Artintime N. 12 - Dicembre

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n.12 - Dicembre 2014

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE “Credo che le fiabe, quelle vecchie e quelle nuove, possano contribuire a educare la mente. La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi”. Con questa bellissima e profondissima riflessione dell’indimenticato Gianni Rodari apriamo questo ultimo numero di Artintime per il 2014 che, con la sua dolcissima copertina, ci rimanda a un antico e tradizionale spirito del Natale ricercato da molti e detestato da altrettanti. Cosa sia precisamente lo spirito del Natale, forse mai nessuno riuscirà a spiegarlo con la stessa intensità di cui sono capaci ricordi di infanzia, immagini, canzoni e atmosfere difficilmente descrivibili a parole. E, certo, non vogliamo utilizzare questo spazio per indagare i motivi dell’ambivalenza che vede alcuni aspettare con ansia il Natale e altri rinnegarlo con echi che a molti riporteranno allo Scrooge dickensiano del “Canto di Natale”, e nemmeno commentare tutte le derive massificate che questa festa invernale ormai porta nella sua slitta colma di slogan, nastri scintillanti e tanta ipocrisia. No, restiamo su un piano semplice, quasi infantile, sempre richiamandoci all’insegnamento fiabesco di Rodari e tenendo sullo sfondo la nostra copertina. È stato un anno breve, perché affollato di cose da fare, novità e impegni importanti. Ma è stato anche un anno denso di novità, che hanno piano piano portato frutti e risultati. E dove, se non da un’ipotesi, eravamo partite per dare modo a tutto ciò di realizzarsi? Sembrerebbe la premessa perfetta per una fiaba, proprio così! E in queste giornate che si fanno sempre più corte, con ore di buio rallegrate dalle luci, e sempre più dolci, tra cioccolate calde e i primi panettoni, ci piace immergerci in questo clima di tenerezze e fiaba, per coltivare e tenere al riparo dalle intemperie la nostra piccola fiaba chiamata Artintime, ripercorrendone i passi, sfogliandone le pagine, i tantissimi contenuti. Non è questo il migliore degli insegnamenti? Dodici mesi densi di contenuti, alla fine eccoli qui. Nonostante ogni tipo di ostacolo, stress e ansia incorsi lungo l’anno. Eppure, la fiaba si è magicamente realizzata, ancora una volta. Un po’ come il Natale. Che ne dite, insieme alla protagonista della nostra copertina, di scrivere una bella lettera di desideri e propositi per Babbo Natale e per il 2015, e imbucarla speranzosi di ottimismo, positività e tenerezza? A noi l’idea piace un sacco, perché di buoni propositi per l’anno nuovo ne abbiamo molti, per realizzare i quali ci servirà l’aiuto di tutti voi. Si conclude l’anno e, insieme con il dodicesimo Artintime, si conclude anche il percorso delle nostre Copertine d’artista. La creativa di dicembre è Greta Malvina, una giovane artista ligure che abbiamo intervistato per voi su questo numero. Non possiamo che ringraziare Greta per questo spunto fiabesco che ci permette di chiudere con un sorriso l’anno. E in chiusura, un pensiero lo imbuchiamo con la posta natalizia e su queste pagine proprio per la terra da cui Greta proviene, quella Liguria così duramente colpita dalle piogge che hanno caratterizzato questo autunno. E insieme alla Liguria, un pensiero lo rivolgiamo anche alla zona dei laghi tra Piemonte e Lombardia, e a quel lago d’Orta esondato sulle cui rive, a Omegna, era nato proprio l’autore che apre questo editoriale, Gianni Rodari. Le cose belle arriveranno, non smettete di fare ipotesi, di costruire fiabe! Artintime vi augura buona lettura, ma soprattutto un sereno Natale con una fine e un inizio anno altrettanto belli. Ci vediamo nel 2015! Alessandra Chiappori

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . DANIELE RONDA by Angelica Magliocchetti

8 . ONE DAY EDIT by Francesca Cerutti

10 . ALE SENSO by Anna Moschietto

12 . UNA CANZONE D’AMORE E UNO SPARO by Alessandra Chiappori

14 . LIBRI SOTTO L’ALBERO byAlessandra Chiappori

16 . GRETA MALVINA byAlessandra Chiappori

18 . LA BIBLIOTECA REALE DI TORINO E IL CASO LEONARDO by Roberta Colasanto

20 . A NEW YORK SI RESPIRA L’ITALIA A by Barbara Mastria

22 . CAT PETRUCCI’S SOULFUL COUNTRY MUSIC byCristina Canfora

26 . FUEL FANDANGO by Angelica Magliocchetti

28 . ETOLOGIA DI UN DISAGIO

by Alessandra Chiappori

30 . SAUSAGEå by Francesca Cerutti

32 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

DANIELE RONDA Piacentino, classe 1983, Daniele Ronda ha un percorso musicale insolito, ma ricco di colpi di scena. Si avvicina alla musica fin da bambino, per arrivare a soli 14 anni a partecipare a concorsi canori quali l’Accademia di Sanremo e il Festival di San Marino. È nel 2003, però, che la sua carriera prende una piega inaspettata: grazie all’incontro con Alfredo Cerutti, manager del cantautore Nek, il pezzo al pianoforte dell’artista piacentino “Almeno stavolta” viene riarrangiato e interpretato a livello nazionale e internazionale da Nek . Parte così una proficua collaborazione, che vede alcuni tra i brani scritti da Daniele Ronda scalare le hit parade e calcare i palchi di tutta Italia, interpretati da Nek (“Lascia che io sia”, “Notte bastarda”, “Ancora un giorno di te”, “Una parte di me”, “Va bene così”, “Sei”, “Tira su il volume “), da Mietta (“Guardami”, “Baciami adesso”, “Con il sole nelle mani”) e da Massimo di Cataldo (“Amami”). Nel 2008 torna a Piacenza e decide, in accordo con il suo nuovo manager Jonny Malavasi, di interpretare

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lui stesso i suoi brani. Nell’anno successivo esce il suo primo EP “Da parte (anteprima edition)”, che però non lo soddisfa completamente, tanto che l’artista decide di farne uscire una nuova edizione “Da parte”. I dodici inediti non sono ancora il risultato definitivo, tanto che il cantautore decide di bloccarne la distribuzione. È solo nel 2011 che, grazie al connubio artistico con il Folklub, esce “Da parte in folk”, con nuovi arrangiamenti, un tocco folk e tanto dialetto piacentino. L’album ottiene subito un grande successo, radicandosi subito nel territorio e portando l’artista a vincere il premio come “Miglior progetto musicale sul dialetto” al MEI 2012. È nello stesso anno che esce anche il suo secondo lavoro: “La sirena del Po”. La strada del folk è ormai tracciata e si sente in ogni traccia il sapore di storie fresche semplici e immediate, come nel singolo “Si strappano le nuvole “ o nella toccante “La me Pell “, o ancora negli evocativi fisarmonica e violino di “L’Irlanda “ o la ballata in acustico di “Fidati di me

. Nel 2014 il cantautore piacentino partecipa al concerto del 1° maggio a Roma, apre i concerti di Ligabue e torna sulla scena con “La rivoluzione”, suo terzo lavoro. L’omonimo singolo “La rivoluzione”, “Ognuno di noi”, “Gli occhi di mia nonna”, tanti i suoni, tante le storie, tutte da scoprire. Da ascoltare. Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

ONE DAY EDIT

Sinfonia di un videomaker Istanti e suoni sono gli ingredienti che compongono il cortometraggio “One Day Edit” di Francesco Burlando, classe 1986, giovane regista che con questa sua opera prima, realizzata in collaborazione con Carlo Strata, ha vinto il concorso Sclamber Ducati. “One Day Edit” è un cortometraggio estremamente breve - dura poco meno di due minuti - ma racchiude in sé una potenza cinematografica tutta da scoprire. Il dettaglio è quello che colpisce in ogni opera, è quello che porta lo spettatore a guardare e riguardare una pellicola, che lo fa riflettere e lo porta a domandarsi perché il regista abbia fatto certe scelte. Sono i dettagli infatti a scorrere di fronte agli occhi di chi guarda “One Day Edit”, collegati in una sequenza logica che vuole raccontare la vita di un editor audiovisivo. Il regista ha spiegato che la scelta dei dettagli è stata piuttosto complessa, infatti fin dal principio si era reso conto che dovevano essere questi a tenere alta l’attenzione dello spettatore, a non farlo distrarre. Si comincia con una sveglia, il suono che tutti detestano ma che dà il via alle nostre giornate, si prosegue quindi con il tipico iter mattutino, il pane tostato e l’immancabile caffè all’italiana rappresentato da una gorgheggiante moka. Lo spaz-

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zolino, le chiavi di casa, il bottone dell’ascensore, tutti dettagli che sono anche i nostri dettagli, quelli che quotidianamente scandiscono le nostre giornate e che spesso non consideriamo nemmeno più perché estremamente monotoni e ripetitivi. La catena della biciletta, i semafori, quel tragitto che tutti i giorni facciamo da casa al lavoro, la stessa strada lungo la quale magari incontriamo anche le stesse persone e poi il lavoro, quella scrivania che pare sempre la stessa, quel compito che via via diviene ripetitivo. In “One Day Edit” tutto quello che per noi è fondamentalmente routine e appartiene alla categoria del già visto e del banale, diviene protagonista, acquisisce importanza. Goccia dopo goccia, fotogramma dopo fotogramma, la giornata lavorativa scorre via, con le sue telefonate e le sue problematiche e poi si torna a casa in bici e si lancia quel mazzo di chiavi sul tavolino dell’entrata da dove era stato prelevato la mattina stessa. Se uno provasse a raccontare “One Day Edit” a parole, potrebbe annoiare l’interlocutore: il cinema è vita 24 fotogrammi al secondo – dicono - ma allo stesso tempo Hitchcock sottolineava: “Il cinema è vita, ma con le parti noiose tagliate” eppure con questo cortometraggio Francesco Burlando riesce a sfatare quest’affermazione.

Lo stile scelto da Francesco Burlando è innovativo ma allo stesso tempo rimette in gioco stili già visti nella storia del cinema, qui riproposti nell’epoca del digitale. Emerge da questi fotogrammi la sua arte di videomaker che gli permette di catturare visivamente il suono, restituendolo in forma viva allo spettatore. Il passaggio da un istante di vita all’altro è fulmineo e quasi si fatica a fissare quello precedente, l’apparente assenza di narrazione in realtà è colmata dal susseguirsi logico degli istanti della giornata che, così strutturati, riescono a tessere la storia. Tutti gli oggetti rappresentati vivono di vita propria e i loro suoni, i rumori che producono divengono colonna sonora della vita di un editor audiovisivo che di mestiere scrive con le parole e con la musica, compone storie attraverso di esse.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME

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STREET-ART popart@artintime.it

ALE SENSO Italiana di nascita ma berlinese di adozione, Alessandra Odoni in arte “Senso”, si diploma nel 2001 all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano e prosegue la sua formazione al di fuori del mondo accademico. La sua arte si contraddistingue per la varietà dei linguaggi e delle forme espressive, in cui convergono l’uso di linee essenziali e il rimando all’estetica manga. Le tecniche maggiormente utilizzate sono disegno e wall painting, strumenti con cui “Senso” crea immagini surreali in cui arte e materia dialogano tra loro generando atmosfere fantastiche e oniriche. L’artista predilige spazi abbandonati (palazzi distrutti, fabbriche dismesse) e materiali di recupero, materia prima di una street art “teatrale” in cui l’opera è parte integrante del contesto e l’ambiente la cornice ideale per il soggetto rappresentato. Una vera e propria messa in scena che na-

sce dalla ricerca di luoghi sospesi nel tempo, di scorci e stanze in grado di trasmettere poesia e fascino. Contesti di cui l’artista è alla costante ricerca e che hanno portato “Senso” a esplorare Italia e parte d’Europa, dove ritroviamo installazioni pittoriche e murales. Inoltre nel corso degli anni ha partecipato a numerose esposizioni, workshop e festival tra cui ricordiamo: Humboldthain Art Jam, Berlino; BackSide of DarkSide Exhibition - Schöneweide Art Festival, Berlino; International Street Art Festival, Roman (Romania); Nero Oblio, mostra collettiva curata da KunstKabinet 451, Berlino; La casa dei fantasmi, Milano; Nero Posters Exhibition, Barcellona; Toten Tanz, mostra personale curata da KunstKabinet 451, Berlino; Workshop – The silk-screening technique with the street artist Ale Senso, Bergamo; Lost Space, esposizione collettiva curata da Susanne Lek, Berlin.

Anna Moschietto

Mail: info@crazysen.it | Skipe: alessandrasenso | Facebook: ale senso | Sito: http://crazysen.com/

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ARTINTIME books@artintime.it

UNA CANZONE D’AMORE E UNO SPARO Prima di leggere, un consiglio: andate su Youtube e cercate una playlist di “For Emma Forever Ago”, album di Bon Iver, direttamente dal Wisconsin e indirettamente filtrato nel romanzo che vi stiamo per presentare. Cliccate play, e immergetevi senza esitare nell’atmosfera che questo esordio letterario targato America saprà magicamente creare. Suoni, ecco la prima parola associabile a questa intensa e ricca storia di Nickolas Butler. Suoni di voci, sono quelle del gruppo di amici che prende la parola capitolo per capitolo, raccontandoci una storia che procede per piccoli passi avanti, narrati via via da Lee, Henry, Kip, Ronny, Beth, in un continuo mutare di punti di vista che contribuisce a rendere ogni sfumatura di un romanzo autenticamente corale. Suoni della natura, note di albe e tramonti, poesia di colori tra i filari di alberi: le sensazioni che alimentano le “lovesongs” del titolo, e che sono davvero musica, perché uno dei protagonisti, Lee, è un noto cantante, del quale seguiamo la vita ma anche l’evoluzione artistica. “Shotgun lovesongs” è il suo album d’esordio, composto nel chiuso e nella malinconia di un gallinaio nel Wisconsin, intriso di sensazioni, amori, emozioni, una grande canzone d’amore per una donna, ma anche per una terra, un luogo geografico e mentale.

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America, la seconda parola. Wisconsin, per la precisione, un paesino chiamato Little Wing, la sua vecchia fabbrica, i silos del grano, su cui salire a bere birra e aspettare poetiche albe sui cieli d’America. Campi da coltivare, allevamenti di bestiame, furgoncini scassati, proprio quelli che i film sulla provincia americana ci evocano, così come lo vediamo nella copertina, col cassone colmo di fieno, in mezzo a strade deserte che si perdono per chilometri di terra. Quei campi sono gli stessi che nell’inverno del Wisconsin, protagonista assoluto insieme alla geografia di questi luoghi, vengono sepolti da metri di neve. È la provincia dimenticata del nord est, subito al di sotto delle foreste canadesi, lontana dalle metropoli e ancora profondamente immersa nella natura, spazzata da raffiche di vento gelido, dove per mesi vedi solo bianco di neve, buio, giacche a vento e abbigliamento pesante che nasconde ogni fattezza fisica dei suoi abitanti. C’è un terzo cardine in questa storia oltre alla musica e al paesaggio, ed è costituito dalla parola amicizia. Questo romanzo è la storia di un gruppo di amici che tenacemente, dall’infanzia, si conoscono, fanno gruppo, vivono insieme esperienze e, non appena cresciuti, vengono sballottati dalla vita, dagli amori, dal lavoro. Sempre cercandosi però, sempre facendo ritorno alle radici, a

Little Wing, dove non c’è forse nulla che possa alimentare le ambizioni di questi ragazzi americani, ma dove c’è casa, non solo un luogo reale dove ci si orienta a occhi chiusi, ma uno spazio fatto di relazioni, legami, ricordi e affetti. Uno spazio forse irrinunciabile per ritrovarsi ogni volta, per riuscire a ricostruire ordine anche laddove il tempo ha scombussolato gli equilibri esistenti. E infine c’è uno sparo, una parola già evocata nel titolo con l’immagine del fucile, inscindibile dalla sfera degli affetti, quasi connaturata a ogni storia d’amore, come un pugno nello stomaco inaspettato, o come un gesto liberatorio venuto fuori con impeto da troppa birra e dalla paura di non saper dove andare, di restare soli. Uno shotgun, un matrimonio di quelli da fare ormai per forza, fucile del suocero puntato contro, sguardi della piccola comunità del paese a osservare e giudicare. E di matrimoni ce ne sono tanti in questa ricca storia, di feste per l’addio al celibato, di cerimonie emozionate, di cui scopriamo gli intimi pensieri di ciascuno dei protagonisti, nel succedersi delle scene riviste e allargate ogni volta dalla diversa voce che interviene a riprendere il filo e raccontare. Ci sono anche fughe e allontanamenti da Little Wing, seguiti sempre da un costante ritorno verso quella realtà, fatta di quattro case e di una natura che esplode quasi selvaggia, e riempie gli occhi, i pensieri, i polmoni.


BOOKS Un’epica americana fuori dal fragore della città, immersa nella profonda America spesso dimenticata dai media che ci bombardano. Un gran bel viaggio narrativo, tra una chiassosa compagnia di amici sgangherati e pronti a non parlarsi più ma a salvarsi la vita subito dopo, qualche nota di chitarra davanti a un falò nei campi, la serenità di sentirsi parte integrante di un luogo unico.

A lessandra Chiappori Quando non ho nessun posto dove andare, torno qui. Quando non ho niente, torno qui. Torno qui e dal niente tiro fuori qualcosa. Posso vivere ai limiti della sussistenza; non c’è niente da comprare, nessuno da impressionare. Da queste parti tutto ciò che importa alla gente è la tua etica sul lavoro e la tua gentilezza e la tua competenza. Torno qui e ritrovo la mia voce come qualcosa che mi è scivolato dalle tasche, come un souvenir sepolto a lungo. E ogni volta che ritorno sono circondato da persone che mi amano, che si occupano di me, che mi accolgono sotto una tenda di calore. Qui riesco a sentire le cose, il mondo pulsa in maniera diversa, il silenzio vibra come una corda pizzicata milioni di anni fa; c’è musica tra i pioppi tremuli e gli abeti e le querce e persino tra i campi di mais essiccato.

Nickolas Butler, “Shotgun Lovesongs”, Marsilio, 2014 NICKOLAS BUTLER Da quel Wisconsin che con così tanto calore ed emozione descrive nel suo primo romanzo proviene anche l’autore: Nickolas Butler è nato a Allentown, in Pennsylvania, e cresciuto a Eau Claire, che spesso viene citata nel libro. Ha pubblicato diversi racconti su riviste prima dell’esordio in narrativa con una storia per la quale Fox Searchlight si sta già contendendo i diritti cinematografici. Del resto, è un’America da grande schermo e sala buia quella di “Shotgun Lovesongs”, non possiamo che aspettare di rivederla, e di leggere nuovi lavori del suo autore.

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ARTINTIME LIBRI SOTTO L’ALBERO Torna per il terzo anno la rubrica natalizia di Artintime dedicata ai libri da regalare ai vostri amici e parenti. Impacchettati in colorate e raffinate carte, con lucidi fiocchi su cui si riflettono le candele del Natale, e nella loro semplice ma assai raffinata e regolare geometria di parallelepipedo anonimo, i libri, lo sapete, sono spesso un saggio, azzeccato e, per molti, gradito regalo. E si tratterà pure di semplici parallelepipedi dai diversi formati e spessori, ma saranno proprio quei libri a funzionare da porte per regalarvi (e sta qui il loro immenso valore!) l’accesso a nuovi mondi. Quest’anno ci siamo concentrati su alcune grandi novità editoriali di nomi noti, perché gli esordienti, alcuni pubblicati anche da case editrici indipendenti, ve li presentiamo tutto l’anno, e ogni tanto tornare a leggere qualche “scafato” della narrativa ci piace, soprattutto se alla sua lettura dedichiamo qualche ora durante le vacanze, nella calda atmosfera del Natale. E allora, buone letture a voi! “Ciò che inferno non è”, Alessandro D’Avenia, Mondadori Una citazione calviniana significativa dà il titolo a questo nuovo lavoro di D’Avenia. Palermo, siamo in estate, a scuola conclusa, e il protagonista della storia è un 17enne destinato a cambiare prospettiva sul mondo e a crescere dopo l’incontro con “3P”, Padre Pino Puglisi. Il recupero di un personaggio così importante è solo uno degli elementi di questa intensa vicenda che ci porta dritti nel vissuto di una realtà popolata da persone capaci di trovare, nell’inferno, ciò che inferno non è. “Giuda”, Amos Oz, Feltrinelli Dopo 12 anni di assenza dal romanzo, ecco che l’autore israeliano ritorna con una storia che ci porta nella Gerusalemme di fine anni ’50. La storia tocca la vita di un giovane universitario che abbandona gli studi e accetta l’insolito lavoro di tenere compagnia a un anziano colto. Si intrecciano qui personaggi misteriosi, cultura, ricerca filosoficoreligiosa e morale con la consueta intensità di Oz. E poi c’è la traduzione di Elena Loewenthal, un valore aggiunto. “Missing. New York”, Don Winslow, Einaudi Dal maestro del noir, il primo capitolo di una nuova serie poliziesca che prende avvio con questo romanzo. Franck Deckler è un detective noto e rispettato, prossimo a diventare capo della polizia. Proposito che sarà però costretto a mettere da parte nel seguire con rigore e fiuto da segugio una scomoda indagine sulla sparizione di una bambina, che lo porterà ad attraversare l’America dal Nebraska, dove vive, fino a New York. “Biglietto, signorina”, Andrea Vitali, Garzanti Giugno 1949, Bellano, lago di Como, e una elettrizzante novità che sa di esotico ed è arrivata con un treno e senza biglietto. Parla poco italiano e ha deciso di trasferirsi a Bellano per ricominciare a vivere. Storia già uscita anni fa ma interamente riveduta e ampliata, questo romanzo ci riporta indietro nel tempo a quella provincia del dopoguerra pronta a rimboccarsi le maniche per ricostruirsi e popolata da personaggi impegnati ciascuno a modo proprio a stare a galla. “Il baco da seta”, Robert Galbraith, Salani Seconda uscita editoriale per quello che ormai non è più uno pseudonimo segreto. Si cela infatti la penna di J.K. Rowling dietro a questa nuova avventura del detective Cormoran Strike. E questa volta a creare la scena del mistero sono un pericoloso manoscritto e un brutale assassino: ingredienti fondamentali per il successo di una storia che, se il talento dell’autrice non mente, dovrebbe regalarci perfetti momenti di thrilling durante le prossime feste. “Il telefono senza fili”, Marco Malvaldi, Sellerio Poteva mancare un classico della letteratura gialla italiana come sta ormai diventando la divertita e divertente penna di Malvaldi? In questa avventura uscita lo scorso autunno tornano protagonisti i vecchietti del BarLume dalle pungenti battute e sarcastica verve che, tra un pettegolezzo da paese e l’altro, aiutati dal piglio investigativo del barista Massimo, sapranno dipanare i misteriosi fili di una vicenda di sparizioni e omicidi nel toscanissimo borgo di Pineta.

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ARTINTIME GRETA MALVINA Classe 1987, ligure, Greta Malvina è la carinissima autrice della copertina a tema natalizio di questo ultimo numero dell’anno di Artintime. Abbiamo colto al balzo l’occasione per farle qualche domanda e scoprire qualcosa di più sul suo percorso artistico e sui suoi lavori. Ciao Greta, ci racconti brevemente qual è il tuo percorso di formazione artistica? Ciao! Allora, la passione per l’arte si è sviluppata in me fin da piccolissima, così appena ne ho avuta l’opportunità, mi sono immediatamente iscritta all’Istituto Statale d’Arte di Chiavari per poi, una volta terminato, proseguire all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova, conseguendo il diploma di laurea in decorazione pittorica. Ho frequentato anche dei corsi esterni all’accademia come quello di ceramica al tornio, decorazione pittorica e acquerello. Ti occupi di modellazione della ceramica, pittura a olio, illustrazioni per l’infanzia e decorazione di interni ed esterni: come mai così tanti interessi e come gestisci tutto? Tutte queste cose mi affascinano e mi permettono di esprimere la mia sensibilità artistica in diversi modi. Credo sia giusto sperimentare diverse tecniche per scoprire nuovi modi di comunicare quello che si vuole esprimere. Con queste diverse tecniche ho la possibilità di vedere e analizzare la realtà da diversi punti di vista. Con l’argilla, ad esempio, riesco a dare una forma tangibile alle mie idee, plasmando e modificando la realtà a mio pia-

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cimento. La decorazione è forse la parte più realista delle mie passioni, è più un lavoro, dove sono costretta a seguire delle linee ben precise, non posso sbagliare. In qualche maniera mi tiene con i piedi per terra. L’illustrazione, d’altra parte, mi permette invece di spaziare e dare libertà alla mia fantasia. Le mie storie nascono e crescono con me, si modificano continuamente, si interrompono per poi riprendere con una diversa linea, fino ad arrivare a un risultato che a me piace. Ti senti più ceramista, pittrice, illustratrice o decoratrice? Perché? A questa domanda non è facile rispondere per me, ma credo che l’illustrazione, specie l’illustrazione per l’infanzia, abbia preso in me un’impronta più decisa! Non manco mai di uscire di casa armata di acquerelli, fogli e matite nella borsa e chi mi conosce potrà confermarlo! Amo anche però scrivere storie per bambini e illustrarle io stessa, ho infatti da poco pubblicato un libro dal titolo “Gli strani inquilini di Villa Titti”, una simpatica storia dove protagonista è un’anziana signora che scoprirà che la vita può sempre stupirci con nuovi colpi di scena e che non è mai troppo tardi per scoprire nuove amicizie e la felicità. Le diverse tecniche artistiche seguono in realtà le mie emozioni, il mio rapporto con la natura e le mie sensazioni. A seconda di queste ultime utilizzo la tecnica che più mi rappresenta in quel momento. Ci presenti Pepe? Da cosa nasce questa idea? Pepe è uno dei miei personaggi

preferiti: è una bimba di cinque o sei anni, sempre spettinata e un po’ trasandata. Ha due lunghe trecce impossibili da domare e una marea di lentiggini che le incorniciano il naso. Veste con una gonna scozzese, calze a righe e stivali di gomma e nelle sue avventure è sempre accompagnata dal suo orsetto di pezza. Pepe è sbadata, pasticciona, confusionaria…proprio come me! È circondata di amici come appunto Orsetto, Riccetto e altri animaletti del bosco. Orsetto è animato dalla sua fantasia, così come accade a ogni bimbo con il proprio giocattolo del cuore. La serie denominata “I’m Pepe” è un ciclo di storie illustrate in biro blu, dove l’avventura è sempre protagonista. Spero di riuscire a breve a far conoscere a tutti questo simpatico personaggio! Quali sono le caratteristiche di cui deve tenere conto un illustratore per bambini? A cosa fai attenzione quando progetti un’idea per il tuo personaggio? Penso che le caratteristiche di cui bisogna maggiormente tenere conto siano soprattutto i colori e le forme: colori accesi, che trasmettano felicità, e forme arrotondate che trasmettano dolcezza e bellezza, ma questa è una mia visione delle cose. Sono molto istintiva in questo e seguo prettamente il mio lato “infantile”. Mi piace trasmettere all’osservatore piacere, gioia, dolcezza, tranquillità e spingere i suoi occhi alla ricerca di dettagli non appartenenti alla scena protagonista, come un topolino addormentato sullo sfondo o un uccellino che osserva da lontano. Voglio dare una visione ottimistica e spensierata della vita,


INTERVISTANDO... libro citato prima “Gli strani inquilini di villa Titti” edito da Albatros Il filo. Spero sia l’inizio di una lunga serie di mie storie. Hai degli artisti e autori di riferimento che ti influenzano? Chi sono e con chi ti piacerebbe poter collaborare? Per le illustrazioni mi ispiro soprattutto a Barklem Jill, Sarah Kay e alle meravigliose illustrazioni delle storie Holly Hobbie e Cicely Mary Barker, mentre nella pittura e nella ceramica sono molto più istintiva, ma non per questo più astratta come stile. Mi piacerebbe collaborare con case editrici per l’infanzia di altri paesi per potermi confrontare con altre realtà. La tua giornata tipo tra illustrazioni, decorazioni e ceramica. Purtroppo il lavoro non mi permetDettaglio colatura te di dedicare tuttodi iluna tempo che vorrei alle mie passioni, ma appena ne ho l’opportunità cerco sempre di ritagliarmi un po’ di tempo, nei momenti di pausa dal lavoro o alla sera quando torno a casa. Mi dispiace solo che le giornate non siano più lunghe!

parlando anche di amicizia, amore e felicità.

mere e trasmettere felicità e dolcezza in chi li guarda.

A cosa ti ispiri per i tuoi soggetti, che sono spesso molto dolci e teneri? Cerco soprattutto di immaginare cosa possa piacere ai bambini e lo riproduco su carta. I miei personaggi e le mie storie sono come il mio “giardino segreto”, non so se mi spiego, quindi mi servo della mia fantasia per espri-

Quindi sei tu a scrivere le storie di Pepe, oltre che a disegnarla. Ti piacerebbe proseguire nella collaborazione col mondo editoriale? Si, sono io a scrivere e illustrare le mie storie. Sto iniziando adesso a entrare nel difficile mondo dell’editoria e ho appena debuttato con il

Ascolti musica quando lavori? Cosa in particolare, e perché? Non sempre ascolto musica, dipende da quello che faccio in realtà! Per dipingere e modellare sicuramente sì e mi piace in particolar modo ascoltare musica classica perché mi aiuta a concentrarmi e a volare tra le note della fantasia. Ci sono progetti nel cassetto e idee per il tuo futuro? Sicuramente pubblicare altre storie scritte e illustrate da me che sono già pronte e che non vedono l’ora di uscire allo scoperto.

A lessandra Chiappori

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

LA BIBLIOTECA REALE DI TORINO E IL CASO LEONARDO La Biblioteca Reale di Torino è un prezioso scrigno collocato al piano terreno dell’ala di levante del Palazzo Reale, in piazza Castello. Istituita dal re Carlo Alberto di Savoia nell’Ottocento, la biblioteca ha il suo nucleo principale nel suggestivo vaso librario ideato nel 1837 dall’architetto di corte Pelagio Palagi su modello secentesco, con grandi armadi lignei carichi di preziosi volumi che si innalzano fino alla volta a botte decorata a monocromo. Per chi vi entra per la prima volta non c’è dubbio, il colpo d’occhio è assicurato. Poco conosciuta finora dal grande pubblico torinese, la biblioteca ha iniziato ad acquisire maggiore visibilità con l’inserimento nel circuito del Polo Reale di Torino che comprende anche l’Armeria Reale, il Palazzo e i Giardini Reali, la Galleria Sabauda, il Museo di Antichità con il Teatro Romano e il Palazzo Chiablese. Il suo patrimonio raccoglie 200 mila volumi, manoscritti, pergamene, incunaboli, carte geografiche, incisioni, stampe, album fotografici e disegni, questi ultimi conservati nel caveau normalmente non visitabile, ma aperto al pubblico in occasione di esposizioni temporanee. Fino al 15 gennaio 2015 la Biblioteca Reale ospiterà la mostra “Leonardo e i Tesori del Re” con una selezione di oltre ottanta capolavori della sua collezione. Dai disegni di Raffaello, Carracci, Perugino, Van

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Dyck e Rembrandt a codici miniati, carte nautiche e naturalmente le opere di Leonardo per cui la biblioteca è celebre: il Codice sul volo degli uccelli, il ritratto di fanciulla e il famosissimo Autoritratto. Quest’ ultimo, disegnato a sanguigna su carta databile al 1515, è tanto celebre quanto fragile. Particolarmente sensibile alla luce, come tutte le opere grafiche, l’Autoritratto a inizio Novecento rimase esposto a lungo affisso a una parete e irradiato dai raggi solari, il che compromise gravemente il suo stato di conservazione. Oggi infatti si presenta agli occhi degli spettatori, abituati a conoscerlo attraverso riproduzioni, assai sbiadito e costellato da macchie di foxing, ossidazioni chimico-biologiche dalla pigmentazione bruno-rossastra che provocano la corrosione delle fibre di cellulosa. Un “malato grave” era stato definito nel 2012, dopo il periodo di esposizione alla Reggia di Venaria in una discussa mostra su Leonardo, che tante polemiche aveva scatenato sui pericoli per il fragile disegno e che aveva visto trionfare infine le ragioni di marketing su quelle di conservazione. Il monito degli esperti dell’Istituto Centrale di Restauro dopo le analisi successive alla mostra suonava come una sentenza: vista la condizione di degrado inarrestabile si sconsigliavano ulteriori esposizioni se non per brevissimi periodi e mai lontano dalla

sua sede stabile, la Biblioteca Reale. A due anni di distanza il ritratto ricompare come testimonial di una mostra di opere grafiche (talmente ricca di grandi nomi da non aver quasi bisogno della sua presenza per allettare i visitatori) e quale nuovo simbolo di Torino, a detta delle autorità cittadine che spingono per allungare i tempi di esposizione dell’opera anche in vista dell’Expo 2015. Con tanti capolavori posseduti e poco valorizzati, tocca dunque un’altra volta al sofferente disegno di Leonardo assumere un contraddittorio ruolo di rappresentanza, simbolo infatti da una parte di un grande patrimonio di cui essere orgogliosi, dall’altra di una cultura spesso più sfruttata che tutelata. Una questione più che mai attuale su cui dibattere.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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ARTINTIME

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TEATRO teatro@artintime.it

A NEW YORK SI RESPIRA L’ITALIA A TEATRO Giovani artisti crescono e c’è ci preferisce farlo fuori dall’Italia. Non è strano, allora, incontrarne alcuni che, affascinati dal mondo teatrale e cinematografico, abbandonano gli studi nel proprio Paese per approfondirlo in Accademie di tutto rispetto oltreoceano. È il caso di Carlotta, Fabio, Stella e Paola che hanno trasformato la loro passione per il palcoscenico in “promozione culturale” dell’Italia nella città americana che li sta ospitando. Carlotta voleva fare l’attrice sin da piccola quando recitava le poesie a Natale di fronte ai parenti. Studia a Londra e a New York presso il primo conservatorio teatrale degli Stati Uniti. Fabio, da sempre stregato dal mondo dei sogni che crea il cinema e il teatro, inizia a frequentare la Facoltà di Giurisprudenza che abbandona dopo due anni data la forte vocazione per la recitazione. Inizia, così, a frequentare il DAMS Cinema a Torino, fino ad approdare in America. Paola, compagna di liceo di Carlotta, dopo il liceo decide di iscriver-

si alla Facoltà di Economia per le Arti, la Cultura e la Comunicazione, discipline diverse tra di loro, ma che in realtà necessitano l’una dell’altra per vivere. Ed è infine con Stella Toppan che si delinea il profilo de “La Bottega”, una compagnia teatrale che si propone di promuovere il teatro italiano a New York. Stella nasce a Lecco e vive sul lago di Como, scoprendo ben presto la passione per le arti performative: la sua prima apparizione in teatro avviene all’età di dieci anni presso il teatro Comunale di Lecco, dove interpreta il personaggio dell’Inquisitore nell’adattamento teatrale di “S. Chiara d’ Assisi”. Non ancora consapevole del percorso di un attore e neanche del modo in cui si poteva raggiungere un’espressività illuminata e veritiera, rimane completamente folgorata dalla Locandiera di Goldoni, vista a teatro. Affascinata dalla recitazione della protagonista, dalla sua intensità in scena, dalla sua realtà e verità, vuole assolutamente incontrarla alla fine dello spettacolo. Da quell’incontro

Stella comprende che per fare teatro è necessario studiare molto, avere un cuore caldo e una mente fredda. Inizia a frequentare, allora, scuole di teatro a Milano e Roma prima di trasferirsi negli Stati Uniti. Si diploma al The Lee Strasber Theatre and Film Institute di Manhattan. Stella è attratta dal teatro e anche dal cinema e la critica la definisce quale raro caso in cui la passione, il talento e l’umiltà si concentrano in modo equilibrato in un attore.

Barbara Mastria

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

CAT PETRUCCI’S SOULFUL COUNTRY MUSIC Cat Petrucci, Portuguese singer and songwriter from Lisbon who found her new house and inspiration in London. She recently released her debut EP “Out There” highly influenced by pop-country songs, her first love. Every song from the album is a journey as honest as the warm smile she cracks when she is on stage. Currently on the road with her band, she is enjoying every single moment of it, getting the Londoners to know her intimate world. Cat, you are a singer and a song writer. How would you describe your personal taste in music? My taste in music is quite varied. I honestly listen to a bit of everything from pop to rock, r&b and opera, but my favourite genre is country without a doubt. A few of my favourites are Miranda Lambert, Carrie Underwood, Kacey Musgraves and Eric Chuch. Outside of country, my all time favorite band is Fleetwood Mac, and Stevie Nicks and Tori Amos are two of my biggest inspirations ever. Tell us about what brought you to the stage and what keeps your motivation flowing. Ever since I was a little girl I’ve wanted to be a singer. I would sing all the time, anywhere and everywhe-

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re. When I became a teenager that need to sing was combined with a need to write my own songs, my own stories. I think inspiration comes from life in general, my own life and experiences, the people I meet and their own experiences, the world in general. Everything around you can be an inspiration if you’re willing to listen and see it with open eyes. The rest was just a natural progression of things. Having voice lessons, and working with a producer to develop my own material was the final push to get me on stage. You recently been through the hardest part of being a singer, live concerts, what are the best and the worst moments of playing live? Playing live is a lot of fun! I am lucky enough to have a fantastic band behind me. These guys are super talented and dedicated to my music too. Even though I write my own songs, they’re always coming up with ideas to make these songs sound even better and they give it all they got. Being onstage with them is an absolute pleasure. So the best part is definitely sharing the stage with my band and being able to sing my songs to an audience. I have been lucky enough to have had a good reaction from the crowds so far and it feels awesome

to see people enjoying and dancing along to your tunes. The worst thing is the whole logistic of it. London is great for live music but there are specific rules you usually have to follow for a promoter to give you a slot in a certain venue. The whole process can be very discouraging when all you want to do is play but it is an industry and you have to deal with it otherwise you won’t leave your bedroom. You are Portuguese, your surname is Italian, your music is strongly American related and you decided to live in London. Is this mixture of culture and influences an obstacle when you create or a tool? I think it’s definitely a tool. Growing up in Portugal, we were very exposed to American and British music. That allied to the fact that I started learning English when I was 5, I think led to a natural tendency to write and sing in English. Although country wasn’t and still isn’t something you hear in the radio in Portugal, I ended up finding it by myself online as a teenager and immediately fell in love with it. London was the obvious option when I decided to study contemporary music and it is a big source of inspiration. It’s a melting pot of different cultures and different music. You find a bit of everything here so inspiration is all around. And althou-


SPECIAL

gh my music is heavily American related, I don’t talk about trucks or the southern states because that is not my experience. I relate it to my own experiences and my own life, while using an American sonority that I am very fond of.

Other than that I do enjoy a cosy and chilled coffee shop, a quiet tea house and a good pub with good music. Oh and I absolutely love book shops and London has amazing ones! I usually end up spending hours in there.

As a Londoner, which are the places where you like to hang out with your friends or simply to spend some quality time and recharge your batteries? I must say I’m a very “homey” person. It’s my sanctuary, where I find peace and time to think and write down my thoughts and ideas. As for socializing, a lot of times me and my friends end up meeting up at cafes and restaurants around our University area just because it has become so natural to visit these places.

What are your future plans and where we can hear more about you? Short term goal for now is to keep gigging more and more, getting these songs out into the audience and bringing our performance to a higher standard. Besides that I am very interested and motivated to start writing and collaborating with other people. Long term goal is to record a full album maybe in one or two years. My dream is to have it done in Nashvil-

le so hopefully I’ll be able to make that happen! To keep up with what I’m doing you can follow me on: Facebook - https://www.facebook. com/catpetrucciofficial Twitter - https://twitter.com/CatPetrucci SoundCloud - https://soundcloud. com/cat-petrucci Reverb Nation - http://www.reverbnation.com/catpetrucci Website - http://catpetrucci.wix. com/catpetrucci And you can purchase and download the debut EP “Out There” at: BandCamp - https://catpetrucci. bandcamp.com/album/out-there

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ARTINTIME Incontriamo Cat Petrucci, cantautrice portoghese di Lisbona che ha fatto di Londra la sua nuova casa nonché fonte d’ispirazione. Ha recentemente pubblicato il suo primo EP dal titolo “Out There”, fortemente influenzato dal country-pop, sua prima passione. Ogni canzone presente nell’album è un viaggio, un percorso onesto come il caloroso sorriso che abbozza sul palco. Attualmente è in tour con la sua band di supporto, e assapora ogni singolo istante cercando di far conoscere il suo intimo universo alle platee londinesi.

derio di scrivere le mie canzoni, le mie storie. L’ispirazione arriva da ciò che mi circonda, penso, dalla vita in generale. Le mie esperienze personali, le persone che ho incontrato e le loro avventure, il mondo. Tutto può ispirarti se sei in grado di ascoltare e accogliere con gli occhi sempre ben aperti. Il resto è stato più che altro una progressione naturale, prendere lezioni di canto e lavorare con un produttore che sviluppasse il mio materiale di canzoni sono stati solo gli ultimi passi verso il cammino che mi ha portato sul palco.

Cat, tu sei una cantante e cantautrice. Come descriveresti i tuoi gusti musicali? I miei gusti in fatto di musica sono piuttosto vari. Sinceramente ascolto un po’ di tutto dal pop al rock al r&b fino all’opera, ma il mio genere preferito è senza dubbio il country. Per citare alcuni nomi di artisti: Miranda Lambert, Carrie Underwood, Kacey Musgraves ed Eric Chuch. Al di fuori della scena country la mia band preferita di sempre sono i Fletwood Mac, Stevie Nicks e Tori Amos, inoltre, sono per me due grandi ispiratrici.

Hai recentemente vissuto l’esperienza più difficile per un’artista, i concerti dal vivo. Quali sono stati i momenti peggiori e quelli più belli di questa esperienza? Suonare dal vivo è estremamente divertente! Sono fortunata ad avere una magnifica band che mi supporta. Questi ragazzi sono veramente talentuosi e comprendono a pieno la mia musica. Nonostante io scriva le canzoni loro partecipano attivamente proponendo idee che migliorino il suono delle canzoni e mettono in gioco tutto ciò che hanno senza riserve. Condividere il palco con loro è un piacere assoluto. Direi quindi che la parte migliore è dividere il palco con i miei musicisti e cantare le mie canzoni di fronte a un pubblico. Sono stata fortunata abbastanza da ricevere riscontri positivi dalla folla finora ed è bellissimo vedere le persone divertirsi e ballare sulla tua musica. La parte peggiore

Dicci, cosa ti ha portato sul palco e cosa mantiene in vita la tua vena creativa? Sin da quando ero bambina ho sempre voluto diventare una cantante. Canterei sempre, ovunque e comunque. Quando raggiunsi l’adolescenza, il bisogno di cantare è stato accompagnato dal desi-

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è sicuramente il fattore logistico. Londra è grandiosa in fatto di concerti live, ma ci sono delle regole ben determinate che sei obbligato a seguire se vuoi che un promoter ti garantisca uno spazio per esibirti in un determinato locale. Il processo può essere scoraggiante. Tutto ciò che desideri fare è semplicemente suonare, purtroppo però si tratta di un’industria e devi farci i conti, altrimenti puoi rimanere nella tua cameretta per sempre. Sei portoghese, hai un cognome di origini italiane, la tua musica è prettamente americana e hai deciso di trasferirti a Londra. Questo miscuglio di culture e influenze è un ostacolo o piuttosto uno strumento nel tuo percorso creativo? Di certo uno strumento. Essendo cresciuta in Portogallo sono stata molto esposta alla cultura musicale americana e inglese. Questo, unito al fatto che ho cominciato a studiare inglese all’età di 5 anni mi ha naturalmente portato al comporre testi e cantare in inglese. Nonostante il genere country non sia così facile da sentire per radio in Portogallo, mi ci sono avvicinata sin dall’adolescenza tramite ricerche online e me ne sono innamorata subito. Londra è stata la scelta più ovvia quando decisi di studiare musica contemporanea, ed è a tutt’oggi una grande fonte d’ispirazione. Ci puoi trovare un mix variegato di culture e generi musicali. Trovi di tutto, l’ispirazione è ovunque. E benché la mia musica sia ricollegabile allo stile americano, non parlo di camion o di stati del


SPECIAL

sud nelle mie canzoni perché non è la mia esperienza personale. Ricollego il tutto a ciò che ho vissuto in prima persona, quando si tratta del testo, rimanendo però legata a quelle sonorità americane di cui sono molto appassionata. Da buona londinese d’adozione, quali sono i posti che ti piace frequentare con i tuoi amici per divertirti o semplicemente rilassarti e ricaricare le pile? Devo ammettere di essere una vera “pantofolaia”. La mia casa è il mio santuario, dove trovo pace e tempo per me, per pensare e buttare giù un po’ di idee. Per quanto riguarda i posti in cui vado per socializzare, io e i miei amici ci ritroviamo in piccoli caffè o ristoranti intorno alla zona universitaria. Perché è

per noi quasi naturale gironzolare nei dintorni. Mi piacciono inoltre i posti intimi come le tea house o bar indipendenti, oppure un pub tranquillo con buona musica. Oh e adoro assolutamente le librerie, Londra ne ha di bellissime! Passo un sacco di tempo nelle librerie.

(USA), quindi dita incrociate. Per saperne di più su di me potete visitare la mia pagina facebook, o il mio profilo twitter. Oppure visitate il mio sito web http://catpetrucci.wix.com/catpetrucci Cristina Canfora

Quali sono i tuoi progetti per il futuro e dove possiamo saperne di più su di te? Nell’immediato, principalmente continuare a esibirsi e far sentire le mie canzoni a un ampio pubblico, portare il livello della nostra performance a standard elevati. Oltre a questo mi interessa scrivere e collaborare con altri artisti. A lungo termine vorrei produrre un album completo, in uno o due anni magari. E vorrei realizzarlo a Nashville

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ARTINTIME music@artintime.it

FUEL FANDANGO Un mix insolito quello che lega i ritmi dance ed elettronici di Ale Acosta, produttore e DJ, già premiato come rivelazione dell’anno da ‘El Pais’ con il procedente gruppo Mojo Project, e la cantante Cristina Manjón in arte Nita, che porta con sé le sonorità e la voce del flamenco. Incontratisi a Córdoba nel 2008, decidono di collaborare e si isolano un weekend in una casa nella campagna spagnola per capire come fondere i loro due stili musicali, dando così vita a un mondo di funk, soul, elettronica, jazz e flamenco. È così che nascono i Fuel Fandango, dalla fusione di generi e da un’alternanza di testi in inglese e in spagnolo, per restare fedeli alle proprie radici senza impedire alla loro musica di varcare i confini nazionali. Dopo un disco di prova , “EP1”, nell’estate del 2010, in soli 15 giorni per preservarne la freschezza e la spontaneità. viene registrato l’omonimo album di debutto: “Fuel Fandango”, ristampato l’anno successivo con l’aggiunta di

arrangiamenti ancora differenti. Nel 2013, dopo l’uscita della versione remix del primo lavoro e la nascita della collaborazione con il percussionista Carlos Sosa, esce il secondo album: “Trece Lunas”. Il disco, registrato tra Madrid, Córdoba e Londra è stato prodotto con la partecipazione di Duncan Mills, Jamie Cullum e Florence and the Machine. L’estraniante “City”, la rockeggiante “Fighters”, l’ipnotica “Nature”, la metropolitana “Talking”o l’esplosiva “Always searching”: le possibilità d’intreccio delle sonorità sono infinite e mai banali, regalando così a chi ascolta uno sguardo cosmopolita, urban ma al tempo stesso orientaleggiante, accattivante e un po’ ruvido. Complesso da spiegare, i Fuel Fandango danno il meglio di sé sul palco, creando degli spettacoli appassionanti e carichi d’energia. Nell’attesa di un nuovo lavoro o di una tournée che scuota i fan italiani, vi lascio l’accattivante “New Life”, come assaggio. Enjoy!

Angelica Magliocchetti

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MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

ETOLOGIA DI UN DISAGIO È l’immagine di apertura a lasciare attoniti e increduli i lettori di questo esordio nel mondo del romanzo di Raffaele Riba. Disneyland Paris, tempio della cultura di massa, di quell’industria hollywoodiana creata dal niente prendendo un topo e umanizzandolo nell’aspetto e nei pensieri. Mentre esplode la festa in una grande parata che vede succedersi tutti gli animali disneyani classici, da Topolino a Paperina, Pluto all’improvviso, senza alcuna apparente motivazione, palesa la propria finzione. L’uomo – il ragazzo – nascosto dentro il pupazzo si sfila la testa da cagnolone, si versa addosso della benzina e si dà fuoco, in mezzo al pubblico. Folgorante, per noi che ci apprestiamo a scoprire la storia di questo ragazzo, e per il giornalista di “Le Monde” Jacques Vian che, quasi per caso, si trova nel parco giochi esattamente in quel momento, con una macchina fotografica. La storia si snoda proprio a partire da quella manciata di scatti che Jacques riesce a fare, tra l’incredulo e il consapevole di trovarsi davanti a una notizia che campeggerà in prima pagina nella cronaca. È proprio il giornalista a raccontarci tutto ciò che sta a monte del folle gesto di Matteo Danza, questo il nome del finto Pluto. Sono pezzi – capitoli – sparsi di un insieme di esistenze che con diversi livelli di relazione ruotano intorno a Matteo. Di lui ci vengono raccontate infanzia e adolescenza nel cuneese, immerso nella natura e in una vita

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familiare da cui fugge per iscriversi all’università a Nizza. Lì frequenta Christiane, che noi conosciamo già grazie a una ben condotta narrazione parallela alla vita di Matteo. Christiane, ragazza ambiziosa e irriverente, figlia di Agnès, con la quale Matteo si troverà in seguito ad avere a che fare una volta arrivato a Parigi per frequentare il dottorato di ricerca in etologia. E poi c’è Jacques, di cui seguiamo l’acuirsi della malattia, un Parkinson che distanzia sempre più i suoi movimenti dalla sua cognizione, lasciandolo stupefatto e angosciato. Etologia, natura, umanità e cultura, questi i cardini intorno ai quali ruotano il romanzo e la vita di Matteo, sempre più solitario, sempre più concentrato sulla sua teoria, tanto da astrarsi quasi dalla vita, in una spirale di disperazione che lo porterà al folle gesto che ormai conosciamo. La riflessione sulla cattività animale e umana ritorna costante in tutti i frammenti di questa storia, che vanno da narrazioni in prima persona di Jacques, ai suoi racconti tratti dai quaderni di Matteo, a lettere, a frammenti del saggio tratto dalle ricerche del protagonista. Non è allora un caso la presenza dei pupazzi disneyani, animali che rivestono uomini, uomini che dentro a questo schema culturale soffocano, fino a impazzire. È una vicenda da incubo quella sviluppata in questo romanzo da Riba, autore che rivela un meritevole talento nel dipanare una trama procedendo a ritroso e a frammenti,

tessere di colori e voci diverse, che partono dall’apocalittica tragedia finale per riscoprire via via l’intreccio delle vite che vi si nascondono dietro. Capitoli brevi, asciutti, che non lasciano molto alla descrizione e agli stati d’animo: lo capiamo da soli che la grande e letale protagonista di questa storia è l’onnipresente solitudine. Di Matteo, sopra a tutti, per il quale il peso della solitudine riserva un esito tremendo. Ma anche per Jacques, solo di fronte a una malattia che via via degenera, solo dinnanzi al fatto sconcertante a cui ha assistito a Disneyland, solo in una redazione brulicante, dove anche chi va in pensione, come il collega Loris, deve arrangiarsi con una nuova e inaspettata solitudine. E ancora Christiane e Agnès, le donne del romanzo, ciascuna a suo modo solitaria vittima di scelte e forse errori, non rimediabili e parte integrante di nuove ondate di solitudine. Soli sono anche i genitori di Matteo, piccoli e invecchiati in una casa ormai troppo grande, ed è insicurezza dovuta alla solitudine quella di Gabriele, il fratello più piccolo di Matteo che non sa che strada scegliere per il suo futuro lontano da casa. Matteo finisce per studiare etologia a Parigi, la metropoli che, come una goccia in un vaso già pieno all’orlo, è infine corresponsabile della sua folle azione, affollata e cementificata così com’è, “non-luogo” per eccellenza, che contiene altri “non-luoghi” Disneyland, ci insegna Marc Augé – dove la solitudine si alimenta in una stanza in affitto, tra fogli di una


BOOKS ricerca che procede disperata, fuori dai binari della scienza e del dottorato, in una spietata e inascoltata direzione. Una storia che non potrà non colpirvi e restarvi profondamente in mente anche una volta chiuso il libro, quando, il volume ancora in mano, caldo di emozioni e fiamme, aspetterete qualche minuto per visualizzare il tutto nella sua completezza, e accorgervi della sua ineffabile ma efficacissima potenza.

A lessandra Chiappori

Da questa parte della natura però, quella in cui siamo rimasti nudi, perfettamente tecnologizzati e soli, c’è qualcosa che sembra non funzionare correttamente. Somiglia a un disagio, per qualcuno qualcosa di più. Uno scarto tra la nostra parte pensante, lucida e regolatrice, che ha dovuto, deve e dovrà fare i conti con la nostra parte di cervello antica, quella degli istinti, dei riflessi e dei bisogni. Lo scarto tra la memoria biologica e l’intelligenza è forse l’unica cosa che l’uomo non può plasmare o nascondere. E tutto ciò ha un peso. Come la coda del fagiano” Raffaele Riba, “Un giorno per disfare”, 66TH AND 2ND, 2014

RAFFAELE RIBA Come Matteo, il protagonista del suo romanzo, Raffaele Riba proviene da Cuneo, dove è nato nel 1983. Al suo diploma da perito chimico sono seguiti una laurea in lettere e un tesserino da pubblicista, Raffaele ha collaborato infatti con L’Indice dei libri del mese e Ttg Italia e, come ufficio stampa, con alcune realtà come Scrittorincittà. Oggi vive a Torino, dove lavora presso la ben nota Scuola Holden. Prima di esordire con il romanzo che vi presentiamo qui, ha pubblicato diversi racconti usciti su Cadillac e per gli editori Feltrinelli, Cartacanta e LiberAria.

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ARTINTIME movies@artintime.it

SAUSAGE In una piccola e deliziosa cittadina ci sono una venditrice di pane e un venditore di salsicce, come tutti i giorni raggiungono la piazza centrale per vendere i loro prodotti alle persone del posto. Baguette, salamini alla griglia, gli abitanti fanno la coda di fronte alle loro bancarelle per acquistare questo cibo all’apparenza delizioso, realizzato con ingredienti naturali e soprattutto fatto con amore. La tranquillità della piccola cittadina è però destinata a essere brutalmente interrotta dall’arrivo di un nuovo venditore che riesce a preparare quantità industriali di salsicce e ciambelle in tempi brevissimi. Se in un primo momento la gente del posto rimane fedele ai vecchi commercianti, il cartello che annuncia che è tutto a metà prezzo fa convogliare la folla verso la bancarella di questo nuovo venditore: l’industria ha preso il sopravvento sull’artigiano. La macchina ha sconfitto l’uomo. La venditrice di pane e il venditore di salsicce devono impegnarsi moltissimo per rendere i loro prodotti accattivanti, ogni stratagemma è lecito, arrivano anche a regalare abbracci e a fare massaggi pur di riacquistare i vecchi clienti. L’idea che salva i due vecchi commercianti è molto semplice: collaborando riescono a opporsi al cattivo venditore che, colto alla sprovvista, non riesce a ostacolare la nuova proposta dei suoi avversari e, in preda a una evidente crisi di nervi, dopo aver appreso di essere stato sconfitto, esplode nel bel mezzo della piazza. L’unione fa la forza, diceva un vecchio proverbio, e grazie all’unione di pane e salsic-

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ce la venditrice di pane e il venditore di salsicce riacquistano il dominio commerciale della piazza. La storia che ci racconta “Sausage” fa sorridere lo spettatore, ma allo stesso tempo ci porta a riflettere su tematiche che accompagnano la nostra vita ogni giorno, come la globalizzazione che si oppone al prodotto a chilometro zero. Il cattivissimo commerciante è fondamentalmente la multinazionale, il fastfood, quello che produce per guadagnare soldi senza rispettare il cliente. Il fine giustifica i mezzi e lui è pronto a tutto pur di acquisire clienti, ha a sua disposizione uno svariato numero di leve che all’occorrenza gli permettono di attivare stratagemmi che sembrano essere migliori rispetto alle trovate pubblicitarie dei due piccoli commercianti. Leggere la storia di “Sausage” alla luce di Expo 2015 fa pensare davvero molto, in particolar modo mette in discussione i nostri atteggiamenti quotidiani nei confronti del cibo. Sono sempre più numerosi i mercatini a chilometro zero, ma non sempre sono accessibili a tutti, inoltre il prodotto del contadino non è mai bello e splendente come quelli che troviamo nella grande produzione, troppo spesso dimentichiamo che la sua genuinità sta proprio in quell’ammaccatura che lo rende brutto da vedere, ma dal sapore inconfondibile. Ecco quindi che le salsicce perfette del venditore malvagio si oppongono a quelle del venditore buono che non sono a loro volta perfette, ma che sicuramente sono più buone rispetto alle altre. La costruzione narrativa di “Sausage” è completamente realizzata dalle immagini: non ci sono

dialoghi, sono i volti dei protagonisti a parlare. Al termine del film quando il cattivo venditore viene sconfitto, le sue “ceneri”, ossia il suo mezzo di trasporto prende fuoco e diviene un’ottima griglia per preparare succulente salsicce da avvolgere nel gustoso pane. Questo gesto sembra quasi un rituale magico, riesce infatti a ricolorare gli abitanti della città che dal loro colore grigio passano a toni più sgargianti. La scelta di rappresentare gli abitanti con il colore grigio è alquanto singolare: considerato che questo colore è lo stesso del venditore cattivo, si potrebbe ipotizzare che sia stata fatta questa scelta per sancire il passaggio, la presa di coscienza. I personaggi sono rivestiti di grigio quando non sono ancora in grado di comprendere quale sia la differenza tra i prodotti buoni e quelli della multinazionale, solo facendo esperienza del prodotto non genuino e distruggendo il venditore cattivo riescono a comprendere a fondo quello che è cibo buono, riuscendo così ad acquisire il colore che diviene simbolo di superiorità rispetto al venditore cattivo. “Sausage” è un cortometraggio al “gusto di parabola”, genuino e simpatico, realizzato da Robert Grieves, autore di storia, disegni e animazione, già premiato in diversi festival: Independent Film Festival di New York, Mexico International film festival, Food Film Festival, UK Film festival, Amsterdam Film Festival e Foye Film Festival. “Sausage” è candidato agli Oscar 2015 e ci auguriamo possa ricevere la giusta visibilità anche in questa kermesse. In bocca al lupo!

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME events@artintime.it

DDER

AMARCORT FILM FESTIVAL

PIù LIBRI, PIù LIBERI

Ottava edizione per il festival cinematografico di documentari per giovani autori “Docunder30”, che quest’anno avrà sede a Bologna, presso il cinema Odeon . La rassegna, organizzata da D.E-R Documentaristi Emilia-Romagna, si svolgerà il 2 e 3 dicembre e presenterà i migliori documentari e le miglior serie web di film documentario di autori italiani under trenta, le cui opere saranno giudicate da registi, produttori, studenti e operatori del settore. Per maggiori informazioni sul programma dell’evento, visitate www.dder.org.

Dal 5 al 8 dicembre si terrà la settima edizione del “Amarcort Film Festival”. L’evento, che sarà ospitato presso il Teatro degli Atti di Rimini, premierà i migliori cortometraggi di fiction e animazione di autori indipendenti italiani e stranieri, che saranno valutati da una giuria composta da artisti, esperti, operatori e personaggi del mondo dell’audiovisivo e dello spettacolo. Tra questi Shane Smith, Alessandro Tiberi, Roberto Naccari, Vito Palumbo, Francesco Trento e Maurizio Zaccaro. Per anticipazioni e approfondimenti vistate: www.amarcort.it.

A Roma, presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur, dal 4 all’8 dicembre si svolgerà la tredicesima edizione di “Più Libri, Più Liberi”, fiera nazionale della piccola e media editoria. L’evento, organizzato per promuovere le realtà editoriali di nicchia, accoglierà più di quattrocento editori e numerosi eventi in cui saranno presentate le produzioni più recenti. Un’occasione di incontro e confronto tra operatori professionali, ma anche per i visitatori che potranno prendere parte a presentazioni e incontri. Per maggiori informazioni: www.piulibripiuliberi.it.

FESTIVAL DEL FUMETTO PIACENZA

RIVER TO RIVER

NEXTECH FESTIVAL

Secondo appuntamento con il “Festival del Fumetto” di Piacenza, manifestazione che dal 6 all’8 dicembre accoglierà professionisti, appassionati e curiosi in un evento ricco di ospiti e incontri. Tre giorni di festival che includeranno mostre, approfondimenti su importanti serie come Dylan Dog e Dampyr, anteprime di serie televisive, presentazioni di fumetti in uscita e proiezioni cinematografiche. Tra gli ospiti Giovanni Freghieri, Nicola Genzianella, Elia Bonetti. Per conoscere il programma completo dell’evento: www.festivaldelfumetto.it.

Quattordicesima edizione per il “River to River – Florence Indian Film Festival”, evento internazionale dedicato al cinema indiano e ai film sull’India, che si svolgerà dal 6 al 12 dicembre a Firenze, e che proseguirà con le proiezioni il 13 e 14 dicembre a Roma, presso il Nuovo cinema Aquila. Una rassegna ricca di appuntamenti in cui non mancheranno incontri con importanti registi ed attori, tra cui ricordiamo Irrfan Khan, interprete di importanti pellicole internazionali e ospite d’eccezione dell’edizione. Per maggiori informazioni: www.rivertoriver.it.

Il 7 dicembre a Firenze, presso il Padiglione Cavaniglia della Fortezza da Basso, si svolgerà il “Nextech Special”, evento dedicato alla musica elettronica che vedrà protagonisti alcuni dei più noti dj internazionali. La line up prevede le esibizioni di Nicole Maudaber, produttrice e dj di origine nigeriana, Recondite, il dj techno italiano Sam Paganini, il produttore discografico Speedy J. e Teo Naddi. Un appuntamento da non perdere per gli amanti dell’electronic music. Per maggiori informazioni sul programma della serata: www.nextechfestival.com.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

CORTO DORICO

COURMAYEUR NOIR IN FESTIVAL

EIFF

Ad Ancona dall’8 al 13 dicembre si terrà l’undicesima edizione del festival di cortometraggio “Corto Dorico”, che quest’anno sarà dedicato a Daniele Ciprì, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore italiano di grande successo. Una rassegna ricca di iniziative e appuntamenti, tra cui proiezioni, mostre, incontri e masterclass, in cui il pubblico potrà apprezzare le opere di talenti emergenti, approfondimenti e importanti ospiti del panorama nazionale e internazionale. Per informazioni sul programma del festival: www.cortodorico.it.

Torna l’appuntamento con il “Courmayeur Noir in Festival”, rassegna internazionale dedicata al cinema noir e al giallo, che dal 9 al 14 dicembre a Courmayeur, in Valle d’Aosta, darà spazio a proiezioni, incontri ed eventi con l’obiettivo di promuovere il genere nelle sue molteplici declinazioni. Una ventiquattresima edizione ricca di attività che quest’anno omaggerà lo scrittore americano Jeffery Deaver, vincitore del Raymond Chandler Award. Maggiori informazioni sul calendario della rassegna sono disponibili sul sito www. noirfest.com.

Dall’11 al 14 dicembre nella nuova sede del Polo Fieristico di Campi Salentina, si svolgerà la settima edizione del “Ecologico International Film Festival”, rassegna internazionale che, attraverso proiezioni e incontri, propone una riflessione sulla società contemporanea, la sua crescita culturale e il suo sviluppo. L’evento presenterà una selezione di corti, mediometraggi e lungometraggi realizzati da registi indipendenti di tutto il mondo e darà spazio ad approfondimento e confronti. Per conoscere il programma completo della manifestazione: ecologicofilmfestival.it.

TFFF

CORTIAMO

UMBRIA JAZZ WINTER

Il 12 e 13 dicembre torna l’appuntamento con il festival cinematografico sui cambiamenti climatici e le energie rinnovabili della città di Venezia, il “Think Forward Film Festival”. La kermesse presenterà una selezione di film, documentari e cortometraggi sviluppati sul tema della sostenibilità realizzati da registi internazionali, a cui saranno affiancati incontri e dibattiti con attori e filmaker, approfondimenti, eventi collaterali e attività formative per il pubblico più giovane. Per maggiori informazioni sul programma dell’evento: www.thinkforwardfestival.it.

Organizzato dal Circolo di Cultura Cinematografica “Segni nuovi”, il 13 e 14 dicembre ad Alcamo (TP) si svolgerà la nona edizione del festival “Cortiamo”, rassegna internazionale che intende promuovere e diffondere il cortometraggio come strumento per comprendere l’arte cinematografica. Due giorni di rassegna in cui il pubblico potrà apprezzare le proiezioni delle opere in concorso realizzate da registi o filmaker italiani e stranieri. Per approfondimenti e informazioni sul programma dell’evento visitate: www.segninuovialcamo.it.

Dal 27 dicembre al 1° gennaio ad Orvieto si svolgerà la ventiduesima edizione del “Umbria Jazz Winter”, rassegna musicale che ogni anno ospita alcuni dei maggiori artisti del panorama jazz internazionale. Un appuntamento da non perdere che vedrà protagonisti: Paolo Fresu, Danilo Rea e Fabrizio Bosso, che parteciperanno a numerosi progetti, il pianista Giovanni Guidi, Gianluca Petrella, il giovane musicista americano Jonathan Baptiste, Dawell Crawford e molti altri ancora. Per informazioni sul calendario della rassegna: www. umbriajazz.com.

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