ART
IN TIME n.6 - Giugno 2014
ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS
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ARTINTIME L’EDITORIALE Giugno 2014, ArtInTime spegne le sue prime due candeline su una splendida torta fatta ormai da ventiquattro uscite (mamma mia, sono tantissime!) che inaugurano, con questo venticinquesimo sfogliabile online, il terzo anno di lavoro per un progetto nato nel lontano dicembre 2011, come narrano le cronache “in una gelida serata davanti a una tazza di gianduia al Caffè Fiorio di Torino”. Certo, ripensare a tutto il lavoro svolto in questo tempo che inizia a diventare tanto, e concretamente visibile non solo nelle cartelle del computer annidate sotto al nome “ArtInTime” ma anche nella rete di contatti ed eventi che ci ha coinvolto, è qualcosa di gratificante e allo stesso tempo tenero. Tenero, sì, perché, ripercorsi con la memoria vissuta, questi primi venticinque numeri sono frutto esclusivo del lavoro e dell’impegno di un gruppo di amiche cresciute insieme negli anni dell’università. Ma anche gratificante, per lo stesso motivo rivolto però al futuro, con l’entusiasmo dell’osservare cosa si è stati in grado di fare concretamente mettendo in azione un team e arricchendo un progetto con mosse via via sempre più ambiziose, ma mai lasciate al caso. C’è di che essere soddisfatti, anche se la carne al fuoco è in crescita costante, e arriviamo a questo numero di giugno quasi con il fiatone, sperando che l’estate alle porte rallenti la frenesia senza però sottrarre cose belle da leggere, vedere o ascoltare, eventi da non perdere e collaborazioni da coltivare per rendere ArtInTime un progetto sempre più in crescita, sempre più consapevole e a suo modo forte. Insomma, non vorremmo rallentare troppo questo ritmo, concetto a cui si ispira per molti versi il numero in cui state per immergervi. Ritmo: musicale, di un montaggio, di una narrazione, di una giornata, di un’immagine. Un succedersi nel tempo o nello spazio, di suoni, luci, azioni, pause, volumi, ordinato, caratterizzato da una frequenza, veloce, rallentato, spericolato, sincopato, allegro, adagio, a offrire una gamma vastissima di emozioni e impressioni, di sensazioni. Quanto sarebbero monotone le nostre giornate se non associassimo alle nostre azioni un ritmo, a movimentare ciò che ci accade e ci ruota intorno? Tempo allora di ritmo, che esplode in tutta la sua potenza con la musica. Non c’è occasione migliore per partire in grande stile, e lo facciamo con la musica sinfonica scritta appositamente per il grande schermo, di cui ci racconterà cose molto interessanti Emilio Audissino, ricercatore con la passione per John Williams. C’è ritmo anche tra le pagine, e lo scopriremo con l’interessante esordio narrativo di Michela Monferrini, giovane e talentuosa scrittrice intervistata da ArtInTime questo mese, che fa del sapiente uso del tempo un ingrediente centrale del suo romanzo. Ancora ritmo al cinema, nel consueto passaggio dall’analisi di un lungometraggio a quella di un cortometraggio, sul palcoscenico, tra ritratti direttamente from London e gli scatti di Tina Modotti a Torino, il tutto stando al passo con gli eventi più interessanti di questo mese. Last but not least: la copertina, col suo bel mito musicale… o forse sarebbe meglio dire “dito” musicale, realizzato per noi dall’eccentrico Dito Von Tease. Vivace, allegro (ma non troppo!), oppure lento: scegliete il ritmo che più vi si confà e inaugurate con noi il terzo anno di ArtInTime all’insegna del bello, e del possibile. Buon compleanno a noi allora, e buona estate condita da buone letture per voi! Alessandra Chiappori
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ARTINTIME SOMMARIO 6 . LA RUA by Angelica Magliocchetti
8 . BIOGRAFILM: YSL - I DEMONI DELLA MODA by Francesca Cerutti
10 . ALE PURO by SQUARE 23
12 . DA CREATE 24 PER #HACKUNITO ALLA STORYTELLING NIGHT by Alessandra Chiappori
14 . STORIE COME GENNAIO, L’ESORDIO LETTERARIO DI MICHELA MONFERRINI by Alessandra Chiappori
16 . QUATTRO CHIACCHIERE CON . . . MICHELA MONFERRINI by Alessandra Chiappori
20 . RISCOPRENDO TINA MODOTTI. UN’IMPERDIBILE RETROSPETTIVA by Roberta Colasanto
22 . QUANDO DANZA SIGNIFICA VITA by Barbara Mastria
24 . ELSEWHERE byCristina Canfora
26 . INTERVISTANDO : EMILIO AUDISSINO by Alessandra Chiappori & Francesca Cerutti
32 . IGGY AZALEA by Angelica Magliocchetti
34 . VIRGINIA DI GIORGIO by Alnna Moschietto
36 . CUERDAS - LEGAMI D’AMICIZIA by Francesca Cerutti
34 . EVENTS by Anna Moschietto
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ARTINTIME music@artintime.it
LA RUA Partiamo da Ascoli Piceno dove la ‘’rua’’ è una piccola stradina di paese. Aggiungiamoci cinque ragazzi con la passione per la musica e una melodia in testa che ricorda i Mumford & Sons, i Of Monsters and Men o i Lumineers. Il risultato è una band giovane, scoppiettante e dalle radici che richiamano il genere folk. Loro sono Daniele Incicco (voce e chitarre), William D’Angelo (chitarre), Alessandro Mariani (chitarre), Davide Fioravanti (pianoforte e tastiere) e Nacor Fischetti (batteria): “La Rua”. La band vede la sua nascita nel 2004 come “Champions”, per poi cambiare nome solo nel 2013. È il 2008 e avviata una collaborazione con Dario Faini (autore Universal), anticipato dal singolo “Sembrava Niente”, esce il loro primo EP “Sotto il cielo non si dorme”. Nella raccolta si trova anche il brano “Parole Distratte”, con cui vincono l’edizione 2011 del ‘Video Festival Live’. Il 2012 vede l’exploit della formazione marchigiana a Sanremo, dove prima entra tra i 30 artisti più votati dal web e, successivamente, viene premiata dall’Associazione Italiana Fonografi. Nello stesso anno il gruppo riceve anche il premio come migliore band
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dal Meeting delle Etichette Indipendenti e subito dopo, nel 2013, grazie anche alla popolarità crescente, viene chiamata a esibirsi come band di supporto dell’unica data italiana del gruppo americano degli Imagine Dragons. Alla fine dello stesso anno il gruppo marchigiano passa tra le 60 formazioni musicali scelte per la categoria ‘Nuove Proposte’ del Festival di Sanremo 2014 con il brano “Non sono positivo alla normalità”. Pezzo, questo, che dopo esser stato presentato in anteprima a gennaio, ad aprile viene scelto per essere mandato in programmazione continua da MTV Music nella rubrica dedicata agli artisti del mese. Il brano, che colpisce immediatamente per il raffronto tra le sonorità in stile folk e il testo inaspettato, presenta inoltre anche un video pensato per far scalpore: nel clip diretto da Tiziano Russo, infatti, i ragazzi della band si spogliano integralmente di fronte all’obiettivo del regista, lasciandosi coprire soltanto dal proprio strumento musicale. Una rottura con il genere e con la routine, un elemento contrastante in un paesaggio di quiete naturale. Un mix insolito, insomma,
quello che ci propone la band di Ascoli Piceno, ora in tour tra Italia e Svizzera per poi riapprodare con un concerto proprio lì, nella regione da cui sono partiti. Gambe in spalla quindi per chi volesse sentirli dal vivo; per tutti gli altri, il consiglio forse in controtendenza è di partire proprio dal brano più conosciuto, “Non sono positivo alla normalità” per avere subito, d’impatto, un’idea del sound fresco e insolito de La Rua. Enjoy!
Angelica Magliocchetti
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BIOGRAFILM:
YSL - I DEMONI DELLA MODA Realizzare film biografici è sempre difficile. Accade spesso che si crei una certa insoddisfazione, che nascano anche sentimenti di rifiuto verso la pellicola, soprattutto da parte di chi ha conosciuto il personaggio sul quale è incentrato il film. Nei giorni in cui sto scrivendo questo articolo si sta svolgendo il festival di Cannes e sono veramente molte le critiche giunte al film su Grace di Monaco. È difficile raccontare, ma lo è ancora di più quando l’oggetto del racconto è un personaggio storico del secondo novecento, personaggio conosciuto e noto al grande pubblico. Ognuno lo ricorda per una motivazione differente, ognuno ha in mente una propria idea di quel personaggio, come quando si cerca di adattare un libro per il grande schermo: non si può mettere tutto, si è costretti a fare dei tagli, a rendere più cinematografiche alcune parti che non sono nate per diventare completamente film. Non è di Grace di Monaco però che parleremo, ma di un altro film biografico: “Yves Saint Laurent” di Jalil Lespert; non si tratta del film presentato a Cannes, che la maison francese non ha assolutamente apprezzato, ma del film che ha aperto la sezione Panorama special al 64esimo festival del cinema Internazionale di Berlino e che vede nel ruolo di Yves Saint Laurent il giovane e brillante Pierre
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Niney. Il film racconta la storia dello stilista dai suoi esordi presso Christian Dior, passando quindi all’incontro con Pierre Bergé destinato a diventare l’uomo della sua vita. Vengono ripercorse gradualmente le tappe della carriera di questo grande stilista che, come Coco Chanel, ha segnato indelebilmente la storia della moda, inventando capi come il tailleur pantalone: la donna di Yves Saint Laurent fa scandalo perché si veste come un uomo. Nella sua ottica si raggiunge la parità dei sessi e la donna è posta allo stesso livello dell’uomo, se non addirittura a un gradino più elevato. Icona ed emblema di questa sua collezione è la modella Betty Catroux, conosciuta in un locale una sera e coinvolta proprio per il suo modo di atteggiarsi, più tipico di un uomo che di una donna. La storia del grande stilista viene raccontata senza filtri, da giovane rampollo figlio di una famiglia borghese, alla ricerca di un suo posto nel mondo, timido e impaurito dalla società, diviene un uomo cosciente delle sue abilità di stilista. Ci sono le sfilate, da quelle presso Dior, a quelle realizzate con il suo nome, ci sono le collezioni come la Mondrian che è diventata un’icona dello stile di quegli anni. Jalil Lespert mostra al grande pubblico una persona con le sue debolezze, la difficoltà di Yves Saint Laurent nel lavorare, la necessità di ave-
re nuovi stimoli, la consapevolezza della sua omosessualità e l’incontro con le droghe, che sembrano quasi un compagno inseparabile dello stilista, dei demoni contro i quali non lotta nemmeno. A colpire quando si guarda il film è sicuramente la recitazione di Pierre Niney che riesce a dare un volto credibile a questo stilista, da semplice ragazzo che, come dice Bergé, sembra quasi un seminarista che non riesce a osservare il pubblico alle sfilate, si passa al ragazzo con problemi psichiatrici che non è mai stato protetto per la sua omosessualità e a fatica riesce a convivere con questo trauma. Niney dimostra di essere camaleontico e di riuscire a dare vita alle diverse sfaccettature di un personaggio complesso, di un genio della moda che non conosceva chiaramente limiti. Da ragazzo che sembra quasi stare ai margini del grande schermo, nel susseguirsi degli eventi, diviene protagonista indiscusso, autore della propria fama e dei propri successi, protagonista della sua vita e delle sue scelte. Al suo fianco Pierre Bergé è interpretato da Guillaume Gallienne, celebre attore teatrale da poco arrivato sul grande schermo con il film “Tutto sua madre”, che ancora una volta dimostra la sua grande abilità di attore. A lui viene demandato il compito di introdurci nella vita di Yves Saint Laurent, è lui che ci apre le porte della loro im-
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mensa collezione privata e proprio da questi oggetti, come la madeleine di Proust, ha origine il ricordo, nasce la storia che è poi quella che viene raccontata allo spettatore. Un immenso flashback accompagnato dalla voce narrante di Bergé che ci porta nel mondo di Yves Saint Laurent, ci fa conoscere il suo estro ci ricorda che: “Non si sa da dove provenga un gusto, un istinto. Nessuno te lo insegna, noi nasciamo con esso.” Il vero Pierre Bergé è ancora in vita ed è stato coinvolto in prima persona nella realizzazione di questo film, e alla produzione ha chiesto di mostrare i demoni di Yves Saint Laurent, demoni che, come dicevamo, effettivamente sono presenti nel film e che sono proprio il punto di discussione tra i due uomini. Accanto all’esordio attoriale del protagonista, è interessante notare
l’esordio registico di Jalil Lespert, la cui qualità è forse difficile da valutare quando si ha a che fare con un film biografico, che spesso lascia al regista poca libertà di muoversi attraverso le scene. Esistono sicuramente diversi modi di approcciarsi alle biografie, in primis bisogna scegliere quanto si vuole restare fedeli alla vita del personaggio, Lespert sceglie di muoversi in punta di piedi, non rischiando troppo, sbagliando forse, ma allo stesso tempo dimostrando di saper gestire una narrazione. Lavora come uno scolaro che esegue bene i suoi compiti, costretto forse da una produzione che collabora con il vero Pierre Bergé e che sceglie di usare come linea guida di questo film il libro biografico di Laurence Benaïm “Letters to Yves”. Un esordio forse che non farà grande
scalpore o furore, ma che mette in campo diverse abilità di questo regista che riesce a costruire una vicenda perfettamente lineare con tagli e inquadrature che esaltano gli stati d’animo del protagonista, costruendo così un film che rimarrà sicuramente un punto di partenza molto importante nella sua carriera.
Francesca Cerutti
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STREET-ART popart@artintime.it
ALE PURO Freschezza, innocenza, semplicità… in una parola: purezza. Per raccontare il lavoro di Ale Puro non si può fuggire dall’inevitabile gioco di parole con il suo nome d’arte. Le sue opere sono le immagini di un mondo visto dagli occhi di un bambino. Lo stile è quello grezzo e spontaneo degli sketches ispirati a Modigliani, Blake e Basquiat. I suoi personaggi, spensierati e riflessivi, rispecchiano ironicamente la semplicità che ci circonda, i suoi disegni sono sospesi tra realtà e fantasia, le sue opere racchiudono piccoli racconti di disarmante serenità, brevi viaggi in un mondo fantasioso ma allo stesso tempo reale. Classe 1984, a 16 anni Ale Puro entra nel mondo del writing. Molto tempo prima di dar vita all’imma-
ginario che caratterizza oggi la sua opera, sceglie “Puro” come nickname, tag veloce e incisiva da vergare sui muri, ispirandosi ai sigari cubani fumati da suo padre: i “Puros” appunto. Ispirato da diverse culture dovute ai suoi viaggi per il mondo, in particolare Messico e India, abbandona presto lo stile classico del graffito per abbracciare la corrente della Street Art che gli permette maggiore libertà di espressione. E seguendo vie imperscrutabili i suoi lavori si allineano così con quel nome, scelto quasi per caso. Dal 2008 a oggi ha realizzato live painting in giro per il mondo e partecipato a mostre e collettive in Messico, a Monaco, e, in Italia, a Milano, Pavia, Vigevano, Bergamo, Genova, Savona e Torino.
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ARTINTIME events@artintime.it
DA CREATE 24 PER #HACKUNITO ALLA STORYTELLING NIGHT La primavera torinese è stata percorsa da un’ondata di innovazione e creatività digitale che ha il nome di Digital Festival e che ha incluso nel suo grande bacino molte iniziative, toccando poli e manifestazioni di grande rilievo per la città sabauda, dal Salone del Libro ad #HackUniTo, fino al Talent Garden. Ed è proprio in questi luoghi che ArtInTime è stato travolto dall’onda creativa. Durante i giorni di #HackUniTo, al Campus Einaudi, abbiamo seguito i giovani under 28 che hanno partecipato a Create24, contest che prevedeva 24 ore continuative di lavoro creativo senza sosta, all’insegna del motto che l’innovazione sociale e culturale possono scaturire, oggi più che mai, dalle innovazioni in campo digitale. Spazio dunque ai giovani e alle menti creative per un proficuo scambio di idee sulla comunicazione, la grafica, il design, il video all’insegna del #mashup, un calderone di idee, fresche, libere, perché no divertite e divertenti. Create24 2014 ha previsto anche un secondo momento di formazione, per completare l’esperienza e fornire ulteriori vie ai giovani creativi, oltre che il supporto e consiglio di alcuni mentor, professionisti cioè del settore in grado di consigliare
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e instradare con i corretti feedback i progetti in costruzione…E in gara! Perché se di contest si è trattato, la competizione è davvero andata in scena con la costruzione nelle 24 ore fornite della propria idea di progetto e la valutazione da parte della giuria di esperti tramite la presentazione ufficiale dei pitch, ovvero dei piani di progetto completi di parte economica. Sono stati 80 in tutto i giovani coinvolti nel grande gioco della creatività andato in scena dal 15 al 17 maggio, e altrettanti i progetti che, lo ricordiamo, dovevano essere a tema con la proposta di Create24, rivelata solo poco prima del contest e dedicata quest’anno alla green economy e alla sostenibilità: “Il Ciclo del Riciclo”. I giurati, provenienti sia dal mondo accademico e istituzionale sia da quello aziendale, hanno infine selezionato i seguenti lavori per ciascuna delle categorie in palio: - Best Project: PiBike Project - Best use of Graphic, Illustration & Content: Tea, Rocket - Best use of Photography, Motion Graphic & 3D Animation: EcoChal lenge - Best use of Video, Animation & Sound Design: Giovanni Muciaccia - Best Project Leader: Carmelo Traina Ma le maratone digitali non si sono
fermate qui: la Storytelling night del 23 maggio ha rappresentato un vero e proprio momento di incontro e promozione per decine di progetti innovativi, che hanno il loro fulcro nella creatività digitale. Infografiche costruite grazie ai big data della Regione Piemonte, applicazioni come City Tellers, che uniscono intelligentemente la passione per i libri alla geolocalizzazione possibile tramite dispositivi mobili, sono solo due esempi del grande bacino di idee e novità presentati durante le 4 ore di storie. Un format semplice, che ha visto letteralmente alternarsi su un palco improvvisato i diversi progetti iscritti, qualche minuto a disposizione con microfono alla mano, e naturalmente, per ciascuno, uno schermo dove proiettare le slide che illustravano il progetto. Giornate intense, ma decisamente ottimiste e orientate al futuro. Stanchi dunque della monotonia quotidiana? È tempo di innovare: la creatività non aspetta che il vostro originale e appassionato contributo!
A lessandra Chiappori
EVENTS
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ARTINTIME books@artintime.it
STORIE COME GENNAIO,
L’ESORDIO LETTERARIO DI MICHELA MONFERRINI Michela Monferrini è nata nel 1986, vive a Roma, dove collabora con diverse riviste e inserti culturali, e fa l’allenatrice di nuoto in piscina. Fin qui nulla di strano o particolarmente rilevante, se non che nel 2014 Michela ha visto pubblicare il suo romanzo d’esordio “Chiamami anche se è notte” presso Mondadori, nella collana “Strade blu”, dopo essere passata per la felice esperienza del Premio Italo Calvino di Torino, che la vide finalista nel 2012. Un percorso interessante, come la storia che questo libro racconta, costruita così bene da entrare a prima lettura nel cuore del lettore. Tre racconti, una sola storia in realtà, di cui Michela illumina tre momenti scelti, per questo significativi, tappe scandite in un tempo che è uno dei grandi protagonisti di questo libro, fatto di date – anzi di una data, il 6 gennaio, l’Epifania – e di episodi. Data non casuale, come scopriremo nell’intervista all’autrice che segue questa recensione, compleanno, ricorrenza, inaugurazione dell’anno: non a caso il titolo originale del libro era “Gennaio come”, a evocare il legame metaforico dei temi che la storia sviluppa con il mese
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che rappresenta il fulcro di tutte le vicende e pensieri. Ma questo è un romanzo intessuto non solo di sviluppi temporali: ad abitarlo ci sono i nomi, secondo elemento che nitidamente colpisce il lettore e diventa a ben vedere una delle caratteristiche più evidenti e connotanti di questa opera prima. I personaggi non hanno nomi propri ma il nome del proprio ruolo – Bambina, Ragazza per esempio - e questa scelta rende tutto maggiormente universale, così che il lettore prende davvero posto tra le pagine, inserendosi in quei nomi, popolandoli con il proprio vissuto. Il terzo elemento che colpisce, in questa storia, è il controllo sapiente e fermo del linguaggio, dell’impianto e degli snodi narrativi, che rivela una maturità piena e consapevole da parte dell’autrice, quella qualità rara e preziosa che porta a pensare “doveva scrivere, e per fortuna l’ha fatto”. I dettagli non sono mai scontati, così come le descrizioni, e ancora le citazioni e l’impasto per il loro rimescolamento all’interno della narrazione emanano un vissuto e un ragionato, e rendono il risultato narrativo intenso e pieno. Al di là di una sapiente e curata scrittura che,
speriamo, l’autrice continuerà a tenere allenata con nuove produzioni, questo esordio allestisce un mondo fatto di una delicatezza che, una volta scoperta, non si vorrebbe più lasciare. C’è spazio per tutto, cose belle ma anche dolorose e tristi, che però vengono reinterpretate alla luce di una coscienza del tempo e del suo avvicendarsi, del corso necessario della vita. È una storia di crescita, di tappe, di inizi e di fini – come spesso viene giustamente ricordato - di amori tra umani e non solo. Perché lo spazio per la storia tra la protagonista e il suo cane è una parte deliziosa e intensissima di questo romanzo, così forte e sensibile da non poter lasciare indifferente nessuno, padroni o meno di esseri a quattro zampe. “Chiamami anche se è notte”: la frase che ricorre in tutte e tre le tappe – e capitoli - del romanzo, in occasioni diverse ma allo stesso modo decisive, a stabilire una relazione, un evento della vita, un sentimento, una decisione che porterà a nuovi avvicendamenti, nuove storie. Come quelle che ci aspettiamo con grande curiosità e attenzione dalla penna di Michela Monferrini.
A lessandra Chiappori
BOOKS
“A Mamma di Bambina piace quest’espressione: essere di un mese, appartenergli, come lei appartiene a luglio, come si può essere soltanto di un mese o di un luogo – di Roma, o di Acapulco, di agosto o di Karachi, di Cape Town, di giugno -, e non certo di persone. Le piace che sua figlia e il suo cane appartengano entrambi a gennaio, siano suoi, di gennaio che inizia di notte, tra grandi festeggiamenti e fuochi d’artificio, e persone che sperano che tutto cambi e persone che sperano che tutto resti esattamente com’è” Michela Monferrini, “Chiamami anche se è notte”, Mondadori, 2014.
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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON . . . MICHELA MONFERRINI Un esordio letterario e le prime presentazioni in giro per l’Italia affiancata da scrittori e personaggi noti: come ci si sente? In un periodo in cui ogni giorno arriva sugli scaffali delle librerie un impressionante numero di titoli e novità, ciò che si prova è soprattutto un grande senso di responsabilità nei confronti del lettore che ti sta scegliendo nel mare magnum editoriale, che ti dà fiducia, che in qualche modo va alla cieca scommettendo su di te. La stessa cosa la si prova nel momento in cui un autore affermato spende tempo, energie e parole per il tuo libro, che avvenga durante un incontro pubblico o quando scrive una mail per darti il suo parere. Sei subito proiettato verso il futuro: non per ambizione, ma per il desiderio di avere l’occasione di migliorare, di dimostrare e di dare di più. Come nasce “Chiamami anche se è notte”? Più genericamente posso rispondere che è nato quando ho compiuto venticinque anni e ho sentito un gran bisogno di “capire” lo scorrere del tempo, il passare folle degli
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anni. Il periodo dei miei venticinque anni mi ha dato molto, ma mi ha tolto altrettanto, in termini di persone care e di esperienze, e volevo creare un “sistema” in cui dare un senso a quel che vivevo. Non ci potevo riuscire, come non vi riesce nessuno, ma questo tentativo coincide esattamente con il libro, che, più nello specifico, è nato quando per il compleanno – il venticinquesimo, ancora – ho ricevuto in regalo dal mio ragazzo la copia dei giornali usciti nel giorno in cui sono nata. Quei quotidiani, quelle notizie, hanno creato – insieme a ciò che ho provato a spiegare poco fa – uno strano cortocircuito, mi hanno fatto sentire il peso e insieme la leggerezza del tempo, mi hanno fatto capire che il suo scorrere non ha niente di lineare e mi hanno indicato il punto esatto da cui cominciare.
ritornerà. Come hai pensato questa costruzione e che cosa volevi raccontare con questa struttura al contempo semplice e complessa? Gli orologi sono un inganno. Il tempo in realtà si ferma, accelera, recupera, fa tornare e ritornare cose, le anticipa. Quando diciamo “Oggi il tempo è volato” o “non passava mai”, diciamo una verità. Quando stiamo bene accanto a una persona, possiamo credere davvero che il nostro orologio vada avanti con la stessa andatura del solito? Forse, semplicemente, il tempo non esiste. Volevo che la mia storia avesse questa sospensione, così ho scelto di raccontare una nascita nella prima parte, la malattia e la crescita nella seconda, e quindi la morte, ma una morte collegata alla vita, a formare una circolarità.
Il tuo esordio letterario è una delicatissima ed emozionante storia fatta di tre racconti che, circolarmente, si legano in un’unica narrazione. Elemento ricorrente è il tempo, tant’è che in una delle prime scene compare un orologio fermo che
A proposito del tempo, c’è una data, il 6 gennaio, su cui lavori molto nella narrazione. Tua data di nascita reale, diventa il riferimento temporale per lo svolgimento dei fatti a distanza di anni. Cos’è per te questa data e perché l’hai scelta?
INTERVISTANDO...
Tralasciando il fatto che si tratta della mia data di nascita, il 6 gennaio è – per tutti – il giorno dell’Epifania, ed Epifania è apparizione, manifestazione. La frase che nel libro si ripete continuamente dice che “C’è sempre qualcosa che inizia per qualcosa che finisce”, e allora questa data, per raccontare “l’inizio” o la speranza di un inizio, era perfetta. Il 6 gennaio è l’ultimo giorno delle feste, da bambini il 7 siamo sempre tornati a scuola, eppure c’è ancora nell’aria di festa qualcosa della promessa che è il nuovo anno e che dal 7 dimentichiamo, trascuriamo. Questo romanzo è una storia di inizi e di fini: i personaggi nascono, crescono, muoiono. E tra questi personaggi ci sono anche due cagnolini che sono tutt’altro che marginali: ci racconti qual-
cosa di loro? Potrei anche raccontare il libro dicendo che questa è una storia di corpi. C’è un corpo in attesa, nella prima parte. C’è un corpo che guarisce nella seconda e ci sono due corpi molto malati nella terza parte, due corpi che se ne stanno andando. Ecco, due di questi quattro corpi sono corpi di cane, ma non fa differenza: sono tutti corpi che vivono un mistero che non si riesce a comprendere, come rimane un mistero dare la vita, come rimane un mistero non poter arginare la fine. I cani, semmai, amplificano quest’impotenza di fronte al “corso delle cose”: per la loro rassegnazione, per la loro docilità, per innocenza e arrendevolezza. Curiosamente, nessun personaggio umano della tua storia
ha un nome, ci sono Ragazza e Ragazzo, Nonno Allende e Nonna Nomi... Quali sono le ragioni di questa scelta? In primo luogo, era per non “rubare” i nomi veri ai protagonisti di questa storia, e insieme per non inventarne di falsi. Ma è una scelta che voleva anche evidenziare la circolarità di cui parlavo prima: all’inizio del libro c’è Ragazza, alla fine c’è di nuovo Ragazza, ma non è più lei: è la Bambina della seconda parte che è cresciuta. Non volevo parlare della mia vita, ma della storia di tutti, e nella storia di tutti c’è questo continuo andare avanti e lasciare il passo. Citi spesso De Gregori, e con lui Leopardi, Silvia Plath, Shakespeare… Come si inseriscono queste che sono ispirazioni
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Michela Monferrini con Margherita Oggero
più che citazioni nella tua storia? Quando una persona che scrive cerca le parole migliori per esprimere qualcosa deve farsi bastare le proprie, ma io credo che le mie parole non bastino, non siano sufficienti, vi inserisco quelle degli altri e subito la pagina mi pare più luminosa, che si tratti di un’epigrafe o di una citazione nel testo. È un’azione da lettrice, non da scrittrice, e mi somiglia maggiormente, perché nella vita mi servono le parole degli altri. La giuria del Premio Calvino definisce la tua «Una narrazione fluida e avvolgente, dalle profonde radici emotive». La tua scrittura dimostra una sicurezza e una maturità che colpiscono: come lavori con e sul linguaggio, e in particolare come hai lavorato per questo
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libro? Questo libro l’ho scritto “di getto”, di sera e di notte, e la versione che è stata pubblicata è quasi la stessa della prima stesura, ci sono tornata su molto poco e non in modo sostanziale, anche in fase di editing. Non mi sento di avere “lavorato” sul linguaggio, anzi non mi sento di avere lavorato. Ho raccontato una storia, e se il linguaggio risulta particolare è perché probabilmente ho trovato un mio ritmo, che viene da tante letture. Leggere – soprattutto la poesia contemporanea, credo – mi aiuta moltissimo, come ascoltare musica. Il Premio Calvino non è nominato a caso perché tu sei stata finalista nel 2012: cosa ha rappresentato per te questo traguardo e in cosa concretamente ti è stato utile l’appog-
gio del Premio, che ormai è tra i più prestigiosi e seri in Italia, sia per quanto riguarda l’approccio al libro sia invece per i rapporti con le case editrici? Dato il numero di partecipanti, e la qualità di ciò che arriva al Premio Calvino ogni anno, entrare in finale dà grande fiducia; è una spinta ad andare avanti in un momento in cui non sei ancora stato pubblicato e devi capire se nella tua volontà di scrivere c’è consapevolezza dei propri limiti e delle difficoltà che incontrerai. La prima cosa che il Premio Calvino fa, per tutti i partecipanti (e questo è ammirevole) è una scheda di lettura seria e dettagliata, dove vengono analizzati pregi e difetti del libro: nella maggior parte dei casi, è la prima lettura di qualcuno che non è nella cerchia dei tuoi parenti e amici, dunque è la prima impressione che ricevi da un lettore,
INTERVISTANDO... e da un lettore forte e professionista. Questa scheda è anche un utile strumento nel momento in cui volessi provare a inviare il manoscritto alle case editrici: sarà la prima cosa che leggeranno. Quanto al rapporto tra il Calvino, i finalisti (e segnalati) e le case editrici, ormai c’è un’attenzione enorme da parte di queste ultime proprio già nei giorni della finale: il Calvino svolge quel lavoro di selezione che loro non sono più in grado di smaltire. Non solo Premio Calvino però, sei stata finalista a SubwayPoesia 2005 e al Campiello Giovani 2008: cosa ti ha spinta a partecipare a queste diverse rassegne e premi letterari? Pensi che siano una buona strada per far sentire la propria voce ed essere ascoltati? Quando andavo al liceo la bibliotecaria della scuola mi passava i bandi di concorso che venivano pubblicati, e spinta anche dalle professoresse ho cominciato a partecipare: i premi rappresentano la certezza che qualcuno ti leggerà, e nella scrittura (come in genere quando entra in gioco la propria creatività) non puoi fidarti della tua sensazione o di quella di chi ti sta intorno e ti conosce, devi avere un controcanto. Quando hai iniziato a scrivere e che cosa ti ha portato a farlo? Mi piaceva già scrivere i temi alle elementari. E se penso a qualcuno di quei temi, c’era già tanto di quel che poi è rimasto. L’epica dello sport, solo per fare un esempio, che amo da lettrice e da narratrice: posso ricordare che diverse volte – anche finendo fuori tema, ma del resto le cose migliori si trovano sempre fuori tema – mi ritrovavo a raccontare le gesta di un campione, o una storia minima legata allo sport.
Parliamo di letture: quali sono i tuoi “libri del cuore”, gli autori e le opere che più hai amato e ami fin da quando eri piccola e che influenza hanno avuto sulla tua scrittura e sul tuo immaginario? Tutti i libri che ho avuto nell’infanzia, da prima di imparare a leggere, sono libri del cuore: li ho tenuti, mi basta aprirli per ricordare il piacere della lettura di allora, diverso da quello di oggi, più istintivo, più “di pancia”. Ma il libro che mi ha fatto innamorare delle parole è stato Ascolta il mio cuore di Bianca Pitzorno. Avevo otto anni e dicevo “Quando avrò una figlia la chiamerò Prisca” (una delle protagoniste del libro). Poi, negli anni, ce ne sono stati tanti, impossibile capire quali siano quelli “del cuore”, e se quelli del cuore siano poi meno importanti di quelli “della testa”. Forse ci sono addirittura libri “dello stomaco”: libri che lo hanno chiuso per un po’, per esempio. Ogni volta che si chiede dei libri più importanti a un lettore, quest’ultimo potrebbe rispondere in modi diversi: dipende dal momento, dall’umore, persino dalle condizioni atmosferiche. Allora, io oggi – proprio oggi, intendo – direi di tre libri che sono sul comodino: la trilogia di Jón Kalman Stefánsson, di cui è appena stata pubblicata da Iperborea l’ultima parte, Il cuore dell’uomo. Il primo libro, Paradiso e inferno, lo aprii, lessi l’incipit, rimasi affascinata: «Era negli anni in cui probabilmente eravamo ancora vivi». Adesso quasi mi dispiace dover leggere il terzo libro. Era bello aspettarlo.
va, prendo appunti su un quaderno, ne sono al corrente pochissime persone con cui mi viene facile condividere e che mi restituiscono tanto: quando una persona legge il giornale e ti segnala “una cosa che può servirti per il libro”, quando ti fa sapere che sta pensando alla tua storia, anche solo quando ti chiede se procede, capisci che scrivere non è per niente un’azione individuale. So che collabori con alcune riviste, “Gli Altri” “L’Indice dei Libri del Mese” “Nuovi Argomenti, scrivi romanzi e vai in piscina: hai deciso cosa vuoi fare da grande? Oggi non si sceglie più, si prende quel che arriva. Penso che l’acqua e le parole siano due cose bellissime con cui, in cui, lavorare.
A lessandra Chiappori
Stai già scrivendo qualcos’altro, o hai progetti letterari in mente? Ho un’idea fissa, un po’ ossessi-
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ARTINTIME unclassicart@artintime.it
RISCOPRENDO TINA MODOTTI. UN’IMPERDIBILE RETROSPETTIVA Il luogo: Torino, Palazzo Madama, Corte Medievale. Questo spazio suggestivo che porta memoria delle varie fasi storiche e costruttive del palazzo (dai resti romani della porta decumana alle strutture del portico trecentesco, agli intonaci seicenteschi della volta) è da tempo destinato a ospitare piccole mostre temporanee, spesso di fotografia. In questo periodo e fino ad ottobre i protagonisti di questo spazio saranno gli scatti, l’arte e la vita della grande fotografa Tina Modotti. Fotografia e biografia di questa straordinaria artista sono intrecciate indissolubilmente, tanto da poter agevolmente leggere, scorrendo ad uno ad uno i suoi scatti in bianco e nero, i capitoli di un appassionante romanzo dai colori accesi. Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce a Udine nel 1896, figlia di un carpentiere e di una cucitrice. Durante la sua vita avventurosa sarà operaia, sarta, attrice, fotografa, amante, rivoluzionaria, antifascista; viaggerà per le Americhe, la Germania, la Russia, la Spagna. Diverrà allieva, musa e amante di Edward Weston (autore di alcuni ritratti di
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Tina esposti in mostra) e amica di Frida Kahlo. Gli scatti in mostra che scandiscono la sua vicenda artistica testimoniano una chiara evoluzione sia nelle scelte tematiche sia in termini di consapevolezza riguardo alla fotografia come strumento. Tra le prime foto, di un periodo che possiamo definire “formalista”, troviamo variazioni sul tema dello spazio. Canne di bambù, petali di rose, bordi di bicchieri.. non sono altro che linee in movimento che scandiscono ossessivamente, non senza un preciso ordine, lo spazio. In quest’ottica persino le vene che sporgono da anonime mani nodose possono leggersi come linee che si intrecciano in un astratto disegno. Più si prosegue più la fotografia si trasforma in strumento di impegno sociale, di denuncia, di lotta. I suoi protagonisti diventano ora persone in carne e ossa, lavoratori, donne, umili; i simboli della lotta comunista, la falce e il martello, il giornale del partito, “El Machete”. Divario e ingiustizia sociale sono efficacemente riassunti nello scatto intitolato “Elegance and poverty”: un cartello pubblicitario che raffigura un damerino
abbigliato all’ultima moda sovrasta un uomo vestito di stracci, disperato, accovacciato sul marciapiede. Lo stesso sconcertante effetto che scaturisce dall’accostamento di opposti ricompare nei ritratti realizzati dalla Modotti: al ritratto convenzionale di una bimba dell’alta società in posa accanto a un airone impagliato corrisponde quello di una ragazzina povera, scalza, i capelli impolverati, la camicia logora, appoggiata allo stipite di una porta. Alla profondità delle tematiche si aggiunge la qualità tecnica: il sapiente uso di luci e ombre e l’organizzazione equilibrata della composizione, frutto quasi sempre, a detta dell’artista stessa, di un attento studio a priori. Una fotografia forte, insomma, che non lascia indifferenti. Una storia avvincente raccontata attraverso gli scatti di questa interessantissima retrospettiva. “Fotografia, passione e rivoluzione: Tina Modotti, Palazzo Madama fino al 5 ottobre 2014.
Roberta Colasanto
UNCLASSICART
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ARTINTIME
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TEATRO teatro@artintime.it
QUANDO DANZA SIGNIFICA VITA Quando una passione bussa alla porta del cuore è difficile guardarla dallo spioncino senza aprire. Più facile è spalancare la porta e ritrovarsi in un grande centro cittadino in cui, a ogni angolo, appaiono possibilità e opportunità che trasformano questa passione in realtà e lavoro. Elena Valli nasce in un tranquillo paesino piemontese in cui, se non fosse per le attrazioni turistiche e paesaggistiche, ben poco si potrebbe ottenere oltre all’istinto primario di chiudersi in una fabbrica o in uno studio di commercialista. Elena da sempre esprime la sua attitudine per la danza, la presenza scenica e la naturalezza in palcoscenico. Così fin da piccola la danza accademica diventa la sua compagna inseparabile. “Quando ero piccolina non mi chiedevo cosa fosse o perché, ballavo e basta, poi crescendo diventa qualcosa a cui non puoi rinunciare fino ad essere il tuo obiettivo; dopo tanti sforzi e fatiche si trasforma nel tuo lavoro e perdi di vista l’importanza che ha, il valore, la motivazione. Come tante altre arti è un modo per comunicare, un strumento attraverso il quale esprimo le emozioni, sento il mio corpo, dono e trasmetto un messaggio. Proprio in questo
periodo mi sto avvicinando anche alla danza come terapia”. Nel 2008 compie quel passo che può cambiarle la vita: frequenta la scuola SDM – Scuola del Musical a Milano - che per due anni la catapulta, oltre che nello studio del ballo, anche del canto e della recitazione. Non sembra vero, ma dal momento del diploma, si apre la strada (o l’autostrada) che la conduce in tournée in vari teatri della penisola con i titoli più conosciuti: “La Bella e la Bestia”, “Alice nel Paese delle Meraviglie”, “Aggiungi un posto a tavola”. A proposito di quest’ultimo Elena esprime ciò che prova all’apertura del sipario: “L’emozione? Le gambe tremano, il vuoto allo stomaco che provi in quel momento è indescrivibile, la paura di aver dimenticato tutto di sbagliare, di non essere all’altezza prende il sopravvento, poi a sipario aperto inizi a cantare e il tuo corpo viene attraversato da una scarica di brividi, gli occhi si accendono e diventi il personaggio che devi interpretare. Un po’ come essere sulle montagne russe, il momento che precede l’apertura del sipario è come la salita, ricca di ansia, paura, emozione, adrenalina, quando inizia lo spettacolo la tensione si scarica,
tutta l’energia che possiedi si libera, vieni risucchiato nello splendido e magico vortice del teatro. Il tempo per pensare non c’è più, è un susseguirsi rapido di canzoni, di numeri, curve velocissime, testa in giù e discese da mozzare il fiato e arrivi alla fine con adrenalina, gioia ogni volta stupita del fatto che le ore sono volate e i pensieri prima del sipario sono lontani almeno fino alla prossima replica”. Per Elena uscire dal quotidiano e incontrare lo straordinario della tournée è un respiro di aria nuova, è quel varcare la soglia del provincialismo e poter dire “Io ci sono”. Elena ha sempre la valigia pronta: quando date e teatri chiamano, la risposta dev’essere celere. Le radici, però, non si tagliano mai, portandola a far convivere il dinamismo di una vita scandita da prove, viaggi in treno e in auto ed esibizioni con il relax a casa in cui ritrova il punto di partenza, il fulcro da cui l’avventura ha mosso i primi passi.
Barbara Mastria
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ARTINTIME fromlondon@artintime.it
ELSEWHERE How often do you get lost in your thoughts? You deep your feet in your own brain waves, a place where there is you and only you. No matter what’s happening in your surroundings, your life is on a stand-by mode. What really counts is the moment you are taking to contemplate your inner self. These moments are the concept behind the exhibition of drawings from London based illustrator and artist Von. With “Elsewhere” Von is exploring the reign of daydreams, when we finally logged off the modern way of life, full of information, contradictions and provocations and enveloped in an abstract universe. Inspired by a photographic series of people on night buses by Dan Sully, Von portraits are an attempt to capture the sense of calm that lies in the eyes of people drifting off in their own thoughts. Witnessing such rare personal instants, like catching someone in a café window or office, is fuel for the artist’s creativity. Entering the KK gallery at Hoxton Square, Shoreditch, you suddenly feel drowned in the dark
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abyss of those ladies’ eyes. Fragile, beautiful creatures magically brought to life by the craftsman holding the pencil. Images detached from the digital world, a busy jungle saturated with selfies and memes, sketches that speak in a humble grey black and white, appearing as in a dream elsewhere. Quanto spesso vi perdete nei vostri pensieri? V’immergete nelle onde del vostro cervello, un posto in cui ci siete solo voi. E non importa che cosa vi circonda perché la vita è in stand-by. Ciò che veramente conta è il momento che state dedicando a contemplare voi stessi. Proprio questi momenti di totale perdita di sè sono il concetto alla base della mostra di disegni di Von, artista e illustratore di stanza a Londra. Con “Elsewhere” Von esplora il regno del sogno a occhi aperti, quando finalmente ci disconnettiamo dal nostro moderno stile di vita fatto di un costante bombardamento d’informa-
zioni, stimoli e contraddizioni, e ci rintaniamo in un universo astratto.Ispirandosi a una serie di scatti fotografici di Dan Sully con protagoniste persone sugli autobus notturni, i ritratti di Von tentano di catturare la calma che giace negli occhi delle persone che si distanziano dalla realtà per perdersi nei propri pensieri. Proprio l’essere testimoni di tali istanti, così rari e personali, è il motore che spinge la creatività dell’artista. Quando si varca l’ingresso della galleria d’arte KK a Hoxton Square, nel cuore di Shoreditch, ci si sente come affogare nei profondi e oscuri abissi degli sguardi di queste donne. Fragili e bellissime creature che sono magicamente portate in vita dall’artista attraverso semplici tratti di matita. Immagini distanti dal mondo digitale, una giungla satura di selfie e memes, schizzi che parlano in un umile bianco e nero con tocchi di grigio, e che compaiono come in un sogno (in un) altrove.
Cristina Canfora
FROM LONDON
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ARTINTIME QUANDO IL CINEMA E’ ANCHE MUSICA: QUATTRO CHIACCHIERE SU JOHN WILLIAMS CON EMILIO AUDISSINO Ha radici liguri, ma vanta una laurea magistrale in cinema all’Università di Torino, un dottorato all’Università di Pisa con una tesi sul neoclassicismo musicale di John Williams e si trova attualmente all’Università di Southampton, in Inghilterra, dove sta lavorando a un metodo di analisi per musica da film tra il neoformalismo e la teoria di Leonard B. Meyer. Lui si chiama Emilio Audissino, e Artintime non ha deciso di intervistarlo solo per i suoi interessi e pubblicazioni sulla storia del cinema, sul doppiaggio e sull’estetica e storia della musica per film. Proprio mentre leggete questo articolo, sta infatti uscendo negli Stati Uniti “John Williams’s Film Music: Jaws, Star Wars, Raiders of the Lost Ark, and the Return of the Classical Hollywood Music Style” (University of Wisconsin Press), primo libro del giovane ricercatore, nonché prima pubblicazione in lingua inglese dedicata a John Williams. Un traguardo bello e importante, sul quale fare quattro chiacchiere con Emilio per capire qualcosa in più sulla musica da film e sulla celebre colonna sonora di Guerre Stellari. Il tuo libro parla di John Williams ed è la prima monografia scritta in lingua inglese su questo compositore. Prima di essere un libro è stata la tua tesi di dottorato a Pisa: ci racconti qualcosa sui lavori dietro le quinte svolti in casa editrice
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per “trasportare” e adattare un lavoro di taglio accademico, scritto in italiano, a una pubblicazione più agile in inglese americano? La prima cosa che ho dovuto fare è stato riorganizzare il materiale. La tesi aveva meno capitoli e più corposi. Un libro, possibilmente, dovrebbe avere capitoli più brevi e circoscritti. Oltre alla ridistribuzione, è stato poi necessario riscrivere la maggior parte del testo in modo da renderlo più leggibile. Non intendo con questo dire che bisogna trasformare la tesi in un libro da spiaggia, ma certi tecnicismi – e certe pose accademiche che invariabilmente il candidato mette nelle tesi per farsi bello – andrebbero evitate in un libro. E, infine, molti tagli. La tesi era lunga circa 210.000 parole (720 cartelle), mentre nel contratto per il libro avevo il limite di 120.000. Il manoscritto finale era lungo 420 cartelle. Quindi ho tagliato quasi metà della tesi, che spero un giorno di rivedere e pubblicare in un altro libro. È consuetudine trovare sugli scaffali dedicati al cinema delle librerie italiane monografie dedicate a registi e attori, molti pensano che a “fare il film” siano soltanto queste due tipologie di personaggi, e invece esiste anche chi deve pensare alle musiche. Perché scrivere proprio su John Williams?
La prima ragione è che io sono un fan di Williams e lo sono da più di vent’anni ormai. E, seconda ragione conseguente, da fan mi sono sempre stupito che non ci fosse un libro in inglese su Williams. Allora ho pensato di porre rimedio. Qual è la colonna sonora che ti ha fatto innamorare delle note di John Williams? Jurassic Park, avevo 12 anni. Ricordo di essere andato al cinema ed essere rimasto folgorato da questa musica. La solenne bellezza del tema principale, quando il personaggio di Richard Attenborough dice: “Benvenuti a Jurassic Park” e, stacco, vediamo il campo lungo del prato con i brontosauri al pascolo e sentiamo questa musica, quasi un inno… Lessi nei titoli che le musiche erano di un tale John Williams. Uscito dalla sala, iniziai a fare qualche ricerca per scoprire chi fosse e, sorpresa sorpresa, quell’uomo aveva scritto alcune tra le musiche più belle della storia del cinema. Ormai ero entrato nel tunnel… Williams-Spielberg: un binomio ricorrente e di successo garantito. Che rapporto esiste tra i film del regista e le colonne sonore firmate dal Maestro? È una simbiosi perfetta. Probabilmente la migliore coppia regista/ compositore della storia del cine-
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David Bordwell, Kristin Thompson, Jeff Smith con Emilio Audissino ma, sia per numero di collaborazioni che per costanza di risultati. I film di Spielberg non sarebbero gli stessi senza le musiche di Williams perché Spielberg come regista ha una grande attenzione e sensibilità per la musica, lascia lo spazio dovuto per il suo sviluppo e affida alla musica un ruolo centrale nella narrazione filmica. Lo stesso stile di Spielberg è per molti versi neoclassico e, potremmo dire, sinfonico – penso al tipico uso del carrello , quasi dei fraseggi all’interno dell’inquadratura – e quindi un compositore sinfonico e neoclassico come Williams è il collaboratore ideale. E, innegabilmente, Williams dal canto suo ha trovato il regista giusto per dare sfogo al suo stile non certo minimalista. “Star Wars”, “Jaws”, “Raiders of the Lost Ark”: come mai hai scelto proprio queste tre tra le tante colonne sonore di Wil-
liams? Il libro non è nè una biografia nè un excursus su tutta la produzione di Williams. È un saggio prima di tutto storiografico che ha lo scopo di dimostrare come Williams, al di là dei risultati artistici e del successo, sia importante per la storia della musica per film, ma anche per la storia del cinema tout court, perché ha riportato alla luce, negli anni ’70, lo stile musicale classico di Hollywood - la musica sinfonica degli anni ’30 e ’40 - in un periodo in cui le canzoni e la musica pop dominavano la scena e la musica sinfonica vecchia maniera era considerata morta e inutilizzabile nel cinema di allora. Il libro è un’analisi del neoclassicismo di Williams e le tre tappe principali di questa rivoluzione neoclassica sono state “Jaws”, “Star Wars”, e “Raiders of the Lost Ark”. Il 4 maggio è stato celebrato lo
“Star Wars Day”: come noto ai più, il compositore della “Marcia Imperiale” è proprio John Williams. Ti andrebbe di raccontare ai fan e ai nostri lettori come è nata questa colonna sonora e qualche aneddoto sulla sua storia? Gli aneddoti sarebbero davvero tanti, e alcuni si trovano nel capitolo dedicato a “Star Wars”. Uno in particolare mi sembra appropriato: se non fosse stato per Spielberg, Williams non sarebbe stato il compositore di Star Wars e noi probabilmente avremmo una colonna musiche completamente diversa. Infatti George Lucas intendeva originariamente utilizzare musica non originale, tratta sia dal repertorio classico – Gustav Holst, Richard Strauss, Maurice Ravel… - sia dalle partiture classiche di Hollywood. Un po’ come Kubrick aveva fatto per “2001”. Lucas vo-
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ARTINTIME leva un sound sinfonico tradizionale e, forse, pensava che non ci fosse più nessun compositore a Hollywood in grado o interessato a scrivere in quell’idioma. Spielberg gli ha fatto cambiare idea, suggerendogli di parlare con un certo John Williams, che aveva appena composto le musiche per “Jaws”… Tutte le colonne sonore di John Williams sono note al grande pubblico, quali sono quelle “dimenticate” e quelle che spesso la gente tende a non associare a John Williams? L’aspetto più evidente e famoso dell’opera di Williams sono le sue partiture sinfoniche per grande orchestra, quelle neoclassiche. Ma Williams è anche incredibilmente versatile, basti pensare a quanto “Schindler’s List” o “Accidental Tourist” sono diverse da “Star Wars” o “Superman.” Basti pensare alle splendide pagine jazz di “Catch Me if You Can” o al klezmer di “The Terminal”. Se dovessi elencare tre partiture poco conosciute dal grande pubblico come opere di Williams, direi “Jane Eyre” (per la televisione inglese, 1970), “The Fury” (di Brian de Palma, 1978) e “Dracula” (del 1979). Sono lavori estremamente raffinati sia dal punto di vista musicale in senso stretto che dal punto di vista narrativo, probabilmente migliori dei film per cui sono state scritte. Il tuo libro è dedicato al ritorno dello “stile hollywoodiano classico” in musica: di che cosa si tratta? Si tratta della musica per film composta principalmente tra il 1933 e il 1958. Musica per orchestra sinfonica, linguisticamente figlia della musica tardo romantica di fine ottocento/primi novecento – Tchaikov-
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sky, Wagner, Rachmaninov, Richard Strauss – e caratterizzata da una estesa presenza lungo tutto il film: non era raro avere musica che accompagnava le immagini per quasi tutto il tempo, anche attraverso la tecnica del Mickey-Mousing, cioè una scrittura musicale tipica dello stile classico che ricalcava strettamente, imitava si può dire, i gesti visivi con gesti musicale equivalenti. Così se un personaggio cadeva dalle scale, tipicamente si sarebbe sentita una rapida scala discendente degli archi a sottolineare l’azione visiva. Oggi questa tecnica ci fa pensare ai cartoni animati – e infatti il termine Mickey-Mousing deriva da lì – ma a quei tempi era utilizzata anche per scene drammatiche, come in Casablanca e in tutte le partiture di Max Steiner, per esempio. John Williams non ha scritto colonne sonore solo per il mondo del cinema, ma anche per quello della televisione, i primi anni da compositore ha lavorato proprio per il piccolo schermo. Come è nata la sua carriera e, soprattutto, era già il John Williams che conosciamo ora? Williams ha iniziato come pianista nelle orchestre degli studi di Hollywood alla fine degli anni ’50 – per esempio, è lui che ha accompagnato al pianoforte Marilyn Monroe che canta in “Some Like It Hot” – e poi si è fatto le ossa come compositore negli anni ’60 in televisione – ha lavorato nella serie “Lost in Space” e in “Gilligan’s Island”. A causa dei tempi di consegna minimi, i lavori televisivi sono meno riconoscibili, ma ritengo che la mano si sentisse già, in particolare nei primi lungometraggi a cui ha lavorato a metà anni ’60. Uno dei capitoli del mio libro è dedicato all’analisi dei quei tratti stilistici che rendono Williams
riconoscibile, e già in qualche modo neoclassico, nei suoi primi film degli anni ’60, soprattutto se confrontato, per esempio, con Henry Mancini, che aveva uno stile più pop e moderno. La domanda che tutti forse vorrebbero fare a un compositore è: ma come si scrive la musica per i film? Noi proviamo a farla a te, come lavora John Williams? Compone guardando le immagini, guarda prima tutto il film oppure ha già un’idea nel momento in cui legge la sceneggiatura del film? A differenza di altri compositori, specialmente europei – come Morricone – Williams non legge le sceneggiature ma lavora sul film vero e proprio. Leggere la sceneggiatura può creare preconcetti riguardo a come il film apparirà, creare false immagini nella mente che possono non corrispondere alle immagini del film e che poi sarebbe difficile rimuovere. Williams guarda tutto il film cercando di reagire come farebbe uno spettatore qualunque. E poi compone visionando continuamente le immagini. Parte del suo neoclassicismo consiste proprio in questa stretta aderenza al visivo, la sua musica è composta su misura, come quella dei compositori classici di Hollywood. Morricone compone basandosi più sul mood della scena, mood che può ricavare anche dalla sceneggiatura e da colloqui col regista; Williams invece compone basandosi sulla struttura audiovisiva vera e propria, il che necessita un lavoro a stretto contatto con il film. Durante la tua ricerca su John Williams hai avuto la fortuna di conoscerlo volando più volte negli Stati Uniti per ascoltarlo dirigere i Boston Pops durante
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INTERVISTANDO... concerti interamente dedicati alla musica da film: di che orchestra si tratta? Secondo il tuo parere di esperto in materia, ha senso dedicare spazio in sale da concerti anche alle colonne sonore del cinema e perché? I Boston Pops sono la più antica orchestra al mondo di questo tipo. In pratica, sono la Boston Symphony orchestra – una delle migliori al mondo – che a Natale e in primavera esegue concerti di musica sinfonica leggera: ouverture operistiche, marce americane, songs di Gershwin, pezzi da Broadway e musica per film. Noi purtroppo non abbiamo nulla del genere in Italia: abbiamo da un lato le “grandi orchestre” che, custodi della musica d’arte, tendenzialmente rifiutano di sporcarsi le mani con musica di consumo come la musica per film, e, dall’altro, la musica per film è quindi appannaggio di complessi bandistici o dilettantistici che raramente riescono e renderle giustizia – la musica di Williams, per esempio, non è affatto facile da suonare e basta andare su Youtube per sentire esecuzioni di gruppi di dilettanti che sono magari armati di buone intenzioni ma i cui risultati fanno accapponare la pelle. Nel repertorio cinematografico c’è brutta musica che non starebbe in piedi da sola, è vero, ma c’è anche bella musica. Williams una volta ha detto: “Quello che eseguiamo del repertorio da concerto del 19mo e 20mo secolo è solo l’uno, forse il due percento di tutto quello che è stato composto in quel periodo. E c’è almeno un 1% di buona musica composta per cinema.” I Boston Pops e i programmi di musica sinfonica leggera suonati con professionalità e senza pregiudizi sono importanti perché sono un modo per avvicinare al repertorio da concerto le nuove generazioni o quelli
che credono di detestare la musica sinfonica. Ascoltando in concerto l’ouverture da “Star Wars” magari l’ascoltatore scopre che il suono di un’orchestra sinfonica non è poi noioso come pensava e magari è spinto ad approfondire questa scoperta, avvicinandosi così, attraverso “Star Wars”, a Richard Strauss, Wagner, Mahler… Proprio mentre sta uscendo questo numero di Artintime sarai ancora una volta oltre oceano per presentare il tuo libro e incontrare di nuovo il Maestro. Che emozione si prova a stringere la mano e presentarsi a John Williams? Avrai il piacere di consegnarli il tuo libro? Come ti aspetti reagirà e, soprattutto, che soddisfazione si prova davanti a una scena simile? Ho incontrato parecchie volte Williams negli ultimi sette anni, ma devo dire che l’emozione è sempre grandissima – e difficile da controllare: in molte foto che abbiamo fatto assieme io ho un’espressione piuttosto disdicevole da mistico cha ha appena assistito a qualche apparizione angelica; è difficile rimanere impassibili quando si incontrano i propri eroi. Ho appuntamento con lui il sette giugno per consegnargli il libro. L’ho sempre tenuto aggiornato sullo sviluppo del progetto e nel 2012 gli avevo portato una copia della mia tesi di dottorato tradotta in inglese. Lui è sempre molto gentile ed è una persona incredibilmente umile: ogni volta è lui che ringrazia me per essere andato a trovarlo. Ricorderò sempre quando, consegnatagli la tesi, mi ha abbracciato e mi ha detto “grazie” in italiano. La consegna del libro sarà il coronamento di un lavoro decennale da parte mia.
Raggiunto questo importante traguardo, su che temi proseguono le tue ricerche accademiche? Dove potremo leggerti o ascoltarti parlare di cinema nei prossimi mesi? In questo momento sto scrivendo da Madison, Wisconsin, dove sono venuto ad approfondire la mia conoscenza del neoformalismo e dove ho avuto l’occasione di incontrare David Bordwell e Kristin Thompson, che per me stanno agli studi sul cinema come John Williams sta alla musica per film. A giorni terrò due interviste radiofoniche qui a Madison parlando di John Williams e del mio libro. A fine maggio sarò a New York per tenere una conferenza alla New York University sui pregiudizi europei nei confronti dei compositori hollywoodiani. A giugno sarò alla libreria Barnes & Nobles a presentare il libro. A fine giugno sarò a Milano all’Università Cattolica per parlare del genio di Mario Bava in occasione del centenario della sua nascita, e forse ci scappa anche una presentazione del libro – se ne sta occupando la publicity manager di University of Wisconsin Press, la casa editrice del mio libro. A luglio ho in programma di presentare il libro alla “Libreria Ragazzi” nella mia città natale, Imperia. Se sopravvivo a tutto questo, a settembre ho in agenda un intervento all’Università di Leeds sulle musiche di “E.T. The Extraterrestrial”. E sto proseguendo la mia attività di ricerca in ambito della musica per film ma non solo – a luglio esce negli Stati Uniti un saggio sul doppiaggio che ho scritto per un libro collettaneo pubblicato da Bloomsbury. Insomma, non ci si annoia, ma sto perdendo sempre più capelli…
A lessandra Chiappori Francesca Cerutti
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ARTINTIME music@artintime.it
IGGY AZALEA Direttamente dall’Australia arriva una biondina senza mezze misure. Classe 1990, Iggy Azalea ha sfacciataggine da vendere; sarà la parlantina a mille o forse solo l’atteggiamento provocatorio tipico del suo genere musicale, ma la giovane rapper sa sicuramente far parlare di sé. Già modella per l’agenzia di moda Wilhelmina Models, nel 2011 realizza il suo primo mixtape “Ignorant Art”, che grazie a brani senza censure (come “Pu$$y” e “Two Times”) la porta a diventare in breve tempo uno dei nomi più conosciuti del panorama hip hop. Un colpo di fortuna per la giovane modella? Pare di no, l’anno successivo, infatti, produce un nuovo mixtape,”Trapgold”, fa uscire “Glory” il suo primo EP realizzato con la partecipazione del famoso produttore Diplo e, dopo aver litigato con l’etichetta discografica Grand Hustle Records, firma un contratto con la Mercury Records. Non basta ancora però, l’anno successi-
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vo la giovane rapper australiana partecipa ai BET Hip Hop Awards 2012, rappando insieme ad artisti come B.o.B, Chip, T.I. e Trae tha Truth. È il 2014 quando esce il suo primo album in studio: “The New Classic”, coprodotto con alcuni dei nomi più noti del dj set come Steve Aoki, Flosstradamus, The Messengers e The Invisible Men. All’interno della raccolta non mancano le collaborazioni importanti come in “Change Your Life”, un mix di elettronica e rap firmato insieme con T.I., o il brano”Problem” (capace di raggiungere la prima posizione su itunes in meno di mezz’ora) realizzato con la cantante statunitense di origini italiane Ariana Grande. Da non dimenticare la carica di “Bounce”, con l’esplosione di un lato tutto elettronica e dance e l’esplicita provocazione di “Work”. Un mondo poliedrico e sfacciato, dunque, quello che si presenta agli occhi (e alle orecchie) di chi si avvicina per la prima volta a Iggy Azalea. Impossibile consiglia-
re un vero punto d’inizio: qualsiasi sfaccettatura vi capiti, inizialmente, vi shockerà, vi sconvolgerà o semplicemente vi colpirà a fondo per la grinta graffiante e l’assenza di peli sulla lingua. Un fascino dalla base rap e dai contorni insoliti che sta conquistando l’Australia e l’America. Nell’attesa di vedere, quindi, se non sia che l’esordio di una nuova voce dell’hip hop, limate gli artigli e ascoltate di cosa è capace: enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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VIRGINIA DI GIORGIO Recentemente premiata agli Instagramers Awards nella categoria Arte per la sua ultima creazione, Virginia di Giorgio si distingue per lo stile essenziale e accattivante. Nata a Messina nel 1986 inizia i suoi studi nella città siciliana, per trasferirsi poi a Catania e a Firenze, dove si laurea in Storia dell’arte medievale. Terminato il percorso di studi inizia a lavorare come modella in un’accademia di pittura e scultura, ma decide poi di intraprendere un percorso differente guidata dalla sua grande passione per il disegno, dando così vita al suo personaggio, Virgola, protagonista di vignette originali e ricche di poesia.
I suoi disegni, realizzati rigorosamente a mano, appaiono semplici e lineari, ma con un tocco di vivacità, ottenuta dal colore e dal costante gioco con oggetti e spazi reali e quotidiani. Virgola abita in un mondo illustrato in cui disegno, fotografia e realtà convivono e si integrano perfettamente, e in cui gli oggetti della quotidianità sono reinventati e collocati in un’atmosfera sognante e leggera. Tazze, fiori e cuffie si trasformano e si plasmano nell’opera, diventando parte di scenari sempre nuovi, in cui Virgola viene reinventata dalla mano dell’artista. Un personaggio in continua evoluzione, ma che mantiene sempre i suoi caratteri distintivi: semplicità, spensieratezza e originalità.
Anna Moschietto
Instagram: @virgola_ | Facebook: virgola | Twitter: @Virgola www.poesiasilenziosa.blogspot.it
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POP-ART
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CUERDAS - LEGAMI D’AMICIZIA “Cuerdas” è il secondo cortometraggio realizzato dal regista spagnolo Pedro Solis che si è ispirato per realizzarlo alla storia di suo figlio, Nicolàs, affetto come il protagonista di questo racconto da paralisi celebrale. Vincitore del premio Goya 2014, importante riconoscimento cinematografico spagnolo che viene solitamente encomiato ai personaggi che si sono contraddistinti nel loro settore, Cuerdas è un cortometraggio che racchiude in sé diverse sfide. La prima è quella della vita stessa del bimbo malato che arriva in orfanotrofio, abbandonato quindi dai genitori; la seconda è quella di Maria, che cerca di donare affetto al bimbo, cerca di aiutarlo e diventa il suo allenatore, provando a proporgli delle attività che normalmente non sembrano adatte per un bimbo con quella malattia; infine c’è la sfida di un padre, regista, che vuole raccontare affinché suo figlio non sia solo. Non è sicuramente una novità trovare nel mondo del cinema film che trattano storie di ragazzi e uomini speciali: “Rain Man”, “Forrest Gump”, “Io sono Sam”, sono davvero numerosi i titoli che vogliono rendere testimonianza a chi, secondo la società, è diverso, ma non per questo deve essere guardato in modo differente. Il cinema mostra e Solis decide di mostrare con la semplicità disarmante di un bambino come sia possibile costru-
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ire un legame di amicizia anche con chi non è uguale a noi, con chi non ha avuto la nostra stessa fortuna. Riesce a mostrare chi, come Maria, si affeziona ed è sensibile, ma anche chi si ferma di fronte a questi ragazzi e preferisce allontanarsi da loro: Maria è strana secondo i suoi compagni, ma a lei non interessa nulla, riesce a vedere oltre l’aspetto esteriore e le evidenti limitazioni fisiche del bambino. È proprio la fantasia ad aiutare Maria, che riesce a sorpassare questo ostacolo grazie a delle corde - da questo oggetto deriva appunto il titolo. La bimba riesce a far fare al suo nuovo amico quello che molti avrebbero ritenuto impossibile: attraverso il legame fisico di una corda costruisce un legame affettivo. “Cuerdas” è caratterizzato da disegni molto semplici, non c’è una ricerca estetica in quello che viene rappresentato, è evidente che si ricerca la chiarezza per rendere il messaggio più diretto e immediato. Da notare è il grande effetto che hanno gli sguardi dei due bambini quando danzano abbracciati, si può leggere tutto nei loro occhi, la speranza di un domani migliore, la voglia di andare avanti, la voglia di vivere. Sono proprio gli occhi di Maria, più che le parole delle insegnanti, a comunicarci cosa è accaduto al suo amico nelle ultime battute finali, comprendiamo che è partito per un viaggio da cui non tornerà più, le parole spiegano la si-
tuazione, l’accaduto, ma a un certo punto diventano soltanto un suono di sottofondo, quasi un disturbo che Maria non sente più. È rimasta sola, lei con il pezzo di corda, l’ultimo segno dell’amico oltre al passeggino vuoto. Un pezzo di corda che rivediamo nell’ultimo fotogramma del film, così che comprendiamo il forte effetto di questo oggetto – e di un equivalente legame affettivo – sulla bambina. “Cuerdas” è sicuramente un cortometraggio molto duro, ma che riesce a parlare al cuore, con semplicità e fantasia. Spesso è proprio grazie alla fantasia che si riescono ad affrontare delle situazioni difficili, i bambini sono dei maestri in questo, riescono a vedere quello che spesso noi adulti non vediamo, perché a quell’età i problemi non sono macigni insormontabili, ma piccoli sassolini disseminati sulla strada che spesso sembrano quasi abbellirla piuttosto che renderla impraticabile. Pedro Solinas riesce in un’impresa sicuramente non semplice, conquistando anche un premio importante che è un valore aggiunto a un prodotto che probabilmente non lascerà segni indelebili nella cinematografia, ma certamente nei nostri cuori.
Francesca Cerutti
MOVIES
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FASANO JAZZ
ROCK IN ROMA
SCRATCH!
Dal 30 maggio al 11 giugno si terrà la diciassettesima edizione del “Fasano Jazz Festival”, rassegna musicale dedicata alla musica jazz e rock che ogni anno ospita nella cittadina pugliese alcuni dei maggiori artisti italiani e internazionali di genere. Un appuntamento unico per apprezzare giovani artisti, musicisti affermati, ma soprattutto musica di qualità. Tra i protagonisti del festival: David Cross, Phil Miller, Keith Tippett, Julie Tippetts, Alex Carpani Band e Aldo Tagliapietra. Per maggiori informazioni visitate www.fasanojazz.it.
Presso l’Ippodromo delle Capannelle di Roma dal 3 giugno al 2 agosto si svolgerà “Rock in Roma”, il festival dedicato agli amanti del rock che ogni anno accoglie nella capitale grandi nomi della musica internazionale. Tra gli artisti che saliranno sul palco Queens of The Stone Age, Thirty Seconds to Mars, The Prodigy, Arcade Fire, Metallica, Placebo, Afterhours e Franz Ferdinand. Un mix di generi e artisti che il pubblico potrà apprezzare nei diciotto live in programma. Maggiori informazioni sul sito dell’evento: www.rockinroma.com.
Dal 4 al 7 giugno a Lecce si svolgerà la terza edizione di “Scratch!”, il festival internazionale dedicato al corto di animazione organizzato dall’associazione Animood. Tra le opere che concorreranno video clip, corti, mixed media, animazioni 2D, animazioni 3D e video tutorial, che verranno giudicati da esperti nel campo dell’animazione e della comunicazione, che interverranno anche in eventi e workshop. Per maggiori informazioni sul programma della rassegna visitate il sito www.scratchfilmfestival.com o la pagina Facebook dell’evento.
FESTIVAL LETTERATURA MILANO
FORUM EUROPEO DIGITALE
CORTO IN BRA
Terza edizione per il “Festival della Letteratura di Milano”, rassegna dedicata alla cultura e all’editoria che dal 4 al 8 giugno intratterrà i suoi visitatori con un ricco calendario di attività, incontri, reading, mostre e presentazioni, in cui interverranno autori, poeti, editori ed artisti. Non mancheranno inoltre le novità, tra cui lo spazio dedicato al Salone della Piccola Editoria, in cui troveranno spazio opere estranee alla grande distribuzione. Per informazioni sul programma del festival vi invitiamo a consultare il sito www. festivaletteraturamilano.it.
Il 5 e 6 giugno a Lucca, presso il Palazzo Ducale, si svolgerà l’undicesima edizione del “Forum Europeo Digitale”, la conferenza internazionale dedicata al mondo della digital communication. L’appuntamento, che conterà la partecipazione dei principali esperti e delegati dei maggiori gruppi televisivi europei, affronterà diverse tematiche legate al futuro della televisione, approfondendo in particolare la qualità del prodotto, le nuove modalità di visione, le nuove forme di distribuzione. Maggiori informazioni: www.comunicaredigitale.it.
Dal 5 al 8 giugno torna l’appuntamento con “Corto in Bra”, la rassegna cinematografica internazionale dedicata al cortometraggio della città di Bra. L’evento prevede tre concorsi “Cinema Corto in Italia”, “Food Shorts” e “Ready for the future: Scifi Shorts” in cui concorreranno cortometraggi di finzione, documentari e corti di animazione provenienti da tutto il mondo. Inoltre non mancheranno incontri con importanti ospiti interazionali, che come di consueto arricchiranno la rassegna con interventi e incontri. Per informazioni: www.cortoinbra.it.
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EVENTS A cura di Anna Moschietto
PAROLE SPALANCATE
UNA MARINA DI LIBRI
STATE OF THE NET
Ventesimo anniversario per la rassegna letteraria “Parole Spalancate”, il festival di poesia della città di Genova. L’evento si svolgerà dal 6 al 16 giugno e come di consueto coinvolgerà importanti autori e artisti italiani e internazionali, che interverranno in incontri, letture, concerti e spettacoli. Un’occasione per incontrare e apprezzare suoni e immagini provenienti da tutto il mondo, per conoscere idee e partecipare alla diffusione di pensieri e parole. Per conoscere il programma completo della rassegna vi invitiamo a consultare www.festivalpoesia.org.
A Palermo, presso la Galleria d’Arte Moderna, dal 6 al 8 giugno si svolgerà “Una marina di libri”, il festival dell’editoria indipendente di Palermo. Come sempre sarà presente l’area dedicata all’esposizione e alla vendita e non mancheranno i consueti appuntamenti con presentazioni, reading e incontri con note personalità del panorama nazionale e internazionale. Infine sarà dato spazio all’intrattenimento con mostre, concerti e proiezioni aperte al pubblico. Il programma completo è consultabile sul sito unamarinadilibri.altervista.org.
Quarta edizione per la conferenza internazionale “State of the Net”, che dal 12 al 14 giugno a Trieste accoglierà importanti opinion makers, imprenditori e giornalisti italiani e stranieri, per confrontarsi sullo stato della rete e sull’impatto che ha avuto e sta avendo sulla società contemporanea. Un dibattito attivo in cui esperti e partecipanti affronteranno alcune delle tematiche più calde legate a internet e al mondo digitale. Per informazioni dettagliate sul programma della conferenza e sugli ospiti presenti, visitate www.stateofthenet.org.
TRENTINO BOOK FESTIVAL
PESARO FILM FESTIVAL
Torna anche quest’anno l’appuntamento con il “Trentino Book Festival”, la rassegna dedicata alle storie e alla letteratura che ogni anno a Caldonazzo, in provincia di Trento, raduna scrittori, giornalisti, artisti ed editori con l’obiettivo di divulgare l’amore per la lettura e il libro. Una quarta edizione ricca di appuntamenti che dal 13 al 15 giugno vedrà la partecipazione, tra gli altri, di Simone Cristicchi, Sveva Casati Modignani, Dario Fo, Andrea Vitali e Gianrico Carofiglio. Per maggiori informazioni sul calendario delle tre giornate di kermesse: www.trentinobookfestival.it.
Cinquantesimo anniversario per la “Mostra Internazionale del nuovo cinema” di Pesaro. Il festival, che si svolgerà dal 23 al 29 giugno, come sempre darà spazio alle produzioni di registi emergenti, e presenterà una sezione di approfondimento sul cinema sperimentale americano e una retrospettiva dedicata al cinema d’animazione italiano. Non mancheranno inoltre eventi dedicati alla celebrazione del cinquantenario della manifestazione e i consueti momenti di incontro e formazione. Per maggiori informazioni: www.pesarofilmfest.it.
IL CINEMA RITROVATO
A Bologna dal 28 giugno al 5 luglio si terrà la ventottesima edizione del festival “Il cinema ritrovato”, che quest’anno, in onore del centenario di Charlot, sarà preceduta da tre giorni di convegno completamente dedicati al personaggio più famoso di Chaplin. Otto giorni di rassegna in cui immergersi nelle atmosfere di pellicole d’altri tempi, attraverso i migliori restauri dell’anno e personaggi indimenticabili della storia del cinema. Non mancheranno inoltre gli appuntamenti con ospiti e protagonisti del grande schermo. www.cinetecadibologna.it
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