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Un continente che cresce con la Cina e Bolivar Raffaele Crocco
Raffaele Crocco Un continente che cresce con la Cina e Bolivar
Bisogna ammettere che un piccolo brivido è corso lungo la schiena. La notizia del tentato golpe in Ecuador, il 30 settembre del 2010, ha portato per qualche ora indietro orologi e calendari, facendoci ripiombare negli anni in cui la democrazia era un frutto proibito a Sud del Texas. Qualche ora, tutto è durato solo qualche ora. Il Presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, ha respinto il tentativo di colpo di mano messo in piedi da parte dell’opposizione e dalla Polizia. L’esercito è rimasto fedele al Capo dello Stato, così come il Parlamento e tutto è rientrato. Segno che il cammino del Sud America, dopo i lunghi decenni delle dittature, è tracciato ed è chiaro, condiviso, forte. Il laboratorio Latino Americano funziona, magari con qualche contraddizione, con passaggi più o meno a vuoto, ma va avanti. In Brasile le elezioni del post Lula hanno dimostrato che la semina c’è stata ed è stata positiva, che il Brasile può e vuole essere democratico, tentando di mettere fine alla miseria senza impaurire imprenditori e conservatori. Argentina e Cile stanno uscendo dalle rispettive crisi economiche e in Venezuela l’inarrestabile Chavez ha subito il primo ridimensionamento elettorale, cosa probabilmente utile alla democrazia del Paese. Le novità vere, però, nel 2010 sono arrivate dal “cambiamento internazionale” del continente, che ha deciso di non essere più il “giardino di casa” degli Stati Uniti. Colombia a parte - unico Paese rimasto legato agli Usa - il Sud America si è affrancato e il fenomeno pare irreversibile. I segnali sono precisi. Proviamo a leggerli. Partiamo da un numero: 400. Tanti sono gli accordi commerciali sottoscritti da Paesi del Sud America con la Cina negli ultimi tempi. Un numero altissimo, che da un lato porta a rapporti privilegiati fra i due mondi, dall’altro rappresenta una vera e propria sfida lanciata da Pechino a Washington, che sull’area vorrebbe mantenere il controllo. La Cina cresce in modo vertiginoso, ha bisogno di risorse e ha fame, perché un miliardo e duecentomilioni di bocche affamate sono difficili da accontentare. Il Sud America ha prodotti agricoli e petrolio, minerali, tutte cose che servono. Così, ora, il 3.8% di tutte le importazioni cinesi provengono proprio dal Sud America, con il picco del 13.1% delle importazioni di materie prime. Brasile, Messico, Cile, Argentina e Venezuela sono i principali partner commerciali della Cina, che è al terzo posto tra i clienti mondiali del Brasile e al quarto tra quelli dell’Argentina. L’economia, quindi, spinge il cambiamento, porta allo spostamento dell’asse nei rapporti internazionali. Sul piano della politica, invece, sono Venezuela, Bolivia ed Ecuador a tracciare la rotta, cioè i tre Paesi che più di altri si riconoscono nel progetto Bolivariano di un Sud America unito. Tutti naturalmente giocano la carta del controllo delle risorse, che sono tante, soprattutto se si parla di petrolio. Chavez, dal Venezuela, dice chiaramente di voler ridistribuire i proventi della vendita del petrolio. Il suo Paese è il più grande produttore del Sud America, con 87miliardi di barili l’anno dei 117miliardi prodotti dall’intero continente. I soldi che vengo dai pozzi, dice, non devono andare nelle tasche dei petrolieri nord americani, ma devono sollevare dalla miseria i venezuelani. La contraddizione di tutto questo è nel fatto che il petrolio venezuelano finisce ancora negli Stati Uniti, che sono il miglior cliente del Paese. Lui tira diritto e spaventa Washington. La sua idea - datata 2006 - di farsi pagare il petrolio in Euro e non più in dollari ha creato il panico negli Usa, dato che il cambio fra la moneta statunitense e quella europea è del tutto sfavorevole alla prima.
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In Ecuador il presidente Correa è andato nella stessa direzione. Ha costretto le multinazionali a pagare dei diritti molto più alti per lo sfruttamento dei giacimenti andini. Un colpo che non è stato gradito. In Ecuador, poi, si è scatenata una bagarre diplomatica che ha rischiato di portare ad un guerra con la Colombia. L’esercito colombiano, infatti, ha ucciso in territorio ecuadoriano il numero due delle Farc, cosa che ha portato ad una crisi grave fra i due Paesi, con una guerra sfiorata. E di crisi diplomatica dobbiamo parlare anche per la Bolivia, però direttamente nei confronti degli Stati Uniti. Il presidente Evo Morales, primo indigeno sud americano ad essere eletto, ha espulso l’ambasciatore degli Usa, accusandolo di fomentare, finanziare e ispirare i governatori delle regioni meridionali del Paese, istigandoli a chiedere l’indipendenza. Parliamo delle zone nelle regioni di Beni, Pando, Santa Cruz e Tarija, le più ricche del Paese, esattamente dove si trovano i ricchi giacimenti di gas naturale che fanno gola a molti. Il programma di Governo di Morales, basato sulla ridistribuzione della ricchezza, sull’emancipazione della popolazione più povera, non piace all’oligarchia boliviana, che tenta di tutto per ridimensionare il Presidente. Tutti, però, tirano diritto, vanno per la loro strada. I governi del continente puntano, magari in modo diverso, seguendo strade differenti, a migliorare le condizioni di vita dei loro cittadini, ad abbassare le soglie di povertà e ad alzare quelle di tutela sociale. Ci riescono ed è un risultato che solo dieci anni fa sembrava impossibile da raggiungere. A garantire tutto restano le tante organizzazioni nate per migliorare il rapporto fra gli Stati. Mercosur, Unasur e Gruppo di Rio continuano a traghettare il continente verso condizioni economiche e politiche migliori. Almeno ci provano. Il Mercosur , cioè il grande mercato comune organizzato da Brasile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Venezuela continua ad abolire le tarif-
fe doganali e punta a creare una moneta unica - sul modello dell’Euro - entro il 2019. L’Unasur, mette assieme dodici stati dell’America del Sud, con Panama e Messico come osservatori. Lavora, fra le altre cose, alla proposta del Brasile di creare un South American Defense Council, cioè il Consiglio di Difesa dell’America Latina. Il Gruppo di Rio è invece un forum politico creato nel 1986, ed arrivato a mettere a confronto ben 22 Paesi dell’America Latina. Certo molto, moltissimo ancora non va. La Bolivia resta uno dei Paesi più poveri del mondo, battuta da Haiti, altro Paese del continente che pare dimenticato. Le oligarchie ancora imperano in Colombia, Guatemala, Honduras. E dove non sono i latifondisti a bloccare la democrazia, ci pensano i narcotrafficanti, in grado di controllare pezzi della politica e della polizia, come hanno dimostrato in Messico. Eppure, tutto si muove e cambia in Sud America. Tutto corre verso un miglioramento. Forse è solo un illusione. Ma crederci fa bene a tutto il Pianeta.
Situazione attuale e ultimi sviluppi
La Unasud
La recente crisi diplomatica fra Colombia e Venezuela ha coinvolto la Unasud cioè l’Unione delle Nazioni Sudamericane, le cui sigle ufficiali sono 3, quante le lingue ufficiali del continente: Unasur (Unión de Naciones Suramericanas), Unasul (União de Nações Sul-Americanas), Uzan (Unie van Zuid-Amerikaanse Naties). È una Comunità politica ed economica costituita il 23 maggio 2008, sul modello dell’Unione Europea, con il trattato di Brasilia ed ha sostituito la vecchia organizzazione, la Csn (Comunità delle Nazioni del SudAmerica) creata a Cusco, in Perù, nel 2004. È formata da 12 Paesi, che si sono impegnati inoltre a eliminare tutti i dazi doganali per i prodotti comuni entro il 2014, a creare un Parlamento comune, una moneta comune e un passaporto unico entro il 2019 e a coordinare le politiche in campo agricolo, diplomatico, energetico, scientifico, culturale e sociale È tornata ad essere fronte militare aperto la Colombia. Esercito e Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane) hanno lanciato continue offensive nel 2010, riprendendo uno scontro che sembrava sopito dalla voglia di trovare accordi. Non è così. Il nuovo Presidente colombiano, Juan Manuel Santos, ha vinto le elezioni il 30 maggio del 2010 annunciando una Terza Via di sviluppo per il Paese, detta di Accordo di Unità Nazionale, ancorata al centrosinistra. Il dialogo con le Farc, però, non si è avviato. Santos ha anzi annunciato di voler seguire la linea dura e sono ricominciati gli scontri. In settembre le battaglie più significative. Il 3 settembre, in un combattimento nei pressi di San Miguel, sono stati uccisi 8 agenti di polizia. Il 20 settembre, invece, 22 miliziani delle Farc sono stati uccisi. Ma il colpo più importante il Governo lo ha messo a segno il 23 settembre, al culmine di una offensiva denominata Fortaleza II, che ha visto impegnati 600 uomini e la forza aerea. Nella zona della Macarena, nel distretto del Meta, è stato ucciso Víctor Julio Suárez Rojas, capo militare delle Farc. La conferma è arrivata dai ministri degli Interni Germán Vargas e della Difesa, Rodrigo Rivera. Con lui dovrebbe essere morto anche Carlos Antonio Lozada, altro uomo chiave della guerriglia, capo di tutte le infiltrazioni delle Farc nell’esercito e negli apparati di Governo. Di questo non c’è però conferma. Sul piano politico internazionale, il presidente Santos ha cercato di gestire la partita dei rifugiati colombiani in Ecuador. Il Governo di Quito ritiene indispensabile che la Colombia si faccia carico delle migliaia di persone che sono fuggite oltre confine per effetto degli scontri fra esercito e Farc. Inoltre, nelle relazioni fra i due Paesi pesa ancora il bombardamento del 1 marzo 2008: nel tentativo di colpire i leader delle Farc, l’aviazione colombiana bombardò Angostura, città dell’Ecuador, causando 26 morti fra i civili. Altra grana è nei rapporti con il Venezuela, sempre più tesi. Durante gli otto anni di Governo di Alvaro Uribe, Bogotà aveva accusato il Presidente venezuelano Hugo Chavez di proteggere i guerriglieri delle Farc, di dare loro rifugio.
Generalità
Nome completo: Repubblica della Colombia Bandiera
Lingue principali: Spagnolo Capitale: Bogotà Popolazione: 45.900.000 Area: 1.141.748 Kmq Religioni: Cattolica (92%), protestante, animista ed altro (8%). Moneta: Peso Colombiano Principali Cocaina, caffè, carboesportazioni: ne, smeraldi PIL pro capite: Us 7.560,5
La tensione fra i due Paesi è diventata tale da sfiorare una guerra, soprattutto dopo che la Colombia nel 2009 aveva concesso agli Stati Uniti una base militare per la lotta al narcotraffico, vera piaga del Paese. Nell’agosto del 2010 Hugo Chávez e Juan Manuel Santos hanno formalmente detto basta alle ostilità, firmando una accordo di pace e fratellanza fra Venezuela e Colombia in nome degli ideali bolivariani di un Sud America unito. L’unica incertezza è capire se l’attuale pace durerà davvero.
Non è certo il controllo delle materie prime a spiegare le ragioni di una guerra interna vecchia mezzo secolo. La Colombia è dilaniata dal problema della distribuzione della ricchezza, che viene soprattutto dall’agricoltura e dalla gestione del potere. Non a caso, l’oligarchia del Paese è sostanzialmente agraria. Il 4% dei proprietari controllano il 67% dei terreni produttivi colombiani. In Colombia, poi, il reddito è distribuito in modo drammaticamente iniquo. Il Prodotto Interno Lordo è uno dei più alti del Sud America, con quasi 330000milioni di dollari, ma il 49% dei colombiani vive sotto la soglia di povertà. Gli scontri del 2010 sono figli di più di sessant’anni di guerra interna, combattuta da narcotrafficanti, formazioni guerrigliere e esercito. In questi decenni ci sono stati presidenti conservatori e riformisti. Sono nati ben 36 diversi gruppi guerriglieri, fra cui le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie Colombiane) comandante per quasi 6 decenni da Manuel Marulanda, detto Tiro Fijo, morto nel 2007, poi l’Eln, cioè l’Esercito di Liberazione Nazionale e l’M-19, per citare le formazioni più famose. Si sono formati gruppi paramilitari - come il Mas (Morte ai sequestratori) - pagati dall’oligarchia agraria. Possiamo collocare una data di inizio più recente del conflitto: il 6 novembre 1985. Quel giorno, 35 guerriglieri dell’M-19 occuparono il palazzo di Giustizia di Bogotà. L’intervento dell’esercito provocò un massacro: oltre ai guerriglieri, morirono altre 53 persone, tra magistrati e civili. Di fatto, in Colombia il Governo centrale perde quel giorno il controllo del territorio. E se da un lato è la guerriglia ad assumerlo, dall’altro sono i narcotrafficanti, proprio a partire dalla metà degli anni ‘80, a proporsi come alternativa allo Stato. La guerra interna diventò così a tre - Stato, Guerriglia, Narcotraffico - con migliaia di morti. Vennero censiti almeno 140 gruppi paramilitari attivi sul territorio, quasi tutti finanziati dai narcotrafficanti. Oggi la guerra civile viene combattuta soprattutto per il controllo o la distruzione delle vaste aree trasformate per la coltivazione della coca, vera ricchezza nazionale. Secondo le stime del Governo, i gruppi della guerriglia potevano contare sino a qualche tempo fa su 750milioni di introiti annui dal controllo del narcotraffico, cifra superata - sempre per le stesse ragioni - solo dagli incassi realizzati dei cartelli della droga di Medellín e di Cali. Proprio il narcotraffico è l’altra grande ragione di conflitto interno, con intere zone del Paese contese fra Governo, Farc e grandi organizza-
zioni di trafficanti. Il Presidente liberale Cesar Gaviria, nel giugno del 1991 diede il via a Caracas a una serie di incontri con i rappresentanti della guerriglia, con l’obiettivo di raggiungere la pace. Il processo di pace non decollò, nonostante la nuova e più democratica Costituzione. Il Governo iniziò allora una “guerra totale” contro organizzazioni civili, gruppi ribelli e narcotraffico. Pablo Escobar Gaviria - capo del cartello di Medellín, potente organizzazione di narcotrafficanti - evaso intorno alla metà del 1992, ricominciò le azioni armate. In tutta risposta apparì, nel ‘93, il Pepes (Persecutori di Pablo Escobar), che uccise trenta esponenti del cartello in due mesi e distrusse varie proprietà di Escobar, ucciso a sua volta il 2 dicembre dalla polizia a Medellín. Farc e Eln iniziarono una serie di attacchi a centrali elettriche, impianti industriali, caserme iniziando la strategia dei rapimenti. Il Governo tentò da parte sua un attacco a fondo al narcotraffico, pur nelle contraddizioni che nascevano dalla corruzione di parte della politica. È un periodo durissimo. Nel 1995, vengono aperti 600 procedimenti contro le forze di sicurezza, in relazione a 1.338 casi di assassinio, tortura o sparizione. All’inizio del 1997, si stima che almeno un milione di colombiani fossero stati espulsi dalle loro abitazioni nelle zone di conflitto Nell’agosto del 2000 il presidente Pastrana
Quadro generale
Il dramma delle mine
Passano gli anni e il problema non solo resta, ma cresce. Parliamo di mine, perché poco conosciuto è il dramma che la Colombia vive. Le mine anti uomo sono disseminate in almeno 659 municipalità. A minare i terreni sono le Farc per proteggere le coltivazioni di coca. Delle 4.575 persone colpite dal 1990 a oggi, per l’Osservatorio per le mine almeno 1.600 erano civili e 476 erano bambini. I morti sono stati 1.125, dato questo che fa della Colombia il Paese al mondo con il maggior numero di vittime per mine anti-uomo, con dati statistici spesso ben al di sopra di Afghanistan e Cambogia.
Juan Manuel Santos (Bogotà, 10 agosto 1951)
Giornalista, economista, politico, Juan Manuel Santos è diventato Presidente della Colombia nell’agosto del 2010, dopo un lungo percorso politico. Un destino quasi segnato, il suo, dato che la famiglia è tra le più importanti di Bogotà e che un prozio, Eduardo Santos Montejo è stato già Presidente del Paese. Lui, ha studiato negli Stati Uniti e nel 1972, tornato in Colombia, si è iscritto all’Ordine ei produttori di Caffé ed è diventato vicedirettore del giornale di famiglia “El Tiempo” Nel 1991 diventa senatore con il Partito Liberale. Nel 2002 fonda il Partito Sociale di Unità Nazionale (il Partito della U). Nel 2006 diventa Ministro delle Difesa nel secondo Governo Uribe e inizia una lotta feroce contro le Farc, ottenendo risultati sino ad allora inattesi sul piano militare. Due le operazioni più famose: Fenix, in cui viene ucciso il comandante Raul Reyes e l’Operazione Scacco, che porta alla liberazione - dopo anni di prigionia - di Ingrid Betancourt. Il 20 giugno 2010, nella seconda tornata elettorale per le elezioni presidenziali colombiane, ha sconfitto il candidato del partito verde Antanas Mockus, raccogliendo circa 9milioni di voti, cioè il 69% dei consensi. Ha assunto la carica di Presidente della Colombia il 7 agosto 2010.
Tombe sospette La denuncia dell’Onu è forte: ci potrebbe essere stata violazione dei diritti umani: a dimostrarlo un gruppo di tombe anonime senza nome di cui le Nazioni Unite vogliono sapere qualcosa in più. A denunciare tutto è la rappresentanza di Bogotà dell’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, che nel cimitero del municipio di La Macarena, nel Sud del Paese, ha trovato le tombe di 446 persone indicate solo come ”NN”. Secondo l’esercito sarebbero morte ”nel corso di combattimenti” tra il 2002 e lo scorso giugno tra guerriglieri e militari ma, stando alle denunce, potrebbero essere state vittima di esecuzioni sommarie. In un comunicato, l’Onu ha espresso ”preoccupazione” in merito, ed ha chiesto di ”poter ricevere nuove informazioni che possano chiarire”, tale situazione. Per i denuncianti, infatti, gli NN ”morti in combattimento”, potrebbero avere a che vedere con le presunte operazioni dei militari che uccidevano persone innocenti, per lo più emarginati, sostenendo poi che erano guerriglieri.
lanciò, in accordo con gli Stati Uniti, il Piano Colombia. Vennero addestrati tre battaglioni antidroga, con l’obiettivo di distruggere 60mila ettari di coltivazioni di coca e tagliare la forza economica di guerriglia e narcotraffico. Gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York rafforzarono il Piano e si interruppe ogni possibile dialogo con i guerriglieri, che rispondono. Le Farc nel febbraio 2002 sequestrarono alcuni esponenti politici, nel tentativo di influenzare le elezioni e ottenere uno scambio di prigionieri. Fra loro c’era la candidata alla presidenza Ingrid Betancourt, che sarà rilasciata solo dopo sei anni, nel luglio del 2008. Si moltiplicarono anche gli attentati. Il 4 maggio 2002 morirono 117 persone, tra cui almeno 40 bambini, per i colpi di mortaio sparati contro la chiesa di Bojaya. Nello stesso anno, sale alla presidenza l’indipendente Uribe Velez, che chiede l’intervento diretto degli Usa nella lotta alla guerriglia e al narcotraffico. Il mese dopo, un contingente militare statunitense arrivò nella provincia di Arauca: fu il primo coinvolgimento diretto nella guerra civile colombiana. Nell’ottobre 2003 Luis Eduardo Garzón, candidato del Polo Democratico Indipendente (Idp), vinse le elezioni per il sindaco di Bogotà, la carica politica più importante del Paese dopo la presidenza della Repubblica. È una sorpresa: per la prima volta un partito di sinistra si afferma. Passi avanti che non fermano la guerriglia: divennero 1.500, in quegli anni, gli ostaggi tenuti prigionieri. Dal 2006 si tenta l’ennesimo processo di pace. Almeno 20mila paramilitari depongono le armi, in cambio di un’amnistia, del reintegro sociale e di uno stipendio per 24 mesi. Una scelta, questa, che scatena le organizzazioni di pace, che dicono: “chi ha commesso atrocità deve pagare”. Intanto, la guerriglia continua la lotta armata, con sequestri e azioni contro obiettivi militari e governativi. La guerra, con l’arrivo al ministero della difesa prima e alla presidenza poi, di Juan Manuel Santos, diventa anzi più dura e le possibilità di trattativa si allontanano.
Situazione attuale e ultimi sviluppi
Port au Prince la capitale fantasma
A distanza di mesi dal terremoto che ha devastato il Paese nel 2010, la ricostruzione nella capitale non è mai neanche cominciata. La denuncia è delle Nazioni Unite secondo cui ad oggi solo il 2% dei detriti è stato rimosso dalla città che versa più o meno nelle stesse condizioni in cui si di trovava subito dopo il sisma che ha distrutto numerosi edifici della capitali, tra cui i quattro ospedali, il palazzo presidenziale e la sede del Parlamento.
Corruzione dilagante, violenza, instabilità sociale e aiuti umanitari che tardano ad arrivare costringono ancora oggi Haiti in una condizione di grave crisi. Peggiorata notevolmente a causa del devastante terremoto che ha colpito l’isola nel gennaio del 2010. A distanza di un anno da quell’evento, che causò la morte di oltre 300.000 persone e danni materiali incalcolabili, Haiti è ancora nel pieno di una profonda crisi umanitaria. Proprio questa situazione di continua emergenza ha convinto le Nazioni Unite a prorogare di un altro anno il mandato della missione di peacekeeping dislocata sull’isola. Il capo della missione (Minustah), Edmond Mulet, ha reso noto nel mese di settembre 2010 che il Governo haitiano ha ricevuto meno del 20% dei 9,9 miliardi di dollari di aiuti promessi dalla comunità internazionale. Mulet ha inoltre lanciato un allarme sicurezza avvertendo che 1,3 milioni di haitiani continuano a sopravvivere in 1.300 tendopoli o in accampamenti di case fatiscenti e che ‘’il rischio di malessere sociale è reale’’. Secondo il capo delle missione Onu dunque i 2000 uomini della Minustah e i circa 3000 uomini della polizia difficilmente riusciranno a tenere sotto controllo una situazione che rischia di esplodere, soprattutto in vista delle elezioni legislative e presidenziali di novembre 2010 a cui partecipano oltre 60 partiti politici. Intanto, ad aprile del 2010, si sono svolte sull’isola le elezioni per il rinnovo di un terzo del Senato, in un clima di relativa calma e l’Assemblea nazionale di Haiti ha predisposto l’avvio di una serie di riforme che dovrebbero aiutare il Paese a riprendersi. In ottobre c’è stato anche una ulteriore svolta politica con il cambio al vertice della presidenza del consiglio. L’Assemblea Nazionale ha sfiduciato il primo ministro Michèle D. Pierre-Louis e una settimana dopo, il parlamento ha designato Jean-Max Bellerive
Generalità
Nome completo: Repubblica di Haiti Bandiera
Lingue principali: Francese Capitale: Port-au-Prince Popolazione: 8.528.000 Area: 27.750 Kmq Religioni: Cattolica, chiese protestanti, voodoo Moneta: Gourde Haitiano Principali Nessuna, solo econoesportazioni: mia di sussistenza PIL pro capite: Us 1.791
quale nuovo primo ministro. Alla guida del Paese c’è ancora Réné Garcia Préval, eletto nel 2006, fra pesanti accuse di brogli. Ma i politici haitiani hanno dimostrato negli anni di gestire a fatica un Paese che è stato costretto a subire una crisi dopo l’altra, un evento drammatico dopo l’altro. Il futuro di Haiti sembra tutto in salita, minato soprattutto da una povertà ormai dilagante: oltre il 56% degli haitiani vive con meno di un dollaro Usa al giorno e i diritti umani fondamentali sono negati alla maggioranza della popolazione.
Il Paese è tra i più poveri del mondo. L’agricoltura è a livelli di pura sussistenza, l’industria è limitata e dal sottosuolo di ricava solo un po’ di bauxite e quantitativi di oro e argento lontani dallo scatenare guerre. Le ragioni del lungo, perenne, conflitto haitiano, quindi, non sono economiche, ma sociali e politiche. La lunga dittatura dei Duvalier ha creato una frattura nel Paese, fra la parte mulatta - discendente dalla borghesia francese Colonia spagnola, poi francese, indipendente dal 1804 grazie alla prima rivolta di schiavi conclusa con un successo, Haiti ha una storia complessa alle spalle, caratterizzata da continue dittature militari, che sfociano nell’occupazione militare statunitense fra il 1915 e il 1934. In quel periodo, la resistenza semipacifica haitiana trova ispirazione nella propria cultura e nella religione voodoo. Protagonista è la popolazione nera, che ha il proprio leader nel popolare agitatore dottor François ‘Papa Doc’ Duvalier. Gli americani se ne vanno nel 1934, lasciando una economia a pezzi. Molti haitiani emigrano a Santo Domingo, in cerca di lavoro, provocando tensioni razziali ed economiche terminate tragicamente con una pulizia etnica che fa 20 mila vittime tra gli haitiani. Agitata sempre dallo scontro fra popolazione mulatta e nera, di fatto l’isola resta dipendente dagli Stati Uniti ed è governata, come un dittatore, da “Doc” Duvalier, fino alla sua morte, nel 1971. Il potere passa allora al figlio JeanClaude, chiamato Baby Doc, che tenta una mediazione tra i ‘modernizzatori’ mulatti. Contemporaneamente, elimina con brutalità tutta l’opposizione. Alla crisi politica, si aggiunge all’inizio degli anni ‘80 quella economica. Haiti viene identificata come zona ad alto rischio per
che governava l’isola. - e quella nera - discendente dagli schiavi africani che guidarono la rivolta per l’indipendenza e che grazie a Duvalier hanno trovato affermazione. Negli anni ‘90, a queste motivazioni storiche, si è aggiunta una crisi economica che non ha trovato soluzione, allargando la forbice fra la popolazione povera e quella più ricca. Circa il 50% degli haitiani non ha un lavoro fisso, i due terzi sbarcano il lunario lavorando nei campi. Lo scontro è inevitabile. l’Aids e il turismo crolla. Poi, un programma statunitense per sconfiggere una malattia dei suini danneggia l’economia rurale, con l’uccisione per errore 1,7 milioni di animali. Nel 1986 scoppia la rivolta popolare e Baby Doc Duvalier deve riparare all’estero con la famiglia. Si forma una giunta provvisoria militare. Il luogotenente generale Henri Namphy, confidente di Duvalier, viene nominato Presidente, ma un’organizzazione cattolica si oppone. È guidata da un giovane prete: Jean-Bertrand Aristide.
Allarme colera
Le drammatiche condizioni di indigenza in cui è costretta a vivere la popolazione haitiana ha favorito l’esplosione di una epidemia di colera. Nel mese di ottobre del 2010 sono state centinaia, e in pochi giorni, le vittime di questa terribile malattia che ha già contagiato più di mille persone. I volontari della Croce Rossa Italiana (Cri) si sono immediatamente mobilitati per distribuire acqua potabile: 30 mila litri sono stati prodotti nelle ultime ore e messi a disposizione della popolazione. Il ministro della salute di Haiti, Alex Larsen, ha confermato la presenza dell’epidemia del ‘’tipo
più pericoloso’’.
Quadro generale
René Garcia Préval (17 gennaio 1943)
René Garcia Préval è il Presidente della Repubblica di Haiti dal maggio del 2006. Delfino dell’ex presidente Aristide e protagonista della vita politica del Paese per molti anni, Préval è già stato Presidente dal 7 febbraio 1996 al 7 febbraio del 2001 ed è stato inoltre Primo Ministro dal febbraio all’ottobre 1991. Appena rieletto nel 2006, Préval ha promesso di occuparsi di quelle riforme sociali necessarie al miglioramento delle drammatiche condizioni di vita della popolazione haitiana. Riforme che ancora oggi tardano ad arrivare. Nel 2008 Préval ha dovuto far fronte ad una esplosione di violenza del Paese. Le proteste contro il carovita e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari ha spinto migliaia di persone a scendere in strada e i “caschi blu” dell’Onu, peraltro malvisti dalla popolazione haitiana, ad intervenire per riportare la calma. L’insofferenza popolare è ancora oggi a livelli altissimi e la classe politica haitiana, Presidente in testa si è dimostrata ad oggi inadeguata a far fronte alle tante emergenze che affliggono il Paese.
La portaerei Cavour Ha scatenato non poche polemiche la decisione dell’Italia di inviare ad Haiti la nave cargo ‘Cavour’ per portare aiuti alla popolazione dopo il terremoto che ha devastato l’isola. La Cavour, con a bordo 882 militari di tutte le forze armate, ha lasciato il porto di La Spezia il 19 gennaio 2010 ed ha raggiunto Port au Prince in soli 11 giorni di navigazione effettuando una sosta nel porto brasiliano di Fortaleza, dove sono stati imbarcati 13 medici, 14 infermieri e due elicotteri da trasporto. Proprio la tappa brasiliana è stata fortemente criticata da molti, che hanno visto in questa operazione finalità più commerciali che umanitarie. La portaerei Cavour, considerata un gioiello della marina militare, ha comunque trasportato ad Haiti oltre 12 tonnellate di generi alimentari e 36 tonnellate di acqua potabile, mentre 176 tonnellate di medicinali sono stati forniti ai centri sanitari locali.
Le elezioni del 1987 vengono vinte a larga maggioranza da Namphy, ma nel giro di un anno un altro colpo di stato porta al potere un altro generale, Prosper Avril. Nel 1990 Avril è costretto a fuggire e sempre nel 1990 alle nuove elezioni si candida Aristide, che con lo slogan ‘Lavalas’ porta in massa la gente alle urne. Il successo di Aristide non dura molto: nel 1991 viene destituito da un golpe militare. L’Onu reagisce con un embargo totale, cui fa seguito un intervento militare degli Usa, che costringe i militari a farsi da parte. Nel 1994 Aristide può quindi tornare nel Paese e governare. Ma lo fa in piena crisi economica e in un grave clima di violenza. Alle elezioni legislative del giugno 1995, i candidati da lui sostenuti furono accusati di brogli dall’opposizione. Si arriva alle elezioni presidenziali del 1995, in dicembre, vinte da René Preval. Le violenze nel Paese non finiscono e nel 1996 il Consiglio di sicurezza dell’Onu proroga la propria missione militare sull’isola. Nel gennaio 1999 le cose precipitano, con Preval che destituisce gran parte dei parlamentari. La tensione sale ancora - come la violenza - con le elezioni presidenziali del novembre 2000, vinte dall’ex presidente Aristide. Il conflitto tra la maggioranza e l’opposizione è violentissimo e non si placa. Nel 2004 i ribelli, formano il Fronte di Resistenza dell’Artibonite, conquistano alcune città e in seguito costringono Aristide a dimettersi e a lasciare il Paese. Spinti dall’opinione pubblica internazionale, il 30 aprile 2004 i Caschi Blu dell’Onu arrivano sull’isola per cercare di riportare l’ordine dopo le violenze seguite alla rivolta popolare che ha contribuito alla cacciata di Aristide. Presidente ad interim veniva nominato Boniface Alexandre, e premier Gerard Latortue, con l’impegno a svolgere nuove elezioni legislative entro il 2005. Le elezioni si svolgono nel 2006 e viene eletto Presidente l’agronomo haitiano Réné Garcia Préval.