato molti registi nel corso dei decenni. Molto particolare è senza dubbio il cosiddetto “Slasher”, dall’inglese “to slash”, letteralmente “ferire profondamente con un’arma affilata”. Di questo filone dell’horror fanno parte tutti quei film che hanno come protagonisti maniaci omicidi, che uccidono per il gusto di farlo, solitamente con armi da taglio, coltelli o simili. Possiamo citare per

10 | ArtInTime

esempio “Scream”, di Wes Craven, la famosa saga sull’assassino con la maschera bianca da fantasma, “Venerdì 13”, di Sean S. Cunningham, anch’esso divenuto saga con protagonista Jason, l’assassino con la maschera da hockey, ma anche film italiani diretti da Dario Argento, certamente uno dei maestri del genere nel nostro paese, e Mario Bava. Infine, l’ultima categoria horror che vorrei citare è lo splatter, quel genere nel quale lo spettatore è obbligato a vedere il sangue, la violenza carnale, la sofferenza fisica in tutta la sua completezza senza alcuna censura. Questo è il genere degli occhi strappati via con le mani, delle braccia spezzate, dei crani spaccati in due, è il filone che rappresenta, a mio parere, la reale involuzione del genere horror. Que-

sta serie di film, infatti, difficilmente presenta un contenuto interessante da analizzare, un messaggio da decifrare, una sfumatura da cogliere, in queste pellicole l’unico interesse è far vedere la violenza nella sua interezza. Il fascino dell’horror, a mio modo di vedere, abita proprio da un’altra parte. Uno dei più famosi, senza dubbio, “L’enigmista”, che se presenta elementi più che interessanti e originali nel primo film, scade poi nella banalità appena descritta andando avanti con la saga. Può piacere, certamente, non fosse così non ne sarebbero usciti tanti negli ultimi anni, francamente, però, si fa fatica a capirne i motivi. Con questo ultimo filone citato sta per terminare il nostro brevissimo viaggio in uno dei generi più discussi e complessi del mondo del cinema. C’è però ancora un pianeta impor-


MOVIES

Fonte web

tantissimo e in continua crescita qualitativa, nel quale naturalmente l’horror è presente e del quale non ho ancora parlato avendo incentrato il mio discorso sull’ambito cinematografico: le serie tv. Il genere si presta alla perfezione anche al meccanismo seriale, quello della trama orizzontale, essendo adatto allo sviluppo di storie misteriose che tengono lo spettatore incollato allo schermo nell’attesa di una risposta tanto attesa e sospirata. La qualità del prodotto seriale, sempre più elevata, ha consentito all’horror di collocarsi perfettamente anche in sfere non tradizionali, alle quali era maggiormente riconducibile (pensiamo a quella letteraria e a quella cinematografica), ammodernandosi e risultando al passo coi tempi e per nulla anacro-

nistico o sul viale del tramonto. Di quelle contemporanee le più famose e conosciute sono senza dubbio “The Walking Dead”, la celebre serie che ha rimesso in gioco gli zombie, e “American Horror story”, una serie dedicata proprio al genere horror, con le sue storie collocate via via nei contesti narrativi più famosi, il manicomio, il circo, la casa stregata. Come abbiamo visto, dunque, l’horror muta ed evolve nel corso del tempo, sviluppandosi in diverse tipologie, forme di narrazione e raccontando differenti tematiche. Possiamo senza dubbio affermare che la sua storia, cominciata agli albori del cinema, è tutt’altro che vicina alla conclusione. Certamente l’involuzione dello splatter o le produzioni a basso costo non aiutano la sua credibilità, ma il genere horror,

anche grazie alle serie televisive, dimostra di avere ancora un potenziale inesplorato che consentirà, in futuro, di sviluppare temi nuovi che portino all’inquietudine necessaria, da un lato a riflettere e sensibilizzare l’anima di chi guarda, dall’altro semplicemente a portare fino in fondo il suo compito principale: spaventare.

Matteo Ghidella

ArtInTime | 11


ARTINTIME books@artintime.it

STORIE DI ANNI CHE SCORRONO SENZA CRESCERE Se è vero che l’incipit del romanzo è una delle parti più importanti, che immediatamente attira il lettore e lo immerge nel mondo narrativo che sarà raccontato, a questo primo romanzo di Nadia Terranova va il merito di avere un incipit che al contempo mescola forza, ironia e ingegnosa rassegnazione, che è poi la cifra con cui tutta la vicenda raccontata sarà affrontata dal narratore. Quando cominciamo a leggere, conosciamo subito una dei due protagonisti, Aurora, allora bambina, impegnata a studiare il libro di geografia nell’unica stanza della casa in cui ritagliarsi un mondo e uno spazio proprio: il bagno. Fingendo esigenze fisiologiche prolungate, e credendo ingenuamente di fregare il padre, il cosiddetto “fascistissimo”, Aurora sfoga così la sua voglia di esplorare il mondo, impossibilitata dalle imposizioni domestiche, che tuttavia non riescono ad arginare la curiosità, prima saziata nei libri, e poi finalmente esplosa all’università. È qui che Aurora incontrerà Giovanni, del quale già conosciamo la vicenda familiare fin dalla nascita. Terzogenito della famiglia Santatorre, padre avvocato, professione a cui sono votati i fratelli maggiori ma non lui, il figlio ribelle, quello che a undici anni fuma la prima sigaretta facendosi bello davanti agli altri, quello che alla fine, già avvicinato alla politica sinistroide che annusava aneliti di libertà e rivo-

12 | ArtInTime

luzione, si iscrive a filosofia. Dove, del resto, si iscrive anche Aurora, “miss 30 e lode”, alla cui pazienza si affiderà Giovanni per recuperare gli esami, e dei cui occhi nocciola a mezzaluna si innamorerà. Inizia così la vita insieme dei due ragazzi, intorno all’anno 1977, coacervo di movimenti studenteschi e cambiamenti nelle grandi città italiane: c’è fermento a Bologna, al nord, mentre i protagonisti vivono a Messina, città sorretta dal leggendario Colapesce, a tratti illusa dalla fata Morgana di appartenere alla terra ferma, ma in realtà cittadina della provincia siciliana che ha il suo mare ed è solo punto di partenza per esplorare il mondo. Aurora resta incinta, i due si sposano e vanno a vivere nel piccolo appartamento dal quale, in febbrili riunioni di compagni, si tenterà di conquistarlo, quel mondo, di farlo proprio. La realtà del quotidiano, la piccola Mara appena nata e la debolezza di fondo dei due caratteri inizierà però a cozzare con l’apparente armonia di un nucleo familiare perfetto. Parallelamente alla vicenda di Aurora e Giovanni, scorrono gli anni, passano gli spinelli, arrivano le droghe pesanti. Aurora torna dai genitori, in un viavai di riprese e tentativi di ricucire una storia a due troppo debole, troppo spaventata dalle responsabilità. Arriva l’eroina, e mette in pericolo la vita di Giovanni e ancor di più un nucleo a tre ormai esanime. Il sogno utopistico iniziale

si sfalda, quella libertà di costruire il proprio mondo così agognata assume sempre più l’aspetto di una vita calcolata male, troppo presto e con troppo entusiasmo. I tasselli via via si scollano dal quadro generale: i genitori passano, come le speranze di rimettere tutto a posto, Giovanni involve, lasciando madre e figlia sole ad affrontare un quotidiano che non ha più la consistenza della meraviglia ma solo le difficoltà di un presente affollato, complesso, stressante. La storia si fa altrove, non a Messima, e sullo sfondo del convegno di Bologna, della vicenda Moro e dell’uccisione di Peppino Impastato, Giovanni si sente tagliato fuori dai grandi fatti: a nulla bastano l’amore di una moglie e di una figlia per fermare l’autolesionismo ozioso che lo porta alla distruzione. Finito in una clinica per disintossicarsi, Giovanni dimostra di non essere ancora sufficientemente maturo per quella vita a due che sembrava poter andare d’amore e d’accordo nella stessa direzione, e quando lo scoprirà, come da copione, sarà troppo tardi. Una saga familiare che abbraccia un decennio denso di vicende giovanili dal punto di vista insolito della città sullo stretto, di due studenti universitari col mondo ai propri piedi e due nuclei forti alle spalle, ma ancora troppo ingenui e fragili per avere le forze reali di conquistare il mondo. È un mondo che cambia mentre questa storia scorre: dal fascistissimo,


BOOKS dai suoi ricordi di guerra ai pantaloni di velluto e ai collettivi studenteschi, fino agli anni Ottanta di eroina e aids, quel che ci precede e fa parte della storia italiana, attraverso la piccola storia di un amore fallito.

A lessandra Chiappori

Non abbiamo mai usato lo stesso dizionario. Parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito, ma almeno non avremmo continuato a incolparci per le nostre solitudini. Quando penso agli anni trascorsi mi sembra che siano andati tutti al contrario.

Nadia Terranova, “Gli anni al contrario”, Einaudi, 2015

NADIA TERRANOVA È messinese Nadia Terranova, come i personaggi del suo romanzo di esordio. Classe 1978, ora vive a Roma dove collabora e ha scritto per “Il Magazine” e “Pagina99”. Al suo primo romanzo ha fatto precedere alcuni volumi tra cui “Bruno. Il bambino che imparò a volare” (Orecchio Acerbo 2012, illustrazioni di Ofra Amit) che ha vinto il Premio Napoli e il Premio Laura Orvieto ed è stato tradotto in Spagna.

ArtInTime | 13


ARTINTIME unclassicart@artintime.it

WUNDERKAMMER GAM: CONCETTI SPAZIALI La “camera delle meraviglie” della Gam di Torino ospita fino ad agosto 2015 un nucleo di opere del celebre artista italo-argentino Lucio Fontana. La mostra vede come pezzo forte il grande “Concetto spaziale” realizzato nel 1952, restaurato recentemente e tornato dalla tourné parigina del 2014 (“Rétrospective” al Musée d’Art Moderne de la Ville), in dialogo con altre opere dell’artista tra cui trenta disegni donati dalla moglie di Lucio Fontana, Teresa Rasini, in occasione della retrospettiva sull’artista tenuta in GAM nel 1970. Lucio Fontana, pittore, ceramista e

14 | ArtInTime

scultore, è spesso associato ad alcune delle sue realizzazioni più provocatorie, i “Tagli”, tele monocrome attraversate appunto da tagli netti. Nato a Santa Fè, in Argentina, nel 1899 e morto a Comabbio nel 1968, Fontana portò avanti con il suo lavoro e il suo pensiero una nuova idea di arte, fondata sul progresso e sul superamento del formalismo così come dell’astrattismo, non più adeguati all’uomo moderno forgiato dalla società materialistica. Fu infatti il fondatore dello Spazialismo, movimento artistico portavoce della convinzione che l’arte non potesse


UNCLASSICART

prescindere dalle conquiste della scienza (“ci rifiutiamo di pensare che scienza ed arte siano due fatti distinti”, si scriveva nel Primo Manifesto dello Spazialismo del 1947) e che si imponesse dunque da parte degli artisti il superamento della pittura, della scultura, della poesia tradizionalmente intesi. Nelle opere spazialiste si sperimenta quindi l’uso di nuovi materiali (metallo, conglomerati materici, neon..) e si mette in discussione l’idea convenzionale dello spazio nella rappresentazione artistica, come nel caso dei “Buchi” o dei celebri “Tagli”, che dimostrano la volontà dell’artefice di portare lo spettatore al di là della bidimensionalità della tela, in una dimensione

altra. Così accade anche in scultura, come dimostra il “Concetto Spaziale” della Gam che si sviluppa, con spirito del tutto anti monumentale, su una dimensione totalmente orizzontale, con l’accostamento di otto sottili lamiere metalliche sagomate e forate di un colore giallo saturo e brillante, fortemente antinaturalistico, che doveva creare un contrasto surreale nella sua originaria collocazione su un prato, con i fili d’erba che sbucavano dalle forature. La scelta dunque, provocatoria e rivoluzionaria, è quella di non imporre più allo spettatore un tema figurativo, ma permettergli di crearselo da solo, in base alle emozioni che riceve. Questo approccio,

così come la volontà di rivoluzionare i mezzi dell’arte, caratterizzerà tutta la produzione dell’artista (tanto conosciuto dal pubblico quanto spesso poco indagato), di cui è possibile scoprire alcuni interessanti aspetti grazie a questa preziosa esposizione nella Wunderkammer della Gam.

Roberta Colasanto

ArtInTime | 15


ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON LABORAFILM Torino, Università, Dams, tre parole per quattro ragazzi che, da qualche anno, hanno deciso di dare vita a un sogno. Un sogno che ora è realtà: Laborafilm è una piccola casa di produzione indipendente che ha permesso ai suo quattro creatori di mettere le mani nel mondo del cinema prima solo sperimentato sui libri di studio. Abbiamo fatto quattro chiacchiere con uno di loro, Davide Drochi, per capire meglio in cosa consiste Laborafilm e quali progetti ha all’attivo. Laborafilm è una casa di produzione indipendente e realizza progetti dal 2011: qual è la vostra storia, da dove nasce Laborafilm e perché? Noi siamo quattro ragazzi, Davide Drochi, Federico Agnello, Lidia La Rosa, Alberto Autiero. Federico e Alberto sono i montatori e operatori, Lidia si occupa della parte redazionale e io mi occupo della parte amministrativa e della comunicazione. Il nostro gruppo nasce al Dams di Torino, dove ci siamo conosciuti il primo anno di università, durante i corsi. Abbiamo organizzato un viaggio e da lì è partita l’idea di realizzare un cortometraggio insieme, un po’ come esercizio di stile, un po’ per imparare a fare qualcosa di pratico. Abbiamo scritto un corto e l’abbiamo girato, si chiama “Grano nero”: è da lì che è nato tutto. È seguito poi un secondo cortometraggio, dopo un paio di mesi. Ci siamo resi conto che questa cosa ci piaceva, e siamo andati avanti: ora siamo arrivati in prossimità del settimo. Quando ci siamo laureati, dopo che qualcu-

16 | ArtInTime

no è andato all’estero e ha fatto dei master, ci siamo detti ‘perché non apriamo una ditta e incominciamo a fare qualcosa di remunerato?’. In concomitanza con questa decisione, sono partiti due lavori per committenze private: abbiamo iniziato a girare spot per un’azienda che si occupa di cibo e delivery, stiamo facendo dei reportage per lo Urban Center Metropolitano di Torino, per promuovere le nuove architetture in città. Nel frattempo ho conosciuto Antonio Casto, lo sceneggiatore de “Le anatre” e così è nata anche questa collaborazione. In cosa consiste questo nuovo lavoro? All’inizio con Antonio abbiamo scritto molti cortometraggi che non si sono poi mai concretizzati, e poi è arrivato “Le anatre”, che ci sembrava perfetto per il Monfilmfest di Casalborgone, che si tiene sempre l’ultima settimana di agosto. A questo festival hanno partecipato un sacco di registi importanti, come Adriano Valerio, che ha avuto una menzione a Cannes, Alessio di Zio che è tenuto d’occhio dal festival di Venezia... Noi ci siamo iscritti, non sappiamo ancora se saremo selezionati perché i risultati usciranno verso luglio. Però abbiamo pensato che abbiamo girato spesso in scarsità di mezzi, e quindi ci siamo detti che anche se non dovesse andare bene, lo gireremo lo stesso. Il valore aggiunto del progetto è che dal 3 giugno partirà una campagna di crowdfunding. Di cosa si tratta? La campagna di crowdfunding è

necessaria per recuperare 2000 euro, che è il budget che ci serve e che ci siamo prefissati per riuscire a mettere in moto la produzione. È il minimo indispensabile e servirà a coprire i costi di alcune maestranze come il direttore della fotografia, il fonico, l’acquisto di un microfono direzionale adeguato per le riprese in esterna in presa diretta, e poi catering, qualche rimborso spese… Le classiche spese per la produzione di un cortometraggio. Nel caso in cui l’attore famoso che abbiamo contattato decidesse di partecipare, utilizzeremo parte di questo denaro anche per lui, che dovrebbe comparire in un cameo nella scena iniziale. Che storia racconta questo cortometraggio dal titolo così particolare? Il corto vuole mettere in evidenza i luoghi comuni delle grande città, o meglio di alcuni personaggi delle grandi città. Non vuole essere il caso specifico di Torino: noi lo gireremo qui, probabilmente al parco del Valentino per esigenze produttive, ma se troviamo altre location andranno bene lo stesso. L’intento è quello di mettere in luce i tic, le caratteristiche di alcune persone che vivono il parco e la città: come i jogger, per esempio, fissati con la salute e il benessere fino a farne quasi un’ossessione, le signore di mezza età un po’ chic a passeggio con i cani, che fanno discorsi a volte sopra le righe, una coppia in crisi che litiga di punto in bianco, la ragazza scopre di essere lasciata all’improvviso, dopo una crisi di nervi del ragazzo che sbotta e se ne va. Sono tutte scene surreali, un po’ grottesche, che però vogliono


INTERVISTANDO

sottolineare alcuni aspetti della vita reale delle persone. Antonio, lo sceneggiatore, dice che c’è chi questa irritazione la combatte con gli psicofarmaci, lui ha scritto questa sceneggiatura. Ci sono delle curiosità legate alla lavorazione di questo corto? Sì, ci avvaliamo della collaborazione di Eppela per la gestione del crowdfunding: per la partecipazione era richiesto un piccolo video, e così io e Antonio abbiamo spiegato un po’ di cose sul film, lo trovate su Youtube. Abbiamo girato poi una scena, tagliata dal progetto iniziale, di alcune donne con il cane al Valentino: la stiamo montando e la useremo per la campagna, sul sito di Eppela e su Facebook. Inoltre, alla Ciclofficina Popolare di via Ormea qui a Torino, un giovedì al mese si svolge Letteratura Underground, incontro con alcuni scrittori emergenti e non che

leggono alcuni lavori: tra questi c’è stato Antonio con una scena del corto che abbiamo poi tagliato. Torniamo a Laborafilm: siete arrivati a questo progetto, ma ce ne sono stati altri prima, insieme a esperienze e festival a cui questo lavoro - che vi siete creati - vi ha permesso di arrivare. Inaspettatamente siamo stati selezionati per una piccola manifestazione, il Cuneo Film festival, con “Grano nero”, il nostro primo cortometraggio, amatoriale, la prima o quasi esperienza di tutti in ambito cinematografico. Ci hanno poi selezionati per la vetrina di fine estate del Monfilmfest, di cui ti ho parlato prima e a cui speriamo di partecipare: la vetrina è la sezione dei cortometraggi già girati. Sono seguiti diversi lavori, fino all’ultimo, “Pensiero stupendo”, un corto a tematica gay sul potere della

seduzione e sui confini della sessualità. Abbiamo pensato di farlo in chiave ironica e di commedia: da studente di cinema ho frequentato diversi festival a tematica LGBT, mi è capitato anche di partecipare alla giuria per delle sezioni minori, e ho constatato che quasi tutti i film sono tristi. Così abbiamo pensato ci fosse bisogno di fare qualcosa di più ironico e leggero e abbiamo scritto questa storia che non ha morale, è leggera, appunto. Il corto è stato selezionato al Vizioso film fest, un piccolo festival di Torino a cui abbiamo partecipato poco tempo fa, e sempre alla vetrina di fine estate del Monfilmfest. Per esercizio di stile, ma anche per allenarci ed essere in grado di gestire più cose, cerchiamo di scegliere progetti diversi: ancora prima di “Pensiero stupendo” avevamo girato un corto a tematica noir, “L’ombra” e poi un poliziesco, “I segni del caso”, selezionato al Ge-

ArtInTime | 17


ARTINTIME

18 | ArtInTime


INTERVISTANDO nova Film Festival. Abbiamo avuto una direttrice della fotografia molto brava che si chiama Bénédicte Manière e lavora con un’agenzia di moda francese. Siamo molto amici e le ho chiesto se poteva darci una mano: la fotografia di quel corto è venuta molto bene. Da lì abbiamo poi deciso di aggiungere alla produzione di cortometraggi anche i video su committenza, proprio per finanziarci: il sistema produttivo dei cortometraggi non è semplice, come non lo è arrivare alle istituzioni e ai finanziamenti. Cercate di esercitarvi su più generi possibili e avete aperto anche a lavori su committenza, ma qual è la cosa che più vi piace fare e verso cui puntate? Stiamo ancora cercando di capirlo: sicuramente la realizzazione e produzione di cortometraggi è quello che tutti sognavamo e sogniamo ancora di fare, ci rendiamo però conto che è la cosa più difficile da gestire e da realizzare: i costi sono alti e la lavorazione dura mesi. È una cosa che va fatta con dei fondi non indifferenti, ma sì, realizzare cortometraggi e prodotti a carattere cinematografico è quello che ci piace di più. Non ci dispiacciono però nemmeno i lavori su committenza, e abbiamo da poco sperimentato un nuovo genere che è il videoclip. Poco tempo fa siamo stati contattati da un’artista emergente, Bea Zanin, cantautrice polistrumentista, per realizzare il video di “Mistery Boy”, il suo terzo singolo estratto dall’ep di esordio. Abbiamo realizzato questo corto su falsa riga di “Pensiero stupendo”: la canzone ci sembrava adatta, quindi ci sono riferimenti alle cantanti degli anni Ottanta, per esempio, che ci sembravano il modo migliore per rappresentare il pezzo. Spero ci saranno prossimi videoclip in futuro,

è una cosa che personalmente mi piace molto. Insomma, non ci poniamo limiti, anche perché non siamo ancora nell’occhio del ciclone e possiamo permetterci di sguazzare dove vogliamo. La cosa bella è che siamo in quattro, a livello di committenza gestiamo le diverse parti dei progetti, ma quando si tratta di progetti più grandi, se sentiamo che sono più in linea con i nostri gusti scegliamo di seguirli in modo dedicato, “Mistery Boy” per esempio l’ho gestito io, Alberto invece si occuperà di un progetto che stiamo curando con l’Associazione Genitori Separati e Figli: vorremmo fare un lavoro per sostenere questa causa, è in progetto un corto sullo stile dello psicodramma, ma più artistico, in stile video arte, una prima esperienza in questo campo. Mi hai detto che alcuni di voi sono stati all’estero: come mai avete deciso di tornare in Italia e provare a fare qualcosa qui? Parlo per me: tendenzialmente sono legato alle radici e alle cose, e sì, l’erba del vicino è sempre più verde, però alla fine è necessario confrontarsi con il nostro modo di fare le cose. Personalmente, non potrei vivere o lavorare in un altro paese, preferirei farlo qui, magari con più difficoltà. Alcuni ragazzi che hanno lavorato con Laborafilm sono ancora all’estero, non è detto che più avanti non collaboreranno. Nel frattempo, abbiamo aperto al tirocinio con l’Università di Torino: alcuni studenti che già ci conoscono e magari ci hanno aiutati per lavori e proposte varie ci mandano il curriculum e vengono selezionati. Riusciamo così ad avere un aiuto in più per lavori specifici come l’ufficio stampa, la grafica, la parte redazionale. Al momento abbiamo una ragazza che ci sta aiutando per il lavoro redazio-

nale con Lidia e per i reportage sullo Urban Center. Siete online? Dove vi possiamo trovare? Abbiamo da poco un sito – www. laborafilm.it – con un blog, gestito da due ex di Laborafilm, che ora sono uno a Bologna e uno a Stoccolma a studiare cinema. È un blog di cinema indipendente italiano, i ragazzi si occupano di trovare prodotti e scrivono articoli, a volte anche in ambito europeo o americano. È una cosa molto interessante, l’ultimo articolo è stato su “La mezza stagione”, che ha vinto il Roma Independent Film Fest, è un film sul quale non ci sono stati molti articoli, infatti il nostro è stato notato dal Festival. E poi il blog ci consente anche di avere uno sguardo sul panorama del cinema e ciò che accade intorno.

Alessandra Chiappori

ArtInTime | 19


ARTINTIME

20 | ArtInTime


TEATRO teatro@artintime.it

LA MAGIA DEI MONDI METANARRATIVI Vuoi il tema, vuoi le suggestioni, vuoi il clima: la voglia d’estate c’era tutta al Birrificio Metzger di Torino, in una afosa sala allestita a spazio teatrale che, dal 26 al 31 maggio, ha ospitato “Robinson Crusoe, il bestseller”. Il passo dalla poltrona all’isola deserta è stato breve per un riuscitissimo spettacolo giocato proprio sulla magia del racconto. L’opera porta la firma, per drammaturgia e regia, di Albergo Gozzi, nome noto al mondo del palcoscenico e della radiofonia italiana, nonché docente di Linguaggio radiofonico presso l’Università di Torino e creatore di Radiospazio Creativo, oggi Radiospazio Teatro (noi lo avevamo già intervistato nel febbraio 2013). Ed è proprio dall’esperienza di Radiospazio che è necessario partire per valutare questo nuovo lavoro andato in scena. Nato da un approfondimento dell’osservazione e della riflessione sui rapporti tra testo teatrale, voce e suono, Radiospazio Teatro si presenta oggi come qualcosa di più solido e maturo rispetto al gruppo di origine, una compagnia teatrale a tutti gli effetti, che porta sul palco la consueta accorta, spiritosa e mai banale riflessione su ciò che è teatro, testo, parola. Più semplicemente, su ciò che è narrazione. Il perno centrale di questo Robinson è proprio l’attività del narrare. Entrati nella casa editrice del signor Taylor scopriamo le regole di un mondo fatto di appuntamenti, manoscritti, classifiche e copertine.

“I racconti mi debilitano”, lamenta il signor Taylor, mentre la giocosa segretaria è intenta a covare frivolezze da ufficio: è in questo contesto che fa la comparsa un aspirante autore, Daniel Defoe. Nel mondo magico del teatro possiamo anche fingere di non sapere nient’altro, e lasciarci sorprendere dai fatti: Defoe ha presentato una proposta per un romanzo, ma senza manoscritto, c’è soltanto una spicciola sinossi. L’autore ha bisogno di denaro, e Taylor si fa convincere su una possibile pubblicazione dell’opera. Ma il racconto manca ancora, ed è qui che si apre la magia metanarrativa dello spettacolo. Mescolando sulla scena dialoghi, parti narrate, suoni, parti in video (grande novità per Radiospazio e di efficacia drammaturgica notevole in questa soluzione) e incursioni di personaggi sulla scena, il Robinson Crusoe prende lentamente forma. La narrazione ha bisogno di sforzi non da poco per procedere, è un’attività che sfianca chi la produce, o tenta di farlo, e chi ascolta. Del resto quello a cui assistiamo, come ci ricorda più volte Defoe, è “il racconto di un racconto che non esiste ancora”, dove lo sforzo dell’immaginazione è travolto dalla difficoltà di prendere forma viva in una storia visibile, credibile per gli altri. E credibile anche per il mercato editoriale che, con le sue insidie, metterà a dura prova la storia di Robinson. Un gioco metanarrativo di grande equilibrio e piacevolezza questo

“Robinson Crusoe, il bestseller”, che segna una tappa ulteriore nel percorso di crescita della compagnia di Radiospazio, e ridona allo spettatore la bellezza del testo, teatrale e letterario, la sua complessità ma al contempo giocosità. I toni da commedia sono, non da ultimo, uno stemperamento del rovello narrativo che sta al centro della scrittura: i protagonisti dimostrano un notevole talento recitativo e caricaturale. Tra tutti, un plauso al pappagallo di Robinson, dall’irresistibile verve citazionistica e ironica e dalla mimica davvero spassosa. Potete seguire Radiospazio sul blog: www.radiospazioteatro.wordpress. com

Alessandra Chiappori

ArtInTime | 21


ARTINTIME fromlondon@artintime.it

JOHAN-BASTIEN POLLE ALIAS EGREGOR Thursday 14th of May 2015. It is a rainy afternoon in London and the Timberyard seems the best shelter for a chat with friends. After an unseasonal hot chocolate the owner tells us that downstairs there’s a exhibition of pictures by a French photographer. By chance I meet Johan the author of those remarkable shots. Under the alias of Egrégor, Johan-Bastien Polle captures images with his camera and fantasizes about the surroundings. Egrégor lives in France in Picardie region, an area known for its blue skies and forests. His first love was architecture and sculpture; as a teenager he felt attracted to photography and decided to attend a course of art history during graduate school. If the premises were born around 1999, the mastery of techniques became solid in 2007. Then germinated through the early works. Egregor offers another reading of our daily lives, our immediate environment. He has been showing his works mostly in Picardie, was also invited for the first edition of the OFF Festival a side event of the Photaumnales photography festival in Beauvais. After coming to London, in June he will be in Rome to get some inspiration. Here the interview that followed our meeting. What brought you to Photography? I got close to photography studying architecture, the first of all arts. This passion was backed by courses on the History of art, visits to monuments and, finally, by the acquisition of a listed building

22 | ArtInTime

in which I currently live. I started taking pictures first of monuments then landscapes. I tried to highlight the architecture, finding the right light or capturing a moment. From architecture and landscapes I moved towards items, details; from the light I changed focus onto colours and textures. Photography is, above all, the rapture for images. I like images, from video clips to feature films, from Rembrandt’s paintings to photos by Burtynsky. Which is your favourite piece from the exhibition and why? Without a doubt, my favourite is “Tribute to Mr Brown”, previously entitled “Amen”. It’s the detail of a bridge over a dam, not very far from where I live. To me, it was a place of peace, of meditation, of nostalgia. I used to go there when I was feeling sad or down. From the bridge, I watched the water running through the dam. The day I decided to photograph it, I found it in pieces on the river bank. It had been disassembled to build a brand new one. It made me feel a bit sad, but I decided to transform this sadness into something more positive and to take the best photographs I could. In the post production of the photos, I discovered this one, the pieces of metal are positioned in a shape of a catholic cross. From there came the title Amen. “The bridge is destroyed, and so it goes, Amen”. Recently, a person close to my heart passed away. He loved this photo. He acquired two copies. I decided to rename it to pay tribute to this great man. This piece it’s me: my past, my emotions, my tastes,

my culture, my friend, it’s the time passing by on the metals as it does on the people or on me and gives a beautiful result, strong and worthy. Did you like London, did you find it inspiring? If yes in which ways? London is an incredible city! I’ve been here many times. It’s like me, with all my contradictions. You can find elegance mixed with decadence, classicism next to street art, traditional values contaminated by the latest trends. London is like Timberyard. A place open to a mix of cultures, generations and styles. What are you expecting from your trip to Rome? As always, I expect to be surprise. When I take pictures of a city, I obviously take few shots of the mustsee landmarks. I try to put a bit of myself in it but it’s not always easy. I look at what surrounds me, what is part of the day to day life of this city, what seems dull. That’s what makes me feel the soul of the place. That’s what I’ll be looking for in Rome. How would you say a perfect creative day should be? A nice catch up with friends, talking about art and exchanging points of view and personal thoughts. A visit to a heritage site. Walk in a busy street or place, surrounded by people laughing, crying, getting busy. Listen to a busker. Then find myself in a quiet place with my partner, to stroll in unusual places, far away from the others. I like to feel like a pioneer, discovering a new place or something to photograph. It creates a real excitement. To observe, in silence. My


FROM LONDON

camera in hands. And later on go back home, relax, and live the day again through beautiful pictures, choose the titles. A great creative day has balance between sharing experiences and inner-thinking. Which was the best feedback to your works of art? The comment from Mr Brown, my dear friend, when talking about “Amen” is very close to my heart. He used to be a critic in the States. He told me that I had a “real spark of genius”. It was a real compliment. It was clear it wasn’t flattery because he bought two copies of this piece. The greatest feedback, however, was from Dominique Fournier, former program director of TV5 Monde and director of cultural relations at France Televisions. He wrote about my work: “I discovered with pleasure his talent as a photographer. I love his very pictorial

conception of photography. Like a painter, he first has an inner vision of what he wants to show us. His pictures, very well structured with a good control of colours and geometric shapes are a reflection of his imagination: they give us to dream.” Do you think there is enough visibility nowadays for emerging photographers to express themselves? I don’t know if it’s very big. There is room for each of us. However, photography as an art is not recognised everywhere. I feel that Paris, as opposition to London, is shyer on the question and I regret it. --------------------------------------------Giovedì 14 Maggio 2015. È un pomeriggio piovoso a Londra e il caf-

fè Timberyard sembra il rifugio ideale per una chiacchierata tra amici. Dopo una cioccolata calda fuori stagione il proprietario del locale ci fa sapere che nel seminterrato si tiene una mostra fotografica delle opere di un artista francese. Per casualità incontro proprio lui, Johan, autore di quei notevoli scatti. Dietro l’alias di Egrégor, Johan-Bastien Polle cattura immagini con la sua macchina fotografica e fantastica sul mondo che lo circonda. Egrégor vive in Francia nella regione della Piccardia, un’area conosciuta per i suoi cieli azzurri e foreste. Il suo primo amore è stata l’architettura, seguita dalla scultura; da adolescente ha coltivato la passione per la fotografia decidendo, da lì, di studiare storia dell’arte una volta iscritto all’università. Se le premesse risalgono dunque al 1999, la padronanza del mezzo si consolida intorno al 2007 per sbocciare nei primi lavori.

ArtInTime | 23


ARTINTIME

Egrégor offre un’altra prospettiva alle nostre vite quotidiane, all’ambiente che ci circonda. I suoi lavori si possono trovare principalmente in Piccardia, tuttavia Johan ha partecipato anche alla prima edizione dell’OFF Festival, un evento collaterale della fiera fotografica Photaumnales a Beauvais. Dopo essere approdato a Londra si dirigerà a Roma per trarre ispirazione dalla città eterna. Ecco di seguito l’intervista che è scaturita dal nostro incontro. Cosa ti ha spinto ad avvicinarti alla fotografia? Ho iniziato ad appassionarmi di fotografia mentre studiavo architettura, la prima tra tutte le arti. Questa passione è stata supportata da corsi sulla Storia dell’Arte, visite a monumenti e, infine, dalla acquisizione

24 | ArtInTime

da parte mia di un edificio d’interesse storico in cui ancora oggi vivo. Ho cominciato a fare foto di monumenti, per poi passare ai paesaggi. Cercavo di esaltare l’architettura dei miei soggetti attraverso lo studio della luce, o semplicemente immortalando il momento. Da lì sono passato agli oggetti, ai dettagli; alla luce ho quindi preferito il colore e la consistenza. La fotografia è, principalmente, l’amore per le immagini. Mi piacciono le immagini in ogni loro declinazione, dai video clip ai film, dai dipinti di Rembrandt alle foto di Burtynsky. Quale delle fotografie esposte in questa mostra è la tua preferita? Senza dubbio “Tributo a Mr Brown”, precedentemente intitolata “Amen”. È il dettaglio di un ponte sopra una diga, non lontano da dove abito.

Per me rappresentava un posto di pace, meditazione e nostalgia. Ero solito andarci se mi sentivo triste. Dal ponte guardavo l’acqua scorrere attraverso la diga. Il giorno che decisi di fotografarlo, lo trovai in pezzi sulla sponda del fiume. Era stato smantellato per fare spazio a uno nuovo. Mi sentii malinconico, ma decisi di trasformare la tristezza in qualcosa di più positivo e di scattare la fotografia più bella che potessi. Nel ritoccare le foto di quel giorno in post produzione ho scoperto che in questa i pezzi di metallo sono posizionati a formare una croce cattolica. Da qui il primo titolo “Amen”. “Il ponte è distrutto, e così se ne va, Amen”. Di recente una persona molto vicina a me è passata a miglior vita. Amava questa foto. Ne ha comprato due copie. Perciò ho deciso di ribattezzarla,


FROM LONDON per tributo a questo grande uomo. Questa foto mi rappresenta: è il mio passato, le mie emozioni, i miei gusti, la mia cultura, il mio amico, è il tempo che scorre sul metallo come sulle persone e su me stesso e lascia un bellissimo risultato, d’impatto, importante. 3Ti è piaciuta Londra, l’hai trovata fonte di ispirazione? Se sì, in che modo? Londra è una città incredibile! Ci sono stato molte volte. Mi rappresenta, con tutte le mie contraddizioni. Qui puoi trovare l’eleganza che si mischia alla decadenza, il classicismo di fianco alla street art, i valori tradizionali contaminati dai trend del momento. Londra è come Timberyard. Un posto dove si incontrano diverse culture, generazioni e stili. Cosa ti aspetti dal tuo viaggio a Roma? Come sempre, mi aspetto di essere sorpreso. Quando fotografo una città, ovviamente dedico alcuni scatti a luoghi imperdibili. Cerco di mettere un po’ di me in essi ma non è sempre facile. Guardo ciò che mi circonda, ciò che fa parte della vita quotidiana del posto, ciò che sembra banale. È questo che mi fa percepire l’anima di un posto. È questo che cercherò a Roma. Come descriveresti una perfetta giornata creativa? Una bella chiacchierata tra amici, parlando d’arte e scambiandoci punti di vista e opinioni personali. Una visita a un luogo di interesse storico. Camminare in un posto o una via trafficata, attorniato da persone che ridono, piangono, si danno da fare. Ascoltare un musicista di strada. Poi ritrovarmi da solo in un luogo tranquillo con il mio part-

ner, passeggiando in posti inconsueti, lontano da tutto e tutti. Mi piace sentirmi come un pioniere, alla scoperta di nuovi luoghi o di nuovi soggetti da fotografare. Crea un vero senso di eccitamento. Osservare, in silenzio. La macchina fotografica tra le mani. Poi andare a casa e rilassarsi, rivivendo la giornata attraverso le foto, scegliendone i titoli. Una giornata creativa ben riuscita dovrebbe avere il giusto equilibrio tra condividere le proprie esperienze e la riflessione personale.

tavia, la fotografia come arte non è ancora riconosciuta ovunque. Sento che Parigi per esempio, in contraddizione a ciò che succede a Londra, è riluttante a fare luce sulla questione e ne sono molto dispiaciuto.

Cristina Canfora

Qual è stato il miglior commento a uno dei tuoi lavori? Quello che mi è stato dato dal mio caro amico Mr Brown a proposito di “Amen” mi sta molto a cuore. Lui era un critico negli Stati Uniti. Mi disse che possedevo una “scintilla di genialità”. Fu un vero complimento. Non una semplice lusinga visto che comprò ben due copie del mio lavoro. Tuttavia il più grande risultato mi è arrivato da Dominique Fournier, ex direttore di TV5Monde e attuale responsabile delle relazioni culturali per France Télévisions. Scrisse a proposito del mio lavoro: “Ho scoperto con piacere il suo talento come fotografo. Mi piace la sua concezione estremamente figurata della fotografia. Come un pittore, ha per prima cosa una visione interna di cosa vuole mostrarci. I suoi scatti, molto ben strutturati con un gran controllo dei colori e delle forme geometriche riflettono la sua immaginazione: ci permettono di sognare” Pensi che ci sia abbastanza visibilità, al giorno d’oggi, da permettere ai fotografi emergenti di esprimersi a pieno? Non so se sia veramente ampia. C’è spazio per ognuno di noi. Tut-

ArtInTime | 25


ARTINTIME music@artintime.it

FOJA Un ‘play’ e il grigio delle corse quotidiane sparisce, un’play’ e ci si risveglia in un’assolata, assonata, colorata e vivace Napoli. C’è un po’ di narrativa, un po’ di sole, un po’ di un mondo senza tempo negli accordi dei Foja. Eppure c’è anche la fretta, l’urgenza, la passione che spinge a parlare di qualcosa, a cantare quei vicoli con il dialetto che li sa delineare come nessun altra lingua, a cullare le sonorità tra i balconi e le piazze. Un contrasto che ben si accosta alle contaminazioni più disparate dei brani, su un fondo rock, con lo sguardo a un panorama musicale estesissimo. Forse a rendere così avvolgente e variegata la loro musica è l’esperienza dei quattro musicisti (Dario Sansone - autore e voce, Ennio Frongillo - chitarra, Giuliano Falcone - basso e Gianni Schiattarella - batteria) che dal 2006 girano per l’Italia portando una ventata di sound squisitamente mediterraneo. È un lampo, e passano cinque anni, che portano la band a rodarsi su molti palchi, realizzando brani come “Se po’ sbaglià” poi scelto per la colonna sonora del film ‘Una montagna di balle’, fino a suonare all’apertura

26 | ArtInTime

del concerto di Eugenio Bennato al Meeting del mare. Nel 2011 esce il loro fortunatissimo disco d’esordio: “Na storia Nova”, con la produzione artistica di Fabrizio Fedele e un concept grafico realizzato da Alessandro Rak, famoso fumettista italiano. Un’ascesa rapidissima, che conquista con una musica e dei testi ‘di pancia’, che colpiscono per spontaneità e semplicità anche chi il dialetto non lo conosce. Il successo li spinge a realizzare oltre 350 date in Italia e all’estero, portandoli fino al palco del Giffoni Film Festival, al concerto degli Almamegretta al Rock In Roma e all’apertura del concerto dei Subsonica all’Arenile. Nel 2012 esce l’EP digitale “Foja Live 24/02/2012” registrato live al concerto sold out tenuto al Teatro Trianon di Napoli. Nel 2013 i Foja sono il gruppo d’apertura al concerto di Manu Chao e, nello stesso anno, viene rilasciato il loro terzo lavoro: “Dimane torna o sole” con l’etichetta indipendente Full Heads. Oltre alle numerose collaborazioni, questo disco inaugura l’entrata nella band di un nuovo elemento, il polistrumentista Luigi Scialdone, che

arricchisce il già poliedrico sound dei Foja con chitarra, mandolino e ukulele, oltre a partecipare ai cori. Da citare il brano “A malia”, scelto come colonna sonora del pluripremiato film di animazione di Alessandro Rak e Luciano Stella: ‘L’arte della felicità’ e candidato per il David di Donatello e per il “Nastro d’Argento” come migliore canzone originale. Una ricetta che funziona, quindi, che piace e che appassiona quella dei Foja. Un mix che, in attesa dell’estate, vi scalderà il cuore. So, enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

ArtInTime | 27


ARTINTIME books@artintime.it

IL FASCINO PERICOLOSO DELLA MUSICA Cambridge, cappella del King’s College, una sera di inverno. È lì che Oscar, il protagonista di questa storia, o meglio colui dal cui punto di vista il narratore ci racconta la vicenda, incontra la ragazza che lo farà innamorare, Iris. Bionda, sofisticata, studentessa di medicina e violoncellista raffinata, di prestigiosa provenienza alto borghese. Così lei, così, e ancora più eccezionale e speciale, il fratello Eden, organista nella cappella. Entra in scena fin da subito la musica, uno dei cardini di questo avvincente romanzo dall’atmosfera thrilling ambientato nella pace e apparente serenità della cittadina universitaria inglese. Presto intorno alla coppia formata da Oscar e Iris, alla quale è sempre affiancata l’enigmatica e carismatica figura di Eden, si aggiungeranno in coro Marcus, Jane, Yin. Una compagnia di amici ristretta, selezionata, chiusa, contraddistinta dalla raffinatezza, dall’estrazione sociale e dallo stile di vita, così ozioso e dissonante rispetto all’attività lavorativa del ventenne Oscar, infermiere in un ricovero per anziani e non studente in un college di prestigio come tutti gli altri. Un gruppo nel quale protagonista assoluto è Eden, sempre pronto a emergere con il proprio talento musicale e la propria estrema e coltissima sensibilità, sempre presente con un insidioso carisma che mantiene in modo gravitazionale tutti gli altri intorno, a dargli costante attenzione. È con lui che entra in gioco il

28 | ArtInTime

secondo cardine di questa storia: la psiche, i suoi misteri, le sue fascinazioni, i suoi poteri e quel sottile e labile confine che opacizza la differenza tra razionalità e mistero, tra pensiero scientifico e sentimento della speranza. Eden è convinto di poter guarire le persone con una terapia combinata di musica e ipnosi: si susseguono lungo il romanzo esperimenti intessuti di potente musica, in grado di smuovere le emozioni, dolore e sensazione di mistero ed estremo fascino. Ma la fiducia nelle capacità di Eden stride ripetutamente contro la sua personalità narcisistica e il suo egocentrismo forsennato, alimentando i dubbi, facilitando lo scivolamento nel mistero di tutti i personaggi, e giocando così con le credenze del lettore, attirato per curiosità da questa storia strana, dalle vicende così poco consuete della famiglia Bellwether. Tra sontuose ville, giardini, ozio fatto di chiacchiere tra ragazzi ed esecuzioni musicali intrecciate a riflessioni filosofiche, Oscar, innamorato di Iris ma sempre percorso dal dubbio, lucido perché distante dallo stile di vita degli altri, entrerà piano piano a far parte della compagnia. Un percorso che segue passo passo “il caso Bellwether”, inseguendo quelle che dapprima sembrano solo bizzarrie dell’Eden raffinato esteta, e diventano a poco a poco manifestazioni di una personalità fuori dal comune. Pregio del romanzo, corposo ma

godibilissimo alla lettura, è la struttura geometrica perfettamente circolare. La storia apre su un prologo che è già in realtà un epilogo, sul quale siamo da subito informati, privi però di tutti i riferimenti testuali che via via raccoglieremo nel nostro paniere di lettori e con i quali allestiremo il mondo narrativo. Supponiamo, ma non siamo ancora certi, che scorrendo la storia arriveremo al punto in cui quell’ellissi aperta dal narratore si andrà a ricomporre restituendoci la successione temporale dei fatti così come sono avvenuti, e allora capiremo. Ma siamo messi di fronte alla realtà dei fatti già in apertura del libro, e dunque sospettiamo, ancora più diffidenti di Oscar, annebbiato dall’amore per Iris ma tuttavia sempre attento. Diretta conseguenza o meno del legame profondo di questa storia con i misteri e le pieghe nascoste della psiche, le descrizioni degli stati d’animo dei personaggi, e di Oscar in particolare, i cui occhi sono i nostri, sono lavorate ad arte nel creare la spirale fascinosamente pericolosa che ci condurrà diretti a quell’epilogo già scritto. Una storia come un universo chiuso, un gruppo di amici nella cui stagnante situazione interverrà un nuovo arrivato, un elemento esterno, a generare entropia e accelerare fatti e reazioni che, lo capiamo, fremevano sotto la superficie in attesa della deflagrazione che risuona come un coro accompagnato da un organo al King’s College. Un suono intrigante,


BOOKS che colpisce alle viscere e plasma stati d’animo, ma allo stesso tempo un suono così misterioso e potente da riuscire a scatenare le più inaspettate macchinazioni della psiche umana.

A lessandra Chiappori

La ragazza bionda riusciva a stare ferma solo quando cantava il coro. Il petto le si sollevava, gonfio; le labbra fremevano. Sembrava rapita da quell’arazzo di voci, dalla purezza del loro suono, dalle armonie impetuose che inondavano lo spazio aperto sopra di loro. Oscar la vide battere con le dita il ritmo sul ginocchio fino all’«Amen» finale. Il coro si sedette e il silenzio – come un paracadute aperto – calò nella cappella. Benjamin Wood, “Il caso Bellwether”, Ponte alle grazie, 2015

Benjamin Wood Classe 1981, inglese del nord-est, Benjamin Wood ha folgorato gli editori britannici e di tutto il mondo con il suo romanzo di esordio e le sue pagine dense di maturità che, pare, porteranno il caso Bellwether sui grandi schermi. Attualmente l’autore è docente a un master di scrittura creativa presso l’Università della British Columbia, in Canada, un corso che lui stesso aveva già frequentato. Nel suo passato, anche un’esperienza da editor di narrativa presso la rivista “PRISM International”.

ArtInTime | 29


ARTINTIME popart@artintime.it

SLIP OF THE TONGUE Per la prima volta un artista a fare da curatore! Stiamo parlando di Dahn Vo, il performer concettuale di origini vietnamite, e dell’esposizione “Slip of the Tongue”, che ha anticipato la Biennale di Venezia 2015, partita ufficialmente il 9 maggio e che proseguirà fino al 22 novembre. Sita a Punta della Dogana a Venezia, la mostra prende il nome dall’opera dell’artista Nairy Baghramian e mira a creare una mappatura dell’amicizia. Due le opere dell’artista americana Nancy Spero, a costituire il fulcro dell’esposizione: “Codex Artaud”, costituita da trentaquattro rotoli di fragili strisce di carta che coinvolgono scrittura pittura e disegno, in antitesi con la rabbia dello scrittore francese Antonin Artaud, e “Cri du Coeur” monumentale tenta-

30 | ArtInTime

tivo di avvicinamento al dolore che colpisce l’uomo nei conflitti bellici. La relazione personale e lo scopo sociale diventano allora il fil rouge di tutta l’esposizione, ripresa anche dalla stessa città di Venezia, crocevia di popoli in equilibrio tra comunione e divisione. Dahn Vo, inoltre, decide di enfatizzare questi contrasti costellando il percorso di visita di opere contemporanee e di opere antiche, prestate per l’occasione dall’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini e dalle Gallerie dell’Accademia. Oltre cinquanta gli artisti (passati e moderni) le cui opere partecipano alla mostra, una vera opportunità di calarsi nei temi di salvaguardia, violenza sugli oggetti e riparazione. Il tutto in una location unica.


STREET-ART

ArtInTime | 31


ARTINTIME events@artintime.it

GIANDUIA REGGAE EXPLOSION

FESTA DELLA MUSICA TORINO 2015

FDM 2015 MILANO

Torna la carica di energia del Gianduia Reggae Explosion! Dal 19 al 21 giugno infatti il Foro Boario di Moncalieri verrà invaso da artisti nazionali e internazionali di musica reggae e afro. Tre le sezioni: musica, danza e street art. Due stage musicali, associazioni onlus, stand culinari e culturali a rendere per qualche giorno la provincia di Torino un vero e proprio pezzo d’Africa.

“La musica prende il volo” questo il messaggio dell’edizione 2015 della Festa della Musica che avrà luogo dal 12 al 14 giugno al Quadrilatero Romano a Torino. 900 musicisti impegnati in oltre 200 concerti per portare la musica per le strade della città, favorire la partecipazione e offrire a tutti la possibilità di scoprire l’arte musicale.

Al via il 18 giugno al Parco Forlanini a Milano l’ottava edizione della Festa della Musica - Milano. A #FDM2015 a farla da padrone sarà la musica elettronica. Tre stage per quattro giorni di musica ricchi di artisti internazionali della console.

Pagina facebook: Gianduia Reggae Explosion

www.festadellamusicamilano.com

www.festadellamusicatorino.it

MI AMI FESTIVAL 2015

LA NOTTE BIANCA DEL CINEMA E DEL TEATRO

FESTIVAL IL CINEMA D’ORIENTE: SUI GENERI

Milano torna a caricarsi di musica e colori con il Mi Ami - Musica Importante A Milano - Festival. Giunta alla undicesima edizione la manifestazione organizzata da Rockit.it si svolgerà dal 5 al 7 giugno all’Idroscalo presso il circolo Magnolia. Il tema di quest’anno è #etivengoacercare, al via quindi il contest per scrittori, sognatori e artisti che vogliono guardarsi dentro, trovarsi e poi aprirsi e andare a cercare l’altro.

Nell’ambito del fitto calendario eventi di Expo 2015, al fianco delle celebrazioni dedicate alle nazioni, delle giornate internazionali legate alla Carta di Milano e alle feste legate ai vari alimenti, il 20 giugno trova spazio la notte bianca del cinema e del teatro. Spettacoli e proiezioni per tutta la notte.

C’è tempo fino al 10 giugno per gustarsi il Festival del cinema d’oriente in scena a Padova. “Il Cinema d’Oriente: sui generi” si svolge presso il Fronte del Porto Filmclub e vuole richiamare l’attenzione su un territorio ancora poco conosciuto ma che presenta rari gioielli di cinematografia.

www.rockit.it/miami/2015

32 | ArtInTime


EVENTS BIOGRAFILM FESTIVAL

TONINO CONTE.

CONTEMPORANEOS

Dal 5 al 15 giugno a Bologna torna per l’undicesima edizione il Biografilm Festival - International Celebration of Lives. Tante le sezioni (Italia, Europa, World Wide...) e tanti gli omaggi a grandi personaggi e le anteprime.

In occasione degli ottant’anni di Tonino Conte a Palazzo Ducale a Genova sarà visitabile un percorso espositivo che ripercorrerà le numerose tappe della carriera artistica dell’eclettico personaggio. Scenografie, testi teatrali e bozzetti fuori da ogni schema e mai banali.

In occasione di Expo Milano 2015 l’istituto Cervantes organizza delle performances dedicate alla produzione più recente del cinema spagnolo. Le proiezioni, a cui seguiranno i dibattiti del pubblico, saranno commentate da Adriana Fabiani.

www.biografilm.it/2015/

www.palazzoducale.genova.it

www.milan.cervantes.es

RACCONTI PRIVATI

FESTIVAL VILLA ARCONATI

LETTERATURE

Territorio, archivio e memoria, questi i temi alla base della mostra curata da Roberta Valtorta su una selezione di fotografie di Mario Cresci dedicate a quando viveva in Basilicata. L’esposizione, che indaga nelle sperimentazioni dei linguaggi espressivi, è visitabile a ingresso libero presso il Museo di Fotografia Contemporanea.

Patti Smith, Nina Zilli, gli Einsturzende Neubaten, Fiorella Mannoia e molti altri illumineranno dal 20 giugno al 21 luglio l’hinterland milanese grazie al Festival di Villa Arconati. Uno dei festival più importanti a livello nazionale per prestigio della location e qualità dell’offerta musicale, che offrirà anche quest’anno un palinsesto ricco di nomi provenienti da tutto il mondo.

Anche quest’anno per le vie di Roma si potranno incontrare scrittori che leggono testi inediti, coerenti con il tema dell’anno. In quattordici edizioni la manifestazione ha visto oltre 300 scrittori di fama mondiale e dal 1 giugno al 1 luglio 2015 non sarà da meno. http://www.festivaldelleletterature. it/it/

ArtInTime | 33


12-14

La TUA MUSICA GIUGNO PRENDE IL VOLO. 3 giorni di festa al QUADRILATERO ROMANO


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.