Artintime N. 1 - Gennaio

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ART

IN TIME n.1 - Gennaio 2015

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE L’editoriale per il numero di gennaio di Artintime era già pronto, c’erano già le bozze definitive, stavamo per pubblicare. Ma il 7 gennaio è accaduta a Parigi una gravissima tragedia, che ha tolto la vita a 12 persone, e che ha toccato nel vivo il mondo del giornalismo, dell’informazione, della satira, del disegno. Il mondo intero, le istituzioni e le persone comuni, scese in piazza a dire commossi e silenziosi “Je suis Charlie”, io – tutti noi – sono Charlie. Anche noi di Artintime, profondamente colpiti dai fatti di sangue che in queste ore stanno rimbalzando sui media, abbiamo sentito l’esigenza di fermarci un attimo a riflettere, e di comune accordo ognuno di noi ha espresso la volontà di non lasciar passare inosservato questo tristissimo evento. È così che l’uscita di gennaio è slittata di qualche giorno, ed è così che il nostro vignettista, Stefano Ascheri in arte Stewie, il “papà” di Chuck, ha acconsentito volentieri a realizzare una copertina dedicata a Charlie Hebdo, ai suoi disegnatori e alle vittime di un folle e inaccettabile atto di violenza che ha lacerato a sangue la libertà di espressione nella nostra democratica parte di mondo. Su queste pagine non facciamo politica, nemmeno satira, ma siamo liberi di scrivere, di disegnare, di presentare eventi di cultura e parlare con artisti che allo stesso modo, liberamente, scrivono romanzi, girano film e cortometraggi, dipingono, scolpiscono, suonano e cantano, recitano su un palco di teatro e trovano modi sempre nuovi di parlare, raccontare, di esprimere sé e il proprio pensiero. Ciò che è accaduto a Parigi è qualcosa di così crudele, sconsiderato, tremendo e condannabile perché ha sancito un baratto che non potrà mai essere accettato: la vita di 12 persone - disegnatori, giornalisti e chi si trovava con loro e vicino a loro – in cambio del silenzio, del foglio bianco, delle matite spezzate. Certo, non è la prima volta che la libertà di espressione, pensiero e informazione – sacrosanto diritto e dovere di ogni giornalista – viene compromessa: purtroppo sono molte le storie di scrittori, editori, traduttori, registi uccisi o gambizzati per aver osato parlare, dire la propria. Ma ognuno di questi casi deve destarci attenzione, deve contribuire ad ampliare la nostra capacità di analisi e il nostro acume di fronte ai fatti del mondo. Non si può sfidare con un fucile da guerra chi impugna una penna o una matita. Libertà di pensiero è circolazione di idee, dibattito, sguardo, pluralità di voci e di pensieri, che nella loro diversità scandagliano il reale alla ricerca di una verità, di una ragione, danno vita a forme d’arte e pompano la splendida e libera macchina della cultura. Il motore del nostro mondo, la sua bellezza. L’editoriale che avremmo voluto uscisse a gennaio era dedicato al 2015 anno internazionale della luce. Di fronte a tutto questo buio, non possiamo davvero che augurarci di rivedere presto una luce, e di credere che sarà proprio lei, la luce, a ridare vita alle matite spezzate, colore ai disegni, speranza alla libertà di pensiero e al sogno, così lontano ora, di un mondo democratico dove circolino indisturbate vignette, opinioni, parole e idee diverse. Artintime ricorda le 12 vittime di Charlie Hebdo:  Frédéric Boisseau, custode  Franck Brinsolaro, agente di sicurezza  Jean Cabut, noto come Cabu, disegnatore  Elsa Cayat, psicanalista  Stéphane Charbonnier, noto come Charb, disegnatore  Philippe Honoré, disegnatore  Bernard Maris, economista  Ahmed Meradet, agente di polizia  Mustapha Ourrad, correttore di bozze  Michel Renaud, ex capo di gabinetto del sindaco di Clermont-Ferrand e fondatore del Carnet de voyage  Bernard Verlhac, noto come Tignous, disegnatore  Georges Wolinski, disegnatore Alessandra Chiappori

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . SELAH SUE by Angelica Magliocchetti

8 . HOME SWEET HOME by Francesca Cerutti

10 .KIBA by Anna Moschietto

12 . GRECIA, POESIA, UNA DONNA. E MOLTO ALTRO. by Alessandra Chiappori

14 . LA DELICATA ARTE DI PIEGARE LA CARTA byAlessandra Chiappori

16 . LA SABAUDA TORNA IN CITTA’ by Roberta Colasanto

18 . LA MULTIDISCIPLINARITA’ TARGATA MILANO A BRUXELLES by Barbara Mastria

20 . QUATTRO CHIACCHIERE CON I NOAIS by Angelica Magliocchetti

22 . UNCLE BARD & THE DIRTY BASTARDS by Angelica Magliocchetti

24 . UNA PLANATA PER VOLARE

by Alessandra Chiappori

26 . NEW YORK AT NIGHT IN 3454 OIL PAINTINGS by Francesca Cerutti

28 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

SELAH SUE Arriva da una piccola cittadina belga, ma porta con sé tutta la carica del reggae e del soul: lei è Sanne Putseys, classe ‘89, in arte Selah Sue. Patita di Lauryn Hill, Erykah Badu e Bob Marley, si avvicina alla musica per combattere le tipiche angosce dell’adolescenza, spingendosi poi a esibirsi nei weekend in qualche locale e finendo per essere notata dai manager dell’etichetta discografica Because Music, che la mette subito sotto contratto. La realizzazione del suo primo album vede fin da subito la collaborazione di grandi nomi del panorama musicale quali il dj Farhot, Patrice, la cantautrice e bassista Meshell Ndegeocello (con cui realizza il brano “Mommy”) e il rapper Cee-Lo Green con cui realizza un duo poi finito anche nel suo album “Please”. Lo stesso Prince la sceglie come artista d’apertura per il suo concerto ad Anversa, in Belgio. Per non dimenticare però da dove è partita sceglie come suo primo singolo “Raggamuffin”, una del-

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le sue più vecchie canzoni, scritta nella gavetta da adolescente e che in breve raggiunge il traguardo di oltre un milione di visualizzazioni su web. «È un brano che mi rappresenta bene» spiega la stessa artista «Mostra i miei due volti, il lato melodioso e soul e quello più duro, tra rap e reggae.» Una bella presentazione quindi per un’artista che supera le frontiere dei vari generi musicali per regalarci un lavoro che oscilla tra il rock, l’hip-hop e il funk. “This word”, “Crazy Vibes”, “Crazy Sufferin Style”, non sono che degli esempi dell’ecletticità di sound della giovane artista belga; varietà che si ritrova anche in “Alone” titolo del singolo e dell’EP che anticipa il suo secondo lavoro, previsto in uscita per marzo 2015. Quattro tracce (“Together” in collaborazione con Childish Gambino, “Won’t Go For More” e “Time” e l’omonima “Alone”) che guardano in direzione dell’amore, ma non solo, anche della paura di perderlo e della so-

litudine quando esso scompare. Un po’ di amaro quindi e grandi aspettative per il secondo lavoro di Selah Sue, prodotto da Robin Hannibal e Ludwig Goransson. In attesa di marzo, non ci resta dunque che gustarci questa anteprima. So, enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

HOME SWEET HOME Quando ero piccola la mia immaginazione non conosceva limiti. Mi sono sempre chiesta se fosse possibile mettere delle rotelle sotto la casa per trasportarla ovunque. Certo, ero ben al corrente dell’esistenza delle roulotte, ma spostare l’intera casa mi ispirava molto di più. Poi sono cresciuta e questa fantasia si è persa negli anni, fino a quando è uscito al cinema “UP”, che ha risvegliato in me questo pensiero fanciullesco; e poi c’è stato “Home Sweet Home”, il cortometraggio di cui voglio parlarvi qui. Il titolo sicuramente non dice molto sulla storia, sembra una di quelle scritte che ora va di moda mettere su pannelli di legno bianchi, meglio se imbiancati con un effetto un po’ vintage e consumati, scritti magari con una calligrafia un po’ barcollante e non troppo curata. “Home Sweet Home” è ben altro. Innanzitutto è un viaggio, è la storia di una casa, anzi di due case in viaggio. Ebbene sì, le due abitazioni, una più giovane e l’altra più vecchia, hanno le gambe e possono camminare per strada, attraverso scenari tipicamente americani, campi di grano, crop circles, piccole cittadine, zone residenziali, ponti, binari del treno. Tra una colonna rubata e la cuccia di un cane che si aggrega alla coppia, le due

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case camminano e incontrano altre case come loro che però vivono immobili, senza mai spostarsi dalla loro sede. Home Sweet Home è il cortometraggio di animazione che hanno realizzato Alejandro Diaz, Pierre Clenet, Romain Mazevet e Stéphane Paccolat per il loro diploma presso la scuola di animazione Supinfocom di Arles. È un progetto molto ambizioso che sicuramente non sembra essere stato realizzato da studenti, mani esperte e menti con esperienza sembrano aver intessuto la trama di “Home Sweet Home”. Impressionanti sono le scelte relative alla caratterizzazione delle due case, sono entrambi due edifici abbandonati, non sono la tipica villetta curata. La più giovane presenta meno danni rispetto all’altra, mentre quella anziana sembra proprio uscita da un’altra epoca e la tettoia, che si regge malamente su una colonna improvvisata, ricorda quasi il braccio di un anziano che si appoggia a un bastone. Le case di “Home Sweet Home” hanno davvero un’anima e riescono a esprimere i loro pensieri, i loro sentimenti attraverso le finestre, veri e propri occhi. Molto simpatica è la scena del pattinaggio sul ghiaccio: l’idea in sé è geniale, non solo i registi fanno camminare le case, ma addirittura fanno

pattinare la più giovane insieme a una roulotte, chiaramente di sesso femminile, e molto interessante agli occhi dell’abitazione più giovane. La casa vecchia spinge quella giovane sul ghiaccio, facendola incontrare con l’ammiccante roulotte. L’unica finestra della casa su ruote si apre e si chiude con fare ammaliante e fascinoso, la tenda si tramuta in ciglia che rapiscono e stregano per pochi istanti la casa giovane. “All houses have a story, some have an adventure” recita il sottotitolo di “Home Sweet Home” e penso non esista frase migliore per raccontare in poche parole il cuore di questo cortometraggio che riuscirà a rapirvi non solo per la storia, ma anche per le ambientazioni. Non mancheranno poi le lacrime a un certo punto. Non voglio rivelarvi troppo, buona visione!

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME

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STREET-ART popart@artintime.it

KIBA Giovanni Saraceno, in arte Kiba, nasce ad Augusta nel 1987 e si forma come autodidatta. La sua arte si caratterizza per l’essenzialità del tratto, l’uso di toni scuri, da cui raramente si distacca, e per le atmosfere cupe. Il colore è plasmato direttamente con le dita che segnano la tela con tracce, graffi e impronte; elementi che, nella composizione dell’opera, sono integrati con materiali vari. I soggetti rappresentati sono ispirati al quotidiano: ritratti di donne, uomini, pagliacci, personaggi famosi; volti segnati che singolarmente o in gruppo raccontano un’interiori-

tà travagliata. Le figure, essenziali ma incisive, emergono dall’oscurità, metafora di inquietudine e incertezza, trasportando l’osservatore nella drammaticità della rappresentazione e invitandolo alla riflessione. L’artista ci spinge a indagare l’intimità del soggetto, a vedere al di là della superficie. Una ricerca che smaschera la complessità dell’animo umano delle figure rappresentate, di sé stessi e dell’umanità in genere. Attraverso le linee, l’uso del nero e il segno graffiante Kiba mette in scena un mondo contemporaneo incerto ma bisognoso di speranza.

Anna Moschietto

Pagina Facebook: https://www.facebook.com/pages/Kiba-artist/103934846430213 Sito: http://www.artwanted.com/artist.cfm?ArtID=67789&fb_source=message

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ARTINTIME books@artintime.it

GRECIA, POESIA, UNA DONNA. E MOLTO ALTRO Roma, e una sperduta isoletta dell’Egeo in autunno. Tra questi due poli si muove la storia di “Chi è felice non si muove”, acuto e interessante romanzo della giovane Giulia Villoresi. Protagonista, una ragazza alle soglie dei 30 anni che, sulla scorta di un ambizioso progetto editoriale che la vede coinvolta, prende la decisione di trasferirsi per un po’ di tempo sull’isola che la allontanerà dalle consuetudini della vita quotidiana e le permetterà di trovare la serenità e concentrazione utili a svolgere il proprio lavoro. Un lavoro che, a ben vedere, ha poco di chiaro e sicuro, in termini contenutistici, logistici e meramente economici: la protagonista è invitata a ricostruire la parte dedicata alla poesia per quello che è definito un nuovo canone occidentale, concetto che lei stessa vedrà come “ibrido e astratto”, scontrandosi con la difficoltà di essere la sola responsabile della selezione dei nomi che sul canone dovranno comparire. Ecco allora perché la Grecia, culla della cultura occidentale, ed ecco perché il bisogno estremo di concentrazione e allontanamento da altre distrazioni visto lo scopo culturalmente elevato, quasi estremo, dell’impresa. Ma con la ragazza, nella casa affittata dalla signora Kalliopi, non arrivano solo i libri utili all’impresa. Ci sono infatti tutti i frammenti della vita romana lasciata oltre l’Egeo: Olmo, il fidanzato,

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la famiglia, con una madre molto presente, un fratello minore, delle amiche. È un mondo popolato anche se ricostruito in gran parte per via telefonica in mezzo alla manciata di abitanti di un’isola greca sorpresa a fine stagione, verso un autunno che si prospetta deserto e desolato. Poco accade in realtà in questi mesi: il lavoro sul canone procede a grandi balzi e con sforzo, passando dall’appassionante analisi di Cardarelli, Gohete, saltando poi per volontà onnivora a Darwin e Buscaglione, riprendendo la via letteraria su Proust Saba e Montale. Un disordine – una difficoltà - che rivela via via la sempre più evidente vacuità del progetto e la molla autentica nascosta dietro al viaggio: una ricerca personale. Il progetto editoriale funge così da tramite per una maturazione tutta intima e personale della protagonista che cerca, e si cerca, lontano da casa, nel viaggio, nel pensiero. L’isola è popolata dai personaggi - che presto diventano attori di una routine fatta di abitudini, nella sua necessaria piccolezza - tra i quali spicca Kora, una ragazza con cui la protagonista cerca di instaurare un rapporto di amicizia, basato sulla condivisione, sullo scambio, sul confronto. Questo rapporto è uno degli assi del romanzo: affrontato con uno sguardo e raccontato con una voce sempre acuti, lavorati, attenti al sottile ripiego psicologico, al dettaglio, ma non

per questo privi di un’attentissima e sottile ironia. La storia è, per dirla in una parola, estremamente coinvolgente. Ne seguiamo appassionati l’evoluzione, con poche scene di azione vera e propria riportate tra le pagine, mentre la concentrazione è tutta sulla parte meditativa e pensata, la vera faccia di questo romanzo, che è in fondo un’attenta e intensa riflessione, appassionante, emozionante quanto profonda e, come già detto, intima. Linguaggio e retroterra del romanzo non sono certo pane per tutti i denti: quella della Villoresi è una scrittura “difficile”, fatta di e con la poesia, la letteratura, l’accurata visione del mondo, che trova nella sua stessa protagonista un personaggio privilegiato al punto da potersi permettere una fuga greca alla ricerca di un sogno immateriale ed etereo come quello del canone occidentale, o forse di una pausa dalla routine per cercare, e ritrovare in uno scavo intellettuale e filosofico, se stessi. La protagonista, lo intuiamo, ha un’estrazione sociale alta, ha basi culturali alimentate da una famiglia e da un’istruzione che le ha permesso di viaggiare e ampliare i propri orizzonti: la “fuga” in Grecia non è quindi un gesto sconsiderato ma una necessità accettata. Comodità e agi non mancano certo a una ragazza in cerca di se stessa attraverso il potente ma delicato e fragile strumento della cultura declinato tramite il classico tema del


BOOKS viaggio, dello spostamento che crea distanza, quindi ricchezza di visione, nuovi orizzonti. Quella raccontata qui è una storia “di lusso”, l’impareggiabile lusso di ricercare a tutti i costi il proprio tempo, le proprie priorità, senza troppo badare ai costi materiali ma con dedizione totale ai valori della cultura e alla quasi oziosa osservazione della propria vita a confronto con gli altri che ci circondano. Prendersi il tempo, ascoltarsi, allontanarsi, ritrovarsi. Solo allora, fare. Un gran bel romanzo e una voce femminile che diventerà amica e compagna, pronta a restarvi dentro a lungo.

A lessandra Chiappori

“Questa improvvisa perdita di riferimenti gettava una luce di arbitrarietà sulla mia permanenza sull’isola e sulla mia collaborazione al canone occidentale. Eppure, invece di allarmarmi, questa sensazione mi aveva resa, per quella notte, incredibilmente serena. La storia mi insegnava che le mentalità evolvono più lentamente delle capacità e che l’invenzione compare sempre dopo la sua stessa tecnologia. I pensieri, prima di affacciarsi, devono maturare in silenzio”

Giulia Villoresi, “Chi è felice non si muove”, Feltrinelli, 2014

GIULIA VILLORESI Esordiente nel 2010 con “La panzanella” (Feltrinelli), Giulia Villoresi è nata nel 1984 e, seppure non alla prima esperienza e dimostratasi con questo secondo romanzo autrice consapevole e di talento, ci piace parlarne su Artintime vista l’età e i temi interessanti trattati nelle sue opere. Oltre a occuparsi di scrittura, Giulia è attualmente dottoranda in storia moderna all’università di Venezia.

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ARTINTIME events@artintime.it

LA DELICATA ARTE DI PIEGARE LA CARTA Nell’epoca della digitalizzazione, dell’imperversare del tablet e dello smartphone e dell’indigestione collettiva di contenuti multimediali, ha ancora valore la semplice, antica e deperibile carta? A giudicare dallo strepitoso successo della mostra “Origami. Spirito di Carta”, allestita a Torino lo scorso anno, pare proprio di sì, tanto che da dicembre 2014 al 15 febbraio 2015, l’arte giapponese del piegare artisticamente la carta torna protagonista con un secondo capitolo: “Origami. Universi di carta”. La suggestiva esposizione di raffinate creature di carta è allestita nell’altrettanto affascinante location delle cantine storiche di Palazzo Barolo, in via delle Orfane 7/A ed è pronta a non lasciare indifferente nessun visitatore, dai bambini, letteralmente stregati dalle figure modellate ed esposte, ai più grandi, rapiti dal fascino discreto e onirico di una mostra che vuole suggerire alcuni spunti di riflessione sul pensiero e la filosofia del Sol Levante. “Origami” porta in scena il patrimonio artistico giapponese di opere antiche e contemporanee con vari interpreti internazionali e italiani, in particolar modo legati a

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CDO – Centro Diffusione Origami, partner dell’associazione Yoshin Ryu nel realizzare l’esposizione. “Novità scaturite da licenze stilistiche come l’uso di carta umida e talvolta tagliata, hanno prodotto opere straordinarie e di grande impatto sempre in continuità e armonia con le radici giapponesi della centralità del Do, la via, per cui l’arte di carta è uno strumento nobile per prendersi cura dello spirito attraverso l’azione” osserva la Direttrice Artistica della mostra Daniela Crovella. “Abbiamo a Torino una ricca gamma di pezzi unici, molti dei quali realizzati appositamente in loco dai maestri piegatori, proprio in virtù delle dimensioni grandi. Gli ambienti di Palazzo Barolo sono divisi per elementi: aria, acqua, fuoco, terra e vuoto. In Giappone la cultura dello spazio vuoto è centrale nel percorso artistico, spiritale e quindi visuale. Una sfida, anche questa, per far comprende all’occidente il Sol Levante”. Tra elementi naturali e animali, visitando “Origami” ci si immerge in un universo pacato e silenzioso che ricorda da vicino le atmosfere strane e riflessive dei racconti calviniani de “Le cosmico-

miche”: pianeti geometrici complessi e colorati che tempestano soffitti, fondi del mare abitati da ogni sorta di creatura acquatica, dalla grandissima balena ai piccoli ma dettagliatissimi granchietti e cavallucci marini, c’è perfino un drago! “Origami” è un viaggio, ma soprattutto una scoperta, fin dalla prima sala, mozzafiato nelle sue inaspettate 5000 farfalle di carta, libellule e foglie, a ricreare un universo fiabesco fatto di pura magia. Magia che dal bosco si espande fino agli astri del cosmo, e poi di nuovo scende sulla terra, tra gli animali giganti – come non stupirsi di fronte a una giraffa di carta alta ben due metri? – fino a tuffarsi nel mare e ritrovare, tra i suoi diversi e simpatici abitanti, quel rigore geometrico che da una stella passa tra le pieghe della carta al guscio di una conchiglia. Al di là del fascino e del sogno che queste figure leggere e quasi eteree sanno evocare, aiutate da un allestimento ammirevole e realmente capace di suggestionare il visitatore, quella esposta è anche una breve storia dell’origami e della sua evoluzione tecnica, con metodi di lavorazione che variano dai più semplici e rigorosi, in accordo con la tradizione


EVENTS

giapponese, a quelli innovativi, capaci di conferire tridimensionalità maggiore. Non è solo infatti questione di creatività e attenzione al concetto geometrico, come dimostrato dai tanti lavori del maestro Akira Yoshizawa, già presente con alcune creazioni nella mostra precedente: esistono modi di lavorare la carta, come il wet folding, la carta bagnata, che consentono una modellazione diversa delle fibre della carta, fino a permettere anche le grandi, grandissime dimensioni incontrate nelle cantine di Palazzo Barolo. E, perché no, fino a fare anche dei veri e propri gioielli di carta da sfoggiare in preziose serate e appuntamenti. Scoraggiati dalla complessità della tecnica di questi incredibili origami? Non vi preoccupate troppo: passeggiando per la mostra ritroverete anche alcuni modellini,

dai più semplici ai più sofisticati, dei classici origami che ognuno di noi, anche qui in Occidente, ha imparato a fare in compagnia dei nonni o forse tra i banchi di scuola: barchette galleggianti pronte a salpare come fossero vere, o areoplanini in grado di planare sfidando la gravità. Anche questa è “banale” carta, capace come pochi altri giochi di accendere la fantasia di grandi e piccoli trasformandosi nel più meraviglioso e fantastico dei viaggi. Siete dunque pronti a partire per l’avventura? La mostra vi attende fino a metà febbraio a pochi passi dalla centralissima e pedonale via Garibaldi: per maggiori informazioni sugli orari di apertura potete visitare il sito web dell’evento: www. mostraorigami.it dove troverete anche dettagliati programmi sugli

incontri collaterali, sulle conferenze e workshop dedicati al pubblico curioso di scoprire di più sulla delicata arte del piegare la carta e sul mondo e la filosofia giapponesi.

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

LA SABAUDA TORNA IN CITTA’ Finalmente riapre a Torino nella sua completezza la Galleria Sabauda, una delle più importanti collezioni artistiche in Italia, dopo i lavori di trasferimento e riallestimento iniziati nel 2012. Nata nel 1832, con la decisione di Carlo Alberto di aprire al pubblico le collezioni di casa Savoia, e ceduta allo stato nel 1860 come Regia Pinacoteca Nazionale da re Vittorio Emanuele II, la galleria è stata ospite in diversi palazzi torinesi prima di approdare alla attuale nuova sede, allestita presso la Manica Nuova di Palazzo Reale. Distribuita su quattro piani, la collezione permanente comprende oltre cinquecento opere tra dipinti, stampe, sculture, disposte secondo un ordine cronologico. Tra queste spiccano imperdibili capolavori, come la tavoletta con le Stimmate di San Francesco dipinta da Van Eyck, una prova esemplare del virtuosismo del grande maestro quattrocentesco (ma spesso tralasciata dal visitatore occasionale a causa delle ridotte dimensioni): qui, accanto alla straordinaria minuzia delle fisionomie e del realismo botanico e paesaggistico, stupisce la nitidezza del colore,

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la luminosità o “lustro”, caratteristica tipica dei pittori fiamminghi. La raccolta torinese vanta molti altri capolavori di artisti celebri come Beato Angelico, Mantegna, Guercino, Veronese, Rubens, Rembrandt, Bellotto. Testimonial d’eccellenza della Galleria Sabauda sono inoltre il superbo “Ritratto” equestre del principe Tommaso di Savoia realizzato da Van Dyck - di cui si conserva anche il “Ritratto dei figli di Carlo I”, insuperato esempio di ritrattistica infantilee l’“Annunciazione” di Orazio Gentileschi, pala spedita dall’artista ai Savoia come esempio della propria perizia nella speranza di ottenere la committenza ducale, considerata come uno dei massimi capolavori della produzione del pittore. Ma la Galleria Sabauda non è solo vetrina di artisti dai nomi altisonanti, bensì utilissima palestra di storia dell’arte quando si coglie, all’interno della scansione cronologica, la presenza delle scuole artistiche (fatte di maestri e seguaci) che dominarono le scene artistiche nel tempo. È il caso della scuola lombarda, che particolare fortuna ebbe in Piemonte durante il Seicento, rappresentata

da artisti come Cerano, Procaccini, Morazzone, Cairo. È il caso naturalmente della scuola piemontese quattro-cinquecentesca, da Spanzotti a Defendente Ferrari fino ad arrivare al grande eroe dell’arte lombarda e piemontese del Cinquecento: Gaudenzio Ferrari. L’allestimento, seppur penalizzando talvolta le opere di maggior formato che meritano un punto di visione “lontano”, ha il merito di essere a misura di spettatore, offrendo la possibilità di un’osservazione ravvicinata e approfondita senza barriere. Torino si è finalmente riappropriata di uno delle sue più importanti collezioni, una delle punte più prestigiose del panorama museale cittadino.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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TEATRO teatro@artintime.it

LA MULTIDISCIPLINARITA’ TARGATA MILANO A BRUXELLES Non è stato incontrarlo dal vivo, quanto sentire parlare di lui e curiosare tra il materiale in rete, che ha alimentato l’interesse nei suoi confronti. Claudio Stellato, performer milanese esportato in Belgio, è cresciuto nell’arte e delle sue svariate sfaccettature ha approfondito e si è cucito addosso ciò che fa per sé. Dalla musica jazz, al teatro di strada nelle prime esperienze lombarde, per dedicarsi poi pienamente all’arte di strada unendosi alla compagnia Le Lido di Tolosa. Da lì un bel bagaglio di collaborazioni che lo hanno portato a Bruxelles dove tutt’ora lavora. Claudio “gioca” con gli oggetti e con gli spazi. Prevalentemente spoglia, la scena – all’aperto o tra le pareti del teatro – è il contenitore che lo accoglie nel rapporto con l’ogget-

to o la persona che gli è posta di fronte. Ne sono esempi “La Soffitta”, “La Cosa” o “L’autre”, progetti ed esperimenti di performance che mettono al centro dello studio il rapporto tra il corpo e l’oggetto creando figure e suoni inusuali. Il corpo dell’artista in alcune performance serve a evidenziare l’oggetto, lo pone come altro da sé e si relaziona con esso; in altre, invece, l’oggetto e il corpo sono complementari e in una scena, quasi sempre scarna e monocromatica, si muovono frammenti viventi e non viventi che si contaminano a vicenda. Il pubblico percepisce i lavori di Claudio Stellato in modo del tutto originale, come qualcosa all’interno di essi andasse oltre alle leggi della fisica e al reale. Con Stellato ci si ritrova in un universo

parallelo, che segue proprie regole: ciò che si vede in scena è suddivisibile tra l’umano riconoscibile e il surreale che si vorrebbe riconoscere coi sensi, ma invano. Come vuole l’artista, spiegando una delle sue creazioni, l’oggetto altro incarna parte di noi stessi, una parte ingenua, innocente, libera di esprimersi seguendo i propri impulsi. La danza e i movimenti di Claudio richiamano gesti quotidiani ai quali la sua artisticità dona nuovo significato.

Barbara Mastria

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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON I NOAIS Oggi andiamo alla scoperta di un progetto musicale nato tra le colline del Monferrato nel 2012: i Noàis! Ciao ragazzi!Che ne dite di raccontarci qualcosa sulla nascita della vostra band e la vostra passione per la musica? Ciao! I Noàis nascono dalle ceneri del progetto solista di Jacopo Perosino, che già si esibiva con un repertorio di canzoni originali. Nel giro di due anni il progetto si è evoluto, arrivando a comprendere sette elementi e un numero indefinito di amici che hanno collaborato o collaborano nelle esibizioni live. Il nostro album “Lanterne”, uscito a fine 2014, è un po’ un giro di boa di questa creazione, un punto di svolta e una ripartenza verso tutto quello che verrà, sperando sia altrettanto divertente. La passione per la musica ci unisce nonostante si provenga da background musicali diversi. Questo è il segreto del progetto: condividere e volere esprimere un messaggio chiaro usando il linguaggio musicale, quello che più ci vede partecipi e, forse, più competenti. Noàis, un nome un po’ inglese e un po’ italiano… perché questa scelta? Noàis è l’italianizzazione della locuzione “No ice” cioè liscio, senza ghiaccio: il modo di gustare appie-

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no il buon whiskey. Il nome ci è piaciuto da subito, direi che ci rappresenta in qualche modo, se non altro per la ricerca della semplicità senza tralasciare i contenuti. Graficamente, poi, ci sembrava accattivante. La lingua, pur navigando all’interno di ciò che chiamiamo cantautorato, non è un problema. Cantiamo in italiano, in inglese, in francese e in vari dialetti del Mediterraneo; a volte i messaggi hanno bisogno di parole, altre di sole intenzioni e sensazioni. Avete parlato di grafica: non ho potuto fare a meno di notare che il vostro logo ha tutti font diversi... è vero che ognuno rappresenta un componente del gruppo? Ottima osservazione. In effetti si, sono cose che, un po’ seriamente, un po’ per gioco, pensiamo e facciamo con Simone, bassista e grafico del gruppo. La O è rossa, perché inizialmente Luisa, la violinista, era l’unica donna del progetto. I simboli non sono stati scelti, siamo noi che, con le peculiari caratteristiche personali, ci siamo visti accostati a un carattere piuttosto che un altro. Era scritto così. Quali sono le vostre ispirazioni musicali? Ognuno di noi arriva da bagagli, esperienze, gusti diversi ed etero-

genei. Mastichiamo e sputiamo tutto, come cantava De André, in un magma creativo che si traduce nelle nostre canzoni. Dalla chanson alla ballade, dal rock al blues, passando per folk e un pochino di sperimentazione. Insomma più facile da ascoltare che da descrivere. I testi di Jacopo, più che ad altri testi, si ispirano ad altre esternazioni artistiche: dalla poesia americana del ‘900 fino a Eduardo Galeano, per poi spaziare tra i quadri impressionisti francesi e la letteratura europea del XX secolo, senza tralasciare qualche balzo nella modernità. Due anni di lavoro per realizzare questo disco, “Lanterne”, com’è cambiato il vostro sound in questo tempo e come siete arrivati a questo risultato? Il nostro sound è cambiato enormemente e questo ci lascia ben sperare per il futuro. Le prime registrazioni erano cariche di forza ma vuote di risultato. C’era e c’è ancora da lavorare. In più c’è da dire che siamo tendenzialmente dei perfezionisti nella ricerca del risultato voluto e questo, a volte, ci porta anche a intavolare accese discussioni. Il disco ci ha messo alla prova, facendoci confrontare con un aspetto, quello della registrazione su supporto, oggi meno rilevante ma pur sempre importante della carriera di ognuno. Speranza, fragilità, solitudine,


INTERVISTANDO...

voglia di essere altrove, ci sono tanti volti in “Lanterne”; volete raccontarcene qualcuno in particolare? Una vostra canzone a cui siete particolarmente legati? Le Lanterne sono piccole scie luminose, a volte confortanti, altre ingannevoli. Sono fari guida per chi naviga oppure lampare per attirare i pesci nelle reti, sono torce per illuminare la via e scaldare il viandante, o luci che illuminano le stanze più buie e recondite della nostra anima. Nello specifico, fai riferimento a speranza, fragilità e solitudine che forse sono le tinte dell’ultima lanterna del disco: “Sudato e fragile”, che è anche il primo singolo estratto. Ne abbiamo fatto anche un videoclip molto emozionante ed è probabilmente, a oggi, la canzone che maggiormente ci tocca, insieme come Noàis, singolarmente

come individui per centinaia di motivi diversi. Siete nel pieno del vostro ‘Lenterne Tour’, come sta andando? A oggi suonare dal vivo è molto difficile sia per chi, come noi, è all’inizio sia per i “big”. I locali a disposizione sono sempre meno e spesso bisogna inventarsi degli stratagemmi per rosicchiare un po’ di spazio su un palco. Ci piacerebbe riuscire a suonare più spesso, ma per ora continuiamo a testa bassa a prendere tutte le occasioni che si presentano. Speriamo che i live si intensifichino: la nostra dimensione è il palco, il contatto con il pubblico. Creare una sinergia con la gente che ascolta penso sia una delle soddisfazioni più grandi che una

band riesca ad avere. Progetti per il futuro? Per ora portare in giro questo disco, farci conoscere e cercare di restare nella mente di qualcuno che non abbia mai sentito parlare di noi. Non nascondiamo che c’è già materiale per scrivere un nuovo album.

Angelica Magliocchetti

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ARTINTIME music@artintime.it

UNCLE BARD & THE DIRTY BASTARDS Un pub affollato, un palco carico di strumenti e l’attesa nell’ aria. È questo l’habitat naturale dei Uncle Bard & the Dirty Bastards! Un pubblico affezionatissimo si riversa a ridosso della band, sulle sedie, sui tavoli, ovunque non appena Guido Domingo (voci, chitarre acustiche) Lorenzo Testa (mandolino banjo tenore), Silvano Ancellotti (chitarre elettriche), Luca Crespi (uilleann pipes, tin whistle, flauto irlandese), Francesco Fabris ( batteria) e Roberto Orlando (basso) mettono piede sulla scena ritagliata ad hoc solo per loro. E si va, con una carica esplosiva, sulle note di pezzi storici del folk irlandese, ma anche di inediti, ci si trova proiettati in un autentico irish pub, tra balli, cori e brindisi. Gli Uncle Bard & the Dirty Bastards sono un vero uragano. La formazione prende piede nel 2007; a seguito dell’ immigrazione lavorativa di numerosi amici alla volta dell’Irlanda, infatti, i vari componenti del gruppo cominciano a entrare in contatto con la realtà, la cultura e il sound Irish. Una scoperta che diventa passione, tanto che un po’ per scherzo, un po’ sulla scia delle

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atmosfere irlandesi, nasce la band. E piace, parecchio. Tanto che nel giro di alcuni anni il gruppo si ritrova a suonare in pub fumosi, festival rock e celtici, e a dividere il palco con vere celebrità del genere come i Dropkick Murphys a Torino e Milano, gli irlandesi De Danann, Four Men and a Dog e Beoga, e con artisti della scena rock come i Volbeat e Jamie Clarke’s Perfect. Nel 2012 decidono di partire per un lungo, acclamato, busking tour tra Irlanda, Galles e Inghilterra. Una ventata di ispirazione, che vede anche l’ingresso nel gruppo di Luca Crespi (Uilleann Pipes, Tin Whistle, Irish Flute), fondatore degli Inis Fail e uno dei più conosciuti e apprezzati musicisti di Musica Tradizionale Irlandese. Questo ulteriore passo in avanti ha permesso alla band di espandere il repertorio e registrare il primo album (prima solo l’EP “ Up the Bastards”):”Get The Folk Out!”. Quindici tracce che testimoniano come gli Uncle Bard & the Dirty Bastards siano riusciti a crearsi un sound originale, senza tradire l’anima del folk irlandese : non un mero intrattenimento, dun-

que, ma quel sound che racconta storie di vita vera in modo semplice e coinvolgente. “È così eccoci qui, dopo anni... ancora a vagabondare, ancora a suonare. E sicuramente ormai... siamo troppo vecchi per fermarci ora “ Da ascoltare. Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

UNA PLANATA PER VOLARE Sono tanti i pensieri che si intrecciano nel lettore una volta girata l’ultima pagina de “La planata”, esordio italiano di un’autrice olandese che ha molto da raccontare anche per il pubblico più mediterraneo. Perché, innanzitutto, in questo romanzo si parla di quelli che noi conosciamo come Paesi Bassi: l’ambientazione della storia è il polder olandese, quella striscia di terra prosciugata dalle acque tramite sistemi di dighe che leggiamo nei libri di geografia. Muovendoci in questo spazio scopriamo la storia di uno strano territorio sottratto al mare e liberato dall’acqua grazie a immensa fatica umana e grandi pompe meccaniche. Sottratto al mare, ma sottratto poi anche all’uomo che lo ha abitato e reso vivibile a causa dei problemi legati allo sviluppo umano delle infrastrutture e, di conseguenza, all’ecologia, tema centrale nel romanzo. I protagonisti vivono infatti ai margini di un aeroporto: la pista ha spazzato via parte della natura circostante con la sua striscia di asfalto, il traffico aereo inquina l’ambiente acustico e cambia in varie maniere il modo di vivere, elettrizza i capelli, disturba il sonno, svaluta le case e la cittadina portando via gran parte dei suoi vecchi abitanti. Gieles, la sua famiglia e altri sfaccettati personaggi raccontati in questa storia resistono, confrontandosi coi problemi, da quelli minimi a quelli gravi, che la situazione complessa comporta. Una natura tutt’altro che stabile e ridente, quella di questo romanzo,

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della quale vengono evidenziati risvolti e problemi non banali, ma ai quali spesso non pensiamo perché distanti, nella geografia e nelle abitudini: ecco il primo punto di forza introdotto dalla Goemans. Aeroporto significa voli, viaggi, partenze e ritorni. Tutto il romanzo è permeato dal tema del volo, reale e metaforico. Protagonista della storia è il già citato Gieles, un quattordicenne un po’ perso, un po’ insicuro, ma anche forte e buono, come ogni ragazzino in crescita che si rispetti. Contornato da una strana famiglia in cui il padre è impegnato a scacciare i volatili dalla pista d’atterraggio e lo zio sostituisce in parte la madre, impegnata in missioni umanitarie in Africa e sempre distante e assente, Gieles si dedica all’addestramento delle sue oche, a cui è estremamente affezionato e le cui caratteristiche studia e conosce nei dettagli. La sua idea, vero motore della storia, è un piano segreto che si snoderà lungo le pagine del romanzo, ispirato un po’ alla vicenda americana del comandante Sully, meritevole di aver fatto atterrare un volo in avaria sul fiume Hudson, un po’ alla celebre scena di “Indiana Jones e l’ultima crociata” in cui Sean Connery abbatte l’aereo nazista muovendo un ombrello contro uno stormo di uccelli. A complicare, cambiare, mettere a rischio l’allestimento e la messa a punto di questo piano-sorpresa, sogni, speranze e primi turbamenti amorosi di un adolescente di cui l’autrice non ci risparmia l’attenta esplorazione, a

tratti tenera e divertente. A sottoporre a diverse prove di passaggio Gieles ci sono Meike, la ragazzina ribelle che conosce su internet e che, da sogno virtuale, diventa realtà complicata ma anche molto attraente e interessante. E poi c’è Super Wailing, straordinario, complesso, delicato e al contempo debordante personaggio al centro della storia. È attraverso la sua conoscenza, che poi sfocerà in amicizia, che Gieles riesce ad affrontare imbarazzo e paura, crescendo e maturando una sensibilità e uno sguardo verso gli altri molto più adulto degli sciocchi e superficiali impulsi della maggior parte delle persone. Attraverso Wailing ci viene narrata, sotto forma di romanzo nel romanzo, la storia del polder e della sua creazione, ed è sempre con questo personaggio che ci addentriamo in storie passate di aerei e planate, di infanzie stravolte e grandi rivoluzioni, che sono poi gli assi portanti dell’intero romanzo. Un romanzo che è certamente una classica storia di formazione, arricchita però da un impianto narrativo accorto, mai banale e ricco in passaggi, intrecci da risolvere, personalità da scoprire e prendere in simpatia con un finale atteso ma, ancora una volta, sorprendente per forza emotiva. La planata, tanto sognata e sperata, arriverà solo nelle ultimissime pagine e il suo comandante, il giovane Gieles, potrà garantire al suo bizzarro e colorato equipaggio un salvataggio estremo quanto necessario, rischioso quanto ancor più tanto invocato. E poco importa, allo-


BOOKS ra, se durante il volo simbolico rappresentato dall’intera storia ci sono state perdite, errori e ingenuità: alla cloche c’era un giovane addestratore di oche determinato quanto piccolo, buono quanto confuso, ma desideroso dell’unica cosa capace di far superare ogni ostacolo, un po’ di amore. Da parte di Meike, come tutti immaginiamo, ma soprattutto da parte di una madre impegnata a salvare i figli altrui e a perdersi negli orrori del mondo invece di godere a pieno delle bellezze del proprio piccolo giardino e della propria famiglia.

A lessandra Chiappori

«“Boh, non lo so. Non mi piacciono molto, qui sembra tutto uguale, andando a fare la spesa per Dolly mi sono già persa un paio di volte.” “Esatto!” esclamò Super Waling. “Hai detto benissimo: quello che tirano su qui non suscita nessuna emozione. La gente si perde in continuazione. Si perde perché a questa terra è stata strappata l’anima. È stata edificata senza sentimento. Bah.” “Zio Fred dice che non si possono fermare le cose, che tutto cambia”, intervenne Gieles sbadigliando dal sedile posteriore.» La planata, Anne-Gine Goemans, Iperborea, 2014.

ANNE-GINE GOEMANS Esordio italiano con questo lavoro tradotto da Cecilia Casamonti per Anne-Gine Goemans, autrice olandese, giornalista e insegnante di giornalismo alla Hogeschool Utrecht. La penna della Goemans non si cimentava per la prima volta con la narrativa, avendo vinto nel 2008 l’Anton Wachterprijs per il miglior romanzo d’esordio con “Ziekzoekers”. “La planata”, nominato per il Libris e il BNG-Literatuurprijs, ha vinto il premio Dioraphte, sta per essere adattato in un film ed è giunto in Italia grazie a Iperborea facendoci scoprire questa interessantissima voce nordeuropea.

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ARTINTIME movies@artintime.it

NEW YORK AT NIGHT IN 3454 OIL PAINTINGS Prendi 3454 dipinti a olio su New York di notte, o meglio ancora sulle sue luci, mettili in successione uno dopo l’altro e ottieni un cortometraggio… magico. No, non è l’ultima trovata del noto programma Art Attack e nemmeno la parodia di Muciaccia fatta da Fiorello. L’artista Zachary Johnson ha fatto proprio questo, ha raccolto tutte le sue opere sulle luci di New York e ha deciso di creare un cortometraggio animato per accompagnare la canzone dei The Sea The Sea, “Waiting”, realizzando così “New York at night in 3454 oil paintings”. L’effetto ottenuto è alquanto singolare, in un primo momento l’occhio distingue a fatica le sagome rappresentate, tutto sembra composto da macchie informi, rossi, bianchi e neri che si alternano senza logica, sconfinando l’uno nell’altro senza regole. Man mano lo sguardo dello spettatore si abitua, ma allo stesso tempo gli oggetti rappresentati prendono forma e ci ritroviamo magicamente nel traffico di New York, lo vediamo attraverso diversi punti di vista: dall’interno di un finestrino, dalla strada, dall’alto. Vediamo automobili, camion, ambulanze. La città nella notte, quando le luci si accendono e danno vita alle ombre, è sempre affascinante, ha in sé allo stesso tempo qualcosa di magico e qualcosa di estrema-

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mente spaventoso. Si passa quindi a un successivo step, dopo la scritta “Waiting”, rossa su sfondo nero, le immagini virano al grigio e nero, un grigio che ha del bianco sporco, intriso di smog, ma che affascina lo spettatore. Siamo a bordo di un’auto e ci muoviamo velocemente attraverso le vie della grande mela, vediamo gli alti palazzi con le finestre illuminate a giorno, i marciapiedi e ancora auto, auto, auto. C’è qualcosa dell’impressionismo nelle sue opere, nelle sue pennellate, c’è quel senso di non finito, di colori che si abbracciano gli uni agli altri armonizzandosi e riproponendo vedute di New York. Ritorna il rosso e con lui le insegne dei taxi e dei negozi, la città che non dorme mai è viva in ogni dipinto, in ogni pennellata, ma a New York non ci sono solo luci, iniziano a comparire anche le persone che si accalcano lungo le strade, persone vere che vivono New York, che la popolano, la abitano. Abbiamo da poco spento le luci di Natale, Zachary Johnson ci dimostra che in questa città che tutti sognano, le luci non si spengono mai, sono le luci della quotidianità, forse meno affascinanti perché le vediamo tutti i giorni e sono sempre uguali a se stesse, eppure attraverso questi dipinti riesce a reinterpretare e a donare loro prospettive differenti. Sono davvero il punto di

riferimento nella notte newyorkese, un faro in mezzo al buio che racconta, scrive e dettaglia la città. “New York at night in 3454 oil paintings” di Zachary Jonhson è un viaggio, un’esperienza di visione, di rivisitazione di quello che solitamente viene tacciato come inquinamento luminoso, quella luce artificiale che fa comparire diverse le città ma che allo stesso tempo ci racchiude in una calotta luminosa che non ci permette di vedere le stelle. Eppure la poesia esiste anche nelle luci di New York e questo cortometraggio lo ricorda continuamente allo spettatore. Un lavoro estremamente ambizioso che merita di essere visto e rivisto più volte per lasciarsi affascinare dipinto dopo dipinto. Può la pittura trasformarsi in film? Penso che Zachary Johnson sia riuscito a darci la risposta, riuscendo a unire arte, cinema e anche musica. Più “ArtInTime” di così, credo non esista nulla.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME events@artintime.it

MENDICINO CORTO

CASTRO FILM FESTIVAL

ARTUSI JAZZ FESTIVAL

Nona edizione per il festival internazionale del cortometraggio “Mandicino Corto”, kermesse che si propone di valorizzare la ricerca cinematografica, la sperimentazione, la produzione di giovani autori e registi indipendenti. L’evento avrà luogo dal 28 dicembre al 5 gennaio a Mendicino (CS), dove saranno presentati documentari, corti e lungometraggi a tema libero, che saranno giudicati dalla giuria di esperti e dal pubblico presente all’evento. Per maggiori informazioni sul programma della rassegna visitate www.mendicinocorto.it.

A Castro (LE) dal 2 al 4 gennaio si svolgerà una nuova edizione del “Castro Film Festival”, concorso di cortometraggi e documentari nato con lo scopo di promuovere e valorizzare nuovi linguaggi cinematografici. Le opere selezionate concorreranno in tre sezioni competitive: cortometraggi con soggetto a tema libero, documentari su ambiente, paesaggio e tradizioni, video per il web realizzati e diffusi nell’anno 2014. Per avere maggiori informazioni sugli appuntamenti in programma visitate castroturismo. it o la pagina facebook dell’evento.

Torna anche quest’anno l’appuntamento invernale con l’”Artusi Jazz Festival”, rassegna dedicata al jazz contemporaneo, che dal 2 al 4 gennaio ospiterà alcuni dei più apprezzati musicisti italiani di genere. L’edizione sarà dedicata al sassofono e al suo inventore, Antoine-Joseph Sax, di cui ricorrono i duecento anni dalla nascita. Tra gli artisti che si esibiranno Mattia Cigalini, Enrico Zanisi, Francesco Bearzatti, Mario Marzi e molti altri ancora. Maggiori informazioni sul calendario della manifestazione sono disponibili sul sito www. artusijazzfestival.com.

MAAZENI FILM FESTIVAL

TRIESTE FILM FESTIVAL

OFF

Dal 3 al 4 gennaio si svolgerà la seconda edizione del “Maazzeni Film Festival”, il concorso cinematografico nazionale dedicato a corti e mediometraggi indipendenti della città di Paternò, in provincia di Catania. La rassegna, che sarà ospitata presso il magazzino “O Maazzeni”, presenterà le opere selezionate per il concorso e premierà le migliori pellicole attraverso una giuria di esperti e il giudizio del pubblico presente alle due giornate di manifestazione. Per informazioni sul programma della rassegna visitate www.maazzenifilmfestival.it.

Dal 16 al 22 gennaio si terrà la ventiseiesima edizione del “Trieste Film Festival”, kermesse internazionale che come ogni anno ospiterà concorsi di lungometraggi, cortometraggi e documentari, oltre a eventi speciali, proiezioni fuori concorso, incontri con gli autori, performance e concerti. Non mancherà inoltre “Cinema Zones” che quest’anno sarà riservata alle più recenti produzioni del Friuli Venezia Giulia e “Italian Screenings”, uno sguardo sulla produzione indipendente nazionale. Per conoscere il programma completo della rassegna: www.triestefilmfestival.it.

Organizzato dall’Associazione Montagna Italia, dal 17 al 24 gennaio, si svolgerà la nona edizione del “Orobie Film Festival”, rassegna cinematografica internazionale dedicata al documentario di montagna e al film a soggetto. L’evento presenterà un concorso cinematografico comprendente tre sezioni competitive incentrate sui temi della valorizzazione delle Alpi e delle bellezze della Lombardia, della promozione del patrimonio tradizionale nazionale e della scoperta delle terre alte del mondo. Per maggiori informazioni: www. montagnaitalia.com.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

ARTEFIERA

AREZZO COMICS

VERONA JAZZ WINTER

Dal 23 al 26 gennaio, presso BolognaFiere, si svolgerà “Artefiera - Fiera Internazionale d’Arte Moderna e Contemporanea”. L’evento radunerà le più importanti Gallerie d’Arte Internazionali, i migliori rappresentanti dell’arte moderna e contemporanea, esperti, curatori, collezionisti e appassionati. Una trentanovesima edizione ricca di incontri e appuntamenti in cui esplorare le nuove frontiere dell’arte e del suo mercato, del collezionismo e del mecenatismo. Maggiori informazioni sull’evento sono disponibili sul sito www.artefiera.bolognafiere.it.

Organizzato dall’Associazione Culturale Kolosseo, il 24 e 25 gennaio presso il Arezzo Fiere e Congressi, torna l’appuntamento con “Arezzo Comics”, la mostra mercato del disco e del fumetto usato e da collezione. L’evento comprenderà un’ampia esposizione di dischi, dvd, fumetti, figurine, videogames, modellini e oggettistica di culto, aperta ad appassionati, collezionisti e semplici curiosi. Non mancheranno inoltre incontri con autori e professionisti del mondo del comic. Per maggiori informazioni sul programma dell’evento: www.kolosseo.com.

Dal 24 gennaio al 27 febbraio presso il Teatro Ristori torna l’appuntamento invernale con il “Verona Jazz Festival”, rassegna che ogni anno riunisce grandi nomi del jazz internazionale. Tra gli artisti che si esibiranno Enrico Rava e Stefano Bollani, che inaugureranno la prima serata di evento, Fabrizio Bosso e Javier Girotto, Alessandro Lanzoni Trio, Chiara Civello, Diego El Cigala, Parco della Musica Jazz Orchestra e molti altri ancora. Per conoscere il programma completo delle quattro giornate di rassegna visitate www.teatroristori.org.

DIECI MINUTI FILM FESTIVAL

DIECI MINUTI FILM FESTIVAL

NEBBIAGIALLA SUZZANA NOIR FESTIVAL

Decimo appuntamento con la rassegna cinematografica internazionale “Dieci Minuti Film Festival”, che dal 27 al 31 gennaio presenterà al pubblico una ricca selezione di cortometraggi che concorreranno nelle sezioni competitive “Official Selection”, “Extralarge”, “Animations”. L’evento, promosso dall’Associazione culturale IndieGesta, si svolgerà presso il Cinema Antares di Ceccano (Fr), dove, oltre alle proiezioni, sarà dato spazio a giovani registi emergenti, incontri ed eventi speciali. Per informazioni e approfondimenti visitate dieciminutifilmfestival.wordpress.com.

Organizzato da Cisco Italia torna anche quest’anno l’appuntamento con ”Internet of Everything Italian Forum”. L’evento, che si svolgerà il 28 gennaio presso il MiCO, Centro Milano Congressi, sarà sviluppato sul tema “Crescere Digitaliani - Internet, il cambiamento continua” e presenterà le nuove possibilità di connessione con persone e dati, le nuove opportunità di crescita e innovazione. Una seconda edizione che cercherà di scoprire come stia crescendo in Italia l’Internet of Everything. Per maggiori informazioni su programma e speaker: www.ioeforum.it.

Dal 30 gennaio al 1° febbraio a Suzzara, in provincia di Mantova, si terrà la nona edizione del “NebbiaGialla Noir Festival”, rassegna nazionale dedicata alla letteratura noir e al giallo ideata e diretta dallo scrittore Paolo Roversi. La manifestazione presenterà al pubblico le ultime produzioni letterarie e noti autori di genere, ed esplorerà la scrittura del mistero attraverso molteplici incontri letterari e confronti. Per conoscere ospiti ed eventi in programma visitate hotmag.me/nebbiagialla o la pagina Facebook dell’evento.

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