Artintime N.10 - Ottobre

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ART

IN TIME n.10 - Ottobre 2013

ARTE | CINEMA | MUSICA | TEATRO LETTERATURA | SERIE TV | INTERVISTE | EVENTI | LONDON NEWS


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ARTINTIME L’EDITORIALE “Non a tutti è concesso di ritrovare il primo amore perduto. Ma tutti hanno un sogno o un talento coltivato negli anni della giovinezza e poi messo da parte per tanti motivi. Eugenio e Ofelia sembrano volerci dire che ogni desiderio negato, purché profondo, è ancora vivo, e che lo si può realizzare finché si è vivi. Forse si comincia a morire proprio quando si smette di credere che quel che solo ogni tanto succede potrebbe succedere sempre”. Sono le parole del “Buongiorno” di Massimo Gramellini del 17 settembre 2013, un racconto di un amore lasciato passare in giovinezza e, quasi per magia, ritrovato nella vecchiaia, a coronare un sogno creduto svanito chissà per quanti anni. Quel sogno, viene da pensare, è un po’ il nostro, e un po’ anche il vostro e di tutti quei giovani a cui cerchiamo di dare spazio sulle pagine di Artintime. Leggere le parole di Gramellini in una grigia mattina di settembre in cui prepariamo il numero di ottobre, non può che ricaricarci di nuova e positiva energia: ci incentiva a rimboccarci le maniche e darci dentro, andare avanti contro le difficoltà, contro i mulini a vento anche, perché stiamo facendo una cosa bella, che ci piace e speriamo sia godibile anche per voi. E così, per inaugurare il nostro secondo autunno, abbiamo voluto esagerare e abbiamo chiamato per voi Chuck! Chi è Chuck? È il simpatico e stressato regista protagonista delle vignette che, a partire dal numero di ottobre che state sfogliando, troverete ospitato sull’ultima pagina di Artintime. Prima di sfogliare alla ricerca della novità, pazientate però ancora un attimo, giusto quel poco per spiegarvi qualcosa in più sulla novità. Chuck! nasce da un’idea del vignettista e libraio imperiese Stefano Ascheri che ce lo descrive così: “Chuck (foneticamente il nome si avvicina al Ciak cinematografico) è un regista frustrato perché non riesce più a trovare la creatività di un tempo, è circondato da personaggi quantomeno singolari e il suo stress lavorativo lo porta ad avere delle visioni di vecchie glorie del cinema e personaggi cinematografici che lo aiutano, lo consigliano e spesso lo mettono nei guai”. E allora, siete pronti per sorridere insieme a Chuck! e al suo primo esilarante incontro dal sapore cinematografico? E siete anche pronti per un nuovo viaggio nel mondo di Artintime in compagnia di musica, arte, libri, cinema, teatro, tv e curiosità da Londra? Non vi resta che saltare a bordo e iniziare l’esplorazione: pagina dopo pagina fate buon viaggio, ma soprattutto, lasciatevi incuriosire e divertitevi!

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Via Pastrengo 6, Moncalieri


ARTINTIME SOMMARIO 6 . SUN SOOLEY by Angelica Magliocchetti

8 . L’ ECUME DES JOURS by Francesca Cerutti

10 . MR.WANY by Ilaria Chiesa

12. LIBRI SCOMODI CHE FANNO RIFLETTERE by Alessandra Chiappori

14 . SERIE TV: LA NUOVA STAGIONE E’ ALLE PORTE . . by Manuela Raimo

16 . IL BUCINTORO DEI SAVOIA: L’ARTE SI FA SPETTACOLO by Roberta Colasanto

18 . CODICE IVAN:: TEATRO E PARTECIPAZIONE ATTIVA by Barbara Mastria

20 . INTERVISTANDO : Michelangiolo Maffucci by Alessandra Chiappori

24 . ARTUROCONTROMANO by Angelica Magliocchetti

26 . “PICCOLE DONNE” AI GIORNI NOSTRI

by Alessandra Chiappori

28 . UPSIDE DOWN: THE DALSTON HOUSE EXPERIENCE by Cristina Canfora

30 . STEFANO PERRONE by Spazio San Giorgio Bologna

32 . THE BLUE UMBRELLA by Francesca Cerutti

34 . EVENTS by Anna Moschietto

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ARTINTIME music@artintime.it

SUN SOOLEY La rivoluzione del panorama reggae africano è qui: lui è Sun Sooley. Originario di Dakar, Jules Souleymane Ba, in arte Sun Sooley entra fin dagli inizi in uno dei principali gruppi senegalesi di hiphop, i P.Froiss, per poi passare ai Jant-Bi con cui nel 1996 raggiunge il successo con il record di vendite nazionali. È solo però con l’unione artistica con il celebre bassista Abdourahmane Wone, conosciuto anche con il nome di Countryman, e con la formazione della band Akiboulane, che riesce a realizzare una compilation che riunisce 12 artisti esponenti di quel reggae emarginato e poco compatto che caratterizza la scena musicale senegalese. Nel 2003, poco prima di trasferirsi in Francia, produce il suo album d’esordio “Siratikal Moustaqim” e a indicare ‘il giusto modo’ (questo il significato del titolo) fa uscire anche un singolo “Soukanayo” in collaborazione con il cantante e chitarrista Baba Maal. Dopo un tour a Parigi e nel Sud della Francia, forte di una nuova esperienza internazionale, l’artista sbarca in Italia e nel 2010 fa uscire

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il suo secondo lavoro “One Day Inna Babylon”, subito in testa alle classifiche dei migliori album reggae nel nostro panorama musicale. Segue un tour europeo impegnativo che lo porta sul palco accanto ad artisti quali Sizzla, Capleton, Julian Marley, Alpha Blondy e Israel Vibrations. Tra i finalisti dell’European Reggae Contest e ospite all’OverJam Festival in Slovenia, vetrina internazionale del genere reggae, nel 2013 si rimette in gioco con un terzo lavoro: “Ghetto Life”, una visione d’insieme della crisi attuale. I testi, sempre attenti agli aspetti più delicati delle problematiche sociali, farciti di una buona dose di sole e positività come da principio reggae, vengono uniti a un sound trascinante, capace allo stesso tempo di adattarsi a una platea di ampio respiro. Il passaggio all’inglese aiuta ancora più Sun Sooley a trascinarci attraverso un linguaggio a noi forse più familiare in una visione universalistica, che parla di unione tra popoli, in particolare quelli africani. Ci si avvicina così ad album intrisi di quel reggae delle origini: impegnato, popolare e di cuore. Di fronte ad un sound ca-

pace di catturare anche chi non se ne intende, vi lascio al solito qualche consiglio musicale, giusto per avvicinarvi a un artista che si porta dietro tutto un bagaglio culturale di genere, ma che lo personalizza con l’introduzione di elementi inediti (un esempio su tutti l’uso del pianoforte e dei fiati). Tra i tanti titoli voglio ricordare la trascinante denuncia di “Hungry Mouths”, pezzo realizzato con il cantante Henry Poupa, il ritmo di “Justice”, l’atmosfera che si respira in “Dread A Lion” e sì, perché non cominciare proprio dall’ascolto dall’entusiasmo giocoso di “By My Side”? Un universo tutto da scoprire, quindi, che vi aiuterà a portare un po’ di sole nell’autunno che si avvicina! So, Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME movies@artintime.it

L’ ECUME DES JOURS Esistono mille modi per raccontare una storia d’amore. L’abilità dei narratori sta proprio nello scegliere uno di questi rendendolo unico e diverso da tutti gli altri, dimostrando che il passaggio logico da A a B può essere invece un’avventura fantastica e meravigliosa da vivere e scoprire attimo dopo attimo, pagina dopo pagina, fotogramma dopo fotogramma, inquadratura dopo inquadratura. “Moon Indigo – La schiuma dei giorni” (“L’Écume des jours”), il nuovissimo film di Michel Gondry, regista francese, celebre per film come “L’arte del sogno” ( “La Science des rêves”) e “Se mi lasci ti cancello” (“Eternal sunshine of the spotless mind”), è proprio questo. Tratto dal celebre romanzo “L’Écume des jours” del francese Boris Vian, opera narrativa di grande spessore culturale, “Mood Indigo” racconta la storia di due giovani che si conoscono e si amano. Lui, Colin, interpretato da Romain Duris, è il tipico scapolo d’oro, vive di rendita e non deve

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preoccuparsi di lavorare, lei, Chloé, al secolo Audrey Tauotu, è una ragazza come tante, semplice, che attende il suo principe azzurro. Fino a qui niente di nuovo, eppure il surrealismo di Vian e l’abilità registica di Gondry riescono a rendere tutto questo magico. Tra le gambe che si allungano, le scarpe che scappano dal suo padrone, Colin riuscirà ad ammettere di essere innamorato di Chloé e riuscirà a ottenere quel primo appuntamento fissato nel luogo che lei preferisce a Parigi. Non è la Tour Eifelle e nemmeno Versaille, sono i cantieri della metropolitana, simbolo del progresso, della vita che va avanti e non sta mai ferma. I due sono lì, decidono di fare una gita su una nuvola, ed eccoli svolazzare sopra i tetti di Parigi e per le vie della città, per poi fermarsi su una panchina a scambiarsi il primo bacio, troppo breve ma seguito subito da uno più intenso. Il loro amore però è destinato ad affrontare delle sfide, in questo caso si tratta di una malattia, una

ninfea si sta espandendo all’interno del polmone di Chloé, la prima notte di nozze, un polline fa capolino dalla finestra della stanza degli sposi e si annida nel polmone della ragazza. Ecco che quel piccolo fiocco decreta un cambiamento fortissimo nel film. Se nella prima parte abbiamo delle scene molto colorate, caratterizzate da tinte forti e vitali, con una fotografia che gioca con la luce restituendo allo spettatore scene molto luminose, da questo punto in avanti la malattia di Chloé decreta lo spegnimento della vita. La morte entra in casa di Colin, le ragnatele iniziano a formarsi sui vetri che si incrostano, il topolino che vive con loro prova a ripulirli, ma è difficilissimo. Il maggiordomo invecchia a vista d’occhio, il tempo sembra accelerare. Le cure per Chloé sono molto costose e Colin inizia a spendere tutti i soldi del suo patrimonio, deve iniziare a lavorare, ma non sembra proprio esistere un impiego adatto a lui. “Mood Indigo-La schiuma dei giorni” è un film che presenta diverse


MOVIES

letture: in questo mondo surreale e fantastico sono presenti diverse critiche verso la società, verso la chiesa, critiche che nel secondo caso potrebbero anche urtare la sensibilità dello spettatore. Un’altra pesante denuncia è rivolta alle armi da fuoco e alla loro creazione che potremmo qui definire “generazione”, la scelta, in questo caso dello scrittore, di farle crescere grazie al calore umano è sicuramente di grande impatto, esse crescono sotto la terra, riscaldate dall’uomo, una visione surrealista che apre sicuramente le porte alla riflessione del pubblico. È interessante notare inoltre come viene trattata la malattia di Chloé,: viene chiamata ninfea, è un fiore d’acqua, un fiore delicato e molto grazioso eppure in questo caso diventa mortale e destinato a rovinare la vita di molte persone. A

fianco ai due protagonisti poi c’è l’amico di Colin, Chick, l’intellettuale, costretto a fare un lavoro alienante che non gli permette di guadagnare abbastanza soldi per poter acquistare tutti gli scritti del suo autore preferito. Chick è un intellettuale sui generis, di quelli un po’ “pecoroni” che seguono le mode del momento, che saltano sul carro dello scrittore più famoso e più letto solo perché le masse lo acclamano. Lo stile scelto da Gondry è quello della videoarte: marionette, stopmotion, plastilina popolano i suoi set e le sue inquadrature tanto che i primi dieci minuti di film potrebbero risultare spiazzanti e poco piacevoli agli occhi del pubblico, soprattutto del pubblico italiano, poco incline e poco abituato a questo stile. Uno stile che ben si presta al mondo surrealista creato dallo scrittore Boris Vian.

Inevitabile uscire dalla sala un po’ scossi e forse a tratti un po’ tristi, ma sicuramente tra i primi pensieri c’è quello di leggere assolutamente il libro da cui è stato tratto questo surreale e profondamente realistico film: “L’Écume des jours”.

Francesca Cerutti

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ARTINTIME

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POP-ART popart@artintime.it

MR.WANY Bio tratta dal sito web dell’artista

Nato a Brindisi nel 1978, Andrea Sergio inizia il suo percorso artistico con il graffitismo a soli 12 anni, e così nel 1990 è già noto come Mr.Wany, pseudonimo con cui firma i graffiti sui muri della sua città. Diplomatosi al Liceo Artistico, si specializza col massimo dei voti presso la “Scuola Internazionale di Comics” a Roma. Nel 2000 viene assunto come ArtDirector dalla Dynit di Bologna, una delle più importanti case editrici di anime e fumetti giapponesi . Da questo momento in poi lavora come scenografo, fumettista, illustratore, grafico pubblicitario, designer, art director, serigrafo e creativo con qualche breve parentesi anche in veste di producer musicale/talent scout, editore e ballerino professionista. Solo alla fine di tutto questo percorso approda alla pittura nell’abito dell’arte contemporanea e, in 23 anni di graffitismo e street art, arriva a dipingere in meeting in tutta Italia , dalla Sicilia al Piemonte. Ma non è tutto, perché insegna questa cultura in alcune Università e corsi di specializzazione in scuole

private, vince vari contest regionali, nazionali e internazionali e viene invitato come giurato in Italia ed all’estero come uno dei maggiori esponenti della cultura hip hop nel Writing e nella street art mondiale. Realizza art work e progetti per Nike, Adidas, Coca Cola,Casio, Timberland, Wolkswagen, Vibram, Ecko, Ironlak, Red Bull, Mtv Italia, Mediaset, Avis, Toei Animation Japan, Reebok,Eastpack, Rai Sat Smash, Sky. Nel 2005 la sua notorietà esplode, con interviste su giornali, Tv e radio in Italia e all’estero e pubblicazioni su libri, cataloghi e dvd. Anche l’estero non rimane indifferente e l’artista viene invitato a numerosi meeting ed esposizioni in Croazia, Germania, Inghilterra, Belgio, Danimarca, Svezia, Romania, Grecia, Olanda, Austria, Spagna,Francia, Bosnia, Svizzera, U.S.A., Brasile, Argentina, Nuova Zelanda, Malesya, Ecuador, Turchia, Libano e Russia. La sua curiosità e personalità creativa lo spingono a sperimentare tecniche e supporti tra i più svariati; è in questo modo,

infatti, che approda alla tela, portandosi dietro tutto il suo bagaglio artistico di writer, fumettista e grafico pubblicitario. Entra così da innovatore nel circuito più prettamente accademico, partecipando a importanti mostre personali e collettive in gallerie e musei, come la mostra “Sweet Art Street Art” voluta da Vittorio Sgarbi ed Alessandro Riva, presso il PAC di Milano, oppure il MAC (Museo d’arte contemporanea) a San Paulo in Brasile. Nel 2007, dopo molto viaggiare, eccolo in una galleria di Milano, in cui resterà fisso per un anno; è solo dopo questa parentesi che il suo lavoro diventa così richiesto da permettergli di iniziare a lavorare in modo autonomo. Ciliegina sulla torta, dopo due mostre personali di largo successo e numerose collettive internazionali di alto profilo, viene anche invitato a esporre alla 54° ed la 55° Biennale di Venezia.

Ilaria Chiesa

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ARTINTIME books@artintime.it

LIBRI SCOMODI

CHE FANNO RIFLETTERE A volte ce n’è bisogno: libri che non compreresti certo per svagarti o per passare due piacevoli ore mentre il treno sfreccia sui binari. No, “La fabbrica del panico” non è quel genere di romanzo, tutt’altro: è la storia di un’epoca che ha tragicamente segnato l’Italia, condannando intere famiglie alle più atroci sofferenze, galleggianti nella più palese ingiustizia. È la storia dell’acciaieria di Sesto San Giovanni, uno dei tanti, tragici scenari che dal boom economico in avanti si fanno palcoscenici della più tremenda rovina umana, nel vincolo soffocante che intreccia vita, lavoro, salute, salario, dignità e giustizia. Fatti del passato, quando l’amianto non era ancora ritenuto cancerogeno? No, fatti attuali, basti pensare alle vicende che popolano i giornali. Follie di un progresso che conosceva perfettamente i rischi dell’amianto anche negli anni ‘70, ma che preferiva sacrificare vite umane, piccole e grigie esistenze operaie, all’ideologia sorda del guadagno. La fabbrica del panico è un intelligente gioco di parole: una fabbrica, quella vera, l’acciaieria, che produce malattia e morte, dunque panico, ma anche un luogo metaforico che fabbrica fobie, crisi di panico di natura psicologica. Questo luogo immaginario è la situazione che vive il protagonista del libro, trentenne, originario della Valtellina trasferitosi a Milano dove, tra un contratto a progetto

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e l’altro, svolge la sua attività di traduttore, e soffre di crisi di panico. Lo stesso percorso, dalla montagna alla città industriale, lo ha seguito anche il padre, anni prima. Un giovane con velleità da pittore che ha dovuto però sacrificare di fronte alle esigenze economiche, accettando il patto di morte della fabbrica e indossando la divisa dell’operaio. Turni alienanti in una vita non più vita, finalizzata solo all’uscita da quell’incubo. E quando, dopo estenuanti anni, quell’uscita è finalmente arrivata, la fabbrica si è vendicata, macchiando i polmoni dell’uomo, come di praticamente tutti gli altri operai, con il sigillo di morte dell’amianto. Alla malattia del padre, e dopo la sua morte, il panico si è impossessato del protagonista come una morsa che, per essere allentata, ha dovuto immergersi fino in fondo nella sofferenza. Ecco da cosa si origina questa storia: da un tragitto a ritroso, sulle orme di quella fabbrica del panico. Riscoprire la storia del padre grazie a un ex operaio fondatore del Comitato per la difesa della salute, e svelare così la vicenda sotterrata per anni, la pericolosità dell’amianto mai presa in considerazione, la coscienza del pericolo piano piano, con le prime morti e problemi di salute, fattasi strada tra gli operai è per il protagonista l’unico modo ormai possibile di salvare il padre, di riconciliarlo con la sua montagna, con la sua arte, l’amata pittura. Il romanzo è ispirato

a vicende autobiografiche, dalle quali però prende solo uno spunto, per costruire una storia – la storia di Sesto San Giovanni – popolata da figure immaginate ma ricalcate sul reale. Al fondo del libro si trova infatti una bibliografia grazie alla quale l’autore si è documentato per poter ripercorrere davvero sul filo della realtà quella vicenda. Così si fondono documentario, testimonianza e romanzo, in una storia che non è vera, ma che il vero rappresenta nel più fedele dei modi, dalla fonderia, passando per gli esaurimenti e la depressione delle stanze operaie, per le corsie d’ospedale, e approdando in tribunale. È lì, nelle aule, che quasi trent’anni dopo la carneficina ha avuto luogo uno dei tanti processi in difesa delle vittime dell’amianto. Presenti mogli e familiari che, come se già la scomparsa dei propri congiunti causata dalla più grande delle ingiustizie sul lavoro non bastasse, hanno dovuto sopportare troppo spesso condanne ridotte alle aziende responsabili di tutto quel male, di tutta quella tragica e inutile sofferenza umana. La critica ha paragonato Valenti al più maturo Volponi, scrittore “delle fabbriche”. Ma quella stagione del Novecento è finita, e se gli echi di questo romanzo rimandano certo a quella letteratura, il giudizio odierno non può che guardare al valore di testimonianza, fondamentale e imprescindibile per un futuro migliore in cui il lavoro coincida solo con la vita.

A lessandra Chiappori


BOOKS “Ha cominciato a morire in primavera mio padre, quando pensava a una nuova stagione di pittura e immaginava una serie di quadri più belli e importanti di quelli dipinti negli anni precedenti […] Ha cominciato a morire quando ha aperto nella mente la porta dell’inconsistenza, quando su di lui si è abbattuta la mancanza di senso, quando si è diffusa invadendo tutti gli spazi rimasti estendendosi ben oltre ogni ragionevole possibilità” Stefano Valenti, “La Fabbrica del panico”, Feltrinelli, 2013

Stefano Valenti Ci vuole coraggio per scrivere certe storie, ci vuole “stomaco” per saperle raccontare e far emozionare, e Stefano Valenti ha dimostrato di avere entrambi. Classe 1964, figlio di uno di quegli operai che hanno dovuto lasciarsi alle spalle la benevola natura montana della Valtellina per un’esistenza fatta di città, grigiore e fabbrica, Valenti, che come il protagonista del suo libro ora vive a Milano e lavora come traduttore, ha reso il suo primo romanzo uno straordinario esempio di documentario mascherato da narrazione e al contempo di storia radicata nel reale, forse l’unico modo per ricordare quegli eventi con un nuovo e mai esauribile vigore.

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ARTINTIME series@artintime.it

SERIE TV:

LA NUOVA STAGIONE E’ ALLE PORTE . . . Siamo finalmente arrivati alla nuova stagione e allora sotto con le novità di questo autunno-inverno 2013. IRONSIDE BC ogni mercoledì dal 2 ottobre Trama: Da un successo del canale anni ‘70 ecco un reboot che potrebbe funzionare nella nuova stagione tv. Robert Ironside (Blair Underwood) è un detective della polizia di New York da due anni è paralizzato e costretto su sedia a rotelle. Stava inseguendo un sospetto quando un proiettile ha raggiunto la sua spina dorsale. Questo però non gli ha impedito di continuare a fare il suo lavoro con la stessa determinazione e passione di un tempo. Con lui lavorano Teddy (Neal Bledsoe), Virgil (Pablo Schreiber), Holly (Spencer Grammer) e l’ex partner Gary (Brent Sexton), nonché il loro capo Ed Rollins (Kenneth Choi). Robert, ovviamente, non si è dimenticato di quello che gli è successo e un giorno spera di ottenere giustizia.

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La prima impressione: ebbene sì, l’ennesimo poliziesco, l’ennesimo poliziotto che vuole giustizia, ma la diversità rispetto a tanti predecessori è proprio la condizione in cui versa il protagonista, che è dannatamente bravo nel suo lavoro, ha un intuito eccezionale ed è circondato da agenti determinati e competenti quanto lui. E poi, un accenno di trama orizzontale conquista già dal pilot. SLEEPY HOLLOW FOX ogni lunedì dal 16 settembre Trama: Ichabod Crane (Tom Mison) si risveglia dopo 250 anni dalla sua morte, per scoprire che il mondo è in pericolo e lui è l’unico che può salvarlo. Così inizia a collaborare con la poliziotta Abby Mills (Nicole Beharie) e cerca di capire in che modo può salvare l’umanità. Insieme a Ichabod è arrivato anche il cavaliere senza testa, che ha compiuto una serie di efferati delitti a Sleepy Hollow.

Ichabod quindi scopre che deve ucciderlo perché è la reincarnazione del Primo Cavaliere dell’Apocalisse. Ambientarsi nel mondo moderno non è facile per Crane, e intanto viene trovato ucciso lo sceriffo August (Clancy Brown) che per Abbie è come un padre. La ragazza è disperata e giura che farà di tutto per vendicarlo, trovando come aiuto proprio Crane. Un inaspettato nemico è il Capitano Frank Irving (Orlando Jones), che ritiene Crane e la Mills due pazzi scriteriati senza speranza. Ma Ichabod ha un asso nella manica: la defunta moglie Katrina (Katia Winter), che ogni tanto gli appare in visione e lo aiuta nella sua missione. La prima impressione: Uno dei pilot più intriganti visti fin’ora. Certo, stiamo parlando di una serie fantasy, non di un capolavoro, e dopo un episodio è comunque difficile dare un giudizio, ma credo che l’unica cosa che posso criticare è che sia già finito. Due protagonisti bravi e con una chimica notevole, com-


SERIES

Per oggi è tutto, la prossima volta arrivano gli attesissimi Agents of S.H.I.E.L.D., The Blacklist e Hostages.

primari interessanti, il tutto condito da una trama intrigante, un po’ di ironia, mistero e qualche colpo di scena che non vi svelo di proposito. MASTERS OF SEX Showtime ogni domenica dal 29 settembre Trama: Tratto da una storia vera. William Masters (Michael Sheen) è un noto docente specializzato in ginecologia e ogni giorno ha pazienti che aiuta nella loro gravidanza. Lui e sua moglie Libbie (Caitlin Fitzgerald) stanno cercando di avere un figlio e, come per le sue pazienti, William fa ricorso a tutta la sua conoscenza per riuscirci. A livello professionale, sta anche cercando di fare approvare un suo studio elaborato con l’assistente Virginia Johnson (Lizzy Caplan). Ma il Rettore tentenna e prende tempo, così Masters decide di iniziare di nascosto un reclutamento di volontari per avere le risposte che cerca.

Manuela Raimo

La prima impressione: intrigante e particolare, perché ambientato in un periodo in cui parlare di sessualità era giudicato volgare e inopportuno, mentre i protagonisti non hanno nessun problema a farlo, a porsi domande e a cercare le risposte.

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IL BUCINTORO DEI SAVOIA: L’ARTE SI FA SPETTACOLO Alle Scuderie Juvarriane della Reggia di Venaria è ospitato un singolare pezzo d’arte, unico protagonista di un allestimento dichiaratamente spettacolare: una barca lunga 16 metri e pesante oltre 5 tonnellate, la Barca Sublime, il Bucintoro dei Savoia. Siamo attorno al 1730 quando Vittorio Amedeo II di Savoia commissiona ai cantieri veneziani il suo Bucintoro, la barca da parata usata dai dogi e ormai diventata di moda presso diverse corti europee. Così nasce questa magnifica imbarcazione, decorata all’esterno con sculture lignee e figure ad alto e basso rilievo –tutto rigorosamente dorato- e arricchita all’interno da pitture con scene celebrative di Casa Savoia. Ad aprire questa sfavillante parata poi, scolpito a prua, ci pensa Narciso, il mitologico giovane innamorato dell’immagine di sé stesso, che si sporge in avanti per specchiarsi nelle acque del Po. Concepita come prezioso palcoscenico galleggiante, la Barca Sublime ha rappresentato l’immagine sfarzosa della corte piemontese in diverse occasioni cerimoniali, per poi essere donata da Re Vittorio Emanuele II alla città di Torino. Dal Valentino la barca si trasferisce al Museo Civico, e dal Museo Civico –dopo i lavori di restauro- alla Venaria Reale dove è possibile ammirarla oggi. Decisa-

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mente peculiare la scelta di allestimento, concepito come vero e proprio spettacolo che si replica ogni 40 minuti per i visitatori. Con i suoi pro e i suoi contro. Particolarmente interessanti i filmati introduttivi proiettati nella zona di anticamera, quando descrivono il delicato lavoro di restauro della barca senza risparmiare, perché no, qualche tecnicismo: si mostra il modo di procedere per “tasselli di pulitura” mettendo in evidenza i “pentimenti” e i “disegni preparatori” delle decorazioni pittoriche, si forniscono nozioni sulle composizioni chimiche dei pigmenti usati…un modo intelligente per far sentire i visitatori un po’ più “addetti ai lavori” e per far meglio apprezzare l’opera riportata al suo originario splendore. Lo spettacolo vero e proprio inizia e attraverso alcune sale multimediali si giunge finalmente allo spazio buio dove è collocato il Bucintoro che, illuminato improvvisamente in un crescendo musicale (Vivaldi, veneziano anche lui), appare in tutto il suo splendore riflettendosi su un tappeto di specchi che finge l’acqua. La suggestione è innegabile e l’intento primario della mostra -quello di far spalancare gli occhi ai visitatori- è sicuramente raggiunto. E tuttavia, dopo questo primo momento in cui viene svelata la barca, la sala rimane per lo più in

penombra e le decorazioni interne del Bucintoro sono solo intraviste, non essendo possibile avvicinarsi più di tanto per non calpestare gli specchi. Sembra quasi che sul momento di conoscenza vero e proprio che deriva dal contatto diretto e ravvicinato con l’opera d’arte abbia prevalso quello più emozionale e inevitabilmente più superficiale della mera spettacolarizzazione. È dunque lecito, anzi è nostro dovere porci la seguente domanda: se, cioè, mostre concepite in tal senso non rischino alla lunga di appiattire il senso critico del visitatori, riducendoli a meri spettatori di uno show. Tuttavia, mettendo da parte tali riflessioni su cui già molto si dibatte, non possiamo non segnalare l’eccezionale capolavoro esposto alle Scuderie Juvarriane di Venaria, la Barca Sublime. E, quasi dimenticavamo, ancora più imperdibile in quanto unico esemplare settecentesco di Bucintoro sopravvissuto fino ad oggi. Vedere per meravigliarsi.

Roberta Colasanto


UNCLASSICART

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ARTINTIME

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TEATRO teatro@artintime.it

CODICE IVAN:

TEATRO E PARTECIPAZIONE ATTIVA “…Siamo solo qualcuno che fa qualcosa davanti alla gente che guarda…” e la gente, la quotidianità, il vissuto tra pubblico e privato è ciò che interessa a Codice Ivan, trio alto atesino che, pur giovane, sta percorrendo il tessuto sociale con il teatro e le arti performative. Attraverso lo studio degli aspetti fondamentali che caratterizzano l’uomo e il suo passaggio nel mondo, Codice Ivan ha realizzato progetti che esulano dal palcoscenico e si realizzano per strada, in luoghi non convenzionali e, non da meno, nelle case private dei cittadini. Codice Ivan indaga la decadenza dell’identità, la vita sopra la morte, la felicità e il suo valore politico nella società attuale, i limiti tra il male e il bene, tra la vittoria e la sconfitta di ogni giorno. Il processo di sviluppo degli studi del gruppo parte da una riflessione teorica e oggettiva, osservando l’evoluzione dell’uomo: la morte non è raccontata in quanto evento di non vita, ma come

presenza-assenza che coesiste in ciascun frangente dell’esistenza, che sfalda passo dopo passo l’identità dell’essere umano, consumandolo. Attraverso il lavoro sul corpo dell’attore e gli oggetti che lo circondano, Codice Ivan ricrea la distruzione, che è fisica e linguistica; la morte non è fine di tutto, ma rinascita in altre forme e nuove possibilità. Si invita il pubblico a riflettere sulla scelta di vivere fino in fondo la propria vita, con la consapevolezza che le morti quotidiane, le cadute e gli errori siano la frattura dalla quale, luminosa, fa capolino l’essenza del vivere. Codice Ivan propone un teatro contemporaneo che rimanda alle esperienze europee dell’avanguardia: l’uso dei cartelli, le fotografie e le video proiezioni parlano da sé e raccontano della gente comune, dei suoi desideri, delle sue idee coinvolgendo direttamente il pubblico che diventa protagonista. E così si sono realizzati, per esempio, i progetti “The city

of happiness” e “Tank Talk”: due esperimenti performativi fuori dall’ordinario, che hanno varcato la soglia del teatro e si sono realizzati in strada. In “Tank Talk” un performer scende nel traffico cittadino con un sacchetto in mano, richiamando l’immagine del giovane di Piazza Tienanmen. Imita i movimenti delle automobili, sussurra parole si fa presente nei luoghi di vita. Il performer non sa cosa potrà accadere incontrando l’altro, la reazione del pubblico è imprevista, ma necessaria per rivolgere un messaggio preciso: restare, non fuggire, confrontarsi, aspettare. Codice Ivan ha vinto i premi Scenario 2009 e Transart Prize 2011.

Barbara Mastria

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ARTINTIME QUATTRO CHIACCHIERE CON.. Michelangiolo Maffucci Dal 2012 suona nell’orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, il suo violoncello è un “Giovanni Cavani” della fondazione Maggini di Lagenthal e lui, classe 1986, si chiama Michelangiolo Maffucci, è nato a Torino e ha iniziato la sua carriera musicale diplomandosi al conservatorio di Cuneo. Alla sua giovane età vanta già tantissime importanti esperienze che lo hanno condotto in giro per l’Italia e il mondo con il suo strumento: primo violoncello nell’orchestra sinfonica Alfredo Catalani di Lucca e nella sinfonica siciliana, ha collaborato con la Filarmonica di Torino, la sinfonica della Valle d’Aosta, l’orchestra d’Archi della “De Sono”, e sono altrettante le collaborazioni e i festival che lo hanno visto tra i protagonisti. Tutto questo senza dimenticare la formazione, che lo ha portato a perfezionarsi al conservatorio di Torino e al Mozarteum di Salisburgo. Ma com’è davvero essere un giovane talento della musica classica? Lasciamo che ce lo racconti Michelangiolo. Quali sono stati i tuoi ultimi impegni musicali?

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Ultimamente sono stato impegnato ancora una volta in veste di studente. Finita la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, ho preso parte a numerose masterclasses con maestri di chiara fama tra i quali spiccano i nomi di Natalia Gutman (grande concertista di fama mondiale), Giovanni Gnocchi, concertista nonché il mio professore al Mozarteum di Salisburgo al quale ho avuto l’onore di fare da assistente, Enrico Dindo anche lui concertista di fama mondiale e Alfredo Persichilli, concertista e primo violoncello del teatro alla Scala di Milano. Inoltre, all’interno di queste masterclasses, ho avuto modo di esibirmi più volte in concerti inseriti nei festival musicali del posto. È stata una bella estate piena di impegni! Da che età suoni e quali sono state le prime esperienze importanti in campo musicale? Suono il violoncello dall’età di 5 anni e la primissima esperienza importante in campo musicale l’ho avuta a 14 anni quando, grazie a un maestro dal quale avevo preso delle lezioni e da cui mi sono perfezionato

in seguito, sono stato invitato al festival per giovani musicisti “Classical in Styria” di Graz. C’erano ragazzini come me che venivano da ogni parte del mondo: Olanda, Francia, America, Russia ecc. E ognuno di noi ha avuto modo di suonare qualche brano in svariate occasioni. Personalmente eseguii i primi due movimenti della sonata in mi minore op. 38 di Brahms. Fu una bellissima esperienza grazie alla quale per la prima volta venni in contatto con altre realtà. Perché hai scelto il violoncello? Il motivo per cui scelsi il violoncello era perché si sta seduti. All’epoca ero piccolo e la scuola di musica che frequentavo, il Suzuki talent center di Torino, prevedeva che giunti ai 5 o 6 anni si dovesse scegliere tra violino e violoncello. Non avevo minimamente idea delle differenze di suono o di caratteristiche che c’erano tra i due strumenti e così operai la mia scelta in base alla comodità della cosa. Solo più tardi mi resi conto della bellezza della voce del violoncello e dell’unicità delle sue capacità espressive… non c’è mini-


INTERVISTANDO...

mamente paragone con il violino!! Orchestra sinfonica, quartetto d’archi, solista: quali di queste esperienze hai fatto, e come cambia in ognuna di queste il rapporto con la musica e con lo strumento.” à “come cambia in ognuna di queste il rapporto con la musica e con lo strumento? Ho fatto tutte e tre queste esperienze. Ovviamente l’orchestra sinfonica è quella che ho praticato più volte perché collaboro con l’orchestra della Rai. Il rapporto con la musica è sempre lo stesso, che si suoni in orchestra, da solista o in qualsiasi formazione cameristica. Bisogna cercare di essere il più umili possibile di fronte al pezzo di storia che ci ha lasciato il compositore e di fronte alla sua grandezza. Non bisogna mai porre se stessi davanti alla mu-

sica. Dobbiamo intuire cosa voleva il compositore sulla base di quello che c’è scritto sulla parte, di quello che sappiamo riguardo a lui, al pezzo e a seconda di quello che ascoltiamo e apprendiamo da ciò che sentiamo intorno a noi. Su questo costruiamo la nostra interpretazione. Cercando di imitare il più possibile il canto, la voce umana e studiando molto. Il rapporto con lo strumento invece cambia di volta in volta, a seconda della formazione in cui si suona e anche a seconda dei partner con cui stai suonando. In orchestra si deve avere un suono non individuale e bisogna cercare di fare gruppo con tutta la fila, da solista invece bisogna avere una presenza dominante sul resto dato che si è i protagonisti, mentre per il quartetto e la musica da camera (nella quale includo anche il duo violoncello – pianoforte) bisogna essere in grado di fondere il

proprio suono con quello degli altri, ma anche essere protagonisti al momento opportuno, e bisogna riuscire a stare con gli altri, cosa non sempre facile, soprattutto se si hanno caratteri diversi che ovviamente si rispecchiano nel modo di suonare. Riesci a descrivere l’emozione che si prova su un palco, men-

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ARTINTIME

tre si suona musica dal vivo? Personalmente credo che sia impossibile descrivere le emozioni. Ognuno di noi ha il suo mondo interiore, il suo modo di vivere e di interagire con gli eventi che lo circondano, di manifestare stati d’animo e sensazioni, e descrivere oggettivamente qualcosa di estremamente personale come un’emozione credo sia impossibile. La realtà sensibile è pura interpretazione di eventi che si susseguono, che elaboriamo in base alle nostre esperienze passate, al nostro modo di essere, alle nostre categorie di pensiero. E la nostra personale interpretazione che si manifesta tramite le azioni e le emozioni non credo sia spiegabile in due parole. Certo è che quando si è sul palco c’è sempre un po’ di tensione. Si è alla resa dei conti. Dopo settimane, mesi, anni

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di studi finalmente ci si mette alla prova e c’è una sola chance… Non bisogna rovinarla! Ma c’è anche una gran voglia di suonare, di divertirsi e di godere della musica che si sta facendo. Una bella sensazione nel complesso! Quanto tempo dedichi allo studio e come riesci a gestire la tua vita privata? Dedico molto tempo allo studio, ogni giorno cerco di ritagliarmi almeno 3 ore. Al di là dello studio dello strumento c’è anche tutta una parte di studio “culturale”, se così possiamo definirlo, e quello è tutto il resto del tempo che rimane. Ci si documenta, si ascolta, si legge la partitura e si studia. Poi tra un collegamento e l’altro si finisce nella matematica, nella logica o nella letteratura. Ci si può sbizzarrire in mille modi!

La vita privata riesco a gestirla bene perché per il momento non vivo con la mia ragazza. Inoltre lei è di Padova, siamo distanti e quindi non ci vediamo spesso. È difficile gestire la lontananza ma per quanto riguarda lo studio non ho problemi. Gli amici sono musicisti anche loro e siamo sulla stessa barca. Si studia molto di giorno e, se ci si vede, è la sera sul tardi per stare assieme e confrontare le proprie idee tra una birra e una barzelletta! Cosa rappresenta per te la musica? Non dico “tutto” perché non sarebbe vero. La musica è moltissimo: è la mia grande passione, il mio mestiere, una cosa che ho sempre fatto e che mi è sempre piaciuta, un modo per stare assieme, per divertirsi e soprattutto un modo di essere.


INTERVISTANDO... Quando si suona soli, nello stanzino mentre si studia, lì si è veramente se stessi, non si può barare! Quali sono i tuoi compositori preferiti e che suoni più volentieri? Ho una grande passione per i classici: Mozart, Beethoven.. Bach tornando un po’ indietro nel tempo. Ma ho anche una sconfinata ammirazione per i romantici come Schumann, Brahms e andando avanti con gli anni per Shostkovich e Strawinsky. Non ci sono autori che suono più volentieri. Quando devo suonare un pezzo, quello è l’autore che suono più volentieri. Credo ci si debba sforzare sempre al massimo in quello che si sta facendo. Certo a volte alcuni pezzi farei volentieri a meno di suonarli, ma non importa, bisogna calarsi il più possibile in quello che si sta facendo. Fuori dalla tua professione che musica ti piace ascoltare? Fuori dalla mia professione mi piace ascoltare sempre musica classica. Ci sono stati periodi in cui ascoltavo gruppi che hanno fatto la storia come i Queen, gli Aerosmith, i Beatles o altri ancora, ma sono stati brevi. Forse è un mio grosso limite, ma non riesco a trovare nulla che sia all’altezza o che mi dia tanto quanto riesce a darmi la musica classica. Progetti e ambizioni per il futuro, prossimo e non solo? Le ambizioni sono molte, nel mio piccolo cerco di tenerle sempre molto alte perché credo che solamente tenendole molto al di sopra delle nostre capacità possiamo sperare di superare un limite e di fare un passetto in avanti che magari agli occhi degli altri è piccolo, ma per noi è enorme. Per quanto riguarda i progetti c’è sicuramente quello di costruirmi una vita e magari

una famiglia in futuro, chissà... Mi piacerebbe molto poter prendere il diploma di composizione e potermi dedicare allo studio di molte cose che mi interessano anche se il tempo è quello che è. Vedremo cosa riuscirò a fare!

Alessandra Chiappori

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ARTINTIME music@artintime.it

ARTUROCONTROMANO È il lontano 1999 quando sei amici che si divertivano a suonare insieme decidono di fondare un gruppo, gli Arturocontromano; siamo nel 2013 e loro continuano a fare musica. È il caso di saperne di più. Nati come band ska, già da subito dimostrano parecchio talento al punto da finire su numerosi palchi a fianco di band note come gli Shandon, le Pornoriviste e i Punkreas. Il genere ska, però, non basta alla formazione di Torino e nel 2003 ne danno prova con l’uscita del loro primo lavoro: “La voce di Arturo. Incursioni reggae e rock impreziosiscono questo album d’esordio, che arriva a contare le mille copie stampate (ed esaurite) in meno di un anno. È da qui che partono una serie di partecipazioni a festival e competizioni di prestigio come Piceno On The Rock, in qualità di rappresentanti del Piemonte, e la rassegna pop rock Senza Etichetta; a questo si aggiunge una presenza come gruppo d’apertura del concerto della famosa band ska francese Skaface. Un esordio in grande stile quello degli Arturocontromano, che, forti delle nuove esperienze, nel 2007 fanno uscire il loro secondo lavoro: “In Armonico Disaccordo”. Un nome che richiama le dinamiche interne del gruppo, nuove sperimentazioni, l’aggiunta di una punta di funky e un album che li porta a fianco degli Hormonauts,

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di Tonino Carotone e di Bunna (frontman degli Africa United). Non si fermano qui: radio 105, dirette su Rai Radio1 e partecipazioni al concerto del 1° maggio a Torino. Un’ascesa sempre più vorticosa li porta a incrociare il loro percorso musicale con la rassegna del Reset Festival, palcoscenico unico che, per alcuni giorni, fa risuonare le piazze della capitale sabauda delle note degli artisti emergenti. È un connubio fortunato, tanto che è proprio l’etichetta musicale _Reset a firmare il loro album successivo, “Quello che ci resta”. Abbandonate in parte le grandi tematiche sociali, in quest’ultimo lavoro troviamo una formazione più matura con uno sguardo più intimo, personale. Sempre notevoli le soluzioni armoniche che prendono per mano l’ascoltatore e lo portano a scoprire tra una crisi e l’altra quello che ci resta, ovvero tante piccole sicurezze, tante speranze che fanno un po’ da rifugio in un momento instabile come quello attuale. Curato negli arrangiamenti da Marco (Liba) Libanore, l’album non dimentica l’autoironia tipica della formazione torinese e uno stile in continua evoluzione che riesce a favorire la massima libertà di espressione di ogni componente della band. Capaci di disorientare a un primo ascolto, gli Arturocontromano nascondono una vera miniera di creatività; per aiu-

tarvi quindi ad avvicinarvi a questo gruppo che tratta in modo originale argomenti non sempre semplici, vi consiglio di leggere l’intervista che la band ha rilasciato nella nostra panchina degli ospiti al Reset Festival (che potete trovare sul nostro sito www.artintime.it): sarete conquistati del tutto! Se non vi bastasse, inoltre, potrete apprezzare la formazione al completo in un inedito live il 25 ottobre al circolo Arci The Hustler a Torino; in quest’occasione, oltre a gustarvi una versione acustica dei brani della band, potrete anche ammirare la mostra fotografica di Valentina Pasqualino, che con l’aiuto della sua macchina fotografica e di alcuni stralci di testi ha reinterpretato la musica degli Arturocontromano. Un connubio di suoni, immagini e arte, a testimoniare come il gruppo tenda continuamente a sperimentare. Nell’attesa, se non sapete più da dove cominciare, vi lascio qualche spunto: la melodia di “Densacondensa”, l’atmosfera onirica di “Fuori gridano e sparano”, la ritmica funky “Psicanalisi” e l’energia del rock, sullo sfondo di giornate ripetitive, di “E’ ancora mattino”. Are you ready? Enjoy!

Angelica Magliocchetti


MUSIC

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ARTINTIME books@artintime.it

“PICCOLE DONNE” AI GIORNI NOSTRI

“Lo sorelle Ribelli” ha nel titolo un divertente inganno. Perché si tratta, a tutti gli effetti, di tre sorelle di indole decisamente ribelle, che fin da giovanissime decidono di abbracciare gli ideali sessantottini di parità tra i sessi, di emancipazione femminile, e da un piccolo paese di provincia in Provenza si trasferiscono a Parigi, dove passeranno la loro vita, tra novità, spostamenti, carriere che si delineano, amori che vanno e vengono. Ma ribelli non è solo l’aggettivo qualificativo più adatto a Jeanne, Brigitte ed Elsa, le tre sorelle che di cognome fanno proprio così: Ribelli, eredità italiana trasportata in Francia dai nonni. È all’insegna di questa narrazione spesso ironica, sempre frizzante e incalzante che scorrono veloci e intense le pagine del romanzo, un inno alla vita che scavalca anche i momenti tristi per trascinare le protagoniste e il lettore in una grande saga dei giorni nostri. Non a caso la critica ha definito il romanzo della Atlas “un piccole donne dei giorni nostri”, perché il libro ha tutti i caratteri della grande vicenda familiare: tre sorelle intorno alle quali ruotano i genitori e la zia, i vicini di casa del paesino in Provenza e le nuove conoscenze parigine, consolidate in gioventù e, più o meno stabilmente, ricorrenti lungo tutta la storia. Non è solo questione di allestimento del sistema dei personaggi, perché la Atlas crea un vero e proprio mondo, fatto di emozioni e di crescita, un universo con i suoi alti e bassi, problemi e succes-

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si, che ci coinvolge, ci fa sentire un po’ a casa, nella vita di tutti i giorni. Il romanzo fa partire la storia nel 1969, per poi spezzarla ogni tot di anni e riprenderla nel decennio successivo: passiamo così dal fermento libertino del dopoguerra agli anni ’70 e ’80, con la sentita ascesa del presidente socialista Mitterand e i festeggiamenti per il doppio centenario della Repubblica francese, e finiamo nel 2001, in diretta dall’attacco alle Torri Gemelle, nell’abbraccio che racchiude simbolicamente la storia del più recente Novecento. Sullo sfondo della Storia che si snoda imperturbabile, le esistenze delle ragazze, via via diventate donne. Quei loro forti e giovani ideali adolescenziali saranno costretti, nella grande città, inframmezzati dalle vicende inaspettate che la vita regala, a stemperarsi, a ridefinirsi, fino anche a cambiare significativamente e fare di ciascuna delle tre una persona differente da quella che si credeva in origine. Nel fluire delle loro vite, però, le sorelle Ribelli continuano a mantenere vivo il loro legame, qualsiasi cosa accada loro, qualsiasi crisi attraversino, così che davvero ripensiamo a “Piccole donne” leggendo della forza d’animo della maggiore delle tre, dei capricci femminili della seconda e della delicatezza fragile della terza. È davvero una saga al femminile, moderna per il suo approccio a quello che era nato come “femminismo”, raccontato qui non tanto con le descrizioni delle manifestazioni di piazza,

quanto con la concretezza della vita stessa delle tre Ribelli, tre donne del secondo Novecento, tre donne libere, pienamente figlie di un tempo, il loro, che hanno più che mai saputo e voluto vivere, indifferenti al pregiudizio e assolutamente fedeli a un ideale. Nonostante le difficoltà, nonostante gli ostacoli posti dalla vita, le Ribelli si sono lanciate nel fermento della loro epoca, forti di uno slancio di novità ed emancipazione, ma anche di un legame familiare che poi, da adulte, le ha sapute sempre riaccogliere e far uscire a testa alta da ogni problema. Non c’è fidanzato, marito, amico, figlio, personaggio secondario che tenga il passo: in questo affollato ritratto di un’epoca, le protagoniste assolute restano sempre loro, che danno il titolo al romanzo: le tre sorelle, i loro tre caratteri e approcci al mondo, il loro percorso iniziato in un punto e deviato, a seconda delle occorrenze, in modi spesso non previsti e non pensati. E come per tutti i grandi romanzi, il lettore si affeziona ai personaggi così ben delineati, si emoziona nel seguire le vicende di ciascuna sorella, si preoccupa nel vederle abbattute e ostacolate e ogni tanto pensa anche, insieme a tutti coloro che ruotano intorno al mondo mai stabile delle Ribelli, che quelle tre siano forse un po’ pazze, sognatrici, mine vaganti. Il fatto è che sono libere, libere come solo

A lessandra Chiappori


BOOKS delle Ribelli. “Alzò gli occhi verso la grande indifferente, lassù. Colei che aveva osservato nel dettaglio le sorti delle sorelle Ribelli. La Sainte-Victoire. Fiera e nuda. Jeanne sentiva la montagna spingerla alla conquista della città. E fu presa dal panico: tutti quei giovani che facevano la rivoluzione a Parigi l’attraversavano come un amante. Esprimevano le sue stesse sensazioni, i suoi stessi desideri. Ma dove incontrarli? Come conoscerli? Chi di loro si sarebbe preso la briga di ascoltare la voce provinciale di Jeanne Ribelli, appena uscita da La Marouette, piccolo agglomerato di case a quindici chilometri da Aix-en-Provence?”

Corinne Atlas, “Le sorelle Ribelli”, E/O, 2013.

Corinne Atlas Al suo primo romanzo, finalista al prestigioso Prix Maison de la Presse 2012, Corinne Atlas non è però nuova all’arte della scrittura. Autrice di cinema e televisione (tra le sue sceneggiature, episodi di “Salut les homards”, “La famille formidable”, “Le triporteur de Belleville”, “Le temps de la désobéissance” che le hanno fatto ottenere dei riconoscimenti) vanta in curriculum anche un’immersione nel mondo del teatro grazie all’esperienza con il collettivo “Compagnie del la grande cuillère” e al One man show con Michel Boujenah, già al suo fianco nell’esperienza del collettivo.

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ARTINTIME fromlondon@artintime.it

UPSIDE DOWN –

THE DALSTON HOUSE EXPERIENCE “Upside down Who’s to say what’s impossible and can’t be found […] There’s no stopping curiosity I want to turn the whole thing upside down I’ll find the things they say just can’t be found” While I am queuing at the entrance of the Dalston House, the folkrock lyrics of Jack Johson big hit are stuck into my mind. In front of this interactive installation made by the Argentine artist Leandro Erlich I feel like a kid ready to play an imaginary game. I am curious, thrilled, impatient. The big façade of a Victorian terraced house is recreated on the ground, lying on the foundations of a house destroyed by bombing during the Second World War. The illusion that attracts all the visitors is obtained thanks to a huge mirror hanging at 45 degrees. His reflection will show you scaling the building vertically like an extemporary Spiderman. That’s the greatest part, if you survive the hour of queue, first of all you can prove your skills and show your best choreography to the waiting crowd in addition you’d be entertained by surprisingly talented (or just well organized) small groups of people and their intricate poses. Rules are simple: no more than 5/6 people are permitted to access the horizontal area, your time frame is 5 minutes within you can do whatever you want and take as many pictures as you can, hopefully without stepping into each other toes while doing that. I personally wit-

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nessed some extremely awkward positions (don’t go with a skirt, please), very successful ones, like a mum saving her 3 months old child from “falling”, and truly funny attempts of being original (in this case accessories play a big part). The gold medal goes to a bunch of girls, age less then 18. They were: a) fast b) equipped c) motivated d) efficient. They ended up with, at least, 10 professional photos where they performed either credible situations or absurd ones. As you can see from the pictures I tried. The decision procedure was frantic, the result hilarious. Don’t you want to know how does it feel to look the world upside down? Mi gira in testa una canzone, mentre osservo la lunga coda che si profila davanti a me. “Upside Down” di Jack Johson. Sto aspettando il mio turno per accedere all’istallazione interattiva dell’artista argentino Leandro Erlich. Un misto di emozioni mi scivola dentro, mi sento come un bambino prima di cominciare il suo gioco immaginario preferito. Sono curiosa, eccitata, impaziente. Di fronte a me l’enorme facciata ricostruita di una casa in stile vittoriano giace sul terreno, proprio sulle ex fondamenta di una vera dimora della stessa epoca, distrutta dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. L’illusione che attrae tutti i visitatori, me compresa, è ottenuta grazie a uno specchio gigante inclinato di 45° rispetto alla facciata. Il riflesso vi mostrerà la vostra immagine mentre scalate il palazzo verticalmente, come un improvvisato

Spiderman. Questa è la parte più divertente, se sopravvivete all’ora di coda, per prima cosa avrete l’occasione di impressionare la folla in attesa con le vostre migliori coreografie e in più, prima del vostro turno, sarete intrattenuti da talentuosi (o semplicemente molto ben organizzati) piccoli gruppi di persone e dalle loro intricate pose. Le regole sono semplici: alla parete non possono accedere più di 5/6 persone contemporaneamente, il lasso di tempo concesso è di 5 minuti durante i quali potrete fare ciò che volete e scattare quante foto desiderate, sperando di non intralciarvi l’un l’altro all’apice del momento creativo. Ho assistito a posizioni del tutto assurde (non è il posto adatto per le minigonne, fidatevi!), altre più di successo, come quella elaborata da una mamma che finge di salvare il suo bambino di 3 mesi da un’orribile caduta, e tanti divertenti tentativi di originalità (in questi casi sono gli accessori a farla da padrone, come libri, ombrelli, ecc…). La medaglia d’oro va senza dubbio a un gruppo di ragazze intorno ai 18 anni. Sono state: a) veloci, b) equipaggiate, c) motivate e d) efficienti. Sono riuscite a portare a casa almeno una decina di scatti professionali, dove si esibivano in situazioni estremamente credibili o incredibilmente assurde. Come potete notare dalle immagini ho provato anch’io l’ebbrezza della Dalston House experience. La procedura decisionale delle pose è stata frenetica, il risultato spassoso. E voi, non siete curiosi di sapere come ci si sente a guardare il mondo sotto sopra?

Cristina Canfora


FROM LONDON

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ARTINTIME popart@artintime.it

STEFANO PERRONE Classe 1985 e attuale art director di McCann, Stefano Perrone è laureato in industrial design al Politecnico di Milano e specializzato in art direction allo IED. La passione lo avvicina alla pittura, ambito in cui produce un notevole numero di tele astratte e materiche; ben presto però si accorge di essere insoddisfatto dei suoi lavori. Si dedica allora a collage manuali e digitali, realizzando ritratti e soggettive che mescolano fotografie d’epoca, personali, figure geometriche e vettoriali, tonalità contrastanti, patterns materici e tutto ciò che più lo convince. Caratteristica curiosa dei suoi lavori è la presenza di soggetti sempre senza volto a causa di una perdita d’identità derivante da qualcuno o da qualcosa. Contro la digital art, Perrone resta attaccato alla pittura, suo piacere personale, ritraendo soggetti e ritratti di ispirazione cubista. Nel 2013 realizza il progetto “Mi suishido”, una collezione di 20 illustrazioni fine art in cui dei bocconcini di sushi cercano di farla finita in modi creativi; il lavoro si rivela piuttosto fruttuoso e con una diffusione virale sui social media.

Ilaria Chiesa

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POP-ART

www.stefanoperrone.com

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ARTINTIME movies@artintime.it

THE BLUE UMBRELLA Era dai tempi di “Mary Poppins” che un ombrello non aveva una parte così importante all’interno di un film Disney, in questo ultimo periodo sta avendo un ruolo di spicco un simpatico ombrello giallo nella serie “How I Met Your Mother”, ma quanti sono andati al cinema a vedere “Monster Academy” hanno potuto conoscere il nuovo parapioggia del momento, il simpatico ombrellino blu del cortometraggio Pixar “The Blue Umbrella”, realizzato dal giovane ed esordiente Sascha Unseld. L’intento del regista, come ha comunicato nelle varie interviste, non era soltanto quello di narrare la love story dei due ombrelli, ma soprattutto quello di ricreare ambientazioni il più possibile realistiche, restituendo fotogrammi praticamente identici alla realtà. Dopo essersi occupato della fotografia di “Toy Story 3” e aver modellato al meglio i volti di Woody e di tutti gli altri personaggi del film, Sascha ha avuto l’approvazione del capo della Pixar, John Lasseter, per lavorare a questo suo progetto innovativo. Un’idea semplice è alla base di “The Blue Umbrella”: la fotografia di un ombrello abbandonato ha generato nella mente del regista la storia di due ombrelli, uno blu e uno fuxia, che si incontrano per caso in mez-

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zo a una folla grigia e informe di altre migliaia di ombrelli. Solo il loro colore li distingue dalla massa, li fa emergere, insieme ai loro volti, che nella semplicità sono più dettagliati. Riusciamo a capire cosa provano, cosa vedono e come si sentono. Non vediamo i volti dei loro proprietari, sono probabilmente un uomo e una donna, persi nel caos cittadino, intenti a raggiungere le loro case il più presto possibile per non bagnarsi troppo: anche loro sono grigi, come tutto quello che sta intorno a loro. Le strade li dividono, il vento li allontana, ma alla fine la magia perfettamente in linea con lo spirito Disney - li farà re-incontrare, per caso e, possiamo immaginare, per sempre. Quello che colpisce subito di “The Blue Umbrella” è proprio l’ambientazione: sembra di essere davvero per le strade di New York, avvolti da questo grigiore senza vita di un giorno di pioggia, ammassati in mezzo alla gente in attesa del semaforo verde. La precisione con cui ci vengono restituite le automobili, i palazzi, le strade è davvero impressionante e innovativa rispetto a quanto visto finora al cinema. Ogni arredo urbano viene personificato e la pioggia e il vento danno il ritmo alle cose, si trasformano in melodia, si fondono con la musica strumentale e divengono colonna sonora di

questo amore tutto da scoprire e da vivere. Ci sono case che sorridono, semafori che ammiccano: l’uomo in questa vicenda è marginale, quasi cattivo, è la città a prendere vita insieme agli oggetti, che qui possono anche avere dei sentimenti. È la città che aiuta i due innamorati a ricongiungersi, prima salva l’ombrellino blu dalla possibilità di essere investito e poi gli permette di ritrovare la dolce ombrellina fuxia. La Pixar riesce ancora una volta a regalarci una storia semplice, ma realizzata con il meglio della tecnologia a sua disposizione, incantando il pubblico grazie solo alle immagini e alla musica, senza bisogno di parole. Si ritorna agli albori del cinema, quando uno sguardo valeva di più di mille dialoghi. Come scrive Andrew Lloyd Webber nel suo musical “Sunset Boulevard”, e fa cantare a Norma Desmond: “With one look I can break your heart, with one look I play every part. I can make your sad heart sing, with one look you’ll know all you need to know.”

Francesca Cerutti


MOVIES...

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ARTINTIME events@artintime.it

SETTIMANA DELLA COMUNICAZIONE

PREMIO TENCO

LIBRI IN CANTINA

Quarta edizione per “La Settimana della Comunicazione”, l’evento gratuito incentrato sui nuovi modelli di comunicazione legati alla rete, che dal 30 settembre al 6 ottobre a Milano, proporrà una serie di incontri e convegni sul tema “Nuovi animali comunicanti”. Una riflessione sui nuovi comportamenti sociali della comunicazione che vedrà protagonisti alcuni importanti volti della cultura e dell’informazione, ed esperti di tecnologia digitale. Per maggiori informazioni su ospiti e programma vi invitiamo a visitare www.lasettimanadellacomunicazione.org.

Dal 2 al 5 ottobre al Teatro del Casinò di Sanremo si svolgerà la trentasettesima edizione della storica “Rassegna della canzone d’autore”, manifestazione che anche quest’anno premierà i migliori artisti internazionali e le migliori produzioni italiane dell’anno. Quattro giorni dedicati alla buona musica in cui il pubblico potrà apprezzare artisti del calibro di Max Gazzè, Robyn Hitchcock, James Senese, Luca Barbarossa, Cui Jian, Simona Molinari e Niccolò Fabi. Il programma completo della rassegna è consultabile sul sito www.clubtenco.it.

Nella splendida cornice del Castello medievale di S. Salvatore a Susegana (TV), il 5 e 6 ottobre si svolgerà l’undicesima edizione della mostra nazionale della piccola e media editoria “Libri in cantina”. La rassegna, che riunirà più di ottanta editori italiani, presenterà libri e autori, e proporrà al pubblico diverse attività tra cui letture, degustazioni, visite, incontri letterari e concerti serali. Un appuntamento dedicato agli amanti della letteratura e dei libri di cui potete consultare il programma completo all’indirizzo www.libriincantina.it.

PORTICI DI CARTA

SEDICICORTO

INTERNET FESTIVAL

Anche quest’anno torna a Torino l’appuntamento con la libreria più lunga del mondo “Portici di carta”. L’evento, che si svolgerà il 5 e 6 ottobre, riunirà sotto i portici del centro storico della città più di cento librai e accoglierà numerosi ospiti di fama internazionale che interverranno in presentazioni, reading e dibattiti. Una settima edizione che vedrà protagonista la figura di Beppe Fenoglio, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, e che coinvolgerà il pubblico in mostre, esposizioni e concerti. Per ulteriori informazioni visitate il sito www.porticidicarta.it.

Giunto alla sua decima edizione torna l’appuntamento con il festival cinematografico internazionale “Sedicicorto”, che dal 5 al 12 ottobre, a Forlì, riunirà ancora una volta giovani filmmakers provenienti da tutto il mondo con l’obiettivo di promuovere, sperimentare, confrontarsi e migliorare questa particolare forma cinematografica. Come sempre saranno presenti tre sezioni competitive (Movie, Anima&Lab, Cortitalia) e non mancheranno attività, incontri, proiezioni ed eventi speciali. Maggiori informazioni sono disponibili su www.sedicicorto.it.

Torna anche quest’anno l’appuntamento con il festival dedicato alla Rete nella città di Pisa, “Internet Festival – Forme di futuro”, che dal 10 al 13 ottobre ospiterà importanti esperti del settore, che si confronteranno sull’importanza delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione per la crescita e lo sviluppo di idee, prodotti e servizi. Una terza edizione ricca di attività e conferenze articolate su sei aree tematiche: Internet for Citizens, Internet for Makers, Internet for Tellers, Tour, Smartup, Ebookeria. Ulteriori informazioni su www.internetfestival.it.

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EVENTS

A cura di Anna Moschietto

ASIATICA FILM MEDIALE

VIEW CONFERENCE

DETOUR FILM FESTIVAL

Dal 12 al 20 ottobre a Roma si svolgerà la quattordicesima edizione del festival cinematografico “Asiatica – Incontri con il cinema asiatico”, rassegna che ogni anno offre la possibilità di conoscere i nuovi talenti del cinema orientale e promuove lo scambio tra culture. Molti saranno gli incontri con registi e attori, e non mancheranno proiezioni ed eventi speciali. Inoltre il pubblico potrà apprezzare le opere selezionate per le due sezioni competitive, riservate a lungometraggi e documentari. Per maggiori informazioni sul programma: www.asiaticafilmmediale.it.

Dal 15 al 18 ottobre Torino ospiterà la quattordicesima edizione di “VIEW Conference”, l’evento internazionale dedicato alla computer grafica che attraverso presentazioni, workshop e mostre, propone ogni anno alcune delle maggiori novità del settore. Tra gli ospiti che interverranno alla conferenza John Knoll, direttore creativo della Industrial Light & Magic, il regista Dan Scalon, Cody Cameron e Kris Pearn, che presenteranno in anteprima il loro ultimo film d’animazione, “Piovono polpette 2”. Per maggiori informazioni sul programma dell’evento: www.viewconference.it.

Torna anche quest’anno “Detour”, il festival del cinema di viaggio della città di Padova, che dal 15 al 20 ottobre cercherà nuovamente di analizzare il tema del viaggio in tutte le sue possibili declinazioni. Una seconda edizione che presenterà al pubblico quasi trenta film selezionati per le sezioni competitive del festival (Concorso Internazionale e Viaggio in Italia) a cui si aggiungeranno eventi speciali e una retrospettiva dedicata al regista Wes Anderson. Per maggiori informazioni: www.detourfilmfestival.com.

ROMA JAZZ FESTIVAL

FANO INTERNATIONAL FILM FESTIVAL

FIERA DEL LIBRO DI MILANO

All’Auditorium Parco della Musica di Roma, dal 20 ottobre al 2 novembre, si svolgerà la trentasettesima edizione del “Roma Jazz Festival”, l’evento che ogni anno raduna nella capitale alcuni dei maggiori artisti di genere del panorama internazionale. Un festival ricco di concerti, mostre e incontri, ma anche molti ospiti, tra cui spiccano i nomi di George Saunders, Paolo Rossi, Haruki Murakami, Leonard Cohen e Francesco Pannofino. Per conoscere il programma completo della rassegna vi invitiamo a consultare il sito www.romajazzfestival.it.

Dal 24 al 26 ottobre torna l’evento cinematografico della città di Fano (PU), il “Fano International Film Festival”, la kermesse che annualmente presenta e premia corti e mediometraggi di giovani registi che si cimentano in produzioni innovative. Come sempre, il concorso sarà aperto a cineasti italiani e stranieri e comprenderà un ricco programma di proiezioni e incontri. Inoltre, per festeggiare i venticinque anni della rassegna, non mancheranno eventi speciali, mostre e convegni. Maggiori informazioni sul programma dell’evento sono disponibili su www.fanofilmfestival.it.

Seconda edizione per la “Milano Book Fair”, che dal 25 al 27 ottobre, presso il Parco Esposizioni Novegro di Segrate, presenterà ai visitatori un ampio spazio espositivo dedicato a editori nazionali ed internazionali, e un ricco programma di attività e incontri con importanti autori, artisti, giornalisti e personaggi del panorama culturale italiano e non solo. Un appuntamento imperdibile per gli appassionati di libri e letteratura, che potranno mettersi direttamente in contatto con vari esponenti del settore librario. Il calendario dell’evento è disponibile sul sito www.milanobookfair.com.

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