Artintime n.3 - Marzo

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IN TIME n.3 - Marzo 2014

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS


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ARTINTIME L’EDITORIALE Internet e social networks fanno ormai parte delle nostre giornate come vere e proprie dimensioni affiancabili al tempo che scorre e allo spazio che ci accoglie. Impossibile farne a meno, tanta la voglia di mollare computer, tablet, telefono e fuggire su isole deserte, ma altrettanto irrefrenabile il prurito che ci spinge a controllare la posta, a verificare se abbiamo notifiche. Spie della solitudine che affligge l’affollato mondo globalizzato della contemporaneità? O forse esigenza di qualcosa di più consolidato e stabile, di legami? Che sono labili e spesso falsi sulla rete digitalizzata così come la conosciamo e la utilizziamo ogni giorno, ma sono invece autentici, forti e robusti nella realtà di ciascuno di noi. Legami istituiti per lavoro, contatti nati magari sul fittizio web e poi divenuti concreti e fruttuosi, ma anche, e soprattutto, legami affettivi: amicizia, amore, fraternità, simpatia, condivisione. Ganci, prese salde, punti di riferimento, fari nel buio: questo sono i legami, di qualsiasi tipo. Binari che ci permettono di mantenere la rotta, o ci invitano a prenderne un’altra, seguendoci senza mai abbandonarci, assicurandoci una caduta morbida, un ritorno nell’affetto, un sorriso nel groviglio dell’esistenza. Ogni legame una tappa, un pezzetto di strada percorsa insieme o ancora da scoprire. Punti stabili, di cui sempre più spesso sentiamo l’esigenza in un mondo precario e in perpetua sindrome da movimento e cambiamento perenne. Sì, ne abbiamo bisogno, di quei legami. Che ci ricordino chi siamo, dove andiamo e, parafrasando il celebre Gaugin, da dove veniamo. Sarà sorprendente e perfino tenero, poi, ritrovare inaspettatamente quei legami quando meno ce lo aspettiamo, quando la quotidiana dose di stress li avrà resi così lontani e invisibili da avercene quasi fatto dimenticare. Riscoprirli così, cancellando all’improvviso ogni barriera e distanza, non potrà che rasserenarci e farci riscoprire noi stessi. Perché i legami sono come i bei romanzi, le belle saghe al cinema, i bei progetti musicali: sono la molla da cui parte e su cui si basa tutto. Ci rappresentano. Sono le storie appassionanti, dove tra alti e bassi si snodano avventure più o meno belle, ma nelle quali, alla fine, si ritrovano sempre quei punti stabili che mantengono vivi e consolidati proprio loro, i legami. È così che nell’asfissiante confusione quotidiana riusciamo a conservare un baricentro stabile: le distanze si accorciano tra continenti grazie ai legami, e il mondo, il grande palcoscenico sul quale ci affacciamo tutti i giorni pronti a una nuova performance improvvisata, diventa piccino e quasi controllabile. I legami, talvolta, si rivelano con sorpresa alla base di tutto il nostro affaticarci quotidiano. Si ritrovano volti noti laddove non si pensava, si ricevono messaggi, strette di mano, aiuti e consigli. Si scoprono cose comuni, parentele, a confermare la teoria dei sei gradi di distanza che ci avvicinano al mondo intero. Una grande comunità reale dove ognuno mantiene le proprie caratteristiche, come in una bella compagnia c’è chi cucina, chi suona la chitarra, chi canta e chi scatta le foto, quel che importa è che si resti coscienti del valore di ogni singola relazione, che è importante, sì, è frutto di impegno e cura. Una piccola lezione di vita? No, piuttosto una riflessione mentre costantemente ci impegniamo per offrirvi il nostro meglio, felice esito di legami, e che a nuovi legami tende le mani, anzi… le pagine! E lo fa, anche per questo mese di marzo, a partire da un’accattivante copertina d’autore, che questa volta vede la firma di Alessio Bolognesi, in arte Sfiggy: tra ironia e critica, fantasia e stretto contatto con la realtà che ci circonda. Vi è piaciuta? E non avete ancora letto i contenuti: forza, non vi resta che voltare la pagina! Alessandra Chiappori

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . TWO FINGERZ by Angelica Magliocchetti

8 . ALTROVE E CON NESSUNO by Francesca Cerutti

10 . TVBOY by SQUARE 23

12 . SOTTO LA SUPERFICIE DEL DOLORE by Alessandra Chiappori

14 . LA WUNDERKAMMER DELLA GAM RIAPRE CON DE PISIS by Roberta Colasanto

16 . COMPAGNIA ARTEA, RICERCA E INNOVAZIONE IN MOVIMENTO by Barbara Mastria

18 . FASHION WEEKEND, FASHION GALORE ! by Cristina Canfora

20 . SOTTO IL CIELO DI FRED by Alessandra Chiappori

22 . DA TORINO A SANREMO ASCOLTANDO NORAH JONES by Alessandra Chiappori e Angelica Magliocchetti

24 . IMAGINE DRAGONS by Angelica Magliocchetti

26 . MR THOMS by Anna MOschietto

28 . IL BEL ROMANZO AMERICANO by Alessandra Chiappori

30 . I RAGAZZI E GUILLAUME, A TAVOLA ! by Francesca Cerutti

32 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

TWO FINGERZ Bussano alla porta. Un ragazzo trova un cd sullo zerbino. Nessun indizio. Si avvicina al pc, inserisce l’inaspettato regalo e preme il tasto ‘play’. Ed è qui, in quell’attimo, che esplode il sound potente del singolo “Cassa dritta”, arricchito da in un intricato filo di rime dal sarcasmo bruciante. Ma non è che l’inizio del nuovo lavoro dei Two Fingerz, duo hip hop nostrano in attivo sulla scena rap da quasi dieci anni. Andiamo con ordine. È il 2003 e il rapper Danti (al secolo Daniele Lazzarin) e il produttore e beatmaker Roofio (Riccardo Garifo) creano i Two Fingerz; è solo tre anni dopo, però, che vede la luce il loro primo lavoro “Downtown”, 13 tracce figlie della più classica sonorità hip hop, farcite di tante parole, rapide, ironiche, rabbiose e un po’ acerbe. A meno di un anno di distanza esce il vero primo album, “Figli del caos”, prodotto da Sony Music. Due anni dopo, grazie alla collaborazione con il rapper Vacca, nasce “Non prima delle 6:10”, un EP che mostra, rispetto ai lavori precedenti, un cambiamento di sonorità che prosegue nello street-album successivo “Disco finto”. Il lavoro vede la collaborazione di importanti personaggi del mondo rap quali Nesli, Ensi, Mondo Marcio, Big Fish e Ghemon. È solo

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un antipasto, un’anticipazione del successivo doppio album, “Il disco nuovo/Il disco volante” , in cui il duo esplorerà (già dalla copertina) un mix tra la musica elettronica e l’hip hop. “Un ritornello che fa”, “Nessuno ascolta” in collaborazione con il rapper-dj Dargen D’Amico, “Canzoni da Stadio” con Fabri Fibra e “Pensare a Loro” con Yves e Simona Barbieri; un testo rap su una base elettronica e una farcitura di suoni e voci come da tradizione hip hop. Un compromesso che funziona. Continuando a portare avanti la loro carriera nel 2011, i Two Fingerz, si trovano alla guida di “Made in Italy - Two Fingerz” in onda su Hip Hop Tv di Sky, un’occasione che permetterà loro di presentare al pubblico video e artisti del panorama rap italiano. Nel 2012 esce il nuovo album “Mouse Music”, che sottolinea già dall’ironico titolo come per loro il computer sia un valido strumento di creazione musicale. L’album, dal sapore più positivo dei precedenti, è anche questa volta pieno di collaborazioni illustri come Max Pezzali e J-Ax in “Non capisco cosa vuoi”, versione revisionata, remixata e totalmente in rima del successo degli 883 “Non me la menare”, o come Caparezza

nell’amara “Capra”. Ma non finisce qui, dopo il successo di “Come le vie a NY” e dell’annunciato brano con l’artista Fedez, “Cassa dritta”, nel febbraio del 2014 esce “Two Fingerz V”. Quinto album, come cinque i live previsti, per giocare con la consueta ironia su un nuovo traguardo raggiunto. Partendo dal brano ora in radio, “Ciao”, passando per la voce di Baby k in “Mi piace” e Ensi in “La cosa più bella che c’è”, fino alla versione inversa del successo di Vasco (“Ridere di Te”) di “Ridere di me”, si nota come il sound del duo sia maturato, trovando ormai una propria impronta, sempre in quell’equilibrio delicato di intrecci tra rime e riff dai toni elettronici. Difficile raccontare interamente questo nuovo lavoro, forse meno ironico ma più rapido e fresco, diretto; l’unico modo per farlo resta quel fantomatico tasto ‘play’ citato all’inizio di questa (breve) parabola di nomi, suoni e sensazioni. Tutto qui: tante parole, a volte sagge, e buon ritmo. Per gli amanti del genere: da scoprire. Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

ALTROVE E CON NESSUNO Un uomo seduto su una sedia, avvolto da una luce bianca in uno spazio che non è propriamente rappresentazione di un luogo. Guarda verso la telecamera, ci osserva. La voce over di una donna racconta di un sogno strano, che le ha causato un risveglio ulteriormente incomprensibile. La donna non parla da sola, un uomo le risponde e dal loro breve dialogo, accompagnato da inquadrature che si fanno via via più ravvicinate, nasce la domanda chiave: “Come si sente oggi signor Pascal?”. Mentre la voce femminile pronuncia queste parole, compaiono un metronomo e il titolo del cortometraggio: “Altrove e con nessuno”. Comincia così il cortometraggio di Luca Angioli, un progetto molto interessante che costituisce insieme a “Sessofòbia” del 2007 e a “L’invisibile” del 2007, una trilogia di cui “Altrove e con nessuno” rappresenta il punto di arrivo e che è tutta incentrata a raccontare la vicenda di Fabrizio Pascal. La storia presentata suona agli occhi dello spettatore come qualcosa di assurdo, di onirico, sono innegabili infatti i riferimenti ad artisti come Dalì e Magritte, alla loro pittura surreale. Dopo la scena iniziale il protagonista, il signor Pascal, si ritrova in un campo, intorno a

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lui solo distese interminabili di prati, nel tentativo di alzarsi da terra si rende conto che qualcosa lo sta ancorando al suolo, legato al suo polso destro c’è un uomo, sembra morto, se stimolato non dà segni di vita. È impossibile spezzare la catena e liberarsi di quell’ancora, di quella che sembra essere una palla di ferro da carcerati, un peso sia fisico che morale. Difficile comprendere come il protagonista sia finito legato a quel cadavere, se sia stato lui a provocare la sua morte. Sono molte le domande che sorgono osservando “Altrove e con nessuno”, non è immediato comprendere cosa realmente il giovane regista voglia raccontarci attraverso queste scene che sembrano quasi ai limiti dell’assurdo. Mentre siamo ancora intenti a comprendere quale dinamica costringa i due uomini a essere incatenati, sopraggiunge da lontano un altro uomo. L’uomo di Magritte. Il protagonista cerca di intercettare il suo sguardo, lo chiama, ma quello non gli risponde, continua impassibile a camminare. È allora che qualcosa cattura la nostra attenzione: al polso sinistro si intravede una catena, alla sua estremità è legato un uomo morto, è il cadavere del protagonista. Immediatamente il protagonista osserva il cadavere

che sta trascinando lui: è l’uomo, lo sconosciuto. Avviene quindi uno sdoppiamento dei personaggi, non psicologico, ma fisico: essi sono contemporaneamente vivi e morti, l’uno ancorato all’altro come se il destino di uno fosse di fatto connesso a quello dell’altro. Una connessione a tratti spaventosa, come si trattasse di espiare una colpa. I due uomini si ritrovano allo specchio, con i ruoli scambiati: Luca Angioli ha spiegato di aver voluto rappresentare una vicenda ribaltata di una realtà distorta, “Altrove e con nessuno” vuole raccontare la depressione attraverso le immagini, e ci riesce creando nello spettatore un senso di straniamento, di vuoto e di incapacità a immaginare come possa procedere la vicenda, tipici aspetti della depressione. È questo senso di peso, causato dal cadavere, che spesso rischia di far perdere di vista ciò che di bello c’è intorno: c’è chi si fa ancorare al suolo da quel cadavere e chi riesce a trascinarlo con leggerezza, continuando a vivere. Degne di nota sono anche la fotografia e le inquadrature che valorizzano “Altrove e con nessuno” e lo rendono ulteriormente efficace nel suo procedere.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME

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POP-ART popart@artintime.it

TVBOY “Spegni la televisione e sii protagonista della tua vita”. Il messaggio è chiaro. L’immagine è esplicita. Con TvBoy - il personaggio con la testa incapsulata nel televisore, perso tra la tenerezza del bambino e l’irruenza del rocker - Salvatore Benintende ha dato vita al suo alter-ego creativo. Partendo dalla strada, il suo messaggio ha raggiunto tutta l’Europa, lasciando un segno nelle strade di Milano come nelle vie di Barcellona, città che l’artista ha eletto a suo atelier creativo. La sua arte è fatta di rimandi e citazioni, di ironia e innocenza, di denuncia e leggerezza. È dinamica ed esplosiva nel colore e nel movimento e fotografa, con sensibilità, la realtà che ci circonda. Nato a Palermo nel 1980, Salvatore ha vissuto a Milano dove dal ‘96 è entrato a far parte della scena artistica della street art italiana e internazionale diventandone fin da subi-

to uno dei maggiori esponenti. Dopo aver studiato pittura e illustrazione all’Università di Bilbao si è laureato a Milano in “Industrial Design”. Ha esposto le sue opere in numerose gallerie e musei internazionali, tra cui il Superstudiopiù di Milano nel 2010, con pubblicazione del catalogo Skira, ed è stato invitato dal Ministero degli Esteri a partecipare al padiglione “Italiani nel Mondo” della Biennale di Venezia 2011 e all’evento ufficiale collaterale della Biennale di Venezia 2013 “Back 2 Back”. Si segnalano, inoltre, mostre e partecipazioni all’Iguapop Gallery a Barcellona nel 2007, al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano nel 2007, all’Auditorium Parco della Musica di Roma nel 2008, alla We Love Asbaek Gallery a Copenhagen nel 2008, al Progr Art Space in Svizzera, a Berna, nel 2008, all’Aishiti Art Festival in Libano, a Beirut, nel

2008 e al Museo di Storia di Saragozza nel 2006. E poi, ancora, eventi di arte urbana in Spagna, Italia, Germania, Svizzera, Cuba e Libano. Dal 2005 risiede a Barcellona, dove ha il suo studio ed è professore di design. Ha realizzato progetti su incarico di prestigiosi marchi italiani e internazionali come Fiat, Seven, La Rinascente, Smart, Gioco del Lotto, Nescafé ed altri. Dal 2008 il suo personaggio TvBoy è diventato un marchio con collezioni nei settori moda e accessori.

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ARTINTIME books@artintime.it

SOTTO LA SUPERFICIE DEL DOLORE Romanzi sul dolore quotidiano, storie di ordinarie depressioni davanti a vite immerse in una società affollata di anime ammalate e sole. Questa, all’incirca, una delle più grandi tendenze dell’attuale letteratura contemporanea in Italia. Ecco dunque perché il romanzo d’esordio di Luisa Brancaccio potrebbe sembrare una storia come tante altre, “Stanno tutti bene tranne me”, la lamentosa ripicca di una protagonista che affoga, inascoltata, nel suo chiuso e limitato mondo quotidiano, fuori sorrisi di circostanza, dentro un buio che non fa dormire. Invece no, non è tutto qui. Questo piccolo testo si rivela una scatola narrativa potente ed efficace. Insospettabile a partire da quel primo capitolo così strano, slegato apparentemente da tutto il resto, voci sconosciute e scenari di quella sofferenza giovanile mista a superficialità che fa pensare immediatamente a un romanzo scomodo, fastidioso, a una storia di vite ripiegate sul male di vivere. Poi appare la protagonista, e con lei entriamo in un universo oscuro fatto di agiata borghesia e apparentemente innocente “normalità” familiare. Una normalità che stride contro quel dolore crescente e pressante che non fa dormire Margherita, che la allontana, come d’improvviso, da suo marito e dai suoi figli. Intorno una vita

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piena, fatta di commissioni domestiche, cucina, libri e un cane, dentro il vuoto creato da uno scarto che non ci è dato capire, neppure sospettare. Ad arricchire il quadro, totalmente immersi nella vicenda di Margherita, una buffa e tenera figura di psicanalista sulla via del tramonto, non tanto aiutante medico quanto personaggio parallelo alla protagonista, che avanza con il suo carico di storie passate e dolore da superare. Infine una coppia, i vicini di Margherita, segnata dalla recente perdita di un figlio neonato. Una vicenda staccata a suo modo da quella centrale, di Margherita, come un piccolo racconto di scavo dentro al buio e rinascita in forma nuova. Perché, a ben guardare, tutti i fili intessuti dentro a questo romanzo, tutte le microstorie tenute insieme dai piccoli legami della trama, sono storie di uscita dal dolore, tentativi di affrontare un male quotidiano e logorante per riuscire alla luce, a testa alta. Non sempre è un processo lineare e non è sicuramente un percorso piastrellato di sensazioni buone. Anzi. A metà libro, la sconvolgente svolta, l’episodio inimmaginabile che stravolge dentro alle pagine Margherita, e fuori, nel mondo vero, il lettore. Si sente allo stomaco l’apoteosi di quel dolore straziante che risuona nel completo vuoto, tra le pareti di una casa, quella della protagonista,

dove regna l’assoluta incomunicabilità. Cosa c’è di sbagliato? Perché le altre famiglie funzionano e quella di Margherita no? La scoperta arriverà attraverso un lento e graduale rivelarsi di storie, quella di Margherita, riattivata dopo l’evento centrale, quella della coppia segnata dalla perdita del figlio, rifugiatasi in campagna per tentare una terapia e proprio lì scopertasi ormai vuota, destinata ad altro. Sembrano vicende slegate, accomunate solo dalla coincidenza che vede le famiglie abitare vicino. Invece Luisa Brancaccio riesce a fare di ogni esistenza il tassello di un grande quadro che parla, attraverso vicende differenti accomunate dalla stanchezza di vivere, dal silenzio della solitudine e dalla difficoltà di ritrovare un appiglio, qualcosa di omogeneo e coerente. Tanto che, seguito l’intreccio e arrivati alle ultime battute del romanzo, scopriamo la verità, e il libro ci cade letteralmente dalle mani, lasciandoci increduli. Una insospettata rinascita, un improvviso sollevare la testa davanti al male che diventa troppo, che diventa follia del celato. E così anche i più deboli personaggi sofferenti, Margherita in testa a tutti, sapranno dire “anche io”, e riprovare a intraprendere quella strada dello stare bene consci di aver attraversato un mare di dolore ma di non aver perso totalmente se stessi. Nessuno è solo in questo cammino,


BOOKS per quanto diverse possano essere le strade che vi si intersecano. E così nessuno può uscire dal suo percorso nel dolore senza che nulla, nel bene o nel male, porti a un grande, tragico e apparentemente immotivato cambiamento. Un’ottima prova narrativa, da leggere d’un fiato e da riaprire e risfogliare appena concluso per meravigliarsi dell’abilità dimostrata dall’autrice.

A lessandra Chiappori

“-Io non so spiegarti come mi sento. Mi sento infelice. -Ti senti infelice, sai spiegarti molto bene. Ma il punto è: perché ti senti infelice. Che cosa ti manca? Se tu facessi delle richieste io magari potrei accontentarti. Ma tu sai solo dire che ti senti infelice e lasciarmi impotente di fronte a tutto questo dolore. Perché stai male? Sei sana, hai tre splendidi figli sani, siamo benestanti… -Lo so, lo so, hai ragione. Il mio malessere cresce nel vuoto, non so proprio dove riesca a trovare nutrimento. Sono grata a te e ai ragazzi e all’universo per tutto quello che ho, davvero. Eppure mi sveglio ogni mattina con una terribile oppressione al petto e ho paura” Luisa Brancaccio, “Stanno tutti bene tranne me”, Einaudi, 2013.

Luisa Brancaccio Classe 1970, Luisa Brancaccio, nata a Napoli e ora romana di adozione, non è del tutto nuova alle grandi pagine letterarie. Il suo esordio è sempre firmato da Einaudi, e si tratta del racconto “Seratina” scritto a quattro mani con Nicolo Ammaniti e raccolto nel volume “Gioventù Cannibale” (1996). “Stanno tutti bene tranne me”, invece, è il suo primo romanzo.

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

LA WUNDERKAMMER

DELLA GAM RIAPRE CON DE PISIS La Wunderkammer, ovvero la “camera delle meraviglie”, nel Cinquecento era una stanza che custodiva gli oggetti meravigliosi collezionati dal padrone di casa –fosse egli mercante, medico o imperatore. I tesori della Wunderkammer potevano essere di origine naturale (uova di struzzo e corni di unicorno inclusi) oppure manufatti creati dall’uomo, gli “artificialia”, in genere esposti con un certo qual gusto per l’affastellamento e mostrati dal padrone solo a ospiti di riguardo. Ben diversa la concezione di Wunderkammer dei musei contemporanei che dall’antenata cinquecentesca riprendono tuttavia l’idea originaria di spazio circoscritto dove esporre i propri tesori. Questo è il caso della Galleria d’Arte Moderna di Torino che nel 2009 inaugurava la sua camera delle meraviglie, oggi riproposta in un nuovo spazio al piano interrato, pensato per dialogare col contiguo Gabinetto dei Disegni e delle Stampe dove è conservata una cospicua e importante collezione grafica. Proprio nell’ottica del confronto tra soluzioni grafiche e realizzazioni pittoriche si articola l’esposizione

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dedicata a Filippo de Pisis che la Wunderkammer accoglie in questo periodo e che sarà visitabile fino al 6 aprile 2014. Si tratta di una selezione di 57 opere tra acquerelli, disegni e olii, provenienti dalla collezione che Alberto Rossi (1893-1956), critico e giornalista, donò alla Galleria Civica di Torino. Questa rassegna di opere, databili dagli anni Venti agli anni Cinquanta, racconta la personalità pittorica di Filippo de Pisis (Luigi Filippo Tibertelli, 1896-1959) sintetizzandone in maniera efficace la parabola artistica: da un primo periodo segnato dalla volontà di recupero di un ordine classico, all’esuberanza dei lavori parigini, agli ultimi acquerelli realizzati durante la degenza nella clinica di Villa Fiorita, presso Brugherio (Monza). Tra gli olii si segnalano il “Paesaggio di Cadore” (1930), dove forme e volumi sono resi da corposi blocchi cromatici schiacciati sotto un cielo nuvoloso e incombente, e le due vedute milanesi degli anni Quaranta, “Cantiere in costruzione” e “La darsena a Milano”, dove sulla tela, lasciata per lo più in vista sotto le veloci campiture, si rincorrono rapidi tocchi di colore

sopraelevato. Tra i disegni, particolarmente intenso un veloce ritratto del 1951, “Testa di giovane”, e tra gli acquerelli l’evanescente “Vaso con fiori blu” (1943), puro colore in movimento che da lontano si ricompone in natura morta. Una splendida occasione per ripassare un brano della nostra arte contemporanea attraverso le opere di una “collezione segreta”, degna di una moderna Wunderkammer.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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ARTINTIME

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TEATRO teatro@artintime.it

COMPAGNIA ARTEA,

RICERCA E INNOVAZIONE IN MOVIMENTO La cittadina di Rovereto, in Trentino, ospita da trent’anni un Festival europeo molto importante: “Oriente Occidente”, un vero incontro tra culture e generi della scena contemporanea. Si mastica la danza a Oriente Occidente, quella contemporanea, quella del teatrodanza. La bellezza e la sua peculiarità stanno nell’apertura alle giovani compagnie del territorio, che, coinvolte in progetti particolari, hanno la possibilità di esibirsi davanti al pubblico e contribuire alla ricerca e all’innovazione. Tra le varie, l’attenzione è stata catturata dalla “Compagnia Artea”, un ensemble stabile a Rovereto e operante sul territorio della provincia di Trento. “Artea” è sorta nel 2007 dalla necessità della coreografa Elisa Colla di trovare un luogo in cui sperimentare nuove creazioni; all’interno dell’omonima associazione nata un anno più tar-

di si forma così, parallelamente alla scuola di danza, una vera e propria compagnia. “Artea” crea una stretta relazione tra la danza, il teatro e l’arte figurativa costruendo intorno a esse degli eventi, in particolari rivolti alle giovani generazioni, al fine di avvicinarli ai beni culturali. Un connubio interessante e non nuovo alla direttrice artistica della scuola di “Artea”, la danzatrice Elisa Colla; dalla sua esperienza di studente di beni culturali e di ballerina modern-contemporaneo formata in scuole italiane e francesi, vengono realizzate creazioni coreografiche che inseguono la contemporaneità, risultato di continue ricerche sul movimento. Il contemporaneo di “Artea” si svela nella scelta artistica, ma anche in quella dei temi trattati. Appartamenti moderni e piccoli che tolgono l’intimità degli inquilini; difficoltà a mettere radici e a trovare la

“propria” casa; giovani e adulti alla ricerca di un vero spazio da abitare e da vivere e la convivenza con oggetti e cose con cui entrare in relazione. E poi la riflessione sul lavoro e sulle possibilità che il mercato offre ai ragazzi: “Artea” ha creato un progetto artistico che mette al centro la riflessioni sulle difficoltà di trovare occupazione, declinandola nella presa di coscienza dei giovani delle proprie competenze e capacità, della loro responsabilità sociale, basi fondamentali per intraprendere qualsiasi percorso professionale.

Barbara Mastria

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

FASHION WEEKEND, FASHION GALORE ! Mid February, Somerset House. Back again to the London Fashion hot spot. The international Mecca for every trend setter. Where Anna Wintour sits next to Bradley Cooper, in the FROW (front-row), Cara Delavigne gets more attentions than the Queen herself (in case she would join the socialites) and Kate Moss takes her little model sister Lottie to the Top Shop Unique show. To get in the mood for the catwalk extravaganza, first step is visiting the exhibition on Isabella Blow, the iconic lady whose decadent past and unique sense of style left trace in the contemporary history of fashion. Born as an aristocract she finds a career in fashion more suitable to her, becoming firstly Ana Wintour’s personal assistant during her American days and then working alongside Tatler and the Sunday Times Style fashion director, Michael Roberts in London. She was a muse and a discoverer of talents. Like with the designer Ale-

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xander McQueen, launched by her, and the model Sophie Dahl. The exhibition showcases pieces from her eclectic collection, now owned by Daohne Guinness, thematically organized in sections. Rich and opulent garments from, of course, McQueen, Philip Treacy, Hussein Chalayan and Julien Mcdonald, tell us the story of a gifted but depressed modern icon. The quintessential portrait of a life lived through clothes. Don’t get too distracted by the past though, because the present, and most of all the future are waiting for you. The A/W 2014 collections showed on the runaways can be summarized in 4 major trends: Precious Metal, Flower Power, Romantic Lace and Good Sport. All easy to recreate in our daily routine with some help from the high street brands (Outnet.com is a must for your purchases). Demonstrations of this season’s hottest hair catwalk trends were also available from the Tony&Guy team experts. To see

a Sneak Peek of their tricks, head over our facebook page and enjoy the video. Metà febbraio alla Somerset House. Siamo tornati nel cuore pulsante della moda londinese, vetrina internazionale di ogni vera trend setter dove potete trovare Anna Wintour seduta di fianco a Bradley Cooper nel FROW (il front row, ovvero prima fila per noi mortali inaccessibile), Cara Delavigne che riceve più attenzioni della Regina in persona (nel caso Sua Maestà volesse bazzicare dalle parti di questo gruppo di viveur) e l’immancabile Kate Moss che accompagna la sorellina modella allo show di Top Shop Unique. Per entrare nel mood tipico da sfilata, il primo passo è visitare la mostra dedicata a Isabella Blow iconica figura che grazie al suo decadente passato e allo stile inconfondibile


FROM LONDON

ha lasciato un segno indelebile nella storia contemporanea della moda. Nata da una famiglia aristocratica, decide che la carriera nel mondo della moda le si addice di più, inizia come assistente personale di Anna Wintour durante il suo soggiorno in America e poi, tornata a Londra, prosegue la scalata collaborando con Michael Roberts all’epoca direttore per Tatler e Sunday Times Style. La si può definire una musa e una scopritrice di talenti, come nel caso dell’osannato stilista Alexander McQueen, diventato poi suo grande amico, e della modella Sophie Dahl. La mostra raccoglie capi provenienti dalla sua eclettica collezione privata, adesso di proprietà di Daphne Guinness, organizzati tematicamente in sezioni. Ricchi e opulenti vestiti di stelle del

design quali Mcqueen, senza dubbio, Philip Treacy, Hussein Chalayan e Julien Mcdonald tra i tanti. Abiti che raccontano la storia di una donna tormentata ma dotata di grande e ineguagliabile gusto, un’icona moderna in lotta con la depressione. Il ritratto per antonomasia di una vita vissuta attraverso i vestiti. Non fatevi distrarre troppo dal passato, tuttavia, perché il presente e soprattutto il futuro vi aspettano sulle passerelle. La collezione Autunno/inverno 2014 può essere riassunta in quattro stili principali: Metallo Prezioso, Flower Power, Romantico Pizzo e il Giusto (tocco) Sportivo. Tutti, a quanto sembra, molto facili da ricreare nella nostra routine quotidiana (se non ci credete fate un salto su

Outnet.com per i vostri acquisti). Inoltre, per concludere in bellezza, alcune dimostrazioni sulle acconciature da sfilata dagli esperti di Tony&Guy. Per un’anteprima dei loro trucchi guardate il video sulla nostra pagina Facebook, non ve ne pentirete!

Cristina Canfora

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ARTINTIME

SOTTO IL CIELO DI FRED Basta nominarlo per evocare magiche atmosfere in bianco e nero, locali night della Torino anni Cinquanta, fumosi e un po’ disastrati sullo stile americano, e quella irrefrenabile voglia di swing, che fa ancheggiare e tenere il tempo col piede sulle note di un graffiante “Eri piccola, piccola, piccola… Così!”. Lui è Fred Buscaglione, nome d’arte per il torinese Ferdinando Buscaglione, vera voce d’avanguardia della nuova musica jazz e swing italiana. Con quel baffetto e cappello ispirato a Clark Gable e a un clima tutto hard boiled che arrivava dagli Stati Uniti fino alla rispettabile città sabauda portando con sé scenari da film di gangster, bulli e pupe e un drink in mano, Fred Buscaglione, vuoi per l’innovazione anticonformista dei suoi divertenti brani, vuoi per la spettacolarizzazione della sua vita, che lo portò anche a diventare attore, vuoi infine per l’incidente mortale che lo vide tragicamente protagonista a soli 38 anni, è diventato la vera icona della nuova musica italiana del nascente boom del dopoguerra. Una stella tutta nostrana ispirata dal grande clima di fermento che arri-

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vava da oltre oceano e supportata da anni di dura gavetta nella sua Torino. Ed è proprio da qui, da quel luogo che, quartiere dopo quartiere, ne ha visto crescere la fatica, il talento e l’irrefrenabile entusiasmo, che la figura del mitico Fred Buscaglione riprende spessore e vitalità. “Sotto il cielo di Fred” è la rassegna che mescola spettacolo, musica, incontri e conferenze alla tradizione piemontese con la Notte Rossa Barbera per ricordare non solo il sound inconfondibile di Buscaglione, ma quel clima da “dolce vita torinese” che ruotava intorno alla sua figura negli anni Cinquanta. A Torino dal 15 al 22 febbraio, la manifestazione appena conclusa ha riservato la sua parte rilevante al Premio Buscaglione, concorso a cadenza biennale nato nel 2010 e presto affermatosi tra gli appuntamenti più notevoli nell’ambito della canzone d’autore in Italia. Ma chi sono i protagonisti di questa gara? Personaggi “alla Buscaglione”, cantautori che, come sapeva fare Fred, portano sul palco la contemporaneità, rappresentata in quel modo un po’ bizzarro, tra ironia, sarcasmo, spesso anche ma-

linconica consapevolezza dei tempi. Insomma, nomi emergenti di una scena musicale in attesa di affermarsi in tutta Italia grazie anche a questa manifestazione, che mette in palio non solo titoli e targhe, ma la somma di 3000 euro. Cifra, per quest’anno, conquistata dopo le esibizioni live e le semifinali che hanno visto sfidarsi dieci tra tutti gli iscritti, dagli Etruschi From Lakota, vincitori del Premio Buscaglione 2014. Agli Eugenio in via di gioia invece il premio per la critica, mentre il premio Tempesta Dischi per la pubblicazione del brano nella propria compilation è stato assegnato a Pagliaccio.

Alessandra Chiappori


EVENTS

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ARTINTIME DA TORINO A SANREMO

ASCOLTANDO NORAH JONES Torinese, classe 1993, grandi occhi azzurri e una voce limpida e dai toni soul destinata a farsi sentire e a far parlare di sé. Lei è Emma Fuggetta, in arte Bianca, tra le otto “giovani proposte” presentate quest’anno in gara alla 64° edizione del Festival di Sanremo. Un nome chiaro e semplice come la ragazza appena ventenne che, selezionata al concorso Area Sanremo (dal quale negli anni passati sono transitati artisti come Simona Molinari e Renzo Rubino) ha segnato con il Festival appena passato il suo vero e proprio esordio sulla scena musicale. Da sempre appassionata di musica, Bianca inizia a studiare canto jazz a 14 anni nella sua Torino, partecipa a diversi concorsi, risultando vincitrice, e approda nella città dei Fiori nell’autunno del 2013, dove viene selezionata tra le voci emergenti per Sanremo 2014, pronta per un nuovo anno carico di novità e aspettative. Sul palco dell’Ariston ha portato “Saprai”, scritta per lei da Alex Gaydou, un primo assaggio di quello che è il suo primo disco “L’altra metà”, uscito proprio nei giorni della kermesse canora. Scopriamo di più si questa giovane cantante grazie a qualche chiacchiera strappata ai moltissimi impegni dei giorni sanremesi. Ciao Bianca, innanzitutto complimenti e grazie per averci concesso un po’ di tempo per chiacchierare con noi in questi giorni affollati di impegni. Sei giovanissima, del 1993, come

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nasce la tua passione per la musica e come sei arrivata a Sanremo? La passione per la musica nasce con me. Poi ho iniziato a coltivarla a 14 anni: sono partita dal jazz, poi crescendo ho iniziato a capire quale fosse la mia direzione, la mia personalità artistica, ho continuato a lavorarci ed è un impegno che continua anche adesso. Ci racconti l’emozione di arrivare su quel palco, quello dell’Ariston? Beh, è successo tutto molto in fretta, questi ultimi due mesi sono passati rapidamente da quando ho scoperto che avrei calcato il palco dell’Ariston e… È stato meno spaventoso del previsto, ma molto molto più emozionante. Poi ho avuto a mia disposizione sia per le prove sia per la mia esibizione un’orchestra meravigliosa che secondo me è sempre stata l’anima del festival. A proposito della canzone che hai portato in gara, “Saprai”, ci racconti qualcosa? Che storia ha? “Saprai” nasce da un episodio che ormai è diventato famoso. Era il giorno della festa per gli ottant’anni di mia nonna e a un certo punto la parte un pochino più nera di me mi ha fatto chiudere in un bagno… Il famoso “bagno rosso pallido” che citi all’inizio della canzone! Esatto, è proprio lui! Ero un attimo spaesata, un po’ triste… Quando

sono tornata a casa ho scritto una mail al mio autore raccontando quello che era successo: “Saprai” nasce da lì. Hai citato prima la tua parte più nera. Il tuo nome d’arte non è casuale, vero? No, assolutamente: la scelta del nome Bianca ha la sua storia, è una sorta di augurio, di promessa che faccio a me stessa per poter tirare fuori da ora in poi la parte “bianca” di me, che negli ultimi anni non è stata molto presente. A proposito del tuo disco in uscita cosa ci racconti? Oh sì! “L’altra metà” è il mio album di esordio e contiene otto tracce, la prima è ovviamente “Saprai”, il singolo sanremese. Sono molto contenta: è stata una corsa contro il tempo, è stato registrato e scritto in un mese e nonostante gli ostacoli sono molto soddisfatta del lavoro che abbiamo fatto perché sono riuscita a giocare con tutte le mie sfumature e a creare, a mettere insieme, tante contaminazioni. Non vedo l’ora di poterlo fare ascoltare live! Hai in programma già delle date? In realtà non ancora, ci stiamo organizzando: ora sono concentrata molto su questa avventura sanremese che era bella tosta! Qual è stato il rapporto con gli altri artisti che hai incontrato a Sanremo?


INTERVISTANDO...

Fonte: web

Ho avuto il piacere di conoscere per la prima volta gli altri ragazzi della sezione giovani a Roma, a Saxa Rubra, abbiamo passato una giornata a fare foto e autografi insieme. Occasioni di chiacchierare tanto non ce ne sono state perché i ritmi erano piuttosto serrati, per tutti quanti, eravamo piuttosto concentrati. Però il clima è davvero di solidarietà, c’è rispetto per il lavoro di tutti e io in particolare sono molto onorata di aver fatto parte di questo cast di Sanremo Giovani, con giovani che hanno una gavetta molto più ampia della mia. Che musica ascolti nella tua quotidianità? A che artisti ti ispiri? È molto strano, ma non ascolto quello che canto. I miei artisti di riferimento sono molto lontani dal

mio mondo musicale. Sono innamorata di Antony and the Johnsons, li ho conosciuti proprio l’anno scorso a Sanremo, e hanno cambiato il mio modo di ascoltare la musica. Poi ci sono altri artisti che ascolto e da cui traggo ispirazione: Mina, che è stata una grande maestra per me per quanto riguarda l’affrontare i brani italiani, e poi mi piace molto Norah Jones, una giovane artista che secondo me ha saputo unire il jazz a sonorità pop in modo molto intelligente. Tu sei di Torino: come vivi questa città e cosa rappresenta per te? Torino è fondamentale. È una città splendida ed è stata chiaramente la cornice dei miei vent’anni, perché ci sono nata e cresciuta. Adoro mettere le cuffie e andare in giro per

i viali di Torino, o sotto i portici, ascoltando la musica. Credo che sia una delle città più belle d’Italia, sarò anche di parte, però… Qualche parola di incoraggiamento verso i tuoi coetanei che vorrebbero entrare nel mondo della musica? Per me è molto difficile, un po’ perché artisticamente parlando sono nata ieri, quindi a dare consigli non sono molto brava. Personalmente sono stata molto fortunata, ho lavorato bene, ho trovato persone che hanno lavorato altrettanto bene con me. Posso raccontare la mia esperienza: sono riuscita a trovare una squadra di cui fidarmi e ho cercato di essere sempre coerente, per il mio percorso artistico, con la mia personalità.

A lessandra Chiappori Angelica Magliocchetti

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ARTINTIME music@artintime.it

IMAGINE DRAGONS “Radioactive”, “Demons” e ora “On The Top Of The World”: un successo dietro l’altro per gli Imagine Dragons! La band, in arrivo direttamente dalla caleidoscopica ed effimera Las Vegas, nasce nel 2008, creando il proprio nome da un anagramma: Ragged Insomnia. Il frontman Dan Reynolds al fianco del bassista Ben McKee, del chitarrista Wayne “Wing” Sermon e del batterista/percussionista Daniel Platzman cominciano la loro carriera partecipando a varie sfide tra band emergenti e riuscendo, nel 2009, a produrre il primo EP in studio “Imagine Dragons”, seguito a ruota nei due anni successivi da “Hell and Silence” e “It’s Time”. Il vero esordio arriva però nel 2012 con l’uscita del loro primo album prodotto da Interscope Records: “Night Visions”. Un vero colpo da maestro, più di ottantamila copie vendute solo nella prima settimana e un piazzamento al secondo posto della BillBoard Statunitense che ha portato nel giro di una anno alla ripubblicazione dell’album stes-

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so, con l’aggiunta di tre bonus tracks. Un successo che arriva fino a noi, portato avanti da spot pubblicitari, videogiochi e fictions e diffusosi sempre più. È così che, se vi apprestate ad ascoltare un successo come “Radioactive”, potrete sorprendervi nello scoprire che lo conoscete già (non sarà di certo un caso che il brano sia stato premiato da Rolling Stones come migliore hit rock del 2013!). Lo stesso potrebbe accadervi per la traccia “It’s time”, contornata da un video che ha eguagliato il successo del brano stesso; diretto da Anthony Leonardi, è stato anche nominato per “Miglior Video Rock” agli MTV Music Awards. Ma il viaggio continua con “Demons”, una ballad intima e dai contenuti forti, che ha al suo fianco un video che scava, in occasione di un concerto live della band, nei sentimenti e nel dolore personale di alcuni fans. Per gli amanti del synth-pop, inoltre, c’è la simpatica “Underdog” e chi non disdegna sonorità più rock non resterà deluso dal sound di “Hear me”. Una girandola di successi, dun-

que, un lavoro che forse non tenterà grandi sbandate dal rock pop più collaudato, ma che pare davvero un ottimo punto di partenza per i cinque ragazzi del Nevada. Sulla scia dei dragoni, siete quindi pronti a lasciarvi incantare dalle atmosfere un po’ fumose di Las Vegas? Un ultimo consiglio: “Amsterdam” per chi è arrivato a un punto di svolta e la spaziale (vedere il video per credere), energica e assolutamente positiva “On The Top Of The World”. Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME popart@artintime.it

MR THOMS Diego dalla Posta nasce a Roma nel 1979, dove intraprende presto un percorso artistico ben delineato, caratterizzato da fantasia, ironia e istinto. Diplomatosi in Tecnica e Grafica pubblicitaria, l’artista approfondisce nel tempo la sua formazione seguendo corsi di fumetto, illustrazione e cartoni animati, e, negli anni, si cimenta come writer, pittore e scultore, per proseguire poi come graphic designer, scenografo, decoratore, storyboarder, fumettista, regista e illustratore. Esperienze diverse che rientrano però all’interno di un unico percorso artistico fortemente legato al mondo illustrativo. Una forma di espressione apparentemente “leggera” che Mr Thoms utilizza per veicolare

concetti e opinioni. Nonostante lo stile divertente e spensierato i suoi personaggi appaiono surreali e reali allo stesso tempo, buffi e malinconici. Sono i protagonisti di un mondo fantastico che spesso entra in contatto con l’amara realtà, svelando problemi e inquietudini. Una realtà con cui l’artista instaura un contatto anche attraverso gli spazi, che diventano spesso parte integrante dell’opera stessa: gli elementi degli edifici e delle strutture architettoniche danno profondità ai suoi lavori, che si plasmano completamente nello spazio. Ogni opera nasce infatti dalla superficie su cui Mr Thoms va ad applicare il colore; da quel primo elemento di base e dallo spazio che lo circonda ne derivano l’ispirazione e l’idea di ciò che sarà realizzato.

Anna Moschietto

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POP-ART

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ARTINTIME books@artintime.it

IL BEL ROMANZO AMERICANO Un formula classica che al contempo riesce a rivelarsi tutto fuorché scontata o banale, ecco il punto chiave che, stando alle opinioni della critica, caratterizza e rende vincente questa corposa e importante opera prima di Stuard Nadler, “La fortuna dei Wise”. Ci sembra, in effetti, che sia proprio così. Questo romanzo è esattamente quel che si definisce una buona e solida opera compiuta dentro alla quale ritrovare molteplici temi caratteristici della grande narrativa americana, pilastri di quelle che si sono affermate come le voci letterarie di un continente e che, tornando nell’inchiostro di un autore giovane, non possono che far pensare a una nuova linfa in grado di dare vita a una letteratura d’oltreoceano dai caratteri decisamente importanti. Al centro dell’intreccio c’è naturalmente l’amore, come da grande romanzo che si rispetti, ed è una passione che viaggia attraverso gli anni, il mezzo secolo che ospita l’intero svolgersi dei fatti in questa che è una sorta di saga familiare, l’affresco di tre generazioni. Un amore che nasce come storia adolescenziale, subito negato ma destinato a restare, ossessionante, nonostante il passare degli anni, nascosto eppure così evidente sotto gli occhi di tutti. Ma non è questa la cifra stilistica che più connota l’americanità del romanzo,

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nel quale il baseball, l’immigrazione ebrea negli Stati Uniti dei primi del Novecento e soprattutto la questione dei neri costruiscono l’intelaiatura all’interno della quale si muovono personaggi e si avvicendano fatti e misfatti. La storia, che inizia nel 1947 e si conclude ai giorni nostri, porta con sé anche il tema del razzismo, con echi che pescano nello schiavismo, nella rigida distinzione tra cose dei bianchi e affari dei neri, regimi di libertà e differenze imposti dall’alto, nel vivo dell’emancipata, globalizzata e aperta società americana. La connotazione è forte, e il suo incastrarsi con un altro tema portante della storia letteraria d’oltreoceano rende davvero ampio il respiro de “La fortuna dei Wise”, da leggere d’un fiato. L’altro tema è quanto di più tipicamente americano si possa immaginare, perché scava a fondo nello spirito di ambizione e potere. Causa della straordinaria e smisurata ascesa economica del protagonista è una tragedia aerea, l’improvvisa caduta di un volo per motivi tecnici che scatenerà una serie di vittorie in tribunale e rivincite sui danni delle assicurazioni senza precedenti. Una sorta di mercato della speculazione sulle disgrazie altrui che, spazzando via ogni etica e rigore morale, porterà alla famiglia Wise, protagonista della vicenda, un’autentica fortuna economica. Ma dietro al

successo brillante dei dollari, come in tutte le grandi storie che si rispettino, non restano solo agio, serenità e benessere. Tutt’altro: dietro alla fortuna dei Wise si annidano storie passate mai chiarite, episodi circoscritti a una casa affacciata sull’oceano, a fogli e incartamenti sottratti e apparentemente spariti, a un rapporto tra padre e figlio fatto di scontri e incontri lungo il cammino della vita, a una ragazza nera persa e ritrovata oltre al passare degli anni, alla lontananza dei luoghi. La prosa di Nadler, mai scontata, scorre e rapisce il lettore, coinvolto da una vicenda che, sviluppatasi nella prima parte nel corso degli anni Cinquanta, si interrompe nel momento di massimo pathos per poi attendere di ricevere nuovi contenuti nella seconda tappa, quella degli anni Settanta, e proseguire verso la conclusione che vedrà un ritorno nella casa sull’oceano della prima parte, ma con tutte le novità portate dagli anni Duemila. Niente di scontato nonostante i salti temporali, ogni “atto” è costruito impeccabilmente, compatto e coerentemente orientato verso un finale che non avrà nulla di scontato. Perché questo libro non è solo un potente specchio tematico del Nuovo Continente e della sua identità sociale, ma una riuscitissima prova di abilità narrativa. Pagine che si susseguono, intrecci, personaggi, pensieri e scontri generazio-


BOOKS nali per arrivare con il fiato sospeso a un finale sorprendente e insospettato. Una rivelazione, che farà saltare il lettore proprio nelle ultime pagine, stenderà sulla storia nuova, impensata luce. Come una chiave ricercata lungo tutto il corso della narrazione, aprirà porte e corridoi, rendendo d’un tratto la grande storia raccontata comprensibile sotto un punto di vista nuovo e non ancora preso in considerazione. Un’appassionante lettura per un riuscitissimo esordio narrativo, che non ha nulla da invidiare al talento dei grandi prosatori della storia letteraria americana.

A lessandra Chiappori

“L’appartamento rimase vuoto per il resto dell’estate. Di notte, quando non riuscivo a dormire, lo guardavo dalla finestra. Lem aveva vissuto lì per quasi cinque anni prima del nostro arrivo, e noi lo avevamo sbattuto in galera in un batter d’occhio. Questo, decisi, era il vero talento di mio padre, non l’abilità oratoria, o quella di trattare con la stampa, ma la capacità di umiliare chi non era d’accordo con lui, chi lo ostacolava. Lem aveva lasciato le finestre della cucina aperte, perché la foschia marina bagnasse le piantine. Per qualche motivo, questa cosa mi toglieva il respiro” Stuart Nadler, “La fortuna dei Wise”, Bollati Boringhieri, 2013.

Stuart Nadler Tra i migliori scrittori under 35 secondo la National Book Foundation, Stuard Nadler esordisce nella prosa lunga con questo romanzo, suo primo grande lavoro dopo la prima raccolta di racconti, edita in Italia nel 2011. “La fortuna dei Wise” ha riscontrato fin dalla sua uscita negli Stati Uniti, nel febbraio 2013, un notevole successo di critica, che si è confermato anche in Italia. Un talento promettente, di cui attendiamo con curiosità i futuri lavori.

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ARTINTIME movies@artintime.it

I RAGAZZI E GUILLAUME, A TAVOLA ! “Tutto sua madre” rappresenta l’esordio alla regia cinematografica del noto attore e regista teatrale francese Guillaume Gallienne, tratto dalla sua celebre commedia, “Les garçons et Guillaume, à table!”, che mette in scena nei principali teatri francesi da diversi anni. Il regista ripercorre la storia della sua vita attraverso un monologo teatrale, raccontandosi e soprattutto mettendo in luce il complesso rapporto con la madre. Il film comincia con un uomo di fronte a uno specchio, è in un camerino e si sta concentrando prima di entrare in scena, la telecamera ci mostra alcuni dettagli, diverse foto di donne, poi l’attore si passa due salviettine sul viso e va verso il palco: dopo i saluti e gli incoraggiamenti dello staff scenotecnico, ecco che entra in scena. Lo spettacolo si apre con un monologo: egli è solo, avvolto nel buio, parla con gli spettatori rompendo la quarta parete. Quello che al pubblico appare subito chiaro è che Guillaume è un ragazzo alla ricerca di se stesso, in particolare della sua identità sessuale. La madre è una presenza forte nella sua vita e lui la imita, si identifica con lei tanto che l’attore interpreta contemporaneamente lei e se stesso. Guillaume è affascinato da questa figura

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femminile che riempie anche i suoi spazi vitali, colma quei vuoti e lo rende incapace di esprimersi senza la sua approvazione. Trascorre i pomeriggi con la madre, in attività tipicamente da donna come ricevere la gente a casa, prendere il tè dalla nonna, presenziare a lunghe sedute dal parrucchiere. La imita e dichiara anche di saperla interpretare molto bene, tanto da riuscire a confondere persino la nonna. Guillaume assume così movenze e modi di parlare tipici delle ragazze, tanto che tutta la sua famiglia si convince della sua omosessualità, lui stesso crede di essere innamorato degli uomini, e decide di mettere in pratica questa teoria, questa etichetta, arrivando a pronunciare una battuta molto simbolica: “Se proprio devo diventare omosessuale…”, una frase che potrebbe suonare offensiva, ma che è perfettamente specchio del contesto in cui è cresciuto e nel quale non riesce a trovare una collocazione. Il padre e i due fratelli si contrappongono nettamente a Guillaume: praticano sport, sono molto virili, mentre il protagonista è negato per qualsiasi disciplina e quando si trova in camera da solo gioca come se fosse una bimba, immagina di interpretare la granduchessa Sofia e allo stesso tempo la principessa Sissi. Sono vani i

tentativi del padre e della famiglia di farlo crescere in un collegio inglese, abbandonata la scuola maschile francese, Guillaume si ritrova immerso in un contesto affascinante, un collegio misto nel quale potrà conoscere finalmente delle ragazze. La famiglia borghese non riesce ad accettare questo ragazzo che manifesta in modo così esplicito la sua femminilità, nell’ottica dei parenti è necessario impegnarsi per riportarlo sulla retta via. Se il padre però cerca di iniziarlo alla vita da uomini, non si può dire lo stesso della madre. Lei sembra non fare nulla per evitare che il figlio prenda le sue sembianze, è la madre a comunicargli lo spostamento nel collegio inglese, ma è sempre la madre a definirlo come altro, rispetto ai fratelli, con la sua frase: “I ragazzi e Guillaume, a tavola”, espressione simbolo del film, ma anche di un certo modo di pensare e di rapportarsi a questo figlio. La madre di Guillaume è una donna troppo concentrata su se stessa che, cosa molto curiosa, di fatto non è nemmeno così tanto femminile agli occhi dello spettatore, non solo perché a interpretarla è un uomo, ma perché il suo ruolo è più simile a quello di un despota con la gonna, che riesce a tenere testa a tutta la famiglia, alla servitù e agli ospiti, ha un fare poco educato che


MOVIES

spesso scade nella cafonaggine. Eppure Guillaume ne tira quel lato femminile che obiettivamente noi fatichiamo a vedere, se non fosse per il capello lungo e per l’abbigliamento, il trucco e gli accessori. Una delle scene simboliche del film, che forse rimane più impressa, è l’arrivo di Guillaume al ristorante, momento nel quale viene manifestata a pieno la sua spiccata femminilità: il ragazzo entra in scena con una sciarpa appoggiata sulla spalla sinistra, come se fosse una donna, con un portamento di grande classe, raggiunge il tavolo dove sono già seduti i fratelli e i genitori e il padre, nel vederlo, esclama: “Ti vesti da aborigeno adesso?”, chiaro esempio di disgusto nei confronti di un figlio che non riesce a capire e soprattutto a calcolare nel suo nucleo famigliare.“Tutto sua madre” è una

commedia degli equivoci irriverente, ma che allo stesso tempo permette allo spettatore di riflettere su una tematica forte. L’interprete e regista, il brillante Guillaume Gallienne, dimostra di essere un one man show, a teatro infatti è lui a recitare tutte le parti, mentre nel film si riserva, come dicevamo, solo il ruolo principale e quello della madre. Il viaggio di Guillaume è un labirinto: quello che vediamo all’inizio, che gli permette di raggiungere il palco, un percorso complesso che spesso viene sviato a causa delle voci e dei pensieri degli altri. Proprio quando Guillaume riesce ad essere se stesso, ecco che prende coscienza della sua vera identità e conosce l’amore. Tutto sua madre è stato molto criticato a causa del suo finale che evidentemente ha un’apertura non è per-

fettamente in linea con la storia di Guillaume, un finale che potrebbe risultare omofobo, ma che reca in sé tutta la leggerezza di una commedia francese che non vuole parlare soltanto di omosessualità, ma anche di eterosessualità.

Francesca Cerutti

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ARTINTIME events@artintime.it

BERGAMO FILM MEETING

BYBLOS

YOUNG ABOUT

Trentaduesima edizione per il “Bergamo Film Meeting”, il principale festival cinematografico internazionale della città di Bergamo, che dall’8 al 16 marzo presenterà al pubblico un ricco calendario di proiezioni, retrospettive e omaggi, workshop ed eventi speciali, in cui sarà dato spazio al cinema in tutte le sue molteplici declinazioni. Un appuntamento da non perdere in cui non mancheranno importanti autori e volti della cinematografia internazionale. Per maggiori informazioni sul programma del festival www.bergamofilmmeeting.it.

Presso il Parco Esposizioni Novegro di Milano, dal 14 al 16 marzo, si terrà l’edizione 2014 di “Byblos”, la mostra mercato del libro antico e del novecento, della stampa d’epoca e della cartofilia. L’evento, aperto a intenditori, collezionisti e amanti dei libri e dell’antico, proporrà uno spazio espositivo dedicato al libro antico e al libro usato, presentando stampe, mappe, cartoline e soggetti artistici, e darà l’opportunità di incontrare noti personaggi della cultura e dell’informazione. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito www.parcoesposizioninovegro.it.

Dal 17 al 23 marzo a Bologna si terrà l’ottava edizione di “Young About”, festival cinematografico internazionale dedicato al cortometraggio di fiction e d’animazione per ragazzi. L’evento presenterà un’ampia selezione di opere inedite in Italia sviluppate da giovani registi sui quattro temi proposti, e darà spazio a sperimentazioni, contaminazioni e novità. Oltre alle proiezioni non mancheranno seminari e dibattiti. Per maggiori informazioni sul programma della rassegna vi invitiamo a consultare il sito www.youngabout.com.

ROMA INDEPENDENT FILM FESTIVAL

CA’ FOSCARI SHORT FILM FESTIVAL

TRANSMISSIONS

Tredicesimo appuntamento con la rassegna cinematografica internazionale dedicata alla cinematografia breve e al lungometraggio della città di Roma, il “Rome Independent Film Festival”. L’evento, che si svolgerà dal 16 al 23 marzo presso il Nuovo Cinema Aquila e il Kino, presenterà le pellicole finaliste selezionate per le otto sezioni competitive e darà spazio a retrospettive, seminari e proiezioni, in cui interverranno volti noti della cinematografia. Per consultare il programma completo della kermesse visitate www.riff.it.

Presso l’Auditorium Santa Margherita dal 19 al 22 marzo si svolgerà la quarta edizione del “Ca’ Foscari Film Festival”, la rassegna cinematografica internazionale dedicata al cortometraggio organizzata dall’Università di Venezia. Quattro giorni in cui sarà dato spazio a opere provenienti dalle scuole di cinema di tutto il mondo, ma anche a retrospettive, omaggi e workshop in cui confrontarsi con docenti e professionisti del cinema e della cultura. Per avere maggiori informazioni sul programma del festival, visitate cafoscarishort.unive.it.

Settima edizione per l’evento musicale “Transmissions Festival”, che dal 20 al 23 marzo a Ravenna presenterà alcuni artisti e musicisti italiani e internazionali appartenenti ai generi più svariati, dall’elettronica al folk, dal rock al punk. Tra i protagonisti dell’evento il duo tedesco dei Mouse On Mars, la band americana Deerhoof, Fire!, il duo dei A Hawk And A Hacksaw, Nedyalko Nedyalkov e molti altri ancora. Maggiori informazioni sul calendario della rassegna su www.bronsonproduzioni.com o sulla pagina Facebook dell’evento.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

CORTINAMETRAGGIO

BE WIZARD!

CINECHILDREN

Dal 20 al 23 marzo torna l’appuntamento con “Cortinametraggio”, la rassegna cinematografica dedicata al cinema breve di Cortina d’Ampezzo. Il festival vedrà protagonisti professionisti del genere e importanti ospiti, e includerà, oltre alle consuete sezioni competitive (“CortiComedy” e “Booktrailers”), anche “Webseries” e “Instagram”, due concorsi dedicati alla nuove tecnologie. Una quinta edizione ricca di novità, di cui ricordiamo anche la sezione speciale dedicata all’Olanda. Per maggiori informazioni sul programma: www.cortinametraggio.it.

Presso il Palacongressi di Rimini il 21 e 22 marzo si svolgerà “BE-Wizard!”, uno dei maggiori eventi internazionali dedicati al web marketing. Due giorni di interventi e workshop in cui si approfondiranno i temi più attuali e salienti del settore con l’intervento di esperti e professionisti italiani e internazionali. Tra gli argomenti che verranno trattati: turismo 2.0, digital marketing, business online, le nuove città smart e sostenibili. Per maggiori informazioni sul programma e sugli ospiti che interverranno al meeting, visitate www.be-wizard.com.

Dal 21 al 30 marzo a Schivenoglia, in provincia di Mantova, si svolgerà la seconda edizione del “Cinechildren International Film Festival”, rassegna cinematografica dedicata al mondo dei giovani, in cui il pubblico potrà apprezzare quarantacinque opere cinematografiche provenienti da tutto il mondo sviluppate sul tema “I giovani e l’alimentazione”. Oltre alle proiezioni non mancheranno, inoltre, momenti di incontro con registi e professionisti del settore, convegni e spettacoli. Informazioni più dettagliate sul programma: www.cinechildren.it.

BOLOGNA CHILDREN’S BOOK FAIR

B.A. FILM FESTIVAL

FESTIVAL DEL CINEMA INDIPENDENTE DI FOGGIA

Si rinnova anche quest’anno l’appuntamento con “Bologna Children’s Book Fair”, che dal 24 al 27 marzo accoglierà editori, autori, illustratori, editor, traduttori, bibliotecari e librai, in un ricco confronto culturale sull’editoria per ragazzi. Ormai punto di riferimento per gli operatori del settore, la fiera presenterà, infatti, le principali novità e tendenze dell’editoria dedicata ai giovani lettori attraverso esposizioni, mostre, presentazioni ed incontri. Informazioni sul calendario dell’evento sono consultabili sul sito www.bolognachildrensbookfair.com.

Dal 29 marzo al 5 aprile si svolgerà la dodicesima edizione del “B.A. Film Festival”, la rassegna cinematografica nazionale di Busto Arsizio. L’evento, che si propone di promuovere le produzioni italiane di qualità, presenterà al pubblico proiezioni, incontri con grandi personalità del cinema, laboratori e seminari dedicati agli studenti, oltre che anteprime, omaggi e retrospettive dedicate ai maestri del cinema, mostre ed eventi speciali. Ulteriori informazioni sul programma del festival e sugli ospiti che interverranno all’evento, sul sito www.baff.it.

Tredicesima edizione per il “Festival del Cinema Indipendente di Foggia”, che dal 29 marzo al 5 aprile presenterà al pubblico le opere selezionate per le quattro sezioni: “Lungometraggi”, “Cortometraggi”, “Cortissimi”, “Il Cinema della Puglia”. Una settimana di proiezioni, incontri e convegni che promuoveranno la crescita della cultura cinematografica nel Mezzogiorno e che faranno conoscere anche ai più giovani le nuove tecnologie di produzione. Per maggiori informazioni sugli appuntamenti in programma, visitate festivalfoggia.wordpress.com.

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ARTINTIME chuck@artintime.it

CONTATTI Grafica & Art Direction: grafica@artintime.it Ufficio Stampa: press@artintime.it | Marketing: marketing@artintime.it Social Media Management: media@artintime.it Editing: editing@artintime.it

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