Artintime N. 11 - Novembre

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ART

IN TIME n.11 - Novembre 2014

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO | LETTERATURA | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS



ARTINTIME L’EDITORIALE Eccolo qui il numero di novembre 2014 di Artintime. Pronti ad addentrarci in questo autunno che diventerà presto inverno con tante iniziative in cantiere e tanti nuovi e appassionanti argomenti di cui parlarvi sulle nostre pagine e da condividere sul nostro sito www.artintime.it. Pronti con la nostra mascotte Chuck! che guarda con un sorriso al Torino Film Festival numero 32 in partenza in questo mese, e con una copertina divertentissima che arriva niente meno che dal Regno Unito, e ancora con qualche progetto di immagine in cantiere che presto potrete conoscere seguendoci. Ma soprattutto, un occhio ai folder della nostra redazione e un occhio alle agende e calendari passati, siamo pronti con questo che è il nostro trentesimo numero sfogliabile! Un traguardo che non significa solo una mole considerevole di materiale nel nostro archivio e nei vostri occhi di lettori affezionati. Significa anche il lavoro di trenta numeri alle spalle, con trenta copertine, trenta sommari ricchissimi, quasi sessanta tra libri, gruppi o cantanti, film e cortometraggi che ci hanno colpito in questi anni e che abbiamo voluto condividere con voi, raccontandoveli secondo i nostri punti di vista e cercando di offrirvi delle recensioni veritiere. E ancora decine e decine di argomenti trattati nelle rubriche da Londra, che vi offre ogni mese la possibilità di mettervi alla prova con il vostro inglese presentandosi nella sua versione bilingue, analisi e personaggi dal mondo del teatro, da quello della grande arte rivista in ottica contemporanea ed eventi di tutti i tipi e dedicati a tutti gli ambiti artistici. Insomma, un lavorone, e tante prospettive differenti sul mondo. Di strada ne abbiamo percorsa, a ogni nuovo numero, che porta con sé lavoro e scoperte, ce ne rendiamo conto orgogliosamente, ma siamo anche pignole e severe, e pretendiamo tanto da un progetto nato dalla nostra fantasia e che sulle idee, ma anche sugli spigoli della realtà, sta ora lentamente cercando di districarsi e prendere una forma. E sì che arrivati a 30 dovremmo forse essere cresciuti sufficientemente da darci un ritmo regolare e da avere i pensieri chiari, ma l’imprevisto, la novità, la velocità sono dietro all’angolo, pronti a intervenire portando il loro doveroso carico di cose belle e brutte, in ugual maniera. Di cose semplici, ma anche complicate che ogni tanto fanno vacillare questa pila formata da 30 numeri uno sopra l’altro – uno dietro l’altro – a formare la scaletta dalla quale, ora, dopo due anni di lavoro, guardiamo la realtà. Ma noi, lo sapete, non ci arrendiamo così facilmente, e per tentativi studiati, a volte giusti altre no, piano piano alziamo di qualche gradino il nostro podio, che questo mese festeggia con voi soffiando su trenta candeline: mica poco! A festeggiare insieme alla redazione e a voi fedeli lettori e nuovi curiosi, c’è una copertina che, come abbiamo già accennato, arriva da oltre Manica ed è firmata da un giovane illustratore, grafico e designer venticinquenne, Scott Neilson. Scott realizza dei design per le t-shirt, prendendo spunto dal mondo del cinema e dei videogames. Cerca sempre di dare un tono umoristico alle sue creazioni grafiche, in modo da dare a chi le vede la possibilità di riderci su. E inoltre prova sempre a mettere dei riferimenti legati alle immagini stesse, come nel caso dell’illustrazione con Pacman. Toru Iwatani, l’ideatore di Pacman, si è ispirato a una pizza mangiata per realizzare il suo personaggio, e su quello Scott ha pensato di giocare realizzando dei fantasmi, che normalmente perseguitano Pacman, mentre mangiano la pizza in un momento di relax. Vi piace il risultato? A noi tantissimo! Alessandra Chiappori

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chuck@artintime.it

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ARTINTIME SOMMARIO 6 . MARKE’TA IRGLOVA’ by Angelica Magliocchetti

8 . L3.0 - RILETTURE PIXARIANE by Francesca Cerutti

10 . AGOSTINO IACURCI by Anna Moschietto

12 . NON LA SOLITA STORIA DI MATURAZIONE by Alessandra Chiappori

14 . QUATTRO CHIACCHIERE CON OPIEMME byAlessandra Chiappori

18 . LA GAM SI FA POP! by Roberta Colasanto

20 . KEEP CALM AND.. MACAPA’ by Barbara Mastria

22 . VEGWORLD DISCOVERD FROM THE VEGFEST byCristina Canfora

26 . SCARDA by Angelica Magliocchetti

28 . STORIA IMPOSSIBILE MA DIVERTENTE DI UN FACHIRO

by Alessandra Chiappori

30 . SNOOZE TIME - COME SI MISURA UN ISTANTE? by Francesca Cerutti

32 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

MARKE’TA IRGLOVA’ Markéta Irglová, classe ‘88, si avvicina alla musica già all’età di 7 anni, ma è solo dopo l’incontro con Glen Hansard, della band dei The Frames, che prende il via la sua carriera artistica e con essa una tourneé lunga due anni. Il duo, con il nome di The Swell Season, perfeziona il suo sound, adagiandosi su uno stile folk, prettamente acustico e caratterizzato da una notevole ricercatezza nella melodia vocale. Nel 2006 esce il primo album, omonimo, dei The Swell Season e nel 2009 il secondo lavoro “Strict Joy”, colonna sonora del film “Once”, che varrà ai due giovani artisti il Critics Choice Award come miglior canzone originale con il brano “Falling Slowly”. Sempre lo stesso brano porterà Markéta Irglová a vincere un Premio Oscar come miglior canzone, facendola diventare la prima artista della Repubblica Ceca a vincere un Oscar e la più giovane compositrice a vincere in una categoria musicale. È da questo punto in poi che le strade di Glen Hansard e Markéta Irglová si dividono, prendendo entrambi la strada

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solista. Una svolta che permetterà alla giovane artista di immergersi completamente nella realizzazione di “Anar”, il suo LP di debutto, uscito nel 2011. Il tema delle relazioni amorose compare ancora, come un filo conduttore che la compositrice si porta dietro dagli anni passati; il sound, però, quello cambia. Sarà forse grazie a una nuova maturità artistica, o forse per merito delle influenze del melting pot culturale di quella new york dove la giovane cantante si è rifugiata, o ancora magari grazie al sodalizio artistico con la percussionista iraniana Aida Shahghasemi. Il risultato è comunque un mix di esotismo (“Dokhtar Goochani”), planate pianistiche e un po’ del melò, eredità degli ultimi anni degli The Swell Season (“Crossroads”). È solo nel settembre del 2014 che, finalmente, vede la luce il secondo lavoro solista dell’artista: “Muna”. E tutto cambia. Differente è la location dov’è stato registrato l’album, ora nella fredda e riflessiva Islanda, differente è l’impatto, ora meno immediato, più

ostico, ma che ricompensa l’ascoltatore e diverso, infine, il tema. Un viaggio spirituale, questo è “Muna”, un percorso che svela pian piano le sue meraviglie, lasciando incantati e abbagliati. È così che si parte dalla semplicità, quasi canonica di “Point of creation”, per poi restare intrappolati nella sotterranea “The leading bird”, e ancora recuperando la pace con l’essenziale, quasi nipponica “Phoenix” e poi scoprire, con stupore, la potente, orientaleggiante “Fortune Teller”, dai tratti sinuosi e profondamente mediorientali. Uno sperimentalismo che tocca picchi notevoli quello dell’artista ceca, pur restando, sempre, incredibilmente lieve. Un tratto sonoro, quello di Markéta Irglová, che non mancherà di stupirvi, portandovi traccia di fredde terre lontane e di suoni d’oriente. Più che descriverlo, c’è da provarlo: so, enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

L3.0 - RILETTURE PIXARIANE “Wall-e”, ecco la prima associazione che facciamo di fronte “L3.0”, il breve ma intenso cortometraggio realizzato da un gruppo di studenti, nello specifico: Alexis Decelle, Cyruk Declercq, Vincent Defour e Pierre Jury. Ambientato a Parigi in un futuro post apocalittico, “L3.0” racconta la storia di un piccolo robottino con espressività quasi umana, che si ritrova solo in una splendida villa parigina. Non ci sono umani nel suo mondo, è rimasto in compagnia dei soli oggetti inanimati della casa, l’unico amico è un pupazzo a forma di orsetto. È la solitudine provata dal piccolo robot a spingerlo a fabbricarsi da solo quegli oggetti animati, le forme di vita che potrebbero condividere con lui le giornate. Come un moderno demiurgo crea animali e persone, ma non riesce a donare loro la vita, essi popolano inanimati la sua casa rendendola così un deposito di cadaveri, gli origami realizzati dal piccolo robot sembrano un ammasso di manichini. Punto saliente dell’intera narrazione è l’incontro con una farfalla, unico essere animato che entra in contatto con lui, il piccolo robot cerca di inscatolarla per tenerla

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con sé, ma non riesce. La farfalla muore e al suo posto a rimpiazzarla ecco uno di quei suoi origami che ripropone la sua forma, le sue fattezze, ma come dicevo prima non la sua linfa vitale. Impossibile non vedere in “L3.0” una forte impronta Pixar, non solo per le estreme somiglianze tra “Wall-e” e il protagonista di questo corto, ma anche per l’uso della carta. In una scena vediamo infatti il piccolo robot intento a scrivere messaggi su alcuni fogli: sta cercando qualcuno disposto a giocare con lui. Raggiunge quindi il punto più alto di Parigi e da qui inizia a lanciare una serie di aeroplanini realizzati proprio con quei fogli di carta. Ecco che l’occhio dello spettatore attento non può non tornare a un altro recentissimo e, lasciatemelo dire, estremamente romantico cortometraggio della Pixar: “Paperman”. Singolare questa scelta, l’estrema modernità rappresentata dal piccolo robot e dall’ambientazione post apocalittica stride fortemente con questi pezzi di carta, siano essi aeroplanini o origami, è l’antico che viene in aiuto del nuovo, è il calore della carta che diviene mezzo per comunicare, ma allo stesso tempo

per ricrearsi degli amici. Proprio la comunicazione è un deficit del personaggio, il robot, come suo cugino Wall-e non parla, si esprime con dei versi/suoni, l’espressività del suo volto è resa attraverso gli occhi e le sopracciglia che accentuano i suoi sguardi, in questo modo lo spettatore è subito in grado di comprendere i suoi stati d’animo. L3.0 non è sicuramente un’idea originale, eppure la capacità di questo gruppo di studenti sta proprio nel ricreare la ricetta magica utilizzando ingredienti già visti, semplicemente riproposti in un ordine differente e conditi con gli aromi giusti per realizzare così un cortometraggio interessante dal punto di vista stilistico e narrativo, estremamente semplice, certo, ma che rimarrà a lungo impresso nei vostri cuori. E se L3.0 fosse volutamente una rilettura dell’operato della Pixar? Perché no!

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME

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STREET-ART popart@artintime.it

AGOSTINO IACURCI Nato a Foggia nel 1986, Agostino Iacurci è uno degli artisti italiani più apprezzati nel panorama della Street Art. Il suo stile è caratterizzato da forme sintetiche e tonalità accese che raccontano personaggi e mondi surreali. Un linguaggio vivace ed essenziale che l’artista riporta sulle pareti di palazzi e cortili, integrando perfettamente i sui soggetti con l’ambiente circostante. Dal 2008 realizza interventi per il “Living Walls” di Atlanta, il “Bien Urbain Festival” di Besançon (Francia), l’“Outdoor Urban Art Festival” di Roma, ma anche la “Saba School” in Algeria, il cortile del carcere di Rebibbia a Roma, progetto che

porta avanti in collaborazione con i detenuti, la 55° “Biennale” di Venezia, il “Fubon Art Center”di Taipei, “Le M.U.R” di Oberkampf e la “Tour 13” a Parigi. Lavori che attraverso atmosfere ludiche e oniriche ironizzano problemi, questioni e contraddizioni dell’esistenza umana, in una continua tensione tra opposti, che ritroviamo anche nei disegni e nelle incisioni, esposti in numerose mostre in Europa, Giappone, Korea, Russia e Stati Uniti. Qui rintracciamo una maggiore propensione all’espressività, che non abbandona i tratti caratteristici dell’arte di Agostino Iacurci: fantasia, umorismo, colore e bidimensionalità delle forme.

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ARTINTIME books@artintime.it

NON LA SOLITA STORIA DI MATURAZIONE Classico romanzo di formazione dove un ragazzo parte alla ricerca di suo padre e per ritrovarlo dovrà allontanarsi dal luogo di partenza a cui farà ritorno rivestito di una nuova consapevolezza. Questo è il riassunto di “Daddy Cool”, l’esordio letterario di Filippo Losito. Realistico e credibile? Sì e no. Sì perché è vero che si tratta di una storia di crescita e maturazione, che porta il protagonista a inseguire una ricerca lontano da casa, da Torino alla Costa Azzurra. Ma anche no, perché il nostro protagonista, Colì, coltiva già in sé della maturità, a cui deve solo dare un po’ di forza. No perché questo romanzo è anche altro: tutt’intorno a questa storia di ricerca, a tratti rocambolesca, ruotano diversi altri personaggi, qualcuno solo comparsa, qualcuno più approfondito, a creare un cast molto caratteristico. Primo tra tutti gli altri personaggi è il padre di Colì, malato di Alzheimer, che, suo malgrado, un giorno durante le vacanze si perde. La malattia gli impedisce ovviamente di avere cognizione della sua condizione, dunque viene sì allertata la gendarmerie, ma anche i parenti, colorato mondo sorpreso tra l’ingenuità, la scaltrezza, la mera bramosità dell’eredità e misteriosi tarocchi rivelatori. L’unico in grado di seguire razionalmente – o per lo meno a tratti – la ricerca del padre, sembra essere proprio Colì, costretto a

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tenere a bada l’irriverente zio, detto Ancelo, che tra una virilità perennemente in mostra e un atteggiamento di rivalsa sociale rivela grossi vuoti di maturità e altrettante riserve di spassoso show. Elemento caratterizzante della narrazione è di certo l’ironia, filtrata attraverso il lavoro – o presunto tale – di Colì, che nella vita vorrebbe fare il cabarettista ma, pare, non faccia ridere molta gente a causa di un’insicurezza di fondo che, forse, potremmo ipotizzare abbia a che fare con la malattia del padre e le incertezze sul futuro familiare, lavorativo e affettivo. Il percorso di maturazione del personaggio correrà di pari passo con l’accettazione della malattia del padre e con un dipanarsi dei sensi di colpa verso il genitore. Genitore di cui, grazie alla sbobinatura di file audio registrati a ‘mo di tracce mnemoniche per il figlio, scopriamo la vicenda di bambino e poi ragazzo fuggito da un sud ostico per raggiungere una Torino dove trovare un sicuro lavoro. E la sicurezza sarà anche un po’ la cometa di Colì durante questa breve ma intensa ricerca del padre intrecciata a scorribande tra le luci della Costa Azzurra. I toni della vicenda, che non mettono mai da parte la consueta ironia, sono molto cinematografici: nel dialogato, ricco di battute da show cabarettistico, ma anche nel ritmo, molto movimentato, rapido, mai troppo descrittivo,

e nella definizione dei personaggi, ognuno connotato da qualche aspetto caricaturale. La parlata, in questo senso, ha un ruolo fondamentale, evidenziando l’origine e portando così con sé anche tratti forti del carattere e della possibile storia di alcuni personaggi. Il francese inventato e shackerato senza troppe remore con invenzioni di fantasia e meridionalismi è tra le invenzioni più simpatiche della storia. Storia che, a ben guardare, nel suo pur semplice percorso di ricerca e maturazione, rivela un impianto solido, e lo fa attraverso un uso significativo dei tempi verbali, laddove il passato si fa tempo conduttore della storia, della narrazione tout court, mentre il presente è la voce del flusso di coscienza che interviene a tratti, sulla suggestione dei momenti e delle vicende, a recuperare episodi passati tra Colì e il padre, a riflettere sull’oggi, tra appassionati, affannosi, spaventati ma anche ironici pensieri del protagonista. “Daddy cool”, il titolo già lo suggerisce, ha davvero poco della storia moralistica che, trattando di Alzheimer e famiglia, potrebbe far pensare di essere. È una storia che mantiene leggerezza, ironia, ritmo, caratterizzazione dei personaggi, senza mai risultare scontata o, ancora peggio, noiosa.

A lessandra Chiappori


BOOKS Dunque Alex ha appena segnato un goal strepitoso e portato l’Italia in finale. Batto le mani sul clacson, ma non penso forza Italia, grande Alex. Penso che in questo momento dovrei essere in salotto ad abbracciare mio padre, perché dopo dieci anni Alex ce l’ha fatta, ha segnato in una semifinale dei mondiali. Invece io sono in macchina per colpa di una stronza che fino a cinque ore prima era in un villaggio turistico. E per giunta dovrò anche pagarle l’aereo. Dopo la discussione della tesi parto anch’io per la Sardegna. E non vedrò mai la finale con mio padre.

Filippo Losito, Daddy Cool, Compagine, 2014

FILIPPO LOSITO Il percorso di formazione di Filippo Losito, torinese, classe 1981, lo porta dalla facoltà di Lettere fino al Dams e lo fa approdare al corso di scrittura e storytelling della scuola Holden, dove tuttora insegna. Prima di “Daddy cool”, esordio nel mondo del romanzo pubblicato dal giovane editore torinese Compagine, Losito ha pubblicato racconti su antologie e riviste. La sua biografia ci ricorda molto quella del protagonista del suo primo romanzo, perché da sempre Losito scrive e interpreta testi comici per il live e per la televisione ed è tra i fondatori di Comedy Studio.

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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON OPIEMME: tra arte, emozioni, sogni, poesia e bellezza Questo mese Artintime ha avuto la fortuna di poter fare quattro chiacchiere telematiche con Opiemme, artista contemporaneo noto a Torino e non solo, alla scoperta della sua arte tra poesia, viaggi, street art e suggestioni. Opiemme, uno pseudonimo dietro al quale si cela…? Nessuno. L’anonimato è diventato parte della mia poetica. Una riflessione su “essere e apparire” nell’oggi dei selfie e dei tronisti. Vorrei che il mio lavoro si spogliasse di una figura. Si potrebbe pensare sia un modo per farsi pubblicità, ma non ne ho tratto molti vantaggi. Il mondo dell’arte è legato più ai personaggi che alle opere? Qual è il percorso che ti ha portato alla street art? Scrivevo poesie. Ero giovane ed entusiasta. Scoprivo un ambiente letterario aulico, e “arroccato”. Volevo portare poesia incontro alle persone, per farla scoprire, o riscoprire. La strada era il mezzo e il luogo per le mie azioni poetiche. Ero affascinato dall’arte pubblica. Non avevo occasioni così le ho prese, con poster, poesie adesive, e rotolini di poesia. Lasciando messaggi per le vie. La street art è stata una rivoluzione per il rapporto arte/pubblico. Senza vincoli alcuni. Libera e indipendente. Senza veti, patrocini, permessi. Kurt Cobain diceva che il punk è libertà musicale. La street art è libertà artistica. Per me è il modo di

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liberare poesia, un medium. Il mio lavoro non è solo street art. Come hai iniziato a fare poesia di strada (streetpoetry)? Ingenuamente. Poco prima del 2000. Fu la nascita di un intento: svecchiare il medium della poesia, portarla in strada, a cercare occhi. Renderla una sorpresa e non una cosa noiosa. Presentarla come non ci si aspettava di vederla. All’inizio utilizzai testi miei, poi quelli di altri autori, così da abbassare l’autoreferenzialità e far sì che il mio lavoro non assomigliasse a un’operazione di viral marketing sul mio scrivere. Attorno al 2010 ho iniziato con gli stencil, avvicinandomi al muralismo, a portare immagini fatte di parole su pareti. La critica ti definisce il poeta della street art ma poco fa hai specificato che il tuo lavoro non è solo street art. In cosa ti è stretta questa definizione? Non sono ancora un poeta. Vorrei. Un amico del gruppo H5N1, fra i primi attori della poesia di strada italiana, mi ha ricordato le parole di Moravia. “Di poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono solo 3 o 4 in un secolo”. Il mio percorso artistico è più ampio della street, e della poesia di strada. La definizione non è stretta a me, è stretta per il lavoro. Il “poeta della street art” è un termine che il pubblico può inquadrare facilmente. Sempre meglio di “Guerriero della strada”,

affibiatomi nel 2010 da InsideArt. Che imbarazzo, per quanto voglia bene a Mad Max. Esiste una grande confusione fra giornalisti e addetti ai lavori su cosa sia la street art. I cosiddetti festival di street art, sono festival di muralismo, posterart, stencil e graffiti writing. Il termine è usato impropriamente e si perde la radice del movimento: libertà, opposizione, “l’arte della ribellione”, venne definita nel titolo di un libro [N.d.R. “The Art of Rebellion”]. Pochi compromessi. Questa imprecisione porta a un processo linguistico di normalizzazione. Qualsiasi cosa per strada è street art. E perché non arte pubblica? Per i budget? Per gli attori? Per le committenze? La street art è arte pubblica senza permessi, budget, patrocini e committenti? Un po’ mi piace pensarla così. Libera. Anni fa la Nike fece una campagna viral, con stencil per le strade. Pensate che quella fosse street art solo perché illegale? Hanno preso il medium, non lo spirito. E le cose senza spirito perdono speranza. Come collocheresti i tuoi lavori rispetto alla poesia visiva di matrice avanguardistica? Poesia visiva, letterismo, futurismo, poesia concreta, gruppo 63, sono tutti precedenti. Così come i calligrammi e l’arte tipografica. Anni fa il curatore Claudio Cravero mi rimproverò, a ragione, dicendomi che il mio lavoro non poteva ascriversi in un movimento che aveva avuto il suo essere in un determinato mo-


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“This is not a bag”, Imperia, 2011

mento storico culturale, e che era terminato. Si potrebbe parlare di nuova poesia visiva italiana? Non lo so. Ammetto che ho iniziato con l’ignoranza più totale, e che mi hanno spinto a creare forme fatte di lettere, non tanto i calligrammi di Apollinaire, quanto le nuvole di tag-clouds del net (quelle nuvolette composte da keyword). Trovo sia molto visibile in un lavoro come quello dedicato a Pessoa, e intitolato “Questa non è una valigia”, in riferimento alla pipa di Magritte (Ceci n’est pas une pipe, 1928), e a quella di Apollinaire, disegnata nel 1914 per Picasso. O nel remix, o riscrittura, della “grande onda” di Hokusai. Tutti i precedenti arricchiranno il mio lavoro. La mia potrebbe essere un’evoluzione più attenta all’estetica, in funzione del creare curiosità, attenzione, e rimando a una lettura privata. Come molti artisti nati dal wri-

ting, hai iniziato anche tu a fare arte illegalmente. Lo fai ancora, nonostante tu sia ormai un artista riconosciuto che espone in gallerie? Se il progetto che ho in mente lo richiede, sì. Anche se non ho radici nel graffiti writing. In realtà i miei interventi non autorizzati sono una performance, e volti a favorire la depenalizzazione dei reati attraverso l’arte. Tralasciando il sarcasmo sull’immobilismo della nostra burocrazia, la street art permette di avere una visione contestuale che non nasce da altri stimoli. Vedi pensi dici. Ti arroghi lo spazio. Sta a te, come e dove. Valuti se è opportuno. Accetti le conseguenze di quello che fai. Chi vorrebbe essere impunito, sotto la scusa di “ma la mia è arte”, ha poca etica e responsabilità. Questo è un altro motivo su cui si regge il mio anonimato.

Dettaglio di una colatura

Prendo responsabilità dei rischi a cui mi fa andare incontro la libertà che mi arrogo. Il mio percorso artistico è cresciuto grazie a questa visione ma, come dicevo, è un mezzo. A Gdansk, Warsasz, Ariano, Santa Maria al Bagno e Giulianova, ho fatto lavori liberi. Cercando di scegliere superfici che non potessero creare grossi fastidi. Qualche giorno fa, ho visto sparire un bellissimo spot, per cui ho aspettato troppo: causa lavori di ristrutturazione e intonacamento. Accetti invece lavori su commissione? Sì, che siano tele, murales e installazioni. Compro il tempo che mi permette di dedicarmi e investire su progetti indipendenti. E mi piace lavorare in galleria, confrontarmi con il mondo dell’arte contemporanea, e la sua storia. Nel 2012

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ARTINTIME realizzai un tributo a Emilio Scanavino. Non l’avrei mai fatto se non avessi lavorato con Daniele Decia (oggi di Studio D’Ars a Milano) a Calice Ligure, nella galleria Punto Due, ex Galleria Punto, luogo di incontro per molti artisti degli ani ‘70. Lo scorso anno hai iniziato un progetto intitolato “Un viaggio di pittura e poesia”, ci racconti di che si tratta e gli sviluppi? Volevo creare un simbolico percorso di poesia che attraversasse la nostra penisola, e dialogasse con i luoghi e i loro poeti. Nell’estate 2013 ho toccato 10 fra città e paesini. Pensavo fosse un progetto destinato a concludersi. Invece contiene i miei intenti fin dall’inizio, e l’evoluzione di questa poetica. Oggi lo considero costitutivo, un manifesto fattivo, e in atto. Con il murales dedicato alla Szymborska in Polonia, e durante il progetto ad Haiti, ho compreso quanto il “viaggio” e i luoghi aggiungano poesia al mio lavoro. Ho dipinto qualcosa su San Francesco, perché me ne hanno parlato, con amore per la propria città, alcuni reatini incontrati per caso una sera. Mi affascina la casualità e la serendipità degli eventi. E credo che anche se in maniera traslata, la lettura di “Vagabonding” di Rolf Potts mi influenzi. A Danzica quest’estate hai dipinto una splendida parete di 30 metri con una sorta di pioggia di parole. Ci racconti qualcosa di questa esperienza? Il Monumental Art è stato una bellissima esperienza. Bella la Polonia e le persone incontrate. Il muro è dedicato a Wislawa Szymborska, poetessa polacca Nobel nel 1996 con due versi da “Sotto a una piccola stella”. Recita “Verità, non prestarmi troppa attenzione. / Se-

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rietà, sii magnanima con me”. La composizione si ispira alla ricerca di Giuseppe Sermonti che ha scritto “L’alfabeto cade. dalle stelle”. Da questo consegue la scelta della poesia. Due cose mi hanno piacevolmente sorpreso: la Fondazione Szymborska di Cracovia ha riconosciuto il murales, legandolo a una mostra sulla poetessa, con cartoline realizzate in meno di una settimana dall’Istituto di Cultura di Gdansk. Il dott. Sermonti mi ha contattato, complimentandosi e chiedendomi immagini per una sua prossima pubblicazione. Materialmente come hai lavorato visti i grandi formati? Quanto tempo ti ha richiesto e come ha reagito la gente? Ho lavorato su un’impalcatura di 15 piani, per una decina di giorni. Il pubblico ha reagito molto bene, e molto male. Come è normale che accada. Il nero non fa mai presa su tutti. Arrivato davanti al muro ho trovato un albero che lo copriva e uno sfondo bianco che non volevo. Succede. Ho cambiato così la progettazione, aggiungendo le nuvole nella parte inferiore, perché la poesia potesse essere letta dai passanti, e alzato la “stella nera”, perché fosse visibile da lontano. I colori cadono da un luogo altro (outer space), verso un corpo celeste da cui si irradiano lettere, fino al cielo, per cadere come pioggia di colore nelle parole della Szymborska. Questo Novembre ti vedrà a The Others con la galleria BiBox, contribuirai all’asta per Haiti a fine mese, dopodiché sarai in Argentina per una Biennale: che progetti ci sono dietro a questi appuntamenti?

Con BI-BOx presenterò una serie di lavori intitolata “Vortex”, a cui si richiama il murales della Szymborska. Il primo di questi dipinti è dell’inizio del 2014, presentato ad Bologna Arte fiera. Sono pitture di soli ed esopianeti, dove parole e messaggio si perdono, e le lettere si irradiano come luce. Riflettono la mia fascinazione per lo spazio. È per questo che il riscontro di Sermonti, scienziato del 1925, mi ha dato tanta gioia. All’asta per Haiti farò alcuni lavori con i disegni dei bimbi incontrati nel Febbraio 2014, e con l’enorme contraddizione che ho portato con me dai Caraibi.... In Argentina parteciperò alla “Bienal del fin del mundo” a Mar de La Plata, grazie al progetto di Paolo Angelosanto, “Ginnastica Della Visione”, una selezione di performance. Cos’è per te l’arte e cosa invece la poesia? Non c’è differenza. Arte, poesia, musica. Musicalità. Emozioni, riflessioni, sogni, piacere, bellezza, corpi. Ci dedichi una poesia? Questa di Alfred Edward Housman, che introduce al programma radio “Parole Note”: “Io non so cos’è la poesia ma la riconosco quando la sento” www.opiemme.com

Alessandra Chiappori


INTERVISTANDO...

Dettaglio di una colatura di colore

“Tonno e Alici”, 2014, Courtesy BI-Box

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ARTINTIME unclassicart@artintime.it

LA GAM SI FA POP! La Galleria d’Arte Moderna di Torino ospita fino al 25 gennaio una interessante mostra sull’artista considerato il caposcuola della pop art americana, Roy Lichtenstein (1923-1997). Per la prima volta in Italia si espongono i suoi lavori su carta, dagli anni Quaranta fino alla morte, per un totale di 235 opere provenienti da prestigiose istituzioni e raccolte americane ed europee. “Disegnare è la via più veloce per descrivere i miei pensieri”, diceva, e tramite i suoi schizzi- immediati, divertenti, talvolta quasi infantili- e i suoi disegni, possiamo osservare il processo di studio ed elaborazione che poi portava all’opera finita. Il suo intento era quello di indagare il ruolo dell’arte tra finzione e realtà, portato avanti tramite processi di serializzazione e stilizzazione delle immagini, con l’uso di colori primari e ombreggiati e del famoso puntinato Ben-Day, quella tecnica che nella stampa dei fumetti permetteva di creare colori secondari avvicinando piccoli pallini di colori primari. I fumetti, che appunto rappresentano

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forse la parte più conosciuta del lavoro di Roy Lichtenstein, sono ben rappresentati nella sezione iniziale della mostra. I primi personaggi prelevati dai cartoons alla fine degli anni Cinquanta furono Mickey Mouse e Bugs Bunny, di cui sono presenti alcuni schizzi, così come sono esposti gli studi per alcune celebri opere, come KNOCK, KNOCK (1961), OH JEFF…I LOVE YOU, TOO…BUT.. (1964), POP! (1966). Fu tipico della Pop Art, l’arte popolare, particolarmente negli USA e in Gran Bretagna, il recupero e la riformulazione artistica degli oggetti di consumo e di nuovi miti. Roy Lichtenstein tuttavia non fuggì suggestioni eterogenee, dall’arte espressionista e surrealista alle stampe cinesi, come testimoniano diversi fogli esposti nelle sezioni della mostra dedicate a questi temi. L’artista sperimentò, durante tutta la sua carriera, fino al punto di arrivare a chiedersi nel 1993 “Cosa dovrei fare adesso?”. L’aneddoto vuole che Erica Wexler, sua musa, gli rispondesse argutamente con un’altra domanda: “Gli artisti della tua età non

cominciano a fare nudi, come Degas e Renoir?”. Anche questa fase è rappresentata da alcuni disegni, dove il nudo è letto da Lichtenstein come quasi privo di peso, una sensualità semplificata e stilizzata perfettamente in linea con la sua particolare visione grafica. Buoni punti di forza di questa esposizione sono un bell’allestimento e la novità dell’argomento (essendo l’arte americana qui da noi di fatto una novità). Da non perdere.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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TEATRO teatro@artintime.it

KEEP CALM AND.. MACAPA’ Nell’ambito delle neonate compagnie e associazioni di teatro si parla questo mese di Macapà attiva nelle valli di Lanzo, in Piemonte. Avviene due anni fa l’incontro fortunato tra giovani appassionati di teatro che, in occasione di un laboratorio teatrale nel capoluogo piemontese, decidono di mettersi insieme e dare vita a un’associazione che promuova la cultura attraverso le arti performative: teatro, danza e musica. Macapà è un luogo che viene abitato dalle abilità artistiche di ciascun componente: l’arricchimento che nasce dalle competenze di ognuno crea inevitabilmente prodotti artistici nuovi, permettendo la realizzazione di percorsi caratterizzati da differenti linguaggi. Macapà è il sacco del sovrappiù, che non viene buttato, ma dona-

to all’amico che a sua volta userà ciò che fa per lui e donerà il proprio contributo.Carattere peculiare dell’Associazione è la formazione dell’equipe la quale spazia dal teatro, alla danza alla musica, permettendo la realizzazione di percorsi che viaggiano tra un linguaggio e l’altro con grande libertà. Macapà guarda alla scena dallo spioncino dell’animazione teatrale, puntando l’attenzione principalmente ai lavori prodotti da un gruppo che studia la tecnica teatrale e crea una propria identità riconoscibile. Attraverso le sue produzioni, si intuisce un particolare legame con il territorio dove Macapà opera, relazione che vuole intenzionalmente mantenere: ne è un esempio “Aldo Dice 26x1”, il racconto della Resistenza nelle Valli di Lanzo. Lo

sguardo della compagnia è puntato, inoltre, sulla società odierna che impone, più che porre, delle scelte alle giovani generazioni; è interessante, a questo proposito, il progetto “Pre-Occupati”, in cui due ragazze si troveranno al bivio, incerte se inseguire i propri sogni o rimanere immobili nel futuro grigio e incerto proposto dalla televisione e da madri ormai disilluse.

Barbara Mastria

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

VEGWORLD DISCOVERD FROM THE VEGFEST On the occasion of the second VegfestUK in London I found my self thinking about what means to be vegetarian or vegan. One of the festival purpose is in fact to raise awareness on the topic and give useful information about the products to consume and where to find them. The event was held in Kensigton Olympia, more then 10.000 people visited the 200 stalls divided into sections: Food, Drinks, Bodycare and Beauty, Clothing Bags and Footwear, Housewares and Kitchenware, Publications and Gifts. Entertainment was served with comedy, music, speed dating and quizzes. It was a very friendly environment where everyone was welcomed, not only people who already are doing a vegetarian or vegan diet but also meat eaters willing to know more about the culture behind it. What came across from this experience is that vegetarianism and vegan-ism is not only about food, but is a 360 degree approach, a change of path, a proper lifestyle investment. To quote The Movement for Compassionate Living present at the event and distributing pamphlet “being vegan is more than just about our dietary habits. Our vision inspires us to take steps in our own lives: a) to decide what we choose to eat and how

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b) to simplify the way we live c) to influence the work we do d) to determinate how we interact with other and work to influence them e) to promote self-reliance” I also spoke with a young woman recent turn vegetarian, who was volunteering for the charity called Viva!, about the process she is gradually going through since she aims to be vegan. She started it in June, reducing the consumption of meat and researching for the right substitutes. She explained me the difference between vegan and vegetarian: a vegan is someone who abstain from using in any way animal derived products, including for example honey or silk. Vegetarian instead can still eat eggs, milk and cheese (dairy products), but not Parmesan or Grana because they contain rennet, which is an animal enzyme. To clarify this, if the animal wasn’t killed during the making of the product vegetarian can consume it. She has reliable sources for her food shopping, in terms of reaching a more organic life style. In the UK we have an American company called Whole food that guarantees quality on the gluten free and local produced organic aliments. Unfortunately they are not as affordable as they could be

and this applies also to beauty products. It is important to buy cruelty free cosmetics, the easy way to spot them is through the leaping bunny logo which is an internationally recognised logo for companies producing cosmetics, personal care and household products. It is the best assurance that no animal testing is used during any phase of product development by the company, its laboratories or suppliers. To close on a high note, being vegetarian or vegan is not all fuss, is about healthiness and is taking over even the least healthy drinks on the market: cocktails. That is why, here in London, you can enjoy margaritas of carrot and bellinis of pumpkin. From BYOC Camden, to City Social in Old Broad Street, from Artesian in Portland Place to Calooh Callay in Rivington Street and Grain Store in Stable Street you can get drunk in an less sugary, more healthy way. In occasione della seconda edizione londinese del VegfestUK, mi sono trovata a riflettere sulle implicazioni di uno stile di vita vegetariano o vegano. Difatti uno degli scopi del festival è proprio quello di sensibilizzare il pubblico riguardo l’argomento e fornire informazioni utili su quali prodotti consumare e dove trovarli. L’evento, tenutosi in Kensigton Olym-


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pia, ha accolto più di 10.000 persone e ospitato 200 banchi divisi per settori: Cibo, Bevande, Cura del corpo e Prodotti di bellezza, Vestiti Borse e Calzature, Prodotti per la casa e per la cucina, Pubblicazioni e Regali. Per quanto riguarda l’intrattenimento la scelta era piuttosto vasta, di sicuro non ci si poteva annoiare tra spettacoli comici, musica live, quiz e speed dating. Nella totalità un ambiente molto rilassato e amichevole, pronto ad accogliere non solo chi già sta praticando una dieta vegetariana o vegana, ma anche i consumatori di carne interessati a saperne di più o semplicemente curiosi. Il risultato di questa esperienza è stato per me scoprire che il vegetarianismo e il veganismo non riguardano soltanto il cibo bensì rappresentano un approccio a 360 gradi, un

diverso percorso, un vero e proprio investimento in uno stile di vita. Per citare Il Movimento per lo Stile di Vita Compassionevole, che durante il festival distribuiva pieghevoli: “essere vegani è molto di più che una questione di abitudini relative alla dieta. La nostra visione ci ispira a compiere passi importanti nelle nostre vite personali come: a) decidere cosa scegliamo di mangiare e come mangiarlo b) semplificare il modo in cui viviamo c) influenzare il lavoro che facciamo d) determinare come interagiamo con le altre persone e lavorare per influenzarle e) supportare l’essere autonomi e indipendenti” Ho inoltre parlato con una giova-

ne donna recentemente diventata vegetariana, che stava prestando servizio di volontariato per l’associazione benefica inglese Viva! Abbiamo discusso della sua esperienza, del processo che sta gradualmente attraversando da quando ha deciso di diventare vegana. Avendo iniziato a giugno, attualmente sta cercando di ridurre il consumo di carne e dedica il suo tempo libero a sperimentare ricette con i giusti componenti sostitutivi. Al momento si dichiara vegetariana e mi ha aiutato a capire la differenza dal veganismo. Un vegano è una persona che si astiene totalmente dall’usare prodotti di derivazione animale, in ogni modo possibile, ciò si riflette su prodotti come il miele o la seta per esempio, ma non solo. I vegetariani invece pos-

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ARTINTIME

sono fare uso di alimenti come le uova, il latte o derivati da esso, ma non nel caso specifico del Parmigiano o del Grana, poiché essi contengono il caglio animale e soprattutto l’enzima coagulante chimosina, ottenuta da giovani esemplari bovini. Per chiarire meglio il punto di vista vegetariano, se l’animale non è stato ucciso durante la produzione dell’alimento, l’alimento può essere consumato. Un vegano non ammette ciò. La volontaria si rivolge a fornitori affidabili quando si tratta di fare la spesa, per raggiungere uno stile di vita più organico. Nel Regno Unito una catena americana di nome Whole Food è molto popolare e garantisce alta qualità sui prodotti senza glutine e alimenti organici prodotti localmente. Sfortunatamente i prezzi sono ancora piuttosto

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alti se paragonati ai cibi che tutti i giorni compriamo al supermercato, e questo non riguarda soltanto il banco alimentari ma anche i prodotti di bellezza. È importante comprare creme e trucchi non testati sugli animali, il modo più facile per riconoscerli è cercare il logo del coniglio. Si tratta di un logo riconosciuto internazionalmente che attesta la completa assenza di test animali durante qualsiasi fase dello sviluppo del prodotto da parte della fabbrica produttrice, dei suoi laboratori e dei suoi fornitori. Per chiudere con una nota dolce e leggermente alcolica, essere vegetariani o vegani non è poi così laborioso o tedioso, in fondo si tratta di mantenersi in salute. Un concetto che sta prendendo piede anche nell’ambiente meno salutare che ci sia: quello dei cocktail. Ed è per

questo che, almeno qui a Londra, si possono consumare margaritas a base di carota, o bellini alla zucca. In posti come il BYOC Camden, o il City Social in Old Broad Street, l’Artesian in Portland Place o il Calooh Callay in Rivington Street e infine il Grain Store in Stable Street. Ci si può ubriacare con meno zuccheri e in tutta salute.

Cristina Canfora


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ARTINTIME music@artintime.it

SCARDA Se nientemeno che Mogol, ascoltando un vostro brano, dice che gli ricordate Rino Gaetano, di sicuro il talento non vi manca. È quello che è capitato a Domenico Scardamaglio, Nico per gli amici, in arte Scarda. Partito da Vibo Valentia, nel giro di un paio di anni, grazie al passaparola, si conquista una platea di ascoltatori che, fedelissimi, prendono d’assalto la sua prima demo caricata su web. Una vera ascesa, tanto che il nome del giovane artista arriva alle orecchie del regista Sydney Sibilla che decide di affidargli la title song del suo primo film “Smetto quando voglio”. In fondo chi meglio di lui per accompagnare dei personaggi insoliti e umani come quelli della pellicola di Sibilla? Si, perché Scarda non è solo un musicista, cantante e compositore, no, lui è un cantastorie e come tutti i veri cantori crea, ritrae e quasi intaglia i gesti, le parole, i comportamenti dei suoi soggetti umani. Basta un attimo, un tocco di chitarra e un paio di frasi ed ecco spuntare dal cilindro del cantautore un manovale innamorato in “Serenata del muratore” o un vici-

no dongiovanni (“Quello che abita di fronte a me”) e perché no, anche una sorella un filo troppo leggera (“Mia Sorella”). Una vera carrellata umana, guarnita con un sound d’altri tempi, con melodie trascinanti, cullanti e festanti, ma soprattutto con testi sottili ed evocativi, che suonano conosciuti, quasi quotidiani. È con un sorriso tra l’ironico, il divertito e il riflessivo che si gustano le demo “In vetro” e “Gente che muore di mattina”, con la sensazione di viverci un po’ davvero in quel mondo fatto di flash evocativi che Scarda sa delineare così bene. Ecco, lì c’è “Gina”, imprigionata in un pregiudizio e desiderosa d’affetto, e laggiù c’è quel qualcuno che non vuol mai apparire, mai disturbare e che non sa che non può trattenere per sempre la vita, «prima o poi dovrai incassare e li ti metterai a ballare» (“Io lo so”), e ancora lì c’è l’ubriacone pazzo per un amore finito (“Michele è matto”), e lì in fondo qualcuno che, semplicemente, se la canta nonostante sia “Mario il precario”. Caricaturale e intelligente, semplice e concreto, c’è davvero un paese (ed un mondo) nell’immaginario musicale di Scarda: irrinunciabile. So, enjoy!

Angelica Magliocchetti

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MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

STORIA IMPOSSIBILE MA DIVERTENTE DI UN FACHIRO Restare chiusi in un armadio Ikea dopo essere arrivati con un volo aereo dall’India nel grande store di mobili di Parigi per acquistare, in offerta, un letto di chiodi. Roba da fachiri, certo. E roba altamente improbabile e al limite del surreale, come già suggerisce il lunghissimo titolo fintamente epico dal quale già capiamo molto di questa storia. Cioè, prima di ogni altra cosa, che si tratta di una storia fantastica – straordinaria, esattamente fuori dall’ordinario – dove il potere delle parole scritte è in grado di allestire un multi-cosmo fatto di frontiere e personaggi bizzarri, ma soprattutto di incastri di episodi esilaranti quanto irresistibilmente assurdi, tutti caratterizzati, nel loro strano modo di accadere, da un consueto fondo di verità. Ed è bastato poco per ottenere questo risultato, è stato sufficiente immaginare che un fachiro restasse chiuso per un ingenuo errore in un armadio Ikea e poi giocare senza freni con quel bellissimo e potentissimo meccanismo che è la lingua letteraria. Su uno sfondo che è palesemente divertito e divertente, Puértolas incastra una serie spassosissima e dal ritmo sfrenato di vicende davvero al limite dell’assurdo che rimbalzano il protagonista, il fachiro indiano Ajatashartu, nome la cui pronuncia varia tra le parentesi del libro

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di capitolo in capitolo, a seconda di come ognuno lo vuole interpretare, da un paese europeo all’altro. Aeroporti, stive di aerei, ma anche fondi di camion, navi, mongolfiere, e ancora nastri di scorrimento dei bagagli, una serie insolita di mezzi di trasporto e situazioni, come finire, dopo l’armadio, dentro a una preziosa valigia Vuitton nella stiva di un aereo in volo e lì scrivere un romanzo su una camicia (sì, avete capito bene, la camicia come una pagina) osservato da un cane, ma al buio. Prima c’è l’Ikea di Parigi, poi l’Eurotunnel e un pezzettino di Inghilterra, e poi la Spagna – o meglio, l’aeroporto di Barcellona - infine l’Italia e, con un attraversamento rocambolesco del Mediterraneo, anche la Libia. Un tour gratuito e improvvisato tra i confini, le frontiere reali, linguistiche, culturali di quello che solitamente è un percorso seguito dai migranti che, dai paesi più poveri del mondo, tentano la buona sorte nei “paesi buoni”. Niente moralismi espliciti però, attenzione, perché questo esilarante viaggio, alimentato da assurdità perfettamente coerenti nel loro incastro paradossale e nella loro sfrontata ironia condita da una solare copertina gialla e blu, ha lo stesso candore delle favole. Il fachiro protagonista è infatti un malandrino di professione non avendo mai visto

altro nella vita: per lui esiste solo l’inganno al prossimo fatto di spade retrattili ingoiate o forchette infilzate su finte lingue in plexiglass. Essere sbalzato fino all’Ikea di Parigi e poi da lì, per vie traverse e mai ufficiali in altri paesi, confini, situazioni e tra tante persone di ranghi e provenienze disparate, causerà in lui una serie di elettroschock. Piccole illuminazioni, scoperte di vita, aperture su nuovi scenari e situazioni. L’esistenza dell’amore e della fiducia, ma soprattutto l’esistenza della povertà e del coraggio, che Ajatashartu (impronunciabile, ebbene sì!) ritrova sul fondo di un camion diretto oltre la frontiera inglese insieme a un gruppo di clandestini sudanesi. La promessa costante del fachiro è quella di cambiare dopo aver visto quanto di bello e al contempo triste e ingiusto c’è nel mondo, ma chissà per quale scherzo del destino, ogni volta ne succede una sempre più improbabile, tanto che a un certo punto da fachiro ritroviamo il nostro in fuga su una mongolfiera che non sa pilotare e accreditato da un noto editore come scrittore di successo. Un’identificazione con l’autore non casuale. Perché Puértolas con questo esilarante romanzo ha probabilmente attinto all’esperienza personale sulla frontiera per parlare proprio di questo, dei confini, spesso invalicabili, della difficoltà per gli


BOOKS stranieri che si trovino soli e senza appigli in un paese nuovo, dello straordinario potere del viaggio e dell’apertura al prossimo, al di là di ogni barriera nazionale o linguistica. Dall’India, alla Francia, alla Libia in guerra, tra un grande albergo di Roma e una roulotte di gitani o un ufficio di frontiera anglosassone Ajatashartu parla e conosce persone, in uno scambio umano che, nel bene e nel male, gli renderà molto più di un letto di chiodi inossidabili Ikea. Da montare chiodo per chiodo, naturalmente!

A lessandra Chiappori

- Il suo nome? - Mister Patel (si pronuncia Paté). Ajatashartu, scritto come lo pronuncio. - La vache! - esclamò in francese l’addetto di fronte a quella complicazione. Più per ignavia che per comodità, scrisse una X nella casella, mentre l’indiano si domandava come facesse quell’europeo a conoscere il suo secondo nome, Lavash. - Allora, un letto di chiodi Åkuminat speciale fachiro, in autentico pino svedese, con chiodi (inossidabili) di altezza regolabile. Che colore? - Cosa mi propone? - Rosso puma, blu tartaruga o verde delfino.” Romain Puértolas, L’incredibile viaggio del fachiro che restò chiuso in un armadio Ikea, Einaudi, 2014.

ROMAIN PUÉRTOLAS Una biografia che è tutta un romanzo, e forse non sarà un caso se Romain Puértolas ha trovato la ricetta per l’esordio letterario di successo. Figlio di entrambi i genitori militari l’autore, classe 1975, ha in curriculum una carriera da professore di francese e spagnolo e di interprete, ma è anche passato dall’aviazione civile alla polizia di frontiera, dove lavora tuttora come analista. Dice di aver scritto il suo romanzo sullo smartphone mentre andava a lavoro la mattina, e pare abbia nel cassetto altre storie ancora non pubblicate. Nel frattempo, il successo del libro sta scatenando la contesa dei suoi diritti cinematografici.

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ARTINTIME movies@artintime.it

SNOOZE TIME - COME SI MISURA UN ISTANTE? Il tempo è tiranno, dice un famoso detto, ma avete mai pensato quanto il tempo incida effettivamente sulla nostra vita quotidiana? La sveglia del mattino, l’orario preciso di entrata al lavoro, l’orario di uscita, il tempo di cottura dei cibi… tutto è scandito dal tempo, la nostra stessa vita attraversa un periodo di tempo, un ritaglio di quel flusso più grande che è il tempo dell’universo. Raccontare il flusso di tempo di una vita è tipico del mezzo cinematografico: esistono vari esperimenti in merito, centinaia di pellicole raccontano vite di persone attraverso i loro cambiamenti fisici da quando nascono a quando invecchiano. Ci sono film in cui si viaggia nel tempo e in cui le vite possono essere cambiate (ma su questo punto è bene non proseguire troppo, rischieremmo di perderci nell’affascinante mondo della fantascienza che niente ha a che vedere con quanto voglio raccontarvi). Ci sono inoltre film che vanno al di là del tempo di una vita umana, come “L’uomo bicentenario”, o ancora film che raccontano vite a ritroso come “Il Curioso caso di Benjamin Button” o film che si pongono l’obbiettivo di raccontare un giorno della vita della gente del mondo, condensando in sé volti e luoghi di provenienza diversa. Il cortometraggio “Snoo-

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ze Time” racconta proprio questo, una vita di una donna - qui raccolta simbolicamente dalla mattina, quando si sveglia, alla sera, quando va a dormire - che noi vediamo ovviamente invecchiata nell’arco della sua esistenza. La protagonista riflette sugli effetti del tempo sulla sua vita, “personaggio” sempre presente che a volte rischia di rubarci il posto arrivando lui a scegliere per noi. Realizzato da Ivan Barge, scritto da Matthew Harris, “Snooze Time” riesce a condensare in sette minuti, saltellando da una scena all’altra, le diverse età della vita, da quando la protagonista è giovane e per la prima volta dorme con la persona amata, fa colazione insieme a lui e poi come per magia, da un caffè scaldato nel microonde la vita va avanti, ci si sposa, arrivano i figli, subentra la quotidianità. I figli crescono e il fisico comincia a invecchiare, la casa invecchia con i protagonisti e ciò che sembrava all’ultima moda diviene subito vecchio, appartenente a un altro stile di arredo. L’attenzione ai particolari è maniacale, lo stesso Ivan Barge in diverse interviste rilasciate con l’uscita del cortometraggio ricorda quale cura ha voluto porre nella creazione e nell’allestimento delle diverse scene. La progressione del tempo infatti non è data solo dall’invecchiamento dei personaggi,

come dicevamo, ma sono proprio i dettagli a rendere il tutto più veritiero. Ricercato è anche il montaggio che riesce ad associare in modo fluido i vari passaggi di età dei protagonisti, permettendo allo spettatore di leggere la storia in maniera scorrevole, senza troppi inciampi narrativi. La struttura nella sua complessità è ciclica e la prima inquadratura viene ripresa dall’ultima, il tempo è di fatto il vero protagonista e lo si capisce non solo dalle parole della voce over che accompagna le immagini, ma proprio dalla posizione che esso assume nelle inquadrature. Come si rappresenta il tempo al cinema? Esistono vari modi e forse quello della sveglia è lo stratagemma più pratico e veloce, ma ogni fotogramma è qui rappresentazione del tempo stesso. “Snooze Time” è un progetto che sicuramente porta lo spettatore a riflettere moltissimo sulla vita, a tutti gli istanti che la compongono, tutti quei frammenti di tempo che a volte sembrano eterni mentre altri volano via velocissimi senza nemmeno darci il giusto tempo per assaporarli. Carpe Diem, dicevano i latini e Carpe diem sembrano urlare tutti i fotogrammi di “Snooze Time”, perché quegli istanti non torneranno mai.

Francesca Cerutti


MOVIES

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ARTINTIME events@artintime.it

FESTIVAL DELLE LETTERATURE DELL’ADRIATICO

PISA BOOK FESTIVAL

MICROEDITORIA

Dal 6 al 9 novembre presso il centro storico di Pescara si svolgerà il “Festival delle Letterature dell’Adriatico”, la manifestazione che ogni anno avvicina letteratura, musica, spettacolo e intrattenimento attraverso incontri, presentazioni e attività. Una dodicesima edizione ricca di ospiti che vedrà protagonisti tra gli altri Samuele Bersani, Dario Franceschini, Enrico Mentana, Daria Bignardi, Massimiliano Panarari, Francesco Piccolo. Per maggiori informazioni sul programma della rassegna visitate www.festivaldelleletterature.com.

Dodicesima edizione per il “Pisa Book Festival”, che dal 7 al 9 novembre, presso il Palazzo dei Congressi, ospiterà editori, autori, traduttori, giornalisti e artisti per celebrare l’editoria indipendente italiana e straniera ed esplorarne le novità. Un’edizione che darà spazio alle letterature nord europee accogliendo scrittori e opere provenienti da Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia, ma anche a grandi nomi della letteratura italiana. Tra gli ospiti: Dacia Maraini, Sandro Veronesi, Sergio Staino e Marco Malvaldi. Per informazioni: www.pisabookfestival.com.

A Chiari dal 7 al 9 novembre si svolgerà la dodicesima edizione della “Rassegna della Microeditoria” che quest’anno sarà sviluppata sul tema “La Felicità, far crescere il Benessere Interno Lordo”. Tre giorni di rassegna che ospiteranno nella splendida Villa Mazzotti Biancinelli, autori e opere dei piccoli e medi editori nazionali, che saranno protagonisti di presentazioni, incontri, reading e dibattiti. Non mancheranno inoltre mostre e concerti. Maggiori informazioni sugli appuntamenti in programma sono disponibili su www.microeditoria.it.

FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO

PFF

PADOVA JAZZ FESTIVAL

A Verona dal 7 al 16 novembre si terrà la trentaquattresima edizione del “Festival di Cinema Africano”, rassegna che ogni anno presenta i migliori corti e lungometraggi di recente produzione realizzati da giovani talenti africani. Il tema dell’edizione è “new waves”, nuove onde, filo conduttore che guiderà il pubblico il un percorso di esplorazione tra stili e culture incrociate, luoghi e linguaggi. Tra le attività in calendario proiezioni, omaggi, letture e approfondimenti. Per conoscere il programma completo della kermesse visitate festivalafricano.altervista.org.

Il 9 novembre a Pistoia si terrà l’ottava edizione del “Pistoia Corto Film Festival”, rassegna dedicata alla cinematografia breve che raduna le migliori produzioni di filmaker nazionali. Cinque le sezioni di concorso: Videoclip & Spot, Cortometraggi & Fiction, Cartoon & Comics, Horror Short Movie, Instant Movie. Tra gli ospiti che interverranno alla manifestazione personaggi dello spettacolo, attori, registi, giornalisti, produttori televisivi e cinematografici. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito pistoiafilmfestival.wordpress.com.

Torna l’appuntamento con il “Padova Jazz Festival”, che dal 10 al 16 novembre proporrà al pubblico le esibizioni di grandi artisti di genere e di giovani emergenti. Una diciassettesima edizione ricca di concerti, mostre, incontri e workshop in cui interverranno tra gli altri Rosario Giuliani, Francesco Sovilla, Giulia Facco Quintet, Jimmy Katz, Plankton, Brooklyn Beat!, Phil Robson Organ Trio. Un appuntamento da non perdere per gli amanti del genere. Per maggiori informazioni sul calendario del festival visitate www.padovajazz.com.

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EVENTS A cura di Anna Moschietto

ARTE PADOVA

ROMA JAZZ FESTIVAL

OZU FILM FESTIVAL

Venticinquesimo anniversario per “Arte Padova – Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea”, che dal 14 al 17 novembre ospiterà presso Padova Fiere centosessanta espositori, tra gallerie d’arte e artisti italiani e stranieri. Un’occasione per apprezzare opere intramontabili, sperimentazioni e nuove forme d’arte contemporanea, attraverso installazioni, video, fotografie e performance dal vivo. Quattro giorni dedicati all’arte in cui non mancheranno momenti di confronto con importanti ospiti. Per maggiori informazioni visitate: www. artepadova.com.

Presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma torna l’appuntamento con il “Roma Jazz Festival”, rassegna internazionale che dal 14 al 30 novembre accoglierà sul palco alcuni dei maggiori artisti internazionali di genere. Una trentottesima edizione ricca di concerti in cui si esibiranno Dave Holland & Kenny Barron, 3 Cohens Sextet, Jason Moran & Robert Glasper, Joe Lovano e Dave Douglas, Enrico Rava, Anthony Strong Band e molti altri ancora. Per maggiori informazioni sul calendario dell’evento visitate www.romajazzfestival.it.

Dal 17 al 23 novembre si svolgerà la ventiduesima edizione del “Ozu Film Festival”, rassegna cinematografica internazionale dedicata al cortometraggio, che ogni anno coinvolge diversi comuni delle province di Modena e Reggio Emilia in un unico grande evento. Sette sono le competizioni ufficiali e tre le collaterali, per un totale di centoventinove opere di vario genere che il pubblico potrà apprezzare in proiezioni e presentazioni. Maggiori informazioni sul programma della rassegna sono disponibili sul sito www. ozufilmfestival.com.

TFF

SALONE INTERNAZIONALE DEL LIBRO USATO

FESTIVAL DEI POPOLI

Trentaduesima edizione per il “Torino Film Festival”, la rassegna cinematografica internazionale della città di Torino in programma dal 21 al 29 novembre. La rassegna, diretta da Paolo Virzì, sarà inaugurata con la presentazione dell’ultimo lavoro di Anne Fontaine, “Gemma Bovery”, e come ogni anno accoglierà importanti pellicole internazionali e gradi nomi della cinematografia, che interverranno in anteprime, incontri ed eventi. Per conoscere anticipazioni e informazioni sul programma della kermesse visitate www.torinofilmfest.org.

Il 22 e 23 novembre a Milano, presso la Fiera Milano Congressi, si svolgeranno la seconda edizione del “Salone Internazionale del Libro Usato” e la prima dizione del “Salone Internazionale della Piccola Editoria”. L’evento, organizzato da MareMagnum, sarà a ingresso libero e esporrà libri usati e d’occasione, volumi antichi, edizioni di pregio, stampe originali, disegni e acquerelli d’autore, fumetti e manifesti. Un appuntamento da non perdere per gli amanti della lettura e del libro. Maggiori informazioni sono disponibili sul sito: www.salonelibrousato.it.

Anche quest’anno torna il consueto appuntamento con il “Festival dei Popoli”, la rassegna internazionale dedicata al film documentario della città di Firenze. L’evento si svolgerà dal 28 novembre al 5 dicembre e comprenderà due sezioni competitive (Concorso Internazionale e Panorama) e quattro non competitive: Retrospettiva, Personale, Focus, Eventi speciali. Non mancheranno inoltre retrospettive, omaggi e incontri con importanti ospiti. Per maggiori informazioni sul programma della kermesse: www.festivaldeipopoli.org.

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