Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 22 febbraio 2016
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Azione 08
Società e Territorio La solitudine è un problema sempre più diffuso e, paradossalmente, aggravato dai social network
Ambiente e Benessere Per far fronte ai dolori della cervicale, elaborato un nuovo approccio multidisciplinare in cui la parte fisioterapica attiva è appannaggio del paziente
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Politica e Economia Sempre più, la guerra in Siria e Ucraina serve a far dimenticare la crisi economica in Russia
Cultura e Spettacoli A Firenze una piccola ma preziosa mostra celebra il pittore Carlo Portelli
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Daisy Gilardini
Yellowstone, arcaico paradiso
di Daisy Gilardini pagina 17
Avevamo occhi diversi di Peter Schiesser In questi tempi di muri che sorgono per respingere i migranti, forse le generazioni più giovani non sanno, e quelle più anziane non ricordano, che anche solo 35 anni fa chi fuggiva dalla guerra e dalla dittatura era visto e accolto con simpatia. Eravamo giovani liceali quando nel 1980 i Boat people vietnamiti giunsero in Svizzera e anche in Ticino. La curiosità e la solidarietà umana verso chi fuggiva dal proprio Paese in barconi di ogni genere a rischio della vita favoriva incontri, amicizie, anche qualche amore, in un clima umano accogliente da entrambe le parti. Li si ascoltava stupiti spiegarci in un inglese stentato la ricchezza della loro lingua, con la sinfonia di accenti che modella il significato di ogni parola, le loro esotiche abitudini culinarie, i racconti della loro vita laggiù, in quel Paese che conoscevamo solo dalle cronache di guerra. E così era successo pochi anni prima, quando giunsero i cileni che fuggivano da un’altra dittatura, questa volta di destra, quella di Pinochet: altre amicizie, altri amori. E qualche anno prima di loro erano giunti, accolti con simpatia e solidarietà, i tibetani fuggiti dall’esercito cinese e (forse meno in Ticino)
gli ungheresi che si erano trovati i carri armati dell’Armata Rossa a Budapest, nel 1956. Ma da allora il mondo non si è di certo calmato, altre guerre e dittature hanno generato nuovi profughi, sempre di più, e il loro numero è cresciuto anche in Svizzera. Ad un certo punto, la curiosità ha cominciato a lasciare il posto alla paura. Ricordo negli anni Ottanta i titoli allarmati del «Blick» sui tamil dello Sri Lanka, i nervosismi che si riflettevano sulla stampa nazionale quando negli anni Novanta giunsero i profughi dall’ex Jugoslavia. Anche loro nel frattempo si sono integrati, hanno arricchito il tessuto sociale svizzero e ticinese. Eppure, le paure non sono sparite, anzi, con l’arrivo di sempre nuovi profughi sono aumentate e, come primo riflesso spontaneo, hanno sostituito lo spirito di accoglienza. Forse è semplicemente normale, quando i numeri diventano troppo grandi per la nostra immaginazione. Ma noi ci siamo accorti del cambiamento che è avvenuto in noi e nella nostra società? Ci rendiamo conto che ci siamo lasciati derubare del senso di umanità con cui ci rivolgevamo al prossimo e che questo ci rende più poveri? Come è potuto accadere? Non idealizziamo: le paure di inforestieramento sono presenti in
Svizzera da molto tempo, ne hanno fatto le spese i lavoratori italiani negli anni Sessanta e via di seguito altri immigrati. Ma verso chi fuggiva da guerre e dittature l’atteggiamento era diverso, si guardava con empatia negli occhi di chi approdava dalle nostre parti senza più nulla che un misto di disperazione e speranza. Al contrario, oggi Angela Merkel viene criticata per avere aperto le porte, anziché erigere muri. L’impotenza di risolvere una situazione genera paure e oggi spinge molti governi a reagire impulsivamente, con gesti solo apparentemente liberatori. Anziché unirsi per affrontare l’emergenza profughi, molti Stati prediligono la via solitaria: chiudere le frontiere, introdurre contingenti massimi, come sta facendo l’Austria che ora non intende accogliere più di 80 richiedenti l’asilo al giorno (e 3200 in transito verso la Germania), per un massimo di 37’500 l’anno (a metà febbraio siamo già a 11mila). Se questo sia sufficiente per fermare le masse di disperati resta da vedere. Potrebbe rivelarsi un’illusione, con ricadute negative per i migranti, ma anche per la coesione dell’Unione europea. In realtà, tutti sanno che l’unica soluzione sta nel porre fine al conflitto in Siria. Ma qui ci scontriamo con l’enorme senso di impotenza con cui siamo chiamati a convivere.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Attualità Migros
M «Non risolve il problema della fame nel mondo»
Richiamo prodotti Salsiccia di vitello «aha!»
Votazione federale Il 28 febbraio si voterà sull’iniziativa «Contro la speculazione
sulle derrate alimentari». Thomas Schmid dell’Industria Migros ci spiega le conseguenze che avrebbe l’applicazione di questo progetto per Migros Thomas Tobler* Thomas Schmid, l’Industria Migros è uno dei principali produttori di derrate alimentari in Svizzera. Le materie prime che utilizza sono anch’esse oggetto di speculazioni?
L’Industria Migros acquista molte materie prime in Svizzera. Queste non sono negoziate in borsa e quindi non sono oggetto di nessuna speculazione. Ma le imprese Migros ricorrono anche a importazioni, in particolare di cacao o grano.
Certamente, se non troviamo sul nostro terreno le materie prime di cui abbiamo bisogno, dobbiamo importarle. È il caso del grano duro, che serve a produrre la pasta, oppure del cacao. Per quest’ultimo, Migros punta su marchi sostenibili, come UTZ o Fairtrade. Paragonati al mercato mondiale, i volumi di importazione sono estremamente deboli. Per esempio, il grano duro: ogni anno nel mondo se ne producono 36 milioni di tonnellate e l’Industria Migros ne importa appena 30’000 tonnellate all’anno, ossia solo lo 0,08%. Questa quantità minima è insigni-
No, nella misura in cui non specula su derrate alimentari. Acquistiamo solo le materie prime di cui abbiamo bisogno nelle nostre fabbriche. Copriamo le esigenze per i tre-diciotto mesi seguenti, secondo la congiuntura. Un certo volume di materie prime è fissato a una data e a un prezzo definiti: si parla allora di operazioni a termine. È importante per i produttori, che possono così contare su prezzi stabili.
Nella salsiccia di vitello di qualità «aha!» è stata riscontrata la presenza di proteine del latte. Poiché il loro consumo rappresenta un rischio per le persone allergiche, Migros ha deciso di richiamare il prodotto. Per chi fosse intollerante al lattosio non sussiste alcun pericolo. Sono interessate dal provvedimento le salsicce in cui compare la dicitura «da consumare entro» il 1° gennaio 2016 o più tardi (codice 2301.103.520.10, prezzo di vendita franchi 5.60). Sarà possibile restituire le confezioni in tutte le filiali Migros e il prezzo d’acquisto verrà rimborsato.
Nell’iniziativa dei giovani socialisti, questa salvaguardia dei prezzi resta autorizzata.
Calzini per bebè dotati di sonaglio
ficante nella negoziazione mondiale delle materie prime. Quindi l’Industria Migros non è interessata dall’iniziativa contro la speculazione?
Certo, ma è proprio lì dove il dente duole, e nonostante tutto anche le imprese dell’Industria Migros sarebbero direttamente interessate. Vale a dire?
Se l’iniziativa venisse approvata dagli svizzeri, per ogni operazione a termine dovremmo poter provare che è stata effettuata allo scopo di salvaguardare i prezzi dell’approvvigionamento e che
No alla speculazione: Migros si procura una gran parte delle sue materie prime in Svizzera, come il grano dell’Argovia. (Laurent Gilleron - Keystone)
non si tratta di speculazione finanziaria. Questo non risolve in alcun modo il problema della fame nel mondo. Che cosa intende dire?
Se proibissimo in Svizzera la speculazione finanziaria sulle derrate
Pro o contro l’iniziativa Fautori: l’niziativa «Contro la speculazione sulle derrate alimentari» è stata lanciata dai giovani socialisti in collaborazione col PS, i Verdi e diverse organizzazioni di soccorso. Il progetto vuol vietare alle imprese domiciliate in Svizzera di negoziare in borsa le materie prime agricole e le derrate alimentari. I suoi promotori vedono nelle attività speculative un motivo di aumento dei prezzi delle derrate alimentari, che impedisce a una parte della popolazione dei paesi
in via di sviluppo di soddisfare le sue esigenze. I fautori dell’iniziativa citano studi scientifici che stabiliscono un nesso diretto fra la speculazione e l’aumento dei prezzi delle derrate. Oppositori: il Consiglio federale e il Parlamento raccomandano di respingere l’iniziativa, senza formulare controproposte. Essi ritengono che l’iniziativa non offra una soluzione al problema della fame nel mondo, in quanto l’attività specula-
tiva sulle materie prime agricole avviene su scala mondiale: un divieto in Svizzera non avrebbe quindi nessun impatto. Inoltre, gli oppositori ricordano che la comunità scientifica così come numerose organizzazioni internazionali contestano il nesso fra speculazione e variazioni dei prezzi. Un divieto farebbe aumentare i costi nonché il carico amministrativo per le società che acquistano prodotti agricoli e per le industrie che li trasformano.
alimentari, i luoghi di negoziazione si sposterebbero all’estero. Le imprese interessate, come quelle dell’Industria Migros, dovrebbero allora far fronte a un gran numero di barriere amministrative e di controlli, e a un aumento dei costi. Nel contesto attuale, in cui l’industria svizzera è in difficoltà a causa del franco forte, non abbiamo proprio bisogno di questo. C’è un nesso diretto fra le operazioni puramente speculative e l’aumento dei prezzi delle derrate alimentari?
Attualmente non c’è alcuna prova scientifica univoca che permetta di affermarlo. Le fluttuazioni dei raccolti, causate dalle differenze climatiche e dalle siccità nonché le variazioni della domanda sono fattori molto più determinanti per gli aumenti di prezzo che non la pura speculazione. * Redattore di Migros Magazin
Per motivi di sicurezza, Migros richiama i calzini per bebè ad anelli colorati, decorati con elementi di peluche. Dato che questi ultimi possono facilmente staccarsi dai calzini, il bambino corre il rischio di ingerire il piccolo sonaglio in essi contenuto. I calzini per bebè colorati sono disponibili in varie misure (n. d’articolo 8922.163) e nei colori turchese, rosa e verde, nonché nei tre diversi soggetti coniglietto, ranocchio e stella. Per motivi di sicurezza, Migros prega la sua clientela di staccare l’elemento in peluche. Naturalmente è possibile riportare i calzini (in vendita da gennaio 2016) alle filiali Migros e ottenere così il rimborso del prezzo di vendita di fr. 6.90.
Il Famigros Ski Day ritorna in Ticino Sport invernali Il prossimo 28 febbraio sulle piste di Bosco Gurin
si terrà la giornata sulla neve dedicata alle famiglie amanti dello sci e dello snowboard Una giornata sulle piste di sci piena di sorprese e di iniziative, a prezzo «di famiglia». Per la stagione in corso ne sono state organizzate 15 e 8 hanno già avuto luogo nelle scorse settimane. A metà del programma, è possibile cominciare a stilare un bilancio che si dimostra positivo, nonostante le difficoltà climatiche che hanno reso incerto l’inizio di stagione. La giornata del 7 febbraio scorso, ad esempio, a HochYbrig, nel canton Svitto, è stata in parte disturbata dal favonio e da una temperatura al di sopra delle medie stagionali. Questo non ha impedito alle oltre 300 famiglie, un numero record assolu-
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Box Concorso Migros Ticino mette in palio fra i lettori di «Azione» 3 iscrizioni* omaggio allo Ski Day Famigros di Bosco Gurin del valore di 110.– l’una ai primi 3 fortunati lettori che telefoneranno martedì 23 marzo 2016 alle ore 14.00 allo 091 84012 61. Buona fortuna! * L’iscrizione è valida per una famiglia composta da 3-5 persone.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
to, di prendere parte alle varie attività. Tra i presenti, a sorpresa, anche una campionessa olimpica: Vreni Schneider, infatti si è iscritta con la propria famiglia alla giornata (vedi foto). Ma come per ogni appuntamento proposto dai Famigros Family Day, non è l’aspetto agonistico quello più importante. Lo scopo principale di tutti i partecipanti è trascorrere una piacevole giornata in compagnia. La gara, certo, è sempre divertente: tutti membri della famiglia concorrono, ognuno secondo le proprie capacità. Il cronometro parte nel momento in cui il primo membro della famiglia passa la linea di partenza e si ferma quando l’ulEditore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
timo ha tagliato il traguardo. Il risultato complessivo è quindi proprio frutto di un gioco di squadra. E, oltre alla gara, a fare del Family Day una giornata speciale contribuiranno il pranzo in comune, i numerosi spazi di gioco, regali a sorpresa e molto altro ancora. Tutte le informazioni sulla manifestazione e il programma delle prossime giornate, in particolare per quella di domenica prossima a Bosco Gurin, sono disponibili sul sito web www.famigros-sky-day.ch.
Il costo di iscrizione ammonta a 110 franchi per famiglia: la quota comprende la carta giornaliera, il pranzo, la medaglia ricordo, un regalo a sorpresa e altri gadget. Nel caso ci fossero posti ancora a disposizione, iscrizioni sono possibili anche il giorno stesso della manifestazione, con un supplemento di 10 franchi. I membri di Famigros beneficiano di uno sconto di 25 franchi sulla quota d’iscrizione (per iscriversi a Famigros: https://famigros.migros.ch)
Tiratura 101’035 copie
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Fotografie nella rete Immagini private rese pubbliche, un vero e proprio archivio osé: l’ultimo episodio ha coinvolto ragazze ticinesi. Quali le conseguenze? Come devono reagire gli adulti? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra Tazio Carlevaro
Incontro con Josef Weiss I suoi libri sono piccole opere d’arte che vedono la luce nell’atelier di Mendrisio dove lo stampatore e rilegatore custodisce un sapere artigianale che è mestiere e passione allo stesso tempo
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L’isolamento sociale rende il corpo più vulnerabile indebolendo le difese immunitarie. (Keystone)
L’era della solitudine Tempi moderni Un documentario della Bbc indaga un problema sempre più diffuso e trasversale
che può avere conseguenze negative sulla salute fisica Stefania Prandi Ascoltando Ben, scrittore di successo con due figli adolescenti, e guardando il suo sorriso accogliente, si fatica a credere che soffra di solitudine. Lo stesso vale per Kylie, donna dinamica, concentrata sulla carriera e sempre in viaggio, e per Emily, mamma casalinga trentenne, energica e solare, piena di incombenze domestiche. Eppure tutti e tre sono tra i protagonisti dell’ultimo documentario di Sue Bourne, videomaker scozzese (popolare in Gran Bretagna), andato in onda sulla Bbc, intitolato emblematicamente L’epoca della solitudine. Il lungometraggio prende spunto da quella che la stessa Bourne definisce «un’epidemia», un vero e proprio problema non soltanto per gli anziani, ma anche per i giovani. Le cause del fenomeno sono diverse e dipendono dai cambiamenti sociali degli ultimi cinquant’anni. Viviamo in un’epoca in cui le famiglie sono sempre meno numerose, i divorzi aumentano, si cambia spesso casa, si passano troppe ore in ufficio o comunque al lavoro. Va inoltre considerato che il senso di solitudine riguarda anche chi vive con altre perso-
ne. L’assenza di dialogo con il partner oppure con i familiari e l’abuso delle relazioni virtuali, infatti, fanno sentire sempre più isolati. Come spiega Valeria Egidi Morpurgo, psicologa e psicoanalista della Società psicoanalitica italiana e dell’Ipa (International psychoanalytical association), «le relazioni che passano esclusivamente dalla rete, a scapito degli incontri fisici, creano, a lungo andare, situazioni di vuoto. È un dato che constato nella mia pratica terapeutica quotidiana. Inoltre i social network amplificano il senso di esclusione, non soltanto tra i giovanissimi. Ci sono quarantenni che mi dicono di sentirsi male perché vedono su Facebook che gli amici hanno organizzato una cena senza averli invitati». Un aspetto che emerge anche dal documentario della Bbc: Kylie racconta che, dopo la separazione dal marito, ha faticato a rimettere insieme i pezzi della sua vita a Londra, città dove sembra, dai social network, che tutti siano pieni di amici e abbiano giornate sempre molto interessanti. Un’immagine che non corrisponde esattamente alla realtà, considerando che, secondo un sondaggio della Bbc, nella capitale del Regno Unito una persona su quattro
soffre di solitudine. «Il fatto è che nessuno scrive mai, su Facebook, di essere rimasto un’intera settimana a casa da solo mangiando dieci pacchi di biscotti e guardando intere serie televisive. E se lo fa, sembra un fallito», dice Kylei. Anche secondo Morpurgo, i social network possono causare dinamiche di confronto sfalsate, che portano a non apprezzare la vita che si ha. «Online creiamo un mondo che porta a una continua esibizione dei lati positivi, a un’enfatizzazione del glamour e della felicità, e a una conseguente scia di invidie. La ricetta per uscire da questo circuito malsano è cercare di stare in compagnia, condividendo esperienze di gruppo, ad esempio, e valorizzando i rapporti importanti. Tutti noi sappiamo che gli amici veri, nella vita, quelli sui cui possiamo contare senza dubbi, sono, al massimo, tre o quattro. Cerchiamo di averne cura e di non farci trarre in inganno da chi si vanta delle relazioni di facciata». La solitudine va riconosciuta e combattuta perché è uno stato mentale che può avere conseguenze serie sulla salute. È quanto emerge da un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the
National Academy of Sciences) condotto da John Cacioppo, psicologo dell’Università di Chicago, che dimostra che l’isolamento sociale rende il corpo più vulnerabile. Nello specifico, indebolisce le difese immunitarie, modificando l’attività di geni importanti per il corretto funzionamento delle cellule di difesa. Di conseguenza, le cellule fanno più fatica a combattere gli agenti infettivi, e questo porta allo sviluppo di processi infiammatori. Tradotto in percentuali, significa che le persone che soffrono di solitudine corrono il 14% del rischio in più di morire prematuramente rispetto a chi ha buone relazioni sociali. Certo, rompere con la routine dell’isolamento non è semplice: meno si frequentano gli altri, meno si è sollecitati a farlo, aggravando la propria condizione. Però è necessario sforzarsi. Per questo lo psicologo statunitense, specializzato in neuroscienze sociali, ha elaborato l’Ease Method, con indicazioni pratiche per chi si trova in difficoltà. Dato che si vive ritirati e in modo passivo perché ci si sente minacciati, per iniziare a frequentare gli altri è bene farlo poco alla volta, in ambienti protetti. Una formula può essere quella
di dedicarsi al volontariato, ad esempio, di qualunque tipo sia: con persone in difficoltà, per la difesa dell’ambiente, con gli animali. Anche intrattenere conversazioni su fatti apparentemente banali, può aiutare a creare nuove relazioni e a ricominciare a sentirsi in sintonia con gli altri. Inoltre, «è necessario ricordare che non siamo mai vittime passive di quello che ci accade, ma possiamo avere un controllo, cambiando i nostri pensieri, le aspettative, i comportamenti». È bene poi selezionare gli incontri. La soluzione alla solitudine, infatti, sta nella qualità delle relazioni. Altro fattore importante è cercare, per quanto possibile, di essere ottimisti e predisporsi positivamente verso gli altri. «Ci vuole pazienza per osservare i cambiamenti e per resistere alla paura e alla frustrazione che cercano di spingerci indietro a un atteggiamento critico ed esigente», sottolinea Cacioppo. In questo senso, bisogna tenere a mente, come suggerisce Morpurgo, che non esistono vite migliori di altre: «tutti noi abbiamo qualcosa di unico da valorizzare, che possiamo apprezzare appieno solo quando smettiamo di fare confronti e di dipendere dai giudizi esterni».
PUNTI
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Società e Territorio
Per colpa di un click Ragazzi Muoversi fra realtà e mondo virtuale è un percorso nel quale bisogna imparare
a comprendere le conseguenze delle proprie azioni
Lingua&sport per giovani confederati Multilinguismo
Corsi a partire da maggio
Maria Grazia Buletti «Questa storia va avanti da una vita, già alle scuole medie c’erano ragazzine che facevano girare fotografie un po’ audaci», Giulia ci parla dell’argomento di stretta attualità inerente lo scandalo delle centinaia di fotografie osé di ragazzine raccolte su Drop Box e poi inviate a migliaia di utenti. Lei non c’entra con la cronaca: è una diciannovenne che ha accettato di spiegarci quel che già da tempo succedeva: «Il meccanismo è sempre quello: sei una ragazzina, ti piace un ragazzo, ti fai qualche foto osé e gliela mandi, anche se in buonafede e senza la benché minima idea della portata che questo gesto potrà avere». Difatti basta poco perché le foto comincino a «girare» di telefonino in telefonino, per mezzo delle nuove tecnologie che facilitano e amplificano tempi e divulgazione: «Il ragazzo mostra gli scatti audaci a un amico, magari per vantarsi della sua bella tipa, poi subentrano più amici e infine tutti conoscono i fatti e iniziano così a deriderla, definendola una ragazza facile». Dall’avventato, ingenuo e sconsiderato gesto di invio, da quel semplice click in poi, la frittata è fatta: «Talvolta le foto fanno giri molto lunghi (e questa è la schifezza), finché i genitori, allarmati da qualche altro genitore, dall’amica o dalla ragazza stessa che è disperata, intervengono in qualche modo». Ora a intervenire è altresì la Polizia i cui inquirenti, alla luce degli ultimi fatti del genere avvenuti in Ticino, tenteranno di identificare il o i responsabili di un’operazione che ha ferito la privacy di decine di ragazze e delle rispettive famiglie. L’idea che potrebbe farsi strada a proposito della teenager media ticinese è quella di una giovane ragazza disinibita e provocante. Giulia però afferma: «È brutto da dire, ma si tratta più che altro d’ingenuità allo stato puro: non ci si rende conto delle conseguenze e non si pensa che quella foto sarà facilmente resa pubblica». Da un archivio osé, messo in piedi magari per una semplice bravata da un gruppo di ragazzini, al gioco pesante sfuggito di mano il passo è breve, favorito dalle nuove tecnologie. «Ogni nuova tecnologia comporterà conseguenze che nessuno avrà mai previsto», esordisce lo psichiatra Tazio Carlevaro che porta ad esempio la storia e i suoi insegnamenti: «Il cambiamento della forma delle navi ha concretato la possibilità di arrivare fino in America, impresa impossibile per le vecchie navi veneziane, per non parlare del treno: tutti pensavano a quanto fosse pericoloso per il bestiame al pascolo, e invece ha con-
Il dottor Tazio Carlevaro. (Stefano Spinelli)
tribuito alla rivoluzione industriale». Il nostro interlocutore ci permette di riflettere sulla gioventù che affronta le nuove tecnologie con maggiore dimestichezza «tecnica», senza però trascurare i due aspetti che rendono i ragazzi vulnerabili: «L’adolescente non è un piccolo adulto, bensì un bambino che si sta trasformando attraverso strumenti propri di un ragazzino che assimila la socialità, dalle radici famigliari per poi espandersi a tutto il resto del suo mondo. Inoltre, l’adolescenza è molto più lunga di un tempo». Perciò, noi adulti abbiamo il compito di accompagnare i nostri giovani nella conquista di consapevolezza dei limiti di questi nuovi mezzi di comunicazione che fanno della velocità e dell’amplificazione la loro subdola forza. «L’adolescente deve imparare a gestire lentamente questi strumenti intuitivi, dunque apparentemente facili da usare, grazie ai quali il “gruppo” ristretto di un tempo è divenuto una vera e propria “piazza”; lo stesso gruppo dei giovani di allora (quello che tace i suoi segreti) non è più tale perché oggi chiunque può entrare, guardare, dire la propria». Ed è qui che manca la consapevolezza: «Il problema nasce quando i contenuti del gruppo ristretto si portano in un ambiente esterno (ndr: quello generato dalla tecnologia che
raggiunge velocemente tutto e tutti); un ambiente diverso da quello che la giovane degli autoscatti osé pensa sia: tutto si amplifica e genera il danno». Non si tratta dunque di apparenza, provocazione e narcisismo: «L’autostima, l’amore per sé stessi, per la propria valenza, l’essere accettati, visti, guardati, sono legittimi e non necessariamente negativi: permettono di costruirci come individui. Però con certi strumenti si rischia di andare troppo oltre e qui nasce l’incidente che, per definizione, è qualcosa che parte da un atto volontario ma che comporta conseguenze incontrollabili». Il dottor Carlevaro è certo che non ci sia molto di nuovo sotto il sole, se non il fatto che dovremo imparare a gestire, noi adulti e i giovani, una tecnologia della quale non dovremo essere vittime: «Andranno considerati cambiamenti nel modo di essere e di fare, consci del fatto che oggi non si sa esattamente a quali cambiamenti radicali andremo incontro». Tutto ciò senza additare la famiglia. Allora, scatto una foto, la invio con un click, finisce in piazza, succede l’inevitabile: la tecnologia rende presente un passato che un tempo si poteva solo ricordare con la mente: «In questi casi l’intimità è distrutta (e per la vittima è cosa rilevante), e l’esposizione anche solo virtuale
dell’immagine è universale». La scuola, dal canto suo, ha preso coscienza della situazione e prova a portare in aula la questione: «Anche se ci si rende conto che un’informazione su questi argomenti “passa” meglio se gestita dai pari, ossia dagli allievi stessi, perché fatta dai docenti o da persone adulte ha meno riscontro». Chiaro il ruolo della famiglia: «Educazione e prevenzione sono importanti, ma un adolescente non darà mai la sua totale disponibilità a seguire tutto ciò che gli avremo consigliato». Il «controllo benevolente» è la via che i genitori dovrebbero perseguire, senza delegare ai figli responsabilità che essi non possono assumersi: «Un chiaro no può essere necessario, seguito dalle spiegazioni; che sia accettato o meno, resta un no. Poi i genitori devono essere concordi sulla linea educativa». Quando la frittata, come in questi casi, è servita: «I genitori devono esercitare un’accettazione dell’errore, oltre che della ragazza: “Non era ciò che speravamo, ma ti amiamo lo stesso, anche se è capitato”. All’adolescente il compito dell’elaborazione, con il sostegno morale scevro da giudizio da parte della famiglia». Poi: «Il tempo è un grande galantuomo e su queste cose sa come stendere un velo che presto o tardi porterà all’oblio».
vita a questa iniziativa in collaborazione con il sito dove affittacamere e viaggiatori di tutto il mondo si incontrano. Il messaggio è chiaro: coniugare l’arte con i linguaggi e gli strumenti digitali per raggiungere nuove fette di pubblico e ampliare la diffusione dei propri contenuti attraverso diversi e più moderni canali di comunicazione. Significa che l’Art Institute di Chicago riconosce le potenzialità della sharing economy e di un grande attore del mercato digitale come Airbnb con membri e utenti in oltre 190 paesi del mondo così come i benefici che un’alleanza può portare. Non solo economica, in questo caso, ma anche concettuale poiché la mostra con i suoi 36 quadri esposti intende indagare il lato più umano di Van Gogh e dunque anche la continua ricerca
da parte del pittore di un luogo dove sentirsi a casa. Impresa tutt’altro che facile per un uomo come lui sempre in movimento tra un luogo e l’altro, tra le più disparate professioni prima di diventare un artista e, soprattutto, per lui che era un uomo in preda ad un disagio psichico che spesso gli rubava il sonno trasformando la camera da letto e del ristoro in un miraggio, piuttosto che in una realtà. È un po’ quello che facciamo quando scegliamo di andare in un appartamento Airbnb, ritrovare altrove quella sensazione di casa e di autenticità. Come ha detto Amanda Hicks dell’Art Institute di Chicago «La camera da letto simboleggia per Van Gogh un santuario, un rifugio dove poter finalmente stare. Quello che in un certo senso, e per pochissimo tempo, gli ha dato la Provenza di cui rimase letteralmente
Entra nel vivo l’operazione speciale «Italiano: lingua di frontiera», lanciata nel settembre del 2014 congiuntamente dal Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport, dalla RSI e dal Percento culturale di Migros Ticino. Come annunciato in una conferenza stampa giovedì 18 febbraio, dalla prossima primavera partiranno i corsi «Italiano & Sport» per ragazzi fra 14 e 17 anni svizzero tedeschi, romandi e romanci. Il progetto era nato per promuovere la lingua italiana e l’italianità in Svizzera, nel segno della coesione nazionale e del multilinguismo. In questo contesto, oltre a lanciare nuove iniziative di programma sulla lingua italiana e alla partecipazione a eventi sulla lingua italiana in Ticino e nel resto della Svizzera, la RSI aveva prodotto un nuovo DVD dei Frontaliers: «Qui si parla itaGliano». Grazie alla vendita di 40 mila copie (in questa occasione, in Ticino esclusivamente nei negozi Migros, nel Grigioni italiano agli sportelli dei comuni), che ha fruttato 300 mila franchi, è stato creato il Fondo per l’italiano in Svizzera. Il capitale in questione permetterà ora di offrire nel triennio 2016-2018 a ragazzi provenienti da Oltralpe una settimana di lingua e sport a prezzo dimezzato (250 anziché 500 franchi). I campi base saranno il Centro sportivo nazionale di Tenero e il Centro gioventù e sport di Bellinzona. I corsi prevedono 3 moduli da 45’ di italiano il mattino suddivisi in 2 livelli, uno per principianti e uno per iniziati. Il pomeriggio è dedicato ad attività sportive. A Tenero giungeranno già in maggio 300 ragazzi, le cui classi sono state iscritte dalle direzioni delle rispettive sedi scolastiche, in estate a Bellinzona saranno invece ospitati i ragazzi che si iscrivono singolarmente. Per promuovere il progetto Oltralpe, i promotori si affidano anche a due testimonial d’eccezione, Christa Rigozzi per la Svizzera tedesca e il giornalista romando della RTS Massimo Lorenzi per la Romandia.
Christa Rigozzi, testimonial. (RSI)
La società connessa di Natascha Fioretti Quando l’arte incontra Airbnb
Se andate su Airbnb – il sito più gettonato del momento per soggiorni in appartamenti o case sparsi in tutto il mondo – e cercate un posto dove stare dall’altra parte dell’oceano, magari in quel di Chicago, tra i tanti annunci potreste trovare quello di Vincent. Non un Vincent qualunque, ma proprio lui, quel Vincent, Vincent Van Gogh. Sulla pagina del suo appartamento troverete scritto così: «Questa stanza vi farà sentire come se viveste in un dipinto. È decorato in stile postimpressionista, rievoca il sud della Francia e il tempo che scorre. L’arredamento, i colori luminosi e le opere d’arte vi daranno l’esperienza di una vita. Vi chiedo 10 dollari per il solo motivo che mi occorre denaro per comprare i colori. In ogni caso sarò
lieto di offrirvi dei biglietti per la mia mostra all’Art Institute di Chicago». E qui abbiamo un indizio, perché per quanto Vincent Van Gogh avesse una mente illuminata e geniale, per quanto avesse una spiccata sensibilità per le questioni sociali del suo tempo, per quanto amasse spostarsi (ha vissuto solo 37 anni spostandosi almeno 27 volte), prevedere con oltre un secolo di anticipo lo scambio e l’affitto di appartamenti tramite una piattaforma online, sarebbe stato davvero impossibile anche per un visionario come lui. E allora come ci è finita la riproduzione in grandezza naturale del suo quadro La camera da letto su Airbnb? Semplice, grazie ad una originale idea dell’Art Institute di Chicago che – per promuovere la mostra dal titolo «Van Gogh’s Bedrooms», aperta al pubblico fino al 10 maggio 2016 – ha dato
affascinato così come la casa gialla di Arles in cui nel 1888 dipinse La camera da letto». L’art Institute of Chicago ha il merito di riunire per la prima volta le tre versioni che il pittore realizzò di questo quadro aggiungendo all’opera appartenente alla propria collezione permanente, una seconda presa in prestito dal Musée d’Orsay di Parigi e una dal Museo Van Gogh di Amsterdam. Quale idea migliore dunque di un appartamento fatto a immagine e somiglianza per celebrare e pubblicizzare la mostra di Van Gogh? Tra l’altro Vincent, in cambio dell’affitto del suo appartamento con vista sul fiume, promette anche dei biglietti d’entrata alla mostra: se vi interessa affrettatevi perché il calendario delle prenotazioni è quasi pieno e anche i biglietti della mostra stanno andando a ruba…
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Società e Territorio
L’arte della stampa Incontri Josef Weiss nel suo atelier di Mendrisio ci parla del suo mestiere di stampatore e rilegatore,
una grande passione che vorrebbe trasmettere perché convinto che il futuro sia l’artigianato
Sara Canali «Questi macchinari sono obsoleti, perciò sono liberi». Josef Weiss stringe con una mano la lunga leva della sua Pedalina Boston, una macchina da stampa tipografica brevettata nel 1858. Lo fa con la grazia della mano esperta, quella abituata al gesto che il macchinario richiede: composizione, posizionamento, pressione. Nel suo «atelier della stampa e della rilegatura d’arte» nel cuore di Mendrisio si stampa ancora così, con quell’arte antica a caratteri mobili sopravvissuta per più di 500 anni, ma guai a dire che il tempo sembra essersi fermato, non è questo il punto, perché l’artigiano la tecnologia la utilizza eccome. È solo questione di prospettive: se ogni cambio tecnologico consente ai vecchi strumenti di produrre arte è facile capire il perché qui si fa tutto alla vecchia maniera. In fondo il suo obbiettivo è solo quello, semplice, di produrre libri belli.
«Mi sono rimesso in gioco, avevo quasi 60 anni e ho dovuto imparare da zero a usare il torchio» Ce ne sono tanti, dappertutto, di ogni forma e colore. Questo rifugio per sognatori è davvero una caccia al tesoro tra i tesori, come lino, carta, cartoncino, pigmenti, nastri, pellami tra cui spunta una pelle di pesce, centellinata solo per abbellire qua e là qualche copertina. Josef Weiss ci mostra diversi lavori e per ognuno aggiunge una storia. «Per me la carta è come l’aria che si respira e i libri che ne nascono sono come dei figli. Ogni volta che stampo e poi assemblo faccio una scelta che mi porta in una direzione che non avrei potuto immaginare. Questo non è un mestiere, è una passione. È una passione per cui ci vuole mestiere». Dal 1981 in via Carlo Croci al numero 4, quest’artigiano produce piccole opere d’arte come pezzi unici o a tiratura limitatissima curandone ogni passaggio, dall’impostazione grafica, alla stampa, alla rilegatura fino all’edizione vantando collaborazioni artistiche di altissimo spessore. Ma quello che si osserva oggi (che Josef di anni ne ha 72) è solo il raggiungimento di un traguardo rincorso per una vita. Nasce a Romanshorn, canton Turgovia, e a 15 anni entra per la prima volta in una bottega, come tirocinio formativo per il diploma federale di rilegatore presso la scuola d’arte di San Gallo. Passano pochi anni e si smette di rilegare a mano per far spazio a quel processo industriale che oggi dà vita a «libri fatti spesso sbagliati – dice amaro –, dove non si fa più caso al carattere dei materiali, come ad esempio alla trama della carta». Costretto a reinventarsi, a 20 anni comincia a lavorare come grafico per una multinazionale della Svizzera orientale che lo trasferisce a Vacallo, sul confine, per trattare con clienti italiani. Qui conosce Giuliana, compagna di una vita, che ancora lavora nell’atelier e crea le sue originali carte colorate. Con lei costruisce un progetto che ha il nome di due figli, Roger e Manuel. Undici anni di vita di frontiera, poi la multinazionale lo richiama indietro proponendogli la direzione dell’ufficio grafico dell’azienda. «A quel punto scattò qualcosa, capii di non essere nel posto giusto. Non ero fatto per lasciare la mia vita in mano di altri. Incoscienza o coraggio, ho preferito prendere la mia
Josef Weiss nel suo atelier custodisce una Pedalina Boston, una macchina da stampa tipografica brevettata nel 1858. (Vincenzo Cammarata)
Caratteri in piombo. (Vincenzo Cammarata)
strada e ho portato la mia famiglia con me in Val di Muggio, dove ho ricominciato a fare ciò che mi veniva meglio: rilegare e restaurare libri per la biblioteca nazionale». A Mendrisio approda dopo 3 anni, nel 1981, in uno spazio di 52 metri quadri dove comincia a pensare alla rilegatura come una forma d’arte e dove, con numerosi interventi di recupero,
Pigmenti. (Vincenzo Cammarata)
ha dato vita a quella che oggi è la sua seconda casa, ovvero il suo atelier. Tutto quello che è avvenuto dal ritorno a Mendrisio ad oggi, Josef Weiss lo definisce un succedersi di sinergie, un mescolarsi di occasioni, un cammino che ha come motore la forza di credere che quello che si sogna si può anche realizzare. «Sentivo che i tempi erano maturi per cominciare a dare
Attrezzi per lavorare la pelle e rilegare. (Vincenzo Cammarata)
vita a lavori miei. Ho cominciato a pubblicare nell’86 incaricando i più grandi tipografi di Svizzera, Italia, Germania e Olanda a stampare per me. I primi caratteri in piombo li ho comprati quasi per gioco, ero affascinato dalla stampa, ma quando è arrivata l’offerta per una tirabozza ho capito che le cose accadono e che la mia attività poteva avere una trasformazione. Mi sono rimesso in gioco, avevo quasi 60 anni e ho dovuto imparare da zero ad usare il torchio». È una sensazione particolare quella che si prova passando i polpastrelli sopra le copertine di alcuni dei lavori che Josef ci mostra, così come sulle pagine con i caratteri in rilievo. Questi libri sono idee trasformate in oggetto, capaci di far rinascere uno scritto dimenticato una storia già letta, un pensiero, un colore. Ogni pagina non sarà mai uguale all’altra perché ogni foglio è fatto a mano, stampato con i caratteri mobili che tiene suddivisi per etichette: Helvetica, Bodoni e Antigua. In altri cassetti xilografie incise su legno di bosso dal figlio Manuel e sulle pareti, sui tavoli, sugli scaffali, inutile dirlo, stampe. «Quello che ho capito nel corso
della mia vita – ci dice con un sorriso – è che c’è sempre una possibilità. Siamo sudditi di un sistema che ci ha inglobato, ma se si vuole, si può vivere decidendo di accettare meno condizioni ed essere padroni della propria vita. Oggi vorrei poter insegnare a qualcuno tutto quello che ho appreso in modo che non venga perduto perché sono convinto che il futuro sia l’artigianato per quella logica che il lavoro non si cerca, ma si crea». Intanto continua a produrre arte Josef Weiss nel suo laboratorio, giorno dopo giorno, sotto gli occhi spesso miopi di chi cammina davanti alle vetrine senza rendersi conto del mondo che ci sta dietro. Lui che nella sua vita è stato grafico, rilegatore, stampatore ed editore, ancora oggi non smette di sorridere, quasi come se la fatica non gli appartenesse. Prima di andare ci lascia un altro pensiero, un ennesimo tesoro. «Quello che faccio qui dentro è un mio sogno che altri chiamano arte. Per me l’arte non è che un atteggiamento verso l’Universo e penso che a volte si può anche essere artisti senza aver tracciare nemmeno una riga, ma volgendo al mondo uno sguardo diverso».
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Un ragionevole dubbio Ho scoperto di recente, leggendo quotidiani ticinesi, che i miei genitori erano incorsi, e per di più recidivamente, in un grave reato: di tanto in tanto, quando le meritavo, mi davano sculacciate, e anche qualche sberla. Dunque, stando a quanto ho appreso dai quotidiani ticinesi, si sono resi colpevoli di «lesioni semplici, vie di fatto reiterate e violazione del dovere d’assistenza o educazione». Questa infatti è stata la sentenza per una mamma colpevole di avere sculacciato il figlio di neppure cinque anni, in sei diverse occasioni, sull’arco di un anno e mezzo. Mio padre e mia madre – lo confesso con imbarazzo – incorrevano in questo reato con una frequenza probabilmente maggiore, quando io avevo la stessa età della recente piccola vittima. Ma c’è di peggio, perché oltre alle punizioni corporali i miei genitori ricorrevano ad altre forme di violenza intimidatoria: «Adesso resti in castigo in camera tua e non esci fino
all’ora di cena!»: perbacco, sequestro di persona! E ancora: «Adesso raccogli tutte le cartacce che hai buttato per terra e non farai merenda finché non avrai rimesso in ordine!»: dunque, coazione, oppure ricatto. Quanti reati, dunque, da parte di due genitori amorevoli, per i quali nutro un affetto profondo e ai quali devo molto: un’infanzia vissuta con la loro assistenza costante e un’educazione che – se posso osare – mi ha avviato ad essere un adulto con buoni princípi e saldi valori morali. Devo aggiungere, per completare il dossier giudiziario, che ero spesso un bambino insopportabile: capriccioso, testardo, disobbediente. Non di rado, quando mi si diceva che non dovevo fare una certa cosa, io la facevo apposta, proprio per provocare. Insomma, non la piantavo finché non arrivava la sculacciata. Sia chiaro: non erano botte da orbi date con rabbia, ma una punizione corporale data con mi-
sura e solo quando il ripetuto ammonimento verbale non funzionava. Confido che questa precisazione possa valere da attenuante per i miei genitori criminali. Mi stupisce, dunque, scoprire che quello che avevo sempre considerato un ottimo rapporto educativo si sia capovolto, con il passare di qualche decennio, in una prassi pedagogica del tutto errata e addirittura illecita. E un’altra cosa che mi stupisce è che tutti gli amici miei coetanei, per quel che ne so, da bambini hanno ricevuto lo stesso mio trattamento: amore e cure, sempre; punizioni disciplinari – sculacciate comprese –, quando era il caso; ma non ho mai riscontrato in loro alcun rancore verso i genitori o qualche forma di devianza. Mi stupisce poi, ancora, che la Bibbia risuoni di ripetute incitazioni al crimine: mi limito a un paio di passaggi: nel Secondo libro di Samuele Dio assicura a David che si prenderà cura della sua
discendenza: «Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo». Nel libro dei Proverbi: «Non risparmiare al giovane la correzione, anche se tu lo batti con la verga, non morirà; anzi, se lo batti con la verga, lo salverai dagli inferi». E qui non si tratta di sculacciate, ma di bastonate! Quanto meno, occorre raccomandare ai genitori di non leggere un libro così pedagogicamente scandaloso! Ma si dirà che quelle erano regole divine sì, ma d’altri tempi, d’altre mentalità. Ovvio. Rimane peraltro un ragionevole dubbio: è ancora possibile educare e formare moralmente se non esistono più misure disciplinari, se una trasgressione non ammette più nessuna sanzione? Quando un bambino dimostra di essere cocciutamente trasgressivo come ero io, cosa si può fare? Si ricorre al dialogo – si risponderà in base ai
dogmi santificati dalla pedagogia attuale. Spesso non funziona – obietto –, almeno con bambini piccoli. Allora, si ribatte, bisogna ricorrere allo psicologo. E qui concludo: «Tanti auguri, buona fortuna». Sta di fatto che quando m’imbatto nei dati statistici relativi alla devianza giovanile osservo che periodicamente viene denunciata una crescita costante. Nel 2000 la Magistratura ticinese dei minorenni si dichiarava sommersa dagli incarti inevasi, a quel tempo circa mille. Nel 2004 si segnalava il preoccupante aumento del numero dei giovani picchiatori che tali erano solo per il gusto di farlo. Lo stesso anno, in Germania, la criminalità giovanile faceva registrare una crescita del 43% nel giro di tre anni. Certo, i fattori che possono aver contribuito a queste derive giovanili sono molti; ma non c’entrerà, magari, anche un certo lassismo pedagogico?
ta. Laggiù forse tre sassi grossi della battaglia. Ancora cinque minuti di cammino ed eccola la sagoma sud della Congiunta (399 m) di Giornico, intravista tutta d’un fiato così tante volte dal treno. Così su due piedi uno che non sa niente, la prende per un deposito o una centrale elettrica, eppure questa casa snella per sculture nel 1995 ha vinto il premio Architettura alpina contemporanea e il premio Beton 1997. Il beton è abbellito dal tempo attraverso sfumature color ruggine stinto, striature verticali nere. Inoltre, visto che è beton gettato in opera, la superficie mostra le tracce sottili delle casseforme usate: mirabili venature di un garbato reticolato rettangolare. Affiancandola, i corpi di fabbrica scappano longilinei in avanti, proiettando precisi sul prato, le ombre a zig zag della loro altezza altalenante. Tre parallelepipedi di diversa altezza in fila indiana, coronati da altri tre minori in acciaio; più un appendice più piccola accorpata al
primo parallelepipedo. La posizione fa la sua parte: quissopra corrono i binari dei treni, sotto scorre placido il Ticino parallelamente ai filari degli ultimi vigneti cantonali che se la svignano in prospettiva, di fronte all’entrata. L’entrata è solo una porta d’acciaio quasi filomuro, posta in alto rispetto al terreno. Ricorda molto quella del chiosco di fiori (1969) di Sigurd Lewerentz nel cimitero Est a Malmö. Metto un piede sullo scalino a sbalzo, giro la chiave e dentro si apprezza subito tutto il brutalismo di questa costruzione semplice e radicale. Nessuna porta, soffitti ariosi, mura grezze. In questo museo a metà strada tra lo stato brado e il self-service c’è un’unica didascalia. Una piccola targhetta indica i periodi di composizione delle varie opere di Josephsohn, situandole nelle tre stanze più l’annesso: vanno dal 1950 al 1991. Un’occhiata ai primi sei bassorilievi astratti e passo nella seconda stanza, dove la luce entra da sopra come nelle
chiese. La sacralità qui però è più che altro quella esclusiva di un bunker d’arte tutto per sé. Otto altorilievi in bronzo bitorzoluti, con delle figure larvali, sono appesi al beton non isolato. Altro che chiesa di Zillis, qui si congela come tacchini in una cella frigorifera. Nella terza stanza, a sinistra, si aprono quattro varchi per le quattro celle-corollario con tre altorilievi ciascuna. In uno, due si abbracciano e si baciano, in un altro una figura zoomorfa richiama i capitelli fantastici di San Nicolao. Quest’ultima stanza, con il soffitto più alto, immagazzina a vita ancora quattro altorilievi messi in ombra da tre busti amorfi di bronzo tipo ciclopici bozzoli increspati. Da qui si abbraccia tutta la magistrale fuga prospettica scandita dalle due soglie rialzate delle porte senza porte: una inquadra l’altra fino alla porta d’entrata che se fosse aperta, introdurrebbe nello sguardo, come il gioco delle scatole cinesi, anche i vigneti di merlot.
gli addetti ai lavori dovevano poi reagire, per dimostrare che anche il piccolo schermo era in grado di diffondere programmi informativi e formativi di qualità, insomma di far cultura. Tuttavia, l’alleanza fra un nuovo mezzo, specificamente visivo e dai ritmi veloci, e la cultura tradizionale, affidata a biblioteche, musei, università ebbe un avvio difficile. Dalla mia memoria di telespettatrice di stagioni ormai lontane emergono le immagini di sconfortanti tavole rotonde che riunivano professori, filosofi, scienziati, poeti impegnati in
discussioni tutte fra loro. Infatti, pochi le seguivano. A smuovere le acque fu, poi, Grytzko Mascioni, intellettuale estroso che aveva avvertito la necessità di adeguare la cultura da aula scolastica alle dimensioni di una scena da spettacolo, mobilitando protagonisti dell’attualità, mescolando storia e cronaca. Si trattava, insomma, di trovare per la cultura il collocamento a misura di video integrandola nella scelta stessa dei programmi per evitare il rischio dell’isolamento in rubriche a sé stanti. Un tranello in cui è facile cadere, ancor oggi. Citando un esempio di casa nostra, succede il sabato sera, nell’appuntamento con Turné, dove gli avvenimenti culturali della settimana vengono proposti in termini sibillini. Prime teatrali, novità librarie, vernici di mostre, concerti classici o rock, tutto subisce una deformazione estetizzante e presuntuosa: da decifrare. Qui, non si legge, si declama. Non si cammina, ci si contorce in salti e danze. Non si canta, si urla o si sibila. Non si dipinge ma ci si accanisce contro una tela. E via enume-
rando situazioni, normali e frequenti nell’attualità locale, che diventano invece episodi rari e persino ostici. Senza dubbio, agli ideatori e ai protagonisti della rubrica vanno riconosciute capacità creative, che, però, ottengono effetti controproducenti. La presentazione, originale e cincischiata, finisce per coprire l’evento. È sempre la solita storia dell’involucro che soffoca il contenuto, del messaggio pubblicitario fine a sé stesso, di cui si ricorda l’immagine e lo slogan, ma non l’oggetto in vendita. Nel nostro caso, si sta parlando di una merce particolare, la cultura più che mai multiforme e in continua evoluzione, da promuovere con conoscenza di causa e con intuito. E, con il coraggio della semplicità di cui proprio Turné ci fa sentire la nostalgia. Infine, confessando, magari, di aver visto, almeno a sprazzi, Sanremo e di appartenere alla schiera di quelli che si divertono con i giochi di parole di Frassica che si potrebbero definire surreali. Guarda un po’ dove è andato a finire un movimento d’avanguardia.
A due passi di Oliver Scharpf La Congiunta di Giornico Per visitare La Congiunta di Giornico dovete passare a prendere la chiave all’Osteria Giornico. Già questo è un indizio della particolarità di questo museo quasi selvatico. Nato nel 1993 per mano di Peter Märkli, architetto zurighese classe 1953, si trova infatti sperduto su un pezzo di prato a nord del paese, tra la ferrovia e il Ticino. Lì dentro ci sono una trentina di sculture di Hans Josephsohn (1920-2012), nato a Königsberg nota oggi come Kaliningrad ed emigrato a diciott’anni a Zurigo. La congiunzione del nome è quella tra la scultura e l’architettura dei due amici, ma non di meno congiunta, a sua volta, è l’osteria Giornico dove giungo a metà mattina di metà febbraio. Una volta tanto né biglietterie né bookshop né niente, solo un bel caffè accanto a un pensionato che legge religiosamente il giornale con birretta a fianco. L’Amos, vero tatuato vecchio stampo, mi dà la chiave e mi porge il quaderno dei visitatori. Lon-
dra, Losanna, Trento, Atene, Zurigo, Stoccarda, Sydney, Berlino, Stoccolma: scorrendo i nomi c’è mezzo mondo passato di qui. Devo però sfogliare diverse pagine per trovare Lugano. Rollo una sigaretta e via, giù a sinistra per l’acciottolato di riva Sampieri. I riflessi del Ticino ondeggiano sotto l’arcata del primo ponte romano. Dal ponte uno sguardo in giro, una giornata così di questo inverno non inverno, vale già un po’ la pena, va detto. I ciottoli continuano per il tratto sull’isola congiunta dai due graziosi ponti a schiena d’asino. Zampetto ora sull’erba dell’antica via Francigena percorsa un tempo per dribblare le gole della Biaschina. E poi sotto l’arco del ponte stradale di questo paese della bassa Leventina famoso per il romanico di San Nicolao e altre sei chiese, la battaglia dei Sassi Grossi, i vigneti più a nord di tutto il Cantone. Se il monumento alla battaglia e le chiese sono indicati, nessuna indicazione, giustamente, per l’iniziatica Congiun-
Mode e modi di Luciana Caglio Quelli di Sanremo e gli altri Da Nilla Pizzi a Elton John, ne ha fatto di strada il festival di Sanremo che, proprio quest’anno, sembra aver ottenuto una sorta d’immunità mettendo tutti d’accordo. Tanto da meritare la definizione di festival della nazione, ben più unificante del partito della nazione renziano. Un risultato sorprendente, se si pensa al passato di una manifestazione che, per decenni, aveva fatto da spartiacque nel pubblico italiano, e anche ticinese, fra spettatori di bocca buona e spettatori esigenti. In parole povere, fra ignoranti e colti. Seguire quella gara canora, dove erano in lizza canzonette, come si chiamavano un tempo, era un sintomo di debolezza intellettuale, di cattivo gusto, inconfessabile in un’epoca di impegno socioculturale. «Ma tu non guarderai Sanremo?»: la domanda, pronunciata già in tono di riprovazione, costringeva a nascondere un eventuale cedimento alla curiosità per un avvenimento d’innegabile portata popolare. Volere o no, i refrain del festival diventavano poi la colonna sonora della nostra quotidianità. Ciò
che metteva in imbarazzo anche i giornalisti. «Sono boiate, ma non possiamo ignorarle», mi capitava di sentir dire da colleghi, divisi fra dovere di cronaca e rigore ideologico. Il rifiuto di Sanremo, del resto, rientrava nel clima di sospetto e di avversione che circondava, allora, la televisione in generale, negli ambienti più evoluti. Era, insomma, la «cattiva maestra», per dirla con Popper, una dispensatrice di banalità volgari, destinata ad abbassare il livello culturale medio delle masse. A quest’accusa, non del tutto infondata,
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Maria Grazia Buletti «Alla cervicale oramai ci ho fatto il “collo”»: questo pensiero ironico rispecchia una realtà abbastanza comune e ci permette di introdurre un tema molto delicato e piuttosto doloroso che affligge più gente di quanto non immaginiamo. Parliamo dei dolori della colonna cervicale (al collo, per l’appunto) che possono irradiare verso la spalla o la testa, ma soprattutto che, superata la fase acuta, divengono cronici già dopo 6-10 settimane. Si tratta di dolori di cui non è difficile sentire parlare perché deteriorano sensibilmente la qualità della vita di chi ne è afflitto. Li descrive bene una signora di 46 anni, architetto, che afferma: «Soffro oramai da quattro anni di un male cervicale cronico che ora è peggiorato al punto tale da non riuscire nemmeno più a praticare jogging. La mia concentrazione sul lavoro è diminuita e la notte mi sveglio sovente sempre a causa di questi dolori». Un male che non conosce età e che può colpire anche i giovanissimi, come questo studente di 17 anni: «La pressione che la scuola esercita su di me e lo stress che ne consegue mi hanno regalato un dolore che non passa più alle spalle e al collo; certo, sono consapevole del fatto che dovrei praticare sport, ma la maggior parte del mio tempo sto al computer…». Il comune denominatore è l’aver male, un male costante, muto, di cui si farebbe volentieri a meno. Come fare? I punti di vista di scrittori, filosofi e scienziati sul dolore e la sofferenza in senso lato sono molteplici: per alcuni il dolore è un insegnamento e uno strumento per conoscere sé stessi, per altri, esso è una delle più grandi maledizioni che possa colpire l’uomo. Nello specifico, abbiamo parlato di dolore alla colonna cervicale, e del relativo studio approfondito attraverso una raccolta di dati e un nuovo approccio multidisciplinare fisioterapico attivo, con il fisioterapista Mirco Bianchi di Bellinzona e il suo collega e fautore dello studio, il fisioterapista Roberto Sabatini. I due specialisti sono partiti dalle persone che hanno espresso la propria condizione nelle due testimonianze
Il fisioterapista Mirco Bianchi (a destra) di Bellinzona e il suo collega e fautore dello studio di cui parla l’articolo, il fisioterapista Roberto Sabatini. (Vincenzo Cammarata)
riportate, proponendo un nuovo approccio al problema e raccogliendone progressi e risultati nelle prime cinque settimane per la totalità delle persone che si sono sottoposte allo studio. «Negli ultimi 5-10 anni il concetto di fisioterapia ha assunto una forma in continuo mutamento: dal classico massaggio da cui si traeva un beneficio temporaneo, siamo orientati sempre più verso un approccio mirato nel quale, senza toccare il paziente, lo si accompagna attraverso un lavoro attivo multidisciplinare che porta la persona a comprendere meglio la propria problematica. I conseguenti risultati, nei quali il dolore diminuisce sensibilmente o scompare, sono durevoli», così Mirco Bianchi tira le somme dello studio sui dolori alla colonna cervicale (e sul relativo approccio terapeutico) che col suo team ha appena portato a termine, raccogliendone gli apprezzabili risultati. «Fra le 29 annunciatesi, abbiamo selezionato 20 persone di età compresa fra 18 e 60 anni, con l’intento di sviluppare il protocollo di un programma basato su evidenza scientifica che possa mostrare (e non dimostrare) come un allenamento fisico generale, coadiuvato da un’istruzione sull’ergo-
nomia diurna e notturna, costituisca le fondamenta per migliorare sensibilmente lo stato della colonna cervicale, diminuire notevolmente i relativi dolori e migliorare stabilmente la qualità della vita delle persone», così il fisioterapista Roberto Sabatini entra nel vivo dello studio appena terminato, sottolineando più volte come, a cinque settimane dall’inizio, il beneficio era tale e tangibile che 13 persone hanno deciso di proseguire per ulteriori tre mesi. Bianchi riassume così per sommi capi il modus operandi: «Questo studio verteva sulla misurazione di dolore, mobilità e limitazione nella vita quotidiana: informazioni raccolte con un questionario, poi coadiuvate dall’analisi iniziale della colonna vertebrale e dalla misurazione della mobilità attiva (ndr: movimenti senza do-
lore)». Gli fa eco Sabatini illustrando il procedere: «Per cinque settimane ogni partecipante ha svolto un allenamento fisico generico in evoluzione, mentre abbiamo introdotto gradualmente lezioni di ergonomia e di rieducazione delle abitudini quotidiane su come stare al computer, come dormire, eccetera». Bianchi prosegue: «Fino ad arrivare agli esercizi più specifici di propriocezione (ndr: coordinazione e percezione del proprio corpo), ritmo omero-scapolare (ndr: quando la spalla si muove con la cervicale), e un caschetto munito di raggio laser con il quale si possono specificatamente rinforzare i piccoli muscoli cervicali». Tutto ciò sempre senza toccare il paziente: è quanto ripete più volte Mirco Bianchi, che mette l’accento su questo nuovo approccio multidiscipli-
nare in cui la parte fisioterapica attiva è appannaggio del paziente seguito passo passo dallo specialista. Interessanti i risultati ottenuti: «Dopo cinque settimane il dolore è diminuito del 24 per cento, mentre la scala Neck Disability Index (ndr: NDI indica quanto il paziente è influenzato dal dolore stesso durante la giornata) è passata dal 24 al 5 per cento. Infine, è sensibilmente migliorata la mobilità: dal 59,38 per cento (poco mobile) all’84 per cento (molto più mobile)». La rivalutazione dei pazienti che hanno proseguito per ulteriori tre mesi è pure stata molto positiva registrando sensibili miglioramenti. Mirco Bianchi, a questo punto, ci rende attenti su un fatto: «Abbiamo mostrato che è importante agire sull’abitudine di sentire dolore nell’ambito di un puzzle composto da stile di vita, postura e abitudini; se implementiamo e incastriamo questi tasselli in modo multidisciplinare e strutturato, andiamo a creare una nuova condizione permanente di beneficio». Si tratta dunque di un lavoro da parte del paziente che deve essere continuato attraverso un tempo sufficiente che possa determinare un beneficio duraturo. «L’unico che riesce davvero a tenermi testa è il mio collo», ha affermato un aforista anonimo. Per questo, e per evitare di cronicizzare dolori che guasteranno la qualità della nostra vita, è importante trattare bene la nostra colonna cervicale e soprattutto conservarla in piena salute. Due sono le serate informative che i nostri interlocutori offriranno alla popolazione, coadiuvati dal dottor Franco Posa: martedì 8 marzo, dalle 19.00, presso Fisioterapia Il Centro in via C. Molo a Bellinzona, e lunedì 14 marzo, sempre dalle 19.00, al nuovo studio Il Centro, in via Lavizzari 10A a Locarno. L’entrata è libera e si consiglia l’iscrizione al numero 091 835 47 00 o inviando una email a info@ilcentro.ch.
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Ambiente e Benessere Oggi da noi i boschi sono luoghi dove fare passeggiate, raccogliere funghi, mirtilli e castagne. (Ma.Ma.)
I boschi trent’anni dopo Biodiversità Contro le previsione mediatiche, i massicci forestali alpini resistono sebbene continuino a preoccupare Alessandro Focarile La morte del bosco, annunziata trent’anni or sono con grande rilievo su tutti i media (televisione, radio e stampa) non si è verificata. Ciò malgrado, in diversi ambienti tecnici e scientifici che si erano occupati del problema, si continua a considerare preoccupante lo stato generale dei massicci forestali alpini. Altri, mettono apertamente in dubbio questa interpretazione del problema.
È anche grazie ai boschi se Cleopatra giunse a Roma, se la Magna Grecia fu fondata, e se Colombo importò i pomodori Nel 1984, notizie ufficiali da parte degli organismi europei preposti denunciavano in questi termini la situazione: «Trentatré milioni di ettari di foresta
pari al venti per cento della superficie dei Paesi riuniti nella nascente Unione europea sono minacciati dalle piogge acide, dal fuoco e dagli scarichi industriali. Si calcola che, ogni anno, oltre 100mila ettari vadano distrutti e si ricorda che specie di grande pregio come le querce stiano facendo la fine degli olmi, ormai praticamente scomparsi dall’Europa». Tutti argomenti che fecero decidere l’ONU (attraverso la FAO) a dichiarare il 1985 anno della foresta. Da sempre, i boschi hanno fatto parte della vita dell’uomo. Da quando un nostro antenato salì a cavalcioni di un tronco galleggiante sulla corrente del fiume e si fece trasportare verso luoghi più lontani dalla sua campagna. Perché i primi insediamenti venivano creati rosicchiando sempre più ampie radure nei boschi. Gli alberi hanno costruito la storia umana fino all’altro ieri. Senza di essi, Cleopatra non sarebbe giunta a Roma. I greci non avrebbero fondato la sontuosa Magna Grecia in una terra più generosa e più ricca di alberi di quella che avrebbero lasciato nella loro Madre Patria. Cristofo-
Betulle a Dalpe 1200 metri. (Alessandro Focarile)
ro Colombo, con le sue caravelle, non avrebbe fatto conoscere i pomodori per la pizza e il granone per la polenta. E molto altro ancora. Senza gli alberi, necessari per le impalcature, non sarebbe stata nemmeno possibile l’erezio-
Situazioni a confronto La situazione attuale a livello globale (fonti FAO) – Il bosco copre il 31 per cento delle terre emerse a scala globale: una superficie pari a quattro miliardi di ettari. La maggior parte di questa superficie «verde» si trova nei cinque Paesi più boscosi. In ordine decrescente: Russia, Brasile, Cina, USA, Canada. Nonostante l’entità di queste considerevoli cifre e malgrado che in alcune regioni della Terra la foresta veda aumentare la sua superficie naturale, occorre considerare che ogni anno sono perduti oltre cinque milioni di ettari. Una gran parte di queste perdite è da mettere in conto ai disboscamenti illegali, specialmente nella foresta amazzonica in Brasile, in Indonesia e nel Centro-Africa. Sono foreste preziose per l’enorme quantità di acqua piovana che assorbono e trattengono, hanno una funzione regolatrice per il clima, sono ricche di preziosa biodiversità e di legname pregiato. E non da ultimo per l’anidride carbonica (CO2) che favorisce l’accelerazione dei cicli vitali delle piante.
La situazione forestale attuale in Svizzera (fonti WSL) – La superficie boschiva della Confederazione è pari a oltre un milione e 250mila ettari. Nei cantoni Giura e Ticino essa occupa oltre il 50 per cento del territorio (2012). Questo patrimonio forestale è considerato, in generale, in discreta salute, con accentuati fenomeni di invecchiamento, specialmente nelle regioni di montagna. Nel 1840 i boschi ricoprivano solo la metà della loro superficie attuale. L’essenza principale è l’abete rosso (Picea abies) con il 44 per cento, retaggio delle intense resinazioni attuate a partire dal ’700 e che sostituì la foresta primaria di latifoglie esistente in passato. Seguono il faggio e l’abete bianco (Abies alba). In generale, nelle regioni alpine, dove l’attività agricola e la pastorizia sono in costante diminuzione, il bosco si sta lentamente espandendo, occupando progressivamente vaste superfici che gli erano proprie in passato. («Azione» del 27 giugno 2011: Il bosco avanza e si trasforma: perché, dove e quando).
La situazione in Ticino (Ivo Ceschi 2014) – Il tasso di boscosità ha ormai oltrepassato il 50 per cento della superficie cantonale. «Proprio nel momento in cui il bosco sta espandendosi e raggiunge una presenza territoriale mai vista da molti secoli, l’uomo moderno se ne allontana sempre di più. La sua percezione del bosco e dell’ambiente naturale si è radicalmente modificata e attenuata, limitandosi semmai a considerare gli aspetti legati alla ricreazione. Eppure uno sviluppo ragionevole della società non può prescindere da un rapporto equilibrato con la Natura e il bosco in particolare». Ricordano (Andrea a Marca 2011) «Acque che portarono» e alimentarono un commercio economicamente proficuo ma disastroso per l’ambiente: dai boschi del Ticino e del Moesano fino a Milano. E sempre, da che mondo è mondo, gli alberi sono stati protagonisti primari di ogni avventura umana. «Mille anni bosco, cento anni prato. Poi, tutto tornerà come è stato», raccontavano gli gnomi del bosco.
Lariceto in Valle Piumogna (Dalpe Leventina) 1300 metri. (Alessandro Focarile)
ne delle cattedrali gotiche e senza i gelsi non avremmo conosciuto la seta. Senza boschi, giudiziosamente sfruttati per la costruzione dei suoi velieri, la flotta della Serenissima non avrebbe potuto solcare le acque del Mediterraneo. E non sarebbe stata attuabile la formazione dei grandi Imperi coloniali inglesi, spagnoli, portoghesi, olandesi e francesi a partire dal 1500. Perché senza gli alberi, le vicende umane avrebbero avuto ben altro svolgimento. Da sempre i boschi hanno fatto parte del paesaggio dell’Eurasia e dell’America sottoposte al clima temperato. In seguito i boschi, alle nostre latitudini, sono divenuti luoghi piacevoli dove passeggiare, portare a spasso i bambini e il cane, raccogliere funghi, mirtilli, castagne e un po’ di legna per il camino. E magari meditare e incontrare uno scoiattolo o una colorata ghiandaia. Poi improvvisamente alla fine del secolo scorso (1980-2000) sono diventati motivo di preoccupazione non solo per gli addetti ai lavori (i forestali), ma anche per il grande pubblico. Waldsterben, dépérissement des forêts, effetto-serra a seguito di documentati cambiamenti climatici, piogge acide, buco dell’ozono e, alle nostre latitudini, a causa delle infestazioni del bostrico (insetto coleottero). Inoltre in Svizzera si aggiunsero due disastrosi uragani: Vivian nel 1990 e Lothar nel 1999, spettacolari per i loro effetti economici. Ne conseguirono 20 milioni di metri cubi di legname abbattuti, con conseguente crollo delle quotazioni e molti sfrutta-
menti forestali sono divenuti non più economici. Tutti questi accadimenti divennero motivo di forte preoccupazione nell’opinione pubblica. Una capillare e martellante campagna di informazione voleva attirare l’attenzione sulle condizioni sanitarie dei boschi e della loro realtà. Poi, lentamente, questa attenzione e questo interesse sono venuti meno, smorzandosi fino a far cadere preoccupazioni e i problemi inerenti. Che cosa, quali nuovi fatti hanno generato questa differente presa di coscienza? Probabilmente una più realistica conoscenza e valutazione dei fatti e delle origini dei fatti accaduti. Nel frattempo i problemi non sono stati di certo risolti. Le catastrofiche e pessimistiche previsioni iniziali si sono rivelate probabilmente sovra-stimate. Perché, una volta ancora «La Natura ha trovato la sua strada», come scriveva il matematico Ian Malcolm. Bibliografia
Lucio Bortolotti, Maria Assunta Pierantoni, 1993, Boschi d’Italia (Centro e Nord), Edizione Abete (Roma), 303 pp. Alfonso Alessandrini, 1993, Pensare il bosco, Edizione Abete (Roma), 258 pp. Maurice Burton et al. (eds.), 1981, The International Book of the Forests, Mitchell Beazley Publishers (London), 224 pp. Ivo Ceschi, 2006, Il bosco del Cantone Ticino, Armando Dadò Editore (Locarno), 406 pp. (Ristampa 2014).
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Ambiente e Benessere
Yellowstone sotto la neve Il diario di Daisy Reportage dal parco nazionale che racchiude la più grande area vulcanica
dell’America settentrionale
Daisy Gilardini, testo e foto Nelle magnifiche distese dell’altopiano americano e delle montagne rocciose del Wyoming giace una tra le gemme naturalistiche più preziose al mondo e, non a caso, il primo parco nazionale americano istituito nel lontano 1872: Yellowstone. Il parco che si estende su un’area di circa novemila chilometri quadrati (tre volte il territorio ticinese) si situa a un’altitudine media di 2400 metri e racchiude la più grande area vulcanica dell’America settentrionale. Qui vivono centinaia di specie animali, tra i quali bisonti, lupi, linci, alci, coyote, lontre e tanti altri. La caldera di Yellowstone fu creata da una gigantesca eruzione circa 640mila anni or sono e custodisce il 50 per cento di tutti i fenomeni geotermali al mondo. Non stupisce quindi il fatto che Yellowstone sia uno dei parchi naturalistici più visitati di entrambi gli emisferi. Nel 2015 per la prima volta nella storia del parco, i visitatori hanno raggiunto l’astronomica cifra di 4’097’710. Numeri da capogiro che non possono far altro che sollevare alcune questioni in termini di sostenibilità.
La caldera americana di Yellowstone fu creata da una gigantesca eruzione circa 640mila anni or sono e custodisce il 50 per cento di tutti i fenomeni geotermali al mondo Se durante i mesi estivi, lunghe code, servizi lenti e frustrazione sono all’ordine del giorno, in inverno la natura riprende però il dominio. Le rigide temperature che spesso raggiungono i –30°C scoraggiano le grandi masse e solo i più tenaci amanti della natura e del freddo osano sfidare il gelo invernale. Pochi audaci, sì, per i quali però lo spettacolo è di una bellezza impagabile. In questa stagione il parco è accessibile unicamente con motoslitte e gatti delle nevi. Le norme sull’inquinamento sonoro sono severissime e il numero di visitatori rappresenta solo circa il cinque per cento delle visite registrate durante tutto l’anno. Sotto un manto di spessa e soffice neve, la terra ribolle. Immaginate la melma primordiale, pozze borbottanti di fango bollente, getti di vapore eruttati da geyser potenti, vapori di zolfo dal nauseante miasma. Gli oltre 10mila fenomeni geotermali presenti a Yellowstone sono la testimonianza diretta di milioni di anni di geologia all’opera. Il magma incandescente scorre sotto il parco a soli 3/8
km dalla crosta terrestre e il calore che sprigiona è la causa dello spettacolo che appare ai nostri occhi in superficie, sottoforma di geyser, sorgenti termali calde, solforose e fangose, fumarole e terrazze di concrezioni. In questo inferno dantesco, la natura sprigiona la sua più grezza bellezza. Appiccicata al finestrino del nostro veicolo, la mia mente vaga in questo mondo fantastico. Rapita dall’intrigante gioco di luci tra sole e vapore tra i rami dei pini innevati, sobbalzo all’ap-
parizione di un mostro uscito dal nulla. Due corna e due occhi tra lo scuro pelo ricoperto di neve appaiono dal fitto vapore. Ecco l’emblema della conquista del West apparire ai miei occhi. Indifferente alla nostra presenza, un grosso bisonte dondola la testa tra la neve caduta copiosa durante la notte; è in cerca di cibo. Come trasportata indietro nel tempo in un film fantascientifico, la mia mente trasforma Yellowstone e le sue creature: i pini innevati diventano
fantasmi, i giochi di luce del vapore diventano spiriti benigni che giocano a rincorrersi tra i rami. Le ribollenti pozze di fango si trasformano nel borbottìo degli spiriti maligni e i getti dei geyser sembrano gli spiriti del bene che si librano come angeli nel cielo. È difficile descrive la magia di Yellowstone in inverno e non vi sono fotografie che possano farvi giustizia. Questa gemma preziosa della natura, libera dalle masse estive di visitatori, brilla sotto la luce soffusa del sole invernale.
Consigli di viaggio Il parco apre le porte per la stagione invernale tra metà dicembre e metà marzo. Solo alcune strade al Nord del parco sono accessibili in auto. Per gli spostamenti all’interno del parco bisogna noleggiare una motoslitta oppure spostarsi con i gatti della neve. La maggior parte dei visitatori accede al parco in inverno da West Yellowstone dove si trovano numerosi alloggi e ristoranti. All’interno del parco si può alloggiare all’Old Faithful Snow lodge oppure al Mammoth Hot Springs lodge. Tra le attività proposte durante l’inverno: motoslitta, racchette da neve, sci di fondo. Per le gite in motoslitta tute e stivali termici sono inclusi nel noleggio. Preparatevi, infatti, ad affrontare un freddo umido e pungente. Le temperature raggiungono spesso i –30C. È quindi indispensabile essere ben equipaggiati e vestirsi a strati. Per maggiori informazioni: www.nps.gov/yell/index.htm www.ypf.org
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Polpette al sugo Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 cipolla · 1 salsiccia di maiale, ad es. luganighetta di 200 g · 400 g di carne macinata di manzo · 1 uovo · sale, pepe, paprica dolce · 2 cucchiai d’olio di colza Holl · 1 scatola di pelati triturati di 280 g · ½ mazzetto di timo · 10 g di germogli.
1. Tritate grossolanamente la cipolla. Incidete la salsiccia per il lungo ed estraete la carne. In una scodella mescolate la metà della cipolla con la carne della salsiccia, la carne macinata e l’uovo. Condite l’impasto con sale, pepe e paprica. Con le mani inumidite, formate delle polpette di circa 50 g. 2. Scaldate l’olio in una padella. Rosolatevi bene le polpette a fuoco medio per circa 5 minuti. Unite la cipolla restante e rosolate brevemente. Unite i pelati e la metà del timo. Lasciate sobbollire a fuoco basso per 10 minuti. Condite il sugo con sale e pepe. Guarnite con le foglioline di timo restanti.
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Ambiente e Benessere
Il ritorno del Titanic Viaggiatori d’Occidente Il mondo delle crociere riscopre la propria storia Claudio Visentin Quel che è stato dimenticato è nuovo. Pensiamo per esempio alla riscoperta delle crociere. Nell’età dell’oro tra le due guerre mondiali eleganti navi facevano la spola attraverso l’Oceano Atlantico, mentre altre rotte collegavano le più lontane colonie in Africa e in Asia. Le grandi navi erano simboli del Paese che le aveva costruite: l’Inghilterra vantava la Queen Mary, la Francia il Normandie, l’Italia il leggendario Rex. Ma dopo la Seconda guerra mondiale il tempo dei transatlantici si chiuse rapidamente quando gli aerei a reazione ridussero il tempo della traversata da alcuni giorni ad alcune ore; alla fine degli anni Sessanta i collegamenti navali furono inevitabilmente spinti fuori dal mercato. Poi, negli anni Ottanta e Novanta, il piacere di andar per mare è stato riscoperto dai nuovi ricchi, attratti dalla mescolanza di antico e moderno che la nave da crociera sembra promettere. Un film di successo come Titanic del 1997, con Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, ha reso le crociere di moda, nonostante raccontasse la storia di un tragico naufragio. I cinquecentomila passeggeri del 1970 sono diventati venticinque milioni nel 2015. Il mercato delle crociere ha ancora ampi margini di crescita ma si cominciano ad avvertire i primi segni di stanchezza e per questo si cercano nuove idee ispirandosi al passato. Per esempio lo scorso luglio una compagnia storica come Cunard, oggi proprietà del colosso Carnival, ha celebrato l’anniversario dei 175 anni dalla prima traversata atlantica compiuta da una sua nave di linea: era il 1840 quando il piroscafo Britannia collegò Liverpool ad Halifax in Canada in 14 giorni, lo stesso percorso ricalcato oggi con una crociera celebrativa dalla Queen Mary II.
Il prossimo passo potrebbe essere il recupero delle poche navi da crociera storiche sopravvissute alla demolizione. La società Crystal Cruises, specializzata nelle crociere di lusso, vuole restituire alle onde la SS United States; varata nel 1952, lunga e stretta, conquistò subito il Nastro azzurro (Blue Riband), l’ambito riconoscimento riservato a chi avesse compiuto la traversata atlantica nel minor tempo, navigando a ben trentacinque nodi (le odierne navi da crociera superano di poco i venti nodi). La SS United States assomiglia molto a una nave da guerra e in effetti il governo americano, nel pieno della Guerra fredda, contribuì ai costi di costruzione per avere sempre a disposizione una nave per il trasporto di truppe nell’eventualità di un nuovo conflitto. Del resto la lezione della Seconda guerra mondiale era ancora fresca: allo scoppio del conflitto i grandi transatlantici furono requisiti per spostare soldati sui diversi fronti e col ritorno della pace trasportarono in gran numero spose di guerra e rifugiati, prima di tornare ai viaggi turistici. Dopo aver accolto a bordo presidenti degli Stati Uniti, regnanti e star di Hollywood, nel 1969 la SS United States è stata ritirata dal servizio e da qualche anno è ormeggiata a Filadelfia, in lento disfacimento. Per adattarla ai nuovi standard ambientali e di sicurezza, e soprattutto per garantire il comfort degli ottocento passeggeri, verrà interamente rinnovata e alla fine di originale resterà ben poco, oltre allo scafo. Altri progetti simili incalzano. Già da qualche anno la Blue Star Line del miliardario australiano Clive Palmer vorrebbe costruire una replica perfetta del Titanic. Annunci e smentite si sono alternati, anche con evidenti fini mediatici, e ora si ipotizza di prendere il mare nel 2018, 106 anni dopo il più celebre naufragio nel nord Atlantico.
La Olympic e il Titanic (a destra) ormeggiate al cantiere navale Harland & Wolff.
Per ora abbiamo il progetto: rispetto all’originale il Titanic II sarà soltanto un poco più largo, ma anche così avrà una linea filante rispetto alle navi da crociera di ultima generazione, che sono di fatto delle enormi chiatte sulle quali è stato costruito un villaggio vacanza, un parco a tema e un centro commerciale. Il Titanic II conserverà la divisione in classi: prima, seconda e terza. Oggi è poco più di una curiosità, ma in origine rispecchiava la natura profonda del mercato della navigazione atlantica. Infatti se nell’immaginario collettivo della Belle Epoque è rimasto soprattutto il ricordo dei viaggiatori di prima classe, che cenano al tavolo del capitano nei loro abiti da sera, in realtà i maggiori guadagni erano garantiti dagli emigrati italiani e dell’Europa dell’est, che cercavano una nuova vita nei giovani Stati Uniti. A bordo del Titanic II sono previste 840 cabine per 2400 passeggeri.
Come l’originale avrà una piscina, bagno turco e palestre. Naturalmente, visti anche i precedenti, non si risparmia sulla sicurezza: e quindi controllo satellitare, radar e soprattutto un numero sufficiente di scialuppe, che com’è noto mancavano in quella gelida notte d’aprile. La crociera inaugurale non sarà da Southampton a New York, come nel 1912, bensì dalla cinese Jiangsu a Dubai: una concessione alla nuova geografia della ricchezza planetaria. E tuttavia il gemello del Titanic, che ora si vuole ricostruire, in realtà è già esistito… anzi erano due. Infatti un anno prima del Titanic aveva preso il mare l’Olympic, anch’esso proprietà della compagnia White Star, che con queste nuove navi voleva insidiare il predominio della rivale Cunard. L’Olympic compì il suo viaggio inaugurale il 14 giugno 1911, al comando del capitano Edward Smith, lo stesso che avrebbe poi comandato il Titanic, ina-
ORIZZONTALI 1. Esili, magre 6. Indumenti sportivi 9. Un contorno 10. Vuotare il sacco 12. È andato... fuori uso 13. Hanno denti d’acciaio 14. Le iniziali dell’attore Amendola 15. Nota musicale 16. Un tizio qualunque 17. Abbreviazione di codice 18. Fissano scadenze 19. Organi escretori 20. Va e viene 23. Nome femminile 24. Bocca in latino 25. Si richiede con enfasi 26. Costruzioni in muratura
Sudoku Livello facile
bissandosi insieme alla nave. In quella tragica notte tra il 14 e il 15 aprile 1912 anche l’Olympic era in navigazione nell’Atlantico e accorse in soccorso del Titanic, ma giunse troppo tardi per essere d’aiuto. Durante la Prima guerra mondiale, l’Olympic sopravvisse a diversi attacchi di sommergibili tedeschi e anzi riuscì nell’impresa di affondarne uno. Rimase in servizio sino al 1936 sulla rotta per New York. Quando il Titanic colò a picco, il terzo gemello, il Britannic, era ancora in costruzione. Anch’esso andò incontro a un tragico destino: requisito per uso militare fu affondato nel 1916 da una mina tedesca al largo dell’isola di Ceo, nell’Egeo. In questo caso tuttavia la maggior parte dei passeggeri fu tratta in salvo e tra essi l’infermiera Violet Jessop, che negli anni precedenti era stata imbarcata dapprima sull’Olympic ed era poi scampata anche all’affondamento del Titanic. Ecco qualcuno che di crociere ne aveva avuto davvero abbastanza…
Giochi Cruciverba L’invenzione del sandwich è da attribuirsi al politico britannico John Montagu, infatti si faceva fare panini imbottiti pur di non … Scopri il resto della frase leggendo a soluzione ultimata nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 2, 7, 1, 5, 1, 1, 4)
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VERTICALI 1. Persone dalla battuta pronta 2. Dei gruppi di cani 3. Il confidente dei Proci 4. Articolo 5. Un tipo di cantiere 6. Il perfetto tra i numeri 7. Le hanno tutte e due 8. L’arcipelago di Favignana 11. Tutt’altro che somme 13. In senso non letterale... 14. Preposizione 16. Lago etiopico 17. Le iniziali dell’attore Eastwood 18. Preposizione articolata 21. Le iniziali della conduttrice Lanfranchi 22. Veri fuoriclasse 24. Il contrario di ciò 25. La coppia del bisbiglio
Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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Soluzione della settimana precedente
CURIOSITÁ DAL MONDO – 22 mila, delle 182 tonnellate di sabbia che si alzano dal deserto del Sahara, raggiungono… Resto della frase: …LA FORESTA AMAZZONICA CONCIMANDOLA.
Z O L I L E P I O V D O L
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Politica e Economia
Banche centrali impotenti Congiuntura mondiale Le istituzioni che dovrebbero regolare i meccanismi economici sembrano incapaci
di gestire la difficile situazione sui mercati e i loro interventi risultano persino contraddittori
La realtà economica preme sulle teste delle banche centrali. Mario Draghi e il suo staff abbandonano gli uffici durante un allarme incendio alla BCE. (Keystone)
Federico Rampini In una fase in cui i governi sono paralizzati nelle loro scelte di bilancio, per motivi di scontro politico interno (Obama contro il Congresso), o per l’ideologia sclerotizzata dell’austerity (Eurozona), possiamo almeno contare sulle loro banche centrali per evitare il peggio? Fino a qualche tempo fa, i sacerdoti della moneta erano circondati dal rispetto, a differenza dai banchieri privati, i protagonisti della speculazione e della finanza tossica. Oggi il clima è cambiato, in peggio.
Negli Usa, in Europa, in Giappone e in Cina le strategie monetarie non sembrano garantire gli effetti sperati C’era una volta la solitudine dei banchieri centrali. Oggi il tema più attuale, riveduto e corretto, suona ancora più drammatico: è l’impotenza delle banche centrali. Gli ultimi sviluppi della congiuntura globale, dall’America all’Europa al Giappone, sembrano uniti da questa constatazione: le autorità monetarie non sembrano in grado di contrastare il pessimismo dilagante, tantomeno di rilanciare la crescita. Peggio, in certi casi le loro terapie vengono messe sotto accusa, sono sospettate di avere aggravato la debolezza dell’economia reale. Ma facciamo un passo indietro, tornando alla puntata precedente. Cioè quando ancora si parlava di «solitudine», con una punta di ammirazione, talvolta perfino di venerazione. Partiamo dalla grande crisi del 2008-2009, e dalla «success-story» della nazione che sembra esserne uscita. La vicenda degli Stati Uniti ce la siamo raccontata per anni come un trionfo di ricette neokeynesiane unite ad un’eccezionale inventiva della politica monetaria. Nel momento più terribile di quella
crisi, un giovane presidente democratico appena insediato alla Casa Bianca fa quel che John Maynard Keynes comandava di fare durante la Grande Depressione: usa la potenza della spesa pubblica, con lo «stimulus package» d’investimenti approvato al Congresso nel 2009 (circa 800 miliardi). Lo stimolo di bilancio però dura poco visto che Barack Obama perde la maggioranza al Congresso già nelle elezioni legislative di mid-term, nel novembre 2010, e da allora non l’ha mai più riconquistata. Da quel momento la politica fiscale e di spesa pubblica negli Stati Uniti è sostanzialmente paralizzata, ha un segno neutro nella migliore delle ipotesi: dunque cessa di essere un attore significativo. Eccoci dunque alla splendida «solitudine» della Federal Reserve. La quale era entrata in azione, sotto la guida di Ben Bernanke (studioso della Grande Depressione) ancora prima che Obama s’insediasse alla Casa Bianca. Tasso zero più quantitative easing. Rendimenti schiacciati ai minimi storici. Stampar moneta con cui acquistare bond (è questo il quantitative easing). Sono le due componenti di quel binomio dell’esperimento monetario varato nel dicembre 2008 e proseguito per più di cinque anni (gli acquisti di bond) o per sette anni (i rendimenti schiacciati al pavimento). Quella politica monetaria è stata studiata, ammirata, applaudita e poi copiata nel mondo intero. Alla Fed è stato attribuito il maggior merito di una ripresa Usa che dura dall’estate del 2009 e ha ridotto il tasso di disoccupazione ufficiale sotto il 5%. Ma proprio adesso che sotto Janet Yellen la Fed ha cominciato a gestire il «ritorno alla normalità», prima interrompendo il quantitative easing e poi rialzando i tassi, il bilancio sulla sua azione si fa molto più critico. Il modestissimo rialzo dei tassi di metà dicembre (appena un quarto di punto) viene da più parti additato come un errore. La stessa Fed è assalita dai dubbi. I mercati temono una recessione, che peraltro sarebbe ormai «matura» visto che l’attuale periodo di crescita è uno
dei più lunghi del dopoguerra. E gli strumenti della politica monetaria – che fino a poco tempo fa erano stati esaltati per la loro efficacia – improvvisamente appaiono smussati, inutilizzabili. Lo spettacolo nel resto del mondo è perfino più angosciante. La Bce, che di solitudine ha sofferto fin dal suo «parto» iniziale (non essendoci un ministero del Tesoro e delle Finanze europeo a farle da interlocutore), ha tentato di emulare la Fed per replicare in Eurozona i benefici della ripresa americana. Ci è arrivata tardi e male, certo. Prima fece l’esatto contrario della Fed, un disastroso autogol – il rialzo dei tassi nel 2010 e nel 2011 – con cui «fabbricò» essa stessa una ricaduta in recessione. Pentita e ravveduta, sotto Mario Draghi e con cinque anni di ritardo sulla consorella americana, avviò la stessa politica di aumento della liquidità e acquisto di bond. Con che risultati? Modestissimi finora. Con 1500 miliardi di euro di nuova liquidità creata, cioè appena un terzo di quanto fece la Fed, le conseguenze positive sono impercettibili. Il Pil complessivo dell’Eurozona alla fine del 2015 non aveva neppure ritrovato i livelli del 2008. Per la precisione, il Pil dell’Eurozona al 31 dicembre 2015 aveva raggiunto 2465 miliardi di euro contro i 2471 miliardi del primo trimestre 2008. L’arco meridionale dell’Eurozona sta ancora peggio, Italia Spagna e Grecia restano sensibilmente più povere che nel 2008. La deflazione regna ovunque: le previsioni della Bundesbank per la Germania indicano un aumento dei prezzi dello 0,25% nel 2016. Le banche europee tornano ad essere motivo di apprensione, compresa la mastodontica e fragile Deutsche Bank. Allarghiamo lo sguardo ad altre banche centrali. Quella del Giappone è protagonista di una tragedia. Non ha mai veramente azzeccato una terapia giusta per trainare il Sol Levante fuori dalla depressione cronica in cui versa la terza economia mondiale. Di recente si è visto questo paradosso: la banca centrale del Giappone ha varato tassi negativi (come la Bce), per indebolire
lo yen e rilanciare l’export. I tassi negativi sono una «penale» prelevata su chi si azzarda a investire in yen, quindi dovrebbero provocare vendite di yen e una caduta della moneta. Ma i mercati l’hanno presa in contropiede e lo yen si è rafforzato. Un simile incidente è avvenuto anche in Svezia: tassi negativi, e moneta che contro ogni logica razionale si rafforza. Quando i mercati fanno l’esatto contrario di ciò che la banca centrale vorrebbe, parlare d’impotenza è quasi un eufemismo. Siamo nello smarrimento, nella navigazione senza timone in un mare in tempesta. Infine, il caso della Cina. Anche la banca centrale di Pechino sembra in stato confusionale. Nell’estate 2015 fece scalpore per un mini-riallineamento al ribasso del renminbi, che il resto del mondo interpretò come l’inizio di una svalutazione competitiva per rilanciare la crescita cinese. Da allora, forse perché sorpresa dalla dimensione delle fughe di capitali (i risparmiatori cinesi non hanno più fiducia nella propria moneta e nella propria economia?) la banca centrale ha fatto prevalentemente l’opposto: ha tentato di rallentare e di governare un ribasso del renminbi che i mercati avrebbero reso tumultuoso e disordinato. Ma anche in Cina l’esito di quella cacofonia di messaggi è criticato. Inoltre la banca centrale non ha neppure cominciato una seria operazione di pulizia del settore creditizio cinese, uno dei più malati del pianeta. Per capire la sfiducia attuale verso le banche centrali, bisogna tornare al punto di partenza, cioè al mito vacillante della Fed. Come ha funzionato esattamente quella politica monetaria che fu considerata un modello per tutte le altre? Come si è trasmessa all’economia reale degli Stati Uniti la liquidità generata dal quantitative easing. I meccanismi della cinghia di trasmissione sono molto complicati, anche se in una celebre metafora Ben Bernanke tentò di colpire l’immaginazione popolare evocando squadroni di elicotteri che «bombardavano di banconote» il territorio degli Stati Uniti. Purtroppo
non andò così, in nessun senso. A noi cittadini americani non sono piovuti in testa pacchi di banconote durante il quinquennio del quantitative easing. Inoltre una parte di quella politica ha esondato ben al di là del territorio degli Stati Uniti. Semplificando, le cinghie di trasmissione sono state tre. La prima, mai apertamente confessata, fu la svalutazione del cambio. Abbiamo avuto più di tre anni di dollaro debole, con punte che andarono oltre 1,50 nel cambio euro-dollaro. La seconda cinghia di trasmissione, particolarmente efficace in un’economia non-banco-centrica come quella americana e dov’è rimasta assai diffusa la cartolarizzazione, fu l’acquisto di bond non pubblici, attraverso cui la liquidità della Fed affluiva direttamente alle imprese e non alle banche. Già queste due cinghie di trasmissione spiegano perché il successo della Fed sia difficilmente replicabile altrove. La svalutazione competitiva funziona finché sono in pochi a usarla. Quando tutti giocano lo stesso gioco, gli effetti della «guerra delle monete» si elidono a vicenda. La cartolarizzazione è molto meno diffusa in economie banco-centriche come quelle europee, giapponese, cinese. Di qui il limite del quantitative easing applicato in paesi dove sono soprattutto le banche ad appropriarsi degli aiuti. Ma resta la terza cinghia di trasmissione americana. L’effetto forse più poderoso della maggiore liquidità generata negli Stati Uniti è stata una bolla di Borsa e di tutti gli asset finanziari. Attraverso il lungo rialzo di Wall Street, fino a metà del 2015 si è generato un effetto-ricchezza. Il quantitative easing della Fed per questo ha ulteriormente amplificato le diseguaglianze. E ora che la marea si ritira, i danni sono tanti. Da una parte c’è lo sgonfiamento di tante bolle, incluse quelle dei paesi emergenti. D’altra parte ci si accorge che i benefici della Fed sull’economia reale sono stati deludenti. La crescita Usa dura sì da sette anni, ma ad una velocità tra il 2% e il 2,5% resta ben al di sotto dei trend di lungo periodo.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Politica e Economia
Le nebbie del regno di Kim Corea del Nord Il test nucleare di gennaio e quello missilistico di febbraio hanno ancora una volta colto di sorpresa
tutti, Corea del Sud compresa, perché manca tuttora la possibilità di raccogliere informazioni da persone sul luogo Giulia Pompili Con il test nucleare avvenuto il sei gennaio e il test missilistico compiuto esattamente un mese dopo, la Corea del Nord è tornata sulle prime pagine dei giornali internazionali. Il regime di Pyongyang ha annunciato di aver condotto «con successo» il primo test sotterraneo di una bomba termonucleare, la cosiddetta Bomba H, esponenzialmente più pericolosa di un ordigno nucleare a fissione. Analizzando l’intensità del terremoto provocato dal test, però, secondo gli analisti si sarebbe trattato dell’esplosione di una bomba non molto più potente di quella del precedente evento del 2012. Il 7 febbraio scorso, con 24 ore di anticipo sulla finestra di lancio, il regime di Kim Jong-un ha lanciato in orbita un «satellite di osservazione terrestre», una tecnologia che secondo gli esperti sarebbe utilizzata da Pyongyang per coprire il programma di costruzione di missili balistici a lungo raggio. Se l’opinione pubblica viene a conoscenza delle minacce nordcoreane solamente quando un evento di questo tipo apre i telegiornali di mezzo mondo, per i servizi segreti che raccolgono informazioni sulla Corea del Nord la situazione non è molto diversa. Il 19 dicembre del 2011, l’intelligence sudcoreana (Nis) fu colta di sorpresa quando venne a sapere della morte del Supremo Leader Kim Jong-il dalla tv di stato nordcoreana. Come è possibile che nessuna spia avesse avvertito Seul che
a Pyongyang stava per avere luogo una successione? I servizi segreti sudcoreani furono allora investiti da numerose polemiche. Del resto le tecnologie moderne rendono facile il reperimento di immagini satellitari, che analizzate dagli esperti possono dare un’idea delle attività intorno ai luoghi sensibili, come la piattaforma di lancio di un missile oppure un reattore nucleare. Ma le immagini non possono competere con le risorse umane. Si chiama human intelligence, l’attività dei servizi segreti che si basa su rapporti interpersonali, su fonti umane. Il più importante mezzo per avere informazioni sulla Corea del Nord è l’uomo, ed è per questo che i servizi segreti sudcoreani sono famosi nel mondo: perché utilizzano ancora metodi da Guerra fredda. La celebre stazione radio V24, per esempio, che intervalla le sinfonie di Beethoven con messaggi in codice destinati alle «risorse al Nord». Una successione di numeri e lettere, che si decrittano con una tabella segreta. Con l’aumentare delle tecnologie anche in Corea del Nord, l’intelligence sudcoreana si è dotata di cellulari inviolabili e di programmi che permettono di clonare i telefonini altrui (programmi acquistati dall’azienda italiana Hacking Team). Secondo alcuni analisti, però, le spie del Sud si stanno ormai limitando alla raccolta d’informazioni a distanza, senza riuscire ad avere un’adeguata human intelligence: «Oggi è praticamente impossibile», dice una fonte del Nis.
Sudcoreani ispezionano i resti del missile lanciato dai nordcoreani il 7 febbraio 2016. (Keystone)
I nordcoreani che scappano dal regime e arrivano al Sud come profughi hanno diritto alla cittadinanza. Il governo di Seul li aiuta a integrarsi nella società, ma sempre più spesso prima li trattiene per lunghi periodi – da tre a sei mesi. Per capire il motivo di questo «stato di paranoia» basta riprendere in
mano un libretto da poco uscito in Inghilterra per Pool of London. Si chiama The Cold War Spy Pocket Manual e raccoglie i più importanti documenti ufficiali utilizzati nel periodo d’oro dello spionaggio e del controspionaggio da entrambi i blocchi. Non è un segreto che la Corea del Nord si ispiri
maniacalmente alla tradizione sovietica. Nel libro si raccontano vari episodi che potrebbero entrare nelle cronache nordcoreane attuali, come quando i servizi segreti cecoslovacchi, che avevano una spia in ogni ambasciata, riuscirono a infilare una ricetrasmittente nella suola delle scarpe dell’ambasciatore americano, o quando la Stasi piazzava un obiettivo negli orologi a cucù delle case da sorvegliare. «Il KGB perfezionò l’arte della disinformazione, con la quale fabbricava falsi pettegolezzi compiacendo i media e screditando gli USA e i suoi alleati», si legge. Ma è la diserzione la più difficile da scoprire, il doppio gioco di una spia oppure una confessione ottenuta con la violenza. Come trovare la verità? A insegnarlo alla Cia furono il tenente colonnello dei servizi inglesi Robert Stephens – che preferiva un approccio più psicologico – e il mago John Mulholland – il primo a insegnare i trucchi dell’illusionismo agli agenti segreti. Uno dei più famosi disertori russi a lavorare per gli Stati Uniti fu Oleg Penkovsky, determinante durante la crisi dei missili di Cuba. Ma i sovietici sono stati maestri nell’arte dell’infiltrazione e del reclutamento. Alcuni documenti, oggi pubblici, ne sono la prova: si insegnava agli agenti che sarebbero andati a lavorare in America lo stile di vita americano – «spendete molto, giocate a golf, mangiate hamburger». Uno stato di paranoia, che sembra lontanissimo, ma nel Nord di una penisola asiatica esiste ancora. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Politica e Economia
Il fisco non deve punire gli sposi Votazioni federali 28 febbraio Con l’iniziativa del PPD gli elettori devono esprimersi ancora una volta
sulle discriminazioni fiscali che le coppie sposate subiscono nell’imposta federale – Secondo gli oppositori l’iniziativa risulta troppo cara e impedirebbe matrimoni tra persone dello stesso sesso
l’unione registrata, che garantisce gli stessi diritti previsti per il matrimonio. Ma gli oppositori non sono d’accordo. Denunciano un «testo retrogrado», che silura il processo politico d’apertura all’unione civile per gay e lesbiche. In un primo tempo, le Camere volevano offrire un’alternativa al popolo con un controprogetto che abbandonava la definizione del matrimonio e il modello d’imposizione. Il PPD era disposto a ritirare la definizione del matrimonio – come ricorda il suo presidente Christoph Darbellay – «proprio per non lasciare ai nostri avversari il pretesto di respingerla». Inoltre, per Marco Romano, la critica alla formulazione non regge, visto che l’iniziativa è prettamente fiscale e va a beneficio anche delle coppie omosessuali. Il controprogetto è però stato affossato a causa dei timori sollevati dagli
oneri per l’AVS. L’iniziativa rivendica infatti anche la fine della penalizzazione del matrimonio in materia di assicurazioni sociali. Ebbene, se i coniugi al beneficio dell’AVS non dovessero più vedere le loro rendite limitate al 150% di una rendita individuale, ma percepire due rendite complete come i concubini, questo cambiamento costerebbe al primo pilastro 2 miliardi di franchi supplementari all’anno. Secondo gli oppositori, i coniugi non sono comunque perdenti dal profilo delle assicurazioni sociali, dato che beneficiano di diverse prestazioni e agevolazioni contributive fra cui la rendita vedovile, il supplemento di vedovanza sulla rendita di vecchiaia o di invalidità o l’esonero dei contributi AVS per il coniuge che non lavora. Le coppie sposate, che godono anche di vantaggi in fatto di II pilastro, di assicurazione infortuni e militare, sono dunque meglio tutelate di quelle conviventi. Da anni la problematica in questione è all’ordine del giorno. Come detto, numerosi tentativi per eliminare questa discriminazione fiscale sono falliti. Ultimi in ordine di tempo: il pacchetto fiscale, silurato dal popolo nel 2004 (65,9% di no), a causa di altri aspetti che lo caricavano eccessivamente. Nel 2005, il Consiglio federale pone in consultazione un progetto con deduzioni per i doppi redditi, ma che avrebbe appesantito il fardello per le persone sole e i concubini. Partiti e cantoni lo invitano a desistere. Nel 2008, Hans-Rudolf Merz rinuncia alle sue proposte (4 modelli) d’imposizione. Eveline Widmer-Schlumpf torna alla carica nel 2012, convinta di possedere la panacea, ma il suo progetto è silurato in consultazione. Ennesimo tentativo, ora, con l’iniziativa del PPD, che il Consiglio federale, congelando una sua riforma nel maggio 2013, decide di sostenere. Ma il Parlamento non vuole saperne. L’Esecutivo è ora costretto, suo malgrado, a difendere il «no». I direttori cantonali delle finanze si sono espressi nel 2014 a favore, ma molti di loro invitano ora a bocciare l’iniziativa, perché troppo costosa. Qualunque sarà il verdetto popolare, il problema va finalmente risolto.
mini passibili di una pena detentiva superiore ai 3 anni. Nei casi di rigore, il giudice potrà decidere altrimenti se tale provvedimento dovesse porre il condannato in una situazione grave e l’interesse pubblico non dovesse prevalere. Per il Governo, prevedendo l’introduzione, direttamente nella Costituzione, di disposizioni dettagliate sull’espulsione, l’iniziativa elude il Parlamento, quando è proprio compito di quest’ultimo emanare leggi. L’iniziativa dice infatti esattamente ciò che le leggi dovranno stabilire, elencando tutti i reati passibili di espulsione. Per i fautori dell’iniziativa, le disposizioni proposte sono ragionevoli e coerenti. Gli immigrati che hanno commesso reati gravi o sono recidivi non meritano di restare in Svizzera. Tutti gli altri che rispettano le leggi saranno meglio accettati e beneficeranno di maggiore sicurezza. Gli oppositori non sono ovviamente dello stesso parere. Denunciano una «caccia alle streghe» e accusano l’UDC di voler introdurre una giustizia a due velocità, degna di uno Stato totalitario. Con le proposte dell’iniziativa, per infrazioni minori, gli stranieri verrebbero puniti più duramente
degli Svizzeri. L’UDC è pure accusata d’infrangere le regole fondamentali del diritto. Gli avversari rilevano che l’iniziativa per l’attuazione imprime un giro di vite rispetto a quella del 2010, dato che include, appunto, reati minori. Potrebbe portare all’espulsione di 10’000 persone all’anno, quando se ne prevedevano solo 1500 cinque anni fa. Per i promotori dell’iniziativa, il loro testo mira soltanto ad applicare rapidamente e concretamente l’iniziativa, accolta nel 2010. Per la ministra di giustizia e polizia Simonetta Sommaruga, se accettata, l’iniziativa complicherebbe ancora di più i nostri rapporti con l’UE, non facili dopo l’accettazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Infatti, l’accordo sulla libera circolazione delle persone limita la possibilità di rinvio. Anche per questo aspetto, Governo e Parlamento sostengono la legge d’applicazione che, in caso d’approvazione dell’iniziativa, risulterebbe però caduca. Farà invece stato la miriade di disposizioni ancorate nella Costituzione. Per l’UDC, si tratterà semplicemente di garantire finalmente la nostra sicurezza. Gli oppositori prevedono invece non pochi grattacapi. / AC
Se l’iniziativa venisse accolta, la Confederazione perderebbe fino a 2,3 miliardi di imposte federali dirette, cantoni e comuni fino a 400 milioni e l’AVS dovrebbe sborsare 2 miliardi in più all’anno. (Keystone)
Alessandro Carli Correva l’anno 1984, quando il Tribunale federale sancì di «non punire fiscalmente» il matrimonio. Sono trascorsi 32 anni, ma da allora nulla o quasi si è mosso. Ci sono stati vari tentativi per eliminare nell’imposta federale diretta (IFD) la discriminazione fiscale delle coppie rispetto ai concubini, ma senza successo. Ora, con la sua iniziativa popolare «Per il matrimonio e la famiglia – No agli svantaggi per le coppie sposate», in votazione il 28 febbraio prossimo, il PPD vuole finalmente porre fine a questa disparità fiscale. Il suo progetto chiuderebbe però la porta al matrimonio per tutti e all’imposizione individuale, senza parlare dell’aspetto finanziario: a livello di IFD, la Confederazione potrebbe perdere fino a 2,3 miliardi di franchi, cantoni (cui è destinato il 17% dell’IFD) e comuni assieme 400 milioni, mentre l’AVS dovrebbe sborsare 2 miliardi all’anno in più. Queste cifre non sembrano comunque turbare il sonno degli Svizzeri. Stando al primo sondaggio dell’istituto gfs.bern, l’iniziativa del PPD raccoglie il 67% di «sì», il 21% di «no» e soltanto il 12% di indecisi. I fautori dell’iniziativa non contestano la notevole posta in gioco finanziaria, ma rilevano che la Confederazione ha finora incassato redditi indebiti. I cantoni hanno invece già corretto il tiro, introducendo lo «splitting» totale o parziale oppure le deduzioni per gli sposi, come in Ticino. Per il PPD è una questione di giustizia fiscale e sociale. Il matrimonio non deve essere svantaggiato rispetto ad altri modi di vita. Perciò, ha deciso di lanciare una nuova iniziativa (dopo quella respinta l’8 marzo 2015, che chiedeva la deduzione fiscale degli assegni familiari). Essa si prefigge di sancire nella Costituzione il principio secondo cui, dal profilo fiscale, le coppie sposate costituiscono una comunione economica e non possono essere svantaggiate. Attualmente, circa 80’000 coppie sposate a doppio reddito e numerose coppie di pensionati continuano a pagare di più di IFD, rispetto ai concubini che dispongono dello stesso reddito. Per gli oppositori, si tratta unicamente di famiglie ad alto reddito, mentre le altre coppie risultano favorite dal matrimonio. Per compensare
il minor introito fiscale in caso di accettazione dell’iniziativa – affermano – si dovranno chiamare alla cassa altri contribuenti. Ma sarà il Parlamento a dover trovare una soluzione in una legge d’applicazione, anche se avrà le mani legate, appunto perché – secondo l’iniziativa – il matrimonio costituisce fiscalmente una comunione economica. Risultato: non si potrà più passare alla tassazione individuale, sostenuta da PS, PLR, Verdi e Verdi liberali, ritenuta però troppo burocratica sia per i coniugi che per l’amministrazione, osservano i fautori dell’iniziativa. Resterebbe la via dello «splitting», ossia l’imposizione del reddito totale a un tasso applicabile alla metà o poco più. Questo modello gode dei favori del PPD e dell’UDC. Tuttavia, questi due partiti non sono maggioritari in Parlamento. Per gli avversari dell’iniziativa,
questo modello scoraggerà le donne a esercitare un’attività lucrativa, dato che tasserà più pesantemente la stragrande maggioranza delle coppie nelle quali la donna guadagna meno dell’uomo. Vi è anche un altro aspetto dell’iniziativa PPD che fa discutere: nel testo si legge infatti che «il matrimonio consiste nella durevole convivenza di un uomo e di una donna», ciò che impedirebbe il matrimonio tra persone dello stesso sesso, affermano gli oppositori, sinistra in primis. Al riguardo, il consigliere nazionale PPD Marco Romano sottolinea che l’iniziativa non cambia una virgola rispetto al diritto e alla giurisprudenza vigenti. La definizione di matrimonio contenuta nell’iniziativa è quella accolta dai cittadini e dai cantoni nel 1999, con l’approvazione della nuova Costituzione. Inoltre, dal 2007, per le coppie dello stesso sesso è riconosciuta
Criminali stranieri: tutti da espellere? Sull’accettazione dell’iniziativa popolare dell’UDC «Per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati», pure in votazione il 28 febbraio, vi è incertezza. Se ancora alla fine dello scorso anno i sondaggi davano i favorevoli al 61%, ora solo il 51% la voterebbe. Il 48% degli interrogati si esprime contro la proposta. La quota degli indecisi si attesta all’1%. Mentre l’UDC appare sola contro tutti, gli oppositori parlano di pericolo per la democrazia, i diritti umani e l’economia. Il testo dell’iniziativa per l’attuazione vuole un’applicazione fedele di quella «Per l’espulsione degli stranieri che commettono reati», approvata il 28 novembre 2010 dal 52,9% dei votanti. L’UDC ha depositato alla fine del 2012 questa seconda iniziativa per far pressione sulle Camere, impegnate a elaborare la legge d’applicazione della prima iniziativa. L’UDC sostiene che il Parlamento non voleva riprendere le proposte del primo progetto. Di conseguenza, ha voluto nuovamente chiamare in causa popolo e cantoni, proponendo loro l’espulsione automatica degli stranieri che hanno commesso reati gravi come omicidio intenzionale, assassinio, lesioni personali gravi,
rapina, stupro, ma pure truffa alle assicurazioni sociali. L’espulsione dovrebbe colpire anche i delinquenti stranieri che commettono infrazioni più leggere come minacce contro le autorità, risse o lesioni personali semplici. Ma soltanto se sono già stati condannati nei dieci anni precedenti. La durata d’espulsione potrebbe raggiungere i 20 anni in caso di recidiva. Si può rinunciare all’espulsione se il fatto è stato commesso per legittima difesa o in stato di necessità discolpante. L’esecuzione potrebbe essere differita solo temporaneamente, se la persona rischia un trattamento crudele o disumano. Il Consiglio federale, opponendosi all’iniziativa, ricorda che il Parlamento ha già deciso l’attuazione della prima iniziativa per l’espulsione e previsto, entro i termini imposti, l’inasprimento delle pertinenti leggi, che consentono di prendere in considerazione i casi di rigore. Contro queste modifiche legislative non è stato lanciato il referendum. Di conseguenza, sono pronte a entrare in vigore. La legge d’applicazione elaborata dalle Camere prevede l’espulsione automatica per un periodo di 5-15 anni per tutti coloro che si macchiano di cri-
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Politica e Economia
La borsa è impazzita – davvero? La consulenza della Banca Migros
Albert Steck
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Borsa svizzera
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Crescita del Pil in Svizzera
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Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Agli occhi di molti le recenti turbolenze che si sono abbattute sui mercati azionari hanno confermato il giudizio che: «la borsa è di nuovo impazzita». Anche dall’ex cancelliere tedesco Helmut Schmidt ci è stata tramandata l’affermazione che «le borse sono animate in sostanza da psicopatici». Certo, queste sentenze fanno presa, ma non rispecchiano la realtà. È vero che in borsa non mancano fasi di euforia o panico eccessivo, causate dall’istinto gregario degli investitori. Ma questi periodi rappresentano decisamente un’eccezione. Di solito i movimenti dei prezzi dei titoli sono un segnale sorprendentemente preciso dell’effettivo andamento della congiuntura. Lo dimostra il seguente grafico, che illustra come si sono mossi la borsa svizzera e il prodotto interno lordo (Pil) dal 2000. Le curve sono quasi parallele per lunghi tratti. Soprattutto nei punti di svolta, che rivestono una particolare importanza, le concordanze sono evidenti.
Parallelismi evidenti tra borsa ed economia reale
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Se le quotazioni azionarie precipitano com’è successo negli ultimi giorni, spesso la sentenza è: «Tipico della borsa, un comportamento da psicopatici». Ma dietro i movimenti dei prezzi c’è qualcosa di più di un’avidità o una paura esagerate. Come mostra la nostra analisi, la borsa è un anticipatore infallibile dell’andamento dell’economia reale.
Variazioni trimestrali della borsa svizzera (scala di sinistra) e del prodotto interno lordo (scala di destra) dal 2000. Le quotazioni di borsa come indicatore anticipatore della congiuntura sono raffigurate nel grafico arretrate di sei mesi.
È comunque importante precisare un aspetto: gli eventi in borsa non si riflettono nei dati congiunturali immediatamente, bensì a una distanza di sei-dodici mesi. In altre parole, l’andamento della borsa anticipa le variazioni della crescita del Pil di circa sei mesi-un anno. Per raffigurarlo nel grafico, ho arretrato di sei mesi la curva blu riferita all’andamento delle azioni. Pronosticare il futuro andamento
dell’economia implica, per definizione, una dose notevole di incertezza. Anche altri indicatori anticipatori, tra cui gli ordinativi delle imprese, lanciano talvolta segnali fuorvianti. Ma certo non per questo il loro comportamento è «psicopatico». André Kostolany, un guru della borsa, ha paragonato il rapporto tra la congiuntura e la borsa all’immagine di un cane e del suo padrone durante una passeggiata. Il cane, curioso,
cammina davanti. Qualche volta prende la direzione sbagliata, quindi corre rapidamente indietro. Ma nella maggior parte dei casi il cane imbocca istintivamente la direzione giusta, persino quando il suo padrone non ha ancora deciso dove vuole andare. Su www.blog.bancamigros.ch sono pubblicate maggiori informazioni tra la borsa e la congiuntura. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi L’EU cresce, la Svizzera un po’ meno Sono tre i temi che hanno occupato le pagine economiche dei nostri quotidiani nel corso delle ultime settimane. Dapprima il cedimento dei corsi di borsa in particolare di quelli delle banche. Si tratta di un fenomeno visibile in tutta Europa che potrebbe avere più di una causa. In secondo luogo la proposta della Banca europea di togliere dalla circolazione il biglietto da 500 euro che, da molti commentatori, viene vista come il primo passo verso l’abolizione del denaro contante. Spariranno nel prossimo futuro i portamonete? Un lancinante interrogativo al quale, per il momento, nessuno è in grado di dare una risposta. Il terzo tema è quello del quale mi voglio occupare in questo articolo. Sono usciti i dati riguardanti la crescita dei Paesi dell’UE nel 2015. Essi ci permettono di fare un paragone con la Svizzera. In media per l’insieme dell’UE è
stato realizzato un tasso di crescita dell’1,8%. Per il sottoinsieme dei Paesi che fanno parte della zona euro il tasso di crescita è stato invece solamente dell’1,5%. Non si tratta di prestazioni economiche da primato. L’UE e la sua zona euro hanno fatto comunque molto meglio della Svizzera il cui tasso di crescita per il 2015 si attesterà, con grande probabilità, sullo 0,5% o forse anche meno. Nel 2015, quindi, la nostra economia ha ritrovato, dopo vent’anni circa, un posto di coda nella classifica sulla crescita del Pil delle economie europee. Di fatto, nel 2015, la Svizzera si situerà al terzultimo posto. Se confrontiamo la situazione del 2015 con quella del 2014 constatiamo che in questa classifica la Svizzera ha perso 12 posti. Peggio della Svizzera ha fatto solo l’Estonia che ha perso 15 posti. Se dai perdenti passiamo ai vincenti, constatiamo che il balzo
in avanti di maggiore portata nella classifica del tasso di crescita del Pil l’hanno fatto Cipro e Croazia. Cipro ha guadagnato 16 posti in classifica e la Croazia 15. Sia nel 2014, sia nel 2015, la classifica per dimensione del tasso di crescita è capitanata dall’Irlanda, seguita da Malta e dal Lussemburgo. Le due classifiche, quella del 2014 e quella del 2015, sono correlate. Questo significa che le economie nazionali conservano, da un anno all’altro, più o meno il medesimo posto. I casi estremi di cambiamento di posizione sono pochi. Solo tre economie hanno guadagnato 10 o più posizioni: con Cipro e Croazia anche la Repubblica Ceca. Altre tre ne hanno perso più di 10. Si tratta, come abbiamo già ricordato, dell’Estonia e della Svizzera alle quali bisogna aggiungere la Slovenia. La debole crescita economica della Svizzera nel 2015 è dovuta, si può
dire esclusivamente, all’abbandono del cambio minimo con l’euro da parte della Banca nazionale. Tenendo conto dei risultati degli anni precedenti, si può dire che questa misura ha fatto perdere alla Svizzera quasi 1% di crescita. Purtroppo l’ipoteca del cambio con l’euro si manifesterà anche nel 2016. Mentre le economie dei Paesi dell’UE cresceranno a un tasso dell’1,9% e quelle della zona euro a un tasso dell’1,7%, l’economia svizzera conoscerà un tasso di crescita di soli 1,3%. Stando alle previsioni pubblicate da Eurostat, la Svizzera dovrebbe così continuare a far parte del gruppo di coda delle economie europee. Dietro di lei, come nel 2015, non si troveranno che Finlandia e Grecia. La sola consolazione, se così si può dire, è che nel 2016, la Svizzera non sarà sola. Anche le economie della Francia e del Belgio cresceranno a un
tasso dell’1,3%. Che cosa possiamo concludere dopo aver effettuato questi confronti? Che molti commentatori dei fatti economici del nostro Paese sono miopi. Nelle pagine specializzate dei nostri quotidiani abbiamo potuto leggere che i dati sulla crescita delle economie dell’UE nel 2015 erano insoddisfacenti. Si è scritto di uno sviluppo a passettini, di una crescita frenata, insomma di un andamento inferiore alle attese. Quando si tratta però della Svizzera che, lo ricordiamo, si trova in fondo alla classifica della crescita economica, i commentatori tirano sospiri di sollievo per il pericolo scampato e trovano che uno 0,5% di crescita del Pil può anche essere considerato, anzi deve essere considerato come una prestazione più che buona. Come dice bene il Vangelo: la pagliuzza nell’occhio del vicino si vede meglio che la trave nel proprio.
perché la battaglia, per le nomine della Corte suprema, è spesso squisitamente politica, e ancor più lo è in un anno elettorale. Molti repubblicani vorrebbero che il presidente, Barack Obama, non facesse la nomina adesso: sono scelte che durano per decenni, queste, e un presidente uscente non dovrebbe, secondo loro, lasciare un segno tanto profondo proprio mentre se ne sta andando. Obama ha risposto che la nomina la farà, e sarà una nomina «smart», è nei suoi poteri e soprattutto non si può lasciare un posto di quel rilievo vacante per quasi un anno. Ma al Congresso, a prevalenza repubblicana, la battaglia sarà durissima. Chissà poi che cosa intende Obama quando dice «smart»? C’è un aneddoto, nella vita di Scalia, in cui compare proprio questa parola. Nel 2009, quando si era dimesso il giudice supremo David Souter, Scalia si ritrovò a una cena con David Axelrod, allora
consigliere capo di Obama, e iniziò a parlare del processo delle nomine. Axelrod ha raccontato di essersi sentito in imbarazzo, non gli pareva molto ortodossa quella conversazione, e la scelta presidenziale non era ancora stata fatta. Ma Scalia insisteva, a un certo punto disse: «Non mi illudo che il tuo uomo possa scegliere un giudice che condivide i miei orientamenti, ma spero che ci mandi uno “smart”». Lui alludeva a Elena Kagan, giudice superliberal, che sarebbe poi stata in effetti nominata l’anno successivo. Ecco che cosa intendeva Scalia per «smart», competenza soprattutto. E Obama? I commentatori dicono che, per non far imbestialire il Congresso, il presidente dovrebbe fare una nomina se non bipartisan almeno non spericolatamente partisan: sarebbe una scelta certamente ragionevole, ma siamo appunto in un anno elettorale, la base del partito democratico,
frantumata dalla lotta tra i candidati Hillary Clinton e Bernie Sanders (il processo delle primarie è brutale), pretende coccole e corteggiamenti. Obama deve dunque scegliere se assicurarsi, per quanto possibile, un processo di nomina al Congresso non troppo traumatico o se forgiare con maggiore precisione la propria eredità liberal con una nomina che rischia di essere controversa (se non addirittura rifiutata). Circolano molti nomi di possibili successori: il più citato è quello di Sri Srinivasan, che sarebbe il primo asiatico e il primo indiano a diventare giudice supremo ed è considerato una scelta «ragionevole». I coltelli sono pronti, e intanto riecheggia la frase di una opinione in dissenso che Scalia scrisse su una sentenza sulla parità dei sessi, accusando i suoi colleghi: «Questa non è l’interpretazione della Costituzione. Qui se ne sta creando una nuova».
me per il progressivo indebolimento del ceppo patrizio ticinese. Allarme poi rientrato con il successivo rimescolamento dei flussi dovuto all’impetuosa crescita economica degli anni 60. Oggi il timore dell’estinzione non si fonda più sul destino della stirpe autoctona, ma su calcoli e previsioni che investono la base stessa dell’evoluzione demografica. Per compensare il calo della natalità c’era solo un rimedio: una robusta immissione di sangue esterno. È quanto è avvenuto in Ticino negli ultimi anni, anzi in tutta la Svizzera grazie all’immigrazione e alle naturalizzazioni. Che cosa significa vivere in una società sempre più vecchia (o, se si vuole, sempre meno giovane)? Le conseguenze sono molteplici e investono tutti gli ambiti, da quello sanitario (con i relativi costi) a quello politico (comportamento elettorale), fino all’offerta socio-culturale. Una società vecchia è notoriamente una società anchilosata, interessata più a conservare che ad innovare; una società prudente, non propensa a
rischiare, aggrappata ai valori tradizionali. Ma un’economia statica, sottolinea Venturelli, non può che alimentare un mercato del lavoro a sua immagine e somiglianza, scarsamente attrattivo per neodiplomati e neolaureati. I quali, aggiunge, hanno ripreso il treno per raggiungere le città d’oltralpe, come già fecero un tempo i loro nonni, se non i loro padri. Ancora poco si sa su questa nuova emigrazione, sulle dimensioni quantitative, sulle destinazioni, sulle professioni esercitate; su quanti tornano e quanti rimangono invece definitivamente oltre San Gottardo. Venturelli, in conclusione, sollecita un’indagine statistica approfondita, «sicuramente costosa e peraltro difficile da allestire». Fra le molte ricerche che si effettuano in questo cantone, questa dovrebbe avere un carattere prioritario. Permetterebbe di capire, tra l’altro, quant’è elevata la forza magnetica di USI, SUPSI e di altri centri di ricerca su cervelli d’altri cantoni, così da stabilire il saldo tra chi parte e chi arriva.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Un giudice «smart» per Obama La morte improvvisa del giudice supremo Antonin Scalia ha introdotto un altro elemento di polarizzazione nella campagna elettorale americana. Scalia, che gli amici chiamavano «Nino», era il più conservatore dei giudici della Corte suprema, «bombastic» sostenitore della teoria dell’originalismo, in netto contrasto con i suoi colleghi liberal e spesso con buona parte del mondo fuori. Padre di nove figli – è la «roulette vaticana», si prende quel che arriva –, amante dell’opera e della caccia, Scalia diceva che la Costituzione è morta, e rideva, perché per lui questa era la bellezza del testo fondante dell’America: che fosse «morto, morto, morto». Credeva che il tentativo di interpretare le intenzioni dei Padri costituenti fosse inutile se non pericoloso: basta leggere attentamente il testo originale, le parole usate e tramandate, stupendamente morte, per saper deliberare. Negli anni – era
stato nominato da Ronald Reagan nel 1986 – Scalia è diventato il «contrarian» per eccellenza, famoso per il suo senso dell’umorismo e la sua risata fragorosa, ha vinto grandi battaglie costituzionali, ma da ultimo ne ha perse altrettante, quella sull’Obamacare e quella sui matrimoni omosessuali soprattutto, e ha elaborato la sua opinione in dissenso con una terminologia e una verve diventate epiche. I liberal lo hanno sempre detestato, lui rispondeva accusa per accusa, bacchettando spesso anche i suoi colleghi della Corte Suprema – che pure gli erano amici, e che hanno rilasciato dichiarazioni di cordoglio commoventi – perché stavano costruendo un’America a loro immagine e somiglianza che però non assomigliava per niente a quella definita dai Padri fondatori. Sostituire Scalia non sarà facile, perché di intellettuali e giuristi di questo calibro ce ne sono pochi, ma anche
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Anziani che arrivano, giovani che partono Tutto aumenta: la popolazione, gli anziani, gli immigrati, le autovetture, i cani... Il Ticino contava, al principio del Novecento, 138’638 abitanti. Ora sono 350’363. Si prevede che nel 2023, quindi dopodomani, saranno 383’597, lungo una curva che appena dopo raggiungerà la soglia dei 400mila. Di conseguenza proliferano i veicoli in circolazione, gli ingorghi, l’inquinamento, le abitazioni, il cemento. Anche i cani, fedeli compagni dell’uomo e della donna, sono sempre più numerosi: da 25’677 nel 2009 sono passati a 28’550 nel 2015, con tendenza al rialzo. Tutto aumenta... non proprio tutto. Ora sembra che i frontalieri abbiano raggiunto il tetto massimo, dopo una crescita senza precedenti nella storia del cantone. Adesso oscillano intorno alle 60mila unità. E i salari? I salari reali fanno parte del «regno della stagnazione», un dominio che si muove poco, zero virgola. Quindi calma piatta, increspature minime, a immagine dello stagno, appunto. Recentemente Elio Venturelli, già direttore dell’Ufficio di statistica
cantonale, ha pubblicato sul periodico «Archivio Storico Ticinese» (n. 157), un articolo dal titolo inquietante: Vivere sempre più a lungo in una società in via di estinzione. Tre decenni di demografia in Ticino. Il trentennio preso in considerazione riguarda il periodo 1980-2013. Nel nostro cantone, l’età media si è allungata: 81 per gli uomini, 85,7 per le donne. Gli ultimi dati dicono che oggi gli ultra65 sono 76’895, nel 2023 saranno 89’926. Al conseguimento di tale invidiabile traguardo hanno concorso più fattori: l’onda lunga dell’elevata natalità degli anni ’50-60, l’alimentazione, le condizioni igieniche, gli stili di vita, i progressi della medicina. Ma ecco il rovescio della medaglia: l’invecchiamento della popolazione ha provocato un’impennata dei costi del sistema previdenziale e sanitario allarmante, anzi angosciante per molte famiglie, perché accompagnata da quote assicurative in costante aumento. «Il Ticino – sottolinea Venturelli – è il cantone con la più alta proporzione di anziani». Anche perché, con il suo
clima dolce prealpino, continua ad attirare frotte di confederati attempati («salotto soleggiato» e «casa di riposo» sono alleati). Il Ticino si è rivelato in questi ultimi anni una carta assorbente: dal 2010 al 2013, la popolazione è cresciuta di ben 12’786 unità (+3,8%), oltre 4000 unità all’anno. Ha insomma accolto e integrato: sono oltre 50mila gli stranieri che nel trentennio considerato hanno acquisito la cittadinanza elvetica. La natalità invece segna il passo: 1,38 figli per donna, una media che non permette di assicurare il ricambio generazionale. Quindi, ancora una volta, sempre meno giovani e sempre più anziani. Un dato, quello della natalità, perfettamente in linea con quello dell’Italia (1,39). Già nel secondo dopoguerra demografi e politici avevano paventato l’«estinzione della razza». Un insieme di fattori concomitanti (crescita economica, spopolamento delle valli, declino della civiltà rurale) aveva avviato il cantone sui binari della metamorfosi urbana. Di qui l’allar-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Cultura e Spettacoli Antigel a Ginevra... ...e non solo: la Romandia si fa protagonista di un festival fresco e poco convenzionale
Il gradito ritorno di Fargo Momenti di gioia per tutti quelli che avevano amato la prima stagione di una miniserie violenta, fredda, ma soprattutto molto ironica
La terra dall’altra parte Il film del regista svizzero Nicolas Steiner Above and Below è destinato a fare discutere
Preziosità antiche Lo studioso ticinese Simone Bionda si è occupato di Bernardino Segni e Aristotele pagina 38
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Femminuccia ignuda Mostre Carlo Portelli alla Galleria
dell’Accademia di Firenze
Gianluigi Bellei Con la mostra dedicata a Carlo Portelli alla Galleria dell’Accademia di Firenze si chiude il ciclo denominato «Un anno ad arte», iniziato nel 2005. Angelo Tartuferi sottolinea che tutte le mostre realizzate sono state fondate su di un progetto scientifico, elaborate e curate dai «funzionari storici dell’arte dei vari musei» con dei risultati importanti sia ovviamente a livello scientifico che critico. Con un po’ di civetteria scrive che tra le varie recensioni positive ce ne sono diverse della più prestigiosa rivista internazionale d’arte e cioè il «Burlington Magazine». Con la nuova legge voluta dal ministro per la cultura Dario Franceschini ora la direzione passa a Cecilie Hollberg. Carlo Portelli è un artista poco conosciuto e la piccola mostra fiorentina nelle tre sale dell’Accademia traccia un primo bilancio sul suo lavoro. Diciamo subito che in questo caso il catalogo è fondamentale anche perché per la prima volta propone, da una parte, le opere attualmente in mostra a lui attribuite con certezza dai due curatori e, dall’altra, quelle non esposte ma che sono sicuramente autografe. Questo perché nel mercato antiquario si era creata una sorta di bolla che vedeva proliferare dipinti di non facile classificazione come opere di Portelli. Aumentandone così il valore. Bastava che un occhio o una mano richiamassero il suo lavoro che l’attribuzione diventava certa. Naturalmente, come per tutti gli artisti minori, questa è una pratica corrente – lo si vede anche in Ticino, per esempio con Serodine – ed è perciò utile uno strumento che inizi a fare chiarezza. Portelli è un artista eccentrico, antiaccademico ed eclettico. Nei suoi lavori si fondono stile e colori di Agnolo Bronzino, Rosso Fiorentino e Ridolfo del Ghirlandaio. Giorgio Vasari nelle sue Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti del 1568 gli dedica poche righe. Ma è Raffaello Borghini nel 1584 che decreta il suo oblio quando si scaglia contro la sua Allegoria dell’Immacolata Concezione scrivendo che «oltre all’haver mal disposte tutte le figure ha messo innanzi una gran femminaccia ignuda, che mostra tutte le parti di dietro, e occupa più di mezza tavola…». Portelli nasce tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento a Loro Ciuffenna. Probabilmente discende dalla nobile famiglia romagnola dei Della Bordella, o Portella, conti di Mordano vicino a Imola. Il nonno, Petruccio di Pandolfo della Bordella, vive
di rendita a Loro. Nel 1498 Galeotto di Pietro o Petruccio fa una denuncia alla Decima repubblicana. Da questa si evince che ha tre figli fra i quali appunto Carlo. Nel 1537 Carlo si iscrive alla Compagnia di San Luca o dei pittori e inizia a lavorare nel cortile di Palazzo Medici nel 1539 per le nozze di Cosimo I con Eleonora di Toledo. Nella sua lunga vita dipinge ritratti, pale d’altare e sacre famiglie. Muore il 13 ottobre 1574, come scritto dall’Arroto del 30 dicembre. Quello che caratterizza lo stile di Portelli sono le figure allungate, in un certo senso statuarie, ben definite e tornite, come ne La carità dove prevale l’aspetto tridimensionale; ma anche i colori vermigli, i verdi color salvia, i rosa cangianti e i bianchi riflettenti, ma soprattutto i tagli obliqui degli occhi e i colpi di luce. La Sacra famiglia con San Giovannino ne è un esempio anche se di stampo un po’ classicista. La Testa divina ne è una sorta di summa perché, come scrive Philippe Costamagna in catalogo, la figura mostra un «trattamento solido e netto dei piani del viso dall’epidermide chiara, il disegno allungato ed elegante degli occhi, e quello dei panneggi, dalle pieghe sfaccettate a movimentare colori chiari e freddi». Ma il suo capolavoro rimane quell’anticonvenzionale e trasgressiva Allegoria dell’Immacolata Concezione. A questo punto bisogna fare una premessa. Il dogma dell’Immacolata Concezione viene proclamato nel 1854 da Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus nella quale si stabilisce che la Vergine Maria è immune dal peccato originale sin dal suo concepimento. Una questione di lana caprina, ma che ha appassionato per secoli il dibattito teologico. Insomma, la Vergine è immune dal peccato originale come vuole la posizione immaculista, o è liberata dal peccato a posteriori per volontà divina come sostegnono i maculisti? La disputa dura secoli e vede contrapposti da una parte i francescani immaculisti e dall’altra i domenicani maculisti. Santi e filosofi: Anselmo d’Aosta, Nicola Cusano e Duns Scoto quali immaculisti e Bernardo di Chiaravalle, Alberto Magno e Tommaso d’Aquino dall’altra parte. Dibattiti e dispute infiniti, come quelli alla Sorbona di Parigi fra il 1320 e il 1321, nei quali si scontravano dialetticamente i fautori delle due tesi. Gli artisti rappresentano queste dispute in genere con delle composizioni simmetriche con al centro la figura della Vergine e ai lati i personaggi contrapposti. Esemplare è il dipinto di Piero
Carlo Portelli Allegoria dell’Immacolata Concezione, firmata e datata 1566, Firenze, Galleria dell’Accademia.
di Cosimo del 1516 nella chiesa di San Francesco a Fiesole intitolato appunto Disputa sull’Immacolata Concezione dove la Vergine è dipinta in alto alla destra del Padre tra gli angeli e sotto Francesco e Girolamo con ai lati Agostino e Anselmo e in secondo piano Bernardo e Tommaso. Portelli dipinge una Disputa sull’Immacolata Concezione, ora al Museo dell’Opera di Santa Croce di Firenze, nel 1555 dove la Vergine, in alto, accompagnata dagli angeli si contrappone ad Adamo ed Eva, simboli del peccato, in basso. In mezzo quattro personaggi discutono in un guazzabuglio di mani, libri e cartigli. Oltre alla disputa gli artisti prendono in considerazione pure l’allegoria, che rimane imparziale rispetto
alla disputa. Portelli, undici anni dopo la commissione della disputa da parte delle Clarisse di Monticelli, realizza per i Francescani Osservanti di Ognissanti un altro lavoro simile incentrato sul ruolo di Maria come nuova Eva: l’Allegoria dell’Immacolata Concezione, appunto. Nel dipinto Maria in alto si muove verso sinistra schiacciando con i piedi il serpente, mentre Eva in basso si sposta verso destra appoggiandosi voluttuosamente ad Adamo. Accanto una miriade di personaggi in un turbinio di colori, in un ordine-disordine, fra salvezza e perdizione. Maria è vestita di rosso ed Eva, di schiena e lasciva, è tutta nuda. Dopo la condanna del Borghini che taccia il dipinto di oscenità la tavola viene spostata all’interno del convento e la figura di Eva ricoperta
con i colori da una pelliccia. Il dipinto, datato e firmato Carol(us) Portell(us) p(ictor) flo(rentinus) p(inxit) 1566, è il capolavoro dell’artista e dopo il recente restauro che ha tolto la pelliccia appare oggi in tutto il suo splendore. Non più la rappresentazione di un dibattito teologico bensì un quadro «visionario e magnifico», come sottolinea Lia Brunori, che rappresenta l’eterna lotta fra il bene e il male. Con buona pace del Borghini. Dove e quando
Carlo Portelli. A cura di Lia Brunori e Alessandro Cecchi. Firenze, Galleria dell’Accademia. Fino al 30 aprile. Catalogo Giunti editore. www.unannoadarte.it
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Cultura e Spettacoli
A Ginevra l’inverno si combatte con Antigel Festival Durante i mesi più freddi dell’anno la città che diede i natali a Calvino propone una maratona artistica
il cui intento, oltre a quello di incantare e divertire, è di scacciare... il gelo
Muriel Del Don Antigel, un nome che la dice lunga, sorta di antidoto contro il freddo di un inverno che sembra immancabilmente troppo lungo. Il festival ginevrino, che vanta già sei anni al suo attivo, è uno di quelli che picchiano forte, dove fa male, ma sempre con lo scopo di svegliare il pubblico dal torpore glaciale che lo attanaglia. Basta contatti umani di plastica filtrati dai social network, è ora di spegnere il computer e di uscire di casa per avventurarsi in luoghi insoliti della città di Calvino: tra le mura imponenti di una stazione ferroviaria abbandonata, a suon di techno, o nel salotto accogliente del neo barocco Victoria Hall, tra le morbide braccia di Marianne Faithfull. Degli incontri inediti e dei luoghi insoliti quindi per un festival che utilizza l’arte, soprattutto la musica, la danza e la performance per risvegliare i sensi e per guardare il mondo con occhi nuovi e deliziosamente ingenui. Ventun comuni hanno accolto la sesta edizione del festival che ambisce come ogni anno a mostrare un altro volto di Ginevra, più misterioso e seducente, agli antipodi dei luoghi comuni che la vogliono cupa e austera. Malgrado l’immancabile «bise» che soffia e il cielo a tratti plumbeo, la programmazione di Antigel resta luminosa e sensuale, sorta di vetrina del meglio della scena musicale e artistica attuale. Una selezione accurata e sorprendente di artisti confermati e di giovani scoperte ha accompagnato i diciassette giorni del festival – chiusosi il 14 febbraio – che quest’anno ha celebrato il Sudafrica e le figure leggendarie dell’avanguardia newyorkese della metà del ventesimo secolo. Philip Glass, vero e proprio monumento del minimalismo americano made
in New York, ritorna all’Antigel dopo la memorabile esibizione di due anni fa, con il suo Ensemble per il cine concerto Koyaanisqatsi, colonna sonora del film omonimo di Godfrey Reggio. Un’esperienza musicale e cinematografica unica, paragonabile a uno stato di trance abitata da immagini che scorrono davanti ai nostri occhi al ritmo di una musica ipnotica e seducente. La scelta di programmare questo gioiello evidenzia la volontà dell’Antigel di proporre al pubblico delle esperienze sensoriali uniche e spettacolari molto lontane, da quello che potremmo chiamare «consenso». Negli anni Sessanta la corrente minimalista si espande poco a poco a tutte le arti in una ricerca di esplorazioni inedite e di collaborazioni artistiche intense e fusionali. Philip Glass, Sol LeWitt e Lucinda Childs, monumento assoluto della danza postmoderna ne sono un esempio emblematico. Nel 1979 il trio decide di collaborare sulla coreografia Dance, dando vita a uno spettacolo globale tra movimenti puri e misteriosi, melodie glaciali e voluttuose e decori grandiosi ed epurati. La compagnia di Lucinda Childs ha concesso a Ginevra l’unica rappresentazione europea dello spettacolo, sottolineando così il legame che intrattiene con la città di Calvino. A completare il gruppetto di artisti faro dell’avanguardia newyorchese invitati dall’Antigel troviamo Bruce Brubaker, figura chiave della musica postmoderna, che ha invaso la Salle des fêtes di Carouge con un sorprendente progetto monumentale composto da un assolo di pianoforte che riprende il repertorio del suo amico Phil Glass. Un omaggio sublime e misterioso di un’incredibile intensità. Per quanto riguarda invece i discepoli del movimento minimalista, il festival ginevrino ha invitato tra gli altri
house music ha regalato ai festivalieri una serata indimenticabile a suon di beat minimali. Nella stessa corrente, anche se più vicino all’hip hop, Spoek Mathambo, che ha scaldato i muri di cemento del Grand Central con una sensazionale performance nervosa e furibonda dominata da sonorità hip hop, electro e rock. La performance dal sapore sciamanico Influences of a Closet Chant di Albert Silindokuhle Ibokwe Khoza e l’evocativa costruzione scenica A good place for no tourists nor locals di Thami Manekehla (che evidenzia i gravi problemi legati alla
violenza dilagante in Sudafrica) sono due esempi di una scena artistica forse ancora troppo sconosciuta ma che non ha certo intenzione di nascondersi nell’ombra. Grazie a questa programmazione speciale Antigel apre il dibattito su un Paese, il Sudafrica, che ha ancora troppe contraddizioni. Tra gli artisti presenti è bene citare la grande ballerina e coreografa francese Maguy Marin che con la sua ultima creazione Singspiele, interpretata divinamente da David Mambouche, ha mantenuto il pubblico in bilico tra realtà e finzione in un susseguirsi di mutazioni fisiche dal divino al grottesco. Junius Meyvant, Ye Vagabonds e la leggenda della musica folk Michael Chapman sono stati invece i portavoce di sonorità elegantemente rurali e ancestrali, surrealiste e magiche. Da sottolineare anche la rigenerante e spensierata performance della compagnia belga Wooshing Machine che ha fagocitato il pubblico inglobandolo letteralmente nel processo creativo. Anche quest’anno Antigel ha tenuto alto l’onore di un festival sovversivo che propone itinerari alternativi al di fuori delle rassicuranti mura domestiche. L’ormai mitico Grand Central, quartier generale dei festivalieri, situato in una vecchia stazione ferroviaria che sarà presto distrutta, rivisitata per l’occasione dallo studio di architetti Bureau A, gli imponenti palazzoni della Cité-Nouvelle di Onex (invasi dalla coreografia improvvisata TRANS’ONEX) o ancora il Bois de la Bâtie nel quartiere de l’Etang, ai bordi dell’Arve e la sua passeggiata audioguidata notturna La forêt ne dort pas sono solo alcuni dei luoghi insoliti che hanno accolto il festival. Antigel come vetrina sul mondo, un mondo che si trova giusto fuori casa, ma che spesso sembra troppo lontano. Altamente rigenerante.
stici, talvolta smarrito in una solitudine straniante, talaltra immerso in un caos disorientante. I lavori pittorici sono frutto di una gestualità libera e spontanea che rimanda agli espressionisti astratti americani, Willem de Kooning su tutti. Nessi riempie le superfici con potenti tocchi di pigmento che tendono ad abbandonare una precisa determinazione della struttura per poi ricomporsi in equilibri e ritmi inediti, recuperando in parte la forma e attribuendole nuovi valori. Dai dipinti più figurativi, come Fra i rovi, del 2004, dove i lineamenti di uomini e animali sono ancora facilmente ravvisabili, si passa a opere in cui la fisionomia umana si perde quasi completamente in tratti indistinti e violenti. È il caso di Omino verde o di Green, entrambi del 2011, lavori in cui l’artista utilizza un approccio a tutto campo che cura allo stesso modo ogni porzione della superficie, a suggerire uno spazio virtualmente infinito. La tela diventa così un luogo d’azione su cui Nessi convoglia la propria energia vitale, spesso avvalendosi anche dell’uso di materiali differenti, brandelli di tessuto grezzo o ritagli di giornale, che vanno a sovrapporsi e a mescolarsi con il colore. Mantengono invece un legame più marcato con la figura le sculture, sebbene anche qui il concetto di mutamento delle forme sia ben evidente. Nessi si de-
dica all’arte plastica dalla fine degli anni Ottanta, realizzando dapprima opere in ferro, poi in bronzo, elementi con cui ha molta confidenza e di cui conosce bene le proprietà. Nel metallo plasma piccole silhouette di giacomettiana memoria che si ergono come moderni totem o che si fondono con le fattezze di animali. Nelle due sculture Animals del 2004-2005, ad esempio, compaiono esili sagome addossate l’una all’altra, con volti di bestia e con lunghe gambe che sembrano zampe. Lo stesso groviglio di esseri umani in trasmutazione lo si trova anche nella serie dei «legni», composizioni in cui Nessi impiega veri rami d’albero fusi in bronzo: adesso è con la natura che l’individuo si amalgama, in un intreccio di corpi e fronde arboree. Paradigmatica è poi la scultura intitolata Cavallo di fuoco, del 2015, un’opera fatta con radici di castagno che rappresenta lo scheletro di un grosso animale – una sorta di creatura preistorica – con la carcassa del muso a ricordare gli antichi bucrani e un colore rosso sangue adagiato sul legno a rievocare gesti primitivi. Richiami simbolici e memorie arcaiche si sono sedimentati nella mente dell’artista ed emergono di continuo a popolarne le opere, trovando in esse un luogo ideale dove acquisire nuovi significati.
La compagnia di Lucinda Childs si è esibita a Ginevra. (© Sally Cohn)
il sorprendente Lee Ranaldo, membro dei memorabili Sonic Youth. La sua intensa prestazione è stata salutata da un pubblico ipnotizzato, soggiogato da una voce e da melodie tra caos e luce. La sesta edizione di Antigel ci trasporta dal nord al sud, fino in Sudafrica grazie a una programmazione speciale dal nome evocativo South Africa, what’s up? Danza, performance o ancora musica elettronica e hip hop, in un andirivieni costante tra tradizione e innovazione. Black Coffee (all’anagrafe Nkosinathi Maphumulo), una delle figure mondialmente riconosciute della
La mutevolezza della forma Incontri L’arte di Carlo Nessi nasce direttamente dalla sua professione Alessia Brughera Quella di Carlo Nessi è un’arte che deriva dal mestiere. Dalla conoscenza dei materiali e dall’abilità nel modellarli, dalla padronanza degli strumenti e da un’attitudine al lavoro paziente e tenace. I rumori d’officina, stridenti e battenti, hanno fatto da sottofondo alle sue ispirazioni, i riverberi del metallo rovente hanno acceso nuove visioni nel suo immaginario: Nessi, metalcostruttore di
Fra i rovi, Carlo Nessi (2004).
professione, ha investito la sua pratica quotidiana di una valenza inedita, capace di dare espressione a quella dimensione creativa che da sempre ha coltivato. Ticinese, classe 1962, Nessi ha difatti una passione per l’arte che si porta dentro fin dalla giovinezza, quando si dedicava alla pittura riproducendo le opere dei maestri del Rinascimento. Un esordio da autodidatta, il suo, che ricalca però l’antica prassi accademica della copia come mezzo per imparare la tec-
nica. In completa autonomia, l’artista porta poi avanti la sua ricerca stimolato da una forte curiosità che lo spinge al confronto e alla continua evoluzione del suo linguaggio. È così che lo stile figurativo del periodo iniziale lascia ben presto il posto a esiti più astratti, in cui la forma, pur rimanendo distinguibile, perde lentamente di definizione. La mostra allestita recentemente alla Sala del Torchio di Balerna raccoglieva dipinti, sculture, pastelli e carboncini realizzati da Nessi dai primi anni del Duemila a oggi, recenti testimonianze di questo percorso caratterizzato da una vena irrequieta e palpitante. Numerosi, nelle sue opere, sono i riferimenti culturali: suggestioni e spunti sempre sottoposti a una rielaborazione originale da parte dell’artista, che varia temi e materiali a seconda del suo bisogno espressivo. Ad accomunare i lavori di Nessi è un’idea di trasformazione, di metamorfosi, come suggeriva d’altronde anche il titolo della recente rassegna: una trasfigurazione che investe l’uomo, vero protagonista di ogni opera, ora alterandone l’aspetto attraverso la forza del segno pittorico, ora confondendone le sembianze attraverso la malleabilità del metallo. Nell’universo travagliato di Nessi, il corpo umano si riconosce appena nell’intrico delle pennellate di colore o nel groviglio degli elementi pla-
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Cultura e Spettacoli
Allontanarsi da casa per conoscersi meglio Teatro Il viaggio di Harper Regan: moglie, madre, figlia e altro
L’arte della finzione a spasso con la realtà In scena Bennet e Arnaboldi protagonisti Giorgio Thoeni
Elena Russo Arman e Martin Chishimba in Harper Regan. (Laila Pozzo)
Giovanni Fattorini Harper Regan ha 41 anni, un marito architetto di 43 (Seth), una figlia diciassettenne che frequenta l’ultimo anno delle superiori (Sarah), e un imprecisato ma abbastanza ben pagato lavoro in un’azienda di Uxbridge, sobborgo occidentale di Londra, dove si è trasferita da due anni insieme a Sarah e Seth, dopo che questi è stato arrestato e iscritto nel registro dei colpevoli di reati sessuali per aver scattato – e caricato sul computer – delle fotografie di bambine che frequentavano la piscina di un parco non lontano da casa. Quando riceve la notizia che suo padre è ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Stockport (il sobborgo di Manchester in cui è cresciuta, e che ha dovuto lasciare in seguito alla disavventura di Seth), Harper sente il bisogno di fargli visita: non gli ha mai detto quanto gli vuole bene, quanto è stato importante per lei. Chiede pertanto alcuni giorni di permesso al suo datore di lavoro, che glieli nega, minacciando altresì il licenziamento. Lasciato l’ufficio – è il tardo pomeriggio di un giorno autunnale – Harper si ferma, come fa quasi sempre rientrando dal lavoro, lungo il Grand Union Canal, dove attacca discorso con Tobias, un ragazzo di 17 anni. A casa trova ad aspettarla il marito e la figlia, con la quale ha un piccolo screzio. Il mattino dopo la rivediamo in una stanza dell’ospedale di Stockport. Il padre è morto. Nell’arco di due giorni, durante i quali non dà notizie di sé né a Seth né a Sarah, Harper s’intrattiene – e in due casi ha degli scambi non solo verbali – con una dottoressa, un giornalista, un uomo sposato e con tre figli, la propria madre e il suo secondo marito. Tornata a Huxbridge, lungo il canale incontra di nuovo il giovane Tobias. Poi fa ritorno a casa.
Annoverato tra i più significativi esponenti del teatro inglese contemporaneo, Simon Stephens – nato a Manchester nel 1971 – è un drammaturgo quasi sconosciuto in Italia. Elio De Capitani, che lo apprezza da tempo, ha deciso pertanto di mettere in scena Harper Regan, un testo in unici quadri, rappresentato per la prima volta a Londra nel 2008, e ora pubblicato da Cue Press nella traduzione (e con prefazione) di suo figlio Lucio, che per la Compagnia dell’Elfo ha tradotto anche Frost/Nixon di Peter Morgan. Come si esprimono, verbalmente, i personaggi di Harper Regan? Quasi sempre con frasi di estrema ma non peculiare brevità. Rare le proposizioni coordinate. Rarissimi i periodi formati da una proposizione principale e una subordinata. Quanto al lessico: povero, piattamente quotidiano, incolore (perché non fanno certo «colore» le grevi e abusate locuzioni del cronista di Stockport, né risultano peculiarmente espressive le divagazioni sociologiche del datore di lavoro di Harper). D’accordo, un drammaturgo (o un narratore) non è tenuto a diversificare anche sul piano linguistico i suoi personaggi (come ha saputo fare in modo magistrale, e forse unico, Marcel Proust). Ma col linguaggio esangue, poco differenziato e sintatticamente elementare di Stephens, pare difficile dar vita a dei personaggi che rendano manifesta, o lascino intravedere, un’interessante singolarità di pensiero e/o di sensibilità. È di un tale linguaggio che si serve Harper Regan, sia nel discorrere con le persone del suo mondo quotidiano, sia nel dialogare con gli sconosciuti che incontra nel corso di un viaggio – limitato nel tempo e nello spazio, e moderatamente avventuroso – dal quale ritorna con l’intenzione (dichiarata al giova-
ne Tobias) di fare del proprio meglio «per smettere di dire sempre bugie». Intenzione non condivisa, a quanto pare, dal marito, le cui fantasie pedofiliache (Stephens non fa chiarezza al riguardo) sono cosa certa sia per il lettore che per lo spettatore, e per Harper, alla fine (ma non c’è dichiarazione esplicita in proposito), un’espressione accettabile – purché non si traducano in atto – della forza irrazionale e trasgressiva del desiderio: una forza che ha avuto modo di riconoscere, durante il viaggio, anche dentro di sé. La scena conclusiva è ambientata nel giardino di casa Regan. Mentre sta facendo colazione con la moglie, Seth pronuncia un monologo indirizzato al pubblico, che Lucio De Capitani definisce «un sogno di pace», e che a me sembra, invece, un oleografico quadretto di vita familiare, agreste e piccolo-borghese, su cui si stende l’ombra di una reticenza ipocrita. Leggendo il testo, ciò che più mi ha colpito è l’importanza – nelle didascalie ci sono indicazioni frequentissime e prescrittive – che il drammaturgo attribuisce agli sguardi che precedono o seguono le parole dei personaggi. Ed è proprio la diversa tensione legata al guardare e all’essere guardati – all’interno della scena quasi astratta e funzionale ideata da Carlo Sala – ciò che ho avvertito solo raramente nell’interpretazione della legnosetta Elena Russo Arman (Harper Regan) e degli altri attori della compagnia, che sono Cristina Crippa, Francesco Acquaroli, Marco Bonadei, Martin Chishimba, Cristian Gianmarini, Camilla Semino Favro.
Da Plauto a Shakespeare, da Goldoni a Pirandello. La storia ci ha consegnato innumerevoli esempi di «teatro nel teatro» altrimenti detto «metateatro»: una rappresentazione all’interno di un’opera dove i personaggi mettono in scena una seconda rappresentazione. Come accade nell’Amleto o nei Sei personaggi in cerca di autore, per intenderci. Lo scopo del «metateatro» è quello di sottolineare la funzione illusoria dell’azione scenica, mettendo a nudo la struttura fittizia in un confronto tra la scena e la vita reale. Non è dunque solamente una rottura dell’illusione, diventa bensì l’illusione stessa in un gioco molto più raffinato, dove il drammaturgo sfrutta il piano dell’imitazione per raccontare quanto la vita spesso non appaia meno inventata. L’espediente, come detto, ha l’età del teatro stesso ed è piaciuto anche al celebrato autore inglese Alan Bennett che nel 2009 su questa falsariga ha scritto Il vizio dell’arte (The Habit Of Art), un dramma in due tempi che il Teatro dell’Elfo ha portato al LAC di Lugano con la regia di Ferdinando Bruni e Francesco Frongia. Lo spettacolo si presenta come una sorta di voyeuristica intrusione del pubblico che assiste alla prova «filata» di una nuova opera, Il giorno di Calibano, in cui si racconta l’immaginario incontro del poeta Wystan Hugh Auden con il compositore Benjamin Britten venticinque anni dopo. Con loro c’è un biografo che nell’economia drammaturgica è l’ideale tramite, il «deus ex machina» che si pone tra la rappresentazione della nuova opera e la «realtà» della prova stessa dell’intero allestimento a cui stanno assistendo la regista, l’autore, il suggeritore e un altro attore. Due piani d’ascolto dunque in cui si agitano tematiche di doppia natura: da un lato il dialogo serrato fra i due grandi artisti che mette in campo dal teatro alla vita, dall’arte all’omosessualità, fino al profondo concetto della «perdita dell’innocenza». Che è anche la parte più riuscita dello spettacolo. Dall’altro troviamo il teatro svelato in molte sue problematiche da «dietro le
quinte»: l’attore preoccupato di essere marginalizzato o l’autore messo in discussione dalla regista e dagli stessi protagonisti. È un continuo bilanciamento fra due piattaforme significanti dove a trionfare è «il vizio dell’arte». Bella e intensa la prova di Ferdinando Bruni (Auden) e di Elio De Capitani (Britten) con la brava Ida Marinelli (la regista), Umberto Petranca, Alessandro Bruni Ocaña, Vincenzo Zampa, Michele Radice e Matteo de Mojana. Vincitore del Premio Hystrio Twister 2015, la produzione del Teatro dell’Elfo è una fortunata ripresa che alla sala del LAC di Lugano ha avuto un meritato successo per un’unica rappresentazione. Al San Materno va in scena il Bauhaus
«L’arte deve portare emozioni, deve stupire e avere un’anima». Sono alcune delle parole di Tiziana Arnaboldi che hanno recentemente accompagnato la presentazione della seconda parte del cartellone del Teatro San Materno di Ascona da lei diretto (www.teatrosanmaterno.ch). Meno spettacoli ma tutti di grande spessore, ecco la cifra stilistica degli appuntamenti distribuiti tra febbraio a luglio che andranno a concludere il primo originale percorso di Tiziana. Finora il successo è stato enorme, con la più grande affluenza mai registrata nella storica sala e con un sensibile ricambio di pubblico. Un risultato che sta dunque premiando il disegno dell’artista asconese orientato al dialogo empatico con nuovi danzatori in un discorso interdisciplinare che mette al centro i giovani e la danza contemporanea. Pochi appuntamenti, dicevamo, ma di prestigio di cui almeno ricordiamo l’arrivo del Theater Klänge di Düsseldorf con due storiche coreografie di Oskar Schlemmer di scuola Bauhaus (27-28 febbraio) e Carolyn Carlson, la grande maestra americana della danza contemporanea ad Ascona per due spettacoli in aprile. Il piccolo gioiello di Charlotte Bara torna così a risplendere e la prossima stagione in autunno sarà interamente dedicata al ricordo della leggendaria danzatrice a trent’anni dalla sua scomparsa.
Dove e quando
Milano, Teatro Elfo Puccini, fino al 6 marzo. Ferdinando Bruni e Elio De Capitani ne Il vizio dell’arte di Alan Bennett. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Lassù qualcuno (non) ci ama Serie TV Per la gioia di tutti gli amanti del genere, sugli schermi della RSI è iniziata la seconda stagione
della miniserie di culto statunitense Fargo – fra i protagonisti la fantastica Kirsten Dunst Mariarosa Mancuso Pareva un’impresa impossibile ricavare una serie tv ispirata a Fargo, il film girato nel 1996 dai fratelli Ethan e Joel Coen. Restano in mente la poliziotta incinta e il sicario Steve Buscemi, arruolato da un venditore di automobili che per scucire soldi al suocero e ripianare i debiti finge il rapimento della consorte (nulla andrà secondo i piani, sottolineato da un black humour che non ha eguali e da allora viene molto imitato). Ci sono voluti molti anni, e uno showrunner coraggioso come Noah Hawley, che ha scritto il copione facendolo leggere ai proprietari del marchio soltanto a cose fatte. Impressionati dalla bravura, i Coen hanno deciso di coprodurre la serie. Prima astuzia: 10 episodi con un bel «The End» alla fine. Anche se le serie non danno dipendenza come il gioco d’azzardo (come ha accertato un convegno internazionale, lo scorso 5 febbraio all’università parigina di Nanterre) parecchi spettatori non amano l’idea di iniziare una storia che potrebbe durare anni. Seconda astuzia: la vicenda non è un sequel né un prequel, possiamo pensarla come un universo parallelo, sfalsato nel tempo perché siamo nel 2006. Una macchina va fuori strada sulla neve, nel bagagliaio un tizio piuttosto malconcio. Stacco sull’assicuratore Martin Freeman, vessato dalla moglie («ho sposato il fratello sbagliato») e dal compagno di scuola manesco. Moglie e compagno di scuola non arrivano vivi
alla fine del primo episodio. Si salva il poliziotto che invece di insistere per i documenti davanti a un sinistro Billy Bob Thornton (era lui a guidar l’auto sul ghiaccio) gira le spalle senza la tentazione di fare l’eroe. «Una volta sulle mappe scrivevano “hic sunt leones”», spiega Billy Bob Thornton, che quando proprio è necessario si fa chiamare Duluth. Ora l’avvertimento non usa più. Non vuol dire che il mondo in generale – e le cittadine del Minnesota in particolare – siano posti tranquilli come suggerisce il quadretto a punto croce con la scritta Fargo (c’è anche il maglione jacquard e l’americanissimo patchwork). Indaga la poliziotta Molly, molto più sveglia del collega che – dice il capo di entrambi – «pulisce la pistola con il bagnoschiuma». Gran successo, di pubblico e di critica, via libera alla seconda stagione con una nuova storia (RSI LA 1, mercoledì ore 22.40). Torniamo al 1979: Jimmy Carter deplora la scarsa fiducia degli americani, a ridosso del Watergate e della guerra in Vietnam. Ronald Reagan si scalda ai blocchi di partenza. Partono i titoli di testa di un film in bianco e nero intitolato Massacro a Sioux Falls, con l’attore che sarebbe diventato presidente e che mai girò una pellicola con quel titolo (recitò invece accanto a uno scimpanzé in Bonzo la scimmia sapiente). Non stiamo vedendo un film, sia pure ricostruito. Vediamo un set dove l’aiuto regista dice al finto indiano con le piume in testa: «Pazienza, stiamo
mettendo le frecce sul corpo di Ronald Reagan, servirà un po’ di tempo». Poi intrattiene il finto indiano sul massacro dei veri indiani, aggiungendo «Sono ebreo, so di cosa parlo». Sullo sfondo, una comparsa che dovrebbe essere morta sul campo di battaglia chiede una coperta, per non morire assiderata. Ancora non è comparsa la strepitosa Kirsten Dunst, sciampista sposata a un macellaio che sogna un giorno di avere una macelleria tutta sua, e già siamo conquistati. Non manca un omaggio al Libro di Giobbe, chiodo fisso nelle storie di Ethan e Joel Coen. Lo hanno colonizzato la prima volta con A Serious Man: la storia di un professore universitario tradito dalla moglie, tanto per cominciare: oltre alle altre disgrazie, deve vedersela con un Dio o assente o giocherellone (manda messaggi incisi sulle arcate dentarie). Lo hanno colonizzato la seconda volta con A proposito di Davis: la storia di un musicista folk a cui vanno tutte storte, ancor prima che un giovanotto di nome Bob Dylan appaia all’orizzonte. In Fargo 2, la matriarca di una famiglia criminale attiva nel Nord Dakota – i Gerhardt, il patriarca Otto ha appena avuto un ictus – distrugge la smania di potere del figlio grande raccontandogli appunto la storia di Giobbe. «Il diavolo non è riuscito a far capitolare Giobbe, non farai cambiare idea a me», ragiona la terribile mamma. Intanto, nel Kansas, una più grande ditta criminale – aiutandosi con i
Gli attori Jesse Plemons e Kirsten Dunst, fra i protagonisti della seconda stagione di Fargo.
lucidi proiettati sulla parete, e facendo riferimento ai ragazzi del reparto ricerca&sviluppo – intende acquisire il business, lasciando i Gerhardt come dirigenti. Il futuro appartiene ai grandi gruppi, le imprese familiari son destinate a scomparire. Sbrigatevi a vederlo prima del 10 marzo, quando uscirà il sala il film
dei Coen che ha aperto la Berlinale, Ave,Cesare!. Un omaggio al cinema che fu, tra Ben Hur e i musicarelli acquatici di Esther Williams, con George Clooney nella parte dell’idiota (vestito da antico romano, perdipiù). Un’altra meditazione, se non proprio sul libro di Giobbe, su noi che stiamo quaggiù e qualcuno che (forse) sta lassù. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Un film svizzero che mette sottosopra Incontri A colloquio con il documentarista svizzero Nicolas Steiner, il cui incredibile Above and Below
è stato giudicato da «Vanity Fair» fra le più interessanti scoperte del 2015
ricostruita o che corrisponda effettivamente alla realtà. In fondo che cos’è un documentario? Per me una sola cosa è imprescindibile: avere senso etico e rimanere fedele alla realtà umana dei tuoi protagonisti così come li hai conosciuti. In tre anni di lavoro la mia troupe non si è mai lasciata scoraggiare da questi giudizi e ha portato fino in fondo la sua visione artistica.
Nathalie Codina A più di un anno dalla prima internazionale in concorso al Festival di Rotterdam è attesissima l’uscita nelle sale della Svizzera tedesca il 25 febbraio del pluripremiato documentario di diploma del 31enne vallesano Nicolas Steiner, Above and Below (sostenuto dal Percento culturale Migros). Dopo il cortometraggio Ich bin’s. Helmut e il documentario Kampf der Königinnen Steiner ci sorprende con un’opera di due ore che esplora con meraviglia quei territori fantasma della East Coast americana dove è solo possibile sopravvivere: le gallerie di scarico sotto Las Vegas, una stazione spaziale nello Utah e il deserto californiano. Qui, in mezzo ai detriti, si sono accampati personaggi dimenticati dal mondo, eroi resilienti e sapienti ottimisti che non si stancano mai di chiedere alla vita una seconda opportunità. Sono Dave, Rick, Cindy, Lalo e April. Definito dalla rivista americana «Variety» come una delle 10 scoperte più interessanti dell’anno 2015, Above and Below è un’opera prima svizzera di altissimo livello, da non perdere.
Un altro fatto sorprendente è che in due mesi e mezzo di riprese ha raccolto solamente 40 ore di filmato. Eppure in questo materiale ha saputo catturare una quantità sbalorditiva di momenti eccezionali. È tutta questione di fortuna?
È vero, di solito per un documentario la ratio tra il materiale filmato e il prodotto finale è almeno di tre volte superiore. Osservare e raccogliere le gemme nascoste nel reale è il mio mestiere, è una questione di sensazioni. Le faccio un esempio: quando al concerto Dave è inquadrato da dietro e lo vedi rivolgersi a una donna sua coetanea, io non avevo idea di cosa si stessero dicendo. Quando l’ho scoperto in sala montaggio ero esterrefatto di esser riuscito a cogliere esattamente il momento così genuino in cui sboccia un amore tra due cinquantenni, un vero colpo di fortuna! È vero anche però che durante la serata avevo percepito qualcosa nel linguaggio del corpo di Dave e chiesto a Markus Nestroy, il mio operatore di macchina, di seguire le sue mosse da lontano. È un mix delle due cose: bisogna essere all’erta e avere fiducia nella fortuna.
Nicolas Steiner, il suo è un documentario fuori dal comune, da vedere assolutamente su grande schermo. Può spiegarci perché?
Con il mio team volevamo fare un film per il cinema con elementi spettacolari e una qualità visiva impeccabile. A livello tecnico questo implicava delle scelte inconsuete per il genere del documentario: abbiamo usato una telecamera da fiction e adottato il formato cinemascope, abbiamo composto una colonna sonora molto marcata emotivamente e filmato alcune scene con dei binari e delle gru per renderle più belle. Non da ultimo abbiamo messo in scena alcune situazioni molto simboliche, come quella delle palline da ping pong nei tunnel di Las Vegas o quella finale di Dave che suona la batteria nel deserto. Il
La locandina del bel film di Nicolas Steiner.
risultato è un film esplosivo, con colori nitidi, da godersi a pieno volume. Questa sua libertà nel giocare con i codici del cinema del reale le è probabilmente valsa molte critiche.
Beninteso la mia visione si è scontrata con una certa tradizione soprattutto europea, a cominciare dalla mia scuola che non ha mai accettato le mie scelte per il progetto di diploma. Recente-
mente, alla Dokfilmwoche di Duisburg, mi sono confrontato con una schiera di puristi del genere e un regista mi ha detto che Above and Below è come «un gigantesco Big Mac farcito all’impossibile ma che non sa di niente». Si tratta però delle stesse persone che adorano Nanuk of the North (1922), il primo documentario della storia, dove non c’è scena che non sia stata completamente
Grazie al prodigioso lavoro del suo montatore Kaya Inan, Above and Below è un’impeccabile ragnatela, un continuo ping pong di rimandi sonori, visivi e tematici tra le storie. Questa struttura a incastro perfetto era già sulla carta prima di iniziare le riprese?
Di nuovo, è un insieme di più cose. Alcuni grandi filoni tematici lo erano. Ad esempio l’acqua. Per Dave nel deserto l’acqua è sinonimo di rinasci-
ta, per April trovare l’acqua su Marte significherebbe la salvezza dell’umanità, mentre per Cindy, Rick e Lalo la pioggia comporta la fine del mondo nelle gallerie di scarico dove vivono. Altre cose invece non le potevo affatto prevedere, perché non le conoscevo ancora. Ad esempio ho scoperto che April è stata in Iraq e che aveva una storia familiare difficile nel momento stesso in cui l’intervistavo, e così quando sono tornato da Dave sapevo quali temi introdurre perché ci fosse una convergenza. Anche a livello visivo cercavo dei punti di contatto che poi a volte si presentavano per caso. Bisogna sapersi adattare continuamente. Il film è nato sulla carta ma è cresciuto e si è nutrito esclusivamente dai miei incontri con i miei personaggi. Anche la visione esistenziale d’insieme del film, dove la forza vitale trionfa sempre nonostante tutto, è stata portata dai suoi personaggi? Oppure era sin dall’inizio il messaggio che voleva trasmettere?
Il mio documentario si costruisce intorno a questa dicotomia di vita e morte, devastazione e vitalità. I miei personaggi hanno per la maggior parte perso tutto, eppure non perdono mai la speranza di potersi ricostruire. E questo li rende belli. Ho scelto loro perché incontrandoli ho capito subito che avevano questa attitudine nei confronti della propria condizione e che nonostante le apparenze erano persone che non si erano mai arrese. Questa vitalità è quanto più profondamente ci accomuna, nonostante proveniamo da mondi diversi. Il mio documentario non è un freak show, ma un riconoscimento della nostra fratellanza. I miei 4 personaggi mi hanno permesso da un lato di muovere una critica al concetto del sogno americano di cui loro incarnano chiaramente il fallimento, e dall’altro di rivisitarlo, poiché con la loro persistenza nel credere in una seconda opportunità questi antieroi si trasformano in eroi, non solo americani.
Dall’Islanda a Wall Street: tutti gli effetti della globalizzazione Film Rams – 8 pecore è il magnifico film islandese che ha vinto nella sezione Un Certain Regard di Cannes,
uscito in DVD anche uno dei migliori film mai realizzati sul disastro di Wall Street Fabio Fumagalli **(*) Rams – 8 pecore (Hrutar), di
Grimur Hakonarson, con Sigurdur Sigurjonsson, Theodor Juliusson (Islanda 2015) – Nelle sale Per riconciliarci con una certa idea di cinema, occorre cercarla in fondo all’Islanda; come in questa sorpresa di Cannes 2015, vincitrice della sezione Un Certain Regard. Niente di rivoluzionario, anzi: una storia semplice, dai sapori biblici, su uno sfondo (il favoloso paesaggio islandese, ma anche l’intimità degli interni) che la scolpisce per sempre nella nostra memoria. Due protagonisti ovviamente sconosciuti, parole magre nel respiro di un silenzio che ormai ce lo stiamo dimenticando, la forza dei gesti, della presenza palpabile della natura, del peso materiale degli oggetti: tutto ci rende partecipi di una storia umile ed eterna, dura e affettuosa. Quella di due fratelli anziani, in due stalle, che si dividono l’immensità degli spazi. Sono vicininemici, scapoli irascibili che s’ignorano da anni senza scambiarsi una parola e allevano i montoni più belli, gli esem-
plari destinati a disputarsi ferocemente il premio al concorso annuale. Gli animali sono accuditi con immenso affetto, forse unico conforto alla solitudine. Fino a quando gli effetti nefasti di una particolare forma globalizzante avranno raggiunto anche quelle latitudini estreme: un’epidemia importata, che indurrà i veterinari della città ad abbattere tutti i greggi della valle. Nella tensione delle sequenze finali a prevalere non sarà il melodramma, bensì i deliziosi mezzi toni fra dramma rurale e un’affettuosa, divertita riflessione esistenziale che non ci farà dimenticare le pecore di Grimur Hakonarson.
Inizia come un thriller, con i tempi che si stirano nella notte di Wall Street, nel grattacielo ormai deserto. Solo gli schermi dei computer ancora accesi: un ultimo trader osserva il proprio computer, dapprima insonnolito, poi sbalordito e infine terrorizzato. Con il senno di poi, lo spettatore ha già capito: siamo a 24 ore dallo scoppio della crisi finanziaria dell’ottobre del 2008, un dramma per milioni di persone. A qualche anno di distanza, realizziamo
anche quanto rari siano stati i film che abbiano avuto finora l’ardire di frugare fra le pieghe della bolla immobiliare creatasi negli Anni 2000. Alcuni documentari, Inside Job di Nicolas Winding Refn, l’ottimo Cleveland contro Wall Street del nostro Jean-Stéphan Bron. Poche fiction, il vano Wall Street di Oliver Stone, Il lupo di Wall Street, non il miglior Scorsese; o il recente, finalmente incisivo, La grande scommessa di Adam McKay.
***(*) Margin Call, di J.C. Chandor, con Kevin Spacey, Jeremy Irons, Aasif Mandvi, Demi Moore (Stati Uniti 2011) – In DVD
Opera prima di un regista che si sta affermando fra i più brillanti del panorama americano contemporaneo, girata con pochi soldi, su un soggetto non proprio spettacolare come la crisi dei subprime: non fosse che per questo, MARGIN CALL è un film da non perdere assolutamente.
Le otto pecore di Hrutar, film del regista Hakonarson.
Ma le 24 ore claustrofobiche di Margin Call, la progressione drammatica nella quale un pugno di (ir-) responsabili cerca disperatamente, in magnifico tempo reale, di salvare i propri guadagni (piuttosto che le perdite dei milioni di cui sopra) in uno scontro avvolto da strategie e terminologie stregate, rappresentano un primo vero, sorprendente tentativo di penetrare nell’antro indecifrabile, e da sempre ritenuto delicato da indagare, dell’alta finanza: denunciando l’avidità di un sistema che ancora non ha cessato di coinvolgerci, il cinismo di caste ritenute intoccabili. Tutto ciò senza banalmente lanciarsi alla ricerca del colpevole di turno, sulle tracce di una sceneggiatura impeccabile che mira al cuore del sistema, grazie all’apporto degli attori ispirati che circondano Kevin Spacey, fino allo sbarco dell’inquietante patron Jeremy Irons. Il film è come un blocco di situazioni ermetiche, ma racchiuso in un involucro che si fa rivelatore, e del quale viviamo l’indignazione, mentre ne subivamo soltanto l’ambiguità del mistero.
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Cultura e Spettacoli
Chi? E per chi? Meridiani e paralleli Lo studioso ticinese Simone Bionda si è dedicato al «volgarizzatore» cinquecentesco
Bernardo Segni, traduttore di Aristotele Giovanni Orelli Un eccellente libro, recentissimo, che fa onore a chi l’ha scritto con anni di intenso lavoro (e fa onore alla Svizzera Italiana). Quel libro è: Simone Bionda, Poetica d’Aristotile tradotta di greco in lingua volgare fiorentina da Bernardo Segni gentiluomo et accademico fiorentino, Ed. di Storia e letteratura, Roma, 2015. Simona Bionda si è servito, per il titolo di copertina, di parole del cinquecentesco volgarizzatore di Aristotele (al giorno d’oggi, Bionda compreso, diciamo Aristotele con la e piuttosto che Aristotile, ma questo è particolare trascurabile). Trascurabile non dovrebbe però essere la lettura di un po’ di Aristotele, quarto secolo avanti Cristo, con la rassicurante guida di Simone Bionda. Il quale giustamente mette in evidenza, nella sua avvincente introduzione, alcune parole di uno studioso, Ruedi Imbach: Se vuoi essere attento al condizionamento storico occupandoti di filosofia, è importante tener conto di CHI ha scritto il testo e del PER CHI quel testo è scritto. Allora: il Bernardo Segni, volgarizzatore, nacque a Firenze nel 1504, da una delle famiglie più importanti della città; crebbe dunque e si formò in un ambiente aristocratico e colto. Certo, la Firenze dei primi anni del Cinquecento non era più quella, forse irripetibile, degli anni laurenziani e del neoplatonismo, quella del Ficino e del Botticelli, del Poliziano e
del Pico. «Era la Firenze uscita dalla drammatica esperienza savonaroliana, la Firenze del crepuscolo repubblicano, la Firenze che si incamminava a diventar Principato» (pp. XXVII-XXVIII). Eppure...», continua il volgarizzamento del Segni. Al seguito di quella congiunzione eppure, che vale «nondimeno» c’è tutta la fitta (più di 50 pagine) Introduzione che è da leggere, non da riassumere. È nel solco del dibattito tra repubblica e principato, «sulla migliore forma di governo da dare alla città che si inserisce prepotentemente la filosofia aristotelica, in particolare l’Aristotele della Politica, ma anche quello dell’Etica e della Retorica, non a caso, assieme alla Poetica, i trattati che il Segni avrà modo di tradurre», e noi di leggere con utilità e piacere. Cosa si può chiedere di più a un libro? Un grazie va, per un’opera come questa, al Cantone che ne ha favorito la pubblicazione, la mercé dell’aiuto federale per la promozione della cultura e della lingua italiana. Salto qui, ma non lo faccia il lettore, il confronto (scontro?) tra aristotelici e la tradizione platonica fiorentina. Il Segni traduttore fu, per dirla con un suo studioso, il Baiocchi (Albonico o Angelo? cfr. p. XXIX) – e siamo un po’ sempre lì, anche nel 2016, «Tradurre Aristotele in italiano non era solo un capriccio o un piacevole passatempo, ma una forma di militanza politica, pur nella rassegnata consapevolezza che indietro non si poteva tornare e che il
Lo studioso ticinese Simona Bionda.
principato era l’unica forma di governo ormai possibile per la città: tradurre Aristotele in italiano significava riaffermare i principi repubblicani per via surrettizia e allo stesso tempo rendere un servizio agli uomini che, per quanto colti, non sapevano leggere l’Aristotele greco». Ma nel dare il mio povero alle sagge parole del Segni, mi sono un po’ bruciato lo spazio per dare qualche informazione sul libro che, e mi ripeto, ha solo bisogno di essere letto, non ri-
assunto, come si fa un po’ troppo nella scuola. Certo che va letto bene, con pazienza e intelligenza, se no la scuola, anche nel 2016, si fa luogo di noia. Letto non solo nelle pagine introduttive, ma per direttamente incontrare, per così dire, Aristotele: a partire dalla Dedicatoria a Cosimo de’ Medici Duca di Firenze, che parte da un consiglio che vale anche il 2016: «il mutar consiglio è da saggio». Ed entrando, per ragioni di spazio, e finalmente! nel trattato, l’attentissimo
Simone Bionda non evita di dirci (per dirne solo una) che cosa sia l’epopea, che si abbia da intendere (gli anziani forse lo sanno, i giovani, certamente non tutti, forse no), che cosa sia un’epopea; che si abbia da intendere, in poesia, per numero, armonia, il «verso» (il logos: il «parlare», il «canto» eccetera). Testo difficile? Sì e no (lo ammette anche il Segni: p. 16, «… il qual testo, per più facilità di chi legga…». Così Simona Bionda, per aiutarci a rendere più accessibile un bel testo, magari, proprio per sua bellezza, non facile). Sulle «cagioni» che hanno generato (ghennesai, greco) la poesia, v. p. 25 e seguenti: sull’istinto dell’imitazione (come vorrei imitare, almeno in un verso, l’immenso Dante); e faccio torto al Bionda, saltando (per necessità di spazio!!!) l’ironia nei punti esclamativi, saltando i suoi commenti, a partire dalla sua preoccupazione verso la questione lessicale. Faccio un esempio banale: cosa vuol dire «verso di otto piedi»?, tetrametro, giambico? Dico queste «banalità», per un apprendista-poeta quindicenne, come se, rivolgendomi a un muratore, pensando alla sua arte del costruire, sul sapere come è fatto un mattone, che non è un sasso, né per la sostanza, né per il colore. Poesia è (p. 33) «il poter profferire i nomi e il potere usare la voce in quel modo che noi vogliamo per esprimere i nostri affetti». E potrei continuare. Continui il lettore. Il libro è lì, ed è un bel libro. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta I vantaggi della committenza Mi piacerebbe riflettere sullo stato attuale dei rapporti fra committenza e mercato nella grande e variegata arena della creatività, sconvolta dall’ingresso in campo della Rete, anche se mi rendo conto di non possedere tutti gli strumenti teorici per farlo in maniera compiuta e soddisfacente. Il fatto è che mi trovo a mio agio quando ho la fortuna di ricevere una committenza. Per esempio: mi danno da scrivere un testo su un determinato argomento, lungo un certo numero di battute, da consegnare entro una certa data, da collocare in un determinato contesto (libro, periodico, catalogo, copione, pieghevole, inserto pubblicitario, cartella stampa). Sapere che quello che sto scrivendo avrà almeno un lettore che lo attende con impazienza per valutarlo, approvarlo, respingerlo o farne oggetto di una richiesta di modifica, mi è di grande stimolo. Diverso e opposto è il caso di un testo frutto di un libero desiderio di esprimersi; ammesso di trovare un editore che abbia voglia di pubblicarlo, il libro finirà nel gran
mare di un’offerta sovrabbondante. (Consigli per chi ha appena pubblicato un libro: stia lontano dalle librerie per non uscirne sgomento per la quantità di offerte analoghe alla sua e non consulti le classifiche dei libri più venduti). Ho scoperto che l’amico di una vita non aveva ancora letto un mio libro due anni dopo che glielo avevo donato. Da parte mia non riesco a leggere tutti i libri che la posta mi consegna e fra questi libri non ancora letti ce ne sono alcuni di autori amici. Facciamo un passo indietro, torniamo al passaggio del manoscritto a un editore (vero, non uno che stampa libri a spese dell’autore); a meno di non essere uno di quei bestselleristi che vendono talmente tanto da poter imporre la loro volontà, il Nostro entrerà nell’area di una trattativa, tesa a far sì che il suo lavoro possa competere con la concorrenza dei suoi simili. Un caso frequente riguarda il numero di pagine, che non devono superare una certa soglia, per mantenere un prezzo di copertina considerato giusto per quel genere di
con troppa evidenza. Un altro compositore si sarebbe arreso o avrebbe allestito una partitura scolastica, mentre il concerto K 242 si esegue ancora ai nostri giorni. La contessa Lodron era sorella del conte Arco, amministratore del principe Geronimo di Colloredo, al servizio del quale si trovava Mozart. Quando quest’ultimo si ribella all’ordine di rientrare da Vienna, il conte Arco lo congeda con una pedata nel sedere che segna il passaggio dalla condizione di musicista di corte al lavoro come libero professionista su un mercato affollatissimo di concorrenti. Come sappiamo, dal punto di vista della tranquillità economica, non gli è andata bene; in cambio ha regalato ai posteri della meravigliosa musica. Per un artista figurativo la libertà di esprimersi è soltanto apparente; è lui che decide il soggetto del quadro da dipingere e il formato. Sarà il mercato a dire a posteriori se la sua scelta è stata giusta o meglio se è stata in sintonia con il desiderio degli acquirenti. La sua libertà sarà erosa man mano che avrà
successo; per affermarsi ha dovuto affidarsi a un mercante d’arte che gli ha organizzato mostre, monografie compiacenti e aste truccate per far lievitare il prezzo. Al vertice della fama il mercante gli chiede di dipingere sempre lo stesso quadro. Per essere venduti i lavori devono essere riconoscibili da lontano: un Fontana senza un taglio nella tela, un Burri senza gli stracci o la plastica bruciata, non sono presi in considerazione. Gli stupendi paesaggi di Giorgio Morandi valgono molto meno delle nature morte con barattoli e bottiglie. Non a caso Pablo Picasso e Alberto Burri a un certo punto del loro percorso artistico hanno iniziato a ricomprare le loro opere per sottrarle a questo gioco perverso. Il successo spalanca l’immensa prateria dello sfruttamento commerciale dell’opera d’arte: si può arrivare a odiare un tema musicale accoppiato a una pubblicità o un quadro stampato su una borsa di plastica. Qualcuno dovrebbe scrivere la storia di un artista che si ribella a questo scempio.
quel primo novembre del 1993, peraltro preparata da quella ben più forte suscitata da Film Blu. Uscito quell’anno, il primo film della trilogia Tre colori di Krzysztof Kieślowski affronta il dolore della perdita nella vedovanza di una donna che infine riscopre la vita e l’amore: il sollievo è accompagnato dalle note della composizione che il marito stava scrivendo per festeggiare l’Unione Europea. Bene, questa tiepidezza lascia il posto all’orgoglio quando gli europei si rendono conto di far parte di un Occidente odiato. E sì, sarà corrotto, immorale, accidioso questo Occidente, ma perbacco, le donne studiano e lavorano (abbastanza), la sanità è pubblica, ognuno può scegliere fede e opinione politica, che può difendere pubblicamente (spesso). Si potrebbe obiettare che non è vero, che capita di sentire qualcuno alleato del comune nemico, anzi ancora più aggressivo di questi nell’esecrare il luo-
go o famiglia o nazione, stato, regione di provenienza. Sì ma studiamolo meglio, l’ipotetico accusatore della sua gente. Spesso chi si comporta così non fa altro che portarsi avanti col lavoro, magari inconsciamente. Siccome non ha voglia o capacità di discutere delle virtù dei suoi, ne sottolinea con ardore gli aspetti negativi, come a minacciare: solo io posso parlare male di casa mia. Gli altri? Gli altri potranno al più consolarmi, perché io avrò esagerato. Non lo sa, l’accusatore, di porre in atto un fine gioco retorico, che Aristotele esecrò nell’Etica a Nicomaco e che ha tecnicamente un nome impossibile: cleuasmo (dal verbo greco chleuazo, diminuisco). Aristotele collocava questo atteggiamento all’opposto della millanteria, come vizio che si oppone alla virtù della sincerità. Lo definiva col nome di ironia, che in greco significa nascondere le proprie ricchezze, sia materiali che spirituali, per confondere
l’avversario. I manuali di retorica riportano esempi colti: «Uso alcuno, alcun frutto indovinar non so. Ma tu per certo, giovinetta immortal, conosci il tutto» (Giacomo Leopardi); «Certo, signore, io non ho studiato come voi, ma...» (Moliére). Sono astuzie, giochi, ne dicevamo a proposito della difesa del proprio gruppo di appartenenza, al quale ci si accorge di appartenere solo quando viene denigrato, e allora lo si difende, con la lode o l’esecrazione retorica, il cleuasmo. Tutto questo si può definire la costruzione del nemico: per stringere il gruppo, si costruisce l’avversario, rendendolo più forte e minaccioso di quanto sia in realtà. Dalle armi di distruzione di massa ai mangiatori di bambini, sospetto sempre utile sia per i cristiani (nei primi secoli), che per gli ebrei (così li definiva Lutero) e poi per i veterocomunisti (negli anni Cinquanta), razza ormai estinta quindi retoricamente non pervenuta.
lo? dargli fuoco?). Se sei a scuola, alzati e vai a pizzicare il compagno, a chiedergli la gomma o la matita, a suggerirgli la soluzione del problema, e non aspettare che la professoressa ti chiami per presentarti alla lavagna, raggiungila spontaneamente. Se sei a casa, spostati a innaffiare le piante, a scambiare due parole con tua moglie (ma non più di due), oppure vai in cucina a farti un caffè o meglio a bere un bicchier d’acqua (il caffè può dare acidità e alzare la pressione). Inoltre, mentre sei in piedi a smaltire il lavoro, non stare lì impalato: faresti bene ad agitare il bacino a destra e a sinistra (come sto facendo in questo preciso momento), avanti e indietro (idem), fai una spaccata e rialzati (non ci penso neanche). Hai presente Heather Parisi quando balla Cicale (6–)? Ecco, più o meno così, in modo tale da assicurare tonicità ai glutei e ai fianchi e da garantire flessibilità alle vene. Non si precisa,
purtroppo, la posizione da assumere nei momenti di ritiro più intimo nel bagno: anche lì in piedi? Anche lì in movimento? E per dormire bisognerà prendere esempio dai cavalli? Urge una seconda puntata. Ricordati di tenere sotto controllo la tua insulinoresistenza (2). Se proprio non ne puoi più e vuoi restaurare l’uso di una sedia, attento che non abbia i braccioli e che la seduta sia inclinabile verso il basso: se la sedia è troppo comoda, non esitare, cambiala subito. La sedia migliore è scomoda per definizione, dunque niente cuscini, piuttosto spuntoni di ferro che ti richiamino sempre alla giusta postura. Non dimenticare mai che la tua missione quotidiana è ripristinare la normale lordosi. «L’ideale sarebbe stare seduti su una grande palla», avverte il primario di ortopedia di una grande ospedale milanese. Non una pallina da ping pong. Una palla da basket? Non è sufficiente. Pallone
medicinale, ma ancora meglio sarebbe un mappamondo tipo Il dittatore di Chaplin, che ti costringa cioè a tenere le gambe penzolanti in un continuo gioco di equilibrio instabile che favorisca il movimento, rafforzi gli addominali ed eviti il rischio sempre incombente dell’obesità. Guardare a lungo la televisione non fa bene al colon, «probabilmente anche per una peggiore qualità del cibo consumato». È notorio, secondo l’articolista, che chi guarda la tv mangia male, accumulando fattori di rischio. Bilancio personale: sono in piedi da oltre un’ora per scrivere questo articolo e mi sento indubbiamente molto meglio. I miei addominali rispondono a meraviglia, il colon non dà segni di pigrizia, con le cosce e i polpacci che mi ritrovo potrei tirare punizioni alla Gigi Riva. Adesso vado a sedermi sulla pallina da tennis che tengo in un cassetto da anni. Più scomodo e sano di così si muore!
prodotto; un altro è il titolo che deve essere tale da incuriosire e invogliare il lettore e molto raramente sarà quello voluto dall’autore; poi i tempi di uscita, la promozione, ecc. ecc. Se invece non voglio sottoporre la mia libertà alle pretese del mercato, posso affidare al web il parto della mia fantasia e navigare nell’immenso oceano della gratuità e del caso. A suo tempo il passaggio dalla committenza al mercato fu salutato come una liberazione dell’artista dai capricci di un singolo padrone. Eppure la gabbia di condizionamenti, così come la censura, aguzza l’ingegno. I mediocri soccombono e producono lavori che non avranno un futuro ma i grandi ne sono esaltati. Nel mese di febbraio del 1776 il ventenne Mozart è a Salisburgo e riceve l’incarico di comporre un concerto per orchestra e ben tre pianoforti dalla contessa Lodron, che vuole eseguirlo con le sue due figlie, Aloisa e Giuseppa. Quest’ultima è alle prime armi e la sua partitura deve essere all’altezza delle sue capacità, senza che la cosa appaia
Postille filosofiche di Maria Bettetini Noi, voi e il cleuasmo Due sorelle litigano fra loro. Una rinfaccia all’altra di seguire malamente gli interessi della famiglia, di tenere in cattivo stato la parte di giardino che le appartiene. L’altra rimane piccata da queste accuse così generali e circostanziate insieme, più tardi si sfogherà con un’amica, ma perché deve dirmi queste cose? Non mi ha mai trattata così. L’amica suggerisce un’ipotesi solo apparentemente ingarbugliata: la sorella ha un marito con genitori ancora giovani e molto disponibili ad aiutare la nuora nella conduzione della casa e nella cura dei bambini. Probabilmente la sorella ha sentito fare le stesse accuse, rivolte «in contumacia» all’altra, e di certo la ha difesa, davanti a suoceri e cognati. Ora invece, sorella con sorella, ha voluto far pagare all’altra la fatica sostenuta per difenderla, quindi le ripete senza pietà gli stessi insulti. Tra sorelle si può, a maggior ragione se ci si è affaticate per difendere l’altra. Che cosa strana,
ci compattiamo senza alcun dubbio quando si offende qualcuno dei nostri, che però se cade sotto le nostre grinfie deve pagare, e pagare con gli interessi. Se ci pensiamo, è sempre così. I connazionali che fino a ieri si sono accoltellati (metaforicamente! E anche no) sugli spalti, oggi si abbracciano e si appoggiano, sta giocando la Nazionale. Il «noi» si è compattato di fronte a un comune nemico, non importa con quale squadra abbiano giocato negli ultimi 3 anni e 10 mesi quei calciatori, ora per cinquanta giorni sono la nostra squadra. Nel piccolo come nel grande, capita così. Detestiamo la nostra scuola, ma alle gare sportive o alle olimpiadi di fisica e filosofia, la scuola è come la mamma. Ecco, la mamma. Quante liti nell’adolescenza, e guai però a chi aveva da ridire, un amico, una fidanzata che fosse. L’Europa poi, chi ha mai sentito un legame col Vecchio Continente, a parte una tiepida emozione
Voti d’aria di Paolo Di Stefano In piedi è meglio Sto scrivendo questa rubrica in piedi, sotto la suggestione dell’ultima tendenza salutista americana (2+). Pare che la notizia vada presa molto sul serio: contro il mal di schiena e le cardiopatie, per proteggere il colon e il pancreas, il segreto è non sedersi mai. Lavorare e mangiare in piedi. Per esempio, sistemare il computer su un piano alto (come ho fatto io cinque minuti fa), a circa un metro e venti dal pavimento, e battere sulla tastiera stando in posizione eretta. Abbandonare la sedia e il tavolo anche per consumare i pasti: primo, secondo e dolce (anzi, frutta: attenzione con i dolci!). Se ne avvantaggeranno in un solo colpo la muscolatura generale, il cuore, la colonna vertebrale, le cervicali, lo stomaco e l’intestino. Insomma, i medici più all’avanguardia consigliano di gettare dal balcone (o di bruciare in un camino se è abbastanza capiente) le sedie, le poltrone, i divani di casa e di solleva-
re di un mezzo metro i piani d’appoggio, in modo tale da aiutare la schiena a rimanere diritta 24 ore su 24. Un articolo apparso la scorsa settimana sulla «Repubblica» racconta che «negli Stati Uniti è questo il nuovo mantra»: a Google, a Facebook, alla Silicon Valley e da ottobre anche alla Casa Bianca si lavora allo «standing desk» (tutti in piedi al tavolo). Pare che l’idea (ovviamente virale) si stia diffondendo persino nelle scuole: via i banchi tradizionali, le lezioni vanno seguite sulle gambe o in ginocchio (chissà perché non sdraiati…). Oppure alternando le posizioni, poiché stare immobili fa male alla salute, tra l’altro favorisce il diabete. Dunque, muoversi. Del resto, se sei in ufficio, non ti sarà difficile trovare un motivo per far visita al collega del piano di sopra e poi a quello del piano di sotto, ma senza usare l’ascensore (in fondo non sarebbe meglio abolirlo l’ascensore? murar-
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Da poco ha fatto il suo debutto tra gli scaffali del pane fresco delle filiali Migros. È il «Pan dal cantinin», una pagnotta dall’aspetto rustico e genuino con il sapore del pane di una volta. Esso coniuga il gusto intenso della farina di segale con le caratteristiche dei pani ad impasto ad alta idratazione, che presentano una crosta croccante e spessa e una mollica alveolata e ben aperta. Riconoscibile dalla forma irregolare della lavorazione manuale e dal motivo a griglia, è un pane ideale per antipasti nostrani in un caratteristico grottino oppure per spuntini rifocillanti a metà giornata. Il mix sapiente della farina di frumento, farina di segale e di malto d’orzo coniugati alla tecnica della lunga fermentazione dell’impasto gli conferiscono un aroma rustico ed intenso che si sposa alla perfezione con salami ticinesi, formaggi d’alpe ed altre leccornie di cui è ricco il nostro territorio. Le caratteristiche organolettiche della crosta scura vengono esaltate ulteriormente con una lieve tostatura che sprigiona tutti i suoi aromi e sapori. Questo pane accompagna bene anche piatti di carne come la tartare di manzo. Preparare un piatto per stupire ed allietare i propri amici è semplice, basta usare la fantasia e comprare degli ottimi ingredienti. Potete acquistare la carne per la tartare alla vostra macelleria Migros, fresca oppure già preparata con cura dai macellai. Una volta pronta, ponetela al centro del piatto conferendole una bella forma tonda. Guarnite la vostra tartare con un tuorlo d’uovo crudo e delle foglioline di prezzemolo. Accompagnate il piatto con fette di «Pan dal cantinin» tostate e burro. Semplice ed ad effetto, no? / Luisa Jane Rusconi
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
La verza nostrana è servita Attualità Una varietà di cavolo alla base di piatti molto apprezzati anche da noi
La verza è un ortaggio particolarmente resistente, può essere lasciata sul campo anche nel periodo invernale senza che subisca dei danni; resiste a temperature fino a –10° C e può essere raccolta man mano a seconda della richiesta. La verza è ricca di vitamine e sali minerali quali potassio, ferro e calcio. Sottoforma di cataplasma, è benefica in caso di otite, febbre, dolori articolari e punture d’insetti. Essenzialmente la verza si consuma cotta, stufata o sbollentata. È uno degli ingredienti principali della cazzoeula, tradizionale piatto autunnaleinvernale di origine insubrica a base di verze e vari tagli di maiale. In Ticino la coltivazione di verze è particolarmente diffusa: annualmente se ne producono circa 250’000 pezzi, ciò che corrisponde a qualcosa come 150’000 kg.
Flavia Leuenberger
I trapianti delle verze in Ticino si dividono in due periodi distinti: a marzo, per una raccolta tra maggio/giugno; e a giugno/luglio per una raccolta tra settembre e febbraio.
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Le verze che hanno preso il gelo risultano più asciutte, dolci e tenere rispetto a quelle raccolte negli altri periodi dell’anno.
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L’ultimo avvincente romanzo dello scrittore statunitense vede come protagonisti Colin e Maria, un uomo e una donna con un passato difficile alle spalle. Lui a trent’anni è già segnato profondamente da storie di violenza e ora l’unico suo obiettivo è quello di ridare nuovamente un senso alla propria vita. Lei, figlia di immigrati messicani, bellissima e con un lavoro di successo, nasconde a sua volta una storia traumatica. Il destino li farà incontrare in modo inaspettato e li metterà alla prova… Il libro è in vendita presso i reparti libri delle maggiori filiali Migros.
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L’industria Migros Riseria Taverne SA ogni anno lavora qualcosa come 15’000 tonnellate di riso semigreggio che, successivamente, avvia alle filiali Migros di tutta la Svizzera. Questo riso viene prodotto in diverse parti del mondo: in India e Thailandia, nel Nord e Sudamerica, in Italia e in Svizzera. Tali diversità rispetto ai luoghi di provenienza possono influire sui prezzi delle relative qualità. Più a buon mercato sarà il riso Ba-
Nome
Cognome
Indirizzo
smati dall’India: negli anni scorsi il suo prezzo al rialzo era stato influenzato da raccolti scarsi e dall’incremento della coltivazione di altre varietà di riso. Nel 2015 si è registrato per contro un buon raccolto e i prezzi si sono di conseguenza stabilizzati. Anche il prezzo del riso M-Classic dall’Italia si è normalizzato sul mercato. Ciò è dovuto anche al fatto che, rispetto agli scorsi anni, la sua coltivazione è aumentata. Migros ora riversa alla propria clientela i risparmi ottenuti all’acquisto. I prezzi elevati del riso bio sono invece influenzati dalla forte domanda. Di conseguenza il riso Jasmin e quello a chicco lungo bio alla Migros saranno più cari.
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Così fruttate e dolci all’ananas, ad esempio, è buono tanto quanto in un esotico chutney di ananas. Chi lo volesse può anche utilizzare il succo per preparare delle rinfrescanti bevande. Le fette di ananas non contengono né conservanti né altri additivi.
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Le fette di ananas in scatola firmate Sun Queen sorprendono in ogni momento grazie al loro intenso aroma. I frutti sono raccolti a piena maturazione e conservati nel loro stesso succo, che a sua volta può essere utilizzato in vari modi. In un irresistibile tiramisù
Tiramisù all’ananas Sun Queen Per 4 bicchieri da ca. 2 dl Preparazione Lavorate a spuma 40 g di zucchero con 10 g di zucchero vanigliato e 2 tuorli. Aggiungete 250 g di mascarpone e mescolate bene. Montate 2 albumi a neve ferma e incorporateli alla crema.
Imbevete 8 savoiardi con 1,5 dl di succo di ananas mescolato con 2 cucchiai di succo di limetta. Dividete 8 fette d’ananas in quattro parti. Distribuite gli ingredienti a strati nei bicchieri. Terminate con una spolverata di cacao. Mettete in frigo per 2 ore.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
Pescheria
Alla salute degli abitanti del mare
Il gioco della pesca MSC filetti di passera per 100 g* prezzo del giorno
Migros vende quasi solo prodotti ittici provenienti da pesca sostenibile o da allevamento responsabile. L’esperta di fauna marina del WWF Mariann Breu ne spiega gli effetti positivi sull’ambiente
Sei un talento dell’amo? Ogni venerdì e sabato, dal 4 al 26 marzo, in alcune filiali Migros si svolgerà un divertente concorso a premi: grandi e piccini potranno mettere alla prova il loro talento con la lenza pescando per gioco. Chiunque si cimenti riceve un premio di partecipazione e chi fa una pesca vincente viene ricompensato con un premio supplementare.
Testo Michael West; Foto Christian Schnur
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Ma non dovete avere paura di pesci che guizzano o di bagni fuori stagione: le prede sono di legno, «nuotano» sopra un fondo asciutto e vengono «catturate» con un amo magnetizzato. Prendete nota della data della filiale più vicina a voi:
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4 e 5 marzo: MMM Wynecenter, MMM Dreispitz, MMM Porte de Nyon, MMM Crissier
11 e 12 marzo: MM Frauenfeld, MMM Sant’Antonino, MMM Glis Simplon Center Supermarché
18 e 19 marzo: MM Altstetten, MMM Bülach Süd, MMM Zugerland Steinhausen, MMM Rheinpark
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25 e 26 marzo: MMM Forum des Alpes Conthey
Informazioni e date su www.migros.ch/pesce
Signora Breu, ci sono specie marine che destano particolare preoccupazione?
Mi vengono in mente alcuni pesci che vivono nelle profondità marine, che soffrono particolarmente a causa della pesca intensiva. Penso per esempio al pesce specchio, che vive nell’Atlantico settentrionale, o al pesce San Pietro della Nuova Zelanda. Queste specie possono riprodursi solo a lunghi intervalli e, se le loro popolazioni vengono decimate, ci vuole molto tempo prima che si riprendano. Da anni le organizzazioni ambientaliste denunciano la pesca marina intensiva. Si stanno finalmente delineando miglioramenti?
In Europa ci sono sviluppi positivi. Adesso la UE chiede alle società di pesca un piano gestionale, che dovrebbe prevenire la pesca intensiva. A livello internazionale, la situazione è tuttavia ancora precaria. Nel 2014, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura ha rilevato che il 29 percento delle specie ittiche subiscono una pesca eccessiva, mentre il 29 percento sono sfruttate sino ai limiti biologici.
a dire che provengono da pesca selvatica sostenibile o da allevamento rispettoso dell’ambiente.
hanno ottenuto il sigillo MSC del Marine Stewardship Council. Si può essere certi che tutte queste aziende praticano una pesca sostenibile?
La Migros è diventata la maggiore venditrice di pesce in Svizzera, ma a livello internazionale è solo un piccolo rivenditore. Può realmente influenzare il benessere dei mari?
Sì, il programma MSC è molto trasparente. Organismi di certificazione indipendenti controllano le aziende ittiche. Per ognuna di loro c’è una relazione annuale, che viene resa pubblica. Gli ispettori prendono campioni e certi pescherecci sono equipaggiati anche con telecamere di sorveglianza.
Entro il 2020 la Migros intende offrire solo pesci di provenienza sostenibile. Come valuta questo sforzo?
Assolutamente. La Migros e i suoi clienti non possono di certo salvare da soli i pesci, ma possono comunque smuovere qualcosa. Con il suo modo di agire, la Migros rappresenta un modello che valica i confini del nostro Paese.
È positivo. Ci rallegriamo innanzitutto del fatto che Migros offra molti prodotti che recano i marchi MSC, ASC o Bio, vale
Nel frattempo ci sono al mondo quasi 300 compagnie di pesca che
gli animali con farina di pesce, proveniente dalla pesca selvatica. In questo modo, le riserve marine sono messe sotto pressione indirettamente. Si consigliano perciò i pesci d’allevamento contrassegnati con i marchi Bio o ASC. Perché vengono cresciuti e nutriti in modo compatibile con l’ambiente. Negli allevamenti biologici, per esempio, vengono alimentati con i resti organici dell’industria della pesca.
Il marchio Migros Bio contrassegna prodotti ittici da allevamento sostenibile e rispettoso della natura, controllati e certificati da organismi indipendenti.
MSC è sinonimo di pesca sostenibile certificata. Pesci e frutti di mare contrassegnati con questo sigillo provengono sempre dalla pesca selvatica. Parte di
Anche lei mangia pesce? Si riuscirebbe a preservare le riserve ittiche marine se i consumatori mangiassero più pesci d’allevamento?
Non è così facile. Spesso, infatti, gli acquicoltori convenzionali nutrono
Sì, ogni tanto mi godo un piatto di pesce, ma solo se conosco la provenienza dei prodotti. In Svizzera è sempre facile appurarla, mentre all’estero è talvolta difficile.
Mariann Breu, esperta di fauna marina del WWF, mangia pesce solo se ne conosce la provenienza.
Il marchio ASC garantisce pesci e frutti di mare provenienti da un allevamento certificato e responsabile, che rispetta criteri ecologici e sociali.
Generazione M rappresenta il grande impegno della Migros a favore della sostenibilità.
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20%
Arrosto spalla di manzo TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.55 invece di 3.40 25%
Tutto l’assortimento di detergenti Potz Offerta valida fino al 7.3.2016
Carne macinata di manzo, Svizzera / Germania, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg 9.– invece di 18.– 50% Fettine fesa di vitello, Olanda, imballate, per 100 g 3.60 invece di 7.20 50% Cordon bleu di maiale TerraSuisse, imballati, per 100 g 1.45 invece di 2.45 40%
15.60 invece di 19.60
12.90 invece di 17.–
69.80 invece di 99.80
Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 20% di riduzione, per es. Color, 2 x 2 l, offerta valida fino al 7.3.2016
Sacchi per la spazzatura Cleverbag Herkules in conf. da 5 35 litri, 5 x 20 pezzi, 25% di riduzione, offerta valida fino al 7.3.2016
Mio Star Food Processor 3 in 1 il pezzo
Per la tua spesa ritaglia qui.
Fettine di tacchino, Unione Europea, imballate, per 100 g 1.45 invece di 2.10 30%
30%
Cosce di pollo M-Classic, Svizzera, surgelate, 2 kg 7.65 invece di 15.30 50%
Tutti gli yogurt M-Classic in conf. da 6 x 180 g, per es. mela-mango/ fragola/mirtillo 2.60 invece di 3.30 20%
Asparagi verdi, Messico, mazzo da 1 kg 6.90 invece di 8.90 20%
a partire da 2 pezzi
PANE E LATTICINI
Carote, Svizzera, busta da 1 kg 1.15 invece di 1.95 40%
Cavolfiori, Italia, al kg 2.20
50%
Filetto di pangasio in panatura al limone Pelican, ASC, surgelato, 3 x 300 g 10.70 invece di 15.30 30%
Pan del cantinin, 380 g 2.70 invece di 3.20 15%
Formentino, Svizzera, imballato, per 100 g 1.80
30%
Tutti gli snack o involtini primavera J. Bank’s, surgelati, per es. involtini primavera alle verdure, 6 pezzi 4.45 invece di 6.40 30%
Mango, Perù, il pezzo 1.65 invece di 2.50 33%
Lattuga Iceberg M-Classic, 350 g 2.70 invece di 3.40 20%
a partire da 3 pezzi
Pizza Margherita M-Classic in conf. da 3, surgelata, 3 x 275 g 3.50 invece di 7.05 50%
Tutto l’assortimento di sushi, per es. Nigiri Classic, prodotto in Svizzera, in conf. da 180 g 9.50 invece di 11.90 20% Filetto di salmone bio con pelle, Norvegia, per 100 g 3.25 invece di 4.70 30% In vendita nelle maggiori filiali fino al 27.2
Crème Dessert M-Classic in conf. da 6, 6 x 125 g, per es. al cioccolato 1.90 invece di 2.40 20% Emmentaler dolce, per 100 g 1.20 invece di 1.55 20% Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10, per 100 g, per es. in blocco maxi 1.75 invece di 2.20 20% Emmentaler/Le Gruyère grattugiati in conf. da 2, 2 x 120 g 3.90 invece di 4.90 20% Formaggella ticinese 1/2 grassa, prodotta in Ticino, in self-service, per 100 g 1.65 invece di 2.10 20%
Tutti i tipi di Pepsi o Schwip Schwap in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Pepsi Max 5.50 invece di 11.– 50% San Pellegrino in conf. da 6, 6 x 1,5 l o 6 x 50 cl, per es. 6 x 1,5 l 3.80 invece di 5.70 33% Tutti gli mitico Ice Tea in conf. da 10, 10 x 1 l, UTZ, per es. al limone 4.50 invece di 7.50 40% Olio di girasole M-Classic, a partire da 2 pezzi, 1 l, per es. 2 pezzi 4.65 invece di 7.80 40% Olio d’oliva Monini Monello, 75 cl 11.60 invece di 14.50 20% Ananas Sun Queen a fette in conf. da 6, 6 x 140 g 4.90 invece di 6.30 20%
FIORI E PIANTE Tulipani M-Classic, mazzo da 30, disponibili in diversi colori, per es. gialli 11.90 invece di 19.90 40% Mazzo di rose e fresie Fiona, il mazzo 12.90
Tonno M-Classic in conf. da 8, sott’olio o al naturale, per es. sott’olio, 8 x 155 g 11.40 invece di 15.20 25% Gran Pavesi in conf. da 2 o in conf. grande, per es. sfoglie salate, 2 x 190 g 4.60 invece di 5.80 20%
ALTRI ALIMENTI Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ, Giandor, latte/nocciole o Tourist, per es. Giandor, 10 x 100 g 15.75 invece di 22.50 30% Branches Classic Frey in conf. da 30 con gioco dell’oca, UTZ, 30 x 27 g 10.– 20x PUNTI 20x Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ, per es. Freylini e Giandor, assortiti 8.60 invece di 10.80 20% Ovetti Adoro Frey, UTZ, per es. in scatola, 178 g 7.40 NOVITÀ **
Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml o 1000 ml, per es. Caramel Classic, 1000 ml 7.80 invece di 9.80
20x
Soft Cake all’arancia o al lampone in conf. da 3, per es. all’arancia, 3 x 150 g 3.20 invece di 4.80 3 per 2 Tutti i biscotti Créa d’Or, a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. bretzeli, 100 g 1.95 invece di 2.55 Caffè Boncampo in chicchi o macinato in conf. da 4, UTZ, per es. in chicchi, 4 x 500 g 12.30 invece di 18.40 33% Tè matcha o tisana all’acero canadese Messmer, UTZ, conf. da 20 bustine 20x 2.90 NOVITÀ ** Nutella in barattolo di vetro da 1 kg 5.60
Tutti i cornetti precotti in conf. da 2, refrigerati, per es. cornetti al burro M-Classic, 420 g 4.50 invece di 6.– 25% Biscotti freschi nidi alle nocciole, amaretti alle nocciole o discoletti in conf. da 2, per es. discoletti, 2 x 207 g 3.80 invece di 5.80 33% Tutti i dolci alle fragole, per es. trancio alle fragole, 2 x 190 g 5.50 invece di 6.90 20% Tortellini Armando de Angelis, vaschetta da 1 kg, per es. al prosciutto crudo 12.90 invece di 21.60 40% Snack Asia Anna’s Best in conf. da 2, per es. Dim Sum, 2 x 200 g 8.80 invece di 11.– 20% Prodotti Cornatur in conf. da 2, per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g 8.80 invece di 11.– 20% Tutto l’assortimento di uova di Pasqua, per es. uova di Pasqua svizzere da allevamento all’aperto, 4 pezzi da 53 g+ 20x 3.25 20x PUNTI Tutti i prodotti Grande Caffè, per es. Macchiato, 210 ml 1.20 invece di 1.50 20% Tutte le Colombe Jowa, per es. Colomba, in sacchetto, 500 g 5.20 invece di 6.50 20%
Tutte le farine speciali, per es. farina per treccia TerraSuisse, 1 kg 1.90 invece di 2.40 20% *In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 7.3 Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 23.2 AL 29.2.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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NEAR FOOD / NON FOOD Tutto l’assortimento di alimenti umidi Gourmet, a partire da 2 confezioni 20% Prodotti per la cura dei capelli Elsève in conf. da 2, per es. shampoo Color-Vive, 2 x 250 ml 6.30 invece di 7.90 20% ** Tutto l’assortimento L’Oréal (confezioni multiple, cosmesi decorativa o confezioni da viaggio escluse), a partire da 2 pezzi 20% ** Tutto l’assortimento pH balance (confezioni multiple escluse), per es. docciaschiuma cremoso, 250 ml 3.55 invece di 4.20 15% ** Docciaschiuma o deodoranti Nivea in confezioni multiple, per es. docciaschiuma Creme Soft in conf. da 3, 3 x 250 ml 5.40 invece di 8.10 33% ** Fazzoletti di carta e salviettine cosmetiche Linsoft o Kleenex in confezioni multiple o speciali, per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi 3.30 invece di 5.50 40% ** Tutto l’assortimento Axanova o Axamine, per es. Axanova Power Patch, 7 pezzi 11.80 invece di 14.80 20% ** Calze di bambù da donna Ellen Amber in conf. da 3, disponibili in diversi colori e misure, per es. grigio, n. 35–38 9.90 Calzini da uomo Business John Adams in conf. da 5, disponibili in nero, blu marino, antracite e in diverse misure, per es. blu marino, n. 43–46 12.90 ** Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2, per es. Color, 2 x 2 l 15.60 invece di 19.60 20% ** Handymatic Supreme in confezioni speciali, per es. pastiglie, 88 pezzi 20.70 invece di 29.60 30% Sacchi per la spazzatura Cleverbag Herkules in conf. da 5, 35 litri, 5 x 20 pezzi 12.90 invece di 17.– 25% ** Tutto l’assortimento Tangan, a partire da 3 pezzi 30% ** Tutto l’assortimento di detergenti Potz, a partire da 2 pezzi 20% ** Appendiabiti neri in conf. da 12 5.– ** Pentola a pressione Duromatic Ergo Kuhn Rikon, 3,5 o 5 litri, per es. 5 litri, al pezzo 72.50 invece di 145.– 50% ** Tutto l’assortimento Cucina & Tavola, M-Classic, Brita, BWT o SodaStream per la preparazione dell’acqua, per es. bottiglia PET SodaStream, bianca 6.85 invece di 9.80 30% ** Tutto l’assortimento di tessili per la cucina o la tavola Cucina & Tavola, per es. asciugapiatti di spugna, verde, in conf. da 2 4.90 invece di 9.80 50% **
AZIONE
a partire da 2 pezzi
50% Tutti gli ammorbidenti Exelia offerta valida fino al 29.2.2016
TUTTI GLI AMMORBIDENTI EXELIA, A PARTIRE DALL’ACQUISTO DI 2 PRODOTTI, 50% DI RIDUZIONE, OFFERTA VALIDA SOLO DAL 23.2 AL 29.2.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 22 febbraio 2016 ¶ N. 08
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Dolci nubi nel cielo degli snack Noci e cioccolato – da sempre un’unione di successo. Per tutti coloro che amano particolarmente le noci, adesso esistono i Crunchy Clouds della Frey: deliziose nuvolette a base di cioccolato al latte con nocciole intere o scaglie di mandorle, come pure la variante al cioccolato scuro con pistacchi interi salati. Di speciale nei Chrunchy Clouds c’è la percentuale di noci eccezionalmente alta (40 percento). Questo piacere croccante al cioccolato è disponibile in una pratica confezione richiudibile.
20X Punti Cumulus sui Crunchy Clouds Frey fino al 29 febbraio
Frey Crunchy Clouds pistacchi 150 g* Fr. 5.90
Frey Crunchy Clouds mandorle 150 g* Fr. 5.90
Noci, cioccolato e null’altro. I nuovi snack della Frey sono tanto semplici quanto naturali.
Foto Lucas Peters; Styling Katja Rey
Frey Crunchy Clouds nocciole 150 g* Fr. 5.90 * Nelle maggiori filiali
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche i Crunchy Clouds della Frey.
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Idee e acquisti per la settimana
Il naturale Assortimento carne
Il cordon bleu di carne di pollo nella forma originale, ossia preparato con polpa del petto, ingolosisce grazie al suo classico ripieno di formaggio e prosciutto cotto, come pure al suo alto tenore di proteine. Un’alternativa ideale per i fan del cordon bleu che preferiscono la carne magra.
Croccante, saporito, tenero e succoso 9 volte «Cordon bleu»
Una scelta supergustosa
Don Pollo Cordon Bleu di pollo originale al kg Fr. 21.90
Nell’assortimento Migros trovate cordon bleu di ogni genere, bell’e pronti per la padella o per il forno. Nuova è la variante con carne di pollo Testo Claudia Schmidt; Foto Ruth Küng; Styling Feride Dogum
Lo svizzero leggero La carne di pollo svizzera per il cordon bleu nella variante classica proviene, come tutti i prodotti della marca Optigal, da allevamenti rispettosi degli animali. Il Delice è farcito con delizioso formaggio fuso.
Il mini a base di pollo Il cordon bleu in piccolo formato con pollo, formaggio e prosciutto cotto è perfetto come snack tra i pasti. Ma se preparate le tre porzioni in una volta sola potete essere certi di calmare l’appetito senza temere che si rifaccia sentire troppo presto.
Optigal Poulet Delice Svizzera, 2 pezzi, 125 g Fr. 5.90
Nelle maggiori filiali Migros
Don Pollo Mini Cordon Bleu di pollo 3 pezzi, 180 g Fr. 4.60 Nelle maggiori filiali Migros
L’esotico Fettine di maiale, formaggio, prosciutto cotto e ananas propongono originalità al mondo dei cordon bleu. Grazie al piccolo formato si possono combinare più varianti – per esempio Hawaii, Caprese e Appenzel. In questo modo il «cordon bleu party» è assicurato.
Il piccolo appenzellese Formaggio stagionato Appenzeller e aromatica carne secca «Mostmöckli» conferiscono al mini cordon bleu di carne di maiale un sapore del tutto particolare. Per un pasto veloce o un panino all’impanata, il piccolo involtino di carne ripieno è la soluzione perfetta.
M-Classic Mini Cordon Bleu Hawaii Svizzera, per 100 g Fr. 2.75
M-Classic Mini Cordon Bleu Appenzell Svizzera, per 100 g Fr. 2.75
Il nuovo Carne di pollo svizzera, farcita con formaggio e prosciutto cotto, è il nuovo arrivato nell’assortimento di cordon bleu. Questi fagottini poveri di grassi ma ricchi di proteine sono particolarmente amati dai bambini.
Il succoso classico Chi preferisce il classico cordon bleu sceglie la variante M-Classic con succoso collo di maiale, aromatico formaggio e delicato prosciutto cotto di produzione svizzera. Classico, cioè sostanzioso, è anche il formato, in modo da soddisfare anche i grandi appetiti.
Optigal Cordon Bleu di pollo 2 pezzi, per 100 g Fr. 3.45
Nelle maggiori filiali Migros
M-Classic Cordon Bleu carne di maiale, Svizzera, per 100 g Fr. 2.45
L’originale Carne di maiale svizzera di qualità TerraSuisse, formaggio saporito e succoso prosciutto cotto di produzione svizzera sono i comprovati ingredienti del tipico cordon bleu.
L’italiano Gli amici dei sapori italiani prediligono il cordon bleu Caprese. Conquista il palato con suo tipico ripieno mediterraneo a base di pomodori secchi e mozzarella. Una piccola insalata mista è il suo contorno perfetto. M-Classic Mini Cordon Bleu Caprese Svizzera, per 100 g Fr. 2.75
Cucinare un cordon bleu può essere impegnativo: battere finemente le fettine di carne, preparare il formaggio e il prosciutto, comprimere bene la carne e il ripieno, passare il tutto nella farina, nell’uovo e il pangrattato – non sempre un lavoro semplice per un pasto. Le varietà di cordon bleu pronte per la
padella o il forno dell’assortimento Migros, ottenibili in tutte le filiali Migros, rendono il tutto un gioco da ragazzi. E siccome la scelta include nove varianti, non c’è pericolo che qualcuno resti senza il proprio cordon bleu preferito. La gamma completa è disponibile nelle maggiori filiali Migros.
TerraSuisse Cordon Bleu carne di maiale, 4 pezzi, per 100 g Azione 40% Fr. 1.45 invece di 2.45 fino al 29.02
Cordon bleu con patatine fritte e insalata – il piacere della carne è servito.
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Idee e acquisti per la settimana
L’Oréal Paris
Un look perfetto per l’entrata in scena
Consigli per il trucco
Per avere occhi glamour
State sognando di avere per una volta tutti gli sguardi su di voi e di sfilare sul tappeto rosso proprio come una vera star? Ora grazie ad una semplice tecnica di trucco ogni donna può regalarsi un look da red carpet. Per farlo servono una gaamma di ombretti con tonalità argentate per avere occhi splendenti, un rossetto rosso luminoso per labbra perfette e sensuali e un raffinato mascara con sfumature blunere per ciglia più folte e durature. Per vedere come si fa, seguire i passaggi qui a lato.
1: Applicare sulle palpebre e sull’angolo interno dell’occhio la tonalità argentata più chiara della gamma di ombretti (4).
2: Con la tonalità grigio medio (4) si definiscono le pieghe delle palpebre come pure le ciglia inferiori. La parte esterna dell’occhio viene ulteriormente sottolineata dal colore più scuro della gamma.
Foto Juventino Mateo; Hair make Up Valérie Reding
3: Con l’ausilio di un pennello si applica alla base delle ciglia uno strato spesso di Super Liner Superstar (3) per renderle otticamente più folte. Il Primer del False Lash Superstar Red Carpet Mascara (2) regala volume alle ciglia, mentre il Topcoat nero-vinile le allunga.
4
1 L’Oréal Paris rossetto Color Riche No. 330, Coco Rico* Fr. 21.90 2 L’Oréal Paris False Lash Superstar Red Carpet* Fr. 21.90 3 L’Oréal Paris Superliner Superstar* Fr. 19.90 4 L’Oréal Paris Color Riche Eyes Quads S11* Fr. 21.90 * Nelle maggiori filiali
1 2
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic ripieno per vol-au-vent con carne di vitello 415 g Fr. 5.40
Il ripieno per vol-au-vent contiene esclusivamente carne svizzera.
M-Classic
Foto e Styling Ruth Küng
Vol-au-vent: un grande classico adesso anche con carne di vitello I vol-au-vent ripieni hanno un posto di rilievo tra i piatti della tradizione svizzera, tanto più che sono facili e veloci da preparare. Ora come novità è arrivato il delizioso ripieno di M-Classic con carne di vitello svizzera. I pezzettini di carne vengono precotti in una gustosa salsa insieme a champignon e piccole polpettine di brät (impasto tipo bratwurst). Secondo la tradizione, i vol-au-vent si servono con piselli e carote, ma anche il riso è particolarmente apprezzato, per non correre il rischio di lasciare del ripieno nel piatto.
Quando la varietà è sulla bocca di tutti: il nuovo assortimento di capsule Twin
ma e t s * Si FÉ ® * A C o® S u st NE G ce Dol
Il nuovo assortimento di capsule Twin by Delizio ti propone tutte le sfaccettature del piacere del caffè con deliziose creazioni a base di latte e di caffè. Un espresso di primissima qualità, un lungo dal gusto raffinato, cremose bevande a base di latte come un latte macchiato, un Chai Tea Latte o una cioccolata calda Banago: tutto è possibile. Inoltre le capsule Twin sono compatibili anche con le macchine del sistema NESCAFÉ®* Dolce Gusto®*. Informazioni su www.delizio.ch/twin * Questo marchio appartiene a terzi che non sono riconducibili a Delica AG.
Twin by Delizio è in vendita alla tua Migros