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IN TIME n.9 - Settembre 2015
ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS
ARTINTIME L’EDITORIALE “il XIX secolo ha visto il trionfo di quello che abbiamo chiamato il pensiero lineare, un modo di analizzare il mondo possibile solo tramite i libri. In maniera fortuita, nell’arte della rilegatura, il codice ci ha educato alla concentrazione, al pensiero astratto e alla logica. Di natura siamo inclini alla distrazione, scrutiamo l’orizzonte alla ricerca di predatori e prospettive. I libri ci aiutano a ripiegare quell’attenzione verso noi stessi, a costruire castelli sempre più alti dentro il pacifico reame della nostra mente”. La citazione è tratta da uno dei due libri recensiti in questo mese di settembre. Letture estive, godute al sole e al relax per lasciare il giusto tempo, e lo spazio, alla loro sedimentazione. E alla riflessione. Perché sarà certamente frutto di un abbinamento casuale, ma “Parole in disordine” ha inaugurato una sequenza di riflessioni che, complice il notevole abbassamento di stress, si è sedimentata e ha costruito intorno a sé un percorso. Alice, l’eroina di Lewis Carroll, che attraversa specchi e si domanda dove stia la realtà. La stessa Alice che riemerge nella piazza di Apricale, piccolo borgo di Liguria vicino a Ventimiglia, dove da anni il Teatro della Tosse di Genova porta in scena uno spettacolo estivo sotto le stelle, a zonzo per le suggestive vie – i carrugi – del paese. Un’Alice confusa, in un mondo di concetti stravolti e parole che, improvvisamente, mancano. È il Re Bianco a raccontare del magico bosco del silenzio, dove i significati si distaccano dal loro significante, e all’improvviso ci si rende conto di non saper più parlare, di non avere più parole, svanite insieme al loro fondamentale ruolo: quello di vettori di comunicazioni. Ecco allora l’attualità del romanzo della Graedon, che rende quasi insopportabile il pensiero di dover passare minuti – ore! – attaccati a dispositivi elettronici dai quali siamo ormai quasi dipendenti e che, forse, ci stanno rubando il linguaggio, la possibilità di comunicare, che paradossalmente arriva proprio lì, al centro del movimento comunicativo odierno. Certo, questo è uno scenario apocalittico frutto della fantasia distopica di un romanzo. Ma forse ci è utile per riflettere su quello che ne è ogni giorno delle nostre capacità analitiche, della ricchezza della nostra lingua che, mentre si dissolve su schermi luminosi, viene coltivata con cura e affetto da artisti che, come gli attori, le dedicano fatica, sudore e tante, tante serate. Come quelle estive, di palco in palco, di scena in scena. Il teatro è stato uno dei pilastri dell’estate di Artintime, e ha infatti fruttato uno speciale dedicato questo mese a un aspetto che molti di noi hanno sotto gli occhi ma sul quale riflettono poco: il teatro amatoriale. Al nostro Matteo il piacere – o forse, lo capirete, un po’ di dispiacere – di fare il punto sullo stato dell’arte in fatto di teatro nelle piazze. Le stesse piazze dove ha impazzato, e continuerà anche in questo settembre con tantissimi appuntamenti, la buona musica: anche questo mese, abbiamo selezionato dei consigli per voi tirati fuori dal cappello degli esordienti. E se dai libri siamo partiti, ai libri torniamo con l’intervista a Giorgio Fontana, vincitore del Premio Campiello, del quale conosceremo il trionfatore 2015 mentre questo giornale sarà già uscito. In fondo, è giusto così: ci prendiamo il tempo editoriale che ci spetta, nel flusso incontrollato di dati. Torniamo a meditare con calma, nel tempo ripiegato che è proprio della lettura, del pensiero logico, e insieme è anche il tempo del rispecchiamento, là dove si nascondono nuovi mondi, immaginati o reali? Alice è di nuovo tornata a saltellare sul nostro sentiero: in questo mese di settembre, decidiamo di seguirla. E voi? Venite con noi? Alessandra Chiappori
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ARTINTIME SOMMARIO 6 . LE SCIMMIE ASTRONAUTA by Angelica Magliocchetti
8 . IL TEATRO ESTIVO : ALLA RICERCA DELLA QUALITA’ PERDUTA by Matteo Ghidella
12 . ADOLESCENTI DI OGGI CRESCONO by Alessandra Chiappori
14 . CAPOLAVORI DEL BAROCCO by Roberta Colasanto
16 . LEGGERE CON L’OCCHIO DELLO SCRITTORE by Alessandra Chiappori
18 . ATTORI CREATIVI E TALENTUOSI. by Barbara Mastria
20 . LIANNE LA HAVAS by Angelica Magliocchetti
22 . IL MONDO SENZA PAROLE by Alessandra Chiappori
24 . SUGGESTIONI DALLA BIENNALE DI VENEZIA 2015 26 . EVENTI
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LE SCIMMIE ASTRONAUTA Arrivano da Catania la voce e la chitarra di Giorgio Falsaperna, la voce e il basso di Michele Giustolisi e il ritmo della batteria di Luca Bajardi. Ed è subito un’esplosione di energia. Le scimmie astronauta, questo il nome della band nata nel 2011 che attira fin da subito l’attenzione, guadagnandosi già nel 2012 la finale dell’ Italia Wave Love Festival e, a seguire, la classificazione per Mtv New generation e il palco del Cornetto Summer Music Tour. Un esordio folgorante quello dei giovani artisti siciliani, che nel giro di un paio di anni vincono il Sonica Fest e la presenza sui palchi dell’Heineken Jammin’ Festival e dell’Arezzo Wave, suonando al fianco di nomi di spicco come Caparezza, i Motel Connection, Bugo e Max Gazzè. Dopo un EP contenente il brano “Polline” già pubblicato da Mtv, esce ora l’album d’esordio: “Tieniti Forte”. Prodotto da Steve Lyon (Depeche Mode, The Cure e Sir Paul McCartney) e registrato a Londra. Il primo lavoro dei
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ragazzi catanesi colpisce da subito per la freschezza e l’ironia. Carico di punti di vista insoliti (“Stalker”) e di (ri)arrangiamenti capaci di dare nuova vita a vecchi successi (“Dio”), “Tieniti Forte” parla alla società moderna, cercando di indurla a rompere gli schemi e a non sopravvalutarsi troppo. Un messaggio arricchito da un sound curato e graffiante, aiutato da un’elettronica non banale, che aggiunge un tocco di eccentricità tra distorsioni e derive funky. Un ottimo inizio che vi stupirà con la ruvida “L’Amico” o con la trascinante “Rock N Roll”. Da provare: Enjoy!
Angelica Magliocchetti
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IL TEATRO ESTIVO : ALLA RICERCA DELLA QUALITA’ PERDUTA Teatro amatoriale. Due parole spesso utilizzate l’una vicina all’altra, ma sostanzialmente distanti. Personalmente l’aggettivo “amatoriale” l’ho sempre detestato. “Amatoriale”, nel mio modo di vedere una forma d’arte, è spesso sinonimo di approssimato e poco curato. E una forma d’arte approssimata e poco curata, tendenzialmente, è una forma d’arte poco interessante. Perché il teatro amatoriale è così diffuso allora? Perché delle forme d’arte, il teatro è senza dubbio quella più semplice da comunicare e far vivere. Basta non essere timidi e avere un po’ di faccia tosta, un palchetto (che in realtà spesso nemmeno serve), qualcuno interessato ad ascoltare quello che diciamo e fine: il teatro è servito. Per fare musica, pittura, danza, anche se non a livello professionistico, serve un minimo di tecnica, di studio, di preparazione alla messa in scena, applicazioni per ottenere un risultato artisticamente accettabile. Per il teatro, teoricamente, no. Una persona con una presunta passione innata può anche aver semplicemente voglia di declamare qualcosa, scritto da qualcuno che nemmeno è autore teatrale riconosciuto, e può così dire di aver fatto teatro. Amatoriale, certo, ma pur sempre teatro. Senza tecnica, voce, dizione, espressività, consapevolezza fisica e morale dello
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stare in scena, ma teatro. Molto probabilmente sarà giudicato negativamente, ma se reciterà qualcosa di divertente probabilmente riuscirà anche a far sorridere, e quindi avrà raggiunto il suo scopo. Oppure avrà un talento innato, un certo modo di parlare che lo renderà piacevole agli occhi di chi lo ascolta, sarà così ancora più a suo agio davanti a un pubblico e soddisfatto del risultato finale. In nessuno dei due casi, comunque, necessiterà di studio specifico, gli basterà, come dicevo, la parola, il corpo, magari un po’ di memoria e il gioco è fatto, il teatro è nato. Voi direte: non sta proprio in questo la bellezza del teatro? Non è l’espressività stessa, la possibilità di dipingere la propria vita e mettersi a nudo, con grande impulsività emotiva, il fascino inarrivabile del teatro? Assolutamente sì. Quello che però ne danneggia l’idea e ne limita la bellezza è proprio questo concetto di amatorialità, che ne distorce l’armonia e ne ridimensiona la grandezza. Questa lunga premessa, naturalmente, va contestualizzata. Cercando di farlo, spero mi perdonerete, farò riferimento alla mia personale esperienza di attore teatrale, cominciata nel lontano 2004. L’estate è sempre stata sinonimo di rassegne teatrali. Ci sono quelle professionistiche, nelle piazze più suggestive d’Italia, dove con i fondi
rimasti destinati alla cultura (pochi) si cerca di offrire la migliore qualità possibile, con attori di fama nazionale e spettacoli di alto livello. E poi ci sono, immancabili, le cosiddette rassegne di “teatro amatoriale”. Ed è su queste, che conosco abbastanza bene, che vorrei concentrare il mio discorso. Le rassegne amatoriali, solitamente, si concentrano nei mesi di luglio e agosto, ospitate in piazzette più o meno grandi e più o meno adatte al contesto. Una giuria si occupa di selezionare le compagnie partecipanti per poi valutare lo spettacolo migliore tra quelli proposti. Al termine della rassegna vengono premiati la migliore compagnia e, talvolta, anche gli attori che si sono maggiormente contraddistinti. Fin qui tutto bene. Quali sono, allora, i problemi a cui facevo riferimento in precedenza? Partiamo dall’organizzazione: quando parlavo di approssimazione relativa all’amatorialità, non mi riferivo esclusivamente allo spettacolo in sé. Molto spesso, infatti, chi organizza questi eventi non si cura di alcuni aspetti fondamentali che dovrebbero essere alla base del concetto stesso di teatro. La location spesso non è all’altezza, a ridosso della strada, con rumori di fondo che rendono difficile la concentrazione di chi è sul palco e di chi è fuori. Conseguenza di ciò, la messa in scena viene spesso vissuta senza la necessaria cura
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dei dettagli, non essendoci alla base una struttura forte che la sostenga e, soprattutto, ne tuteli la qualità. Ulteriore e fondamentale conseguenza, il pubblico non sarà mai educato allo spettacolo in piazza senza il prezzo del biglietto, si sentirà cioè libero di comportarsi come meglio crede, non regalando la necessaria attenzione e il rispetto del quale gli attori avrebbero bisogno e, aspetto non da sottovalutare, rinunciando a priori a uno spettacolo leggermente più “impegnato”, seguendo il comune assioma de “il pubblico del teatro estivo vuole ridere”. A testimonianza di quest’ultimo punto, nella mia personale esperienza ho visto rifiutata la mia compagnia ad alcune rassegne perché colpevole di proporre autori all’apparenza un po’ fuori dagli schemi classici del teatro amatoriale: Brecht, ad esempio,
subito letto come una “minaccia” per la ricerca di svago del pubblico che popola le piazzette in estate. La mia opinione in merito a queste problematiche è che, soprattutto all’interno delle amministrazioni comunali che si devono occupare del supporto logistico ed economico per l’organizzazione di queste rassegne, manchi una fondamentale cultura ed educazione al teatro. In passato infatti, parlando con assessori per organizzare le serate di intrattenimento, ho sempre avuto l’impressione di confrontarmi con interlocutori che non avevano la minima idea di cosa significasse mettere in scena uno spettacolo teatrale. Mi sono visto proporre location ai limiti della praticabilità, che non tenessero conto – almeno un minimo - delle basi necessarie e fondamentali per poter fare teatro
dignitosamente: una piazza intima con una buona acustica, un palco rialzato e ben visibile, un contesto culturalmente adatto ad uno spettacolo, inserito in un calendario ben strutturato. È quasi sempre sembrato che esistesse la convinzione che per fare uno spettacolo non servisse molto altro che un po’ di pubblico a guardare e qualcuno a recitare, concetti come acustica, concentrazione degli attori, cornice adatta a una forma d’arte così delicata, risultavano sconosciuti o superflui. Purtroppo, al contrario della convinzione alla quale facevo riferimento a inizio articolo, fare teatro all’aperto e farlo bene è molto complicato. Non è come fare musica, ad esempio. Anche la musica necessita di concentrazione, assolutamente, e la musica, come già dicevo, non può prescindere da un minimo di
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studio che porti all’acquisizione di una tecnica di base. Ma il supporto, in quel caso, è il volume dello strumento, che amplifica il suono e riempie lo spazio mancante o il deficit del contesto. Nel teatro c’è solo l’uso della voce, che per quanto aiutata dal microfono non riuscirà mai a sovrastare eventuali carenze logistiche, e l’espressione corporea, che deve trasmettere emozione e non può prescindere dalla concentrazione e dall’adattabilità del luogo. Tutto questo, in conclusione, genera l’amatorialità del teatro, specialmente nei mesi estivi. Amatorialità dell’organizzazione, del pubblico condizionato dall’amministrazione stessa che non lo educa diversamente ma anche, purtroppo, amatorialità dell’attore, che, basandosi su queste due mancanze basilari,
ha generato una sempre più diffusa approssimazione del ruolo, vivendo con la convinzione che per accontentare il pubblico estivo non pagante e onorare la rassegna a cui partecipa non serva molto sforzo. Esattamente l’approssimazione di cui ho parlato in apertura dell’articolo.Quale futuro, dunque? La mia esperienza, per quello che conta, mi ha sempre portato alla ricerca di qualità, naturalmente con la consapevolezza di non poter ricoprire questo ruolo a livello professionale, ma cercando di onorare l’enorme passione senza mai sottostare a uno standard che una mentalità sbagliata di coloro con cui ci si confronta nell’ambiente potrebbe generare. Se la consapevolezza che la qualità è sempre vincente si espandesse maggiormente, potremmo avere un pubblico sempre più alla
ricerca di essa, anche se pubblico estivo e quindi non abituato al concetto di teatro. E partendo dal pubblico il processo di cambiamento si sposterebbe poi a coloro che hanno il compito di organizzare e amministrare. Il teatro delle compagnie non professionistiche è fondamentale per generare cultura senza grandi investimenti. La qualità è altrettanto fondamentale per onorare una passione al meglio. Chi intraprende questa strada riuscirà a ottenere risultati e far cambiare mentalità. Anche questa è la magia del teatro. Di un mondo del quale, una volta conosciutolo, non si riesce più a fare a meno.
Matteo Ghidella
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ADOLESCENTI DI OGGI CRESCONO Lei è Will, e parla come Holden. Lei? Ma Will non è un nome da maschio? E Holden, poi, non era un personaggio di un altro libro, scritto negli anni Cinquanta da Salinger? Sì, tutto vero, basterà fare un po’ di ordine e potremo entrare con meno agitazione nel delizioso esordio letterario di Emilia Garuti. Se parliamo di Holden, verrà giustamente da pensare, parliamo essenzialmente di adolescenti. E se l’adolescenza è proverbialmente un’età problematica, per Holden si tratta di un qualcosa di più, di un dissidio forte e patologico, così intenso ma al contempo genuino e universale da rappresentare l’emblema in cui generazioni e generazioni si sono identificate divorandone le pagine. Le immortali pagine in cui un ragazzino americano scappa da scuola e girovaga solo per una New York gelida, divorato dalla voglia di affetto e dal disprezzo per l’ipocrisia e la falsità che dilagano ovunque, unica difesa l’ostentato finto cinismo, coltivato con un irresistibile slang linguisti co, leggero, fluido e versatile come un dialogato dal vivo. Ecco, è da questo humus che prende spunto, apertamente (di notevole ironia il riferimento al libro di Salinger e al linguaggio, che è uno dei cardini anche di questo esordio italiano, in ammirata devozione all’originale) la penna dietro alla storia di Will. Willelmina, all’anagrafe. Un nome che è già un programma, perché contro a ogni aspettativa la pro-
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prietaria non è una viziata e perfettissima ragazzina col naso all’insù, ma un’adolescente figlia di borghesi, di cui rifiuta in toto le regole e contro i quali si ribella, evidenziandone con acume falle e ipocrisie. Intelligente, sveglia e molto brava in lettere, Will, che si fa chiamare così dagli amici, è colta nel post maturità, una, e forse la prima e più importante, fase decisiva di scelta nella vita di un adolescente, che si appresta dunque a non essere più tale. Se tutti i compagni di classe hanno scelto un cammino, Will tentenna: ha paura, è insicura, il pensiero del futuro la blocca. Da quel che ci dice, i suoi genitori la mandano dalla psicologa, contro alla quale, però, ancora una volta si scontra il carattere forte di una ragazzina che smonta tessera dopo tessera lo sdolcinato e finto atteggiamento della dottoressa. Dallo studio della quale, un giorno, decide di andarsene prima della seduta. A seguirla in questo gesto Matteo, di poco più grande di lei. Come nella più classica delle storie, sarà proprio da qui, da Matteo, che quel futuro così oscuro e terrificante inizierà piano piano, tra salite e ricadute, piccoli salti a occhi chiusi e prove non certo facili, a dipanarsi, e ad aprire le porte. Le prime, di porte, sono quelle della facoltà di lettere, dove, quasi al limite della tempistica, Will decide di iscriversi, sollevando dalla paura i genitori, pronti al peggio dopo le intere giornate di inattività della figlia. La
figura di alfiere, ruolo ricoperto da Matteo, funziona da cuscinetto per l’ingresso della ragazzina in un mondo nuovo, più adulto, certo, ma per questo anche meno controllato. In facoltà Will viene colta da un attacco di panico: troppe novità, troppe e tutte insieme. Persone nuove, sconosciute, professori, lezioni: si sente sola, non potrà mai stringere legami né affrontare tutto quel buio sconosciuto. Meglio tornare a casa. Ma a combattere con i fantasmi della maturità non si smette nemmeno da soli. E se a nulla serve la buona morale, l’approccio giusto è quello che percorre i liberi, strani e un po’ folli binari della fiducia negli altri, e degli affetti, pronti sul ciglio del burrone ad acchiappare ogni bambino che passi di corsa nella segale. Il riferimento a Holden non può che essere ancora una volta esplicito e voluto. Perché se quasi alla fine del romanzo scopriamo che sì, le anatre di Holden, quelle che se il lago di Central Park ghiaccia non è dato sapere dove volino e trovino rifugio, un posto dove andare in realtà ce l’hanno, si apre un altro interrogativo. Abilità e finezza della già citata penna che intesse la narrazione è, ancora una volta, giocare con il suo personaggio che, se già si è caratterizzato per riprodurre al femminile una delle voci più note della storia letteraria, facendole dichiarato omaggio, nelle righe finali ci stupisce con un altro tocco di metanarratività, e ci strappa un sorriso. È il sorriso consapevole di chi ha sapu-
BOOKS to, e potuto, affrontare i mostri del diventare grandi con la leggerezza opportuna, con la curiosità e con quello sguardo lucido sul mondo capace di contrapporre gli straordinari e vividi esempi di “schifo” e “bello” che aprono e chiudono, in un simbolico contrapporsi di approcci alle cose, questo intenso e al contempo delicatissimo romanzo di formazione.
A lessandra Chiappori
Ecco, dovete sapere che io mi chiamo Willelmina; non scherzo, è un nome vero. Era il nome di una qualche mia prozia che ha trovato una cura contro una malattia o cose simili, ma non è riuscita a cambiare il nome all’anagrafe. Ecco un altro generoso dono dei miei genitori. Almeno tutti hanno la decenza di chiamarmi Will, che è un po’ da maschio, ma poi mi vedono e si ricredono. Io mi presento sempre così, mica mi azzardo a dire a uno sconosciuto che mi chiamo Willelmina.
“Le anatre di Holden sanno dove andare”, Emilia Garuti, Giunti, 2015
Emilio Garuti Ha scritto questo romanzo all’età di 18 Emilia Garuti, oggi ventenne, un diploma al liceo classico e attualmente iscritta a Lettere Moderne all’Università di Bologna. La sua biografia racconta di una ragazza amante della letteratura, del cinema e dell’arte, che da sempre, per assecondare le sue passioni, scrive, scatta foto, dipinge e gira cortometraggi. Riuscirà a trasformare le sue passioni in una professione? Noi glielo auguriamo, perché la stoffa c’è tutta, e si legge!
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ARTINTIME unclassicart@artintime.it
CAPOLAVORI DEL BAROCCO In concomitanza con l’expo di Milano, la città di Novara punta sulle proprie eccellenze artistiche per promuovere e valorizzare il suo territorio. “Capolavori del Barocco, il trionfo della pittura nelle terre novaresi” è un’interessante mostra ospitata in città fino al 27 settembre presso due sedi espositive, l’Arengo del Broletto e la sala Casorati, e di fatto su tutto il territorio della diocesi di Novara, nelle chiese che custodiscono importanti tesori artistici del XVII secolo. La mostra si articola cronologicamente presentando i protagonisti della stagione pittorica novarese dal 1630 al 1738 attraverso opere di alta qualità. Si tratta di pittura sacra, per lo più tele di grandi dimensioni rappresentative dei gusti dei signori e delle comunità che le commissionavano: un grande banco di prova per gli artisti a cui veniva richiesta perizia d’esecuzione e capacità di suscitare la devozione dei fedeli con la loro arte. Il merito di questa iniziativa è soprattutto quello di riunire in un’unica sede opere normalmente disseminate sul territorio, così da permettere di confrontare tra di loro e dal vivo dipinti provenienti da Novara, Arona, Prato Sesia, Corconio e non solo.
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Tra gli artisti rappresentati vi sono Carlo Francesco Nuvolone, Giovanni Battista Discepoli detto lo Zoppo da Lugano, Luigi Pellegrino Scaramuccia, il suo allievo Giorgio Bonola, e ancora Carlo Maratta, uno dei caposcuola del cosiddetto classicismo romano secentesco, con la splendida pala dell’ “Apparizione della Vergine a San Luca”, e Stefano Maria Legnani detto il Legnanino, con le due tele raffiguranti la “Visione” e il “Transito di San Giuseppe”. La mostra offre inoltre una utilissima parentesi sui cosiddetti maestri del Barocco, grandi nomi ricollegabili a dipinti di altissima qualità. Guido Reni, maestro del classicismo emiliano da cui si formarono moltissimi artisti dell’epoca compreso Guercino, è rappresentato da un “Mosè con le tavole della Legge” proveniente da Reggio Emilia. Di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino sono esposte tre opere: il “Padre Eterno”, parte sommitale di una pala d’altare per ora non nota, proveniente dalla Galleria Sabauda di Torino; una “Lucrezia” di collezione privata londinese; il magistrale “Cristo risorto che appare alla Madonna”, capolavoro indiscusso ammiratissimo già dai contemporanei del pittore, Velasquez inclu-
so, proveniente dalla Pinacoteca di Cento. Accanto a questi una tela con “La raccolta della manna” attribuita a Pietro da Cortona, l’inventore del Barocco a partire dalla spettacolare volta che affrescò nel romano Palazzo Barberini. La mostra di Novara, gratuita al pubblico, non punta sulla quantità di opere esposte ma piuttosto sulla qualità, raccontando in maniera piana e scorrevole una stagione artistica fervida e ricca di apporti esterni sul territorio novarese. Una bella occasione per visitare anche gli altri tesori della città, come la basilica di San Gaudenzio, con la cupola progettata da Alessandro Antonelli e al suo interno opere di artisti eccellenti come Gaudenzio Ferrari, Tanzio da Varallo e il lombardo Morazzone. Gita consigliatissima.
Roberta Colasanto
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LEGGERE CON L’OCCHIO DELLO SCRITTORE Le scuse per leggere sono sempre tante, varie e disparate. Il mese di settembre ce ne offre qualcuna in più, con tre importanti appuntamenti dedicati al magico mondo dei libri. Il primo è il Festivaletteratura di Mantova, il secondo è il Premio Campiello e il terzo è Pordenonelegge. Se siete curiosi di libri ed editoria, saprete già che gli appuntamenti festivalieri nelle belle cittadine di Mantova e Pordenone presentano programmi densissimi, con un’abbondanza di incontri, autori, presentazioni, suggestioni e riflessioni che contribuiranno notevolmente ad incrementare la vostra curiosità e la vostra voglia di non perdervi neanche un evento, accumulando pensieri e libri sul comodino. Ma, in quanto a letture consigliate, cosa più di un prestigioso premio letterario alimenterà con fascette e passaparola la vostra voglia di nuovi libri?
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Questi sono i candidati al Campiello 2015: “L’ultimo arrivato”, Marco Balzano (Sellerio) “Senti le rane”, Paolo Colagrande (Nottetempo) “La mappa di Vittorio”, Giacopini (Il Saggiatore) “Cade la terra” Carmen Pellegrino (Giunti) “Il tempo migliore della nostra vita”, Antonio Scurati (Bompiani) Scopriremo il vincitore il 12 settembre quando, ahinoi, Artintime sarà già stato stampato. Per rimediare a questo scarto causato da ragioni di tempistiche editoriali, abbiamo guardato al 2014 e vi proponiamo una chiacchierata amichevole scambiata al Salone del libro di Torino lo scorso maggio insieme al vincitore del Campiello 2014, Giorgio Fontana. Classe 1981, Fontana si è aggiudicato il premio con “Morte di un uomo fe-
lice”, edito da Sellerio, conquistando anche il trofeo di uno tra i più giovani vincitori della competizione. È un ragazzo semplice e poco incline ad atteggiamenti da intellettuale, quale a dirla tutta possiamo definirlo: oltre ad aver pubblicato 4 romanzi (“Buoni propositi per l’anno nuovo”, Mondadori, 2007; “Novalis”, Marsilio, 2008; “Per legge superiore”, Sellerio, 201; “Morte di un uomo felice”, Sellerio, 2014), un saggio sul berlusconismo (“La velocità del buio”, Zona, 2011), e un reportage narrativo (“Babele 56, Terredimezzo”, 2008 e 2014), scrive per diverse grandi testate come Internazionale, Il Sole 24 ore, Il Corriere della sera. I suoi romanzi affrontano tematiche sociali e politiche che scavano in profondo e attraverso lo specchio della narrativa ci restituiscono immagini complesse di una realtà dalle molteplici sfaccettature. È da questa suggestione che abbiamo iniziato la nostra chiacchierata con Giorgio.
INTERVISTANDO
Nei tuoi romanzi sono affrontate sempre tematiche di un certo rilievo e spessore, anche filosofico. Il tuo modo di concepire la letteratura la vede come evasione dalla realtà oppure come un suo approfondimento? Anche tutte e due, non necessariamente una cosa esclude l’altra: uno può leggere narrativa per evadere, per consolarsi, per puro piacere, oppure per approfondire maggiormente alcuni temi legati alla realtà. Non vedo necessariamente una contraddizione tra le due cose. Vincitore del Campiello 2014: dopo questo risultato c’è stato un cambiamento nel rapporto che hai con il pubblico, ma soprattutto con la scrittura? Con il pubblico sì, è una constatazione banale, ma sicuramente dopo il premio è aumentato. Con la
scrittura assolutamente no: niente probabilmente mi farà cambiare il mondo in cui la vivo e il modo in cui cerco di farla.
ad accettare i no dagli editori: tutti gli scrittori ne hanno avuto. Imparare infine ad accettare le critiche buone. E lavorare come dei pazzi!
Noi ci occupiamo di esordienti, anche nel mondo letterario. A te è stato attribuito un importante riconoscimento letterario a poco più di 30 anni. Ne approfittiamo per chiederti un consiglio. Chi si affaccia per la prima volta al mondo della scrittura, come può raggiungere risultati come i tuoi? Beh, innanzitutto sviluppare rapidamente senso critico e autocritico, imparare a leggere con l’occhio dello scrittore, quindi capire perché un narratore bravo ha sviluppato quella scena o quel personaggio in quel modo. Darsi da fare, tantissimo. E poi imparare ad accettare i fallimenti, imparare
Alessandra Chiappori
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ATTORI CREATIVI E TALENTUOSI. Ventiquattro anni, sardo, un diploma alla Scuola Paolo Grassi di Milano: pochi dettagli che riassumono il profilo di Valentino Mannias, premio Hystrio alla vocazione per l’interpretazione di Oreste nell’Orestea di Eschilo, della marchesa di Merteuil in Quartett di Heiner Müller e di un canto della sua terra natale, tributo alla memoria della Prima Guerra Mondiale. Subito dopo il diploma, Valentino lavora al film “Come sposare un artista” di Monica Castiglioni e viene selezionato come attore protagonista per prendere parte allo spettacolo “Il Cane la Notte e il Coltello” di Marius von Mayenbur. Partecipa alla realizzazione dello spettacolo “Risveglio di primavera” di Wedekind con la regia di Giampiero Solari. Sempre nel 2013 lavora come attore co-protagonista su LA 7 nella trasmissione “Crozza nel Paese delle Meraviglie” e su Sky Arte nella Docu- Fiction “Attori o Corsari” per la regia di Giampiero Solari.
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Nell’aprile 2014 mette in scena lo spettacolo “Esodo”, di cui è autore interprete e regista. L’interpretazione di Valentino ha colpito la giuria, “per l’approccio anticonvenzionale al ruolo anche grazie all’uso sapiente di essenziali ma efficaci segni teatrali nel solco di una tradizione innovativa in chiave contemporanea”: un premio meritato, dunque, quello conferito alla fine del mese di giugno, che segna i primi passi in campo teatrale di una carriera che può dirsi promettente. Conosciuto soprattutto grazie allo spettacolo “Giovanna detta primavera”, Valentino riscopre e riprende con esso una funzione antica del teatro, la trasmissione orale di storie realmente accadute. Una storia che, in questo caso, gli è stata tramandata dalla nonna. Attraverso la vicenda di Giovanna e la sua impossibilità di rivoltarsi alla società che la costringe a sposare un uomo che non ama, Valentino rivede la propria generazione
e il suo particolare modo di essere e capire la propria gente. Dopo una tournée che lo ha visto sui maggiori palchi delle manifestazioni teatrali sarde, ora è impegnato nelle prove del nuovo musical “Teen Dant”e prodotto da Rete 2 – Televisione Svizzera che debutterà in ottobre a Lugano.
Barbara Mastria
TEATRO teatro@artintime.it
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LIANNE LA HAVAS Essere una giovane musicista ed essere apprezzata da un artista come Prince, decisamente una fortuna che non capita a tutti. Eppure lei ci è riuscita. Lianne La Havas, classe 1989, di madre giamaicana e padre greco, nel 2010 irrompe nelle scene musicali con un con un primo EP, “Lost & Found”, prodotto dalla Warner Bros. Dopo una tournée in giro per l’America come supporto alla band folk Bon Iver, nel 2012 torna in Inghilterra, mettendosi subito al lavoro sul suo album di debutto: “Is Your Love Big Enough?.” Il successo è immediato, nello stesso anno la giovane artista vince una nomination al Mercury Prize, approda alla quarta posizione dell’UK Album Charts e si esibisce a Manchester con Alicia Keys e al Glastonbury Festival. Un vero talento, dunque, quello della ragazza, che grazie a una voce limpida e a un sound immediato e senza fronzoli riesce a convincere anche nelle digressioni blues e negli intimistici tratti personali. Atmosfere acustiche e testi diretti, genuini, fino al 31 luglio 2015, quando esce
il suo secondo lavoro: “Blood”. L’album, attesissimo, prende le distanze dal primo, mettendo in luce un nuovo lavoro sugli arrangiamenti e sul songwriting. La posta si alza, quindi, ed ecco una nuova Lianne La Havas: più sofisticata, più diva, più matura. “Unstoppable”, il brano di lancio è una chiara manifestazione di questo cambio di rotta, anche se l’album contiene anche tracce più fruibili a un primo ascolto come “Tokyo” e “What You Don’t Do” e momenti più emotivi come la melodica “Wonderful” e le trasognate “Good Goodbye” e “Ghost”. Novità e atmosfere eclettiche per la giovane musicista che, di sicuro, ci stupisce ogni volta. Non resta allora che farsi incantare: so, Enjoy!
Angelica Magliocchetti
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IL MONDO SENZA PAROLE New York, un anno imprecisato dell’immediato futuro, l’Unione Europea è “ex” e sostituti dei nostri attuali smartphone tuttofare sono aggeggi dalla penetrazione sociale ancora più capillare, i Meme. Distribuiti dalla società Synchronic, questi apparecchi elettronici sono in grado di gestire dati e informazioni personali e di rielaborarle pronte all’uso per l’utente: non ci sarà bisogno di chiamare la pizzeria per prenotare la cena, ci pensa in automatico il Meme, e pensa anche ad abbassare il finestrino in auto se si ha caldo, a proiettare il “lumen” (ologramma?) del libro che vorremmo leggere. E a suggerirci le parole che iniziano a mancarci. Qui si colloca il problema, centro nevralgico dell’intero thriller distopico, da leggere tutto d’un fiato. Ma andiamo con ordine, perché il caos, lo dimostrerà la trama stessa del romanzo, genera situazioni tutt’altro che positive. Nella sede del Dizionario Nordamericano di Lingua Inglese di New York lavora il signor Douglas che, una sera, non si presenta all’appuntamento con la figlia Anana, anche lei collaboratrice del Dizionario. La scomparsa non è casuale: dalla sparizione di Doug si dipartirà infatti una serie di eventi che, via via, in un allargarsi sempre più sospeso e drammatico, farà ritrovare i protagonisti e noi lettori sull’orlo di un baratro comunicativo-linguistico. La sparizione del capo del Dizionario, ente simbolicamente preposto alla con-
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servazione e cura della lingua inglese, nonché tra i sostenitori della Società Diacronica, sarà solo l’incipit di una losca vicenda di speculazioni aziendali che avrà come obiettivo niente meno che il linguaggio. Avete notato niente? Diacronica si contrappone a Synchronic, e la dicotomia, di derivazione linguistica, non è certo casuale in un libro letteralmente intessuto di giochi linguistici e riferimenti intertestuali. Bartleby, il co-protagonista, che narra attraverso un diario scritto, richiama “lo scrivano” di Melville, Anana è un palindromo, e non certo a caso proprio Anana prenderà il secondo nome di Alice, l’eroina di Lewis Carroll persa in un mondo di riflessi e di lingue che non comunicano. Il problema è infatti, eminentemente, di natura comunicativa. Se in città, e nel mondo intero, si è diffuso un terribile virus, la febbre verbale, che causa afasia, ovvero impossibilità di capire e articolare linguaggio, la colpa è di una mossa lucrosa avanzata dalla Hermes (Hermes, il dio greco dei ladri e della comunicazione!), società controllata dalla Synchronic, che attraverso la sua app, Word Exchange, ha disgregato la lingua. L’app fornisce infatti, a pagamento, significati alle parole. In un momento in cui la gente, dipendente dai Meme, ha perso ogni capacità mnemonica, analitica e critica, Word Exchange trova così un inaspettato mercato. La situazione, già vacillante, precipita però in seguito all’introduzione nell’app
– che nel frattempo ha acquisito ogni dizionario di lingua inglese, distruggendone l’archivio – di termini inesistenti, privi di significato. La febbre verbale si scatena, e diventa irrefrenabile non appena il Nautilis, il nuovo Meme, che funziona a diretto contatto con l’epidermide, viene messo in commercio permettendo al virus cibernetico che ormai ha colpito i significati nel Meme di convertisti in patogeno reale. L’epidemia di afasia, il cui esito più grave è la morte, o il silenzio perpetuo, si diffonde a macchia d’olio, scatenando una guerra civile. Chiaramente si tratta di uno scenario distopico che, coerentemente con il genere, farà del finale del romanzo un happy ending declinato in scala minore. E se è proprio la morale del romanzo a colpire il lettore, con il suo grido d’allarme alla perdita di capacità linguistiche e comunicative del giorno d’oggi, l’allestimento narrativo non è da meno. Sarà divertente ritrovare i giochi linguistici e i riferimenti letterari, ma ancora di più sarà avvincente immergersi nell’avventurosa caccia al tesoro di Anana, in un racconto che è in realtà un ricordo, parte di una terapia di recupero linguistico. Anana racconta la vicenda, incappando in errori linguistici causati dalla sua lieve afasia, che aumentano con l’imperversare del virus, e che rendono difficile la lettura, generando anche nel lettore confusione e voglia di afferrare parole non chiare. Un espediente geniale, che mostra il po-
BOOKS tenziale del linguaggio - e di converso della sua perdita – sfruttando gli stessi grandiosi mezzi del linguaggio, dal momento che il senso, seppure confuso, ci arriva lo stesso. E se la comunicazione genera gli stessi problemi da cui sarà quasi azzerata, la ricchezza, bellezza e potenza della lingua rovesciano il processo e dimostrano così, a tutti i livelli di questo romanzo, il loro straordinario potere.
A lessandra Chiappori
Ho imparato che le parole ci trascinano nel tempo. Sono portali verso altre menti. Senza le parole, cosa ci rimane? Abitudini incomprensibili. Rituali strani. Cuori ossidati. Senza le parole siamo orfani della Storia. Le nostre vite e i nostri pensieri vengono cancellati. Prima che mio padre scomparisse, prima che cominciassero i segnali della s0111, avevo riflettuto a malapena sul nostro stile di vita. L’universo in mutamento nel quale ero cresciuta – via via deprivato dai libri e dalle lettere d’amore, dalle fotografie e dalle mappe, dai menu d’asporto, dagli orari, dalle scritte sui risvolti dei CD, dai diari – era un universo che mi ero ritrovata ad accettare. Se mi ero persa delle cose, non pensavo di rimpiangerle. Come avremmo potuto rimpiangere le parole? “Parole in disordine”, Alena Graedon, Bompiani, 2015
Alena Graedon Americana del North Carolina, Alena Graedon ha due lauree, una alla Brown University e una alla Columbia, dove ha anche insegnato, oltre ad aver poi lavorato nel mondo editoriale per Knopf e PEN. Attualmente vive a Brooklyn, New York, e collabora con “The New York Times Book Review” e “The Believer”. Il suo esordio letterario ha conquistato gli editori di ogni parte del mondo, tanto da essere già tradotto in otto lingue.
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SUGGESTIONI DALLA BIENNALE DI VENEZIA 2015 Nel padiglione Spagnolo si trovano quattro artisti che, prendendo spunto dall’arte di Salvador Dalì, inventano un progetto: “Los Sujetos”. Un’indagine nel linguaggio artistico del maestro del surrealismo, senza mai citarne neanche un’opera. Un processo di contestualizzazione che indaga nella sua vita pubblica e privata tramite i nuovi mezzi di comunicazione, attraverso interviste, film performativi, creazioni atomizzate e fumetti. Interessanti anche le due edicole di Francesco Ruiz ( “Edicola Mundo 2015”), che vogliono ricollegarsi al Dalì News, nello spirito e nella forma dell’edicola chiusa, con tanto di cartella “materiale per adulti vietato minori”. Di tutt’altro tenore è l’installazione di Chantal Akerman, “Now”. Cinque schermi allineati al centro della stanza, immagini a ripetizione di un volo radente su un deserto e poi i suoni: spari, mitragliatori, detonazioni. Una vera guerra fatta da mani invisibili, sullo
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sfondo di un paesaggio brullo, tormentato. In fondo alla sala, quasi come un feticcio di tranquillità, appaiono l’ologramma di un acquario, mini palloni da calcio e fiori finti. Una contrapposizione che si ritrova anche nella sala di fronte, dove invece trionfa l’incomunicabilità con gli strumenti musicali muti di Terry Adkins.
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Festivaletteratura Mantova . 9- 13 settembre
Reset Festival 2015 Torino. 10-13 settembre
Ritmika 2015 Moncalieri. 10 -26 settembre
Torna la cinque giorni di incontri, narratori e poeti di fama internazionale, concerti e spettacoli. Anche quest’anno prende il via la diciannovesima edizione del Festivaletteratura di Mantova.
“Io sono la musica che ascolto”, questo lo slogan della settima edizione del festival torinese dedicata alla musica emergente italiana, che inondera di musica il quartiere di Borgo Dora e il Balòn. Make! Breath! Live! Think! Talk! Insomma: Reset!
“We are going bananas”, il motto della diciannovesima edizione di Ritmika! Ad alternarsi sui tre palchi tanti artisti, da Nesli a Bombino, dai Negrita a Carmen Consoli. Un artista a sorpresa, inoltre, in programma per il 10 settembre, maggiori indizi seguendo su Twitter #1009Ritmika.
www.festivaletteratura.it
www.resetfestival.it
www.ritmika.it
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Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica Venezia. 2 – 12 settembre.
MiTo – Settembre in musica 2015 Torino, Milano . 5 – 24 settembre
FO E la Divina Verona . Fino al 27 settembre
Musica classica, antica, contemporanea, jazz e sperimentale riempirà per venti giorni gli angoli di due grandi città del nord Italia. 180 concerti e 95 sedi, per rendere MiTo uno dei più importanti festival in Europa.
Dario Fo che dipinge Maria Callas, un’occasione unica per scoprire la voce della Callas e il suo profondo legame con la città di Verona e l’Arena. Oltre 70 opere esposte a Palazzo Forti, per mostrare un Fo, che si fa pittore.
Diretta da Alberto Barbera, torna la passerella sul Lido di Venezia. Pellicole d’autore, retrospettive e omaggi a personalità di rilievo, come contributo a una migliore conoscenza della storia del cinema. www.labiennale.org/it/cinema/informazioni
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www.mitosettembremusica.it
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www.arenamuseopera.com/it
EVENTS
Festival Ammutinamenti 2015 Ravenna. 12 - 24 settembre.
Mondi d’Arte Rovereto (TN). Fino al 6 settembre
20° Milano Film Festival Milano. 10 -20 settembre
Il festival di danza urbana e d’autore organizzato dall’associazione culturale Cantieri, torna a dare spazio alle potenzialità terapeutiche e aggregative della Danza. “Ammutinamenti è a Ravenna ma potrebbe essere in un’altra città, in Occidente e Oriente, nel nord o nel sud del mondo e continuare la stessa narrazione.”
“Corpi in conflitto 2. La bellezza della diversità”. Oriente Occidente 2015 si propone di superare i conflitti trovando un punto d’equilibrio in un mondo inquieto. Quattordici compagnie da tutto il mondo per raccontare attraverso la forza, la potenza, drammaticità, l’istintività di una coreografia.
Torna la ventesima edizione della vetrina internazionale del cinema indipendente e creativo. Due settimane e sette spazi d’incontro e 10 sezioni. Un festival completo, capace di attrarre oltre centomila spettatori da tutto il mondo. www.milanofilmfestival.it
www.orienteoccidente.it
www.festivalammutinamenti.org
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La regina delle Pin Up Bologna. Fino al 29 settembre
Prix Italia. Il laboratorio della creatività. Il potere delle storie. Torino. 19 - 24 settembre
Anni ’50, la fotografia si rivoluziona con Bettie Page, la regina della Pin Up. Un’icona di un’intera epoca, capace però già all’epoca di scelte personali e di una grande libertà artistica. www.onoarte.com
Creatività e innovazione nei media, questo l’obiettivo del Prix Italia, manifestazione internazionale ricca di cultura, arte e idee innovative. www.prixitalia.rai.it
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Torino Spiritualità 2015 Torino. 24settembre Una lezione-spettacolo quella con lo scrittore Antonio Pascale, lo scienziato Amedeo Balbi e il musicista Riccardo Sinigallia. La domanda, che oscilla tra libero arbitrio e leggi della fisica, è solo una: è possibile conciliare il nostro senso e bisogno di libertà con la visione scientifica dell’universo? www.torinospiritualita.org
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