Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 8 febbraio 2016
Azione 06
Società e Territorio Intervista a Silvia Vegetti Finzi sul suo ultimo libro intitolato Una bambina senza stella
Politica e Economia Un nuovo intervento internazionale in Libia?
Ambiente e Benessere Job Stress Index: l’indice che stabilisce il livello di stress è importante perché la salute psico-fisica sul posto di lavoro oggi necessita di maggiore attenzione
Cultura e Spettacoli Berlino riuscì ad affascinare e a intimorire molti italiani
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La lunga marcia del capitalismo cinese
Soluzioni geniali di adolescenti creativi
di Peter Schiesser
di Stefania Prandi
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Keystone
Con la più grande acquisizione operata da un’azienda cinese nel mondo – ChemChina compra la basilese Syngenta per 43 miliardi di dollari in contanti (a pagina 28) – la Cina mostra di portare avanti con decisione la trasformazione della sua economia, cresciuta 25 anni fa producendo merci a basso costo dapprima destinate ai mercati internazionali, poi con il crescente benessere anche a quello interno. Ora la Cina ha sete di high tech, e ha i soldi per comprarsela. I dirigenti cinesi hanno un’esplicita strategia: lo stadio attuale, in cui i cinesi hanno raggiunto competenze e conoscenze paragonabili alle nostre lavorando nelle fabbriche a marchio occidentale, va superato, per essere un giorno una superpotenza bisogna mirare in alto. È tempo di comprarsi le grandi aziende internazionali. I cervelli ci sono, ora ci vogliono gli strumenti giusti per competere ai massimi livelli mondiali e al contempo riformare la Cina. Nel caso concreto, se l’acquisizione venisse approvata, ChemChina, oggi fra i 20 maggiori gruppi chimici mondiali, diverrebbe con Syngenta leader nella produzione di pesticidi e di prodotti chimici per l’agricoltura. Syngenta è l’acquisizione più grande, e il fatto che ChemChina abbia soffiato il colosso agro-chimico basilese all’americana Monsanto ne aumenta il valore simbolico e geopolitico – ma non vanno dimenticate le altre, anche solo per i numeri: nel 2015 sono state 179 solo in Europa (4 in Svizzera), in aumento del 10 per cento rispetto al 2014. I cinesi comprano ovunque, in Europa, nelle Americhe, in Africa, in Asia, in Australia. La stessa ChemChina si era fatta notare l’anno scorso acquistando la Pirelli per 9 miliardi di dollari. Ma dietro a queste acquisizioni sta, appunto, un’altra filosofia, annotano esperti di questioni cinesi: se acquisizioni e fusioni condotte da gruppi occidentali portano a ristrutturazioni e licenziamenti nel segno dell’incremento dei profitti, le aziende cinesi si comportano diversamente, non intaccano la stabilità delle aziende e tendono piuttosto a incrementarne le potenzialità con nuovi investimenti. In questo senso, si riconosce che per Syngenta ChemChina è un’opzione migliore di Monsanto, le cui attività in parte si accavallano (ciò che avrebbe portato a tagli). L’opzione migliore sarebbe stata di restare indipendenti, ma le condizioni di mercato, viene ripetuto, non erano più date. Tuttavia, c’è anche scetticismo: qualcuno teme che i 3300 impieghi in Svizzera vengano ridotti, inoltre ci sarà meno trasparenza sulle strategie future dell’azienda, sia perché Syngenta non sarà più, almeno momentaneamente, quotata in Borsa, sia perché i cinesi comunicano meno volentieri, in particolare le aziende che come ChemChina sono in mano allo Stato cinese. E così oggi ci troviamo in un mercato globale in cui la competizione non avviene più solo fra grossi gruppi privati, ma anche con gruppi in mano ad uno Stato con mire globali. Vincerà il capitalismo vecchio stile o il capitalismo di Stato di stampo cinese? In questo momento, sono avvantaggiati gruppi come ChemChina che sono finanziariamente garantiti dallo Stato (Monsanto non poteva permettersi di pagare 43 miliardi di dollari in contanti). Il capitalismo di Stato cinese vanta inoltre una strategia globale: come gli enormi sforzi per dotare il Paese di nuove infrastrutture e di ammodernare quelle esistenti, compreso il settore energetico, sono fondamentali per lo sviluppo del Paese, così lo sono le acquisizioni di aziende altamente tecnologizzate, sia per il valore aggiunto di «intelligenze» che portano con sé, sia per la ricchezza che generano. Diversamente, in Occidente i vantaggi di un’economia globale vanno in misura maggiore alle aziende stesse e in misura minore alla popolazione nel suo complesso. Si potrebbe ipotizzare che un capitalismo di Stato gestito da leader illuminati abbia sul lungo termine qualche misura di vantaggio su un capitalismo che mira prevalentemente alla massimizzazione dei profitti. Ma siamo sicuri che i governanti odierni della Cina siano così illuminati? Il boss di ChemChina, Ren Jianxin, è un capitalista venuto dal nulla: dopo essere stato funzionario statale ha fondato una ditta di pulizie di impianti industriali con enorme successo, e con il tempo ha acquisito (sostenuto dallo Stato) un centinaio di aziende, fino a fondare la ChemChina; conosce le leggi del mercato e le rispetta o ci si adegua. Ma il governo cinese? I recenti tentativi di indirizzare la Borsa cinese secondo le strategie governative hanno generato disastri. Il sistema bancario che deve sostenere le aziende e il capitalismo di Stato è abbastanza sano? La scarsa trasparenza attorno ai veri numeri dell’economia cinese non permette di affermare che il capitalismo di Stato sia la via del futuro, né di escludere che l’euforia economico-imperialista si trasformi improvvisamente in un’inattesa depressione.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
Attualità Migros
Regole chiare e una boccata d’ossigeno Votazione cantonale La nuova legge sull’apertura dei negozi alle urne il 28 febbraio – Qual è la posta in gioco,
che cosa cambia per i consumatori, i dipendenti e per il settore del commercio, Migros Ticino compresa?
Il 28 febbraio 2016 i cittadini ticinesi sono chiamati alle urne anche per votare sulla revisione della legge sull’apertura dei negozi, accettata dal Gran Consiglio il 23 marzo 2015, contro cui il sindacato Unia e la sinistra hanno lanciato il referendum. La nuova legge prevede di estendere gli orari di apertura fino alle 19.00 in settimana e fino alle 18.30 il sabato in tutto il cantone, riducendo da 4 a 3 le aperture domenicali permesse durante l’anno, al contempo ha il pregio di creare una regolamentazione più semplice e coerente che pone fine alla selva di deroghe introdotte negli anni a una legge che risale al 1968, non più al passo con i tempi, insoddisfacente dal profilo dei bisogni dei consumatori, del diritto e della parità di trattamento. Come scriveva il Consiglio di Stato nel messaggio al Gran Consiglio del 23.3.2011, «La nuova Legge sull’apertura dei negozi adegua alle mutate esigenze della società le norme legislative sul commercio al dettaglio, rendendo più chiaro il quadro legale e semplificando le procedure amministrative, senza tuttavia deregolamentare il settore e tenendo in debita considerazione gli interessi di tutte le parti coinvolte (consumatori, lavoratori e commercianti). Giuridicamente, non è più immaginabile continuare a perpetuare nel tempo il regime delle deroghe sinora in vigore, censurato anche dal Tribunale federale. Economicamente, l’esigenza di mantenere competitivo il settore del commercio al dettaglio, con un moderato prolungamento degli orari di apertura che vada incontro alle nuove abitudini dei consumatori, non può essere minimizzata, anche in virtù delle implicazioni occupazionali, a maggior ragione in un momento congiunturalmente incerto come l’attuale». Si tratta davvero di «una storia infinita», come l’aveva definita nel suo messaggio il governo. Gli sforzi per giungere a una revisione di questa ormai datata legge sull’apertura dei negozi sono iniziati decenni fa. Tuttavia, «nonostante i reiterati e logoranti sforzi intrapresi dal DFE» per trovare un accordo tra Federcommercio e sindacati «le trattative non hanno permesso di appianare le divergenze fra le parti»; in particolare Unia si è fin dall’inizio espressa contro ogni modifica della legge. Governo e Gran Consiglio hanno quindi deciso di mettere mano alla riforma («non una deregolamentazione, ma una nuova regolamentazione») senza l’accordo delle parti, in particolare il parlamento cantonale ha poi deciso di estendere dalle 18, come proponeva il Governo, alle 18.30 l’orario di chiusura previsto il sabato. La nuova legge è più semplice, chiara e uniforme, maggiormente adeguata alle esigenze dei consumatori, utile a fronteggiare almeno parzialmente la concorrenza di oltrefrontiera e gli acquisti online, inoltre dà al commercio maggiori possibilità di dare un contributo all’offerta turistica cantonale ed è coerente con la legislazione federale. Per finire, permette una regolamentazione più uniforme su tutto il territorio, anche dal profilo temporale e stagionale: il sistema attuale prevede infatti orari differenziati a seconda della tipologia di negozio, dell’ubicazione, del periodo turistico e nei mesi estivi. Argomenti che non interessano il promotore del referendum, Unia, il quale sostiene che la nuova legge aprirebbe la porta a peggioramenti per i dipendenti, con ripercussioni sulla loro vita famigliare, metterebbe in ginocchio i piccoli commerci e non creerebbe nuovi impieghi. Per contro, Federcommercio (e con essa Migros Ticino) contesta queste affermazioni e sostiene la nuova legge, anche se risulta poca cosa rispetto al regime in vigore nella vicina Italia. Ma che cosa cambierà per i dipendenti
Se la legge supererà il referendum, i negozi potranno essere aperti fino alle 19 in settimana e alle 18.30 il sabato. Migros Ticino deciderà in base all’affluenza in quali filiali prolungare gli orari di apertura. (Ti-Press)
e per i consumatori, nel caso specifico a Migros Ticino? Rispondono Rosy Croce, responsabile del Dipartimento risorse umane, e Jean-Marc Bassani, responsabile del Dipartimento vendita della cooperativa. I collaboratori in filiale dovranno lavorare di più?
Rosy Croce: assolutamente no, il nostro contratto collettivo limita a 41 le ore di lavoro settimanali, e queste restano. Per questo motivo, l’estensione degli orari porta automaticamente, nel complesso, a un aumento di posti di lavoro: nel nostro caso, mezz’ora di apertura in più al giorno corrisponde a circa 40 posti di lavoro in più. Ma i dipendenti torneranno a casa mezz’ora più tardi, in settimana, e ancora più tardi il sabato.
Rosy Croce: Alcuni sì, altri no, dipende dal turno e dalle filiali. Nelle filiali del Mendrisiotto, del Luganese e in parte del Locarnese in settimana non cambierebbe nulla dato che già attualmente chiudono alle 19.00. In alcuni casi, per esempio nel Luganese, tornerebbero a casa addirittura prima il sabato: alle 18.30 invece che alle 19.00. Siamo convinti che le modifiche apportate dalla nuova legge saranno ben accettate dai nostri colleghi delle filiali, perché sanno che rafforzano l’azienda di fronte alla concorrenza italiana, aiutando quindi a garantire i posti di lavoro di Migros Ticino e del commercio al dettaglio ticinese in generale. Inoltre, nell’elaborazione dei turni si terrà conto in linea di principio, come avviene già oggi, delle necessità famigliari dei dipendenti. I nuovi orari di apertura varranno per tutte le filiali? Tutte terranno aperto fino alle 19.00 in settimana e fino alle 18.30 il sabato?
Jean-Marc Bassani: Valuteremo la situazione separatamente per ogni filiale in considerazione del fatto che da una parte la clientela si aspetta una certa omogeneità degli orari d’apertura dei nostri punti di vendita ma che d’altra parte non vale la pena tenere aperto un negozio se non c’è un riscontro a livello di affluenza clienti. Non ci saranno difficoltà a modificare i piani di lavoro? Neppure nelle filiali più piccole?
Jean-Marc Bassani: Francamente non vedo problemi particolari. Gli oppositori sostengono che con la nuova legge le condizioni di lavoro del personale peggioreranno.
Rosy Croce: Come detto in precedenza, il contratto collettivo Migros prevede 41 ore di lavoro settimanali: da qui non si scappa, i dipendenti sono tutelati. Inoltre, ricordo che i dipendenti continueranno ad usufruire delle ottime prestazioni previste dal nostro contratto collettivo, sia che si parli di previdenza professionale, sia di congedo maternità e paternità, sia di coperture assicurative. I nostri sondaggi interni mostrano un’alta soddisfazione del personale, sono convinta che grazie al clima di grande collaborazione che regna nell’azienda si potrà gestire bene la nuova situazione. Ricordo inoltre che Migros Ticino è dall’anno scorso la prima azienda ticinese ad aver ottenuto la certificazione Friendly Workspace da Promozione Salute Svizzera. Questa certificazione attesta l’importanza che Migros Ticino attribuisce ai suoi collaboratori in quanto individui, è un riconoscimento di qualità per quanto riguarda le condizioni e le modalità di conduzione adottate con un approccio sistematico orientato alla gestione della salute in azienda. Tenere i negozi aperti più a lungo comporterà probabilmente anche delle spese aggiuntive. Qualcuno potrebbe chiedersi se saranno i clienti a pagarle, con un aumento dei prezzi dei prodotti.
Jean-Marc Bassani: Questo è da escludere nel modo più assoluto, non ci sarà alcun aumento dei prezzi perché andremo ad aumentare le ore di apertura solo nei casi in cui queste porteranno una cifra d’affari addizionale. La nuova legge spingerà Migros Ticino ad aprire qualche domenica in più all’anno?
Jean-Marc Bassani: No. La nuova legge parla chiaro: sono previste solo 3 domeniche all’anno, una in meno di quanto permesso a livello federale. Ricordo inoltre quanto prevede la legge federale sul lavoro: l’impiego domenicale presuppone in ogni caso il consenso del dipendente. È tanto importante questa revisione della legge? In fondo si tratta di una mezz’ora in più in settimana e qualcosa in più o in meno il sabato, a seconda della filiale.
Rosy Croce: sì, è importante! Ricordo che a livello di apertura dei negozi, il Ticino è uno dei cantoni più restrittivi della Svizzera. Come rilevato dal Governo nel suo messaggio, in 7 cantoni, fra cui Zurigo, non c’è alcuna legge in
materia e si può tenere aperti i negozi da lunedì a sabato fino alle 23; solo 6 cantoni, fra cui il Ticino, prevedono chiusure alle 18.30. Se poi guardiamo alla vicina Italia, in Lombardia dal 2010 l’apertura nei giorni feriali è possibile fino alle 22, alcuni supermercati nella zona di confine sono ormai aperti 24 ore su 24. In quest’ultimo caso si tratta di orari che hanno forse ragion d’essere in metropoli nelle quali ci sono parecchie persone che lavorano di notte (servizi ospedalieri, polizia, pompieri, ecc.), ma non nella nostra piccola realtà locale. Detto questo, in Ticino siamo all’altro estremo, una situazione che stimola il turismo degli acquisti e ha effetti negativi anche sul turismo. È ormai infatti assodato che oltre alle bellezze naturali, le attrazioni culturali e l’eno-gastronomia, anche lo shopping gioca un ruolo importante nel mix di elementi di attrattività di una regione. Questa mezz’ora in più ci permetterebbe inoltre di meglio venire incon-
tro ai bisogni della clientela locale, che sono mutati dal 1968, quando la legge attuale è stata concepita, e del turismo, con un impatto positivo sull’economia ticinese e sui posti di lavoro nella nostra regione. E se la revisione della legge venisse bocciata?
Rosy Croce: perderemmo l’opportunità di recuperare una parte della clientela locale che fa la spesa oltre frontiera per questioni di orari e di guadagnare nuovi clienti tra i turisti. Temiamo inoltre che una bocciatura permetterebbe di mettere in discussione alcune aperture che oggi ci vengono concesse sulla base di deroghe. Non è una legge che sconvolgerà il settore del commercio al dettaglio ticinese, ma gli darà un’importante boccata d’ossigeno e soprattutto gli permetterà di lavorare con delle regole chiare e valide per tutti, evitando i ricorsi e le incertezze che contraddistinguono la situazione attuale, oltre a contribuire al mantenimento di posti di lavoro.
Migros richiama il peluche Activity Una verifica interna di Migros ha evidenziato che il peluche «Giocattolo Activity con clip» del marchio Milette può rappresentare un rischio per la sicurezza dei bambini. Il giocattolo era disponibile nelle maggiori filiali in quattro varianti e per motivi pre-
cauzionali Migros le richiama tutte e quattro. Il peluche non soddisfa i requisiti di legge perché le sue cuciture sono troppo poco solide. Se un bambino tira con forza può accadere che le cuciture si strappino e che ne fuoriesca l’imbottitura. In questo caso sussiste il pericolo di soffocamento. Per questo motivo Migros ha richiamato precauzionalmente il prodotto in tutte e quattro le varianti (elefante, orso, scimmia e capriolo). Migros prega tutti i clienti di far sì che il giocattolo non venga più utilizzato. Sarà possibile restituirlo in tutte le filiali Migros e il prezzo d’acquisto verrà rimborsato. Ecco le informazioni dettagliate sul prodotto: Giocattolo Activity con clip del marchio Milette, in quattro versioni (elefante, orso, scimmia e capriolo), Articolo numero 7471.422, prezzo Franchi 15.80. Tutti gli altri giocattoli Activity del marchio Milette non sono interessati dal richiamo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Società e Territorio Le risorse dei bambini Silvia Vegetti Finzi ci parla del suo ultimo libro intitolato Una bambina senza stella nel quale ripercorre la propria infanzia pagina 5
Risanare, trasformare, conservare L’intervento di ampliamento e risanamento dell’ex Municipio di Pregassona è un esempio di salvaguardia di un edificio del Moderno degli anni Sessanta pagina 8
Secondo Lizanne Foster le prove della capacità degli adolescenti di pensare fuori dagli schemi e di trovare soluzioni creative sono ovunque intorno a noi. (Keystone)
Adolescenti che cambiano il mondo Giovani creativi Né apatici né capricciosi, i teenager ci sorprendono: c’è chi ha inventato un sacco a pelo
impermeabile e ignifugo per i senzatetto e chi sta lavorando a un nuovo test per l’ebola Stefania Prandi A soli 16 anni Emily Duffy, studentessa irlandese di Limerik, ha inventato un sensore usa e getta da inserire nei pannolini dei bambini per controllare, a ogni cambio, se hanno la febbre e un sacco a pelo impermeabile e ignifugo per le persone senza fissa dimora. La teenager del Desmond College è diventata una piccola celebrità, intervistata da diversi giornali nazionali. Come lei, altri ragazzi tra i 14 e i 20 anni hanno fatto parlare di sé, nei mesi scorsi. La rivista «Time» ha stilato un elenco degli adolescenti più influenti nel mondo nel 2015. Tra loro Kim Kataguiri, diciannovenne di San Paolo, che ha criticato, con video satirici, il governo brasiliano su Youtube, ha fondato il movimento Free Brazil e ha contribuito a organizzare diverse manifestazioni di protesta (come quella dello scorso marzo, con oltre 200mila persone in piazza). Nella lista anche Olivia Hallisey, diciassettenne statunitense, che ha inventato un test economico e veloce per il virus ebola (prima di essere utilizzato, però, deve essere sottoposto a una serie di verifiche). Per la sua idea, la studentessa della scuola superiore
Greenwich, nel Connecticut, ha vinto il premio Google Science Fair, lo scorso settembre. Oltre a loro c’è la celebre Malala Yousafzai, diciottenne di origine pakistana, che da tempo si batte per il diritto all’istruzione delle ragazze nel sud del mondo. Dopo essere stata vittima di un attentato, che non ha fermato il suo impegno, ha vinto nel 2014 il Premio Nobel per la Pace. Come dimostrano queste storie, gli adolescenti sono capaci di dare un contributo importante al mondo. Perché allora, spesso, vengono frenati dagli adulti che non gli danno abbastanza credito e da una scuola che li limita con programmi rigidi? Se lo chiede Lizanne Foster, insegnante e blogger canadese, conosciuta per le sue posizioni critiche sul sistema dell’educazione e per una lettera di scuse agli studenti in cui spiega che l’età anagrafica non ha nulla a che vedere con l’intelletto, la maturità, le competenze e l’abilità. «Avete notato quanto spesso, negli ultimi tempi, nuove scoperte o invenzioni sono fatte da adolescenti? Quante altre ce ne potrebbero essere se smettessimo d’ingozzarli di noia e liberassimo i loro cervelli, permettendogli di affrontare con uno sguardo
nuovo i difficili problemi del nostro tempo?», si domanda Foster in un recente intervento, pubblicato dal settimanale italiano «Internazionale». E cita Ken Robinson, docente universitario all’Università di Warwick, in Gran Bretagna e consigliere internazionale sull’educazione per i governi e le istituzioni no profit. In un Ted Talk (conferenza promossa dall’organizzazione non profit Technology, Entertainment, Design per diffondere idee considerate particolarmente innovative) disponibile in rete, visto più di 36 milioni di volte e tradotto in 59 lingue, Robinson espone una divertente e toccante argomentazione a favore della creazione di un sistema educativo che stimoli l’inventiva, anziché metterla a repentaglio. E nel suo libro più conosciuto, Out of our Minds (Fuori di testa. Perché la scuola uccide la creatività), da poco tradotto in italiano (ed. Erickson), si interroga su come cambiare il sistema dell’educazione per valorizzare la creatività, così importante ai nostri giorni, considerando il mercato del lavoro sempre più globalizzato e competitivo. Secondo Alessandro Antonietti, ordinario di Psicologia cognitiva applicata all’università Cattolica di Milano,
e responsabile del Servizio di psicologia dell’apprendimento e dell’educazione, per invertire la tendenza, «il primo passaggio da compiere è avere un atteggiamento che incoraggi i giovani a provare, sperimentare, immaginare. Quante occasioni ha oggi un ragazzo per essere creativo a scuola? A fronte di proposte non convenzionali da parte degli studenti, forse gli insegnanti dovrebbero, prima di censurarle, domandarsi se non ci sia qualcosa di buono, anche di accennato, che possa essere mantenuto e valorizzato. E mentre si mette in evidenza il limite e l’errore in ciò che il giovane propone, riconoscergli che almeno ha cercato di trovare una diversa strada, di elaborare un’idea personale, chiedendosi se qualcosa potesse cambiare. Il secondo passaggio potrebbe essere quello di proporre compiti che richiedano una certa creatività, pur mantenendo il focus sullo sviluppo di conoscenze e competenze disciplinari». Consigli che, in parte, valgono anche per i genitori, che dovrebbero permettere ai figli di cercare modi diversi di fare le cose, incoraggiarli quando falliscono, apprezzare i momenti in cui mostrano di essere intraprendenti. Un altro suggerimento per gli adulti è
di proporsi come modelli di creatività: far vedere che nella propria vita si cerca di cambiare, migliorare, trovare nuove soluzioni. Senza dimenticare che il rischio di inibire le potenzialità degli adolescenti è dovuto anche allo stereotipo con cui vengono rappresentati a livello mediatico, che oscilla tra l’immagine di ragazzi scorbutici, ossessionati dai videogiochi e disinteressati, a quella di ragazze che si fanno selfie mentre parlano dell’ultima celebrità di Youtube. Il fatto che ci sia una parte di giovani «abulici e conformisti», non deve portare a generalizzazioni ingiuste. Secondo Antonelli, le immagini negative dominanti dell’adolescenza possono essere contrastate o mitigate non soltanto con le eccellenze, ma chiamando in causa teenager che si dedicano al volontariato, che si impegnano per raggiungere elevati risultati scolastici o per eccellere nello sport, che manifestano solidarietà. «Forse è anche utile che gli adulti guardino all’adolescenza con i criteri dei giovani stessi, in base ai quali altruismo, fedeltà, dedizione si esprimono in forme che non corrispondono a quelle cui tradizionalmente i grandi fanno riferimento».
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Società e Territorio
I bambini sanno cosa vogliono Intervista La nostra collaboratrice Silvia Vegetti Finzi ci parla del suo ultimo libro nel quale ripercorre
la propria infanzia al tempo della seconda guerra mondiale Simona Sala Ogni infanzia ha un cuore suo, verrebbe da dire. Un cuore in cui si nascondono, o sono seppellite, le prime frustrazioni, ma anche le gioie, dove sono custoditi con gelosia i ricordi più belli, ma anche sotterrati quelli dolorosi, che fanno male perché hanno ferito. La psicanalista milanese (nonché collaboratrice di «Azione») Silvia Vegetti Finzi, con un coraggio e una forza forse dettati dal desiderio di conoscersi fino in fondo, pochi mesi fa ha dato alle stampe Una bambina senza stella. Un libro delicato, la cui protagonista è la bambina del titolo, ossia Silvia Vegetti Finzi da piccola, così come ogni lettore che riuscirà a riconoscersi in queste pagine permeate di grazia e di delicatezza, in cui un cuore adulto cerca di sondare un passato ovviamente immutabile, ma non per questo non elaborabile. La bambina Silvia ebbe la sfortuna di nascere in pieno fascismo da padre ebreo; i genitori furono costretti a rifugiarsi in Abissinia, i figli affidati a una serie di parenti, dove ebbero modo di sperimentare l’assenza, ma anche la scoperta, la solitudine, ma anche la facoltà di bastare a se stessi. Silvia Vegetti Finzi esprime questo dualismo del sentire suddividendo i brevi capitoli del libro in due parti: la prima narrativa, la seconda analitica, dando modo al lettore di scegliere la cronologia di lettura che più gli si addice. Silvia Vegetti Finzi, perché dopo tanti anni ha sentito il bisogno di tornare a scandagliare un periodo lontano come quello dell’infanzia?
Il bisogno nasce dall’avere concluso tante cose della vita; i figli sono diventati a loro volta genitori e io sono in pensione. La chiusura del sipario della maturità ha aperto quello della vecchiaia e mi sono resa conto che la mia identità era rimasta incompiuta. La vita mi aveva imposto delle scadenze come la maternità e il matrimonio, che avevano bloccato il lavoro della memoria, lasciando fuori l’importante parte dell’infanzia. Il recupero di questa parte remota mi fa sentire più completa, finalmente realizzata. In fondo il romanzo ruota intorno al concetto della resilienza che si contrappone alla resistenza.
Non amo molto la parola «resilienza», di provenienza anglosassone, poiché si riferisce alla proprietà dei metalli di ritornare al punto di partenza dopo essere stati deformati. Nella resilienza umana non si torna mai al punto di partenza, poiché il lavoro compiuto fa sì che si diventi più maturi e consapevoli. A noi esseri umani è data la possibilità di andare avanti, di proce-
dere oltre, in un certo senso migliori di quando abbiamo iniziato il percorso di recupero di noi stessi. Per descrivere questo concetto un tempo si usavano parole come recupero, compensazione o riparazione, ma «resilienza» ha il merito di sottolineare la dinamica e l’aspetto evolutivo del processo.
Un argomento ricorrente del libro è la madre: sebbene la Sua bambina senta relativamente la mancanza della madre, essa è comunque sempre la cartina di tornasole…
Nelle favole – che sono l’inconscio collettivo – le madri sono buonissime (di solito quella vera) o cattivissime, (di solito matrigne o streghe). Nella realtà invece ci sono molte sfumature di maternità. Penso ad esempio alle madri «dal cuore secco», che a causa della guerra, di un abbandono o della paura, non hanno il tempo né il modo né la volontà di occuparsi dei bambini oltre alla sopravvivenza. Io riconosco a mia madre di essersi occupata della nostra sopravvivenza in un periodo in cui il riscaldamento, il cibo e le medicine rappresentavano un problema quotidiano. Questa cura di ordine pratico ha fatto sì che non vi fosse l’intimità interiore che noi generazioni più fortunate abbiamo potuto offrire ai nostri figli. Verso mia madre non nutro rancore, semmai una forma di rammarico.
La bambina, grazie al suo istinto e ai pochi mezzi a disposizione ce la fa a sopravvivere anche emotivamente: è tipico dei bambini sviluppare queste risorse?
Credo faccia parte del patrimonio dell’infanzia, non solo degli umani. Ogni vita potenziale dal momento in cui si espone con la nascita porta in sé delle risorse per sopravvivere. Quello che vorrei dire con questo libro è che le potenzialità dei bambini, che sempre ci sono, devono essere sostenute dalla fiducia degli adulti. Come genitori o educatori dobbiamo dare ai bambini questo mandato: «Guarda che ce la puoi fare. Sei attrezzato per qualsiasi necessità». Mi sembra che questa fiducia possa aiutare i bambini nello stesso modo in cui la luce aiuta una pianta.
Questo senso dell’intimità di cui le nuove generazioni hanno fortunatamente potuto godere è un fenomeno recente?
Questo vale per tutti i bambini?
Credo di sì, e mi riferisco anche a quelli più sfavoriti e ai bambini portatori di andicap. Il bambino ha una sorta di mandato di crescere, di eredità dalle generazioni precedenti. Sta a noi adulti esprimere questo mandato, valorizzando ogni risorsa, per quanto piccola.
Un tempo esisteva una maternità diffusa, fatta di zie e sorelle e altre parenti. Io stessa a soli otto anni ho cominciato ad occuparmi delle mie sorelline. Con la modernità sono subentrate le figure sostitutive della madre, che però sono figure professionali come le educatrici del nido o la maestra d’asilo. Non c’è più la famiglia estesa che assicurava un maternage ambientale.
Secondo lei in questi anni c’è poca fiducia nelle risorse dei bambini?
La paura nasce soprattutto con l’adolescenza, quando viene il momento di concedere la responsabilità della vita – arriva un momento, ed è il più delicato, in cui bisogna cedere ai ragazzi la facoltà di decidere. Da quando il futuro si è oscurato, quasi per una reazione automatica le famiglie sono diventate iperprotettive e tendono a sostituirsi ai loro figli. Ma i figli, perfino i bambini, sanno cosa vogliono, anche se inconsapevolmente, e intuiscono quello che vogliono diventare. Ogni figlio è detentore di un potere e di un sapere che gli devono essere concessi. … e riconosciuti.
Certo, la bambina viene definita un’oca, poi ancora un’ochetta, infine nell’uovo di Pasqua trova un’oca, mentre il fratello trova un libro. Questo è visto come segno di un destino di seconda categoria. In realtà ognuno di noi ha dei margini di libertà che, se riconosciuti e praticati, ci consentono di realizzare e diventare ciò che vogliamo. Lo spazio di manovra è però anche uno spazio reale. I bambini sembrano sempre più controllati anche fisicamente.
È una cosa molto grave, per me questa è
la prima generazione che non conosce le ginocchia sbucciate. Ma, come diceva sempre la pediatra francese Françoise Dolto, senza rischi non si cresce perché la vita si impara solo vivendo. I bambini di oggi hanno le ginocchia linde e le unghie ben tagliate. Nell’adulto come si riverbera questa restrizione di campi d’azione?
dati internazionali che riguardano l’Occidente. Si tratta della cosa che più preoccupa gli psicologi. Questo fenomeno è iniziato in Giappone negli anni Ottanta e ora si è esteso ovunque. È un fenomeno che nasce nelle società troppo competitive. Nel libro accenna alla memoria che riaffiora nel sintomo. Ci parli della memoria, fedele e insidiosa compagna…
Dal mio punto di vista di osservatrice psicologica i giovani si dividono in due categorie. Da una parte vi sono dei giovani molto audaci, disposti ad andare all’estero in situazioni che non conoscono, o a tentare una professione nuova. Vi sono poi quelli mediamente rassegnati a veleggiare. Ma a preoccuparmi è il 20%, la cosiddetta «generazione né né», la quale si è lasciata andare, rinunciando a dirigere la propria vita. Non studia né lavora, preferendo ritirarsi in un’inattività perdente, lasciandosi vivere in famiglia, magari navigando in internet, poiché non ha più coraggio di competere. Sono
Come afferma Freud quello che non vogliamo ricordare, e che dunque lasciamo fuori dalla porta della mente (ad esempio i traumi, che espelliamo perché non vogliamo soffrire), torna surrettiziamente dalla finestra sotto forma di sintomo. Se non ho preso atto di un trauma che ha riguardato ad esempio il mondo esterno, avrò probabilità (poiché in psicologia niente è necessario) di sviluppare una forma di agorafobia. In realtà questa paura si riferisce a un trauma non elaborato.
e aspetta il principe azzurro, quello in carne e ossa che incontrerà da qualche parte nel mondo senza un qualunque stupido schermo o applicazione tra i piedi, proprio non ci sta e brontola «insomma è una applicazione fatta per giocare non per rimorchiare!». Non avendola mai usata faccio una domanda stupida «ma scusa come fate a parlarvi?». «Semplice, c’è una chat che fa parte dell’app e mentre giochi puoi chattare. E tutte le volte che giochi con un uomo, passa qualche minuto, fai in tempo ad inserire qualche lettera, a concentrarti, che arriva la prima domanda. Stanotte mi è capitato un tizio sposato… ma si può?». Mentre Isabella mi raccontava, immaginavo il mal capitato che non poteva sapere in che guaio si stava cacciando facendo il farfallone, e per giunta su Ruzzle, con
la mia amica che detesta le persone ambigue e bugiarde. E, infatti, dopo avergli risposto per le rime, il fedifrago si è dileguato lasciando la partita a metà… Forse, contare le pecorelle non è poi così male. Ma c’è un’altra applicazione interessante della quale questa volta mi ha raccontato il mio amico Piero, divorziato da tempo, che non ama comunicare con la sua ex moglie perché ogni volta nasce una discussione, ma non può farne a meno per il bene del figlio Mattia. «Dopo tanti anni» mi dice «abbiamo trovato la soluzione che fa per noi». Si tratta dell’applicazione e del sito 2houses.com, detta anche «facilitatore di cogenitorialità», nata appunto per facilitare i genitori nella pianificazione e nella comunicazione di tutte le attività, gli interessi, gli impegni, le spese,
Secondo lei l’amore ricevuto è una corazza… come commenta questa affermazione?
L’amore che si riceve è una risorsa che ci difende dalla disperazione. Chi è stato amato anche soltanto in un momento della sua vita, ha una riserva di cui potrà fare buon uso per sempre. Sono inoltre convinta che l’amore sia transitivo: dando ad altri l’amore che non abbiamo ricevuto, ritroviamo quello che ci è mancato. Nell’amore dare e ricevere si confondono. Questi sono mesi di grande dramma per i bambini dei migranti, confrontati con fatiche, traumi e paura. Come vede questi bambini?
In un certo senso mi consolano: pensiamo ai fuggiaschi della Siria, hanno attraversato campi minati, strisciato sotto il filo spinato, hanno fame, freddo e paura. Ma non appena hanno un attimo si mettono a tirare calci a un pallone. Ci sembrano disperati, ma in realtà c’è un futuro dinnanzi a loro. Dovremo anzitutto comprenderli, nel senso di prenderli dentro di noi.
La società connessa di Natascha Fioretti Problema che hai, applicazione che trovi
Devo dire la verità, non sono una fan delle applicazioni, in tutto ne uso due o tre, quella del meteo e del cinema per prenotare i film più velocemente. Per il resto le scopro nei racconti degli amici che, talvolta si lamentano, talvolta sono entusiasti e di alcune non potrebbero più farne a meno. Isabella, ad esempio, soffre di insonnia. Quando va a letto sono più le volte che rimane sveglia fino all’alba di quelle che riesce ad addormentarsi subito. Un tempo sognava le pecorelle, nere, bianche, quelle che saltano la staccionata, quelle che rimangono appese… Poi ha scoperto Ruzzle, una sorta di Scarabeo digitale, e ora trascorre notti intere a comporre parole, un modo per far passare il tempo quando Morfeo tarda ad
arrivare divertendosi. Tranne quando non riesce a trovare un avversario concentrato sul gioco. Mi racconta Isabella che a Ruzzle si gioca in due: quando apri l’app di Ruzzle sulla quale anche tu sei registrato con i tuoi dati, ti compaiono una serie di nomi di utenti tra i quali puoi scegliere il tuo avversario oppure il tuo avversario sceglie te. Sì perché il gioco non consiste soltanto nell’indovinare e comporre parole ma nel farlo più velocemente dell’altro. «Il problema», mi dice Isabella con quella sua voce tipicamente irritata in una fredda mattina di gennaio, «è quando giochi con gli uomini». Fai due, tre mosse e poi, ti arrivano domande a raffica «quanti anni hai?», «vivi da sola?», «sei fidanzata?»… Isabella non apprezza, anzi, lei che non ha nemmeno un account su Facebook
le visite dal medico che riguardano il figlio, così come i giorni in cui il bambino sta con il padre o con la madre. Se usata correttamente, non c’è nemmeno più bisogno di parlarsi, magari neanche di vedersi o, quantomeno, non così spesso. «Funziona!» mi dice entusiasta Piero «la nostra comunicazione è migliorata, per qualsiasi cosa ci scriviamo e postiamo su questa piattaforma e di ogni cosa abbiamo traccia». E come Piero la pensano in tanti, infatti 2houses.com conta 61’149 famiglie iscritte in 121 Paesi. Una vera e propria comunità che attraverso la piattaforma può interagire, informare, comunicare e dare consigli su misura per famiglie e genitori divisi. Provare per credere, se vi registrate avete 15 giorni gratuiti per testare se fa al caso vostro, dopodiché vi costerà circa 100 franchi l’anno.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Società e Territorio Dopo l’ampliamento lo stabile di via Cassone ospita il Punto Città e spazi per la scuola elementare. (Marcelo Villada)
Racconti dal passato Grigioni italiano
Due libri narrano la vita quotidiana dei nostri antenati Alessandro Zanoli
Nel segno della continuità Architettura Il risanamento dell’ex Municipio di Pregassona dimostra come sia possibile
trasformare un edificio moderno, adeguandolo a nuove norme e funzioni, nel rispetto del progetto architettonico originale Stefania Hubmann Volume ampliato, spazi trasformati, soluzioni tecniche innovative, ma pregio architettonico intatto. Sono queste le caratteristiche di un intervento di risanamento globale che permette all’ex Municipio di Pregassona di continuare a svolgere il ruolo di edificio pubblico con contenuti rinnovati e nel rispetto delle nuove norme legate al risparmio energetico. Un esempio significativo di come sia possibile intervenire su un edificio dell’epoca del Moderno anni Sessanta salvaguardandone lo spirito. Spirito e ricerca che nel secolo scorso, sulla scia dei maestri americani, hanno segnato nel nostro cantone la costruzione di numerose opere pubbliche e private progettate da architetti locali, alcuni dei quali affermatisi anche a livello internazionale.
Risanamento energetico e abbattimento delle barriere architettoniche: sono queste le principali sfide per chi interviene su edifici di pregio La funzionalità è il concetto base di questa architettura, il cui valore è stato riconosciuto dalle autorità cantonali, ma che in molti casi rischia di essere stravolta dagli interventi di risanamento di cui un numero crescente di edifici ha ormai necessità. Con la pubblicazione nel 2012 dell’opuscolo La tutela del Moderno nel Cantone Ticino il Dipartimento del territorio ha presentato al pubblico la sessantina di opere protette, suddivise in nove tipologie costruttive, come pure le ragioni della tutela e i relativi criteri di scelta. Altri edifici, in molti casi progettati dai medesimi architetti, sono invece privi di vincoli. Per quelli pubblici è però subentrato l’obiettivo, previsto dalla specifica legge cantonale, di raggiungere lo standard Minergie, vale a dire di ridurre il fabbisogno energetico migliorando al contempo il comfort
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
degli occupanti. Nuove sensibilità ed esigenze, come anche l’accesso per le persone diversamente abili, impongono interventi sostanziali che rischiano di snaturare il progetto originale. Le ampie superfici vetrate tipiche di questa architettura perché volte alla ricerca della trasparenza fra gli spazi interni e quelli esterni sono sicuramente uno dei nodi dal punto di vista energetico. Sono presenti anche nell’ex Municipio di Pregassona, terminato nel 1966 su progetto dell’architetto Alberto Tibiletti, ora trasformato e ampliato dallo studio Architetti Tibiletti Associati diretto dal figlio Stefano. Una sfida nella sfida che ha privilegiato un approccio definito nella relazione tecnica «di «continuità costruttiva» e di completamento dell’edificio originale; ampliare senza modificare l’essenza della struttura architettonica originaria, in modo da ottenere una nuova e rinnovata unità d’assieme». In cima a viale Cassone l’edificio bianco – l’intonaco a grana dura è stato consolidato e ripitturato – riafferma il proprio ruolo pubblico in un contesto modificato da mezzo secolo di espansione urbana. L’approfondita riflessione dei progettisti ha interessato, oltre a questo aspetto, tutti gli elementi che caratterizzano l’edificio e la trasformazione delle sue funzioni. Sono così state curate in ogni dettaglio sia le modifiche necessarie, sia quelle da evitare. Fra queste ultime spicca l’aspetto estetico esterno. «Il risanamento energetico della facciata – ci spiega l’architetto Stefano Tibiletti durante la visita in loco – è stato realizzato verso l’interno con soluzioni tecniche articolate per risolvere i problemi di conduzione termica e neutralizzare i “ponti di freddo”. Abbiamo lavorato soprattutto con l’uso di sistemi di coibentazione mirati a livello delle travi e delle solette della struttura portante, per mantenere invariato l’aspetto esterno». Mantenuto pure il ritmo modulare riutilizzato per ampliare gli spazi al piano superiore. Stefano Tibiletti: «Questo piano ospita il Punto Città e la rinnovata sala del Consiglio comunale di Pregassona, a disposizione ora come sala polivalente
e aula di canto. Le forme dello spazio architettonico e le particolari geometrie del plafone sono state mantenute, mentre per l’adeguamento tecnico si è sfruttato per esempio lo spazio ricavato in un elemento architettonico originale. I tubi del nuovo sistema di ventilazione, che assicura un ricambio d’aria in tutto l’edificio anche mantenendo le finestre chiuse, sono infatti mascherati da una trave cava esistente. Sono inoltre stati restaurati i banchi originali e l’opera del pittore Luigi Taddei. In tutto l’edificio sono invece stati sostituiti pavimenti e serramenti. L’ingegnoso sistema a lamelle amovibili per la protezione solare della sala polivalente è stato sostituito con uno identico ma con comando automatizzato». La tecnica è dunque entrata nell’edificio, laddove possibile, in punta di piedi, rispettando la qualità architettonica del progetto originale. Gli spazi sottostanti, che in parte erano rimasti inutilizzati dopo la fusione del Comune con la Città, sono stati destinati alla scuola (aule e locali predisposti per la mensa), il cui edificio principale si trova dall’altro lato del piazzale interno ed è sempre un’opera di Alberto Tibiletti. Il progetto di risanamento e ampliamento, partito nel 2011 e ultimato lo scorso anno, ha rafforzato l’asse urbano rappresentato da viale Cassone, allineando il nuovo volume al limite della scuola sottostante e prolungando il muro dell’edificio esistente lungo via Sala. «Qui è stato inserito l’unico elemento architettonico nuovo», precisa al riguardo Stefano Tibiletti. «Si tratta di un foro circolare che segnala l’accesso al Punto Città». Un elemento caratteristico dell’architettura moderna, nello specifico riferito all’opera di Carlo Scarpa e Livio Vacchini, che dialoga con la tradizione. Verso il nucleo di Pregassona lo spazio è stato infatti completato da una piccola area di sosta con elementi convenzionali: un albero, due panchine e una fontanella. Particolare attenzione è stata riservata anche alle opere d’arte. Oltre al citato dipinto di Taddei, è stata restaurata la scultura esterna di Nag Arnoldi ricollocata, con il consenso dell’artista,
in una vicina aiuola dove segna da un lato la conclusione dell’asse stradale e dall’altro il collegamento fra i due nuclei storici di Pregassona. L’atrio del Punto Città accoglie il pubblico con una nuova opera contemporanea, una decorazione murale di Alex Dorici, vincitore del concorso per giovani artisti organizzato ad hoc dal Municipio di Lugano in collaborazione con il MASI (Museo d’Arte della Svizzera Italiana). A tutti i livelli l’intervento di ampliamento e restauro dell’ex Municipio di Pregassona dimostra lo sforzo compiuto dalla Città di Lugano per salvaguardare e valorizzare il patrimonio architettonico e artistico che esso rappresenta. Una sensibilità imprescindibile soprattutto per salvare le testimonianze di pregio escluse dalla lista cantonale degli edifici protetti. Di questi ultimi, alcuni sono già stati risanati con successo, come ad esempio la scuola media di via Varesi a Locarno, disegnata da Dolf Schnebli nel 1963/64, e la sede luganese della Biblioteca cantonale (progetto originale di Rino e Carlo Tami, 1939-1941), interventi curati dagli architetti Michele e Francesco Bardelli di Locarno. Stefano Tibiletti ribadisce la necessità di una comune sensibilità da parte di professionisti e committenza, pubblica e privata, al fine di evitare operazioni semplicistiche soprattutto nell’ambito del risanamento energetico. Spiega l’architetto luganese: «L’isolamento applicato all’esterno rappresenta la soluzione più facile e all’apparenza meno onerosa. Privilegiare lo studio delle varianti interne è più complesso, ma non sempre altrettanto costoso. Le norme sul risparmio energetico sono molto severe. Per favorire la conservazione di alcuni edifici occorre prendere in considerazione anche altri criteri e instaurare un dialogo con l’autorità cantonale affinché sia possibile trovare un compromesso, ad esempio attraverso delle deroghe». Sul territorio, di fronte a opere di pionieri come Rino Tami completamente snaturate dal punto di vista architettonico, vi sono per fortuna buoni esempi che si spera facciano scuola. L’ex Municipio di Pregassona è uno di questi.
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La storia che diventa fiction: ne parlavamo qualche settimana fa a proposito del libro sulla vicenda degli internati di origine africana a Roveredo Grigioni nel 1943. In questi ultimi mesi altre interessanti ricerche d’archivio sulla storia del Grigioni italiano hanno trovato una loro forma letteraria. Sono pagine che, in modo piuttosto originale, arricchiscono la nostra consapevolezza sull’evoluzione economica, sociale, e morale, delle nostre terre. Il primo libro che vorremmo presentare è Pur di magnar la suppa. Due historie d’antan (Ed. Ulivo, 2015) di Giorgio Tognola. Il lavoro storico-narrativo cerca di far rivivere due vicende molto antiche, scoperte nell’Archivio a Marca di Mesocco: da un lato una sorta di faida a sfondo religioso, avvenuta nella Mesolcina di tre secoli fa; dall’altro una difficile e davvero romanzesca storia d’amore e tradimento avvenuta in piena età napoleonica. Tognola mette in atto un lavoro di taglio e cucito per collegare tra loro le pagine dei documenti storici (lettere, verbali di interrogatori, editti pubblici) e li arricchisce con ricostruzioni d’ambiente molto accurate. La faida locale, che ha avuto luogo tra il 1703 e il 1707, tra sostenitori del clero secolare e sostenitori del clero minore, tocca toni drammatici, cruenti. La seconda storia recuperata da Tognola è invece quella della difficile relazione matrimoniale tra Emanuele T. e Anna Maria S., intessuta di tradimento, gelosia, guerra, malattie, viaggi per mare. Sullo sfondo dei due racconti si staglia il tema dell’emigrazione e della lontananza da casa. Un destino comune, inevitabile per molti mesolcinesi. E la storia di un emigrante è proprio il nucleo narrativo di un’altra pubblicazione, l’edizione de Le mie memorie, di Florin Clemente Lozza (Cesati Ed., 2015). Vissuto dal 1870 al 1919, anche lui grigionese ma di Marmorera, nel corso della sua vita Lozza ha viaggiato alla ricerca di lavoro tra Spagna, Francia e Svizzera, lasciando un diario in italiano (oggi conservato nell’Archivio storico della Bregaglia) dettagliato e commovente della sua esperienza. «Come è mai triste questo mondo a chi deve abbandonare la sua patria e massimamente i suoi più cari, genitori e fratellanza per andare lontano nel estero onde guadagnarsi il suo pane, può soltanto conoscere questo a qui toca andar via» dice Florin in un passo del suo diario. Si tratta di un documento unico sia perché (come segnala la curatrice Francesca Nussio) riporta riflessioni e annotazioni sullo stato d’animo dell’emigrante Florin, sia perché l’uomo vi ha lasciato un dettagliato piano finanziario della sua attività. Annotando ogni minimo guadagno e spesa ci permette di osservare in che modo un emigrante gestisse la costituzione del proprio patrimonio. Nell’introduzione al testo, Sandro Bianconi si è occupato di analizzare la lingua e i temi di questo documento eccezionale. Le quasi 200 pagine del diario sono straordinarie soprattutto perché ci mostrano con quale determinazione Lozza, morto a 49 anni, affrontasse il suo destino e con quale costanza nel corso di tre decenni abbia voluto, scrivendo, tramandarla ai posteri. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Conformismi alla prova Una sessantina d’anni fa lo psicologo Solomon Asch dimostrò per via sperimentale quanto la pressione del gruppo possa influenzare le scelte e le convinzioni individuali. L’esperimento, nelle sue linee essenziali, consisteva nel mostrare a un gruppo di otto volontari diverse immagini di tre linee ravvicinate di varia lunghezza, e una quarta linea, un po’ distanziata, di lunghezza uguale a una sola delle prime tre. A ciascuno si chiedeva di dire quale delle prime tre righe fosse uguale alla quarta. Il test era truccato: i primi sette «volontari» si erano accordati con lo psicologo e, dopo le prime risposte corrette, cominciarono a dare tutti la stessa risposta, sbagliata. L’ottavo volontario, ignaro dell’inganno e chiamato sempre a rispondere per ultimo o penultimo, dopo qualche esitazione finì per accodarsi agli altri, e benché percepisse una corrispondenza diversa confermò con le sue risposte quelle di chi lo precedeva.
Trasferendo questo esperimento alla pratica quotidiana, ci si accorge che se una notizia o un giudizio cominciano a circolare con ostinata insistenza nei media, dopo un po’ diventano assolutamente veri. È così che la vox populi diventa vox Dei. Ed è per questo che il pluralismo dell’informazione è essenziale per la democrazia e per non rinunciare a pensare con la propria testa. Queste riflessioni mi venivano in mente nelle ultime settimane mentre rilevavo nei media quello che a me pare un cambiamento di stereotipo. Il nostro tempo non mi pare meno incline al conformismo rispetto ad epoche passate: tra le manifestazioni del conformismo d’oggi metterei senz’altro le regole del «politicamente corretto», che è diventato una forma di ideologia, o di fede religiosa, con i suoi dogmi inconfutabili. Come in passato suonava blasfemo il dire che non tutto quel che sta scritto nella Bibbia invita
iniqui. Il fatto è che questo episodio ha posto in conflitto tra loro due princípi sacrosanti: il rispetto verso le donne e il dovere d’accoglienza verso i migranti. Ci voleva che un dogma del politicamente corretto si scontrasse contro un altro perché si giungesse a ridimensionare uno dei due. I fatti di Colonia hanno provocato questo scontro. Così, mettendo la causa della dignità delle donne contro quella dell’accoglienza a ogni costo, questo secondo dogma ha finito per vacillare. A ondate successive l’indignazione è cresciuta via via che la censura mediatica si allentava e che si affermava l’idea che un’eccezione al politicamente corretto era concessa, o doverosa. Come nell’esperimento di Asch, anche in questo caso la pressione dell’opinione pubblica rischia di plasmare uniformemente i giudizi individuali producendo, magari, un ribaltamento di valori: con il rischio di passare da
una cecità a quella opposta. Nei giudizi conformistici gioca, infatti, il meccanismo della generalizzazione arbitraria: se ad esempio si ha notizia di un’infrazione commessa da una donna al volante, e poi da una seconda, e poi da una terza, scatta la tendenza a pensare che tutte le conducenti sono pericolose. «Donna al volante, pericolo ambulante»: questo era, infatti, il detto popolare di un tempo, frutto di un pregiudizio generalizzato. Ogni processo di santificazione di massa – delle donne, dei migranti, dei giovani, degli anziani e così via – incorre in errore quanto una demonizzazione di massa: il bene e il male si mescolano sempre in ogni categoria. Non sono le categorie da osannare o da condannare, ma sempre i comportamenti dei singoli; la fedeltà ai princípi e alle convinzioni civili che informano la nostra cultura richiede anche razionalità e realismo.
e guide nei musei, figuriamoci se è attraverso uno specchietto che indirettamente guardo questa magnifica scacchiera fatta di tavole d’abete grandi novanta centimetri per novanta. Tre piedi insomma, dunque sei passi brevi per vederne bene una. La struttura si compone innanzitutto di un mare a margine, dove nuota un bestiario medievale scandito in quarantaquattro caselle. Le quattro caselle d’angolo, invece, sono occupate dagli angeli tubicini con i piedi sulla terraferma. Mentre le centocinque tavole del ciclo interno sono scene tratte dai vangeli canonici e apocrifi. Come ad esempio quella che rappresenta forse il mio passo preferito: Gesù per stupire gli amici fa volare via dei passeri d’argilla con un soffio. Arretrando verso il coro, la trovate a sessanta passettini dall’entrata, sulla sinistra. Lì di fianco c’è un pesceliocorno. È questo mare di mostri posto tutto attorno, più che la grande zattera biblica a fumetti avanti lettera, la parte
più avvincente dove concentrare lo sguardo. Del resto come scrive Ernst Murbach a proposito: «L’oceano di Zillis ci rivela gli incubi dei nostri antenati». Perciò perlustriamo all’indietro questo atavico subconscio dipinto con pigmenti che vanno dal giallo di arsenico all’oltremare afgano, passando per il bianco di piombo. Dopo il liocorno ittico incontriamo una specie di leone, un lupo, un cavallo, e un ariete; tutti con la coda di pesce. Ecco poi un canepesce mordere la coda di un pescecervo. Carrellata al confine con il coro: diversi basilischi, tre sirene bicaudate musicali, un pesce-gallo e un’aquila. Va detto che qui dentro si gela, una chiesa frigorifera, in più un torcicollo mica da ridere e mi gira la testa. La sequenza a ovest, a sorpresa, inizia con tre riquadri che esulano, al pari dei quattro angeli apocalittici, dal contesto mostruoso. Giona uscito dalla balena sale su una barca a vela, una è quasi tutta cancellata ma si vede una barca e un pesce, la terza
raffigura la pesca miracolosa. E non per niente le tavole di Zillis sono centocinquantatré come i pesci pescati. Ma per analizzare l’intricata numerologia esoterica presente in questo soffitto che sfocia persino nelle scale musicali, per non parlare del garbuglio di simboli, ci vorrebbe un pezzo a sé. Piedi per terra dunque e naso all’insù, sempre avanti. Una donna nuda cavalca un drago alato, un diavoletto felino a cavallo di un luccio, un centauro efebo con zampe di gallina abbevera un cervo marino. Ecco poi un lupo con coda da sirena che alza in cielo un omino infilzato come uno spiedino. Tra l’altro, qui vicino, è stata scoperta una grotta di culto mitraico con lo scheletro di un uomo morto impalato. In paese, dove non c’è anima viva, scorgo dentro una stalla abbandonata, appesa, una volpe conciata per le feste. C’è poco da scherzare qui a Zillis. Ora merito magari di mettermi a mollo, per un paio di ore, alle terme di Andeer.
zero tutto d’un pezzo, rivela proprio quel lato ridicolo che, e meno male, accompagna anche questa nostra attualità, carica di avvenimenti, prospettive, correnti di pensiero sempre più angoscianti. Si tratta di un ridicolo involontario, di un rovescio della medaglia dagli effetti consolatori: un materiale evidentemente sfruttato dai media. Tornando al caso di Zurigo, lo zelo nazionalistico, che domina la vita politica del momento, ha finito per produrre una vicenda grottesca, su cui quotidiani e telegiornali insistono. Il «Tages Anzeiger» non ha mancato di precisare che, sulla piazza zurighese, il miglior «grigliatore di galletti» è pakistano. Insomma, mettiamo da parte le preoccupazioni per un possibile pericolo xenofobo, e concediamoci una risata. E si doveva, poi, ridere, questa volta sul piano mondiale, in occasione della visita ufficiale del premier iraniano Hassan Rouhani a Roma: non per i suoi contenuti politici ed economici, rimasti nebulosi. Piuttosto per i
risvolti di un incidente collaterale, che ha divertito per la sua assurdità. Ne abbiamo, tutti, l’immagine sotto gli occhi. Per non offendere il risaputo pudore dello statista e teocrate islamico, qualcuno (e non si sa chi) ha pensato di rinchiudere in scatoloni i nudi classici, fra cui la Venere Capitolina: marmi gelidi che, negli occidentali, non suscitano certo pulsioni sessuali. E così, un aspetto secondario, il ridicolo di un occultamento oltretutto goffo, ha avuto il sopravvento sui contenuti importanti dell’incontro con un personaggio che rimane ambiguo. Ci sarà davvero l’auspicato nuovo corso in Iran? Qui, del resto, ci s’inoltra sul terreno, minato da pregiudizi e approssimazioni, dei rapporti con il mondo musulmano. Dove, in mancanza di spiegazioni plausibili, ci si trova alle prese con esternazioni che hanno, per lo meno, il merito di farci sorridere. Com’è successo, dopo la sconcertante notte di Capodanno a Colonia. È risuonata alla stregua di una barzelletta
la spiegazione di quei fatti fornita da Sami Abu-Yusuf, imam nella città renana: «Gli eccessi sono stati provocati dalle donne: in abiti sexy e troppo profumate». Ancora di abiti succinti, anzi depravati, si è parlato, la settimana scorsa, in occasione del World Hijab Day, la giornata mondiale con cui le donne islamiche intendevano ribadire il diritto d’indossare il velo, quando vogliono. La manifestazione ha ottenuto uno scarso seguito. All’opinione pubblica è sfuggito il significato di una rivendicazione che sembra smentita da una realtà di segno opposto, da donne che il velo lo subiscono. Insomma, una sorta di scherzo. Concludendo, il lato ridicolo dell’attualità conforta, rassicura, aiuta. Se ne rendono conto soprattutto i politici per i quali la battuta a effetto, l’umorismo, la capacità d’intrattenere sono ormai strumenti professionali indispensabili. Con ciò rischiosi. Non facciamo nomi, per carità. Ma la barzelletta non sostituisce un’ideologia o un programma governativo.
all’amore universale, così oggi ci sono tabù che un politico e la gran parte dei media si guardano bene dal porre in discussione. Non si tratta di una censura imposta dall’alto ma di una sorta di buon costume come quello che, fino a poco tempo fa, vietava per comune consenso di usare espressione sboccate o volgari nelle pagine dei giornali, alla radio e alla televisione. Ebbene, le molestie e le violenze fatte alle donne a Colonia hanno messo a dura prova uno dei tabù contemporanei: i media hanno esitato e resistito due giorni, prima di comunicare che per la gran parte i molestatori erano rifugiati nordafricani. Poi, quando la notizia ha cominciato a trapelare, è stato come se si sfondasse una diga: l’informazione è rimbalzata in un crescendo rossiniano e le manifestazioni di indignazione hanno aperto le porte a iniziative e provvedimenti politici e legali in precedenza rifiutati come
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il soffitto della chiesa di Zillis Un po’ come Amsterdam è «la Venezia del nord» o il rumeno Hagi era ai tempi «il Maradona dei Carpazi», il soffitto della chiesa di Zillis è «la Sistina delle Alpi». Sta di fatto che è il più antico soffitto ligneo dipinto a motivi figurativi d’Europa: datato dendocronologicamente poco dopo il 1114. Alle 9.40 salgo a Bellinzona sulla posta per Coira e via, in viaggio verso questo paesino grigionese dal bellissimo nome che fa venire in mente un fiore immaginario a metà strada tra Zinnia e Amaryllis. Zillis si trova sulla sponda destra del Reno posteriore qualche chilometro prima che entri nelle straordinarie gole spaventose della Viamala. Adagiato sul fondovalle della Val Schons, appena dopo Andeer. Scendo alle 11.09: odore corroborante di letame. Svoltato l’angolo, costeggio uno steccato tra fattorie e orti con avanzi di neve ed ecco laggiù, la chiesa di San Martino. Il campanile come una matita ben appuntita e l’orologio a forma di sole. Accanto
al fianco ovest della chiesa il prato è disseminato di lapidi tutte uguali, quelle accarezzate dal sole rivelano quel verdino tipico del granito di Andeer. Sulla sinistra dell’entrata, sopravvissuto all’iconoclastia riformata, va citato un San Cristoforo gigante stile quelli dell’alto Ticino. Abbasso la maniglia in ferro battuto e spingo la porta di legno: subito il miracoloso soffitto della chiesa di Zillis (945 m) ti piove addosso. Centocinquantatré pannelli incastonati nelle travature lungo tutta la navata che Erwin Poeschel, lo storico dell’arte esperto dei Grigioni, nella sua monografia Die romanischen Deckengemälde von Zillis (1941) definisce «un tesoro misterioso spinto sulla riva dal corso dei secoli». La prima cosa che attrae è una sirena bicaudata, capovolta. Se si entra da qui bisogna infatti girarsi e camminare all’indietro, naso all’insù. Sennò ci sono due cassette piene di specchietti retrovisori, ma non mi sembra il caso. Già detesto audioguide
Mode e modi di Luciana Caglio Il lato ridicolo dell’attualità «Cercasi “grigliatore” di nazionalità svizzera»: con quest’annuncio la Güggeli Express, che gestisce a Zurigo e dintorni una rete di rosticcerie ambulanti, specializzate in galletti svizzeri, ha sollevato un polverone polemico. Tanto più che ai candidati si chiedeva, oltre al passaporto rossocrociato, la conoscenza della parlata locale, lo Züritüütsch. Ciò che, implicitamente, escludeva l’eventuale assunzione di ticinesi o romandi, che, spesso se la cavano in tedesco, e ovviamente non in dialetto. Ma, e l’hanno dichiarato espressamente, i proprietari dell’azienda intendono evitarsi la fatica di esprimersi in Hochdeutsch, con i loro impiegati: «Finora non era mai successo. E si vuol difendere questa tradizione». Scontate e giustificate le reazioni di condanna da parte sindacale, il cui portavoce ha definito l’annuncio «chiaramente discriminatorio», nei confronti degli stranieri con permesso C. La questione ha scomodato persino uno specialista universitario in diritto
del lavoro, Thomas Geiger, docente a San Gallo: «L’episodio appare problematico; ci si deve chiedere se un’inserzione di giornale rappresenti una vera e propria discriminazione». Ora, al di là di queste seriose disquisizioni, la ricerca del «grigliatore», sviz-
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Ambiente e Benessere Osservatori di gente Per distinguersi dai turisti È scoppiata una nuova moda: il people watching
«Vegetale a chi?» Le piante comunicano? E se sì che cosa direbbero se potessero parlare?
Coppie sottacqua Per San Valentino, una carrellata di innamorati speciali e colorati
Tra sorrisi e promesse Zdenek Zeman fa l’ospite in Tv divertendo tutti, ma punta a mantenere i suoi impegni
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Molte persone affette da disturbi psichici sono comunque quotidianamente sul posto di lavoro. (Phil and Pam Gradwell)
Stress professionale Salute L’ambiente lavorativo esercita un impatto decisivo sui collaboratori sia da un punto di vista psichico sia fisico Maria Grazia Buletti «Serenità è quando ciò che dici, ciò che pensi, ciò che fai, sono in perfetta armonia»: questo pensiero del Mahatma Gandhi vale per la vita e per tutti i suoi poliedrici aspetti che toccano la sfera personale tanto quanto quella professionale. Ma sul posto di lavoro non è sempre così. Dati alla mano, lo dimostra la Fondazione Promozione Salute Svizzera (sostenuta da Cantoni e Assicuratori) che, su incarico della Confederazione, coordina e valuta le misure volte a promuovere la salute. «La salute psichica sul posto di lavoro necessita di maggiore attenzione». Questa la conclusione cui si è giunti il 26 agosto dello scorso anno a Berna, durante il Congresso nazionale per la gestione della salute in azienda. Qui vari esperti in materia hanno dimostrato che i cambiamenti nel mondo lavorativo possono causare non solo disturbi fisici, ma anche disagi mentali, senza poi tralasciare le discussioni concernenti le sfide e le possibili soluzioni per migliorare la situazione. Abbiamo seguito, ad esempio, la relazione del responsabile dell’Ufficio per la riabilitazione psichiatrica Psychiatrie Baselland dottor Niklas Baer
che ha permesso ai problemi più comuni riscontrabili sul posto di lavoro di emergere, fornendo di conseguenza alcune riflessioni e spunti su come intervenire perché i collaboratori in difficoltà possano essere integrati e impiegati comunque. «Molte persone affette da disturbi psichici sono quotidianamente sul posto di lavoro; le imprese non devono solo focalizzarsi sui giorni d’assenza e di presenza, ma anche far sì che la presenza al lavoro sia assicurata in condizioni di buona salute», ha spiegato dal canto suo il medico della società e membro della direzione di Swiss Life SA dottor Philip Strasser. La giornata ha avuto convergenza in una logica conclusione che ritiene elemento insindacabile l’importanza dell’ambiente lavorativo nell’impatto sulla salute dei collaboratori. A suffragio di queste considerazioni stanno i risultati pubblicati a dicembre da Promozione Salute Svizzera, la quale dal 2014 rileva annualmente tre indicatori riguardanti gli effetti dello stress lavorativo su salute e produttività degli impiegati: il Job Stress Index, la percentuale di spossatezza e il potenziale economico. (Ndr: in questo contesto facciamo notare che Migros Ticino lo scorso anno ha ottenuto, prima azien-
da della Svizzera italiana, il marchio di qualità Friendly Workspace, il quale attesta l’attenzione prestata alla salute e al benessere fisico e psichico dei suoi collaboratori). Per intenderci, la parola stress è una delle più utilizzate nel vocabolario moderno e deriva dal latino stringere, in particolare dal participio passato strictus che significa: «stretto, angusto, serrato». Gli studi inerenti il 2015 pubblicati da Promozione Salute Svizzera a fine anno attestano dunque che un lavoratore su cinque «soffre di stress sul posto di lavoro». Come dire che per il 22,6 percento dei lavoratori, i fattori di carico superano le risorse. Un lavoratore su cinque prova inoltre un senso di spossatezza, dove la percentuale di spossatezza è determinata in larga misura dalle condizioni di lavoro. «Lo stress e i fattori di carico persistenti incidono negativamente su salute e soddisfazione sul lavoro, incrementando la probabilità di dimissioni». Infine: «L’obbligo percepito di essere reperibili durante il tempo libero ha ripercussioni negative sulla salute dei lavoratori». I risultati nazionali di Promozione Salute Svizzera non sorprendono, poiché anche l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro EU
– OSHA, sempre nel 2015, è giunta ad analoghe considerazioni: «L’evoluzione delle condizioni economiche e sociali fa cambiare con estrema rapidità i requisiti posti ai lavoratori. Lo stress sul posto di lavoro è diventato ormai una delle sfide principali dell’odierno mondo occupazionale». Questo è facilmente comprensibile perché, come si è dimostrato al già citato Congresso, le esigenze costantemente elevate a cui si è sottoposti nella vita professionale possono causare disagi psicologici e disturbi alla salute, le cui conseguenze negative sono facilmente immaginabili: «Sovraccarico, burn-out o depressioni generano a loro volta assenze dal lavoro con conseguenti costi per l’azienda». La ricerca di possibili soluzioni si avvale dunque anche delle rivelazioni annuali del Job Stress Index che fornisce dati precisi in materia di stress sul posto di lavoro e della sua responsabilità nello stato di salute e dei conseguenti costi che ciò comporta. Per questo è importante riconoscere questi fatti avallati dalla percezione individuale dei lavoratori: «All’incirca un quarto di tutti i lavoratori afferma di esser sottoposto a carichi decisamente superiori alle proprie risorse». Dunque, in Svizzera 1,1
milioni di lavoratori si collocano in una zona cosiddetta critica: «Queste persone dispongono di troppo poche risorse per affrontare fattori di carico cui sono esposte». Ed emerge un dato rilevante: «Lo stress costa ai datori di lavoro cinque miliardi di franchi ogni anno, perché le persone con fattori di carico superiori alle risorse si assentano dal lavoro in media il doppio rispetto a chi ottiene un Job Stress Index equilibrato». Salute e benessere dei collaboratori sono perciò presupposti importanti per garantire a un’azienda la capacità di performance a lungo termine: «Le imprese dovrebbero avere ogni interesse a investire in modo duraturo nello stato di salute dei propri dipendenti». Le aziende devono dunque puntare sulla prevenzione dello stress attraverso il potenziamento delle risorse sul posto di lavoro: «Ad esempio, concedendo maggiore autonomia decisionale e rafforzando la coesione sociale». A questo punto, ci pare pertinente citare una riflessione dello scrittore e giornalista italiano Stefano Bartezzaghi: «Un tempo gli orologi facevano tic e tac; quelli di oggi fanno stress e relax, stress e relax». Si tratterebbe di trovare un giusto equilibrio, o almeno di provarci, a beneficio di tutti.
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Ambiente e Benessere
People watching Viaggiatori d’Occidente La nuova moda? Osservare altre persone Claudio Visentin Un uomo attende qualcuno (una donna?) che non arriva e telefona nervosamente. Alcuni teenager parlano dei loro guai a scuola in spanglish. Davanti alla Borsa di Wall Street uomini d’affari portano stampato nell’espressione del viso l’andamento dei listini… Siete naturalmente a New York, ma soprattutto state praticando, forse senza saperlo, il people watching. Secondo l’Urban Dictionary è «l’hobby di uscire e guardare le persone: il modo in cui si comportano, si muovono, parlano». Insomma è come il bird watching, ma applicato agli umani anziché agli uccelli. Il people watching è la nuova moda dei viaggiatori, anche per distinguersi dai turisti. Come ha scritto il filosofo bulgaro Tzvetan Todorov, «il turista è un visitatore frettoloso, che preferisce i monumenti agli esseri umani». Il turista, continua Todorov, si comporta così perché conoscere da vicino le persone, la loro cultura e le loro tradizioni, richiede molto tempo che il turista di norma non ha; senza contare che l’incontro con gli altri può mettere in discussione alcune delle nostre convinzioni più radicate. Ma proprio questa è la sfida che appassiona i viaggiatori. L’arena perfetta per praticare il people watching sono naturalmente le grandi città internazionali. Di New York abbiamo detto, ed è quasi inutile citare Londra, Berlino, Roma o Venezia. Ma molti pensano che Parigi sia ancora più interessante: le chiacchiere
nei caffè volutamente ad alta voce, sapendo di essere ascoltati; le fanciulle in fiore che passeggiano per la strada; i musicisti agli angoli della via… Del resto Parigi è la ville spectacle, la città che con Baudelaire ha inventato la figura del flâneur, l’ozioso passeggiatore senza meta con gli occhi ben aperti sulla scena che lo circonda. I territori di caccia prediletti del flâneur sono i boulevard, i caffè, i grandi magazzini e soprattutto i passages, le ottocentesche gallerie commerciali dal tetto di vetro celebrate dal grande critico tedesco Walter Benjamin come uno dei luoghi simbolo della modernità. Forse solo a Parigi un poeta come Baudelaire poteva innamorarsi di una passante intravista per un attimo tra la folla: «La via assordante strepitava intorno a me. / Una donna alta, sottile, in lutto, in un dolore / immenso, passò sollevando e agitando / con mano fastosa il pizzo e l’orlo della gonna / agile e nobile con la sua gamba di statua». Il people watching ha le sue tecniche. Col tempo imparerete i luoghi e gli orari migliori, anche a seconda delle differenti «specie» da osservare: sotto a un albero nel parco, mescolati tra i partecipanti a una festa, nella sala d’attesa di uno studio medico, portando il cane a passeggio, in una galleria d’arte, su un autobus di linea o su un vagone della metropolitana (alcune linee, che attraversano tutta la città collegando quartieri diversi per origine o condizioni economiche degli abitanti, sono particolarmente adatte allo scopo). Dopo aver individuato le vostre
prede, potreste guardarle da lontano con un cannocchiale, proprio come nel bird watching, o da vicino dietro a un paio di occhiali da sole; oppure potreste seguirle (brevemente), magari anche ascoltare le loro conversazioni (con discrezione). Potreste naturalmente fotografarle: si è da poco conclusa a Milano un’affascinante mostra dedicata a Vivian Maier, una bambinaia di New York che nelle ore libere ha scattato migliaia di fotografie a persone incontrate per la strada, gironzolando nei quartieri popolari armata di passeggino e macchina fotografica. E da quando fotografiamo con lo smartphone è ancora più facile non farsi notare, prima regola di un buon people watcher. Provate a indovinare l’occupazione dei vostri soggetti. Nel racconto di Edgar Allan Poe L’uomo della folla il protagonista, seduto in un caffè in una delle vie più trafficate di Londra, osserva i passanti e da dettagli appena percettibili riesce a capire qual è la loro professione: uomini d’affari, truffatori, borsaioli, giocatori di professione, prostitute e così via, fino a quando non scorge un uomo che gli risulta impenetrabile. Decide allora di seguirlo e, dopo aver vagato incessantemente per quasi due giorni senza risultati, capisce di avere davanti a sé «L’uomo della folla, che non vuole ne può star solo», l’uomo la cui esistenza si è fusa a quella della città. Contemplate senza giudicare e non sentitevi in colpa. Altrove potreste avere qualche fondato scrupolo etico nel
Uno scatto rubato alla Galleria di Milano. (Vincenzo Cammarata)
praticare il people watching, ma non in una grande città. Chi ci vive sa di essere permanentemente in scena: vedere ed essere visti, ascoltare ed essere ascoltati, scambiarsi i ruoli di attori e pubblico è il gran gioco di questa permanente rappresentazione teatrale. L’interesse del people watching consiste nel contemplare lo spettacolo di altre vite, immaginare le ragioni, le emozioni, chiederci cosa faremmo al loro posto. Una coppia si scambia frasi
animose ormai sull’orlo di un litigio; qualcuno che si è perso gira in cerchio; una mamma rassicura un bambino che piange; un adolescente si scatta un selfie… Sono tutte storie colte nel loro fluire, delle quali ignorate l’inizio e naturalmente la fine: ma potreste accompagnarle per un tratto, provare a immaginare le parti mancanti e magari metterle per iscritto. E poi forse qualcuno in questo momento sta osservando voi… Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Le piante sono esseri intelligenti? Il seme nel cassetto Stefano Mancuso e Alessandra Viola nel loro Verde brillante prendono per mano il lettore
e lo portano a scoprire i segreti della neurobiologia vegetale Laura Di Corcia Qualcuno ricorderà la descrizione della vigna di Renzo, nei Promessi Sposi di Manzoni. Renzo, tornando al paesello natale dopo le varie peregrinazioni lombarde, vi trovò uno spettacolo a ben vedere inquietante: piante che schiacciavano altre piante, rovi che si arrampicavano dappertutto e che, marcando il territorio, sembravano voler scacciare dallo stesso persino l’uomo. Da
Un saggio scientifico sull’egocentrismo dell’uomo, una riflessione culturale sulla nostra incapacità di pensarci decentrati rispetto allo spazio-universo queste considerazioni partiamo per accostarci all’intrigante saggio scritto da Stefano Mancuso (una tra le massime autorità mondiali nel campo della neurobiologia vegetale) e dalla divulgatrice scientifica Alessandra Viola. Verde brillante. Sensibilità e intelligenza nel mondo vegetale è prima di tutto un libro sull’egocentrismo dell’uomo, una riflessione culturale sulla nostra incapacità di immaginarci decentrati rispetto allo spazio-universo. Un errore di percezione che per molti secoli ci portò a credere che fosse il Sole a gi-
rare attorno alla Terra e che fra l’uomo e gli animali vi fosse una separazione netta. Non è un caso che abbia citato Manzoni: sempre nel 1800 Darwin, oltre a imbastire un saggio fondamentale come L’origine della specie, scrisse anche un importante e dimenticato volume sulle piante in cui sottolineò l’intelligenza delle stesse. Ma la comunità scientifica non era ancora pronta ad ammettere che il verde fosse dotato di caratteristiche affini agli animali e (non sia mai) agli uomini. Ora, non vogliamo dire che fra i due mondi non vi sia differenza: la prima, la più macroscopica, è che gli animali e gli uomini si muovono, le piante no. Ma proprio questo rimanere ferme, abbarbicate al terreno, le porta a sviluppare strategie sofisticatissime per difendere il loro territorio e rimanere in vita. Non solo fra gli alberi e gli arbusti c’è una smaccata competizione (come mostrava la vigna di Renzo), ma essi mettono in atto tutta una serie di astuzie per accaparrarsi le risorse e promuovere la propria specie. Avreste mai detto, per esempio, che le radici delle piante appartenenti alla stessa famiglia non si fanno la guerra? Che alcuni esemplari del mondo vegetale arrivino a camuffarsi, a truffare, addirittura a imprigionare gli insetti che li aiutano? Prendiamo l’orchidea, ad esempio: i suoi fiori sono in grado di imitare perfettamente la forma della femmina di alcuni insetti, riproducendone non solo l’aspetto
Questa la simbolica immagine che sta al centro della copertina del libro Verde brillante.
esteriore, ma anche l’odore, a tal punto che i destinatari della trappola ne rimangono affascinati e iniziano a copulare con l’imitazione, qualche volta (incredibile) anche quando il gentil sesso sarebbe a disposizione pochi metri più in là. Le piante, al pari degli uomini, stringono patti, si alleano: alcuni alberi danno ospitalità a formiche le quali, al momento opportuno, si trasformano in un esercito di mercenari pronti a difendere con tanto di armi chi osi mettere in pericolo la sopravvivenza
del loro mecenate. Insomma, pur non avendo un cervello a disposizione, le piante sono sì intelligenti, se per intelligenza intendiamo la capacità di risolvere i problemi, di garantire la propria sopravvivenza e quella della propria specie. Questo libro, una full immersion nel mondo vegetale che mostra come siano loro, le piante, a dominare la Terra (altro che l’uomo!), vuole scuoterci, mostrarci un punto di vista diverso. Un ultimo quesito: le piante dormono? Fu Linneo nel 1755 a porsi per
primo la domanda, accolta con imbarazzo e snobismo dalla comunità scientifica dell’epoca. Ebbene, pare che di notte le foglie manifestino una comune tendenza ad assumere la posizione che avevano nel germoglio. Dopo tutte quelle fatiche… Bibliografia
Stefano Mancuso, Alessandra Viola, Verde brillante. Sensibilità e intelligenza nel mondo vegetale, Giunti editore, 14 euro. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Innamorati anche negli oceani Mondosommerso Un reportage fotografico
che valorizza l’unione immortalando coppie variopinte per festeggiare in modo diverso il 14 febbraio
Sabrina Belloni; foto, Franco Banfi Oggi la festa di San Valentino è celebrata ovunque come l’icona dell’amore individuale, ma l’invito e la forza dell’amore che sono racchiusi in questa ricorrenza devono essere considerati anche da altre prospettive, oltre che dall’ormai esclusivo significato del rapporto di coppia. Nell’amore risiede la solidarietà e la pace, l’unità ed il benessere dell’intera umanità. Ed è seguendo questo filo logico che umanamente interpretiamo le coppie – spesso temporanee – che vivono nel mondo animale, anche in quello subacqueo a noi poco noto. Là dove, spesso, l’interazione fra due soggetti è molto più determinante di quella in terraferma, e talvolta non è un simbolo dell’amore eterno. Fra gli animali acquatici, il mutualismo è spesso questione di vita e di morte, l’unione fa la forza (e non è una frase fatta) e fa altresì la differenza per rimanere in vita. È errato interpretare il comportamento degli animali sulla base dell’esperienza e della cultura umane. Gli animali marini sicuramente non sono condizionati dalle nostre convenzioni e le coppie che formano sono molto spesso solamente temporanee e saltuarie. Terminato il fine riproduttivo, oppure legato alla nutrizione e/o alla difesa del proprio territorio, le coppie tornano ad essere individui singoli, talvolta proseguono la loro esistenza in modo solitario e talvolta ritornano nel gruppo, dove trovano protezione e cooperazione. Un modo di agire che non può che
riportarci alle origini proprio della festa di San Valentino, che prende spunto da un rito pagano, diffuso fin dal quarto secolo a.C. Per gli antichi romani, febbraio era il periodo in cui ci si preparava alla stagione della rinascita. A metà mese, fin dal quarto secolo a.C., iniziavano le celebrazioni dei Lupercali, per tenere i lupi lontano dai campi coltivati. I sacerdoti pagani entravano nella grotta in cui, secondo la leggenda, la lupa aveva allattato Romolo e Remo, e qui compivano sacrifici propiziatori. Il 15 febbraio, i romani pagani rendevano omaggio al dio Pane, Fauno e Lupercus, con un singolare rito annuale. I nomi delle donne e degli uomini che adoravano questo Dio venivano messi in un’urna e opportunamente mescolati. Un bambino estraeva a caso i nomi e venivano formate alcune coppie che, per un intero anno, vivevano in intimità, affinché il rito della fertilità si compisse. Determinati a metter fine a questa primordiale pratica, i padri precursori della Chiesa cattolica cercarono un santo «degli innamorati» per sostituire il deleterio Lupercus. E trovarono un candidato probabile in Valentino, un vescovo che era stato martirizzato circa duecento anni prima. Nel 496 d.C. Papa Gelasio annullò la festa pagana decretando che venisse seguito il culto di San Valentino. Tornando al mondo sommerso e più in generale al mondo animale, l’uomo fa costantemente uso di simboli (ad esempio il linguaggio, che stigmatizza la nostra comunicazione),
di paragoni con la propria vita e di confronti. Ma è sbagliato interpretare la vita animale – e pertanto anche le coppie di animali – sulla base dell’assunto logico dato dall’uomo di oggi al concetto di coppia. Gli animali hanno necessità e comportamenti talmente diversi dai nostri che probabilmente non siamo in grado di supporre quali siano le motivazioni al loro essere temporaneamente accoppiati; possiamo solamente immaginarlo sulla base delle nostre convenzioni. E sicuramente ci piace immaginare che nel mondo animale regni l’amore. Magari quello così intenso e totalizzante da oltrepassare l’aspetto meramente commerciale e consumistico del 14 febbraio, tanto da riportarci all’origine della vera festa di San Valentino.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Insalata di barbabietole al wasabi Antipasto Ingredienti per 4 persone: 250 g di barbabietole crude · 50 g d’ arachidi al wasabi · 200 g d’insalata a foglia · 10 g di germogli. Condimento al wasabi: ½ cucchiaino di wasabi in pasta · 5 cucchiai d’aceto, ad es. di riso · 1 cucchiaio di salsa di soia · pepe · ½ cucchiaino di zucchero greggio · 6 cucchiai d’olio di girasole.
Per il condimento, mescolate il wasabi con l’aceto, la salsa di soia, il pepe, lo zucchero e l’olio. Tagliate le barbabietole a fettine sottili. Tritate grossolanamente le arachidi. Distribuite l’insalata e le barbabietole nei piatti e cospargete con i germogli e le arachidi. Condite e servite subito.
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Ambiente e Benessere
Gli affari sono affari Sportivamente Zeman fa sorridere via tv i critici italiani del mondo del pallone, ma sa che a Lugano
deve comunque portare a termine una missione Alcide Bernasconi La scorsa settimana il coach bianconero del pallone, Zdenek Zeman, è riuscito a suscitare un po’ di buonumore durante un appuntamento dedicato al campionato italiano. Ospite di una nota trasmissione televisiva ha fatto sorridere alcune signore – ex «veline» e pure amiche di qualche calciatore di un certo valore – che lasciano intendere di dare pure loro del tu al pallone. Con loro, presenti anche esperti
A Lugano intanto si punta alla salvezza anche con un certo ottimismo, poi si affronterà il tema di un nuovo stadio a Cornaredo e critici della tv e della carta stampata sportiva. A far divertire sono state le battute di Zeman, che ha detto la sua con garbo ma anche con pause che duravano a lungo tra un pensiero e l’altro. Per una volta il conduttore ha concesso all’intervistato tutto il tempo che non viene invece dato a un personaggio fra i tanti chiamati a dire la loro, specie sulle squadre di testa, dal Napoli e dalla Juventus, fin’anche all’Inter, il cui allenatore Mancini – espulso dal campo per una serie di rimbrotti verso l’arbitro – ha lasciato il terreno da gioco andandosene verso l’uscita e facendo al pubblico degli avversari (che lo stava insultando senza ritegno) il famoso gestaccio concesso – per così dire – ai tifosi maleducati. Di solito gli ospiti alla tv sono invitati a… stringere e non c’è quasi una trasmissione, da quelle politiche e di cronache tragiche e non, fino agli argomenti di varietà del tipo «questo s’è messo con quella» eccetera, che riesca a
Zdenek Zeman, allenatore dell’FC Lugano. (CdT Crinari)
esprimere fino in fondo il suo pensiero su un dato argomento. No, a Zeman è stato dato tutto il tempo che voleva per tradurre mentalmente dallo slovacco in italiano le sue osservazioni sul calcio che lo aveva reso famoso a Roma e dintorni, assicurandogli una certa fama nonostante la mancanza di risultati ai quali doveva puntare, come incaricato alla guida di squadre dai mezzi tecnici non eccelsi. Così il tecnico si è giustamente fatto un
nome lanciando i giocatori più giovani e quasi sempre meno cari. Ora che allena una squadra in Svizzera, nei suoi confronti – forse – il mediatore tv e il suo pubblico hanno ascoltato con ancor più curiosità le parole di Zeman. «Quali squadre emergono, oltre al Basilea, nel suo “nuovo” campionato»? Gli è stato chiesto (o qualcosa del genere) e pure in questo caso lo slovacco si è preso tutto il tempo per rispondere
aumentando il clima allegro della trasmissione. «In Svizzera il gioco del calcio è superato, per importanza e passione dai tifosi dell’hockey, sport più popolare» ha affermato Zeman che di hockey, data la sua provenienza, certo se ne intende. «Fino a una ventina d’anni fa – forse anche meno – il calcio era invece, da sempre, il numero uno in tutta la nazione, Davos e… Arosa esclusi». Così, nel siparietto concesso a Zeman il discorso
è immediatamente caduto. Il calcio in Italia è tutto. Anzi, si spera che una o due squadre possano farsi avanti anche in Europa dopo una lunga assenza. Anche sul Lugano, che il tecnico deve guidare verso la salvezza, e sui suoi risultati assai promettenti, il discorso è scivolato via nell’anonimato. Zeman non se n’è avuto male, perché ormai, pur con le sue risposte strascicate, del calcio italiano e dell’opinione dei suoi «cantori» sapeva già tutto. Alla fine s’è divertito pure lui nell’ascoltare le solite storie attorno alla Juve e al Napoli, all’Inter e al Milan e a qualche sua vecchia squadra dove si fece comunque un nome. I bianconeri luganesi, dopo un’escursione dalle parti di Roma per rifinire la preparazione in vista della ripresa del campionato e alcuni ritocchi alla squadra, mirano ora a rinforzare le speranze di salvezza. Il suo allenatore ha sorpreso già più d’una volta i suoi colleghi della Super League, ultimo dei quali il nostro Pierluigi Tami e il suo Grasshopper. Incidenti che accadono anche alle formazioni più quotate, come quella zurighese. A Tami, durante la pausa, è stato anzi conferito il premio di miglior tecnico del campionato. Un fatto che, per certi versi, compensa la nostra assenza dal Consiglio Federale poiché, pur se meno prestigioso, il compito di Tami, che insegue con i suoi biancocelesti zurighesi i leader indiscussi del campionato, ossia i rossoblù del Basilea, è certamente pesante e per certi versi più rischioso. In attesa del grande pubblico, il Lugano vuole centrare l’obiettivo «salvezza», anche con un occhio ai progetti per un nuovo stadio, compito che spetta alla Città, ma con l’indispensabile aiuto di privati. C’è la possibilità di far soldi? Sì? E allora bene, perché gli affari sono affari, possibilmente con il contributo del FC Lugano, come si augura il presidente Renzetti. E non solo lui.
Giochi Cruciverba Scopri il proverbio nascosto nello schema, risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate (Frase: 3, 5, 3, 5, 3, 6, 3, 5)
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32. Sfornito, sprovvisto 33. Grande a Londra 34. Celebre moschea di Gerusalemme 35. Lo pratica Federica Pellegrini VERTICALI 1. Sinistre sentinelle 2. Quello nero è liquido 3. Le iniziali dell’attore Eastwood 4. Il Paese con la valle dei Re 5. Elenchi di nomi 6. Giorni sacri a Giove 7. Introduce un’ipotesi 8. Isole del Tirreno 11. Avvezzi
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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ORIZZONTALI 1. Scarse 5. Consumato, logoro 9. Altari pagani 10. Punti di riferimento 12. Rendono gelosa Elsa 13. Un articolo 14. Irremovibili 15. Preposizione articolata 16. Piccolo a Parigi 17. Ripartizioni di una scienza 18. Esame di laboratorio 19. Eccezionalmente grande 21. Capitale del Massachusetts 23. La Minore è in Turchia 24. Ripida, scoscesa 25. Ha vinto Sanremo con... Sincerità 28. Prefisso che vuol dire orecchio 29. Nome femminile 30. Precede il se 31. Tredicesima lettera dell’alfabeto greco
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12. Lettera greca 14. Gioiosa ricorrenza 15. La conduttrice Bignardi 16. Un condimento genovese 17. Giubbe storiche 18. Vengono subiti 20. Fibra tessile sintetica 21. Eccede nel bere 22. Opposto allo Zenit 26. Abbreviazione ecclesiastica 27. Non definito 29. Pappagallo americano 30. Con, per i tedeschi 32. Le iniziali del musicista Mascagni 33. Un Carlo scrittore
Soluzione della settimana precedente
TRA AMICI – «Giulio anche tu preghi prima di mangiare?»: «NO, MIA MOGLIE SA CUCINARE».
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Politica e Economia La volta del New Hampshire Si aspetta il nuovo test dopo il verdetto dell’Iowa che ha visto la sconfitta di Trump e le difficoltà di Hillary pagina 27
Bergoglio in Messico Si sta avvicinando senza grande clamore il viaggio del Papa in America Latina, mentre in realtà è l’appuntamento internazionale più significativo sull’agenda vaticana in questo 2016
La Cuba dei poveri: 2. parte Viaggio nella Corea, baraccopoli dell’Avana che la propaganda di Castro non mostra
Il raddoppio divide Il 28 febbraio si vota se costruire o meno una seconda galleria autostrafale sotto il Gottardo
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Deposito petrolifero libico in fiamme dopo un attacco dell’Isis. (AFP)
Un’altra guerra in Libia? Scenari Un nuovo intervento internazionale considerato imminente avrebbe come obiettivo
la eradicazione dello Stato Islamico presso Sirte prima che vada ad espandersi su un territorio infragilito dall’assenza di autorità statuale Lucio Caracciolo A leggere i messaggi in codice delle varie cancellerie occidentali, sembrerebbe proprio di trovarsi sull’orlo di una nuova guerra. La legittimazione del nuovo intervento, che molti considerano imminente, consisterebbe nella necessità di eradicare lo Stato Islamico dai suoi modesti insediamenti libici, presso Sirte, prima che questo si espanda in un territorio infragilito dall’assenza di qualsiasi autorità statuale. Ma qual è la situazione della Libia oggi, e quale sarebbe l’impatto di un nuovo intervento armato internazionale su quelle terre devastate? Vediamo, per punti. Primo. La Libia non esiste più, ammesso sia mai esistita. Non vi sono autorità strutturate e credibili. Sulla carta abbiamo certo tre governi, nessuno dei quali però ha i mezzi per essere all’altezza del nome che porta. In particolare, il governo di Tobruk, che si intitola l’Operazione Dignità in funzione anti-
terrorismo, controlla sì e no il palazzo nel quale si riunisce ed è ostaggio delle milizie del generale Haftar. Appoggiato nemmeno troppo sottobanco dagli Emirati Arabi Uniti e dall’Egitto (Il Cairo non ha abbandonato il sogno di mettere mano sulla Cirenaica ricca di tesori energetici), non pare in grado di estendere in futuro la sua sfera d’influenza molto oltre la Cirenaica orientale. Vi è poi il parallelo governo di Tripoli, sostenuto da Qatar e Turchia, che ha una sua componente islamista ma al quale afferiscono diverse milizie, con quelle di Misurata una spanna sopra le altre. Infine, il cosiddetto governo di unità nazionale, voluto dalla diplomazia internazionale e in particolare dall’inviato dell’Onu, il tedesco Kobler, che risiede in alcune stanze di albergo a Tunisi, in attesa che Tobruk e Tripoli si decidano a legittimarlo. Secondo. Il vuoto istituzionale è riempito da migliaia di milizie. Originariamente – prima della guerra del 2011
– in Libia, un territorio grande sei volte l’Italia, risiedevano circa sei milioni di persone. Oggi probabilmente molte meno. Le ricchezze del Paese sono contese da gruppi armati radicati nelle città o nei villaggi locali. La sola città di Misurata, già fiorente centro commerciale affacciato sul Mediterraneo, che conta circa 400 mila abitanti, ne ospita circa duecento. Il che significa una brigata armata ogni duemila anime… Terzo. Lo Stato Islamico (Is) ha profittato del vuoto per incistarsi nella Libia centro-orientale. Dapprima facendo perno su Derna, in Cirenaica, da dove è stato cacciato dalla rivolta della popolazione, che ha appoggiato alcune milizie locali in competizione con gli inviati del califfo. Di recente, lo Stato Islamico si è arroccato a Sirte, lì dove Tripolitania e Cirenaica marcano il loro precario confine, già punto di forza del regime di Gheddafi. Infatti troviamo fra i sostenitori libici del califfo al-Baghdadi una notevole quantità
di ex gheddafiani, emarginati e senza prospettive, che vedono nella bandiera nera dell’Is un riferimento utile, una prospettiva di riscatto. Con loro, gruppi jihadisti locali e alcuni dirigenti e addestratori provenienti dalla terra madre del «califfato», tra Siria e Iraq. Quali risultati potrebbe produrre un intervento armato in questo scenario non è molto chiaro. A condurlo dovrebbero essere l’aviazione americana, d’intesa con quella francese, britannica e italiana, e con l’appoggio a terra di forze speciali. Idealmente, questa operazione dovrebbe essere legittimata dal governo di unità nazionale oggi a Tunisi, ma questa prospettiva appare quantomeno precaria. Il rischio, molto concreto, è che un nuovo sbarco occidentale in Libia ecciti la reazione delle milizie locali, che potrebbero trovare nella comune lotta «anticoloniale» un notevole vettore di propaganda e di influenza. Lo stesso Stato Islamico, che attualmente conta
meno di cinquemila combattenti tra Sirte e dintorni, troverebbe in questa guerra un formidabile elemento di visibilità, presentandosi ai libici come protettore dei loro interessi e della loro indipendenza contro l’ennesima «crociata degli infedeli». La posta in gioco finale, evidentemente, è il controllo dei pozzi e dei terminali petroliferi del Paese. Oggi la produzione è quasi azzerata, e senza i proventi degli idrocarburi fra poco mancheranno i soldi per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici dei vari pseudogoverni. Il Paese un tempo più ricco dell’Africa è sull’orlo della fame. Una nuova guerra, sia pure animata dalle migliori intenzioni e con l’obiettivo commendevole di liquidarvi lo Stato Islamico, non sembra la migliore soluzione ai problemi della Libia. I quali dovranno essere risolti, prima o poi, dagli stessi libici. Se mai ritroveranno le ragioni per stare insieme e ricostruire un futuro decente per l’ex colonia italiana.
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Politica e Economia
Flop di Trump, Hillary in affanno Primarie Usa Dopo il verdetto dell’Iowa si attende ora il test del New Hampshire per capire
se il voto anti-establishment sia a destra che a sinistra verrà consolidato
Federico Rampini Perdono o deludono i favoriti, si consolida il voto anti-establishment sia a destra che a sinistra. È il verdetto dell’Iowa, aspettando quello ravvicinato del New Hampshire. Con la sensazione che la stagione delle primarie Usa stavolta sarà lunga, e la corsa verso la nomination dei due candidati presidenziali riserverà ancora delle sorprese. Donald Trump è il grande sconfitto, superato da Ted Cruz. Hillary Clinton è già in difficoltà, di fronte al «socialista» Bernie Sanders strappa poco più che un pareggio. La primaria dell’Iowa che si volgeva nel formato assembleare del «caucus» ha già offerto le prime sorprese nella corsa per la nomination all’elezione presidenziale. Il magnate immobiliare newyorchese aveva dominato la scena mediatica per molti mesi, ma al primo test con elettori veri è stato sorpassato dal senatore del Texas Cruz: 28% contro 24%. Al terzo posto col 23% li incalza il meno estremista, destinato a diventare il candidato dei moderati e dell’establishment repubblicano: il senatore della Florida Marco Rubio. Di origini cubane come Cruz, ma con posizioni meno fanatiche su immigrazione e sanità. Tra i democratici Hillary era partita all’inizio della campagna con un vantaggio che sembrava incolmabile, soffre un’umiliazione in Iowa e potrebbe essere battuta nel New Hampshire. Trump la sera dell’Iowa, lunedì primo febbraio, aveva incassato la sconfitta con un fair-play sorprendente. Ero lì allo Sheraton di Des Moines, ad ascoltarlo nel suo quartier generale, e sono rimasto favorevolmente colpito. Un discorso breve, cinque minuti e poi via di corsa verso il suo Boeing privato, a fare campagna nel New Hampshire. In quei cinque minuti aveva adottato l’abituale galateo americano: congratulazioni al vincitore Cruz, ringraziamento ai cittadini dell’Iowa, ecc. Poi ci ha ripensato. 24 ore dopo è tornato il «solito» Trump, aggressivo e insolente. Ha accusato di brogli l’avversario, sostenendo che alcuni alleati di Cruz a
peggio che ritrovarsi nel ruolo del cattivo perdente, quando uno ha coltivato attorno a sé il mito dell’invincibilità. E tuttavia... per chi ha visto da vicino il funzionamento di un caucus americano (io sono alla mia seconda volta nell’Iowa, dopo il 2012) parlare di brogli è quasi un eufemismo. Caucus, parola che viene dal linguaggio della tribù indiana degli Algonquin, all’origine significa il consiglio degli anziani, l’assemblea dei capi. È diventato sinonimo
Donald Trump ha accusato di brogli l’avversario con il suo solito stile. (AFP)
Ted Cruz, integralista cristiano che ostenta Dio all’occhiello. (AFP)
caucus ancora aperto avrebbero messo in giro la voce che si era ritirato un altro candidato, Ben Carson. Il chirurgo afroamericano ha un suo seguito, sia pur declinante, tra gli evangelici che in Iowa sono numerosi. La voce del suo ritiro (falsa) potrebbe aver dirottato alcuni voti in più verso Cruz, altro integralista cristiano che ostenta Dio all’occhiello. Vero? Essendo un alieno rispetto all’organizzazione del partito repubblicano, Trump ha qualche motivo di essere sospettoso. Che abbia ragione o torto, il suo voltafaccia è stato accolto piuttosto male. Molti ricordano l’arroganza con cui Trump presenta se stesso come un vincitore seriale, il disprezzo che ha sempre esibito verso i «perdenti», a cominciare dai concorrenti espulsi malamente dal suo reality-show The Apprentice. Non c’è di
di un modo «assembleare», di condurre una primaria, come se fosse un consiglio di quartiere. Nel partito democratico ci si conta addirittura per alzata di mano o separandosi fisicamente per gruppi (pro-Hillary da una parte, proBernie dall’altra) ai due estremi di una sala. I repubblicani votano su scheda ma il conteggio avviene in modo davvero rudimentale. Dire che caucus fa rima con caos, è un’ovvietà. Tra i molti osservatori che ho incontrato a Des Moines, un diplomatico mi ha detto: se votassero così in un paese del Terzo mondo, noi bocceremmo l’elezione come irregolare. Tant’è, Trump deve rassegnarsi: il ruolo di outsider ha dei vantaggi ma anche dei prezzi… Come primo test l’Iowa dice che i giochi sono molto aperti. La forza del voto anti-establishment va misurata
Hillary Clinton e lo sfidante Bernie Sanders: per la ex First Lady non si preannuncia una marcia trionfale verso la nomination. (AFP)
sommando Trump a Cruz (un estremista odiato dall’apparato di partito); Sanders a sua volta raccoglie a sinistra un movimento di «insurgency», di rivolta contro la macchina politica della famiglia Clinton e i suoi troppi legami con i grandi finanziatori di Wall Street. Il discorso della vittoria di Ted Cruz ha offerto un riassunto di questo candidato, perfino più estremista dello stesso Trump. Scavalcando la xenofobia di Trump, Cruz propone un «esame di religione» prima di ammettere profughi dalla Siria, onde selezionare solo i cristiani. Con continue citazioni della Bibbia, nell’Iowa Cruz ha annunciato che la sua presidenza sarà «la vittoria dei valori giudeo-cristiani, dopo 8 anni in cui Obama ha rovinato l’America». Ha polemizzato apertamente con i vertici del partito repubblicano. «Questa – ha detto il senatore del Texas – è una vittoria della base. I capi del partito avevano puntato su altri». Ha ringraziato i 12’000 volontari che hanno animato la sua campagna nell’Iowa, «e i 150 pastori». Sono elementi chiave per spiegare la sua vittoria: Cruz ha saputo dispiegare una formidabile organizzazione sul terreno, capillare e moderna. Ha potuto contare anche sull’appoggio di buona parte degli evangelici, fondamentalisti protestanti che sono una componente decisiva dell’elettorato repubblicano soprattutto nelle aree rurali. Sul fronte democratico Hillary è già in affanno. Non sarà un’incoronazione dinastica la sua, non sarà una marcia trionfale verso la nomination. Il 2016 si preannuncia per la ex First Lady ed ex segretario di Stato come una gara a ostacoli, con una base democratica che apprezza la sua competenza ma diffida dei suoi legami con l’establishment e con Wall Street. A metterla in difficoltà è l’improbabile senatore del Vermont Bernie Sanders, di cinque anni più anziano, privo come lei di carisma, tuttavia amato e rispettato soprattutto dai giovani per la sua coerenza e la sua integrità morale. La Clinton era partita all’inizio della cam-
pagna con un vantaggio che sembrava incolmabile, l’estate scorsa nell’Iowa aveva un margine di 40 punti sull’inseguitore. Sanders dopo l’Iowa ha parlato di «pareggio virtuale», ricordando di aver condotto «una campagna senza grandi mezzi, senza ricchi finanziatori alle spalle, con un tremendo handicap di partenza». Il New Hampshire è un piccolo Stato del New England dove la base democratica è molto liberal. Qui i sondaggi assegnano il vantaggio a Sanders. Per la Clinton la geografia diventa più favorevole a metà febbraio quando si tengono primarie nel Nevada e South Carolina, dove ci sono più ispanici e afroamericani, due constituency che l’ex segretario di Stato e suo marito Bill coltivano da decenni. Ma i calcoli fatti a freddo possono subire improvvise smentite: anche nell’Iowa la macchina elettorale dei Clinton sembrava formidabile. L’incubo per Hillary è un bis del 2008, quando la sua candidatura partì con incollato l’aggettivo «ineluttabile», per poi infrangersi contro il «fenomeno» Barack Obama. Può scoppiare un «fenomeno» Sanders, oggi? Il senatore del Vermont avendo 74 anni potrebbe essere il padre di Obama. Come candidato antiestablishment è singolare: fa politica da una vita, è un veterano del Senato di Washington. Ma verso Sanders convergono forze della società civile, movimenti che vogliono cambiare la fisionomia del partito democratico. Tra i suoi sostenitori c’è MoveOn, l’organizzazione «digitale» nata a Berkeley nel 1999 proprio in reazione agli scandali dell’èra (Bill) Clinton, per rilanciare la partecipazione dal basso. A preparare la candidatura Sanders ha contribuito Occupy Wall Street, il movimento esploso dopo la crisi del 2008 per contestare le diseguaglianze; e BlackLivesMatter, la più recente mobilitazione contro le violenze razziste della polizia. L’insurrezione della sinistra di base si ripete da un ciclo elettorale all’altro: sostenne Howard Dean nel 2004 (fu John Kerry a vincere
la nomination, poi sconfitto da George Bush) e Barack Obama nel 2008. La sua forza è nella Generazione Millennio ma fa proseliti anche nella classe operaia e tra le Union sindacali. Su molti temi la Clinton si è spostata a sinistra, ha fatto proprie le posizioni radicali, per contenere l’avanzata di Sanders. Anche lei propone il raddoppio del minimo salariale, più tasse sui ricchi, nuove norme contro la speculazione di Wall Street. Su un terreno Sanders ha più credibilità: i rapporti tra denaro e politica. Molto più delle email top secret che transitavano dal suo indirizzo personale (scandalo cavalcato dalla destra) nella base democratica Hillary è danneggiata dai 600’000 dollari ricevuti come onorario per le sue conferenze alla Goldman Sachs, più i milioni di donazioni da Wall Street per la sua campagna elettorale. Lei obietta che un «socialista» non avrà mai la maggioranza dei voti nella sfida finale. Sanders è convinto di aver sdoganato la parola socialismo, che per molti giovani americani oggi è sinonimo di sanità pubblica e università gratuita. La Clinton sostiene che solo il suo pragmatismo può sbloccare l’agenda riformista trovando intese coi repubblicani al Congresso. Sanders al contrario sostiene che la sua «rivoluzione politica», aumentando l’affluenza alle urne, può ribaltare i rapporti di forze e portare al Congresso una maggioranza progressista di proporzioni «rooseveltiane». Il nonno che fa sognare la Generazione Millennio sarà un avversario coriaceo? O invece è un regalo per i repubblicani, convinti di poterlo sconfiggere se sarà lui ad avere la nomination? Fioriscono teorie del complotto sul perché la destra starebbe aiutando Sanders, e su come lo distruggerà una volta nominato. A dare dignità a queste dietrologie interviene Paul Krugman, Nobel dell’economia e columnist del «New York Times», citando uno di questi scenari che anticipa dettagliatamente gli attacchi prossimi futuri verso «il comunista», una volta che avesse eliminato Hillary.
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Politica e Economia
La frontiera più calda
Notizie dal mondo
Il Papa in Messico Il viaggio che inizierà venerdì prossimo sarà una sorta di secondo atto
della visita compiuta in settembre negli Stati Uniti in cui criticò la politica di immigrazione
L’immagine del Papa e quella della Vergine di Guadalupe in un negozio accanto alla Basilica. (AFP)
Giorgio Bernardelli Si sta avvicinando sotto traccia, senza grande clamore. Invece è probabilmente l’appuntamento internazionale più significativo sull’agenda di papa Francesco per questo 2016. Da venerdì 12 febbraio e per quasi una settimana Bergoglio sarà infatti in Messico per il suo nuovo viaggio apostolico. Alla parola Messico parte subito il disco sul ritorno in America Latina, la Madonna di Guadalupe, la devozione popolare, il cattolicesimo dei latinos. Tutto ovviamente vero. Se non fosse che il Paese a Sud degli Stati Uniti è anche una delle frontiere più dure (e più rimosse) del mondo di oggi. Quanto a desaparecidos, tanto per fare un esempio, il Messico attuale non ha nulla da invidiare all’Argentina dei generali: ha fatto notizia l’anno scorso per il caso dei 43 studenti spariti nel nulla nel Guerrero, lo Stato di Acapulco. Ma è solo la classica punta dell’iceberg: i dati ufficiali del governo – probabilmente sottostimati e comunque fermi al 2012 – parlano infatti di 27’000 persone scomparse nei soli sei anni precedenti. È questo volto terribile – cartina di tornasole di un intreccio perverso tra mafie, narcotraffico, tratta di migranti, corruzione politica, repressione delle minoranze indigene – a rendere il Messico di oggi l’esempio vivente di quella bancarotta della politica che Francesco ha denunciato nell’enciclica Laudato Sì. Bancarotta che avviene non in un Paese povero dell’Africa, ma in quella che secondo i dati dell’Ocse è la quattordicesima economia del Pianeta. E con responsabilità che chiamano in causa anche gli Stati Uniti, il potente vicino al di là del Rio Grande, oggi immerso nella campagna elettorale per le elezioni presidenziali. Ci resterà cinque giorni Bergoglio in Messico, percorrendo il Paese da un capo all’altro. Andrà ovviamente a Città del Messico, la megalopoli da nove milioni di abitanti. Ma si recherà anche a San Cristobal, nel Chiapas, tra gli indios discendenti dei maya dove negli anni Novanta costruì la sua rivolta il subcomandante Marcos. E poi farà tappa a Morelia, nello Stato del Michoacán: una delle realtà più segnate dal narcotraffico, teatro nel 2008 del mas-
sacro durante la festa dell’indipendenza e oggi epicentro di una nuova guerra criminale tra le bande che si spartiscono il controllo del territorio. Ma il momento cruciale sarà l’ultima giornata, mercoledì 17 febbraio, quando Bergoglio farà tappa a Ciudad Juárez, la città sulle rive del Rio Grande che si trova proprio davanti a El Paso, la seconda città del Texas. Per tanti migranti provenienti dai Paesi come il Salvador, l’Honduras o il Guatemala questa città è l’ultima stazione del viaggio con «la bestia», la rete di treni merci che in mille modi utilizzano per arrivare al confine con gli Stati Uniti. Sempre in cerca di un coyote, un passatore che faccia loro attraversare il confine verso l’El Dorado. Figure non certo romantiche, ma legate a filo doppio alle bande della malavita, perché la regola della diversificazione degli investimenti vale anche nel mondo crimine. Il tutto in un contesto in cui la connivenza dei politici e il terrore generalizzato sono un ingrediente fondamentale della macchina. E si capisce anche perché proprio Ciudad Juárez detenga il non certo invidiabile titolo di capitale mondiale dei femminicidi: dal 1993 a oggi sono centinaia le donne rapite, stuprate, uccise o anche loro scomparse nel nulla nella città della frontiera.
Bergoglio arriva proprio nei giorni più decisivi delle primarie fra i candidati democratici e repubblicani Nella più popolosa città dello Stato di Chihuahua papa Francesco celebrerà la Messa all’aperto nell’area della fiera. Con un simbolo potente: dietro all’altare sarà ben visibile il muro di cemento alzato nel deserto per fermare il flusso di migranti verso gli Stati Uniti. Scenderà anche sulla riva del Rio Grande, il fiume che segna il confine tra i due Stati e nelle cui acque – esattamente come a Lampedusa – sono morti migliaia di migranti che in questi anni hanno provato ad attraversarlo a nuoto. A Ciudad Juárez ci saranno quelli che aspettano di passare oltre agli abitanti di questa
città esplosa proprio con le migrazioni; ma a pochi centinaia di metri, al di là del muro, quel giorno saranno radunati anche quelli che li aspettano dall’altra parte. Rappresenteranno gli undici milioni di immigrati privi di documenti presenti oggi negli Stati Uniti, le famiglie divise che non possono riunirsi. Per questo il viaggio in Messico sarà una sorta di secondo atto della visita compiuta nel settembre scorso da papa Francesco negli Stati Uniti. Già allora – soprattutto nel discorso al Congresso – Bergoglio non ci era andato tenero sul tema dell’immigrazione, cavallo di battaglia dei Repubblicani, che alla Camera (dove hanno la maggioranza) in questi anni hanno impedito la discussione della riforma migratoria targata Barack Obama. E nonostante la commozione dimostrata quel giorno a Washington dallo speaker John Boehner, né lui né il suo successore Paul Ryan (altro cattolico) hanno cambiato posizione in questi mesi su questo tema. «Migliaia di persone sono spinte a viaggiare verso il Nord in cerca di migliori opportunità. Non è ciò che volevamo per i nostri figli? Non dobbiamo lasciarci spaventare dal loro numero, ma piuttosto vederle come persone», aveva detto papa Francesco ai politici e alla gente degli Stati Uniti a settembre. È difficile pensare che da Ciudad Juárez rinunci a ribadire questo messaggio, parlando anche oltre la frontiera. Al di là delle parole – però – saranno soprattutto le sue immagini sul Rio Grande a irrompere sugli schermi dei network americani, intervallando di fatto le cronache sulla corsa alla Casa Bianca. Sì, perché il Papa arriva in Messico proprio nei giorni più decisivi delle primarie tra i candidati Democratici e Repubblicani: una manciata di giorni dopo la sua Messa alla frontiera arriverà il super martedì, il giorno che pesa di più nel percorso verso le nomination. E tra gli Stati che andranno al voto il 1. marzo il più importante è proprio il Texas, che si trova esattamente al di là del muro. E che – insieme all’Arizona e al New Mexico – è uno dei terreni più caldi oggi nel dibattito americano sulla questione delle migrazioni. Quanto peserà, allora, il viaggio di papa Francesco in Messico sulla corsa
alla Casa Bianca? Di certo nel campo dei Repubblicani non è una buona notizia per Donald Trump, uscito già fortemente ridimensionato dai primi caucus in Iowa (anche se i sondaggi della vigilia lo danno comunque tuttora in testa in New Hampshire, dove si vota il 9 febbraio). Oltre che con gli avversari che gli contendono la nomination, nei prossimi giorni si troverà a contrapporsi con l’icona mediatica di papa Francesco, che in qualche modo è il suo esatto opposto: il paladino dei poveri contro il magnate, l’avvocato del diritto di tutti a cercare un futuro migliore contro il sostenitore dei muri più alti. Va detto che Trump è il candidato che già adesso gode meno del favore dell’elettorato cattolico Usa: secondo un sondaggio dell’autorevole Pew Research Center il giudizio del 53% dei cattolici sul miliardario newyorkese oscilla tra poor e terrible. Il loro favore tra i Repubblicani va piuttosto a Marco Rubio, il figlio di immigrati cubani che in Iowa è stato la vera sorpresa del primo atto delle primarie, finendo terzo subito dietro a Trump e non poi così lontano dal vincitore, l’evangelical Ted Cruz. Il consenso di Rubio (cioè chi lo giudica positivamente o almeno sullo standard medio dei presidenti Usa) tra gli elettori cattolici viene dato al 65%, ben sette punti percentuali sopra la media generale dell’elettorato. Mentre Hillary Clinton si colloca al 57% contro il 52% del suo sfidante Democratico Bernie Sanders. Certo, stiamo parlando solo del voto dei cattolici. Però papa Francesco ha già dimostrato di essere un opinion leader in grado di lasciare il segno anche al di fuori della cerchia dei suoi fedeli. Per questo le reazioni del pubblico americano alle sue parole in Messico saranno scrutate attentamente anche nei comitati elettorali. Uno che potrebbe beneficiarne potrebbe essere Bernie Sanders, l’anziano senatore del Vermont che i caucus in Iowa hanno accreditato come un avversario temibile per Hillary Clinton. Ebreo non praticante, di ispirazione socialista, grande nemico delle lobby finanziarie, è una figura decisamente eretica per gli standard della Casa Bianca. Quasi come l’uomo vestito di bianco che abita oggi in Vaticano.
Chimica globale: la svizzera Syngenta comprata dalla Cina La Cina batte gli Stati Uniti. Con un’offerta da 43 miliardi di dollari China National Chemical Corp, che già controlla Pirelli, si è aggiudicata il colosso svizzero della chimica Syngenta: la cassaforte dei semi del mondo. L’operazione rappresenta la più grande acquisizione mai fatta da una società cinese all’estero. In particolare, gli azionisti di Syngenta riceveranno 465 dollari per azione più un dividendo straordinario di 5 franchi svizzeri (4,91 dollari). L’offerta sarà lanciata formalmente nel corso delle prossime settimane in Svizzera e negli Stati Uniti. L’anno scorso Syngenta aveva fortemente contrastato un tentativo di acquisizione della rivale americana Monsanto. Oggi, invece, il board all’unanimità ha giudicato positivamente l’offerta di ChemChina che «riconosce la qualità e le potenzialità di Syngenta» puntando su un investimento di lungo termine in innovazione e «minimizza le perturbazioni di carattere operativo». Gli attuali vertici di Syngenta resteranno infatti al loro posto e il board di dieci componenti, che verrà presieduto dal numero uno di ChemChina, Ren Jianxin, includerà quattro membri dell’attuale organo di sorveglianza. Nel frattempo Syngenta ha anche annunciato i risultati del 2015, chiusi con ricavi in calo dell’11% a 13,4 miliardi di dollari, principalmente a causa dell’effetto cambi, e con un utile netto che si è contratto del 17% a 1,3 miliardi di dollari. Oggi Bloomberg si chiede quale possa essere la ragione profonda che ha spinto ChemChina a un passo così impegnativo. La risposta starebbe nel crescente divario tra due indicatori, la popolazione cinese in aumento e i terreni agricoli a disposizione (relativamente pochi). La Cina conta il 21% della popolazione mondiale, con solo il 9% della sua terra coltivabile, secondo Jefferies Group. In questo contesto entra in gioco l’acquisto di Syngenta da parte di China National Chemical. Il gruppo svizzero è il più grande produttore di pesticidi al mondo e le sue sementi geneticamente modificate hanno dimostrato di avere un alto rendimento, fattori che contribuiranno ad aumentare la quantità di cibo che la Cina produce per acro. Con circa 1,4 miliardi di bocche da sfamare, la Cina ha bisogno di un forte aumento della produttività agricola visto che i terreni sono stati danneggiati da acqua contaminata a causa delle fabbriche e dell’abuso di fertilizzanti e pesticidi. Il presidente Xi Jinping ha già detto che intende incrementare la produzione agricola esortando il Paese a sviluppare le colture Ogm.
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Politica e Economia
Nell’Avana del futuro La Cuba dei poveri – 2. parte Nella Corea, a un passo della capitale, esiste una realtà che la propaganda castrista
non mostra, fatta di baraccopoli, economia interna, lavoro informale e povertà ordinata
Angela Nocioni Un tagliaerba rosso fuoco, riverniciato da poco, corre lungo una discesa di terra sotto il cielo di smalto di mezzogiorno. «Taxi» dice il cartello scritto a mano che Manuelito tiene con la mano sinistra mentre con l’altra vola nel suo moto taxi fatto in casa saltando sulle pietre. «Motore nuovo! Cammina e non si spegne!» grida caracollando giù per la strada polverosa. Con questo strumento di lavoro che custodisce come una reliquia, Manuelito dall’alba alla notte corre lungo le strade della Corea, la baraccopoli più popolata della periferia dell’Avana. «Cojer lucha» (darsi da fare) si dice qui. E lui ce la mette tutta per racimolare qualche spicciolo. Per 10 pesos cubani, 30 centesimi di dollaro, raccoglie passeggeri in attesa agli angoli della città ufficiale, l’Avana con le sue luci (poche) e i turisti (tanti), e li porta fino a qui, dove nessun autobus arriva.
Dei cambiamenti della struttura socialista e della pace con gli Stati Uniti non si sono nemmeno accorti alla Corea La Corea è l’Avana clandestina, l’Avana che esiste, ma non si vede, quella che la propaganda castrista non mostra: 10’000 persone accatastate in una baraccopoli. Casupole spuntate come funghi negli ultimi trent’anni. Quasi tutte collegate con fili corsari al sistema elettrico di San Miguel del Padron, periferia estrema della capitale. Alla Corea le fogne sono a cielo aperto. Non c’è acqua. I comitati di difesa della rivoluzione (i mefitici Cdr), in compenso, ci sono e lavorano sodo. I Cdr, gli occhi e le orecchie del governo cubano, sono capillarmente presenti: uno ad ogni angolo. «Nel caso in cui tra i topi si nascondano gli agenti del nemico» dice Eduardo T, con una risata amara. Eduardo vive qui con sua moglie da 10 anni, giura che c’era anche lui il 1. gennaio del 1959 a salutare, entusiasta, l’entrata trionfante all’Avana di un giovane Fidel Castro, guerrigliero vittorioso sull’esercito del dittatore Batista. Poi però Eduardo ha cambiato idea. «I ricchi mangiano tre volte al giorno, noi una e nemmeno sempre. Qualcosa non quadra in questa rivoluzione» dice fumando una sigaretta dietro l’altra, tabacco nero. «Era così prima del ’59 ed è così tuttora. Può darsi che questa isola cambi quando moriranno Fidel e Raúl, però allora sarò morto anch’io» conclude. Alla Corea non si trova un bianco nemmeno se lo si cerca due giorni di seguito. Tutti sono casualmente neri. Molti vengono dall’oriente del Paese. Sono contadini, gente povera che è venuta nella capitale in cerca di un futuro. Sono arrivati all’Avana ad ondate successive e hanno finito per fermarsi qui, a un passo dalla città sognata, in casette precarie tirate su con quel che c’è. La maggior parte di loro sono illegali. Cioè: non dovrebbero stare qui, non hanno avuto il permesso statale di trasferirsi nella capitale. Perché a Cuba non si può autonomamente spostare la residenza senza gigantesche complicazioni, non solo burocratiche. Non hanno un lavoro ufficiale, non sono iscritti a nessun centro di lavoro statale. Per questo non hanno «la libreta», il documento necessario per aver diritto a mettersi in fila per l’accesso al razionamento dei prodotti basici, distribuiti gratuitamente (con parsimonia) dallo Stato. Le strade della
La Corea è l’Avana clandestina: ci vivono 10 mila persone, che nessuno vede, in un mondo a sé senza regole e senza i Castro.
Corea sono pulite, senza spazzatura. È una povertà molto ordinata. Si ricicla quasi tutto. Qualsiasi rifiuto viene trasformato e venduto. «Di baraccopoli come questa ce ne sono almeno 200 a Cuba. In ciascuna vivono dalle 4000 alle 10’000 persone», spiega ad «Azione» un operatore che ha lavorato molti anni alla Corea. «Vivono di sola economia interna nelle baraccopoli, di lavoro informale» dice. Non che nel centro dell’Avana l’economia di strada sia tanto diversa. Il lavoro informale è il vero lavoro in tutta Cuba. Con «la libreta» non si mangia e con il salario in moneta nazionale non si vive. Quindi, per procurarsi i dollari necessari ad avere accesso al mercato nero, si lavora come lavoratori in proprio. Idraulici, elettricisti, falegnami. Ora che Raúl si è deciso a legalizzare il lavoro in proprio, i lavoratori autonomi, i famosi «cuentapropistas» non devono più fuggire dai controlli della polizia come se fossero dei ladri. Dei cambiamenti nella struttura socialista, dell’apertura economica fatta da Raúl, non si sono nemmeno accorti alla Corea. E perché dovrebbero? Loro sono «cuentapropistas» da sempre. «Per noi non è cambiato proprio niente, senza permesso di lavoro stavamo prima e senza permesso di lavoro stiamo adesso» dice Figaro, il barbiere del quartiere. Nella sua casa tutta la baraccopoli viene a tagliarsi i capelli ascoltando musica locale e pa-
gando con quel che può. Figaro non ha molta voglia di parlare. «Qui bisogna dire che va tutto bene, che potrebbe andare peggio. Perché qui così funziona. O vai tranquillo per la tua strada e ti fai i fatti tuoi, o ti ritrovi in grossi guai» è il suo unico commento. Alice vende polli congelati di contrabbando. «Cosa è cambiato per me con l’apertura economica e la pace con gli Stati Uniti? Mi pagavano in dollari prima e mi pagano in dollari adesso». Gli uomini giovani della Corea vivono immersi nel mondo sotterraneo di San Miguel del Padron. Quartiere periferico dove tutto si trova e tutto si vende. La Corea è la sua forza lavoro, il suo magazzino, il suo deposito. Vi ricordate le auto galleggianti, quelle meravigliose Buick anni 50 montate su pneumatici di camion e trasformate in zattere di fortuna con cui anni fa molti cubani tentarono la fuga verso gli Stati uniti via mare? (Fuga, perché fino all’apertura fatta l’anno scorso era illegale andarsene via da Cuba per i cittadini cubani). La maggior parte di quelle macchine, le hanno modificate qui, alla Corea. Sono entrate auto e sono uscite zattere. «Se entri in un garage della Corea, ti offrono senza scomporsi una cassa da morto come un aeroplano» commenta con una punta di batistiano disprezzo Ernesto V., autista di professione. Lui è bianco e vive nel bel quartiere di Playa, case basse con giar-
dini accarezzati dalla brezza del mare, dove i dirigenti di imprese miste e gli alti funzionari del governo cubano vanno a cenare in ristoranti privati con prezzi medi di 40 dollari a persona. Le aragoste che si trovano nel piatto vengono da qui, sono di contrabbando e arrivano nei bei ristorantini del centro in casse di polistirolo caricate su motorini che vengono dalla Corea. Anche le birre di contrabbando le fanno qui. La Bucanero, la birra che si trova nei bar dell’Avana è in parte originale e in parte contrabbandata. Come fanno? Si procurano la birra in grande quantità, la invasano in casa usando bottiglie riciclate. A San Miguel del Padron comprano i tappi, rubati alla fabbrica che li produce. La Bucanero invasata in casa si distribuisce nella rete sotterranea del mercato nero e nel centro dell’Avana. I rivenditori guadagnano così pesos convertibili, i desideratissimi Cuc, moneta convertibile turistica che non ha mercato fuori dall’isola e vale quasi come il dollaro. Quello che succede con le birre succede anche con i succhi di frutta, con i panini. Nei chioschi, nei bar, spesso c’è un rivenditore che invece di portare al tavolo del cliente la merce dell’esercizio in cui lavora, porta quella che gli hanno fornito sotto banco. In un quadernino a parte, i rivenditori della rete parallela scrivono quanto di proprio vendono giorno per giorno e mettono i soldi in una casa separata, così da non sbagliarsi con il to-
tale degli incasso. È questo complicato meccanismo a rendere conveniente il lavoro di commesso in un caffè dell’Avana, a parte le mance dei turisti. Nel pomeriggio alla Corea le donne si fanno aria col ventaglio sedute davanti alla porta di casa. «Balconear» si dice in citta. Solo che qua i balconi non esistono e loro cercano un po’ d’aria scendendo in strada. Chi non deve far circolare merce, ha la giornata religiosamente dedicata alla perdita del tempo. «Perché lavorare per 20 dollari al mese?» domanda Usnavy, diciottenne. (Si chiama così, spiega lei, perché è di Guantanamo e a sua madre piaceva quel nome misterioso scritto a grosse lettere sulle grandi navi della base americana). Sua madre le chiude la bocca con uno sguardo. «C’è sempre un occhio che ti guarda e poi qui anche le pareti ci sentono benissimo» sibila la vicina. A guardarle di giorno, le ragazze della Corea, sembrano vivere sedute sulle sedie a dondolo. La verità è un’altra. Molte di loro lavorano. Di notte. Una serie di passaggi in auto le porta fino al Parque central, nel centro storico dell’Avana. Da lì si muovono in cerca di turisti. Sono carne da discoteca. Sono loro a mantenere le famiglie. E qui sono molti i vecchi con nipoti fuori da Cuba. «Mia figlia vive a Roma e non torna più», si lamenta un uomo in visita a un vecchio falegname in pensione. I due hanno più di settant’anni. Il falegname racconta di aver lavorato per anni con Eusebio Leal, «el historiador» dell’Avana, il direttore del recupero architettonico dell’Avana vecchia. Anche lui lavorava nel gruppo di restauro dell’Amos mundos, l’hotel rifugio di Ernest Hemingway nel centro coloniale della città. Ha avuto un ictus. Ora ha un salario statale che non arriva a 10 dollari. La signora della casa di fronte se la passa molto meglio. Vende tabacco nero, frutta e acqua congelata. Sì sventaglia con una copia di «Granma», il quotidiano del partito comunista. Le dita della mano destra sono soffocate da anellini doro. «Mia figlia me li ha regalati» racconta. «Da quando ha iniziato a lavorare nel turismo le sta andando molto bene». Marta, più sciolta delle sue vicine nella conversazione, è arrabbiatissima perché fa un caldo terribile e in tutta la baraccopoli non c’è acqua. «Qui la benedetta acqua non ha orari per arrivare e per andarsene – dice – qui non si risolve mai niente. Il problema della spazzatura l’ho risolto io, da sola, organizzando il lavoro volontario, ma come facciamo con l’acqua e con le fogne?». Marta parla chiaro e a voce alta. È vecchia e non sembra aver paura. I vicini che l’ascoltano però, sorridono vaghi e non parlano. Hanno un tremore dello sguardo, un tono evasivo nella voce, che svelano la paura. Juan, pittore per vocazione e contrabbandiere per necessità, spiega il perché. «Il comitato di difesa della rivoluzione non riesce a controllare tutto, ma ti dà la sensazione di tenerti sott’occhio tutto il tempo, anche quando non lo fa. Le spie ti fanno impazzire, se vogliono. E a Cuba ciascuno di noi è circondato da gente che fa la spia, perché l’attività preferita dalla Rivoluzione è stata insegnare alla gente a fare la spia». È seduto di fronte alle pale di un ventilatore a batteria. La sua casa è una stanza quadrata di cemento, una tavola di plastica, un letto e una finestra, dipinta di azzurro, aperta verso il mare. Esasperato da mezzo secolo di castrismo, mastica amaro. Ma non se ne va dall’isola, né ha voglia di farlo. Dice: «Non sappiamo cosa succederà nel prossimo futuro. Qui alla Corea, nella sua forma di convivenza, c’è l’embrione dell’Avana del futuro: senza regole, senza pace e senza Castro».
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Politica e Economia
Galleria del San Gottardo: un raddoppio che divide Votazioni federali Paure di un isolamento del Ticino, esigenze di maggior sicurezza, timori di un aumento
del traffico attraverso le Alpi: quali argomenti prevarranno il 28 febbraio alle urne?
Alessandro Carli Una cosa è assodata: il risanamento della galleria stradale del San Gottardo, è inevitabile. La necessità di procedere a questo lavoro, che comporta una modifica della legge sul transito stradale alpino, in votazione il 28 febbraio prossimo, appare dunque ovvia. Ma non è così. È infatti sulle strategie di risanamento che il dibattito si surriscalda. Chiudere l’attuale galleria per tre anni (il tempo necessario per rimetterla in sesto), con pesanti conseguenze per il Ticino? Realizzare stazioni di carico per auto e camion? Costruire una seconda galleria per consentire il risanamento di quella esistente? Aprire poi al traffico i due tunnel, ma con una sola corsia di marcia, aumentando la sicurezza? Verificare dapprima gli effetti sul traffico motorizzato della nuova galleria ferroviaria di base, che sarà inaugurata in giugno? Gli interrogativi si sprecano. Una cosa va però sottolineata: in caso di approvazione di una seconda galleria, l’apertura al traffico, dopo il 2030, di quattro corsie dovrà essere approvata da popolo e cantoni. E su questo non ci piove. Dare per scontato uno scenario di traffico e ambientale apocalittico è quindi semplicemente pretestuoso. Intanto, i sondaggi sono chiaramente favorevoli al raddoppio. Ma procediamo con ordine. La galleria stradale del San Gottardo venne inaugurata nel 1980. A distanza di quasi quarant’anni, va risanata per motivi di usura (crepe nel rivestimento e ruggine che si manifesta nella soletta intermedia). Ciò ne comporterà la chiusura per oltre tre anni. Come gestire il traffico per questo lungo periodo? Dopo aver esaminato varie opzioni, Consiglio federale e Parlamento hanno deciso, prima di chiudere la galleria esistente, di costruirne e
aprirne al traffico, verso il 2027, una seconda, pure con due corsie bidirezionali. A risanamento ultimato, come detto attorno al 2030, entrambe le gallerie verrebbero aperte al traffico, ma su una sola corsia di marcia, più una d’emergenza. In questo modo si eviterebbero scontri frontali e laterali. I soccorsi potrebbero essere più rapidi ed efficienti. In barba a un’aumentata sicurezza, gli avversari di questo progetto danno per scontata l’apertura al traffico di quattro corsie e sostengono che la seconda galleria attirerà due milioni di autocarri europei, contro i 900 mila attuali (che si vorrebbero ridurre a 650 mila). In Ticino – sostengono – le code si sposteranno nel Mendrisiotto, dove il traffico, più che dai transiti al San Gottardo, è già congestionato dalle auto dei frontalieri. Questa pretesa maggiore capacità, vanifica il trasferimento del traffico dalla gomma alla rotaia, mandando in fumo l’obiettivo delle nuove trasversali ferroviarie alpine, in primis la galleria di base del San Gottardo, per le quali sono stati investiti 24 miliardi di franchi. Ma a proposito di carico dei camion sul treno, va ricordato che al momento dell’apertura della galleria ferroviaria di base del Lötschberg si pronosticava che, grazie a quest’ultima, si sarebbe assistito a un netto calo di veicoli pesanti ai portali del San Gottardo. Le belle speranze non si sono però avverate. Ora, non rimane che constatare il calo del traffico pesante dopo l’apertura della galleria ferrovia di base del San Gottardo. Se non si avvererà nemmeno stavolta, è assurdo voler attribuirne già sin d’ora la colpa alla concorrenza di un futuro raddoppio della galleria stradale. A ogni modo, per gli oppositori, un secondo traforo, con lo scontato aumento del traffico, viola l’articolo costituzionale sulla protezione delle Alpi.
Sul cibo non si specula Il 28 febbraio prossimo, popolo e cantoni saranno anche chiamati a pronunciarsi sull’iniziativa «Contro la speculazione sulle derrate alimentari», depositata nel marzo del 2014 con 117’000 firme valide, che Governo e Parlamento raccomandano di respingere. La lotta alla fame e alla povertà nel mondo è un obiettivo importante anche per il nostro Paese. Per il Consiglio federale e le Camere, un divieto delle operazioni finanziarie speculative concernenti le materie prime agricole non è però il mezzo adeguato per raggiungere il citato obiettivo. Nei sondaggi, l’iniziativa raccoglie il 48% delle preferenze, pur con una forte percentuale di indecisi. Lanciata dai Giovani Socialisti (GS), dal Partito socialista, dai Verdi e da diverse organizzazioni di cooperazione internazionale (tra cui Swissaid e Solidar Suisse), questa iniziativa vuole vietare agli istituti finanziari e ai gestori di patrimoni d’investire in strumenti finanziari relativi a materie prime agricole o alimentari. Il divieto dovrebbe essere valido anche per la vendita di prodotti cosiddetti strutturati. Per gli autori dell’iniziativa, le operazioni speculative in derivati agricoli influiscono sui prezzi delle derrate alimentari. Perciò l’iniziativa chiede che in Svizzera queste operazioni speculative siano vietate. Inoltre, la Con-
federazione dovrebbe impegnarsi a livello internazionale affinché la speculazione alimentare venga combattuta efficacemente nel mondo intero. L’eccessiva speculazione – ricordano – aumenta fortemente la variazione del prezzo degli alimenti. Forti variazioni di prezzo verso l’alto possono mettere a repentaglio l’esistenza dei piccoli contadini. Secondo un comitato interpartitico (PLR, UDC, Verdi liberali, PPD), l’iniziativa di GS è «burocratica» e «inefficace». Il progetto «non solo non farebbe sparire da un giorno all’altro le carestie, ma rischierebbe di danneggiare gli agricoltori dei Paesi poveri, oltre che la piazza economica elvetica». All’origine delle crisi alimentari vi sono in primo luogo i conflitti, le variazioni climatiche e lo spreco. Per far rispettare il divieto postulato dall’iniziativa, sarebbe necessario istituire un’ulteriore autorità di sorveglianza, il cui raggio d’azione sarebbe circoscritto alla Svizzera, quando i maggiori mercati di materie prime si trovano altrove. Il comitato ricorda infine che gli obiettivi perseguiti dall’iniziativa sono già stati raggiunti con l’introduzione, nella Legge sull’infrastruttura finanziaria, di limiti alla speculazione sulle derrate alimentari con derivati, così come accade negli Stati Uniti e nell’Unione europea. / AC
Il risanamento totale imporrebbe una chiusura di 3 anni, uno scenario che spaventa governo ed economia del Canton Ticino, non altrettanto però i vicini urani. (Keystone)
Per questo fatto, l’associazione «No al raddoppio del Gottardo» ha lanciato il referendum, nell’ottobre 2014. Essa raggruppa una cinquantina di organizzazioni tra cui l’ATA (Associazione traffico e ambiente), l’Iniziativa delle Alpi, il SEV, il Partito socialista, i Verdi, i Verdi liberali, il Partito evangelico, Greenpeace, il WWF, Pro Natura e Pro Velo. Rimprovera a Governo e Parlamento di voler aggirare con false promesse il principio della protezione delle Alpi, ancorato nella Costituzione. Ma vi è pure una sinistra, di cui fa parte anche l’ex consigliera di Stato Patrizia Pesenti, che dice «sì» alla seconda canna, perché è una scelta ambientalista, economicamente sopportabile, più sicura e che scongiura l’isolamento del Ticino. Quale alternativa, gli avversari del raddoppio, per il periodo di chiusura di 3,5 anni (con un’apertura estiva di 8 settimane), propongono l’allestimento di un servizio di treni navetta per autocarri e automobili, con la costruzione di stazioni di trasbordo in Ticino e Uri. Questa soluzione costerebbe tra 1,5 e 1,6 miliardi di franchi. Richiederà ampi spazi, con prevedibili resistenze da parte dei proprietari terrieri. Anche la realizzazione di una seconda galleria – secondo l’Ufficio federale delle strade (USTRA) – necessiterà di ampie aree per il deposito del materiale di scavo, che verrà poi sgomberato. I terminali di trasbordo sarebbero i più grandi d’Europa e, sebbene poi smantellati, provocheranno un impatto ambientale che fa a pugni con la regione alpina che gli avversari del raddoppio dichiarano di voler proteggere. Con la soluzione delle stazioni di carico, una parte del traffico devierà comunque sui passi alpini (San Bernardino e Sempione), con non poche ripercussioni. Inoltre, occorrerà abolire parzialmente il divieto di circolazione notturna per i camion, con conseguenze sulla qualità di vita della popolazione. I costi per la realizzazione della seconda canna e il risanamento di quella esistente sono invece valutati a 2,8 miliardi di franchi. La seconda canna sarà realizzata 70 metri a est di quella esistente. Il cunicolo di sicurezza si troverà fra le due gallerie, allacciate da colle-
gamenti ogni 250 metri. La costruzione della galleria di risanamento richiederà circa 7 anni. Un secondo traforo rappresenta anche un investimento a lungo termine: una seconda canna permetterebbe di non dover chiudere completamente il collegamento ogni 30-40 anni, quando si renderanno necessari nuovi lavori di risanamento. Si tratta di un’eredità per le prossime generazioni. Insomma: si spende di più oggi, ma si spenderà meno domani. Altro vantaggio di questa soluzione più costosa: l’aumento della sicurezza, sovente sottaciuto e trascurato dagli avversari della costruzione di una seconda canna. Ebbene, una volta realizzata la nuova galleria e risanata quella esistente, in ciascuna di queste i veicoli circoleranno in un’unica direzione di marcia, con meno possibilità di incidenti. Su un traforo di questa lunghezza e con una media di 75’000 incroci all’ora è insensato non voler separare le direzioni di marcia. Dal 2001 al 2014 la galleria autostradale del San Gottardo è stata teatro di 181 incidenti, con 21 morti e 107 feriti. Nell’incendio del 2001, provocato dallo scontro tra due mezzi pesanti, persero la vita 11 persone. Per emergenze, nel 2014 la galleria è stata chiusa 168 volte. Le direttive UE sulla sicurezza delle gallerie, vincolanti anche per la Svizzera, quando il traffico supera i 10’000 veicoli al giorno e per corsia di marcia, prevedono che la galleria dev’essere a doppio tubo e con traffico unidirezionale. L’attuale tunnel stradale non sarebbe più autorizzato. Ma non è tutto: stando a un’analisi di 20 tunnel di cinque paesi europei, pubblicata dal Club automobilistico tedesco (ADAC), la galleria stradale del San Gottardo figura all’ultimo posto per quanto riguarda la sicurezza. Ma vi è anche un altro aspetto di peso da mettere sul piatto della bilancia in caso di mancata realizzazione di una seconda canna: le ripercussioni per il Ticino a causa del collegamento stradale interrotto per oltre tre anni. Il consigliere di Stato Claudio Zali ha detto che si tratta di un collegamento fondamentale per la quotidianità del Ticino: occorre tener conto delle necessità di molti lavoratori e dei pazienti traspor-
tati negli ospedali d’Oltralpe. La costruzione di un secondo tubo è dunque «un atto di responsabilità e un’eredità per le generazioni future». Per Zali, «il Ticino e la Svizzera non vogliono quattro corsie, ma un collegamento sicuro». Gli avversari rilevano invece che con un efficiente sistema di treni navetta, con i terminali di carico, con la nuova galleria ferroviaria di base, coi passi, con le gallerie esistenti, il Ticino sarà sempre ben collegato con il resto della Svizzera. Ciò che conta è non raddoppiare. Per scongiurare questa ipotesi, negli ultimi tempi si è assistito a un rifiorire di soluzioni alternative, come il risanamento a tappe. La ministra dei trasporti Doris Leuthard ricorda che il trasferimento delle merci su rotaia è un obiettivo strategico, ma che la strada resterà sempre un vettore complementare e necessario. Nel 2014, la ferrovia ha nuovamente guadagnato terreno nel trasporto di merci attraverso le Alpi. L’aumento è stato del 3,5%, con una quota di mercato del 67,3%, mentre il trasporto su strada è diminuito del 2% e il numero dei transiti di autocarri dell’1,6%. Il trasporto ferroviario non risulta dunque penalizzato e non si può nemmeno – come sottolinea la ministra dei trasporti – «escludere una regione del paese dalla rete stradale, affermando che c’è sempre il treno». Stando all’ultimo sondaggio, se si fosse votato a metà gennaio, il 64% degli Svizzeri avrebbe accolto la realizzazione di un secondo tubo che, secondo gli avversari, è in contrasto con la volontà del popolo svizzero e ticinese che ha già detto due volte «no» al raddoppio (nel 1994, approvando l’iniziativa delle Alpi e, nel 2004, bocciando il controprogetto all’iniziativa popolare «Avanti – per autostrade sicure ed efficienti»). Allora, il Sovrano era però stato chiamato a pronunciarsi su un aumento delle capacità di transito. Stavolta il quesito è diverso. Consiglio federale e Parlamento non vogliono, dopo il 2030, l’apertura di quattro corsie. Un’eventuale modifica dell’art. 84 della Costituzione sul transito alpino, in vista di un futuro suo potenziamento, sarà solo il cittadino a deciderla.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Politica e Economia
Rendite di pensione garantite a vita? Previdenza professionale La cassa pensione della PwC vorrebbe poter ridurre le rendite dei pensionati per evitare
il trasferimento di oneri sulle giovani generazioni. È possibile? La parola al Tribunale federale
Ignazio Bonoli Sta sollevando discussioni in Svizzera la decisione della PricewaterhouseCooper di Zurigo. La società vorrebbe infatti adottare per la sua cassa pensioni un modello che permetta una riduzione delle rendite in corso (eventualmente anche un aumento) sulla base del rendimento degli investimenti, da un lato, e dell’evoluzione della speranza di vita, dall’altro.
La giurisprudenza non è chiara: in casi analoghi il Tribunale federale ha difeso la garanzia a vita delle rendite Questo per contrastare la tendenza in atto a trasferire sulle giovani generazioni gli oneri di finanziamento delle rendite dei pensionati. Ciò sta avvenendo da tempo per l’AVS, per la quale si prevedono difficoltà dovute in particolare all’invecchiamento della popolazione. La previdenza professionale, tramite la LPP, è stata invece concepita in modo che ogni assicurato possa accumulare nel tempo un suo capitale di vecchiaia. Tuttavia tramite un tasso legale di conversione di questo capitale in rendite e con il principio della copertura dei futuri impegni della casse pensioni, aggiunti a un perio-
do di scarsi rendimenti degli investimenti, anche nel secondo pilastro sta avvenendo lo stesso trasferimento fra generazioni. Per uscire dal dilemma la cassa della PwC aveva già ridotto dell’11% la parte non obbligatoria delle rendite, diminuendo il tasso tecnico dal 2,5% all’1,5%. Il tasso tecnico è il tasso d’interesse sui capitali di vecchiaia che deve garantire a lunga scadenza il pagamento delle rendite. Ogni tre anni si procede a un aggiornamento della situazione. Ora, con i rendimenti degli investimenti in diminuzione, la copertura del 100% delle rendite non è più garantita. Da qui la decisione di adottare un modello flessibile anche per le rendite in corso. Nel periodo in questione la rendita potrebbe quindi essere ridotta al 95%. Va detto che le rendite dei pensionati della PwC sono tutte sopra la parte obbligatoria. Ma, secondo il parere dell’istituto di sorveglianza della fondazione del canton Zurigo, la cassa pensione non può ridurre le rendite a piacimento. Secondo l’articolo 65d della LPP, le casse pensioni in difficoltà possono chiedere contributi di risanamento, ma non diminuire le rendite. Secondo il legale interpellato dalla cassa, la riduzione è ammessa. Nel campo delle assicurazioni sociali, ci sono sempre state riduzioni di rendite. Ma il Tribunale federale applica le eccezioni ai «diritti acquisiti» in modo molto restrittivo. Inoltre, anche nella LPP le
La sentenza del Tribunale federale delle assicurazioni di Lucerna avrà conseguenze importanti per le casse pensioni. (Keystone)
rendite non sono sempre garantite, anche per la parte obbligatoria. Infine – sempre secondo il legale – l’art. 65d della LPP si riferisce a casi di risanamento e non può essere generalizzato ai casi di rendite garantite da casse pensioni senza sottocopertura. È il caso della cassa della PwC, che però non sembra avere la facoltà di ridurre le rendite, nemme-
no se ciò avviene per evitare una sottocopertura. Ma la giurisprudenza non è chiara. In casi analoghi, il Tribunale federale ha decretato il principio della garanzia a vita delle rendite dal momento dell’inizio del diritto alla rendita. Ma questo diritto, in altri casi, non è trattato in modo assoluto, anche se, per esempio,
in casi di risanamento le eccezioni devono essere trattate in modo molto restrittivo. Tuttavia, su un caso preciso come quello della PwC il Tribunale non si è mai pronunciato. Per questo i dirigenti della cassa pensione si rivolgono alla massima istanza giudiziaria per ottenere un chiarimento. L’articolo e il commento del redattore della «Neue Zürcher Zeitung» che ha presentato il caso, schierandosi a favore della novità, ha sollevato un gran numero di reazioni presso i lettori. Quasi tutti si schierano a favore della garanzia delle rendite integrali «a vita», rimproverando all’autore di dimenticare che questo principio è insito nella stessa assicurazione e nei premi che chiede. Un cambiamento così essenziale potrebbe scuotere la fiducia della popolazione nelle casse pensioni e nello stesso Stato. Si respinge pure chiaramente il rimprovero alle generazioni di pensionati di approfittare dei soldi delle giovani generazioni. Infine, si teme che la riduzione delle rendite possa mettere in crisi l’intero sistema della previdenza professionale, favorendo coloro che vorrebbero un tipo di «pensione popolare», già respinto dal popolo nel 1972, che sarebbe completamente basata sul trasferimento fra generazioni. Come si può vedere, il tema resta sempre uno di quelli caldi in campo politico. Esso rientra anche nelle discussioni in atto sulla poca trasparenza della distribuzione della ricchezza – e dei redditi – fra generazioni. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Quante tasse pagano le famiglie?
Fra 3000 e 20’000 franchi di tasse
La consulenza della Banca Migros
Albert Steck Dove pagano meno tasse le famiglie? Dove di più? La nostra classifica mette in luce enormi discrepanze tra i luoghi di residenza. Tra l’altro è interessante notare che numerosi cantoni hanno notevolmente ridotto le imposte, ma qualcuno le ha aumentate.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Migliore equità fiscale per le famiglie: questo è l’obiettivo dichiarato della legge federale sullo sgravio fiscale delle famiglie con figli. Infatti i figli comportano un notevole aumento dell’onere finanziario: secondo la Confederazione ogni mese una coppia con due figli spende oltre 1300 franchi in più. Che cosa ha portato, dunque, la legge introdotta nel 2011? A prima vista il bilancio appare soddisfacente: a livello svizzero le famiglie ne hanno beneficiato ampiamente. Ma il risultato di un’analisi approfondita è spiazzante: prima di tutto si apre una voragine tra i cantoni più convenienti e quelli più onerosi. Secondariamente queste differenze sono addirittura aumentate. Cominciamo a guardare quante imposte paga una famiglia con due figli e un reddito lordo di 80’000 franchi nelle varie capitali cantonali: le più vantaggiose sono Ginevra e Zugo con circa 350 franchi. A Berna, Soletta e Neuchâtel, invece, il conto da pagare al fisco per la stessa famiglia va da
5300 a 6300 franchi (v. grafico). Con un reddito lordo di 150’000 franchi le imposte ammontano a 3300 franchi nella località più vantaggiosa, mentre nel cantone più caro salgono a 20’600 franchi, quindi una differenza esorbitante di oltre 17’000 franchi! Emerge anche che il divario tra i cantoni è aumentato, sebbene la legge volesse creare una migliore equità fiscale. A Ginevra, per esempio, l’onere fiscale di una famiglia con un reddito di 150’000 franchi è diminuito di quasi 5000 franchi dal 2009. Pure a San Gallo e Friburgo le famiglie sono state un po’ alleggerite, come illustra il grafico. D’altro canto a Berna, Aarau, Altdorf o Neuchâtel il fisco grava praticamente come prima dell’adozione della legge. Il confronto fiscale riguarda una famiglia con una persona che lavora, ma numerosi cantoni applicano ulteriori incentivi fiscali per le famiglie con un doppio reddito. Esistono inoltre notevoli differenze tra le deduzioni fiscali per la cura affidata a terzi e per la formazione dei figli. Che cosa significa concretamente per le vostre tasse ve lo spieghiamo all’indirizzo blog.bancamigros.ch. Il nostro dossier fiscale contiene inoltre numerosi consigli sugli aspetti da considerare nelle deduzioni. Attualità su blog.bancamigros.ch: ■ 50 consigli utili per le vostre tasse.
80’000 franchi di reddito
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■ Carico fiscale
Imposte cantonali, comunali e di culto nelle 26 capitali cantonali con un reddito lordo di 80’000 o 150’000 franchi. (Dati: AFC) Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Chi detiene il patrimonio finanziario? In queste settimane i contribuenti svizzeri ricevono posta dai loro uffici di tassazione. Si tratta dei formulari per la dichiarazione d’imposta per il 2015. Come tutti sanno, da noi, si tassa il reddito ma anche il patrimonio o, per usare il termine fiscale, la sostanza. Sia il reddito che il patrimonio sono indicatori di ricchezza. Nelle classifiche pubblicate dai media, per misurare la ricchezza individuale, come quella famosissima della rivista americana «Fortune», si usa il patrimonio. Per stabilire invece quelle dei paesi più ricchi si usa immancabilmente il reddito pro capite degli abitanti. Perché? Perché purtroppo, per quel che riguarda il patrimonio, è difficile ottenere dati che riguardano l’insieme di un’economia. Vediamo perché. Il patrimonio economico di una nazione può essere suddiviso in due componenti: il
patrimonio finanziario e il patrimonio reale. Si tratta, più o meno, della stessa distinzione che si fa nella dichiarazione del reddito tra sostanza mobile e immobili. In Svizzera, per merito della Banca nazionale, possediamo una statistica abbastanza dettagliata sul patrimonio finanziario. Del patrimonio reale, invece, sappiamo poco, anche se esisterebbero possibilità, in particolare nella contabilità nazionale, di costruire una serie per il capitale delle aziende e per il valore delle infrastrutture pubbliche. Resterebbe naturalmente da stimare il patrimonio immobiliare dei privati. E qui, come ben sanno i ticinesi, casca l’asino, perché, per paura del fisco, le valutazioni che si fanno riguardo a questo elemento patrimoniale sono sempre molto distanti dal valore di mercato. Per forza di cose, quindi, il nostro esame del patrimonio
svizzero si limiterà alla sua componente finanziaria. Notiamo che, se le cose oggi stanno come stavano alla fine del secolo scorso, vale a dire nel momento in cui venne fatta l’ultima stima dell’insieme del patrimonio dell’economia elvetica, il patrimonio finanziario dovrebbe rappresentare un po’ meno della metà del patrimonio totale. La statistica della BNS stima l’attivo e il passivo di 5 grandi gruppi di agenti economici. Si tratta, più precisamente, delle aziende che non appartengono al settore finanziario, delle aziende del settore finanziario, dello Stato (Confederazione, Cantoni, Comuni e assicurazioni sociali), delle economie domestiche e delle aziende che non perseguono scopi di lucro, e, da ultimo, dell’estero. L’ultima valutazione pubblicata riguarda il 2013. In quell’anno, il patrimonio netto (attivi meno passivi)
di questi cinque gruppi istituzionali ammontava a 870 miliardi di franchi. Più del patrimonio netto interessa però forse sapere a quanto ammontava l’attivo e a quanto il passivo. Per il 2013 il totale degli attivi raggiungeva i 21’193 miliardi, quello dei passivi, invece, ammontava a 20’323 miliardi. Si può quindi affermare che a livello dell’intera economia attivi e passivi si tengono la mano. Per operare economicamente devi fare debiti e per poter fare debiti devi avere delle garanzie che sono date dal tuo patrimonio. Le cose cambiano invece quando dal totale scendiamo al livello dei singoli gruppi istituzionali. Due degli stessi sono in attivo. Si tratta in primo luogo delle economie domestiche e delle aziende che non perseguono il lucro, con un’eccedenza di 1453 miliardi, e, in secondo luogo, delle aziende del settore finanziario che, nel
2013, avevano un’eccedenza pari a 219 miliardi. Due altri gruppi istituzionali vale a dire le aziende che non appartengono al settore finanziario (–790 miliardi) e l’estero (–798 miliardi) sono largamente in passivo. La contabilità finanziaria della Banca nazionale ci fornisce così un’illustrazione statistica di come funziona l’attività di investimento. In modo un po’ approssimato si può dire che i privati e le banche sono i creditori della nostra economia mentre le aziende di produzione di beni e servizi e le aziende residenti all’estero sono, invece, i debitori. Per quel che concerne il patrimonio finanziario dello Stato osserviamo da ultimo che, da una parte, attivo e passivo si bilanciano e che, dall’altra, gli importi del suo conto, relativamente a quelli dei conti degli altri gruppi istituzionali, non sono per niente importanti.
punto che non li avrebbe più utilizzati in Pakistan, ma non era vero) che ancora vengono usati con ampio margine di manovra anche legale, ora è arrivato il momento delle forze speciali, figlie di una considerazione piuttosto banale: dall’alto non si riesce più a contenere un’avanzata che è brutalmente attaccata alla terra. Gli «Special-Ops guy» occupano l’immaginario americano da tempo, sono protagonisti nei film e nelle serie tv, non obbediscono a molte regole e non hanno mai paura, si aggirano per il mondo a sistemare i guai che la diplomazia e l’attendismo non riescono a risolvere, protetti dal loro mantello di segretezza. Ora però sono molto di più, sono la forza dell’America contro il terrorismo, non più soltanto sugli schermi. La Casa Bianca ha annunciato che a dirigere il Central Command, cioè il comando che si occupa delle operazioni militari in venti paesi in Medio Oriente e Asia centrale (compresi Iraq, Iran, Siria, Yemen, Arabia Saudita, tutte le nazioni sul fronte, insomma), sarà il generale Joseph L. Votel, che è stato a capo delle Special Ops dal 2014. La sua nomina
ha generato molte chiacchiere nel mondo della Difesa: di solito quel ruolo è dato a generali con un background più convenzionale. Oggi ci sono circa 70 mila «Special-Ops guys», nel 2001 erano 45 mila, nel 2011 61’000: la segretezza delle loro operazioni – che coinvolgono 139 paesi – è utile perché non riempie le prime pagine dei giornali. Le forze speciali operano in Iraq, in Siria, anche in Afghanistan, dove il ritiro annunciato viene ogni giorno ritardato, e dove pure le forze speciali britanniche sono tornate per evitare un contagio islamista che procede a ritmi rapidissimi. Come ha scritto Matt Gallagher sul «New York Times», «i commando hanno “boots”, e questi “boots” toccano “the ground”», ma è più facile nascondere il ruolo «combat» delle forze speciali rispetto a quello dei marines. Così nella guerra che si combatte senza voler troppo infastidire l’opinione pubblica americana, un’altra contorsione linguistica è più utile che ammettere che, in questo ultimo suo anno da presidente, Barack Obama ha infine deciso di farla, la guerra.
studio, intitolato significativamente A mezza parete, gli autori parlavano di «rotture», «alienazione», «lacerazione». Improvvisamente l’immigrato meridionale si ritrovava gettato in un contesto estraneo al suo imprinting, un ordine dominato dalla razionalità tecnologico-scientifica della fabbrica moderna, fondata sulla disciplina di matrice protestante. Il «Gastarbeiter» si ritrovava così privato del suo retroterra, dell’appoggio su cui poteva contare nel suo paese d’origine: «Lo shock culturale è riportato alla perdita di sostegno da parte della comunità originaria, alla perturbazione dell’armonia che consegue alla perdita dell’identità etnica, al distacco dal gruppo primario d’appartenenza e di riferimento dei migranti». Colonia ha presentato un quadro ancora più articolato, perché, in un crescendo di violenze e provocazioni, ha messo in scena un intreccio di frustrazioni e misoginia che la cultura occidentale ha
saputo, nel corso del tempo, in qualche modo incanalare e cauterizzare. Altre culture invece, e quella araba è una di queste, sono rimaste avvinghiate alla rigidità dei ruoli imposti dal sistema patriarcale. Lo spazio pubblico è riservato agli uomini; le donne possono uscir di casa solo se accompagnate dal marito o dal fratello maggiore; il velo è ovviamente obbligatorio; laicità dei costumi è espressione sconosciuta. Alcuni analisti hanno invocato, per l’islam, una «rivoluzione sessuale», analoga a quella predicata in Occidente negli anni 60 del Novecento. L’analogia è azzardata. La differenza fondamentale è che i giovani di quegli anni inserivano le loro rivendicazioni in un moto di protesta molto più vasto, e già ampiamente secolarizzato. Nell’islam attuale tutto questo pare lontano, come hanno dimostrato le «primavere arabe», subito monopolizzate dai gruppi più integralisti. Un «femminismo islamico» non è, per ora, alle viste.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Forze speciali, fra immaginario e realtà L’Amministrazione Obama vuole aumentare il budget per la Difesa, sette miliardi di dollari in più per l’anno fiscale 2017, 35 per cento di fondi in più rispetto alle richieste dello scorso anno, per un totale di 583 miliardi di dollari – la richiesta sarà presentata dal presidente il 9 febbraio, assieme
Il generale Joseph L. Votel è stato capo delle Special Ops dal 2014.
al budget complessivo del governo americano. Secondo fonti del Pentagono, l’aumento è stato determinato per lo più dalla necessità di rivedere la strategia della guerra allo Stato Islamico, che si è dimostrata più complicata del previsto, e che ha imposto anche una riforma dentro al Dipartimento di Stato, con la creazione di un nuovo ufficio destinato alla lotta contro il reclutamento da parte degli jihadisti. La ristrutturazione di Foggy Bottom è complessa, così come i numeri del budget possono subire cambiamenti, ma il messaggio che arriva da Washington è chiaro: per sconfiggere il califfato ci vogliono più risorse, e anche naturalmente una volontà politica che, in questi anni, si è rivelata spesso altalenante. L’impegno militare dell’America nel mondo è molto più grande – e in crescita – di quanto il presidente Obama voglia far credere. C’è uno scollamento evidente tra quel che la Casa Bianca dice sulla guerra da combattere senza ripetere operazioni ampie – leggi: «boots on the ground» – e fallimentari del passato (è la celebre «lezione dell’Iraq»)
e lo schieramento di forze statunitensi nelle aree dei conflitti: se Obama predilige una retorica cripto-isolazionista, il Pentagono combatte facendosi ombra con i tentennamenti politici. Un esempio: in Iraq, secondo la versione ufficiale, ci sono ora 3650 soldati americani, che hanno l’obiettivo principale di formare l’esercito iracheno. In realtà, mettendo insieme le statistiche del dipartimento della Difesa, ci sono in Iraq 4450 soldati, più 7000 contractors che sostengono le operazioni americane (tre sono stati rapiti di recente a Baghdad), e di questi almeno 1100 sono cittadini americani che svolgono attività militari. Ma questa formalmente è una guerra che, appunto, esclude «i boots on the ground». Il cortocircuito ideologico – cioè la morte, assieme alla «lezione dell’Iraq», dell’altrettanto celebre «chiarezza morale» di George W. Bush – ha fatto sì che la guerra di Obama contro lo Stato Islamico diventasse un affare delle forze speciali. Così come, per buona parte del mandato presidenziale, la Casa Bianca ha fatto un utilizzo spregiudicato dei droni (annunciò a un certo
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Immigrati e profughi «a mezza parete» Tutti ci chiediamo, sempre più affranti, quando l’esodo cesserà: queste carovane di fuggiaschi che, tra mille stenti e vessazioni, marciano verso la terra promessa, verso l’Austria, la Germania, l’Inghilterra, i freddi paesi del Nord. Le migrazioni sono fenomeni ricorrenti nella storia dell’umanità, ci spiegano i sociologi, ma qui siamo di fronte a ondate che hanno cause precise, in focolai che le grandi potenze potrebbero spegnere da un giorno all’altro, se solo lo volessero. Ma evidentemente rivalità e veti incrociati bloccano sul nascere ogni tentativo di soluzione, lasciando all’Europa il compito di gestire i flussi in uscita dal Medio Oriente e dalle sponde africane. Compito improbo, come si vede, che incontra crescenti resistenze nei paesi di destinazione. Germania, Danimarca, Svezia, dopo una fase di generosa apertura, hanno deciso di richiudere le frontiere nazionali; nell’ex blocco orientale, con l’Ungheria in testa, la di-
sponibilità all’accoglienza non c’è mai stata, tutt’al più la creazione di corridoi di transito delimitati dal filo spinato. Ma la gestione dei flussi migratori, con i disaccordi che provoca, impatta anche sulla politica e sui rapporti di forza nell’Unione europea. L’incremento dei rifugiati ha offerto ai movimenti di destra un’ampia batteria di ragioni per alimentare le loro campagne xenofobe e sempre nuove occasioni per sospendere il trattato di Schengen e maledire l’Ue. La confusione si è fatta totale. Per l’opinione pubblica è sempre più difficile distinguere fra nuovi e vecchi profughi, tra stranieri domiciliati e richiedenti asilo, tra regolari e clandestini. La prova è giunta dalla notte di San Silvestro a Colonia, con la lunghissima coda polemica che ha generato: sul tipo di reati commessi, sull’origine etnica dei colpevoli, sul comportamento della polizia. Un caso esemplare d’informazione/ disinformazione, verificatosi in un mo-
mento delicato, già surriscaldato dal clima di emergenza e da allarmi di ogni genere. Tra l’altro è riemerso il concetto di «espulsione» per i profughi autori di crimini, proprio quel concetto che, in Svizzera, è al centro della votazione federale del prossimo 28 febbraio. Da parte sua, la Francia – esasperata dagli attentati dello scorso anno – medita di introdurre una norma che contempla la revoca della cittadinanza agli stranieri di recente naturalizzazione («déchéance de la nationalité française»). Ma i fatti di Colonia hanno portato alla luce anche un altro aspetto, finora rimasto sottotraccia: lo shock culturale, ossia l’urto tra due o più culture, visioni del mondo, concezione e collocazione della donna, ruolo delle credenze religiose. Già Delia Frigessi Castelnuovo e Michele Risso, agli inizi degli anni ’80, avevano osservato il disagio interiore che tormentava molti immigrati italiani catapultati dal Mezzogiorno nel triangolo industriale elvetico. Nello
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Cultura e Spettacoli Otto tipi loschi per Quentin A colloquio con il regista Tarantino, a Roma per presentare il nuovo film
Cartelli e pianoforti Il pianofortaio Lukas Fröhlich ci ha raccontato i retroscena del cartello che ruotava intorno ai pianoforti Steinway pagina 41
La poesia di Amelia Vent’anni or sono moriva la poetessa italiana Amelia Rosselli, animo nomade su cui sempre pesò la perdita del padre pagina 45
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Modernità americana Percorsi berlinesi La metropoli tedesca
suscita reazioni contrastanti tra gli intellettuali italiani all’inizio del Novecento
Luigi Forte Nelle pagine dei visitatori italiani la Berlino weimariana si snoda in un curioso itinerario, una guida turistica redatta a più mani da giornalisti e scrittori nati e cresciuti per lo più nel profondo sud. Come il calabrese Corrado Alvaro e i siciliani G.A. Borgese, Rosso di San Secondo e lo stesso Pirandello, che in Germania era di casa dopo gli anni di studio e la laurea in filologia romanza a Bonn nel 1891. Un posto di primo piano spetta anche all’emiliano Paolo Monelli che a Berlino restò ben cinque anni, dal 1921 al 1926, come corrispondente di alcuni giornali, tra cui «La Stampa». Le sue cronache raccolte poi nel volume Io e i tedeschi, che sconfinano nell’aneddoto o in estrose riflessioni sul paese ospite, muovono da Berlino per curiosare in giro per la Germania. Mentre gli italiani salivano al nord attratti dal fascino di una metropoli europea, qualcuno come l’ebreo Joseph Roth, inviato del quotidiano «Frankfurter Zeitung» scendeva al sud per raccontare con disincanto il Belpaese soffocato dal regime fascista. La passione per l’attualità politica gli fa dimenticare le rovine, i musei, il Lido e il Vesuvio. Egli si concentra piuttosto sulle aberrazioni del regime e con sguardo smaliziato ne coglie ogni ridicola ed enfatica espressione: bambini in uniforme con bandierine patriottiche che ricordano spettacoli di varietà, ritratti del Duce che sbirciano ovunque, biechi e astuti portinai nel loro ormai assodato ruolo – dai tempi di Metternich in poi – di occhi e orecchi della polizia. Roth ci parla di un’Italia in cui domina l’impotenza del cittadino, dove «neanche una commemorazione può essere tenuta senza l’autorizzazione della polizia». Ben altro è il contatto dei corrispondenti italiani con la realtà tedesca. Già nel 1907 Giuseppe Antonio Borghese esclama entusiasta: «Guardatela dunque forte gaia e spudorata, ricca di sangue e di gioia, la nuova Germania che passa». E Berlino gli appare irriconoscibile da un anno all’altro. Al suo confronto Monaco, un tempo centro vivacissimo di vita mondana e culturale, non è che una pigra e fumosa birreria. La Germania e la sua capitale rappresentano per i nostri intellettuali provenienti da una realtà piuttosto provinciale una finestra sul mondo e un’occasione per cimentarsi con le sfi-
de della modernità, che alle latitudini prussiane ha ormai un contrassegno americano. In un articolo per «L’Italia letteraria» sul clima intellettuale della capitale alle fine degli anni Venti Alvaro non ha più dubbi: «È certo che, oggi, – egli afferma – Berlino è più vicina all’America che a Londra o a Parigi. (…) Tutta la città lo ripete, e lo ripete la moda, la stampa, il teatro». L’Europa, e non solo la Germania, non aveva saputo resistere al fascino del cinematografo, alle Veneri fotogeniche e alla musica del jazz. Ma la vera rivoluzione consisteva nelle nuove modalità del lavoro e nel mutamento delle forme di vita metropolitana legate all’esperienza di massa. Qui la provincia italiana fa sentire la sua voce. Perfino un giornalista come Paolo Monelli osserva con diffidenza quella metropoli moderna fino alla nevrastenia con le sue ferrovie sotterranee e sopraelevate, le grandi stazioni e gli enormi empori di vendita. Gli pare che i suoi quattro milioni di abitanti siano soffocati dallo sviluppo industriale e rassegnati a quell’inferno di pietre. Chissà, forse anche i berlinesi sognano un po’ di provincia e non esitano a includere la natura in un programma di purificazione alimentato da un certo spirito romantico. Già prima della guerra Borgese aveva affermato che Berlino sulla Sprea era salita al primo posto fra le stazioni balneari, e offerto un ritratto indimenticabile del Wannsee nel solstizio d’estate. Com’era lontana la città zeppa di autobuspachidermi evocata in alcune poesie dal futurista Ruggero Vasari, dove il Kurfürstendamm diventa un Priapo che seduce il passante con la musica dei motori, la Gedächtniskirche un dinosauro pietrificato, mentre il metro della Friedrichstrasse rovescia dai suoi budelli «carne umana indigesta». Il Moloch urbano era la scena ideale per Marinetti e compagni, non forse per i cronisti-scrittori dei tardi anni Venti che al fascino della modernità, cui per altro non erano indenni, contrappongono la nostalgia per la provincia germanica, il suo medioevo ingenuo, come diceva Monelli, i borghesi birraioli, le ragazze romantiche. Proprio lui, così attento alla società berlinese nei suoi réportage sul mondo degli omosessuali, sui cabaret, l’antisemitismo e l’inflazione, dichiara apertamente il proprio disamore verso quella metropoli che per anni ha frequentato: «Berlino sa che io non l’amo; che odio il
L’Orangerie della residenza federiciana Sanssouci di Potsdam presenta molti elementi mediterranei. (Keystone)
suo deserto di case, che m’ossessionano le sue strade infinite, che male sopporto quei suoi caffè senza caffè bono, quelle sue trattorie senza vino sincero, quei suoi politicanti senza arguzia onesta». Nostalgie prevedibili del buongustaio italiano che gioca con gli stereotipi fra nord e sud, e di quella metropoli apprezza il messaggio culturale – come dimostra una sua visita alla grande poetessa Else Lasker-Schüler –, ma rifiuta la disumanizzante modernità. Se proprio deve ammirare qualcosa, allora si reca alla residenza federiciana di Sanssouci a Potsdam, cittadina uscita da un bislacco e geniale cervello regale. Il palazzo di Federico II e il parco circostante con i giardini da lui stesso disegnati, gli aranci sotto vetro e le migliaia di gelsi fatti venire dal Piemonte per introdurre in Prussia l’arte della seta, sono l’immagine un po’ esotica di un anacronistico angolo d’Italia. Tra quelle collinette, quei boschi di tigli e quei vigneti in serra il giornalista Monelli ha forse la sensazione di poter sfuggire
al cielo eternamente livido del Brandeburgo che, a suo parere, abbrutisce le fantasie e scolora i sogni. Diversa è l’ottica dello scrittore Corrado Alvaro negli articoli pubblicati su quotidiani e settimanali, da «La Stampa» a «L’Italia letteraria». Per lui la Germania era allora Berlino, motore propulsore della vita collettiva, immenso emporio industriale dove l’urbanesimo mostrava la sua faccia più impressionante e un’immagine talvolta distorta di modernità. Proprio Alvaro, amico devoto di Pirandello, estimatore di personaggi di primo piano come il critico W. Benjamin e di scrittori come Céline, è il più raffinato interprete di profondi processi in atto nella rivoluzione urbana come le nuove forme di esperienza collettiva o l’industrialismo che sembra sostituirsi alla natura stipando gli uomini nelle città come un tempo nelle primitive foreste. Dal suo punto di vista, il panorama della realtà metropolitana è, a dir poco, sconfortante. Berlino sviluppa e matura nello
scrittore calabrese la consapevolezza di quell’alienazione moderna che crea un nuovo tipo antropologico. La nuova fenomenologia urbana investe anche l’idolatria della merce che acquista un potere quasi mistico, ben oltre il suo reale valore. Alvaro sa osservare con disincanto le forme di feticismo che «l’emporio Berlino» scatena negli acquirenti. Così come si sofferma sulle nuove dinamiche del lavoro nello scenario di una città «interminabile e uguale, in cui le strade simulano una l’aspetto dell’altra» e dove le nuove architetture ispirate alla razionalità appaiono – era il giudizio di Pietro Solari – «piatte, tetre, disadorne scatole sovrapposte (…), funerei passatempi cubistici, senza mai l’umanità di una curva». C’è aria di nobile provincia nelle parole degli scrittori e giornalisti italiani, ma alla fine Berlino riuscirà a sedurre anche i più riottosi. È la vera iniziazione a un mondo aperto sul futuro e alle sue profonde e laceranti contraddizioni.
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Cultura e Spettacoli
Sono già tra di noi Tribù moderne Sull’inglese «The Guardian» la giornalista Catherine Bennett fa un’analisi
spietata di modi e trend del vivere di oggi, che deve essere soprattutto moderno
Il fascino radiofonico di Beckett a teatro In scena Laura
Mariarosa Mancuso Viviamo in mezzo a loro. Non sempre abbiamo la prontezza, la vivacità, la precisione e la penna per descriverli. Sono i tipi umani di questi anni dieci, diversi da quelli che circolavano negli anni zero. Anche se poi resta sempre uno zoccolo duro di nostalgici: chi ancora si vanta di non avere la televisione, e non ha capito che la televisione ormai si guarda su YouTube. Oppure fa da elettrodomestico, ma così elettrodomestico che la si tiene accesa con il volume a zero, per conciliare il sonno o fare da lucetta (in fondo siamo tutti un po’ bambini, e il buio totale angoscia). Ci ha pensato Catherine Bennett, sul «Guardian». Era il nostro quotidiano preferito – per brillantezza di idee e di scrittura – prima di dar spazio agli articoli della giornalista quasi omonima di una delle sorelle Bennet in Orgoglio e pregiudizio (una scrittrice, Jane Austen, che «i secoli passati non possono sciupare né l’abitudine guastare», per adattare la frase che Barney Panofsky dedicava a Miriam, l’amore della sua vita). Non bastasse, dal 1985 al 1992 Catherine Bennett era unita in matrimonio con Robert Sackville-West (Vita Sackville-West era l’amica a cui Virginia Woolf dedicò Orlando, lettera d’amore in forma di romanzo che speriamo i cultori del transgender non scoprano mai). Anche l’ex marito scriveva libri: The Disenherited è dedicato proprio a Perdita, la nonna spagnola e zingara di Vita. Fine del momento Downton Abbey, fine del pettegolezzo letterario, torniamo al nostro discorso. «Modern Tribes» è il titolo dell’appuntamento settimanale firmato Catherine Bennett, finti monologhi di gente arrivata al suo centesimo giorno
senza smartphone. Quindi chiede il tuo in prestito per guardare l’ora, per fotografarsi e mettersi su Instagram (mica ha chiuso il profilo, è una pausa di riflessione come nei fidanzamenti che non abbiamo il coraggio di rompere; o come quelli che smettono di fumare, poi pescano nel tuo pacchetto). Senza cellulare, non smette un attimo di raccontarti quando ha guadagnato in concentrazione e tempo libero (infatti lo vorrebbe trascorrere con noi che invece abbiamo un sacco di cose da fare, in rete e no). Tra i famosi, sta nella tribù Jonathan Franzen: quando ancora c’erano le prese e non il Wi-Fi aveva riempito di colla la presa che serviva per collegarsi in rete. C’è chi usa fiumi di parole per celebrare il silenzio, e raccontarti come e dove si è rinchiuso per una settimana, a praticare il mutismo. Di solito sono posti esotici, dove una volta si andava a disintossicarsi, mandando giù beveroni cari quanto pranzi e cene in ristoranti di lusso. All’origine – prima di tutte le SPA disseminate ovunque – era la colonia di Uscio, già immortalata in un racconto del ragionier Fantozzi (prima di arrivare al cinema con il volto di Paolo Villaggio era un libro firmato Paolo Villaggio). Senza muoversi da casa, c’è l’appassionata o l’appassionato di centrifughe: da tutto viene estratto il benefico succo, masticare o sgranocchiare non usa più. Naturalmente frutta e verdura devono essere biologici, arrivati a casa nella cassetta di legno del contadino, se non del gruppo d’acquisto. Il che a noi fa immancabilmente tornare alla memoria la scena del film di Sofia Coppola, MarieAntoinette: la regina si era ritirata nel Petit Trianon, e andava personalmente a prendere le uova nel pollaio (ovetti che
Pausetti ha portato in scena una pièce di Beckett Giorgio Thoeni
I membri delle tribù di Catherine Bennett sono illustrati per il «Guardian» da Ben Lamb.
in precedenza la servitù aveva preso, ripulito, e poi rimesso al loro posto sotto la gallina, adagiata peraltro su paglia pulitissima). Ci sono gli amanti della birra artigianale, chierici vaganti da un microbirrificio all’altro, per assaggiare certe birre nere dense come un minestrone. Più vicino a noi, basta andare a Milano, la moda del sushi sempre e comunque ha lasciato il posto alla moda dell’hamburger – più sciccosamente chiamato «burger» – sempre e comunque (a Roma invece la carne tritata e pressata viene chiamata «svizzera», e non abbiamo trovato nessuno in grado di fornire una spiegazione convincente). Non c’è nuovo ristorante – anzi «locale», pure ristorante non si dice più – che non abbia solo polpette in lista. «Smug vegan» permettendo. Sono, secondo Catherine Bennett, i vegani
orgogliosi e compiaciuti, sempre pronti ad assillare il prossimo loro. Cercano di convincerti a parole, a appena opponi un minimo di resistenza – anche il salame bisogna eliminare? – arrivano i video dei macelli. Più difficile convincersi che anche le uova e il latte vadano eliminati dalla dieta (moltiplicando le ore in cucina necessarie per produrre qualcosa di commestibile). D’altra parte, i nuovi devoti del «senza glutine», sostanza che ha nutrito l’umanità per secoli, ed è poco verosimile possa fare male a tutti (gli altri si chiamano celiaci, ed è una faccenda seria). Le barbe, qualche volta gli chignoncini, sono il segno sicuro degli hipster, tribù urbana che si riconosce anche dai malleoli scoperti d’estate, e dalle calze in vista d’inverno. Giacchine attillate, e calzoni una spanna sopra la caviglia, come se a tutti i membri della tribù si fossero ristretti i vestiti addosso.
Otto odiosi personaggi in cerca di Quentin Tarantino Incontri Il regista cult statunitense ha recentemente visitato Roma per presentare
il suo ultimo film, The Hateful Eight Blanche Greco «Quando comincio a scrivere un film, ne ho sempre in mente altri cinque e la difficoltà è decidere a quale storia e a quale “genere” dare la precedenza. Invece questa volta, ho cercato di condensarli tutti in uno. Come spettatore mi piace essere sorpreso da un regista che in un film riesca a cambiare “genere”, è qualcosa degno di un giocoliere, ed io ho questa dote. Così The Hateful Eight è un western, che ho scritto come una commedia alla Agatha Christie, una sorta di mistero della stanza chiusa. Ma è stato solo al montaggio, lavorando sugli effetti speciali, che mi sono accorto che in certi momenti era anche un horror». Ha raccontato Quentin Tarantino, che abbiamo intervistato a Roma alla presentazione di The Hateful Eigth («Gli odiosi otto»), che inizia in una landa del Wyoming innevato, su una diligenza che corre inseguita da una bufera di vento e di ghiaccio. Una storia che esplode in una stazione di posta dove otto personaggi, intrappolati dal maltempo, si raccontano e si affrontano. «Ma The Hateful Eight non vuole essere una riflessione intellettuale sul genere western, è un film concepito per il piacere e la gioia di chi ama il western!», ha messo subito in chiaro il geniale Tarantino. «La storia è tipicamente western, anche se l’ho creata come al solito a modo mio, nell’intento di rappresentarla in futuro anche in tea-
tro. Così, mentre fuori ulula la tormenta di neve, nell’emporio di Minnie sale la tensione tra i miei personaggi che, con i loro racconti e le loro verità, ricostruiscono un momento storico di un’America post-Guerra Civile, e fanno entrare la realtà esterna tra le pareti». Girato nella grandiosità dell’Ultra Panavision, in settanta millimetri, come gli spettacolari film degli anni ’50 e ’60, The Hateful Eight utilizza lo stesso tipo di pellicola e persino le stesse lenti ideate per la corsa delle bighe di Ben Hur: «Volevo evocare l’atmosfera del West, ricrearne la magia, e il settanta millimetri, “allarga quegli spazi”, cattura i minimi dettagli, le espressioni dei volti; scalda i colori della luce più fioca e allo stesso tempo, dà al film una sua personalità, un’unicità che trascende il genere stesso». Ha detto Tarantino che quando parla di un suo film, si racconta, svela il suo modo di lavorare, ma anche il complesso rapporto che ha con lo spettatore che, nella storia, ha un ruolo preciso: «Ho scritto il film, e poi l’ho riscritto varie volte, sempre da un punto di vista diverso. Ogni volta celavo una parte della vicenda, proprio come i miei personaggi che, nei loro discorsi non sono mai sinceri. E in questo non detto del film, s’inserisce lo spettatore, che mentre li ascolta, a poco a poco, si chiede chi di loro abbia ragione, dove stia la verità. Per complicare le cose e giocare con le emozioni dello spettatore, ho voluto che il prigioniero di John Ruth “il Boia”, che il cacciatore
Quentin Tarantino alla presentazione del suo ultimo film a Roma. (Keystone)
di taglie porta a Red Rock perché venga impiccato, fosse una donna. Ma Daisy, piccola e insolente, è davvero tanto malvagia? Quando lui la picchia, lo spettatore ha quasi uno shock e anche il Maggiore Marquis e Mannix il rinnegato, sembrano turbati. Il fatto che sia una donna, e che non si dica mai cosa abbia combinato, a un certo punto le dà quasi un’aura da perseguitata. Un capovolgimento del personaggio che ottengo senza barare, senza mentire, solo con qualche ambiguità». Daisy parla poco, mentre quegli uomini intrappolati nell’Emporio dal gelo esterno, attanagliati dalla paura reciproca, tentano di confondersi l’un l’altro con le parole. Dai loro discorsi emerge un’America distrutta, razzista,
feroce. Un Paese che sembra riecheggiare l’attualità: «Quando ho iniziato» – ha precisato Tarantino – «volevo descrivere in un film western quel che era avvenuto in America dopo la Guerra Civile, e quindi il razzismo dell’epoca, quando l’America bianca del Nord e quella del Sud si confrontavano col fatto che i neri non erano più schiavi, ma «cittadini» come gli altri, padroni di attraversare il Paese e di scegliere il proprio destino. Era finito un modo di vivere, un ordine sociale, e una parte della società americana non si riconosceva più in quella realtà. Mentre scrivevo però mi sono reso conto che i miei personaggi ricordavano umori molto attuali, venuti a galla in parte del Paese dopo l’elezione del primo Presidente nero d’America. La destra pronunciava frasi come: “Ridateci il nostro Paese!”, “Questo non è più il nostro Paese!”, dichiarazioni simili a quelle del periodo post Guerra Civile. All’inizio volevo solo scrivere un western, la storia di una diligenza che attraversava un Paese innevato, non pensavo di raccontare questo aspetto, ma adesso ne sono quasi fiero, perché come scrittore l’ho captato, l’ho interpretato e ne ho fatto una parabola sul razzismo in America». The Hateful Eight è l’ottavo film di Quentin Tarantino, che, a suo dire, si concederà ancora due, o tre film, prima di smettere con il cinema, per fare lo scrittore a tempo pieno: di commedie, di romanzi e di libri sul cinema.
«L’essenziale è invisibile agli occhi». È una frase di Antoine de Saint-Exupéry e s’addice perfettamente al mondo del radioteatro, con quella sua straordinaria capacità di far vivere nella mente dell’ascoltatore le fantasie suggerite dalle suggestioni fra parole e suoni. Per fare il paio con la massima del creatore del Piccolo principe prendiamo a prestito quanto Samuel Beckett ha detto per commentare All That Fall, un atto unico da lui scritto per il terzo canale radiofonico della BBC e andato in onda nel 1957: «è un testo scritto per uscire dal buio». Come l’invisibile agli occhi di Saint-Exupéry così l’opera drammatica del grande irlandese diventa «essenziale» per uscire dal «buio» metaforico della radio e mostrare il suo splendore dando luce ai personaggi. È quello che deve aver pensato la regista Laura Pausetti nel voler mettere in scena All That Fall per la compagnia locarnese CambusaTeatro, proposto alla platea ticinese nella versione italiana con il titolo Tutti quelli che cadono. A suo tempo la BBC aveva commissionato l’opera al drammaturgo sulla scorta del successo che egli aveva ottenuto con il suo Aspettando Godot pochi anni prima. E come quel capolavoro anche Tutti quelli che cadono è un tipico play che mostra tutte le caratteristiche dello stile del Nobel di Dublino con un misto fra la commedia macabra e la tragedia servite su un piatto di humour. La settantenne Maddy Rooney, «duecento libbre di grasso malsano», si reca alla stazione di Boghill per andare incontro a Dan, il marito non vedente. Vuole fargli una sorpresa per il suo compleanno. Lungo il tragitto incontra diversi personaggi locali, sennonché il treno arriva in ritardo a causa di un incidente sul quale il signor Rooney non sa fornire spiegazioni. Sarà un bambino a svelare l’arcano e a suggerire a Maddy l’ultima battuta in una citazione biblica: «Dio perdoni tutti quelli che cadono» (Salmo 145). Fedele all’impostazione originale, la regia ha saputo ricreare il fascino radiofonico con voci e ambienti creati «al buio» accanto alla scena centrale della coppia protagonista lungo un inesauribile saliscendi fra scala e ripiani come in un paradosso geometrico di Escher, sulle note d’apertura e chiusura de La morte della fanciulla di Schubert. In questa trasposizione c’è davvero del buon teatro con le luci (Manuel Frenda), i costumi (Simona Paci), le scene (Leonardo Modena) e la sonorizzazione (Enrico Maggione) a sostenere l’ottima prova di Laura Rullo e Ulisse Romanò, con le voci e i rumori di Adele Raes, Massimo L. Villucci e Marco Taddei. Dopo il debutto e le repliche fra Minusio e Lugano, lo spettacolo sarà nuovamente a Minusio dal 17 al 19 marzo.
La locandina del nuovo spettacolo della compagnia TeatroCambusa.
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Cultura e Spettacoli
Il tasto dolente dei pianoforti svizzeri Musica Lukas Fröhlich della Bottega del Pianoforte commenta la recente sentenza COMCO Zeno Gabaglio Non capita spesso che la nobile arte di chi vive con i pianoforti – studiandoli, vendendoli, curandoli, accordandoli – rientri nei discorsi di coloro che si occupano di musica o più ampiamente di cultura. E ancor meno facilmente può succedere che l’uomo comune – quello che i pianoforti li sente tutti i giorni senza magari accorgersene – venga direttamente toccato da un tema tanto specifico. Eppure poche settimane fa tutti gli organi d’informazione nazionali hanno riportato proprio una notizia che riguardava il mondo dei pianoforti. Non era invero particolarmente lusinghiera – ma spesso di certe cose se ne parla solo per i risvolti negativi – la comunicazione con cui la Commissione della concorrenza (COMCO) annunciava di aver comminato multe per un ammontare di circa mezzo milione contro Musik Hug AG e AKHZ Management AG: commercianti di pianoforti del marchio Steinway & Sons rei d’aver violato la legge sui cartelli, attraverso accordi orizzontali sui prezzi. Nella notizia c’era anche un elemento ticinese, in quanto La Bottega del Pianoforte – storico rivenditore luganese – aveva «adattato i propri prezzi agli accordi illeciti, ma essendo l’impresa che ha denunciato questa violazione di legge le è stata condonata la sanzione». Per cercare di capire qualcosa di più ci siamo così rivolti a Lukas Fröhlich de La Bottega del Pianoforte, chiedendo innanzitutto se la decisione della COMCO (peraltro ancora passibile di ricorso) abbia – dal loro punto di vista – finalmente reso giustizia. «La multa stabilita, nella sua entità, è quasi ridicola, e l’intero affare ha assunto connotati quasi farseschi. La casa madre Steinway non è stata sanzionata e i 518’000 franchi di multa (cioè l’equivalente del valore di neanche quattro pianoforti da concerto) e per di più suddivisi tra due grosse ditte è davvero poco rispetto al danno che per decenni
Il pianofortaio Lukas Fröhlich della Bottega del Pianoforte.
è stato conseguenza di atteggiamenti illeciti». Qual è dunque stato questo danno? Musik Hug AG di Zurigo, probabilmente il più celebre e storico negozio musicale svizzero, «senza averne diritto e con accordi mai scritti ha da sempre stabilito il prezzo che ogni rivenditore Steinway & Sons doveva applicare sul territorio nazionale, mentre la casa madre tedesca delimitava (sempre senza averne titolo legale) le aree d’azione dei tre rivenditori ufficiali: Hug per il nord-est, AKHZ Management AG (già Krompholz) per l’ovest e La Bottega del Pianoforte per il sud». Per decenni, quindi, chiunque volesse acquistare in Svizzera uno Steinway – la «Ferrari» del pianoforte – poteva quindi rivolgersi esclusivamente a uno dei tre rappresentanti, che a loro volta potevano accettare il cliente solo in base alla distribuzione geo-
grafica voluta da Steinway e applicando i prezzi stabiliti da Hug. Il problema era che, in media, i prezzi imposti dalla Hug erano di 10’000 franchi più cari rispetto allo standard europeo, e ancor di più rispetto a quello inglese. «In realtà quello che noi per decenni abbiamo fatto a Lugano» continua Fröhlich «era di esporre sui propri pianoforti il prezzo deciso a Zurigo, ma applicare sistematicamente uno sconto di almeno il 10% per rientrare in una logica di prezzo equa su scala europea». L’intera vicenda non è però emersa perché qualcuno ha casualmente scoperto il cartello commerciale, ma in seguito al concorso pubblico di appalto per la fornitura di pianoforti bandito nel 2012 dalla Scuola universitaria d’arte di Zurigo. «Eravamo davvero indecisi se partecipare o meno a quel concorso. Perché era sottinteso
– rispetto all’accordo non scritto imposto da Steinway – che non avremmo dovuto parteciparvi, lasciando campo libero alla ditta zurighese (malgrado il concorso fosse su scala internazionale). Nessuno aveva partecipato dall’estero e dalla Svizzera erano pervenute solo l’offerta Hug e quella della Krompholz, che reggeva il gioco non discostandosi da quella dei colleghi che avrebbero dovuto vincere il concorso. Noi abbiamo però fatto la nostra offerta, che è risultata la migliore». E questo gesto ha scoperchiato il vaso di Pandora, con informazioni confidenziali trapelate, con minacce dirette da parte della Hug, con l’intervento della casa madre tedesca Steinway a cercare di far indietreggiare la Bottega. Il risultato è che l’azienda luganese ha vinto l’appalto, la COMCO ha svolto la propria inchiesta e la
Steinway & Sons ha tolto la rappresentanza diretta alla Bottega del Pianoforte. «Ufficialmente per una non meglio precisata riorganizzazione dell’area nord-lombarda. Per noi è stato dapprima un colpo – dopo decenni di lavoro soprattutto con quel marchio – e poi un nuovo inizio. Oggi vendiamo e ripariamo comunque gli Steinway, ma anche altre marche che hanno raggiunto un’ottima qualità, come Yamaha». Le sfide nel presente e nel futuro – per un mestiere antico come quello del pianofortaio – certo non mancano. Su tutte quella di difendere una cultura e una professionalità di cui in pochi sono custodi, e che «purtroppo non sempre viene riconosciuta, nemmeno in Ticino e nemmeno dalle istituzioni che sul sapere musicale dovrebbero fondare la propria ragion d’essere».
Più dalla parte di Torvald che di Nora Teatro Shammah corregge la lettura femminista di Una casa di bambola
Giovanni Fattorini È opinione largamente diffusa, in ambito teatrale, che a chi intenda mettere in scena un classico – specie se molto frequentato – serva anzitutto «un’idea forte»: espressione che per molti registi equivale al romanesco «fàmolo strano». (Nella stragrande maggioranza dei casi, «un’idea forte» è un’idea piccola, che appare tanto più riduttiva quanto più grande è la complessità del testo rappresentato). All’origine della messinscena di Una casa di bambola firmata da André Ruth Shammah ci sono due «idee forti». La prima – come
si legge in una nota del programma di sala – è che al contrario di quanto comunemente si crede Nora Helmer non è affatto «la vittima, anzi è lei che regge i fili e manipola il marito, obbligandolo a interpretare ruoli diversi». Non ho spazio sufficiente per contestare un’affermazione che mi pare frutto del fraintendimento di un testo di Groddeck e della volontà di stupire, di essere azzardatamente originale. Mi limito a due constatazioni: 1) nel terz’atto sono state eliminate, con intenzione disonesta, non poche delle battute che fanno di Nora una moglie egoisticamente e crudelmente oltraggiata, e poi una lu-
Filippo Timi (che interpreta tre ruoli) insieme a Marina Rocco-Nora. (T. Le Pera)
cida e ferma antagonista del marito; 2) dall’inizio alla fine dello spettacolo Marina Rocco (Nora) è soverchiata dall’istrionismo di Filippo Timi, al quale la regista (dietro suggerimento o richiesta dell’ingordo gigione?) ha assegnato le parti di Torvald, Rank e Krogstad, come fossero l’espressione trina di un’unica realtà maschile. Questa seconda «idea forte» ha reso ovviamente necessario – nei momenti in cui Torvald e Rank sono compresenti – modificare il testo ibseniano (con esito poco felice, a mio parere) al fine di rendere plausibili le uscite di scena dell’uno o dell’altro. Ho trovato invece apprezzabile la trasformazione in dialogo non lezioso con la piccola Emy (l’arricciata e bionda Angelica Gavinelli, graziosissima arpista di otto anni) delle parole con cui Nora, nel secondo atto, si rivolge ai tre figlioletti. Meno apprezzabili le interpolazioni di non poche battute – attribuite a personaggi diversi – scritte in parte dalla stessa Shammah e in parte tratte da un altro testo ibseniano, La commedia dell’amore: interpolazioni incongrue o ridondanti, che mi hanno fatto pensare alle parole che occasionalmente, durante le prove, Eduardo De Filippo indirizzava agli attori portati a strafare, a metterci troppo del loro: «Non miglioratemi». In qualche punto i personaggi si rivolgono direttamente al pubblico: l’interpre-
tazione psicologica cede inaspettatamente il posto allo straniamento brechtiano. A indebolire la suspense del terz’atto, l’angoscia crescente di Nora, e la tensione del celebre «rendimento di conti» conclusivo, contribuiscono non solo i tagli di cui dicevo all’inizio, ma anche la messa in atto di quella che si potrebbe chiamare la terza «idea forte»: l’idea cioè che Una casa di bambola, come dice Groddeck, è anche una commedia: il che significa, per Shammah, un’opera che deve anche far ridere, e per Filippo Timi (talentuoso attore incline al gigionismo) un’autorizzazione a largheggiare in caccole, gag e ammiccamenti (più o meno concordati con la regista). Nei panni di Torvald, Timi ricalca in modo spudorato il Walter Chiari più gesticolante. Munito di bastone e collare ortopedico, il suo macchiettistico dottor Rank si muove coi passettini stentati di chi ha seri problemi di deambulazione. Di una fisicità meno marcata è Krogstad, ma quando punta il dito sulla firma che Nora ha falsificato, Timi non esita a guitteggiare lanciando al pubblico un’occhiata da compiaciuto volpone. Del resto, non c’è un solo momento in cui l’attore sembri aderire emotivamente a dei personaggi che gli sono palesemente estranei. Quanto alle principali ragioni per cui la Nora di Marina Rocco non può definirsi memora-
bile (i tagli operati dalla regista e il prevaricante Timi), ho già detto più sopra. Mariella Valentini è Kristine Linde: un po’ troppo rigida, a mio parere. In abito campagnolo, Andrea Soffiantini è l’anziana ex balia Anne Marie, piacevolmente prodiga di proverbi tratti da La commedia dell’amore. Nella scena firmata da Gian Maurizio Fercioni e Barbara Petrecca (luci di Gigi Saccomandi) domina un color rosa fondotinta. «Tu non mi capisci, e anch’io non ti avevo capito, fino a stasera» dice Nora a Torvald nella scena del «rendimento di conti». Accantonando Groddeck, sarebbe stato meglio inscenare il testo ibseniano con ambizioni meno confusamente dimostrative, e avendo presenti le sempre attuali frasi che nella versione cinematografica di Passaggio in India – nel romanzo di Forster la considerazione è espressa in forma indiretta – Mrs Moore pronuncia in presenza del figlio Ronny e della sua fidanzata: «Talvolta penso che si è fatto troppo chiasso a proposito del matrimonio. Secoli e secoli di amori dichiarati, di congiungimenti carnali, e non ci siamo avvicinati abbastanza da capirci l’un l’altro». Dove e quando
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Cultura e Spettacoli
Reinventare la lingua
Una radio di frontiera
Anniversari La poesia di Amelia Rosselli a vent’anni dalla morte
Media Intellettuali
Daniele Bernardi Quando Carlo Rosselli venne ucciso per mano delle milizie dell’estrema destra francese, sua figlia, la poetessa Amelia Rosselli (Parigi, 1930 – Roma, 1996), aveva appena sette anni. Era il 1937. Intellettuale antifascista, storico e giornalista, Rosselli fu assassinato assieme al fratello Nello su ordine dei servizi segreti italiani, da parte di Benito Mussolini e Galeazzo Ciano. L’evento segnò indelebilmente la piccola che, più tardi, a distanza di anni, avrebbe descritto Carlo Rosselli con queste parole: «Di mio padre, a parte l’affetto, resta in me un senso di non corporeità». Tale affermazione avvicina fortemente il sentire della poetessa a quello di un’altra grande scrittrice del ’900: l’americana Sylvia Plath (Boston, 1932 – Londra, 1963) che, come lei, rimase orfana di padre quando era solo una bambina. Non è un caso che Amelia Rosselli fu ottima traduttrice delle poesie della Plath e che ugualmente, nel medesimo giorno di un inverno di vent’anni fa, si tolse la vita nel suo appartamento in via del Corallo a Roma. Forse, come sostiene Giovanni Giudici nella nota introduttiva al volume Le poesie, edito da Garzanti nel 1997, «l’argomento principale della poesia di Amelia Rosselli» è davvero la lingua. Infatti, fin dai suoi primi tentativi di scrittura, l’autrice si mosse sotto il segno del plurilinguismo: buona parte dei testi che vanno dagli anni 50 agli anni 60 sono in inglese e francese. Venuta alla luce durante l’esilio parigino del padre, trasferitasi, poi, con la famiglia a Londra e, successivamente, a New York, scrisse di sé: «Nata a Parigi travagliata nell’epopea della nostra generazione / fallace. Giaciuta in America fra i ricchi campi dei possidenti / e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro. / Scappata dall’Inghilterra paese di sofisticati...». Tale peculiarità fa della sua opera un caso assolutamente a parte nel panorama letterario italiano del secolo scorso. Inoltre, un altro aspetto determinante per comprendere il carattere della scrittura rosselliana va ricercato nell’appassionato studio della musica e delle teorie musicali che dominò gli anni della sua formazione. Non da ultimo, infine, ciò che caratterizza questa poesia è pure un uso singolare e cosciente dello spazio: si tratta di componimenti che, spesso, invadono massicciamente il foglio come
Un’intensa immagine della poetessa italiana Amelia Rosselli.
veri e propri blocchi di materia (su questi argomenti, si veda il saggio Spazi metrici, allegato alla raccolta Variazioni belliche del 1959). Eppure la ricerca poetica di Amelia Rosselli non è un mero gioco linguistico-sonoro-grafico; in ballo, in questo «fare discorso», c’è qualcosa che supera di gran lunga, e neppure prende in considerazione, la sperimentazione come esercizio avanguardistico. In quel Panegirico della libertà che è il lungo poema La libellula (1958), la poetessa indica, citandone ripetuta-
mente i versi, alcune personalità che pervadono lo spirito della sua operazione; tra queste quelle di Arthur Rimbaud e, soprattutto, di Dino Campana. Sfogliando le pagine del «folle di Marradi», specialmente gli appunti che testimoniano il disgregarsi del linguaggio in balia del terremoto psicotico, appare evidente quanto dell’operazione campaniana sia presente nella necessaria costruzione di una lingua propria, originale, che è la poesia di Amelia Rosselli. Questo spiega il costante (e riven-
dicato) uso dell’errore creativo, del lapsus e dei «cortocircuiti semantici» all’interno di una testualità che, probabilmente, tendeva a contenere quella dilagante e sopracitata «non corporeità» da cui la poetessa era invasa – non va dimenticato che pure alla Rosselli, come alla Plath e a Campana, venne diagnosticata una patologia psichiatrica. Forse, uno dei versi che espone bene, dichiaratamente, questa dolorosa insofferenza e il conseguente progetto espressivo è reperibile nelle sue Variazioni del 1960-61, quando l’io poetico afferma: «Cerco la durata delle sicurezze, ma l’orologio, il numero / ha asfissiato la mia bellezza, e l’armonia del numero mi / ha rotto le scatole della tolleranza (...)». E ancora: «Le regole della vita sono più asfissianti della mia bellezza». È quindi un reclamato, rimbaudiano, bisogno di reinvenzione della lingua, dell’ordine e della vita ad alimentare il fuoco che ha prodotto le moltissime poesie di cui è composta l’opera della scrittrice. Tra i primi ad accorgersi del valore di Amelia Rosselli ci fu Pier Paolo Pasolini, che nel 1963 introdusse con una «calda presentazione» una selezione di testi sul «Menabò» di Elio Vittorini. A distanza di alcuni anni, sulle pagine di «Tempo», nella rubrica Il caos, il grande intellettuale e scrittore ne ribadì l’importanza con queste parole: «Di scrittori di versi “scoperti” in questi ultimi dieci anni ce n’è molto pochi. Posso fare in tutta coscienza due soli nomi: Amelia Rosselli (che è veramente un grande poeta) e Dario Bellezza». Oggi le poesie della Rosselli sono conosciute e valorizzate editorialmente (Mondadori ha dedicato loro un volume nella collana de I Meridiani nel 2012) ma il nome dell’autrice è noto, soprattutto, tra i lettori e gli appassionati del genere. Sembra quindi giusto, nel ricordare questa grande, dolente figura della letteratura italiana, condividere alcuni suoi splendidi versi tratti dalla raccolta Documento, del 1966-1973: «Siamo nella verde ombra del deserto / e vivi sempre assieme a tuo fratello / corrosa da nessuna attitudine. // Linguaggio divenuto senile abitudine / feconda intelligenza col nemico / frase impercettibile nel silenzio / il suo acume di uomo doloroso. // Un sole bianchissimo di faccia alle / finestre spazza via questo resto di / programma programmandone altri che / però non hanno quel noioso rigore // di cose in cui non credi».
italiani e RSI secondo Nelly Valsangiacomo Fa ancora un certo effetto ascoltare la voce di Benedetto Croce che il 4 ottobre del 1936 rivolgeva agli ascoltatori di Radio Monte Ceneri la sua conferenza su «vite romanzate e romanzo storico». Un reperto radiofonico d’epoca di questo tipo, più di qualsiasi altro documento, ci può mostrare come sia cambiata la fisionomia della comunicazione mediatica via etere ma, soprattutto, quali alte ambizioni culturali nutrisse il «progetto RSI» ai suoi esordi. Il bel libro di Nelly Valsangiacomo, Dietro al microfono. Intellettuali italiani alla Radio Svizzera (1939-1980) (Ed. Casagrande) è uscito alla fine dello scorso anno ma, letto oggi, acquista un significato particolare. Le recentissime vicende che hanno coinvolto la gestione dell’ente radiotelevisivo ticinese possono stimolare il desiderio di un approfondimento anche storiografico sulla funzione sociale e culturale che la radio e in seguito la televisione hanno esercitato nel nostro cantone. E lo studio della Valsangiacomo, attenta osservatrice delle dinamiche sociali di casa nostra, serve sicuramente a ricordarci da un lato l’importante ruolo ricoperto dalla rete radiofonica nazionale, vero collante identitario per la comunità elvetica, dall’altro il costante e solido rapporto che l’emittente ticinese aveva fin dagli inizi intrattenuto, necessariamente, con la realtà culturale italiana. Da un punto di vista strettamente storico, fin dalla sua creazione l’«Ente autonomo per la radiodiffusione nella Svizzera italiana» nel 1932, dovette inevitabimente misurarsi con una «battaglia ideologica». L’altra voce italiana che solcava l’etere nella nostra regione era quella dell’EIAR ed era fortemente imbevuta di propaganda fascista. Radio Monte Ceneri si trovava quindi nella condizione di dover sottolineare la sua neutralità elvetica ma allo stesso tempo doveva mostrare di essere immune ad ogni tipo di influenza ideologica straniera. Da qui l’invito a partecipare ai suoi programmi rivolto a esponenti dell’antifascismo, come Croce, e a molti altri intellettuali. Un’attenzione alle personalità di spicco del mondo culturale italiano che è proseguita nel tempo: il libro e il sito www.rsi. ch/dietroalmicrofono ne ricostruiscono le varie tappe fino agli anni 80. /AZ
Per Carlotta Silini, scrittrice Meridiani e paralleli La giovane studentessa di medicina ha dato alle stampe Igiene di vita,
un bel libro di poesie edito da alla chiara fonte
Giovanni Orelli Tutti sanno, più o meno, che cosa è una farfalla e che cosa è un’ape, e che cosa ancora un verme. Senza scendere nei dettagli, a meno che uno sia uomo di scienza, per il dettaglio su cui scava, o sia un comune mortale che abbia necessità o curiosità per certi animali… Ma anche chi non ha tale curiosità (ne avrà altre) sa pure o deve pure sapere che anche i nomi farfalla e ape e verme hanno un loro valore metaforico. Valore che è particolarmente caro a poeti. Valga per tutti l’esempio di Dante che nel Canto X, 121… del Purgatorio ha parole dure per la superbia dei cristiani: O superbi cristian, miseri lassi, (…) non v’accorgete voi che noi siam vermi nati a formar l’angelica farfalla (…) Dante ha probabilmente preso da
Sant’Agostino il paragone: tutti gli uomini (e donne) che nascono dalla carne, che cosa sono se non vermi? E dai vermi Dio non può fare angeli? (ma vedi il commento del Sapegno, di necessità breve). La farfalla è non producente. È forse poco svizzera? Mentre l’ape fa miele. E dunque un contadino (e anche non contadini) «votano» per le api (anche se pungono, e le farfalle no) e non votano per le farfalle che hanno, per fortuna loro, la sola bellezza delle ali: per volare, in senso proprio e in senso figurato. O farfallina dall’ali dorate… La brava scrittrice (stavo per scrivere «farfalla»!) Carlotta Silini è molto giovane, è del 1990, è ticinese che «vive tra il Ticino e Losanna, dove frequenta la facoltà di medicina», e non so di più; ma a me pare tra i poeti di valore della Svizzera italiana; e non lo si dice
pensando qui al 2015, ma pensando a Svizzera italiana fin da quando «Svizzera italiana» è. Veda il lettore la sua recente raccolta (settembre 2015) Igiene di vita, alla chiara fonte Ed. Farfalla e ape hanno una loro prima apparizione già nel secondo tempo della prima poesia, che ha per titolo Ospedale africano. I versi sono per una Given: chi è? chi di noi?, bersagliata lei da una malattia dietro l’altra: A Given che ha tredici anni. Hai addosso l’odore del timo, di prati ricolmi di api ma non sei che una farfalla: tu non sai fare il miele. A chi vuoi far paura con quelle ali fragili? (p. 9). Partendo da questa fragilità, legga il lettore gli altri versi (io, per ragioni di spazio, devo saltare al quarto movimento, pagina 12):
Se potessi dare un nome al senso di ogni giorno credi davvero che saresti più felice? Così chiede la farfalla, e ha occhi come laghi (…) Lascia i trifogli alle api, allora, non farti schiacciare: hai sguardi senza macchia da offrire a chi li vuole.
La copertina del libro di Carlotta Silini.
Ecco, per finire (e mi rincresce), p. 23, un frammento della poesia per la Paziente C. «Tra suicidi mancati ci s’intende alla grande! C’è un non so che, / un feeling esclusivo. La ragazza C. passa dal riso al pianto / con notevole violenza, e più rapida di un mamba. / Si è impiccata, si è impiccata! (…) / Ci sei andata a San Silvestro per la sfilata / di un anno che prometteva vita e amore, sempre e ancora?» Sguardi senza macchia li ha pure lei, Carlotta Silini.
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Cornice per foto MARCEL
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Il Gattopardo dietro alle quinte È l’alba del 14 maggio 1962. A Palermo, in piazza San Giacomo Decollato, iniziano le riprese de Il Gattopardo, con una troupe di 200 persone. Si batte il primo ciak sulle tre macchine da presa che Luchino Visconti ha chiesto per i sei mesi della lavorazione. Si girano le scene della battaglia di Palermo. Il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, da cui è tratto il film, inizia nel 1860, alla vigilia dello sbarco dei Mille di Garibaldi a Marsala. Il film invece prende l’avvio dall’ingresso dei garibaldini a Palermo che si battono contro i soldati di Franceschiello, con la folla che invade le strade e le donne scatenate a linciare le spie borboniche. Nel 2013 Il Gattopardo è stato restaurato 50 anni dopo la sua uscita. Vale la pena, rivedendolo, rievocare, con l’aiuto delle cronache dell’epoca, l’eccezionale sforzo produttivo. Un terzo del film è occupato dalla sequenza del ballo, destinata a restare nella storia del cinema mondiale come un esempio di perfezione assoluta. Richiese 36 giorni di lavorazione e fu girata
nel palazzo Gangi di Palermo, in 14 ambienti diversi, compresi i saloni illuminati con migliaia di candele. Oltre ai 20 attori furono impiegati: 120 donne, 122 uomini, di cui 42 in divisa da ufficiali piemontesi, 16 fra camerieri e maggiordomi, 9 orchestrali, 10 valletti, 6 staffieri, 6 cocchieri, 6 carrozze con cavalli. Tutto questo in scena. Fuori scena lavorarono per loro 120 fra truccatori, parrucchieri e sarte, 15 fiorai (i fiori arrivavano da Sanremo), 10 cuochi. A mezzogiorno si iniziava a vestire e pettinare tutta quella massa di persone. A causa del caldo opprimente le riprese iniziavano alle 8 di sera e terminavano alle 4 del mattino. Bisognava controllare senza sosta figuranti e attori che tendevano a spogliarsi parzialmente per trovare un po’ di refrigerio. Ricorda Giuseppe Rotunno, direttore della fotografia, che occorreva creare l’illusione nello spettatore che gli ambienti fossero illuminati soltanto dalle candele. All’inizio provarono ad accenderle tutte e scoprirono che l’operazione richiedeva ogni volta 55 minuti.
italiani, e i siciliani in particolare, sono cresciuti e aumentati di stazza. I cuochi preparavano ogni sera i famosi timballi che dovevano arrivare in scena fumanti, i trionfi di aragosta e i succulenti dolci siciliani. L’autore delle musiche, il maestro Nino Rota, propose a Visconti una sua sinfonia in stile ottocentesco; anche i ballabili suonati dall’orchestrina durante il ballo, sono suoi: un valzer, una mazurka, una polka, una quadriglia, un galop. Prima di congedarsi dalla festa, il principe di Salina invita Angelica, promessa sposa di suo nipote Tancredi, a ballare un ultimo valzer, che ha una storia curiosa. È un valzer, fino ad allora inedito, di Giuseppe Verdi. Il montatore del film, Mario Serandrei, bibliofilo e collezionista, molti anni prima aveva comprato l’autografo della partitura e ora ne faceva dono al regista. La festa conclude il film, mentre il romanzo prosegue fino al 1910. Nel 1963 Il Gattopardo vince la Palma d’Oro al Festival di Cannes e, dopo un iniziale sconcerto del pubblico per la sua inusuale lunghezza,
inizia a farsi apprezzare. Negli USA, per il titolo (The Leopard) e la presenza di Burt Lancaster, gli spettatori sono indotti a credere che si tratti di un western ed escono delusi dalle sale. Il tempo è galantuomo e ora il film è considerato un capolavoro assoluto, il Via col vento italiano, il film dal quale non si può prescindere per entrare nelle pieghe della storia d’Italia. È costato uno sproposito, due miliardi e novecento milioni di vecchie lire, corrispondenti oggi a cinquanta, sessanta milioni di euro. Visconti, consapevole che la lunghezza del film può essere un ostacolo per la distribuzione, si dichiara disponibile a tagliarne una parte; il produttore Goffredo Lombardo ringrazia ma rifiuta, anche per lui quello è il film della vita. La Titanus si avvia sulla strada del fallimento e per scongiurarlo Lombardo, scomparso nel 2005, vende tutto quello che possiede, salvando solo i gioielli della madre. Ma ne è valsa la pena, grazie al Gattopardo è entrato anche lui da protagonista nella storia del cinema.
del linguaggio», chiosa Nietzsche, strizzando l’occhio al sofista Gorgia. Costui si offende: la parola è potente, anche se non significa proprio nulla. Un pugno sul baffo di Friedrich, che risponde con molta volontà di potenza. In men che non si dica, i filosofi tirano delle corde e costruiscono un ring, togliendo all’asino di Buridano i due secchi di biada per riempirli di acqua refrigerante agli angoli (tanto poi non decide mai da quale cominciare a mangiare e morirebbe di fame, se il suo padrone non lo imboccasse perché quell’asino ha fatto la sua fortuna, non può lasciarlo morire). Gong! Confucio ha portato il suo. Gorgia e Nietzsche combattono, ma il tedesco è scoraggiato, privo di motivazioni, la sua fidanzata, al solito, è fuggita col suo miglior amico. Nell’angolo, Duns Scoto cerca di rianimarlo: è vero che ti ha lasciato, ma il bene è più del vero, e con la tua volontà puoi raggiungere il bene di una vera vittoria! Gorgia invece è allenato da Menelao, che gli
manifesta come può la gratitudine per aver difeso sua moglie Elena. Nell’Encomio di Elena, infatti, Gorgia spiega che Elena non ha nessuna colpa per la guerra di Troia: i casi sono due, o è stata rapita, dunque è una vittima, oppure è stata convinta con le parole, dunque è ancora una vittima, perché le parole ben dette sono veleno che ammalia. Menelao non ne poteva più di sentirsi preso in giro da parenti a amici, ora Gorgia li ha messi a tacere, quindi gli fa volentieri da secondo sul ring. Il pubblico, vedendo la strana coppia, parla di Elena e del suo encomio. Da lontano si odono strilli acuti. Sono le donne, le filosofe, che al grido di «basta col vittimismo» e «abbasso Paride abbasso Elena» (che tra l’altro è troppo bella per avere le simpatie femminili) si avventano sul ring. Ildegarda colpisce i malcapitati con uno stilo per scrivere, e inventa la specialità del fioretto. Hanna Arendt non colpisce di mano, ma dà dell’idiota a tutti, così banalmente malevoli, soprattutto verso
le donne. Simone de Beauvoir invece non si tira indietro, Jean-Paul Sartre le passa bottiglie di cognac e sedie di bistrot con cui colpire tutti ’sti maschi. Ce n’è una gran quantità, infatti nelle storie della filosofia per centinaia e centinaia di uomini si citano meno di dieci donne. Questo è un problema, perché Luce Irigaray avrebbe anche inventato il nuoto sincronizzato, ma non riesce a mettere insieme una squadra, calcolando che Trotula è sempre al pronto soccorso a dare una mano. Come adesso, che grazie a Gandhi hanno smesso di picchiarsi e si avviano tutti, piano piano, dalla famosa dottoressa del X secolo. La quale ha inventato la marcia, quindi ha messo l’infermeria nel punto più lontano del campo sportivo, costringendo i filosofi a trascinarsi ancheggiando, come Abebe Bikila. Sono feriti, chi per un pugno o una bottigliata, chi perché ha ricordato l’amor perduto o sta ancora riflettendo sulla virtù della moglie. Chi lo diceva, che lo sport fa bene?
il naso di quelle persone, come Paolo Conte, che hanno difficoltà a vivere la superficialità delle cose e che per questo sono da sempre un po’ vecchie. Anche lui però, a dire il vero, ha il naso del campione, un naso provinciale, un naso jazz: il che non gli impedisce di avere anche orecchio, come suggerisce il suo amico Jannacci («per fare certe cose, ci vuole orecchio»). Avevate dubbi? Paolo Conte si colloca tra gli adoratori del dubbio: ha scritto una canzone geniale sull’esitazione in amore. Non un frequentatore di dancing, anche se al dancing ha dedicato un testo formidabile in cui i ballerini han passo di ossessione (e sanno bene che l’azzardo è lieve come il leopardo): «Appartengo alla generazione del ballo da mattonella, ballerini attaccati al suolo come barche alla bitta d’ormeggio. Quasi immobili, a dragare e basta». Infatti: «Si nasce e si muore soli. Certo, in mezzo c’è un bel traffico». Non c’era un gran traffico, una volta, quando sulle auto c’erano bionde inebriate dalla velocità, che
guardavano dal finestrino i paesaggi del dopoguerra: «La bionda della Topolino amaranto oggi non la ritrovo più. Non è questione di nostalgia. È che le bionde di una volta avevano una loro sagoma cartellonistica». Quante sagome cartellonistiche nelle sue canzoni: uomini e donne della provincia. Quante Marise e Wande. La cugina che si vanta di essere stata a Roma in vacanza e sbottonandosi il paltò si siede per raccontare il viaggio ai parenti (mai stati nella capitale): «Quando descrisse anche il bidè ci siam sentiti come due pezze da pie’». L’uomo che aspira a conquistare Marisa, nome italico (e novecentesco) per eccellenza, è l’uomo del bar Mocambo, che non muore mai, è il gestore del proprio (ennesimo) fallimento e della (ennesima) ricostruzione. E il Mocambo è sempre aperto, aleggia continuamente nelle canzoni di Paolo Conte anche quando non lo cita: «Ti basta dire Mocambo per pensare alla fuga, alla voglia di evadere». Anche il jazzista da giovane,
ovvero il «denudatore della sostanza musicale», aveva voglia di evadere, come il macaco del Mocambo, aveva voglia di conquistare altri mondi: «Il jazz era una passione autentica che ci divorava e coinvolgeva completamente. Eravamo veramente quattro gatti soli e disgraziati che uscivano fuori dalle topaie delle nostre piccole città di provincia con un unico scopo: suonare il jazz e capirne l’ispirazione». Era per quella passione furibonda che in casa spesso spariva l’argenteria: «fregavamo tutto in casa, pur di comprarci gli strumenti, mancavano i soldi… eravamo giovani». Una frase che gli piace molto, letta sulla «Settimana enigmistica», l’ha scritta John Osborne: chiedere a uno scrittore cosa pensa dei critici è come chiedere a un lampione cosa pensa dei cani. Un’altra frase che gli piace molto l’ha inventata lui: «Come la lucertola è il riassunto del coccodrillo, così il tango è il riassunto della vita». La più bella è piena di zeta: zazzarazzàz-zazzarazzàz…
Si decise perciò di accendere di volta in volta solo quelle degli ambienti coinvolti nelle riprese. Per quanto riguarda i figuranti, Visconti desiderava che gli invitati del ballo facessero parte della vera nobiltà palermitana, discendenti di quelli che popolano il romanzo. La proposta, dopo un’iniziale diffidenza, fu accolta con un entusiasmo tale da far diventare la partecipazione al film una sorta di riconoscimento araldico. Molti pretesero che anche amici e parenti facessero parte di questo nuovo gioco. L’impiego dei nobili ebbe un prezzo: a differenza dei veri figuranti, quelli di sangue blu pretesero di dire la loro sui costumi e sull’acconciatura. Nel pomeriggio c’erano lezioni di ballo – valzer, mazurka e galop. I camerieri erano veri professionisti, dovendo aggirarsi con sicurezza fra i ballerini portando vassoi con bicchieri di cristallo preziosissimi. Le autentiche livree d’epoca, fornite da una casa gentilizia, risultarono troppo piccole e dovettero essere modificate, a riprova del fatto che in cento anni gli
Postille filosofiche di Maria Bettetini Chi l’ha detto che lo sport fa bene? In queste due settimane ho ricevuto mail e telefonate: i filosofi esclusi dalla scorsa postilla sullo sport si sono molto offesi. Perché ricordare Leibniz e l’invenzione del salto con l’asta e non le loro prodezze? Non mi permetterei mai di offendere cotanto profonde menti, quindi riprendiamo il tema. Eravamo nel bel mezzo di una discussione, i più sostenevano che lo sport fa male, io cercavo di difenderlo, proponendo esempi di grandi pensatori non alieni al moto e alla fatica fisica. I tentativi sono stati fallimentari, inducendomi a radunare tutti i filosofi nel medesimo campo sportivo, una sorta di greco «ginnasio». Al termine della prima parte della visita, non possiamo non essere attratti da un altro, ennesimo alterco. Galileo, a proposito di moto, sta litigando con Wittgenstein, che lanciando un martello a Gadamer credeva di avere inventato il lancio del martello. Il fondatore della scienza moderna sta roteando un pesante pendolo, che si schianta in testa a Wittgenstein
per poi proseguire per metri e metri sul prato, cadendo infine sul piede di Achille, che ancora una volta non riesce a raggiungere la tartaruga. Che paradosso! Si sfrega le mani Zenone. Galileo! Smettila di colpire i tuoi colleghi con quello che sembra un martello da tiro al martello! Come li hai colpiti? Domanda Jeremy Bentham, che vede tutti dalla postazione alta del Panopticon. Galileo sorride luciferino: «Col pendolo!». Ho capito, ma con cosa hai colpito Achille? «Col pendolo!». L’illustre scienziato negli ultimi secoli si è messo alla pari con le letture non scientifiche, e ha trovato deliziosa la «tragedia in due battute» che Achille Campanile gli ha dedicato: un potente chiede a Galileo come ha scoperto la tale dottrina e Galileo appunto risponde «col pendolo» «ma con cosa?» e così via. Karl Raimund Popper non sta nella pelle: «Colpendolo col pendolo», un perfetto esempio di metodo della prova ed errore, «nonché un gioco di parole che mostra la vanità
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Zazzarazzàz Zazzarazzàz-zazzarazzàz-zazzarazzàra-zazzàrazzàz. Lo riconoscete? Dice che la zeta gli è sempre piaciuta e che bisogna mordere per assaporare una canzone. È un macaco senza storia ma con i baffi, è il re del kazoo, una faccia da italiano perplesso. È Paolo Conte, va da sé, lo chansonnier che ha cantato la Topolino amaranto e ha reso epico un ciclista di provincia chiamato Diavolo rosso. L’Avvocato di Asti, di cui ora esce un libro, a cura di Massimo Cotto (Fammi una domanda di riserva, Mondadori), con le sue parole: non quelle arcinote delle canzoni, ma le parole delle tante interviste che ha disseminato in quarant’anni di gloriosa attività compositiva (6 senza discussione all’Avvocato che parla, 5– all’antologia poco strutturata). «Rispetto Jacques Brel, ma non lo amo. Aveva un modo troppo straziato e feroce di cantare l’amore. Lo faceva e si faceva a brandelli». Conte maneggia gli aggettivi con sensibilità superiore: «straziato» e «feroce». È lui che ha definito «alascane»
le caramelle masticate da una cassiera in un locale di boogie. D’altra parte, le parole hanno un odore, dice, e grazie a quell’odore si caricano di significato: «Nell’Aprilia senti l’odore della benzina». Infatti, le canzoni nascono «fresche, fragranti di misteriose essenze». Niente Brel, dunque. Paolo Conte ha scritto qualche canzone pensando piuttosto a come l’avrebbe cantata Aznavour, che definisce «grande spadaccino dell’interpretazione». La lingua italiana per un cantante? «Va inseguita, come molte cose nella vita». Lo spadaccino Conte conosce anche l’odore dei verbi: la lingua va inseguita… Come si inseguivano Coppi e Bartali: «La differenza tra Coppi e Bartali è nel naso. È tutta una questione di nasi. Il naso di Coppi è rispettabile, sì, ma astratto, aerodinamico. È solo il suo. Mentre quello di Bartali è un naso comune, un naso della banalità. Un naso come il mio. È un naso dell’uomo in bicicletta, non è un naso da campione». Un naso triste, malinconico,
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Trovi tutte le informazioni relative al concorso su www.famigros.ch/vinci Termine ultimo di partecipazione: 6 marzo 2016.
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Idee e acquisti per la settimana
shopping La festa degli innamorati 14 febbraio Un San Valentino all’insegna della dolcezza grazie alle nostre irresistibili creazioni di finissima pasticceria
Flavia Leuenberger
La festa di San Valentino è da sempre un’occasione particolare per dimostrare il proprio affetto alle persone che ci stanno più a cuore attraverso piccole attenzioni. Accanto ai regali più gettonati per la ricorrenza come fiori, cioccolatini e profumi, perché non farlo anche condividendo un dolce davvero speciale? A tal proposito non c’è niente di più irresistibile per esprimere i propri sentimenti di un’originale creazione firmata dagli abili pasticceri del laboratorio artigianale di Migros Ticino. La selezione include diverse torte a forma di cuore con decorazione a tema nelle varianti kirsch, pan di spagna alla frutta, sfoglia alla fragole, Foresta Nera e St. Honoré. Affinché il messaggio d’amore sia ancora più chiaro, esistono pure delle piccole tentazioni sotto forma mini mousse, mini cake e cuore di frolla al cioccolato. Tutte le specialità sono in vendita solo il prossimo sabato presso i banchi pasticceria Migros, ma avete la possibilità di ordinare in anticipo la vostra preferita. Altre idee per una festa di San Valentino veramente speciale le trovate a pagina 52 di questo numero di Azione.
Piloti ticinesi che hanno fatto la storia
Evento Dal 9 al 20 febbraio il Centro S. Antonino ospita una coinvolgente esposizione dedicata ai piloti ticinesi
che hanno vissuto la storia dei Gran Premi e della Formula 1 dall’inizio del secolo scorso ai giorni nostri
Appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati di motori quello proposto dal Centro S. Antonino fino a sabato 20 febbraio. Nella mall principale verranno infatti presentati – attraverso fotografie, filmati e pannelli informativi con cenni storici – carriera, vita e successi della decina di piloti ticinesi che si sono distinti nei Gran Premi e nella Formula 1 nell’ultimo secolo. Per l’occasione saranno anche esposte cinque fantastiche macchine da corsa, tra cui due monoposto di F1 appartenute a Clay Regazzoni e Silvio Moser, una vecchia Bugatti 35 nonché una Ferrari di Loris Kessel.
Nella storia dell’automobilismo sportivo, il Ticino può annoverare più campioni di ogni altro cantone svizzero. Forse il nostro esponente di maggior successo è stato il ferrarista Clay Regazzoni (1939-2006) con cinque vittorie in F1, di cui due a Monza, e una rispettivamente al Nürburgring, a Long Beach e a Silverstone. Regazzoni è stato anche vicecampione del mondo nel 1974. Difficile equiparare le sue gesta a quelle di Rudi Caracciola (1901-1959), tedesco di Remagen, considerato miglior pilota tra le due guerre mondiali, vincitore di una quindicina di Gran Premi e di tre campionati. Pochi in Ticino ricordano che Caracciola ha abitato nel nostro cantone dal 1931 in poi. Diventato ticinese d’adozione, riposa oggi nel cimitero di Castagnola.
La rassegna al Centro Migros di S. Antonino sui piloti ticinesi da Grand Prix è una vetrina di ricordi. Difficile dimenticare ad esempio Silvio Moser (1941-1974), pilota privatier luganese, primo ticinese ad andare a punti in F1 (1968, Olanda), oppure – in anni più lontani – Mario Lepori (di Castagnola) e Carlo Pedrazzini (di Locarno). Erano piccoli eroi d’altri tempi che hanno potuto vantarsi di essere stati invitati a concorrere per l’allora esclusivo Grand Prix de Monaco a Montecarlo. Altri assi del volante sono stati poi Pierino Primavesi di Lugano e il conte Ottorino Volonterio di Orselina. In tempi più recenti, con fortune alterne, i ticinesi in F1 sono stati Loris Kessel (nel 1976), Franco Forini (nel 1987) e Andrea Chiesa (nel 1992).
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Idee e acquisti per la settimana
Minestrone alla ticinese: un piatto completo in ogni stagione
Nuove caramelle firmate Sperlari
Sperlari caramelle al caffè 175 g Fr. 1.90
Sperlari caramelle all’anice 200 g Fr. 1.60
Specialità della cucina contadina per eccellenza, un buon minestrone è ricco di verdure di stagione e, a piacimento, può essere completato con l’aggiunta di pasta o riso per renderlo ancora più appetitoso e nutriente. Per ottenere un minestrone particolarmente saporito non dovrebbero mai mancare verdure quali cipolle,
carote, porri, sedano verde, verze, rape, fagioli, patate e sedano rapa. Appassire la cipolla nell’olio e aggiungere le altre verdure tagliate a tocchetti. Soffriggere brevemente e di seguito bagnare con del brodo fino a coprire le verdure, aggiungere un bicchiere di vino bianco e lasciar sobbollire per un’oretta. Prima di servire
Richiamo adattatori Apple iMac e iOS
Il produttore Apple richiama gli adattatori a due poli per la presa a muro. L’adattatore interessato è in dotazione a diversi apparecchi iMac e iOS. La Apple ha constatato che in rari casi le estremità degli adattatori bipolari potrebbero rompersi, causando una scossa elettrica e rappresentando quindi un pericolo. Tali adattatori per presa a muro sono stati consegnati tra il 2003 e il 2015 insieme ad apparecchi Mac e iOS (iPod, iPad, iPhone) nonché come componente del kit di adattatori internazionali Apple per il viaggio. Anche Melectronics è interessata dal richiamo dell’adattatore. Gli adattatori per la presa a muro interessati sono contrassegnati da quattro o cinque caratteri che si trovano in corrispondenza dello slot interno, nel punto in cui l’adattatore si collega all’alimentatore. Gli adattatori possono però anche essere privi di un contrassegno. I nuovi adattatori riela-
aggiustare di sale, irrorare con un filo d’olio e cospargere con un trito di prezzemolo fresco e parmigiano. Infine, vi segnaliamo che questa settimana alla Migros la vaschetta di verdure miste – già tagliate e mondate – per il minestrone alla ticinese è in offerta speciale. Approfittatene.
Migros Ticino introduce nel suo assortimento due golose varietà di caramelle del noto marchio italiano Sperlari. Le caramelle al caffè sono fatte con vera polvere di caffè Lavazza accuratamente miscelata con latte e zucchero fino a formare un gustoso e cremoso ripieno. Il risultato è un sapore armo-
nioso che stupirà anche i palati più golosi. Una sapiente miscela di zucchero e aromi d’anice lavorati secondo un’antica ricetta è alla base delle caramelle Anice. Dei veri classici per un’esperienza di gusto unica. Entrambe le caramelle sono senza coloranti artificiali.
Migros richiama due articoli di carnevale per bambini
borati presentano nello stesso punto un codice specifico regionale a tre lettere (EUR). Per la sostituzione degli adattatori i clienti interessati possono rivolgersi direttamente a un Apple-Store (https://www.apple.com/chde/retail/) oppure inviare la propria richiesta onli-
ne tramite la pagina di supporto appositamente creata (https://selfsolve.apple. com/012016/). Gli adattatori si possono inoltre ordinare gratuitamente come pezzi di ricambio anche presso una filiale Melectronics. A tal fine è necessario portare con sé e mostrare il proprio adattatore interessato dal programma di sostituzione. Il termine di consegna per l’ordinazione del pezzo di ricambio è di circa una settimana. Se l’adattatore interessato è stato ceduto ad altri, il nuovo proprietario deve essere informato al più presto riguardo alla presente avvertenza sulla sicurezza.
A causa della loro infiammabilità l’accessorio per costumi di carnevale «Cappello da fata con fiocco» e il costume «Cape, il piccolo mostro» della marca Rubies possono rappresentare un rischio per la sicurezza dei bambini. La Migros richiama quindi immediatamente entrambi gli articoli. I due articoli per il carnevale, il «Cappello da fata con fiocco» e «Cape, il piccolo mostro», non soddisfano i requi-
siti di sicurezza di legge: il materiale di cui sono costituiti può infiammarsi facilmente. Non può quindi essere escluso il pericolo di ustioni. La Migros prega i suoi spettabili clienti di prestare attenzione a che i loro figli non facciano più uso di questi articoli. Gli articoli possono essere restituiti in qualsiasi filiale Migros, ottenendo il rimborso del prezzo di acquisto. Di seguito sono disponibili maggiori in-
formazioni sui prodotti della marca Rubies Deutschland GmbH distribuita dalla Trisa Accessoires AG: Cappello da fata con fiocco, numero d’articolo 7227.016, pink, prezzo di vendita Fr. 12.90. Costume Cape il piccolo mostro, numeri d’articolo 7241.005, 7241.006 e 7241.007, pink e verde, prezzo di vendita Fr. 29.90.
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Idee e acquisti per la settimana
Anna’s Best
La grande forza dei piccoli semi rossi Anna’s Best melagrana 110 g Fr. 3.–
I semi di melagrana sono ricchissimi di sostanze che ne fanno uno di quegli alimenti che al giorno d’oggi si definiscono superfood. Putroppo ricavare i semi dal frutto è alquanto faticoso, per cui molta gente non ne consuma. Ora però Anna’s Best propone i preziosi semi di questo frutto esotico in una manegge-
vole vaschetta dotata di cucchiaio: un modo pratico di gustare velocemente e semplicemente i preziosi semi rossi. Queste perle dolci-acidule non costituiscono solo un rinfrescante dessert, ma servono anche da spuntino per placare quel certo languorino quando si è fuori casa, ad esempio dopo lo sport.
20X Punti Cumulus per la melagrana di Anna’s Best fino al 15 febbraio
Aprire e gustare subito: la vaschetta di melagrana di Anna’s Best contiene anche un cucchiaio.
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Idee e acquisti per la settimana
Buoni regalo
S. Valentino
Il vostro amore vi ringrazierà
Dimostrazioni d’amore
16 idee regalo di sicuro successo: Rose Fairtrade Max Havelaar stelo 50 cm, mazzo da 9 pezzi Fr. 16.90 Nelle maggiori filiali
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Una coppia è anche un team. Cosa ne direste di frequentare un corso di cucina in coppia? Info: www.scuola-club.ch
Già gli antichi Romani il 14 febbraio regalavano fiori alle loro donne. Da allora non è cambiato nulla, ad eccezione del fatto che oggi anche gli uomini per San Valentino ricevono delle espressioni d’amore. Come per esempio del cioccolato o un buono regalo
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Fate felice il vostro partner con un buono per le pulizie primaverili o per tutto l’anno.
Testo Dora Horvath; Foto Yves Roth; Styling Katja Rey
Concorso Quale canzone d’amore canticchia Christa Rigozzi? Trovate la risposta e vincete un romantico finesettimana: Frey-sanvalentino.ch
Frey Adoro latte 200 g, certificati UTZ Fr. 6.55* invece di 8.20
Le rose rosse sono il simbolo dell’amore per eccellenza. Con le rose certificate Fairtrade il piacere sarà ancora maggiore, dal momento che dopo l’acquisto questi stupendi fiori si conservano almeno cinque giorni. A proposito: la Migros vende quasi esclusivamente rose di qualità del commercio equo, provenienti principalmente dal Sudamerica e dall’Africa orientale. I lavoratori delle piantagioni di rose beneficiano di condizioni di lavoro socialmente sostenibili e ricevono un premio Fairtrade da utilizzare per scopi di pubblica utilità.
Con le praline Adoro della Frey il piacere è assicurato a ogni morso. Questi amati classici di cioccolato al latte sono disponibili anche nella variante Blond, con cioccolato bianco e una delicata nota di biscotto e caramello. Lo zucchero caramellato conferisce loro il caratteristico colore beige dorato. Entrambe le varietà sorprendono con il loro guscio croccante e il cuore cremoso.
Rose Spray Fairtrade Max Havelaar stelo 50 cm, mazzo da 10 pezzi Fr. 12.90 Nelle maggiori filiali
Frey Adoro Blond 200 g, certificati UTZ Fr. 6.50* invece di 8.20
Organizzate una cena al lume di candela facendo capo al party service Migros. Info: www.migrosticino.ch/partyservice
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Fatevi immortalare insieme da un fotografo professionista. Vedi proposte regionali
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Promettete alla vostra dolce metà di sorprenderla ogni settimana con un bel mazzo di fiori.
Inviate al vostro amore delle gomme da masticare personalizzate con foto e messaggio d’amore. Info: www.myskai.ch
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Frequentate insieme un corso di massaggi. La Scuola Club propone diversi corsi in tal senso, come quello dedicato ai massaggi di coppia. Info: www.scuola-club.ch
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Regalate al vostro tesoro un volo con un simulatore di volo. Info: www.ideecadeau.ch
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Concedetevi un volo in mongolfiera e godetevi il mondo dall’alto. Vedi proposte regionali
Godetevi un lungo finesettimana in un hotel speciale. Info: www.myswitzerland.com
In ogni uomo si nasconde un macchinista. Regalate al vostro amato un viaggio nella cabina di un treno. Info: www.ffs.ch
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Regalate al vostro uomo una rasatura a umido con tutti gli annessi e connessi da un parrucchiere. Vedi proposte regionali
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Se il vostro partner è aperto al cambiamento regalategli una consulenza di stile e scelta dei colori. Vedi proposte regionali
Vi siete conosciuti per caso oppure grazie alle stelle? Fatevi fare un oroscopo per coppie da uno specialista. Vedi proposte regionali
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Regalatavi ogni giorno 20 minuti di tempo per parlarvi ed ascoltarvi veramente.
*Azione 20 % su tutte le praline Frey in scatola o Adoro fino al 15 febbraio
Regalate alla vostra signora un buono per un make-up da sera dall’estetista e portatela in seguito a cena in un ristorante esclusivo. Vedi proposte regionali
9 Fairtrade Max Havelaar è sinonimo di prodotti del commercio equo coltivati in modo sostenibile.
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche Adoro.
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Idee e acquisti per la settimana
Intervista
Farmer
Energia per una giornata attiva Le barrette, i müesli e i flakes Farmer contengono quale ingrediente principale cereali ricchi di fibre e forniscono preziosa energia. Gli yogurt costituiscono un pratico pasto pronto, nei casi in cui si abbia una certa fretta
Farmer Flakes Nature 500 g Fr. 3.70* invece di 4.60
I müesli e i flakes Ci sono dieci varietà di müesli Farmer, nelle più diverse variazioni di gusto e anche in varietà a contenuto di grassi ridotto. Abbinati a frutta e yogurt nature, i müesli e i flakes Farmer costituiscono una colazione veloce e deliziosa.
«Quanto allo zucchero, dipende dalla sana misura»
Testo Anna-Katharina Ris; Foto/Styling Simone Vogel
Farmer Soft Choc Orange 290 g Fr. 3.60* invece di 4.50
Le barrette Le barrette Farmer trovano posto dappertutto: nei pantaloni da sci, nella borsetta, nella cartella. Forniscono energia veloce in modo gustoso. Ciò che 35 anni or sono ha avuto inizio con le varietà Natural e Miele, oggi è cresciuto fino a formare un assortimento di 26 articoli.
Farmer Croc cioccolato müesli croccante 500 g Fr. 3.80* invece di 4.80
Limited Edition Farmer Croc Caramel 500 g Fr. 4.60* invece di 5.70 Nelle maggiori filiali
Christina Daeniker è specialista di alimentazione e salute alla Federazione delle cooperative Migros Zurigo.
Christina Daeniker, l’uomo ha bisogno di zucchero?
Lo zucchero di cui ha bisogno il corpo umano per far funzionare muscoli e cervello, può ricavarlo senza problemi da alimenti ricchi di amido come pane o patate. Tranne che per prestazioni sportive elevatissime; in questi casi occorre zucchero quale fornitore veloce di energia. Quanto zucchero al giorno sopporta il corpo?
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità OMS, un adulto dovrebbe assumere al massimo 50 g di zucchero al giorno, le ultime raccomandazioni parlano addirittura di 25 grammi. E non si intende solo lo zucchero aggiunto in qualsiasi forma, ma anche il miele o i tipi di zucchero naturali contenuti nei succhi di frutta. 50 grammi sono circa 12 zollette: con mezzo litro di bevanda dolce o succo di frutta si raggiunge già questa quantità massima giornaliera. Quindi per i dolci rimane poco spazio…
Si raccomanda un consumo consapevole, nell’ambito dei dettami della piramide alimentare. Il dolce è per così dire il puntino sulla i. Ciascuno deve integrare il dolce nell’alimentazione secondo le proprie preferenze, senza perdere di vista la globalità. Una porzione di müesli croccante, per esempio, andrebbe preparata con yogurt nature o latte e completata con frutta fresca o bacche, per mantenere il giusto equilibrio. Naturalmente è importante anche lavarsi i denti dopo aver gustato cibi dolci, soprattutto per i bambini.
Farmer Crunchy Miele 240 g Fr. 3.50* invece di 4.40
Nell’ambito di Generazione M, Migros ha promesso di ridurre il contenuto di zucchero in diversi prodotti. Ad esempio nei suoi müesli di Farmer.
Farmer Joghurt Crunchy Cioccolato 225 g Fr. 1.60* invece di 2.–
Bio Farmer Soft Mela Amaranto Chia 120 g Fr. 3.10* invece di 3.90 Nelle maggiori filiali
L’intera famiglia Farmer comprende 43 prodotti.
*Azione 20% riduzione Gli yogurt Lo yogurt cremoso di Farmer contiene un croccante müesli ed è perfetto come pasto veloce fuori casa. Nel coperchio è integrato un cucchiaio.
su tutti i prodotti Farmer Farmer Joghurt Crunchy Bacche di bosco 225 g Fr. 1.60* invece di 2.–
fino al 15 febbraio
Si, è così. Naturalmente lo approviamo, dal punto di vista dell’alimentazione. E anche i clienti reagiscono per la maggior parte positivamente. Ci sono però state alcune reazioni di patiti del müesli al cioccolato, ai quali il prodotto non piace più come prima. Posso capirli, perché effettivamente ora ha un gusto veramente meno dolce e anche diverso, più di cioccolato. A parte la riduzione di 3 grammi di zucchero ogni 100 grammi, comunque, la formula non è stata modificata in niente.
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Idee e acquisti per la settimana
La macchina Twin by Delizio funziona così:
Twin by Delizio
A casa come al bar, grazie a una macchina È piccola, compatta e semplice da usare: la nuova macchina per il caffè Twin by Delizio. E soddisfa tutti i desideri: fa caffè, bevande a base di latte e tè. Che cosa ha di innovativo? Funziona col sistema a due capsule Testo Dora Horvath; Foto Ives Roth; Styling Irene de Giacomo
Alla mattina Cappuccino, a mezzogiorno Ristretto, al pomeriggio Chai Latte, alle sera Tè e per i bimbi cioccolata calda: per tutto questo ora serve una sola macchina per il caffè, che fa a meno del montalatte per fare la schiuma. Con Twin, Delizio ha sviluppato un semplice sistema di capsule e un innovativo apparecchio per tutta la famiglia. Il clou della nuova macchina è che, grazie
Twin by Delizio Elegant Black Fr. 69.–
La macchina Twin by Delizio esiste anche nei colori Summer Green e Ruby Red. I modelli sono disponibili solo online e nelle maggiori filiali Melectronics.
La capsula Delizio viene inserita nel contenitore dietro (più piccolo), la capsula Twin in quello davanti (più grande). Entrambe le capsule possono anche sempre essere usate singolarmente.
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al contenitore per due capsule, funziona sia con le capsule Delizio sia anche con le nuove capsule Twin. Queste ultime sono compatibili anche con macchine del sistema NESCAFE®*DOLCE GUSTO®*. www.delizio.ch/twin *Queste marche appartengono a terzi, che non hanno nessun nesso con la Delica SA.
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Per utilizzare la capsula Twin si spinge l’interruttore sul simbolo della tazza grande. Per utilizzare la capsula Delizio l’interruttore va invece spinto sul simbolo piccolo.
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Per le bevande miste che richiedono una capsula Twin e una Delizio si inseriscono entrambe le capsule nel rispettivo contenitore. In seguito si spinge l’interruttore dapprima sul simbolo della tazza grande e poi su quello della tazza piccola.
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Per preparare una bevanda mista a base di latte si utilizza solo la capsula Twin Latte da inserire nel contenitore anteriore (twin) – come descritto sopra – poi si otterrà il caffè desiderato.
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Con l’innovativo sistema di capsule Twin by Delizio si possono preparare in un attimo caffè e bevande a base di latte.
1. Twin Lungo 16 capsule Fr. 5.80
2. Twin Espresso Forte 16 capsule Fr. 5.80
3. Twin Cappuccino 16 capsule Fr. 6.20
4. Twin Latte Macchiato 16 capsule Fr. 6.20
5. Twin Chai Tea Latte 16 capsule* Fr. 6.20
6. Twin Banago Chocolate 16 capsule* Fr. 6.20
7. Twin Milk 16 capsule* Fr. 6.20
8. Delizio Ristretto forte 12 capsule Fr. 5.10
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Idee e acquisti per la settimana
Yvette
Anti-Aging per le fibre
*Azione 20% riduzione su tutti i detersivi delicati Yvette liquidi fino al 15 febbraio
Con i detersivi per capi delicati Yvette i tessili rimangono belli a lungo. Per ogni tipo di tessuto esiste uno specifico prodotto. Tutti e sei i detersivi delicati lavano già a basse temperature in modo efficiente e delicato Testo Jacqueline Vinzelberg; Illustrazione Olivia Aloisi
Con i detersivi delicati di Yvette i capi preferiti restano a lungo come nuovi.
Affinché i colori risplendano Yvette Color non contiene sbiancanti ottici. In tal modo preserva la luminosità dei colori ed è pertanto indicato per i tessili colorati. Yvette Color 2 l Fr. 7.80* invece di 9.80
Affinché il bianco resti luminosamente bianco Yvette White è stato specialmente sviluppato per i capi bianchi e chiari. La sua formula «Brilliant White» assicura un bianco luminoso e protegge efficacemente dall’ingrigimento.
Affinché gli odori spariscano I tessuti sintetici e misti assorbono facilmente gli odori. Yvette Fibre Fresh li neutralizza e fa sì che i tessili rimangano freschi più a lungo. Yvette Fibre Fresh 2 l Fr. 8.95* invece di 11.20
Affinché le fibre possano continuare a «respirare»
Yvette Care è particolarmente delicato sulle fibre. Con le sue proteine trattanti naturali lava e cura specialmente i tessili di lana e seta come pure tutti i delicati. I tessuti restano morbidi.
Grazie ad una speciale sostanza, Yvette Sport + Outdoor protegge la speciale funzione della membrana traspirante dei tessuti. Anche l’impermeabilità al vento e all’acqua viene preservata. L’utilizzo è pertanto consigliato per l’abbigliamento sportivo e funzionale.
Yvette Black si basa su una speciale formulazione per garantire una brillantezza duratura e preservare l’intensità del nero. Anche i tessili scuri risplendono a lungo come nuovi.
Yvette Care 2 l Fr. 8.95* invece di 11.20
Yvette Sport+Outdoor 2 l Fr. 8.95* invece di 11.20
Yvette Black 2 l Fr. 7.80* invece di 9.80
Affinché i delicati rimangano tali
Affinché il nero rimanga intensamente nero
Yvette White 1,5 l Fr. 6.80* invece di 8.50 Nelle maggiori filiali
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui i detersivi delicati di Yvette.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
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Idee e acquisti per la settimana
«Il colore rosso brillante della Mandared si sviluppa solamente se fa caldo di giorno e freddo di notte», spiega il produttore Sebastiano Catena.
Migros Sélection
La cugina della clementina Come incrocio tra Tarocco, l’arancia rossa, e clementina, la Mandared combina le apprezzate caratteristiche di entrambi i frutti: succosità, assenza di semi, compattezza e dolcezza Testo Claudia Schmidt
Negli agrumeti di Sebastiano Catena a ovest della città siciliana di Catania da quattro anni crescono piante sulle quali crese un frutto particolare: la Mandared. «Siamo stati i primi qui ad aver creduto nella Mandared e ad averla coltivata. Il suo sapore è un mix tra clementina e arancia Tarocco. Come la clementina è priva di semi, ma è più facile da sbucciare di un’arancia», spiega lo specialista di agrumi Catena, e aggiunge: «Solo raramente può capitare che vi sia comunque dentro qualche seme». Il clima catanese è ideale per la nuova coltivazione: durante il giorno nella regione fa caldo,
mentre di notte in inverno fa freddo. Solo grazie a queste particolari condizioni la polpa del frutto si colora di un bel rosso. Se durante la notte non fa-
Palermo
SICILIA Catania
cesse abbastanza freddo, mancherebbe la pigmentazione rossa. Il fatto che solitamente la Mandared abbia una maturazione decisamente tardiva – da marzo ad aprile – dipende dalla genetica. Tuttavia negli ultimi anni i frutti si sviluppano molto più in fretta, come ha constatato Catena: «Già in febbraio erano ben maturi. Sono curioso di vedere come si svilupperanno le piante a lungo termine». La Mandared, disponibile alla Migros nell’assortimento Sélection, il produttore preferisce gustarla leggermente refrigerata: «In tal modo il dolce e l’acidulo sono valorizzati al meglio.»
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Asparagi verdi Messico, mazzo da 1 kg
Minestrone alla ticinese Svizzera, imballato, al kg
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Galletto speziato Optigal Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g
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Fragole Spagna, in conf. da 500 g
Mele Jazz agrodolci, Svizzera, imballate, al kg
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Coniglio tagliato Svizzera, imballato, per 100 g
Prosciutto cotto Puccini Rapelli, aha! affettato finemente o normalmente, Svizzera, per es. affettato normalmente, per 100 g
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Filetti di merluzzo dell’Alaska Pelican, MSC, surgelati, 1 kg 6.30 invece di 10.50 40% Hamburger M-Classic, surgelati, 12 x 90 g 7.80 invece di 15.60 50%
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Galletto speziato Optigal, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 1.– invece di 1.45 30% Gamberetti bio cotti, Equador, in conf. da ca. 500 g, per 100 g 3.85 invece di 5.50 30% Tutto l’assortimento di pesce fresco MSC, per es. filetto di passera MSC, Atlantico nord-orientale, per 100 g 2.15 invece di 2.70 20% Fino al 13.2
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Tutte le conserve di pesce Rio Mare o Albo, per es. tonno rosa Rio Mare, in olio, 104 g 3.– invece di 3.80 20% Jumpy’s alla paprica, Flips o Kellys Popcorn Chips in conf. da 2, per es. Jumpy’s alla paprica, 2 x 100 g 3.65 invece di 4.60 20%
Pasta Anna’s Best in conf. da 3, per es. fiori al limone, 3 x 250 g 11.70 invece di 14.70 20% Focaccia all’alsaziana Tradition in conf. da 2, per es. 2 x 350 g 7.80 invece di 9.80 20% Prodotti Cornatur in conf. da 2, per es. Vegetable Burger, 2 x 240 g 7.20 invece di 9.– 20% öv nostrán (uova nostrane da allevamento all’aperto), Ticino, conf. da 9 pezzi, 53 g+ 3.90 invece di 4.90 20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
69
Idee e acquisti per la settimana
12 pagine di ricette per ogni giorno della settimana e di consigli utili in cucina.
La settimana delle famiglie
Di cosa c’è bisogno? Chi pianifica un menu per ogni giorno della settimana e compra tutto quel che serve in una volta sola, risparmia tempo e nervi in cucina. Ed evita anche che i generi alimentari vadano a finire nella spazzatura Testo Heidi Bacchilega; Foto Claudia Linsi; Styling Esther Egli; Illustrazioni Flavia Travaglini; Ricette Margaretha Junker
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
71
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 8 febbraio 2016 ¶ N. 06
Idee e acquisti per la settimana
Un piano settimanale
Prima si pensa, poi si compra Qual è il giorno che si ha più tempo per cucinare? E quando invece bisogna fare in fretta? Quali sono gli ingredienti freschi disponibili e per quali invece bisogna ricorrere al congelatore? Basandovi su que-
13
sti criteri, stilate una lista della spesa per tutta la settimana. Chiedete ai vostri cari se hanno qualche desiderio culinario oppure lasciatevi ispirare dalle idee e dai suggerimenti che leggerete su queste pagine.
Prodotti di cui conviene fare scorta 1. Agnesi Cravattine 500 g* Fr. 1.40 2. Salsa All’Italiana Napoli 250 ml Fr. 1.60 3. Valflora Panna semigrassa UHT 250 ml Fr. 1.20
14
2
5. Bio carote sacchetto da 1 kg prezzo del giorno
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6. Bio Mister Rice Basmati 1 kg Fr. 5.50
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4. Bio Olio d’oliva italiano 500 ml Fr. 8.90
7. Appenzeller surchoix per 100 g Fr. 1.80
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8. M-Classic Formaggio per pizza 150 g* Fr. 2.35 9. M-Classic Pasta per crostate XL 520 g Fr. 2.90
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10. Farmer’s Best Miscela di verdure Brunoise surgelata, 750 g* Fr. 4.55** invece di 5.70 11. Knorr Brodo vegetale 109 g Fr. 3.25** invece di 4.10 12. Farmer’s Best Spinaci tritati congelato, 800 g Fr. 3.10** invece di 3.90 13. Bio patate resistenti alla cottura sacchetto da 1 kg prezzo del giorno 14. Uova svizzere da allevamento all’aperto 53g+, 6 pezzi Fr. 3.60 15. Farmer’s Best Fagiolini fini surgelati, 750 g Fr. 2.85** invece di 3.60
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16. M-Classic Pane grattuggiato chiaro 300 g Fr. 1.25
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17. Sun Queen Noci miste 200 g Fr. 4.50
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*Nelle maggiori filiali Offerta speciale **20% di sconto su tutti i prodotti Knorr e su tutto l’assortimento di surgelati Farmer’s Best dal 9 al 15 febbraio.
Famigros
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Il club della Migros per le famiglie dispone di una variegata piattaforma online, sulla quale mamme e papà possono informarsi regolarmente circa i temi riguardanti la famiglia. Molto spazio è riservato al tema «Cibo & Bevande», con gustose ricette e un’infinità di consigli per preparare piatti adatti alle diverse fasce d’età dei bambini. Diventate membri Famigros già oggi! È gratis! Registratevi su www.famigros.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Lunedì: Tutto in una teglia
Martedì: Una buona pastasciutta
Pollo e verdure al forno Piatto principale per 4 persone
Pasta integrale con zucca e funghi
Ingredienti 3 cosce di pollo 4 ali di pollo 1 cucchiaio di senape dolce ½ cucchiaino di sale ½ cucchiaino di pepe 4 cucchiai d’olio di colza HOLL ½ mazzetto di erbe, ad es. rosmarino 600 g di verdure a radice, ad es. carote e radici di prezzemolo 600 g di patate resistenti alla cottura 100 g di yogurt al naturale 1 cucchiaio di pesto di basilico
Piatto principale per 4 persone
Preparazione 1. Scaldate il forno a 180 °C. Sciacquate i pezzi di pollo e asciugateli con carta da cucina. Staccate la parte superiore delle cosce da quella inferiore nel punto dell’articolazione. Mescolate la senape con il sale, il pepe e la metà dell’olio. Staccate gli aghi di rosmarino dai rametti, tritateli finemente e amalgamateli alla marinata. Ungete i pezzi di pollo con la marinata e accomodateli in una teglia o su una placca da forno.
Preparazione 1. Lessate la pasta al dente in abbondante acqua salata per ca. 7 minuti. Scolatela e passatela sotto l’acqua fredda. Fatela sgocciolare bene.
Ingredienti 400 g di pasta integrale, ad es. gemelli sale 300 g di zucca, pesata mondata 1 cipolla 2 cucchiai d’olio d’oliva 1 dl di brodo di verdura 180 g di gallinacci in vasetto 1 mazzetto di erba cipollina sale alle erbe 50 g di sbrinz
2. Tagliate la zucca a dadini. Tritate la cipolla e fatela soffriggere nell’olio d’oliva. Unite la zucca a dadini e continuate la cottura per alcuni minuti. Bagnate con il brodo e fate sobbollire per ca. 5 minuti, finché la zucca è morbida.
2. Dimezzate o tagliate in quattro per il lungo le carote e le radici di prezzemolo. Tagliate le patate a metà. Accomodate le verdure nella teglia con i pezzi di pollo. Irrorate con l’olio rimasto. Rosolate il pollo e le verdure in forno per ca. 45 minuti, girando una volta carne e verdure.
3. Versate i gallinacci in un colino e sciacquateli con acqua fredda. Versate i funghi e la pasta nella padella con la zucca e mescolate bene. Tagliuzzate l’erba cipollina sulla pasta con le forbici. Aggiustate di sale. Completate con lo sbrinz grattugiato.
3. Mescolate lo yogurt con il pesto e servite la salsa con il pollo e le verdure.
Tempo di preparazione ca. 30 minuti.
Suggerimento Accompagnate con un’insalata, ad es. insalata di Carnevale.
Per persona ca. 37 g di proteine, 46 g di grassi, 73 g di carboidrati, 3550 kJ/850 kcal.
Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 45 minuti. Dieci minuti prima della fine della cottura, spennellate i pezzi di pollo con acqua salata. Si formerà una crosta perfetta!
Che siano zucchine, zucche o peperoni: con la pasta va bene quasi ogni verdura.
Per persona ca. 38 g di proteine, 33 g di grassi, 34 g di carboidrati, 2450 kJ/600 kcal.
Suggerimento Il grasso bruciacchiato, così come i residui di pizza o di torte si possono rimuovere facilmente dalla teglia del forno. Basta cospargerla con mezzo pacchetto di sale e lasciarla scaldare nel forno a una temperatura compresa tra 80 e 100°, finché non si forma una patina marroncina. Quindi tirate fuori la teglia e inclinatela dolcemente per risciacquarla sotto abbondante acqua.
Suggerimento
Optigal Cosce di pollo per kg Fr. 13.–
Bio Joghurt Nature 180 g Fr. –.60
Condy Gallinacci 115 g Fr. 3.60* invece di 4.50 Offerta speciale *20% dal 9 al 15.02 Nelle maggiori filiali
Agnesi integrale Gemelli 500 g Fr. 1.65* invece di 2.10 Offerta speciale *20% dal 9 al 15.02 Nelle maggiori filiali
Conservate la pasta cotta avanzata: per non farla attaccare, passatela sotto l’acqua fredda. Poi aggiungete un po’ d’olio d’oliva, chiudetela in un contenitore e mettetela in frigorifero. Resterà fresca ancora per tre giorni.
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Idee e acquisti per la settimana
Crema di piselli e patate con guarnizione
Giovedì: Si fa in fretta con gli avanzi
Piatto principale per 4 persone Ingredienti 1 cipolla 600 g di patate farinose 1 cucchiaio di olio di colza 1,5 l di brodo di verdura 150 g di piselli congelati 1 dl di panna sale alle erbe Guarnizione 6 fette di pancetta da arrostire 4 cucchiai di verdure brunoise surgelate 100 g di riso bollito, ad es. riso integrale
Preparazione 1. Tritate la cipolla. Tagliate le patate a pezzetti. Soffriggete la cipolla nell’olio. Unite le patate. Bagnate con il brodo e lasciate sobbollire la minestra per ca. 20 minuti, finché le patate risultano cotte. Aggiungete i piselli e cuoceteli per ca. 5 minuti. Frullate la minestra con un frullatore a immersione. Affinate con la panna e regolate di sale. 2. Nel frattempo, tagliate la pancetta a strisce larghe e rosolatela in una padella
senza aggiungere grassi, finché diventa croccante. Fatela sgocciolare su carta da cucina. Scaldate le verdure brunoise e il riso insieme o separatamente. Distribuite la crema nei piatti e servite la guarnizione a parte. Tempo di preparazione ca. 35 minuti. Per persona ca. 9 g di proteine, 15 g di grassi, 32 g di carboidrati, 1300 kJ/300 kcal. Farmer’s Best Piselli dell’orto surgelati, 750 g Fr. 3.10* invece di 3.90 Azione *20% di sconto su tutti i surgelati Farmer’s Best dal 9 al 15.02
Mercoledì: Una carica di energia verde
Terrasuisse Pancetta da arrostire per 100 g Fr. 2.30
Suggerimento
Suggerimento
Congelate la zuppa in porzioni versandola in appositi contenitori o sacchetti. Quando vorrete consumarla, toglietela dal congelatore al mattino e mettetela a scongelare in frigorifero. Nel microonde si fa ancora prima.
Ad ognuno il suo gratin di pasta avanzata. Per soddisfare il gusto di ogni membro della famiglia, suddividete il gratin in altrettanti settori e conditeli singolarmente con gli ingredienti preferiti da ognuno.
La pasta avanzata martedì diventa un sostanzioso gratin. Circa 10 minuti prima della fine della cottura, appoggiate sopra il gratin i cervelas spellati e con le estremità incise e fateli cuocere assieme.
Gratin di pasta e verdure con cervelas Piatto principale per 4 persone Ingredienti 400 g di pasta, ad es. cravattine sale 500 g di spinaci a foglia surgelati, da scongelare prima dell’uso 200 g di salsa di pomodoro, ad es. salsa all’italiana Napoli 4 cucchiai di formaggio grattugiato 4 cervelas
Si può arricchire la minestra con qualche saporita verdura, alcuni dadini di speck oppure del riso.
Preparazione 1. Lessate la pasta al dente in abbondante acqua salata per ca. 8 minuti. Scolatela e passatela sotto l’acqua fredda. Strizzate bene gli spinaci e conditeli con un po’ di sale. Distribuite a strati la pasta, gli spinaci, la salsa di pomodoro e il formaggio in una pirofila per gratin. Terminate con il formaggio grattugiato. 2. Infilate il gratin nel forno e accendete a 200 °C. Cuocete il gratin di pasta per 30-35 minuti. Spellate i cervelas e incidete a croce le estremità delle salsicce. Dopo 20 minuti di cottura del gratin, adagiate le salsicce sul gratin e continuate la cottura per 10-15 minuti.
Suggerimento Preparate il gratin con avanzi di pasta, così si guadagna tempo. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno 30-35 minuti. Per persona ca. 36 g di proteine, 37 g di grassi, 71 g di carboidrati, 3150 kJ/760 kcal.
Padella in titanio Fr. 59.–
Terrasuisse Cervelas in confezione 3x2, 600 g Fr. 4.20* invece di 7.05 Offerta speciale *40% dal 9 al 15.02
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Venerdì: Il pesce che piace ai bambini
Sabato: Gli involtini intelligenti
Bocconcini di pesce croccanti con riso giallo Piatto principale per 4 persone Ingredienti 7 dl di brodo di verdura 1 cucchiaino colmo di curcuma 240 g di riso a chicco lungo 200 g di fagiolini surgelati 50 g di miscela di noci 50 g di pangrattato 1 uovo 600 g di filetti di pesce, ad es. pangasio 2 cucchiai di farina ½ cucchiaino di sale alle erbe 6 cucchiai di olio di colza HOLL
Suggerimento
La pasta per crostate è perfetta per preparare crespelle dolci e salate.
Preparazione 1. Portate a ebollizione il brodo con la curcuma. Versatevi il riso e lessatelo al dente per ca. 20 minuti. Tagliate i fagiolini a pezzettini di 1 cm. Dopo 10 minuti di cottura, aggiungeteli al riso e continuate la cottura per ca. 10 minuti. Scolate il liquido in eccesso e tenete il riso in caldo.
Le crespelle fatte in casa si possono congelare. Congelate le crespelle prima di cuocerle lasciandole su una teglia, poi mettetene una per volta in un sacchetto da congelatore. In questo modo non si attaccano tra loro e si possono scongelare singolarmente. Prima di cuocerle al forno, cospargetele di latte e zucchero a velo oppure di semi.
2. Tritate non troppo fine la miscela di noci. Mescolatela con il pangrattato e versate la miscela in un piatto. Rompete l’uovo in un piatto fondo e sbattetelo. Tagliate i filetti di pesce a pezzetti di 3-4 cm. Mischiate la farina con il sale e infarinate i pezzi di pesce. Passate i pezzetti di pesce prima nell’uovo e fateli sgocciolare bene. Poi nella miscela di noci e nel pangrattato. Scaldate l’olio in una padella antiaderente. Rosolate i pezzetti di pesce poco per volta per ca. 4 minuti, finché diventano belli croccanti e serviteli con il riso. Tempo di preparazione ca. 40 minuti. Per persona ca. 45 g di proteine, 23 g di grassi, 64 g di carboidrati, 2500 kJ/600 kcal. La croccante panatura dà quel mordente in più al pesce.
Sgonfiotti alle verdure e sgonfiotti ai lamponi Piatto principale per 4 persone Dosi per 2 sgonfiotti salati e 1 dolce a testa
Suggerimento
Pelican ASC filetti di pangasio surgelati, 500 g Fr. 6.10
M-Classic Carolina riso Parboiled 1 kg Fr. 2.50
Una panatura di corn flakes sul pesce incuriosisce i bambini e li invita all’assaggio. Sbriciolate finemente i corn flakes con il mattarello o con il mortaio e versateli in una fondina. Impanate il pesce come al solito, friggetelo e infine servitelo con una saporita salsina.
Farmer’s Best Ratatouille surgelata, 750 g Fr. 6.30* invece di 7.90 Nelle maggiori filiali Offerta speciale 20% di sconto su tutti i surgelati Farmer’s Best dal 9 al 15.02
Extra Confettura ai lamponi 500 g Fr. 3.40 Offerta speciale Da due vasetti Fr. 2.70 invece di 3.40 dal 9 al 15.02
Ingredienti 300 g di ratatouille surgelata 4 mezze albicocche surgelate 150 g di mozzarella 1 pasta per crostate XL, rettangolare già spianata, di ca. 520 g 4 cucchiaini di confettura di lamponi 0,5 dl di panna o di latte 1 cucchiaio di miscela di semi 1 cucchiaino di zucchero a granelli
Preparazione Scaldate il forno a 200 °C. Fate scongelare la ratatouille e le albicocche. Tagliate la mozzarella in 8 pezzetti. Srotolate la pasta sul piano di lavoro e tagliatela in 12 rettangoli di ca. 9×11 cm. Distribuite la ratatouille e 1 pezzetto di mozzarella su 8 rettangoli, lasciando un bordo di ca 1 cm. Spennellate di confettura i rettangoli rimasti, lasciando un bordo di ca 1 cm, e farcite ciascuno con 1 mezza albicocca. Con un pennello, bagnate i bordi d’acqua e sigillate gli sgonfiotti
piegandoli in due. Spennellateli di latte. Cospargete gli sgonfiotti salati con la miscela di semi, quelli dolci con la granella di zucchero. Trasferiteli su una teglia foderata con carta da forno e cuoceteli al centro del forno per ca. 30 minuti. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno 30 minuti. Per persona ca. 18 g di proteine, 43 g di grassi, 68 g di carboidrati, 3050 kJ/700 kcal.
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Domenica: Un arrosto per tutta la famiglia
Arrosto di maiale marinato con crocchette e insalata di cavolfiore Piatto principale per 4 persone
Suggerimento Che ne dite di un arrosto domenicale marinato, tanto per cambiare? In genere, una buona marinata consiste in alcuni ingredienti di base come olio, aceto o limone, spezie. Gli aromi tipici sono timo, maggiorana, alloro, dragoncello e pepe per marinare la carne di maiale, mentre coriandolo, citronella, zenzero, aglio e salsa di soia sono adatti a pollame e pesce. Infine, all’agnello si abbina la menta.
Ingredienti 2 cucchiai di succo di pere concentrato 1 cucchiaio di senape granulosa ½ cucchiaino di sale, di pepe e di paprica 700 g di lonza di maiale 2 cucchiai di olio di colza HOLL 600 g di crocchette di patate surgelate Insalata 3 cucchiai d’aceto, ad es. condimento di mela 2 cucchiai d’acqua bollente o di brodo 2 cucchiai d’olio di girasole sale alle erbe 300 g di cavolfiore surgelato, da scongelare prima dell’uso 1 cucchiaio di burro per arrostire 2 cucchiaini di semi, ad es. semi di sesamo 2 cucchiai di salsa di soia 100 g di formentino Preparazione 1. Scaldate il forno a 80 °C, insieme con una placca da forno. Mescolate il succo di pere concentrato con la senape, il sale, il pepe e la paprica. Rosolate la carne nell’olio per ca. 10 minuti, anche le estremità. Spennellate generosamente la carne con la marinata e accomodatela sulla placca calda. Cuocete in forno la carne per ca. 2 ore.
Per affettare l’arrosto usate assolutamente un’apposita asse con la scanalatura per raccogliere il sugo, in modo che non sgoccioli sul tavolo.
2. Per l’insalata, mescolate l’aceto con l’acqua e l’olio. Condite il sale alle erbe. Rosolate il cavolfiore nel burro per arrostire per ca. 5 minuti. Aggiungete i semi di sesamo e rosolateli brevemente. Irrorate con la salsa di soia. Lasciate intiepidire il cavolfiore. 3. Dopo ca. 2 ore di cottura, estraete l’arrosto dal forno. Avvolgete la carne nella carta alu e tenetela in caldo. Alzate la temperatura del forno a 200 °C. Scaldate le crocchette di patate seguendo le indicazioni sulla confezione. Tagliate la carne e servitela in piatti caldi con le crocchette. Mescolate il formentino con la salsa e il cavolfiore e servite l’insalata con l’arrosto. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 2 ore. Per persona ca. 63 g di proteine, 21 g di grassi, 36 g di carboidrati, 2450 kJ/590 kcal.
Delicious Crocchette di patate al forno surgelate, 600 g Fr. 4.10 Nelle maggiori filiali Ricette di
www.saison.ch
Farmer’s Best Rosette di cavolfiore surgelate, 500 g Fr. 2.30* invece di 2.90 Offerta speciale *20% di sconto su tutti i surgelati Farmer’s Best dal 9 al 15.02
Anna’s Best Formentino confezione doppia 2x100 g Fr. 5.40* invece di 6.80 Offerta speciale *20% di sconto dal 9 al 15.02
Terrasuisse Arrosto di lonza di maiale per 100 g prezzo del giorno
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La corretta conservazione
Attenzione alle zone fredde Chi, dopo aver fatto la grande spesa della settimana, conserva in modo appropriato i generi alimentari in frigorifero, si garantisce una durata maggiore. La condizione preliminare è che il frigorifero sia regolato correttamente e che i vari prodotti siano depositati nelle aree previste per loro. Si consiglia anche un certo ordine, perché così si può avere una panoramica completa, evitando di dimenticare certi alimenti. Una volta al mese, il frigorifero dovrebbe essere pulito con un prodotto sgrassante, in modo da eliminare i batteri e assicurare che gli alimenti restino freschi più a lungo.
Piano superiore Il livello superiore è quello un po’ più caldo, siccome l’aria fredda è più pesante. Una temperatura di circa 8 gradi è ideale per conservare il formaggio e gli avanzi dei pasti.
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Piano intermedio A circa 5 gradi, i derivati del latte come yogurt e ricotta si conservano bene.
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Porta Temperature tra gli 8 e i 10 gradi, sono perfette per riporre alimenti come burro, bevande, uova e marmellate, che devono essere raffreddati solo leggermente.
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Piano terra Con circa 2 gradi, il ripiano di vetro è il più freddo del frigorifero. È il posto ideale per carne, salumi e pesce.
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Sotterraneo Con temperature tra gli 8 e i 10 gradi, i cassetti sono predisposti per la frutta e la verdura, che però dovrebbero essere conservate separate.
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