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Confindustria su regolamento imballaggi: non buttare tutto al vento

L’appello della Vice Presidente da Ros per non bruciare anni e miliardi di efficienti investimenti nel riciclo in nome dell’ideologia del riuso

Nella prestigiosa cornice della Sala della Stampa Estera a Roma, lo scorso 10 novembre la vice Presidente di Confindustria Katia da Ros ha incontrato i giornalisti per fare il punto sulla riforma degli imballaggi in atto in Europa ed esprimere con preoccupazione il punto di vista delle imprese italiane.

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Come noto, la nuova bozza di regolamento europeo per la gestione degli imballaggi, punta con forza sul riuso degli stessi, al fine di limitare l’impiego e la produzione specialmente di quelli in plastica. Una linea che fa una vera e propria “inversione a U” rispetto al passato quando l’Europa incentivava con obiettivi ambiziosi la ricerca, lo sviluppo e l’installazione di sistemi per la raccolta e tecnologie per il riciclo di plastiche e imballaggi.

“La certezza delle regole è davvero cruciale. - ha commentato la vice Presidente Da Ros - Mi spiego: l’Europa per prima ci ha incoraggiato a puntare sul riciclo, e lo abbiamo fatto, con investimenti massicci. Ora ci dice che non va più bene e dobbiamo puntare sul riuso. Questo cambio di rotta stupisce e spaventa tutti. Si rischia di bloccare gli investimenti che necessitano di politiche industriali chiare e di lungo periodo”. Una scelta, dunque, quella Europea, che rischia di impattare negativamente sugli investimenti degli Stati Membri e delle loro imprese, con discutibili ritorni in termini di efficacia e sostenibilità che, ancora una volta, la Commissione europea sembra aver trascurato di sottoporre a valutazione preliminare. Precisa la vice presidente Da Ros: “Tra l’altro, si tratta di una posizione ideologica che, secondo noi, non ha alcun fondamento, oltre a non avere una valutazione di impatto complessiva”. Un atteggiamento che questa Commissione Europea ha già dimostrato su numerosi altri dossier. È chiaro che l’obiettivo comune è quello di ridurre, in generale e nello specifico, l’impatto ambientale del sistema produttivo europeo, ma occorre prestare attenzione a non compiere affrettate scelte tecnologiche. “L’industria italiana è d’accordo sull’obiettivo - ha ricordato la Vice Presidente di Confindustria - ma siamo convinti che il riuso possa affiancare e completare il riciclo, senza sostituirlo. Anche perché ci sono dei limiti per la salute da considerare. Senza contare gli effetti sull’occupazione: si mettono a rischio 800 mila imprese e 7 milioni di posti di lavoro. Non si può perseguire la sensibilità ambientale a rischio di quella sociale ed economica”.

La sostenibilità va infatti sempre valutata in tutte le sue dimensioni e non solo in quella ambientale. Oltre agli aspetti economici, più facilmente sotto gli occhi di tutti, la Vice presidente di Confindustria ha ricordato che ci sono aspetti di sicurezza e lotta agli sprechi, legati all’uso degli attuali imballaggi riciclabili: si pensi ad esempio alla sicurezza alimentare garantita dagli imballaggi per il food e alla maggiore e migliore durabilità dei cibi che contribuisce a ridurne gli sprechi proprio grazie alle nuove tecnologie applicabili agli imballaggi riciclabili.

“La transizione deve essere uno sforzo di tutti. E non può essere fatta soltanto dall’Europa che è responsabile solo del 9% delle emissioni. Lo deve fare tutto il mondo, altrimenti non risolviamo molto. E noi europei paghiamo doppio”, così ha proseguito la Vicepresidente per Ambiente, Sostenibilità e Cultura, Katia Da Ros.

In questi anni, il contributo delle imprese italiane alla transizione energetica è stato alto: “Gli ultimi dati lstat dicono che due imprese su tre si sono mosse in questa direzione, con interventi sull’efficientamento energetico o sull’utilizzo di fonti di energia rinnovabile o con il riciclo. Su quest’ultimo fronte siamo dei campioni a livello mondiale”. Ma per una ottenere una svolta sulle rinnovabili servono “semplificazioni” ha affermato Da Ros “se si vuole produrre il 40% dell’energia da fonti green: va snellita la burocrazia, rimossi i troppi blocchi ancora esistenti, ma anche l’effetto dalla sindrome Nimby e Nimto. L’industria continuerà a fare la sua parte”.

Una parola, infine, non poteva mancare sul caro-energia, tema su cui la Vicepresidente di Confindustria dichiara di attendere “Una riforma Ue del mercato energetico, con il disaccoppiamento delle rinnovabili dal prezzo del gas. Ma da parte sua l’Italia deve avere più coraggio e puntare su una politica energetica, che includa tutto, dalle rinnovabili, ai rigassificatori, fino al nucleare di quarta generazione” e sulla sfida del Pnrr “Serve creare delle “corsie preferenziali” per i progetti per evitare che si incaglino nelle maglie della burocrazia, figure professionali esperte e un coordinamento forte. Poi certo, occorre lavorare anche a livello Ue per rimodulare nei tempi alcuni aspetti del Next generation Eu e adeguarlo alla situazione attuale. I trattati lo prevedono”.

LA SETTIMANA DELLA CUCINA ITALIANA APRE CON IL RECORD DELL’EXPORT A 60 MLD (+14%)

La settimana italiana della cucina nel mondo (14-20 novembre) si è aperta con il record dell’export del cibo Made in Italy che nel 2022 raggiunge la cifra vicino ai 60 miliardi in valore se il trend di crescita del 14% rispetto al 2021 sarà mantenuto anche negli ultimi mesi dell’anno. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi ai primi otto mesi dell’anno diffusa in occasione dell’avvio dell’appuntamento che si celebra quest’anno dal 14 al 20 novembre, dedicato al tema “Convivialità, sostenibilità e innovazione: gli ingredienti della cucina italiana per la salute delle persone e la tutela del Pianeta”.

La Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare in aumento del 14%, davanti agli Stati Uniti, in salita del 20% mentre – sottolinea la Coldiretti – la Francia si piazza al terzo posto ma mette a segno un tasso di crescita del 20%. Risultati positivi – precisa la Coldiretti – anche nel Regno Unito con un +19% che evidenzia come l’export tricolore si sia rivelato più forte della Brexit, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue. Balzo a doppia cifra anche nella Turchia di Erdogan (+31%) mentre è dato negativo in Cina con un calo del 24% e in Russia con un –11% fra sanzioni e guerra.

A trainare il Made in Italy nel mondo – sostiene la Coldiretti – ci sono prodotti base come il vino che guida la classifica dei prodotti Made in Italy più esportati seguito dall’ortofrutta fresca. L’andamento sui mercati internazionali potrebbe però ulteriormente migliorare – sottolinea la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi a partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tutti i continenti.

Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la Mortadella Bologna o il Salame Cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano. Ma tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco – spiega Coldiretti – che non è solo la DOP al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur.

Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato. Tra i maggiori taroccatori del Made in Italy ci sono paradossalmente i paesi ricchi, a partire proprio dagli Stati Uniti dove si stima che il valore dell’italiano sounding abbia raggiunto i 40 miliardi di euro. Basti pensare che il 90% dei formaggi di tipo italiano in Usa – sottolinea Coldiretti – sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Ma l’industria del falso dilaga anche in Russia – rileva Coldiretti – per effetto delle sanzioni per l’occupazione dell’Ucraina che hanno portato Putin a decidere l’embargo sui prodotti agroalimentari occidentali e a potenziare l’industria alimentare locale con la produzione di cibi tarocchi come il Parmesan, la mozzarella o il salame Milano che hanno preso il posto sugli scaffali delle specialità italiane originali. In molti territori, dagli Urali alla regione di Sverdlovsk, sono sorte fabbriche specializzate nella lavorazione del latte e della carne per coprire la richiesta di formaggi duri e molli così come di salumi che un tempo era soddisfatta dalle aziende agroalimentari del Belpaese.

Un fenomeno che ha colpito anche i ristoranti italiani che, dopo una rapida esplosione nel Paese ex sovietico, hanno dovuto rinunciare ai prodotti alimentari Made in Italy originali. “Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy a denominazione di origine alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “si tratta di una priorità per la nuova legislatura” poiché “ponendo un freno al dilagare dell’agropirateria a tavola si potrebbero creare ben 300mila posti di lavoro in Italia”.

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