Artintime N. 2 - Febbraio

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ART

IN TIME n.2 - Febbraio 2015

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE Gennaio si è aperto per il mondo intero dalla strage del Charlie Hebdo, a Parigi, e per questo motivi Artintime ha voluto dedicare alle vittime dell’attentato il suo primo editoriale del 2015. Ma un altro editoriale era nei nostri piani, e faceva riferimento con ottimismo e speranza al fatto che questo stesso anno, partito purtroppo con molte ombre addosso, sia stato scelto e proclamato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite Anno Internazionale della luce con l’intento di promuovere la conoscenza scientifica del fenomeno, e con questa tutte le tecnologie che si fondano proprio sulla luce e grazie alle quali è possibile parlare di sviluppo sostenibile e di innovazione positiva per tutti noi. Torino, la nostra città, nota in tutto il mondo anche per le eccellenze scientifiche (basti pensare al Politecnico e all’Università) ha accolto ancora una volta i riflettori su di sé ospitando la cerimonia di inaugurazione per gli eventi italiani dedicati a 2015 anno della luce il 26 gennaio scorso a Palazzo Madama, con un evento organizzato dall’Inrim (Istituto nazionale di ricerca metrologica) e patrocinato dalla Società italiana di fisica. Con l’occasione, sono stati invitati nel capoluogo sabaudo due ospiti di spicco: Wolfgang Ketterle, premio Nobel per la fisica nel 2001 e Theodor Haensch, premio Nobel per la fisica 2005. Indagate speciali, la fisica atomica e l’ottica fisica, discipline tanto sconosciute ai più e a noi che ci occupiamo di arte, quanto in realtà importanti per la vita di tutti. Non ci credete? Provate allora a pensare a cos’è internet, cos’è il vostro smartphone, o le semplici luci che nella vita di tutti i giorni vi circondano quasi in ogni momento. Per non parlare delle torinesi Luci d’artista sfoggiate nel periodo natalizio, vera testimonianza urbana che la luce sa farsi anche arte, illuminando non solo le strade, ma le menti! Ecco perché abbiamo deciso di guardare anche noi con positività e attenzione alla luce: luce fuori da un tunnel di fatiche e ostacoli, luce come innovazione per uscire dalla tanto vituperata crisi, come sole e chiarezza, luce al centro della ricerca scientifica, della cultura, della nostra vita di ogni giorno. Luce e colore, che, lo sapete se ci seguite già da un po’, sulle nostre pagine non mancano mai! Cercheremo così anche in questo inizio di anno di rimboccarci le maniche e guardare ai fatti negativi come esempi da evitare nel futuro e contro cui cercare di lavorare al meglio per portarvi belle notizie, che possano regalarvi curiosità, speranze e sorrisi. Così arriveranno anche questo mese recensioni originali su arte di giovani come noi che si affacciano al grande mondo portando la propria musica, le proprie parole e storie, con visioni personali, dicendo qualcosa di nuovo con talento e innovazione. Innovazione, un’altra parola che ci ha traghettati in questo nuovo anno e che sembra proprio essere uno dei concetti chiave che ci darà carica e voglia di fare per tutti i prossimi mesi a venire. Un termine che va a braccetto con la luce, dovevamo quasi aspettarcelo ormai! Che aggiungere allora a tutti voi che con curiosità ed entusiasmo continuate a leggerci in questo 2015, terzo anno che ci vede andare avanti con il nostro progetto di magazine dedicato al mondo dell’arte esordiente? Un grazie sincero, e un invito sempre valido all’interazione e collaborazione con la nostra redazione e la nostra associazione culturale, che piano piano sta mettendo a fuoco i propri potenziali e sta immaginando scenari futuri fatti di novità e di piccoli ma non per questo meno ambiziosi progetti. Ci piace la luce, e siamo contenti che le giornate, dopo il solstizio di inverno dello scorso 21 dicembre, si stiano già visibilmente allungando per solleticare le prime gemme verso un risveglio primaverile e per darci modo di riscoprire la bellezza del sole e la ricchezza dell’energia e delle tante cose innovative da fare. E quale copertina poteva meglio esprimere la nostra voglia di colore e primavera di quella firmata Beppe Beppetti che illumina il nostro numero di febbraio? Buona lettura, che sia luminosa per tutti voi! Alessandra Chiappori

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chuck@artintime.it

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . CAVEAU by Angelica Magliocchetti

8 . DEATH FAILS by Francesca Cerutti

10 . UFO5 by Anna Moschietto

12 . COME DISSE PAOLO BORSELLINO.. by Alessandra Chiappori

14 . L’ARTE RIVIVE NEI TABLEAUX VIVANTS by Roberta Colasanto

16 . NON SOLO DANZA E UN PREMIO RETE CRITICA by Barbara Mastria

18 . QUATTRO CHIACCHIERE CON GIORGIA MARRAS by Alessandra Chiappori

22 . MUSEUM OF BRANDS, PACKAGING & ADVERTISING by Cristina Canfora

26 . MAMMUT by Angelica Magliocchetti

28 . PRENDI UN GRANDE ROMANZO E.. CAPOVOLGILO !

by Alessandra Chiappori

30 . CONFUSION THROUGH SAND by Francesca Cerutti

32 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

CAVEAU Un ritmo incalzante dalle sfumature oniriche, interrotto, all’improvviso da una voce femminile velata e penetrante. Questo, il sound coraggioso e diretto dei Caveau, band marchigiana nata nel febbraio del 2013. La voce di Valentina Clizia, la chitarra di Tiziano Casabianca, il basso di Massimiliano Cerri e la batteria di Nazzareno Ferri sono i cinque elementi che formano l’anima nascosta dei Caveau. La formazione, originaria di Pesaro, si presenta fin da subito con uno stile personale, inusuale e attraente. Forte di una vivace vena creativa, la band approda sulle scene con dieci tracce, racchiuse nell’album d’esordio “IN”, prodotto dalla ALKA record label; un primo lavoro intraprendente e introspettivo, corredato di testi in italiano e da un sound alternativo. Un’esplorazione che porta a girovagare ai confini delle emozioni, tra gli strati del subconscio e la grinta di brani come “Revolution Love” o “Fuggi dall’incubo giallo”. Non mancano

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le tracce più libere, scarne e ruvide alla “Anti-gone” o le atmosfere più malinconiche, fumose e dalla leggera influenza darkwave (“Non ho sete”, “Luci da fermo”). Dieci tracce, quindi che arrivano dove devono arrivare, semplici e vivide, istantanee. Una piacevole scoperta questo lavoro d’esordio del gruppo marchigiano, inaugurato dal lancio del primo singolo “Bicchieri rotti”: una traccia, un video e un amore a senso unico, che però non si rassegna. Ostacoli, gettati sulla strada che ognuno di noi va percorrendo, e un pizzico di surreale per un esordio coraggioso e pieno di carattere. So, Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

DEATH FAILS Si può scappare alla morte? I fan di Harry Potter probabilmente risponderanno che solo colui che possiede i “Doni della morte” può fuggire alla vecchia signora di nero vestita: la bacchetta di sambuco, il mantello dell’invisibilità e la pietra della resurrezione sono infatti i tre oggetti che permetteranno al mago che ne entrerà in possesso di nascondersi per l’eternità. Ma se non ci troviamo nel magico mondo di Harry Potter, come possiamo fare? Ovviamente è una questione di fantasia. Ebbene, un pizzico di fantasia e tanta ironia sono alla base del cortometraggio del regista moldavo Dimitri Voloshim, dello studio cinematografico Simpals, autore del simpatico cortometraggio di animazione “Death Fails”. La storia presentata è estremamente semplice ma molto divertente: un camionista è vittima di un incidente stradale e finisce in ospedale in fin di vita. Mentre è disteso sul suo letto, collegato a numerosi macchinari, entra in gioco lei, nera come la notte più buia, il cappuccio calato sul capo e la falce tra le mani: la morte si avvicina alla stanza dove il pover’uomo giace. Arriva in corsia attraverso l’ascensore, come un visitatore qualsiasi, come se avesse una struttura fisica. La morte gioca con l’elettrocar-

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diogramma del povero camionista, lo “suona” come se fosse la corda di uno strumento musicale, poi a un certo punto la rompe e cerca di ricomporla. Nessuno sembra rendersi conto di questa arcana presenza, l’infermiere del turno serale è intento a cuocersi un toast sul defibrillatore, scena esilarante, ai limiti della credibilità, ma che proprio per questo strappa un sorriso allo spettatore. La morte agisce quindi indisturbata e mette fine alla vita del camionista. L’infermiere, richiamato dal rumore dell’elettrocardiogramma, prova a rianimarlo, ma senza speranze. I toni si fanno immediatamente tristi e ora è difficile sorridere di fronte alla tragicità del momento, eppure ecco il colpo di scena che coglie lo spettatore impreparato. E se la morte fosse una pasticciona? Se fosse un po’ maldestra? Dimitri Voloshim gioca su questo: la morte infatti uscendo dalla stanza fa cadere un barattolo contenente del liquido, ecco quindi che accade qualcosa di completamente inatteso. L’acqua entra in contatto con l’elettricità e, mentre la morte cerca di portare via l’anima del camionista, nella stanzetta dell’ospedale succede un piccolo disastro: una potente scarica elettrica si riversa sul corpo del defunto che improvvisamente si risveglia!

La morte ha fallito il suo compito e il malcapitato fugge mezzo svestito dalla finestra, evidentemente dopo aver capito cosa stava per capitargli. “Death Fails” parte da un evento negativo, la morte di una persona, ma riesce ad alleggerire il cuore dello spettatore e lo fa sorridere nel momento in cui si trova di fronte a una morte un po’ distratta e caotica, che non riesce a fare bene il suo lavoro. La capacità del regista sta proprio in questo, egli riesce a rendere leggero ciò che spaventa maggiormente l’uomo, esorcizza infatti due cose: gli ambienti ospedalieri e la morte. L’ospedale diviene un luogo dove gli infermieri si annoiano e addirittura arrivano a usare la strumentazione medica per cucinare i panini, e la morte, tanto temuta, viene bistrattata e non riesce a portare a termine il suo lavoro, fallendo il suo compito. Questa signora di nero vestita è tremendamente sfortunata e incapace di essere davvero spaventosa e…mortale!

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME

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STREET-ART popart@artintime.it

UFO5 Matteo Capobianco, meglio noto con lo pseudonimo di UfoCinque, nasce a Novara nel 1981. Inizialmente sviluppa la sua passione per il disegno nella street-art, fenomeno allora in grande espansione, maturando una sua particolare cifra stilistica basata su semplicità del tratto e bidimensionalità delle sagome. Parallelamente alla sua affermazione come writer prosegue gli studi e si laurea in Design al Politecnico di Milano, percorso che gli consente di esplorare diverse forme d’arte e di ampliare la sua visione artistica. Nascono così molte sperimentazioni, sviluppate da UfoCinque attraverso differenti forme espressive: dal video alle installazioni, dalle scenografie teatrali al wall painting. Una ricerca di forma e di linguaggio che porta l’artista ad approfondire in particolare la tecnica del paper-cut con cui realizza opere per mostre personali, allestimenti ed eventi. Tra que-

ste ricordiamo le installazioni “Contrappunto barocco per strumenti in carta”, presso La Rinascente Firenze (2014), “Ephemeralforest” White Milano (2013), “Albero bianco” New Generation Festival Lonigo Vicenza 2013, “Tuchulca” opera realizzata per Museo etrusco di Villagiulia a Roma nel 2013, “Evil Canova” allestita presso il Museo Civico Bassano Del Grappa (2012). I suoi lavori, realizzati rigorosamente a mano, si basano su uno studio attento in cui forma e funzione si fondono nel veicolare il concetto dell’opera. Un messaggio volutamente comprensibile e accessibile a tutti, in cui possono essere rintracciati molteplici significati e livelli di lettura.

Anna Moschietto

Mail: ufocinque@yahoo.it Sito: www.flickr.com/photos/ufocinque

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ARTINTIME books@artintime.it

COME DISSE PAOLO BORSELLINO.. C’è un tu, una seconda persona nascosta nel titolo dell’esordio letterario di Corrado Fortuna “Un giorno sarai un posto bellissimo”, ed è rivolto alla Sicilia, alla sua Palermo, straziata e stravolta dalla morsa interna di una mafia che non si arresta davanti ad alcun tipo di bellezza, e che brucia speranze e cancella volti e impegni per proliferare impunita. Ma un giorno, come disse Paolo Borsellino, “La Sicilia sarà un posto bellissimo”. Ecco dunque a chi è implicitamente dedicata la speranza che il titolo di questo romanzo auspica tra le righe di una storia che alterna pagine di amicizia, di ricordi di infanzia, a scene da poliziesco – non a caso viene citata “La piovra” – che collimano purtroppo con realtà effettive. Sono i momenti caldi della cosiddetta trattativa Stato-Mafia, occorsi in quegli anni Novanta della strage di Capaci, degli omicidi di Falcone e Borsellino, dei sospetti illeciti rapporti di clientelismo tra noti esponenti della politica nazionale e boss mafiosi. Sono anche gli anni in cui Artuto e Lorenzo, i protagonisti di questa storia, vanno a scuola. È lì che si conoscono il primo giorno di prima elementare, compagni di banco diversi nel fisico e nel carattere dal primo istante, ma subito e sempre amici inseparabili, nonostante a dividere le loro esistenze ci sia una famiglia, quella di Lorenzo, troppo a fondo coinvolta negli affari di cosa nostra per non sconvolgere vite e amici-

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zia stessa. Ritroviamo così Arturo e Lorenzo adulti, coinvolti una vicenda del passato non ancora chiusa, intenti a capire, dipanare una matassa di vissuto non compreso fino in fondo per troppa partecipazione emotiva o per ingenuità. O forse, per essere rimasti, loro malgrado, vittime di una vicenda immensamente più grande di loro, coinvolti a spese loro e della propria giovane vita da passare tra scorribande extrascolastiche e ragazze, come sarebbe stato normale. Non però a Palermo, l’altra grande e silente protagonista di questa storia, che va a costituire un altro tassello di un percorso dedicato alla Sicilia e ai suoi tristi legami con la mafia che sta ultimamente prendendo piede tra giovani artisti. Fortuna cita esplicitamente nei ringraziamenti “La mafia uccide solo d’estate” di Pif, e a noi piace ricordare anche il recente “Ciò che inferno non è” di Alessandro D’Avenia. La storia rievoca la ricerca di un regalo di nozze – un vassoio in argento – che costituirebbe la prova oggettiva dei reali rapporti tra Stato e Mafia avvenuti negli anni Novanta tra le mura della villa dei genitori di Lorenzo, davanti agli occhi dei protagonisti, allora ragazzi. Dietro a questa scena, ripercorsa da più punti di vista sempre più dettagliati, la figura mai nominata, ma chiaramente deducibile, di Giulio Andreotti. Su questa pista si snoda la ricerca della verità, nella parallela riscoperta di una Palermo dalla bellezza sepolta sotto

montagne di omertà, prevaricazione e crimine, dietro a un vassoio che cela con sé rivelazioni scottanti, vite e amicizie da pacificare. Questo il filo narrativo di un romanzo che ha tra i naturali intenti non solo quello di seguire gli eroi in una ricerca, ma quello di approfondire questioni irrisolte e troppo spesso lasciate a margine, di scavare in un vissuto recente tutto italiano, in cui la trama sembra essere una dilagante e criminale ipocrisia. Facciamo subito amicizia anche noi con Arturo e Lorenzo, uniti anche nella diversità, nonostante tutto, lungo gli anni e le tappe delle proprie differenti vite, dedicata alla ricerca della verità quella di Arturo, volta invece a una fuga liberatoria da un passato troppo pesante e scomodo per Lorenzo. Il fulcro della storia allora, più che sul misterioso vassoio – di cui peraltro si è realmente parlato negli anni, a indicare quanto questo romanzo lavori a cavallo tra invenzione narrativa e documentario, muovendosi in quella sfera ancora non ben definita della fiction inaugurata dal “Gomorra” di Saviano – è il ritorno dei protagonisti a Palermo, luogo di origine del tutto. È lì che si sono svolte e si svolgono nel presente le azioni rilevanti, è lì che si nascondono i fatti, ci si ritrova, tra gli altri e in se stessi, di fronte alle proprie radici. La bellezza mischiata ai sacchi di spazzatura, la luce della Palermo artistica zittita dalle colate di cemento: sono queste contraddizioni a dare nervatura al pensiero


BOOKS dei protagonisti e alla storia stessa, fatta di luci e ombre, di speranze – quelle che scorgiamo ottimisti nel nuovo fermento culturale della Palermo contemporanea – e di pessimismo radicato. Come a Palermo si è originata la frattura che ha portato lontani dalla propria terra Arturo e Lorenzo, così è sempre lì che bisogna grattare sotto la superficie per ritrovare un senso, per impegnarsi a voler sperare che davvero, un giorno, forse presto, Palermo e la Sicilia saranno davvero quel posto migliore intravisto in mezzo alle bombe da Borsellino.

A lessandra Chiappori

“io non è che vivo nel mondo delle favole: io so che a Palermo sta succedendo qualcosa, io so che a casa di Lorenzo ultimamente non si dorme più tranquilli e che le due cose sono collegate. È questo che sto pensando adesso, mentre il signore gentile mi fa segno, sorridendomi, di sedermi davanti a lui al tavolo in salotto con un panno verde sopra dove di solito la madre di Lorenzo passa i pomeriggi a fare i solitari, ma dove adesso ci siamo solo io e lui”

Corrado Fortuna, “Un giorno sarai un posto bellissimo”, Baldini & Castoldi, 2014

CORRADO FORTUNA Classe 1978, Corrado Fortuna nasce in quella Palermo che ha raccontato nel suo romanzo d’esordio ma, prima che alla scrittura, approda al cinema come protagonista di “My name is Tanino” (diretto da Paolo Virzì) ed è poi protagonista di “Perduto amor”, diretto da Franco Battiato, che gli frutta il premio Guglielmo Biraghi nel 2004. Arricchiscono la sua carriera parti in “Baaria” di Giuseppe Tornatore e “To Rome with love” di Woody Allen. Recentemente è tornato al cinema con Paola Cortellesi e Raoul Bova in “Scusate che esisto!”

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

L’ARTE RIVIVE NEI TABLEAUX VIVANTS Guardate: su di un fondo nerissimo si staglia una figura di giovane donna avvolta in un manto rosso quasi accecante, il collo reclinato, un drappo che pende sopra il suo capo. Una Maddalena caravaggesca. Guardate ancora: la Maddalena si alza e se ne va, portandosi dietro drappo e mantello. Si tratta di tableaux vivants, “quadri viventi”, un tipo di messa in scena che vanta una tradizione antichissima e che sopravvive fino ai giorni nostri. Gli attori, sotto gli occhi del pubblico, sistemano la scena e prendono ad assumere le pose dei personaggi di celebri dipinti. Quando sono pronti, improvvisamente, tutto si immobilizza in un fermo immagine di alcune decine di secondi che, complice l’illuminazione giocata sul forte contrasto di luce e ombre, ricrea in tutto e per tutto l’illusione di un quadro dipinto. Questa forma d’ arte, vero e proprio cortocircuito tra pittura, teatro e musica (poiché i figuranti agiscono con il suggestivo accompagnamento di musiche antiche, spesso dal vivo), richiede un accurato studio della luce per la resa dei chiaroscuri, l’abilità de-

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gli attori nel coordinare la creazione del quadro e fermarlo nel momento di massimo pathos musicale e, non ultima, la capacità di rimanere immobili, raggelati, in pose anche molto ardite. Un esempio: la Crocifissione di San Pietro di Caravaggio (la notissima tela custodita in Santa Maria del Popolo a Roma), in cui il pittore immortalava il martirio del santo nel momento in cui, già a testa in giù, veniva issato con la sua croce da tre manovali. Proprio Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, è uno degli artisti le cui opere più si prestano a essere riprodotte come tableaux vivants, per la resa fotografica, il gusto dell’attimo immortalato, spontaneo non in posa, e in particolare per la carica profondamente spirituale della sua opera. Ma nella storia dei tableaux vivants non c’è spazio solo per il sacro: un esempio sono le celebri attitudes di Lady Hamilton, l’affascinante avventuriera inglese poi moglie di sir William Hamilton, ambasciatore britannico a Napoli durante la seconda metà del Settecento. Questa, sull’onda dell’allora imperante moda à la grecque, allestiva veri e propri

spettacoli in cui si esibiva, avvolta di scialli che fungevano da costumi antichi, in pose classiche, talvolta coinvolgendo anche le nobili signore sue ospiti; piccole rappresentazioni che non mancavano di affascinare aristocratici e artisti, come testimoniato da uno degli spettatori, J. W von Goethe. In seguito il fascino di tali messe in scena, che ricreano per alcuni istanti con persone in carne ed ossa i grandi capolavori figurativi, è stato raccolto, in modo più o meno esplicito, da fotografi e registi, come Pier Paolo Pasolini. Ancora oggi, in particolare al Sud, resiste questa tradizione artistica di così forte impatto emotivo, coltivata e diffusa da compagnie teatrali specializzate: una di queste, napoletana, “Teatri 35”, andrà in scena col suo spettacolo “Labirinto” al Teatro Nuovo Giovanni da Udine, a Udine, il 27 e il 28 marzo 2015.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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TEATRO teatro@artintime.it

NON SOLO DANZA E UN PREMIO RETE CRITICA La sperimentazione è attualmente pervasiva: la scena è ricca di formazioni i cui artisti arricchiscono la compagnia con la danza, il teatro, l’arte visiva e tracciare un confine netto è molto complicato. Non è scontato che il pubblico sia preparato a ciò che vede in palcoscenico o – come avviene nella maggior parte dei casi oggi – in luoghi non convenzionali, ma la critica sa perfettamente dove andare a puntare il dito e il premio. A dicembre si è svolta la cerimonia dei Premi Ubu, i riconoscimenti per il teatro italiano. All’interno di questa manifestazione è stato assegnato anche il Premio Rete Critica da parte dei siti e blog indipendenti legati alla critica teatrale. A ricevere il premio è stato Collettivo Cinetico, diretto da Francesca Pennini. Il Collettivo è nato sette anni fa, al suo interno orbitavano artisti interessati all’evento performativo nel suo complesso, caratterizzato da teatro, danza e arte visiva. Il Collettivo si interroga continuamente sul proprio lavoro e non presenta

una struttura rigida, ma alternativamente i rapporti e i ruoli cambiano, si rinnovano, e il “cinetico” con cui si definisce diventa reale nel dinamismo umano della compagnia. Francesca Pennini è regista e coreografa del gruppo: ama creare danze complesse e articolate, in cui il corpo è al centro dello studio e della riflessione artistica. Come racconta lei stessa, la sua non è una formazione canonica: incontra la danza contemporanea già nella maggiore età e ne rimane completamente affascinata tanto da frequentare prima l’Opus Ballet e poi il Laban Centre di Londra. Il lavoro che Francesca mette nel collettivo parte da un approccio vero e reale, quello della presenza dei corpi dei performer che, attraverso la determinazione e la cura che richiede la danza, creano opere adatte al teatro, alle stagioni di danza o alle gallerie d’arte. Sono situazioni molto differenti, fruite anche da un pubblico evidentemente diverso: il collettivo muta se stesso sia all’interno del conte-

nitore che lo ospita, che di fronte al pubblico che incontra. Nascono da ciò laboratori di formazione, a partire dagli adolescenti. Francesca usa nelle sue coreografie l’improvvisazione, che sempre lasciata al caso non è. Si tratta di fissare alcune sequenze e da quelle farsi guidare alla creazione di flussi successivi meno rigidi e più dinamici. L’ultima sperimentazione del Collettivo è piuttosto interessante, si tratta di un Amleto contemporaneo che richiama a sé i performer direttamente dal web: tre persone vengono selezionate via internet e ad esse viene dato un manuale di istruzioni su come essere o non essere Amleto. Durante una narrazione fuori campo e la danza degli artisti in scena, i tre performer devono districarsi sul palcoscenico contendendosi il ruolo del protagonista. Si tratta proprio di indagare la variabilità della scena, della creazione e, perché no, della propria esistenza.

Barbara Mastria

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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON GIORGIA MARRAS Classe 1988, genovese ma con la valigia sempre pronta, Giorgia Marras è una giovane e promettente disegnatrice che, uscita dall’accademia, si è rimboccata le maniche per riuscire a fare della propria passione anche il proprio mestiere. Il 2014 l’ha vista impegnatissima in varie attività, tra cui spicca per la particolarità della storia raccontata e per la bellezza delle tavole il suo primo libro “Munch before Munch” (edizioni Tuss), dedicato al grande artista norvegese. Siamo riusciti a rintracciarla al telefono e le abbiamo fatto qualche domanda per permettere anche ai lettori di Artintime di conoscerla meglio. Chi è Giorgia Marras e cosa fa nella vita? Sono una disegnatrice di fumetti e illustratrice, diciamo che al momento sto ancora ingranando, sono un’esordiente, però sono sulla buona strada e ne sto facendo il mio lavoro: ho uno studio e lavoro tutti i giorni, ho orari fissi e molta disciplina: è una cosa presa seriamente. Quale è stato il tuo percorso formativo? Ho iniziato fin da piccola a disegnare e leggere fumetti, è una cosa che ho sempre fatto, da che io mi ricordi. Mi sono diplomata al liceo artistico e poi mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti di Genova, nel frattempo ho passato un anno a Parigi, in Erasmus. È stato un periodo molto importante. L’Université Paris 8 era un politecnico che dava molta importanza all’arte contemporanea e alla teoria, quindi ho studiato altro, ma la cosa positiva era che la stessa facoltà stan-

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ziava dei fondi per una fanzine a fumetti, Amalgam. Con i membri di Amalgam abbiamo girato per tutti i festival del fumetto di Francia, portando le nostre piccole pubblicazioni e facendoci conoscere. Lì ho scoperto un altro mondo, autori che in Italia non venivano pubblicati e una grande attenzione al fumetto “d’autore”. È così che ho iniziato: conoscendo personalmente gli autori, disegnando, confrontandomi con altri disegnatori della mia età. Nel corso degli anni ho poi cercato di seguire workshop con Manuele Fior, Roman Muradov, Anna Castagnoli e altri. Queste esperienze mi hanno aiutata e poi mi sono lanciata, da due anni ho iniziato a non fare più secondi lavori di altro tipo e dedicare tutto il mio tempo al disegno. Nel 2014 è uscito per Tuss il tuo primo graphic novel “Munch before Munch”, dedicato al grande artista norvegese nei 150 anni dalla sua nascita: come sei arrivata a questo progetto, come hai scelto il soggetto? Innanzitutto, questo è il mio primo romanzo a fumetti, ma è anche la prima pubblicazione edita da Tuss. Con Silvia Pesaro, la mia editrice, abbiamo voluto creare un progetto su Munch per far conoscere il lato meno noto dell’artista, l’essere umano che si celava dietro la fama ingombrante della sua opera-simbolo, l’Urlo. Da qui il titolo “Munch before Munch”. Questo lavoro è in gran parte scaturito dalla lettura dei suoi diari: Edvard ha scritto moltissimo durante il corso della sua vita, annotando sia piccole scene di vita

quotidiana, sia riflessioni sull’arte, la vita, l’amore, la morte. Il tutto, spesso, con una vena di ironia. La sua produzione scritta è stata quindi una delle ragioni per cui abbiamo sentito l’esigenza di dover raccontare anche questo lato dell’artista, così meraviglioso e, allo stesso tempo, ingiustamente dimenticato. Una delle mostre più belle che abbia mai visto nella mia vita fu proprio una sua retrospettiva, nel 2007 in Svizzera, alla Fondation Beyeler. Per la prima volta mi trovai di fronte alle sue opere, provando una grande empatia, inspiegabile e irrazionale. Come hai lavorato per la realizzazione del graphic novel? Come prima cosa bisognava documentarsi tanto e bene, perché essendo una ragazza nata negli anni ‘80, italiana... Ecco, il mondo nel quale viveva Munch, la Norvegia di fine Ottocento, non è che mi appartenesse totalmente! Il lavoro di ricerca è stato lungo e minuzioso ed è durato quasi più della effettiva “messa su carta”... Ho letto diversi libri, per la maggior parte in francese o inglese perché in italiano sono state tradotte pochissime pubblicazioni. Una “miniera” di informazioni molto utili è stato “Les couleurs de la névrose” del norvegese Atle Næss. Contemporaneamente la mia editrice si è recata a Oslo per intervistare la curatrice della Nasjonalgalleriet, Mai Britt Guleng, e per entrare in contatto con il responsabile dell’archivio dei diari del Munch Museet, Lasse Jacobsen. Ci siamo anche ispirate, come dicevo prima, a tutti i suoi diari, appunti, taccuini, annotazioni su libretti sparsi (frammenti solo parzialmente pubblicati in Italia, grazie alla traduzione dello


INTERVISTANDO...

psichiatra Marco Alessandrini, per le edizioni Abscondita). Una volta raccolto tutto il materiale, sono passata alla fase di scrittura. Il mio intento è stato quello di creare una narrazione basata su fatti reali e documentati, che allo stesso tempo fosse fruibile e attualizzabile. In fin dei conti, volevo raccontare la storia di un giovane con un grande sogno, disposto a ogni sacrificio pur di realizzarlo. Per quanto riguarda la fase del disegno, ho cercato una tecnica che assomigliasse alla sua produzione grafica, meno conosciuta rispetto a quella a olio. Munch era un litografo e incisore estremamente prolifico. Raccontare la storia della sua vita servendosi di una tecnica che lui stesso amava molto mi era sembrato un procedimento interessante. Ovvio, non mi sono messa a fare un fumetto litografico, ci sarebbe voluta una vita!

Ho utilizzato la matita nera sfumata e la china asciutta per dare l’effetto graffiato tipico delle sue opere. Qual è la parte che ti è piaciuta e ti ha divertita di più della lavorazione? Non saprei: ogni parte è interessante. Mi piacciono la ricerca storica, quella iconografica e di testo: sono processi interessanti, perché permettono di immergerti in un altro mondo. Disegnare poi è la cosa per cui ho studiato, quella che mi piace di più ed è un medium che sento più mio. Ma c’è un tempo per tutto, anche per la scrittura: è un lavoro di analisi e autoanalisi, per quanto riguardi altre persone o altre storie. Dire che ogni step è interessante! Vanti in curriculum la partecipazione a diverse mostre, so-

prattutto nel 2014. Quali sono le più recenti? Con chi hai esposto? Ci sono altri progetti in futuro? La cosa più importante che riguarda il futuro è che tra un mese partirò per la Francia: mi hanno selezionata alla Maison des Auteurs di Angoulême, uno dei centri più importanti per il fumetto in Europa. Starò lì è lavorerò per un periodo di quattro mesi. È un bel punto di partenza, io spero sempre di più di inoltrarmi nel mondo del mercato francese. Per quanto riguarda le mostre ne ho fatte tante quest’anno insieme al gruppo Uvaspina, che ha base a Genova ed è composto in gran parte da autori genovesi. Al momento questo progetto si è un po’ fermato per ragioni di gestione degli impegni di ogni componente, ma appena possiamo

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ARTINTIME cerchiamo di proporre mostre sul nostro territorio, perché non c’erano tantissimi eventi legati all’illustrazione prima che ci muovessimo un po’, e ci sembrava interessante portare avanti questa cosa. C’è una mostra collettiva che sta girando, “Inklist”, realizzata da “Popper Fanzine”, una rivista a fumetti, in cui vari autori italiani interpretano canzoni uscite nel 2014. La mostra è stata a Roma, a Padova e ora Popper ha chiesto a me e al bravissimo Stefano Tirasso di portarla a Genova, speriamo a febbraio! Cosa ti piace di più disegnare e quali sono le tue tecniche preferite? Mi piace raccontare storie: anche se disegno e basta, l’illustrazione fine a se stessa mi piace relativamente, mi piace invece di più seguire un personaggio, quindi anche se faccio una serie di illustrazioni mi piace che ci possa essere un processo di crescita del personaggio, e per questo mi trovo un po’ più legata al fumetto rispetto all’illustrazione. Come tecniche, sono quelle manuali, tradizionali: uso anche il computer, ma non sono particolarmente dotata! Certo, potrei – spero – imparare, ma finché potrò usare la tempera, l’acquerello, la china, sarò più felice, anche perché dopo una giornata di lavoro su carta sono molto meno stanca rispetto a quando lavoro tutto il giorno al computer. Però è anche vero che il computer dà delle possibilità molto grandi e spero di poterlo presto imparare un po’ meglio! Ci racconti una tua giornata tipo? Per le 8.30 arrivo in studio, l’ho preso da un anno e mezzo, perché prima lavoravo in casa ma era pesantissimo avere il letto accanto alla scrivania e di fatto non uscire mai dalla stessa stanza… Adesso è bello vestirsi ogni mattina, uscire di casa e lavorare in un altro posto. E poi

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lavoro tutto il giorno fino alle 20 circa. Ascolti musica mentre disegni? Sì, musica e radio, ma anche film, documentari, qualsiasi cosa! Dipende anche dal momento e da cosa devo fare: se devo scrivere qualcosa, allora va bene il silenzio, oppure musica classica, o le colonne sonore dei film. Se devo invece disegnare qualcosa di particolarmente intenso, musica varia, non ho dei gusti particolari. Invece la radio è fondamentale, perché mi permette di avere un legame con il mondo esterno! Ah, e sono dipendente dei documentari di Piero e Alberto Angela, fin da bambina. Ascoltarli mentre lavoro mi fa entrare in un totale stato di serenità, soprattutto quando sono in difficoltà con qualche tavola mi aiutano molto. Hai degli autori di riferimento ai quali ti ispiri per il tuo lavoro? Certo, sono tanti, troppi! Ogni giorno me ne piace sempre uno nuovo. Manuel Fior è uno dei miei preferiti, è in un certo senso la mia “guida”. Ultimamente seguo un po’ di autori americani che prima non consideravo molto, guardavo sempre alla Francia, tra questi c’è Jillian Tamaki, il suo ultimo libro è “E la chiamano estate” [Bao Publishing, N.d.R.]: secondo me è bellissimo, la storia è delicata e allo stesso tempo intensa ed disegnata divinamente! Poi ce ne sono talmente tanti… Alfred, il duo Kerascoët, Roman Muradov... Per quanto riguarda l’illustrazione invece sono molto legata a quei bellissimi libri illustrati tra gli anni trenta e sessanta. Adoro Nathalie Parain, Aurelius Battaglia e Mary Blair. Degli illustratori attuali, Beatrice Alemagna, Annette Marnat, Júlia Sardà, Ilaria Falorsi. In ogni caso mi piacciono

talmente tanti disegnatori e artisti che stilare una “classifica” definitiva diventa impossibile. Sei stata un anno a Parigi, di questi tempi il pensiero non può che andare alla tragica vicenda di Charlie Hebdo: ti va di fare con noi un commento o una riflessione? La premessa è che non sono nessuno, nel senso che parlo in quanto persona, più che fumettista. A me piaceva abbastanza il lavoro di Charlie Hebdo, anche se è un tipo di umorismo che non mi appartiene e che difficilmente scatena in me la risata (ma sono gusti personali). Avevo iniziato a familiarizzare con le loro vignette anni fa, pur non avendo mai comprato la rivista. Una mia amica di SaintEtienne ogni tanto mi passava la rivista, insieme anche a “Le Canard Enchaîné”. Inoltre la sede di Charlie era attaccata a dove vivevo quando abitavo a Parigi, ci passavo per andare in piscina. Quindi, sì, quando ho iniziato a seguire la vicenda, sono rimasta da subito molto colpita e scioccata. Che cosa ne penso? Io credo che Wolinski, Cabu e gli altri fossero persone alle quali piaceva molto giocare, dei ragazzini che fin da piccoli hanno avuto l’attitudine allo scherzo e al gioco e hanno fatto di questo il loro mestiere, e anche molto bene. Facevano satira. Che purtroppo può e deve dare fastidio. La satira è importante perché viene dal basso, scardina, vuole farci osservare mettendo in luce delle cose che non funzionano bene e solitamente sono rivolte alle grandi potenze, politiche e religiose. Poi, è chiaro, la situazione è molto delicata. Charlie Hebdo ha offeso i musulmani? Deride in maniera troppo ostentata? Forse. Sapevano che stavano scherzando con il fuoco? Sicuramente. Però lo hanno fatto. Per che cosa? Credo che in primis sia stato un lavoro che


INTERVISTANDO...

gli piaceva fare. Punto. Per la libertà di dire sempre quel che si pensa? Anche. Credo che la libertà di espressione è una delle cose più importanti al mondo, che bisogna difendere come un tesoro prezioso. Ma dove finisce la mia libertà? Charlie attaccava i “poteri”, ma lo faceva sempre in maniera scherzosa, non uccideva la gente, non armava interi stati, non perseguiva i poveri, gli immigrati, le donne, gli omosessuali. Secondo me sono molto più gravi altre affermazioni pubbliche, soprattutto di politici e di chi detiene l’economia mondiale, piuttosto che le vignette su Charlie Hebdo. Per questo il loro lavoro era e resta importante. Bisogna battersi sempre più per la libertà di stampa, altrimenti arriveremo a un punto in cui ci dovremo censurare per qualsiasi cosa: il politically correct è una gran bella bufala. Penso che creare l’odio sia qualcosa di infinitamente stupido e inutile ma fin troppo facile e pericoloso. Altro che le vignette di Charlie. Dopo la Francia, l’Austria: nel 2013 sei stata selezionata a Linz per un progetto europeo. Di cosa si trattava? E, anche in questo caso, cosa ti ha lasciato questa

esperienza? Ero stata selezionata per un progetto fumetti ed è stata un’esperienza molto bella. Si trattava di un centro di arte contemporanea, quindi erano ospitati e lavoravano lì artisti che realizzavano opere d’arte contemporanea. Lì ho lavorato a “Munch before Munch”, la parte disegnata del fumetto l’ho realizzata lì. Devo dire che sono contenta di questo perché è un fumetto con atmosfere molto fredde, invernali, e stare qui a Genova con 20 gradi a novembre non mi avrebbe aiutato, invece a Linz il 2 di ottobre c’erano 3 gradi, poco dopo la neve… l’ambiente sicuramente mi ha aiutata! È un bellissimo centro, mi è piaciuta molto come esperienza anche se sono stata poco più di due mesi, ma ci tornerei di corsa, è anche una bella città, molto attenta all’arte. Dalla tua città ti sei spesso spostata: cosa rappresenta per te Genova e, al contempo, cos’è invece il viaggio? So bene cosa è viaggio o che cosa vuol dire viaggio per me, ma non ho una risposta molto razionale: viaggio perché ho bisogno di muovermi, scoprire nuove cose, confrontar-

mi con nuove persone e modi di vita, è una cosa che mi è sempre piaciuta. Credo di avere imparato tantissimo, forse ancora più che con la scuola, grazie ai viaggi. Genova per me è…Fino agli anni del liceo e all’inizio dell’accademia mi piaceva starci, ogni tanto guardavo certi angoli e dicevo “che bello!”, adesso invece non lo so… forse per me Genova è il posto dove ci sono le persone alle quali voglio bene, nel quale tornare per rivederle, per stare insieme. Dove ci sono i miei cari e il mio fidanzato. Ed è dove c’è il mio studio, al quale sono affezionata! Ho due compagni di studio molto in gamba, si chiamano Marinella Michelini e Simone Argiolas, sono un una grafica designer e un programmatore. Giorgia Marras tra 5 anni, come ti vedi? Spero con uno stipendio decente in tasca, un appartamento e forse una tartaruga! Vediamo… Spero soddisfatta, serena, circondata dalle persone alle quali vuole bene e che finalmente possa fare della sua passione il suo mestiere.

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

MUSEUM OF BRANDS, PACKAGING & ADVERTISING In a cold stormy day I am feeling quite nostalgic and want to indulge into this state of mind, so I decide to visit the perfect place, a kaleidoscope of images and brands hidden in the heart of Notting Hill. I am talking about the Museum of Brands, Packaging & Advertising founded in 1984 by consumer historian Robert Opie in Gloucester, then moved to London in 2005. There is something extremely fascinating about the history of packaging and advertising, through the over 12,000 original items displayed you won’t only discover the evolution of brands that we still use nowadays but also find out how we changed with them. From the Victorian age until the present, consumerism unveiled itself decade after decade, reviling shopping habits and aesthetic. The exhibition is structured as a long tunnel that starts with the more ancient products and follows a time orientated pattern. All items mirror the needs of the society that produced them and its peculiar sense of style. This structure helps to spot how historical events have a huge impact on consumerism. The two world wars, for example, reduced the availability of goods so sizes and package’s materials were condensed as well. The gradual emancipation of women is also shown

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by advertising campaigns, as they became more and more a target, in different ways though. At the core of this museum it is the idea of Robert, who wanted to tell a story of evolution and love for the history of packaging and advertising: “I was struck by the idea that I should save the packaging which would otherwise surely disappear forever. The collection offers evidence of a dynamic commercial system that delivers thousands of desirable items from all corners of the world, a feat arguably more complex than sending man to the Moon, but one still taken for granted.” The second part of the display is focused on giving information about several interesting topics, like the practical purpose of packaging. The basic function is to protect the product during its long journey from manufacturers through to kitchen, beyond this vital function of keeping it safe and hygienic, the pack is the constant communicator for directions, recipes or ingredients. The aerosol is a good example. First invented in 1929 in Norway to wax skis, Aerosols took off commercially only during the 1940s for products such as insecticides, veterinary sprays and air fresheners. Today they are used for over 200 different types of products,

they successfully allow you to apply the product (as foam, gel, cream or mousse) exactly where you want it without getting it all over yourself. Another section explains the story of milk delivery: “For centuries milk came fresh from the cow to the village, with no need for packaging. As towns grew, door to door milk delivery was made by carts carrying milk churns, the contents being poured into the customer’s jug. However, this was not necessarily hygienic as the jugs were not cleaned properly. Although some specialist milk was available in glass bottles during the 1890s, it was not until the 1920s that glass bottle delivery to the door became commonplace, the milkman picking up the “empties” at the same time. By the 1950s, milk cartons had begun to replace glass, and in the 1970s the use of plastic containers was another lightweight and unbreakable means of supplying milk”. The Museum is currently a registered charity that counts on us to flourish. It is an enjoyable place to get to understand commercial art, design, and social and consumer history. It should be preserved and helped by raising the awareness of its existence so future generations could experience it.


SPECIAL

In una giornata fredda e ventosa il mio umore nostalgico mi spinge a rifugiarmi in un museo, e non a caso, finisco nel posto perfetto: il Brand, Packaging and Advertising Museum a Notting Hill. Questo fantastico caleidoscopio di immagini e marchi è nascosto nel cuore della famosa zona di Londra, a pochi metri da Portobello Road. Il museo, fondato nel 1984 da Robert Opie in Gloucester, è stato riallocato a Londra nel 2005. C’è qualcosa di estremamente affascinate riguardo la storia della pubblicità e del packaging e attraverso più di 12000 prodotti originali potrete scoprire non solo come si siano evoluti i marchi che usiamo tutt’oggi, ma soprattutto come siamo cambiati con essi. Dal periodo Vittoriano ai giorni nostri, il consumismo si racconta di decennio in decennio, svelando le abitudini d’acquisto e la loro estetica. La mostra è strutturata sotto forma

di lungo tunnel che si apre ospitando i prodotti più rari e antichi e segue una linea temporale. Tutti gli oggetti esposti riflettono le caratteristiche della società che li ha prodotti e il suo stile peculiare. Questo tipo di struttura temporale aiuta a rintracciare come gli eventi storici abbiano fortemente influenzato il consumismo. Le due guerre mondiali, per esempio, ridussero drasticamente la disponibilità di certi beni e a loro volta le dimensioni e la quantità e qualità di materiali per le confezioni si ridimensionarono. Anche l’emancipazione femminile può essere ricondotta alle campagne pubblicitarie, che vedono sempre più coinvolte le donne come target consumistico, ma in modi completamente diversi con il passare degli anni. Il nucleo di questo museo è l’idea fondante espressa da Robert, che

con esso desiderava raccontare una storia di evoluzione e amore per la storia della pubblicità: “fui colpito dall’idea di dover salvare l’imballaggio, che altrimenti sarebbe sicuramente scomparso per sempre. La collezione offre esempi di un sistema commerciale dinamico che sforna centinaia di beni di consumo da ogni angolo del mondo, un’impresa verosimilmente più complessa che mandare l’uomo sulla Luna tuttavia ancora sottovalutata”. La seconda parte della mostra raccoglie informazioni su diversi argomenti interessanti, come gli scopi pratici delle confezioni. La funzione basilare degli imballaggi è quella di proteggere il prodotto nel lungo viaggio che lo porta dalle manifatture all’ambiente domestico, oltre a questo scopo essenziale d’igiene e sicurezza, il contenitore è poi co-

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ARTINTIME

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SPECIAL

municatore costante di informazioni utili quali ingredienti, ricette o indicazioni d’uso. Le bombolette spray sono un buon esempio. Inventate nel 1929 in Norvegia per distribuire la cera sugli scii, hanno preso la strada del commercio negli anni ’40 sotto forma di insetticidi, spray per veterinari o per rinfrescare l’ambiente. A oggi sono usati per più di 200 prodotti e permettono con ottimi risultati di indirizzare il loro contenuto (sia esso in gel, mousse o crema) esattamente nel punto desiderato, senza spargere inutilmente il prodotto e macchiarsi. Un’altra sezione spiega la storia del latte a domicilio: “Per secoli il latte arriva fresco dalla mucca al villaggio, senza bisogno di contenitori. Con lo svilupparsi dei villaggi, la distribuzione porta a porta del latte veniva eseguita da carretti che trasportavano bidoni di latte, e il contenuto veniva versato nelle caraffe dei clienti. Tuttavia questo metodo non era tra i

più igienici e, spesso, le caraffe non erano perfettamente pulite. Anche se del latte specialistico era disponibile in bottiglie di vetro già dal 1890 fu solo dagli anni ’20 in poi che il latte consegnato in bottiglie di vetro divenne d’uso comune, e il lattaio raccoglieva i contenitori vuoti allo stesso tempo. Negli anni ’50 poi i cartoni di latte cominciarono a rimpiazzare le bottiglie di vetro e negli anni ’70 i contenitori di plastica divennero un altro modo leggero e infrangibile per consumarlo”. Il museo è attualmente registrato come fondazione benefica, e conta sull’aiuto dei suoi visitatori per fiorire. Si tratta di un luogo piacevole dove comprendere a pieno l’arte commerciale, il design e la storia dei consumatori. Dovrebbe essere preservato e aiutato, spargendo la voce riguardo alla sua esistenza, in modo tale che le generazioni future possano usufruirne.

Cristina Canfora

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ARTINTIME music@artintime.it

, MAMMUT Anche nella fredda, incontaminata Islanda, capita di incontrare una rock band. Loro sono i Mammút e vi sapranno stupire con colpi di scena, sferzate di chitarra e teatralità vocali. La formazione di Reykjavík nasce nel 2003 come un trio al femminile (Alexandra Baldursdóttir alla chitarra, Vilborg Ása Dýradóttir al basso e Katrína Kata Mogensen alla voce) dal nome ROK, ampliato nel 2004 con l’ingresso nel gruppo di Arnar Pétursson alla chitarra e Andri Bjartur Jakobsson alla batteria, arrivando così a comprendere gli attuali 5 elementi. A soli tre mesi dalla formazione la nuova band, che adotta il nome di Mammút, si lancia subito a capofitto sulla scena musicale locale partecipando e vincendo l’annuale competizione tra band islandesi, la Músiktilraunir. Nel 2006 esce con l’etichetta discografica Smekkleysa, l’omonimo album

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di debutto. Parte da qui la carriera e la lunga tournée dei Mammút, che si ritrovano così a calcare i palchi islandesi ed europei, aprendo i concerti della band belga dEUS e limando sempre di più il loro stile. Da tutto questo, nel 2006, nasce il secondo lavoro del gruppo: “Karkari”. È qui che scopriamo come la loro musica si sia sviluppata in un sound unico, contraddistinto da un brillante basso melodico, da chitarre spigolose e da degli accenti vocali che ne accentuano la particolarità. È qui, anche, che troviamo il singolo “Svefnsýkt”, un brano che diventerà una vera hit, con programmazione affannosa su tutte le radio del paese. Dopo aver vinto nel 2008 l’Icelandic Music Awards come miglior band, ad un decennio dagli inizi, nel 2013, esce il loro terzo lavoro “Komdu til mín svarta systir”. Un’evoluzione conti-

nua, tanto che l’album vince nello stesso anno per la categoria “best album of the year”. Visionari, imprevedibili e senza paura di osare, i cinque ragazzi di Reykjavík hanno della stoffa da vendere. “Salt”,”Blóðberg” “Ströndin”, “Rauðilækur”.. Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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PRENDI UN GRANDE ROMANZO E.. CAPOVOLGILO Il potere della narrativa, lo sappiamo, ogni tanto si rivela davvero immenso, ecco perché questo mese abbiamo deciso di parlarvi di un romanzo che, seppure non esattamente opera prima di un autore esordiente, rivela una straordinaria inventiva e, ci auguriamo, incuriosirà molti di voi. Einaudi ha infatti da poco portato per la prima volta in Italia la voce di Jo Baker con il suo “Longbourn House”, straordinaria storia costruita niente di meno che su un’altra storia, ovvero “Orgoglio e pregiudizio”, celebre romanzo di Jane Austen. Come è possibile? Beh, l’autrice coglie della prima storia un aspetto poco approfondito, lasciato sullo sfondo, e lo esalta portandolo in primo piano, inventando vite di personaggi che altrimenti sarebbero rimasti anonimi, e conferendo anche a loro l’onore di una storia completa. Avvincente e intrigante tanto quanto la prima, quella di “Orgoglio e pregiudizio”. E a leggere i commenti finali della Baker, questa operazione deve aver reso molto in termini narrativi, scrive infatti l’autrice a proposito del libro della Austen: “Anche dopo tanti anni e tante riletture, e anche dopo averne scucito il retro per vedere che cosa c’era sotto, continuo ad amarlo. Continuo ad ammirarlo. E abitarlo in questa diversa maniera mi ha procurato un piacere assoluto”. Ma qual è questo nuovo modo di abitare il mondo della Austen? Siamo sempre nella campagna dell’Hertfordshire, a Longbourn,

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la tenuta della rispettabile famiglia Bennet, con le proprie cinque figlie da maritare in un’Inghilterra di inizio Ottocento. Ma, rispetto ai personaggi già noti, questa volta scendiamo ai piani bassi, tra cucine, stalle, spogliatoi. I protagonisti, qui, sono rappresentati dalla servitù di casa Bennet. La Baker apre così un inaspettato sipario, l’altra faccia in ombra del capolavoro della Austen, che riguarda gli invisibili e operosi dipendenti della tenuta, quel mondo segreto silenziosamente – ma solo in apparenza – impegnato a pulire, cucire, cucinare per i signori. Lo sfondo, insomma, diventa scena, in un sorprendente ribaltamento narrativo da scoprire pagina dopo pagina e grazie al quale divertisti a trovare punti di giunzione e idee nuove sviluppate dalla Baker. A Longbourn viviamo da vicino il bucato e le pulizie, nei dettagli anche fastidiosi e pesanti, che fanno toccare con mano – le mani callose e rovinate delle cameriere, non quelle bianche e perfette delle ragazze per bene – la condizione della servitù nelle dimore signorili inglesi. Un dettaglio che è tutt’altro che tale, perché è proprio grazie al fedele servizio di queste ombre che la vita dei Bennet può svolgersi in quella nube di fascino aristocratico e in mezzo a quelle piccole attenzioni e cure che conosciamo con la Austen. Una scena tra le tante significative è quella dedicata all’acquisto delle rose da scarpe, dettaglio civettuolo di cui qui scopriamo anche i lati più amari e mortificanti per la camerie-

ra di Miss Elisabeth, Sarah. Nel libro della Baker la protagonista è proprio Sarah, ancora una volta una ragazza, non di buona famiglia, ma a servizio in casa Bennet fin da piccola, quando fu recuperata, orfana, dalla governante, Mrs Hill. Il personaggio di Sarah non ha nulla, in quanto a forza d’animo, intensità dei sentimenti e carattere da invidiare alle protagoniste della Austen. Nel romanzo seguiamo la sua storia d’amore con il valletto da poco entrato in servizio, il misterioso e taciturno James Smith, ne viviamo le ansie, i turbamenti, e insieme ne approfondiamo l’evolversi. I sentimenti, universali, si stagliano tuttavia in un contesto lontano da quello contemporaneo, che l’autrice dipinge con maestria, dandoci informazioni sulle guerre napoleoniche, sulla deportazione di schiavi dall’Africa e, nel microscopico, sulla vita nascosta della buona società inglese, dai panni sporchi – e non solo in senso metaforico! – ai vizi e tabù tenuti segreti. A fare da sfondo alla storia come abbiamo visto c’è il lato luccicante della medaglia che ci aveva narrato Jane Austen, lato che, essendo qui considerato e valutato dalla prospettiva dei domestici, si fa contesto spesso silentemente accusato per il forte discrimine sociale tra classi benestanti e povera servitù invisibile e inconsiderata nella propria dimensione umana. È questo il punto di forza della storia parallela inventata dalla Baker: i personaggi che altrove non erano nemmeno stati considerati, qui di-


BOOKS ventano protagonisti, rivelando un ventaglio di umanità e sentimenti ricco e appassionante. È un riscatto letterario, un gioco narrativo esilarante per chiunque abbia letto “Orgoglio e pregiudizio”, certamente sollecitato nell’andare a ricercare ogni punto di contatto con “il lato a” della storia, ma anche per chi fosse ancora digiuno di letteratura austeniana: quale altra occasione migliore, ora, per andare a scoprire la prospettiva ai piani alti di casa Bennet?

A lessandra Chiappori

“Mrs Hill cambiò il piede di appoggio; diede un’occhiata al sofà ingombro di cuscini e considerò l’idea di sprofondarci. Un giovane gentiluomo non sposato appena arrivato nel circondario. Significava trambusto e risatine eccitate ai piani alti; significava uscite, ricevimenti e una carrettata di lavoro supplementare da basso” Jo Baker, “Longbourn House”, Einaudi, 2014.

JO BAKER “Longbourn House”, che si appresta a divenire a breve anche un film, non è il primo romanzo di Jo Baker, per quanto sia però la prima opera dell’autrice arrivata in Italia. La scrittrice inglese infatti, dopo gli studi portati avanti tra Oxford e Belfast, insegna scrittura creativa all’Università di Lancaster ed è non solo autrice (all’attivo ha infatti altri quattro romanzi: “The Mermaid’s Child”, “The Telling”, “The Undertow” e “Offcomer”) ma anche sceneggiatrice. Einaudi ha deciso di portare la sua voce in Italia grazie alla forza e curiosità di “Longbourn”, che così tanto si intreccia e richiama l’amato classico della Austen.

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CONFUSION THROUGH SAND In un periodo durante il quale non si fa che parlare di terrorismo, armi, guerre e guerriglieri, sembra quasi scontato raccontare su un giornale di arte un cortometraggio che vuole trattare queste tematiche. L’arte è sempre stata al servizio della storia, non ha mai voluto rinnegare quanto stava accadendo. Prima dell’avvento dell’istantanea c’era la pittura, a lei era stato dato l’incarico di raccontare le incoronazioni dei re e delle regine del mondo, le vittorie e le sconfitte nelle battaglie. Nel 2015 forse sarebbe meglio che l’arte fosse al completo servizio dell’estetica, dell’esaltazione del bello, ma purtroppo non è così, molti videomaker sono al servizio della storia, molti investono il loro tempo per raccontare e fissare nella memoria delle persone l’orrore, e in molti ci riescono molto bene, comunicando allo spettatore il vuoto che si genera di fronte a queste realtà. “Confusion Through Sand”, realizzato dallo studio cinematografico Ornana Film per la regia di Danny Madden, racconta proprio la guerra degli anni 2000, polverosa come tutte le guerre, ma soprattutto ricca di confusione e sabbia, elementi tipici delle guerre nel Medioriente. Non esiste una narrazione alla base di questo cortometraggio, lo spettatore viene catapultato nel bel mezzo di quella che potremmo definire “giornata tipo” di un militare al fronte. Un villaggio sperduto in mezzo alla sabbia, case dalle

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forme cubiche, basse, caratterizzate da tetti piatti. Non c’è nessuno intorno, solo militari armati e tanta, tantissima sabbia. Ecco che all’improvviso il silenzio, rotto solo dal rumore degli spari, viene disturbato da una pecorella che corre in mezzo alle case, un ragazzo la raccoglie rischiando quasi la vita, i militari stanno per sparargli, ma è un civile. Purtroppo questo non serve a nulla, il ragazzo viene ucciso da un proiettile sparato da ignoti, forse il nemico dei militari, che sicuramente è della stessa nazionalità del ragazzo. La vicenda è straziante, non c’è tempo di piangere i caduti, perché siamo in guerra e quelli sono soltanto alcuni dei morti della giornata, ce ne sono stati già molti e ce ne saranno altrettanti. Quello che viene chiesto ai militari è di essere impassibili e freddi di fronte a ciò che sta accadendo. Il personaggio che potremmo quasi considerare il protagonista umano del cortometraggio si ferma a osservare il ragazzo e la pecorella agonizzanti; questo gesto di umanità gli costerà caro, viene infatti colpito e, nonostante i tentativi di fuga, si ritrova anche lui riverso nella sabbia. Siamo tutti uguali, sembra urlare “Confusion Through Sand”, soprattutto nel momento della morte, quando si è estremamente soli e dimenticati, come accade in guerra. “Confusion Through Sand” è un cortometraggio molto duro, non ci sono parole, perché in guerra non si parla, solo sguardi, suoni e voci.

Non è semplice raccontare un combattimento, ma lo staff di Ornana Films riesce in poco meno di dieci minuti a trovare l’essenza dell’orrore, del vuoto, della paura, dello sconforto e lo trasforma in immagini. Il cortometraggio è stato interamente disegnato a mano su fogli di carta riciclata, scelta anacronistica, ma che permette sicuramente di restituire dei tratti estremamente realistici. La sabbia, questa tempesta che sembra mettere in pausa i combattimenti, che sembra riposizionare i pezzi sulla scacchiera è forse la protagonista indiscussa del cortometraggio perché è lei che scandisce i momenti di vita e di morte, quelli di battaglia e quelli di pausa. Una protagonista irruente e potente, che non è amica di nessuno, che si schiera con potenza in mezzo ai belligeranti cercando di ostacolare le loro intenzioni per un bene più alto, come se indossasse le vesti della pace.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME events@artintime.it

VALDARNO JAZZ FESTIVAL

BIF

MONDO ELETTRONICA PIACENZA

Dal 6 febbraio al 7 marzo, presso i comuni di Terranuova Bracciolini, Montevarchi e San Giovanni Valdarno, si terrà la venticinquesima edizione del “Valdarno Jazz Festival”, kermesse jazzistica internazionale organizzata e diretta dal sassofonista Daniele Malvisi e dal contrabbassista Gianmarco Scaglia. Un appuntamento da non perdere ricco di incontri con ospiti e artisti, omaggi a grandi nomi della musica e performance. Per avere maggiori informazioni sul programma della rassegna visitate: valdarnojazzfestival.wordpress.com.

Dal 6 all’8 febbraio a Besnate, in provincia di Varese, torna l’appuntamento con “Besnate in Festival”, rassegna musicale che ogni anno riunisce i migliori musicisti emergenti delle province di Varese e Milano in un contest ricco di esibizioni e talento. Tre giorni di rassegna in cui apprezzare solisti e band emergenti che si esibiranno sul palco del “Cinema Teatro Incontro” presentando cover e brani inediti. Una ventesima edizione ricca di novità di cui potete trovare informazioni sul sito www.besnateinfestival.it o sulla pagina Facebook dell’evento.

Anche quest’anno torna l’appuntamento con la mostra mercato dedicata al mondo dell’elettronica, informatica e radiantismo “Mondo Elettronica Piacenza”. L’evento si svolgerà il 7 e 8 febbraio presso il quartiere fieristico Piacenza Expo, dove, oltre all’esposizione merceologica di prodotti dell’area informatica, elettronica, software e hardware, componentistica, Hi-fi e materiali di consumo, sarà ospitata una sezione riservata al mercatino dei radio amatori. Maggiori informazioni sulla manifestazione sono disponibili sul sito: www.mondoelettronica.net.

FESTIVAL DEL FUMETTO

ARTE GENOVA

VINILMANIA

A Milano, presso il Parco Esposizioni Novegro, il 7 e 8 febbraio si svolgerà la winter edition del “Festival del Fumetto”, manifestazione che ogni anno accoglie numerosi espositori provenienti da tutta Italia per presentare albi rari e da collezione, edizioni speciali e nuove pubblicazioni. Oltre alla fumettistica non mancheranno inoltre un’area riservata ai giochi in cui sarà possibile partecipare a tornei e competizioni, ma anche dimostrazioni, appuntamenti e l’immancabile contest Cosplay. Per maggiori informazioni: festivaldelfumetto.com.

Presso il Padiglione Blu della Fiera di Genova dal 13 al 16 febbraio si svolgerà l’undicesima edizione di “Arte Genova”, la mostra mercato d’arte moderna e contemporanea del capoluogo ligure. La manifestazione accoglierà collezionisti e appassionati, che oltre all’esposizione avranno modo di apprezzare i numerosi eventi in programma. Tra questi incontri con gli autori, laboratori e appuntamenti speciali. Non mancherà inoltre “CATS”, Contemporary Art Talent Show, dedicato agli artisti emergenti. Per maggiori informazioni: www.artegenova.it.

Il 14 e 15 febbraio, presso l’Atahotel Quark di Milano, sarà inaugurata l’ottantacinquesima edizione di “ Vinilmania”, la fiera internazionale del disco & CD. Il primo dei tre appuntamenti annuali della fiera accoglierà, come ogni anno, espositori italiani e stranieri, che presenteranno al pubblico rarità discografiche e pubblicazioni. Il programma prevede inoltre numerosi appuntamenti, tra cui concerti, presentazioni, incontri con musicisti, scrittori e giornalisti. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito: www.vinilmaniaitalia.com.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

ELETTROEXPO

BUK

SPORT AWARD FILM FESTIVAL

Cinquantaduesima edizione per “Elettroexpo”, la fiera dell’elettronica, dell’informatica e del radioamatore. L’evento, organizzato da VeronaFiere, si terrà il 21 e 22 febbraio e presenterà uno spazio espositivo ricco di prodotti, accessori e innovazioni tecnologiche. Sarà inoltre riproposta l’iniziativa di borsa-scambio del Mercatino del Privato, tramite la quale gli iscritti potranno vendere o scambiare pezzi rari e da collezione, insieme al Mercatino della Fotografia. Per maggiori informazioni visitate: www.elettroexpo.it.

Torna anche quest’anno l’appuntamento con “Buk” il festival della piccola e media editoria della città di Modena. La manifestazione si svolgerà il 21 e 22 febbraio nella consueta location del Foro Boario, dove saranno accolti editori provenienti da tutto il territorio nazionale. Due giorni di evento in cui apprezzare le piccole realtà editoriali italiane e per incontrare alcuni grandi nomi del mondo del giornalismo e della cultura. Tra le attività in programma: reading, laboratori, conferenze, presentazioni. Per informazioni: www. bukfestival.it.

A Bergamo, presso il Centro Congressi Papa Giovanni XXIII, dal 21 al 23 febbraio si svolgerà la prima edizione della rassegna cinematografica “Sport Awards Film Festival”. L’evento, organizzato dall’Associazione Festival Internazionale del Cinema e dall’Associazione Nazionale Atleti Olimpici e Azzurri d’Italia, comprenderà film, spot, cortometraggi e animazioni incentrati sull’attività sportiva, oltre a un ricco programma di incontri e attività. Per conoscere anticipazioni e appuntamenti in programma visitate www.festivalcinemadarte.it.

VISIONI ITALIANE

FESTIVAL DEL CINEMA CITTA’ DI SPELLO

CROSSROADS

Dal 25 febbraio al 1° marzo a Bologna si svolgerà la ventunesima edizione del concorso nazionale per corto e mediometraggi “Visioni Italiane”. La rassegna comprenderà cinque sezioni competitive (Visioni Doc, Visioni ambientali, Visioni Acquatiche, Visioni Sarde e Visioni Urbane) in cui si confronteranno le migliori opere in formato irregolare realizzate da registi emergenti del panorama nazionale. Oltre alle proiezioni non mancheranno incontri ed eventi. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www. cinetecadibologna.it.

Organizzata dall’Associazione Culturale di Promozione Sociale Aurora, dal 28 febbraio al 8 marzo si svolgerà la terza edizione del “Festival del Cinema Città di Spello”, rassegna cinematografica nazionale che racconta e celebra “le professioni del cinema”, ovvero le figure che, pur rimanendo dietro le quinte, sono fondamentali per la realizzazione di un film. Tra le attività in programma: presentazioni, mostre, proiezioni, incontri con autori e attori, seminari. Per maggiori informazioni, visitate: www.festivalcinemaspello.com.

Dal 28 febbraio avrà inizio la sedicesima edizione di “Crossroads”, la rassegna jazzistica itinerante della regione Emilia-Romagna. Un viaggio che fino al 2 giugno attraverserà il territorio emiliano esplorando il jazz moderno e contemporaneo internazionale con più di cinquanta appuntamenti. Tra gli artisti che si esibiranno Cordoba Reunion, Diane Schuur, Joshua Redman, Jan Garbarek, Avishai Cohen, Franco D’Andrea, Fabrizio Bosso, Gianluca Petrella e Mauro Ottolini. Per conoscere il calendario completo dell’evento visitate www. crossroads-it.org.

ArtInTime | 33



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