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IN TIME n.2 - Febbraio 2014
ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS
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ARTINTIME L’EDITORIALE Ne abbiamo visto almeno uno tutti quanti, e lo abbiamo trovato divertente, tanto da sorriderne, con amarezza però, dettata dalla consapevolezza che dietro quel video, quella messinscena comico-sarcastica, c’è purtroppo del vero. Ci riferiamo ai video della controversa e, già dal nome, graffiante campagna a favore di tutti i creativi #coglioneNo, ideata e realizzata da Zero. Un’iniziativa subito diventata virale e rimbalzata di video in video lungo gli intrecciati canali della rete, i social network, i blog, i giornali online. Un nuovo meme (come le immagini dei gattini che parlano o il più famoso “keep calm and…”)? Oppure una geniale campagna di marketing? Nessuna delle due si direbbe, a giudicare dal tema per niente scontato che questa “campagna di sensibilizzazione per il rispetto dei lavori creativi” ha lanciato all’opinione pubblica. Casomai, un bel gesto comunicativo, che dimostra quanto la creatività sia spesso utile se impiegata a favore dei nuovi mezzi e canali messi a disposizione dalla tecnologia. Immediata l’adesione del mondo dell’arte e della cultura, di cui a nostro modo anche noi di Artintime facciamo parte, e con il quale anche noi, nel nostro piccolo, condividiamo fatica e vane speranze per un futuro migliore, fatto di lavoro per tutti, scienziati, ingegneri, artigiani, ma anche umanisti, artisti, creativi insomma. Perché della creatività, questo concetto che scivola via dalle mani ogni volta che si cerchi di incasellarlo, definirlo, capirlo, siamo convinti che ci sia un grande e insaziabile bisogno. Anche se non tutti, lo sappiamo bene purtroppo, se ne rendono conto. Accuse di pressapochismo, retribuzioni fantasma, rimproveri continui di essere dei nullafacenti: questo è lo sfondo abituale su cui si muovono coloro che di creatività vorrebbero vivere. Categorie estese, che forse proprio per il loro grande numero hanno reso così forte il messaggio provocatorio di #coglioneNo. Ma allora, se a combattere quotidianamente contro chi non crede nella creatività sono così tante persone, perché nulla cambia? Perché tutti protestano e corrono armati di idee e buoni propositi contro dei mulini a vento? Forse perché non tutti credono fino in fondo nella creatività, tentennano, incespicano, cedono davanti a compromessi. Eppure è così chiaro che il mondo necessita di un pizzico di creatività per andare avanti! Senza creatività non ci sarà mai alcuna innovazione, e di cos’altro ha bisogno l’umanità per avanzare ancora sulla scala del progresso? Non siamo certo noi umili scribacchini di Artintime a dirlo, basta osservare con occhio attento la realtà, e quello della creatività come motore dell’innovazione diventerà un messaggio evidente a tutti. A Bruxelles già lo hanno capito, tanto che nelle recenti campagne di finanziamento europeo ai progetti culturali compare il motto “non c’è innovazione senza creatività”. E se lo dice l’Europa, vogliamo convincerci anche noi che sia così, e continuare a testa alta sulla nostra strada, quella di un gruppo di volenterose ed entusiaste giovani che, con il loro progetto, vogliono davvero offrire un servizio, e farlo nel migliore dei modi. Come? Donandovi le nostre analisi e recensioni sul mondo dell’arte emergente, e questo mese regalandovi anche una bellissima intervista a due librai torinesi che, credendo nel proprio mestiere e nel potere dei libri, hanno saputo dar vita a fantastici progetti. Ma non è tutto: avete dato un’occhiata alla nostra copertina di febbraio? La sua autrice è Susanna Ceccherini, che ha dedicato ad Artintime un suo simpatico lavoro realizzato con personaggi veri su sfondo disegnato. Vi è piaciuta? Però non fermatevi alla partenza: Artintime aspetta solo di essere sfogliato, alla scoperta di tutti i suoi ricchissimi contenuti! Alessandra Chiappori
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ARTINTIME SOMMARIO 6 . GEORGE EZRA by Angelica Magliocchetti
8 . TANGO TIME IN TURIN! by Francesca Cerutti
10 . ALESSANDRO CALIGARIS by SQUARE 23
12 . PAGINE DI EMOZIONI, GUERRA E AMORE by Alessandra Chiappori
14 . UNA VILLA TORINESE E UNA LIBRERIA FANTASMA by Roberta Colasanto
16 . ZACHES TEATRO by Barbara Mastria
18 . A MANCHESTER REVELATION: RICHARD LOMAX. by Cristina Canfora
22 . INTERVISTANDO : DUE ANIME, UNA LIBRERIA. by Alessandra Chiappori e Angelica Magliocchetti
28 . NONOSTANTECLIZIA by Angelica Magliocchetti
30 . RAIMONDO GALEANO by Spazio San Giorgio Bologna
32 . FROZEN”: SPAZIO ALLE DONNE IN CASA DISNEY by Francesca Cerutti
34 . EVENTS by Anna Moschietto
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ARTINTIME music@artintime.it
GEORGE EZRA Non lasciatevi ingannare dal timbro caldo, dai testi o dal sound navigato, aggressivo e cullante all’occasione. E restate all’erta mentre vi fate trascinare dalla graffiante voce dai tratti blues che lo contraddistingue, perché avete davanti uno degli emergenti più promettenti del panorama British degli ultimi anni: George Ezra, (incredibilmente) ventenne. Ricercando l’ispirazione nei grandi quali Woody Guthrie e Bob Dylan, nel 2011 il giovanissimo musicista mette in rete un paio di brani inediti, “Angry Hill” e “Broken”. Fin da subito il suo talento non passa inosservato ottenendo numerose visualizzazioni e spingendolo a esibirsi in free show in giro per Bristol, la sua città. È grazie però alla sua partecipazione al BBC Introducing, progetto che permette a giovani esordienti nel campo musicale di caricare sul portale della nota emittente inglese alcuni brani, che Ezra prende il volo. Dopo una visita e una performance live nei leggendari studi di Maida Vale, si ritroverà infatti a esibirsi come musicista esordiente sul palco dell’emittente britannica al Festival di Glastonbury, cominciando così una lunga serie di tappe su e giù per
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i palchi di tutta l’Inghilterra. Per più di 18 mesi, infatti, il cantautore inglese resta in tour; a volte da solo, armato della sola chitarra e della sua incredibile voce, a volte come cantante d’apertura per gli spettacoli di Tom Odell, altra giovanissima rivelazione del panorama inglese. È così che, raccogliendo esperienza e ispirazione, nel settembre del 2013 fa uscire il suo primo EP, “Did You Hear The Rain?”, prodotto da Columbia Records/Sony Music. Solo quattro tracce capaci però di scalare le classifiche; è il caso di “Budapest”, in programmazione nelle radio nazionali di tutta Europa già da dicembre ed entrata da subito nelle hit di molti paesi. La ballata folk-pop dalle sonorità acustiche infatti affascina il pubblico, dando l’impressione di trovarsi di fronte a un cantautore e compositore navigato, capace di mescolare la voce molto matura con la leggerezza di un pezzo orecchiabile. Nello stesso lavoro, però, troviamo anche la title-track, “Did You Hear The Rain?”, unico pezzo di cui per ora sia disponibile un video su Vevo. È qui che si capisce di non aver di fronte un novellino. Per quanto sia stata
folgorante la sua scalata, Ezra dimostra un vero talento, componendo un pezzo potente, quasi prepotente in cui passa disinvoltamente dai toni più cupi agli acuti più fugaci. Una vera perla considerando che si tratta di un EP di lancio. Per vedere però cos’ha in serbo per noi il giovane cantautore di Bristol bisognerà attendere l’album di debutto ufficiale, previsto in uscita per la prossima estate. Nel frattempo, Ezra ha cominciato il suo primo tour europeo che l’ha portato dapprima a Londra per poi farlo approdare il Germania, Svezia, Norvegia, Svizzera e Italia. Ebbene sì, se dopo aver ascoltato qualche brano vi siete convinti, allora siete ancora in tempo, il 13 marzo la scoperta della BBC sarà al Rocket di Milano! Nell’attesa quindi, per convincervi ulteriormente vi lascio un altro brano, anzi due: “It’s Just My Skin”, per la sua potenza graffiante e “Benjamin Twine”, per la scanzonata libertà. Enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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ARTINTIME movies@artintime.it
TANGO TIME IN TURIN! edetevi comodi e chiudete gli occhi. Immaginate che Torino si tramuti in una grande, grandissima pista da ballo, dove un uomo e una donna innamorati danzano insieme. No, non è un puntata di Ballando con le stelle, o il balletto di capodanno, ma il cortometraggio di “Things to do production”, la casa di produzione indipendente che abbiamo intervistato sul primissimo numero di ArtInTime uscito nel mese di giugno 2012. È trascorso un po’ di tempo da allora e sono numerosi i lavori realizzati dal team in questi anni. Titolo della nuova opera è “Tango per Torino”, evocativo di quanto questi pochi minuti vogliono raccontare. “Tango per Torino”, regia di Manuela Bockstaele, è un cortometraggio molto semplice, che, grazie ai passi dei due protagonisti, interpretati da Manù Annoni e Giorgio Finelli, ci regala vedute di una città bella e signorile come Torino. La danza ci guida attraverso scenari simbolo della città sabauda, illuminata nella notte, è un viaggio attraverso gli scorci di una città incantata. Allo stesso tempo, le due figure danzanti intessono la trama di una storia che narra di un uomo e una donna che si amano, si incontrano, si allontanano e all’interno di quella
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stessa danza, delle stesse movenze si ritrovano e tornano insieme. Lo spettatore danza con loro, si muove e si innamora, di una città magica avvolta nelle prime luci della sera. Sono indimenticabili e ben costruite le inquadrature dei due ballerini che volteggiano davanti al portone della chiesa, vengono ripresi mentre si muovono circolarmente, come se stessero danzando con qualcuno che noi non vediamo, tendono la mano verso la telecamera, sembra ci sia lo spettatore dall’altro lato, sembra quasi che il ballerino e la ballerina vogliano chiamarlo in causa, coinvolgerlo nella danza, ma allo stesso tempo lo spettatore rimane sospeso e non capisce. Forse l’uomo e la donna stanno ancora danzando insieme, raccontandoci il loro amore, la loro passione, ma ecco che la telecamera si allontana: sono soli, si stanno ancora cercando ma ecco che finalmente riescono a ricongiungersi e a ricostruire la coppia e a concludere la loro coreografia. La telecamera è utilizzata in modo molto sapiente: oltre a riprendere la danza, ci racconta anche la fisicità dei ballerini, percorre i loro corpi, mostra i loro piedi, il loro volto, il loro corpo che si fa strumento per muoversi al tempo della musica, per viverla e farla vi-
vere, per emozionare chi li guarda. “Tango per Torino” è prima di tutto una coreografia che viene rappresentata attraverso le vie di Torino, ma è anche una danza per la stessa città, un omaggio a un capoluogo di regione che merita di essere conosciuto e scoperto. Torino per questa casa di produzione è anche un luogo di incontro, è il luogo dove le sue fondatrici si sono conosciute, la culla di “Things to do production”, un progetto molto ambizioso che, con questo nuovo cortometraggio, torna a dimostrare come una passione permetta di realizzare anche con un basso budget prodotti davvero interessanti e notevoli, come dicono le fondatrici: “Low-Pro style” (low budget professional style). Della stessa casa di produzione vi consigliamo anche di vedere gli assaggini, proprio così sono denominati, del loro prossimo cortometraggio che si intitola “I Balconi”.
Francesca Cerutti
MOVIES
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ARTINTIME
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POP-ART popart@artintime.it
ALESSANDRO CALIGARIS Le idee si trasformano in immagini, le esperienze in rappresentazioni e il dramma diventa arte. ACC!, Alessandro Caligaris Cappio, usa la leggerezza di tecniche come l’acquerello e l’incisione per rappresentare concetti grevi, figure paradigmatiche e situazioni grottesche. Street artist, pittore e illustratore, Alessandro Caligaris nasce a Torino nel 1981, si laurea a pieni voti e si specializza in Storia della Critica d’Arte ed Estetica Contemporanea e in Pedagogia della Percezione (arte-terapia). Ha frequentato corsi di illustrazione all’Istituto Europeo di Design e di tecniche pittoriche e incisioni, ha lavorato alla realizzazione di cortometraggi di animazione, condotto laboratori espressivi presso il Museo d’Arte Contemporanea di Rivoli
e partecipato a mostre collettive e personali. La sua ricerca pittorica si muove all’interno di un percorso che mantiene dei precisi riferimenti sia in ambito tecnico, con l’impiego dei tradizionali acquerelli, dell’olio e della calcografia (incisione), sia in ambito iconografico, prettamente figurativo, illustrativo, con l’uso di metafore, simboli o riferimenti a elementi concreti, in un continuo oscillare dai rimandi teologici a quelli storico-politici, dai film di massa e dai richiami alla cultura pop ai più raffinati sistemi compositivi appartenenti alla storia dell’arte europea di matrice rinascimentale e barocca. Nella scelta e nella realizzazione dei soggetti predilige la “citazione” che gli permette di trasformare il dramma, il mito e la tragedia in un eser-
cizio creativo improntato sull’intreccio di vari stili e motivi che si dispongono secondo un ordinato disordine stilistico in un insieme contrastante di squilibri che trascinano verso una permanente instabilità. L’ultima sua fatica si chiama “Hoarders” il graphic novel che gli permette di esplorare e dilatare il genere nelle sue diverse possibilità espressive e di contenuto.
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ARTINTIME books@artintime.it
PAGINE DI EMOZIONI, GUERRA E AMORE Un libro sulla seconda guerra mondiale e la tragedia dell’Olocausto? No, o almeno non solo, perché l’esordio letterario di Ronald Balson è prima di ogni altra classificazione una storia d’amore, amicizia e giustizia. Un romanzo che avvolge fin dalla prima pagina e dal quale, fino all’ultimo, è difficile staccarsi. E lo si fa infine a malincuore, all’epilogo, perché l’intensità delle emozioni, dei personaggi, delle loro relazioni e dell’orrore sullo sfondo storico di “Volevo solo averti accanto” sono qualcosa di potente e così ben allestito da non evaporare via appena chiuso il libro, ma da conservare con sé: qualcosa che difficilmente passerà inosservato. Chicago, 2004, Ben Solomon è un arzillo ottantenne ebreo, rifugiato polacco negli Stati Uniti subito dopo l’immane tragedia non solo della seconda guerra mondiale, ma della deportazione tedesca ai danni di ebrei e altre minoranze. Una sera, durante una mondana prima teatrale, Ben punta una pistola davanti a un personaggio insospettato, filantropo benvoluto dall’intera città, che lui accusa di essere uno spietato nazista. Un criminale a piede libero dietro la cui identità fasulla non si celano solo irrazionalità e sete di potere, che hanno avuto il loro culmine nell’esercito tedesco e in una folle ferocia contro l’umano, ma si nasconde quello che era un
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amico, quasi un fratello, per il giovane Ben. Tradimento, odio, disperazione, ma anche speranza dietro questa storia intrecciata ad arte. Scoperto l’inganno, Ben sentirà il desiderio di ottenere giustizia, e si rivolgerà alla giovane avvocatessa Catherine. È da questo incontro che si dipanano i fili narrativi della storia: insieme a Catherine, all’inizio scettica sul prendere o meno in consegna il caso, Ben ripercorrerà i fatti tragici dal 1936 alla liberazione americana, raccontando non solo, e nei dettagli più terribili, una pagina di storia indelebile, ma dando spazio ai volti e alle sensazioni umane che quella disperazione l’hanno concretamente toccata, vissuta, chi lottando per superarla, chi non riuscendo ad arrivare alla fine. Il romanzo è frutto di finzione e immaginazione, chiarisce l’autore, ma su sfondi autentici e documentati: la realtà dei ghetti ebraici, il silenzio omertoso sui vagoni diretti ai campi di concentramento, il coraggio, la paura, i sogni, l’amore. Perché due sono le storie d’amore che legano, maturando e prendendo forma, il passato di Ben e la crescita professionale di Catherine. Da un lato c’è il giovane ebreo che, lottando incessantemente per la vita, corona un sogno d’amore infestato dalla spietatezza della guerra, resistente a ogni male e ogni dolore perché forte e autentico. Una storia pura, in-
contaminata e dolcissima. Dall’altro ci sono le insicurezze e le fragilità di una giovane avvocatessa che saprà rialzare la testa dopo sbagli e soprusi, recuperare valori rimasti chiusi in un cassetto e dare un senso alla propria professione, quello più alto: il senso di una giustizia che, nonostante il tempo, deve essere fatta. C’è la Grande Storia tra queste pagine, c’è la trama sentimentale, profonda, emozionante e mai banale. Una ricetta che si completa grazie alla suspense, alimentata dall’indagine sull’identità del sospetto criminale nazista. Investigatori privati, interrogatori, ricerche, avvocati, e intuizioni, arrivate con sorprendente leggerezza da Ben, che degli orrori di questa storia è testimone diretto. È dai suoi racconti in prima persona, rivissuti con straordinaria e commuovente intensità, che Catherine e Liam, l’investigatore sua spalla, più giovani e distanti nel tempo e nella geografia dai relitti di un’Europa bellica, devastata da una follia disumana, resteranno segnati, toccati nel profondo da una Storia considerata troppo spesso un capitolo ormai chiuso. Si intuisce la distanza della prospettiva americana da una vicenda tutta del “vecchio mondo” nella difficoltà a concepire e prendere in causa, ancor più a decenni di distanza, un siffatto scenario di crudeltà e devastazione. Ben porta con sé nel nuovo continente la te-
BOOKS stimonianza imprescindibile di eventi che non potranno mai essere cancellati ma che, anzi, vanno affrontati, nonostante il dolore profondo, per essere innanzitutto capiti davvero, ricostruiti, e ricordati. Ha ancora senso chiedere giustizia nel 2004 per crimini spietati commessi sessant’anni prima? Ha ancora senso se a farlo è un ottantenne che ha già visto la propria vita spezzata irrimediabilmente più e più volte? Sì, ha ancora senso: quello di fermare il disumano prima che prenda troppa forza e sbordi nella follia omicida, quello di smascherare chi ha ucciso senza pietà e per sola sete di gloria. Quello di ricordare, per sconfiggere i demoni e tornare a essere solo e semplicemente uomini.
A lessandra Chiappori «Eppure, ancora oggi, quel pezzo di storia sembra così incomprensibile.» «Incomprensibile perché… perché noi siamo americani?» replicò Ben inarcando un sopracciglio. «Perché questo è “il paese degli uomini liberi, la patria degli impavidi”? Ma dai, non prendiamoci in giro! Anche noi abbiamo scritto capitoli vergognosi della storia, periodi in cui il mondo ci ha osservati scrollando la testa […] Ci piace pensare di aver ormai superato l’odio razziale, ma la verità è che non possiamo mai abbassare la guardia. È per questo che il mio caso è così importante. Non solo per me, ma anche per te. È una specie di promemoria di cosa può succedere quando il male non viene sradicato sul nascere» Ronald H. Balson, “Volevo solo averti accanto”, Garzanti, 2014. Ronald H. Balson “Un esordio senza paragoni”, così è stato salutato dalla critica di tutto il mondo il primo romanzo di Balson, avvocato di Chicago che, quasi per gioco, nel gennaio 2013 ha pubblicato questa storia in proprio, ottenendo uno straordinario successo in brevissimo tempo. A un anno di distanza il suo talento viene riconosciuto anche in Italia, dopo che “Volevo solo averti accanto” è stato acquistato dai maggiori editori di tutto il mondo e pare si appresti a diventare anche un film.
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ARTINTIME unclassicart@artintime.it
UNA VILLA TORINESE
E UNA LIBRERIA FANTASMA Torino. Dall’affollata piazza Gran Madre bastano poche fermate di autobus o quindici minuti giusti di scarpinata (in salita) per arrivare a Villa della Regina: una bella villa collinare con vigna che da circa quattro secoli guarda dall’alto (ma non troppo) la città. Nata come dimora di villeggiatura, la villa appare certamente, nell’assetto e nella decorazione, ambiente più rilassato rispetto ai luoghi ufficiali del cerimoniale sabaudo. Voluta dal principe Maurizio di Savoia (che fu raffinato cardinale romano prima, nemico della cognata Cristina di Francia poi, e infine, a pace fatta, marito della sua giovane nipote Ludovica), la villa in seguito fu prediletta dalla regina Anna d’Orleans, da cui la denominazione Villa “della Regina”. Nel tempo la reale villa ne ha passate tante, spoliazioni e bombardamenti inclusi, fino alla trasformazione in collegio per le Figlie dei Militari nel 1868. Dopo un lungo periodo di degrado, il necessario intervento di restauro ha avuto inizio nel 1994 e finalmente nel 2006 la villa è tornata a rivivere e ripopolarsi, questa volta di visitatori. Purtroppo, è risaputo,
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sono molte le opere d’arte che mancano all’appello, le più celebri delle quali finite a Roma, come le sei tele sovrapporta di Corrado Giaquinto e la celebre (spettacolare!) libreria del grandioso ebanista di corte Pietro Piffetti. Avvenne per necessità di arredamento: l’unità d’Italia era fatta da poco e ai Savoia non restava che traslocare a Roma, portandosi dietro i gioielli di famiglia. Oggi in quel piccolo spazio che porta il bellissimo nome di “Gabinetto della libreria verso mezzanotte”, destinato in origine a ospitare lo studio, rimangono un soffitto decorato a grottesche, un pavimento ligneo intarsiato e... un ologramma, che mostra come doveva presentarsi la stanza con la sua libreria. Per vederla dal vero vi toccherà citofonare al Quirinale. Ma di perle da mostrare Villa della Regina non rimane tuttavia sguarnita: prima fra tutte lo splendido salone progettato da Juvarra e decorato con quadrature architettoniche dalla forte illusione prospettica e dipinti murali realizzati dai pittori che lavoravano a corte, come il napoletano Giaquinto e il veneto Crosato. La villa “nella sua picciolezza comprende
tutti quegli ornamenti e quelle delizie che l’arte ha saputo inventare” si scriveva nel 1753. E non è tutto, poiché Villa della Regina si fa amare specialmente (nelle giornate di bel tempo) per i giardini ornati di statue, grotte e fontane, la vista sul vigneto e il panorama che si gode della città sottostante, così lontana coi suoi rumori e il suo traffico dalla suggestiva quiete che regna in villa. Notizia ancora più bella, la villa è aperta gratuitamente dal martedì alla domenica. E se non siete troppo amanti del silenzio munitevi di cuffie e ipod. Playlist consigliata: rigorosamente barocca.
Roberta Colasanto
UNCLASSICART
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TEATRO teatro@artintime.it
ZACHES TEATRO Il teatro non comunica necessariamente con la parola: il gesto, il movimento, l’immagine sono ripetizioni effimere che si imprimono nella memoria visiva, incarnando un senso da condividere. La ricerca contemporanea spoglia la scena di messaggi e parole superflue cercando di trasmettere allo spettatore delle riflessioni che siano del tutto slegate da un determinato contesto culturale e che possano essere universalmente comprese e riconosciute. Zaches Teatro lavora affinché il teatro si stacchi dalla contingenza della parola e attraversi diametralmente ogni cultura al fine di ricreare espressività riconosciute da tutti, ma non immobilizzate nel loro senso linguistico strutturato. La compagnia si costituisce nel 2006 a Prato, dando vita a una realtà teatrale impegnata a depurare dai pregiudizi
alcuni generi teatrali quali il mimo, il teatro di movimento e quello di figura impiegandoli come veri mezzi di espressione intuitivi e non banali, capaci di dire quello che con le parole è più complesso, ma anche non necessario. Dover creare opere teatrali senza l’uso della parola implica un grande lavoro alternativo di ricerca di altri linguaggi, che di per sé sono già componenti della scena, ma ai quali troppo spesso viene data meno importanza. Zaches Teatro si affida alle maschere e alla ricerca dell’espressione corporea: non è più il volto il depositario dell’espressività, ma lo è il corpo nelle sue continue trasformazioni e coi suoi movimenti. È guardando ad alcune realtà del teatro contemporaneo che si comprendono le radici della compagnia: si tratta di un percorso nel contesto russo e nelle sua
cultura che si avvicina naturalmente a un teatro deprivato della parola e sostituito dalle immagini, proprio come il culto delle icone non rappresentative, ma presenziali. Zaches Teatro smuove soprattutto i sensi dello spettatore, lasciando ad esso la libertà di immaginare il senso dell’opera, secondo le reazioni emotive che essa suscita. Un teatro che genera opere diverse per ciascuno, che non rimane chiuso in un senso predeterminato e si riscopre ogni volta nuovo.
Barbara Mastria
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ARTINTIME fromlondon@artintime.it
A MANCHESTER REVELATION: RICHARD LOMAX. The Smiths, Joy Division, Oasis, The Stone Roses, The Ting Tings, The Verve, Take That. What do they have in common? They all come from Manchester. Clearly this city is under a magic spell when it comes to music. Today we have the pleasure to interview an upcoming solo performer, based in Manchester, who have been compared to Nick Cave, Bowie, Franck Black, Jeff Lewis, Lee Hazlewood, Scott Walker and Jonathan Richman, nonetheless. Richard Lomax sings and plays guitar. He wows the crowd also playing the odd Omnichord on stage, a weird looking electronic instrument known for being used by Brian Eno and Damon Albarn between the others. Lets focus on Richard, first of all congratulations for your recent success, you signed with DogFace Records and released a debut album. How do you feel? How are you handling the transition from independent to signed artist? True, I have just released my first solo set through DogFace Records.
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It’s a 6 track EP which constitutes one half of my first album. I’ve given it the fairly confusing title, [mk iii]. It’s healthy working with small independent labels as it allows you all the freedom you need to follow your ideas to their natural (or unnatural) conclusions. It was the same when I worked with Sotones Records with my last band. Both labels are very supportive and excellent in their differing ways. Hopefully when the second half of the album finally emerges it will be as well received as the first half which made up [mk iii]. You moved from beeing part of a group to a solo career. What made you want to go through this path? My last band was Johnny5thWheel&thecowards. I was very pleased with what we achieved in 4 years or however long it is from September 2009 to June 2013. Three albums and a bunch of tours and videos isn’t to be sniffed at. I got to go and do gigs in Amsterdam and Sydney and play Beatherder. However my main
conspirator in J5W, Andy Lyth just didn’t have time for it in the end. We were probably at our best when the two of us got to work with the immensely talented St Helens band, Murmurs Of Tension - I wish that could have continued but life so often gets in the way of the most watertight of plans. In the end I think it just felt like it was time for me to stop hiding behind masks and band names and make some music under my own steam. When you consider that I’ve been making music for 10 years, it does seem odd that my first release on my own is this year. I overheard you are planning new gigs in London. Is it true or am I hearing things? I always like coming down and playing in London now that I’ve met some wonderful people down there. I am discussing some future London dates with the amazing Jean Genie’s Massive Hugs and the wonderful Caffy St Luce’s Artbeat so hopefully as soon as inhumanly possible. I have to admit it, I’ve been to one of your solo gig and your
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stage presence is impressive. You like to interact with your audience. Which was your best crowd reaction so far? And what about the worst? My crowd interaction obviously fluctuates from gig to gig. Every performer can sense how the crowd in the room is feeling. If it’s not going both ways, both parties will seize up like a broken marriage or rusty bicycle. I’ve had bad gigs, everyone has, I try not to dwell on them. My favourite show I have ever played was the final Southsea fest gig I did with Johnny5thWheel. It exists in my mind as a perfect moment from start to finish. We didn’t play through the P.A. (a last minute decision) and I spent most of the gig jumping from table to table around the venue. There was this break in an old song we had called ‘ManWhoAteBadgers’ where I would gargle for a bit
and for some reason everyone in the room joined in until it was a huge cacophony of vibrating larynges! Then with a wave of a hand, everyone in the room ceased at exactly the same moment and the band started up playing the chorus. It was the closest I have ever been to “Somebody Shoot While I’m Happy” syndrome. Memories like that I will treasure forever and it has more to do with the people watching and their choice to participate than it has to do with me.
sotto un magico incantesimo. Oggi abbiamo il piacere di intervistare un artista esordiente, con base a Manchester, che è stato paragonato niente meno che a Nick Cave, Bowie, Franck Black, Jeff Lewis, Lee Hazlewood, Scott Walker e Jonathan Richman. Richard Lomax canta e suona la chitarra. Inoltre stupisce il suo pubblico portando sul palco l’Omnichord, un bizzarro strumento noto per essere stato suonato, tra i tanti, anche da Brian Eno e Damon Albarn.
Cosa hanno in comune The Smiths, Joy Division, Oasis, The Stone Roses, The Ting Tings, The Verve, Take That? Vengono tutti da Manchester. È chiaro che quando si tratta di musica questa città è
Concentriamoci su Richard: prima di tutto complimenti per il tuo recente successo. Hai firmato con la casa discografica DogFace e pubblicato il tuo album di debutto. Come ti senti? Come stai gestendo la transizione da indipendente a “sotto contratto”?
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Si, è vero. Ho appena pubblicato la mia prima raccolta di pezzi da solista con la DogFace Records. È un EP di sei tracce, che costituisce metà del mio primo album. Gli ho dato un titolo abbastanza disorientante, [mk iii]. È salutare lavorare con piccole etichette indipendenti perché ti permette di avere la libertà di cui hai bisogno per seguire le tue idee fino alla loro naturale (o innaturale) conclusione. È stato lo stesso quando ho lavorato con la Sotones Records insieme al mio ultimo gruppo. Entrambe le etichette sono eccellenti e veramente di supporto in modi diversi. Speriamo che quando la seconda parte dell’album finalmente si svilupperà, sarà ben accolta come la prima metà, che è poi [mk iii].
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Hai cambiato direzione, quindi, sei passato dall’essere parte di un gruppo a una carriera come solista. Cosa ti ha fatto intraprendere questo percorso? La mia ultima band è stata Johnny5thWheel&thecowards. Ero soddisfatto di ciò che avevamo ottenuto in 4 anni, o quanto lungo sia il lasso di tempo che va dal Settembre del 2009 al Giugno 2013. Tre album e una manciata di tour e video non è certo cosa di cui lamentarsi. Ho avuto la possibilità di fare concerti ad Amsterdam e Sydney e suonare al Beatherder Festival. Tuttavia il mio principale “co-cospiratore” nei J5W, Andy Lyth semplicemente non aveva più tempo per suonare con noi alla fine. Eravamo forse al nostro top quando insieme
abbiamo avuto l’occasione di collaborare con l’estremamente talentuosa band di St Helens, Murmurs Of Tension. Speravo potesse continuare ma la vita spesso si mette in mezzo persino nei piani a prova di bomba. In fondo penso che fosse arrivato il tempo per me di smettere di nascondersi dietro maschere e nomi di gruppi e iniziare a fare musica solo grazie alle mie forze. Considerando che faccio musica da 10 anni ormai, sembra strano che il mio primo album da solista arrivi proprio quest’anno. Ho sentito che stai programmando nuovi concerti a Londra. Mi piace sempre venire a suonare a Londra soprattutto ora che ho in-
FROM LONDON contrato persone meravigliose lì. Si sto discutendo alcune date a Londra per il futuro con la fantastica Jean Genie’s Massive Hugs e il favoloso Caffy St Luce’s Artbeat, quindi spero di esser lì il prima possibile. Devo ammetterlo, sono stata ad uno dei tuoi concerti da solista e la tua presenza sul palco è veramente notevole. Qual è stata la reazione più bella del tuo pubblico fino ad adesso? E quale la peggiore? Le mie interazioni con il pubblico naturalmente variano da concerto a concerto. Tutti i performer riescono a tastare il polso della loro platea. Se non c’è feeling da entrambe le parti è facile che la situazione si raffreddi, come un matrimonio andato in pezzi o una bicicletta arrugginita. Ho avuto brutti concerti, tutti ci sono passati, cerco di non soffermarmici troppo. Il mio show preferito è sicu-
ramente il concerto di chiusura del Southsea Fest a cui ho partecipato con i Johnny5Wheel. Nella mia testa rimane un momento perfetto, dall’inizio alla fine. Ho passato la maggior parte del concerto saltando di tavolo in tavolo attorno alla sala. C’era questo pezzo, in una delle vecchie canzoni, che abbiamo chiamato “ManWhoAteBadgers” (Uomo Che Ha Mangiato Tassi) in cui io faccio gargarismi per un po’, per qualche strano motivo quella sera tutti i presenti si unirono a me finché non si creò un’enorme cacofonia di laringi vibranti! Poi con un movimento della mano, la stanza si zittì nello stesso istante e la band iniziò a suonare il coro. È stato per me il momento più vicino in assoluto alla sindrome “Qualcuno mi spari mentre sono felice”. Ricordi come questi li conserverò per sempre e hanno più a che fare con la partecipazione del pubblico che con quello che scelgo di fare io.
Cristina Canfora
VENUE: Soixante-Neuf@The Ferret - http://theferret.info/ Shh! Music@Korova - https://www.facebook.com/KorovaArtsCafeBar/ MUSIC: Richard Lomax - http://richardlomaxmusic.com/ Johnny5thWheel&thecowards - http://followthewheel.co.uk/ TWITTER: https://twitter.com/LomaxRichard
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ARTINTIME DUE ANIME, UNA LIBRERIA.
“THERESE, PROFUMI PER LA MENTE” A dicembre 2013 l’editore Marcos y Marcos ha dato alle stampe un libro molto particolare: “Il libraio suona sempre due volte” a cura di Matteo Eremo. È la storia di due instancabili librai, Davide Ferraris e Davide Ruffinengo, che in quel di Torino hanno unito le loro passioni ed energie per dare vita a “Therese. Profumi per la mente”, una libreria indipendente che affolla i suoi scaffali di novità mai banali e che esce dalle sue quattro mura per raccontare i libri e le storie al pubblico in tutti i modi possibili. Parole d’ordine: curiosità, professionalità, creatività, entusiasmo. Artintime è passato in corso Belgio ed è entrato a scoprire il magico mondo di “Therese”. Tra un libro, un caffè, e un sorprendente e interrotto flusso di clienti a cui consigliare letture, ha incontrato Davide Ferraris, e con lui ha fatto qualche interessante chiacchiera sul mestiere di libraio. Per conoscere meglio la libreria e tutte le vostre attività è indispensabile leggere il libro di Marcos y Marcos, ma per i nostri lettori che ancora non sanno nulla di voi, come riassumeresti “Therere. Profumi per la mente”?
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La sintesi del progetto sta nella definizione di noi due librai: Davide e Davide, l’itinerante e lo stanziale. Effettivamente noi funzioniamo attraverso due anime: una è più tradizionale, segue quel lavoro classico in libreria che è ciò che potete vedere qui, il magazzino, il catalogo, l’offerta… Certo, tutto questo in un modo che è stato interpretato a partire dai dettami classici, si è trattato di andare a recuperare un mestiere piuttosto che inventarne uno nuovo, ed è però tutt’ora un’anima più tradizionale, che lavora di più sul libro. Invece quello che tocca il “fuori” è veramente l’aspetto più significativo del nostro progetto: il libro racconta infatti attività realizzate all’esterno della libreria. Questa è l’anima che rappresenta di più Davide [Ruffinengo N.d.R.] e la sua creatività, lui arriva dal mondo della formazione, se ne è occupato per molti anni e quando si è trovato ad avere una libreria è venuto fuori che il suo lavoro non era stare fermo ad aspettare che entrasse qualcuno, ma necessariamente si portava dietro quell’esperienza lì, quel bisogno, quella dinamicità che in effetti un negozio ha molto meno. La libreria ha un orario di apertura e chiusura, tu vieni, tiri su e giù la serranda e hai
un margine di movimento forzatamente minore. Sono convinto che la nostra forza invece sia proprio questa commistione. Io non potrei mai inventare cose da fare fuori e lui non potrebbe mai lavorare sul titolo come faccio io: dall’incrocio di queste due interpretazioni dello stesso mestiere nasce “Therese profumi per la mente”. Chi è per voi il libraio, oggi? Sono assolutamente convinto che anche se non hai le quattro pareti a farti da libreria, e anche quando non stai vendendo un libro ma sei dietro a un progetto, tu sei ugualmente un libraio. Il libraio è quello che mette in comunicazione un titolo con un lettore, questo almeno dovrebbe essere: una persona che crea un ponte tra chi legge i libri e chi li fa. Forse ce ne siamo un po’ dimenticati, e questo è dimostrato dal fatto che, se ci fate caso, non c’è un giornale che si avvalga della collaborazione di un libraio. Questo è drammatico, assurdo! Il mestiere del critico è un altro, ma quando si scrive per parlare alle persone è il libraio in realtà quello che ha la maggiore esperienza, la maggior capacità, perché lega quotidianamente quel libro a quel
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lettore. E non è detto che tu che sei il critico sappia mettere in evidenza quelle cose che fanno vendere un libro piuttosto che quelle che invece non lo fanno vendere. E non è nemmeno un lavoro che sa fare l’autore, non gli spetta. Invece a noi sì: ogni volta in cui si cerca di creare questo collegamento, in realtà, si sta facendo il libraio. Possiamo dire che il vostro è molto simile a un lavoro artigiano… Credo che debbano convivere entrambe le anime di cui vi parlavo prima, perché altrimenti sei perduto. Però sì, è simile al lavoro artigiano, c’è un grosso lavoro di quel tipo, soprattutto nella costruzione della tua identità. Noi non siamo piccoli, abbiamo la fortuna di fatturare, però quando sei indipendente
necessariamente devi giocare una partita diversa rispetto a quella degli altri, sennò perdi! Noi andiamo sempre per metafore calcistiche: lo sport, come dice Camus, è la chiave di interpretazione della realtà, “tutto quello che so l’ho imparato dal calcio”. Se tu sei una squadretta e vai a giocare contro una grande squadra comportandoti come lei, ti prendi tante di quelle sberle che poi non ti alzi più! È normale perdere: se io vado a costruire i miei banchi esattamente con la stessa modalità di una grande distribuzione o se la mia classifica del venduto corrisponde a quella di Tuttolibri io sto facendo una cosa drammatica, sto rovinando me stesso! Non lo so ancora, ma lo scoprirò poi: sto combattendo una battaglia persa perché vendo le stesse cose che vendono loro, che in più hanno sconti e un magazzino
che io non avrò mai, mi sono messo nelle condizioni di non essere minimamente competitivo, li faccio ridere e resto anonimo. La comunicazione, quindi, ha un ruolo centrale, quasi fondamentale nel vostro lavoro… Quello su cui noi puntiamo fortissimamente è il costruirci un’identità. E da cosa passa? Dalla nostra proposta, le nostre scelte. È chiaro che l’ultimo di Bruno Vespa mi pare ci sia… Per carità, il libro c’è, sì, ma non posso metterlo sul banco, non avrebbe senso! Bisogna veramente distinguere: l’idea è che se tu vieni in questa libreria, se partecipi ai nostri progetti, allora non ci vieni tanto con un’idea tua, o a cercare la classifica, ma vieni a inseguire delle suggestioni, delle proposte, da me che sono
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ARTINTIME
un professionista del mestiere. Ci sono delle librerie che si narrano in base a come dispongono i libri: noi questo non lo facciamo, abbiamo bisogno di parlare e ve ne sarete accorte! Siamo fatti così, siamo una libreria che si narra con la voce, da una parte è un bisogno, dall’altra sono caratteristiche personali. Ma il principio deve essere questo: tu vai in una libreria perché sia la libreria a stimolarti, non il contrario, farebbe ridere venire con la tua idea chiara, non trovare il libro e magari storcere il naso! “Il libro è in classifica e tu non ce l’hai”, succede eh! È difficile far passare questo concetto nella testa delle persone, ma effettivamente accade: nella percezione delle gente c’è un’idea dell’indipendenza che non è affatto chiara. Uno si aspetta che siccome il libro è uscito da due settimane e i giornali ne parlano, allora tu sei scemo se non
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ce l’hai! È proprio questo, allora, che vi permette di definirvi una libreria indipendente: le scelte? Certo, questo senza dare giudizi di merito, sono scelte: noi facciamo un’altra cosa rispetto alla grande distribuzione, senza escludere nessuno. Il principio dell’indipendenza deve essere questo: non è che io in quanto libraio indipendente allora ho le case editrici sfigate – perché poi il messaggio che passa è questo. No, ho un’editoria di un certo tipo e se riconosco in quell’altra cosa di grande editoria un bel progetto, allora avrò anche quello. Ma non sarà probabilmente la stessa cosa su cui punta una grande catena in cui il libraio non c’è perché l’ordine è centralizzato, non c’è alcuna indipendenza che è poi il requisito essenziale per essere librai.
Secondo me chi lavora in una libreria di catena è un commesso, non sarà mai un libraio. Cosa vorreste che pensasse un lettore che entra dalla vostra porta? Qual è il vostro obiettivo per lui? In tutte le cose che facciamo, sia quando siamo qui che all’esterno, l’obiettivo è tentare di attivare della consapevolezza nel lettore: non tutti i libri sono uguali. Non facciamoci ingannare da quello che è marketing, in cui magari si veicola anche un prodotto buono, se non ottimo, ma in ogni caso sempre spinto. Il fatto invece che il prodotto che hai nelle mani non abbia seguito quel percorso lì non significa che non sia qualitativamente importante. Per cui quello che facciamo noi con le persone quando abbiamo la possibilità di parlare, come per esempio
INTERVISTANDO... nel nostro spettacolo “Il libraio suona sempre due volte”, è di fatto un modo di mettere in scena il libro ma anche il nostro mestiere, raccontando il lavoro editoriale. Mi spiego… Se tu cerchi un romanzo sudamericano, io non ti tiro fuori Allende, che ho, per carità, ma ti prendo una serie di progetti editoriali che lavorano sul sudamericano: questo è il concetto, sto dicendo alla persona che entra qui che, anche se ha sempre saputo che le saghe familiari sono la cifra del romanzo sudamericano, in realtà non è così. C’è altro, ci sono case editrici specializzate in quello, che offrono decine di titoli, e noi librai indipendenti ci mettiamo il naso. Quando io lettore scopro e apprezzo, è probabile che la seconda volta che entro in libreria, e mi viene proposto un progetto editoriale nuovo e diverso, non abbia un atteggiamento di sfiducia, anzi. Per cui consapevolezza, e guardare al di là della copertina ma anche all’interno, perché è a partire dalla prima pagina che vedi la differenza tra cos’è un progetto editoriale e cosa no: il traduttore, chi realizza la copertina, il luogo in cui il volume è stato stampato. Sono tutti elementi che fanno parte del lavoro editoriale. Ecco, andare al di là del marketing, delle situazioni costruite. Tra la libreria e le sue innumerevoli attività, come riuscite a gestire lavoro, libri e vita? Credo che nella vita ci siano dei momenti in cui ti costruisci la tua professione e probabilmente devi un po’ sacrificare delle cose. Noi, effettivamente, non facciamo molto altro salvo lavorare e stare coi nostri figli! Certamente però questi anni sono stati affollati, adesso non sarà più così, siamo molto stanchi se considerate che per molto tempo abbiamo seguito tutto solamente in due, mentre ora siamo in cinque.
Ma ci siamo spremuti molto, forse troppo. Quello appena trascorso è stato un anno allucinante, molte delle cose che sono raccontate in “Il libraio suona sempre due volte” ci sono esplose tra le mani nel 2013: Il Salone del libro con Minimum fax, Torino Spiritualità, il festival I Luoghi delle Parole, la parte estiva degli eventi del Circolo dei Lettori… Abbiamo avuto dei progetti “fuori” impegnativi tanto quanto quelli “dentro”: c’erano sempre almeno tre punti vendita attivi, quindi avevamo qui aperto, una libreria dall’altra parte… Noi siamo cinque, non possiamo fare molto, poi diventa delirante! Necessariamente ora cambieranno delle cose, altrimenti l’invasione della vita privata diventa qualcosa di eccessivo e noi invece vogliamo vivere! Poi è chiaro che si tratta di un lavoro che dà molte soddisfazioni, in cui hai a che fare con molti amici, per cui parte del tuo sollazzo te lo prendi anche qui, ma a volte c’è anche bisogno di non parlare di niente, di andarsi a vedere il Toro se si ha voglia! È valsa però la pena di fare tutti questi sacrifici? Impegnarsi in un progetto con il vostro entusiasmo è qualcosa che consiglieresti ai giovani in questo difficile periodo lavorativo? Beh caspita, sì! Credo che debbano succedere ancora delle cose. Credo che ciò che Marcos y Marcos sperava rispetto a questo libro è proprio questo, la cosa interessante del libro è che chi lo legge può pensare: “se metto delle energie al servizio delle mie idee, qualunque mestiere io faccia, allora è possibile che si raccolgano dei risultati”. Questa è la nostra storia, che chiaramente non è replicabile da nessun’altro. Ogni tanto capita qualche collega che ci chiede se abbiamo dei trucchi ne “Il libraio suona sempre due volte”,
oppure raccontiamo il libro così com’è… Beh, siamo noi, come te lo spiego? Chiaramente abbiamo dei trucchi, ovvio, ma è il nostro mestiere, è costruito per me in 18 anni, per l’altro Davide in 10: come posso rivelarti il trucco? E poi è il mio modo, non può essere il tuo! Ognuno lo declina come vuole, ma il principio è: mettete delle idee al servizio di una cosa, anche quella che vi può sembrare il più tradizionale possibile. Noi lo facciamo sul libro, che è un po’ diverso perché il prodotto che aggredisce in assoluto di più il mercato: l’editoria è il settore commerciale che produce di più ogni anno - 41 romanzi al giorno! - l’offerta supera alla grande la domanda. Orientarsi qui è ovviamente più complicato, rispetto a un gelataio poi non c’è la parte artigianale, ma il concetto è lo stesso: fai il tuo mestiere, riappropriatene e, prima di comunicare, sii certo che ciò che stai facendo risponda a ciò che vuoi comunicare, metti le tue idee al servizio di quello che fai, e dei risultati ci potranno essere. Questo è il senso del libro, un resoconto delle attività che abbiamo fatto e che ci hanno dato delle soddisfazioni. Basti pensare che la nostra libreria in 10 anni è passata da una a cinque persone, e noi non siamo figli di persone benestanti ma normali: operai, casalinghe, impiegati… Ci siamo costruiti negli anni, piano piano, e oggi siamo questa cosa qua!
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ARTINTIME la sicurezza di un professionista e un immenso amore per il suo mestiere è qualcosa di inebriante: difficile resistere alla tentazione e uscire da “Therese” senza almeno un libro. E così, affascinate dai suoi racconti e dalla dimestichezza con ogni titolo, nuovo e passato, gli abbiamo chiesto di consigliare ai lettori di Artintime qualcosa di adatto al loro target - a grandi linee la fascia di età tra i 20 e i 30 anni - e ai tempi che stiamo vivendo, spesso segnati da crisi e incertezze. Davide, quali proposte ci regala il libraio? Normalmente quando arriva un cliente ho sempre la necessità di capire cosa cerca dal libro. Ci sono tipologie di lettori molto diverse: c’è chi in un libro cerca una consolazione, delle domande o semplicemente un’evasione. Questa è la prima scrematura che si fa: ti vuoi divertire con questo libro, vuoi che ti metta in crisi o vuoi emozionarti? Cercherò di essere un po’ trasversale per voi, questi sono cinque progetti editoriali che noi di Therèse amiamo.
Tra le pareti di Therese e nella vita di tutti i giorni siamo immersi in un mare di libri nel quale è spesso difficile orientarsi. Davide Ferraris, invece, si muove con sicurezza e un
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pizzico di magia nel grande mare delle proposte editoriali, seguendo personalmente ogni lettore e trovando, per ogni occasione, il titolo giusto. Vederlo muoversi nella sua libreria con
PER OLOV ENQUIST, “IL MEDICO DI CORTE”, IPERBOREA. Iperborea è l’editore che da più tempo in Italia si occupa di letteratura nordica, l’editrice è addirittura stata nominata cavaliere della stella polare svedese. Questo è un libro da cui è stato tratto anche un film: “Il medico di corte”. È una storia vera, ambientata in Europa a metà del ‘700, l’epoca della cosiddetta Rivoluzione Bianca. Cosa succede? In Danimarca c’è un sovrano pazzo, schizofrenico: Cristiano Settimo. La corte pensa di avvicinargli un medico, ma sceglie
INTERVISTANDO... male, perché sceglie un illuminista che entra così tanto in confidenza con il re e diventa così potente da sostituirlo, anche in camera da letto. Ha delle idee moderne e porta avanti una rivoluzione, prima ancora della Rivoluzione Francese, che però non fa vittime: per farvi un esempio, in Danimarca a metà del ‘700 le donne votavano! LELLO GURRADO, “INVERTENDO L’ORDINE DEI FATTORI”, MARCOS Y MARCOS. Un romanzo sulla crisi. È la storia di un ragazzo che ha una sua idea di quelle che saranno la propria vita e la propria carriera, ma ha appena perso il padre, orologiaio. La madre si aspetta che lui porti avanti l’attività di famiglia, ma lui non ne ha nessuna voglia, ha delle sue aspettative ed esigenze nei confronti della vita. E così una sera, mentre è chiuso in negozio a meditare su come potrà dire alla madre che non ha intenzione di portare avanti l’attività, all’improvviso tutte le sveglie e tutti i cucù di questo negozio incominciano a suonare, lui si rende conto che questo è in qualche modo un richiamo, e che la sua vita potrebbe essere diversa. DANIEL SADA “QUASI MAI”, DEL VECCHIO. Questa è una folgorazione pura, un grande romanzo! Intanto loro sono un editore fantastico, Del Vecchio, di Roma: fanno poche cose ma di una qualità altissima. Daniel Sada è uno scrittore che in realtà è già morto, una delle voci più importanti della narrativa messicana, amatissimo da Bolaño, quindi insomma, parliamo di grandi pesi! È una storia ambientata nel Messico degli anni ’40, ed è la tipica storia da romanzone: cosa scelgo, l’amor passione o l’amore idealizzato? Il protagonista è un agronomo che segue tutta la sua
formazione sentimentale e sensuale in un bordello, e con le donne è abituato a prendersi quello che vuole. Un giorno accompagna sua madre a un matrimonio a Sacramento, perché gli hanno detto che lì ci sono le donne più belle di tutto il Messico. Lui parte, e si innamora follemente. Il problema è che lì ci sono anche le donne più sante di tutto il Messico. Così per conquistare la sua, dovrà modificare se stesso e la propria propensione all’amore, proprio perché non ha di fronte una prostituta ma una donna che aspira alla santità. Il tutto con una lingua straordinaria, a cui concedere forse qualche pagina per capire a che velocità andare, ma dal ritmo travolgente, divertentissimo, sembra di leggere Dostoevskij in salsa sudamericana!
E poi un giallo, perché è un genere che in libreria ci chiedono tanto. Lui è un autore del “Corriere della sera” e aveva già pubblicato una cosa bella che si intitolava “La catastròfa”. Questa è una storia vera ambientata subito dopo la seconda guerra mondiale in Italia ed è la storia di un fratricidio. In una piccola masseria due fratelli si odiano, come nella miglior tradizione, pur lavorando insieme. La polizia è spesso chiamata per sedare le risse che scoppiano tra i due e un giorno invece interviene perché uno dei fratelli è scomparso. È un caso vero, irrisolto, che Paolo Di Stefano riapre, con una perizia di particolari fatta di ricerca pura, ma anche di romanzo. È scritto molto bene ed è un bel giallo.
BERNARD MALAMUD, “IL COMMESSO”, MINIMUM FAX. Questa è una riscoperta di Minimum Fax, per me l’editore più importante italiano perché sta facendo quello che faceva Einaudi negli anni ’50: prende i più grandi intellettuali italiani e li fa lavorare in redazione. È un romanzo del 1958 e parla anche lui di crisi. È la storia ambientata a New York di un commerciante in crisi perché nel suo negozio non entra più nessuno: New York è in picchiata e il locale è vecchio, antico, polveroso come lui. Un giorno subisce l’onta di una rapina e soprattutto l’aggressività dei rapinatori che, arrivati lì e scoperto che il cassetto è vuoto, gli danno addosso. Il giorno dopo si trova davanti, inspiegabilmente, una persona che vuole dargli una mano. E lo fa, lo risolleva, ma chi sia, da dove sia spuntato e perché, non è chiaro. La storia parla proprio di questo personaggio, il commesso.
Alessandra Chiappori Angelica Magliocchetti
PAOLO DI STEFANO, “GIALLO D’AVOLA”, SELLERIO.
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ARTINTIME music@artintime.it
NONOSTANTECLIZIA «Perché in fondo, ai miei tempi eravamo romantici, credevamo ancora di poter risolvere tutto faccia a faccia con un buon colpo di pistola». Questa l’idea, un po’ malinconica, di Jack Beauregard nella scena finale di “Il mio nome è Nessuno” film del 1973 di Tonino Valerii. Allo stesso modo, magari senza pretendere di risolvere tutto, ma col coraggio di giovani musicisti emergenti, i NonostanteClizia sparano il loro colpo di pistola. Così, all’improvviso, lanciando sulle scene musicali “Bang!”, il loro primo album. Uno spaccato della gioventù d’oggi, un po’ confusa, un po’ annoiata, un po’ allo sbando. Ma andiamo con ordine. La band composta da Valerio Gaglione (voce e chitarra), Simone Barisione (synth, tastiere e elettronica), Marco Gervino (chitarra e voce), Manuel Concilio (batteria) e Matteo Porta (basso) si forma nel 2008 ad Acqui Terme. Prendendo in prestito il nome da un romanzo dell’autore noir Andrea Pinketts, la giovane formazione dà il via alla sua gavetta in modo folgorante con l’autoproduzione di due EP, uno già
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nel 2009 e uno nel 2011, per poi approdare alla ventitreesima edizione della rassegna musicale Rock Targato Italia, risultandone vincitrice. Parte da qui l’idea di “Bang!”, primo vero album che, registrato presso il Mono Studio di Matteo Cantaluppi, vedrà la luce nel marzo del 2013. Quattro tracce (“L.A”, “Julian”, “Il Tuo Stile” e “I Ragazzi dell’Alaska”) che mettono in mostra il tono personale con cui la band acquese affronta tutte quelle tematiche giovanili da cui (anche anagraficamente) non è troppo lontana. Un sound dalle tonalità ispirate in parte al panorama inglese apre le porte all’ascoltatore verso un mondo di contraddizioni, disillusione, speranze, sogni e finzioni. Uno squarcio, breve ma incisivo, su un mondo che si aggrappa all’apparenza per cercare di non affondare, di vincere la noia, l’immobilità, la paura. “E fingere di essere di più”. Quattro brani dunque che permettono di farsi un’idea delle potenzialità della band; quasi un assaggio, musicale e di scrittura, che fa ben sperare. Basti pensare che, dopo esser stati notati quest’autunno da Mtv New Generation ed esser pas-
sati su numerose radio di portata nazionale, ora puntano, con il brano inedito “Le Olimpiadi”, al festival più famoso (e controverso) del panorama italiano: Sanremo. Nell’attesa di vedere come andrà a finire e cosa ci proporrà in futuro l’intrigante band acquese non mi resta che consigliarvi l’ascolto dell’album. Impossibile questa volta segnalare un solo brano: se volete davvero tastare con mano quello che i NonostanteClizia sanno fare prendete le cuffie e immergetevi nel loro sound dall’inizio alla fine. Ne vale la pena! Enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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ARTINTIME popart@artintime.it
RAIMONDO GALEANO Formatosi inizialmente a Roma con la “Scuola di Piazza del Popolo”, Raimondo Galeano si discosta presto dal movimento per intraprende un proprio particolare percorso artistico fatto di fosforescenza e di vernici luminescenti. L’artista bolognese ricerca, infatti, una nuova forma d’arte attraverso l’uso della luce, che diventa mezzo e protagonista della sua poetica artistica, l’unica fonte di forma e colore: “La luce dà forma e colore a tutte le cose, io do forma e colore alla luce”. Nelle sue tele, realizzate in quella dimensione, il buio, che normal-
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mente annulla la visione, si rintraccia una pittura fatta di pigmenti e frequenze luminose, che rivelano all’osservatore colori e forme. Al calare del buio le tele bianche si trasformano in opere d’arte luminescenti, in immagini fluorescenti in negativo. La luce crea l’opera e allo stesso tempo il quadro crea luce; una luce viva, che muta continuamente e che può essere plasmata dallo stesso spettatore, libero di interagire con la tela, che appare dunque in continuo divenire. Una pittura attiva, performativa e tecnologica in grado di dialogare con il contemporaneo e le sue forme.
POP-ART
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ARTINTIME movies@artintime.it
FROZEN:
SPAZIO ALLE DONNE IN CASA DISNEY Sembra strano, ma soltanto nel 2013 troviamo una donna che riesce parzialmente a firmare la regia di un lungometraggio Disney. Il film in questione è “Frozen”, che infatti vede come coregisti Chris Buck (già regista di “Tarzan” con Kevin Lima e “Surf’s Up” con Ash Brannon) e Jennifer Lee, donna e soprattutto esordiente. Questo cambiamento in casa Disney è sicuramente molto importante, soprattutto se viene letto in relazione a un film come Frozen che è degno dei classici di mamma Disney, ma è allo stesso tempo molto innovativo. Procediamo con ordine. Prima di analizzare la struttura di “Frozen” è bene ricordare che è stato realizzato dagli stessi disegnatori di un altro film “rosa” della Disney, “Rapunzel”, che, oltre ad avere una protagonista donna, aveva dato origine a un’azione molto singolare: le donne presenti nello staff si erano impegnate a far crescere i capelli durante la realizzazione del film, ne avevano quindi tagliati 25 cm per donarli a un’organizzazione che realizza parrucche di capelli veri destinate a chi li ha persi a causa di una malattia. Donne quindi protagoniste di un gesto forte e davvero significativo, non principesse in attesa del loro principe azzurro, ma persone in grado di fare scelte coraggiose e radicali. Se con “Rapunzel” la via verso la ribellione delle principesse era appena abbozzata, con “Frozen” la questione inizia a farsi
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più interessante. Ripercorrendo le storie portate sul grande schermo dalla casa Disney, è davvero difficile trovare vicende di principesse come quella raccontata nel nuovo film. “Frozen” ci racconta la storia di due sorelle: Anna e Elsa. Anna all’inizio si presenta al pubblico come la classica principessa Disney, pronta a incontrare il suo principe, a innamorarsi e a sposarsi, la tipica protagonista delle fiabe. Al contrario, Elsa è difficile da comprendere, è una donna di ghiaccio, è difficile scavare in lei per conoscere cosa ha dentro, percepiamo soltanto la sua paura. Teme infatti il potere che gli è stato donato: è magia, e al popolo di Arendelle sicuramente non piacerà. Due donne insomma completamente differenti, ma profondamente legate tra di loro. Questo legame è quello che c’è “di nuovo” in casa Disney, dopo anni trascorsi a parlare di amore tra un uomo e una donna, per la prima volta al centro di un cartone animato si parla di amore fraterno, ma questo concetto non esce in modo così semplice. I personaggi di “Frozen” giocano con i cliché della fiaba: Anna racconta il suo percorso di vita ideale come se fosse Biancaneve o la Bella Addormentata nel bosco, i troll sono gli aiutanti magici che salvano la protagonista (Anna) in due occasioni. Tutti sembrano pronti a recitare il classico copione destinato a culminare con un happy end, il pubblico accetta questo gioco e, nel momento in cui si arriva
a parlare di prova d’amore, anche noi insieme ai protagonisti pensiamo immediatamente al bacio del vero amore, pensiamo nuovamente a Biancaneve che è stata salvata in questo modo e anche alla Bella Addormentata e al bacio del suo principe Filippo. Attendiamo quindi il bacio di Hans, che ha tutte le carte in regola per spezzare l’incantesimo: è l’uomo amato da Anna, l’uomo che lei vuole sposare, è un principe, ma questa volta la Disney ci ricorda che non è tutto oro quello che luccica, anche nelle fiabe i principi azzurri non sanno più qual è il loro ruolo. Hans non è buono, è il personaggio cattivo, egli diviene antagonista di Anna, ha costruito alla perfezione un doppio gioco che gli permetterà di eliminare entrambe le sorelle e ottenere così il regno di Arendelle. Ribellione, si diceva prima, forse più una ribellione degli autori che si sono resi conto di avere di fronte un pubblico nuovo, bisogno di storie più complesse. Se prima la Disney creava personaggi come Malefica, vere personificazioni del male, ora sono rare le figure di questo genere, i personaggi iniziano a umanizzarsi e con essi anche i loro caratteri, i loro sentimenti, le loro azioni. Il mondo delle fiabe è caduto in crisi? No, “Frozen” è semplicemente figlio del suo tempo, è un film che racconta il legame di due sorelle, così forte da sopravvivere andando oltre tutti gli ostacoli incontrati sul percorso, è il film che ci ricorda, come nelle commedie hollywoodiane, che spesso il
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principe azzurro non è semplice da trovare e a volte si nasconde dietro a personaggi rudi e all’apparenza poco dolci come Kristoff. Accanto a Anna, Elsa, Hans e Kristoff abbiamo poi tutta una serie di personaggi che rendono il film divertente e molto piacevole da guardare: alla renna Sven e al pupazzo di neve Olaf vengono affidate quelle battute divertenti che sono destinate a essere citate per anni e anni nelle conversazioni, come succede a molti film Disney. Divertenti e molto curiosi sono i troll che non hanno niente a che vedere con il brutto mostro che conosciamo in Harry Potter e la Pietra filosofale, in “Frozen” sono una specie di colonia di pietre, personaggi molto buffi, ma allo stesso tempo fondamentali all’interno della storia. Sono gli aiutanti magici, quelli che possono
facilitare i protagonisti nel portare a termine la loro missione, il loro intervento sarà fondamentale in due momenti della vita di Anna. La colonna sonora di “Frozen”, scritta da Christophe Beck, ci riporta sicuramente agli albori della Disney, ai tempi in cui i film erano quasi dei musical e i personaggi improvvisamente cominciavano a cantare e a ballare, nella versione americana a cantare il singolo “Let it be”, che accompagna la fuga di Elsa da Arendelle, è cantato da Idina Menzel, nota al mondo del musical per aver interpretato la strega verde di Wicked, Elphaba, mentre nella versione italiana è stata cantata nel film da Serena Autieri. “Frozen” è sicuramente un film pensato per i bambini, senza eccessive pretese a livello cinematografico, ma è piacevole trascorrere
un po’ di tempo in compagnia di questi bizzarri e alternativi personaggi dei paesi scandinavi: un ottimo bilanciamento tra passato e futuro del mondo Disney, in attesa di scoprire su cosa verteranno le prossime produzioni. “Frozen”, oltre ad aver avuto un grande successo nelle sale cinematografiche, ha vinto un Golden Globe come miglior film di animazione e ha ricevuto una nomination come Migliore canzone originale, stesse nomination per i premi Oscar 2014.
Francesca Cerutti
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IL MESE DEL DOCUMENTARIO
IRISH MUSIC FEST
FESTIVAL DEL GIALLO
Nuovo appuntamento con la rassegna internazionale “Il mese del Documentario”, che fino al 22 febbraio accompagnerà il pubblico alla scoperta del cinema del reale contemporaneo. L’evento, per la sua seconda edizione, vedrà protagoniste nove città italiane (Roma, Bologna, Firenze, Milano, Napoli, Nola, Nuoro, Palermo, Torino) e quattro capitali europee (Barcellona, Berlino, Londra e Parigi), che parteciperanno in contemporanea alla proiezione delle dieci opere selezionate per il concorso. Per ulteriori informazioni ilmese2013.documentaristi.it.
A Milano, presso l’auditorium Spazio Teatro 89, fino al 21 febbraio si svolgerà l’evento musicale “Irish Music Fest”, rassegna patrocinata dall’arpista e compositore Vincenzo Zitello, principale divulgatore dell’arpa celtica nel territorio italiano. L’appuntamento proporrà un calendario vario di concerti, presentazioni di libri ed esposizioni di artigianato e strumenti musicali, in cui il pubblico potrà conoscere ed apprezzare artisti quali Inis Fail, Polverfolk, New Road e Green Circle. Per maggiori informazioni www.spazioteatro89.org.
Organizzato dagli Amici del Giallo di Pistoia, in collaborazione con la Biblioteca San Giorgio, torna anche quest’anno l’appuntamento con il “Festival del Giallo”, evento letterario dedicato al genere poliziesco e noir, che fino al 3 febbraio intratterrà il pubblico con interessanti ospiti, incontri, letture e convegni, che per la quarta edizione del festival saranno dedicati al tema “crimine e passione”. Un appuntamento da non perdere per gli appassionati del genere! Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.sangiorgio.comune. pistoia.it.
RAVENNA MONDO ELETTRONICA
FESTIVAL DEL FUMETTO
ALPI GIULIE CINEMA
L’1 e 2 febbraio, presso il Palazzo Mauro De Andrè di Ravenna, si svolgerà l’undicesima edizione della fiera-mercato “Ravenna Mondo Elettronica”, il principale appuntamento invernale dedicato ad informatica, elettronica, digitale, radiantismo e materiai di consumo dell’Emilia Romagna, che raccoglie ogni anno un gran numero di espositori e di appassionati. Un evento aperto a tutti e ricco di curiosità, di cui ricordiamo in particolare lo spazio riservato al mercatino radioamatoriale. Per maggiori informazioni: www.mondoelettronica.net. wordpress.com.
Presso il Parco Esposizioni Novegro di Milano l’1 e 2 febbraio si svolgerà la decima edizione del “Festival del Fumetto”, appuntamento dedicato al mondo dei comix e dei games, che ogni anno ospita giovani appassionati, collezionisti e curiosi in un ricco percorso espositivo. Un opportunità per poter apprezzare albi rari e da collezione, edizioni speciali e nuove pubblicazioni, ma anche per dedicarsi ad attività, dimostrazioni, tornei e competizioni. Per avere maggiori informazioni vi invitiamo a consultare il sito ufficiale dell’evento, festivaldelfumetto.com.
A partire dal 6 febbraio presso il Teatro Miela di Trieste si svolgerà la ventiquattresima edizione della rassegna cinematografica internazionale “Alpi Giulie Cinema”. Il festival, dedicato all’alpinismo, al climbing e all’avventura di montagna, ospiterà la proiezione delle opere finaliste dei concorsi “Premio La Scabiosa Trenta” e “Hells Bells Speleo Award”, in cui competeranno opere di registi originari delle regioni alpine del Friuli Venezia Giulia, Slovenia e Carinzia, e produzioni dedicate alla speleologia. Per maggiori info sulla rassegna: www.monteanalogo.net.
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EVENTS A cura di Anna Moschietto
ARTE GENOVA
BUK MODENA
REVERSE FILM PROJECT
Decimo anniversario per la mostra mercato d’arte moderna e contemporanea “Arte Genova”, che dal 14 al 17 febbraio, presso la Fiera di Genova, rinnoverà l’annuale appuntamento con le principali gallerie del territorio nazionale. Una manifestazione divenuta ormai punto di riferimento per collezionisti, addetti e appassionati del settore, che avranno modo di ammirare ed apprezzare le opere dei principali interpreti dell’arte moderna e contemporanea. Per maggiori informazioni su espositori ed artisti www. artegenova.org.
Settima edizione per il festival della piccola e media editoria “Buk Modena”, che il 22 e 23 febbraio, nella consueta location del Foro Boario di Modena, accoglierà più di cento case editrici provenienti da tutto il territorio nazionale. Un’occasione per apprezzare le piccole realtà editoriali italiane e per incontrare importanti ospiti, che interverranno alla manifestazione con reading, dibattiti su temi di attualità, conferenze e incontri, ma anche con eventi musicali e spettacoli. Per maggiori informazioni sul programma delle giornate www.bukfestival.it.
Secondo appuntamento con la rassegna cinematografica “Reverse Project”, che per quest’anno si svilupperà sul tema “Apocalipse How?Come vedete la fine del mondo o il mondo, alla fine”. L’evento, che si svolgerà dal 22 e 23 febbraio, coinvolgerà giovani videomaker italiani che verranno giudicati da una giuria di esperti e dal pubblico che interverrà al contest. Un’occasione per conoscere le nuove tendenze cinematografiche e per promuovere realtà emergenti nate in rete. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.reverseproject. it.
VISIONI ITALIANE
FESTIVAL DEL CINEMA CITTA’ DI SPELLO
CROSSROADS
A Bologna dal 26 febbraio al 2 marzo si svolgerà il ventesimo concorso nazionale per corto e mediometraggi “Visioni Italiane”. L’evento, organizzato dalla Fondazione Cineteca di Bologna, riunirà giovani autori che presenteranno al pubblico opere prime, cortometraggi, documentari e film sperimentali di formato irregolare. Un’ottima opportunità per esplorare le nuove tendenze del cinema nazionale contemporaneo ed i suoi nuovi volti. Per maggiori informazioni sul programma della rassegna, visitate www.cinetecadibologna.it.
Torna anche quest’anno l’appuntamento con il “Festival del Cinema Città di Spello Rassegna – Concorso «Le Professioni del Cinema»”, che dal 27 febbraio al 2 marzo nella splendida cornice del borgo medievale cittadino, ospiterà proiezioni, incontri ed eventi dedicati alla cinematografia nazionale. Una terza edizione che come di consueto darà spazio a tutte quelle figure che, pur rimanendo dietro le quinte, contribuiscono in modo fondamentale alla realizzazione di un film, ma anche alle nuove tendenze cinematografiche. Info: www.festivalcinemaspello.com.
Quindicesima edizione per l’evento itinerante dedicato alla musica jazz “Crossroads”, che dal 28 febbraio al 24 maggio coinvolgerà grandi artisti e giovani promesse del genere in un viaggio che andrà ad esplorare le varie forme del jazz moderno. Le tappe coinvolgeranno tutto il territorio emiliano e vedranno protagonisti, tra gli altri, Cordoba Reunion, Kurt Elling, Bill Frisell, Uri Caine, Enrico Rava, Fabrizio Bosso e Alessandro Scala. Un programma ricco di appuntamenti di cui potete trovare maggiori informazioni su www.crossroads-it.org.
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