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IN TIME n.1 - Gennaio 2014
ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS
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ARTINTIME L’EDITORIALE “La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l’equilibrio devi muoverti”. Lo diceva niente meno che Albert Einstein nella “Lettera al figlio Eduard”. Era il 1930 e, allora come oggi, ci sembra di poter dire con sicurezza che è proprio così: lo era ieri, nel solco di un decennio del Novecento che avrebbe portato a una sanguinosa guerra mondiale, e lo è oggi, in quello che i libri di storia forse racconteranno come il periodo della grande crisi che ha aperto il primo decennio degli anni duemila. Crisi, precarietà, assenze e ricerche, fragilità, castelli che crollano o nemmeno si elevano: questione di equilibri. Di equilibrismi. Che non sono nient’altro che i nostri, quelle piccole grandi azioni eroiche che strutturano il nostro quotidiano, gli incastri di impegni, il tetris costante per riuscire a fare tutto al meglio, perché di quel tutto c’è estremo bisogno. Treni in corsa che ci lambiscono e sembrano – o forse sono, chissà – indispensabili per la nostra carriera, esistenze che ci sorpassano e dietro alle quali corriamo, vittime di una sindrome di inferiorità di cui nemmeno ci rendiamo conto, e che fa ormai parte del nostro dna sociale. Poi, un caldo giorno di dicembre, con il sole dorato tra le foglie dei castagni, capita di vedere una ragazza, artista di strada, che fa volteggiare in aria oggetti. Una giocoliera, equilibrista di palline colorate. E colorata è anche lei, nei suoi abiti, nel tappeto di farfalle che ricopre il muro retrostante, nel cappotto multicolore che qualche altro artista ha messo ai lampioni, lungo la strada. È un po’ maldestra all’inizio, quando ancora si deve scaldare, ma poi eccola che inizia a prendere il ritmo, comincia a muoversi. E così va, accelerando, mentre le palline si succedono stagliandosi contro il cielo e i nasi dei passanti si volgono all’insù, divertiti e affascinati. In fondo non è niente di speciale: è una ragazza come tante altre, una ragazza “normale”, che ha deciso di mettersi in gioco, dunque gioca. Per mantenere costante il suo equilibrio, le sue palline che rimbalzano di mano in mano e la sua vita, che forse è bella e facile, ma forse incespica, anche lei, ha momenti di difficoltà, sembra cadere, si riprende appena in tempo, e poi volteggia ancora… Per mantenere il suo equilibrio si muove. È l’unica via. Anche noi ci stiamo muovendo, ormai lo sapete: non abbiamo mai smesso di farlo, sul palcoscenico dal quale ci leggete, ma anche dietro le quinte, nella grande officina invisibile che costituisce il vero motore di Artintime. È lì che si sente, a onde, un roboante incedere, come quello delle rotative, dalle quali schizzeranno in perfetto ordine impilato copie di giornali freschi di stampa. Serve tanto equilibrio per arrivare a questa perfezione, un equilibrio che ha i suoi rischi, le sue salite, i suoi problemi. Ma se capita ogni tanto che anche una pallina cada, non è giusto farne un così grande cruccio: è una cosa che svilisce un po’, certo, ma quella pallina la si raccoglie, e con nuovo vigore, forza, talento e convinzione, si va avanti. Artintime va avanti così, proponendovi, da questo mese e con il nuovo anno, una “copertina d’artista”. A inaugurare l’iniziativa è il tenerissimo Ale Puro, street artist e illustratore, di cui potete curiosare il blog http://alepuro.weebly.com, che ha realizzato per noi la copertina del mese di gennaio. Vi piace? A noi tantissimo! È vero: bisogna muoversi, per mantenere l’equilibrio. Noi la pensiamo così, per questo vi e ci dedichiamo questo incoraggiante invito al movimento sul numero di Artintime che inaugura il nuovo anno: per un 2014 di impegno, successo, gioia, ma soprattutto di equilibrio in movimento! Alessandra Chiappori
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ARTINTIME SOMMARIO 6 . PASSENGER by Angelica Magliocchetti
8 . LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE by Francesca Cerutti
10. SFIGGY - ALESSIO BOLOGNESI by SQUARE 23
12. SORELLE D’ARTE, E DI VITA by Alessandra Chiappori
14 . I MAGNIFICI VENTICINQUE DELLA PINACOTECA AGNELLI by Roberta Colasanto
16 . UN’IMPRESA CULTURALE PER RIGENERARE IL TERRITORIO by Barbara Mastria
18 . I LIBRI NON SI BRUCIANO, SI LEGGONO! by Alessandra Chiappori
20 . LA STANZA DI GRETA by Angelica Magliocchetti
22 . L’ORCHESTRAZIONE TRA LE RIGHE by Alessandra Chiappori
24 . THE VINTAGE FLAIR OF REDUNDO by Cristina Canfora
26 . GABRIELE BURATTI BUGA by Spazio San Giorgio Bologna
28 . PASSER PASSER: THE SOUND OF CITY by Francesca Cerutti
30 . EVENTS by Anna Moschietto
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ARTINTIME music@artintime.it
PASSENGER Una serie di note che si rincorrono. Gioiose. Un po’ Country, umoristiche e scanzonate. È questo l’intro di “Staring At The Stars” di Michael David Rosenberg, in arte Passenger. Il ventinovenne cantautore britannico per quanto giovane ha alle spalle un percorso musicale di tutto rispetto. La sua carriera prende il volo nel 2007 come voce e autore del gruppo Passenger, che realizzerà un unico album “Wicked Man’s Rest” prima di sciogliersi definitivamente. Ereditando il nome d’arte del gruppo, per Michael inizierà una prolifica scalata nel panorama musicale mondiale: dopo un periodo in Australia, dove porterà la sua arte per le strade in veste di busker, avrà l’occasione di suonare al seguito di artisti famosi nel panorama locale australe come Lior o Elana Stone. C’è tutta l’ispirazione di questo primo salto nel vuoto da solista nell’album di debutto del cantautore Passenger: “Wide Eyes Blind Love”. A un solo anno di distanza dal primo lavoro, con base sempre in Australia, Passenger fa uscire il suo secondo EP, “Flight of the Crow”, che vede la partecipazio-
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ne di numerosi artisti della scena indipendente locale e nello stesso anno produce un’edizione limitata solo per i fans di “Divers and Submarines”. Nel 2012 parte per un lunghissimo tour che lo porterà a spasso per tutta la Gran Bretagna, offrendogli l’occasione di aprire gli spettacoli di artisti quali Jools Holland o il giovane talentuoso Ed Sheeran. Lasciato il Regno Unito, trascinato dal nuovo successo ottenuto, il cantautore britannico si ritroverà dapprima sul palcoscenico parigino e poi nel nord America, dove, presso l’etichetta Nettwerk Records, registrerà il suo ultimo lavoro: “All the Little Lights”. L’album ottiene immediatamente un’ottima risposta dal pubblico, grazie anche alla presenza del singolo “Let her go”, una ballata dolcissima sulla capacità di saper apprezzare le cose finché si hanno, soprattutto quando si parla di qualcuno, soprattutto quando si parla di amore. Il resto dell’album mostra tutte le capacità del cantautore inglese, passando agilmente dai ritmi più scherzosi, quasi festanti, alle melodie più in-
trospettive e delicate. È il caso della riflessiva “Things That Stop You Dreaming”, inno a cambiare, per diventare quello che si vuole, o di “Wrong Direction” con un sax ad alleggerire e dare un tono scanzonato a strofe di una leggerezza spiazzante: “It seems i’ve been running in the wrong direction ohh”. Non si può aggiungere altro; il nuovo tour dopo aver portato Passenger in Irlanda lo vede ora in Nuova Zelanda, ma per chi resta in Italia incrociando le dita per poterlo ascoltare dal vivo o per chi, nell’attesa, volesse saperne di più, consiglio di farsi cullare dalla melanconica “Circles”, di ondeggiare a tempo sulle note in crescendo di “Keep On Walking” e di caricarsi di energia con “Holes”. Insomma, di lasciarsi travolgere dalla musica di Passenger. Un viaggio che vale la pena. So, Enjoy!
Angelica Magliocchetti
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ARTINTIME movies@artintime.it
LA MAFIA UCCIDE SOLO D’ESTATE Vestirsi da Andreotti per carnevale non è da tutti e lo sanno bene gli amici di Arturo (Pif) che il giorno della festa vedono il loro amico arrivare a scuola travestito in modo alquanto singolare. È un vampiro, un gobbo? Nessuno lo capisce. Ma Arturo è pienamente cosciente, nei limiti della sua fanciullezza, del personaggio che sta interpretando: è il presidente del consiglio, e spera vivamente che quel look possa assicurargli le considerazioni di Flora (Cristiana Capotondi), la dolce compagna di scuola di cui è segretamente innamorato. Questa è una delle scene più divertenti del primo film di Pif, “La mafia uccide solo d’estate”. Presentato in concorso al Torino Film Festival 2013, l’opera prima di questo giovane regista ha come obiettivo quello di raccontare la mafia vista dagli occhi di un bambino. Quando si è piccoli si tende a leggere la realtà attraverso le lenti della fantasia, niente è quello che sembra, tutto è più magico e meno spaventoso di quello che realmente è. La vita di Arturo si è da sempre intersecata con le vicende della mafia a Palermo, dalla prima notte di nozze dei genitori - data del suo concepimento, ma data anche importante per Cosa nostra - fino ai primi giorni di scuola, alla nascita del fratellino, alla prima e unica cotta e alla
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scoperta delle Iris, prelibati dolci palermitani che gli vengono presentati da Boris Giuliano, investigatore della Polizia di Stato e capo della Squadra Mobile di Palermo. Arturo cammina attraverso le stesse strade che percorre quotidianamente la mafia, senza saperlo passa accanto a personaggi pericolosi, Andreotti diventa il suo mentore e sogna di fare da grande il giornalista, aiutato anche dall’inquilino-giornalista che abita nell’appartamento del nonno. “La mafia uccide solo d’estate” appartiene a quella serie di film che riescono a trattare con la leggerezza di un bambino tematiche scottanti: Pif ripercorre gli anni ’80 e ’90 dell’Italia e lo fa attraverso gli occhi innocenti di chi non capisce la gravità della situazione, attraverso una famiglia che sembra non sapersi schierare di fronte a questi omicidi, “la mafia uccide solo d’estate” dice ad un certo punto il papà di Arturo mentre dà la buonanotte al figlio, una frase che lascia comprendere come egli non voglia affrontare quel discorso, forse non vuole turbare il bambino, non vuole rivelargli la triste e tremenda realtà in cui stanno vivendo, ma Arturo non è sciocco. Scene di vita quotidiana e romanzata si intersecano con filmati d’epoca, funerali di poliziotti, servizi dei telegiornali sugli omicidi di Falcone e Borsellino, fino al più grave degli
omicidi, quello del generale Dalla Chiesa, che Arturo riesce a intervistare pochi giorni prima della sua morte. Questo episodio, insieme a quello della morte del procuratore della iris, sono i due momenti in cui il bambino prende maggiormente coscienza della situazione: iniziano a crollare i suoi miti, Andreotti non è l’uomo che pensava, non si è presentato al funerale di Dalla Chiesa e preferisce andare ai battesimi piuttosto che alle cerimonie funebri. Sono molti gli omicidi avvenuti durante l’infanzia di Arturo e Flora, che è innegabilmente l’infanzia vissuta dallo stesso Pif. Simbolica è la morte di un personaggio che viene ben caratterizzato nel film: si tratta di Rocco Chinnici, magistrato ucciso nel luglio del 1983, che Pif sceglie di far risiedere nello stesso stabile della ragazza di cui è innamorato. Dopo il periodo dell’infanzia, conosciamo Arturo in versione adulta, un giovane che non riesce a trovare un lavoro e che non sa cosa fare della sua vita, un ragazzo che fatica a divenire adulto in una Palermo che sembra non essere in grado di offrirgli un posto e soprattutto un’identità. Il suo sogno di fare il giornalista sembra essersi spento tempo prima, Flora, si è trasferita in Svizzera con la famiglia, è rimasta presente nei suoi sogni e spera di poterla rincontrare. In concomitanza con il lancio
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della campagna elettorale della Democrazia Cristiana, Arturo incontra nuovamente Flora: lei lavora per La Torre, è la sua assistente, e insieme stanno cercando dei giovani per raccontare la DC. È l’occasione giusta per Arturo per dimostrare le sue abilità di giornalista e per poter stare a contatto con Flora. “La mafia uccide solo d’estate” racconta la storia di Palermo, della Sicilia, dei suoi personaggi, di quei nomi che hanno segnato indelebilmente la Storia dell’Italia, uomini e donne che si sono messi in prima fila contro la mafia, che hanno cercato di ostacolarla e fare giustizia mettendo a rischio la propria vita. Un film didascalico che pone accanto a scene forti e crude anche momenti di ilarità, “La mafia uccide solo d’estate” è vita, quella di Arturo, quella di Palermo, quella dell’Italia. Sono
cartoline, ricordi che non bisogna dimenticare, ogni fotogramma è stato creato per testimoniare, per urlare il proprio “No” alla mafia, il tutto in perfetto stile Pif, che ci ricorda la sua natura, non solo di regista e attore, ma anche di uomo di televisione e autore della celebre trasmissione “Il testimone”. Un’opera prima davvero molto interessante, curata nel dettaglio, vincitrice del premio del pubblico come miglior film al Torino Film Festival 2013.
Francesca Cerutti
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POP-ART popart@artintime.it
SFIGGY - ALESSIO BOLOGNESI È un esserino tutto bianco, piuttosto sfigato, ma divertente e ironico. Il suo nome è Sfiggy ed è il personaggio alter-ego creato, inventato e sviluppato da Alessio Bolognesi. Sfiggy ha una sua storia e una propria personalità che integra e completa quella del suo ideatore. La sua vita è fatta di momenti felici e tristi, di successi e di difficoltà, di salute e di infortuni, di riso e pianto. Le sue avventure sono ritratte in dipinti su tela dal carattere pop, ma con una forte componente derivante dalla street art e dal fumetto. È impossibile rimanere indifferenti a Sfiggy e alle sue azioni. Irriverente, sfortunato ma vendicativo, prende in giro miti e falsi miti e non si prende troppo sul serio, giocando a smontare chi è osannato e idolatrato dai
più, come dimostrano le opere sui grandi maestri della Pop Art e gli attacchi ai personaggi dei cartooons, da Hello Kitty accoltellata nel centro di Treviso al fantoccio impiccato sul ponte di Sabaudia. Le avventure passate, ma anche quelle presenti e future del personaggio sono illustrate, oggi, su carta antica dal “papà” di Sfiggy. Dopo uno studio sul corpo e la sua stilizzazione, Alessio Bolognesi si dedica completamente al suo personaggio, icona e al contempo vittima. L’artista è rappresentato dalla MAG di Como, Art for Interior di Milano, Square23 di Torino, Spazio San Giorgio di Bologna e Spazio Bevacqua Panigai di Treviso; figura tra i vincitore del Premio Ora 2012 selezionato dalla Galleria Federica Ghizzoni di Milano.
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ARTINTIME books@artintime.it
SORELLE D’ARTE, E DI VITA Un romanzo narrato per episodi e sensazioni, e tutto, rigorosamente, in seconda persona. Strategia insolita, curiosa, forse anche di difficile comprensione appena aperto il libro, ma fondamentalmente intima, perché nessuno si presenta a noi lettori mentre le pagine di “Vanessa e Virginia” scorrono, siamo noi stessi a dover entrare piano piano, silenziosamente, nella storia. Nelle stanze di una benestante famiglia inglese di epoca vittoriana, un ambiente nel quale conosciamo gradualmente loro, le due protagoniste, Vanessa e Virginia, due tra le sorelle e i fratelli di una famiglia che, all’inizio, non sappiamo collocare, non riusciamo a etichettare. Ma poi arrivano i nomi delle due sorelle, e allora un po’ di luce ci indirizza alla soluzione: non sono due sorelle qualsiasi, sono la pittrice Vanessa e la ben più nota scrittrice e intellettuale Virginia Woolf. Sorelle diversissime tra loro ma sempre unite, nella vita, così come nell’arte. Una, Virginia, abile intessitrice di parole fin da piccola, futura e celebre autrice morta suicida, l’altra, di più mite e pacata indole, amante dell’arte e lei stessa pittrice. È lei, Vanessa, che ci accompagna nella dolce scoperta di questo rapporto tra sorelle, mostrandocelo attraverso i suoi occhi, quelli dell’artista e delle pennellate di colore, attraverso le sue emo-
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zioni, le proprie e quelle maturate nei confronti della sorella, verso la quale nutre un legame intenso, che si mantiene saldo nonostante il carattere dirompente di Virginia. Eppure non è una biografia: nulla della vicenda delle due donne è raccontato per essere messo nero su bianco, l’intento dell’autrice è semplicemente presentarci le protagoniste, i loro caratteri, il loro legame. Raccontare la storia di due sorelle, due sorelle speciali. Certo, dalle tormentate vicende familiari che lambiscono i pensieri e la visione di Vanessa fin dalla più giovane età, capiamo tante cose sulla biografia e la tragica e complessa vita di Virginia Woolf, il personaggio pubblico che tutti conosciamo. Tra invenzione e dati concreti, Susan Sellers romanza la storia di due vite vere, e così prendono forma pensieri sulle concrete immagini delle riunioni degli intellettuali riuniti intorno al Circolo di Bloomsbury, che avrebbe poi avuto impatto su tutta la cultura europea del secolo scorso, sul rapporto delicato e intenso di ciascuna delle due sorelle con l’arte. Virginia, abile giocoliera di parole fin dall’infanzia, Vanessa più defilata e dedita a silenzi davanti alla tela. Si succedono in questa narrazione di Vanessa le scene della vita familiare e personale delle due sorelle, ogni capitolo un periodo, una situazione, una tappa, una crescita. Ed è una
vita che scopriamo essere difficile fin da presto per Virginia, che dopo i numerosi lutti in famiglia cade vittima della sua prima crisi depressivo-nervosa. La voce di Vanessa non spiega niente: siamo noi a capire cosa sta succedendo a Virginia, e ad anticipare la storia, conoscendone i tristi risvolti biografici. La narrazione resta invece ancorata agli affetti, come una lettera a cuore aperto, che svela dettagli forse inesistenti per tutti gli altri, forse condivisi solo tra due sorelle, cresciute insieme e, ancora una abbracciata all’altra, trovatesi troppo presto ad affrontare ostacoli improvvisi e battaglie che avrebbero segnato un’epoca di fermento culturale. C’è l’Inghilterra del primo Novecento tra le pagine di questa delicata e al contempo intensa storia, le coordinate di quel mondo ci sono chiaramente fornite fin dall’inizio. Per il lettore, l’esplorazione vera e propria riguarda invece le personalità delle due donne protagoniste, di chi parla e racconta le proprie sensazioni e pensieri, e di chi osserva quella che diventerà Virginia Woolf dietro le quinte della sua fama e della sua notorietà, inserendone comportamenti, atteggiamenti e ripetute crisi nervose in un affresco che solo un affetto grande e condiviso come quello di una sorella potrebbe costruire. E capire.
A lessandra Chiappori
BOOKS “C’era una certa supponenza nella nostra complicità. Non avevamo riferimenti al di fuori di noi stesse, nessuna guida che ci indicasse la strada, nessun controllo sulle nostre fantasie e sulle nostre illusioni. Eravamo spietate fustigatrici dei difetti altrui. Passate nel torchio del tuo genio descrittivo, le debolezze e le manie di chi ci circondava diventavano puntelli su cui appoggiare l’immagine precaria che avevamo di noi stesse.” “Vanessa e Virginia”, Susan Sellers, Beat, 2013.
Susan Sellers Non stupisce che proprio di Virginia Woolf abbia voluto parlare quest’autrice alla sua prima opera narrativa lunga: Susan Sellers è infatti una ricercatrice nel campo dei gender studies e della letteratura femminile, e di Virginia Woolf cura attualmente le edizioni critiche delle opere per niente meno che la Cambridge University Press. Attualmente insegna letteratura inglese alla St. Andrews University. Dal suo romanzo è stato tratto uno spettacolo teatrale andato in scena con grande successo a Londra fino alla scorsa primavera.
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ARTINTIME unclassicart@artintime.it
I MAGNIFICI VENTICINQUE DELLA PINACOTECA AGNELLI I Torinesi conoscono molto bene il Lingotto, l’ex stabilimento di produzione FIAT convertito in un grande centro polifunzionale che ospita, tra le tante cose, uno spazio fiere, un auditorium, una frequentatissima area commerciale e – per tutti coloro che amano l’arte - una pinacoteca da non perdere. Stiamo parlando della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, inaugurata nel non troppo lontano 2002, che conserva ed espone in via permanente un nucleo di venticinque capolavori dalla collezione privata dell’Avvocato Giovanni Agnelli e di sua moglie. Questi “magnifici venticinque” (ventitré dipinti e due sculture) sono allestiti per il pubblico nello “scrigno” progettato da Renzo Piano, una struttura in acciaio di 450 metri quadri sospesa sopra il tetto del Lingotto. Abituati alle considerevoli quantità di opere esposte nei grandi musei cittadini forse il numero di venticinque potrà apparire un po’ misero... ma quel che è certo è che il ristretto numero di opere è compensato dalla loro altissima qualità. E dunque, una volta saliti sul tetto del Lingotto, lontani ormai dal vociare frenetico delle vie
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dello shopping qualche piano più in basso, ci si ritrova in un ambiente minimale e luminoso, dove le opere d’arte sono protagoniste. Opere selezionate, acquisite e riunite da Agnelli esclusivamente secondo il suo personale gusto estetico, e dunque allestite e offerte al pubblico in quest’ottica, volutamente senza un disegno unitario alla base. Le due candide danzatrici scolpite da Canova aprono l’illustre sfilata di capolavori. Per il Settecento un dipinto di Tiepolo, sei straordinarie vedute di Canaletto e due di Bernardo Bellotto (che proprio di Canaletto era il nipote). Per l’Ottocento “La Négresse” di Manet e la “Bagneuse blonde” di Renoir. Per il Novecento un nudo di Modigliani, ben sette dipinti di Matisse, due di Picasso e due dipinti futuristi, “Velocità astratta” di Giacomo Balla e “Lancier italiens au galop” di Severini. Ai piani inferiori periodicamente si susseguono mostre temporanee sempre originali che spaziano nel tempo, nei luoghi e nei generi, dalla postal art ai reliquiari, al design, con attenzione particolare alle varie tipologie di collezionismo. Ciò che rimane, lì in cima, all’ultimo
piano, è questa piccola ma straordinaria raccolta di tesori che non può lasciare indifferenti gli spettatori, eccezionale momento in cui una collezione privata apre al pubblico offrendo occasioni inedite (come la serie di sette tele di Matisse, unica in Italia). E quando un collezionista decide di condividere le sue raccolte e la sua passione per l’arte mettendole a disposizione, allora non ci resta che approfittarne.
Roberta Colasanto
UNCLASSICART
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TEATRO teatro@artintime.it
UN’IMPRESA CULTURALE PER RIGENERARE IL TERRITORIO
Il rapporto tra compagnie teatrali e territorio è fondamentale quando si tratta di rigenerare una cultura che esiste in parte o è del tutto assente. Da anni in Piemonte si cerca a vario modo, con diversi progetti e regolamenti ad hoc, di lavorare al di fuori del centro cittadino e sviluppare un tessuto organico nella provincia. Le compagnie professionistiche diffuse su tutto il territorio regionale offrono la possibilità di distribuire al proprio pubblico prodotti inediti, quali loro produzioni, o dare spazio alle novità messe in scena nei teatri del capoluogo. È ancora più significativa l’apertura alla periferia e alle nuove proposte teatrali lì presenti, permeate dalle esigenze dei giovani contemporanei e inserite nel tessuto sociale nel quale sono attive. Nel 2011 si è costituita “La Ballata dei Lenna”, un nome del tutto particolare che ricorda i luoghi vissuti insieme da studenti. La compagnia opera ad Alessandria e intende imprimere alla città il segno della “Bottega Teatrale”, cioè un luogo a tutti gli effetti rivolto alle nuove generazioni, alla città, un luogo di aggregazione, un nucleo polifunzionale sempre attivo. La compagnia è formata da tre attori, due pugliesi Nicola di Chio e
Paola Di Mitri, e una piemontese, Miriam Fieno. I tre, pur seguendo percorsi inizialmente differenti, sono diplomati alla Civica Accademia di Arte Drammatica di Udine. La loro visione del teatro è quella dello spazio dell’artigianato e dello scambio e della condivisione del lavoro. Il teatro può diventare, per loro, il luogo per eccellenza in cui le persone si incontrano e intrecciano relazioni, dove chi lo desidera impara un mestiere e, non meno importante, il luogo eletto per la messa in scena. La compagnia lavora soprattutto in strada, dove raccoglie la maggior parte del materiale necessario alla scena. Il tutto perseguendo l’obiettivo principale della compagnia, quello di creare cioè un’arte per le persone e non fine a se stessa, un vero e proprio lavoro attoriale di relazione. A molti giovani capita di lasciare il proprio paese per studiare in città e vivere esperienze umane e culturali che arricchiscono e completano. A un certo punto, però, gli eventi riportano indietro, all’origine, da dove il percorso è iniziato: per “La Ballata dei Lenna” inserirsi nel contesto alessandrino significa attrarre tutta la popolazione verso il teatro, senza escludere nessuno.
L’obiettivo che questi ragazzi intendono perseguire è quello di concretizzare idee e dare forma all’entusiasmo dei giovani che si avvicinano all’arte teatrale e in genere alle arti performative. “La Ballata dei Lenna” ha al suo attivo due produzioni: “Protesta – Una fiaba italiana” e “Cantare all’amore”. “Protesta” è l’esito di un laboratorio condotto in tutta Italia avvicinando per la strada la gente e chiedendo loro impressioni sulla migrazione interna all’Italia. In palcoscenico, le cause scatenanti che hanno imposto un cambiamento forzato nella vita di molti: crisi di sentimenti, lavoro, rabbia e insoddisfazione. “Cantare all’amore”, invece, riflette il tempo perso o investito nella ricerca dell’amore. Tre personaggi vivono intrecciando la loro vita frenetica, rincorrono il sentimento senza sapere esattamente cosa esso sia e significhi. E quando credono di averlo afferrato, lui scappa via di nuovo. Il tempo e l’amore: il tempo scorre e per l’amore, così sfuggevole, non c’è speranza.
Barbara Mastria
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ARTINTIME I LIBRI NON SI BRUCIANO, SI LEGGONO ! Il crepitio delle fiamme, l’onda di calore emanata dal fragore del fuoco che divora le pagine di carta e aggredisce le gote con violenza, avvampa, mentre le pagine di un libro si accartocciano, anneriscono, si polverizzano e spariscono per sempre. Libri che bruciano, parole che scompaiono, pensieri che svaniscono nel fumo. La reazione più immediata e svincolata da tutto non può che essere un allarme incessante, una voce interna alla coscienza che suona più o meno come «libertà di pensiero, libertà di informazione, libertà di lettura!». È il pensiero spontaneo dopo aver sentito che, tra le tante iniziative dei cosiddetti “forconi”, scesi in piazza nei primi giorni dello scorso dicembre, c’è stato anche l’ingresso piuttosto violento in una libreria di Savona al grido di «Bruciate i libri!». Talmente folle da sembrare uno scherzo. Invece no, è successo davvero. Che siano stati “forconi”, un piccolo gruppo di adolescenti esaltati o chissà quale altro strano gruppo di persone accomunate da questa sordità di fondo, poco interessa ora. A colpire e far meditare è il gesto, il contenuto ideologico e culturale di quel grido. La mente, neanche a dirlo, corre veloce ad altre fiamme tristemente note: quelle dei roghi nazisti di libri durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale, simbolo potentissimo del fanatismo ideologico che ha squarciato il Novecento. Evocazione della follia, della violenza, del gorgo nero e profondo in cui l’umanità è cascata molte, troppe volte. Quel motto che mai avremmo voluto risentire riecheggiare nel 2013 è il segno di una disumanità
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estrema. Contro la quale, quasi immediatamente, è scattata la reazione del grande popolo dei lettori. È scattata sul web, su Facebook in particolare, perché leggere non significa certo essere retrò, e in pochi giorni, grazie all’associazione viterbese “Caffeina”, ha raccolto migliaia di iscritti, aderenti e simpatizzanti, tutti fermamente contrari al fanatismo piromane e tutti d’accordo per inserire come foto profilo su Facebook, il 21 dicembre, la copertina di un libro. Anche Artintime ha voluto aderire a questa bella iniziativa di solidarietà culturale per la salvaguardia della lettura, e ha condiviso per una giornata intera la copertina di un libro molto, molto importante per la letteratura del Novecento: le “Lezioni americane” di Italo Calvino. Un testo simbolo, la chiave per la comprensione di tutta la letteratura a venire che lo scrittore ligure aveva già subodorato e della quale aveva intuito le strade future. “Sei proposte per il prossimo millennio”: leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità coerenza. Non vi ricorda nulla? Il web, il mondo della comunicazione odierna, funziona esattamente su questi sei principi. Twitter è leggero, rapido, l’informazione di qualità è esatta, le strategie di marketing in rete si basano sulla coerenza, e tutto ruota intorno alla visibilità, alla molteplicità delle piattaforme e dei mezzi. Sei lezioni geniali, visionarie, alle quali ci è sembrato più che corretto dedicare la nostra immagine profilo, così che la parola di Calvino potesse rimbalzare di bacheca in bacheca, e magari incuriosire e affascinare nuovi lettori. Perché i libri sono questo:
storie, idee, novità, vicinanza, movimento. I libri sono i loro autori, sono le menti che li hanno prodotti, le mani che li hanno scritti, gli occhi di chi li ha visti, prima di scriverli, e di tutti coloro che, leggendoli, hanno imparato qualcosa, nel bene o nel male. Eliminarli è eliminare tutti loro, uccidere vite, di insegnanti e allievi, di coloro che hanno scritto per agire, e di coloro che hanno letto per poter a loro volta cambiare il mondo. Leggere è saziare quella voglia smodata di ricerca, quella curiosità senza freno che così bene è rappresentata dall’eterno viaggiatore Ulisse. Per questo bruciare un libro è una violenza, un crimine assoluto contro l’essere umano, contro ciò che di più nobile e bello l’Uomo ha saputo produrre e continua a creare. Su Radio3 va da anni in onda “Fahreneit”, uno dei pochi programmi radiofonici dedicati al mondo dei libri e, più un generale, della cultura. Un titolo non casuale: Ray Bradbury, affascinato probabilmente dalla malvagia e sconvolgente immagine di un rogo di libri, è l’autore di quel capolavoro distopico dal nome “Fahreneit 451”, la storia fantastica di una società in cui i vigili del fuoco non spengono, ma appiccano incendi per bruciare e cancellare dalla faccia del Pianeta i libri. Quale forza oscura avranno mai questi tomi rettangolari di carta per riuscire a suscitare tanta paura, tanta follia ideologica? Contengono parole, nero su bianco. Predicati verbali, soggetti e complementi oggetti. Niente di più, in fin dei conti. Ma quale meraviglia unendo quei tre elementi, qua-
SPECIAL BOOKS
le fantastico mondo costruito dalla mente umana, quante idee, scoperte, rivoluzioni, nuovi orizzonti, voci in libertà! E se qualcuno volesse impedire ai libri di parlare? Se qualcuno volesse imporre un paraocchi ai lettori che a quella fonte di carta si abbeverano migliorandosi e imparando a conoscere sé e il mondo? Potrebbe accadere. È già successo. La chiamano propaganda, e ogni tanto allestiscono dei falò, reali o metaforici. Di solito si pensa che a farla siano gli stessi stolti e sciocchi che trovano piacevole un sabbatico rogo di libri. In realtà chi gestisce la sparizione dei libri e del libero pensiero è forse più facilmente un lettore, per questo pienamente cosciente del potenziale esplosivo di quelle pagine, e che, inebriato di potere e volontà di vittoria, accende le micce, e lascia che i libri scompaiano, si dissolvano in cenere. Roghi metaforici di libri hanno luogo ogni giorno sui media che avvolgono la
nostra vita e agitano la loro bacchetta magica spettacolarizzando ogni cosa che toccano, lettura e libri inclusi a eccezione di poche e rare oasi. I politici sono in tv, l’hanno assunta come centro di ogni cosa: si vede subito, non bisogna fare sforzi, è lì, basta accendere un pulsante: facile, immediato. Mica come le frasi, che vanno lette e capite, mica come i pensieri, che vanno formulati e interpretati. La propaganda è il parassita che, di questa crisi culturale che va affliggendo la lettura, ha fatto il suo cibo prediletto: tempo frammentato e momentanei click su tablet e smartphone, volti che riappaiono a intermittenza su ogni canale mediatico, slogan, numeri, infografiche animate. Nessun pensiero articolato: troppa fatica. È così che si innesca la miccia, è così che si alimenta la combustione, e la lettura esce carbonizzata dalla lotta impari con il mostro della superficialità. Vince chi grida più forte. Non
chi si ferma a leggere e pensare. È così che i manifestanti entrano in libreria urlando di bruciare i libri, quasi ridendo magari, chissà, facendosi belli di un motto dal sapore despota del quale forse ignorano le origini e le tragiche conseguenze. E, se non c’è un rogo evidente intorno a cui dimenarsi in preda al furore della vittoria, c’è un focolare immaginario, alimentato di ignoranza indotta da mera, infida e sibillina superficialità. E allora, cari lettori di Artintime, non ci resta, come augurio per un 2014 migliore, in cui non si ripetano scene come quelle di Savona, che buttarci a capofitto nella lettura, per prendere piena coscienza del suo valore e del mondo che ci circonda, dentro al quale i libri funzioneranno come bussole e fari per saperci muovere con agio e consapevolezza. Perché, vogliamo ripeterlo ancora una volta, “i libri non si bruciano, SI LEGGONO!”.
Alessandra Chiappori
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ARTINTIME music@artintime.it
LA STANZA DI GRETA Il suono basso, carico, continuo del didjeridoo. Tuoni di percussioni, a far sobbalzare. Una sequenza di tamburi a tenere il tempo. E, poi, una voce, che lentamente emerge dal vortice di suoni che avvolge e disorienta l’ascoltatore. Una voce che prosegue inesorabile nel suo discorso, un punto fermo nel turbinìo di sonorità, che crescono come in una danza tribale sempre più incalzante. Ecco, questà è “Stella del tramonto”. Un brano che si alterna alla giocosità del tocco dello xilofono di “Creature selvagge” o al testo imprevedibile di “Strade”. Una caleidoscopica scelta, quindi, per chi si trova ad ascoltare per la prima volta Lastanzadigreta, una band che si propone di fare della <<canzone d’autore un po’ leggera e un po’ complessa, un po’ rock un po’ folk, un po’ folk, un po’ pop-rock e un po’ pop-pop d’autore, un po’ elettrica un po’ acustica.>>. Nata nel 2009 come progetto di solidarietà a favore di una ragazza rimasta in stato semivegetativo in seguito ad un incidente stradale, la formazione di San Mauro Torinese ha uno stile (e
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un percorso musicale) tutto suo. La band, composta da Leonardo Laviano (voce e chitarra), Umberto Poli (chitarre elettriche e weissenborn), Jacopo Tomatis (mandolini elettrici e bricolage), Flavio Rubatto (didjeridoo e djembé), Alan Brunetta (marimba), partita da alcuni brani del tutto originali riesce a ritagliarsi il suo spazio, accompagnando Bugo in concerto da una parte e partecipando ad una serie di progetti teatrali dall’altra. Una doppia vocazione quindi che vede prender vita sul palcoscenico gli spettacoli “La stanza di Greta” e, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia, “Già l’ora suonò – l’Italia che risorge”. Dopo la pubblicazione di “gretaelanuvola”, album distribuito insieme al libro omonimo a favore del Centro Puzzle di Torino, nel 2012 esce il primo EP vero e proprio della band, dal nome evocativo di“lato a”, composto da quattro inediti più uno; questo primo lavoro esce in tiratura limitata di sole 300 copie (disponibile però gratuitamente sul sito della band), prodotta dalla etichetta nascente bonzothecat. A settembre del 2013 vincono il Festival Lanterne Rock, che li porta
direttamente al MEI Supersound di Faenza. Nell’estate del 2013, inoltre, lastanzadigreta fa uscire un album in studio interamente autoregistrato dal vivo, anch’esso in libero ascolto online: “live in studio”. In attesa del “lato b”, un’ennesima occasione per scoprire la band dai mille volti (musicali e non). Cosa aspettate? Enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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ARTINTIME books@artintime.it
L’ORCHESTRAZIONE TRA LE RIGHE L’orecchio assoluto, lo speciale dono che permette di conoscere la nota precisa di un suono qualsiasi appena sentito. Utile, utilissima e speciale dote per ogni musicista, meccanismo indifferente forse a tutti gli altri, che restano chiusi al di fuori di una sfera che tutto vede e tutto interpreta secondo i meccanismi e i concetti che ruotano intorno alla sonorità. Ma è davvero un dono per Arturo, protagonista di questa storia? La nota di uno sparo, di una frenata, i cambi di tono in una voce, l’intervallo musicale tra un suono e l’altro composto digitando i tasti di un cellulare. Per lui è forse più un’ossessione, che trasforma in note frammenti di realtà via via sempre più grandi, celando la vita vera, intasando i pensieri fino all’assurdo, fino a vivere di note senza però, paradossalmente, poterne vivere. Arturo, musicista, non compone più, medita solo, in modo ossessivo, sulle note. Finché non conosce Ael, e di lei si innamora. Ma Ael è labile, scaltra e inafferrabile come il vento, il suo mistero scappa e sfugge dalle mani di un protagonista che tuttavia non si arrende, e la rincorre. Da qui partirà l’avventura del romanzo, all’insegna di una rosa dei venti dipinta su un lenzuolo, di treni e chilometri, svelamenti improvvisi e tasselli di un complesso puzzle che vanno via via rimettendosi a posto. Per fornirci un quadro finalmente chiaro e trasparente, e un appassionante primo romanzo
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finito tutto d’un fiato per soddisfare suspense e curiosità alimentate pagina dopo pagina da un talentuoso direttore di orchestra. È una storia che solletica, “Ael”, perché costruita con sapiente e impeccabile orchestrazione sui diversi livelli analizzabili. Le voci, innanzitutto. Come il musicista protagonista, l’autore è consapevole del ruolo di ciascuno all’interno del complesso tessuto della storia, e modula le voci, le regola, le silenzia, le intreccia. Impieghiamo qualche pagina per conoscere le voci protagoniste di questo romanzo, per collegare i nomi e i rapporti, perché da una parte abbiamo Arturo, che ci parla in prima persona, ci racconta ciò che vede – o forse, sarebbe meglio dire, sente – dalla sua prospettiva, che è quella parziale e forzatamente frammentaria di una pedina in gioco. Dall’altra parte però, ogni tanto, un narratore esterno ai fatti e onnisciente ci dà qualche aiuto, intervenendo a interrompere il flusso di pensieri e note e aggiungendo particolari che rivelano legami e snodi finora insospettati. È un bel ritmo, che dà corpo alla storia e non lascia mai assopire il lettore, rimbalzato continuamente da colpi di scena che rendono il racconto fluido e incalzano la curiosità. Secondo livello: la trama, una complessa rete di rapporti e relazioni che non perde mai di tono, anzi, della sua compattezza fa il punto di forza, tenendo ben desto il lettore, ormai incuriosito, e svelandosi in tutta la sua integrità solo nel fina-
le, come ogni buona storia che si rispetti. Ciò che crediamo per interi capitoli si ribalta, dando vita a una storia che forse non ci saremmo mai aspettati, svelando nuovi lati, nuovi volti, quasi una nuova storia. I toni del thriller e del giallo sono chiari fin dall’inizio, ma sfumano in una storia d’amore ben dipinta, su uno sfondo che, al contrario, resta sfuocato, appositamente indistinto, per permettere un disvelamento graduale che darà corpo a misteri e irrisolti. Ancora, terzo aspetto: i personaggi, dal protagonista voce narrante ad Ael, effimera e vagabonda come il suo popolo, i rom, ambigua e sfuggente, e a Vinicio, rivelazione del romanzo, da secondario capace di rivelarsi personaggio di primaria importanza. Vite che si mescolano, istanti che si rivelano tasselli di un mosaico più esteso, di cui conosciamo solo pezzetti, che gradualmente si ampliano, dandoci un quadro intero e definito. E così il vero giallo è accompagnato dal giallo dei protagonisti, dietro ai quali ci troviamo a seguire indizi e piste, per capire: capire chi sono, cosa accade tra loro, scoprire il passato e cercare di indovinarne il futuro. Non avremo molto successo: l’autore ha previsto tutto, e non c’è niente di banale in questa trama dal ritmo brillante e dalla perfetta orchestrazione nascosta, tutta da inseguire, scoprire, e ascoltare.
A lessandra Chiappori
BOOKS “Si è persa nei rumori delle città, nella cadenza delle parole che ho pronunciato e nel silenzio di quelle a cui ho rinunciato. Poi è tornata, strisciando sotto le dita, nascondendosi nelle melodie che ho incontrato. Ma non l’ho mai afferrata. Perché la prima nota non si prende. La mia nota è infallibile, si nasconde in posti che non possono essere raggiunti né tantomeno pensati. Mi rincorre, mi supera ma non si lascia toccare. Quella nota è solo una tensione psicologica, il bisogno di chiudere una spirale che non può essere chiusa”
“Ael”, Francesco Cozzolino, Dudag, 2013.
Francesco Cozzolino Classe 1982, Francesco Cozzolino nasce a Genova, dove inizia un percorso universitario in Scienze Politiche che lo porterà a Milano. Affianca ai suoi studi l’interesse per la scrittura, che lo conduce fino a Torino, dove si diploma alla scuola Holden e dove, attualmente, vive. Suoi racconti sono apparsi su “Il Paradiso degli orchi” e “Blogonelbuio”, e, prima di esordire con “Ael”, segnalato nel 2011 anche dal prestigioso Premio Calvino, si è avvicinato alla forma romanzo con Marco Grasso, per il lavoro a quattro mani “Scatafascio”, del quale alcuni estratti sono stati pubblicati su “Linus” e “L’inutile”.
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ARTINTIME fromlondon@artintime.it
THE VINTAGE FLAIR OF REDUNDO Talent hides in every corner. It’s surprisingly beautiful how our common life is filled with extraordinary people, gifted with a rare dose of creativity. Their stories should be told more often. That’s why, when I found out that my colleague Eddy Parnell not only shares my same passion for Cinema but also is an inspiring director, I simply had to ask him more about his latest project: “Redundo”. Eddy, tell me, who is Redundo and what do we have to expect from your first short movie? Redundo is a corporate puppet who suddenly loses his comfortable and well-paid job. The short shows him coping with his recent misfortune and attempting to re-climb the ladder of employment, starting from the lowest position. How everything started? Where your inspiration comes from? The inspiration behind Redundo came from a personal misfortune back in 2010, when the majority of my former colleagues and I were made redundant from our jobs. The more I began to speak and listen to my former colleagues, the more I realised we were all sharing the same experience. The lifestyle changes and drastic shift in concerns, no longer worrying about what shirt to wear to work, but now thinking about rent, food and finding basic employment. I spent months forming the characteristics and mannerisms of the character, sending the script out to anyone who would give it the time of day.
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I was then fortune enough to meet the talented puppeteer and craftsman Phil Eason, who gave Redundo the perfect physical form: a literal corporate puppet. From your experience, what is the hardest part, nowadays in London, for a wannabe director who wants to produce and shoot his own movie? Personally, I think the toughest part is writing original material on subject matters that haven’t been touched on before. Without an original idea, you’re basically adapting a pre-existing work, which seems a bit pointless, and is contrary to London’s image as a hub of fresh ideas. Funding is also a large factor. Many directors don’t have the resources to fund themselves, and rely on support from individuals who believe in their project. My advice would be stick with it, surround yourself with supportive and talented people and it should all work out for the best. Getting to know better Redundo and his world of action, which London area suits more his personality and why? That’s a tricky question, but I’d have to say that Redundo would feel most comfortable in Soho. It’s filled with young and talented professionals working to fulfil their dreams, tough sadly for Redundo, he isn’t one of them at the moment. Eddy is one of the hidden talents that fill London streets on a daily basis. He wrote, planning to produce and direct Redundo. We want to support him finding his voice
through this vintage looking and weirdly charming hand-puppet. You can find out more about the fictional character and his creator on the official facebook page (search for Redundo) or on Eddy’s website: www.eddyparnell.co.uk Il talento si nasconde dietro ogni angolo. È sorprendentemente bello come la nostra vita di tutti i giorni sia arricchita da persone fuori dal comune, dotate di quel raro dono che è la creatività. Le loro storie dovrebbero essere raccontate più spesso. Ecco perché, quanto ho scoperto che il mio collega Eddy Parnell non soltanto condivide la mia stessa passione per il Cinema, ma è inoltre un aspirante regista, mi sono detta devi saperne di più. Così mi sono fatta raccontare i retroscena del suo ultimo progetto: “Redundo”. Eddy, raccontami, chi è Redundo? E cosa dobbiamo aspettarci dal tuo primo cortometraggio? Redundo è una marionetta aziendale che all’improvviso perde il suo lavoro sicuro e ben pagato. Il corto mostra come lui cerchi di affrontare le recenti disgrazie e risalire la scala del successo stavolta partendo dal gradino più basso. Com’è cominciata l’avventura del corto? Da dove prendi ispirazione? Lo spunto per la storia di Redundo arriva da una sfortunata esperienza personale, avvenuta nel 2010: la maggioranza dei miei colleghi e io siamo stati dichiarati in esubero, da un giorno all’altro. Più parlavo con i miei colleghi e ascoltavo le loro sto-
FROM LONDON
www.redundo.co.uk
rie, più mi rendevo conto che condividevamo la stessa esperienza. Il drastico cambiamento di vita e il repentino aggiustamento delle nostre priorità. Non era più importante quale camicia firmata indossare a lavoro ma riuscire a pagare l’affitto, il cibo, e trovare un altro impiego. Ho trascorso mesi a studiare le caratteristiche e il manierismo del mio personaggio, facendo leggere la mia sceneggiatura a chiunque avesse tempo da dedicargli. Ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada il talentuoso burattinaio e artigiano Phil Eason, che ha dato perfetta forma fisica alla mia marionetta trasformandolo letteralmente in una marionetta aziendale.
arriva quando si tratta di scrivere qualcosa di originale, mai trattato finora. Senza un soggetto innovativo in pratica si sta solo riadattando un lavoro pre-esistente. Il che sembra alquanto privo di scopo e contrario all’immagine di Londra, cuore pulsante di nuovi progetti. Trovare fondi è inoltre un fattore molto importante. Molti registi non hanno i fondi necessari per portare avanti le loro idee e si affidano all’aiuto di individui che ripongono fiducia nel loro lavoro. Il mio consiglio è credeteci. Non fermatevi, andate avanti e circondatevi di persone collaborative e talentuose. E tutto dovrebbe andare per il meglio.
Secondo la tua esperienza, qual è la parte più difficile, nella Londra di oggi, per un aspirante regista nel produrre e girare il suo film? Personalmente ritengo che il duro
Con l’obiettivo di inquadrare un po’ meglio il tuo personaggio, dimmi, quale zona di Londra si avvicina di più alla sua personalità e perché?
Questa è una domanda difficile. Ma direi che Redundo si troverebbe più a suo agio a Soho. È una zona ricca di giovani e talentuosi professionisti che lavorano duro per realizzare i loro sogni. Sfortunatamente, Redundo non è uno di essi al momento. Eddy è uno dei numerosi talenti nascosti che popolano le vie di Londra regolarmente. dirigerà e produrrà il corto “Redundo”. Vogliamo supportarlo nel trovare la sua voce attraverso questo pupazzo dall’aria vintage e il fascino di un freak. Potete saperne di più visitando la pagina facebook ufficiale (cercate Redundo) o il sito di Eddy: www.eddyparnell.co.uk
Cristina Canfora
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ARTINTIME popart@artintime.it
GABRIELE BURATTI BUGA Gabriele Buratti Buga nasce a Milano nel 1964. In seguito a una prima formazione di carattere artistico, consegue la Laurea in Architettura del Paesaggio presso il Politecnico di Milano, dove ha modo di maturare e sviluppare un particolare interesse “per i carattere fisici, antropici, storici e strutturali del territorio, che influenzeranno profondamente la sua opera di pittura, scultura e fotografia”. Nelle sue opere ritroviamo infatti il contrasto tra civiltà e natura, la città e il selvaggio. Dicotomia da cui traspare un particolare senso di inquietudine, che l’artista esprime e spiega come l’incapacità del nostro tempo di comprendere la necessità di uno sviluppo alternativo a quello capitalistico – economico. “Dal linguaggio rupestre a quello
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freddo e inumano dei codici a barre, la semiologia ha fatto un salto che allontana sempre più l’uomo dal mistero del sacro impadronendosi del nostro immaginario collettivo attraverso il mondo dell’economia”. Da qui il tratto distintivo della sua pittura, che rintraccia nel “codice a barre” l’immagine della prevaricazione della logica di mercato sulla realtà dell’essere umano, educato nel tempo a un linguaggio iterativo e privo di contenuti. “Ci muoviamo verso mete imposte senza sapere che cammino vogliamo intraprendere e senza chiederci che costo avrà tutto questo in termini di preservazione della diversità come valore assoluto. Lo sviluppo delle città attuali (vedi Pechino, Abu Dhabi, Milano…) avviene con l’unica prerogativa di uno sviluppo immobiliare paesaggistico
verticale, senza tener conto delle differenze geografiche e storiche”. Buga rintraccia infatti un percorso risolutivo nella visione, nella consapevolezza del reale e nella comprensione del fatto che “un rapporto simbiotico con la natura sia la condizione sine qua non per riconcepire l’architettura”.
POP-ART
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ARTINTIME movies@artintime.it
PASSER PASSER: THE SOUND OF CITY Ogni giorno intorno a noi si alternano sonorità di ogni genere, rumori, voci, suoni a volte ripetitivi che accompagnano il nostro tragitto verso il lavoro, la scuola, l’università. Sono la nostra colonna sonora che ci segue da quando ci alziamo dal letto a quando torniamo a dormire alla sera, prenderli tutti e inserirli in cortometraggio è l’idea che è venuta al giovane regista Louis Morton, autore dell’interessante cortometraggio “Passer Passer”, un film che oltre ad essere visto deve prima di tutto essere ascoltato. Procuratevi un paio di cuffie, chiudete gli occhi e abbandonatevi a “Passer Passer”. Non esiste una storia in questo corto, il regista ha scelto di mixare i suoni di due città, Tokyo e Los Angeles, che ha registrato di persona. È così che riesce a raccontarceli attraverso immagini indefinite, ai limiti del surreale, eppure in esse vediamo le persone, i volti, la gente che popola la city, che sale e scende dalla metropolitana, che attraversa le strade, che va in ufficio. È la folla, che ricorda quella di Vidor, e nella folla è difficile distinguere i volti, tutti sembrano uguali. Anche i luoghi non sono così individuabili: spesso passeg-
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giando per strada tendiamo a non osservare più gli spazi che attraversiamo, che vediamo ripetutamente ogni giorno, ci lasciamo sopraffare dalla monotonia e anche certi suoni non sono da meno, scivolano via, inuditi, come una normale colonna sonora, una parte di noi. “Passer passer” è molto interessante perché riesce in poco meno di quattro minuti a restituire allo spettatore le sensazioni, le emozioni, il senso di caos che pervade ogni città. Non esiste il silenzio in questo cortometraggio, così come non esiste una forma particolarmente riconoscibile, fatta eccezione per i volti stereotipati delle persone e dei grandi e massicci palazzi da cui la gente entra e esce come un fiume, spinto dalla corrente della frenesia, dentro e fuori dalle finestre di casermoni che si muovono a loro volta facendo delle vere capriole. Sembrano vivi, e la gente sembra scapparne fuori, ma rimane in trappola, in preda a un balletto infernale inscenato da queste strutture che sono sempre le stesse, grigie e tristi. Alla fine di tutto e anche all’inizio di tutto ci sono dei fotogrammi bianchi: è il vuoto, dove tutto nasce e a cui tutto ritorna, è la sensazione che
spesso possono creare metropoli dove, camminando per strada, si vede il volto del mondo e si sente la sua voce. In alcuni momenti ci sentiamo suoi padroni, tocchiamo il cielo con un dito, ci sentiamo perfettamente in sintonia con lei, con i suoi ritmi, eppure a fine giornata si porta a casa ben poco, si rimane con un senso di mancanza, dettato anche dall’improvviso silenzio che ci accoglie quando richiudiamo il portone di casa dietro le nostre spalle. Alla fine di “Passer Passer” nello spettatore rimane il senso di aver vissuto un’esperienza strana, ai limiti del surreale, si potrebbe definire una visione uditiva. Morton suggerisce al pubblico una sensazione di rilocazione geografica che può essere vissuta in ogni città, ogni metropoli, ogni strada, ogni folla, ogni metropolitana. Un cortometraggio unico e davvero emozionante, uno studio attento e ben strutturato.
Francesca Cerutti
MOVIES
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ARTINTIME events@artintime.it
MENDICINO CORTO
MAAZZENI FILM FESTIVAL
ARTUSI JAZZ WINTER FESTIVAL
Dal 28 dicembre al 5 gennaio si svolgerà l’ottava edizione di “Mendicino Corto”, il festival internazionale di cinema breve del comune di Mendicino, in provincia di Cosenza. L’evento, che si propone l’obiettivo di promuovere e valorizzare la ricerca, la sperimentazione e le produzioni di giovani registi emergenti e indipendenti, presenterà i migliori cortometraggi e documentari in concorso, opere che verranno giudicate da una giuria di esperti e dal pubblico stesso. Non mancheranno inoltre eventi speciali e incontri. Maggiori informazioni: www.mendicinocorto.it.
Il 3 e 4 gennaio il magazzino “O Maazzeni” di Paternò, in provincia di Catania, ospiterà la proiezione delle opere selezionate per il concorso cinematografico “Maazzeni Film Festival”. La rassegna, che comprende corto e mediometraggi auto-prodotti dagli anni ’50 a oggi, premierà i migliori video e animazioni con il Primo Premio del pubblico e i Premi Speciali della giuria. Un appuntamento in cui verrà dato spazio alle migliori produzioni nazionali indipendenti. Per maggiori informazioni sull’evento vi invitiamo a consultare: www.dariomarino.com.
Torna anche quest’anno l’appuntamento invernale con l’”Artusi Jazz Festival”, rassegna dedicata al jazz contemporaneo, che dal 3 al 5 gennaio vedrà esibirsi alcuni dei più apprezzati musicisti italiani di genere. L’evento, che prevede quest’anno un’edizione itinerante, toccherà le città di Forlinpopoli, Bertinoro e Meldola, dove il pubblico potrà apprezzare le esibizioni di Kaleiduo e Luigi Buonafede, Gaspare Pasini, Dado Moroni, Max Ionata, Roberto Gatto, Roberto Tarenzi, Dino Rubino e Luca Bulgarelli. Per informazioni: www.artusijazzfestival.com.
DIECIMINUTI FILM FESTIVAL
TRIESTE FLM FESTIVAL
MODENA COMICS
Nona edizione per la rassegna cinematografica internazionale dedicata al cinema breve ideata e promossa dall’Associazione culturale IndieGesta, il “Dieciminuti Film Festival”. L’evento, che si svolgerà dal 15 al 19 gennaio presso il Cinema Antares di Ceccano (Fr), comprenderà le sezioni competitive “Ufficiale”, “Extralarge”, “Animazioni”, “Remake”, “Spot”, “Visti da vicino”, la “Sezione Esplorazioni”, quest’anno dedicata al cinema di Georges Méliès, e la “Dieciminuti Academy”, che darà spazio a giovani registi nazionali. Per info: dieciminutifilmfestival.
Dal 17 al 22 gennaio si svolgerà la venticinquesima edizione del “Trieste Film Festival”. La rassegna comprenderà i concorsi internazionali di lungometraggi, cortometraggi e documentari, e alcune sezioni non competitive, premi speciali e incontri. Inoltre, quest’anno l’evento darà spazio al cinema indipendente con “Italian Screenings”, iniziativa che intende promuovere lungometraggi italiani indipendenti non ancora distribuiti nelle sale italiane. Non mancheranno infine workshop, retrospettive ed eventi speciali. Per maggiori info: www.triestefilmfestival.it.
Presso la Fiera di Modena, all’interno di “Expo Radio Elettronica”, il 18 e 19 gennaio si terrà “Modena Comics”, la mostra mercato del disco e del fumetto usato e da collezione. L’evento, organizzato dall’Associazione Culturale Kolosseo, riunirà più di 250 espositori e offrirà ai visitatori la possibilità di apprezzare e acquistare dischi, fumetti e oggetti unici. Un’occasione di incontro tra appassionati, nostalgici e professionisti del settore. Per avere maggiori informazioni sul programma dell’evento www.kolosseo.com e expoelettronica.blunautilus.it.thinkforwardfestival.it.
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EVENTS A cura di Anna Moschietto
OROBIE FILM FESTIVAL
SOTTOCCHIO CORTO FESTIVAL
DOCUMENTIAMOCI FILM FESTIVAL
Dal 18 al 25 gennaio presso il Teatro Auditorium di Bergamo si svolgerà l’ottava edizione dell’”Orobie Film Festival”, rassegna cinematografica internazionale dedicata al documentario di montagna e al film a soggetto. L’evento, come di consueto, comprenderà un concorso cinematografico e un concorso fotografico internazionale dedicato a fotografie di montagna, paesaggi e natura, con l’obiettivo di promuovere gli ambienti montani italiani e del mondo favorendo la conoscenza di luoghi, storie e culture. Per maggiori info: www.teamitalia.com.
Debutto per il “Sottocchio Film Festival” che dal 20 al 24 gennaio a Napoli accoglierà giovani registi emergenti e/o indipendenti in una rassegna dedita alla promozione e valorizzazione del cinema, della ricerca e della sperimentazione. Un festival dedicato alla cinematografia breve in cui il pubblico potrà apprezzare le migliori pellicole sviluppate sul tema delle problematiche lavorative attualmente presenti in Italia, sulla base di un tema musicale unico. Per maggiori informazioni visitate www.galemusic.it o la pagina Facebook dell’evento.
Dal 23 al 25 gennaio a Ceccano, in provincia di Frosinone, si terrà la prima edizione di “Documentiamoci Film Festival”, la rassegna cinematografica internazionale dedicata al genere documentario organizzata dall’Associazione Culturale Il Centro del Fiume. L’evento, che prevede un concorso a tema libero, gratuito e aperto a tutti, coinvolgerà il pubblico in proiezioni e incontri che per tre giorni animeranno la città fabraterna. Per maggiori informazioni sul programma del festival visitate documentiamocifilmfestival.blogspot.it o la pagina Facebook dell’evento.
AREZZO COMICS
VERONA JAZZ WINTER FESTIVAL
NEBBIAGIALLA SUZZARA NOIR FESTIVAL
Organizzato dall’Associazione Culturale Kolosseo, il 25 e 26 gennaio presso il Centro Affari e Convegni di Arezzo, torna l’appuntamento con “Arezzo Comics”, la mostra mercato del disco e del fumetto usato e da collezione. L’evento prevede un’ampia esposizione di dischi, fumetti, dvd, rarità e oggettistica di culto, e si propone come punto di incontro tra appassionati e intenditori dell’arte del comic e non solo. Un appuntamento da non perdere per gli amanti del genere! Per maggiori informazioni sul programma dell’evento www.kolosseo.com.
Dal 26 gennaio al 2 marzo presso il Teatro Ristori e il Teatro Camploy di Verona torna l’appuntamento con il “Verona Jazz Winter Festival”, la rassegna jazzistica internazionale che ogni anno riunisce grandi nomi della musica di genere. L’evento verrà inaugurato dal concerto “I remember Astor”, dedicato alla musica di Astor Piazzolla, in occasione del quale saliranno sul palco Richard Galliano, Bertrand Cervera, Paul Rouger, Jean Paul Minali Bella, Eric Levionnois e Sylvain Le Provost. Per maggiori informazioni su ospiti e concerti visitate: www.teatroristori.org.
Ottava edizione per il “NebbiaGialla Noir Festival” di Suzzara (Mantova), la rassegna dedicata alla letteratura noir e al giallo italiano ideata e diretta dallo scrittore Paolo Roversi. L’evento, che avrà luogo dal 31 gennaio al 2 febbraio, presenterà al pubblico novità e autori della letteratura nazionale di genere, ed esplorerà la scrittura del mistero attraverso molteplici incontri letterari e confronti. Per ulteriori informazioni sul programma della rassegna visitate hotmag.me/nebbiagialla o la pagina Facebook dell’evento.
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