9 minute read
La città torna a scuola / The City Goes Back to School
09 YouTube link: https://www.youtube.com/watch?v=q5lNYxc9aBI&list=PL47001 udlZD1vgYv75VONymITvZAlvbLP&index=9
Advertisement
Samanta Bartocci, architetto e dottore di ricerca in Progettazione architettonica e urbana
Samanta Bartocci, Architect and PhD in Architectural and Urban Design
e-mail: sbartocci@uniss.it
Fabrizio Pusceddu, architetto e dottore di ricerca in Architettura e pianificazione
Fabrizio Pusceddu, Architect and PhD in Architecture and Urban Planning
e-mail: fapusceddu@uniss.it
The common opinion is: experience is made up of actions and choices and has ongoing relationships with the physical environment. The accepted belief is: the built space expresses the values and attitudes of those who create it. Less evident, or better still to learn, is how buildings and space influence possible users (Plummer 2016). So far, we certainly recognise in architectures and spatial actions an evolutionary power dynamic, in which void and mass act with us in a physical environment. Based on significant discoveries in neuroscience, motor patterns and higher cognitive functions act in correspondence. Thus, we no longer read the action as the consequence of the perceptual phase and its subsequent interpretation but an integral part of a process in which all components collaborate simultaneously. Therefore, we are talking about an unstructured process without clearly distinguishable phases. Actual or simulated performance of “motor actions” leads us to the definition of the behaviour of subjects that do not represent “mere movements” (Rizzolatti-Sinigaglia, 2006). This assumption, in recent years, has taken on a disruptive role in the face of the critics that have emerged around the conventional space for learning, i.e. school. Several widely shared theories have so far linked motor act, movement in space, with the perceptual and discovery-oriented act, contributing towards knowledge building. We have become accustomed to recognizing learning spaces as almost always closed, standardized, and defined, in some way commonplace. The school, indeed, has included rigid and functional environments with floors without a view and long corridors connected by an orderly succession of rectangular classrooms and inaccessible fenced outer perimeters. The classroom was the only place where knowledge was transmitted. È generalmente condiviso che l’esperienza è fatta d’azioni e scelte, e ha rapporti continui con l’ambiente fisico. Ed è oramai accettato che lo spazio costruito esprima i valori e gli atteggiamenti di chi lo crea. Meno evidente o meglio appreso è il modo in cui gli edifici e lo spazio influenzino i possibili fruitori (Plummer 2016). Ma certamente, riconosciamo nelle architetture e nelle azioni spaziali una dinamica di potere evolutiva, in cui il vuoto e la massa agiscono con noi in un ambiente fisico. Ciò assume rilevanza dalle scoperte in campo neuroscientifico che dimostrerebbero un legame di corrispondenza tra schemi motori e funzioni cognitive superiori, per cui l’azione non è più letta come conseguenza di una fase di percezione e successiva interpretazione, ma parte integrante di un processo dove tutte le componenti collaborano in maniera simultanea. Parliamo perciò di un processo che non si struttura per fasi nettamente distinguibili, ma nel compimento, effettivo o simulato, di “atti motori” che portano a definire i comportamenti dei soggetti non come “meri movimenti” (Rizzolatti-Sinigaglia, 2006). Questo presupposto, ha assunto negli ultimi anni un ruolo dirompente di fronte alle criticità emerse intorno allo spazio convenzionale per apprendere, quello della scuola, ed alle teorie ormai largamente condivise che legano l’atto motorio, il muoversi nello spazio, all’atto percettivo, alla scoperta orientata alla costruzione di conoscenza. Fino ad oggi siamo stati abituati a riconoscere gli spazi dell’apprendimento all’interno di luoghi quasi sempre chiusi, normalizzati e definiti, per certi versi luoghi comuni, infatti la scuola ha incluso ambenti rigidi e funzionali con piani chiusi e lunghi corridoi messi in comunicazione da una successione ordinata di aule rettangolari e perimetri esterni recintati inaccessibili. L’aula costituiva l’unico luogo di trasmissione del sapere.
Tuttavia, in una delle opere di Illich, più controverse e oppositive rispetto all’istituzione della scuola obbligatoria, Descolarizzare la società, nonostante la confusione tra lo spazio della scuola, l’istruzione e il ruolo sociale, propiziava un principio di convivialità per cui i bambini hanno bisogno della scuola, ma la maggior parte delle cose che s’imparano nella vita avvengono al di fuori del tempo scolastico. Illich diceva: “i bambini sono allievi… La scuola è un’istituzione basata sull’assioma che l’apprendimento è il prodotto dell’insegnamento. E la sapienza istituzionale continua ad accettare questo assioma, nonostante le prove schiaccianti che lo contraddicono. Quasi tutto ciò che sappiamo lo abbiamo imparato fuori della scuola…Si impara a parlare, a pensare, ad amare, a sentire, a giocare, a bestemmiare, a far politica e a lavorare, senza l’intervento di un insegnante.” (Illich 1970, p.17). Ci troviamo dunque difronte al ruolo della città come educante, perché nella città c’è lo spazio della scoperta e della crescita, e la città è formativa. In essa convivono, la differenza, la socializzazione, le tensioni e il conflitto, ma anche la convivialità, e privare di questo i bambini costituisce un blocco verso tutte quelle esperienze capaci di sviluppo dell’autonomia, dell’intelligenza adattativa e delle abilità relazionali. I bambini sanno ben utilizzare tutto lo spazio che hanno a disposizione nella città come occasione di gioco ed apprendimento, avendo la capacità di rendere “proprio” e di trasformare qualunque tipo di spazio, in spazio del gioco; ma tanto più lo spazio sarà perimetrato, predeterminato e controllato, tanto più sarà difficile appropriarsene. La città, dunque, è un importante strumento educativo. Nella città i bambini acquisiscono le abilità fisiche ed intellettuali indispensabili per affermarsi nella cultura in cui crescono, grazie al gioco prima di tutto ed all’esplorazione autonoma e libera (Gray, 2015). E nella libertà si cela spesso il sentimento d’insicurezza, smarrimento e paura che porta all’insicurezza sociale (Castel, 2004).
However, in one of Illich’s most controversial and oppositional works, “Deschooling Society”, he discusses the institution of compulsory schooling. Despite the confusion between school space, education and social role, he advocated the principle of conviviality whereby children need school, but most of the things they learn in life happen outside school time. Illich said, “children are learners... School is an institution based on the axiom that learning is the product of teaching. And institutional wisdom continues to accept this axiom, despite the overwhelming evidence that contradicts it. Almost everything we know we have learnt outside school... We learn to speak, to think, to love, to feel, to play, to swear, to make politics and to work without the intervention of a teacher.” (Illich 1970, p.17) Therefore, we face the city in the role of an educator with space for discovery and growth and, the city is formative. In the city, socialisation, differences, tensions and conflicts, but also conviviality coexist. Depriving children of all that, we constitute a block to all those experiences capable of developing autonomous and adaptive intelligence, and relational skills. Children know very well how to use all the space available in the city as an opportunity for playing and learning. Having the ability to make space ‘their own’, children transform any space into a play space. Nevertheless, the more space is confined, predetermined and controlled, the more difficult appropriation is. The city, hence, is a crucial educational tool. In the city, children acquire physical and intellectual skills. These skills are indispensable for asserting themselves in the culture in which they grow up, thanks to playing first, and foremost, developing autonomous and free exploration (Gray, 2015). And, in the lack of freedom often lies the feeling of insecurity, bewilderment and fear that leads to social insecurity (Castel, 2004).
The contemporary city, thus, poses ethical problems, but also practical ones: how to make people with different interests, cultures, habits, expectations coexist within the same public space. “Space is not the sphere (real or logical) in which things are arranged but the mean by which the position of things becomes possible. This is to say that, instead of imagining it as a kind of ether in which all things are immersed or conceiving it abstractly as a character that is common to them, we must think of it as the universal power of their connections.” (Merleau-Ponty, 2003, p.326). The relationships between things would then determine the educational potential of our cities. The role of cities is irreplaceable, where urban space unfolds as a large platform of collective knowledge that links space and learning through action. In questo la città contemporanea ci pone così dei problemi etici, ma anche molto pratici: come far convivere all’interno di uno stesso spazio -pubblico- persone con interessi, culture, abitudini, aspettative differenti. “Lo spazio non è l’ambito (reale o logico) in cui le cose si dispongono, ma il mezzo in virtù del quale diviene possibile la posizione delle cose. Ciò equivale a dire che, anziché immaginarlo come una specie di etere nel quale sono immerse tutte le cose o concepirlo astrattamente come un carattere che sia comune a esse, dobbiamo pensarlo come la potenza universale delle loro connessioni.” (Merleau-Ponty, 2003, p.326) Sarebbero allora le relazioni tra le cose a determinare il potenziale educativo delle nostre città, un ruolo non abdicabile in cui lo spazio urbano si declina come una grande piattaforma di conoscenza collettiva che lega spazio e apprendimento tramite l’azione.
Alcuni principali riferimenti A few key references
Attia S. & Weyland. B. (2013). Costruire pedagogie, Turris Babel, Rivista di architettura Fondazione Architettura Bolzano, 93. numero monografico dedicato a progetti e riflessioni sulla scuola dell’infanzia e primaria. Bartocci S., (2018). “Dispositivi di apprendimento e territori della conoscenza”. In Maciocco, G., Lutzoni, L., & Valentino M. (Eds.) Strutture generative e nuclei di urbanità (pp. 198217), Milano: Franco Angeli. Bartocci S., & Cecchini A. (2015). Il racconto delle tre istituzioni. In Monsù, A. (Ed.) I colori dell’umanizzazione. Firenze: Altra linea Editore. Bartocci S., & Valentino M., (2017). Esperienza di simulazione. Ambienti di apprendimento e dispositivi di spazio pubblico. Milano: FrancoAngeli. Berthoz, A. (1997). Le sense du mouvement. Paris: Odile Jacob. Castel, R. (2004). L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti? Torino: Einaudi. De Kerckhove, D. (2001). L’architettura dell’intelligenza. Roma: Testo&immagine. Eco, U. (2004). Interpretazione e Sovrainterpretazione. Bologna: Bompiani. Edelman, G. & Tonon, G. (2000). A Universe of Consciousness. New York: Basic Books. Faiferri, M., Bartocci, S., & Pusceddu, F. (2016). ILS Innovative Learning Spaces. Trento: List Lab. Foucault, M. (1996). Sorvegliare e punire: la nascita della prigione, traduzione di Alcesti Tarchetti, Einaudi Paperbacks No.77, poi ET n. 146 Gallese, V. (2008, May). Intervista, Zeit Magazin Leben, pp. 28-33. Gibson, J. (1977). “The theory of affordances”. In Shaw, R. & Bransford, J. (Eds.), Perceiving, acting, and knowing: Toward an ecological psychology. Hillsdale, NJ: Erlbaum; pp.67-82. Piaget, J. (1972). L’epistemologie des relations interdisciplinaires, In Aa.Vv. (Ed.), L’interdisciplinarité. Problémes d’enseignement et de recherche dans les universités, Ocde-Ceri, Paris, In Giovanni Maciocco – Silvano Tagliagambe, La città possibile -Territorialità e comunicazione nel progetto urbano-, Dedalo, Bari, 1997, p.142 Gamelli, A. (2001). Pedagogia del corpo. Roma: Meltemi. Merleau-Ponty M. (2003). Fenomenologia della percezione. Milano: Bompiani. Perez-Gomez, A. (1996). “Espacio Intermedios”. In Aa. Vv. (Ed.), Presente y futuros -Arquitectura en la ciudades Presente y Futuros-. Barcellona: Actar. Rizzolatti G., & Sinigaglia C. (2006). So quel che fai. Milano: Cortina.
Russell B. (1995). La conoscenza del mondo esterno, traduzione di Maria Camilla Ciprandi. Milano: TEA. Sennett, R. (1982). Il declino dell’uomo pubblico. Milano: Bompiani. Sennett, R. (1992). La coscienza dell’occhio. Progetto e vita sociale nelle città. Milano: Feltrinelli. Tagliagambe, S. (1991). L’epistemologia contemporanea. Roma: Editori Riuniti. Tagliagambe, S. (2008). Lo spazio intermedio -Rete, individuo e comunità-. Milano: Università Bocconi Editore. Ward C. (2000), Il bambino e la città. Crescere in ambiente urbano. Napoli: L’Ancora del Mediterraneo. Weyland B. (2014). Fare scuola. Un corpo da reinventare. Milano: Guerini. Weyland, B. & Attia, S. (2015). Progettare scuole tra pedagogia e architettura. Milano: Guerini.