Anapi News - anno 2 numero 3/2014

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rivista della Associazione Nazionale Amministratori Professionisti d’Immobili

Tabelle millesimali e regolamento di condominio

CONDOMINIO E OBBLIGHI FISCALI Obblighi del committente ai sensi del D.lgs 81/2008 Bimestrale di informazione e aggiornamento professionale ANNO 2 | N. 3 / 2014 anno 2, n. 3/2014

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SOMMARIO Con la Riforma l’Amministratore è divenuto professionista di Vincenzo Acunto

ANAPI a Condominio Eco

a cura della Redazione ANAPINEWS

Regime dei minimi: anche dopo i 35 anni a cura di Antonio Pugliese

Condominio e obblighi fiscali

Anapi News

Organo Ufficiale di Anapi Anno 2 numero 3 / Settembre 2014 Registrazione

Tribunale di Bari Registro Periodici al numero 8307

Direttore responsabile Avv. Vincenzo Vitiello

Coordinatore Stampa e Redazione Maria Sancilio

Hanno collaborato

Vincenzo Acunto, Domenico Blasi, Nicola Forte, Vittorio Fusco, Giuseppina Longo, Mirco Mion, Anna Nicola, Emanuele Plata, Paola Pontanari, Antonio Pugliese, G.A. Tarricone,

Editore

Italia Didacta

Impaginazione e grafica Eido Lab srl www.eidolab.com

Realizzato in Settembre 2014

Segreteria Organizzativa e Ufficio Stampa

a cura di Mirco Mion

Il valzer della proproga 770: quali le prospettive? di Nicola Forte

Obblighi del committente ai sensi del Decreto legislativo 81/2008 a cura di Domenico Blasi

La regolarità contributiva (DURC) in condominio di Paola Pontanari

Una breve riflessione sulle tabelle millesimali e sul regolamento di condominio a cura di Anna Nicola

L’esperto risponde - Rubrica a cura di Vittorio Fusco

Lo stalking del vicino di casa è reato di G.A. Tarricone

Infiltrazione dal lastrico solare: chi paga? di Giuseppina Longo

La nuova economia e il condominio di Emanuele Plata

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Maria Sancilio ufficiostampanapi@gmail.com Via Junipero Serra, 19 - 70100 Bari Tel. 080 5640867 info@anapi.it www.anapi.net

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Con la Riforma l’Amministratore è divenuto professionista di Vincenzo ACUNTO – Direttore Generale GROMA s.r.l. È passato un anno da quel Martedì 18 giugno 2013, dal giorno in cui gli Italiani che vivono in condominio hanno fatto per la prima volta i conti sul campo con la riforma delle norme che regolano i loro rapporti di vicinato. Una novità importante poiché la normativa in materia risaliva a 77 anni prima, al modello varato nel 1935 (a quell’anno risale la nostra prima legge sul condominio) e mantenuto intatto nel 1942, allorché fu trasfuso nel nuovo Codice Civile: un modello che, pur attenuato fin dall’origine dalla distinzione (confermata dalla riforma) fra norme derogabili (dal regolamento condominiale) e norme inderogabili, racchiude comunque il condominio in un involucro calato dall’alto col quale lo Stato si arroga il diritto regolare anche nei suoi minuti aspetti (perfino – e con norma inderogabile – in quello della durata dell’incarico dell’Amministratore scelto dai condòmini). Un’impostazione che risente dell’epoca (accentratrice) in cui fu concepita e varata, anche in reazione alla regolamentazione – prevista dal Codice Liberale del 1865, sostanzialmente basata su servitù volontarie (e su tre norme in tutto – gli articoli 562, 563 e 564 – che, negli edifici con piani appartenenti a differenti proprietari e in mancanza di accordi fra questi ultimi, regolavano la sopra elevazione e il riparto delle spese in genere e per i lastrici solari in particolare). Allo stesso modo, il Legislatore della riforma non ha affrontato il problema di attribuire al condominio – così come s’è fatto in diversi paese Europei – la capacità giuridica (la capacità, quindi, di agire come una persona o una società). Il Condominio, oggi, così come nel 1935 rimane solo un semplice “Ente di gestione”, basato, in particolare sul rapporto di mandato condòmini-Amministratore, seppure da allora le esigenze dei condòmini sono cambiate in maniera radicale. In questo la riforma prende spunto dalle numerose interpretazioni che i Tribunali di tutto il Paese hanno fornito per risolvere i diversi contrasti sorti nel tempo e detta regole certe per tutti. La Riforma del Condominio, per quanto possa essere ritenuta dagli addetti ai lavori un’occasione mancata, innovativa, bella o brutta, offre comunque l’occasione per anno 2, n. 3/2014

spolverare la “vecchia” figura dell’amministratore di condominio. Una figura impolverata da 77 anni di evoluzione e trasformazione del ruolo, dei suoi compiti, delle responsabilità e soprattutto delle competenze, profondamente modificate dal contesto sociale di questi 77 anni di storia del nostro Paese. Altro motivo – non in ordine di importanza – la riforma restituisce la giusta importanza al concetto della “gestione”; perché in Italia non si costruisce più (essenzialmente perché non c’è più territorio) e per questo si lavora sull’esistente. Il futuro, pertanto, è racchiuso in un unico termine “gestire”: • Gestire il costruito (manutenzione di edifici ed impianti) • Gestire i servizi allo spazio • Gestire i servizi alle persone. Per poter gestire in efficienza però occorre “conoscere”, e quindi, detenere competenza, occorrono pertanto figure professionali specializzate, come quella professionale dell’Amministratore di Condominio o di quella ancora più innovativa del “Building Manager”. Figure più specializzate, in grado di rispondere in maniera efficiente alla innumerevole varietà di esigenze e di interventi che il mercato richiede. Questi motivi consentono di definire nuove opportunità di lavoro, nuovi sbocchi

"Un uomo in grado di trasformare gli ostacoli in opportunità dimostra di possedere una profonda umanità”. “Gli uomini si stancano tanto perché non fanno le cose che vogliono fare quanto perché fanno le cose che non vogliono fare”. Eric Hoffer

professionali e la definizione di una nuova figura professionale, richiesta dal mercato prima che dalla normativa. In Italia le unità immobiliari sono circa 60 milioni, di queste oltre il 60% sono abitazioni e un ulteriore 30% sono unità pertinenziali di residenze (cantine, box, posti auto, depositi, ecc.). Il 70% dello stock immobiliare residenziale in Italia ha più di 30 anni, di questo il 35% ha mediamente 60 anni. Nel settore dell’edilizia, la percentuale dell’attività manutentiva nel solo settore residenziale è pari al 23%. Da questi dati sintetici ci si rende immediatamente conto di quanto possa pesare nell’economia di un Paese come l’Italia il settore dell’edilizia, delle manutenzioni e della gestione immobiliare in particolare, con una evidenza sulla gestione dei costi rispetto alla pura attività contabile. L’innovazione per quanto sopra sinteticamente descritto, è quella di superare la tradizionale concezione della figura a noi nota come amministratore di condominio, più vicina ad un contabile che ad un tecnico (per i conti ci sono i software, per la manutenzione ci vogliono esclusivamente le competenze). La Riforma, pur non inserendo l’amministratore di condominio tra le categorie ordinistiche, in pratica ne ha delineato un professionista a tutti gli effetti, al quale si richiede un diploma, una certificazione, una formazione periodica, la responsabilità civile, la fideiussione, ecc., attribuendogli una responsabilità multi direzionale. La finalità e l’occasione offerta dalla Riforma è quella di arrivare a formare un professionista in possesso di conoscenze e abilità idonee ad affrontare la complessa sfida del mercato della manutenzione e dei servizi allo spazio e alle persone, un soggetto in grado di massimizzare l’efficienza e l’economicità del sistema edilizio: esigenze individuali, strutturali dell’immobile e dell’ambiente circostante. Il potenziale di mercato è molto alto, in quanto la domanda attuale si attesta a circa il doppio dell’offerta: in Italia, oggi, coloro che amministrano un condominio sono circa 320.000, ma di questi ben 260.000 gestiscono un unico edificio, presumibilmente quello dove loro stessi abitano (Fonte Impresa lavoro.eu). 5


ANAPI a Condominio Eco a cura della Redazione AnapiNews

ANAPI (Associazione Nazionale Professionisti Amministratori di Immobili) iscritta nell’elenco MISE secondo la Legge 4/2013, parteciperà ufficialmente a Condominio Eco, la grande fiera nazionale del condominio che si terrà a Rimini dal 5 all’8 novembre. A rappresentare l’associazione, durante i quattro giorni del salone, saranno Vittorio Fusco, presidente nazionale ANAPI, e Maria Sancilio, responsabile dell’ufficio stampa, che accoglieranno il pubblico e gli ospiti presso lo stand a loro dedicato. In questi giorni ANAPI sta definendo varie iniziative per la fiera fra cui la convocazione di un convegno dei propri iscritti e la partecipazione del presidente Vittorio Fusco agli Stati Generali del Condominio, che si terranno sabato 8 novembre e che saranno l’occasione per fare il punto sulla situazione del “mondo condominio”.

ciazione che rappresento ha sostenuto l’importanza di gestire gli immobili in modo moderno, che significa fra l’altro puntare sull’efficientamento energeti-

co e sulla riqualificazione eco compatibile, temi per i quali ANAPI eroga una formazione puntuale attestandone la qualità.”

“Siamo lieti di partecipare alla fiera nazionale del condominio, che per noi rappresenta un importante appuntamento per incontrare aziende e amministratori”, ha dichiarato il presidente nazionale Fusco. “Il tema della fiera di quest’anno, il condominio eco compatibile, è particolarmente importante per ANAPI, poiché da sempre l’asso-

Foto in alto:

Il presidente Vittorio Fusco (a sinistra) parla al pubblico degli Stati Generali del Condominio 2013, Milano, 5 ottobre 2013 6

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Regime dei minimi: anche dopo i 35 anni a cura del dott. Antonio PUGLIESE - ANAPI Communication

L’Agenzia delle Entrate emana due attesi provvedimenti per dare attuazione al nuovo regime fiscale 2012 introdotto dall’ultima finanziaria e che ha sostituito i vecchi regimi forfettari. Per i pochi fortunati che vi rientrano la grande novità rispetto al passato risiede nel fatto che i compensi non sono assoggettati a ritenuta d’acconto. Inoltre potranno farne parte – se in possesso dei requisiti – anche coloro che avevano aderito al regime delle nuove iniziative e a quello ordinario, sempre però, nei limiti temporali previsti dalla normativa. Ma un aggiornamento poco noto a tutti del 6 giugno 2012: offre ulteriori chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate offrendo chiarimenti sulle novità più significative introdotte dal nuovo regime fiscale di vantaggio e che riguardano i requisiti, la durata e gli adempimenti e le comunicazioni da effettuare per usufruirne. Ad essere affrontati, per la prima volta, anche casi particolari su cui continuavano a persistere dubbi.

Niente ritenuta d’acconto

Posto che i rapporti con le imprese, sottColoro che hanno le caratteristiche di ex contribuente minimo (ricavi inferiori a 30mila euro, assenza di collaboratori o dipendenti, etc.) e contemporaneamente sono in possesso dei requisiti stabiliti dall’art. 27 del DLgs 98/2011 per rientrare nel nuovo regime agevolato, cosiddetto dei “superminimi”, potranno beneficiare di grossi vantaggi: oltre all’applicazione dell’imposta sostitutiva di Irpef e addizionali al 5%, e di tutti i benefici del vecchio regime dei minimi, saranno esonerati dalla ritenuta d’acconto, ma dovranno in fattura «rilasciare un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il reddito cui le somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva». Oltre ai vecchi minimi, vi può rientrare chi era in “regime ordinario” o nel “regime agevolato per le nuove iniziative” Viene ribadito che il nuovo regime ha durata limitata di 5 anni, calcolati a partire dall’anno di inizio dell’attività, e si applica a coloro che hanno iniziato la professione dopo il 31 dicembre 2007 o che l’intraprenderanno dopo il 1 gennaio 2012, purché in possesso dei requisiti di accesso e permanenza nel regime dei vecchi minimi (legge 244/2007, art.1, commi 96-99) e di quelli espressi dalla anno 2, n. 3/2014

legge istitutiva dei “superminimi” (non aver esercitato nei 3 anni precedenti un’attività in forma associata o familiare; non proseguire un’attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro autonomo o dipendente; non continuare un’attività d’impresa di un altro soggetto i cui ricavi, realizzati nel periodo precedente a quello d’imposta, siano superiori a 30mila euro). Viene chiarito inoltre che rientreranno nei “superminimi” – oltre ai vecchi minimi – anche i contribuenti (in possesso dei requisiti sopra richiamati) che hanno iniziato l’attività dopo il 31 dicembre 2007 e che avevano optato per il regime delle nuove iniziative imprenditoriali o “forfettino” (legge 388/2000) o per il regime ordinario. Come per i vecchi minimi questi accederanno al nuovo regime di vantaggio per i «periodi d’imposta residui al completamento del quinquennio e non oltre il compimento del 35° anno di età».

Eccezioni per chi è in mobilità o ha perso il lavoro

Quanto alla condizione di accesso ai superminimi secondo la quale la nuova attività non deve essere in alcun modo, una mera prosecuzione di altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente, l’Agenzia chiarisce che ciò non costituirà un impedimento per l’ingresso nei “superminimi” se il contribuente dà prova di aver perso il lavoro o di essere in mobilità per cause indipendenti dalla propria volontà.

La durata

In merito alla durata viene inoltre chiarito che con “inizio di attività” si fa riferimento non all’apertura della Partita IVA, bensì all’inizio effettivo dell’attività stessa. Inoltre viene anche chiarito che nel nuovo regime è possibile permanervi per il periodo d’imposta d’inizio attività e per i successivi quattro, ma i più giovani potranno beneficiarvi per più tempo, ovvero fino al compimento del 35° anno di età e senza dover esprimere alcuna opzione. Dunque il limite temporale viene ampliato solo per chi, allo scadere del 5° anno di attività, non abbia ancora raggiunto i 35 anni. È chiaro, dunque, che l’accesso o la permanenza nel nuovo regime non sono legati al requisito dell’età, che costituisce solo un’agevolazione per i più giovani. Potrà, quindi, beneficiare delle nuove agevolazioni anche chi ha oltrepassato i 35 anni purché rispetti il limite temporale dei 5 anni sopra indicato. Chi, però, ne esce per scelta o per decadimento dei requisiti, non potrà più rientrarvi. Quindi questa rappresenta un grande, anzi grandissimo vantaggio per tutti coloro che pur avendo oltrepassato il limite d’età dei 35 anni, vogliano intraprendere un’attività, magari come quella dell’amministratore di condominio, usufruendo di vantaggi e di un comodo profilo fiscale. In attesa di ulteriori cambiamenti, converrebbe approfittarne, perché d’altronde, in Italia… le leggi cambiano di continuo.

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CONDOMINIO E OBBLIGHI FISCALI

foto: http://commons.wikimedia.org - autore: Lalupa (CC BY-SA 3.0)

a cura del dott. Mirco MION - Presidente AGEFIS

Nel periodo dell’anno dedicato più di altri a dichiarazioni ed adempimenti fiscali può essere interessante approfondire quelli che sono gli adempimenti tributari che coinvolgono il condominio ed i professionisti che lo amministrano alla luce delle norme civili e fiscali attualmente in vigore. Per questioni di chiarezza espositiva sarà opportuno suddividere l’analisi, ovviamente sommaria e non esaustiva per ragioni di spazio, verificando separatamente gli obblighi che il legislatore ha posto in capo all’amministratore del condominio e quelli che riguardano il codominio in quanto tale. Obblighi fiscali dell’Amministratore di condominio

impresa oppure rientri nella categoria dei redditi diversi.

Ai fini delle imposte sui redditi l’attività di amministratore condominiale può essere considerata o come l’esercizio abituale di un’attività di lavoro autonomo o come l’esercizio di un’attività di impresa (nel caso in cui l’incarico di amministratore del condominio sia stato attribuito ad una società di persone o di capitali). In quest’ultima ipotesi il reddito scaturente dall’esercizio dell’attività sarà quello d’impresa (così come definita dagli articoli da 54 a 66 TUIR). La tassazione ai fini IRPEF, pertanto, varierà a seconda che il reddito prodotto sia reddito da lavoro autonomo, reddito di

Ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce che le cessioni di beni e le prestazioni di servizi sono operazioni rilevanti, ai fini dell’imponibilità IVA. Ed in proposito l’articolo 5, comma 1a, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, stabilisce che: “Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche ovvero da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata

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delle attività stesse. Non si considerano effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui all’art. 49, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597 nonché le prestazioni di lavoro effettuate dagli associati nell’ambito dei contratti di associazione in partecipazione di cui all’articolo 49, comma 2, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 rese da soggetti che non esercitano per professione abituale altre attività di lavoro autonomo. Non si considerano altresì effettuate nell’esercizio di arti e professioni le prestazioni di servizi derivanti dall’attività di levata dei protesti anno 2, n. 3/2014


esercitata dai segretari comunali ai sensi della L. 12 giugno 1973, n. 349, nonché le prestazioni di vigilanza e custodia rese da guardie giurate di cui al R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952.” Questo vuol dire che l’attività dell’amministratore non sempre è rilevante ai fini IVA. Infatti la Cassazione civile, con sentenza n. 6671 del 24/07/96, in merito all’assoggettabilità all’IVA dei compensi derivanti dall’attività di amministratore condominiale, stabilisce che: “l’elemento discriminante che concretizza l’esercizio abituale del lavoro autonomo, soggetto alla disciplina IVA, consiste nel generico utilizzo di mezzi organizzati”. Da ciò consegue che, se l’attività di amministrazione del condominio avviene tramite l’utilizzo di “mezzi organizzati” dovrà essere ritenuta imponibile IVA, altrimenti no. Sotto il profilo formale la sentenza inoltre ha stabilito che la forma contrattuale della collaborazione coordinata e continuativa si può ravvisare ove l’amministratore sia anche condomino e sia coinvolto dal turn-over dei proprietari del fabbricato, stabilito, eventualmente, con un verbale di assemblea. In caso contrario, ovvero nell’ipotesi in cui l’amministratore sia un soggetto esterno al condominio, la sua attività non può essere inquadrata

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in una collaborazione bensì in un incarico professionale (con tutte le conseguenze in materia fiscale e previdenziale del caso). Per quanto riguarda l’assoggettabilità ad IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive, definita come imposta locale, in quanto applicabile alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna regione) dell’attività svolta dall’amministratore di condominio va sottolineato che presupposto per la sua applicazione è l’esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione e allo scambio di beni o alla prestazioni di servizi, nonché, in ogni caso, l’attività esercitata da società ed enti, organi ed amministrazioni dello Stato. Sul punto, si è inoltre espressa la Corte Costituzionale che, anche se ha confermato la costituzionalità dell’imposta, ha ammesso la non assoggettabilità ad IRAP alle attività professionale esercitata in assenza di dipendenti (per quanto riguarda l’assoggettamento dell’amministratore di condominio all’IRAP, si veda la sentenza della Cassazione n. 21203 del 05.11.2004 secondo cui per i piccoli professionisti l’IRAP è in contrasto con i principi costituzionali. Per l’esclusione da tale imposta ne-

cessita, quindi, l’insussistenza di struttura organizzativa, la mancanza di dipendenti o di collaboratori e la mancanza di capitali conseguiti a seguito di mutuo. Ciò soprattutto, quando a sostegno di tali argomentazioni sia prodotta la relativa necessaria documentazione). Conseguentemente si può quindi affermare che se da un lato l’attività professionale di amministrazione di condomini è normalmente soggetta ad IRAP non sussistono i presupposti per l’assoggettamento al tributo nel caso in cui l’attività di amministratore di condominio risulti esercitata in mancanza di dipendenti e anche di beni strumentali rilevanti. Sempre in riferimento all’assoggettabilità ad IRAP dell’attività di amministrazione di condomini va poi ricordato quanto stabilito dalla CTR della Liguria, sezione VIII (sentenza del 28/06/2004, n. 4), che ha determinato positivamente in tema IRAP “la tassazione dell’attività dell’amministratore di condomini, qualora siffatta attività sia impiegata verso un numero considerevole di condomini, implicante, inevitabilmente, un’organizzazione sistematica di capitali ovvero di dipendenti”. Nulla quaestio se l’attività di amministratore condominiale viene esercitata da un soggetto societario.

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Il Condominio e gli adempimenti quale sostituto di imposta

ciò vuol dire che ciascun proprietario è responsabile in solido.

Il condominio assolve alla funzione di sostituto di imposta già dal 1998, ai sensi di quanto viene disposto dall’articolo 23, comma 1, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e come tale è tenuto al pagamento delle imposte sui redditi. È sostituto d’imposta “chi in forza di disposizioni di legge è obbligato al pagamento di imposte in luogo di altri, per fatti o situazioni a questi riferibili ed anche a titolo di acconto”. In proposito va ricordata l’importante Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 204 del 6 novembre 2000, che individua il condominio quale sostituto d’imposta e non l’amministratore di condominio, come originariamente la norma era stata interpretata. Avendo assunto la qualifica di sostituto d’imposta, il condominio è tenuto ad effettuare le ritenute di acconto ogni qualvolta siano corrisposti compensi, in denaro o in natura, soggetti alle ritenute stesse. Ciò avviene, ad esempio, in caso di corresponsione di somme o di valori che costituiscono redditi di lavoro dipendente, come quelli pagati al portiere dello stabile o all’incaricato della pulizia, se quest’ultimo intrattiene un rapporto di lavoro dipendente, ovvero in caso di pagamenti di somme o valori che sono, invece, da qualificare come redditi di lavoro autonomo, come quelli pagati all’amministratore del condominio stesso, anche se a titolo di rimborso forfetario di spese, o in caso di corresponsione di somme o valori qualificabili come redditi diversi ai sensi dell’articolo 81 del D.P.R. 22.12.1986, n. 917 (TUIR). Il vero e proprio sostituto di imposta è, dunque, il condominio e non l’amministratore condominiale,

In particolare, l’assolvimento degli obblighi di ritenuta quale sostituto di imposta competono: • al condominio; • al supercondominio; • al condominio parziale.

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Questi detengono un proprio codice fiscale, pertanto sono autonomamente responsabili nei confronti del Fisco, pur in presenza di un amministratore che ne assume la legale responsabilità. Ciò si deduce, a contrario considerando il caso del condominio con numero di condomini inferiore a quattro, in cui, non essendo obbligatoria la nomina dell’amministratore, ciascun condomino potrà provvedere agli adempimenti di sostituto di imposta. In base alle norme appena ricordate il condominio è, quindi, tenuto ad effettuare la ritenuta d’acconto sui compensi corrisposti ai professionisti, ai lavoratori dipendenti e all’amministratore e non solo, in quanto con la Legge Finanziaria 2007 è stata introdotta l’obbligatorietà di operare la ritenuta d’acconto sui corrispettivi dovuti per prestazioni relative a contratti di appalto di opere e servizi. Chiarite le fonti normative ed interpretative della responsabilità dell’amministratore, vediamo con maggiore dettaglio in cosa consistono praticamente tali obblighi: l’amministratore quale rappresentante legale del condominio deve effettuare all’atto del pagamento della parcella del professionista (avvocato, ingegnere, ecc.) la ritenuta, a titolo di acconto, IRPEF del 20% e provvedere al versamento entro il

16 del mese successivo. Se il professionista è un soggetto non residente, la ritenuta sarà a titolo di imposta ed aumenta fino al 30%. Tale ritenuta va effettuata solo per le prestazioni ricevute da condominio da parte professionisti. Per quanto riguarda gli appalti di lavori e servizi condominiali invece, l’articolo 1, comma 43, della Legge 27 dicembre 2006, n. 296 ha introdotto, nell’ambito del D.P.R. 600/1973 l’articolo 25-ter, al fine di disciplinare l’obbligo di operare una ritenuta anche sui corrispettivi dovuti in relazione a talune prestazioni. Di conseguenza, il condominio è tenuto ad effettuare una serie di adempimenti che la legge gli impone proprio per la figura che riveste, soggetto obbligato al pagamento delle imposte in luogo di altri: • effettuare le ritenute d’acconto e versarle all’Erario; • esercitare la rivalsa sul sostituito (per far cadere il carico fiscale sullo stesso); • osservare gli obblighi di dichiarazione e certificazione. La ritenuta del 4% non va applicata sui corrispettivi delle prestazioni rese dalle persone fisiche che si avvalgono del regime fiscale agevolato per le nuove iniziative imprenditoriali, o del regime fiscale agevolato delle attività marginali disciplinati, rispettivamente, dagli articoli 13 e 14 della Legge 23 dicembre 2000, n. 388 e s.m.i.. A tal fine è necessario che i contribuenti rilascino all’amministratore del condominio un’apposita dichiarazione, dalla quale risulti che il reddito cui le somme afferiscono è soggetto ad imposta sostitutiva, che costituisce la condizione per l’esonero dall’applicazione della ritenuta. Per quanto riguarda le ritenute effettuate ai sensi dell’articolo 25-ter D.P.R. 600/1973 trovano applicazione le disposizioni in materia di: • versamento diretto di cui all’articolo 3, comma 1, n. 1), D.P.R. 29.9.1973, n. 602; • versamento unitario e compensazione previsti dall’articolo 17 D.Lgs. 9.7.1997, n. 241 anche per le ritenute alla fonte riscosse mediante versamento diretto; • versamento entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è stata operata la ritenuta, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 8, comma 1, n. 1), D.P.R. 602/1973 e dell’articolo 18 D.Lgs. 241/1997.

Obblighi dichiarativi e di certificazione Nella dichiarazione sostitutiva d’imposta (si tratta del c.d. Modello 770) devono anno 2, n. 3/2014


essere indicati i dati del condominio, i dati dei soggetti che hanno percepito i compensi, le somme soggette alla ritenuta, il compimento della ritenuta ed il versamento. Nel caso di lavoratori dipendenti occorrerà menzionare nella dichiarazione sostitutiva d’imposta anche i contributi previdenziali. Il condominio deve rilasciare la certificazione unica attestante l’ammontare delle somme corrisposte, la causale e le ritenute. Va precisato che dal punto di vista fiscale formalmente è il condominio a svolgere il ruolo di sostituto di imposta e non l’amministratore condominiale, anche se la riforma obbliga quest’ultimo ad adempiere tutti gli obblighi fiscali. La precisazione è fondamentale, in quanto ogni condomino risponderà per l’intero in caso di mancato versamento al fisco di quanto dovuto, fermo restando la responsabilità dell’amministratore. In seconda battuta sarà successivamente il singolo con-

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dominio che ha corrisposto quanto dovuto al Fisco per intero ad agire in regresso nei confronti degli altri condomini.

Obbligo di comunicazione dei dati dei fornitori A differenza degli obblighi del sostituto di imposta posti genericamente in capo al condominio, l’effettuazione della ritenuta del 4% implica l’obbligo per l’amministratore di comunicare annualmente all’anagrafe tributaria l’ammontare dei beni e servizi acquistati dal condominio, unitamente ai dati identificativi dei relativi fornitori (nome e cognome, data e luogo di nascita se persona fisica oppure ragione o denominazione sociale se persona giuridica, codice fiscale, domicilio fiscale), previsto

dall’articolo 7, comma 9, D.P.R. 605/1973 e disciplinato con decreto del Direttore generale del Dipartimento delle entrate del 12 novembre 1998. Nell’ipotesi di avvicendamento nel corso di uno stesso anno di più amministratori, l’obbligo incomberà in capo a colui che svolge la funzione al 31 dicembre dell’anno di riferimento. Non devono essere comunicati: a) i dati relativi alle forniture di acqua, energia elettrica e gas; b) i dati relativi alle forniture di servizi che hanno comportato il pagamento di compensi soggetti alle ritenute alla fonte; c) con riferimento al singolo fornitore, i dati elencati alla lettera b) precedente qualora l’importo complessivo degli acquisti effettuati nell’anno solare non sia superiore a Euro 258,23.

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Il valzer della proroga 770: quali le prospettive? di Nicola FORTE - Responsabile Centro Studi AGEFIS

Dopo le vacanze estive, è tempo di riaccendere i motori, facendo un piccolo “recap” di quello che è accaduto alla fine di luglio; è facile individuare due temi di estremo interesse dei professionisti: si tratta della proroga del termine per l’invio telematico della dichiarazione dei sostituti di imposta (modello 770) del 2013 e le semplificazioni previste dalla delega fiscale. Gli argomenti non sembrano collegati, ma in realtà l’esperienza che i professionisti vivono (sulla propria pelle) durante questi giorni è utile per comprendere gli effetti che l’anno prossimo potrebbero verificarsi qualora sarà approvato definitivamente lo schema di decreto delegato in tema di semplificazioni fiscali. È noto come l’anno fiscale che ha quasi raggiunto la sospirata pausa estiva sia stato travagliato. Si sono aggiunti ulteriori adempimenti a carico dei professionisti e dei contribuenti, ed è ancora fresco il ricordo delle incertezze dovute alla prima applicazione della nuova TASI. Da questo punto di vista le difficoltà non sono state ancora completamente superate in quanto la maggior parte dei comuni non ha ancora stabilito le relative aliquote. L’appuntamento è quindi solo rinviato alla prossima scadenza del 16 ottobre quando i contribuenti dovranno tornare a fare i conti con le imposte sulla casa. Subito dopo si sono aggiunte le consuete (e consolidate) difficoltà nella compilazione della dichiarazione dei redditi che hanno indotto il Governo alla concessione della “ordinaria” proroga. Le medesime difficoltà si propongono ora per la presentazione del modello 770 (la dichiarazione del sostituto di imposta), ma non si comprende l’atteggiamento dell’Esecutivo. Fino a qualche giorno fa sembrava esserci una chiusura totale e nonostante le numerose richieste di proroga delle associazioni di categoria il Governo ha fatto chiaramente sapere che non sussistevano le ragioni tecniche per disporre il rinvio della scadenza. In realtà non si comprendono le ragioni di questa chiusura. La dichiarazione del sostituto di imposta non è (normalmente) un adempimento che aumenta il gettito nelle casse dell’Erario. Le ritenute devono essere versate periodicamente (di solito mensilmente) avendo riguardo al pagamento delle retribuzioni, delle collaborazioni e dei compensi ai professionisti. Un eventuale differimento dell’adempimento potrebbe 12

dare luogo ad una modesta diminuzione delle entrate slittando automaticamente anche il termine per fruire del ravvedimento operoso relativo alle ritenute eventualmente non versate. In buona sostanza la problematica è completamente diversa rispetto ad un eventuale rinvio dei termini di versamento delle imposte (Irpef, Irap, Ires) collegate al modello Unico. Un primo spiraglio alla proroga per la presentazione del modello 770 è arrivato in questi giorni e anche in virtù delle dichiarazioni del sottosegretario Zanetti la nuova data avrebbe dovuto essere quella del 15 settembre. La schiarita è arrivata finalmente venerdì 25 luglio e dopo un lungo colloquio del Presidente del Consiglio Nazionale dei Consulenti del Lavoro Marina Calderone con i vertici del Ministero dell’Economia e delle finanze è stato trovato l’accordo sulla data. L’invio delle dichiarazioni del sostituto di imposta dovrà essere effettuato entro il 19 settembre prossimo. Il rinvio dovrà essere disposto con un DPCM, ma la proroga potrebbe essere annunciata già oggi o al massimo martedì con un apposito comunicato stampa. Non si comprende, però, per quale ragione il tormentone debba ripetersi ogni anno. In ogni caso l’accoglimento della proroga non inciderà sull’avvio della presentazione della dichiarazione dei redditi precompilata prevista dalla delega fiscale. L’invio dei dati entro il 19 settembre prossimo (il termine ancorché ufficioso sembra definitivo) riguarda i dati del 2013. Invece la partenza del modello precompilato interesserà il successivo periodo di imposta 2014. Ora se questa è la situazione di quest’anno e gli operatori devono far fronte ad un solo adempimento, si immagini cosa si verificherà l’anno prossimo, cioè allorquando gli adempimenti saranno “doppi”. Infatti, il decreto sulle semplificazioni chiede la massima collaborazione ad imprese e professionisti per rendere possibile l’invio del modello precompilato. Tuttavia, in questo modo si prevedono ulteriori oneri che ri-

schiano di dare luogo ad una vera e propria paralisi del sistema fiscale. In materia di sostituti di imposta la disposizione che preoccupa è costituita dall’art. 2 dello schema di decreto delegato la cui rubrica è “Trasmissione all’Agenzia delle entrate delle certificazioni da parte dei sostituti d’imposta. Infatti, entro la scadenza del 7 marzo dell’anno successivo dovranno essere trasmessi all’Agenzia delle entrate i dati dei modelli CUD e delle altre certificazioni rilasciate dal sostituto di imposta ai sensi dell’art. 4 del DPR n. 322/1998. I termini sono molto stretti (a ridosso della chiusura dell’anno fiscale), ma l’esigenza sorge proprio per consentire al Fisco l’invio del modello precompilato. Deve però essere considerato che il nuovo adempimento non solleverà affatto gli operatori dalla necessità di continuare ad inviare all’Agenzia delle entrate il modello 770 entro la scadenza del 31 luglio. Conseguentemente gli operatori dovranno assolvere non più un solo adempimento, come per quest’ultimo anno, ma due obblighi: l’invio dei dati delle certificazioni e l’invio del modello 770. Certo è difficile comprendere come possa essere iniziato un percorso di semplificazione aggiungendo adempimenti senza “tagliare” norme e decreti. E’ auspicabile che il contenuto del modello 770 sia perlomeno alleggerito anche se con l’ausilio dei software presenti sul mercato il problema non è tanto rappresentato dalla compilazione, ma piuttosto dal “doppio” invio. Il quadro che si presenta all’orizzonte non è certo rassicurante se si considera che l’anno prossimo, in prossimità della scadenza del 7 marzo, nonostante l’adempimento nuovo, non arriverà certamente alcuna proroga. Un eventuale differimento dell’adempimento rischierebbe di far saltare l’avvio della dichiarazione precompilata. Conseguentemente è indispensabile che i professionisti pretendano subito regole chiare e soprattutto con ampio anticipo rispetto alla nuova ed ulteriore scadenza del 7 marzo. anno 2, n. 3/2014


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OBBLIGHI DEL COMMITTENTE AI SENSI DEL DECRETO LEGISLATIVO 81/2008 a cura dell’ing. Domenico BLASI - ANAPI Communication Il Decreto Legislativo 81/2008 interessa l’amministratore di condominio in ben tre circostanze. La prima, è quella che vede il nostro amministratore di condominio titolare di uno studio all’interno del quale svolge la sua attività, sempreché alle sue dipendenza abbia dei dipendenti. In tal caso l’amministratore assume la qualifica di Datore di Lavoro nei confronti dei suoi dipendenti ed è quindi tenuto al totale rispetto del D.Lvo 81/2008. La seconda circostanza è quella che vede il professionista amministrare un condominio che abbia alle sue dipendenze un lavoratore che rientri nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati, per esempio il portiere. Anche in questo caso l’amministratore di condominio è interessato dal Decreto Legislativo 81/2008. Nello specifico le prescrizioni che

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lo riguardano scaturiscono dalla lettura dell’articolo 3 comma 9 del Decreto Legislativo. La terza circostanza, sulla quale andremo a porre la nostra attenzione in questo articolo poiché è quella nella quale l’amministratore potrà facilmente trovarsi, si verifica quando devono essere eseguiti lavori edili sulle parti comuni del fabbricato amministrato. In questo caso l’amministratore di condominio assumerà la qualifica di “Committente” e avrà degli obblighi. Questi obblighi sono riportati all’art. 90 del Decreto Legislativo 81/2008 che di seguito si riporta. Articolo 90 - Obblighi del committente o del responsabile dei lavori 1. Il committente o il responsabile dei lavori, nelle fasi di progettazione dell’opera, si

attiene ai principi e alle misure generali di tutela di cui all’articolo 15, in particolare: a) al momento delle scelte architettoniche, tecniche ed organizzative, onde pianificare i vari lavori o fasi di lavoro che si svolgeranno simultaneamente o successivamente; b) all’atto della previsione della durata di realizzazione di questi vari lavori o fasi di lavoro. 1-bis. Per i lavori pubblici l’attuazione di quanto previsto al comma 1 avviene nel rispetto dei compiti attribuiti al responsabile del procedimento e al progettista. 2. Il committente o il responsabile dei lavori, nella fase della progettazione dell’opera, prende in considerazione i documenti di cui all’articolo 91, comma 1, lettere a) e b). 3. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente, anche nei casi di

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coincidenza con l’impresa esecutrice, o il responsabile dei lavori, contestualmente all’affidamento dell’incarico di progettazione, designa il coordinatore per la progettazione. 4. Nei cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non contemporanea, il committente o il responsabile dei lavori, prima dell’affidamento dei lavori, designa il coordinatore per l’esecuzione dei lavori, in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98. 5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche nel caso in cui, dopo l’affidamento dei lavori a un’unica impresa, l’esecuzione dei lavori o di parte di essi sia affidata a una o più imprese. 6. Il committente o il responsabile dei lavori, qualora in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98, ha facoltà di svolgere le funzioni sia di coordinatore per la progettazione sia di coordinatore per l’esecuzione dei lavori. 7. Il committente o il responsabile dei lavori comunica alle imprese affidatarie, alle imprese esecutrici e ai lavoratori autonomi il nominativo del coordinatore per la progettazione e quello del coordinatore per l’esecuzione dei lavori. Tali nominativi sono indicati nel cartello di cantiere. 8. Il committente o il responsabile dei lavori ha facoltà di sostituire in qualsiasi momento, anche personalmente, se in possesso dei requisiti di cui all’articolo 98, i soggetti 16

designati in attuazione dei commi 3 e 4. 9. Il committente o il responsabile dei lavori, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un’unica impresa o ad un lavoratore autonomo: a) verifica l’idoneità tecnico-professionale delle imprese affidatarie, delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi in relazione alle funzioni o ai lavori da affidare, con le modalità di cui all’ALLEGATO XVII. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’allegato XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese e dei lavoratori autonomi del certificato di iscrizione alla Camera di commercio, industria e artigianato e del documento unico di regolarità contributiva, corredato da autocertificazione in ordine al possesso degli altri requisiti previsti dall’ALLEGATO XVII; b) chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell’organico medio annuo, distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), all’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (INAIL) e alle casse edili, nonché una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative,

applicato ai lavoratori dipendenti. Nei cantieri la cui entità presunta è inferiore a 200 uomini-giorno e i cui lavori non comportano rischi particolari di cui all’ALLEGATO XI, il requisito di cui al periodo che precede si considera soddisfatto mediante presentazione da parte delle imprese del documento unico di regolarità contributiva, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e dell’autocertificazione relativa al contratto collettivo applicato; c) trasmette all’amministrazione concedente, prima dell’inizio dei lavori oggetto del permesso di costruire o della denuncia di inizio attività, copia della notifica preliminare di cui all’articolo 99, il documento unico di regolarità contributiva delle imprese e dei lavoratori autonomi, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 16-bis, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, e una dichiarazione attestante l’avvenuta verifica della ulteriore documentazione di cui alle lettere a) e b). 10. In assenza del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100 o del fascicolo di cui all’articolo 91, comma 1, lettera b), quando previsti, oppure in assenza di notifica di cui all’articolo 99, quando anno 2, n. 3/2014


prevista oppure in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo. L’organo di vigilanza comunica l’inadempienza all’amministrazione concedente. 11. La disposizione di cui al comma 3 non si applica ai lavori privati non soggetti a permesso di costruire in base alla normativa vigente e comunque di importo inferiore ad euro 100.000. In tal caso, le funzioni del coordinatore per la progettazione sono svolte dal coordinatore per la esecuzione dei lavori. Le sanzioni previste sono penali ed amministrative. Sanzioni penali per i committenti o per i responsabili dei lavori: • Art. 90, co. 3, 4, 5: arresto da tre a sei

mesi o ammenda da 2.740,00 a 7.014,40 euro [Art. 157, co. 1, lett. a)] • Art. 90, co. 9, lett. a): arresto da due a quattro mesi o ammenda da 1.096,00 a 5.260,80 euro [Art. 157, co. 1, lett. b)] Sanzioni amministrative per i committenti o i responsabili dei lavori: • Art. 90 co. 7 e 9, lett. c): sanzione amministrativa pecuniaria da 548,00 a 1.972.80 euro [Art. 157, co. 1, lett. c)] Come si evince dal titolo dell’articolo 90, gli obblighi possono essere assunti da un Responsabile dei Lavori. Il Responsabile dei Lavori, così come definito dall’articolo 89 comma 1 lettera c), è quel soggetto che può essere incaricato dal committente per svolgere i compiti ad esso attribuiti dal decreto legislativo 81/2008. Il responsabile dei lavori deve essere de-

signato con una esplicita delega da parte del committente e con accettazione scritta da parte dello stesso. In seguito a ciò il committente è esonerato dal rispetto degli obblighi che eventualmente lo stesso ha inteso trasferire al responsabile dei lavori. Tutto ciò non deve scoraggiare il diligente amministratore di condominio, il quale, a seguito di un’attenta lettura dell’articolo 90 del Decreto Legislativo 81/2008, con la collaborazione iniziale del tecnico incaricato di redigere gli elaborati progettuali propedeutici all’avvio dei lavori ad eseguirsi e da ultimo con la collaborazione del Coordinatore della Sicurezza in fase di progettazione che eventualmente sarà stato nominato, potrà ottemperare agli obblighi prescritti nel Decreto Legislativo.

La regolarità contributiva (DURC) in condominio dell’avv. Paola PONTANARI Il Durc, ovvero il “documento unico di regolarità contributiva” è un certificato che attesta la regolarità di un’impresa nei pagamenti e negli adempimenti previdenziali, assistenziali e assicurativi nonché in tutti gli altri obblighi previsti dalla normativa nei confronti di Inps, Inail e Casse Edili. Questo perché il Durc è un documento richiesto nel caso di lavori in ambito di edilizia pubblica o privata. Quindi il committente che appalta un opera ad un’impresa edile pubblica o privata deve accertarsi, prima, durante, nei vari stati di avanzamento lavori e conseguenti pagamenti, nonché al momento del collaudo e alla verifica di conformità che l’impresa sia in possesso del Durc, previsto dall’articolo 90 comma 9 lettere a) e b) del Dlgs.81/2008, così come riformato dal Dl. 69/2013 convertito dalla legge 98/2013. In particolare il Durc per la verifica della dichiarazione sostitutiva della regolarità contributiva previsto per l’aggiudicazione e la stipula del contratto ha validità 120 giorni, con decorrenza dalla data indicata nel documento. Nelle fasi successive alla stipula, ovvero al pagamento delle singole fatture in base allo stato di avanzamento lavori (Sal), al certificato di collaudo, al certificato di regolare esecuzione o verifica di conformità e attestazione di regolare esecuzione, il Durc sarà nuovamente richiesto. Infine, al saldo bisognerà sempre acquisire un nuovo Durc, poiché non è prevista l’estensione di validità dei medesimi docuanno 2, n. 3/2014

menti richiesti nelle fasi precedenti, anche se non ancora scaduti. La legge di riforma prevede un unico caso in cui il Durc non è richiesto, ovvero in caso di lavori privati di manutenzione edilizia realizzati senza ricorso a imprese edili, ma direttamente in economia dal proprietario dell’immobile. Responsabilità del committente e dell’appaltatore ve ne sono eccome, sia di natura solidale, sia di tipo sanzionatorio. Sotto il profilo della solidarietà, il Dl. 69/2013 (convertito dalla legge 98/2013 e il Dl. 76/2013 (convertito dalla legge 99/2013) prevedono che l’appaltatore ed il subappaltatore (e sul piano degli obblighi lavoristici anche il committente imprenditore) rispondono il solido dei versamenti dovuti sul piano fiscale e contributivo. Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio, il decreto sviluppo 2012 (Dl.83/2012 convertito dalla legge 134/2012) ha previsto nei confronti del committente una sanzione amministrativa pecuniaria da 5 mila a 200 mila euro nel caso in cui lo stesso provveda ad effettuare il pagamento all’appaltatore senza che questi abbia esibito la documentazione attestante che i versamenti fiscali, scaduti alla data del pagamento del corrispettivo, siano stati correttamente eseguiti, eventualmente anche dal subappaltatore. Dopo aver illustrato che cos’è il Durc, a cosa serve e quali sono le responsabilità dei soggetti coinvolti, quante volte chi amministra un condominio o gli stessi condomini si sono chiesti se tutto questo si applica an-

che in questo ambito specifico. Iniziamo a precisare che, in base a quanto sopra illustrato, all’impresa che viene a fare le pulizie in condominio non dovremo chiedere un bel niente perché il Durc è riferito solo alle imprese edili. Ciò non toglie che in caso di lavori appaltati dal condominio ad un’impresa edile per il rifacimento della facciata o del tetto spesso l’amministratore si chiede se deve richiedere all’impresa il Durc prima di sottoscrivere il contratto. E, soprattutto, se su di lui o sul condominio ricadano quelle responsabilità solidali o pecuniarie di cui parlavamo poc’anzi. Si è letto di tutto in questo ambito, ma la legge a tal proposito è molto chiara ed anche l’Agenzia delle Entrate è intervenuta ad esplicitarla con la circolare n.2/E del 01.03.2013. L’art.28ter dell’art.35 del Dl.223/2006 prevede che i soggetti a cui tutte le suesposte norme fanno riferimento sono quelli che hanno attività rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto e, in ogni caso, quelli di cui all’art.73 e 74 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi. È, quindi, escluso dall’ambito applicativo di dette norme il condominio in quanto non riconducibile fra i soggetti individuati agli artt.73 e 74 del Tuir. Allo stato, perciò, non vi è alcuna norma che impone all’amministratore di verificare la regolarità fiscale e contributiva delle imprese che prestano servizi in appalto in condominio. 17


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UNA BREVE RIFLESSIONE SULLE TABELLE MILLESIMALI E SUL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO a cura dell’avv. Anna NICOLA – Sede Regionale ANAPI Piemonte L’approvazione delle tabelle millesimali può essere deliberata dall’assemblea con il voto favorevole espresso dalla maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino quanto meno la metà del valore dell’edificio (500 millesimi). Ciò è a norma dell’art. 1136 secondo comma c.c., sia in prima, sia in seconda convocazione. È quanto ha affermato di recente la Suprema Corte con la decisione n. 3221 depositata in cancelleria il 12 febbraio 2014 nonché il 26 febbraio 2014 con la sentenza n. 4569. Com’è noto, si tratta di un tema affrontato e risolto di recente dalla Cassazione a Sezioni Unite nell’estate del 2010, con la sentenza n. 18477/10. Questo è il principio: le tabelle sono un semplice negozio di accertamento, con cui viene determinato con certezza il valore dei singoli alloggi rispetto all’edificio nel suo complesso. Ciò significa che, a ben vedere, le tabelle millesimali non sono un elemento necessario alla sussistenza dei condominio: la loro mancanza non ha alcuna ripercussione, in quanto ogni singola unità immobiliare ha un proprio valore proporzionale rispetto all’intero stabile. La decisione delle Sezioni Unite n. n. 18477/2010 così riporta: “i condomini approvano la tabella che ha determinato il valore dei piani o delle porzioni di piano secondo i criteri stabiliti dalla legge non fanno altro che riconoscere l’esattezza delle operazioni di calcolo della proporzione tra il valore della quota e quello del fabbricato; in sintesi, la misura delle quote risulta determinata in forza di una precisa disposizione di legge. L’approvazione del risultato di una operazione tecnica non importa la risoluzione o la preventiva eliminazione di controversie, di discussioni o di dubbi: il valore di una cosa è quello che è e il suo accertamento non implica alcuna operazione volitiva, ragion per cui il semplice riconoscimento che le operazioni sono state compiute in conformità al precetto legislativo non può qualificarsi attività negoziale”. A seguito della riforma (L. 220.2012), se si vuole procedere alla revisione o alla modificazione di tabelle già esistenti, il riferimento normativo è costituito dall’art. 69 disp. att. c.c. anno 2, n. 3/2014

Questa norma indica i casi in cui si può procedere alla loro modifica se, per errore o cambiamenti strutturali, non risultano più attuali. Il procedimento qui prescritto vale in tutti i casi, sia per le tabelle millesimali assembleari, sia per quelle contrattuali. Si ritiene che ancora oggi debba valere il principio secondo cui la natura delle tabelle dipende dalla natura della clausola del regolamento a cui attengono e a cui sono allegate. Esse, seppur di nascita contrattuale, possono avere contenuto assembleare, se non vanno a modificare i criteri di distribuzione di spesa dettati dalle norme specifiche del codice civile (artt. 1223 e segg. c.c.; cfr. Cass. SS.UU. 30 dicembre 1999 n. 943), sulla falsariga di quanto prevedono le singole clausole del regolamento. Il regolamento ha natura contrattuale ove sia stato predisposto dall’unico originario proprietario dello stabile ed accettato dagli acquirenti delle singole unità immobiliari, in sede di compravendita degli alloggi che compongono l’edificio. Per poter essere vincolante per gli acquirenti delle singole unità immobiliari occorre che esso sia richiama-

to ed approvato nei singoli atti di acquisto (Cassazione civile , sez. II, 31 luglio 2009, n. 17886). Ha altresì tale natura nel caso in cui venga approvato dall’assemblea all’unanimità dei condomini (Cassazione civile, sez. II, 10 febbraio 2009, n. 3245; Cassazione civile , sez. II, 14 dicembre 2007, n. 26468). È un contratto plurisoggettivo, dato dall’incontro della volontà di tutti i condomini, ma non è un contratto a prestazioni corrispettive. Ciò perché il regolamento tutela i medesimi interessi sussistenti in capo ai singoli condomini, senza che questi si trovino su posizioni contrapposte. L’interesse dei contitolari è unico: il convivere insieme in condominio nel rispetto delle singole proprietà individuali e di quelle collettive, come disciplinato dal regolamento (così Cass. 19 aprile 2009 n. 9137). Sempre per la medesima ragione, per essere vincolante occorre che esso sia stato preventivamente determinato nel contenuto, oltre a dover avere i requisiti essenziali per poterlo qualificare come vero e proprio contratto, onde ritenerlo valido ed efficace. Anche se il suo contenuto normale è quello dettato dall’art. 1138 c.c., la prestazione del consenso da parte di tutti i con-

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domini legittima la previsione e la validità di clausole con cui si limitano in qualche modo le proprietà esclusive o sanciscono una distribuzione di spesa tra i condomini diversa rispetto a quella prevista dal codice civile. Queste sono le fondamentali differenze rispetto al regolamento assembleare. È lecito e possibile nel regolamento contrattuale introdurre vincoli e limiti alle singole proprietà a seguito di concorde ed unanime determinazione degli aventi diritto, necessitata dallo scopo di conseguire la più comoda e proficua utilizzazione delle cose comuni. Per essi ci si esprime in termini di oneri reali, di obbligazioni propter rem, di servitù reciproche, di oneri aventi natura sostanziale, di servitù. Affinché simili clausole siano valide occorre che le medesime rivestano l’eventuale forma prescritta in relazione alla natura della limitazione in essa contenuta: trattandosi di limiti – servitù – al diritto di proprietà immobiliare, devono necessariamente rivestire la forma scritta ab substantiam. Esse possono essere formulate sia mediante l’elencazione delle attività vietate sia mediante riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare. Nella prima ipotesi è sufficiente, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, verificare se la destinazione sia inclusa nell’elenco, dovendosi ritenere che già in sede di redazione del regolamento ne siano stati valutati gli effetti come necessariamente dannosi. Nella seconda ipotesi, essendo mancata la valutazione in astratto degli effetti dell’attività, è necessario accertare se l’attività oggetto di contestazione sia capace di creare gli inconvenienti che la clausola intende evitare. Simili limiti devono comunque risultare da una volontà chiara ed espressa o da una volontà desumibile, comunque, in modo certo dal contenuto del regolamento. A questo fine, la semplice indicazione di una determinata destinazione delle unità immobiliari non può essere tale da precluderne altre diverse: questo risultato può essere conseguito solo mediante la costituzione di reciproche servitù volontarie fra i vari condomini, con conseguente restrizione della sfera di dominio sui beni di loro proprietà esclusiva. Lo stesso vale per la previsione di un onere economico diverso tra i condomini rispetto a quello sancito dalle norme legislative. Per poter derogare a queste disposizioni, occorre che tutti vi prestino il consenso. Questo principio è logico: se tutti gli alloggi, ad esempio, godono del servizio di portierato, la previsione che un certo condomino partecipi in misura minore rispetto ai suoi millesimi va a ripercuotersi sugli altri abitanti dell’edificio, che di conseguenza si fanno carico di quel quid che esula dal singolo carico economico del predetto condomino. Il rifiuto di anche solo 20

un abitante comporta l’impossibilità di avere una diversa ripartizione di spesa, mancando il consenso unanime dei condomini. Lo stesso è per le tabelle millesimali, quando esse devono essere revisionate o modificate. Le condizioni sono prescritte, come sopra accennato, dall’art. 69 disp. att. c.c. Se la revisione è per le condizioni mutate del palazzo o di una singola unità (ad esempio un condomino ha aggiunto la mansarda al proprio alloggio, da cui deriva il superamento della sua superficie di un quinto rispetto a quanto era in precedenza) “non sono violati gli artt. 1135, 1136 c.c., 68 e 69 disp. att. c.p.c. perché, quand’anche si volesse attribuire ad una delibera che si limita a regolare in modo diverso i criteri di ripartizione delle spese generali, la natura di delibera di modifica dei millesimi, la delibera comunque non doveva essere approvata all’unanimità, ma a semplice maggioranza perché nel condominio, l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, come quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale; ne consegue che la revisione delle tabelle (ancorché di origine contrattuale) non deve essere approvata con il consenso unanime dei condomini […], essendo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma (Cass. S.U. 9/8/2010 n. 18477)” (Cass. 12 febbraio 2012 n. 3221). Se invece si vuole definire una nuova distribuzione delle spese dell’edificio tra i condomini, la modifica attiene al regolamento di condominio ed è di valore contrattuale: si rientra in un vero e proprio accordo che va a modificare la naturale ripartizione delle spese dei beni e servizi comuni tra gli abitanti dello stabile; esso necessariamente richiede l’assenso di tutti i condomini, dovendo modificare la relativa clausola del regolamento o la regola base stabilita dal codice civile. Il principio delle recenti decisioni del Supremo Collegio sopra richiamate è il seguente: “Occorre considerare, infatti, il sopravvenuto nuovo indirizzo di questa Corte in materia, dovuto all’arresto n. 18477/10 delle S.U., in base al quale l’atto di approvazione delle tabelle millesimali, al pari di quello di revisione delle stesse, non ha natura negoziale, con la conseguenza che non deve essere approvato con il consenso unanime dei condomini, essendo a tal fine sufficiente la maggioranza qualificata di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c. Infatti, la deliberazione che approva le tabelle millesimali non si pone come fonte diretta dell’obbligo contributivo del condomino, fonte che è costituita dalla legge stessa, ma solo come parametro di quantificazione dell’obbligo, determinato in base ad un valutazione tecnica” (Cass. 26.02.2014 n° 4569)

Questo principio è valido e corretto quando si ha una modificazione della consistenza anche di una sola unità immobiliare che fa parte del condominio, tale da legittimare la revisione delle tabelle, non più attuali in ragione degli interventi operati dal titolare dell’alloggio a cui la vertenza si riferisce. Questo è il significato da attribuire alla fonte legale della fattispecie: non è l’assemblea che determina una nuova consistenza delle tabelle del condominio ma è la legge in ragione del mutamento del valore di uno o più alloggi. Quanto detto è confermato dalla sentenza n. 11837 del 13.05.2013 con cui la Cassazione ribadisce che: “il legislatore, con la recente legge n. 220/2012 ha sostanzialmente recepito l’insegnamento di cui alla sentenza a SS.UU. n. 18477/2010 modificando e profondamente innovando l’art. 69 delle disp. att. c.c. Tale norma nel testo novellato prevede appunto che in linea generale i valori espressi dalle tabelle millesimali possono essere rettificati o modificati all’unanimità.” Conforme a quella già precedentemente resa del 13 maggio 2013 n. 11387. Sempreché, come sopra detto, si stia analizzando il caso di modifica o revisione delle (sole) tabelle e non (anche) delle clausole del regolamento dell’edificio. Il nuovo art. 69 disp. att. c.c. prevede questo procedimento se si verificano mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopra-elevazione, di incremento di superfici, di modificazione delle destinazioni d’uso o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, se vi è stata un’alterazione per più di 1/5 del valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condòmino. Anteriormente alla riforma non vi era alcun “tetto minimo” da dover superare per poter modificare le tabelle dell’edificio. Occorre ricordare alcuni principi in tema di tabelle millesimali, a partire dalla loro formazione. La redazione delle tabelle può essere effettuata dal costruttore-venditore degli alloggi che compongono l’edificio; può essere discussa e decisa in sede assembleare, dietro eventuale incarico a un soggetto terzo, professionista del settore. La decisione di conferimento di incarico deve essere presa con le maggioranze di cui all’art. 1136, secondo comma, cioè con la maggioranza di voti degli intervenuti alla riunione e almeno metà del valore dell’edificio. L’attribuzione di questo compito non implica di per sé l’approvazione delle tabelle, una volta redatte. Per questa fattispecie occorre una doppia decisione dell’assemblea: la prima, che attribuisce l’incarico ad un certo professionista; la seconda con cui l’assemblea fa proprie le tabelle da questi anno 2, n. 3/2014


redatte. Anche la deliberazione dell’assemblea di approvare le tabelle così redatte deve rispettare i quorum prescritti dall’art. 1136, secondo comma, c.c. (Trib. Bari Sez. III, 12/02/2010). La sottoscrizione da parte dei condomini dell’elaborato tecnico formato dal soggetto incaricato della redazione delle tabelle non implica approvazione delle stesse (Trib. Salerno Sez. feriale Ord., 30/07/2004). È da escludere che l’amministratore di condominio abbia l’obbligo e l’onere di provvedere alla redazione e all’eventuale modifica delle tabelle millesimali, essendo compito istituzionale dell’assemblea di condominio (Cass. civ. Sez. II, 11/02/2000, n. 1520) Per esprimere i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio -e quindi per redigere correttamente le tabelle millesimali- occorre fare riferimento al momento in cui viene redatto il regolamento di condominio, costituendone parte ntegrante. Può accadere che successivamente si renda necessario modificarle in quanto ci si avvede che sono affette da errori di calcolo o in ragione della variazione della consistenza delle unità che compongono l’edificio. “In tema di condominio di edifici, i valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell’edificio vanno individuati con riferimento al momento dell’adozione del regolamento e la tabella che li esprime é soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell’edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull’originaria proporzione dei valori. Pertanto, in ragione dell’esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, nè i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell’edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l’edificio” (Cass. civ. Sez. II, 10/02/2010, n. 3001). Per effettuare il corretto calcolo, occorre tenere in debito conto i seguenti elementi: gli elementi intrinseci, quali l’ampiezza e il numero dei vani di proprietà singola; gli elementi estrinseci, quali l’ubicazione, l’esposizione, l’altezza; eventuali pertinenanno 2, n. 3/2014

ze delle proprietà esclusive (Cass. civ. Sez. II, 27/07/2007, n. 16644; Cass. civ. Sez. II, 01/07/2004, n. 1201). Come accennato in precedenza, il valore degli immobili che costituiscono il condominio preesiste pertanto alle tabelle millesimali l’esistenza di valide tabelle millesimali non costituisce requisito di validità delle delibere assembleari, dato che il criterio per la determinazione delle singole quote preesiste alle tabelle, derivando dal rapporto tra il valore dell’intero edificio e quello della proprietà singola (Cass. n. 3264/2005). Anche qualora siano errate, le tabelle sono obbligatorie per tutti i condomini fino al momento in cui non vengono modificate. L’amministratore, nel ripartire le spese tra i contitolari, è tenuto a rispettarle, anche se è a conoscenza della loro erroneità: questi non può contravvenire alla ripartizione espressa nella tabella e, di sua iniziativa, applicare altri criteri, quali quelli dettati dal codice civile (Cass. civ. Sez. II, 18/08/2005, n. 16982). Ciò significa che esse hanno efficacia costitutiva e non semplicemente dichiarativa: esse, una volta redatte, sono vincolanti per tutto il tempo in cui hanno valore ed efficacia. L’eventuale loro erroneità, da intendersi come violazione della reale consistenza dell’edificio, può essere fatta valere solo impugnandole, richiedendo una loro modifica convenzionale o giudiziale (Cass. civ. Sez. II, 18/08/2005, n. 16982). Per legittimare la domanda di revisione delle tabelle (v. Cass. SS UU 18477/10, che ha inoltre riconosciuto la validità delle modifiche alle tabelle a semplice maggioranza qualificata) ma si è limitata testualmente a chiederne la revisione ‘perché non fondate sulle risultanze catastali né su presunzioni’ (allegazioni poco comprensibili, inidonee ad integrare i requisiti previsti dall’art. 163 c.p.c. e non riferibili alle condizioni poste dalla sopra citata norma) (Tribunale Roma, 15.03.2012). Si può infine discutere della natura contenziosa o meno del procedimento giudiziario di revisione e/o modifica delle tabelle millesimali. Spesso tuttavia si tratta di impugnazione delle tabelle conseguenti a una impugnazione principale della deliberazione con cui l’assemblea ha deliberato in merito a (eventualmente) nuove tabelle. Qui non si pone alcun particolare problema, trattandosi di azione di annullamento del deciso assembleare che soggiace ai principi di cui all’art. 1137 c.c., previo esperimento della procedura di mediazione ex L. 98.2013 a pena di improcedibilità della domanda giudiziaria (c.d. improcedibilità “morbida”, cfr. Anna Nicola, La mediazione condominiale, Experta, 2011). Se invece la tabella condominiale viene impugnata ex se, si ritiene che il giudizio si qualifichi come non contenzioso, di na-

tura amministrativa, di volontaria amministrazione. Questo giudizio viene escluso integralmente dall’istituto della mediazione, trattandosi di procedimento in camera di consiglio ex art. 5 comma 4 D. Lgds. 28.2010 e ss.mm. Ove invece si tratti di impugnazione dipendente da un verbale assembleare annullabile, seppur la sentenza non ha efficacia retroattiva, avendo natura costitutiva, è possibile proporre la domanda di arricchimento senza causa, come richiesta conseguente alla rettifica/revisione delle tabelle Così osserva la Suprema Corte con la decisione n. 5690.2011: “Pur essendo possibile una richiesta dì revisione di tabelle, in sede giudiziaria, in mancanza di apposita delibera dell’assemblea dei condomini, deve riconoscersi che una modifica delle stesse non avrebbe potuto avere efficacia retroattiva ed anzi avrebbe potuto produrre effetti solo dal momento del passaggio in giudicato della decisione. Pertanto, nessuna contraddizione è possibile ravvisare nella motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa ha accolto la domanda di arricchimento senza causa, pur dopo aver riconosciuto che una modifica delle tabelle millesimali, in ogni caso, non avrebbe potuto avere efficacia retroattiva. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, la sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano nei casi previsti dall’ art. 69 disp. att. cod. civ., non ha natura dichiarativa ma costitutiva, avendo la stessa funzione dell’accordo raggiunto all’unanimità dai condomini, con la conseguenza che l’efficacia di tale sentenza, in mancanza di specifica disposizione di legge contraria, inizia a decorrere solo dal passaggio in giudicato (Cass. 8 settembre 1994 n. 7696). In base a tale considerazioni, non può condividersi la tesi sostenuta dal ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, secondo la quale una volta esclusa la retroattività della modifica delle vecchie tabelle, ì giudici di appello avrebbero dovuto rigettare la domanda dì arricchimento senza giusta causa“ (Cass. 10 marzo 2011 n. 5690). Volendo riprendere ancora un attimo l’art. 69 disp. att. c.c., nella sua nuova formulazione, la norma ha eliminato come fattispecie sulla cui base domandare la revisione delle tabelle le ipotesi di espropriazione parziale o di innovazione di vasta portata. Gli errori rilevanti ai fini della revisione sono quelli obiettivamente verificabili, restando esclusa la rilevanza dei criteri soggettivi nella stima degli elementi necessari per la valutazione. Inoltre deve trattarsi di vero e proprio errore di calcolo e non di errore vizio – che come tale è vizio – del consenso. 21


Esperto Risponde L'

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Sono un v/s associato con n° iscrizione Z1248, gradirei risposta a questo quesito:si devono ripristinare frontalini e sottobalconi di cosi detti balconi aggettanti quindi proprieta’ privata, preciso che sono gia’ stati spicconati i frontalini e pericolo imminente e quindi urgenza non c’e’. L’assemblea ha deliberato questi lavori, un condomino non vuole permettere l’accesso al suo balcone affinche’ la ditta possa rifare il sottobalcone e frontalino sopra il suo balcone, si appella all’art. 843 c.p.c., invitando il direttore dei lavori a trovare soluzioni alternative all’operato in quanto a suo dire lui non inibisce i lavori. I lavori in fase di attuazione vengono fatti con un ponte. Mi chiedo chi ha ragione e come derimere questa questione. Salvatore Fluido

Cosi come indicato nell’art. 843 e nella sentenza di cassazione Cass., massima sent. n. 1908 del 27.01.2009 che riportiamo: In materia di rapporti di vicinato, la previsione dell’art. 843 cod. civ. – secondo cui il proprietario è tenuto a permettere l’accesso o il passaggio nel suo fondo al fine di consentire al vicino lo svolgimento di opere necessarie alla manutenzione del muro dell’immobile di sua proprietà – configura un’obbligazione “propter rem”, cui corrisponde l’obbligo per il vicino di versare un’adeguata indennità, da liquidare in via equitativa ed anche in assenza di prova del danno, fermo restando l’obbligo per il medesimo di ripristinare lo stato dei luoghi ad opera finita. 22

L’amministratore a questo punto potrà indicare al direttore dei lavori la predetta Sentenza riconoscendo una indennità indipendentemente dai possibili danni che potrebbero essere cagionati. Dott. Vittorio Fusco Presidente ANAPI

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Sono a chiedere delucidazioni in materia di installazione della sirena dell’antifurto in facciata. Una inquilina dello stabile mi ha chiesto se fosse possibile non installare solo nel lato cortile la sirena dell’antifurto, visto che lei abita al piano rialzato, ma anche verso il lato strada anche come deterrente maggiore per i ladri. A mio avviso non riscontro nulla di negativo in questa richiesta, premesso il fatto che vorrei che venisse fatta la scelta verso una sirena di piccole dimensioni e posizionata in un posto che non danneggi il decoro della casa. È corretta la mia valutazione e qualora tutta la maggioranza sia d’accordo è fattibile procedere in tal senso oppure vige una norma ben precisa che vieta quanto richiesto? Nel ringraziarVi per la Vostra consulenza, porgo cordiali saluti. Paola Pelassa Partendo dal presupposto che la facciata condominiale rientra nei beni in comunione con tutti i condomini, secondo l’art. 1117 c.c., tutti i condomini possono utilizzare il bene comune con parsimonia senza creare danno al condominio e ai condomini. Basti pensare alle installazioni dei motori dell’aria condizionata... In questo caso specifico, tale installazione (sirena antifurto), potrà essere installata senza alcun problema e limitazione. Naturalmente tenendo conto del decoro architettonico della medesima facciata. Dott. Roberto Bonasia Presidente ANAPI Communication

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Buongiorno, vorrei avere delle delucidazioni in merito alle morosità dei condomini e ai locali commerciali. Ho ricevuto in ufficio una mia cliente che ha un appartamento in un complesso immobiliare che io non amministro. Mi ha chiesto una consulenza in quanto ha molti problemi condominiali e vorrei dargli delle giuste informazioni su come agire. 1) Nel suo complesso di 6 unità c’è un condomino moroso da ormai 3 anni contro cui l’amministratore non agisce. Il debito è arrivato a circa 3.000,00 euro. Questa mancanza si ripercuote sulla normale amministrazione dell’immobile in quanto non vengono più eseguite le manutenzioni ordinarie (giardino, pulizia scale) o ci sono ritardi che l’amministratore giustifica per mancanza di liquidità. Può la mia cliente chiedere la situazione delle morosità? In che modo? Se l’amministratore non agisce come ci si può difendere? 2) Nello stesso complesso c’è un locale commerciale al piano terra che viene incluso nel condominio solo per il vano scale a cui ha diritto di accesso per la presenza degli allacci delle utenze. In questo locale commerciale può esserci qualsiasi attività senza il premesso dell’assemblea? Nel regolamento condominiale non è specificato nulla in merito. Grazie, cordiali saluti Luca Petrocelli Per le morosità il codice civile in materia e soprattutto all’art. 1129 c.c., ribadisce che l’amministratore si deve adoperare per la riscossione forzosa delle quote ordinarie e straordinarie entro e non oltre sei mesi dalla data di approvazione del bilancio e cioè, dalla data di quando il credito è divenuto esigibile. Nel secondo caso, se nel regolamento di condominio nulla è ribadito, il loanno 2, n. 3/2014


cale commerciale potrebbe svolgere qualsiasi tipo di attività. Se si volesse bloccare alcune particolari attività che non fossero di gradimento del condominio, si dovrà modificare il regolamento e riapprovarlo con la maggioranza indicata nell’art. 1138 c.c. Comunque potrà rifarsi anche al possibile elenco delle attività indicate presso il Comune di Appartenenza Dott. Antonio Pugliese ANAPI Communication

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Buona sera! Sono l’amministratore di un condominio di 44 appartamenti situato nel comune di Roma. Sono subentrato in questo stabile da pochi mesi ed in questo tempo ho potuto notare e segnalare la negligenza dei precedenti amministratori nonché condomini nella mancanza di adeguamento alle normative in vigore. Solo alcuni problemi: adeguamento impianto elettrico e messa a terra,certificato prevenzio-

ne incendi e lastrico solare con rischio caduta parte di muratura,presenza di eternit nel terrazzo. Tutti questi rischi penali e civili sono stati verbalizzati durante l’ ultima assemblea condominiale. Per evitare di fare ulteriori assemblee è stato deliberato all’unanimità di istituire una commissione di quattro condomini oltre l’amministratore che procederà a valutare le offerte migliori dei preventivi pervenuti per c.p.i. e impianto elettrico. Vi chiedo,sentendo pareri contrastanti con alcune sentenze di cassazione, se è lecito procedere in questo modo oppure devo necessariamente indire una nuova assemblea? Vi ringrazio per l’attenzione e vi invio i miei più cordiali saluti. Rag. Venuti Giancarlo Se all’assemblea sono presenti tutti i condomini che costituiscono l’intero intercondominio, allora si. Diversamente si fa prima a modificare il regolamento di condominio che non istituire un assemblea. Il tutto trova chiarimento se è previsto

da regolamento di condominio. In sostanza, se nel regolamento è previsto l’istituzione di un comitato che successivamente porterà all’attenzione dell’assemblea tutta le varie tipologie di interventi da effettuare, allora potrà procedere cosi come indicato e trascritto a regolamento. Diversamente dovrà comunque rifarsi all’assemblea tutta e magari modificare il regolamento prevedendo una commissione di condomini più attenti, alla verifica dei lavori da eseguire. Purtroppo le assemblee non sono molto spesso autorevoli così come lo potrebbe essere il regolamento. Molte sentenza di cassazione (che non sono legge ma solo orientamento giurisprudenziale), essendo diversificate tra di loro, non trovano applicazione nei casi specifici Dott. Vittorio Fusco Presidente ANAPI

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Lo stalking del vicino di casa è reato Alzare al massimo il volume dello stereo, danneggiare l’atrio del palazzo, i balconi, lasciare rifiuti: le persecuzioni in condominio sono rilevanti dal punto di vista penale e qualificabili come atti di stalking. Lo stalking è qualsiasi forma di persecuzione che genera stati di ansia e terrore a carico della vittima. Pertanto, si tratta di comportamenti che possono essere posti anche da un vicino di casa o da un condomino. Nel 2011 la Cassazione aveva riconosciuto la figura dello stalking condominiale oggi la stessa Corte è tornata sull’argomento con una sentenza (Cass. sent. n. 26589/14 del 19.06.14) che, purtroppo, troverà diverse applicazioni all’interno dei rapporti di vicinato. Quali azioni del vicino di casa rientrano nello stalking? Non c’è bisogno del classico pedinamento per rispondere di stalking. È sufficiente infastidire e vessare i propri vicini, con condotte di vario tipo, perché possa scattare la condanna penale. La legge (Art. 612 bis cod. pen.) non

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specifica quali tipi di condotte possano rientrare nello stalking. La definizione è molto generica e il riferimento è a qualsiasi tipo di atto persecutorio. Nel caso deciso dalla sentenza in commento, un condomino era solito lasciare rifiuti davanti alle porte dei vicini. Ma si può trattare di un vasto repertorio di azioni, come il danneggiare l’auto o la proprietà altrui (per esempio, il balcone), versare acido nei locali comuni dell’edificio, pronunciare epiteti gravemente ingiuriosi nei confronti di alcune persone, inserire scritti di contenuto delirante nelle cassette postali. Finanche alzare al massimo il volume dello stereo solo per creare disturbo al vicino.

La Corte Costituzionale La Corte Costituzionale è intervenuta sul tema (C. Cost. sent. n. 172/14 del 18.06.2014) definendo le linee guida perché si possa parlare di stalking. È necessaria, innanzitutto, che la condotta sia reiterata: il che significa che vi devono essere almeno due condotte di

minacce o molestie. Anche solo un paio di atti persecutori (ma non uno soltanto) fanno scattare il reato. In secondo luogo tali condotte devono essere idonee a cagionare uno dei tre eventi alternativamente previsti dalla legge: 1. un perdurante e grave stato di ansia o di paura; 2. un fondato timore per l’incolumità; 3. una persecuzione tale da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita; Ecco che, quindi, anche solo lo stato di ansia, generato nella vittima, dell’avvicinarsi della sera perché già sa che il vicino inizierà a spostare i mobili e ad alzare il volume dello stereo; o la paura di affacciarsi dal balcone per paura di ricevere un vaso in testa; o il doversi allontanare di casa per qualche giorno onde non imbattersi nel vicino pericoloso, ecc.: sono tutti elementi che potrebbero far scattare gli estremi del reato. Dott. G.A. TARRICONE ANAPI n. Z1684

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Infiltrazione dal lastrico solare: chi paga? a cura dell’avv. Giuseppina LONGO - ANAPI Communication Come vanno ripartite le spese relative alle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare? Il problema è capitato, almeno una volta, in ogni condominio. E sicuramente è una delle questioni più attuali e ricorrenti che riguardano la materia degli immobili. Ecco perché, stante peraltro i dubbi sull’argomento (dubbi che neanche la riforma del condominio con la legge 11 dicembre 2012, n. 220 sembra aver risolto ), è dovuta intervenire la Cassazione che ha rimesso la questione alle Sezioni Unite per fare chiarezza. Se un condomino lamenta di aver subito dei danni da infiltrazioni provenienti dal sovrastante terrazzo di proprietà del condominio (o meglio, lastrico solare) e chiede il risarcimento dei danni al condominio come ci si deve comportare? Innanzitutto è bene precisare cosa si intende per lastrico solare. Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con questo termine ci si riferisce alla “superficie terminale dell’edificio che abbia la funzione di copertura, tetto delle sottostanti unità immobiliari, comprensivo di ogni suo elemento, sia pure accessorio, come la pavimentazione”. Quando il lastrico solare è ad uso esclusivo di un solo condomino le riparazioni od il suo rifacimento sono regolate dall’art. 1126 del codice civile ovvero un terzo della spesa è carico di chi ne gode in modo esclusivo ed i restanti due terzi “sono a carico di tutti i condomini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”. La norma non presenta ulteriori dubbi. Ma quando un condomino lamenta di aver subito dei danni da infiltrazioni provenienti dal sovrastante lastrico solare di proprietà o semplicemente di uso del condomino soprastante come vanno ripartite le spese dovute a titolo di indennizzo dei danni subiti? La questione è da considerarsi “calda” perché una recente sentenza della Suprema Corte sollecita un radicale cambiamento dell’orientamento sino ad oggi prevalente. Infatti i giudici della Seconda Sezione civile della Corte di Cassazione han-

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no rimesso al Primo Presidente della Corte gli atti di una causa relativa alle modalità di ripartizione delle spese derivanti dai danni prodotti dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare di proprietà o uso esclusivo (Cassazione civile, Sezione II, Sentenza del 13 giugno 2014, n. 13526).

Prima della sentenza n. 13526/14 La soluzione era stata fornita da una storica sentenza della Cassazione del ’97. In base a tale pronuncia bisognava fare una distinzione: 1. Se il lastrico appartiene a tutti i condomini Nel caso in cui il lastrico solare svolge solo una funzione di copertura dell’edificio e appartiene a tutti i condomini, le spese per la conservazione, le riparazioni e le ricostruzioni sono ripartite tra tutti i proprietari, sulla base della tabella millesimale. Per cui, in caso di danni provocati all’appartamento sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti dal lastrico, per difetto di manutenzione di quest’ultimo, il risarcimento è a carico di tutti i condomini e anch’esso andrà ripartito sulla base delle quote riportate dalle tabelle millesimali di proprietà. 2. Se il lastrico è di proprietà o uso esclusivo di un condomino Quando il lastrico solare, oltre che fungere da copertura dell’edificio, è di proprietà esclusiva di un singolo condomino ed è destinato ad offrire, a quest’ultimo, ulteriori utilità oltre alla copertura (per esempio, come terrazza, vano stenditoio, ecc.), in tal caso, la ripartizione delle spese per la manutenzione e i danni da infiltrazioni sono così divisi: a) due terzi a carico di tutti i condomini (infatti, tutti i condomini usufruiscono, comunque, della funzione di copertura del lastrico stesso); b) un terzo a carico del titolare del lastrico. Tuttavia questa soluzione non ha convinto diversi giudici , ma anche la dottrina. Si è peraltro detto che non sarebbe cor-

retto disciplinare allo stesso modo i danni derivanti da difetto di manutenzione e quelli, invece, derivanti da usura. Infatti, il proprietario esclusivo poteva essere chiamato a concorrere alle spese nella misura di 1/3 solo nel caso in cui i danni fossero derivati dall’usura causata dal suo godimento esclusivo del bene, ma non anche nel caso in cui essi derivavano dall’omessa manutenzione da parte del condominio. L’inerzia di quest’ultimo, in definitiva, non poteva pesare sulle tasche del singolo proprietario. Esempio tipico: se il proprietario esclusivo, con l’uso, deteriorava la pavimentazione del terrazzo, doveva concorrere in maniera maggiore alle spese di rifacimento; viceversa, nel caso in cui le infiltrazioni fossero state determinate dal naturale deterioramento della guaina, le spese sarebbero state ripartite tra tutti i condomini.

La nuova sentenza La sentenza n. 13526/14 fa rivoluzionare il criterio di calcolo delle spese di manutenzione e dei relativi danni da infiltrazioni del lastrico solare. Secondo la Corte, ora, i costi si quantificano non più in base ai millesimi, ma alla superficie in metri quadri coperta dal lastrico. Che significa? Partendo dal presupposto che gli appartamenti sottostanti il lastrico devono contribuire alle spese proprio perché godono della funzione di copertura del lastrico stesso, la Suprema Corte ha ritenuto che dovessero pagare di più gli appartamenti più grandi (e, quindi, con maggiore superficie coperta dal lastrico) che non quelli più piccoli. Pertanto, la sentenza ha stabilito che il parametro di riferimento non è più quello corrispondente ai valori millesimali degli appartamenti sottostanti bensì i metri quadrati che risultano effettivamente coperti dal lastrico ammalorato. Ciò, ovviamente, vale sia nel caso di lastrico di proprietà esclusiva (nel qual caso il predetto criterio di calcolo riguarda i 2/3 delle spese da sostenere) che nel caso di proprietà del condominio (nel qual caso la ripartizione riguarda il 100% delle spese). Applicando questo criterio, la ripartizione delle spese avverrebbe secondo criteri più equi in quanto, in ipotesi, potrebbe accadere che l’appartamento sottostante potrebbe essere coperto solo per una minima parte dal lastrico oggetto di riparazioni e, applicando il mero valore millesimale, questo sarebbe chiamato a concorrere alle spese per l’intero valore millesimale. Ovviamente sulla questione saranno ora le Sezioni Unite a dire l’ultima parola. Staremo a vedere. anno 2, n. 3/2014


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LA NUOVA ECONOMIA E IL CONDOMINIO a cura del dott. Emanuele PLATA - Presidente PLEF Con questo titolo inizia una collaborazione tra PLANET LIFE ECONOMY FOUNDATION e la vostra rivista ANAPI NEWS, grazie alla conoscenza reciprocamente fatta in occasione di un convegno da voi organizzato col nostro socio ECONETWORK a Bari. Il titolo “la nuova economia e il condominio” ci potrà accompagnare in più articoli perché la mia intenzione, come presidente della Fondazione onlus che per brevità chiamiamo PLEF, è di dimostrare che i massimi principi si realizzano a misura d’uomo in situazioni di assoluta quotidianità. Cosa c’è infatti di più quotidiano e abituale di un condominio, un immobile in cui convivono più famiglie con o senza attività commerciali, di laboratorio o professionali? Possiamo senz’altro dire che il condominio è uno dei risultati del miracolo economico italiano. La casa propria per tutti, la casa in città, la casa nelle città satelliti, la casa unifamiliare nei villaggi a schiera, la seconda casa in montagna, ai laghi o al mare. Tutte queste abitazioni, costruite bene o meno bene, servite da infrastrutture buone o meno buone, popolari, borghesi o elitarie, hanno favorito l’investimento del singolo con l’aiuto dei genitori, dalla comunione dei beni tra coniugi, dai buoni stipendi e dai risparmi che si facevano e sempre, da un buon mutuo complementare garantito dal bene immobile. Queste case hanno seguito non solo la ricostruzione degli anni ‘50, ma la modernizzazione degli anni ‘60, la contestazione degli anni ‘70, la Milano da bere degli anni ‘80, le mani pulite degli

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anni ’90, la seconda repubblica di Mediaset dei primi anni del nuovo secolo fino a quando sono arrivati, come diceva Alberto Sordi nel film il “Vigile”, i CINESI! Non più quindi “Mamma li Turchi!”, ma i Cinesi con i loro prodotti e con i loro prezzi. La metamorfosi dell’Italia, da paese occidentale del G8, salito al settimo posto tra i paesi industriali del mondo quando superò l’Inghilterra, a paese in crisi strutturale con un debito pubblico abnorme e con tassi di disoccupazione allarmanti, si è manifestata e continua in modo progressivo e costante dal 2009 ad oggi, investendo scenari politici, realtà sociali e l’emblema del paese, il CALCIO NAZIONALE che appaiono tutti senza idee, alla ricerca di guida e di squadra. In tutta questa dinamica, le case, specie quelle buone (e sono tante), che hanno resistito strutturalmente all’usura del tempo, sono rimaste, anzi sono emerse come il principale capitale nazionale ovvero quello immobiliare sia nel pubblico che nel privato. Le case sono rimaste anche il baluardo del sociale grazie alla loro capacità di ospitare anche chi avrebbe avuto bisogno di un’assistenza (anziani e giovani), sono rimaste anche il paracadute di famiglie divise e allargate allo stesso tempo, le case sono rimaste anche il rifugio di stock prezioso di beni e di affetti, le case sono diventate l’asse ereditario più forte della previdenza! Allora ci si rende conto che questo patrimonio, apparentemente funzionale

o strumentale al vivere quotidiano, ha un carico di potenzialità fortissimo e allo stesso tempo rappresenta lo strumento di patrimonializzazione diffusa per eccellenza. Allora si capisce che, al contrario della speculazione edilizia fatta di uso spregiudicato del suolo e di profitti per pochi alle spalle di chi ha dato il lavoro, le forniture e soprattutto di chi ha acquistato, esiste una ben più ampia situazione di imprenditoria edilizia che ha generato lavoro, margini ai fornitori e beni durevoli agli acquirenti e questa filiera ha una virtuosità che è affidata agli stessi proprietari e ai loro amministratori delegati alla gestione. È a questa enorme platea di soggetti che come PLEF mi rivolgo, attraverso la vostra rivista, per dire che questa moltitudine positiva ha nelle sue mani il maggior cespite della nazione, ha nelle sue esperienze il maggior esempio di gestione partecipata, ha nelle sue prospettive quella di diventare guida di una nuova economia che gli anglosassoni chiamano SHARING ECONOMY e che altri definiscono (e noi tra questi) ECONOMIA SOSTENIBILE fatta dalla comunità! Da questo punto di partenza parleremo dei capitali posseduti dal sistema condominio, ovvero: finanziario, naturale, umano, relazionale, organizzativo e culturale. Seguiteci! Grazie Emanuele Plata

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Associazione Nazionale Amministratori Professionisti d’Immobili

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