Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 23 febbraio 2015
Azione 09
Società e Territorio Quando genitori iperprotettivi diventano un ostacolo per i figli
Politica e Economia La Libia sull’orlo del collasso nel 4. anniversario della rivoluzione
Ambiente e Benessere Negli ultimi anni, anche grazie a nuovi strumenti di misurazione, un nuovo problema impegna il settore della depurazione acque: i microinquinanti
Cultura e Spettacoli Le sfumature di grigio arrivano nei cinema e fanno discutere
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I figli superflui dell’Occidente
L’informazione RSI, solida ammiraglia in acque agitate
di Peter Schiesser
di Antonella Rainoldi
Stefano Spinelli
«Non ho paura di morire. Voi siete quelli che hanno paura di morire. Noi siamo uomini bomba. Noi siamo al centro dell’irrisolvibile. Voi siete tra il bene e il male e in mezzo c’è la frontiera della morte. Io sono un segno di questo tempo, io ero povero e invisibile, voi non mi avete mai guardato per decenni. Prima che arrivassi io, era facile per voi liquidare il problema della miseria. Noi siamo all’attacco. Voi in difesa. Voi avete la mania dell’umanesimo. Noi siamo crudeli, spietati. Voi ci avete trasformato in superstar del crimine. Noi vi facciamo fare la parte dei pagliacci». Sono le parole di un jihadista del Califfato islamico? No, sono spezzoni di un’intervista a Marco Willians Herbas Camacho, capo supremo del «Primeiro comando capital», la più potente organizzazione criminale brasiliana, citata a pagina 26 in una nuova puntata di Angela Nocioni sul narcotraffico latinoamericano. Ma queste parole potrebbero benissimo venire pronunciate da un terrorista islamico che si rivolge a noi occidentali. Perché qualcosa li accomuna: il rifiuto totale della società moderna liberale, in cui non si riconoscono e che, nella sua trasformazione da liberalismo politico in economico, da società che si regge su valori condivisi a società che ha perso per strada la solidarietà, li ha visti perdenti e li ha portati a rompere i ponti a suon di violenza. Sono i figli perduti della modernità. Non corrisponde forse a questo profilo l’attentatore di Copenhagen, Omar Abdel Amid el Hussein? O Amedy Coulibaly, uno degli attentatori di Parigi? L’estremismo islamico ha molte radici, molti volti e forme, visibili e invisibili. Ha tanti amici, anche fra gli alleati arabi dell’Occidente. E troppe contraddizioni: si nutre di armi e tecnologie moderne per veicolare una visione del mondo arcaica; impone una religione con il terrore (o il terrore è diventato la nuova religione?). È un’idra assetata di sangue che ci minaccia da lontano e da vicino. Ma almeno una di queste teste è uno specchio in cui dobbiamo guardare: dai cappucci neri dei tagliagole dell’Isis ci restituisce lo sguardo l’ombra delle nostre società, che lo sfavillìo del benessere materiale riesce a nascondere ma non ad eliminare. In quei cappucci neri c’è la negazione del nostro mondo apparente, sotto quei cappucci ci sono persone che l’alienazione, la mancanza di radici, di un senso di appartenenza ha spinto ai margini della società e che hanno deciso di rispondere con la violenza alla violenza che sentono di aver subito. C’è differenza fra un terrorista dell’Isis, un nazi-fascista (di oggi e di ieri), un membro di una banda criminale? No, risponde il saggista tedesco Georg Sesslen: in un testo pubblicato dal settimanale «Die Zeit» («Islamischer Staat, beginnend mit Worten, endend mit Blut») coglie e analizza le radici comuni di queste persone che denomina «I superflui». Sono tre sottoculture che hanno lo stesso collante (noi contro gli altri), gli stessi valori (onore e rispetto per il capo), le stesse leggi (la violenza, la supremazia del più forte): «Non è il crimine, non è l’Islam, non è l’ideologia nazionalsocialista. È la violenza, che si può esprimere in nome dell’uno o dell’altro, e che la propria biografia porta ad esprimere». L’essere perdente e superfluo trova il suo riscatto psicologico nella figura del guerriero. Come dice Georg Sesslen, il grande sogno di molti jihadisti occidentali è di diventare un guerriero, in Siria e in Iraq, «un autonomo, fallico, temuto e riconosciuto Superuomo, reso immortale dalla morte degli altri». Jihadisti o criminali o neo-nazi, in quanto reietti della nostra società – un’analisi che forse non spiega tutto e che non giustifica la violenza, ma che induce a riflettere. Per esempio, sulla frase del boss brasiliano Camacho, «Voi avete la mania dell’umanesimo. Noi siamo crudeli, spietati». In realtà, quanto umanesimo è ancora presente nelle società occidentali? Al contrario: è solo una sensazione, o la soglia di inibizione della violenza si è abbassata, anche da noi? Oppure, consideriamo i modelli di bellezza veicolati oggi dalla pubblicità: uomini dallo sguardo duro, teste rasate, donne indifferenti, narcisi imbevuti di indifferenza verso il prossimo. I film che vanno per la maggiore in televisione: serie criminali a iosa, violenza, catastrofi, eroici guerrieri. C’è un bisogno di emozioni forti, di immagini devastanti – forse solo così riusciamo a «sentirci», fisicamente, emotivamente? È un dato di fatto che la violenza e la guerra sono oggi concetti molto meno tabù di qualche decennio fa, quando – usciti dalla follia di due guerre mondiali – il pacifismo sembrava un valore in lenta ma inesorabile affermazione, tanto che 25 anni fa un impero, quello comunista, era crollato senza colpo ferire. Non è più così: ai confini dell’Europa c’è di nuovo una guerra in corso, e l’anima dell’Occidente è in pena.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Attualità Migros
M Le nuove sfide del marketing
Sei artisti straordinari
Scuola Club Migros Ticino Un corso per diventare professionisti del settore
Percento Culturale
Da anni la Scuola Club propone un ventaglio di corsi e formazioni professionalizzanti, con l’obiettivo di avvicinare l’utenza a nuove opportunità lavorative o consolidare posizioni già esistenti. Il mondo del lavoro è in continuo cambiamento: si aprono nuove prospettive, alcune competenze vengono sorpassate, nuove conoscenze sono utili o addirittura imprescindibili. Alcuni percorsi come «Impiegato amministrativo con Diploma» o «Contabilità», «Easy Salary», «La dichiarazione dei redditi», costituiscono spesso degli utili aggiornamenti per chi pratica una professione ma deve migliorare alcuni skill, oppure per chi vuole riprendere a lavorare dopo pause di maternità o di studio e si trova davanti a programmi e strumenti nuovi e sconosciuti. I cambiamenti nell’ambito del settore Management & Economia sono invece, in generale, molto strutturali e radicali. Non si tratta in questo caso di aggiornamenti tecnici, ma di ampliamenti verso pratiche diverse e modi di operare e linguaggi completamente nuovi. Si pensi ad esempio all’online che è ormai il canale indispensabile per ogni professione legata a settori come il marketing o la formazione continua. Sempre più importanti diventano i corsi come «Organizzazione degli eventi», «La presentazione perfetta», «Tecniche di vendita», poiché questi settori hanno subito cambiamenti talmente profondi e sostanziali, da rendere necessarie nuove conoscenze da trasferire nella pratica lavorativa. Tra meno di un mese la Scuola
Giovani di talento premiati a Zurigo
Le esigenze del mercato richiedono aggiornamenti professionali costanti.
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Le lezioni saranno dedicate all’analisi di marketing, alle strategie, prodotto e prezzo, pubblicità, eventi, marketing online, vendita e distribuzione. La sezione dedicata all’organizzazione degli eventi è tenuta da Claudio D’Agostino, Responsabile Marketing del Dicastero Turismo ed Eventi, mentre la docenza degli altri moduli è affidata a Andrea Zambarda, Consulente aziendale e specialista in miglioramento di processi aziendali. Alla fine del percorso, i partecipanti prepareranno un progetto concreto, applicabile anche alla realtà per cui lavorano. I destinatari sono persone che desiderano operare
nel settore, collaboratori specializzati di PMI o persone che desiderano promuovere la propria attività con strumenti mirati. Questo nuovo percorso formativo sottolinea l’attenzione puntuale della Scuola Club nei confronti del mondo del lavoro e di un pubblico sempre più esigente e vario. Informazioni
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Dal 1969 il Percento culturale Migros sostiene i giovani artisti svizzeri. Nell’ambito di concorsi nazionali conferisce premi di studio e premi d’incoraggiamento. I premi di studio ammontano ciascuno a 14’400 franchi. I vincitori e le vincitrici dei premi di studio straordinariamente dotati ricevono inoltre premi d’incoraggiamento. Questi comprendono misure individuali di promozione a lungo termine, tra le quali la possibilità di esibirsi, coaching e promozione. I concorsi si svolgono ogni anno nei seguenti settori: teatro del movimento, canto, musica strumentale, musica da camera (triennale), teatro e danza. I vincitori del concorso per il teatro di movimento 2015 sono tutti iscritti alla Scuola Teatro Dimitri di Verscio: Faustino Blanchut, Moritz Blöchlinger, Fiona Carroll, Donia Sbika, Sara Uslu, Sébastien Olivier. Circa 2850 promettenti artisti di talento sono stati finora sostenuti con un totale di 38 milioni di franchi e sono stati accompagnati con misure globali di promozione lungo il loro percorso dalla formazione al mondo del lavoro. Sulla piattaforma online www.percento-culturale-migros.ch/ scoprire-talenti il Percento culturale Migros presenta inoltre eccezionali artisti di talento con la loro biografia e materiale audio e video.
Nuove avventure per la spugna SpongeBob Anteprima Nei cinema ticinesi dal 26 febbraio il secondo film tratto dalla celebre serie di disegni animati
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
cartoni raffigurato in cera nel museo di Madame Tussaud, a Londra. Nel 2004 infine, SpongeBob è approda-
to agli schermi cinematografici con SpongeBob SquarePants – The Movie (in italiano SpongeBob – Il film), che
© 2014 Paramount Pictures and Viacom International Inc. All Rights Reserved
La serie di cartoni animati SpongeBob SquarePants è uno dei maggiori successi televisivi per bambini di tutti i tempi. Andata in onda inizialmente sul canale americano NikelOdeon si è poi diffusa in tutto il mondo grazie a MTV, raggiungendo una notorietà internazionale. Non tutti sanno, forse, che in origine, le avventure della celeberrima spugna marina gialla SpongeBob erano nate in un fumetto scientifico, creato dal biologo marino Stephen Hillenburg. Appassionato disegnatore, fin da bambino amava dedicarsi alla creazione di caricature di specie marine. Una volta laureatosi nella sua materia preferita, era stato assunto dall’Istituto Oceanografico di Dana Point, in California, dove aveva realizzato alcuni cartelloni disegnati che servivano a orientare i visitatori. I personaggi che li animavano avevano riscontrato un successo talmente grande, che Hillenburg aveva deciso di farli diventare un fumetto, The Intertidal Zone, che serviva a spiegare agli allievi il funzionamento delle pozze di marea. Il successo di quel fumetto convinse Hillenburg a cambiare lavoro e, dopo aver valutato l’idea di trasformare il mondo subaqueo da lui inventato in una serie di cartoni animati, nel 1997 si mise al lavoro ottenendo la notorietà internazionale. La sua fama ha permesso a SpongeBob di diventare, tra l’altro, l’unico personaggio dei
sarà seguito quest’anno da Spongebob – Fuori dall’Acqua. Si tratta di una nuova avventura tutta in 3D, divertente e scatenata: in Ticino il film arriverà il prossimo 26 febbraio. Gli spettatori quindi torneranno ad immergersi nel mondo di Bikini Bottom dove SpongeBob vive con i suoi amici: la fedele stella marina Patrick, il sardonico Squiddi, la scoiattola scienziata Sandy ed il crostaceo capitalista, Mr. Krabs. La missione da compiere sarà estremamente pericolosa perché dovranno uscire dall’acqua ed entrare nel mondo «asciutto»: insieme, dovranno unire le loro forze e sfruttando i loro superpoteri, impe-
gnarsi in un viaggio attraverso lo spazio ed il tempo per affrontare il diabolico pirata Barba Burger. Informazioni
www.spongebobfilm.ch
Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita in Ticino (anche in 3D) il prossimo 26 febbraio di SpongeBob – Fuori dall’acqua (www.SpongebobFilm.ch), la Paramount Pictures in collaborazione con Migros Ticino mette in palio: 5 spugne 5 asciugamani 5 giochi da spiaggia
Regolamento: partecipazione riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghi concorsi promossi da «Azione» nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare al concorso telefona allo 091 8217162 mercoledì 25 febbraio dalle 14.00 alle 15.00. Buona fortuna!
La locandina.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Tiratura 98’645 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Le pensioni dei ministri In Ticino, i Consiglieri di Stato non versano contributi per il Secondo pilastro, ma la situazione potrebbe cambiare
Guarda un po’ chi gioca! Un nuovo fenomeno: milioni di spettatori guardano sul web filmati commentati di partite videoludiche
Villaggio a misura di anziano Morbio Inferiore, Coldrerio e Vacallo uniti in un progetto che vuole trasformare le case anziani in un catalizzatore della vita sociale
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I figli alla conquista dell’ autonomia Famiglia Mamme iperprotettive e genitori
eccessivamente contenitivi a volte sono un vero e proprio ostacolo per i figli: intervista alla psicologa e psicoterapeuta Alessandra Moranzoni
Laura Di Corcia In Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo il personaggio di Tommasino (un lavativo sulla trentina ancora a casa dei genitori) rappresenta il classico esempio di che cosa può combinare un’educazione troppo protettiva e contenitiva nello sviluppo psichico di un bambino. Niente da fare: le mamme chiocce, pur essendo spesso un vero campione di altruismo e generosità, non consentono ai propri figli di svilupparsi in modo corretto, saggiando le loro capacità e venendo a patti con i loro limiti, in un processo – lungo, difficile, talvolta doloroso – che a poco a poco li porta verso l’individuazione personale e la cosiddetta «adultità». Di questi temi si è parlato qualche settimana fa a Chiasso, in un incontro organizzato dall’Associazione L’OASI (in collaborazione con l’Associazione Zerocinque) che ha visto come protagonista Alessandra Moranzoni, la quale svolge l’attività di psicologa e psicoterapeuta con bambini, adolescenti e adulti presso lo Studio La Stanza Blu di Varese. A lei abbiamo rivolto alcune domande per meglio approfondire la tematica. Dottoressa Moranzoni, le mamme troppo protettive possono danneggiare lo sviluppo del bambino?
È importante che la mamma sia in completa sintonia con il bambino, ma che gradualmente si renda un po’ straniera, che apra uno spazio fra sé e il bambino di movimento dove lui possa sperimentarsi, sia a livello relazionale ed emotivo sia a livello fisico. La mamma eccessivamente protettiva tende a saturare questa zona, che è invece di fondamentale importanza affinché il bambino impari a mettersi in gioco. Il genitore che sostiene, invece, lascia fare al bambino o alla bambina le proprie esperienze, fa in modo che rimanga nella difficoltà e la superi. Ben vengano l’asilo nido e le baby sitter, solitamente demonizzati.
Penso di sì, naturalmente nei tempi e nei momenti in cui il bambino è pronto per entrare in una struttura o cominciare ad avere una relazione con una persona che non sia la madre, quindi attraverso un percorso ponderato e graduale. Cosa fare quando un bambino non vuole proprio andare alla scuola materna, piange e si dimena?
Ci sono bambini che fanno molta fatica; in quei casi credo sia importante capire cosa succede proprio nella relazione con la mamma. Spesso la difficoltà non è solo del bambino, ma anche della madre; è un passaggio difficile per entrambi, specie se si tratta del primo distacco. La coppia mamma-bambino va quindi accompagnata dall’educatore che dovrebbe sforzarsi di comprendere il disagio che la genitrice può provare nell’affidare suo figlio o sua figlia ad altri. Non esiste un modello cui aderire e nemmeno uno standard, ogni coppia è una coppia a sé e va capita e aiutata, anche perché l’esperienza del distacco è troppo importante per essere gestita con superficialità. Veniamo al percorso di studi vero e proprio: molto spesso i genitori vedono che i figli non riescono a scuola e tendono a intervenire, controllando il diario anche a ragazzi delle medie e addirittura delle superiori, non concedendo quindi ai figli di autogestirsi.
Ebbene, spesso è difficile per il genitore tollerare che il figlio riesca male, a scuola come in altri campi, e per questo a volte tende a sostituirsi al figlio. La presenza dei genitori è necessaria e di sostegno, ma le madri e i padri devono fare lo sforzo di mettersi in gioco in prima persona, facendo esperienza del percorso dell’apprendimento che è la cosa più importante, altrimenti il ragazzo o la ragazza sviluppa solo un senso di successo o di fallimento e non sperimenta tutti i gradienti, del riuscire un po’ bene, un po’ no, un po’ così come vorrebbe, un po’ meno…
Spesso per i genitori è difficile tollerare male che i figli non riescano bene a scuola. (Keystone) Che conseguenze comporta l’educazione eccessivamente contenitiva?
Non permette l’espressione della persona, quindi non le consente di individuarsi, di separarsi e di riconoscersi con le sue caratteristiche personali. Si resta mischiati, non ci sono più confini fra la mamma e il figlio. Avere una propria identità è fondamentale per il benessere emotivo, si tratta di qualcosa di basilare e imprescindibile. Questo approccio materno ha conseguenze diverse sul figlio maschio o sulla figlia femmina?
No, le conseguenze diverse son dettate semplicemente dal contesto culturale. Un genitore che si accorga che il suo partner è eccessivamente contenitivo nei confronti del figlio o della figlia, cosa può fare di concreto?
Io credo che ci voglia una terza per-
sona che aiuti la coppia genitoriale. È fondamentale che qualcuno di esterno dialoghi con entrambi e li aiuti a trovare un nuovo equilibrio. In ogni caso, ognuno ha il suo stile: il papà lancia in aria il bambino o la bambina, cosa che la madre non farebbe mai, ma va bene così. Il piccolo sperimenta diverse sfaccettature, modalità differenti e questo è arricchente. Ci sono spesso genitori – padri, ma anche madri – che invece hanno una modalità opposta, ovvero buttano i figli nell’acqua fredda aspettandosi che imparino a nuotare e anche in fretta.
A volte alcuni genitori sono eccessivamente esigenti e spingono il figlio troppo avanti, forzando le tappe dello sviluppo, ma in questo modo il bambino si sente lanciato allo sbaraglio, e ciò non è utile, anzi, dannoso. Si tratta in genere di geni-
tori che fanno fatica ad accompagnare il figlio o la figlia nel graduale processo di crescita per motivi legati ai loro vissuti non elaborati fino in fondo. Un’ultima domanda: cosa fare di fronte alle reazioni di rabbia dei propri figli?
Molto importante è la capacità, da parte del genitore, di sopportare l’ambivalenza dei sentimenti provati nei confronti del bambino o della bambina. Verso i figli non si sentono solo tenerezza e amore, ma anche rabbia, disappunto, invidia, eccetera. Meglio portare alla luce queste sensazioni, in modo che non agiscano a livello inconscio. La madre e il padre che tollerano i sentimenti ambivalenti nei confronti dei propri bambini, più facilmente tollereranno le reazioni ambivalenti dei propri figli, quindi la rabbia e la frustrazione.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Società e Territorio L’attuale compagine governativa. Quella che uscirà dalle elezioni del 19 aprile potrebbe forse dover versare fin da subito un contributo del 9% dello stipendio su un fondo pensionistico. (CdT - Crinari)
Pochi congedi da scuola Insegnanti Ogni anno in media solo
un centinaio di docenti su alcune migliaia chiede e ottiene di staccare la spina dalle lezioni. Il motivo principale? I figli
Marco Jeitziner
Le strane pensioni dei Consiglieri di Stato Finanze cantonali In discussione in Parlamento le rendite
dei membri del governo che non sono soggette a trattenute per il Secondo pilastro
Roberto Porta Chiamatela, se volete, un’«annosa questione». Appartiene proprio a questa scomoda categoria uno degli argomenti che il Gran Consiglio ticinese è chiamato ad affrontare prima della fine dell’attuale legislatura. «Si era iniziato a parlarne già nel 1976, qualche mese dopo la mia nascita», ci dice Pelin Kandemir Bordoli, granconsigliera e prima firmataria di una mozione che riprende un cammino iniziato proprio 39 anni fa per chiedere una revisione delle condizioni retributive e previdenziali di chi siede in Consiglio di Stato. L’obiettivo principale di questa riforma, finora sempre naufragata, è quello di porre fine ad un’anomalia tutta ticinese.
Solo in Ticino i membri del governo sono esonerati dall’obbligo di pagare contributi per il Secondo pilastro A livello svizzero, il Ticino è l’unico cantone in cui i membri del governo sono per legge esonerati dall’obbligo di pagare un contributo per la propria previdenza professionale. In altri termini, i Consiglieri di Stato ricevono una rendita d’uscita, senza però aver mai versato, nella loro veste di ministro, nemmeno un centesimo nelle casse del proprio secondo pilastro. Una singolarità che il Gran Consiglio potrebbe ora rimuovere, dopo averci già provato invano in passato. L’argomento torna di nuovo in aula attraverso una mozione presentata dalla socialista Pelin Kandemir Bordoli ma firmata anche da tutti i gruppi del Gran Consiglio, ad eccezione di Lega e UDC. I successivi lavori della Commissione della Gestione hanno però fatto emergere un appoggio più ampio, con tutti i partiti unanimi nel sostenere la necessità di affrontare l’argomento, forse già nella sessione di febbraio del Parlamento, o al più tardi in quella del prossimo mese di marzo. Il tema è politicamente delicato e tecnicamente complesso. Oggi i Consiglieri di Stato ticinesi percepiscono uno stipendio che corrisponde al 146 per cento del tetto massimo previsto dalla scala salariale dei dipendenti
dello Stato. In quattrini ciò significa 240mila franchi all’anno. Su questo importo i membri del governo pagano gli oneri sociali – AVS, disoccupazione, ecc. – ma, come detto, non versano nulla alla cassa pensioni dello Stato, come invece succede a tutti gli altri dipendenti dell’amministrazione pubblica ticinese. È vero che l’ex Consigliere di Stato non riceve nulla dalla stessa cassa pensioni, ma è altrettanto vero che per un ministro ticinese il diritto alla pensione scatta molto rapidamente, appena tre anni dopo la sua elezione. Se non riconfermato dopo il primo quadriennio, o se dimissionario, l’ex Consigliere di Stato percepisce, a titolo di rendita d’uscita per il servizio svolto, il 15 per cento dello stipendio a cui si aggiunge un ulteriore 3,75 per cento per ogni anno supplementare in cui è rimasto in carica, oltre i primi tre anni di attività. E questo fino ad un contributo massimo pari al 60 per cento del suo stipendio da Consigliere di Stato. Oltre a questa somma l’ex ministro riceve un cosiddetto «supplemento sostitutivo dell’AVS» pari a 22’500 franchi all’anno. I conti consuntivi del 2013 dicono che la spesa dovuta a indennizzi e pensioni degli ex Consiglieri di Stato ammonta a 4,5 milioni di franchi. Un importo ben superiore a quello degli stipendi versati ai ministri in carica, pari a 1,2 milioni di franchi. In altri termini il Cantone spende di più per gli ex ministri che per i Consiglieri di Stato in carica. «Nel nostro cantone vige una sorta di sistema misto – fa notare Pelin Kandemir Bordoli – in cui si sovrappongono elementi di carattere pensionistico ad altri che rientrano nella categoria degli indennizzi. A nostro modo di vedere queste due modalità andrebbero invece separate, come del resto già succede nella maggioranza degli altri cantoni svizzeri». E il Consigliere di Stato dovrebbe essere affiliato alla cassa pensioni dello Stato e versare, già a partire dalla prossima legislatura, dopo le elezioni cantonali del 19 aprile, un contributo pari al 9 per cento del proprio stipendio a un fondo pensionistico fino a quando la modifica del sistema non verrà completata. In seguito i ministri saranno affiliati alla Cassa pensioni dello Stato. È questa la novità principale dell’atto parlamentare al vaglio del Gran Consiglio ed è questo il nodo
centrale da sciogliere. «Condivido il principio» fa notare il liberale radicale Corrado Solcà, anch’egli membro della Commissione della Gestione. «Ma se si decide di obbligare i Consiglieri di Stato a versare i contributi del secondo pilastro credo che occorrerà aumentare il loro stipendio, come una sorta di contropartita». Anche perché, ricorda Solcà, un posto di lavoro nell’economia privata garantisce a chi ha la statura politica per poter accedere al governo ticinese salari molto spesso superiori rispetto a quelli che percepisce un ministro «rossoblu». In altri termini si tratta anche di salvaguardare l’attrattiva della funzione di ministro, per un incarico che è limitato nel tempo e legato ad una rielezione non sempre semplice da raggiungere. «Rimane comunque difficilmente giustificabile il fatto che un Consigliere di Stato sia esonerato dal pagare i propri contributi pensionistici» sottolinea dal canto suo Pelin Kandemir Bordoli «si tratta di un sistema confuso e di un privilegio che le nostre casse cantonali non possono più permettersi». La mozione prevede anche di incaricare un perito esterno per rivedere l’insieme del dossier e per proporre nuove modalità per il calcolo delle rendite a favore degli ex Consiglieri di Stato, anche perché ci sono diversi aspetti di dettaglio da rivedere e di cui la legge in vigore ormai vetusta non tiene conto. Ad esempio in questa normativa non vi sono prescrizioni che stabiliscano se un ministro debba trasferire alla Cassa pensione dello Stato il proprio Secondo pilastro, accumulato durante l’attività professionale precedente alla sua elezione. E vi è una corsia preferenziale per i ministri che prima della loro nomina erano già alle dipendenze dello Stato, un magistrato, ad esempio, o un docente. Per il calcolo della loro rendita di uscita non si tiene conto unicamente degli anni trascorsi in governo ma anche di quelli precedenti, ciò che garantisce un veloce aumento del loro indennizzo. Certo, il fatto di voler incaricare un perito esterno non è visto di buon occhio da tutti i partiti, perché si temono ulteriori lungaggini e costi aggiuntivi indesiderati. In ogni caso tocca ora al Gran Consiglio dare una risposta, per capire se in questa materia il Ticino può ancora permettersi di essere un «Sonderfall» svizzero.
La legge sul personale insegnante dello Stato è quanto meno generosa se parliamo di congedi non pagati, cioè l’assenza non remunerata dal lavoro per motivi ritenuti validi: un massimo di tre anni per un congedo totale (dall’anno scolastico), un massimo di sei per dei congedi parziali. Ci siamo dunque chiesti quanti sono i docenti che approfittano di questa possibilità per dedicarsi ad altro o magari soltanto per ricaricare le batterie? Be’, sono pochissimi. Un centinaio in media ogni anno su alcune migliaia di insegnanti. Ce lo confermano i vari uffici cantonali competenti che abbiamo interpellato. «Nell’anno scolastico 2014-15 ci sono circa 30 congedi totali e 4 parziali annuali. Le decisioni competono dei comuni e la maggior parte è comunque relativa ai congedi parentali» afferma il capo dell’Ufficio scuole comunali al Dipartimento educazione cultura e sport Mirko Guzzi. Nelle scuole medie, risponde Francesco Vanetta, «in media ogni anno sono tra i 40 e i 50 i docenti che chiedono un congedo non pagato, ma ricordo che i docenti attivi nel settore medio sono circa 1500. Buona parte di questi docenti non chiede un congedo totale dall’insegnamento, bensì un congedo parziale. I congedi preavvisati dal nostro ufficio sono unicamente quelli annuali. La stragrande maggioranza delle richieste è riconducibile a ragioni di tipo familiare, mentre le altre ragioni sono studio, esperienze in campo sociale, altre esperienze professionali, ragioni personali. Il congedo può essere rifiutato se per esempio non vi sono docenti qualificati in grado di sostituire il docente in congedo, attualmente solo per gli insegnanti di matematica». Nei licei, invece, ci dice Daniele Sartori, «in media ogni anno sono 2030 docenti che chiedono un congedo non pagato, su un totale di circa 600 docenti. Buona parte delle richieste sono volte ad ottenere un congedo parziale (circa 1/5 chiede il congedo al 100 per cento, gli altri variano dal 25 al 75). Il nostro preavviso riguarda solo congedi annuali, per quelli di durata inferiore ai tre mesi è competente la direzione dell’istituto. Le motivazioni più frequenti sono di tipo familiare, seguono quelle per studio. Una condizione necessaria per concedere un congedo è che ci sia la possibilità di coprire le ore di insegnamento lasciate libere dal docente. Al momento per quanto riguarda il settore medio superiore non abbiamo delle materie particolarmente problematiche». Fin qui le statistiche generali, ma se andiamo più in dettaglio scopriamo che la maggioranza dei docenti che va in congedo sono donne. «Sì, è corretto – conferma ad esempio Vanetta –, va però aggiunto che oggi, nella scuola media, il numero di docenti-donne è superiore a quello dei docenti-uomini.
Le docenti vanno in congedo soprattutto per occuparsi dei figli, i docenti per altri motivi. (CdT - Demaldi)
In linea di principio il motivo del congedo riguarda la possibilità di stare vicini ai figli. Se il congedo maternità pagato ha una durata di 16 settimane, poi esiste un’ulteriore possibilità di congedo, questa volta non pagato, di 9 mesi. Spesso però si chiede un ulteriore anno di congedo totale o parziale per continuare ad occuparsi dei figli». Lecito pensare tuttavia che sia così anche nelle scuole comunali, dove le donne sono nettamente più numerose degli uomini (vedi «Azione», no. 50). Insomma, pare di capire che tendenzialmente le docenti vanno in congedo piuttosto per occuparsi dei figli, i docenti per altri motivi (studio, perfezionamento, viaggi, ecc.), anche se non possiamo escludere che le nuove generazioni di insegnanti/padri non si occupino ugualmente dei compiti genitoriali. Ma la domanda che sorge spontanea (fatta eccezione per gli insegnanti di matematica alle medie) è: come mai sono così poche le richieste di staccare la spina da quello che è generalmente ritenuto un mestiere molto bello ma anche molto logorante? Perché così pochi approfittano di un privilegio quasi impossibile in altri settori professionali? «Sinceramente non sono in grado di rispondere alla sua domanda. Posso però assicurarle che il ridotto numero di richieste non è dovuto ad una posizione restrittiva da parte nostra, la maggior parte delle richieste sono infatti accolte» fa notare ad esempio Sartori. Guzzi, invece, ipotizza alcune ragioni plausibili: «probabilmente entrano in gioco più elementi, quali una scelta forte e consapevole per la professione; una formazione specifica; la possibilità di impiego temporaneo in altri settori non evidente; lo statuto e il “calendario” (scolastico, ndr.) ritenuti favorevoli; gli anni di congedo limitati». Queste informazioni denotano un corpo docente quanto meno motivato e in salute, nonostante la maggiore complessità della professione. Sono due aspetti centrali della scuola sui quali si sta già indagando grazie al progetto Linea di aiuto e sostegno psicologico ai docenti, una novità assoluta in Ticino. Infine, merita una certa attenzione il motivo per cui quei pochi congedi non pagati sono oggi possibili con una certa facilità: la disponibilità di supplenti ritenuti sufficientemente formati e competenti. Ma il futuro è incerto poiché secondo il capo della Divisione della scuola Emanuele Berger, si legge nel periodico Supsi «In-formazione» (no. 2/2014), già ora assistiamo ad una relativa «carenza di docenti nelle scuole elementari e in alcune discipline della scuola media». A ciò è strettamente connessa la crescente femminilizzazione della scuola, perché implica un alto tasso di tempi parziali (secondo il censimento dei docenti nel 2008 lavorava a metà tempo ben l’80% delle insegnanti) e, come abbiamo detto, una preponderanza di richieste di congedo non pagato per motivi genitoriali.
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Società e Territorio
Guardare è meglio che giocare? Sul web I filmati commentati di partite videoludiche spopolano e raccolgono milioni di spettatori (ed emuli)
fra giovani e giovanissimi. In futuro si giocherà di meno e si guarderà di più?
Filippo Zanoli Chi è la persona più seguita al mondo su Youtube? Una popstar tipo Katy Perry (già regina di Twitter) o Taylor Swift? Un calciatore o un altro sportivo d’élite? Un opinionista importante? Un gatto-tormentone del web alla stregua del musone Grumpy Cat? Sebbene di primo acchito tutte queste possibilità parrebbero più che ragionevoli la verità è ben altra. Il più visto e commentato del web è un piacente ragazzotto 25enne svedese che risponde al nome online di PewDiePie, il suo canale è infatti seguito dalla cifra record di 93 milioni di persone. Classe 1989, di professione celebrità web (sì, è un lavoro), Felix Arvid Ulf Kjellberg nei suoi video non fa altro che giocare e commentare gli ultimi videogames. I motivi del suo straripante successo sfuggono anche agli esperti. Sebbene in molti abbiano ventilato la tesi che «funziona solo perché è un bel giovanotto» la verità è molto probabilmente più complessa: PewDiePie parla un linguaggio del tutto nuovo che le generazioni cresciute a pane e Youtube capiscono perfettamente, mentre agli altri la faccenda non può che sfuggire. La sua base di fan, quella che lui chiama «Broarmy» («esercito di fratè», trad. del sottoscritto), è composta perlopiù da giovani e giovanissimi che si sbellicano dalle risate guardando i suoi video zeppi di parolacce, versi, facciacce e urli. Stuoli di ragazzi e ragazze che quando lo incontrano dal vivo si lascia-
no cogliere da isteria collettiva come se si trovassero di fronte all’ultimo Justin Bieber. Secondo fonti attendibili, nel 2013 Kjellberg avrebbe guadagnato, esclusivamente con i suoi video, qualcosa come 4 milioni di dollari, lui stesso avrebbe più o meno confermato queste voci. Malgrado il suo impressionante seguito PewDiePie resta relativamente un outsider nella scena videoludica, non si tratta di un personaggio che con le sue opinioni è in grado di fare il bello o il cattivo tempo e decretare il successo o il fallimento di un titolo. È però vero che spesso e volentieri alcuni giochi sono riusciti, per fattori diversi, a fare il botto proprio in seguito all’esposizione (multi)mediatica sul suo canale di Youtube. Qual è il segreto della formula di PewDiePie e dei suoi svariati emuli? Impossibile stabilirlo con certezza; sicuramente uno degli elementi che viene capito e incontra il gusto delle nuove generazioni è la dualità intrinseca dei video: da una parte la schermata del videogioco che scorre e nella quale si sviluppa l’azione, dall’altra invece la parte del commento personale alla partita che, sebbene occupi solo una frazione del video, risulta quella predominante. Una sorta di resa video di twittate e ri-twittate o post e relativo commento (come su Facebook, o altro) dove la replica (anche triviale) e la sua forma risultano, per assurdo, più interessanti del contenuto o dell’affermazione originale. Il «guardare altra gente giocare» al di là del successo del 25enne svedese più
PewDiePie dà il «brofist», il suo saluto-tormentone, a tutti i suoi fan durante un video. (Youtube)
famoso del web, è una tendenza globale vera e propria e, per molti, diverrà una prassi attestata quando gli e-sport (videogiochi competitivi, sempre più popolari) prenderanno definitivamente piede. Se non c’è nulla di strano nel guardare una partita di calcio commentata da dei cronisti, perché non dovrebbe valere lo stesso per uno scontro a squadre del colosso strategico online League of Legends? E, di fatti, le trasmissioni online dei campionati mondiali (sì, esistono) di giochi di punta come il sopracitato videogame edito in tutto il mondo da Riot Games raggranellano migliaia se non milioni di spettatori. E che l’industria sia sicura di uno sviluppo radicale della condivisione a ruota libera di sessioni di gioco
(in diretta o meno) lo dimostra anche la mossa del colosso Amazon che allo scadere di agosto 2014 ha acquistato la piattaforma principe per lo streaming commentato di partite, Twitch.tv, per la cifra non trascurabile di 1 miliardo di dollari. Nato come idea originale da un gruppo di appassionati gamer è, loro malgrado, diventata la next big thing nel settore lasciando perplessi analisti di vecchia data che semplicemente non riuscivano a capire cosa fosse, perché funzionasse e che senso avesse. Malgrado ciò, c’è chi stima, infatti, che in futuro Twitch abbia tutte le carte in regola per arrivare a fare numeri maggiori persino di Youtube. Ma come mai in così tanti passano il proprio tempo a guardare altri
giocare o a filmarsi mentre giocano? Il primo motivo è puramente pratico: al giorno d’oggi per primeggiare ai titoli competitivi che vanno per la maggiore il proprio talento individuale non basta più, bisogna per forza fare riferimento alla conoscenza condivisa del web. Ci si allena non solo con la ginnastica delle falangi su joypad o mouse ma anche studiando le partite degli assi professionistici internazionali per assimilarne le strategie e i trucchi. Il secondo motivo, che è importante quanto il primo ma che è anche quello a lasciare interdetti i meno giovani, è intrinsecamente legato al linguaggio, alla condivisione e alla creazione di un’identità comunitaria condivisa. Insomma è il sine qua non dei videogiocatori di oggi, un’estensione della sala giochi o del bar di una volta con i «cassoni» a gettone attorno ai quali si faceva capannello e si guardava l’uno le partite dell’altro, ridendo assieme, imparando e sfidandosi costantemente. È lo stesso concetto solamente ingrandito a dismisura grazie alla potenza inarrestabile del web. E se anche voi siete fra i perplessi come Trey Parker e Matt Stone, gli autori del cartone animato satirico South Park, che a PewDiePie e al voyeurismo videoludico hanno dedicato un’apocalittica (e divertentissima) puntata. Se anche voi, come loro, temete un tetro futuro fatto di console impolverate in salotti deserti, state pure tranquilli. Le nuove generazioni non smetteranno di videogiocare, semplicemente lo faranno seguendo le loro regole. Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio
Un villaggio a misura di anziano Socialità Casa San Rocco di Morbio Inferiore assieme a due nuove strutture da edificare a Coldrerio e Vacallo
riunite in un progetto che vuole trasformare le case anziani in un catalizzatore della vita sociale e dell’incontro fra le generazioni Stefania Hubmann La casa per anziani come sorgente di vita, come un antico pozzo attorno al quale si riuniva la comunità, catalizzatore della vita sociale e dell’incontro fra le diverse generazioni. L’immagine è stata proposta da due architetti danesi con studio a Copenhagen alla Fondazione Casa San Rocco di Morbio Inferiore nell’ambito di uno studio sul progetto di ampliamento della struttura che, unitamente all’edificazione di altre due case per anziani nei Comuni di Coldrerio e Vacallo, permetterà di realizzare un vero e proprio quartiere intergenerazionale. Questa l’innovativa visione del direttore di Casa San Rocco, John Gaffuri, fatta propria dalla Fondazione, la quale costruirà con il sostegno del Cantone le due nuove strutture grazie a un diritto di superficie concesso dai rispettivi Comuni. Nei primi tre anni d’attività la direzione ha gettato le basi di questo approccio, promuovendo con successo l’apertura di una panetteria e di un pre-asilo. Ora si tratta di lavorare su più ampia scala, sfruttando l’opportunità offerta dalle nuove edificazioni che complessivamente garantiranno alla popolazione anziana dei tre Comuni 240 posti letto (120 a Morbio Inferiore, 60 a Coldrerio e altrettanti a Vacallo) per un investimento complessivo pari a circa 60 milioni di franchi.
Con un investimento complessivo di 60 milioni, le tre case anziani garantiranno spazio a 240 persone Per gli architetti Rosa Lund e Martin Hjerl, giunti nel Mendrisiotto il mese scorso per una valutazione in loco, è scontato leggere i tre progetti come parte di un’unica realtà territoriale. Durante il loro soggiorno ci hanno spiegato quali aspetti dell’esperienza maturata nei Paesi scandinavi è possibile applicare al progetto ticinese, sottoposto alla loro attenzione durante un corso di aggiornamento svoltosi in novembre all’istituto danese Kaospilot (specializzato in business e design) e al quale ha partecipato anche John Gaffuri. La collaborazione è poi proseguita nell’ambito di un approfondimento che il direttore di Casa San Rocco ha
Casa San Rocco di Morbio Inferiore. (Vincenzo Cammarata)
promosso in vista della pubblicazione a breve dei tre bandi di concorso, il cui allestimento è coordinato dall’architetto Mario Botta. L’analisi degli esperti danesi parte da quattro casi esemplari, tutti focalizzati sull’uomo quale essere sociale. «Il più ambizioso è il villaggio norvegese Hamlet – spiegano Lund e Hjerl – dove i servizi legati al benessere e alla cura della persona anziana sono riuniti in diversi edifici che formano un piccolo borgo. Cinque gruppi di case attorno ad una vecchia fattoria caratterizzano un «villaggio agricolo» danese, immerso nella natura e ospitante anche giovani famiglie. Una serie di passaggi, fra cui un sentiero pubblico, assicura il contatto dei residenti anche con l’esterno. Questa dimensione è maggiormente accentuata in una vasta area cittadina a Copenhagen dove sorgono quattro case per anziani disposte a corte. Esemplare per i contenuti, infine, una casa per anziani più tradizionale nella forma, ma gestita con il massimo rispetto per l’individualità dei residenti. Il personale consuma i pasti con loro, mentre i familiari sono direttamente coinvolti nelle attività di animazione». I rispettivi punti di forza sono riassumibili in otto caratteristiche chiave di quello che può essere considerato
un villaggio intergenerazionale a misura di anziano. Quest’ultimo in una struttura comunitaria deve riuscire a sentirsi come a casa propria, dove parenti e amici svolgono un ruolo attivo e la comunità ha occasione di ritrovarsi. La residenza deve essere connessa con la vita quotidiana, sia dal punto di vista degli spostamenti sia da quello dei servizi. Altri due aspetti fondamentali sono legati al sentimento d’identità culturale (assicurato dalla presenza di elementi storici) e al rapporto con la natura in modo da rimanere legati al ciclo della vita. Senza dimenticare il ruolo del personale che con i residenti intrattiene una relazione privilegiata. Tutti principi facilmente integrabili nel nuovo villaggio dell’anziano di Morbio Inferiore-Coldrerio-Vacallo e in parte già attuati a Casa San Rocco. Riguardo al loro primo impatto con questa realtà, i due ospiti danesi riferiscono di aver subito percepito «dinamismo, accoglienza, apertura e quindi il giusto potenziale per sviluppare un simile progetto. Casa San Rocco è situata in un paesaggio di pregio e in posizione strategica nel villaggio, ciò che permette di soddisfare necessità vitali per gli anziani: l’identificazione con il luogo, il contatto con la natura, il desiderio di sentirsi parte della co-
munità». A questo scopo secondo i due professionisti, specializzati in architettura del paesaggio e urbanistica, è auspicabile «creare maggiori connessioni spaziali fra l’edificio, oggi aperto verso il giardino, e il resto del villaggio, per facilitare la relazione con l’esterno. I progetti dovrebbero inoltre essere caratterizzati da una certa flessibilità in considerazione del veloce mutare dei tempi e delle esigenze della popolazione». Entrambi sottolineano però di offrire solo strumenti di riflessione per chi dovrà assumere le decisioni. Il loro credo professionale si fonda su un approccio multidisciplinare che valorizza il confronto e il dialogo. Ed è proprio questo il modus operandi adottato dal direttore Gaffuri. Per verificare sul territorio l’interesse delle proposte degli architetti danesi con particolare attenzione al rapporto fra le generazioni, ha coinvolto il Dipartimento di scienze aziendali e sociali della Supsi. Spiega John Gaffuri: «Le ricercatrici Jenny Assi e Paola Solcà, già autrici nel 2013 dello studio Intergenerazionalità: una risorsa per la società, si sono chinate sulla vita quotidiana nei tre Comuni per valutare le necessità della popolazione e l’attività delle associazioni locali. Abbiamo inoltre deciso di approfondire il tema dell’impatto
ambientale tramite l’Istituto sostenibilità applicata all’ambiente costruito (Isaac). La collaborazione con Nerio Cereghetti, responsabile Area Energia e Ambiente, permetterà di realizzare un centro educativo di sostenibilità, in modo che le soluzioni tecnologiche adottate per il risparmio energetico siano anche divulgate. I tre progetti dovranno risultare complementari nell’offerta dei servizi sociali (riducendo così i costi) senza perdere la propria identità comunale». Per tutto il team che con entusiasmo partecipa a questa accurata analisi la sfida prioritaria rimane quella di riuscire a soddisfare le aspettative delle persone anziane a cui i tre edifici sono destinati. Il loro punto di vista, precisano in conclusione Rosa Lund e Martin Hjerl, è parte essenziale di una visione globale e condivisa. «In concreto si tratta di trovare soluzioni semplici partendo dalle condizioni date. Ogni luogo ci parla e ne dobbiamo catturare l’atmosfera, il vissuto, l’unicità». L’esperienza ticinese per i due architetti di Copenhagen è stata anche fonte d’ispirazione, perché ad esempio il ruolo della famiglia nella cura degli anziani è molto più sviluppato rispetto alla realtà nordica e rappresenta un enorme potenziale per il futuro villaggio intergenerazionale.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Cri e Ninie (testo Cristiana Valentini, illustrazioni Virginie Soumagnac), Cucù, Zoolibri, da 18 mesi Cucù, parola importantissima per crescere. Il gioco del cucù, quando la mamma nasconde il viso dietro le mani e poi le riapre, e riappare facendo «cucù», piace ai bambini di tutte le latitudini. Il momento del cucù scatena invariabilmente una risata, che è una risata di sollievo perché la mamma non è sparita per sempre, ma c’è ancora. Brivido per la temporanea assenza e rassicurazione per la rinnovata presenza. Il gioco del cucù insegna che gli oggetti permangono, anche se non li vedi. Da questo principale «cucù», molti altri «cucù» discendono. Si può fare cucù anche solo quando appare, all’improvviso, qualcosa o qualcuno. È il caso di tutte le zampine che compaiono a sorpresa sul lettino del bimbo (o bimba?) protagonista di questo albo per primissimi lettori, da considerarsi ormai
un piccolo classico, visto che è già alla terza ristampa. «Cucù! Di chi è questa manina?», una «manina» di pelo o di squame, verde, gialla, marrone, rosa o grigia spunta nella doppia pagina che raffigura Pepe nel suo lettino. Domina il bianco dello sfondo e delle lenzuola, su cui si staglia solo il viso di Pepe e il colore della zampina. Ed ecco la doppia pagina successiva, stavolta a colori pieni, in cui si formula un’ipotesi narrativa: «È forse del coccodrillo sorpreso che saluta?», o «del leone divertito che
applaude?», con una simmetria perfetta di doppia pagina bianca con la manina misteriosa, seguita da doppia pagina colorata con l’ipotesi di animale. E ogni volta l’animale è seguito da un aggettivo (sorpreso, divertito, felice, agitata…) e da un’azione (saluta, applaude, accarezza), perché questo è un piccolo libro gestuale, da giocare in due, prima della nanna, con papà o mamma che «fanno» le manine e bimbo che aspetta … il finale di coccole! Lemony Snicket, Quando l’ha vista l’ultima volta?, Salani, da 11 anni Geniale esempio di mascheramenti letterari, Lemony Snicket è il nome immaginario di un autore reale (Daniel Handler, per chi ama la sbrigatività dei fatti), è personaggio marginale nonché autore fittizio della saga di successo Una serie di sfortunati eventi, ed è personaggio principale nonché autore fittizio della nuova saga Tutte le do-
mande sbagliate, della quale, dopo il primo episodio, intitolato Chi sarà mai a quest’ora, Salani pubblica in questi giorni il secondo: Quando l’ha vista l’ultima volta? Detto così può sembrare complicato, ma se vi abbandonate alla narrazione, tesa, esilarante, sul filo limpidissimo di una scrittura (e di una traduzione) elegante e ben ritma-
ta, godrete di una lettura coinvolgente e raffinata, in cui lo humour dei commenti del narratore e i colpi di scena delle vicende narrate sono gli ingredienti principali. Qui «il signor Snicket» è il tredicenne apprendista della sua «chaperon» Theodora Markson, scompigliata signora che deve compiere misteriose indagini. L’indagine in questione, in questo caso, è quella relativa alla scomparsa di una ragazza, Cleo Knight, figlia di una facoltosa famiglia di produttori di inchiostro. Dopo una frettolosa inchiesta, Theodora conclude che Cleo si sia allontanata volontariamente, ma Lemony Snicket non ne è affatto convinto e coraggiosamente continua ad indagare. Molti altri personaggi, spesso connotati da un’impertinente e deliziosa follia, lo accompagnano o lo contrastano, in questa storia che è un giallo, ma è anche una dichiarazione d’amore per la potenza delle parole, e una riflessione – per quanto leggera – sulla bellezza e la malinconia della vita.
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Ricordatevi di Alamo Remember the Alamo! – «ricordatevi di Alamo!» era il grido di guerra che accompagnò l’assalto dei ribelli texani indipendentisti contro le forze del Generale Antonio Lopez de Santa Anna alla battaglia di San Jacinto il 21 aprile 1836. Alle 4.30 del pomeriggio, il Generale Sam Houston guidava l’assalto di 900 texani contro i 1900 soldati dell’esercito regolare messicano. Colti di sorpresa, questi furono sbaragliati in meno di venti minuti. Settecento caduti, duecento feriti ed il resto prigionieri contro i nove caduti dalla parte degli insorti: tali le cifre crude dello scontro che concluse la rivoluzione texana. Santa Anna, che era riuscito a fuggire travestendosi da soldato semplice, fu tradito da uno dei suoi che, avendolo riconosciuto, lo chiamò col titolo di «Presidente». Da Presidente della Repubblica del Messico, infatti, Santa Anna aveva abolito la costituzione federale repubblicana del 1824 per avocare a sé poteri dittatoriali. Sam Houston preferì indurre
Santa Anna a firmare un trattato di resa che, di fatto, rendeva il Texas indipendente in cambio della vita, a differenza dunque della implacabile crudeltà con la quale Santa Anna aveva trattato i ribelli texani fatti prigionieri: avendoli dichiarati pirates – pirati – in quanto non membri di un esercito regolare, i prigionieri texani erano immediatamente passati per le armi. «GTT» – «gone to Texas», ovvero «sono andato in Texas» era la sigla che gli abitanti degli Stati Uniti che decidevano di emigrare in Texas scrivevano o incidevano sugli stipiti della porta di casa. Avventurieri, debitori insolventi, schiavi fuggiaschi, emarginati ed altri simili personaggi avevano costituito il grosso dell’immigrazione nel Texas messicano quando questo era visto come nuova frontiera di indipendenza ed opportunità. Sulla falsariga, il personaggio destinato a diventare l’eroe della lotta per l’indipendenza texana, Davy Crockett, aveva salutato l’assemblea
Ben consci della propria inferiorità numerica attendevano rinforzi dagli Stati Uniti. Rinforzi che, una volta contati, portarono il numero dei difensori ad un totale di 260 combattenti – e questo secondo le stime più generose. L’assedio ad Alamo cominciò il 23 febbraio 1836, esattamente 179 anni fa. Dopo due settimane di scontri senza risultato, coi difensori ormai allo stremo delle forze, l’assalto finale. Alle 5.30 di mattina del 6 marzo le colonne messicane avanzarono dopo un bombardamento d’artiglieria. La lotta fu tanto feroce quanto disperata: dopo un’ora tutti gli insorti erano stati uccisi eccetto un pugno di sette od otto uomini, passati immediatamente per le armi: pirates – appunto. Oggi Alamo è monumento nazionale ed il luogo più visitato del Texas: all’interno della cappella della Missione dove svolse l’ultima resistenza, in coda per entrare e prendere visione dei cimeli della battaglia, si respira un’aura di profonda, commossa compunzione:
pochi eventi hanno avuto, grazie anche ad un colossale apparato mediatico, lo stesso impatto sull’immaginazione popolare globale come Alamo. Si racconta che la sera prima dell’assalto decisivo, Santa Anna abbia fatto alzare Bandiera Rossa: segnale che non si sarebbero fatti prigionieri. Per ribadire il concetto, i trombettieri messicani suonarono il degüello – termine spagnolo, che significa «sgozzamento, taglio della gola», ovvero lotta senza quartiere. Le vie misteriose della cultura popolare registrano oggi – nei dialetti veneti e trentini – il termine degheio, certamente derivato dallo spagnolo, per «caos, trambusto, confusione». Due mesi dopo il massacro di 260 texani da parte di Santa Anna – che per conto suo ad Alamo perse 600 uomini, Sam Houston ripagò con il massacro di 700 soldati messicani al costo di nove caduti: se questo è il prezzo della Libertà, forse la Storia è veramente un degheio.
ragioni e passioni, accade che vengano progressivamente attratti dall’altro, da chi si è ricostruito una famiglia, ha avuto altri figli e ora è in grado di proporre una esistenza realizzata, una convivenza felice, un domani positivo. L’adolescenza, affamata di futuro, può essere crudele nell’abbandonare il genitore perdente per salire sul carro del vincitore. Ma io non credo che si possa costruire una vita completamente felice sull’infelicità degli altri. Può darsi che anche i vostri rispettivi coniugi abbiano superato la crisi che li ha investiti e che stiano vivendo nuove, soddisfacenti relazioni. In questo caso non ci sono problemi. Se così non fosse, credo che la luce abbagliante che splende sulla sua esistenza, cara Leo, andrebbe temperata dalla compassione, una virtù purtroppo dimenticata. Compatire significa condividere il dolore degli altri, provare empatia per stati d’animo che non sono i nostri ma
non per questo vanno ignorati. Sarebbe un cattivo esempio per i figli. Chi tergiversa prima di separarsi ha di solito buone ragioni per attendere il momento più opportuno. Ci sono fasi della vita che consigliano di rinviare la rottura del nucleo familiare, come una grave malattia, una crisi economica acuta, la fragilità dei più piccoli. Naturalmente la prudenza viene meno quando il conflitto è insopportabile, quando la casa è diventata una prigione, i rapporti insopportabili e i figli stessi chiedono di metter fine a quel supplizio. Ma non è mai facile decidere quando è in gioco, oltre la nostra, anche la vita degli altri. È troppo semplice sostituire allo slogan di un tempo, «meglio litigare che separarsi», il suo contrario «meglio separarsi che litigare». In famiglia si è sempre litigato mentre ora risulta insopportabile. Ma è significativo che si stia diffondendo una nuova pedago-
gia che vede nei dissapori, non solo un male da estirpare, ma anche una risorsa per evidenziare le cause del malessere e risolverle. Il metodo maieutico, proposto da Daniele Novara, fondatore del «Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti», non dà risposte, non distribuisce ricette, ma pone domande generative che aiutano ciascuno a trovare la soluzione migliore per sciogliere i nodi che bloccano il corso della sua vita. Vorrei concludere, cara Leo, osservando che ci vuole coraggio in ogni caso: nell’interrompere , nel ricominciare ma anche nel continuare con responsabilità il cammino intrapreso.
O ancora spa e saloni di bellezza, cosiddetti bisex, a disposizione di uomini non necessariamente maschi e di donne non necessariamente femmine. E capi d’abbigliamento ad hoc. Certo, in una città come Zurigo, che ha rieletto a pieni voti una sindaca dichiaratamente lesbica, c’è posto per una fiera mercato «diversa», destinata a persone che hanno fatto una scelta di vita, qui più accettata che altrove. Sarebbero 1800 le coppie omo che, negli ultimi anni, hanno deciso di registrare le loro unioni, presso gli uffici dell’anagrafe comunale. Con ciò, questo desiderio di omologazione che spinge gay e lesbiche verso le sponde rassicuranti del matrimonio, doveva provocare critiche inattese, curiosamente proprio da parte dei diretti interessati. Giorni fa, il «Tages Anzeiger», commentando la manifestazione, riferiva le perplessità di un giovane attivista del movimento omo, Florian Vock: «Ci vedo soprattutto interessi economici da
parte di aziende che vogliono ripulirsi l’immagine. In realtà, l’incentivo a sposarsi può comportare, per i gay, una perdita della loro particolarità persino culturale». Viene, insomma, alla luce una rivendicazione di segno opposto: la minoranza omo ci tiene a una diversità, considerata, sin qui, discriminatoria. Il paradosso, comunque, è evidente. Mentre i gay vedono nel matrimonio ufficializzato una conquista magari da esibire, nelle nostre società si tende, invece, a considerarlo una sorta d’imposizione, cui voltare le spalle. Si preferisce optare per le convivenze, cosiddette libere, e del resto legittimate: anche sui documenti ufficiali compaiono i termini di convivente, partner, compagno, ecc. È un’evoluzione cui adeguarsi, nei rapporti sociali. Meglio evitare domande del genere «In che chiesa vi siete sposati?». Può capitare di sentirsi rispondere: «Abbiamo preferito una cerimonia in stile buddista».
Come dire, il fascino dell’esotico è sempre di moda. Ma, per tornare al tema dell’omosessualità, qui il cambiamento non va attribuito a una moda passeggera. Si deve parlare, fortunatamente, di una svolta storica, sul piano giuridico e sociale, oltre che sulle mentalità. Ce lo ricorda un film, proiettato in queste settimane sugli schermi ticinesi: The Imitation Game. Racconta la vita di Alan Turing, il matematico che riuscì a decriptare «Enigma», il codice segreto tedesco, influendo sulle sorti della seconda guerra mondiale. E, in seguito, sulle nostre abitudini di vita: aveva inventato il prototipo del computer. Ma questo genio era gay. Una colpa, secondo il codice penale inglese, fino al 1967. Costretto alla castrazione chimica, Turing non resse all’umiliazione. Si suicidò, a Manchester, il 7 giugno del 1954: addentando una mela avvelenata. La mela morsicata: un’immagine ormai universale.
dei suoi elettori con le ultime parole famose: «You can all go to hell – and I will go to Texas» – «Voi potete andate tutti all’inferno – Io me ne andrò in Texas». Era l’11 agosto del 1835, la materia del contenzioso la sconfitta elettorale subita per pochi voti da un Crockett deluso nella determinazione a farsi rieleggere come rappresentante del Tennessee al Congresso Federale. E in Texas effettivamente Crockett andò, per unirsi a quel gruppo di insorti guidati da David Bowie e John Travis che passeranno alla storia per aver difeso fino all’ultimo l’antica missione di Alamo, a San Antonio contro le truppe del Generale Santa Anna. Già gli insorti avevano espulso tutte le truppe messicane dai confini del Texas in una serie di brillanti vittorie, ma nei primi mesi del 1836 Santa Anna stesso aveva deciso di scendere in campo con un’armata di 1800 soldati. Dopo alcune scaramucce inconcludenti, i ribelli si erano rinchiusi nell’antica missione di Alamo.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Ci vuole coraggio, in ogni stagione Vorrei dire a chi, come me, ha trascorso molti anni, troppi anni, nella scomoda posizione dell’altra, dell’adultera «rubamariti», e agli uomini che a lungo s’illudono di mantenere il piede in due scarpe, facendo i bravi coniugi e gli appassionati amanti, di decidersi, di rompere gli indugi, di trovare il coraggio e la forza di ricominciare. Oggi festeggiamo il battesimo della bambina nata dal, per entrambi, secondo matrimonio. Mio marito ha due figlie adolescenti e io un maschio e una femmina su per giù della stessa età. Al battesimo assisteranno tutti e sarà una cerimonia meravigliosa, che celebrerà finalmente il nostro amore e la nostra felicità. Spero, con questo messaggio, di aiutare tutti quelli che stagnano nel limbo dei rinvii ricordandogli che la vita è breve e che l’indecisione non serve a nessuno. / Leo Cara Leo, molti auguri per la nascita della nuova bambina che costituisce il
perno di una famiglia ricomposta dopo la frammentazione delle precedenti. La vostra felicità risulta evidente e contagiosa ma mi perdonerà se scorgo, in tanta luce, un cono d’ombra. Quando lei scrive « al battesimo assisteranno tutti» dimentica due assenze, quelle dei vostri primi coniugi, un marito e una moglie che, forse, non saranno altrettanto lieti. Purtroppo le crisi familiari non vengono quasi mai vissute in modo paritetico. Di solito è più forte chi decide di rompere il patto matrimoniale perché, prima di dichiarare finita l’unione, ha trovato il tempo e il modo di costruire una alternativa. Spesso ha un compagno o una compagna che, come nel suo caso, lo attendono e lo sostengono. Ben diversa la condizione di chi subisce la separazione e magari ha speso tutte le energie nel tentativo di scongiurarla. Quanto ai figli poi, se in un primo tempo si pongono lealmente a fianco del genitore abbandonato condividendo
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Omologarsi, aspirazione gay Si presentava con il titolo Colored Love, in apparenza vago, insomma da decifrare, la mostra-mercato dedicata al tema delle nozze, che si è tenuta la scorsa settimana a Zurigo. E avrebbe dovuto suscitare reazioni di curiosità maliziosa o addirittura di riprovazione morale, che invece sono mancate. La manifestazione si rivolgeva, infatti, a una categoria particolare di futuri sposi, i gay e le lesbiche. Paradossalmente, proprio loro, sembrano, oggi, i più propensi a ufficializzare le convivenze, in municipio, o a consacrarle, in chiesa, grazie all’intervento di un sacerdote di manica larga. Com’è successo, recentemente, in un villaggio grigionese, dove un parroco ha concesso la benedizione a una coppia di lesbiche, mettendosi però nei guai, di fronte all’autorità religiosa, e in questo caso il vescovo di Coira, intransigente conservatore. Ora, appunto perché sanno di muoversi su un terreno ancora da conquista,
in cui permangono non soltanto remore di tipo ecclesiale ma anche tenaci pregiudizi popolari, gli omosessuali si stanno rivelando convinti sostenitori del matrimonio formalizzato che, ai loro occhi, assume un significato simbolico: una sfida vinta. E sul piano materiale, diventa una cerimonia da celebrare rispettando i classici crismi del caso. Quindi, abiti e pettinature adeguati, festeggiamenti allargati a parenti, amici, colleghi, brindisi, torte multipiani, esibizione di regali, foto e film ricordo, e infine viaggi di nozze verso mete da luna di miele. Di conseguenza, i gay e le lesbiche, nuovi fan di questo rituale, sono adesso una categoria di consumatori da tenere d’occhio. Ai quali mostre come la Colored Love offrono soluzioni su misura per esigenze specifiche. Ad esempio, per quel che concerne i viaggi, assicurare ai novelli sposi sistemazioni in alberghi dove gli omosessuali non siano costretti a nascondere la loro identità.
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Promettiamo a Jay di applicare entro il 2020 gli elevati standard svizzeri relativi al benessere degli animali anche ai nostri prodotti dall’estero. La Migros s’impegna sin da oggi a favore di un approccio verso gli animali attento al loro benessere e garantisce, in collaborazione con i suoi partner, tra cui la Protezione svizzera degli animali PSA, il rispetto entro il 2020 delle severe direttive svizzere anche all’estero. Con questa e altre numerose promesse concrete ci impegniamo per la generazione di domani.
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Ambiente e Benessere Torna il Salone di Ginevra Sul lago Lemano, mancano dieci giorni all’avvio dell’elvetica kermesse automobilistica pagina 15
Le ragioni del successo Ecco riassunte le 15 «situazioni», che guidano la preferenza dei clienti nella scelta del ristorante migliore
Nella terra degli orsi In barca a vela fra le nove isole delle Svalbard in Norvegia, dove la natura è ancora padrona
Grandi predatori La Confederazione vuole una nuova regolamentazione per il nostro territorio
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Il nuovo impianto inaugurato a Dübendorf. (Neugut)
Microinquinanti, sfida per i depuratori Ecosostenibilità Troppi rifiuti finiscono ancora nelle fognature, mentre negli impianti di depurazione
si cercano soluzioni per annientare residui di medicinali, di cosmetici e di tant’altro – Seconda parte Elia Stampanoni In Ticino, come spiegato nel precedente articolo, sono 27 i depuratori che permettono di trattare le acque di scarico e smaltire nel modo corretto gli inquinanti e le sostanze dannose presenti (v. «Azione» del 15.12.2014). Negli ultimi anni però, anche grazie a nuovi strumenti di misurazione, un nuovo problema attanaglia il settore e il nostro ambiente, quello dei microinquinanti. I primi allarmi sono nati dopo l’osservazione di pesci maschi, nei quali si erano sviluppate delle uova. Anche in alcuni vegetali sono state osservate delle anomalie genetiche di questo tipo. La causa risiede in queste particelle, che sono in grado di creare gravi scompensi all’ecosistema anche in basse concentrazioni e che sfuggono per ora ai consueti metodi di depurazione. Per fare un esempio, derivano dai residui di medicinali e cosmetici che finiscono nelle canalizzazioni tramite urina e feci (è quindi da evitare l’abuso di tali farmaci) oppure dai prodotti della pulizia. Presso il depuratore di Bioggio, la Supsi (Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) sta effet-
tuando delle prove per eliminare i microinquinanti dall’acqua. A Dübendorf (Neugut), invece, lo scorso settembre è stato inaugurato un nuovo impianto che, secondo le intenzioni, dovrebbe annientare tali sostanze. Artefice del successo sarebbe l’ozono che, iniettato nell’acqua, rompe le molecole, rendendole innocue. Si tratta del primo impianto del genere in Svizzera e la Confederazione intende ora dotare almeno 100 delle 700 installazioni con questo innovativo procedimento. I grossi impianti situati nelle vicinanze di corsi d’acqua e di laghi saranno i primi a essere coinvolti e l’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) ha elaborato nuove strategie per migliorare la qualità delle nostre acque, rinnovando la legge e ordinando il finanziamento del potenziamento di alcuni impianti di depurazione (il primo a Dübendorf). Nonostante i progressi della tecnica è comunque, sempre e ancora il consumatore a dovere evitare che tali sostanze finiscano nel luogo sbagliato, eliminandole nel luogo corretto ma anche evitandone lo spreco e l’abuso. Sono oltre 30mila i microinquinanti in Svizzera che provengono da
diversi prodotti di uso quotidiano, come medicinali, detergenti o prodotti per il corpo, nonché da prodotti fitosanitari o per la protezione dei materiali. Come detto questi contaminanti finiscono nelle acque attraverso gli scarichi, i canali di scolo o il dilavamento di superfici agricole utili. Essi sono costituiti essenzialmente da sostanze organiche che, già a bassissime concentrazioni (un miliardesimo fino a un milionesimo di grammo per litro), possono avere effetti negativi sia sugli organismi acquatici sia sulle riserve d’acqua potabile. Se liberate nelle acque, queste sostanze possono causare gravi e irreparabili problemi. Erbicidi contro le malerbe inibiscono per esempio la fotosintesi delle alghe, insetticidi danneggiano il sistema nervoso degli animali acquatici, perturbatori endocrini compromettono la riproduzione dei pesci. Certe sostanze possono avere altri effetti collaterali sugli organismi acquatici, come leggiamo sulla relativa pagina del sito dell’Ufam: «Il diffuso antidolorifico Diclofenac può provocare danni ai reni nell’uomo e si osservano gli stessi disturbi anche nelle trote. I ritardanti di fiamma, utilizzati per esempio nei
mobili imbottiti o in apparecchi elettrici per prevenire gli incendi, possono pregiudicare la riproduzione degli organismi acquatici. Sono possibili anche conseguenze più insidiose, come disturbi comportamentali, riduzione dell’orientamento olfattivo o danni al sistema immunitario». Inutile dire che i microinquinanti si possono diffondere facilmente all’acqua potabile, dato che in Svizzera oltre l’80 per cento proviene dal sottosuolo. E l’acqua dei fiumi contaminata può infiltrarsi nelle acque sotterranee minacciandone la qualità. Secondo l’Ufam, in base alle attuali conoscenze, le concentrazioni di microinquinanti misurate nelle acque sotterranee e superficiali non sono pericolose per la salute umana ma, per precauzione, andrebbero diminuite il più possibile. «La Svizzera non è l’unico Paese a occuparsi dei microinquinanti e il problema è già stato riconosciuto anche da varie commissioni internazionali di protezione delle acque e dall’Unione europea». I microinquinanti, una minaccia per l’ambiente ma anche per l’uomo, sono una sorta di nuova sfida per i depuratori, che devono comunque
sempre confrontarsi anche con problematiche più tradizionali. Per esempio eliminando dalle acque luride stracci, ovatta, bastoncini per le orecchie, mozziconi, farmaci e altri oggetti o sostanze pericolose che ancora vengono gettati nei gabinetti o nei lavandini di casa. Una volta scomparsi nelle tubature, questi rifiuti vanno a finire agli impianti di depurazione, che non sono però pensati per recuperare questa tipologia di spazzatura. Nelle griglie poste in entrata dell’impianto depurazione acque di Bioggio vengono bloccati con regolarità pannolini, stoffe e altri materiali che, oltre a generare costi inutili, se passassero al depuratore potrebbero danneggiare e ostacolare l’intero sistema. Delle cattive abitudini difficili da sradicare e che ancora si riscontrano troppo sovente. L’acqua in uscita dal depuratore è oggi da considerare pulita (anche se di certo non potabile): la carica batterica viene ridotta ai minimi termini e anche i problemi legati agli eccessi di azoto e fosforo sono stati risolti con la costruzione di attrezzati depuratori. Ora bisognerà far fronte alla nuova minaccia dei microinquinanti.
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Ambiente e Benessere
Il Salone dell’Auto di Ginevra scalda i motori
Il grande Jackpot dei formaggi
Motori Molte le novità tra prototipi
e nuovi modelli Mario Alberto Cucchi Fra dieci giorni prenderà il via la kermesse dell’auto elvetica. Moltissime le novità a quattro ruote che debutteranno sulle sponde del lago Lemano. Tra queste, la nuova Aston Martin Vantage GT3, un modello che sarà prodotto in serie limitata e avrà un prezzo superiore ai 200mila franchi. Tra le sportive anche la compatta Audi RS 3 Sportback che ha sotto il cofano un motore da record: un 5 cilindri 2.5 litri TFSI che eroga una potenza di ben 367 cavalli con 465 Newton/metro di coppia massima.
A contendere gli sguardi degli appassionati anche la Ferrari 488 GTB, cioè, la nuova sportiva con motore V8 biturbo Al Salone dell’Auto di Ginevra anche la nuova versione della Bmw Serie 2 Gran Tourer in grado di ospitare fino a sette persone. Sarà esposta a Ginevra anche l’ultima Bugatti Veyron prodotta, l’esemplare numero 450: una Gran Sport Vitesse da 1200 cavalli. A contendere gli sguardi degli appassionati la Ferrari 488 GTB. La nuova sportiva di Maranello ha un motore V8 a 90° biturbo di 3902 centimetri cubi con una potenza massima di 670 cavalli a 8mila giri per una velocità massima di oltre 330 chilometri orari. Tra le ibride spicca la nuova Honda NSX che arriva in Europa dopo il debutto al Salone di Detroit della versione con marchio Acura. A spingerla un propulsore tradizionale V6 biturbo con angolo fra le bancate da 75° abbinato al cambio doppia frizione a nove marce e ai tre motori elettrici del sistema Sport Hybrid. Si sa ancora poco invece del prototipo Mitsubishi per Ginevra: di certo si tratterà di una crossover con powertrain ibrido plug-in, inoltre si sa che non sarà a trazione integrale. Al Salone di Ginevra di marzo Suzuki presenterà in anteprima mondiale due nuovi prototipi. La concept iK-2 rappresenta una compatta dalle dimensioni ideali e sviluppa il tema innovativo di Harmonised Force, combinazione tra gli elementi chiave di un’auto di tali dimen-
sioni elevate all’ennesima potenza. La concept iM-4 svela invece un mini 4x4 intorno al tema Shape the Inspiration. Anche Lexus sarà protagonista al Salone di Ginevra. Lo stand della Casa giapponese ospiterà l’anteprima mondiale di una nuova concept della quale al momento non sono stati svelati dettagli. Il brand di lusso del Gruppo Toyota esporrà inoltre, e in anteprima europea, alcune recenti novità già presentate negli ultimi Saloni americani di Los Angeles e Detroit. Stiamo parlando della Concept LF-C2, studio stilistico di una roadster 2+2 di lusso che anticipa il futuro linguaggio del design, e della GS F, raffinato coupé a cinque porte, caratterizzato da agilità e prestazioni da sportiva. La vettura è spinta da motore aspirato V8 di 5 litri da 477 cavalli e 530 Nm di coppia. Queste sono solo alcune delle molte novità per cui vale la pena programmare una visita al Salone dell’Auto di Ginevra. Notizia dell’ultima ora: il Governo francese vuole diffondere le auto elettriche nel Paese. A partire da aprile offrirà infatti un contributo di 10mila euro ai possessori di una vecchia vettura alimentata a gasolio, e con almeno 13 anni di anzianità, per incentivarli a passare a un’auto zero emissioni. La Francia dovrebbe così superare la Norvegia tra i mercati leader nelle EV. Tornando al Salone di Ginevra, le porte si apriranno per la stampa il prossimo 3 marzo, mentre l’apertura al pubblico è in programma dal 5 al 15 marzo. Dal lunedì al venerdì si potrà entrare dalle 10 alle 20, mentre l’orario osservato nelle giornate di sabato e domenica è spostato di un’ora (9-19). I biglietti si possono comprare anche online attraverso un link che si trova sul sito ufficiale al costo di 16 franchi per gli adulti, si scende a 9 franchi per i ragazzi e 11 franchi per i gruppi di oltre venti persone. Per chi intende entrare dopo le 16 i biglietti costeranno la metà. Gli organizzatori hanno anche studiato un pacchetto comprensivo di biglietto e pernottamento per una notte, a partire da 77 franchi.
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Ambiente e Benessere
Mumm, uno champagne nella storia Vini senza frontiere Anche un ticinese ha contribuito al successo
Grimod L’inizio di un’avventura destinata a diventare una celebre marca di champagnes risale al 1. marzo 1827 a Reims. Un certo G. Heuser con quattro germanici: Jacobs, Gottlieb Philippe Mumm che sono fratelli e Friedrich Giesler si uniscono per creare sotto la ragione sociale «P. A. Mumm Giesler et C» un’impresa il cui scopo era il commercio di vini della Champagne.
Nel 1830 «42 bottiglie di vino bianco spumante sono state inviate a Francoforte per essere vendute a fr. 1,50 l’una» Che cosa si sa di questi padri fondatori? Friedrich Giesler è renano, ed è tutto quanto si conosce delle sue origini. Jacobs (1779-1835), Gottlieb (17832-1852) e Philippe (11742-1842) Mumm hanno un forte potenziale dovuto al loro padre Peter Arnold Mumm (1733-1797). Quest’ultimo, proveniente da una famiglia proprietaria di importanti vigneti nella valle del Reno, aveva cre-
ato nel 1761 un commercio di vini sotto il nome «Peter Arnold Mumm» con sede a Colonia e con una succursale a Stoccarda. I tre figli erano impegnati nell’impresa. Senza dubbi sono gli uomini forti della P. A. Mumm, potendo disporre dei grossi mezzi finanziari di papà Peter Arnold. Poco o nulla si sa del passato e della personalità di G. Heuser. Ben stabilito nella piazza di Reims, ha una clientela internazionale che cerca di sensibilizzare verso la nuova società. Si vedano le poche righe di una lettera datata 12 settembre 1827 e inviata a un commissionario di Marsiglia. «Pour les conditions de vente nous vous proposons d’adopter les mêmes quin existent entre vous et notre Sieur Geier Heuser». Dai libri contabili della società si desume, tra l’altro, che nel 1830 «42 bottiglie di vino bianco spumante sono state inviate a Francoforte per essere vendute (availlées) a franchi 1,50 l’una». Ci si può domandare che cosa spinge i signori Mumm e Giesler a estendere i loro interessi in Francia. In primo luogo, ragioni personali, ma anche i costumi dei tempi. Nella pace cordiale succeduta alle guerre dell’Impero, la parte germanica occidentale e la Champagne mantengono relazioni
di buon vicinato, segnatamente nel settore commerciale. Dalla sua corrispondenza, i biografi hanno desunto che lui ha la fiducia dei banchieri parigini Rougemont de Löwenburg. Era forse francese? Era forse un germanico venuto a stabilirsi a Reims? Sembra che avesse sposato una donna della Champagne. La signora Heuser partecipa alla vita della società e rende visita ai fornitori. In questa nuova impresa, G. Heuser è anche gerente: ha diritto di firma individuale e rende conto della sua attività agli associati rimasti in Germania, da dove dirigono con mano ferma la società di Reims. Il racconto di tutta la storia successiva fino quasi ai nostri giorni prenderebbe numerose pagine. Facciamo quindi un bel salto per menzionare un bellinzonese, Marzio Snozzi di formazione avvocato, che è stato artefice dei successi della Mumm perché negli anni Ottanta è stato nominato vicepresidente (in Francia era vietato nominare un presidente straniero!) della grande casa di Reims. Marzio Snozzi si era poi ritirato in Vallese – a Vissoie – dov’era deceduto, una ventina d’anni fa. Mentre scrivo, nella memoria si affollano numerosi ricordi. Tra i tanti mi capita tra le mani un libro- Champagne
Marzio Snozzi nel 1974. (Archivio Gastronomie&Tourisme Magazine )
romane – ricevuto in regalo da Marzio il 28 dicembre 1985 con questa dedica: «Al carissimo Grimod, con la speranza di riceverlo presto a Reims, capitale della Champagne e centro storico e spirituale della Francia. Cordialmente Marzio G. Snozzi». È la cinquantesima
edizione della collana La nuits des temps pubblicata da «Zoduaques», rivista d’arte trimestrale francese. L’amico Alberto Dell’Acqua mi informa che Marzio Snozzi ha pure diretto altre due importanti case: PerrierJouët e Heidsieck-Monopole. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
Ambiente e Benessere
Le quindici regole del successo Gastronomia Che cosa attira davvero i clienti in un ristorante piuttosto che in un altro?
Eugenio Medagliani è un caro amico, da tanti anni. Di mestiere vende attrezzi per la cucina, di passione è un acutissimo analista del mondo della ristorazione, uno dei più lucidi che io abbia mai incontrato. Lo vedo spesso, parlare con lui è sempre piacevole e imparo comunque sempre qualcosa: le sue sono delle lezioni meravigliose.
Tra le regole del successo conta il primo impatto, ovvero l’accoglienza del proprietario o del personale, così come la loro cortesia e il sorriso garbato Qualche tempo fa, durante un nostro incontro abbiamo incominciato a parlare di un tema interessante: quali sono le ragioni del successo o meno di un ristorante, quali i motivi che spingono gli utenti a sceglierne uno piuttosto di un altro? La sintesi di questa discussione è contenuta in un suo messaggio, in cui riassume le 15 «situazioni» da lui identificate, che guidano la nostra preferenza. Importante: sono elencate in ordine logico, dove la prima è più significativa della seconda, la seconda della terza e così via. Le voglio condividere con voi, dopo aver chiesto ovviamente il suo consenso. 1) L’indirizzo, cioè l’ubicazione nell’ambito della città. 2) La facilità di parcheggio, soprattutto per la sicurezza e la distanza. 3) L’aspetto esteriore dell’immobile, la sua bellezza, difficile da definire ma facile da riconoscere. 4) L’aspetto e l’importanza dell’ingresso, la sua capacità di metterci più o meno a nostro agio e di attirarci dentro. 5) Il primo impatto, l’accoglienza del proprietario o del personale, la loro cortesia, il sorriso garbato. 6) Il guardaroba
deve essere molto sicuro: nessuno ama lasciare abbandonato a sé il paltò. 7) La gradevolezza dell’arredamento e della sala, il loro equilibrio stilistico, che devono essere adeguati al livello del ristorante, mai inferiori ma neanche superiori. 8) La presentazione del tavolo: dalle posate alle porcellane, dalle tovaglie ai bicchieri. Deve essere adeguato al livello del ristorante e alla sua collocazione. 9) L’aspetto della carta delle vivande (non si chiama menù!), la descrizione accurata di tutti i piatti (che ne sappiamo se leggiamo: bucatini alla bella zia?), le eventuali lingue straniere per aiutare nella scelta chi non conosce la nostra lingua. 10) Lo stuzzichino e l’aperitivo iniziali, che ovviamente non dovranno essere poi inseriti sul conto. 11) La gentilezza e i suggerimenti nella presa della comanda. 12) Stessa accuratezza per la carta dei vini. 13) La distribuzione esatta dei piatti ai vari commensali senza chiedere: di chi è... 14) L’impatto visivo del piatto, ovvero l’arte di posizionare armonicamente le vivande. 15) E da ultimo: il gusto, il profumo e la qualità intrinseca del cibo che ci viene offerto. Sarà vero? Vedete un po’ voi, concordo con lui al 100 per cento. Certo, se rispetti i primi 14 parametri qui indicati, non è un motivo sufficiente per decidere di cucinare male, ci mancherebbe! Però se questo schema è valido servirebbe a spiegare un arcano. Al di là delle differenze di gusto e della voglia di «andare controcorrente» che colpisce qualche critico, tutte le guide ai ristoranti e tutti quelli che scrivono di ristoranti sui giornali (o quasi, le eccezioni esistono sempre…) basano il loro giudizio quasi esclusivamente sul livello della cucina dei ristoranti: il resto è considerato ininfluente. Ma molto spesso il pubblico ne premia altri, senza sentire ragione; ristoranti che prosperano nella latitanza di un qualunque supporto dei critici. Bene, io credo che l’analisi di Medagliani dia un forte contributo a svelare questo mistero.
CSF (come si fa)
SauceSupreme
Allan Bay
Mastro Martino è stato il più grande cuoco «italiano» della metà del Quattrocento: ho messo le virgolette a italiano perché pur avendo operato tutta la vita nello Stivale in realtà era ticinese, della Valle di Blenio. Fra i suoi piatti più celebri, il rotolo di pollo. Vediamo come si fa. Ovviamente la ricetta è stata adattata ai tempi di oggi. Rotolo di pollo alla Martino. Ingredienti per 4 persone: 400 g di petto di
pollo già affettato, 300 g di pancetta dolce, 1 bustina di zafferano, 1 mela, 40 g di pinoli, 100 g di un mix di frutta secca (fichi, prugne, albicocche), ginepro, cannella in polvere, chiodi di garofano in polvere, noce moscata, 1 pezzetto di radice di zenzero, brodo di pollo (o vegetale), sale e pepe. Tagliate a pezzetti la frutta secca. Sbucciate e grattugiate lo zenzero. Tostate i pinoli per pochi istanti in una padellina. Schiacciate 3 o 4 bacche di ginepro col manico di un coltello. Mettete un foglio di pellicola da cucina su un canovaccio. Disponete sopra metà delle fette di pancetta leggermente sovrapposte e una presa di ginepro. Coprite con le fettine di petto di pollo. Cospargete la carne con lo zafferano, una presa di sale e una di pepe. Coprite ancora con la pancet-
ta rimanente. Sistemate ora la frutta secca e la mela mondata, sbucciata e tagliata a fiammifero. Unite i pinoli e lo zenzero grattugiato. Profumate con una grattata di noce moscata, un pizzico di cannella e di chiodi di garofano. Arrotolate su se stesso il pollo in modo da formare un salsicciotto avvolto dalla pellicola. Stringete bene alle estremità e cuocete a vapore per 20’. Trascorso il tempo necessario, fate raffreddare, togliete la pellicola e rosolate il rotolo di pollo in forno a 220° per 10’ circa. Durante la cottura, bagnate il pollo col brodo per evitare che asciughi troppo. Disponete il rotolo di pollo su un piatto da portata, nappatelo con il suo fondo di cottura e servitelo affettato. Accompagnatelo con una composta di cipolle o con riso pilaf.
Ballando coi gusti
Manuela Vanni
Manuela Vanni
Oggi vi proponiamo un semplicissimo piatto a base di sedano rapa, che è un po’ antipasto e un po’ contorno, e un ottimo burger di scorfano.
Sedano rapa con maionese allo yogurt
Scorfano, sedano e patate con salsa di pomodoro e peperoncino
Ingredienti per 4 persone: 1 sedano rapa · 250 g di yogurt bianco magro ·
Ingredienti per 4 persone: 4 panini da hamburger · 600 g di filetti di scorfano ·
1 mazzetto di dragoncello · 15 g di senape dolce · 1 limone · olio di oliva · sale e pepe.
400 g di patate a pasta gialla · 100 g di sedano verde · insalatina a piacere · salsa di pomodoro · olio di oliva · sale e pepe.
Eliminate la buccia del sedano rapa e tagliatelo a julienne aiutandovi con una mandolina. Se non lo consumate subito mettetelo a mollo in acqua fredda e succo di limone fino al consumo. Condite lo yogurt con la senape, l’olio, il sale, il pepe e il dragoncello tritato. Scolate dall’acqua il sedano rapa e conditelo con poche gocce di limone, sale, pepe e olio. Distribuite l’insalata di sedano rapa in piatti da portata e nappate con salsa. Potete arricchire la vostra insalata con scarola riccia, gherigli di noce oppure con germogli di soia.
Tagliate i filetti di scorfano in piccoli cubetti e conservateli in frigorifero. Lavate le patate, cuocetele al vapore per 35’, scolatele, lasciatele intiepidire, pelatele ancora calde e passatele allo schiacciapatate. In una terrina lavorate con cura la tartare di scorfano, con una piccola cubettata di sedano, le sue foglie e le patate schiacciate, quindi regolate di sale e di pepe. Aiutandovi con degli stampi per biscotti, stampate 4 burger di uguale misura e lasciateli riposare in frigorifero per almeno 30’. Arrostite i burger in padella antiaderente ben calda per almeno 3’ per lato. Serviteli nel panino tagliato a metà e tostato, aggiungendo anche un po’ di insalatina e di salsa di pomodoro.
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Ambiente e Benessere In viaggio tra foche e trichechi sulla banchisa, orsi, gabbiani, terne, urie e pulcinelle di mare.
In barca a vela tra i ghiacci Il diario di Daisy Il fascino della navigazione dell’Isfjorden nella luce soffusa della notte artica alle isole Svalbard Daisy Gilardini, testo e foto Negli ultimi venticinque anni del mio girovagare il mondo, ho visitato più di settanta Paesi, ma solo a Longyearbyen alle Svalbard in Norvegia ho potuto leggere nel libretto illustrativo dell’hotel, quello riposto sul comodino, la frase: «Non lasciate il vicinato senza portare con voi un fucile che siate in grado di utilizzare adeguatamente». Viene ovviamente da chiedersi, perché mai visitare un luogo con tanta criminalità? Ma una volta arrivati alla reception dell’hotel, il mistero viene subito svelato quando, di fronte agli ospiti appare un armadietto con la scritta «siete pregati di lasciare le vostre armi (fucili, pistole, revolver) nell’armadietto preposto: all’interno dell’albergo non vi sono orsi polari». Di fatto, in quest’arcipelago, composto di nove isole principali e localizzato ben oltre al circolo Polare Artico, vivono più orsi che persone. La storia di queste isole è molto recente. La sua scoperta, secondo gli annali islandesi, risale al 1194, ma le Svalbard rimasero sconosciute al mondo moderno fino alla loro riscoperta da parte dell’esploratore olandese Willem Barents nel 1596. Nella terra dalle «fredde coste» – questa la traduzione di Svalbard – nessuna popolazione ha mai risieduto permanentemente.
Volpi che giocano.
Le industrie baleniere olandesi e inglesi, seguite a ruota da quelle francesi, danesi, norvegesi e russe, presero il sopravvento sulle coste fino al declino dell’attività che avvenne nel 1800. Un secolo più tardi l’industria del carbone cominciò lo sfruttamento delle risorse e con essa prese avvio anche la battaglia per i diritti minerari reclamati da varie nazioni. Solo dopo il riconoscimento della sovranità norvegese i diritti minerari vennero assegnati in egual misura ai pretendenti tramite la firma di un trattato. Nonostante la bandiera norvegese e, a causa del trattato, le Svalbard ancora oggi hanno uno assetto istituzionale molto particolare e semi indipendente con un’amministrazione locale (sysselmann) sotto l’influsso di tutti i Paesi firmatari. Atterriamo all’aeroporto «internazionale» di Longyearbyen a notte fonda. A darci il benvenuto non poteva mancare un orso polare… imbalsamato, purtroppo o per fortuna visto che non abbiamo ancora con noi i fucili! Il sorriso malinconico per la fine ingloriosa di questo magnifico esemplare, lascia però presto spazio alla grande speranza nel cuore di vederne molti altri girovagare tra i fiordi. Fuori dal terminal il sole splende alto nel cielo. Quello di mezzanotte fa capolino verso la fine di aprile e i suoi
raggi scompaiono a fine ottobre. Considerando che l’arcipelago si trova a una latitudine tra i 74 e gli 81 gradi a nord, le temperature sono miti con una media estiva di +7C. Trascorriamo il giorno successivo nel piccolo villaggio abitato da circa 2500 anime e ci prepariamo alla nostra avventura su «Arctica», una barca a vela di 15 metri con chiglia in acciaio. Non è cosa facile pensare al menù per sei persone per venti giorni ed è ancora più difficile far entrare tutto nella piccola stiva. Stanchi ma super eccitati, salpiamo verso sera. La navigazione dell’Isfjorden
nella luce soffusa della notte artica è affascinante. Nonostante il pilota automatico e il radar dormiamo a turno. A coppie teniamo, infatti, il timone controllando l’orizzonte per evitare la fine umiliante del «Titanic» e ogni possibile incontro ravvicinato con gli iceberg. Sono le quattro di mattina quando il nostro skipper ci butta giù dalle cuccette. Con gli occhi ancora appiccicaticci esco sul ponte a vedere cosa succede. A un centinaio di metri da noi sulla banchisa ricoperta di un fresco strato di neve scorgo qualcosa di gialliccio. Mi strofino gli occhi con la manica del
Il riposo dell’orso dopo la caccia alle foche.
L’imponente renna che si affaccia dall’alto del fiordo.
pigiama e, quando finalmente realizzo che si tratta di un orso, corro in cabina a mettermi qualcosa di caldo e a prendere la macchina fotografica. A motori spenti, mossi solo dalla corrente, ci avviciniamo. Un’atmosfera irreale, tra calma e tensione, eccitamento e paura. Al momento in cui la chiglia della barca tocca la banchisa, l’orso ci degna di uno sguardo, quasi come un bimbo che sbircia da sotto le coperte. Restiamo con lui tutta la mattina a osservarlo: si sveglia, si stiracchia, quindi sbadiglia e poi scende in acqua a nuotare attorno alla barca incuriosito dalla nostra presenza. Nel pomeriggio raggiungiamo i magnifici fiordi della costa Nord occidentale. Ci facciamo strada tra una miriade di piccole lastre di ghiaccio, iceberg sgretolati originariamente staccatasi dall’imponente facciata del gigantesco ghiacciaio a qualche centinaio di metri da noi. Proseguiamo in gommone alla ricerca di foche. In un labirinto incantato fatto di ghiaccio, presto dimentichiamo l’oggetto della nostra ricerca. Rapiti da tale bellezza, da forme e colori, ombre e penombre, luci e riflessi, madre natura ci offre il meglio dell’arte locale. Il copione si ripeterà giorno dopo giorno, navigando e scoprendo le bellezze che i fiordi gelosamente nascondono tra i ghiacci perenni. Foche e trichechi che sonnecchiano sulla banchisa, orsi a caccia di foche, volpi che spensieratamente giocano a qualche metro da noi, gabbiani, terne, urie e pulcinelle di mare per finire con l’imponente renna che, dall’alto del fiordo, ci sorveglia con la coda dell’occhio. A dispetto dello sfruttamento delle risorse animali e minerarie del passato, oggi, fortunatamente, due terzi dell’arcipelago sono protetti e contano sette parchi nazionali e 23 riserve naturali. Negli ultimi quarant’anni, la caccia nell’arcipelago è stata regolata rigorosamente. Dal 1973 la caccia all’orso è proibita, ma nonostante la popolazione si stia lentamente riprendendo, gli scienziati sono molto cauti, considerata la perdita di habitat dovuta ai cambiamenti climatici in corso.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Ambiente e Benessere
Novità per lupo e lince Mondoanimale La Confederazione vuole una nuova regolamentazione della gestione
dei grandi predatori sul nostro territorio Maria Grazia Buletti «In Svizzera il ritorno di lupo, lince e altri grandi predatori solleva da anni reazioni controverse», così si è espresso a inizio anno l’Ufficio federale dell’ambiente (Ufam) a proposito di un tema – quello del ritorno dei grandi predatori sul nostro territorio – affrontato a più riprese anche da noi. In particolare su «Azione» abbiamo parlato di lupo, orso e lince, seguendone le sorti e cercando di riportare le ragioni di chi ne sostiene il ritorno e il ripopolamento in Svizzera, così come di coloro i quali vi devono fare i conti direttamente badando, ad esempio, alla difesa della stabulazione libera dei loro animali da reddito. Fra gli scritti più recenti, lo scorso mese di settembre abbiamo dato voce all’allevatore di montagna Eros Beroggi, da vent’anni alla guida dell’azienda agricola di Cerentino ereditata dal padre, che ha riassunto le difficoltà legate al lupo in poche ma significative paro-
le: «Non c’è futuro ad allevare pecore quassù: a causa del lupo lotti contro una forza insuperabile». In quell’occasione, si era potuto esprimere anche l’ingegner Loris Ferrari, caposezione dell’ufficio agricoltura del Dipartimento economia e finanze (Dfe) del nostro Cantone, a proposito della possibilità o delle difficoltà di convivenza con il lupo sul nostro territorio (vedi: «Azione 40» del 29 settembre 2014). Inoltre, il sunto delle più recenti riflessioni per meglio comprendere lupo, orso e lince era stato pubblicato a novembre dello scorso anno, quando l’esperta di grandi predatori Joanna Schönenberger ci aveva concesso uno degli ultimi scambi di idee (riportato nel numero 47 del 17 novembre 2014). La realtà odierna fa i conti con l’aumento del numero di esemplari di lupi e la formazione di branchi. La Confederazione, per voce dell’Ufam, sostiene infatti che oggi la situazio-
Tutto sui pulcini Mangiamo in media mezzo uovo al giorno e questa stima si basa sul fatto che le uova che quotidianamente la nostra alimentazione «nasconde» si trovano, ad esempio, in prodotti alimentari come le paste, la maionese, i biscotti e in tanti altri ancora. Da dove provengono queste uova? In quali condizioni sono allevate le galline ovaiole? Chi è la gallina che sta dietro all’uovo à la coque della nostra colazione? Un animale con le piume vaporose e lucide, che può raspare ogni giorno il terreno di un pollaio e fare i suoi proverbiali bagni di sabbia? O una gallina stravolta, mezza
spiumata, neppure più in grado di esprimere il comportamento naturale della propria specie, né lasciare la gabbia che condivide con una cinquantina di sue consorelle? Quest’ultimo tipo di allevamento è proibito in Svizzera dal 1991, sebbene l’importazione di uova da altre nazioni sia comunque autorizzata. Queste informazioni, questioni e le loro relative risposte ci attendono alla trentesima edizione dell’Esposizione temporanea dei Pulcini al Museo di storia naturale di Friborgo, che avrà luogo dal 14 marzo al 19 aprile 2015 (www.mhnf.ch).
ne è cambiata: «Sono state espresse preoccupazioni, in particolare dagli agricoltori, dai cacciatori e dalla popolazione di montagna, per tener conto delle quali la Confederazione vuole consentire a determinate condizioni un abbattimento agevolato di lupi». Partendo da questo presupposto, l’Ufficio federale dell’ambiente elaborerà, su mandato della consigliera federale Doris Leuthard, la relativa revisione dell’ordinanza federale sulla caccia: «Quest’ultima renderà possibile anche l’abbattimento di giovani lupi in zone dove sono presenti branchi, nel caso in cui giovani individui dovessero aggirarsi ripetutamente all’interno o nelle immediate vicinanze di insediamenti umani e mostrare scarso timore nei confronti degli stessi». Ciononostante, il lupo continuerà a essere considerato una specie protetta. Intanto l’Ufam ha commissionato un progetto nel quale verrà studiato il comportamento dei giovani lupi del branco presente in Calanda (GR). Per questo ci siamo chiesti cosa dovrebbe cambiare e abbiamo compreso che, secondo la revisione delle direttive tecniche della Confederazione per la gestione del lupo, la cosiddetta «strategia del lupo» viene a cadere, mentre resta in vigore la «Strategia Lupo» datata 2008. L’Ufam illustra così il nuovo progetto sul comportamento dei giovani lupi in Calanda: «Non è ancora noto come si sviluppano i giovani lupi in un paesaggio alpino fortemente plasmato dall’uomo e come utilizzano il loro spazio vitale». Sappiamo che il primo branco di lupi della Svizzera vive dal 2012 in Calanda (Canton Grigioni) e l’Ufam si dice convinto che occorra sfruttare questa opportunità per conoscere meglio il loro comportamento: «Per questo motivo, abbiamo avviato un progetto della durata minima di
Portata a termine anche una consultazione sulla strategia «Lince Svizzera».
tre anni nell’ambito del quale verranno studiati, tra l’altro, le circostanze e i motivi per i quali questi animali cercano insediamenti umani, come pure le relative modalità». L’Ufam ritiene inoltre interessante riuscire a scoprire se e quando le misure dissuasive per allontanare giovani lupi sono efficaci, oppure come reagirebbe il branco se dovesse essere abbattuto un giovane lupo. La «Strategia Lince», invece, continuerà come previsto: «Essa deve essere rielaborata a seguito della revisione del 2012 dell’ordinanza sulla caccia. Sarà introdotta la possibilità di regolare una popolazione se, a causa della presenza di linci, i Cantoni non possono più garantire un utilizzo venatorio adeguato». Inoltre, affinché i Cantoni possano presentare all’Ufam le perdite nell’esercizio delle regalie della caccia all’in-
terno di unità territoriali adeguate dal punto di vista della biologia della fauna selvatica, la suddivisione in compartimenti principali e compartimenti parziali sarà soggetta a una nuova regolamentazione. Una storia in evoluzione, dunque, quella dei grandi predatori presenti sul territorio elvetico: la scorsa estate l’Ufam ha compiuto una consultazione sulle strategie «Lupo Svizzera» e «Lince Svizzera», il cui rapporto di valutazione in merito alle 178 prese di posizione pervenute è ora disponibile. Infine, qualche ulteriore step: l’indagine concernente la modifica dell’ordinanza sulla caccia è prevista durante questo primo trimestre dell’anno, mentre l’ordinanza riveduta potrebbe entrare in vigore al più presto il 1° giugno 2015. Una storia, quello che riguarda soprattutto il lupo, ancora tutta da scrivere.
Giochi Cruciverba Il marito alla moglie: «Cara, sai cosa hanno di diverso galli, galline e polli da tacchini, oche e anatre?» – «No caro, cosa?» Scopri la risposta risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 6, 4)
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ORIZZONTALI 1. Le showgirls di Striscia la notizia 6. Un vento 10. Primo in assoluto 11. Famosa attrice italiana 12. Si organizza per diporto 13. Sinistre sentinelle 14. Succhiano nei calici 15. L’attore Bova 16. Le iniziali dell’attore Insinna 17. Un Carlo scrittore 18. Superficie scoperta di un edificio 19. Aumentano in età avanzata 20. Primo elemento di parole attinente al sistema nervoso 21. Le iniziali del patriota Manara 22. Le iniziali di Tolstoj 23. Sussistono nel presente VERTICALI 1. Vive spostandosi continuamente 2. Eroe della mitologia greca 3. Elementi del poligono 4. Bassissima 5. Non lo dice il compiacente 6. Ricevuta di consegna merce 7. Si contano nella scopa... 8. Nota sovrana 9. Rende irrequieti 11. In coppia con Bonolis 13. Uguali in quantità 15. Fiume europeo 16. Il regista Zeffirelli (Iniz.) 18. Tignole 19. Dei quadrupedi 22. Le separa la «m»
Sudoku per geni Scopo del gioco
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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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5 Soluzione della settimana precedente
Il proverbio nascosto – proverbio risultante: La buona merce si loda da sé. C A R L A U L N A T A M I C I R E A L E A S C A R N O C R A R L E A A S V O O S T I
S A M N A T O E L E C A G M A I I N O T O N I A D I O C E S A V E
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Politica e Economia Narcos connection: 6.puntata Nelle prigioni brasiliane le bande criminali hanno imparato a usare la musica funk per fare proselitismo, propaganda e celebrare le rivolte carcerarie
Il commercio e il Ticino Un recente studio dell’USI analizza il ruolo che tale settore gioca nell’economia cantonale
Conti (quasi) in rosso Nel 2014 le entrate fiscali della Confederazione sono calate di 2 miliardi, un segnale d’allarme
Dopo Gheddafi il diluvio A scuola di jihad Libia Nel quarto anniversario della rivoluzione il Paese è al collasso
totale con la guerra, due parlamenti, due governi e l’Isis in casa
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Marcella Emiliani
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Parata dell’Isis su una strada di Sirte. (AFP)
Mediterraneo agitato Minaccia Isis L’Occidente si interroga sulle strategie da adottare per affrontare anche in Europa
i pericoli provenienti da una Libia nel caos più totale
Marzio Rigonalli La polveriera libica si è issata al centro dell’attenzione internazionale, suscitando un ampio dibattito sui potenziali pericoli ch’essa implica per il bacino del Mediterraneo e per l’Europa occidentale, nonché sulle strategie che converrebbe adottare per affrontarla e per evitare di ritrovarsi coinvolti in un domani non tanto lontano. La presenza di un califfato sulla sponda meridionale del Mediterraneo è lo spettro che si delinea all’orizzonte. Il dibattito è molto acceso, ed è l’espressione di una forte preoccupazione, soprattutto in Italia, il paese europeo più vicino alla Libia, con una frontiera lontana soltanto poche centinaia di chilometri e con importanti interessi economici legati allo sfruttamento del petrolio ed al gas. Ma tocca anche altri paesi che si affacciano sul Mediterraneo, come la Francia e la Spagna, o che sono in prima linea nella lotta contro il terrorismo islamico, come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania. La scintilla che ha evidenziato i nuovi pericoli provenienti dalla Libia è stata la decapitazione di 21 copti egizia-
ni sulla costa vicino a Sirte. Un massacro commesso dall’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria), probabilmente con l’intento di segnare la sua presenza in Libia, di terrorizzare chi vi si oppone, di designare l’Egitto come nemico e di provocare reazioni in Occidente. L’assassinio ha suscitato una profonda indignazione e vive reazioni in Egitto. Il presidente Abdel Fattah Al-Sisi ha reagito, facendo bombardare a più riprese Derna, principale roccaforte degli integralisti islamici in Libia, e dando il via ad un’incursione delle forze speciali egiziane, che avrebbero ucciso e catturato decine di terroristi. Con la sua reazione, Al-Sisi rafforza la sua autorità interna e la coesione nazionale, e cerca di affermare il ruolo dell’Egitto sul piano internazionale. La sua volontà di avere un ruolo importante sulla scena internazionale è chiara e si è manifestata anche attraverso il recente acquisto di 24 Rafale, l’aereo militare prodotto in Francia. Dietro alla minaccia terroristica c’è un paese, la Libia, immerso nel caos. Siamo a quattro anni dall’inizio della rivoluzione che ha portato alla caduta di Gheddafi, avvenuta nell’ottobre del
2011, e siamo di fronte ad uno scenario con numerosi poteri rivali in guerra tra di loro. Vi sono due governi e due parlamenti. Il governo presieduto da Abdullah al Thani ha la sua sede a Tobruk ed è riconosciuto dalla comunità internazionale. A Tripoli è presente il governo parallelo di Omar al Hassi, di matrice islamica, ostile a quello di Tobruk e sostenuto dai Fratelli musulmani e dalla Turchia. Accanto a loro si muove un gran numero di milizie, in guerra tra di loro, pronte a concludere alleanze ed a romperle poco dopo, e proiettate verso il controllo del petrolio e del gas. L’escalation della violenza ha generato molta insicurezza ed ha messo in fuga le rappresentanze diplomatiche occidentali e buona parte delle società straniere che operavano sul posto. L’ultima rappresentanza diplomatica occidentale a lasciare la Libia è stata quella italiana. Il caos attuale ricorda, per certe analogie, la situazione irachena e quella siriana, ed è un terreno ambito dai terroristi dell’Isis, sul quale sanno muoversi con destrezza ed imporre il loro dominio. Che cosa conviene intraprendere per allontanare e, possibilmente an-
nientare la minaccia dell’Isis in Libia, e quindi anche sulla frontiera meridionale dell’Europa? È l’interrogativo che stanno ponendosi i governi e le diplomazie occidentali. Due sono le strade percorribili: l’intervento militare o la ricerca di una soluzione politica. L’Egitto ha proposto d’imboccare la prima strada e si è offerto di guidare una coalizione militare internazionale. Poi, però, in assenza di sostegno, ha abbandonato questa opzione. Tutti gli altri governi, direttamente od indirettamente interessati, almeno per ora hanno escluso un’azione militare. Un po’ per i rischi ch’essa comporterebbe, un po’ per i costi, un po’ perché i bombardamenti intrapresi in Iraq ed in Siria, hanno sicuramente aiutato a frenare l’avanzata dei terroristi, ma sono ancora lungi dall’aver sconfitto lo stato islamico. L’accento vien dunque posto sulla ricerca di una soluzione diplomatica, posta nell’ambito delle Nazioni Unite. Si tratta, e le ultime riunioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU vanno in questa direzione, di rafforzare con nuovi mezzi e nuove risorse un’azione già in corso, ossia la missione ONU per la
stabilizzazione della Libia (UNSMIL), guidata dallo spagnolo Bernardino Leon. Il principale compito di questa missione è di giungere alla costituzione di un governo nazionale libico, attraverso il cessate il fuoco, il dialogo e la riconciliazione tra tutte le parti in conflitto. La missione potrebbe essere appoggiata anche da altre misure, come per esempio il blocco dell’afflusso di armi e di risorse ai gruppi terroristici. La pacificazione interna e la nascita di un governo nazionale sono fondamentali non soltanto per garantire un futuro alla Libia, ma anche per consentire un’azione efficace contro l’Isis. Per sconfiggere il terrorismo ci vogliono innanzi tutto punti di riferimento stabili sul posto, sui quali l’Occidente ed i suoi alleati possono appoggiarsi, per poter partecipare ad azioni concordate, o per fornire gli aiuti necessari. Il tempo stringe, perché il perdurare del caos attuale costituirà un terreno fertile per i jihadisti. Senza una soluzione interna, l’Isis può diventare una minaccia ancora più grave e l’Occidente rischia di ritrovarsi in una situazione, dove il ricorso alle armi sarà l’unica via d’uscita.
Il 17 febbraio scorso la Libia avrebbe dovuto festeggiare il quarto anniversario della propria rivoluzione, preludio alla caduta del regime del colonnello Gheddafi. Si è ritrovata invece sull’orlo del collasso totale, infoiata in una guerra di tutti contro tutti, con due parlamenti, due governi, l’Isis in casa e l’intervento armato del vicino Egitto. Alla vigilia dell’evento, il 16 febbraio, un gruppo fino ad allora sconosciuto – Lo Stato islamico della provincia di Tripoli – aveva diffuso il video dell’esecuzione di 21 cristiani copti egiziani, sequestrati nel giorno di Capodanno a Sirte. Un’azione disumana in sé, ma resa ancor più odiosa dal fatto che ad essere stati rapiti e uccisi erano poveri lavoratori emigrati dalla provincia egiziana di Minya, ultimi fra gli ultimi in un Paese che avevano raggiunto in cerca di lavoro, come decine di migliaia di altri connazionali. Il video postato in rete col titolo Un messaggio firmato con il sangue alla nazione della croce, conteneva inoltre minacce esplicite all’Italia («Ci avete visti sulle colline della Siria, oggi siamo a sud di Roma») e un omaggio alla memoria di Osama bin Laden («Avete buttato il corpo di Osama bin Laden in mare, mischieremo il suo sangue con il vostro»). Modus operandi, lessico e riferimento al defunto capo di al-Qaeda non potevano lasciare dubbi sull’identità dei criminali di turno. L’interrogativo, semmai, era quanto il sedicente Stato islamico della provincia di Tripoli fosse o meno collegato ad Ansar al-Sharia, la formazione terroristica basata a Derna, guidata da Sufian bin Qumu e ufficialmente affiliata al Califfato islamico di Abu Bakr al-Baghdadi. Nulla vieta che si trattasse di Ansar al-Sharia sotto mentite spoglie che aveva assunto una nuova sigla, per vantare una propria presenza nella capitale libica, e non essere identificata solo come una organizzazione asserragliata in Cirenaica, a Derna. Per i gruppi terroristici cambiar nome è una prassi consueta. Altra ipotesi era che una delle tante milizie islamiche presenti a Tripoli si fosse alleata con Ansar al-Sharia, saltando il fosso della guerra civile per debuttare sullo scenario del terrorismo internazionale. Nel panorama del migliaio di formazioni armate che funestano la Libia è molto difficile tracciare linee del fronte: non si può parlare superficialmente di scontro tra laici e islamisti, tra cirenaici e tripolitani, tra sostenitori del governo di Abdullah al-Thani (spesso traslitterato come al-Thinni) insediato a Tobruk assieme al parlamento eletto il 25 giugno 2014,
sostenuto dalla comunità internazionale e dal generale Khalifa Belqasim Haftar da una parte e dall’altra i seguaci del governo di Omar al-Hassi insediato a Tripoli col vecchio Congresso generale nazionale insediatosi subito dopo la caduta di Gheddafi. Non si può parlare di contrapposizione netta tra il Fronte Dignità creato dal generale Haftar fin dal maggio dell’anno scorso per combattere le organizzazioni islamiste e il Fronte Alba libica che quelle formazioni ha raggruppato proprio per contrastare l’offensiva del generale Haftar e di quanto resta dell’esercito libico. Tutte le alleanze sono «liquide», si riformulano giorno dopo giorno sul terreno in base a calcoli a breve e medio termine per trarre il maggior vantaggio dal vuoto di potere statuale che oggi regna in Libia. Solo per fare un esempio: la Brigata di Misurata, decisiva per la conquista di Tripoli da parte degli insorti contro Gheddafi, fino al 16 febbraio scorso sosteneva il governo di Tripoli notoriamente legato a formazioni islamiche affiliate alla Fratellanza musulmana, essendo essa stessa una formazione islamica, contro il generale Haftar adepto invece del governo cosiddetto laico di Tobruk. Dopo il 16 febbraio però si è schierata contro il Califfato islamico di Derna – esattamente come il generale Haftar – ritenendo il Califfato una minaccia mortale per lo stesso fronte islamico. Perché il 16 febbraio, l’esecuzione dei 21 copti egiziani ha lanciato un messaggio fin troppo chiaro: dalla semplice adesione verbale di Ansar al-Sharia al Califfato di AlBaghdadi si era passati all’azione, dalla guerra civile libica si era passati ad una sfida internazionale in grado di minacciare tutta la sponda Sud del Mediterraneo, con l’Italia in prima linea.
In Libia tutte le alleanze sono liquide e si riformulano ogni giorno per trarre vantaggio dal vuoto di potere La reazione più tempestiva è arrivata dall’Egitto. Già il 17 febbraio il generale-presidente Abd al-Fattah alSisi ordinava all’aviazione egiziana di bombardare le basi islamiste a Derna e le colonne di jihadisti in marcia verso Sirte senza riuscire ad impedire che se ne impadronissero. Il giorno dopo le truppe scelte egiziane della Task Force 999 entravano a Derna uccidendo «155 combattenti dell’Isis» e catturando «al-
La madre di uno dei 21 copti uccisi a Sirte dall’Isis. (Keystone)
tri 55 miliziani». La Brigata di Misurata si incaricava invece di liberare Sirte con risultati sul terreno molto incerti. Mentre su Twitter annunciava infatti che una sua unità, la Forza 166, sarebbe riuscita a «liberare Sirte», altri tweet dei jihadisti del Califfato smentivano la notizia e anzi rincaravano la dose annunciando che erano loro in marcia per «liberare Misurata». Nel frattempo si era messa in moto anche la grande diplomazia regionale e internazionale. Fin dal 16 febbraio il nuovo re saudita Salman bin Abdelaziz al-Saud convocava a Riyad tutti i ministri della Difesa e i responsabili della sicurezza dei principali Stati arabi sunniti. Sul fronte sciita non era l’Iran a lanciare l’allarme, bensì gli Hezbollah libanesi che – per bocca del loro segretario generale Hassan Nasrallah – invitavano tutti i musulmani a coalizzarsi contro il Califfato islamico (che – tra parentesi – minaccia anche loro come alleati sul campo di Bashar al-Assad in Siria). Ad aggravare l’allarme sono arrivate in sovrappiù le dichiarazioni del primo ministro del governo insediato a Tobruk, al-Thani, che parlando ad una emittente radiofonica tunisina ha reso noto che jihadisti dell’Isis provenienti dalla casa-madre in Siria/Iraq e del nigeriano Boko Haram starebbero per congiungersi ai sostenitori libici del Califfato. Al-Thani ha poi immediatamente «coperto» l’intervento egiziano in Libia legittimandolo col supporto del proprio governo e si è unito all’Egitto per chiedere la convocazione urgente del Consiglio di sicurezza dell’Onu e la revoca dell’embargo sulle armi alla Libia. Dal canto suo al-Sisi si è spinto molto, molto più in là chiedendo alla comunità internazionale la creazione di una coalizione globale per combattere gli islamisti libici del Califfato. Parlando cinicamente, quale migliore occasione per il generale golpista di acquisire una statura regionale e internazionale di primo piano attraverso una nuova guerra in Libia accanto alle forze degli Stati Uniti e dell’Unione europea? Nessuno nel frattempo gli ha chiesto come mai non riesca ad avere ragione dei jihadisti dell’Ansar Bait al-Maqdis, affiliati al Califfato, che spadroneggiano in casa sua, nel Nord della penisola del Sinai decapitando di preferenza poliziotti e militari egiziani. Nel frattempo i suoi raid aerei e i suoi blitz in Libia hanno indispettito il Qatar che ha deciso di richiamare in patria il proprio ambasciatore al Cairo per «chiedere delucidazioni». Tutti perciò aspettavano con ansia le decisioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu convocato d’urgenza per il pomeriggio del 18 febbraio. Per l’Egitto e il governo di Tobruk, però, la delusione è stata cocente. Il Consiglio di sicurezza innanzitutto non ha deliberato la revoca dell’embargo alle armi per la Libia. Gli Stati Uniti e la maggior parte delle cancellerie europee, dopo le disastrose esperienze dell’Afghanistan e dell’Iraq, si pongono l’interrogativo più che legittimo di dove vadano poi a finire le armi: in quali mani, di amici o nemici dell’Occidente? Quanto alla coalizione internazionale per combattere i seguaci del Califfato nell’ex regno di Gheddafi, il Consiglio – per ora – si è attestato sulla ricerca di una soluzione politico-diplomatica della crisi affidata alla pazienza del mediatore già operante sul terreno, Bernardino Leon, detto ormai confidenzialmente «il Santo».
Pakistan Finanziate da Arabia Saudita,
Qatar, Iran, Kuwait, le madrase funzionano da centri di propaganda ideologica
Keystone
Madrase pakistane Un rapporto al Parlamento rivela il segreto di Pulcinella: le scuole religiose di matrice integralista sono finanziate dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi del Golfo
Francesca Marino Il governo pakistano è stato messo sottosopra, una volta di più, da un rapporto presentato in Parlamento in cui si svela agli ignari politici pakistani l’ennesimo segreto di Pulcinella: l’Arabia Saudita, il Qatar, il Kuwait, l’Iran e gli Emirati finanziano da un bel po’ di tempo la maggioranza delle scuole religiose, le famose o famigerate madrase, nel Paese. L’incredibile notizia, di cui qualunque pakistano è a conoscenza da anni tanto che i più spiritosi hanno soprannominato «Al Bakistan» la terra dei Puri tanto per sottolinearne l’arabizzazione, è cascata come un fulmine a ciel sereno sulle teste dei fiduciosi e ignari parlamentari di Islamabad. Destando tra le loro fila, come da copione, sorpresa, indignazione e rabbia. L’incauto relatore, che ha messo le mani avanti dichiarando di non avere alcuna prova personale di quanto riferito da rapporti della polizia e dei servizi, ha inoltre aggiunto che le suddette madrase ricevono fondi anche da Ong con sede all’estero, in particolare dagli Stati Uniti, dall’Australia e dall’Olanda. Secondo il rapporto, gli «stranieri» e i pakistani residenti all’estero finanziano le scuole religiose di matrice integralista che in molti casi diventano veri e propri centri di diffusione di ideologie e metodologie della jihad quando non sono veri e propri centri di addestramento per terroristi operanti sia in patria che all’estero. I solerti senatori hanno immediatamente ordinato ulteriori investigazioni, dichiarando che in base alle norme anti-terrorismo e anti riciclaggio i finanziamenti ricevuti dall’estero sono illegali e che le madrase devono dichiarare la provenienza di donazioni e affini. I partiti islamici hanno immediatamente protestato, diffidando il governo dall’investigare i libri dei conti delle scuole religiose e accusando Islamabad, come da copione, di agire dietro pressione degli Stati Uniti. Vero, come è vero che negli stessi giorni il governo ha dichiarato l’intenzione di proscrivere «tutte le organizzazioni bandite dall’Onu come organizzazioni terroristiche»: incluse, in teoria, la rete Haqqani e la Jamaatud-Dawa. In teoria, appunto. Perché in pratica alle dichiarazioni di intenti e al clamore suscitato da notizie di cui in Pakistan sono a conoscenza anche i bambini, non segue alcuna azione concreta. Servono soltanto a gettare discredito, se ancora ce ne fosse bisogno, su Nawaz Sharif e compagni. Non è un segreto per nessuno che le madrase ricevono finanziamenti e vengono fondate con donazioni provenienti in gran parte dall’Arabia Saudita e da al-
tri Paesi del Golfo. In Pakistan come in Bangladesh. Che le suddette madrase, o almeno gran parte di esse, funzionano da centri di propaganda ideologica, di smistamento e addestramento per jihadi di ogni genere ma, soprattutto, che finanziano gruppi e gruppuscoli di combattenti. La palma della raccolta fondi a sostegno della jihad va a Karachi, seguita a ruota da Lahore, Faisalabad e Sialkot. Il terrorismo viene finanziato, tramite scuole religiose, non soltanto con fondi dello Stato come nel caso di Muridke o della Lal Masjid ma anche da donazioni individuali. Non solo: praticamente ogni gruppo jihadi, e ogni madrasa, ha legami strettissimi con la mafia locale con cui gestisce il business dei latifondi. E operare controlli sui trasferimenti di fondi per vie bancarie o comunque legali, come richiesto dal parlamento, è comunque inutile: il denaro viene trasferito principalmente via hawala, cioè con trasferimenti diretti di contanti, oppure recapitato a destinazione in comode valigette trasportate da questo o quel mullah di ritorno a casa da qualche trionfale tourné all’estero. Il problema è serio, e tocca le radici della cosiddetta lotta al terrorismo. Evidentemente, per sconfiggere i jihadi la prima cosa da fare è chiudere i rubinetti dei finanziamenti ricevuti dai gruppi in questione. Ancora più evidentemente, il Pakistan non ha la minima intenzione di rinunciare ai cosiddetti «strategic assets» costituiti dai terroristi che operano in India o in Afghanistan e che ormai da decenni fanno parte della politica estera del Paese e di conseguenza nessuno si adopera per investigare e tracciare la provenienza dei fondi di seminari e scuole religiose. «Seguire i soldi» trasferiti via hawala o per mezzo della mafia è difficile ma non impossibile, basta che ci sia la volontà politica per farlo. In questo caso invece, al solito, si sceglie la via dell’ambiguità: si investigano i canali ufficiali e soltanto quelli. Islamabad chiede, l’Arabia Saudita nega ufficialmente, gli altri Paesi del Golfo non prendono neanche in considerazione le accuse rivoltegli dai rapporti parlamentari e tutte finisce, una volta di più, alla pakistana maniera: chai e samosa, versione locale di tarallucci e vino. D’altra parte, in questo particolare caso, gli alleati occidentali sono più che disposti a fare finta di credere alla lotta al terrorismo di Islamabad: l’Arabia Saudita, alleato principe dell’Occidente nonostante da là si dipanino le fila di buona parte del terrorismo internazionale come sanno tutti e tutti fanno finta di non sapere, è difatti più intoccabile di una vacca sacra in India.
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Politica e Economia La musica quando viene suonata in prigione prende il nome di Probidão e racconta la vita carceraria. (AFP)
Funk, la musica del crimine 6. Narcos connection È la musica del nuovo Brasile che i trafficanti di droga hanno imparato ad usare
per fare proselitismo e propaganda fra gli adolescenti all’interno delle prigioni Angela Nocioni Il funk, la musica nata nelle feste non autorizzate (i rave) delle favelas, è il passepartout delle bande criminali brasiliane per fare proselitismo tra gli adolescenti. Bonde 40, Primer Comando Maranhão (PCM), MC Segal, Anjos da Morte (Angeli della morte) sono i gruppi più conosciuti. Meno noto all’estero del samba, ma molto più diffuso tra i giovani, il funk è la musica del nuovo Brasile. E i narcos hanno imparato ad usarlo. Quando viene suonato in prigione prende il nome di Probidão e racconta la vita carceraria. Ha la stessa funzione di proselitismo e propaganda che, per esempio, ha il neomelodico per la camorra in Italia. Canta le gesta dei capibanda, quali eroi da emulare. Crea consenso. Fornisce identità sociale agli affiliati. Riuscire ad imporre la propria musica dentro le galere significa, per i gruppi narcos in lotta tra loro, conquistare quote di potere anche fuori, nei quartieri delle città e nell’immaginario collettivo. Le due principali fazioni che si fronteggiano in Brasile per conquistare affiliati tra i detenuti, a cui offrono protezione dentro e fuori dalle prigioni, sono Primeiro Comando Maranhao – nato come il braccio carcerario del vecchio Primeiro Comando Capital, che è la principale organizzazione criminale di San Paolo – e Bonde 40 (Tram 40) dove il numero indica il calibro della pistola. Il potere acquisito da questi gruppi è tale che, per dirne una, gli Angeli della morte, in teoria una banda minore, sono di recente riusciti a impedire la visita dei giudici al Complesso da Pedrinhas, uno dei più grandi penitenziari del Paese. In una delle canzoni più note, copyright degli MC Segal, si avvisa che il gruppo vendicherà l’uccisione di uno dei suoi membri. In un’altra il cantante chiede la liberazione immediata di tutti «i fratelli rinchiusi» e promette la morte ai nemici del Primeiro comando Maranhão (PCM). «Ogni mattina mi sveglio pensando di invadere la parte alta della mia favela e di uccidere tutti quelli del PCM. L’arsenale non mi manca» dice il testo. I testi delle canzoni celebrano
spesso le rivolte carcerarie organizzate dal gruppo narcos di riferimento che è quasi sempre Primeiro comando da capital, talmente potente e ben informato da saper organizzare rivolte violentissime in prigione con il coinvolgimento di centinaia di detenuti per opporsi al trasferimento di alcuni capi narcos da un carcere a un altro.
I testi delle canzoni celebrano spesso le rivolte carcerarie organizzate quasi sempre dal potente Pcc Il Pcc conosce bene le carceri, è nato come organizzazione criminale nella Casa di custodia di Taubatè, la grande prigione di San Paolo e si è inventato, come evento fondativo nella leggenda interna della banda, l’uccisione di 111 detenuti il 2 ottobre del 1992 nel carcere di Carandirù durante un’irruzione della polizia. Da lì, la costruzione mitica dell’obiettivo sociale della narcobanda che si spaccia nell’immaginario suburbano come una rete di «Robin Hood» del secondo millennio votata a combattere la repressione nelle carceri, quando è in realtà invece una potente e feroce organizzazione votata a fare quattrini con varie attività. Cosa che le riesce anche abbastanza bene. Solo con la vendita delle droghe a San Paolo guadagna più di 5 milioni di dollari al mese. Poi c’è il settore immobiliare e la grande impresa, nemmeno tanto sotterranea, dei trasporti informali. Primeiro comando capital negli ultimi anni ha guadagnato grandi fette di mercato a discapito del vecchio gruppo narco di Rio de Janeiro, il Comando Vermelho (comando rosso) grazie al cambiamento delle rotte del narcotraffico: San Paolo con i suoi 11 milioni di abitanti è diventato il principale mercato di droga del Brasile. La prima grande dimostrazione di forza Primeiro Comando l’ha data nel 2006. Per otto giorni le più grandi carceri del Brasile si sono ammutinate sotto la direzione dei detenuti del Pcc,
mentre decine di gruppi armati attaccavano caserme e centrali di polizia scatenando il terrore nelle metropoli. Allora i morti accertati furono 154, quasi tutti agenti carcerari e poliziotti civili e militari, ma anche alcuni passanti coinvolti nelle sparatorie. Il capitale cash a disposizione dei narcotrafficanti è tale da rendere semplice la corruzione dei vertici di polizia e la contrattazione di trattamenti di favore con le autorità carcerarie. L’anno scorso la pubblicazione di intercettazioni tra capi narcos e autorità varie disegnò la mappa di una relazione fitta di collaborazione e ricatto reciproco costante tra i detenuti del Pcc e molti poliziotti. Dalle conversazioni registrate risulta diffusa la pratica di sequestri lampo in caserma di persone legate ai narcos, fermate con qualsiasi scusa e trattenute finché la negoziazione con i capibanda chiamati a pagare un riscatto non si è conclusa. In alcune telefonate si ascoltano anche agenti della Deic, la Delegacia Estadual de Investigações Criminais, offrire a membri del Pcc archivi di computer e pen-drive requisiti durante le operazioni di polizia. Tra gli intercettati c’è anche il grande capo del Pcc, Marco Willians Herbas Camacho, che in Brasile tutti conoscono come Marcola o come Playboy. L’ultima condanna l’ha presa per una serie di assalti a istituti di credito: 44 anni. Ha cominciato come scippatore in un sobborgo paulista. Ha studiato in carcere. È diventato il capo del Pcc nel 2002. La mossa vincente per lui è stata quella di capire che il traffico di droga era miglior affare dei sequestri di persona. Ma quando si è aperta la guerra per il controllo del mercato si è imposto per le sue qualità politiche, prima che per le sue doti nell’organizzazione militare. Ha saputo far trattare una pace armata ai narcos carioca di Terceiro comando e Amigos dos Amigos, che avevano ormai perso la guerra per il controllo del territorio di Rio con i tradizionali rivali del Comando Vermelho, ma continuavano a sparargli addosso. La mediazione del Pcc funzionò e il ruolo di primo capo narco per Marcola venne così consacrato. Da
lì, la sua attenzione a costruire il mito dei narcos che difendono i diritti dei detenuti, quando in realtà quello che difendono sono i privilegi in carcere di alcuni capi e i profitti, giganteschi, del narcotraffico. È talmente ben divulgata la favola che i narcos di Marcola sono strumento di emancipazione degli abitanti delle favelas, Marcola è stato così abile nell’inventare il mito di sé stesso, che se non si conosce per esperienza diretta il livello mostruoso di violenza e sopraffazione che lui e i suoi uomini esercitano su chi vive nel territorio controllato da loro, ci si può sorprendere facilmente abbindolati dalla loro propaganda. Volete fare un esperimento? Nelle prossime righe trovate parte di uno stralcio di una intervista a Marcola ottenuta da «O Globo», la più potente impresa editrice del Brasile. L’intervista quando è uscita ha sollevato polemiche molto aspre e il sospetto che fosse falsa, ma Marcola non l’ha smentita. Provate a vedere l’effetto che vi fa. All’intervistatore che domanda: «Lei è del Primeiro comando capital?» Marcola risponde: «Io sono molto di più del capo del Pcc, io sono un segno di questi tempi, io ero povero e invisibile, voi non mi avete mai guardato per decenni. Prima che arrivassi io, era facile per voi liquidare il problema della miseria. Forse il governo federale qualche volta si è preoccupato di riservare una voce nel bilancio per noi? No, noi eravamo notizia solo quando la pioggia faceva franare le baraccopoli giù lungo le pendici delle montagne. Ora siamo ricchi grazie alla multinazionale della droga e voi state morendo di paura. Noi siamo l’inizio tardivo della vostra coscienza sociale. Visto? Cosa ti credevi? Io sono colto. Leggo Dante Alighieri in prigione». La domanda successiva è: «Lei non ha paura di morire?». Risposta: «Non ho paura di morire. Voi siete quelli che hanno paura di morire. Te lo dico meglio: qui in prigione voi non potete entrare e uccidermi, però io posso mandare qualcuno a far morire voi lì fuori. Noi siamo uomini bomba. Nelle favelas ci sono centinaia di migliaia di uomini bomba. Noi siamo al centro dell’irri-
solvibile. Voi siete tra il bene e il male e in mezzo c’è la frontiera della morte, l’unica frontiera. Noi siamo un’altra specie, siamo la nuova specie, siamo un altro tipo di animali, differenti da voi. La morte per voi è un dramma cristiano in un letto per un attacco al cuore. La morte per noi è il cibo quotidiano in una fossa comune. Voi intellettuali non parlate forse di lotta di classe, dell’essere marginale, dell’essere eroe? Bene siamo arrivati, gli eroi siamo noi. Io leggo molto, ho letto 3000 libri, leggo Dante, però i miei soldati sono strane anomalie dello sviluppo contorto di questo Paese. Non ci sono più i proletari infelici e sfruttati, c’è una terza cosa che cresce lì fuori, coltivatasi nel fango, educatasi da sola nel più completo analfabetismo. È come un mostruoso Alien che cresce nascosto negli angoli della città. C’è un nuovo linguaggio. Ma voi non ascoltate le intercettazioni fatte con l’autorizzazione della giustizia? Non capite che in quelle registrazioni si parla un’altra lingua? La miseria genera una nuova cultura assassina, aiutata dalla tecnologia, dei satelliti, dei cellulari, da Internet, dalle armi moderne. Sono una mutazione della specie sociale, sono i funghi nati da un vostro grande sporco errore». La domanda successiva è su cosa sia cambiato nelle periferie. Risposta: «Soldi. Noi adesso abbiamo soldi, lei crede che chi ha 40 milioni di dollari non comanda? Con 40 milioni di dollari la prigione è un hotel, un grande ufficio. Qual è il poliziotto che brucia questa miniera d’oro? Noi siamo un’impresa moderna e ricca. Se un funzionario vacilla viene licenziato e lo mettiamo in un microonde. Voi siete lo Stato bruciato, dominato da incompetenti, noi abbiamo metodi agili di gestione. Voi siete lenti, burocratici, noi lottiamo in un terreno che conosciamo. Voi in terra straniera. Noi non abbiamo paura della morte. Voi morite di paura. Noi siamo ben armati. Voi avete armi calibro 38. Noi siamo all’attacco. Voi in difesa. Voi avete la mania dell’umanesimo. Noi siamo crudeli, spietati. Voi ci avete trasformato in super star del crimine. Noi vi facciamo fare la parte dei pagliacci».
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Politica e Economia
Un ruolo importante per l’economia e la società Commercio Presentata negli scorsi giorni una ricerca della Facoltà di economia dell’Usi che studia
l’impatto sociale ed economico delle aziende della grande distribuzione in Ticino
La tempestività con cui lo studio Il settore del commercio al dettaglio nel Cantone Ticino arriva all’opinione pubblica non poteva essere migliore. La situazione che si è creata nel nostro cantone dopo la decisione della Banca nazionale di rinunciare alla difesa di un cambio minimo franco/euro ha reso ancora più facile approfittare della posizione di forza della moneta svizzera. Mentre il turismo degli acquisti sembra aver trovato un’ulteriore motivazione, la ricerca effettuata dal prof. Carmine Garzia e dai suoi collaboratori ci aiuta invece a mettere in una corretta prospettiva il contributo fornito all’economia cantonale dal commercio al dettaglio e dalle aziende della grande distribuzione. E se proprio questi sembrano essere i primi a soffrire degli svantaggi valutari, lo studio dimostra chiaramente come la loro difficoltà sia un problema serio, che riguarda la salute economica di tutto il cantone.
Lo studio è stato realizzato su mandato della DisTi, l’Associazione Distributori Ticinesi Lo studio, commissionato dalla DisTi (Associazione Distributori Ticinesi) è nato in seguito a una ricerca di Master della Facoltà di economia dell’USI e la
lettura dei dati che ne scaturiscono (legati alla situazione del 2013) riguarda tre livelli di impatto sull’economia cantonale: quello della fiscalità, dell’occupazione e quello dei fornitori locali dei grandi distributori. Per quanto riguarda il primo di questi temi, lo studio segnala che nel nostro cantone l’attività del commercio al dettaglio vale 4,43 miliardi di franchi, di cui 2,8 realizzati dalla grande, 1,6 dalla piccola e media distribuzione. Ciò genera un gettito fiscale per le persone giuridiche di circa 38,5 milioni. Per quello che riguarda più specificamente i contributi legati all’imposta sul valore aggiunto (IVA) il commercio al dettaglio vi contribuisce con 263 milioni di franchi. Altrettanto importante e sensibile, in particolare in Ticino, è il dato legato all’occupazione. Nel settore sono calcolati 11’700 posti di lavoro a tempo pieno, di cui 8000 assegnati a residenti e 3400 a frontalieri (una ripartizione, tra l’altro, che rispecchia la media svizzera). Su una massa salariale che ammonta a circa 660 milioni di franchi, con un salario medio di 4300 franchi, il gettito fiscale delle persone fisiche correlato ammonta a 46,6 milioni di franchi. Multiforme e altrettanto considerevole la ricaduta sul territorio dell’impegno profuso dalle aziende del commercio. È misurato da un lato in 136 milioni di franchi di investimenti in beni strumentali (strutture fisiche, attrezzature e
Un contributo non indifferente anche nella produzione di energia fotovoltaica. (Ti-Press)
impianti) di cui l’85 per cento sono spesi in Svizzera (nel 70 per cento in Ticino). Si calcola che circa 95 milioni di franchi vengano reimmessi nel circuito economico grazie agli appalti a ditte locali. Altra cifra significativa per il settore
del terziario è il dato sugli investimenti pubblicitari. Per il 99 per cento essi sono realizzati in Svizzera, (nel 95 per cento in Ticino). La cifra globale degli investimenti è di 44 milioni che ricadono quindi quasi totalmente sull’economia locale.
Intervista a Mauro Baranzini, professore ordinario di economia politica ed ex-decano della Facoltà di Economia dell’USI ta con autocarri per migliaia di chilometri dall’estero. Dobbiamo sostenere la nostra agricoltura bio e rispettosa dell’ambiente, i nostri vini, e gli altri prodotti che il settore agricolo ci offre. Sono di qualità, sono genuini, hanno un buon profumo. E non dimentichiamo che gli agricoltori e i contadini sono i «giardinieri» delle nostre belle valli o dell’altipiano. Che ne sarebbe senza di loro?
In effetti ci si concentra troppo sul «prezzo» di un dato bene o servizio, e poco sulle realtà che stanno dietro il prezzo. La qualità, ad esempio, la retribuzione di coloro che lo hanno prodotto, il rispetto dell’ambiente, dei fabbricanti e dei trasportatori, il contenuto di sostanze nocive per il consumatore, o magari anche la penicillina somministrata agli animali per aumentarne la resa. Ho ricordato che nei secoli passati il prezzo dei generi alimentari non era dato dalla domanda o dall’offerta, bensì dal valore sociale del lavoratore o del contadino, dalla sua necessità di accudire la sua famiglia, e di proseguire nell’attività lavorativa negli anni a venire. Il prezzo aveva un forte contenuto sociale; valore che stiamo purtroppo perdendo. In un’epoca in cui le aziende commerciali sembrano avere riscoperto
CdT - Demaldi
Professor Baranzini, capita spesso di sentire economisti che invocano il rispetto delle libere leggi della domanda e dell’offerta ma in questo caso, per quello che riguarda il Ticino, il vostro studio suscita riflessioni di diverso tipo.
l’importanza di una gestione etica e sostenibile della propria attività, il vostro studio sembra voler richiamare anche i consumatori a una maggiore considerazione etica del loro ruolo.
Certo. I prodotti agricoli e dell’artigianato locali stanno facendosi strada, per fortuna. Meglio l’acqua minerale locale, o svizzera, che quella trasporta-
Alcune voci di consumatori, raccolte tra amici e conoscenti, segnalano come dall’altra parte della frontiera alcuni commercianti stiano già ritoccando i prezzi al rialzo per approfittare del turismo degli acquisti. Da parte vostra voi monitorate anche quel settore del mercato?
Non è sorprendente. In questo caso la legge dei vasi comunicanti opera in fretta. E questo ovviamente a danno anche degli acquirenti locali al di là della frontiera. Ha fatto chiasso il caso dell’antiquario di Friborgo in Brisgovia, poco lontano da Basilea, che ha esposto un annuncio nel suo negozio con la decisione di maggiorare
i prezzi del 20 per cento per acquirenti svizzeri. Anche le case editrici estere, e quelle italiane in particolare, fissano dei prezzi per la Svizzera del 100 per cento più alto e anche di più, sfruttando il maggior potere d’acquisto degli svizzeri. Ma non sono i soli a farlo; lo fanno anche le case automobilistiche, ecc. D’altra parte anche le ditte farmaceutiche svizzere fanno la stessa cosa con i loro prodotti all’estero. Altro che libera concorrenza! Lo studio è un esempio di come una Facoltà di economia possa fornire indicazioni per comprendere la dinamica economica del territorio in cui è inserita. Ci sono in cantiere altri progetti in questa direzione?
Certo, anche se non posso darle i dettagli. Da una parte c’è l’Istituto di Ricerche Economiche, adesso incorporato nella Facoltà di Scienze Economiche, che continua a proporre studi sull’economia ticinese in generale, e sul turismo in particolare. Ma anche altri Dipartimenti delle Facoltà dell’USI cercano di essere al servizio della realtà economica e non solo locale.
Per ciò che riguarda invece la filiera dei fornitori, la strategia di approvvigionamento di prodotti di qualità sostenibile, «a km zero» genera un ricavo di 87 milioni. Solo la linea dei «Nostrani del Ticino» di Migros Ticino propone 300 articoli, realizzati da 200 produttori, e genera un indotto di 34 milioni di franchi. Il contributo all’economia cantonale offerto dalle aziende del commercio al dettaglio non si limita al campo della vendita, ma offre un contributo misurabile anche nei campi dell’offerta culturale (sponsoring di varie manifestazioni per 2 milioni di franchi) e per programmi di solidarietà, in cui confluiscono 2,5 milioni. Oltre a questo, di recente le superfici commerciali hanno acquisito valore da un punto di vista energetico. Gli impianti di produzione di energia solare sul tetto degli stabili producono il 27 per cento della potenza cantonale fotovoltaica, mentre parallelamente è in corso un grande investimento nell’uso di gas naturale. In conclusione della presentazione dello studio, il prof. Garzia ha ricordato che una parola chiave per il Ticino dei prossimi anni dovrà essere «attrattività». Il nostro cantone dovrà saper investire nei campi culturale, turistico e finanziario per poter diventare sempre più interessante, in modo da invogliare nuovi potenziali clienti a conoscere e avvicinarsi alla nostra regione. Lo studio considera ad esempio gli aspetti legati alle abitudini di acquisto dei turisti e indica nello shopping un importante voce di richiamo. / Red. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Politica e Economia
Crash test per i proprietari immobiliari La consulenza della Banca Migros
Albert Steck
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Il rischio è molto limitato, grazie ai tassi ai minimi storici. In questo modo i proprietari immobiliari risparmiano così tanto da poter uscire indenni da un crollo massiccio dei prezzi delle case. Intendiamoci, a nostro avviso è uno scenario improbabile. Ci attendiamo piuttosto che i prezzi rimangano stabili. Ma proviamo a ipotizzare un crash test, partendo dal grafico a fianco. Da esso risulta che dal 2008 solo l’ipoteca Libor è diventata molto più conveniente, tuttavia questo tipo di ipoteca offre una minore sicurezza ai proprietari immobiliari. Così come è sceso bruscamente, il tasso d’interesse potrebbe tornare a salire. La situazione è molto diversa per un’ipoteca fissa a dieci anni, che consente di calcolare le proprie uscite a lungo termine. Sinora questa formula di prestito ipotecario era tuttavia molto più onerosa dell’ipoteca Libor. Di conseguenza numerosi proprietari immobiliari rinunciavano a un budget sicuro. Ora la situazione è radicalmente mutata: oggi anche un finanziamento a lungo termine è oltremodo conveniente. Le somme risparmiate raggiungono in fretta cifre a cinque zeri. Ipotizziamo che la sua casa valga un milione di franchi e sia gravata da un prestito ipotecario di 800’000 franchi. Nel 2008 un’ipoteca fissa a dieci anni per l’intera durata le sarebbe costata 360’000 franchi (3000 franchi al mese).
Ipoteche mai così vantaggiose Ipoteca fissa a dieci anni
Ipoteca Libor Dati: Banca Migros
Tempi duri attendono l’economia svizzera. Anche come proprietario di una casa devo temere perdite?
Dopo la crisi finanziaria l’ipoteca Libor è diventata molto più conveniente. Nel frattempo anche il tasso dell’ipoteca fissa a dieci anni è sceso al minimo storico.
Il tasso d’interesse del 4,5% in vigore in quel periodo corrisponde tra l’altro al tasso medio storico.
Gli Svizzeri che possiedono una casa risparmiano dieci miliardi di franchi Attualmente la stessa ipoteca fissa con scadenza decennale costa solo un terzo, ossia 120’000 franchi (1000 franchi al
mese). Come proprietario di una casa risparmia dunque ben 240’000 franchi rispetto alla media storica. Ai fini del nostro crash test significa che gli interessi in meno da pagare sono sufficienti a compensare una svalutazione del suo immobile del 24 percento dopo dieci anni. Nel nostro esempio il valore della sua casa potrebbe dunque scendere a 760’000 franchi e la sua situazione finanziaria sarebbe uguale a quella del 2008. Davvero un bel margine di sicurezza. È impressionante anche la diminuzione degli oneri per interessi di
tutti i proprietari privati di un immobile: ben dieci miliardi di franchi l’anno. Il mio consiglio, se prossimamente si riaccende una discussione sui prezzi degli immobili, è dunque quello di assicurare il suo budget con un finanziamento a lungo termine e di mettere da parte il denaro risparmiato. Grazie a questa riserva può dormire sonni tranquilli. Attualità su blog.bancamigros.ch: ■ Gioco a premi sull’abitazione ■ 50 consigli per le vostre tasse Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Politica e Economia
Un timido passo in avanti CH-UE Il Consiglio federale riconosce che il progetto di legge per concretizzare l’iniziativa popolare contro
l’immigrazione di massa non ha nulla di pionieristico, quasi tutti i partiti e l’economia non nascondono la delusione
Johnny Canonica Un anno e due giorni. È il tempo trascorso tra il 9 febbraio 2014 e l’11 febbraio 2015, il tempo trascorso tra la domenica in cui popolo e cantoni hanno detto sì all’iniziativa popolare «contro l’immigrazione di massa» e il mercoledì in cui il Consiglio federale ha posto in consultazione le norme pensate per concretizzare il nuovo articolo costituzionale. Un anno e due mesi per presentare un progetto che la stessa presidente della Confederazione Simonetta Sommaruga ha definito «nulla di pioneristico», quasi un’ammissione di impotenza nel tentativo di abbinare i contingenti di lavoratori stranieri voluti dal sovrano elvetico alla libera circolazione delle persone prevista dall’accordo bilaterale tra la Svizzera e l’Unione europea. Eppure per presentare il progetto «non pioneristico», dieci giorni fa si sono scomodati ben tre consiglieri federali: oltre a Simonetta Sommaruga, il capo del Dipartimento federale degli affari esteri Didier Burkhalter e quello del Dipartimento federale dell’economia, della formazione e della ricerca Johann Schneider-Ammann. Una presenza «delle grandi occasioni», perché è molto raro che più di un ministro esponga un progetto di legge o un dossier. In questo caso però la posta in gioco è altissima, probabilmente la più alta per la Confederazione degli ultimi anni. Perché una politica della migrazione che prevede contingenti non è compatibile con l’accordo bilaterale con l’Unione europea sulla libera circolazione delle persone, perché se la Svizzera non riuscisse più a rispettare questo accordo e lo denunciasse, tutti gli altri accordi del pacchetto dei cosiddetti «Bilaterali 1» verrebbero a cadere (oltre alla libera circolazione delle persone: ostacoli tecnici al commercio, appalti pubblici, agricoltura, trasporti terrestri, trasporto aereo e ricerca), perché ritrovandosi privata dei
«Bilaterali 1», la piazza economica elvetica perderebbe buona parte dell’accesso privilegiato al mercato europeo, il primo per importanza per il suo export. Perché la Svizzera incrinerebbe parecchio – se non addirittura perderebbe – la sua fama di partner affidabile. Da qui la necessità della presenza dei ministri degli esteri e dell’economia, indirettamente toccati dal dossier «contingenti/libera circolazione». Per concretizzare «la quadratura del cerchio» (non solo gli osservatori, anche Simonetta Sommaruga ha definito in questo modo la missione che si appresta a compiere), il Consiglio federale ha proposto una modifica della legge sugli stranieri. Questa prevede che i gruppi indicati dal nuovo articolo costituzionale (lavoratori stranieri e i loro famigliari, richiedenti l’asilo e frontalieri) siano regolati da contingenti e tetti massimi annuali. Il governo si è però guardato bene dal fissare già adesso i tetti massimi (peraltro l’articolo costituzionale non lo obbliga a farlo) e ha deciso di continuare a regolare l’accesso dei cittadini provenienti dallo spazio UE/AELS basandosi sull’accordo sulla libera circolazione delle persone; accordo che deve però essere rivisto in modo da renderlo compatibile con la nuova disposizione costituzionale. La «quadratura del cerchio» appunto. Come era facile attendersi, quanto previsto dal Consiglio federale non ha trovato un sostegno compatto tra le cerchie interessate. Da una parte Economiesuisse ha lamentato il fatto che la sua idea di fissare una soglia di lavoratori stranieri, che se superata avrebbe fatto scattare una clausola di salvaguardia, non è stata presa in considerazione dall’esecutivo; dall’altra Unione democratica di centro (all’origine dell’iniziativa popolare approvata il 9 febbraio 2014) che ha tacciato il progetto governativo di «inattendibile» perché lo fa dipendere dalla revisione dell’accordo sulla libera circolazione delle persone,
Simonetta Sommaruga, Didier Burkhalter, Johann SchneiderAmmann: tre consiglieri federali per una quadratura del cerchio. (Keystone)
e per questo ha già minacciato il lancio di un’iniziativa popolare che obblighi il Consiglio federale a disdire questo accordo. (Ma allora perché chiedere al governo di rinegoziare tutti gli accordi sottoscritti dalla Svizzera, così come previsto dalle disposizioni transitorie previste dall’iniziativa, e questo entro tre anni dalla data della sua approvazione, cioè entro il 9 febbraio 2017? Se l’obiettivo era quello di affossare l’accordo sulla libera circolazione delle persone, tanto valeva dirlo subito e non perdere ulteriore tempo.) Il problema maggiore che il Consiglio federale deve affrontare ora non è però quello di convincere le cerchie interessate in Svizzera della bontà della sua proposta, quanto riuscire a portare al tavolo dei negoziati la controparte europea. E qui almeno qualcosa si è mosso. Dopo il voto del 9 febbraio, a parte un laconico «ne prendiamo atto», nulla più si è mosso a Bruxelles. Vuoi perché alle istituzioni europee è apparso subito chiaro che la quadratura del
cerchio resta impossibile da realizzare, vuoi perché alla vigilia e subito dopo le elezioni europee del maggio dello scorso anno, l’attenzione dei Ventotto era altrove, non di certo sulle magagne (interne) elvetiche. E se la presidente della Confederazione il 2 febbraio scorso è tornata dalla sua visita a Bruxelles senza il briciolo di una promessa, è per lo meno riuscita a portare a casa un’apertura sull’avvio di discussioni (discussioni, si noti bene, non negoziati!), cosa risultata impossibile per tutto il 2014. Seppur piccolo, comunque un passo in avanti. Il progetto di concretizzazione del nuovo articolo costituzionale è stato posto in consultazione, i vari attori coinvolti avranno tempo fino alla fine di maggio per esprimere la loro opinione. E proprio nel mese di maggio dall’Inghilterra potrebbe arrivare un piccolo aiuto a sostegno della posizione elvetica. Il 7 maggio si terranno infatti le elezioni per il rinnovo della Camera dei comuni, e la Svizzera deve
augurarsi che a Londra in Parlamento (e perché no, al governo) vi sia una larga presenza del Partito per l’indipendenza del Regno Unito (UKIP), il partito euroscettico che ha vinto le elezioni europee dello scorso anno, il cui obiettivo dichiarato è quello del ritiro del Regno Unito dall’UE e che ha salutato il sì del sovrano elvetico all’iniziativa «sull’immigrazione di massa». Solo infatti con la presenza di una importante forza anti UE in uno degli Stati più importanti dell’Unione, la Svizzera può sperare che le istituzioni europee accettino di negoziare la quadratura del cerchio, perché prima non ne avrebbe alcun interesse. Ma se a Bruxelles i politici vedessero l’eventualità che la grande Albione fosse pronta ad abbandonare i ranghi a causa di questioni di politica migratoria, a quel punto potrebbero iniziare a riflettere se non sia il caso di essere meno rigidi in materia, fornendo una boccata d’ossigeno all’esecutivo della piccola Confederazione.
Berna deve rivedere il piano finanziario Conti della Confederazione I risultati del consuntivo 2014 non sono catastrofici, ma suonano
come campanello d’allarme per il futuro. Le entrate fiscali sono diminuite di oltre due miliardi Ignazio Bonoli La notizia era stata anticipata dal domenicale della «NZZ», con un titolo a sensazione in prima pagina del tipo «Miliardi di deficit nei conti della Confederazione». Questo ha probabilmente costretto il Dipartimento federale delle finanze ad anticipare la presentazione in Consiglio federale, con l’aggiunta che in un secondo tempo, si analizzeranno le cause di questa evoluzione. Le prime avvisaglie di un peg-
gioramento dei conti, e soprattutto di quelli a piano finanziario 20152018, erano comunque già state citate dall’Amministrazione federale delle finanze con la constatazione che le entrate sarebbero state di 1,9 miliardi di franchi inferiori a quelle del preventivo 2014. L’affermazione è poi stata confermata dalla responsabile delle finanze Widmer-Schlumpf, nella seduta di dicembre delle Camere federali, con la constatazione che le entrate dovute all’imposta federale diretta non corrispondevano alle previsioni.
Eveline Widmer-Schlumpf aveva già confermato in dicembre davanti alle Camere federali il crollo delle entrate fiscali. (Keystone)
Così l’11 febbraio il Consiglio federale poteva prendere atto delle cifre del consuntivo 2014 che indicano un disavanzo della gestione corrente di 124 milioni di franchi, corretto però in 89 milioni di franchi di avanzo, tenendo conto di 213 milioni di entrate straordinarie. Effettivamente, l’imposta federale diretta ha avuto un gettito di 17’975 milioni, inferiore di 2138 milioni a quello preventivato. Anche altre voci principali delle entrate sono inferiori alle previsioni, ma il minor incasso viene compensato dal gettito dell’imposta preventiva superiore di 794 milioni a quello preventivato. È quindi dimostrato che il disavanzo della gestione corrente 2014 è dovuto alle minori entrate dell’imposta federale diretta. La situazione viene poi migliorata (ma aggravata in prospettiva futura) dal fatto che le principali voci di spesa risultano pure inferiori alle previsioni. La voce più importante è quella della difesa nazionale: 508 milioni in meno, dovuti al mancato acquisto dei velivoli Gripen, a seguito del voto popolare negativo sul relativo credito. La chiusura dei conti della gestione corrente con un avanzo d’esercizio di 89 milioni, invece dei 121 preventivati, non pone particolari problemi. Preoccupa invece il calo molto sensi-
bile del gettito dell’imposta federale diretta di oltre 2 miliardi di franchi. Tanto più che per i prossimi anni si potrebbero verificare conseguenze negative dovute alla rivalutazione del franco, mentre si sentono già gli effetti della tassazione delle imprese II e di quella delle famiglie. Sulle entrate fiscali hanno un peso importante la compensazione delle perdite degli anni precedenti sugli utili delle società. Infine, un certo influsso negativo può essere visto anche nel minor numero di aziende create o trasferite in Svizzera. Influssi che sono destinati a perdurare nel tempo e che, quindi, condizioneranno il piano finanziario per i prossimi anni. Senza contromisure, gli avanzi d’esercizio previsti si trasformeranno in pesanti disavanzi. Per il 2016, il nuovo piano finanziario prevederà un deficit di 1,4 miliardi, per il 2017 ancora un deficit di 1,1 miliardi. In questo caso avrà applicazione lo strumento del freno alla spesa, per cui la situazione potrebbe migliorare nel 2018, ma senza uscire dalle cifre rosse. Il preventivo 2015 non può più essere corretto, ma il Consiglio federale attuerà misure per contenere le uscite, dal momento che si dovranno prevedere minori gettiti tanto per l’imposta federale diretta, quanto per l’IVA. Per gli anni seguenti questi minori gettiti
trasformeranno i previsti avanzi in disavanzi strutturali e costringeranno a rivedere parecchie posizioni. Secondo il piano finanziario, si sarebbe potuto utilizzare l’avanzo di un miliardo di franchi per indennizzare quei cantoni che avrebbero subito perdite dalla riforma della tassazione delle imprese III. Anche per questo motivo si pensa di recuperare il terreno mediante una compressione delle spese. Per principio si cercherà di rimanere al livello di questi ultimi anni, ma per quelle spese che hanno beneficiato dell’assenza di rincaro si applicherà un’ulteriore riduzione del 3 per cento. Le spese per il personale verranno congelate al livello del 2015 e altre spese verranno ridotte in modo da limitare la crescita del totale di spese all’1 per cento. Operazione non facile, soprattutto in un anno elettorale in cui il Parlamento, in particolare, ha tendenza ad aumentare le spese. Ma proprio il 2015 e i prossimi anni sono carichi di incertezze tanto politiche, quanto economiche tali da non indurre all’ottimismo per ciò che riguarda le entrate fiscali. Da qui il passaggio obbligato a una fase di risparmi, almeno per rallentare la crescita del ruolo dello Stato (Confederazione, Cantoni, Comuni) che in questi ultimi anni è stata particolarmente intensa.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Il turismo: un settore di base per l’economia ticinese Anche se la Pasqua che, tradizionalmente, rappresenta l’inizio della stagione turistica, è ancora lontana, questa settimana parliamo di turismo. Ce ne offre lo spunto lo studio, voluto dal Cantone e dai responsabili del settore, pubblicato di recente e presentato in dettaglio la scorsa settimana su «Azione» da Daniele Besomi. Prima di tornare su alcuni dei suoi risultati facciamo un passo indietro. Cinquant’anni fa, il giovane Ufficio delle Ricerche Economiche del Cantone pubblicò, a sostegno del primo progetto di legge sul turismo, un voluminoso rapporto dal quale risultava che il contributo del turismo al valore aggiunto era, in Ticino, pari al 20 per cento. Il nuovo rapporto sul nostro turismo afferma invece che, sommando gli effetti diretti con quelli indiretti, il contributo è pari al 9.6 per cento. Come mai questa differenza? Che la stessa sia l’espressione della decadenza che l’attività turistica nel cantone ha conosciuto nel corso degli ultimi quarant’anni? In parte certamente sì, in parte, ancora, è dovuto alle differenze nel metodo con il quale la quota stessa è stata stimata e, infine, siccome la quota del turismo è
un rapporto tra quello che dà il settore e il valore aggiunto complessivo, la perdita di importanza del settore turistico è anche determinata dal fatto che gli altri rami della nostra economia si sono sviluppati più rapidamente. E affermando questo arriviamo già a un punto nodale per quanto riguarda l’esame dell’apporto del turismo all’economia ticinese: il turismo è un’attività nella quale la produttività per posto,
o ora, di lavoro è inferiore alla media. È quello che succede nella maggior parte dei servizi (servizi finanziari esclusi). Tre sono forse le ragioni che impediscono al turismo ticinese di essere più produttivo. La prima è il suo carattere di attività stagionale. Nonostante la stagione, di decennio in decennio, si sia allungata di qualche giorno, i pernottamenti in albergo nei mesi invernali (dicembre-gennaio) continuano ad
Due terzi dei turisti lasciano il Ticino il giorno stesso della loro visita.
essere 6 volte inferiori a quelli di luglio e agosto. La seconda è data dall’enorme importanza dei flussi nelle strutture ricettive non alberghiere nel totale dei flussi turistici del nostro cantone. Esagerando, ma forse neanche tanto, si può affermare che il turismo di soggiorno ticinese è soprattutto un turismo di camping, case e appartamenti di vacanza e, come si sa, la produttività di queste strutture e, quindi, il loro apporto al valore aggiunto dell’economia cantonale è sicuramente inferiore a quella dell’albergo. A queste due ragioni bisogna aggiungerne una terza. Di decennio in decennio il turismo ticinese perde la sua qualità di turismo di soggiorno. Lo studio appena pubblicato ci dice che, nel 2012 i turisti in Ticino sono stati 21,3 milioni. Di questi solo 8,2 milioni, ossia appena un po’ più di un terzo, hanno pernottato da noi, in alberghi, pensioni, camping, rifugi, case e appartamenti di vacanza. Quasi due terzi dei turisti, invece, fanno da noi solo un salto e lasciano il Ticino lo stesso giorno della loro visita. Anche loro contribuiscono alla crescita della nostra economia. Pensiamo tuttavia che il loro apporto sia minore
di quello del turista che soggiorna per alcuni giorni da noi. E allora, se il turismo, tutto sommato, è un’attività poco produttiva, perché riceve così tanta attenzione da parte della nostra opinione pubblica? Perché il turismo continua ad essere considerato come un settore di base dell’economia ticinese? Dapprima perché nelle attività turistiche sono occupati – direttamente o indirettamente – più di ventimila persone. Lavorano nelle strutture ricettive, nei ristoranti, nei negozi interessati dal turismo, in tutte le altre strutture del tempo libero e dei divertimenti che sono visitate dai turisti, nelle stazioni di benzina, nei garage, nei centri commerciali e nelle imprese edili che forniscono beni e servizi al turista che soggiorna e a quello di passaggio. E in secondo luogo perché il turismo è largamente un settore di esportazione e quindi, aggiungendo alla domanda interna una domanda che viene da fuori, ingrandisce di fatto i mercati accessibili alle aziende localizzate nel cantone consentendo così a molte di loro di sopravvivere in un’economia tutto sommato di piccole dimensioni.
Libia, la sua aviazione è diventata come l’esercito curdo in Iraq: il nostro alleato più affidabile (e tutti a turarsi il naso, ché il presidente egiziano al Sisi non è un campione di democrazia, ma non si può essere schizzinosi adesso). Obama ha avocato a sé più poteri di guerra, per i prossimi tre anni, sono arrivati altri marine in Kuwait, ma ufficialmente la linea americana non è cambiata: no «boots on the ground», sul campo marciano gli alleati. L’esercito iracheno, che pure non è molto equipaggiato né molto addestrato, cerca di difendere le città vicine ai conquistatori jihadisti, si appresta a una grande offensiva a Mosul e tenta di proteggere Baghdad. I suoi alleati sono soprattutto le milizie sciite, quelle che nella guerra in Iraq ammazzavano americani come mosche, e che oggi collaborano di fatto nella lotta contro lo Stato islamico: pare che i contatti e la collaborazione tra Iraq e Iran non sia
mai stata tanto solida e operosa. Nel quadro delle alleanze si è infilato anche il rais siriano, Bashar al-Assad, sempre più forte al suo posto, che combatte la guerra al terrorismo assieme ai suoi nemici naturali, cercando intanto di avvantaggiarsi contro i ribelli. A sostenerlo ci sono le Guardie della Rivoluzione iraniane: secondo alcuni dispacci trapelati nei giorni scorsi, nelle battaglie al sud della Siria, dove opera soprattutto il fronte al-Nusra legato ad al-Qaeda non lo Stato islamico, c’è addirittura il grande capo dei pasdaran, quel Qassam Suleimani che in questa guerra di terrorismi di stampo diverso, sciita e sunnita, si gioca decenni di lavoro e di operazioni clandestine fuori dai confini iraniani. A pochi chilometri dalla sua base ci sono le colline del Golan, quindi Israele, e certo non deve parer vero a Teheran di essersi spinto così vicino al suo obiettivo più ambizioso, Gerusalemme.
a Roma nel 1936. Nella letteratura settoriale, il suo nome è legato alla «legge ferrea dell’oligarchia». Esaminando i meccanismi di funzionamento di un grande partito popolare come la socialdemocrazia tedesca negli anni della «belle époque», Michels giunse alla conclusione che ogni organizzazione partitica genera al suo interno un’inevitabile spinta alla gerarchizzazione e alla costituzione di una ristretta élite che finisce per auto-riprodursi, riservando ai militanti unicamente un potere di ratifica di decisioni già prese ai vertici. Con le sue parole: «Chi dice organizzazione, dice tendenza all’oligarchia. (…) La tendenza burocratica ed oligarchica assunta dalla organizzazione dei partiti anche democratici è da considerarsi senza dubbio quale frutto d’una necessità tecnica e pratica. Essa è il prodot-
to inevitabile del principio stesso dell’organizzazione». Michels, dopo aver insegnato economia politica e statistica all’università di Basilea (1914-1928) e scritto saggi sull’immigrazione italiana in Svizzera, nel 1924 aderì al Partito nazionale fascista guidato da Benito Mussolini. I suoi studi sulla degenerazione dei partiti avevano finito per sospingerlo nelle braccia del Duce. Come dire: dalla padella (il partito oligarchico) alla brace (il partito unico). Restano le sue pionieristiche pagine di sociologia politica, che ancora oggi meritano un’attenta lettura da parte di chi, nonostante tutto, continua ad assegnare ai partiti un ruolo centrale nelle modalità di funzionamento della macchina democratica: non solo cinghia di trasmissione delle scelte, ma anche luogo di formazione e di selezione della classe dirigente.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Dove c’è un vuoto arriva l’Isis Lo Stato islamico ha conquistato anche parte della Libia, non soltanto Derna, che è un hub di risorse, uomini e armi da parecchio tempo, ma anche Sirte, manda i suoi filmati terrorizzanti con decapitazioni di massa, dice che arriverà fino a Roma, sembra inarrestabile. Nella provincia di Anbar, in Iraq, gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi sono arrivati a pochi chilometri da una base aerea piena di americani: si combatte alla periferia di Ramadi, e pare che la coalizione occidentale non riesca a vincere, nonostante siano mesi che bombarda lo Stato islamico. Appena c’è un vuoto di potere, il califfato di al-Baghdadi ci si infila – e nella Libia abbandonata dagli americani dopo la strage di Bengasi e mal gestita dagli europei tentennanti, il vuoto è quasi palpabile: non c’è un interlocutore valido cui affidarsi, nonostante i grandi sforzi diplomatici messi in
campo, anche con il sostegno dell’Italia, dall’inviato dell’Onu Bernardino Leon. Lo schema di infiltrazione da parte dello Stato islamico è così fin dall’inizio: ha cominciato a funzionare in Siria, ed è stato riapplicato in molte altre zone. Mentre l’Occidente studiava una strategia per la guerra civile siriana – è bene ricordare che non più tardi dell’agosto scorso, quando gli aerei americani contro lo Stato islamico in Iraq si erano già alzati in volo, il presidente Barack Obama diceva: «Non abbiamo ancora una strategia» – lo Stato islamico forte del suo regno a Raqqa elaborava teorie di conquista in Iraq e oltre. Il governo iracheno era debole a Fallujah e a Mosul, e così al-Baghdadi ha potuto imporsi. Lo stesso vale in alcune parti della Penisola del Sinai, così come in Libia, e gli annunci di affiliazione sono sempre più numerosi anche in Pakistan e Afghanistan. La lotta intrajihadista tra Stato
islamico e al-Qaeda, iniziata sempre in Siria, ha innescato una competizione basata sulla ferocia, basta vedere quanto a lungo si è discusso della rivendicazione degli attentati di Parigi. Ci sono poi gli aspiranti califfi, come il leader del Boko Haram nigeriano, Abubakar Shekau, che s’ispira alle gesta dello Stato islamico per terrorizzare buona parte del nord della Nigeria, sconfinando in Camerun sempre più spesso, appena intravede qualche vuoto lasciato dall’esercito. Il contenimento della minaccia del califfato sembra sempre più sfilacciato. A Washington c’è stato un incontro sulla sicurezza che si è concentrato soprattutto sui messaggi dello Stato islamico, quella propaganda che ci propina immagini inguardabili, come se riducendola si potesse anche ridurre l’avanzata del califfato. L’Egitto si è messo a bombardare lo Stato islamico in
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti I partiti: chi comanda e chi ubbidisce Tutto è in movimento sotto il cielo della politica; dai piani alti ai piani bassi, dalla sfera internazionale alla scala regionale: un moto oscillatorio che investe persone e idee. Le passioni si sono spente, le ideologie sono state detronizzate dal pragmatismo e dalla necessità del «fare», mentre i canali d’informazione e di propaganda si sono trasferiti dalla piazza alla rete, dai quotidiani di partito alla televisione. Anche i programmi elettorali sono stati spolpati e ridotti all’osso. Un intero corredo di rituali e di abitudini (comizi, bandiere, raduni, inni, veglioni) è stato riposto in soffitta, reperti dei tempi antichi. Resta, in campo, una domanda: una società come la nostra può permettersi di disperdere la sua cultura politica, ossia quell’insieme di conoscenze, di pratiche, di insegnamenti che, per alcuni secoli, hanno sorretto l’impianto
repubblicano e democratico del Paese? Le tendenze recenti, amplificate dai mezzi descritti sopra, non fanno ben sperare. Le nuove reti sociali – da Facebook a Twitter – inclinano ad esaltare i profili individuali, la battuta brillante, l’immagine di sé, la capacità di stupire, ma non certamente l’approfondimento e il dialogo civile. Questi spazi bisogna cercarli altrove. Dove? Qui sta uno dei nodi cruciali del nostro sistema. È un problema che i partiti politici dovrebbero porsi, poiché spetta a loro, in primo luogo, ravvivare il dibattito pubblico con stimoli e proposte. Sono loro l’anello di congiunzione tra il cittadino e le istituzioni. I movimenti non potranno mai sostituirli del tutto, giacché esercitano una funzione diversa. Sono spesso monotematici e intermittenti. Nascono e muoiono in breve tempo. Colgono l’attimo e
s’infilano nel vuoto lasciato dai partiti, ma è raro che riescano a darsi una struttura stabile in grado di sopravvivere alle virate e agli sbalzi di umore della società. E tuttavia anche i movimenti contribuiscono (o possono contribuire) alla crescita e alla maturazione della democrazia. Infatti le accuse che rivolgono al sistema dei partiti (formazioni ormai superate, lente, macchinose, verticistiche, chiuse, impermeabili alle riforme, governate sempre dai medesimi clan familiari) non sono del tutto infondate. Come la storia dimostra. È più o meno un secolo che la sociologia studia il fenomeno dei partiti e le loro dinamiche interne. Uno dei capostipiti del filone fu Robert (o Roberto) Michels, singolare figura di intellettuale italo-tedesco poliglotta, nato a Colonia nel 1876 e morto
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Cultura e Spettacoli Sfumature grigie in film È uscito nei cinema a San Valentino e, come previsto, fa molto discutere
Note del cinema svizzero Suisa dedica una pubblicazione speciale alle musiche da film di compositori elvetici
La qualità garantisce la fiducia Intervista al nuovo direttore dell’informazione RSI, Reto Ceschi, in un dialogo che parte dall’attualità per toccare temi legati alla comunicazione radio e tv
Conservare la modernità Le opere dell’arte contemporanea iniziano a deperire e oggi si pone il problema del loro restauro pagina 42
pagina 41
pagina 35
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1933: dopo la presa del potere in Germania i partiti politici avversari vengono proibiti. (Keystone)
Nascosta tra le pieghe dell’incubo Biografie La vicenda di Marie Jalowicz Simon, sopravvissuta alle persecuzioni razziali nella Berlino nazista Luigi Forte Nel dicembre del 1997, nove mesi prima della sua morte, Marie Jalowicz Simon decise di raccontare gli anni della guerra trascorsi a Berlino dov’era nata. Forse non l’avrebbe mai fatto se il figlio Hermann un bel giorno non l’avesse colta di sorpresa invitandola a registrare in ordine cronologico i suoi ricordi: senza domande e senza interruzioni. Ne risultarono ben 77 cassette e oltre novecento pagine di trascrizione che la giornalista Irene Stratenwerth rielaborò selezionando l’ampio materiale con uno sviluppo lineare degli eventi nel volume Clandestina che Einaudi propone nella scorrevole versione di Isabella Amico di Meane. Così dalla narrazione vivacissima dell’ebrea Jalowicz Simon, di ottima famiglia borghese, nel dopoguerra docente di storia della civiltà e della letteratura del mondo antico a Berlino est, riemerge la ventenne Marie orfana di entrambi i genitori, che nel giugno del 1942 decide di scomparire per sottrarsi alla Gestapo e a una morte sicura. Grazie all’aiuto di molta gente, ebrei, comunisti o comunque persone ostili al nazismo, inizia una vita in clandestinità fatta di nascondigli, documenti falsi, continui e logoranti spostamenti. Ma Marie è coraggiosa e determinata: s’avventura per la città come in una
sorta di girone infernale che la rievocazione, a distanza di anni, riesce a mimetizzare dietro i gesti della quotidianità trasformando la protagonista in un personaggio quasi picaresco, apparentemente senza le stimmate di una tragicità incalzante. Scopre la banalità del male, verrebbe da dire con Hannah Arendt, che qui s’incarna in piccoliborghesi frustrati, in figure stereotipe come portinaie e casalinghe, bottegaie e commesse sedotte dai discorsi del Führer e da un antisemitismo viscerale. L’orizzonte di Marie costretta in molti casi a una vita di segregazione, si restringe sempre di più, mentre il racconto conserva ritmo e tensione. Ma prima di scomparire nell’anonimato la protagonista rammenta altre esperienze maturate fra costrizioni e disagi di ogni tipo. Come il pesante lavoro ai torni nei capannoni della Siemens nel quartiere di Spandau, con altre duecento donne ebree. Per fortuna nascono rapporti e amicizie, talvolta anche con i capireparto, e si crea una forte solidarietà: «Qui non ci sono antisemiti, – conclude un po’ affrettatamente la giovane – sono tutti così gentili». Certo non si fa illusioni, sa che il rischio è di essere prima o poi deportati, e sogna quella libertà che la collega laureata Elke ottiene grazie al permesso di espatrio in America. Ora che è morto
anche il padre avvocato, Marie è consapevole che fuori da quella fabbrica, come le dice un superiore, sarà sola in un deserto di ghiaccio, tuttavia chiede di essere licenziata. Nel frattempo trova ospitalità a Kreuzberg presso la famiglia Jacobsohn, aiutata anche dalla zia Grete una delle tante vittime dell’Olocausto. Nel frattempo tenta un finto matrimonio con un cinese per poter emigrare, ma le cose non vanno nel verso giusto. Con rocambolesca presenza di spirito riesce a sfuggire all’arresto all’alba del 22 giugno 1942: si ritrova per strada in sottoveste e un operaio di passaggio l’aiuta a raggiungere l’abitazione di un’amica. Così ha inizio la sua vita nomade e precaria in cui si alternano i personaggi più disparati come in un vecchio romanzo d’appendice. Ci sono sedicenti amiche come Toni Kirchstein, che però intrattiene rapporti con la Gestapo oppure Ernst Wolff, membro della migliore borghesia ebrea, che la metterà incinta e il ginecologo ebreo Bruno Heller che l’aiuterà ad abortire fornendole poi tutta una rete di appoggi e protezioni. Anche lui, molto attivo nel sostegno ai clandestini, scomparirà in un lager. Marie non si perde d’animo: grazie all’amica Johanna Koch disposta a cederle la sua identità, riesce a procurarsi i documenti per andare con un cono-
scente, Dimitr Čakalov, in Bulgaria attraverso Vienna e Zagabria. La fuga riesce, ma poi a Sofia viene denunciata ed è costretta a rientrare in patria. «Mi sentivo prigioniera in un tunnel», ricorda l’anziana signora Simon. Per fortuna l’amico Heller la mette in contatto con l’ariana Karola Schenk, un tempo acrobata, disposta ad ospitarla per qualche settimana. Così riprende la sua via crucis, talvolta fuori città, poi di nuovo a Berlino nel quartiere operaio di Neukölln, accolta da una giovane madre col marito al fronte, in una casa dove la portinaia è una sfegatata nazista e dove Marie soffrirà una fame pazzesca. Ma la sua odissea non finisce qui. Le toccherà vivere per qualche tempo anche in una baracca con uno storpio; poi troverà appoggio in Trude Neuke, incarnazione della partigiana comunista, e infine accetterà il ruolo di fidanzata di un olandese mezzo matto, che spesso gliele dà di santa ragione. La vita fluisce in una spirale soffocante, le relazioni sono fugaci e strumentali e la giovane sospira: «Spesso avevo nostalgia di rapporti autentici, di persone con cui non doversi comportare in modo strategico». La vecchia docente Simon riesce comunque a descrivere l’orrore nei giorni dell’apocalisse del Terzo Reich con le parole della quotidianità, lontana da qualsiasi retorica. Il mondo in cui
galleggia disperatamente Marie, quella Berlino che qui mostra la sua tragica disfatta, è colto da una distanza che mette a fuoco ogni dettaglio evitando però deliri o autocommiserazione. Perfino l’arrivo dei russi in città, che come raccontò un’anonima autrice nell’agghiacciante diario Una donna a Berlino (Einaudi, 2004), trattarono le donne tedesche come «riserva di caccia, bottino di guerra», è condensato in poche righe. Lei stessa subì violenza, ma sembra non stupirsene più di fronte a tutto ciò che in quei tre anni di follia aveva visto e provato. Il libro di Marie Jalowicz Simon si legge come un drammatico romanzo in cui la musica della vita continua ad echeggiare sopra ogni ferocia e i rituali della sopravvivenza scandiscono confortanti gesti di speranza e solidarietà. Ed è un racconto in gran parte popolato da figure femminili piene di sofferenza e di energia, capaci di reggere forse meglio le sconfitte, senza perdere la testa troppo facilmente. Bibliografia
Marie Jalowicz Simon, Clandestina. Una giovane donna sopravvissuta a Berlino 1940-1945, a cura di Irene Stratenwerth e Hermann Simon, trad. di Isabella Amico di Meane, Einaudi, p. 331, Є 20,00.
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Cultura e Spettacoli
Sfumature di kitsch Al cinema Uscita a San Valentino la versione cinematografica del celebre romanzo erotico:
a fronte del suo successo di pubblico sulla rete impazzano già le parodie e i sarcasmi Mariarosa Mancuso Resistere è inutile. Tanto vale divertirsi. Cinquanta sfumature di grigio, uscito nei cinema per San Valentino – quando le donne scelgono il film, il resto dell’anno fa lui e sono pellicole d’azione – sta battendo tutti i record d’incassi. Tra frizzi, lazzi, insulti più o meno ricercati, proteste, dichiarazioni sdegnate di chi mai andrà a vederlo (del resto non ha neppure letto la trilogia, chissà come ha potuto vendere cento milioni di copie in 52 lingue?). Cinquantuno, almeno, migliori dell’originale: tutto merito dei traduttori che per non essere accusati di incompetenza, hanno ritoccato qua e là la prosa – si fa per dire – di E.L. James. «Nessuno può credere, dopo le prime pagine del romanzo, che sia scritto da un’inglese lingua madre», ha scritto Anthony Lane sul «New Yorker», come aperitivo prima di affondare i denti nel film. La scrittrice tiene a non passare per una casalinga disperata – «ho un lavoro in televisione», ripeteva ai giornalisti durante il cocktail organizzato in suo onore a Milano dall’editore Mondadori, e intanto cercava di abbreviare il rito per dedicarsi allo shopping. Soldi da spendere ne ha, oltre al potere contrattuale: ha fatto vedere i sorci verdi a Sam TaylorJohnson, la regista del film, controllando ogni dettaglio. Risultato: i due seguiti della trilogia sfumatoriale li dirigerà qualcun altro (e dire che erano partite altissime, le aspiranti attrici hanno dovuto recitare al provino un monologo di
Ingmar Bergman, modello imperituro di ogni masochismo femminile). Resteranno gli attori, l’americana Dakota Johnson e l’irlandese Jamie Dornan, e si suppone resterà la totale mancanza di chimica tra loro. Anche quando si rotolano tra le stesse lenzuola, son freddi e distanti come se recitassero in due film diversi. Lei per fortuna ha perso in fase di sceneggiatura la sua «dea interiore» – nei romanzi, è tutto un «la mia dea interiore ballava il merengue», o «la mia dea interiore rialzò la testa», per dire gli abissi meravigliosi del kitsch che solo una lettura diretta può garantire. Ha recitato bene il suo monologo bergmaniano, mordendosi il labbruccio inferiore che è il suo unico modo per esprimere emozioni. Soprattutto, è figlia di Don Johnson e di Melanie Griffith, che a sua volta è figlia di Tippi Hedren maltrattata da Alfred Hitchcock in Gli uccelli. Per le lettrici e le spettatrici insaziabili, esiste da qualche giorno un generatore automatico di sfumature di grigio. Trattasi di algoritmo, lo trovate su Internet, che debitamente caricato di sconcezze, e si immagina frustato per dare il meglio, produce testi a imitazione dell’originale. Così garantisce Lisa Wray che lo ha inventato. A un accurato esame – è uno sporco lavoro ma qualcuno doveva pur farlo – risultano perfino migliori. Per ripagarci dalla fatica, abbiamo ordinato alla premiata ditta Vermont Teddy Bear il modello Christian Grey: un orsetto di pezza elegantemente
vestito in giacca e cravatta, con manette e mascherina. L’orsetto Ted nel film di Seth MacFarlane – quello che diceva alla commessa strizzando l’occhio di vetro «toccami sotto l’etichetta» – in un angolo muore di invidia (bellissimo anche l’orsetto zombie, grigio e pesto come si conviene a un morto vivente: ma servivano altri 90 dollari, sarà per il prossimo Natale). Le parodie del trailer non si contano. Uno è fatto con i mattoncini e i pupazzetti Lego, che per la prima volta mettono piede nel regno del porno. «Mommy porn», perché le ragazzine preferiscono il vampiro di Twilight: per dare un pizzico di brividi adulti alla storia della mormona Stephenie Meyers, la cinquantenne E.L. James cominciò in rete la sua fan fiction. Si chiamano così i testi che i lettori fanatici mettono su Internet, a continuazione e a variazione dei romanzi prediletti. Un altro trailer si intitola Fifty Shades of Buscemi, e intreccia le scene del porno per signore mature con scene recitate da Steve Buscemi, da Fargo dei fratelli Coen alla serie tv Empire, ambientata ad Atlantic City. Christian Grey e Anastasia Steele invece vivono a Seattle, dove lui ha fatto i soldi non si sa come e ha una passione per le Audi (oltre che per i frustini e i gatti a nove code che tiene in ordine come fa con le sue casseruole un cuoco dilettante). E sì, dobbiamo dirlo, lui ha a casa un pianoforte con vista sui grattacieli e lo suona con addosso soltanto i calzoni del pigiama. Di notte.
Anche l’orsetto Teddy si adatta alle mode del momento. (Vermont Teddy Bear)
Lei si sveglia, sulle romanticissime note, e lo guarda ammirata. Dove avevamo già incontrato una scena simile? Certo, in Madame Bovary di Gustave Flaubert. Emma – dopo aver letto decine di romanzi che scaldano il cuore e la testa delle fanciulle – immagina un pianista che suoni sulle alpi sviz-
zere, in vista delle cime sublimi. Le fantasie delle signore annoiate non hanno fatto un passo avanti da quel dì. Quanto al sadomaso, e alla trasgressione: tante belle parole, tante torture promesse dal contratto. Prima però Christian e Anastasia fanno conoscenza con i rispettivi genitori. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Eccelso Rick Riedizioni Le suggestioni cavalleresche di Rick Wakeman:
finalmente ristampato in deluxe edition un disco – simbolo del «Progressive Rock» inglese Benedicta Froelich Anche nell’infinito e sempre ribollente universo delle ristampe e riedizioni musicali, capita a volte che qualche discografico «illuminato» si impegni, una volta tanto, a riportare alla luce dei reperti di cui si erano effettivamente perse le tracce, magari perché appartenenti a un genere non più considerato «di tendenza». È questo il caso di un fenomeno ormai in parte datato come il Progressive Rock inglese, che ora sembra lentamente tornare alla ribalta internazionale: a poche settimane dall’uscita dell’ultimo album della storica band degli Yes, ecco infatti che una ristampa di valore giunge a celebrare uno dei membri principali di questa mitica formazione. Stiamo parlando dell’eccelso tastierista Rick Wakeman, il quale, trascorsi gli anni d’oro della band a cui si era unito nel 1971, ne ha fatto parte a periodi alterni, preferendo dedicarsi a una solida attività solista, intrapresa già nel ’73. E proprio oggi, a tanti anni di distanza dai suoi maggiori successi, la casa discografica A&M ha finalmente deciso di tributare a Wakeman l’attenzione che il suo lavoro merita, ristampando gli album solisti dell’artista in eleganti deluxe edition a doppio disco, tutte rigorosamente rimasterizzate.
Uno dei primi lavori ad apparire in questa serie è, non a caso, l’album per certi versi più rappresentativo dell’anima artistica di Wakeman, ovvero il celebre The Myths and Legends of King Arthur and the Knights of the Round Table (1975) – una vera e propria «opera rock» nel più puro genere progressive, per certi versi pionieristica e anche un po’ pretenziosa, tramite la quale il musicista ripercorre con sonorità epiche ed evocative la nota vicenda di Re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Questo concept album (il terzo lavoro solista di Rick), salutato all’epoca come un capolavoro assoluto della categoria, è invecchiato sorprendentemente bene; così, anche se la costante insistenza sull’uso dei sintetizzatori può oggi apparire un po’ ingenua, le sorprendenti sezioni vocali (che vedono Wakeman alternarsi a un coro fenomenale come l’English Chamber Choir) e la solenne orchestrazione conservano tutta la potenza dell’epoca – basta ascoltare la suite d’apertura, Arthur, per ritrovare la magia squisitamente anni ’70 di una narrazione corposa e imponente; mentre un brano come Lady of the Lake infonde immediatamente la sensazione di trovarsi in un edificio sacro, tale è l’atmosfera maestosa evocata dal coro nella sua fusione perfetta con le tastiere di Rick. Certo, l’album è ambizioso
come un poema o una cantata medioevale, tanto che la tracklist segue puntigliosamente la linea narrativa delle leggende arturiane; ma è una gioia scoprire a quali suggestioni Wakeman sia in grado di dare vita con appena pochi accordi, come si vede nell’incredibile mix di sonorità vaudeville e proto-new age che è Merlin the Magician o, ancora, nel piccolo capolavoro prog Sir Galahad – in cui i sintetizzatori si intrecciano con le tastiere e l’atmosfera eroica dell’opera si tinge di accenti intimisti e soffusi (merito delle delicate armonie vocali delle sezioni cantate, nonché dell’uso di strumenti quali arpa, xilofono e campane tubolari). Senza dimenticare l’epico The Last Battle, che mostra una volta di più come, nello stile di una vera opera sinfonica, il tema principale su cui le melodie si basano ritorni più e più volte nell’arco dell’intero disco, palesandosi in innumerevoli incarnazioni lungo i vari brani. Purtroppo, al di là della versione rimasterizzata dell’album, non si può dire che quest’edizione deluxe offra molto materiale aggiuntivo con cui valorizzare il pur ricco piatto: a differenza di quanto alcuni si aspettavano, il DVD allegato non contiene infatti il filmato live che documentava i concerti tenuti da Wakeman per promuovere l’album, ma piuttosto l’ipertecnologico «Quad
Come un vero mago delle tastiere. (Wikimedia)
mix» del disco (tratto direttamente dalla vecchia edizione su vinile!) – il quale dovrebbe permettere di godere del cosiddetto «sound quadrifonico», probabilmente apprezzabile soltanto da chi è in possesso di un costoso impianto stereo professionale. Tuttavia, il piacere di riascoltare una gemma di «pura autoindulgenza progressive» in versione rimasterizzata e finalmente adeguata al grande pubblico di oggi vale comunque la spesa di questa riedizione, utile al fine di ricordare l’impatto che l’album ebbe all’epoca della sua uscita. In effetti, ciò che rende questo di-
sco immortale è la sua capacità di trascendere il genere prog per diventare, come tutte le grandi opere musicali, assolutamente universale; e viene quasi da pensare che, per quanto inevitabile il processo sia stato, il fatto che l’avvento della musica «arrabbiata» punk e hard rock dei tardi anni 70 abbia fatto passare tanto valido materiale musicale in secondo piano sia in parte un peccato. Un motivo in più per apprezzare il fatto che dischi di questo tipo possano infine essere riscoperti (e magari ammirati) anche da coloro che, ai tempi del Progressive Rock inglese, non erano nemmeno nati.
Musica svizzera per film, novant’anni e non sentirli Antologie Pubblicati dalla Fondation SUISA un libro, un dvd e tre dischi dedicati alle colonne sonore nazionali Zeno Gabaglio Parlando di cinema svizzero capita talvolta di incontrare – all’estero, ma purtroppo anche in patria – persone cui si dipinge improvvisamente un punto di domanda sul volto: esiste davvero un cinema svizzero? Che tipo di film vengono fatti? Dove li si può vedere? Chi sono i registi e gli attori di riferimento? E se scarsa si dimostra la conoscenza del prodotto cinematografico nazionale possiamo solo supporre quanto effettivamente possa essere negletta l’arte musicale che a esso si accompagna: la musica per film. Ci sono quindi (buoni) autori di colonne sonore svizzere? Da quanto tempo? Per quali film? Tutte domande legittime che da pochissimi giorni potranno avere una risposta puntuale ed esaustiva grazie alla Swiss
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Gruntz all’improvvisazione radicale di Irène Schweizer, alla canzone, alla musica popolare e fino all’Orchestra Radiosa diretta da Mario Robbiani.
o dell’esperto di sound design Volker Böhm) e schede esaustive sul materiale audiovisivo raccolto negli altri supporti.
alle proteste dei viaggiatori Swissair rimasti a terra e alla desolata ammissione di fallimento dello speaker.
Il libro
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La pubblicazione si presenta decisamente articolata, nel tentativo (malgrado l’inevitabile selezione) di essere la più completa possibile. E così i formati per il fruitore sono tre: il disco, il dvd e il libro. In quest’ultimo – per la sua natura irrimediabilmente distante sia dal film sia dalla musica – il curatore Mathias Spohr ha raccolto un notevole numero di saggi critici scritti ad hoc, testimonianze dirette dei compositori (storiche – come quelle di Honegger o di Robert Blum, che fu allievo di Busoni a Berlino – ma anche attuali, come quelle del jazzista Bruno Spoerri
Nucleo centrale dell’antologia sono i tre dischi contenenti estratti da colonne sonore, quasi quattro ore di musica che – con brani di durata media ma anche brevissima – danno un tangibile e curioso esempio dell’inventiva musicale svizzera dell’ultimo secolo. Con l’aggiunta dell’intelligente scelta di presentare alcune musiche in modo non asettico ma inserendole nel contesto sonoro del film per cui sono state scritte. Così il malinconico pianoforte su orchestra d’archi composto da Adrian Frutiger per il film Grounding di Michael Steiner fa tutto un altro effetto, associato com’è
Altrettanto interessante è il dvd, che lascia riemergere dal passato più o meno recente delle forme audiovisive che difficilmente si incontrerebbero altrove, e non certo perché non siano portatrici di valore artistico o di significato storicoantropologico. Si va così dalla pubblicità dei vestiti per bambini prodotta dalla Migros nel 1967 alla videoarte di Pipilotti Rist, dal cabaret piegato alla promozione Nestlé negli anni Cinquanta ai mediometraggi sperimentali degli anni Trenta, da un documentario artistico sulla Maggia del 1970 alla surreale autopresentazione della Kunsthaus di Zurigo per il centenario del 2010.
Il dvd
Novant’anni tra tutti gli stili
Il titolo dell’opera contiene in realtà anche un dettaglio piuttosto significativo: l’indicazione temporale 1923-2012. Novant’anni, cioè un quasi-secolo che risulta importante nel testimoniare come ragguardevole la dimensione del fenomeno, nato prima ancora che la cinematografia si dotasse del sonoro e continuato senza sosta fin nel nostro presente. E per chiarirne la natura trasversale basti citare che praticamente tutti i generi musicali sono coinvolti dall’utilizzo cinematografico: dalla composizione classica del più grande compositore svizzero Arthur Honegger al pop degli Yello, dal jazz di George
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Cultura e Spettacoli
La fatica dell’italiano Linguistica Una lunga e appassionata narrazione della conquista della lingua italiana da parte
della scrittrice anglo-americana-bengalese Jhumpa Lahiri
Stefano Vassere «Quando penso all’Italia, sento di nuovo certe parole, certe frasi. Sento la loro mancanza. Questa mancanza mi spinge, pian piano, a imparare la lingua. Mi sento sia incalzata dal desiderio sia esitante, timida. Chiedo all’italiano, con una lieve impazienza: permesso?».
«Mi identifico con l’imperfetto perché un senso di imperfezione ha segnato la mia vita» Si cercherà invano il nome del traduttore di questa raccolta di appassionate e ossessive narrazioni sull’apprendimento della lingua italiana da parte della scrittrice anglo-americana di origini bengalesi Jhumpa Lahiri; lo si cercherà e non lo si troverà perché la Lahiri, con questa storia dell’italiano, è una un po’ fissata. Una che se la invitano a un convegno a Capri sulla letteratura tradotta insiste per presentare un testo non in inglese, che è la sua lingua madre, ma nell’italiano che ha appena imparato, e che poi ci pensi la traduttrice a renderla in inglese. È evidente che se una così decide di scrivere un libro su quanto sia sta-
to lungo e complicato imparare l’italiano o anche solo come le è saltato in mente di trasferirsi da New York a Roma per un paio di anni con quel solo intento, ecco, se una decide di scriverci un libro è chiaro che chiunque si interessi di cose linguistiche è quasi costretto a leggerlo. «A Roma non ho ancora amici. Ma non ci vado per far visita a qualcuno, vado per cambiare strada, e per raggiungere la lingua italiana». La conquista della lingua passa all’inizio per un accumulo concreto e sistematico di parole, sentite, cercate sul vocabolario, annotate su un taccuino; parole all’inizio molto comuni e poi via via più strutturate, da cappello a imbambolato, sbilenco, incrinatura, capezzale. Ma il calvario, consapevole e dolente, continua poi con la confusione ingenerata dalle preposizioni, e con la scoperta di un passo di Moravia: «Sbucammo finalmente su una piazza al sole, in un venticello frizzante da neve, davanti a un parapetto oltre il quale non c’era che la luce di un grande panorama che non si vedeva». Ma la fase «strutturale» della quête linguistica di Jhumpa, dopo quella lessicale, è appena iniziata: con lo stesso metodo e la stessa semplicità, iniziano i tormenti e le spine nel fianco dell’uso dell’articolo, della morfologia nominale, della differenza tra passato prossimo e imperfetto. Ogni tanto subentra il dolore di non avere capito
La copertina del libro, opera di Guido Scarabattolo.
bene; di più, la disperazione, il timore di non farcela, non solo di non riuscire a imparare l’italiano ma anche – come si dice? – di non riuscire nella vita: «mi identifico con l’imperfetto, perché un senso di imperfezione ha
segnato la mia vita. Sto provando da sempre a migliorare, a correggermi, perché mi sono sempre sentita una persona difettosa». Alla fine del centinaio di pagine di questa lettura veramente tutta
d’un fiato, rimangono misteriose le motivazioni che hanno spinto Jhumpa Lahiri a imparare l’italiano con la determinazione dimostrata in questo testo pieno di passione. Resta il sospetto che ogni tanto l’affannarsi attorno alle possibilità di promuovere la nostra lingua all’estero debba magari cominciare a percorrere nuove strade, per ora indefinite e misteriose. In questi casi, di solito, si pensa a qualche motivo legato agli affetti, un moroso a Roma, qualcosa del genere. Qui però c’è un marito, che ogni tanto fa capolino, più che altro per manifestare, anche lui, un po’ di incredulità e forse anche fastidio per questo bislacco apprendistato linguistico. Deve essere altro a motivare la nostra Jhumpa, che alla fine, nell’elenco dei ringraziamenti, ha anche il nome di Giovanni De Mauro, figlio del linguista Tullio e direttore del settimanale «Internazionale» che ha ospitato, in prima stesura, questi testi. Quando si parla di un libro Guanda è obbligatorio lodare le bellissime copertine disegnate da Guido Scarabattolo. Qui una figura di donna che si passa le mani tra i capelli; davanti a lei, imperiose, le gigantesche e apparentemente insormontabili parole della nostra lingua. Bibliografia
Jhumpa Lahiri, In altre parole, Milano, Guanda, 2015.
Franco e Joe, in bianco e nero DVD In una pubblicazione video della RSI alcuni frammenti di storia del jazz in Ticino Decadi in tv, cofanetto di quattro DVD prodotto dalla Rsi, ci propone una scelta di spezzoni filmati (una volta si chiamavano così) che toccano vari aspetti della vita sociale e culturale del cantone negli anni 60, 70, 80 e 90. Oltre all’interesse particolare di chi vuole provare l’ebbrezza del tuffo nel passato, i DVD offrono agli appassionati di jazz alcuni momenti di grande interesse. E qui occorre complimentarsi con i curatori della compilation per aver pensato di includere nel pacchetto anche alcune tracce di un genere musicale che il pubblico del nostro cantone ha sempre dimostrato di apprezzare.
Il trombettista ticinese aveva 25 anni.
Al 1966 risale l’intervista di Osvaldo Benzi a Franco Ambrosetti, registrata per Il regionale, mentre Joyce Pataccini ha avvicinato nel 1971 il violinista Joe Venuti, in occasione di una sua esibizione radiofonica con l’Orchestra Radiosa. In entrambi i casi la patina del tempo conferisce sicuramente un che di nostalgico a entrambe le interviste. Ma questo non impedisce di valutare con interesse le dichiarazioni dei due musicisti, che fanno rivivere «l’air du temps» in modo significativo. Il giovanissimo Ambrosetti, ad esempio, rispondendo a una domanda sull’influenza di Miles Davis nel
suo stile, afferma di sentirsi più affine a Clifford Brown e a Fats Navarro. Ciò ci permette di notare come quei due trombettisti siano oggi pressoché dimenticati dal grande pubblico, mentre Davis è ancora apprezzato, ma forse più per le escursioni sonore nel jazzrock. Il ritratto del grande Joe Venuti, invece, ci riporta la semplicità e umiltà che caratterizza spesso i grandi jazzisti e ci ricorda la sua incredibile statura musicale. In un divertente italiano da emigrante (era di origini lecchesi) il violinista ripercorre alcuni momenti della dura gavetta di «suonatore di
mazurke» e del suo approdo allo swing grazie all’interessamento di Paul Whiteman nel 1922 (e qui alla stessa Pataccini sfuggiva probabilmente l’enormità dell’evento, come se a un musicista di strada chiedessero oggi di collaborare con Lady Gaga). Unisce entrambi i filmati l’accenno all’avvento del free-jazz, che proprio in quegli anni destabilizzava le scene. Nessuno dei due interpellati sembra però preoccuparsene particolarmente; in parte, anzi, apprezzano la novità dello stile. Forse più di quanto càpiti a noi, oggi, mezzo secolo dopo. E questo è davvero curioso... /AZ Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
Cultura e Spettacoli
«In tv marciamo spediti. E non siamo in mano ai partiti» Personaggi televisivi Parla il direttore dell’informazione RSI Reto Ceschi, in carica dal primo giugno 2014 può fare un dibattito, che fa anche notizia nel Paese, indipendentemente dalla quantità di spettatori. Poi ti chiedo: oggi 60 minuti funzionerebbe alle 21 su La1? Farebbe più del film, in termini di ascolto?
Antonella Rainoldi
Come si diventa direttore dell’informazione RSI?
Lavorando. Per fare carriera ci si iscrive anche alla massoneria.
Non è il mio caso. Non sono massone. Non ho tessere di partito. Non faccio parte di altre organizzazioni o movimenti né di club ristretti di persone che magari sono più importanti dei partiti. Non sono figlio di un ex politico o di un ex dirigente di questa azienda. Quello che è successo si sa. Quando Maurizio Canetta è stato nominato direttore RSI, io mi sono trovato in una posizione favorevole… … e sei salito un gradino più in alto. Come è stato l’impatto?
Ero già qui seduto a questo tavolo come responsabile del settore approfondimenti e dibattiti. Ho solo cambiato posto. E quindi?
Quindi conoscevo la macchina e soprattutto le persone, a partire da quelle che fanno parte del gruppo dirigente del dipartimento. Per cui non c’è stato l’effetto sorpresa. Non c’è stato per me e probabilmente neanche per loro. Che situazione hai trovato?
Una situazione buona e qualche problema.
La tua risposta?
Penso di no. Credo che se fosse su La1 dovrebbe essere un programma diverso. Non potrebbe essere solo dibattito. Bisognerebbe pensare a un altro formato. Per intanto siamo su La2. Tutta la programmazione elettorale del 2015 è centrata su La2, per quanto riguarda i dibattiti. Che rapporto hai con le critiche?
Buono. Il Consiglio del pubblico della CORSI ha stroncato il Quotidiano.
In generale, per carattere, mi trovo più a mio agio a discutere con chi ti ascolta che con chi vuole spacciare le proprie opinioni senza sentirne altre. Puoi tradurre?
Stefano Spinelli
È passato un mese e mezzo dall’attacco a «Charlie Hebdo». Quando gli chiediamo qual è stata la sua prima reazione di fronte all’assassinio di un’intera redazione di giornale, prima dice «di orrore», poi resta in silenzio qualche secondo, avvicina la bocca al registratore e aggiunge: «Georges Wolinski è stato un mito della mia e della nostra gioventù. Niente di politico, aveva altri interessi. Era uno scrittore, un fumettista e un vignettista straordinario. Aveva un’ironia magnifica, e poi metteva l’uomo nel suo stato naturale, quasi animale. Pensare che lui, a 80 anni, si è fatto ammazzare sotto una scrivania, mi dà i brividi». Ancora: «Apprezzo il fatto che oggi tutti dicano ‘‘viva la libertà di stampa’’. Mi piacerebbe che lo si dicesse anche quando non scorre il sangue». Reto Ceschi, 52 anni, da 28 alla RSI, è da quasi nove mesi direttore dell’informazione. Lo incontriamo nel suo ufficio di Comano. Niente lusso: una scrivania, un tavolo, arredo minimalista. Sulla parete una copia di uno dei Banksy più famosi. L’ultima volta che l’abbiamo intervistato, tre anni fa, Ceschi ha srotolato tutti i guai della RSI, stretto tra la fedeltà all’azienda e la visione salvifica. Gli ricordiamo le sue conclusioni: «Il cambiamento è l’unica strada, non ce n’è un’altra da percorrere. Altrimenti, se dovesse a lungo termine trionfare la mediocrità, il rischio sarebbe quello di perdere ogni aggancio con il pubblico». Annuisce. E ribadisce: «Facciamo di tutto per non far trionfare la mediocrità, per far trionfare la qualità. Dobbiamo sempre alzare il nostro livello di qualità. E il livello di qualità lo alzi con la qualità delle persone. Io mi occupo dell’assunzione dei collaboratori del mio dipartimento. Quindi cerco di fare lì dentro la migliore delle scelte possibili». Ceschi si esprime in modo spedito e quando intravede il rischio di essere frainteso si concede un intercalare fisso: «Posso dire che sto parlando unicamente dell’informazione?». In un’ora di intervista lo ripete almeno cinque volte. Non sono paletti. È un invito alla precisione. Ma partiamo dall’inizio.
di grandi cambiamenti. Per quanto riguarda le persone, se avessi voluto sostituire il gruppo dirigente del dipartimento avrei potuto farlo.
della platea televisiva ha seguito il TG della RSI, che ha fatto le sue pagine sulla Francia senza avere i mezzi dei grandi network?
Non l’hai fatto.
troppe fragilità. Ci sono problemi tecnici, direi molto preoccupanti. Ma non farmi entrare nei dettagli. So solo che ci stanno lavorando. Troveremo le soluzioni.
Se una delle persone che siedono attorno a questo tavolo non ha la mia fiducia, io prendo una decisione. Ma ho la fortuna di avere una squadra che mi soddisfa pienamente.
La radio. Si è detto: Rete Uno perde ascolti, ma l’informazione non mostra segni di crisi di identità, a differenza dell’intrattenimento. Che bisogno c’era di metterci mano?
Perché gli viene attribuito un grado di fiducia alto. E questo ci fa piacere. Ma la fiducia va conquistata ogni giorno. La nostra sfida è questa.
Godi davvero di tanta autonomia?
…
In tv marciamo spediti.
Sì. Mi sento molto libero. La mia è una libertà talmente forte che quando sbaglio mi guardo allo specchio e non posso dare la colpa a qualcun altro. Gli errori che hai fatto?
Se ne fanno di errori, ogni giorno. Sulla scelta di impostazione dei temi, anche sulle decisioni interne. Piccole cose. Piccole cose. Perché non hai organizzato uno speciale in tv, la sera dell’attacco a «Charlie Hebdo»?
Quei giorni abbiamo lavorato bene, compresa la domenica quando abbiamo raccontato in diretta la grande manifestazione di Parigi. Comunque non aver dedicato a quei fatti altre pagine speciali è stato un errore di cui mi assumo interamente la responsabilità. Sei un decisionista?
Sono uno che consulta molto e poi decide. Quando tutti sono d’accordo è più facile. Quando c’è qualche mal di pancia è più difficile. Com’è andata in questi mesi?
Sono stati mesi impegnativi. Non tanto per le decisioni prese, ma perché l’informazione è naturalmente un cantiere sempre aperto. Quando tu pensi di aver ottenuto un risultato, devi subito concentrarti sul giorno dopo. Quando un programma va bene, devi continuare a pensare: «Che cosa faremo dopo?». Sono queste le priorità?
Anche, ma non solo. In questi mesi abbiamo lavorato su tre fronti, ragionando sui tre vettori. Partiamo dal web. Il prodotto non è esattamente un capolavoro.
Il lavoro che stanno facendo i colleghi in redazione è di qualità. Il risultato però non mi soddisfa.
Problemi di persone?
Che cos’è che non funziona?
I problemi sono altri. Siamo in una fase
Il sistema che abbiamo adottato ha
Datti una risposta.
La tv e il tuo lavoro.
Il Consiglio del pubblico ha fatto un rapporto concentrato sul radiogiornale e sul TG. Però devo dire che il suo vero interesse era proprio il Quotidiano. Io sono andato due volte davanti al Consiglio del pubblico, tra fine novembre e dicembre. Ho argomentato con dati alla mano, ho risposto a tutte le domande. C’è stata una discussione molto franca, come si diceva un tempo nel linguaggio diplomatico: la prima volta abbastanza dura, la seconda molto più tranquilla. Poi è uscito il comunicato. Una delusione. Una delusione perché?
Perché se mi fai passare cinque ore a discutere e argomentare e poi diffondi un comunicato in cui dici quello che avevi detto nel rapporto, come se non mi avessi ascoltato, utilizzando solo il termine «relativizzare», penso che fai qualcosa di ingiusto. E poi perché c’era questa ossessione verso il Quotidiano?
Perché sorridi?
E cioè?
Ti sarai fatto un’idea, no?
Sui programmi radiofonici dell’informazione sono sempre piovuti molti complimenti. Avrei anche potuto dire: se c’è un campo di cui non dobbiamo occuparci è quello. Tanto va bene. Abbiamo scelto comunque di occuparcene. Nessuna rivoluzione, solo un tentativo di portare ancora più qualità dentro i radiogiornali, dentro le cronache della Svizzera italiana, dentro Modem e AlbaChiara. Spero che i cambiamenti in atto possano contribuire a far crescere gli ascolti di Rete Uno. Far crescere o tenere: stiamo parlando di numeri importanti.
Non dico che di tv mi sono occupato meno in questi mesi, però è chiaro che abbiamo ascolti buoni, molto buoni. Il TG e il Quotidiano vanno molto bene. Vanno bene, sopra gli obiettivi richiesti, sia Falò che Patti chiari. E funzionano anche 60 minuti e Democrazia diretta. I dibattiti, certo, dipendono dai temi più che dal formato. E siccome siamo in una fase che precede le elezioni cantonali e federali, dal punto di vista degli argomenti il 2015 non mi preoccupa.
No. Io ai membri del Consiglio del pubblico ho chiesto: «Preferite Couleurs locales o Schweiz aktuell al Quotidiano?». Non mi hanno risposto. Forse perché non hanno mai visto né Couleurs locales né Schweiz aktuell. In ogni caso, non accetto che si cerchi di far passare il principio che noi siamo succubi dei partiti e di personaggi politici influenti che alzano il telefono, come si faceva una volta, e danno ordini.
La lenta, progressiva erosione dell’ammiraglia è qualcosa di più importante dei numeri importanti.
Vero. Ha colpito il fatto che ci fosse. L’abbiamo vissuta anni fa con il TG della sera. Ci abbiamo riflettuto. Quando c’è un’erosione lenta sei più in difficoltà a intervenire. Perché cosa fai, cambi tutto? Cambi tutto?
Beh, no, ci mancherebbe. Come va oggi il TG della sera?
Va bene. È ancora un rito condiviso?
Sì. Sorprendente, no? Sorprendente perché?
Tutte le teorie dicono: «Alle 20 chi vuoi che si metta a guardare il TG?». E invece il TG è un momento in cui rimane e si riconsolida ogni giorno il patto che c’è tra il pubblico e noi. Ti sei chiesto come mai?
Noi cerchiamo di fare ordine nel disordine quotidiano di tante informazioni di fattura, durata e importanza diversa. E molto spesso ci riusciamo bene. Perché, per tornare al 7 gennaio, il 60%
Tempi Moderni è la nuova trasmissione economica in onda il venerdì sera su La1. È un processo collaborativo o una tua creatura?
Con Maurizio Corti ho elaborato il concetto della trasmissione. Poi l’abbiamo consegnata nelle mani di Gianni Delli Ponti, che ci ha messo del suo e ci sta mettendo del suo con la redazione. È una trasmissione in cui credo molto. Ha l’obiettivo di far capire o far considerare al pubblico l’economia non come una cosa ostile, da specialisti.
Alla RSI non è più così?
No. Decidiamo noi. Se sbagliamo, sbagliamo noi. Non sbagliamo perché siamo guidati. Bisogna capire che la politica è cambiata in questo Paese. I politici, i consiglieri di Stato, ma anche i leader sono molto più presenti nel dibattito politico, sono molto più in prima linea, perché la politica è fatta di comunicazione, buona o cattiva. È vero che il Quotidiano pecca di troppa attenzione per la cronaca giudiziaria?
Anche in 60 minuti hai creduto molto fin dall’inizio. Tre anni fa, proprio ad «Azione», hai detto: «Se il programma andasse in onda su La1, anziché su La2, gli ascolti sarebbero più alti».
Ho spiegato che anche su questo tema abbiamo fatto e stiamo facendo una riflessione. Ma non possono chiederci di non coprire il processo al pedofilo di Bellinzona, perché la vicenda è talmente grave da non meritare di essere coperta. Ti chiedo: cosa dobbiamo fare? Non dobbiamo fare i giornalisti? E poi voglio dire una cosa…
Capisco dove vuoi arrivare. Il fatto è che quello era un momento di partenza in cui i dati erano anche un po’ frustranti, perché ballerini. Per questo mi dicevo: se avessi un traino importante su La1 farei ascolti migliori. Con gli anni ho cominciato a capire che il pubblico di 60 minuti è un pubblico che ti cerca. E la sensazione è che in fondo si
Io davanti ai membri del Consiglio del pubblico la prossima volta ci andrò con tutto un altro spirito. Se sanno già cosa scrivere nei comunicati, basta che me li trasmettano. Li leggerò, ascolterò serenamente ciò che hanno da dire e non passerò più ore e ore a spiegare e argomentare inutilmente.
Dilla.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Cultura e Spettacoli
Quelle copie così originali Modernità La conservazione e il restauro delle opere d’arte contemporanea è un problema
che richiede interventi sempre più complessi e modifica il concetto tradizionale di «originale»
Emanuela Burgazzoli Nel 2004 lo «squalo» di Damien Hirst è stato acquistato per alcuni milioni di dollari, anche se ormai l’opera dell’artista inglese era in pessimo stato perché l’animale stava subendo un processo di decomposizione. Dopo alcuni tentativi falliti di salvare la sua creazione, Hirst ha deciso di ricrearla seguendo metodi di conservazione corretti. Questo è soltanto uno dei tanti esempi che costellano la storia dell’arte contemporanea. «Il concetto di restauro è un concetto moderno» ci dice Elio Schenini, curatore-conservatore al Museo cantonale d’arte. «Si può dire che nasca con la creazione dei musei pubblici nell’Ottocento. Si sviluppa così la volontà di conservare le opere d’arte, con un mandato che non ha scadenze. E ormai anche le opere artistiche del Novecento richiedono interventi di restauro; il problema comincia a porsi in particolare con le Avanguardie, quando gli artisti hanno cominciato a sperimentare nuovi materiali e nuovi metodi, fino ai movimenti più moderni come l’informale, con una pittura che prevedeva l’utilizzo di materiali non convenzionali, colori industriali e la miscela di prodotti diversi». E allora il pensiero corre per esempio ad alcuni dei celeberrimi readymade di Marcel Duchamp, che lo stesso artista ha dovuto ricreare negli anni Sessanta a causa del loro deperimento. Il carattere effimero caratterizza tutta
l’arte contemporanea, «un aspetto che la società ha ormai metabolizzato», osserva Schenini. «Ma di fronte all’effimero la conservazione non può arrendersi né arrestarsi, e dunque neppure può arrestarsi il restauro. Paradossalmente è necessario conservare l’effimero» (lo dice E. Crispolti in Come studiare l’arte contemporanea). E allora come preservare queste opere? «La figura e la funzione del restauratore di fatto non sono cambiate rispetto al passato, i principi sono gli stessi: conservare l’elemento artistico e il valore estetico dell’opera» continua Schenini . «La differenza rispetto al passato è che molte opere oggi sono riproducibili, come nel caso dell’arte concettuale, dove si ricrea l’opera in base al progetto, all’idea. Per esempio nelle nostre collezioni conserviamo un’opera che consiste in un tappeto erboso, un prato di muschio che ogni volta deve essere ricostituito». L’arte contemporanea è inoltre molto legata alle nuove tecnologie. «Il problema si pone sempre più spesso con i formati e i supporti dell’immagine – video, televisori, proiezioni di diapositive, stampe digitali. In questo caso si tende sempre a conservare l’originale. Fortunatamente in molti casi si può intervenire quando l’artista è ancora in vita, riverificando insieme a lui il tenore dell’intervento di restauro. La cosa più importante è preservare le intenzioni dell’artista, stando attenti anche a conservare anche quella «patina» o quei
Video Flag Z, di Nam June Paik, 1968. (midcentury modernremodel. com)
difetti creati a fine estetico o artistico – per esempio nei video. Per questo oggi un museo richiede al momento di acquistare un’opera una documentazione tecnica molto dettagliata». Ma quando la tecnologia è obsoleta, tanto da rendere la sostituzione impossibile? L’unica soluzione è l’emulazione, come nel caso di Video Flag Z, un’opera di Nam June Paik del 1968, in cui i vecchi televisori a tubo catodico sono stati sostituiti con nuovi schermi. «Naturalmente esistono opere che fanno della temporalità e della mutazione valori intrinseci e che non avrebbe più
senso recuperare o ricreare, come i palloncini sgonfiati del Fiato d’artista di Piero Manzoni», osserva Elio Schenini. Esistono inoltre opere legate allo spazio espositivo, le così dette «site-specific» che richiedono modifiche per essere allestite altrove. Ne sono un esempio alcune opere attualmente esposte alla Villa Malpensata nell’ambito della mostra sulla giovane arte svizzera; l’installazione di Adrien Chevalley prevede che il pubblico si serva una birra da un frigorifero e si sieda a visionare l’opera seduto su cuscini dipinti, mentre Thomas Moor gioca con il contesto o il
«paratesto» dell’opera, esponendo per esempio un termoigrografo e i grafici dell’umidità della sala. Quel che è certo è che per i curatori la conservazione delle opere diventa in alcuni casi un enigma ed esige il ricorso a competenze di specialisti, come chimici, fisici o esperti di scienze alimentari. Il cibo infatti è un elemento largamente utilizzato nell’arte contemporanea; per restare alla giovane arte svizzera basti citare Kleines Abendbrot di Isabelle Krieg, studiata nell’ambito della ricerca promossa dall’Alta scuola d’arte di Berna sulle tecniche preventive di conservazione dei generi alimentari. La tentazione per i musei potrebbe però essere quella di sottrarsi a queste «fatiche» metodologiche e ai costi che ne conseguono, osserviamo. «Certo, ma i criteri che guidano le scelte degli acquisti devono restare quelli della qualità artistica: per un’istituzione come il Museo cantonale il problema è ancora contenuto, ma tra venti o trent’anni, considerando il ritmo a cui crescono le collezioni d’arte contemporanea, sarà di una certa entità», conclude Elio Schenini. Ma in fondo perché non rassegnarsi all’effimero, all’estrema deperibilità delle opere? «Sembra che si risponda all’effimero con la tendenza ad accumulare e a conservare tutto. Il risultato è paradossale perché poi sorge l’esigenza di limitare la fruizione e l’accessibilità delle opere al pubblico per preservarle». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Cultura e Spettacoli
Fotografia, finzione e documentario
Di libertà e satira senza limiti
Filmselezione Tra due grandi come Wenders e Inarritu, il nostro Antonio Prata
di Claudio Sabelli Fioretti su Io Donna è illuminante
Visti in tivù Il pezzo
Fabio Fumagalli *** Il sale della terra, di Wim Wenders
e Juliano Ribeiro Salgado (Brasile – Francia 2014)
Concorsi
Una sola delle immagini create da Sebastiao Salgado, fra i più grandi fotografi viventi, giustifica le 3 stellette che destiniamo ai film «da vedere assolutamente». Ecco che subito, allora, un film «su» Salgado come Il sale della terra, girato dal figlio Juliano Ribeiro coadiuvato da un grande del cinema moderno come Wim Wenders, impone un interrogativo: quanto aggiunge lo sguardo dell’autore di Il cielo sopra Berlino (ma anche di magnifici documentari «su» un personaggio, come quello dedicato alla celebre coreografa Bausch in Pina 3D) al soggetto del film, all’universo proposto dal fotografo brasiliano? Salgado ha fuso la crescita delle sue intuizioni estetiche alla voglia di scoprire il mondo, associato alla creazione di un universo formale sempre più identificabile una formidabile esigenza di denunciare le infinite ingiustizie, le violenze, le sofferenze che andava scoprendo. Il suo messaggio si estrae da una situazione statica, la fotografia. Si nutre del bianco e nero: che, nella sua apparente particolarità di sfuggire al realismo, sottolinea e affina al contrario la dinamica emotiva del soggetto. Cosa può fare, confrontato con queste scelte, un cineasta come Wenders, generoso, visionario, sempre trascinato dal proprio entusiasmo ai confini dell’enfasi, dei riferimenti ai miti culturali? Lasciare libero corso all’altro aspetto della propria poetica: la golosità per gli sfondi, tralasciare il distacco colto, raffinato e referenziale del suo primo cinema per l’intimità più semplice e diretta. Un rapporto con l’ambiente quasi, e ci siamo, documentaristico. Optando per una sorta di dovutamente ammirata intervista al fotografo, limitandosi a raccogliere un commento sulla genesi di immagini allucinanti come quelle del formicaio umano della miniera aurifera di Serra Pelada, della fame nel Sahel o del vagabondare apocalittico della morte nel Rwanda, il ruolo del regista si traduce (fortunatamente?) in un bagno d’umiltà. C’è tanto Salgado e quasi niente
091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 10.00 alle12.00
Antonella Rainoldi
Un fotogramma dal documentario di Antonio Prata.
Wenders nel film; ma, evidentemente, basta e avanza. **(*) Birdman, di Alejandro González Iñárritu, con Michael Keaton, Edward Norton, Naomi Watts, Emma Stone, Amy Ryan, Zach Galifianakis (Stati Uniti 2014)
Affascinante e irritante, spregiudicato e inconcluso Birdman è identico al proprio autore. Un’esuberanza espressiva quasi sfrontata, la moltiplicazione dei personaggi, la voglia della sovrapposizione e della frammentazione. Girato quasi esclusivamente all’interno di un vecchio teatro di Broadway (ad eccezione di due sole, ma sensazionali uscite all’esterno) Birdman è in primo luogo una storia cara a Hollywood: quella dell’attore, del divo invecchiato che tenta di riacquistare la fama mettendo in scena, modernizzandola, una pièce di Raymond Carver. Ma non solo. Birdman è interpretato da Michael Keaton, che è stato Batman, protagonista mitico dei due capolavori diretti da Tim Burton; l’attore ha visto progressivamente offuscarsi la propria carriera. All’interno di questo specchiarsi della memoria cinematografica, si susseguono infine in Birdman le tragicomiche, abituali vicissitudini che precedono la notte di una prima teatrale; in una progressione dramma-
tica che si risolve all’interno dei protagonisti. Non è l’ennesima riproposta della star declinante, alla Bette Davis in Eva contro Eva di Mankiewicz. Le stratificazioni, l’arte funambolica del regista messicano le traduce soprattutto in una ricerca formale di certo strabiliante, quanto ossessiva. E, in definitiva, ai limiti del fuorviante. Con i protagonisti costretti in un movimento inarrestabile, in una serie di piani-sequenza privi di stacchi e interventi di montaggio. Tecnicamente spettacolare, ai confini dell’impossibile, l’operazione è di certo fonte di meraviglia: tanto più che la fotografia e le luci di Emmanuel Lubezki sono ipnotiche, la partitura musicale (Ravel, Mahler, Čajkovskij, Rachmaninoff) oppone la sua magistrale serenità alla convulsione ambientale, le scenografie labirintiche all’enfatizzazione di un itinerario sempre più mentale. Che poi tutto ciò sia sempre di ausilio alla fruizione da parte dello spettatore è tutt’altra storia. ** Terradentro, di Antonio Prata,
documentario (Svizzera 2013) Come nel titolo, Antonio Prata (che molti conoscono quale gerente del Cinestar di Lugano) le sue terre se le porta appresso, da immigrato in bilico fra l’Abruzzo delle radici e una Svizzera al-
trettanto amata. Come quel suo modo di filmare, a fior di pelle, in perfetta armonia con la voce narrante, mai letteraria, sempre commossa e lucida, una delle cose che non si dimenticano dei suoi documentari. Che ritorni senza veli alle drammatiche esperienze fra i drogati del Platzspitz zurighese (Il resto di una storia, 2007) o ad altre macerie come qui, le case di famiglia sventrate dal terremoto, il suo cinema è quello di un incessante movimento. Nel contempo, di una ricerca inquieta del riposo, del desiderio di fermarsi. Poche immagini iniziali di Terradentro ne illustrano il processo ricorrente, le strade che si spalancano in prospettiva, il paesaggio che sfila, un jet nel cielo, lo spostamento che precede la stasi: la campagna abruzzese immobile, l’albero che si profila eterno nel declinare dell’orizzonte, il gregge che avanza. L’incessante movimento del viaggio («il solo spazio che mi appartiene», dice il regista) alla rincorsa del ricordo; l’addentrarsi nella staticità delle macerie dell’Aquila per verificarne l’esistenza. Ci saranno altre ruspe, quelle di una Svizzera che del ricordo sembra diffidare; filmini di famiglia e splendide lettere di genitori e nonni che allora rifiutavano di rassegnarsi alle distanze. L’autore sembra cavalcarle, cosciente sul da farsi, aggrappato alla sua cinepresa.
Chiassodanza Rassegna di balletto Cinema Teatro, Chiasso Sabato 7 marzo, ore 20.30
Minispettacoli Rassegna di teatro per l’infanzia Oratorio San Giovanni, Minusio Domenica 8 marzo, ore 15.00/17.00
900presente Rassegna di contemporanea Auditorium RSI, Lugano Domenica 15 marzo, ore 17.30
Principals of New York City Ballet
L’Omino della pioggia
Austrianness
Omaggio a Jerome Robbins (19181998), leggendario coreografo di origine russa che insieme a George Balanchine ha creato le basi tecniche ed espressive del balletto moderno.
Con Michele Cafaggi. Uno spettacolo comico e magico, un viaggio onirico e visuale nel mondo delle bolle di sapone. Spettacolo per famiglie con bambini dai 3 anni.
Musiche di Arnold Schönberg.
www.chiassodanza.ch
www.minispettacoli.ch
www.conservatorio.ch
Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 25 febbraio al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
Ensemble 900 del Conservatorio della Svizzera Italiana, diretto da Arturo Tamayo.
Subito dopo la strage di «Charlie Hebdo», avvenuta lo scorso 7 gennaio a Parigi, tutti i media hanno giustamente affrontato molti temi, tutti ugualmente importanti: la libertà di opinione, la libertà di stampa, i limiti della satira, il terrorismo, la guerra, l’Islam, il Medio Oriente, la religione, la violenza. Anche noi, in questa rubrica, abbiamo tentato qualche riflessione: sulla libertà di espressione, sul giornalismo, sulla «composizione» dei palinsesti generalisti stravolti dall’attenzione per l’11 settembre francese. Se torniamo sul luogo del delitto, a distanza di tante settimane, non è per farci del male, ma per un motivo preciso. Non potremmo mai perdonarci di non aver segnalato il più bel pezzo sulla libertà di satira mai letto finora. Forse sarebbe piaciuto anche a Sergio Saviane, scrittore, maestro di una satira tagliente, per 23 anni critico televisivo dell’«Espresso», «l’irriveren-
Claudio Sabelli Fioretti.
za fatta persona». L’autore è Claudio Sabelli Fioretti, conduttore di Un giorno da pecora su Radio 2 della RAI e titolare di una rubrica su Io Donna del «Corriere della Sera». Proprio su Io Donna il giornalista ha argomentato: «La libertà di satira. In Italia c’è stata quasi unanimità. La satira deve essere libera. E non deve avere limiti. Tutti d’accordo. Giornali che mai avrebbero pubblicato vignette contro la religione, reti televisive che hanno fatto della censura il loro cavallo di battaglia, direttori che hanno respinto al mittente quintalate di disegni satirici, editori che hanno licenziato per molto meno fior di autori di satira, politici che li hanno inondati di querele, tutti si sono scoperti paladini della satira e della sua libertà senza limiti. Sarà bello vedere come si comporteranno alla prima occasione in cui dovranno decidere se la libertà va assicurata alla satira solo quando colpisce gli avversari oppure anche quando è rivolta a loro. Perché non è vero quello che diceva Martin Luther King che la mia libertà finisce dove comincia la tua. In realtà la mia libertà finisce quando comincio a parlare male di te. È una vecchia barzelletta. L’americano dice al sovietico: da noi c’è la libertà. Io posso parlar male di Obama e nessuno mi dice niente. Il russo: anche da noi c’è libertà. Se io parlo male di Obama nessuno mi dice niente». Viva la libertà degli insolenti.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 febbraio 2015 ¶ N. 09
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Un piatto tanto semplice quanto buono: il pangasius allo zenzero.
Solo pesce sostenibile Attualità Ai banchi del pesce Migros trovate esclusivamente specie
provenienti da fonti certificate. Una di queste è il pangasius ASC Gustare del buon pesce con la coscienza tranquilla non è un’utopia ai banchi del pesce Migros con servizio dei supermercati di Locarno, S. Antonino, Lugano e Serfontana. Qui, infatti, l’offerta globale di specialità ittiche proviene da fonti sostenibili. Garanti di questo impegno sono i marchi ASC, MSC o Migros Bio, label che contraddistinguono quelle specie raccomandate dal WWF.
Il pangasius ASC (Aquaculture Stewardship Council) è una delle varietà provenienti da fonti responsabili disponibile sotto forma di filetto ai banchi del pesce Migros. Questo pesce, grazie alle sue carni sode dal sapore delicato e neutro, è molto apprezzato per la sua versatilità culinaria. Il pangasius viene allevato in Vietnam in piscicolture certificate ASC. Tra le
direttive da rispettare, gli allevamenti devono salvaguardare l’ambiente naturale e la biodiversità, ridurre l’inquinamento e prevenire l’abuso di antibiotici. D’obbligo sono pure condizioni lavorative eque per i collaboratori e l’impiego di mangimi anch’essi sostenibili. Gli impianti di acquicoltura sono controllati e certificati da organi indipendenti.
Pesce al vapore aromatizzato allo zenzero Piatto principale per 4 persone
Preparazione 1. Dimezzate la metà delle limette e tagliatele a fette. Spremete la limetta restante e mescolate il succo con della salsa di soia. Marinate i filetti di pesce
nella salsa per ca. 30 minuti. Tagliate i cipollotti per il lungo in quattro parti e poi a tocchetti. Tagliate il peperoncino prima per il lungo, privatelo dei semi e poi tagliatelo a striscioline. Pelate lo zenzero e tagliatelo a striscioline. 2. Sistemate la metà dei cipollotti all’interno di un cestello per la cottura a vapore. Accomodate i filetti uno accanto all’altro sui cipollotti. Distribuite le striscioline di peperoncino e di zenzero e il resto dei cipollotti sul pesce. Cuocete a vapore, per 15-20 minuti a seconda
dello spessore dei filetti. Servite con la salsa di soia restante e le fette di limetta. Accompagnate con riso al gelsomino. Tempo di preparazione ca. 40 minuti + marinatura ca. 30 minuti Per persona ca. 38 g di proteine, 2 g di grassi, 9 g di carboidrati, 900 kJ/210 kcal Ricetta di
su tutto l’assortimento di pesce fresco in vendita al banco pescheria
Ingredienti 2 limette 6 cucchiai di salsa di soia 800 g filetti di pesce di ca. 120 g, ad es. pangasius 6 cipollotti ½ peperoncino 25 g di zenzero
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Idee e acquisti per la settimana
«Trovare prodotti per i celiaci oggi è molto più facile» Attualità Sabato 28 febbraio il Centro S. Antonino ospita
uno stand informativo del Gruppo Celiachia della Svizzera italiana. Intervista a Valentina Lüthi, segretaria dell’associazione
Signora Lüthi, che cos’è la celiachia, cosa provoca e come viene diagnosticata questa intolleranza?
La celiachia è un’intolleranza alimentare su base genetica e si presenta come una reazione autoimmune tra la mucosa intestinale ed il glutine, che è una proteina contenuta in tre cereali di base: il frumento, l’orzo e la segale. Tutti i derivati di questi cereali – e la possibile contaminazione anche con piccole tracce di essi durante il trasporto, la modificazione e l’elaborazione degli alimenti – possono avviare la reazione autoimmune. Nei celiaci il glutine provoca un’eliminazione dei villi della mucosa intestinale con infiammazione cronica concomitante, che determina un grave malassorbimento e di conseguenza una malnutrizione. È una patologia che colpisce sia in età pediatrica che in età adulta e causa disfunzioni soprattutto all’intestino, ma anche ad altri organi e apparati. I sintomi possono variare molto, fino ad essere assenti. Le diagnosi sono basate su pochi e precisi esami quali: la ricerca della presenza nel sangue di determinati anticorpi e, nella maggior parte dei casi, di una biopsia intestinale di conferma. Quando la celiachia è diagnosticata con certezza occorre adottare l’unica terapia possibile: eliminare per sempre dalla dieta qualsiasi cibo contenente glutine. Di regola in breve tempo la mucosa intestinale si normalizza, gli anticorpi prima presenti nel sangue scompaiono, così come i sintomi accusati. Recenti studi hanno evidenziato che in Svizzera, come nel resto dell’Europa, la celiachia colpisce mediamente una persona ogni 100 abitanti, di cui una grossa percentuale purtroppo non diagnosticata.
Cosa comporta vivere con la celiachia?
La persona celiaca deve soprattutto essere consapevole che dovrà escludere il glutine per sempre e totalmente dall’alimentazione quotidiana. Ciò comporta parecchi cambiamenti nelle abitudini alimentari sia per la persona interessata, sia per i famigliari. In ogni caso, osservando le regole principali, i celiaci vivono la propria vita come tutti gli altri. È facile oggi trovare prodotti indicati per i celiaci?
Rispetto a diversi anni fa, trovare prodotti senza glutine è molto più facile. Se prima ne esistevano pochi e si potevano acquistare unicamente presso i negozi dietetici e qualche panetteria, ora sono molti di più, sono variati, di gusto migliore e spesso simile a quelli convenzionali e si trovano anche nei maggiori supermercati, negozi di paese, farmacie e mercati online. Di cosa si occupa la vostra associazione?
Sin dalla sua nascita nel 1981, il Gruppo Celiachia della Svizzera italiana promuove iniziative e attività che facilitano il superamento delle difficoltà dovute all’intolleranza al glutine. L’associazione, oltre a informare i propri membri sui vari aspetti della celiachia (medico, psicologico, alimentare, ecc.); assicura loro consulenza dietetica e culinaria; organizza corsi pratici per soci e ristoratori; sensibilizza l’opinione pubblica e cura i contatti con autorità, medici e industria alimentare.
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Bontà e benessere con aha! I prodotti Migros con il marchio di qualità aha! verde chiaro sono particolarmente indicati per chi soffre di allergie e intolleranze. La maggior parte dei prodotti è senza glutine e/o senza lattosio. I prodotti riportano chiaramente le indicazioni «Senza glutine», «Senza frumento», «Senza lattosio», «Senza noci», «Senza uova». La gamma annovera oggi un centinaio di prodotti, sia nel settore alimentare che in quello cosmetico. Entro il 2016 Migros ha promesso di ampliare del 30% questo assortimento di prodotti per allergici. www.migros.ch/aha .
Piacere senza glutine Novità L’energia del ginseng in una gustosa bevanda
di facile e immediata preparazione
Il ginseng è un ricavato delle radici di alcune erbe perenni delle Araliacee. In molti paesi asiatici il ginseng è considerato un vero toccasana: aiuta in caso di stress e fatica, rivitalizza l’organismo, migliora l’umore, facilita la concentrazione e stimola le difese immunitarie. Il caffè al ginseng offre il piacere del gusto abbinato al benessere per l’organismo. Questa bevanda energetica solubi-
le in acqua bollente possiede un aroma esclusivo da apprezzare in qualsiasi momento della giornata senza controindicazioni. È un prodotto naturale privo di glutine, perciò ideale anche per i celiaci. Non da ultimo non contiene né grassi idrogenati né grassi trans. Ginseng Coffee 140 g Fr. 6.20 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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Idee e acquisti per la settimana
Profumi di Provenza Novità Il noto marchio Le Petit Marseillais
ora disponibile a Migros Ticino
Deliziose, croccanti e biologiche
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Con Le Petit Marseillais è facile immergersi nell’atmosfera della Provenza, questa idilliaca terra del sud della Francia dove a farla da padrone sono i campi di lavanda, gli aranceti, le pinete e la natura ancora incontaminata. Le Petit Marseillais è un vero esperto nel combinare ingredienti semplici e naturali a profumi intensi per offrire ai consumatori dei prodotti per la cura delicata di tutto il corpo adatti a ogni tipo di esigenza. La linea dedicata ai prodotti idratanti inoltre, dalla profumazione particolarmente raffinata, si ispira alle più classiche ricette della tradizione mediterranea, con ingredienti accuratamente selezionati quali il burro di karité, la mandorla dolce e l’olio di argan. Con Le Petit Marseillais assaporerete tutta l’atmosfera del sud della Francia.
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Lo sfizio è servito
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le persone particolarmente sensibili a questa sostanza. Il delicato processo di produzione prevede la semplice soffiatura delle cariossidi del farro e della granella del mais, operazione questa che permette di mantenere intatte le preziose caratteristiche organolettiche dei cereali. Sono ricche di proteine, sali minerali, fibre alimentari, ma povere di zuccheri.
Il barometro dei prezzi Informazioni sui cambiamenti di prezzo
La Migros riversa di nuovo ai propri clienti i vantaggi dati dal franco forte. Ciò porta a riduzioni di prezzo su diversi articoli. Un aumento di prezzo è invece previsto per le mandorle (cattivo raccolto dovuto ai danni delle gelate) e nocciole (siccità duratura in California), entrambe macinate ed entrambe nella linea M-Budget.
Alcuni esempi:
Da oggi gli amanti dei panini imbottiti hanno quattro motivi in più per rallegrarsi. Ad attenderli presso i De Gustibus e il banco gastronomia di S. Antonino, oltre alla già ricca offerta, ci sono infatti quattro nuovi panini stagionali riccamente farciti. La gamma
Le gallette di farro e mais bio dell’azienda toscana Poggio del Farro sono irresistibili in qualsiasi momento della giornata, come sostituto del pane, sotto forma di spuntino, con abbinamenti sia dolci che salati. Sono prodotte utilizzando esclusivamente cereali coltivati senza l’impiego di sostanze chimiche. Non contenendo lievito, sono facilmente digeribili e pertanto indicate per
annovera la baguette rustica con formaggio alle erbe e carne secca, il panino al pomodoro con prosciutto crudo ticinese e mascarpone, la ciabatta alle olive con Philadelphia e verdure e il sandwich al salmone affumicato con olive e aneto.
Prezzo vecchio in Fr.
Rio Mare tonno in olio d’oliva, 104 g Andros succo d’arance sanguigne, 1l Anna’s Best olive con formaggio, 150 g Armando De Angelis Tortellini con prosciutto crudo 250 g La Pizza Pizzette Margherita, 2 x 140 g Roquefort Société, 100 g Léger formaggio di pecora, 150 g Citterio Salamini «Gli irresistibili», 80 g M-Budget mandorle macinate, 400 g M-Budget nocciole macinate, 400 g
3.95 5.30 4.90 5.90 5.60 3.70 3.15 4.40 2.90 3.80
Nuovo in Fr.
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3.80 4.95 4.50 5.40 4.90 3.50 3.— 4.15 3.80 4.80
–3,8 –6,6 –8,2 –8,5 –12,5 –5,4 –4,8 –5,7 + 31 + 26,3
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Idee e acquisti per la settimana
Farmer
Carburante per sciatori Müesli, fiocchi, barrette o yogurt: Farmer tiene su di giri gli sportivi della neve. Cereali e fibre forniscono l’energia necessaria per essere in forma sulle piste tutto il giorno
Per colazione Per pranzo I croccanti fiocchi sono composti da diversi tipi di cereali.
Il müesli a base di cereali integrali, ricco di fibre alimentari, si può preparare con latte o yogurt.
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Per lo spuntino Per merenda Uno yogurt gigante con una croccante guarnizione: squisito per il dopo sci.
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Le barrette sono pratiche da portare con sé, per quel languorino a metà mattina. Disponibili in molte varianti.
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Se quando sciate non volete fermarvi improvvisamente a metà pista con la lingua penzoloni, è indispensabile che vi riforniate regolarmente di energia. I prodotti Farmer sono l’ideale da portare con sé. Questi apprezzati fornitori di fibre alimentari forniscono all’organismo energia naturale. Farmer è disponibile sottoforma di barrette, müesli, fiocchi e yogurt con molti aromi e composizioni diversi: ce n’è per tutti i gusti. / DH
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Idee e acquisti per la settimana
Formaggio Heidi
Il sapore delle montagne di casa Quell’aroma pieno, quel sapore intenso sono le caratteristiche del formaggio Heidi. Uno dei motivi risiede nel latte. Il latte di montagna è più sostanzioso della norma, in quanto le mucche non si nutrono solo di erba, bensì anche degli oltre 300 fiori e varietà di erbe dei pascoli montani. I prodotti Heidi sottostanno alla cosiddetta Ordinanza sulle designazioni «montagna» e «alpe». Ciò significa: il latte proviene esclu-
sivamente da aziende agricole della zona montana. Il latte viene trasformato in formaggio nel bel mezzo delle montagne. Nelle regioni di vacanza di Savognin e Disentis si producono i formaggi Heidi della Bergsenn AG. Gli speciali processi di maturazione in grotte di montagna e in rocce naturali gli conferiscono il tipico aroma. La Bergsenn AG appartiene dal 2013 alla Mifroma, quindi all’industria propria della Migros. / AB
Una festa per occhi e palato: fiori arancioni di calendula e fiordalisi azzurri decorano la superficie dell’aromatico formaggio ai fiori.
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Pigiami e biancheria da casa da donna per es. pigiama, fucsia, taglie S–XL
Detersivo per i piatti Manella in conf. da 3 20% di riduzione, per es. grape, 3 x 500 ml
Fettine fesa di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 4.90 invece di 7.10 30% Spezzatino di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 1.15 invece di 1.70 30% Carne macinata di manzo, Svizzera / Germania, in conf. da 2 x 500 g 9.– invece di 18.– 50%
Fettine di tacchino fini AIA, Italia, in conf. da ca. 600 g, per 100 g 1.35 invece di 1.80 25%
34.80
Slip e tanga da donna Ellen Amber Lifestyle o diverse mutande in conf. multiple per es. slip midi in conf. da 3, taglie S–XL
Tutti i pantaloni da uomo e da donna disponibili in diversi colori, 20% di riduzione, per es. jeans Levis 501 da uomo, taglie 32–38
Scatola creativa Lego Classic (10695) o Lego Duplo (10618) per es. scatola creativa Duplo
Per la tua spesa ritaglia qui.
Filetto di sogliola limanda, Atlantico nord-orientale, per 100 g 5.50 invece di 7.90 30% fino al 28.2
79.90 invece di 99.90
Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 2, 2 x 400 g 13.10 invece di 16.40 20% Caseificio Blenio, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.20 invece di 24.– 20%
FIORI E PIANTE Rose spray, Fairtrade, mazzo da 10 10.90 invece di 12.90 15%
Phalaenopsis 2 steli, in vaso da 12 cm, la pianta 11.70 invece di 16.90 30%
Cordon bleu di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 1.55 invece di 2.60 40%
9.90
Tilsiter surchoix, per 100 g 1.30 invece di 1.65 20%
Carne secca dei Grigioni affettata, Svizzera, 123 g 8.40 invece di 10.50 20%
Coppa, prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g 3.80 invece di 4.80 20%
7.40 invece di 9.30
Tutti gli yogurt Excellence, per es. al lampone, 150 g –.65 invece di –.95 30%
Tulipani, diversi colori, mazzo da 30 11.90 invece di 19.90 40%
Prosciutto crudo di Parma Beretta, Italia, affettato in vaschetta da 100 g 5.30 invece di 7.70 30%
19.90
Drink Bifidus 8 x 100 g, per es. multivitaminico 5.20 invece di 6.55 20%
Fleischkäse affettato finemente in conf. da 2, TerraSuisse, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30%
Mini filetti di pollo M-Classic, Germania / Ungheria / Francia, per 100 g 2.15 invece di 2.70 20%
11.90
Mini Sandwiches M-Classic, TerraSuisse –.60 di riduzione, 300 g 1.95 invece di 2.55
Gamberetti con la coda, d’allevamento, Thailandia / Vietnam / Ecuador, per 100 g 3.90 invece di 5.60 30% *
PANE E LATTICINI Pane alla ticinese, TerraSuisse, 400 g 2.– invece di 2.50 20% Pane Trentino, TerraSuisse –.35 di riduzione, 400 g 1.95 invece di 2.30
ALTRI ALIMENTI Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ (Eimalzin, M-Classic, Suprême e confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 3 tavolette, –.30 di riduzione l’una, per es. al latte e alle nocciole 1.40 invece di 1.70 ** Tutti gli articoli pasquali in PET o uovo matriosca Frey Bunny Family, UTZ, per es. Sunny Bunny al latte, 55 g 20x 3.30 20x PUNTI Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ, per es. al latte finissimo 8.55 invece di 10.70 20% Tutti i biscotti in sacchetto Midor (prodotti Tradition esclusi), per es. zampe d’orso, 380 g 2.– invece di 2.90 30% Biscotti rotondi al cioccolato o al latte Chocky in conf. da 3, per es. al cioccolato, 3 x 250 g 6.20 invece di 7.80 20% Tutte le bevande istantanee al cacao o al malto, per es. Banago, Fairtrade, in bustina, 600 g 6.30 invece di 7.90 20% Tutte le tisane Klostergarten in bustina, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.40 di riduzione l’uno, per es. Albertus, 20 bustine 2.– invece di 2.40
Tutti gli snack o gli involtini primavera J. Banks, surgelati, per es. involtini primavera alle verdure, 6 pezzi 5.10 invece di 6.40 20% Lasagne alla bolognese o cannelloni alla fiorentina Buon Gusto in conf. da 2, surgelati, per es. cannelloni alla fiorentina, 2 x 360 g 4.75 invece di 6.80 30% Cosce di pollo M-Classic, Svizzera, surgelate, 2 kg 7.65 invece di 15.30 50% Tutti i succhi di mele da 1,5 l e da 6 x 1,5 l, per es. 1,5 l 1.45 invece di 1.85 20% Succo di mele M-Classic in conf. da 10, 10 x 1 l 6.– invece di 12.– 50%
20x
Palla snack Best Friend, 1 pezzo 5.50 NOVITÀ **
20x
Head & Shoulders in conf. da 2, per es. shampoo Classic Clean 2 in 1, 2 x 250 ml 6.95 invece di 8.70 20% ** Lame Gillette Venus & Olaz con profumo Sugarberry, 6 pezzi 28.20 invece di 33.60 15% ** Tutti i rasoi da uomo Gillette (esclusi lame di ricambio e rasoi usa e getta), per es. Flexball Power, 1 pezzo 18.20 invece di 22.80 20% **
San Pellegrino in conf. da 6, 6 x 1,5 l 4.– invece di 6.– 33%
Gel da rasatura Gillette Basis in conf. da 2, 2 x 200 ml 5.40 invece di 6.40 15% **
Tutta la pasta Garofalo, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.50 di riduzione l’una, per es. rigatoni, 500 g 2.– invece di 2.50
Deodorante roll-on o spray Rexona Men Invisible Black & White, per es. spray, 150 ml 20x 4.– NOVITÀ **
Tutti i tubetti di maionese, di Thomynaise, di senape o di salsa tartara Thomy, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. maionese à la française, 265 g 2.– invece di 2.50
Deodoranti, docciaschiuma e dopobarba Axe Black, per es. deodorante spray, 150 ml 5.20 NOVITÀ **
20x
Tutti i tipi di spezie LeChef, per es. bouquet di pepe, 56 g 4.40 invece di 5.50 20%
Prodotti per l’igiene intima Always e Tampay in confezioni multiple, per es. assorbenti Always Ultra Normal Plus in conf. gigante, 38 pezzi 5.50 invece di 6.90 20% **
Tutte le minestre in bustina Knorr in conf. da 3, per es. minestra di vermicelli, 3 x 78 g 4.90 invece di 6.30 20%
Slip e tanga da donna Ellen Amber Lifestyle o diverse mutande in conf. multiple, per es. slip midi in conf. da 3, taglie S–XL 9.90 **
Ripieni per vol-au-vent M-Classic in conf. da 3, 3 x 500 g o 3 x 400 g, per es. ripieno per vol-au-vent, 3 x 500 g 9.70 invece di 12.15 20%
Pigiami e biancheria da casa da donna, per es. pigiama, fucsia, taglie S–XL 19.90 **
Tutti i prodotti Quinoa Mix El Mundo, per es. chutney di mango, 225 g 3.50 NOVITÀ **
20x
Chips Zweifel in busta XXL, al naturale, alla paprica o Salt & Vinegar, per es. alla paprica, 380 g 5.95 invece di 7.75 20%
Tutti i pantaloni da uomo e da donna, disponibili in diversi colori, per es. jeans Levis 501 da uomo, taglie 32–38 79.90 invece di 99.90 20% ** Slip da uomo in conf. da 3, per es. slip John Adams, taglie S–XXL 14.90 **
Tutte le torte non refrigerate, per es. torta di Linz, 400 g 2.70 invece di 3.40 20%
Diversi boxer da uomo in conf. da 3, per es. boxer John Adams, taglie S–XL 14.90 **
Tortine pasquali in conf. da 2, 2 x 75 g 2.05 invece di 2.60 20%
Salviettine umide Sensitive o Baby Fresh Pampers in conf. da 5, per es. Sensitive, 5 x 56 pezzi 14.65 invece di 22.– *,**
Family Pasta Anna’s Best, 750 g 9.90 Menù vegetariani Anna’s Best, per es. polenta con verdure alla griglia, 380 g 5.90 NOVITÀ ** 20x La Pizza in conf. da 2, per es. 4 stagioni, 2 x 420 g 11.70 invece di 15.60 25% Uova svizzere, da allevamento al suolo, 15 pezzi da 53 g+ 4.90 invece di 5.90 15%
NEAR FOOD / NON FOOD Tutti i prodotti Exelcat, per es. squisitezza alla carne in salsa, 4 x 100 g 2.60 invece di 3.25 20% Dental Delicious Snack Matzinger, 200 g 3.50 NOVITÀ **
Tutte le farine speciali (prodotti Alnatura esclusi), per es. farina per treccia, TerraSuisse, 20x 1 kg 2.40 20x PUNTI
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 9.3 Società Cooperativa Migros Ticino
* In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.2 AL 9.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Gocce allo yogurt per roditori Vitobel, 75 g 2.20 NOVITÀ **
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.2 AL 2.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Tutti i pannolini Pampers (confezioni giganti escluse), offerta valida per 3 prodotti con lo stesso prezzo, per es. Baby-Dry 3, 3 x 50 pezzi 33.60 invece di 50.40 3 per 2 ** Scatola creativa Lego Classic (10695) o Lego Duplo (10618), per es. scatola creativa Duplo 34.80 ** Diversi capi di biancheria intima per bambini e bebè, per es. pigiama da bambino, taglie 98–128 11.90 ** Detersivo per i piatti Manella in conf. da 3, per es. grape, 3 x 500 ml 7.40 invece di 9.30 20% ** Sacchi per la spazzatura Cleverbag Herkules in conf. da 5, 5 rotoli da 35 l 12.90 invece di 17.– 25% **
VIAGGIO CULINARIO x 0 2 IN PERÙ. PUNTI
RI TATO À L A S ZA E SAPIDIT SEN DI
3.50 Quinoa Mix El Mundo, Fairtrade per es. al chutney di mango, 225 g
Assaporare culture straniere, senza lasciare la Svizzera. La nuova marca El Mundo ti accompagna in giro per il mondo proponendoti pregiati piatti pronti. Gusta prodotti autentici grazie a ricette locali senza esaltatori di sapidità, conservanti né coloranti. Sostieni al tempo stesso le condizioni di vita e di lavoro dei piccoli agricoltori in Perù. In vendita da subito nella tua filiale Migros. In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.2 AL 9.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Idee e acquisti per la settimana
Sun Queen Cups
Una miscela che ingolosisce Con le Sun Queen Cups la miscela di frutta secca prende una nuova dimensione. Una combinazione tra salato, fruttato e dolce per una bontà senza pari. Sun Queen sorprende ora con due nuove irresistibili miscele: «Snack up» con mango, pistacchi e mandorle tostate e salate, nonché uvetta è un pizzico di cioccolato scuro. «Take on», dal canto suo, contiene anacardi tostati e salati, come pure mandorle, mirtilli, kiwi e un po’ di cioccolato scuro. Queste due croccanti bontà sono pratiche da spizzicare quando si è fuori casa oppure per una tranquilla serata davanti alla tv. / DH
Sun Queen snack up Cup 140 g Fr. 3.60
Le Cups contengono frutta secca esotica come pure noci salate o ricoperte di cioccolato.
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i Sun Queen Cups.
Foto Lucas Peters; Styling Mirjam Käser
Sun Queen take on Cup 140 g Fr. 3.60 Nelle maggiori filiali.
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Idee e acquisti per la settimana
1 Quinoa
Un cereale conquista le tavole svizzere
Quinoa Mix Basil Pesto 225 g Fr. 3.50
4
Cinque nuovi piatti a base di Quinoa Fairtrade ci portano in Perù. Contengono autentiche guarnizioni e non hanno bisogno di rafforzatori del gusto. Le loro formule di alta qualità e la preparazione semplice ne fanno l’ideale per quando si è fuori casa 2
Quinoa Mix Tomato & Piquillo 225 g Fr. 3.50
1
3
2
Quinoa Mix Mango Chutney 225 g Fr. 3.50
4
3 Quinoa Mix Zucchini & Onion 225 g Fr. 3.50
Foto Veronika Studer; Illustrazione MM/Gabriela Masciadri
Parte di
Generazione M è simbolo dell’impegno sostenibile della Migros. www. generation-m.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Foto Getty Images, VectorStock; Illustrazione MM/Gabriela Masciadri
La città inca di Machu Picchu è il simbolo più noto del Perù.
Non solo fornitore di lana: questo lama è amico di una ragazza peruviana.
Perù: paese degli Inca e della quinoa.
Passeggiare sui sentieri inca che portano al Machu Picchu, visitare il lago Titicaca o i coloratissimi mercati: il Perù ha molto da offrire. Con 41’017 tonnellate di quinoa, il Perù è il maggior esportatore a livello mondiale. Ciò che caratterizza i nuovi piatti pronti a base di miscele di quinoa è che sono fabbricati interamente in Perù, e quindi al paese produttore rimane più valore aggiunto. Inoltre la Migros ha convinto le cooperative di piccoli coltivatori di quinoa a lavorare secondo le linee direttive Faitrade. Il che si è rivelato positivo, come conferma anche il contadino Ángel More: «Sono molto soddisfatto di come si evolvono le attività, che aumentano il valore delle nostre coltivazioni. Da due anni partecipo al programma e Fairtrade mi ha convinto.» / CS
Il marchio Fairtrade è simbolo di prodotti commercializzati in modo equo. Permette alle famiglie dei piccoli contadini nonché alle lavoratrici e ai lavoratori nei paesi emergenti e in via di sviluppo di godere di condizioni di vita migliori. Ulteriori informazioni: www.migros.ch/maxhavelaar
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Idee e acquisti per la settimana
Detersivi liquidi Yvette
Delicati su tutte le fibre I capi più amati dovrebbero sembrare come nuovi il più a lungo possibile. I detersivi liquidi Yvette fanno sì che la luminosità dei colori venga preservata nel migliore dei modi. La gamma offre la cura ideale per ogni tipo di tessile e tessuto. Questi detersivi liquidi sono particolarmente delicati sulle fibre pur lavando in modo efficace. Grazie ad una speciale protezione delle fibre, i capi mantengono più a lungo la loro forma, come è stato confermato anche da un test di laboratorio indipendente. / DH
Grazie alle proteine naturali, Yvette Care si prende cura della lana.
Per lana e seta Yvette Care 2l Fr. 11.20
Per colorati Yvette Color 2l Fr. 11.20
Per misti e sintetico Yvette Fibre Fresh 2l Fr. 11.20
Per nero e scuri Yvette Black 2l Fr. 11.20
Per bianchi Yvette White 1.5l Fr. 8.50
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche Yvette.
40% DI RIDUZIONE azioni Disinfezione quotidiana: elimina il 99,9% di germi e batteri Sbianca in profondità Elimina il calcare, rimuovendo le incrostazioni )PMQMRE PI QEGGLMI ERGLI UYIPPI TM HMJ½GMPM Deodora con un fresco profumo
2.95 invece di 4.90 per es. WCNET intense gel 750 ml
LE OFFERTE SONO VALIDE DAL 24.02 AL 09.03.15 SU TUTTO L’ASSORTIMENTO WC NET OPPURE FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
WCNET è in vendita alla tua Migros