ART
IN TIME n.5 - Maggio 2014
ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS
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ARTINTIME L’EDITORIALE “Bene in vista” annuncia da un cannocchiale fatto di carta il bambino protagonista della campagna stampa che il Salone Internazionale del Libro di Torino ha scelto di diffondere in questo maggio 2014 dedicato ai libri. E dedicato anche al bene che forse, ci pare di captare dal messaggio, arriva anche dal grande e affollato mondo delle parole scritte. A nostro modo, anche noi abbiamo voluto celebrare il magico mondo dei libri, non solo con le due classiche recensioni di esordienti che vi proponiamo, ma con la nostra vignetta cinematografica che vede il simpatico regista Chuck vittima, oltre allo schermo, dei sani vecchi e appassionanti libri. Perché in fondo, a ben pensarci, basta poco per emozionarci: una bella storia. Di belle storie, e di quel bene citato prima, ci parlano le due interviste che vi proponiamo questo mese: da una parte una giovane casa editrice toscana, dall’altra un progetto ambizioso e determinato che si dedica al mondo del video e della fotografia. O meglio, come scoprirete leggendo, al mondo della creatività, mai così lontano dagli stereotipi e incentrato invece su una minuziosa e accorta ricerca del lavoro giusto, appagante. Del bene insomma, quel bene in vista che ci sentiamo ottimisticamente di aspettare e augurarci di trovare davvero dandoci da fare e mettendo a frutto tutte le nostre potenzialità, come fanno i ragazzi di Progetto Bifronte. Altri ragazzi, altre energie spese per il bene: si tratta del Torino Fringe Festival, che dal 2 al 12 maggio tornerà a colorare e animare i teatri e le strade di Torino con il suo format autonomo ispirato al grande festival di arti performative di Edimburgo. Anche quest’anno, ci piace potervi annunciare che siamo partner dell’evento, che abbiamo seguito fin dai suoi primi passi nel 2013. Come tali, non solo troverete il nostro logo inserito nel retro di copertina del programma del Fringe, disponibile per tutti i torinesi e turisti che nei primi giorni di maggio avranno voglia di seguire dal vivo gli eventi, ma vi terremo aggiornati con articoli e foto del grande festival teatrale in diretta dalla capitale sabauda. Del resto la descrizione della parata inaugurale del 2 maggio annuncia che sarà presente “gente presa bene” e, riprendendo e trasformando nelle sue molteplici sfumature di significato questo termine così abusato e banalizzato, ci sentiamo davvero presi bene ad annunciarvi il nostro numero sfogliabile di maggio. Dopo un’incerta parentesi di ritorno ai rigori invernali, la primavera esplode per le strade e porta con sé eventi e voglia di fare: lo stesso vale per la redazione di ArtInTime, che non si ferma mai e sta lavorando a un sacco di novità che presto - speriamo! - saremo in grado di annunciarvi. Il tutto all’insegna del motto “fare bene”, che vorremmo diventasse la nostra cifra distintiva in un panorama affollato di progettualità e iniziative editoriali che un po’ ci assomigliano, ma un po’ anche no, perché nulla hanno a che vedere con i nostri punti di partenza e le nostre idee. Per il momento, proseguiamo anche a maggio con la nostra quinta copertina d’artista, un progetto che caratterizzerà ogni nostro numero per il 2014. Maggio vede l’opera realizzata per noi da Etnik, nome d’arte per il poliedrico writer Alessandro Battisti, dagli anni ’90 sulla scena della street art italiana. Presentazione migliore non poteva avere questo numero che esplode letteralmente di contenuti, tutti selezionati e curati apposta per voi e per il vostro tempo libero da passare in nostra compagnia tra musica, arte, cinema, teatro, libri ed eventi all’insegna del fare bene e del diffondere il bene e il bello che tutta quest’arte ed energia trasmettono. Avete voglia di saperne di più? Allora girate la pagina, ed entrate nel nostro coloratissimo mondo! Alessandra Chiappori
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ARTINTIME SOMMARIO 6 . ANNA F. by Angelica Magliocchetti
8 . GRAND PIANO by Francesca Cerutti
10 . ETNIK by SQUARE 23
12 . LA BRUTALE ESTATE DELL’ADOLESCENZA by Alessandra Chiappori
14 . TUFFI DI PANCIA PER GENTE PRESA BENE by Alessandra Chiappori
16 . INTERVISTANDO : BOOKSALAD: byFrancesca Cerutti
20 . DALLA TATE A TORINO: LA MOSTRA DEI PRERAFFAELLITI by Roberta Colasanto
22 . REALTA’ E FINZIONE A MENOVENTI. by Barbara Mastria
24 . LONDON MUSEUMS: A FREE TRIP TO INTERNATIONAL ART by Cristina Canfora
26 . INTERVISTANDO : PROGETTO BIFRONTE by Akessandra Chiappori
30 . ANDEAD by Angelica Magliocchetti
32 . KAYONE by Spazio San Giorgio
34 . GUIDA RADICAL CHIC ALL’INTELLETTUALISMO MODERNO by Alessandra Chiappori
36 . FRANCIS by Francesca Cerutti
38 . EVENTS by Anna Moschietto
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ARTINTIME music@artintime.it
ANNA F. Nel variegato panorama dei nuovi singoli usciti in occasione della primavera, vi sarà subito balzato all’orecchio un brano insolito: ritmi elettronici, il basso tuba discendente e un motivetto semplice, minimale che rimane subito impresso nella mente. È “Dna”, pezzo sbarazzino che ha portato alla ribalta in Italia la cantautrice austriaca Anna F. Classe 1985, nata a Friedberg, la giovane artista, già modella e conduttrice tv in Germania, dopo due album auto-prodotti nel 2010 (“For Real” e “Live from the Mushroom”), è pronta ora a lanciare in campo la sua ultima creazione: “King in the mirror”. Dopo una breve parentesi newyorkese in cui è venuta a contatto con grandi produttori discografici come Rick Nowels ( Lana Del Rey, Lykke Li e Dido), Anna abbandona quella realtà «dove deve nascere una hit ogni mezz’ora», scegliendo invece, per il suo terzo lavoro, un giovane produttore, che la porta a incidere nuovamente in Europa. “King in the mirror” nasce così, tra Berlino e l’Umbria, tra gli studi di registrazione e una vecchia casa interamente in pietra nella provincia perugina. È questo di cui ha bisogno la giovane cantautrice: « una dimensione più diluita dove il tempo e le pa-
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role hanno forme e colori diversi, più profondi». Proprio questa calma e questo bisogno di tornare a casa, ogni tanto, anche solo per un attimo di pace, si ritrova in “Friedberg”, dedica alla sua città natale e primo brano dell’album. Ma le sorprese non sono finite. Prendendo le distanze dal famoso, sfizioso, motivetto di “Dna”, vero e proprio manifesto dell’egoismo moderno di una vita senza ideali, superficiale e irriverente, l’album ci apre la visuale su brani più introspettivi come “Too Far” o l’intima “Tongue tied”, avvolta in un’inaspettata cornice d’archi. Non basta ancora, però, nel disco si possono trovare anche tematiche più delicate, come ad esempio l’idea che si ha di sé stessi, quello che ci piacerebbe gli altri vedessero di noi, la maschera che indossiamo. Questo il pensiero alla base di “King in the mirror” (brano che dà il nome all’intero lavoro) e questa l’idea portante su cui ruota l’intera raccolta. Allo stesso tempo, si inconcontrano anche sonorità più leggere, orecchiabili e decisamente pop, in brani come “We Could Be Something”, “Good Girl” o “Underdog”. Tante facce di una stessa persona, quindi, tante maschere moderne che possiamo indossa-
re, dall’immorale, al raccolto, dalla spensieratezza alla sincerità del flusso di coscienza. Le possibilità sono tante, e nell’album della cantautrice austriaca ne possiamo ritrovare parecchie, tutte, sempre, trattate con il consueto sound sfuggente e apparentemente distaccato. Se, allora, la voce sussurrata della giovane autrice vi intriga e volete sentire dal vivo di cos’è realmente capace tenete a mente due appuntamenti: 28 maggio ai Magazzini Generali a Milano e 29 maggio all’Hiroshima Mon Amour a Torino. Per iniziare bene la bella stagione ascoltando qualcosa di fresco! Enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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ARTINTIME movies@artintime.it
GRAND PIANO
PIANISTI A 24 FOTOGRAMMI AL SECONDO Storie di pianisti il cinema ne ha viste diverse, sicuramente non è niente di nuovo per il grande schermo, citando infatti due tra le più note pellicole vengono in mente subito “La leggenda del pianista sull’oceano” di Tornatore e poi “Il pianista”, di Polanski. Sono entrambi film che hanno fortemente segnato la storia del cinema, prima di tutto perché si tratta di vicende radicate nella Storia, quella con la S maiuscola, inoltre entrambi hanno fatto commuovere il pubblico e si sono insediati, nel bene e nel male, nella memoria comune. Di ben altra natura è invece il film di Eugenio Mira, giovane regista di origini spagnole che sceglie di realizzare un thriller che vede come protagonista un pianista diverso dai suoi colleghi precedentemente citati. “Grand Piano”, tradotto in italiano con “Il ricatto”, racconta la storia di un pianista molto talentuoso, Tom Selznick, interpretato da Elijah Wood, che ritorna sulle scene dopo anni di assenza. Nel corso della narrazione scopriamo che ha deciso di ritirarsi dal mondo della musica dopo un concerto durante il quale non è riuscito a eseguire correttamente “La Sanchette”, celebre brano scritto dal maestro di Tom, il grande pianista
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Patrick. Tom però viene spinto dalla moglie, Emma (Kerry Bishé) a ritornare a suonare davanti al pubblico, una scelta difficile che si realizza proprio nella sera in cui è stato architettato un piano per sottrare il pianoforte di Patrick, strumento che lui ha scelto di suonare per ridare il via alla sua carriera. “Sbaglia una nota e morirai” è il messaggio che accoglie Tom quando si accinge a suonare, uno scherzo degli orchestrali? Non è esattamente così, non ci vuole molto a comprendere che la situazione è agghiacciante, Tom rischia realmente durante questa esecuzione che potrebbe rivelarsi l’ultima della sua vita. La paura del palcoscenico, maturata in seguito al suo ultimo concerto, si trasforma in breve nella paura di morire. Tom sembra destinato a morire su quel palco, suonando la sua ultima nota: un uomo gli ha nascosto un’auricolare nello zaino e la utilizza per dargli degli ordini, dice di essere Patrick, il maestro di Tom defunto l’anno precedente. Quest’uomo, interpretato da John Cusack, a un certo punto della serata gli ordina di eseguire “La Sanchette”, quella stessa composizione che aveva decretato il suo ritiro dalle scene. Tom, che ammette di aver gettato gli spartiti per evitare di doverla
suonare, cerca di recuperarli, non riuscendoci trascrive i passaggi più difficili durante l’intervallo: è disposto a tutto pur di salvare la moglie, vuole suonarla senza sbagliare una sola nota. Tom ci riesce, ma cambia coscientemente la nota finale, sfida il suo aguzzino e gli dimostra che non ha il coraggio di ucciderlo, allo stesso tempo il segnale è chiaro: Tom si è riconquistato la fama e la simpatia del pubblico, che cosciente o meno dell’errore, applaude il pianista. “Grand Piano”, fin dai titoli di testa, dimostra di essere un film che si ispira ad Hitchcock, numerose sono le citazioni all’interno e i rimandi ai grandi film di questo regista indimenticabile: “L’uomo che sapeva troppo”, “Paura in Palcoscenico”, “L’altro uomo”, “Nodo alla gola” sono solo alcune delle pellicole dalle quali Eugenio Mira ha attinto per realizzare il suo “Grand Piano”, rischiando forse in alcuni punti di legarsi troppo alla grammatica hitchcockiana a discapito della sua voce di regista. L’intera vicenda si svolge all’interno di un teatro, sul palco, sugli ordini di palchi laterali, nella galleria, in platea, sul graticcio, impossibile non vedere in “Grand Piano” riferimenti chiari a un’altra storia che ripercorre tutti questi luoghi tipici del teatro: “Il fantasma dell’Opera”, non solo per
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l’associazione fantasma-aguzzino di Tom, ma in particolare anche per certe scene come quella di apertura che vede il recupero di un pianoforte tutto imballato in un magazzino, che ricorda quel celebre lampadario del teatro de l’Opéra populaire di Parigi. Eugenio Mira non è solo un bravo studente di storia del cinema, dimostra infatti di avere una grande abilità nel mantenere la suspense, che in alcuni punti raggiunge momenti di elevata tensione in cui è difficile individuare una via d’uscita nella vicenda. “Grand Piano” sicuramente non ha la pretesa di essere un film che segnerà indelebilmente la storia del cinema, è una parte del curriculum di un regista ancora alla ricerca di se stesso, è infatti il terzo film di Eugenio Mira che prima di essere regista è un pianista, nota interessante che ci aiuta a com-
prendere meglio da dove proviene la sua grande abilità nel narrare la storia di Tom e nel restituire allo spettatore quelle ansie che forse solo i musicisti possono capire: quando si suona quella nota sbagliata che rovina l’esecuzione, ma che spesso il pubblico non percepisce perché fondamentalmente non conosce così bene quello che sta ascoltando. Degna di nota sicuramente è la fotografia: ben strutturata, riesce a restituire ambientazioni e atmosfere che aiutano a incrementare tensione nello spettatore, sono molto efficaci i giochi di luci e ombre, associata a questa c’è un montaggio molto efficace, soprattutto quello alternato. A tal proposito è bene citare la scena in cui la lametta del killer percorre il collo della ragazza, non vediamo l’azione completamente perché
viene interrotta e alternata con un archetto che scivola sulle corde di un violoncello, scelta che dimostra ancora una volta la teoria cinematografica che accompagna il lavoro svolto da Eugenio Mira. Quale sarà il suo prossimo passo? Noi lo attendiamo con curiosità!
Francesca Cerutti
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STREET-ART popart@artintime.it
ETNIK Etnik, una delle figure cardine nel panorama del writing italiano, trasforma le città “invisibili” di Italo Calvino in città “prospettiche”: visioni fantastiche e analisi di forme architettoniche del paesaggio urbano delle città contemporanee. Dal 2003 l’artista, parallelamente alla creazione di murales, porta avanti una sua personale ricerca artistica sulla città. Una gabbia, secondo Etnik, in cui l’essere umano (si) è intrappolato. Tra strutture geometriche fluttuanti emergono palazzi, casermoni, scorci classici e architetture industriali, intervallati da elementi dell’agglomerato urbano, come strade, sopraelevate, telecamere di videosorveglianza, steccati di legno, muri di cemento, canne fumarie industriali e tubi di
scappamento. Quella che emerge è una critica ironica e tagliente, che racchiude il rapporto contraddittorio di Etnik con la città: da un lato vincolo e prigione, dall’altro fonte d’ispirazione e “tela” espressiva. Le lettere che compongono la sua tag sono una presenza costante nelle sue opere, anche se apparentemente irriconoscibile nella loro trasformazione in masse geometriche. Ed è proprio nel lettering e nel writing che Etnik, pseudonimo di Alessandro Battisti, ha mosso i suoi primi passi. Nato a Stoccolma, autodidatta, concretizza la sua attività artistica alla fine degli anni ’80 a Firenze dove frequenta il liceo artistico e comincia a esporre. Dagli anni ’90 volge lo sguardo verso la cultura underground fiorentina e
nel ’92 entra in contatto con uno dei maggiori esponenti e più attivi writer di Milano che gli insegna le basi della disciplina, a cui Etnik apporterà, fin da subito, insoliti e personali contributi che derivano dalle proprie esperienze nel campo del design, dell’illustrazione e della scenotecnica. Nel corso degli anni l’artista ha collaborato con i migliori writers della scena internazionale e ha realizzato alcune tra le migliori opere murali del nostro paese.
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ARTINTIME books@artintime.it
LA BRUTALE ESTATE DELL’ADOLESCENZA Un’estate pugliese infuocata di sole, la spiaggia, i locali sul litorale, una villa con giardino. La villa dove vive la famiglia di Gloria, una famiglia che tale, per certi versi, non è più: sola con la madre e la nonna malata, Gloria ha appena terminato il liceo e vive la bolla estiva senza una precisa attesa di qualcosa, se non per il ritorno del fratello Andrea, che è andato a studiare negli Stati Uniti e che passerà le vacanze qui, al mare, con un amico. Dinamiche adolescenziali e sottili perversioni accompagnano la vita estiva di Gloria e Cris, sua migliore amica, piccole star femminili della banda di giovani che, tra una pasticca, un’avance sessuale, una serata in discoteca oppure ladrescamente intrufolati nella villa dei vicini a rompere il mobilio e vandalizzare il salotto, passano in apparente serenità l’esistenza. Ma è solo una superficie, perché capiamo ben presto che Gloria ha problemi alimentari, è probabilmente anoressica, che l’equilibrio all’interno delle mura domestiche è fragile, e all’arrivo di Andrea, il fratello, ogni debolezza torna a galla e scatena nuovi e imprevisti sviluppi nella storia. Ci sono, naturalmente,
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i corpi, le pulsioni profonde, in questa storia, che risuonano nelle loro movenze e nelle loro ricerche incessanti di emozioni mai troppo esplicitate, mai definite anzi sotterrate, come silenziate, per far risuonare solo orli di gonne troppo corti e le vibrazioni da contatto che si sprigionano da esperienze illecite. Spesso per paura, perché sono proprio gli echi delle emozioni, del rapporto di Andrea con il suo amico, di Gloria e Dave, degli sballi sul vuoto di Cris, a spaventare. Più di un ragazzo morto, ucciso brutalmente per potare via con sé i fantasmi del passato. Più delle accuse di omicidio e degli interrogatori della polizia. Un’estate rovente, che si tinge di criminale e si gonfia di segreti e non detti per poi, come tutti i sogni estivi adolescenziali, dopo il picco drammatico e colpo di scena finale, essere destinata a svaporare con l’arrivo di settembre. Il cerchio si chiude, i personaggi hanno tutti percorso un sentiero che li ha cambiati, prendendo colpi forti e inghiottendo paure, ma li ha maturati: la storia è compiuta. La scrittura di Giuliana Altamura si confà a questo tipo di narrazione quasi classica – l’estate, la fine della scuola, la scoperta ec-
citante dei corpi, le decisioni più o meno sicure sul futuro – e si plasma sul linguaggio dei giovani, senza tuttavia privarlo di uno spessore poetico che qui invece si insinua anche dietro alle brutalità e ritrova, nel paesaggio quasi brullo dell’estate pugliese, nello squallore di un parco giochi abbandonato, tutta l’intensità di cui questa storia ha bisogno e di cui si alimenta. È una lettura che scorre veloce e drammatica, consapevole della possibilità di colpi di scena, densa di immagini forse anche fastidiose, perché quadro di giovani bruciati, come i panorami dell’assolata estate che li circonda. Non ultima, la fuga, tema ancora una volta tipicamente adolescenziale, legato qui alla contrapposizione tra un sud deserto e la possibilità di ricominciare una vita e trovare un senso con l’università, al nord, a Bologna, oppure negli Stati Uniti, oltre un oceano intero per lasciarsi alle spalle tutto questo vuoto e dimenticare fatti scomodi e dolorosi del passato. La ricerca di un senso, forse è questo l’elemento che più spiazza tutti: le ragazzine disinibite lasciate a se stesse oppure semplicemente fragili e sole, come Gloria, il naturale percorso che porta all’età
BOOKS adulta, la scoperta del proprio corpo. A loro modo, tutti scappano o cercano di andare via in questa storia, tranne Gloria, chiusa nel suo corpo e circondata dagli altri corpi, che sfiora, senza mai concedervisi completamente. Perché quello che cerca, Gloria, sono spiegazioni e affetti, contenuti e non prive superficialità, e voltando l’ultima pagina del libro ci sarà chiaro che, nel perfetto gioco narrativo, ha ottenuto anche lei la propria risposta, la propria sanzione: è cresciuta.
A lessandra Chiappori
Una luce impietosa investe il garage dall’esterno, si riflette sul corpo lucido della chitarra e pulsa fra le dita di Gloria come polvere stellare. «Il padre sarà nero» dice Cris distratta, frugando nelle tasche di una giacca abbandonata sul pavimento, fra resti di cibo e lattine di birra accartocciate. «Non se ne sarà nemmeno accorto» risponde Dave, e si avvicina a Gloria così tanto da costringerla ad ammettere la sua presenza. Vorrebbe aggiustarle le dita sulla tastiera, dirle che così non vanno, spiegarle tutto quello che non funziona, ma ci rinuncia. Dave è convinto che in fondo non esista un modo per toccare Gloria senza farla a pezzi. Giuliana Altamura, “Corpi di Gloria”, Marsilio, 2014.
Giuliana Altamura Classe 1984, barese, Giuliana Altamura vanta un curriculum ricchissimo che la vede diplomata in violino, laureata in lettere moderne con specializzazione in filologia. Dopo un master in sceneggiatura, attualmente è dottore di ricerca in Discipline Artistiche, Musicali e dello Spettacolo presso l’Università di Torino, si occupa di teatro simbolista francese e vive tra Milano e Parigi.
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TUFFI DI PANCIA PER GENTE PRESA BENE Avete impegni dal 2 al 12 maggio? Cancellate tutto e lasciate libera l’agenda per riempire le vostre giornate con l’entusiasmo dilagante del Torino Fringe Festival, il grande evento dedicato alle arti teatrali e performative che per il secondo anno torna con vivacità a invadere la capitale sabauda, e porta nelle sale teatrali ma anche per le strade e le piazze della città artisti provenienti da tutta Europa. “Tuffi di pancia”, questo il divertente e un po’ provocatorio sottotitolo dell’edizione 2014 che, superato l’anno di prova e attestatasi come uno dei festival più innovativi e interessanti sul territorio piemontese, rilancia la sua proposta con un calendario fittissimo di appuntamenti: spettacoli, workshop, laboratori, incontri. Il tutto avrà inizio il 2 maggio alle 17.30 tra piazza Castello e via Roma con una sfilata dei protagonisti del festival e, auspicano dall’organizzazione “gente presa bene”. “Tuffi di pancia”, dicevamo, quei tuffi spericolati e matti che, senza troppo meditare sulle paure o i pericoli – che in questa congiuntura storicoeconomica non sono certo pochi in fatto di organizzazione di eventi e diffusione di cultura – si lanciano forse un po’ stupidamente nel vuoto, a costo anche di farsi male. Questo promettono i ragazzi dietro
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le quinte del Fringe, un gruppo di tenaci volontari che, pur non facendo gli organizzatori di festival nella vita, ha continuato a coltivare e credere in un progetto che, testimoniano i patrocini degli enti territoriali e delle fondazioni teatrali, ha dimostrato di saper trasmettere un valore culturale meritevole. Cavallo di battaglia del Fringe, oltre alla ricchissima offerta di spettacoli dal vivo che spazieranno su tutti i generi e promuoveranno compagnie già note dall’anno scorso e nuove compagini di teatranti, è l’autoproduzione. Limitati i fondi istituzionali ricevuti dal festival, spazio alla creatività anche in questo senso, allo scambio di servizi non monetari e alla partecipazione del pubblico, con feste di autofinanziamento e con la richiesta a tutta la popolazione di entrare a far parte del grande mondo Fringe ospitando a casa uno o più artisti durante i giorni del festival, per ammortizzare i costi di permanenza. Perché davvero il Fringe è riuscito in questa potente amalgama di specificità torinesi e apertura internazionale, e l’ha fatto osservando da vicino il Fringe per antonomasia, il noto Festival di Edimburgo, dal quale ha preso la formula, la passione, l’irrefrenabile entusiasmo, per riproporlo in chiave nostrana in una delle città culturalmente più attive in Italia in questo momento, con cui stabilire un profi-
cuo e intenso dialogo. E per tutta Torino il Fringe infatti si spargerà a macchia d’olio, in spazi non necessariamente teatrali, con formule classiche e spettacoli di strada che coinvolgeranno davvero ogni tipo di pubblico. L’idea, per quest’anno, è di abolire ogni distinzione formalizzata tra tutto ciò che è “in” e “off”, tra un palco classico e le scene improvvisate, tra le drammaturgie standardizzate e le formule più innovative e originali, accogliendo ogni genere e ogni performance: “il Fringe – promettono i ragazzi dell’organizzazione – dovrà essere una finestra dove affacciarsi e trovare cose stupefacenti”. Non ultimo, l’occhio di riguardo anche ai lavoratori del settore, con molti eventi e incontri specifici dedicati eccezionalmente ai vari aspetti del fare teatro, da quelli più tecnici a quelli organizzativi e logistici. A dimostrazione che, se la gente è davvero “presa bene”, certi tuffi di pancia, per quanto rischiosi, non potranno che esplodere in un fantastico momento di divertimento, spensieratezza e bellezza collettiva. Trovate il calendario dettagliato degli spettacoli, completo di orari e informazioni logistiche sul sito del Festival: www.tofringe.it
A lessandra Chiappori
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BOOKSALAD:
DALLA TOSCANA UN’INSALATA EDITORIALE Anna-Sophie e Livio sono i fondatori della giovane e frizzante casa editrice Booksalad, un’insalata di romanzi, biografie e thriller, una bellissima realtà nata tra le splendide colline della Toscana. Li abbiamo conosciuti al salone del Libro 2013 e abbiamo deciso di presentarveli. Come è nata l’idea di aprire una casa editrice in un periodo in cui si legge sempre meno e il settore dell’editoria è fortemente in perdita? È una domanda che ci fanno in molti ma onestamente non c’è una risposta o per lo meno non una soltanto. Diciamo che è stata una serie di eventi casuali o inconsci. La prima idea di “mettere su” un qualcosa di attinente alla scrittura è nata durante il periodo universitario ma poi, come tante cose di quell’età, lo avevo accantonato per mancanza di voglia e soldi. Per vari motivi sono comunque sempre rimasto in contatto con quel mondo
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e pian piano ho capito che non era solo fascino, ma anche passione. Quando ho conosciuto Anna-Sophie e ho scoperto che anche lei aveva lo stesso amore per i libri non ho avuto più dubbi e assieme abbiamo creato Booksalad. C’è un avvenimento, un libro, un’esperienza che ha fatto nascere in voi l’idea di creare una casa editrice? Se devo proprio indicare un elemento e uno soltanto direi il desiderio di creare qualcosa che fosse solamente nostro, mio e di AnnaSophie, e di poter curare e sviluppare assieme. Il titolo Booksalad rappresenta molto bene le vostre proposte editoriali: un’insalata di generi, per tutti i gusti. Autobiografie, romanzi e thriller tedeschi, scelte classiche e scelte un po’ alternative per una casa editrice come la vostra. Come mai
questo catalogo? Al momento la Booksalad ha tre collane. Festina Lente è di matrice autobiografica ed è stata una scelta naturale dato che ad Anghiari (paesino toscano dove viviamo) c’è la sede della Libera Università dell’Autobiografia del Professor Duccio Demetrio (padre dell’autobiografismo terapeutico italiano). Angst invece nasce dalla voglia di importare in Italia un pezzo di Germania. Il genere thriller da noi è dominato da anglosassoni e scandinavi. Perché non provare qualcosa di diverso? Siamo riusciti a portare in Italia autori bestseller in Germania e ora siamo in uscita con “Il villaggio dei Dannati” di Elisabeth Herrmann, una delle autrici più famose in Germania. E poi abbiamo Opachi, la collana di autori italiani (esordienti e non) che ci dà tanta soddisfazione e che raccoglie storie di amore, amicizia e un pizzico di mistero. Cos’avete provato quando ave-
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te visto pubblicato il primo libro con l’etichetta Book Salad? Emozione! Tanta emozione che comunque si ripete ogni qual volta la tipografia “sforna” un nuovo titolo. Accarezzi la copertina, sfogli le pagini, ne afferri il profumo e capisci che è quello che ami fare. Poi a volte ti accorgi che c’è un refuso e allora ti arrabbi… ma fa parte del mestiere!! Si dice che in Italia siamo tutti scrittori: ricevete molte richieste di pubblicazione? Tantissime. E ci fa piacere. Ma il problema è quando ti accorgi che realmente a qualcuno mancano le nozioni elementari e allora ti chiedi: perché non legge qualche libro prima di scriverne uno? Oppure dalla mail che ricevi ti rendi conto che non ha neanche guardato una pagina del sito www.booksalad.it perché mi ha
inviato un fantasy e noi abbiamo chiaramente scritto che non ci occupiamo di quel genere. Qual è il consiglio che vi sentite di dare a un giovane scrittore? Come dicevo alla domanda sopra, di porre attenzione. Al testo ma anche alla casa editrice. Cerca di farti una idea: guarda il catalogo, sfoglia le pagine del sito, se hanno un blog leggi qualche post. La casa editrice non aspetta altro che il libro giusto. Quindi renditi accattivante, interessante. Fagli capire che devono investire su di te. E a chi sta pensando di diventare editore? Direi che sta scegliendo il mestiere più bello del mondo ma che è davvero difficile. Difficile perché in Italia, luogo comune ma vero, si
legge poco, c’è molta concorrenza (anche di qualità) e soprattutto è difficile farsi vedere e notare, però ci sono anche tante soddisfazioni. Un lettore che ti scrive ringraziandoti di avergli fatto provare emozioni, una vendita oltre le aspettative di un titolo nel quale credevi poco, una comunità di amici e lettori che si crea attorno a te. Sul sito di Book Salad vi presentate in un modo un po’ alternativo, non c’è una vostra foto, ma i vostri animali “totemici”, uno struzzo per Livio e un elefante per Anna. Gli stessi animali che presentate sui vostri biglietti da visita. Da cosa hanno origine queste associazioni? Sono i nostri caratteri o per lo meno i caratteri che vedono in noi
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INTERVISTANDO...
cari amici che adesso vediamo poco perché una si è trasferita a Londra e l’altro a Panama. E abbiamo pensato che forse avevano ragione. In fondo è anche un po’ quello che vogliamo creare: mostrarci non per come siamo esteticamente ma per quello che siamo dentro e prendere la vita con un sorriso invece che con un lamento. Il futuro e i sogni di Book Salad: qual è lo scrittore che vi piacerebbe pubblicare? Siamo ottimisti di natura quindi non possiamo che vedere un futuro rosa, anche se dobbiamo impegnarci molto. Dato che parliamo di sogni non pongo limiti quindi non ridete per favore. Ma io ho una particolare ammirazione per Haruki Murakami, quindi se proprio si trovasse sprovvisto di un editore potete pure comunicargli che noi saremmo felici di inserirlo a catalogo! Prossima domanda? E ora una domanda sul futuro imminente: al Salone del Libro 2013 avete presentato “Revolver” di Andrea Malabaila, un libro molto interessante, cosa presenterete quest’anno? Siamo anche quest’anno al Salone di Torino (Padiglione 1 Stand F105) e abbiamo veramente delle splendide uscite: “Una diabolica Celeste”, di Enrico Violet, “L’uomo di Marmo”, di Miriam Ghezzi e infine “Il villaggio dei Dannati”, di Elisabeth Herrmann. Il super thriller di cui parlavo prima. Tutti e tre veramente splendidi autori, ma un’attenzione merita “L’uomo
A lessandra Chiappori di Marmo” di Miriam; un libro veramente brillante e intelligente che con freschezza e innovazione tratta e fa amare il mondo dell’Arte, liberandola da quella noiosa polvere che troppo spesso l’avvolge.
Un invito ai lettori: Venite a trovarci al Salone del Libro… anche per un buon bicchiere di Chianti che non manca mai!
Francesca Cerutti
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DALLA TATE A TORINO:
LA MOSTRA DEI PRERAFFAELLITI Nella tragedia di Shakespeare Ofelia, ormai folle, vaga nei pressi di un ruscello cogliendo fiori: […] ella lassù,/mentre si arrampicava per appendere/l’erboree sue ghirlande ai rami penduli,/un ramo, invidioso, s’è spezzato/e gli erbosi trofei ed ella stessa/sono caduti nel piangente fiume./Le sue vesti, gonfiandosi sull’acqua,/l’han sostenuta per un poco a galla,/nel mentre ch’ella, come una sirena,/cantava spunti d’antiche canzoni,/come incosciente della sua sciagura/o come una creatura d’altro regno/e familiare con quell’elemento./Ma non per molto, perché le sue vesti/appesantite dall’acqua assorbita,/trascinaron la misera dal letto/del suo canto a una fangosa morte. La traduzione dalla poesia alla pittura di questo episodio, forse quella più famosa della storia dell’arte, è del pittore inglese John Everett Millais che, ne “La morte di Ofelia”, scelse di rappresentare il momento culminante della tragica fine della fanciulla, colta ancora viva ma già pallida di morte mentre con lo sguardo perso nel vuoto canticchia antichi motivi prima di sprofondare per sempre. Il tutto realizzato, ovviamente, con sublime tecnica pittorica. Ogni pianta, ogni filo d’erba, ogni petalo di fiore è reso con la precisione di un botanico. Pare che per questo l’artista si fosse recato a studiare meticolosamente la vegetazione che cresceva su un tratto di riva del Tamigi. E che per la figura della sfortunata Ofelia avesse
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insistito perché la modella (nonché poetessa, pittrice e futura moglie del pittore Dante Gabriel Rossetti), Elizabeth Siddal, posasse per ore galleggiando in una vasca di acqua riscaldata da lampade sottostanti. La Siddal in effetti ebbe da ridire, specie quando una delle lampade si ruppe. E si beccò una bronchite. John Everett Millais, invece, sfornò uno dei suoi più celebri capolavori che, in questo periodo, i fortunatissimi spettatori torinesi possono apprezzare dal vivo nella mostra sui Preraffaelliti allestita a Palazzo Chiablese. Una mostra ricca e ben allestita, destinata sicuramente a un grande successo di pubblico. E consigliatissima non solo per la quantità di opere esposte ma anche per la presenza di capolavori eccellenti: oltre all’ “Ofelia” di Millais, che apre l’esposizione, scopriamo anche l’ “Ecce ancilla Domini” di Dante Gabriel Rossetti, il “Risveglio della coscienza” di William Holman Hunt, la “Regina Ginevra” di William Morris, e molti altri capi d’opera che trovano spazio tra le pagine di tutti i manuali di storia dell’arte. Siamo nel 1848 quando in Inghilterra un gruppo di pittori fonda la Confraternita dei Preraffaelliti, una società artistica che rifiuta il modello raffaellesco, allora predominante nella formazione accademica degli artisti, rifacendosi a pittori medievali e quattrocenteschi, quelli che vennero “prima di Raffaello”. Dal punto di vista tecnico, in pieno periodo di industrializ-
zazione, i Preraffaelliti sostengono un ritorno alla qualità dell’ artigianato, il che si trasforma in pittura in una cura maniacale del dettaglio: tutto è così vero, tangibile -le stoffe e i velluti, i ricami, le venature del legno, i riflessi della luce sull’acqua e attraverso i vetri- che chi osserva inevitabilmente si sente parte della scena. Dal punto di vista tematico, invece, questi artisti prediligono i temi morali, religiosi, letterari e di un mitico passato che si tramuta in leggenda: un mondo popolato di dame e cavalieri, spiriti e streghe, personaggi mitologici e dell’antichità o usciti fuori da qualche opera di Dante o Shakespeare. Grande protagonista è la bellezza femminile, incarnata di sovente nei tratti della splendida Elizabeth Siddal, ma la mostra non tralascia nemmeno il genere del paesaggio, forse meno conosciuto nella produzione di questi pittori, ma al solito di stupefacente qualità. Non perdete dunque l’occasione per ammirare questi capolavori, approdati a Torino dopo un tour mondiale, nella loro ultima tappa prima del rientro a Londra. Per vederli avete tempo fino al 13 luglio. E se preferite le cuffie dell’ipod a quelle dell’audioguida provate ad aggirarvi per la mostra con le musiche del “Midsummer Night’s Dream” di Felix Mendelssohn. Consigliato da una giovane visitatrice di fine aprile, nostra vecchia conoscenza, musicista nonché sosia di Elizabeth Siddal.
Roberta Colasanto
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ARTINTIME
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TEATRO teatro@artintime.it
REALTA’ E FINZIONE A MENOVENTI. Anche a “menoventi” c’è la speranza di poter creare. In teatro è stato così per la compagnia che dai gradi centigradi di un termometro ha preso il nome dando vita a un nucleo di ricerca nel teatro contemporaneo totalmente originale. Consuelo Battiston, Gianni Farina e Alessandro Miele sono l’anima errante della compagnia che insegue nuove forme e approcci alla realtà. L’indagine su ciò che circonda la vita di ciascuno e il rapporto con il teatro sono il fulcro del lavoro di Menoventi. Dall’Emilia Romagna, dove risiedono, gli artisti si interrogano sulle contaminazioni e sulle percezioni del reale in scena, abbracciando l’idea della casualità della creazione di un pensiero e dell’evoluzione di un corpo in essa. Senza forme premeditate, Menoventi si rifà al teatro dell’assurdo per aprirsi a una ricerca che viene dichiaratamente espressa al pubblico
e in cui esso viene spesso coinvolto: il lavoro totalizzante della scena finisce per invadere lo spettatore senza il quale parte di esso non avrebbe senso. Nelle produzioni di Menoventi è chiaro e palpabile l’interesse verso la vera natura dell’essere umano, puntando l’attenzione sul labile confine tra la finzione di voler essere o credere di essere qualcuno, e ciò che si è realmente. Un gioco di telecamere, come in un film, in cui la consapevolezza dell’attore e della sua finzione coinvolge chi lo guarda al punto di fargli sospettare che la truffa non sia dietro l’obiettivo, ma davanti. I personaggi sono caratterizzati dall’inquietudine di non riconoscersi nell’integrità di un individuo determinato, bensì raccolgono le parti di sé sfumate nella realtà. La sensazione, di fronte ai protagonisti creati da Menoventi, è quella dell’impossibilità di vivere autentica-
mente, condannati a fare i conti con una realtà che blocca e limita l’espressione personale. Ben presente è l’idea di un’invisibile forza che punta il dito sulla testa di ciascuno giudicandone l’operato, che ha scelto l’umanità esistente e ne segue i movimenti dall’alto. In Menoventi ci sono i dubbi e le perplessità di un uomo che confrontandosi con ciò che lo circonda si sente osservato da qualcosa che non riesce a definire e al quale non sa dare un nome. Capisce, forse, di non essere solo.
Barbara Mastria
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LONDON MUSEUMS:
A FREE TRIP TO INTERNATIONAL ART When I first visited a London museum was actually escaping the unexpected heat on an amazingly sunny day of July, way back in 2009. I was wandering in the city centre so the obvious answer was the National Gallery. It was love at first sight. The fact that it is free is only the tip of the iceberg, 4 floors of pure history disclose in front of you when you enter the doors. Level two is the place where I wish I could spend most of my spare time in: 66 rooms with paintings from 1250 until 1900. Impressionists and Post Impressionists are a must see, you definitely enjoy your hours admiring Monet, Manet, Van Gogh and many more for a total of 2,300 masterpieces all in one place! Until the 19th of June the majesty of Venice is under the spotlight: the exhibition “Veronese: Magnificence in Renaissance Venice” will show you the opulent and colourful beauty of our most glorified and renewed era. Enormous paintings will amuse you among the 50 pieces displayed in the collection of the Italian artist. Another very popular museum is giving space to the Italian greatness, this time related with our fashion sense. The Victoria and Albert Museum, also known as the V&A, in South Kensington area is hosting “The Glamour of Italian Fashion 1945-2014” ongoing until the 27th of July. The exhibition is an insight of Italian Fashion from Second World War to the present. Attention to detail, luxury materials and famous actors among the in-
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ternational clientele confirmed that Made in Italy is the truly mark of style. After all the economics problems we still suffer, fashion and “made in Italy” are yet an answer to the darkness of our future. Once you are there why don’t you pop up into the Natural History Museum in Cromwell Rd? It doesn’t matter if you are a kid or an adult this place worth a view. We are talking about dinosaurs, all over the place, you’ll be able to meet the scariest T-Rex still on earth (it’s not a leaving and breathing one but it really looks like that) and other creatures from around the word. Even the nasty ones, reunited in the Creepy Crawlies section, are very cool. Plus with the new Volcanoes and Earthquakes gallery in the (guess what) Red Zone you’d experience fun while learning interesting facts. For contemporary art lovers Tate Modern is always the answer. Situated at Bankside, walking distance from Southwark tube station (jubilee line) offers a wide range of exhibitions for free other then the permanent disposal of contemporary art pieces, that goes from Picasso to De Chirico, from Rothko to Richter. Cubism, Realism, Constructionism, Minimalism are the main movements waiting to be visited through the six floor of the structure. Coming soon Henri Matisse: The Cut-Outs. There are surely other exciting places to discover art in London, like the Barbican Centre, Tate Britain, the National Portrait Gallery (just behind the National Gallery), the British
Museum (a breath-taking building itself), The Imperial War Museum, The London Transport Museum and so on. The ones that I listed and briefly described really mean something important to me, all visited in different moments of my life with different outcomes. While you witnessing art history, you are building your own one. La mia prima volta in un museo di Londra è stata nel 2009, quando vi trovai rifugio dalla inaspettata calura di un pomeriggio di luglio. Poiché mi trovavo in centro l’opzione più plausibile fu niente meno che la National Gallery. È stato amore a prima vista. Il fatto che l’enorme galleria d’arte sia completamente gratis è solo la punta dell’iceberg. Nulla nei 4 piani di questo edificio delude: la storia dell’arte si rivela al vostro sguardo appena varcate la soglia. Il secondo piano è il posto dove vorrei passare la maggior parte del mio tempo libero: un totale di 66 stanze con dipinti che vanno dal 1250 al 1900. Assolutamente da vedere le opere di Impressionisti e Postimpressionisti, vi rilasserete di fronte a un Monet, Manet o Van Gongh e molti altri, di sicuro tra le 2,300 opere troverete la vostra preferita. Fino al 19 giugno un’intera sezione della National Gallery è dedicata alla maestosa bellezza di Venezia con la mostra “ Veronese: Magnificence in Renaissance Venice”. 50 pezzi tra
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cui opere di dimensioni enormi illustreranno l’opulenza sgargiante di un’epoca tanto apprezzata e glorificata in tutto il mondo. Un altro museo molto conosciuto, il Victoria&Albert Museum, nella zona di South Kensington regala spazio alla bellezza italiana attraverso l’elogio dello stile sartoriale della nostra terra: “The Glamour of Italian Fashion 1945-2014” si terrà fino al 27 di luglio. La mostra è un viaggio nella moda italiana dalla Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri. Si analizzano gli strumenti chiave che hanno fatto, fanno e faranno del Made in Italy un’incontrastata caratteristica di stile. L’attenzione al dettaglio, i materiali pregiati e gli estimatori tra i più grandi attori internazionali ne sono qualche chiaro esempio. Dopo il fallimento economico che viviamo ancora sula nostra pelle la moda può e deve essere una risposta per il nostro futuro. Una volta in zona
perché non fare un salto al Natural History Museum, sempre situato in Cromwell Road. Non importa la vostra età, una visita è di dovere. Stiamo parlando di dinosauri, ovunque, chi vi garantisce il brivido di un T-Rex grandezza naturale? Altre interessanti creature si nascondono nelle diverse sezioni, sarete attirati persino dalle più ripugnanti, raccolte nella zona “raccapriccianti esseri striscianti” (e ho detto tutto!). In più la nuova aggiunta, la cosiddetta Zona Rossa con Vulcani e terremoti, vi farà divertire insegnandovi fatti curiosi. Per gli amanti dell’arte contemporanea la risposta è Tate Modern. Situata a Bankside, non lontano dalla fermata della Tube Southwark (jubilee line) offre una vasta scelta di mostre gratuite e a pagamento nonché le opere permanenti. Da Picasso a De Chirico, da Rothko
a Ritcher, il viaggio tra Cubismo, Realismo, Minimalismo e Costruttivismo è assicurato. Non dimenticate la mostra di Henri Matisse fino a settembre. Sicuramente dimentico altri musei interessanti, come per esempio il Barbican Centre, Tate Britain, la National Portrait Gallery (proprio dietro la National Gallery), il British Museum già di per sè un edificio da togliere il fiato, l’Imperial War Museum, il London Transport Museum a Covent Garden e altri ancora. I musei che ho menzionato precedentemente contraddistinguono dei momenti importanti della mia vita londinese, tutti visitati in situazioni diverse con diversi risultati. Così da rendersi conto che mentre si è testimoni della presenza magica della storia dell’arte essa scolpisce in silenzio la storia della nostra vita.
Cristina Canfora
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ARTINTIME PROGETTO BIFRONTE:
IDEE CREATIVE “CON LE ANTENNE PULITE” Laureati in lettere a Torino e diplomati alla Scuola Holden, Alessandro Salvatore ed Enrico De Santis sono i nomi dietro a Progetto Bifronte e CinemAttivo e hanno inaugurato il 4 maggio i laboratori di Tiger School a Torino. Ma lasciamo che siano loro a raccontarci chi sono e di cosa si occupano.
abbiamo, come tutti, con le intelligenze diverse, esprimendo sempre una nostra parte interiore, anche quando – e questa cosa sembra stranissima – siamo chiamati da un cliente. Per fortuna abbiamo avuto interlocutori che sempre più ci chiedono di portare il nostro sguardo e le nostre parole sui progetti.
Cerchiamo di definire il campo in cui lavorate e quello di cui vi occupate Enrico. È molto semplice: ci occupiamo di fotografia, video e formazione, o meglio educazione, perché ci rivolgiamo ai ragazzi delle scuole. Fotografia e video sono degli strumenti, noi stiamo facendo sì che restino tali, ma per raccontare cose che ci interessano, che possono essere sia commerciali, come molti dei lavori che abbiamo fatto, sia cose più autoriali. Però siamo un po’ lontani dall’idea e dallo stile di “video e basta”, ci piacerebbe venire fuori come autori che utilizzano i mezzi necessari per realizzare le cose che hanno in mente.
Qual è questo vostro sguardo, in cosa si distingue da altri approcci e che caratteristiche ha? E. Stiamo intraprendendo una grande crociata contro le chiusure un po’ aprioristiche che ci circondano. Noi non abbiamo barriere culturali, abbiamo molti gusti, molte esigenze su molte cose ma non sopportiamo le persone che si chiudono, accettiamo il fatto che tu possa seguire il calcio, Sanremo, la televisione: tutto per noi è filtrato dal nostro sguardo, in ricezione. A. Non possiamo raccontare la realtà guardando qualcun altro che nel frattempo invece usa e si nutre di un sacco di cose che non conosciamo: dobbiamo quindi vedere più cose possibili, e soprattutto senza barriere. E. Ci sono cose di grande qualità che rischi di perderti perché magari per scelta non guardi la televisione, è limitante. Per noi l’approccio è quello di essere onnivori di tutto, ma non solo culturalmente, anche di esperienze di vita, siamo convinti che in qualche modo tutto venga rimpastato e riorganizzato a seconda delle intelligenze, è così la cultura.
A 360 gradi mi pare di capire Alessandro. Sono 360 gradi calati nella realtà multimediale, l’autore oggi si deve domandare dove vadano a finire le sue cose, perché le sta dicendo, a chi si rivolge. Far finta che non esista la rete non si può, bisogna confrontarsi. E. Cerchiamo di gestire la nostra complessità: da un po’ di anni stiamo riuscendo a far diventare il nostro lavoro un’emanazione di ciò che siamo, con le complessità che
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E dopo tutto questo osservare? A. Tutto questo non finisce in un cassetto, abbiamo la necessità di fare questa cosa: da un certo punto in avanti abbiamo deciso, davanti a discorsi teorici, di fare, di costruire. Se oggi qualcuno guarda le nostre cose e ci chiede di averle, un cliente o qualcuno che organizza festival e noi possiamo inserirci, lo facciamo. Da quanto lavorate insieme? E. Bifronte ha tre anni, nasce nel 2011. Oltre alle motivazioni personali, naturalmente c’è anche quella economica, ed è un grande passaggio, perché se vuoi fare quella cosa veramente, devi farla pagato, ed è difficile. Anche noi siamo partiti con le cose non pagate: quando inizi a dire che per fare quella cosa vuoi quei soldi là, stai entrando in un altro tipo di mondo, che ha altre caratteristiche, però ti accorgi che quando pronunci quella frase ti prendi una grande responsabilità. Soprattutto nel nostro ambiente video-fotografico è visto tutto come hobby, dilettantistico, dire che lavori con quelle cose è altro. Ad esempio, a volte fare il preventivo, quando ti senti sul versante artistico, è un problema mentale, dare un valore alle cose che fai è un problema grosso, esistenziale. È ammirevole che siate riusciti a dare una forma a tutto questo! A. Dice Recalcati che senza la forma non c’è l’arte: in qualche modo
INTERVISTANDO...
anche con fatica e con il lavoro ce la siamo data, è una forma strana, bifronte, però nella pratica, quando produciamo qualcosa, quella cosa una forma ce l’ha. Perché Bifronte? E. È una storia un po’ particolare, perché per scegliere i nomi o gli oggetti delle mail noi ci mettiamo a pensare, e così per il nostro nome non ne saremmo usciti e saremmo ancora senza, ma un nostro amico ha avuto questa intuizione molto intelligente e sensata che infatti è stata presa a braccia aperte. Richiama un po’ le cose che ci piacciono del progetto e risponde a quel concetto di complessità che sentiamo molto nostro. Bifronte viene dal fatto che siamo in due, ci piaceva anche molto per il riferimento al mondo classico di cui siamo appassionati, e poi Giano è il dio degli inizi, è arrivato tutto insieme! Ci piaceva poi che com-
prendesse la parola fronte, perché noi scherziamo sul fatto che spesso – sempre! - siamo su 5 6 fronti lavorativi, non ci dedichiamo mai a una sola cosa, tant’è che varietà è un’altra parola chiave per noi. Pensiamo che sia una bella summa. Film Commission e CinemAttivo: di cosa si tratta e cos’hanno a che fare con Progetto Bifronte? E. A queste due realtà siamo particolarmente legati, perché proprio in coincidenza con l’inizio di Bifronte abbiamo fatto partire dei laboratori di avvicinamento alle nuove immagini: all’inizio erano centrati sul cinema, ora si stanno aprendo ai nuovi media, per un loro utilizzo critico e intelligente. Dopo due anni in cui abbiamo tenuto i corsi nelle scuole, la Film Commission ci ha notati e, volendo investire sulla formazione, ci ha presi come braccio armato per
la formazione dei ragazzi, quindi continuiamo a fare la nostra attività di prima con una struttura alle spalle che ci sostiene. A. L’obbiettivo era di fare dei laboratori per creare del materiale artistico, il nostro incontro con loro è nutriente per noi e per i ragazzi. Il grande bacino è quello delle medie, anche se vorremmo fare elementari e liceo, dove comunque siamo stati. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare una professoressa illuminata di scuola media che ci ha permesso di partire dall’inizio, Nadia Danzero. E i laboratori sono stati utili anche per noi, ci hanno permesso di fare cose in concreto, comunicarle ai ragazzi. Un brainstorming di gruppo con dei 13-14enni ti costringe a tirare giù delle idee che veramente possano comunicare. Quali sono le attività tipo?
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E. Facciamo degli interventi durante l’orario curricolare, versioni lunghe o brevi: per quelle annuali partiamo dalle basi e arriviamo a girare dei cortometraggi, delle cose che nascono sempre dai ragazzi, non andiamo in classe con un’idea ma la facciamo venire da loro. Partiamo dall’ideazione, la scrittura della storia, poi dividiamo la classe in gruppi e ogni settore lavora al suo compito: truccatori, scenografi… Così veicoliamo dei messaggi di cui loro sono molto affamati, perché non hanno nessun tipo di guida, Youtube per esempio non si nomina mai. CinemAttivo è anche molto presente su Facebook… E. Sono i ragazzi a guidare la pagina Facebook di Cinemattivo, che è una nostra creazione, ora la parte cinema si sta un po’ modificando, ma la parte “attivo” resta centrale. E quindi i ragazzi hanno una pagina
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guidata da loro, imparano a gestire il materiale, postarlo bene senza fare errori. La reazione è positiva? A. I ragazzi sono sempre interessati a questo tipo di cose, ma stiamo scoprendo che, soprattutto crescendo, hanno pochissimo tempo per le attività extrascolastiche. È giusto così per loro, non fare altro che non sia l’andare a scuola, ma quello che sta capitando è che alla domanda “cosa vi piacerebbe fare con noi” non c’è risposta subito, né chiara, anche se loro sanno di cosa ci occupiamo. Secondo me questa cosa da fuori non si sa, si pensa che il ragazzino di 15 anni abbia un sacco di cose da fare e passioni che vuole portare avanti, invece è stato abbastanza desolante nella nostra esperienza: loro non hanno alcuna offerta, non c’è nessuna proposta e quindi non desiderano
E. Ma non di fare fotografi e i videomaker, di fare qualcosa, se uno ci dicesse di voler fare l’avvocato noi gli batteremmo le mani, ma non c’è neanche quello. È abbastanza sconfortante A. Abbiamo fatto un piccolo documentario al liceo D’Azeglio il cui tema è proprio questo: noi ci troviamo con dell’entusiasmo e invece di fronte abbiamo la difficoltà, e così a quel punto invece di parlare teoricamente di video, foto e produzione, si fa un passo indietro, sullo stato della creatività. E. Se dovessimo lavorare con i più grandi sarebbe l’opposto, magari le foto e i video li faccio, perché sono un maker, ma poi resta il vuoto sul perché lo faccio, e ci sono 5 milioni di fotografi e nessuna idea. Per me anche il radiologo deve fare il radiologo se vuole farlo, quando tu fai il fotografo o l’attore o il musicista
INTERVISTANDO... quella roba deve essere vera il doppio, devi essere ancora più esigente con te stesso sul perché lo fai, altrimenti non farlo, non ti serve quello! Quando lo vedi in gente del settore artistico è deprimente… Lo fai perché fa figo farlo? Noi non lo pensiamo per niente, è molto faticoso e molto poco gratificante. Nel mondo perfetto che vorremmo anche il radiologo si sveglia preso bene! Succedesse per tutti! E. devo dire che da un punto di vista intimo nostro lo facciamo meravigliosamente, ci svegliamo come dei grilli, anche se il resto poi è faticoso economicamente, culturalmente. Qual è il vostro bacino? E. Abbiamo fatto delle puntate anche fuori dall’Italia, e di questo mito dell’estero ci siamo occupati riassumendo anche un po’ la nostra filosofia: lo abbiamo chiamato “lestero”, che è una proiezione un po’ vuota di quello che potrebbe essere. Poi nella realtà parli con amici che vivono e lavorano all’estero e ti prende un po’ male. Il progetto con Tiger? E. Siamo partiti lavorando per loro perché hanno aperto a Genova il primo spazio Tiger dedicato all’arte creatività e musica, per fare il lancio dell’evento hanno chiamato noi. Da lì la responsabile del marketing del nord Italia ci ha conosciuto, ha visto i nostri lavori con le scuole e abbiamo pensato di fare insieme laboratori scolastici ed extrascolastici non solo in base all’età ma aperti a tutti. Tiger School inizierà a maggio nello store di via Garibaldi, a Torino, l’idea è portare anche lì quello che stiamo facendo nelle scuole. A. Il coinvolgimento anche di non ragazzi è significativo, vuol dire che esperienze come CinemAttivo sono
cose che hanno un ritorno. Prendendo ciò che abbiamo fatto ultimamente, il nostro obbiettivo è fornire delle basi ma anche individuare la voce che uno ha, per saper scegliere cosa fare dal punto di vista creativo. Avete altri progetti in partenza? E. Stiamo rinsaldando il rapporto con Film Commission e le scuole, che si sta aprendo ad altre cose: saremo inglobati nel progetto Torino per lo sport 2015, che va da quest’anno al prossimo, e porteremo CinemAttivo nei luoghi dello sport. Saremo anche al Festival di architettura, a Torino, a giugno: siamo stati invitati a portare il nostro lavoro. E poi c’è Frammenti… Ovvero? E. Frammenti è un modo piccolo, forte e diretto per mettere in pratica quello che ci siamo detti fino a ora. Ovvero: ci mettiamo noi con le facce, diciamo quello che vogliamo dire noi, sono tic, pensieri, paranoie divertimenti nostri, vissuti veri o probabili, riabilitando il fotoromanzo, che si è cercato spesso di ripescare, ma mai in ascolto coi tempi. Il fotoromanzo è ripartito a un certo punto identico a prima, solo con un’immagine diversa, dei temi diversi. Ma non è quello il senso dell’arte secondo noi, Frammenti ci permette innanzitutto di divertirci quando lo facciamo e lo vediamo, e di dire delle cose che altrimenti dovremmo delegare a un post su Facebook. A. Ci fa vedere finalmente come autori, è una cosa dichiarata, e infatti siamo noi. Abbiamo una programmazione, ma non crediamo che finirà perché abbiamo tante cose da dire! Con tutto questo processo ti metti veramente alla prova, e poi c’è l’immediato confronto col pubblico,
con una rete. Mi stupisce questo lavoro di backstage che avete… E. Non saremmo arrivati qui se non ci fosse stato il backstage, le nostre ansie sono sul fatto che siamo in due e passiamo il tempo a fare il preventivo o mandare mail piuttosto che fare un altro frammento, abbiamo una pagina sui nostri computer di cose da fare che faremo chissà se e quando, ma l’ansia di solito è di dire non facciamo abbastanza, dobbiamo fare di più. Non esiste domenica perché stai già pensando a lunedì, siamo molto concentrati, ma perché ci piace! Socialmente questa cosa è faticosa perché in effetti non tutti hanno voglia di soffermarsi su tutto, noi sì! Non stacchiamo mai, diciamocelo! Ma semplicemente perché c’è una continuità tra lavoro e vita Vi vedo soddisfatti di ciò che state facendo, idee per futuro? E. Siamo sempre attenti, c’è quest’espressione, l’ho sentita in televisione: “avere le antenne pulite”: siamo aperti come committenze e come cose creative nostre, nel futuro c’è da lavorare su queste cose, perché questo siamo e questo sappiamo fare.
A lessandra Chiappori
www.youtube.com/user/progettobifronte?feature=watch | www.facebook.com/progetto.bifronte.9 www.facebook.com/CinemAttivo
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ARTINTIME music@artintime.it
ANDEAD Partiamo dal fondo, ovvero da “Open Fire”, ultimo singolo in uscita dalla band. Una ballad folk punk che ripercorre lo storico conflitto anglo-irlandese. Un brano che colpisce subito per l’immediatezza e la freschezza tipica del punk vero, quello che ha il profumo della nostra adolescenza, ma insieme la carica e l’attrattiva di qualcosa di nuovo. Ecco, questa è la colonna sonora per leggere il resto e dopo, chissà, partire alla scoperta di questo gruppo. Loro, sono gli Andead, e nascono nel 2007 da un’idea di Andrea Rock assieme a Casio alla batteria, Gianluca Veronal e Roby alla chitarra e Joe “La Jena” al basso. Dopo alcuni anni di gavetta in Italia e all’estero nel 2009 esce il loro primo album “Hell’s Kitchen” da cui verrà poi estratto “Spiderband”, brano inserito subito nella programmazione di Virgin Radio e Rock TV. Le collaborazioni si moltiplicano e nel giugno dello stesso anno la band si ritrova al ‘Rock in Idro’ festival a fianco di nomi come i Gogol Bordello, Gaslight Anthem e The Pogues, per poi approdare al ‘Give
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It a Name Festival’ all’Alcatraz di Milano insieme a band come Sum 41 e Story of the Year. Nel 2011 si avrà un cambio di formazione, che vedrà al basso questa volta Stefano Russo e, nello stesso anno, per Rude Records l’uscita del loro secondo lavoro: “With Passionate Heart”. Da questo disco usciranno prima la hit “My Little Horror”, nel cui video la band è truccata secondo la tradizione del Dìa de Muertos, e il brano “Have You Ever “. È nel 2012 che la formazione milanese inizia la registrazione del terzo album, “Build Not Burn”. Già dal titolo si capisce come gli Andead vogliano capovolgere il tradizionale messaggio del punk rock rinnovandolo e forse adattandolo ai giorni nostri. Quindi basta con il distruggere costruttivo che agli albori del genere aveva permesso alle giovani energiche band di rubare la scena a gruppi quasi leggendari come i Pink Floyd, i Led Zeppelin e altri ancora; no, ai giorni nostri il messaggio diventa ‘costruire’. Costruire una possibilità anche per le nuove generazioni di conoscere com’era (e com’è) il punk e dar loro un’ulteriore possibilità di scelta nel
vasto panorama musicale nostrano. È con questo intento che la band, per promuovere il suo ultimo album, ha allestito un tour interamente gratuito, a contatto diretto col pubblico. Un gesto quasi controtendenza in un sistema musicale che si regge sempre più solo sui live. Un messaggio il loro che val bene qualche mossa avventata (e appassionata). Partendo dunque dalla splendida cover di John Mellencamp, “Authority Song”, passando per il sound alla Social Distortion di”All The Way To Memphis”, l’atmosfera familiare che si respira in “The Real Deal” fino ad approdare alla bellissima title track finale, “Build not Burn”, vero manifesto al pensiero positivo, gli Andead danno prova di grande passione e coesione musicale, spinti dall’amore per un genere forse non abbastanza rappresentato in Italia, ma capace di riaccendere molti, grandi, forse impossibili (?) sogni. E voi, non sentite la voglia di farvi trascinare in questa corrente di energia? So, cercate le date, scopritene i brani e, ovviamente, enjoy!
Angelica Magliocchetti
MUSIC
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KAYONE Tra gli street artist italiani più famosi, KayOne, si distingue per essere stato a Milano uno dei pionieri del genere. La sua carriera comincia nel 1988, anno in cui l’artista si cimenta con i primi graffiti, e prosegue parallelamente con l’attività di Art Director e pittore sia in Italia che all’estero, dove studia e guarda con ammirazione alla cultura Hip Hop. Nel 1991 fonda insieme ad Airone e Adstar “Hip Hop Tribe Magazine”, prima fanzine italiana di graffiti a diffondere il movimento a livello nazionale e internazionale, sviluppando poi nel writing stesso una parte consistente della sua arte. KayOne partecipa a innumerevoli jam
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sviluppando uno stile fortemente personale legato alla prima scuola newyorkese, ma comunque aperto a novità e sperimentazioni. La strada rimane, infatti, la sua prima fonte di ispirazione, un elemento costante tanto nel writing quanto nelle tele, opere astratte polimateriche di impronta avanguardista, in cui ritroviamo richiami al mondo urbano in linee, forme e colori accesi. Un’arte di forte impatto che ha varcato le soglie della dimensione “street” con esposizioni di grande successo presso il Museo della Triennale, le sale espositive della 54° e 55° Biennale di Venezia, il Grattacielo Pirelli per la personale “Heavy Metal”, ma anche con un’esibizione dal vivo a X Factor 2013 per Sky Arte.
POP-ART
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ARTINTIME books@artintime.it
GUIDA RADICAL CHIC ALL’INTELLETTUALISMO MODERNO Immediato, agile, profondo, necessario, insolito, fastidioso: una manciata di aggettivi, seppure strani e accostati in modo inusuale, non può riuscire ad avere l’efficacia di questo esordio in narrativa di Michele Masneri. Un romanzo? Non nella più classica delle accezioni: “Addio Monti”, che ricama sulla facile e dotta citazione manzoniana, non è una storia propriamente intesa, ma un affresco, il grande dipinto, sulla base freschissima di intonaco che è la società contemporanea, del rione Monti di Roma e, più in generale, di un quartiere che è solo un tassello di un più grande mosaico e che parte da Roma per dare prove della sua esistenza in tutta Italia. Perché il mondo finto snob e intellettualoide popolato da personaggi che fanno della propria verve radical chic un vanto, o piuttosto un autentico stile di vita e orientamento verso la società, esiste davvero: Masneri si rivela maestro nel descriverlo raccontando scene, costruendole con parole, idee, immagini, oggetti. Un occhiale RayBan, un libro Adelphi, una scarpa Clark’s: dettagli di stile appositamente piazzati per essere notati, rivelatori però di un cosmo ben più solido rispetto a una semplice moda: un immaginario, labile come nebbia ma mai così vero e potente nell’insidiarsi in relazioni affettive e lavorative, nella vita di
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un quartiere, che si ricostruisce sulla base di quelle idee. Solo idee, tenute insieme da sorrisi finti e modi di dire, che rivelano uno squallido, triste e misero retroscena, quello di un’italietta arrivata alla frutta, capace solo di indorare superfici apparenti, per lasciare gli interni e i contenuti abbandonati a una gretta e meschina decadenza: di etica, di vita, di pensiero. Se “Addio Monti” non è un romanzo vero e proprio, è anche per la sua insolita struttura: si tratta di un dialogo tra una voce anonima, un lui, e Gloria, la voce femminile. Parole, pensieri, flussi di coscienza scambiati tra le corsie di un supermercato del rione Monti, frammezzate tra la scelta dell’ultimo ritrovato in fatto di cibo a chilometro zero e il preparato vegano di tendenza. Alternando racconti di Gloria sulla coppia radical chic per antonomasia del libro, Camilla e Roberto, e vicende editoriali-mediatiche della voce maschile, ci addentriamo piano piano nell’universo pacchiano e assurdo che, ci rendiamo presto conto, non costituisce tanto una finzione narrativa, quanto una resa molto realistica di una situazione sociale vera. Serate mondane ed escort, agende infarcite di eventi, vite costruite sugli eventi stessi, per restare fedelmente aggrappati al palcoscenico di chi è “in”, non importano i contenuti, si sbandierano gli stili di vita, gli oggetti griffati e
le piccole manie che, si sa, costituiscono un immaginario di successo e brillantini. Sono quei dettagli – le scarpe, gli occhiali, il cibo bio, citare Pasolini, presenziare a una mostra o alla presentazione di un libro – che ci permettono di ricostruire il senso generale della tragicommedia che questo libro ci allestisce davanti. Ecco perché tra gli aggettivi in apertura ci sono necessario e fastidioso: l’esigenza era che qualcuno raccontasse con così tanta forza oggettiva questo mondo, collegando dettagli e atteggiamenti e riuscendo a dar loro un senso, quel senso che tutti percepiamo ma al quale non sappiamo attribuire un nome. Masneri ha osservato, notato, ripreso e ricostruito alla perfezione tutto, e il risultato non può che creare forzatamente quella certa irritazione tipica, la stessa che proviamo nella vita reale quando davanti a situazioni simili ci ritroviamo davvero, e dinnanzi a cotanti gesti ed espressioni inequivocabilmente radical chic ci sentiamo all’improvviso migliori, più veri, senza smettere di porci con un certo sconcerto la questione di cosa facciano, dove vadano questi altri burattini dell’immaginario, e se sia “sensato” agire così. Strati di ipocrisie mai apertamente denunciate prendono corpo tra un flusso e l’altro di chiacchiere nei pochi minuti che separano i due protagonisti dall’uscita dal supermercato. È così
BOOKS che sembra un attimo, il tempo di una breve spesa giù nel quartiere, e basta incrociare due persone, scambiare con loro poche parole, gesti, frasi stereotipate, che il ventaglio dei vizi di cui questo nostro mondo intorno è vittima si snocciola platealmente, solleticandoci, bussandoci direttamente e aprendoci -finalmente, verrebbe da pensare - a una vista un po’ meno velata e un po’ più, sarcasticamente, consapevole di cadere di nuovo, a breve, nel grande mulinello del perfetto stile di vita da intellettualoide moderno.
A lessandra Chiappori «Coi mezzi ecologici raggiungono anche Cape Cod, dove arrivano in trenino ansimante più pullman canicolare, trovando naturalmente “pasoliniana” la colorata massa di rumeni, cingalesi, polacchi, megere, zingari, pischelli e sòre, che col solleone si butta sul triste convoglio per raggiungere finalmente le spiagge fangose e non balneabili. Lì, sui sedili d’altri tempi, guardando dal finestrino l’Eur e la Magliana, siedono l’uno di fronte all’altro, con le loro Repubbliche e il loro Domenicale e i loro solari non testati su animali, e un pareo indiano, e pacchi di libri a cui Roberto ha preventivamente tolto le sovracoperte. Si guardano dai Ray-Ban tartarugati, tra afrori e idiomi così deliziosamente global e local, assaporando come una pralina questa Roma così etnica e così diversa, orgogliosi del loro coraggio e del loro anticonformismo» Michele Masneri, “Addio Monti”, Minimum Fax, 2014.
Michele Masneri Classe 1974, bresciano di nascita, Masneri vive proprio nel rione Monti di Roma preso di mira in questo che è il suo esordio in narrativa. Non è però estraneo al mondo delle lettere, anzi, dopo aver lavorato ad Amburgo e Parigi con alcune organizzazioni internazionali, scrive di economia e cultura su alcune note riviste e giornali: Il Foglio, Il Sole 24 Ore, Rivista Studio.
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FRANCIS “Francis” è il primo cortometraggio animato di Richard Hickey. Presentato al festival di Cannes nel 2012, questo piccolo capolavoro ha avuto un concepimento alquanto singolare. Richard Hickley racconta infatti che la sua idea è nata da una trasmissione radiofonica, “This American Life”, durante la quale la speaker, Ira Glass, aveva proposto a sei scrittori americani di creare un racconto che avesse come tematica centrale l’avventura. Richard è stato immediatamente colpito da quello scritto da Dave Eggers, tanto che ha deciso di trasformarlo in un cortometraggio. Richard Hickley ha alle spalle una carriera da illustratore e “Francis” rappresenta il punto di arrivo dopo anni trascorsi a realizzare animazioni di ogni genere. Con questo cortometraggio egli riveste per la prima volta anche il ruolo di regista, dimostrando di essere pienamente competente. “Francis” è un cortometraggio in cui abbiamo un’unica protagonista, una ragazza che si chiama appunto Francis. Una voce over ci racconta la sua vicenda, ripercorre e racconta ogni gesto, ogni movimento, ogni scelta compiuta dalla ragazza. È interessante la scelta di non far mai parlare la
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protagonista, riservando ogni parola alla voce narrante: rende l’intera vicenda ancora più forte e sconvolgente agli occhi dello spettatore che può solo ipotizzare quello che prova la protagonista, ma non riesce completamente a comprendere i suoi gesti. Francis non ha facoltà di parola e non può quindi urlare ed esprimere il suo sgomento durante questa avventura spaventosa. “Francis” racconta una vicenda che non è sicuramente tipica di un film di animazione Disney, sono infatti presenti dei toni molto oscuri e i colori utilizzati rendono le immagini molto cupe, non soltanto perché la vicenda si svolge di notte, ma questa scelta aiuta a far percepire allo spettatore un forte senso di pathos e di paura che sono le stesse sensazioni che evidentemente sta provando Francis. La ragazza infatti nel pieno della notte si allontana dalla tenda del campeggio, si trova in un bosco sulle rive di un lago molto profondo. Retorica o meno, nel lago si nascondono entità sconosciute e mostruose che potrebbero fare qualcosa di male alla protagonista. Francis percorre un vecchio pontile di legno e sale sulla barca, prende il largo e si ritrova al centro del lago. La voglia di vivere un’avventura in-
dimenticabile è sicuramente la forza che spinge Francis ad abbandonare la tenda del campeggio, identificabile come luogo domestico in cui si trova al sicuro, per trascorrere una notte all’aperto in un bosco. Il cortometraggio di Richard Hickley è da ascrivere a quella serie di film che riesce a pieno a raccontare solo grazie alla potenza dell’immagine narrata, la voce over non fa altro che incorniciare la storia, ma non è di fondamentale importanza. Sono i volti, le espressioni e l’assenza del dialogo della protagonista a rendere più efficace l’intera narrazione, che coinvolge a pieno lo spettatore e lo trascina in quell’avventura che Hickley aveva sentito alla radio ma che è riuscito a tramutare in immagini animate e in sentimenti vivi. Francis parla veramente allo spettatore con il dialogo del silenzio, perché, come ripeto sempre, uno sguardo vale più di mille parole.
Francesca Cerutti
MOVIES
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FESTIVAL DELLA TV E DEI NUOVI MEDIA
COMICON
BELLARIA FILM FESTIVAL
Dal 1° al 4 maggio a Dogliani, in piazza Umberto I, si svolgerà la terza edizione del “Festival della Tv e dei Nuovi Media”, evento che con l’intervento di autori, editori, produttori e professionisti affronterà le principali questioni della comunicazione contemporanea multipiattaforma. Quattro giorni di incontri e approfondimenti in cui importanti ospiti, tra cui Carlo De Benedetti, Antonio Paolini, Roberto Napoletano, Giovanni Minoli, racconteranno l’evoluzione dei media e della comunicazione dalle loro origini ad oggi. Per maggiori info: www.festivaldellatv.it.
Nuovo appuntamento con “Comicon”, il salone internazionale del fumetto della città di Napoli. La manifestazione, che si svolgerà dal 1° al 4 maggio alla Mostra d’oltremare, accoglierà appassionati di fumetto, cinema di animazione, gioco, videogioco e cosplay, ma anche professionisti del settore, che avranno l’opportunità di incontrare autori, fumettisti e illustratori di fama internazionale. Tra i protagonisti dell’edizione Naoya Yamaguchi, Yoshiyasu Tamura, Kamui, Stephen Collins, Tito Faraci, Peter Milligan, Rob Alexander, Nils Hamm. Per info: www.comicon.it .
Dal 1° al 4 maggio si svolgerà la trentaduesima edizione del “Bellaria Film Festival”, la rassegna cinematografica nazionale dedicata al cinema indipendente di Bellaria Igea Marina. La kermesse, aperta alle opere documentarie di filmaker italiani, si articolerà in due concorsi, “Italia Doc” e “Casa Rossa Art Doc”, di cui le opere selezionate verranno presentate al pubblico durante i quattro giorni di festival. Non mancheranno inoltre retrospettive, omaggi ed eventi speciali di cui potete trovare informazioni sul sito www.bellariafilmfestival. org.
SALONE DEL LIBRO
DIGITAL FESTIVAL
NET CAMPUS
Presso il Lingotto Fiere di Torino dal 8 al 12 maggio si svolgerà la ventisettesima edizione del “Salone Internazionale del Libro”, la fiera-mercato dedicata agli amanti della letteratura e dei libri. L’evento che quest’anno sarà incentrato sul tema “il Bene”, accoglierà come Paese ospite d’onore la Santa Sede, e darà spazio al contemporaneo e al digitale con un’intera sezione dedicata alle nuove tecnologie hi-tech e con l’Area Start Up, in cui verranno presentate dieci giovani realtà imprenditoriali internazionali. Per maggiori informazioni: www.salonelibro.it.
A Torino dal 8 maggio al 8 giugno torna l’evento dedicato al mondo digitale e alla sua interazione con la quotidianità, il “Digital Experience Festival”, che per la sua quinta edizione si propone di dimostrare l’importanza e la necessità del mashUp del reale con il mondo digitale al fine di reinventare modelli e scenari. In linea con il claim del festival “more digital for better life”, sarà dato spazio ad idee, innovazioni e sperimentazioni con cui il pubblico potrà venire a contatto attraverso i molteplici appuntamenti in programma. Per informazioni: 2014. digitalfestival.net.
Il 10 maggio a Roma si svolgerà “.NET Campus”, la principale conferenza italiana dedicata alla tecnologia Microsoft rivolta a studenti e professionisti del settore. L’evento, che accoglierà speaker di fama nazionale ed internazionale, proporrà sessioni su tecnologie attuali e future, andando ad approfondire tematiche specifiche, tra cui lo sviluppo web/cloud, l’accesso ai dati, Windows 8, Windows Phone 8, il design della user interface, pattern e metodologie, ALM e le metodologie Agile. Per maggiori informazioni: www.dotnetcampus.it.
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EVENTS A cura di Anna Moschietto
YOUNG JAZZ FESTIVAL
FIM
EFEBO CORTO
Decimo anniversario per il “Young Jazz Festival”, la rassegna musicale dedicata ai giovani talenti del jazz italiano ed internazionale della città di Foligno. Il festival si svolgerà dal 15 al 25 maggio e mostrerà al pubblico le esibizioni e sperimentazioni di giovani jazzisti e noti musicisti della scena mondiale, tra cui Enrico Rava New Quartet, Giovanni Guidi, Gianluca Petrella, Bobo Rondelli e l’Orchestrino, Jakob Bro Trio e molti altri ancora. Un evento da non perdere per gli appassionati del genere. Per maggiori informazioni: www.youngjazz.it.
Presso la Fiera di Genova dal 16 al 18 maggio si terrà la “Fiera Internazionale della Musica”, manifestazione che si propone come punto di incontro tra musicisti, appassionati e professionisti del settore. Uno spazio in cui conoscere diverse realtà legate al business della musica e le nuove offerte, ma anche per elaborare nuove idee, prodotti e progetti, attraverso esposizioni, incontri, seminari, laboratori, workshop e concerti. Un’opportunità per confrontarsi e condividere la passione per la musica. Per maggiori informazioni: www.fimfiera. it.
Dal 22 al 25 maggio a Castelvetrano, in provincia di Trapani, si svolgerà la decima edizione di “Efebo Corto”, festival dedicato alla cinematografia breve che rivolge il suo interesse principalmente ai giovani talenti della cinematografia e dell’audiovisivo. Un’opportunità di scambio e crescita tra studenti e giovani registi della scena nazionale ed internazionale, che concorreranno con le proprie opere nelle due sezioni competitive in programma (Filmaker e Scuole). Per maggiori informazioni sul calendario dell’evento, visitate efebocorto.eu.
RADIO TV FORUM
LE CORDE DELL’ANIMA
Nona edizione per il “Radio Tv Forum”, che il 27 e 28 maggio a Roma, presso il Centro Congressi dell’Hotel Melià Roma Aurelia Antica, presenterà ai visitatori le principali novità proposte dal settore, attraverso un’ampia area espositiva ed attività collaterali, quali convegni, seminari tecnici, workshop, in cui approfondire novità e problematiche legate al business. Un’opportunità per le aziende attive nel campo televisivo e radiofonico di entrare in contatto con nuove realtà e soluzioni nazionali ed estere. Per informazioni: www.radiotvforum.it.
Dal 30 maggio al 1° giugno a Cremona si terrà la quinta edizione del festival “Le Corde dell’Anima”, manifestazione che unisce letteratura e musica in un unico e coinvolgente evento, che vedrà protagonisti musicisti, giornalisti, poeti ed autori. Tre giorni ricchi di incontri, reading, laboratori, presentazioni, concerti, spettacoli e anteprime che coinvolgeranno il centro storico cittadino e accoglieranno grandi nomi della musica e della cultura nazionale ed internazionale. Maggiori informazioni sul programma sul sito: www. lecordedellanima.tree4.it.
CINEMAMBINETE
Torna l’annuale appuntamento torinese con “CinemAmbiente - Environmental Film Festival”, la rassegna cinematografica internazionale dedicata ad opere a tematica ambientale. La rassegna, che si svolgerà dal 31 maggio al 5 giugno, si articolerà in quattro sezioni, in cui concorreranno documentari e mediometraggi di produzione nazionale ed internazionale, e comprenderà due sezioni non competitive (Panorama, Ecokids) ed eventi speciali. Una diciassettesima edizione ricca di novità di cui potete trovare alcune anticipazioni su www. cinemambiente.it.
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