Azione 11 del 09 marzo 2015

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I E D I C I M A I GL . I T T E I L G I N CO


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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 09 marzo 2015

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Azione 11

Società e Territorio L’attività dello Sportello Zerocinque, al servizio delle neomamme in difficoltà

Ambiente e Benessere Alla conquista del massiccio del Monte Mulanje, la cima più alta di tutta l’Africa centrale

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Politica e Economia Il fantasma del fascioleghismo si aggira per l’Italia

Cultura e Spettacoli L’ingresso trionfale (e conturbante) delle donne nel teatro tedesco del Novecento

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Elia Stampanoni

Nuove idee per il Lago Maggiore

di Elia Stampanoni pagina 13

Elementi di solidità di Peter Schiesser Forse è vero che siamo ancora un’isola, in un mondo agitato. In tempi in cui le piazze di alcune capitali d’Europa raccolgono frotte di indignati, c’è un luogo che, quando lo ritrovo, mi dà una sensazione fisica di solidità: la Piazza federale e la città vecchia di Berna. Severi e austeri palazzi vegliano ancora sulla storia e custodiscono un potere dimesso, nondimeno efficace. La piazza cui si affacciano è di granito grigionese, nasconde 26 getti d’acqua a simbolizzare i cantoni, sotto la superficie le testimonianze archeologiche (il quartiere ebraico e le mura fortificate della città medievale) hanno ceduto il posto ad un parcheggio. La piazza è deserta, si impongono muti Palazzo federale, alla sua destra la Banca nazionale, alla sinistra la Banca cantonale bernese, di fronte la Valiant Bank, nata una ventina di anni fa dalla fusione di alcune banche private bernesi. Sono palazzi in cui si è fatta la storia, in cui il potere della politica e della finanza avevano e hanno una contiguità fisica. Le mura possenti di arenaria bernese di Palazzo federale, una volta tendenti al verde, una volta al verde-blu, una volta al giallo, incutono tuttora rispetto, simbolizza-

no l’inizio della Svizzera moderna, un modello che ha retto senza interruzioni fino ad oggi. Questa arenaria, tratta da cave bernesi dal 1400, ma sfruttata massicciamente a partire dalla metà dell’Ottocento, proveniente da una vena larga dai 5 ai 15 chilometri che si snoda da Sciaffusa a Losanna, dà un tono massiccio a numerosi altri edifici della vecchia Berna. Non è la pietra a esser tale: è facile da lavorare e secondo alcuni architetti dell’Ottocento poco adatta per palazzi come quello Federale. Sono i volumi degli edifici e la severità che esprime la pietra a incutere una sorta di timore reverenziale. Qui la politica è ancora condotta dentro le mura, non comanda la piazza. E in questa Svizzera che da un ventennio appare più nervosa, più polarizzata, più sorda alle parole del prossimo, la politica è però sempre ancora capace di stupire. Proprio il giorno della mia ultima visita, in una delle salette di Palazzo federale, un compromesso negoziato fra sette uomini e una donna evita l’annacquamento dell’iniziativa popolare sulle residenze secondarie e al contempo un referendum. Il giorno dopo il Nazionale adotterà le misure concordate, con i voti di Verdi e socialisti, ma soprattutto di UDC e PLR, con il capogruppo UDC Adrian Amstutz grande regista dell’opera-

zione assieme a Vera Weber, la figlia del padre dell’iniziativa. Oggi gli Stati, molto probabilmente, confermeranno il compromesso, che in buona sostanza è una vittoria degli iniziativisti – secondo il motto, caro e utile all’UDC, che deve prevalere la volontà popolare. Interessante osservare che in Svizzera, anche se una decisione viene adottata dal Popolo, è sempre ancora il Parlamento a interpretarla e a porla in essere. Il potere sta in queste mura, più ancora che nell’urna. È bene così? O è troppo elittaria la politica in Svizzera? Farebbe bene un po’ più di politica in piazza anziché nei corridoi di Palazzo? Un po’ più di indignati? Lo dirà la Storia fino a quando i severi palazzi bernesi saranno non solo simbolo ma anche specchio di una solidità, di una stabilità che si mantiene tale perlomeno in relazione a ciò che accade altrove. Ciò non sia un invito a dormire sugli allori, poiché segnali di crisi della vita politica si vedono anche da noi. Ma dobbiamo riconoscere che in Svizzera non si è creata la pericolosa miscela di crisi e corruzione che ha permesso al movimento spagnolo Podemos di nascere dal nulla ed essere ora il primo partito nei sondaggi, con elezioni importanti alle porte. Forse un po’ più di fiducia nella dimessa arte del compromesso elvetico non è malriposta.


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Società e Territorio Torna TEDx Lugano Un momento di incontro a livello internazionale che si basa sul principio della condivisione delle esperienze: il 18 aprile TEDx sarà alla Franklin University di Lugano

«Vecchie» console e nuovi giochi Nell’anno di passaggio dalla vecchia alla nuova generazione di piattaforme le aziende videoludiche non si sono distinte per trasparenza

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Più forti con l’amore della mamma Famiglia L’associazione Zerocinque ha aperto uno Sportello per aiutare le mamme che hanno difficoltà ad entrare

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in empatia con il neonato o che devono recuperare fiducia nelle proprie competenze genitoriali Stefania Hubmann Il riconoscimento di quanto siano indispensabili le cure materne per lo sviluppo e la crescita del neonato è unanime, ma soffermarsi sugli aspetti psicologici del vissuto di un bebè può sembrare un’analisi poco attendibile. Eppure è in questo periodo che si pongono le basi della personalità, per cui un sostegno precoce a genitori in difficoltà è una forma di prevenzione di disturbi e patologie mentali a volte diagnosticati solo nell’età adulta. Lo Sportello mamma-bambino Zerocinque risponde a questo bisogno con le caratteristiche proprie di un simile servizio: disponibile su richiesta, sempre raggiungibile, gratuito. L’omonima associazione, impegnata da un decennio nell’ascolto e nella consultazione psicologica delle famiglie con bambini da zero a cinque anni, ha aperto lo Sportello presso l’Associazione Dialogare Incontri (Via Foletti 23, Massagno) e ha attivato un numero telefonico (079 913 91 99), in modo da poter fornire un sostegno immediato nei momenti di crisi. La gravidanza, il parto, l’allattamento sono esperienze che determinano nella donna grandi cambiamenti fisici e psicologici. Spesso idealizzate, in realtà possono anche essere fonte di dubbi e ansie che infragiliscono il fisico e la disponibilità

Quello che Darwin non spiega Evoluti e abbandonati Il filosofo

delle scienze biologiche Telmo Pievani getta le fondamenta di una nuova disciplina: l’Ecologia del comportamento umano

Lorenzo De Carli Ci sono domande che, un tempo, si ponevano anche i filosofi e che, ora, appaiono tanto generiche, che sono lasciate con una certa sufficienza a chi è giudicato porsi questioni troppo più grandi di lui. Sono domande che trovano risposte senza ambiguità in tante religioni e in tanti sistemi morali, ma che, proprio perché di sistemi simili ce ne sono tanti e spesso reciprocamente in contraddizione, finiscono per apparire disorientanti e incapaci di dare soddisfazioni. Per esempio, la domanda: «i membri del nostro genere homo sapiens sapiens sono fondamentalmente buoni o no?». Famoso genetista e studioso dell’evoluzione culturale, Luigi Luca Cavalli Sforza ha scritto un libro per descriverci come «specie prepotente». Egli ha avuto diretta esperienza di popolazioni – come i Pigmei, cui è molto affezionato – fondamentalmente pacifiche, ma la sua visione lascia poco spazio alla speranza di riconoscere nella nostra una specie men che aggressiva. In generale, chi si occupa di questioni morali parte dal presupposto che vi sia un’irriducibile discontinuità tra noi e il resto del mondo animale, tale da legittimare la convinzione che le nostre riflessioni su questi argomenti non debbano tener conto di quanto sappiamo della nostra evoluzione o della nostra biologia. Del tutto diversa, invece, è la visione di chi sta esaminando le nostre inclinazioni morali, studiandoci non solo come qualunque altra specie del pianeta, ma anche tenendo in considerazione la nostra filogenesi – vale dire le relazioni di parentela con altre specie, che abbiamo sviluppato nel corso della nostra storia evolutiva. Uno psicologo come Michael Tomasello, per esempio, se è giunto alla

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

conclusione che siamo «altruisti nati», è perché ha studiato lo sviluppo dei piccoli della nostra specie in relazione con lo sviluppo dei piccoli di altri primati. Filosofo delle Scienze biologiche, Telmo Pievani – nelle pagine di Evoluti e abbandonati –, con lo scopo di avviare un nuovo programma di ricerca che egli definisce «scienza integrata del comportamento umano», va alla ricerca delle nostre numerose «affinità morali» con gli altri primati, che egli definisce «precursori naturali» delle nostre inclinazioni morali. La casistica di queste affinità cresce ed è ben documentata dagli «studi sulla cooperazione e sulla risoluzione dei conflitti nei primati in generale». Citando un’ampia e aggiornata bibliografia, Pievani documenta «atti altruistici spontanei, preferenza per la socievolezza; importanza cruciale della fiducia e della solidarietà sociale; pregnante solidarietà sociale, poligamia, ginecocrazia, vita sociale stretta nei bonobo». Ma non è tutto: Pievani ci ricorda anche che i nostri cugini scimpanzé hanno «senso di gratitudine, altruismo, memoria dei favori ricevuti, reciprocità diretta». Nella prospettiva di ricerca indicata da Pievani, questi tratti non sono generiche affinità bensì indizi di relazioni filogenetiche tra la nostra specie e altre dell’albero cespuglioso che ci unisce agli altri primati, nonché le «basi ecologiche dei sentimenti e delle istituzioni morali che poi condizionano fortemente i nostri ragionamenti morali». Sebbene il metodo di Telmo Pievani, anche quando l’oggetto di studio sono le tendenze morali, sia fortemente contrassegnato dalla necessità di raccogliere dati biologici ed ecologici certi, prima di formulare ipotesi, e malgrado questo stesso metodo chieda una pluSede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

Sono ancora poche le mamme che ammettono di essere in difficoltà: prevale la paura di essere stigmatizzate come «madri malate» Schemi troppo semplici e «psicologia evoluzionistica»: una tendenza che Telmo Pievani cerca, con ironia, di scardinare. (Keystone)

ralità di discipline (dalla paleografia alla paleoantropologia, dalla genetica alla paleoclimatologia), egli non si prefigge lo scopo di individuare il nostro «orientamento morale naturale», sia perché Pievani non ritiene affatto che «naturale» sia sinonimo di «buono», o «auspicabile», sia perché non perde mai occasione di sottolineare quanto ambigua sia la nostra natura. Per esempio, è vero, sì, che abbiamo una forte propensione alla cura della prole (evolvendo, tra l’altro, la capacità di rinnovarla per il lungo tempo necessario allo svezzamento dei cuccioli umani, che nascono molto prima di essere maturi, e il cervello dei quali continua a crescere anche dopo il parto), ma è anche vero che abbiamo esteso questa dedizione alla cura degli

altri solo fino ai confini del ristretto cerchio del gruppo di appartenenza, trasformandola in aggressività nei confronti di chi non fa parte del gruppo. La contrapposizione noi/altri segna profondamente la nostra natura e fa di noi degli esseri molto ambigui: se abbiamo studiato un’infinità di modi per torturare i nemici è perché abbiamo sviluppato a un grado molto elevato la capacità d’immedesimarci negli altri e di condividerne le emozioni. Secondo Pievani, le analogie sopra elencate sono tratti condivisi con altri primati, che noi abbiamo cooptato per configurare sistemi morali più complessi. Nelle pagine dedicate alla critica della psicologia evoluzionistica, Evoluti e abbandonati mette a nudo, con humour, l’improbabilità di storie adattati-

ve, come quella – per esempio – secondo la quale i maschi della nostra specie hanno evoluto la capacità di apprezzare uno specifico rapporto fianchi/ vita nelle femmine (che, guarda caso, è il rapporto che contraddistingue il modello femminile di «Playboy»). Alla psicologia evoluzionistica Pievani contrappone un metodo pluridisciplinare, attento al dato storico e alle circostanze contingenti, allineato con gli esiti più recenti della ricerca scientifica. L’obiettivo di Pievani è uno studio naturalistico del nostro genere in una prospettiva darwiniana, ma alla luce di un darwinismo che non è più «tutto geni e competizione» bensì ventaglio di discipline scientifiche impegnate ad accertare dati storici e biologici e non a forzare l’evoluzione in schemi semplicistici.

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emotiva necessari per il benessere del bambino. In questi casi le mamme, rivolgendosi allo Sportello, trovano ascolto e sono accompagnate in un percorso di riconquista della fiducia in se stesse che permette di superare la fase critica e di garantire un sano accudimento del neonato. Si può così evitare che il bimbo distolga la sua attenzione dalla madre e che venga meno l’interrelazione tanto importante per la crescita della mente del bambino.

«Il neonato ha una percezione corporea dello stato d’animo della madre, anche se quest’ultima non ne è consapevole», spiega Maria Pagliarani, psicologa e psicanalista specializzata nei problemi dell’infanzia, ai quali ha dedicato una vita di studio e lavoro. Con Maria Pozzi, psicoterapeuta psicoanalitica, docente alla Clinica Tavistock di Londra, ha fondato l’Associazione Zerocinque per puntare concretamente sulla prevenzione delle malattie mentali. «Il rapporto tra madre e neonato si stabilisce a livello inconscio. Quando la mamma non riesce a investire sul bimbo emotivamente, il rischio evolutivo è molto preoccupante. Dedicare molte energie alla prevenzione e all’intervento precoce è vantaggioso, perché si agisce sul momento in cui si struttura la personalità del bambino». Maria Rosa Vecchiato, responsabile dello Sportello Zerocinque, precisa al riguardo che «il bambino è anche un grande terapeuta, perché percepisce subito un cambiamento nel comportamento della madre e la ripaga ad esempio con un sorriso, permettendole così di tranquillizzarsi o di ritrovare se stessa». Psicologa di formazione, con una pluriennale esperienza nel sostegno di mamma-bambino (in particolare nei centri pilota italiani nati dopo la chiusura dei brefotrofi), sottolinea quanto sia importante che la madre riesca ad entrare in empatia con il neonato. Le difficoltà incontrate dalla giovane mamma in molti casi sono riconducibili al difficile rapporto avuto con la propria madre, con cui non riesce ad identificarsi. «Questi problemi, se non vengono elaborati, tendono ad essere riprodotti di generazione in generazione». Neonati che piangono e mamme che piangono con loro; donne sfuggenti, concentrate sul rientro professionale piuttosto che sul contatto con il proprio figlio; neonati che non dormono e mamme sfinite. Come risponde Maria Rosa Vecchiato a queste richieste di aiuto? «Il sostegno si basa su un atteggiamento osservativo privo d’interpretazione, per fornire ascolto, condivisione e accompagnamento. Di solito alla prima telefonata segue un incontro con la madre e il bambino, spesso al domicilio, decidendo in seguito di comu-

Spesso è il figlio ad essere il terapeuta: un suo sorriso tranquillizza la madre e le permette di ritrovare se stessa. (Keystone)

ne accordo in quale forma proseguire l’accompagnamento. Quando la madre sente di aver recuperato le proprie competenze, è lei stessa a segnalare di voler provare a continuare da sola». Malgrado queste situazioni siano più frequenti di quanto si possa immaginare e il servizio sia molto apprezzato, sono ancora poche le mamme che ammettono di essere in difficoltà. Secondo le nostre interlocutrici prevale la paura di essere stigmatizzate come madri malate. È arduo per l’associazione farsi conoscere e soprattutto entrare in contatto con i neogenitori. «Dopo un’esperienza di collaborazione in ospedale, stiamo puntando su una maggiore mobilità, attraverso lo Sportello e cercando un approccio con gli asili-nido», spiegano le due psicologhe. In questo modo è più facile raggiungere un altro obiettivo, costituito dal coinvolgimento delle figure paterne. «I padri hanno un ruolo di estrema importanza sia nei confronti della moglie, che possono sostenere nei momenti di fragilità, sia del neonato. Abbiamo già lavorato sull’identità paterna con gruppi di papà, ma non è facile riuscire a motivare i neo-

papà a discutere in gruppo le loro problematiche». Maria Pagliarani e Maria Rosa Vecchiato rilevano inoltre come in generale l’attenzione e l’interesse per la relazione psicologica con il neonato siano diminuiti rispetto ad alcuni decenni fa. Nella società odierna prevalgono le preoccupazioni di ordine pratico e materiale. L’associazione Zerocinque in questi anni ha continuato a svolgere attività di ricerca – ad esempio sono state seguite dodici famiglie sull’arco dei primi due anni di vita dei rispettivi bambini secondo il metodo dell’Osservazione del neonato messo a punto nel 1948 dalla psicoanalista polacca Esther Bick – e a concentrare l’impegno sulla formazione con proposte di consulenze, aggiornamenti e supervisioni. Da rilevare anche la collaborazione con istituti all’avanguardia, in particolare nel Nord Italia. Lo scorso ottobre le nostre interlocutrici hanno partecipato quali relatrici a un convegno internazionale dedicato agli interventi psicoterapeutici precoci con la famiglia svoltosi al Centro Benedetta D’Intino Onlus a Milano. Il loro contributo era focaliz-

zato proprio su «L’osservazione partecipata della relazione madre-bambino nel primo anno di vita». In una realtà sociale nella quale la rete familiare si è allentata e la solitudine investe anche le fasce più giovani della popolazione, lo stato d’isolamento di una neo-mamma rischia di diventare un problema serio per lei e il suo bambino. Secondo Maria Pagliarani e Maria Rosa Vecchiato è necessario uscire dal rischio di questa spirale negativa assicurando un intervento precoce che coinvolga tutta la famiglia. Intervento che risulta efficace in quanto il potenziale di sviluppo del bambino e quello delle capacità genitoriali sono in stretta relazione. Nell’opuscolo dello Sportello mamma bambino, oltre a una tenera immagine di maternità del pittore Luigi Rossi, è citata una frase del pediatra e psicoanalista inglese Donald Woods Winnicott: «La differenza tra una madre buona e una cattiva non sta nel commettere errori, ma in ciò che si fa degli errori commessi». Informazioni

www.zerocinque.ch

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Delphine Grinberg, Ecoesploratori, Editoriale Scienza. Da 8 anni Le prime due o tre paginette di questo preziosissimo libro andrebbero imparate a memoria non solo dai bambini ma da ogni umano che condivide con altri miliardi di passeggeri il viaggio su quell’astronave spaziale che chiamiamo Terra. Sono pagine divertenti e illuminanti, scritte con leggerezza e assoluta serietà, senza moralismi lamentosi ma con un’etica dall’urgenza propositiva: anche se per molto tempo abbiamo pensato di vivere su un pianeta «infinito» è venuto il momento di capire che sulla Terra «tutto è connesso. Quello che accade in un posto ha conseguenze in un altro, anche se non lo vediamo. Capire questo cambia la prospettiva». E ti rende più consapevole sui tuoi rifiuti, i tuoi acquisti, le tue scelte. E allora non perdiamo tempo a piangerci addosso né a flagellarci, ma rimbocchiamoci le maniche e facciamo qualcosa. È difficile?

Per nulla, anzi, è divertentissimo. Posso farlo anche se sono un bambino? Certo, e sarai anche più bravo dei grandi! Questo è il messaggio trascinante del libro, che propone tantissimi esperimenti, attività e avventure per trasformarsi in «ecoesploratori» in grado di rendere la Terra un posto un pochino più bello. Un pochino, ma se gli ecoesploratori diventano tanti, la Terra diventerà un posto molto più bello. Idee per nutrire e proteggere minuscoli animaletti utili e negletti, per dare nuova vita ai rifiuti, per regalare verde e bellezza alla città,

per risparmiare elettricità. Ma anche azioni decisamente «politiche», come quelle presentate nel capitolo Fate vergognare i grandi prepotenti, o Smontiamo la pubblicità, o Ospita, condividi, scambia con i vicini. In più, tante storie vere di ecoesploratori che hanno fatto la differenza, a cui ispirarsi. L’autrice è la francese Delphine Grinberg, che da molti anni si dedica alla divulgazione scientifica per ragazzi, aggiudicandosi prestigiosi premi internazionali. Un libro da condividere in famiglia, per un approccio pratico ed entusiasmante al tema della sostenibilità e dell’ecologia. Jan Ormerod, Andrew Joyner, Lo scambio, Terre di Mezzo Editore. Da 4 anni Due autori australiani per questo vivace albo illustrato, che – in ottica anarchicamente «dalla parte dei bambini», infischiandosene del «politicamente corretto» – parla della gelosia di una

piccola coccodrilla nei confronti del nuovo fratellino. La mamma, un’elegante signora Coccodrilla, è in brodo di giuggiole per il suo bebè, e Carolina Coccodrilla, sempre più arrabbiata, le fa un controcanto dialogico che, alla lettura ad alta voce, risulterà sicuramente ricco di humour: «Il tuo fratellino è meraviglioso». «Puzza»; «Che musino adorabile!» «Sbava», e via di questo passo, fino a quando Carolina, lasciata fuori da un negozio a badare al fratellino, coglie la palla al balzo. Entra in una strampalata bottega e

chiede al commesso, un imperturbabile Signor Capra, di cambiarlo con un altro cucciolo. Ma né il panda, né l’elefante, né la coppia di tigrotti, nessun cucciolo proposto e provato, insomma, fa al caso suo, perché ogni volta questi nuovi fratellini si dimostrano inadatti a Carolina, con una serie di disastri e pasticci che non mancheranno di innescare ulteriori risate nei piccoli lettori. Finché, naturalmente, Carolina capirà qual è il fratellino migliore per lei… L’idea narrativa non è nuova (viene in mente ad esempio La biblioteca dei papà, di Dennis Whelehan, I Delfini Bompiani, ora purtroppo finito, insieme a innumerevoli altre gemme, fuori catalogo; o La notte in bianco di Tommaso, Nord-Sud), ma la briosità del testo della Ormerod – prematuramente scomparsa e alla cui memoria il libro è dedicato – e delle illustrazioni di Joyner lo rendono un libro piacevole e divertente.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

Società e Territorio

Il potere delle idee

I numeri che divertono

TEDx La seconda edizione dell’evento si terrà alla Franklin University di Lugano

Ideatorio Una

e sarà dedicata alle prestazioni e alla relazione tra abilità e limite

mostra per scoprire la matematica

Roberta Nicolò Cosa hanno in comune un allenatore di hockey, un architetto e un amministratore delegato? La risposta è semplice. Esperienza da condividere. Questa l’idea di TEDx, che si appresta ad aprire i battenti a Lugano per la seconda edizione dell’evento.

Incontri e condivisione di esperienze: TEDx offre opportunità di scambi attraverso le riflessioni e i punti di vista di relatori locali e internazionali (Hy–) performance, titola l’edizione 2015. Un gioco di parole che vuole far pensare e ripensare alla relazione tra abilità e limite. Quali sono i limiti da non superare, quali quelli da vincere con determinazione e come si affronta psicologicamente una performance? Sono solo alcune delle domande a cui risponderanno i relatori di TEDx, che interverranno il prossimo 18 aprile all’incontro organizzato alla Franklin University Switzerland. Ma che cos’è TEDxLugano? Lo abbiamo chiesto a Mattia Bertoldi, membro del team organizzativo: «è un momento di incontro, di riflessione, di scambio, tra persone che credono nel cambiamento attraverso le idee. Una giornata da passare insieme, offrendo vari spunti e suggestioni. L’obiettivo del suo curatore, Sergali Adilbekov, è quello di costruire una comunità, che attraverso la condivisione di conoscenza e competenze, possa trasportare il Ticino in una rete di respiro internazionale. La formula è sempre la stessa, in ogni paese del mondo, diciotto minuti in cui offrire il proprio punto di vista, la propria esperienza, la propria opinione su uno stesso tema. I relatori sono personalità locali, nazionali ed internazionali. Figure eterogenee che regalano al pubblico un frammento di vita, un’idea innovativa». Ad un primo sguardo potrebbe sembrare la classica giornata di conferenze ma, in verità, si tratta di qualcosa di più. Infatti, il segreto di questa formula, sta proprio nelle parole comunità di idee, punto cardine della filosofia TEDx. Costruire una piattaforma di condivisione senza tralasciare il calore che solo il rapporto diretto tra le persone sa donare. La di-

Il giovane team di TEDx Lugano.

mensione umana è infatti ampiamente favorita da momenti informali, di convivialità, durante i quali, uditori e relatori, hanno la concreta possibilità di approfondire, scambiare e magari dare impulso a nuove idee e collaborazioni. «Il clima che si respira è aperto e c’è un buon equilibrio tra chi è del territorio e gli ospiti stranieri – spiega Bertoldi – l’opportunità di interagire con personalità di grande levatura è sicuramente stimolante. Lo scorso anno abbiamo avuto ospiti, tra gli altri, Larry Huras, Riccardo Braglia e Jacob Hagemann. In questa seconda edizione possiamo anticipare la presenza di Howard Leedham, ex militare della Royal Navy ed oggi gestore di hedge funds a Dubai e di Daniel Jordi, famoso blogger zurighese. Competenze molto diverse, personalità molto diverse, per prospettive indubbiamente interessanti». Contaminazione di idee, continua osmosi tra settori, suggeriscono che la società contemporanea ha bisogno di colori, sfumature, opinioni, modelli, ma anche utopie. Il mondo delle imprese ha compreso l’enorme valore di un costante flusso di pensieri e visioni. Il blogger e il direttore d’azienda. Lo storyteller e l’ingegnere. Diversi sì, quasi agli antipodi, ma capaci di dialogare e inventare insieme soluzioni originali. Autentica filosofia che tesse una rete fatta di ideali, archetipi e azioni concre-

te, per una società sicuramente all’avanguardia. Il team TEDxLugano è un gruppo giovane, che presta il proprio lavoro in maniera del tutto volontaria. Far parte dell’organizzazione permette loro di fare esperienza ad alto livello, di interagire con un contesto fortemente appassionante che può aiutare anche lo sviluppo della propria personalità professionale. «Per un ragazzo entrare nel gruppo è sicuramente un’occasione di crescita personale, infatti la condivisione non si esaurisce con l’evento, ma continua anche durante il resto dell’anno. La giornata di conferenze è solo uno degli aspetti che contribuiscono alla costruzione del senso di comunità, TEDxLugano coltiva rapporti con gli altri gruppi presenti in Svizzera. Ci incontriamo e continuiamo lo scambio di idee ed esperienze, inoltre attraverso i social network abbiamo occasione di mantenere vivo il contatto con tutti i partecipanti». Una comunità giocata su due livelli, uno reale ed uno virtuale. Persone che si incontrano, che parlano, che scambiano informazioni, che costruiscono rapporti, ma anche una rete incorporea che si estende virtualmente oltre i confini territoriali e che, con l’utilizzo dei social network, aiuta a mantenere vivi i contatti con chi abita dall’altra parte del mondo. Ed è questa doppia dimensione quella che, più di

ogni altra, sa offrire un’interazione dinamica regalando un autentico sapore di internazionalità. Il territorio non fa solo da cornice a questo evento, ma diventa esso stesso protagonista, offrendo un’immagine di spontaneità ed accoglienza. Chi arriva da fuori ha modo di ammirare il paesaggio e di scoprire le peculiarità del Ticino. Il clima della giornata inoltre influisce molto sulla percezione che gli ospiti avranno del territorio e per questo, ancora una volta, la buona riuscita dei momenti informali è fondamentale. «Per l’evento abbiamo scelto la Franklin University Switzerland, un ambiente esteticamente bello e una porta privilegiata su un’atmosfera internazionale. L’insegnamento, infatti, è in lingua inglese, altro fattore che ha reso il campus il luogo ideale per lo stile TEDx. I relatori pernottano qui e per alcuni di loro è l’occasione giusta per visitare la città e i suoi dintorni. Durante il soggiorno raccontiamo un po’ della storia e delle caratteristiche del Ticino, aiutandoli ad ambientarsi e cercando di rendere il più piacevole possibile la loro esperienza ticinese, in modo che possano portare a casa un ricordo positivo dei giorni trascorsi a Lugano» conclude Mattia Bertoldi. Informazioni

www.tedxlugano.com

Qual è la probabilità di vincere al lotto? Come facevano a contare popoli antichi come i sumeri? Chi ha inventato i numeri? E come possiamo riscoprirne il fascino? Da queste domande è nata l’esposizione Diamo i numeri! da poco inaugurata a Casa Serodine di Ascona nell’ambito della rassegna AsconaScienza. La mostra, allestita dall’Ideatorio dell’Usi in collaborazione con la Società matematica della Svizzera italiana, è un percorso interattivo, un affascinante viaggio 3D, tra DITA, DADI e DATI, in cui il visitatore avrà la possibilità di giocare, contare, sperimentare e simulare. Da antichi giochi e rompicapo a situazioni reali che richiedono l’uso di concetti matematici e probabilistici, fino ad affascinanti simulazioni in mondi virtuali. «Diamo i numeri! – spiegano gli organizzatori – è un progetto che mira ad avvicinare la matematica ai giovani e al pubblico adulto, senza sostituirsi alla scuola, ma creando una modalità non formale di incontro con il sapere, dove l’esperienza, il piacere e le emozioni del singolo possano mettersi in gioco. La matematica, da scienza eccellente, sinonimo di saggezza, ponte tra culture è diventata troppo spesso una disciplina odiata o mal sopportata. Paradossalmente questo avviene in un momento in cui si generano in ogni istante piogge di dati, di numeri sempre più difficili da gestire e interpretare. Fin da piccoli dobbiamo familiarizzare con tutto questo, poco alla volta, per diventare cittadini consapevoli di un mondo in cui saper contare ci aiuta anche a vivere meglio». E anche a divertici, sembra suggerire la conferenza spettacolo prevista per il 24 marzo sempre a Casa Serodine (20.30) che indagherà il rapporto tra il gioco e la matematica. Nel corso della serata Antonietta Mira, professore di Statistica all’Usi, e Francesco Arlati accompagneranno il pubblico in una passeggiata tra mazzi di carte, dadi e tavoli da casinò. L’esposizione, aperta al pubblico fino al 26 aprile, è finanziata dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica e gode del sostegno del Percento culturale Migros Ticino. Informazioni

Diamo i numeri!, Casa Serodine, Piazza San Pietro 4, Ascona. Orari: me-sa-do, 14.00-18.00. www.ideatorio.usi.ch. www.diamoinumeri.ch

M «La buona pubblicità ha sostanza» Intervista A colloquio con Marc Engelhard, responsabile del Dipartimento marketing e comunicazione

della Federazione delle Cooperative Migros È ciò che sta facendo Migros oggi?

Daniel Sidler Signor Engelhard, cosa rende buona una pubblicità?

L’epoca del «pensiero pubblicitario» tradizionale è ormai passata, da noi. Un tempo la pubblicità nasceva partendo dall’offerta di servizi o prodotti che dovevano essere fatti conoscere alla popolazione. Oggi ragioniamo in modo diverso. Ci può spiegare meglio?

Il nostro concetto non parte solo dal prodotto, ma dai bisogni del cliente, e sviluppiamo iniziative o possibilità di esperienza sulla base dei contenuti sostanziali. I clienti sono già in possesso di molte informazioni, per cui la comunicazione funziona

come un iceberg: sotto la superficie ci dev’essere molta più sostanza che non soltanto pubblicità la quale, per così dire, rappresenta la punta che sporge dall’acqua. Ecco, la buona pubblicità, secondo me, comprende l’intero iceberg.

Sì, ad esempio nell’ambito dell’iniziativa legata alla sostenibilità Generazione M, con le sue promesse. In questo ambito lavorano esperti di comunicazione, responsabili dell’assortimento e specialisti della sostenibilità, fianco a fianco. I risultati non sono solo divertenti spot filmati, ma vantaggi concreti per la clientela. La buona pubblicità, infine, ha una sua concretezza. D’altronde Migros è stata eletta azienda di commercio al dettaglio più ecologica del mondo. Sono quindi passati i tempi in cui Migros proponeva una pubblicità da intrattenimento?

Sicuramente no. Uno dei nostri compiti è di entusiasmare le persone all’«idea Migros». Ci è riuscito in passato e

abbiamo degli obblighi verso quella tradizione. Oggi forse non si tratta più soltanto di realizzare uno spot televisivo: la scorsa estate abbiamo pubblicato un libro con 100 trucchi per le vacanze, lo scorso Natale in cinque settimane abbiamo vinto con la nostra canzone Ensemble addirittura due dischi di platino e abbiamo potuto destinare a quattro istituzioni sociali il denaro raccolto con la vendita del brano musicale. Buona pubblicità e una forte presenza sul mercato pubblicitario costano molto.

Come cooperativa cerchiamo in primo luogo di garantire con i nostri profitti un valore aggiunto ai nostri clienti. Di questo fanno parte anche prezzi più bassi. Quindi siamo molto cauti nelle

nostre spese pubblicitarie e negli ultimi anni abbiamo risparmiato molto. Ciò è attestato non da ultimo dalla vittoria dello Swiss Effie Award, che premia quelle campagne che riescono a totalizzare un buon risultato per ogni singolo franco investito in pubblicità. E come sarà la pubblicità Migros del futuro?

Migros è stata sempre un’azienda che precorreva i tempi: è stata tra le prime in Svizzera a promuovere una pubblicità di immagine, in seguito con l’introduzione di Cumulus e con la piattaforma web Migipedia ha definito nuovi standard. In futuro metteremo a punto ancora di più contenuti «vissuti», ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso: vogliamo conquistare il cuore dei nostri clienti.


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

GALA DI DANZA DELLE STELLE

ABBA THE SHOW

Vieni a scoprire i segreti del balletto, fatti veri capitati sul palco o dietro le quinte, con lo spettacolo di gala «Balletto con il sorriso». Nella prima parte il Balletto municipale di Kiev presenterà capolavori quali Il lago dei cigni, Lo schiaccianoci, La bella addormentata nel bosco e Cenerentola. La seconda parte sarà una sorpresa.

Con il tributo «Abba The Show», il fenomeno pop ABBA rivive sul palcoscenico 30 anni dopo lo scioglimento del leggendario quartetto. Questo show farà sentire ancora una volta dal vivo a tutti i fan grandi hit come Waterloo, Mamma Mia e Dancing Queen, proprio come se sul palco ci fossero gli stessi ABBA. Quando: 25 marzo 2015, Zurigo Prezzo: da fr. 47.20 a fr. 82.40 invece che da fr. 59.– a fr. 103.–, a seconda della categoria Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

Quando: 28 marzo, Ginevra / 30 marzo, Lugano / 31 marzo 2015, Losanna Prezzo: da fr. 35.– a fr. 63.– invece che da fr. 50.– a fr. 90.– Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

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FESTIVAL AVENCHES OPÉRA

VALLEMAGGIA MAGIC BLUES

Il capolavoro dell’opera buffa, «Il barbiere di Siviglia» di Gioacchino Rossini, fa il proprio brillante ingresso all’arena di Avenches con la nuova messa in scena del regista Marco Carniti.

Dal 10 luglio al 6 agosto 2015 le belle piazze dei villaggi della Vallemaggia fanno da palcoscenico a questo festival che propone una decina di serate di musica coinvolgente.

Quando: dal 4 al 17 luglio 2015, Avenches Prezzo: da fr. 99.65 a fr. 162.45 invece che da fr. 124.55 a fr. 203.05 Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

Quando: dal 10 luglio al 6 agosto 2015, diverse località Prezzo: da fr. 16.– a fr. 24.– invece che da fr. 20.– a fr. 30.–, a seconda del concerto Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

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Società e Territorio

Le nuove console fra zone grigie e brutte sorprese Obsolescenza videoludica Nell’anno di passaggio dalla vecchia alla nuova generazione di piattaforme,

le aziende non si sono distinte per trasparenza, penalizzando i consumatori Filippo Zanoli Vi trovate bene con la vostra Xbox 360 e Playstation 3 e pensate di tenerle ancora a lungo in salotto là, sotto la tv? Brutte nuove per voi, purtroppo. A quanto pare sono obsolete e fra non molto sarete (più o meno) obbligati a fare il cambio con le nuove Xbox One e (rispettivamente) PS4.

Le versioni per vecchie console di nuovi giochi sono spesso scadenti, «suggerendo» in questo modo all’utente la necessità d’acquisto di un nuovo hardware A dirlo non sono io, ci mancherebbe, ma l’industria videoludica che negli ultimi mesi ha voluto ribadirlo non con le parole ma con i fatti. L’obsolescenza imposta è una pratica ormai nota soprattutto nell’ambito della telefonia e dell’informatica. Prodotti come iPhone e i computer portatili hanno un ciclo vitale già studiato a tavolino prima ancora del lancio. A questo tipo di pianificazione, fino ad oggi, le con-

sole erano state immuni. Basti vedere la lunghissima e felice vita di macchine come Playstation 2 e Nintendo Ds che hanno continuato a fare benissimo per diversi anni anche dopo l’uscita sul mercato dei loro successori. Un altro esempio sono le già sopracitate 360 e PS3 che hanno sforato di gran lunga il ciclo vitale di tutte le console che le hanno precedute finendo per sembrare quasi eterne. Un’aura di buona salute, dettata dalle vendite e dalla fedeltà dei consumatori, che non voleva proprio saperne di svanire anche quando, mesi fa, sul mercato sono apparse Playstation 4 e Xbox One: due console che al lancio hanno faticato le proverbiali sette camicie per imporsi. Dopo un 2014 di transizione, quindi, l’industry ha deciso che il 2015 sarà l’anno in cui le (ormai semi) nuove console diventeranno lo standard e le (diffusissime) precedenti finiranno nel limbo del modernariato. Un passaggio che, purtroppo, è stato portato avanti con alcune pratiche non particolarmente edificanti, imperniate sull’opacità, sulle parole non dette e le informazioni non fornite. Ma andiamo per ordine. Vero e proprio fulcro di ogni macchina da gioco, lo dice anche il nome, è il parco titoli disponibile. L’autunno 2014, come spesso capita prima di Natale, è stato

ricchissimo di nuovi titoli di spessore, assai attesi e di grande interesse. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di giochi che vengono rilasciati sia per console di nuova e «vecchia» generazione con differenze anche molto marcate a livello estetico e funzionale. Quale il motivo di cotanta diversità? È semplice, le nuove macchine hanno una potenza di calcolo decisamente superiore rispetto a quelle vecchie e questo si traduce in una migliore resa su schermo. Giochi complessi (per estetica e struttura) come i bellissimi Far Cry 4 e Dragon Age: Inquisition, difficilmente gireranno alla stessa maniera su una Playstation 3 e una Playstation 4. E, fino a qui, nulla di male. Spesso e volentieri, però, le aziende hanno diffuso materiale promozionale (foto e video) e hanno fornito alla stampa copie per le recensioni esclusivamente delle versioni per le nuove console. Il risultato? Per chi possiede una di quelle di (ormai) vecchia generazione diventa praticamente impossibile sapere prima dell’acquisto come è/sarà il titolo che andrà ad acquistare in negozio. La delusione, quindi è dietro l’angolo, anche perché spesso e volentieri si tratta di prodotti al limite dello scadente che scimmiottano quelli per le macchine più nuove e che, con la loro cattiva qualità, sembrano quasi suggerire all’utente il cambiamento

Generazioni a confronto.

verso il nuovo hardware. Non si tratta di una vera e propria regola, questo è vero: giochi come Titanfall (Ea) e Alien Isolation (Sega) sono godibilissimi e quasi identici alle loro controparti «maggiori». Non si può dire lo stesso di titoli come Shadow of Mordor (Warner Bros.), Dragon Age: Inquisition (Ea) e Watch Dogs (Ubisoft). Un altro elemento che stupisce, soprattutto in un’era come questa, è il fatto che anche la stampa specialistica, influenza importantissima per gli acquisti di molti videogiocatori, abbia perlopiù apertamente ignorato questo aspetto accontentandosi di trattare i titoli inviati loro dalle aziende. Si conta-

no sulle dita di una mano i siti e i blogger che hanno «sgarrato» recensendo le versioni per le console più vecchiotte, evidenziandone i difetti evidenti. E questo vale anche (e soprattutto) per i titoli più blasonati: basti prendere l’esempio di Destiny, gioco da Guinness (ed evento videoludico dell’anno) costato mezzo miliardo di dollari e lanciato da una campagna che non ha precedenti. Eppure, per quanto riguarda le sue versioni per Playstation 3 e Xbox 360, è impossibile trovare opinioni e/o informazioni senza ricorrere (dopo un bel cercare) al «lavoro» di youtuber o blogger semisconosciuti. Da una parte non ci sono dubbi che un’azienda non abbia nessun vantaggio a promuovere la versione meno bella del proprio gioco, anzi, sarebbe del tutto controproducente. Dall’altra preoccupa un po’ questa aura di cose non dette e di non-trasparenza imposta (ma accettata da chi dovrebbe informare) che accompagna prodotti che l’acquirente paga comunque sugli 80 franchi a copia. Il suggerimento per evitare brutte sorprese è d’obbligo: prima di acquistare un qualsiasi titolo per Xbox 360 e Playstation 3 che è disponibile anche per le console di nuova generazione, provatelo (anche in demo). Se non è possibile, setacciate il web in cerca di indizi. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Il caso Calas e la tolleranza religiosa Prediligendo la sua disciplina temi laterali, tangenti ed obliqui alla corrente dominante, l’Altropologo si era promesso di non parlarne. Poi, la coincidenza della discussione con un amico/critico e la coincidenza di un anniversario lo hanno persuaso che parlarne bisogna. Prima coincidenza: l’amico/critico esigeva che gli venisse spiegato il fatto che, pur lavorando da più di vent’anni sulla società segreta delle maschere Sigma nel Nordovest del Ghana, e pur occupando in quella una posizione di responsabilità come iniziato anziano, l’Altropologo – interpellato – mantenesse di «non credere alla religione delle maschere». Inutile argomentare che nei contesti delle «religioni tradizionali» l’aspetto pratico/pragmatico prevale su quello dogmatico/teologico. Senza esito argomentare che in simili situazioni l’ortoprassi («fare le cose come vuole la tradizione») prevale nettamente sull’ortodossia («credere

la vera dottrina») così – peraltro – come succede ampiamente in tutte le religioni. Insomma: all’amico critico non andava giù. Coerenza, decenza – e pure rispetto per l’Altro avrebbe dettato l’aut-aut: o ci credi o sei fuori. Seconda coincidenza: cade oggi il 250. esimo anniversario della revisione del processo a Jean Calas, un mercante di Tolosa, assolto dall’accusa di aver ucciso suo figlio e messo a morte tre anni meno un giorno prima della sua riabilitazione. Jean Calas era un protestante ugonotto, e come tale a malapena tollerato in una Francia cattolica appena in grado di far convivere in tregua armati cristiani delle opposte fazioni dopo l’allentarsi delle politiche intolleranti di Luigi XIV. Nel 1756 Louis, uno dei figli di Jean, si era convertito al cattolicesimo. Fra il 13 ed il 14 ottobre 1761, poi, Marc-Antoine, l’altro figlio di Jean, fu trovato morto in circostanze sospette. I magistrati di Tolone, sentita la famiglia che peraltro

Voltaire. Va a tutto merito del grande François-Marie Arouet – al secolo Voltaire – che, occupatosi di un evento che rischiava di trascinare la Francia in un’altra ondata di violenza settaria, ebbe il coraggio di andare fino in fondo e scoprire che – come sempre – le cose (lasciamo la Verità in pace) sono spesso molto più complesse di quanto ci piacerebbe pensare. Lasciato passare quanto tempo bastasse perché gli animi della folla si raffreddassero, iniziò una serie di indagini che lo portarono ad accertare che Marc-Antoine Calas si fosse effettivamente suicidato: i debiti di gioco e la vergogna di non poter completare gli studi universitari, impedito come era dalla sua confessione protestante, erano alla radice di un gesto che la famiglia aveva sempre saputo essere proprio quello ma aveva sempre protetto come segreto a causa dello stigma sociale che tutti – protestanti e cattolici – imputavano ai suicidi. Il volume che seguì le indagini di

Voltaire – il Trattato sulla Tolleranza in Occasione della Morte di Jean Calas del 1763 – fu la causa prima affinché il Re Luigi XV, ordinasse una revisione del processo: ricevette in persona la famiglia Calas e fece a questa corrispondere un indennizzo. Il resto è la storia del diritto alla tolleranza religiosa (e non) negli ordinamenti degli Stati contemporanei. Morale: perché sia il caso che, fra tutte le Confessioni, siano proprio quelle del Libro – apparentate peraltro da una riconosciuta discendenza dal Patriarca Abramo – ad essere (ora come allora) alle prese con il problema della reciproca tolleranza, laddove invece le religioni cosiddette «pagane» sembrano essere piuttosto rilassate sull’argomento rimane un problema interessante. Azzardava un anziano della società segreta delle maschere Sigma al quale avevo sottoposto la questione: «Mah, chissà: è come in una famiglia. Più stretta la parentela, più problemi ci sono… – sempre».

considerato a sé ma alcune osservazioni possono riguardare tutti. Di solito il figlio maltrattante è stato un bambino adorato, vezzeggiato, accontentato in tutto per tutto e queste pretese intende farle valere anche quando si è fatto grande, grosso, forte e molto dotato intellettualmente. Ma non sempre la maturità cognitiva corrisponde a quella affettiva. Sappiamo che vi sono aree cerebrali che maturano tardi sì che le emozioni possono trovare, durante l’adolescenza, difficoltà di elaborazione. Il bambino troppo amato si trasforma in un pulcino feroce quando non accetta regole e limiti, quando ritiene che la sua felicità sia un diritto e che il suo desiderio debba essere gratificato tutto e subito ad opera di un altro, per lo più il genitore. Per questi figli, padre e madre devono essere sempre disponibili, scontati, incondizionati, non soggetti a usura, eterni. Inutile, in questi casi, mostrarsi arrendevoli e accondiscendenti, non fareste che confermare la loro spietata volontà. «La buona disposizione affettiva – dice lo psicologo Osvaldo Poli, che sta studiando

questo grave problema – da sola non basta. Ancora più controproducente risulta affrontare il giovane arrogante sul suo terreno, con sgridate, accuse e minacce». Occorre rispettare la legge universale della reciprocità e della giustizia. Ognuno ha diritti ed esigenze di cui tener conto, innanzitutto il diritto di essere rispettato e, se possibile, amato. Se le regole di equità e di reciprocità, che valgono per tutti, vengono trasgredite, il genitore si comporterà di conseguenza sospendendo la disponibilità ad accontentare le richieste del figlio. Garantita la soddisfazione dei bisogni primari, il resto dovrà essere meritato. Non è una presa di posizione facile dopo che per anni il bambino si è sentito autorizzato a comportarsi da tiranno. Ma l’emergenza è tale da richiedere un ripensamento dell’amore parentale che, per generazioni, è stato considerato assoluto e incondizionato. Quello che tutti i genitori possono e devono fare, è prevenire un esito così negativo agendo per tempo sul clima e sui rapporti familiari nel loro complesso. Il figlio diventa «il

problema» quando i legami affettivi si strutturano senza reciprocità. Se il neonato è autorizzato dalla sua immaturità a chiedere senza dare, lo stesso non vale per il bambino e, tanto meno per l’adolescente e il giovane adulto. Progressivamente le relazioni devono diventare giuste, vere e reciproche in modo che il figlio si trovi ad affrontare impegni proporzionati alla sua età e finalizzati alla realizzazione di sé e del suo futuro. Il germe dell’onnipotenza, che spesso ostacola l’evoluzione dei più giovani, colpisce a ben guardare, anche gli adulti. Lo ritroviamo in tante espressioni, comprese quelle più sublimi come l’amore parentale quando diventa un ideale assoluto e incondizionato, incapace di mettersi in crisi accettando il limite e la misura.

cento confessa di «annoiarsi abbastanza spesso». E, se al liceo il tedio cala, subentra però lo stress. Ora, che peso dare a questa constatazione: è tale da compromettere l’immagine di un sistema d’insegnamento che si credeva efficiente? In che misura questo senso di noia, di disinteresse, per altro vago, va preso sul serio e chiede dei rimedi? Ma, soprattutto, se i ragazzi dormicchiano sui banchi, guardano dalla finestra, se qualcuno alza la mano per chiedere «Quanto manca?», alludendo alla fine della lezione, a chi attribuire la colpa? Sul banco degli imputati, i primi a comparire sono i docenti, diretti responsabili di una situazione dove, ogni volta, si deve ricreare la scena di uno spettacolo e, quindi, un rapporto fra l’attore che propone un soggetto e un pubblico che l’ascolta. Ciò che non sempre avviene. Abbiamo tutti il

ricordo di lezioni, rese interminabili, da professori, magari pozzi di scienza, ma incapaci di trasmettere una conoscenza a chi, invece, non la possiede. Entrano in gioco capacità non di certo garantite dalla laurea e dall’autorevolezza, che appartengono, invece, alla sfera indecifrabile della sensibilità, dell’empatia, della fantasia. D’altra parte, a scuola come a teatro, il pubblico è a sua volta responsabile delle proprie reazioni: di noia o di divertimento. E, parlando di noia, si apre un capitolo sterminato. Paradossalmente, la noia ha sollecitato la creatività di scrittori, commediografi, filosofi. In proposito, si sprecano gli aforismi di segno opposto. Si va dalle gravi affermazioni dei pessimisti: per Schopenhauer «è la più angosciosa delle sofferenze», per Voltaire «con vizio, e bisogno, la noia è uno dei tre grandi mali». E si arriva a definizioni

più «soft» come l’azzeccatissima «solo le persone noiose si annoiano» di Charles Bukowski e «lavorare è meno noioso che divertirsi» di Baudelaire. Una massima, quest’ultima, che trova riscontri quanto mai attuali, e persino nell’ambito della scuola. Dove c’è chi coltiva l’illusione che, per contrastare la noia, si debba ricorrere al divertimento: quindi abolire le difficoltà, rendere gradevole ogni sforzo, trasformare l’apprendimento in un gioco. Si tratta di una sorta di filosofia in auge. Basta ascoltare le dichiarazioni di tanti cantanti, cantautori, attori, presentatori, artisti vari per rendersi conto come, beati loro, sia possibile lavorare, avere successo e credito, senza sudare, con il sorriso sulle labbra. Modelli di vita rari e ingannevoli, lontani da una scuola che non può mettere al bando la fatica. Che non è necessariamente noiosa.

sosteneva che questi fosse stato ucciso, accusarono Calas di aver ucciso il figlio perché, sulle orme del fratello, anche lui intendeva convertirsi al cattolicesimo romano. Jean Calas fu incarcerato e sottoposto alle torture più atroci: portato sulla pubblica piazza ebbe tutti gli arti spezzati a sprangate coram populo – e ancora si proclamò innocente. La stessa governante di casa Calas, cattolica, testimoniò che si era trattato di suicidio. Niente da fare: il Parlamento Regionale – si badi: un’istituzione laica – dichiarò Calas colpevole: il 10 marzo 1762, a 62 anni, il Mercante di Tolone fu giustiziato al patibolo della ruota, i dettagli del quale si possono risparmiare: fino all’ultimo, si protestò innocente della morte del figlio. La cosa sarebbe finita lì: una delle tante vittime dell’intolleranza religiosa che – per secoli – scosse le profondità del cosiddetto Occidente, se non fosse che del caso venne interessato

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Il pulcino feroce Cara Silvia, eravamo convinti, come genitori, di aver fatto il nostro dovere e di aver cresciuto un bravo ragazzo. Ma nostro figlio, intorno ai sedici anni, è completamente cambiato. Si è fatto bocciare da una scuola privata molto costosa e, di solito, piuttosto indulgente e da allora non vuole più far niente, se non andare in piscina, giocare a tennis e vivere nel suo mondo fatto di televisione, videogiochi e computer. So che ci sono molti ragazzi così, che non studiano e non lavorano. Ma la cosa peggiore è la violenza che manifesta nei nostri confronti. Se gli facciamo qualche critica ci manda al diavolo e, quando mi sono messa davanti alla porta per impedirgli di uscire, mi ha spinto da parte sino a farmi cadere. Suo padre cerca di parlargli ma lui si chiude in camera e non lo ascolta. Se non lo accontentiamo in tutto quello che vuole, ci tratta male e, stento a confessarlo, abbiamo paura. Ci aiuti la prego. / Genitori maltrattati La vostra lettera, cari genitori, apre una finestra su una realtà diffusa ma sconosciuta perché coperta da un fitto

velo di segretezza e di riserbo. Tuttavia la vostra situazione, benché impensabile sino a qualche anno fa, non può essere considerata un episodio marginale e irrilevante, tanto che gli psicoterapeuti più attenti la stanno monitorando da tempo. Per anni la nostra attenzione si è concentrata sul maltrattamento dei figli e non avremmo mai immaginato di doverci occupare del maltrattamento dei genitori. Di solito padre e madre, sistematicamente aggrediti dai figli, sono piuttosto cauti nell’affrontare l’argomento: dapprima lamentano generiche difficoltà, poi accennano a piccoli episodi di ribellione e solo quando si sentono capiti raccontano senza reticenze le violenze fisiche e verbali subite. Ma sono molti i genitori che, anche se non sono sottoposti a minacce e violenze, raccontano la loro relazione con i figli come un compito impossibile, una fatica disumana: «Sono un genitore scoppiato, dice un padre chiedendo l’intervento di uno psicoterapeuta, mio figlio mi fa impazzire, non ce la faccio più». Che cosa sta succedendo? Ogni caso va

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Allievi annoiati: di chi la colpa? Sono, a quanto pare, in buone mani i nostri ragazzi, affidati a istituti scolastici in grado di accompagnarli, adeguatamente, lungo il delicato percorso che dall’infanzia porta alla prima giovinezza. Infatti, proprio questo luogo, passaggio obbligato per tutti, sempre esposto a critiche, contestazioni, pregiudizi, ha dimostrato, in Ticino, di far capo a un sistema ben funzionante: «molto dinamico e in buona salute», tanto da meritare la fiducia popolare. A questa rassicurante conclusione è giunto il gruppo di ricerca che, per incarico del Decs, ha raccolto i dati destinati al documento «Scuola a tutto campo», considerata da Manuele Bertoli «la Bibbia di riferimento», cioè pagine attendibili, basate sulla realtà vissuta. E, qui, del resto, si tocca una specificità ticinese, addirittura un primato: forse in nessun altro Paese, un territorio viene scrutato, analizzato,

vivisezionato con altrettanta assiduità e precisione dalle statistiche ufficiali. Quindi, anche della scuola ticinese di oggi, tradotta in dati e cifre, si viene a sapere tutto: l’incessante aumento degli alunni, dovuto in gran parte all’immigrazione, la propensione per il liceo e poi l’università, come dire il persistente prestigio della laurea (forse un contagio della vicina Italia), poi le difficoltà di reclutamento dei docenti nei prossimi decenni, e come sempre, le donne maggioranza del corpo insegnante ma minoranza dei posti direttivi. Insomma, aspetti vecchi e nuovi della convivenza scolastica dove, non da ultimo, compare una costante curiosa e che fa sempre notizia: a scuola, come si è letto, molti allievi si annoiano. La proporzione è alta: la metà, alle medie, il 44 per cento, nei corsi d’apprendisti, mentre, complessivamente, l’80 per


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Ambiente e Benessere Il monte degli spiriti Reportage dal Malawi lungo le pendici di una riserva della biosfera

Ma quanto costa mangiare bene? Molto se si considera che per la preparazione è richiesta sapienza e inventiva, creatività e studi, tecnologia ed eccellenti materie prime

Mantenere la memoria Per rallentarne il decadimento possono giovare i principi naturali presenti nelle piante

Cani medical detector Le loro capacità olfattive sono sempre più studiate per essere messe al servizio dell’uomo pagina 19

pagina 16

pagina 17 pagina 14

Il Lago Maggiore cerca sostenibilità Turismo Mobilità lenta, battelli solari e sinergie per valorizzare il territorio e il Verbano, sfruttandone le potenzialità Elia Stampanoni, testo e foto Il Lago Maggiore è un vero gioiello del Locarnese e l’Ente regionale per lo sviluppo del Locarnese e della Vallemaggia (ERS-LVM) non vuole scordarlo. Per questo intende proporre e attuare diversi progetti che permettano in futuro al turista, ma pure alla popolazione, di poter usufruirne raggiungendo via acqua tutte le bellezze territoriali che la circondano. Non solo le isole di Brissago dunque, ma anche montagne, colline, boschi, monumenti, parchi, chiese, paesi e altre mete che si affacciano sul Lago Maggiore e che oggi possono essere avvicinate solamente via terra, contribuendo ai problemi di traffico già tristemente noti. Per attuare tali propositi, l’Ente si affida alle conoscenze del Centro di competenza creato dagli Amici del Lago nel 2011 per tutelare, ma anche e soprattutto per valorizzare il Verbano, attirando l’attenzione pubblica, organizzando incontri e promuovendo progetti. Il Centro di competenza Lago Maggiore è oggi una vera e propria antenna dell’Ente regionale per lo sviluppo del Locarnese e Vallemaggia, che considera il lago come una vera e propria sub-regione. Alla guida del centro è Renzo Botta,

da cinquant’anni impegnato nella difesa del Verbano e in particolare nella risoluzione di alcuni problemi preesistenti: «Il lago è stato ingessato nel 1956 con la firma della concessione tra Italia e Svizzera che regola la navigazione sul Verbano; oggi è tempo di togliere questo gesso», racconta deciso il dinamico settantenne. Il riferimento va agli accordi stipulati nel dopoguerra e che garantiscono alle autorità italiane il monopolio per quanto riguarda la navigazione di linea sul Lago Maggiore, sia in acque italiane sia in acque elvetiche (vedi sotto). La stessa concessione contempla il rilascio di permessi anche per altri tipi di navigazione (compresi i servizi taxi). Di fatto, oggi sono circa 60 i privati che hanno ottenuto una di queste autorizzazioni per effettuare dei trasporti (non di linea) sul Lago Maggiore, di cui solo due (recenti) nel bacino svizzero del Lago Maggiore. Le concessioni, che scadranno alla fine del 2016, verrebbero rinnovate tacitamente se non dovessero emergere contestazioni da una delle parti coinvolte (l’Ufficio federale dei trasporti per la Svizzera). Locarno e il suo lago sono dunque in un momento ottimale per apportare i necessari mutamenti alla situazione vigente, che di certo non giova al territorio, al lago Maggiore e a i suoi

utenti, siano essi turisti, operatori o popolazione locale. Questa condizione di stallo si rispecchia, tra l’altro, anche nei battelli vetusti (il «Piemonte» è stato varato nel 1903, il «Milano» nel 1913) che navigano tuttora sul Verbano. Le conseguenze sono note: inquinamento dovuto a perdite d’olio o carburante, fumi, rumore e nessuna possibilità di accesso per disabili o carrozzine. Queste barche, utilizzate al 95% da turisti, oggi riescono comunque a garantire l’unico collegamento tra le varie località situate sul Lago Maggiore, con l’offerta di un servizio che cerca di soddisfare le esigenze minime degli utenti. Ai disagi citati si aggiungono tuttavia i prezzi che, per garantire la sopravvivenza dell’attività, devono essere giocoforza elevati. Ricordiamo inoltre che sul Verbano (al contrario del Ceresio o di altri laghi svizzeri) non è valido l’abbonamento metà prezzo delle Ferrovie federali (caso unico in Svizzera) e che per raggiungere le Isole di Brissago (6070mila visitatori annui) da Locarno un adulto paga circa 30 franchi con la linea garantita dalla società italiana Navigazione Lago Maggiore. Il Centro di competenza sta quindi lavorando intensamente per ottimizzare la situazione e per offrire un servizio

migliore agli oltre 600mila turisti che ogni anno visitano il Locarnese e il suo lago. «La scadenza del 2016 sarà il momento ideale per modificare gli accordi tra Italia e Svizzera e permetterci di gestire noi stessi il nostro lago, offrendo un servizio di qualità che possa portare in tutta la regione una mobilità differente, facente capo anche alle risorse del Lago Maggiore e interagendo con il territorio» ribadisce Renzo Botta. È stato pure commissionato uno studio all’Università di San Gallo, che entro quest’estate presenterà alcuni scenari, compresa la possibilità di creare una flotta tutta elvetica. Alcune idee sono già in fase di progettazione, come l’acquisto di un nuovo battello-taxi ecosostenibile e attrezzato per dare ulteriori e rinnovati servizi ai viaggiatori, compresi l’accesso per carrozzine e carrozzelle, la possibilità di trasportare biciclette, un servizio di ristoro e una confortevole vista panoramica. «Il nuovo battello sarebbe chiaramente alimentato con risorse rinnovabili, come l’energia solare, dato che per navigare sul Lago Maggiore oggi non sono necessari battelli veloci, ma confortevoli» aggiunge Renzo Botta. Oltre al nuovo battello ecologico, silenzioso, comodo e performante, altri punti del progetto di rilancio del Lago

Maggiore vertono sulla creazione di un sistema di navigazione e mobilità lenta, adatto alle necessità del lago e dei suoi utenti: «La nostra intenzione è di creare delle linee che tocchino i luoghi d’interesse collocati attorno al lago, allacciando sinergie con altre offerte della regione, come percorsi ciclabili, funivie, e via dicendo», conclude Renzo Botta. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi, la Regione, il Cantone e l’Ufficio federale dei trasporti stanno lavorando congiuntamente con lo scopo di individuare entro il 2016 le giuste strategie. Parallelamente gli Amici del lago sono presenti pure sul sito www.progettiamo.ch, con lo scopo di raccogliere fondi per l’organizzazione di tre Forum Lago Maggiore dove esponenti pubblici e privati, operatori di natura e cultura, amministratori, appassionati e tutti gli interessati possano interagire nei progetti e discutere sui temi d’interesse legati al lago. Occasioni che permetteranno al pubblico di avvicinarsi, comprendere e approfondire ulteriormente il Verbano. Indirizzi utili

Centro di competenza Lago Maggiore, CP 323, 6600 Locarno, Tel. 091 756 09 56, antenna.lago@ locarnese.ch, www.progettiamo.ch


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Ambiente e Benessere

La montagna solitaria Viaggiatori d’occidente L’ascensione al Monte Mulanje, in Malawi, tra molte suggestioni tolkeniane Stefano Pesarelli, testo e foto La notte si annunciava soffocante, come quella passata, quando l’umidità e la temperatura avevano sfiorato punte da record. L’elettricità era tornata da poco e dall’alto le rumorose pale del ventilatore mi restituivano l’aria solo apparentemente più fresca. La zanzariera era chiusa; potevo sperare di dormire, l’indomani avrei avuto un lungo cammino. Non furono incubi, almeno credo, e nemmeno sogni vividi, come era scritto sulle controindicazioni dell’antimalarico, direi piuttosto una mescolanza di fantasie di ere lontane e di leggende che si intrecciarono tutta la notte, scandite dai tamburi incessanti che annunciavano la Chinamwali, l’iniziazione delle ragazze Lomwe. L’incontro con la guida e i portatori era fissato per le cinque. La partenza prima dell’alba ci assicurava qualche ora di ombra. Ero pronto per vivere un’avventura. J.R.R. Tolkien, nato in Sudafrica, pubblicò Lo Hobbit nel 1937. Si racconta che avesse viaggiato nel Nyasaland, la «Terra del lago», allora protettorato inglese nell’Africa centrale. Mi piace pensare che sia giunto anche a Mulanje, nel sud del Paese, in mezzo alle prime piantagioni di tè e soprattutto ai piedi della montagna degli spiriti. Forse anche lui sentiva i tamburi dei Lomwe, era fradicio di sudore e non riusciva a prendere sonno. Me lo immagino quaggiù, accompagnato dalla luce fioca di una candela, a scrivere di elfi, nani, orchi e soprattutto di una montagna solitaria, dove il drago Smaug protegge un enorme tesoro. Oggi quel Paese è conosciuto come Malawi e dal 1964 è indipendente. C’è la corrente elettrica, anche se non sempre; ci si può spostare in auto su lunghe strade asfaltate e le capanne non sono più di fango. Ma la montagna e la sua vetta, Sapitwa, rimangono sempre là, sullo sfondo, sopra le nuvole. Il massiccio è quello del Monte Mulanje, la sua cima è la più alta di tutta l’Africa centrale e meridionale, raggiunge i 3002 metri. La riserva forestale, fondata nel 1927, ospita il prezioso e rarissimo cedro di Mulanje, uno degli alberi endemici che, insieme a numerose specie di mammiferi, a centinaia di varietà di felci, di farfalle, di uccelli e di rettili, ne fanno una Riserva della biosfera, in lista

d’attesa per il Patrimonio dell’Umanità UNESCO. La guida Comestar ricapitola il percorso e mette in guardia dai pericoli, mentre dividiamo provviste e zaini tra i portatori. Si parte. La salita è subito impegnativa. Si attraversano le verdi colline di tè fino a entrare in una fitta foresta tropicale, umida e piovigginosa. Sembra di camminare sull’inchiostro di Tolkien: «C’erano molti sentieri che portavano su per quelle montagne e molti passi sopra di esse. Ma la maggior parte dei sentieri si rivelavano inganni e illusioni che non portavano in nessun posto». La guida cammina rapida: fatico a seguirla e così, per rallentarla, gli chiedo di questi luoghi che stiamo attraversando. «Tanto tempo fa» mi racconta, «i Batwa abitavano la montagna. Erano esseri minuti che vivevano di caccia e si riparavano in caverne. Ora non ci sono più. Sono stati spazzati via dalla migrazione delle popolazioni Bantu. La montagna ora è degli dei». Mentre mi chiedo se i pigmei Batwa e le loro caverne possano aver mai ispirato gli Hobbit («In una caverna sotto terra viveva uno hobbit…» è l’inizio del famoso romanzo) si prosegue il cammino. Sul sentiero affiorano cocci di centinaia di anni fa. «Vedi» mi dice Comestar, «già allora i Lomwe venivano qui a rendere omaggio agli spiriti e lasciavano vasi di argilla pieni di birra e polenta». E i tamburi di stanotte? «Le ragazze Lomwe» mi risponde, «stamattina si sono allontanate dal villaggio, entreranno nella foresta dove gli spiriti

Nankungwi spiegheranno loro che l’adolescenza è terminata, e torneranno al villaggio da adulte». La notte ha portato le nuvole e mvula, la pioggia. All’interno del rifugio mi chiudo nel caldo del sacco a pelo. Seguito a leggere di orchi e di strani incantesimi. Volo sul dorso di un’aquila, incontro Gandalf e attraverso Pontelagolungo. Sulla montagna si racconta che «molto tempo fa un anziano del villaggio, mentre raccoglieva legna nella foresta, si accorse che su una roccia, vicino alle cascate, era seduta una vecchia. Quando si avvicinò per salutarla, la donna si tuffò in acqua e scomparve. Nessuno riuscì mai più a vederla. Emerse però sul pelo d’acqua un piatto d’oro (o forse era l’anello?). Qualcuno provò a prenderlo, ma venne risucchiato sott’acqua. Dopo alcune settimane riemerse e raccontò di aver vissuto dentro la cascata, in una grotta, danzando, divertendosi e mangiando in un piatto d’oro. Raccontò anche di aver incontrato un’anziana donna e da quel giorno la cascata per i Lomwe è Dziwe La Nkhalamba, la cascata degli anziani». Napolo, lo spirito che vive sulla montagna, il creatore del vento, mi sveglia di colpo. Tutte le nuvole sono state spazzate via. È arrivato il giorno della vetta, Sapitwa: ora è lì, davanti a noi, e malgrado il suo nome significhi letteralmente «non salire», questo è il momento giusto per conquistare la ripida e breve cresta di roccia, dopo aver offerto un piatto di polenta fumante per tacitare gli spiriti.


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Ambiente e Benessere

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Motori Decine le proposte ecologiche, ibride

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o elettriche, in mostra al Salone di Ginevra

Decine di migliaia di appassionati di auto, in questi giorni, si sono dati appuntamento a Ginevra per visitare l’ottantacinquesima edizione del salone dell’auto, che chiude i battenti il 15 marzo. Tra le auto più ammirate dell’esposizione, c’è la nuova DS 5, un’ammiraglia che inaugura l’identità del marchio DS ormai completamente indipendente da Citroën.

Volkmar Denner del Gruppo Bosch: «Entro il 2025 il 15 per cento di tutte le auto nuove prodotte a livello globale avrà in gamma un motore ibrido» Questa anteprima mondiale, tra le cinque motorizzazioni proposte al lancio, ne offre anche una ibrida. Si tratta del Diesel Hybrid da 200 cavalli. Il risultato è una vettura a trazione integrale (4wd) con consumi dichiarati di soli 3,5 litri per 100 chilometri ed emissioni di CO2 di 90 g/km. «La nuova DS 5 – ha spiegato il direttore generale del brand, Yves Bonnefont – è più che una nuova vettura, è la DS che lancia la nostra identità di marchio. Sessant’anni dopo la DS originale, la nuova DS 5 eredita il Dna di DS e riafferma il nostro obiettivo: rinnovare il premium francese». Le vetture ecologiche, ibride o elettriche, in mostra sul lago Lemano sono decine. «Entro il 2025 il 15 per cento di tutte le auto nuove prodotte a livello globale avrà in gamma un motore ibrido». La previsione è stata avanzata dal Presidente del Gruppo Bosch, Volkmar Denner, che guida anche il settore ricerca e sviluppo. La crescita delle motorizzazioni ibride sul totale passerà soprattutto attraverso un auspicato miglioramento delle batterie. Secondo uno studio condotto da Frost & Sulli-

van, quest’anno dovrebbero essere immatricolate globalmente oltre 480mila auto elettriche. Saranno soprattutto Europa e Cina a sostenere questo tipo di alimentazione. Siamo ancora su livelli marginali rispetto al totale del mercato mondiale, ma si tratta in ogni caso di numeri in ascesa. Sempre secondo l’indagine di Frost & Sullivan, entro il 2020 saranno circa 10 milioni le vetture a zero emissioni a circolare per le strade di tutto il mondo. Dall’altra parte dell’Atlantico, negli Stati Uniti, Volkswagen sta invece esercitando pressioni sull’amministrazione Obama e sulle autorità dei singoli Stati USA affinché si acceleri nella diffusione delle alimentazioni alternative, in particolare auto ibride plug-in ed elettriche. Il vice responsabile di marketing e strategie del gruppo tedesco, Jörg Sommer, ha annunciato che Volkswagen investirà negli States 10 milioni di dollari proprio nelle infrastrutture di ricarica delle batterie entro il 2016. Nel programma rientra anche la collaborazione con BMW e ChargePoint per la costruzione di 100 nuove stazioni di ricarica rapida sul suolo americano. Intanto l’automobile elettrica Nissan Leaf si fregia di un altro primato. Il costruttore giapponese è infatti il primo ad applicare alla carrozzeria di una vettura una vernice fluorescente. Nissan ha creato una vernice spray in grado di assorbire le radiazioni UV solari e riemmetterle per 8-10 ore al buio. Una formula a ultravioletti basata interamente su materiali organici e contenente un rarissimo elemento chiamato alluminato di stronzio, solido, inodore e biologicamente inerte.

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Ambiente e Benessere

Mangiare bene o nutrirsi? Si può mangiare bene spendendo poco? È un argomento che riguarda da vicino tutti noi. Prima o poi viene sempre fuori quando si parla di ristoranti e cibo in genere. È un argomento minato dove i malintesi possono sorgere con gran facilità. Per cercare una risposta, incominciamo ad avere ben netta la separazione di due concetti che invece spesso si confondono. Il primo concetto è quello del mangiare nel senso di nutrirsi, cioè della necessità che abbiamo tutti, ogni giorno, di alimentarci con appagamento e rispettando i dettami nutrizionali.

Il mangiare bene è un fenomeno recente, legato allo sviluppo della civiltà e al sistema di valori che ci portiamo dietro Il secondo è quello del mangiare «bene» nel senso del piacere intellettuale che troviamo in un piatto, della capacità e della voglia che abbiamo di gustare, apprezzare ciò che abbiamo davanti. La separazione può essere sottile, molto sottile – ma c’è ed è importante che resti chiara. L’uomo si nutre più o meno bene da quando esiste – anche se per secoli rispettare i dettami nutrizionali è stato una chimera. Di contro il mangiare bene è un fenomeno molto più recente, legato allo sviluppo della civiltà e al sistema di valori che ci portiamo dietro. Per quanto riguarda il nutrirsi, bene o male che sia, l’aspetto economico è fondamentale. È giusto cercare e chiedere dei prodotti di buon livello ma comunque l’aspetto dominante è il costo. In casa ma anche al ristorante in primo luogo si deve badare al conto. Il mangiare bene è un’altra cosa. Fa parte dei piaceri della vita. Tutti ne sappiamo un po’, per riuscire ad ap-

prezzarlo, però, va coltivato con impegno, cosa tutt’altro che facile. È come la grande musica di Bach & co, che è grande indipendentemente dal fatto che sia difficile – e che in pochi si industriano per apprezzarla. Separiamo quindi i due momenti. Dovunque esistono trattorie e ristoranti, semplici, spartani, simpatici, con un servizio alla mano ma va bene così, dove ci si nutre bene e si spende poco. Ma il mangiare bene è un’altra cosa. Richiede sapienza e inventiva, creatività e studi, tecnologia e grandi materie prime. Richiede tante cose che hanno una caratteristica in comune: costano. Per cui alla domanda se si può mangiare bene spendendo poco, la risposta è: no. Perché no? Perché i bravi cuochi costano, appunto in quanto bravi. Perché per fare buoni piatti si devono usare buone materie prime, che costano. Perché non c’è nessun motivo al mondo per preparare buoni piatti e poi offrire un servizio scadente, e il buon servizio costa. Perché non c’è nessun motivo al mondo per preparare buoni piatti e poi offrirli in un ambiente poco più che normale, e il bell’ambiente costa. Se qualcuno (capita, è capitato, capiterà) lo fa, prima poi o abbassa la qualità o alza i prezzi o chiude. A questo punto il dubbio iniziale non esiste più. Vogliamo nutrirci? Allora badiamo al prezzo – e alle calorie. Vogliamo mangiare bene? Allora guardiamo la qualità e accettiamo un prezzo alto. Nota bene conclusiva. Purtroppo è facile, nel senso che succede più spesso di quanto vorremmo, mangiare male in un locale che crede di offrire il mangiare bene; ma attenzione perché non è detto che chi dice di aver mangiato male abbia ragione, ma questo è un altro discorso. E quindi? Ci si arrabbia, si cancella il telefono di quel locale, ce la si prende con i giornalisti che l’hanno incensato, ci si scatena sui social e compagnia bella. Ma fare di più purtroppo non è possibile.

CSF (come si fa)

Terence Ong

Allan Bay

John

Gastronomia La differenza tra i due modi di alimentarsi è tutta una questione di costi

Oggi vediamo come si fanno tre celebri piatti cinesi. Uova di anatra dei 100 anni – che in realtà sono 100 giorni. Fate un tè molto concentrato. Fate un impasto di 6 parti di ceneri di legno e di carbone vegetale e 1 di calce. Aggiungete il tè e abbondante sale, quindi mescolate fino ad avere un impasto malleabile. Con questo impasto ricoprite uova di anatra. Seppellite le uova in un vaso

pieno di terra, tenendole distanziate e lasciate il vaso in luogo fresco e buio. Dopo 100 giorni saranno pronte. Togliete l’impasto, sgusciatele, tagliatele a fette e servitele con aceto di riso e fettine di zenzero dolce. Frittata di ostriche. Per 4 persone. Tritate finemente 2 cipollotti. In una ciotola sbattete 4 uova con 5 cucchiai di farina bianca, unite 3 cucchiai di fecola di patate diluita in poca acqua, i cipollotti e 200 g di ostriche sgusciate. Scaldate un filo di olio in una padella, versate le uova e cuocete la frittata a fuoco basso, rivoltatela quando il primo lato è cotto. Servitela cosparsa di coriandolo. Zuppa agropiccante. Per 4 persone. Fate la salsa mescolando in una grossa casseruola 2 cucchiai di olio, 4 cucchiai di aceto di mele, 2 cucchiai di

vino dolce, 2 cucchiai di salsa di soia, 2 cucchiai di zucchero, 2 cucchiai di fecola di patate stemperata in poca acqua e una robusta dose di peperoncino secco sbriciolato. Fate cuocere a fuoco dolce finché la salsa incomincia ad addensarsi, a questo punto scolatela. Ponete 4 funghi secchi in ammollo per 15’, scolateli, strizzateli e tagliateli a fettine. Mondate e tagliate a striscioline 200 g di polpa di maiale, 1 petto di pollo, 2 cipollotti e 1 porro. Sgusciate 8 gamberetti e privateli del budellino nero. Nella casseruola fate saltare in un filo di olio il maiale, il pollo, il porro e i funghi per 2’. Coprite con 1 litro di brodo vegetale bollente e unite i cipollotti. Cuocete per 10’, poi aggiungete la salsa e fate addensare. Unite i gamberetti, regolate di sale, cuocete per 1’ e servite.

Manuela Vanni

Oggi due ricette – una a base di seitan e l’altra di calamari – non certo difficili ma che richiedono un po’ di tempo e di perizia. Fatele in una giornata uggiosa.

Manuela Vanni

Ballando coi gusti

Seitan con porcini

Calamari con sedano e pomodori

Ingredienti per 4 persone: 250 g di seitan · 250 g di funghi porcini · 1 porro · 2 cipol-

Ingredienti per 4 persone: 400 g di calamari · 2 gambi di sedano · 500 g di pomo-

lotti · aglio · rosmarino · semi di sesamo · olio di oliva · sale e pepe.

dori datterini · aglio · 60 g di zucchero · Tabasco · basilico · olio di oliva · sale e pepe.

Preparazione: In un padellino tostate una manciatina di semi di sesamo, mescolando con un cucchiaio. Mondate e tagliate i funghi a fettone, cuocetele al vapore per 5’. Tagliate i cipollotti a metà, i porri a losanga, sbollentateli separatamente in abbondante acqua salata. Tagliate il seitan a triangoli e rosolatelo in padella antiaderente con poco olio. Arrostite le verdure e i funghi a fuoco vivace con poco olio, 1 spicchio di aglio mondato e poco rosmarino, alla fine regolate di sale, ma poco, che il sesamo è salato di suo, e pepe. Mettete le verdure sui piatti, adagiate sopra seitan e funghi, irrorate con un giro di olio, spolverizzate con il sesamo tostato e servite.

Preparazione: Mondate e lavate i pomodori, pelateli con un pelapatate, tagliateli

in quattro spicchi e privateli dei semi, conditeli con un pizzico di sale, pepe e lo zucchero, quindi fateli riposare in frigorifero per circa 30’. Una volta trascorso questo tempo, per estrazione, si otterrà uno sciroppo. Scolate i pomodori dallo sciroppo, portatelo al bollore addensandolo di 1 terzo, unite i pomodori e cuocete per circa 20’. Spegnete, fate raffreddare e condite con qualche goccia di Tabasco. Mondate i gambi di sedano, tagliateli a pezzi, sbollentateli per 2’. Pulite i calamari e incidete il corpo con piccoli tagli regolari. Grigliateli per pochi secondi sulla griglia ben calda insieme ai pezzi di sedano, condite con sale e pepe. Mettete i pomodori nei piatti, sopra il sedano, sopra i calamari, poi basilico e 1 giro di olio, quindi servite.


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Ambiente e Benessere

In aiuto alla memoria Fitoterapia Diverse le piante utili, dalla melissa alla curcuma

Eliana Bernasconi Oltrepassati i cosiddetti «anta» può succedere di incorrere in piccole défaillance della memoria a breve termine. Può capitare ad esempio di non ricordare più dove si è posteggiata l’auto, dove si sono messe le chiavi, o un’azione fatta il giorno prima, e in particolare si può notare un rallentamento nel ricordare numeri, nomi di luoghi o di persone. Anche se tutto è compensato dalla ricchezza di conoscenze che comunque la memoria a lungo termine ha immagazzinato negli anni, può succedere che alcune persone entrino in ansia temendo un rapido e progressivo deterioramento di questa facoltà. È noto che si può essere responsabili e lavorare in molti modi sulla propria memoria, divertendosi se lo si vuole, ma è comunque utile sapere che insieme a questi esercizi – e prima di ricorrere ai farmaci di sintesi – nella natura e nelle sue piante sono contenuti preziosi tesori. Li troviamo molto vicino a noi senza cercare lontano, proprio nel territorio insubrico che abitiamo. Questa regione alpina tra Svizzera e Italia, che si spinge fino a Lecco e Novara, pur essendo uno spazio relativamente poco esteso, include e concentra aspetti geografici diversissimi: grandi cime alpine, fiumi e laghi, colline e pianure. Insomma, il nostro è un luogo eccezionale sotto il profilo geomorfologico, per questo motivo fra i più interessanti in Europa

per la straordinaria ricchezza in piante selvatiche, medicinali e alimentari. Appassionato studioso e autore di libri di etnofarmacologia insubrica, Gabriele Peroni spiega che «i nostri avi avevano ben altri problemi che quello della memoria, ma certo ci sono piante che crescono nel nostro territorio, convalidate da studi scientifici, che si possono assumere a scopo preventivo contro le malattie da senescenza». In tale contesto, una delle erbe più interessanti è la Melissa. Questa modesta pianticella perenne che si coltiva negli orti, amatissima dalle api, dagli effetti rilassanti calmanti e digestivi, è stata sottoposto ha uno studio inglese in «Doppio cieco». Si indica in questo modo uno studio tipico della ricerca farmacologica, nel quale si suddividono in due gruppi i pazienti cui viene somministrato il prodotto da studiare e un placebo; i ricercatori non sanno quali pazienti sono trattati con il principio attivo e il risultato si avrà solo alla fine analizzando i dati e studiandoli statisticamente. Lo studio citato ha evidenziato che la Melissa è portatrice di una interessante particolarità. Sebbene non si comprenda fino in fondo a cosa sia dovuta, ha sorprendentemente dimostrato di possedere, oltre alla capacità di migliorare la memoria, quella di riuscire a migliorare il ragionamento di tipo matematico. Anche la Quercia (albero sacro nella Grecia antica, simbolo di immortalità per i druidi) oltre ad avere molte

altre proprietà terapeutiche rinforza la memoria e quindi indirettamente migliora l’apprendimento, ma la sua preparazione in forma di macerato glicerico va lasciata ai laboratori specializzati, come per la Betulla dalla luminosa e argentea corteccia, sacra alle popolazioni siberiane, che oltre ad agire sulla memoria possiede proprietà diuretiche, antinfiammatorie e stimolanti. Restando nel territorio dell’Insubria troviamo un’altra erba estremamente potente, ma da avvicinare con cautela e facendosi consigliare: la Pervinca, si racconta fosse una pianta nota alle streghe e usata nel Medioevo per preparare filtri d’amore. La sua preparazione terapeutica, come detto, è da lasciare ai laboratori specializzati, ma senza pericolo si può invece preparare l’antica ricetta del Vino alla Pervinca: cogliere nel sottobosco le sue foglie, tritarle e metterle in un litro di marsala o vino rosso, aggiungere qualche foglia di melissa, far macerare al sole o in un luogo temperato per 5 o 6 giorni, filtrare e per 10 giorni bere un bicchierino prima dei pasti. Fuori dal nostro territorio, ci vengono incontro due antiche e illustri piante: la Curcuma e il Ginko Biloba: la Curcuma, (detta Zafferano delle Indie per la polvere di bellissimo colore giallo che si ricava dal suo tubero, usato anche come colorante) è una spezia e un ingrediente fondamentale dalle innumerevoli qualità usato nella medicina ayurvedica e nella medicina cinese. Si

Un fiore di curcuma. (Michael Wolf)

assume in gocce o capsule, come per le foglie del maestoso Ginko Biloba, in Giappone considerato sacro, albero che raggiunge dimensioni e altezza enorme e ha una storia di milioni di anni. Tutte le erbe e le piante che abbiamo citato, oltre a possedere le ormai

ben note proprietà antiossidanti, hanno in comune la capacità di produrre una benefica azione sulla microcircolazione periferica a livello cerebrale e possono per questo nutrire meglio il cervello, aiutarci a migliorare e stimolare l’attività del pensiero. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Un rifugio o una fuga miracolosa Nel regno di Bacco In breve compagnia di chi ha apprezzato il vino nel corso della storia Davide Comoli Per lungo tempo abbiamo scorazzato con la penna nei campi di Gasterea, musa dell’arte, ora è doveroso avvicinarci a Bacco, il quale essendo un bel giovane fu giustamente accoppiato alla diva. Ma non solo, anche le nove figlie (Le Muse) di Zeus e Minemosine hanno spesso, come vedremo, goduto della compagnia del Dio del vino. Scorrendo numerose definizioni, proverbi e aforismi sul vino, ci siamo convinti che sul suo conto si può dire tutto ciò che si vuole, si troverà sempre una ragione. Negli scritti di tutte le epoche infatti, si trova sia chi ne tesse l’elogio sia chi ne segnala i pericoli. Noi accettiamo e c’inchiniamo agli uni e gli altri, non senza far notare che tra i fautori e i contrari, il taglio talvolta non ci sembra netto. Per fare un esempio: Orazio (65-8 a.C.), che fu il poeta dell’Aurea mediocritas ideale di equilibrio etico tra capacità di rinuncia e piaceri immediati, considerava il vino causa «di abbassamento nella polvere dell’intelligenza di origine divina». Egli però pur cantando la morigeratezza del Bacco, alla sua mensa dedicava fanatiche cure ai vini e prediligeva il Cecubo. Saltellando in epoca meno remota, ricordiamo che Dante, si dice, fu moderato anche nel bere e che l’uricemia riscontrata nei suoi resti dagli antropologi non è perciò dovuta agli stravizi. Tale moderatezza ci sembra confermata, tra l’estremo freno e l’estremo abbandono all’inclinazione, nelle voci del Purgatorio che parlano di astinenza e intemperanza anche in materia di vino. Il primo biografo di Dante fu Giovanni Boccaccio

(1313-1375), il quale visse alle soglie del Rinascimento, quando l’uomo stava ritrovando sé stesso e rivalutando i più alti valori umani, che il Medioevo oscurantista e bigotto aveva sepolto sotto una coltre di cenere pestilenziale. La corpulenta figura, lo spirito d’avventura e il fatto che muore di mal di stomaco, potrebbero far credere che Boccaccio fosse un crapulone. Egli nella sua maggiore opera letteraria Decamerone, parla molto del vino. In quasi tutti i divertenti racconti che compongono il libro, ci sono ampi accenni sulle qualità preferite dai personaggi che con vivacità amano le varie novelle. Boccaccio differenzia il «vin di famiglia» cioè quello di tutti i giorni, dal vino distinto e soave che generalmente veniva servito nei banchetti dei grandi Signori. Da buon toscano il Boccaccio amava il vino e lo trattava con rispetto e, nonostante le apparenze, i biografi scrissero di lui: «Egli fu contenente nel gusto della gola, sobrio nella dolcezza del bere». Nella colta Toscana dei Medici i canti in onore di Bacco trovarono spazio durante il carnevale e glorificavano il vino, l’amore e la vita. Lorenzo il Magnifico esalta le nozze di Bacco e Arianna; il Poliziano, nella sua drammatica favola Orfeo fa recitare alle donne di Tracia un poetico inno a Bacco e Francesco Redi, celebre medico e naturalista del Seicento, disserta sul vino e compone addirittura un ditirambo Bacco in Toscana per dimostrare che il vino è salutare e tutte le altre bevande sono esiziali. Nella stessa epoca iniziò a diffondersi la moda del «bever freddo» e ciò non solamente a proposito dei vini Bianchi e Moscatelli. Proprio per far fronte a queste esigen-

done la pigiatura) non lo crediamo affatto anche perché sappiamo come il poeta affrontò il vino d’Oliena «non conoscete il nepente d’Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io sono certo che se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi,…» restando battuto dalla forte gradazione del vino sardo. Ed è stato scritto perfino che sul suo scrittoio, vicino alla pila di cartelle bianche, egli tenesse la bottiglia d’acquavite. Senza vino! Ma ci pensate? Scomparirebbero gli ubriachi e le loro verità («In vino veritas»). Crollerebbero, inoltre, le Confraternite bacchiche, sodalizi di bevitori un po’ goliardici e un po’ raffinati, dove la degustazione dei vini viene enfatizzata come un rito ed esaltata come un’arte. Ma soprattutto dove è possibile tornare alle usanze antiche, rievocando la storia di epoche passate. Ed è così che sull’onda allegra del vino, galleggia quindi il rimpianto dell’uomo moderno, schiacciato e livellato dal consumismo. Ecco perché nel vino, l’uomo moderno trova il grande prodigio: la facoltà di vivere, di sognare fuori dal proprio tempo e dal proprio spazio per un breve intervallo. È la fuga miracolosa cantata da un poeta del vino come Baudelaire (18211867), facciamoci quindi prendere per mano da Clio (Musa della storia) e: «Aujourd’hui l’éspace est splendide!» («Oggi lo spazio è splendido!») Partiamo in sella al vino e via, senza briglia né speroni, verso un fiabesco cielo divino, cullati dolcemente dalle ali... fuggire, senza fermarsi mai, verso il paradiso dolce dei sogni!

Bacco e Arianna. Scuola bolognese, XVII secolo, olio su tela.

ze, con la supervisione di Urania (Musa dell’astronomia), persino uno scienziato come Galileo Galilei non trascura di spendere un po’ del suo tempo e del suo ragguardevole ingegno per dedicarli alla messa a punto di un dispositivo a serpentina che ha proprio lo scopo di raffreddare il vino per poterlo servire a tavola. Perfino Giuseppe Parini (17291799) sacerdote, precettore in casa Serbelloni, insegnante, redattore della «Gazzetta di Milano», compositore di Odi con intenti di educazione civile e morale, eleva una lode al «grato licor» che aiuta gli umili e gli oppressi a sopportare la vita di dolore, riscaldandoli e fortificandoli. A chi beve (per il piacere) e a chi teme di bere (niente paura): in giusta misura il vino stimola, eccita,

rinforza, Esculapio, dio della medicina, non dissente. Ma alcuni amatori si abbandonano al vino prediletto che nel bicchiere scintilla «sì come l’anima nella pupilla». Il verso è di Giosuè Carducci attorno a cui troppo si è scritto in materia di vino. Ci sembra anzi poco riguardoso affermare che l’epistolario di lui non reca traccia di gastronomia ma di «richieste di buone bottiglie». Si racconta che in un pranzo in compagnia di Gabriele D’Annunzio, questi avrebbe detto: «Dicono che io sia un vizioso eppure voi vedete, Maestro, io pasteggio solo ad acqua» «ed io bevo soltanto vino» ribatté Enotrio (soprannome dato al Carducci). Che D’Annunzio bevesse solo acqua (lui che cantò la vendemmia, descriven-

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Ambiente e Benessere

Fiuto da dottore Mondoanimale L’ipotesi di utilizzare l’olfatto dei cani per diagnosticare precocemente alcune malattie

è oggetto di numerosi studi scientifici – Prima parte Maria Grazia Buletti Dieci anni fa il «British Medical Journal» riportò uno studio scientifico nel quale si dimostrò come fosse possibile addestrare i cani a individuare la presenza di un tumore facendo loro annusare l’urina o il respiro di una persona. All’epoca, il successo degli animali e del relativo olfatto si era verificato in 22 dei 54 casi studiati. Da allora, a conferma delle potenziali capacità di questi animali, sempre più studi scientifici si sono susseguiti e sono stati resi noti sulle più prestigiose riviste scientifiche. «Grazie a nuove tecniche di addestramento è aumentata la precisione con la quale gli animali riescono a individuare precocemente i tumori (ma non solo quelli)», precisa al «Daily Mail» Claire Guest, autrice di una fra le più recenti ricerche in materia, nonché psicologa comportamentalista e fondatrice della fondazione Medical Detection Dogs. Voce autorevole nell’ambito di queste ricerche, Claire Guest è responsabile della formazione di circa 70 cani. Oggi – dal cane che fiuta i tumori a quello che riconosce la presenza di un allergene o veglia sul sonno di un bambino diabetico – aumentano gli impieghi dei cosiddetti «cani medical detector», mentre le loro capacità sono sempre più studiate per essere messe al servizio dell’uomo. In pratica, grazie alla natura che li ha dotati di un olfatto incredibile (300 milioni di cellule olfattive contro i 5 milioni dell’essere umano), questi cani salva-vita sono adeguatamente addestrati per aiutare le persone ammalate a capire che qualcosa non va e a intervenire in modo tempestivo. Prestazioni, oggi, sempre più studiate e scientificamente verificate in più parti del mondo. L’Università della Pennsylvania,

ad esempio, sta portando avanti un progetto sperimentale atto a diagnosticare precocemente il cancro alle ovaie, nel quale i ricercatori americani stanno cercando di definire un’essenza facilmente individuabile dai cani, che si sviluppa nelle urine delle persone malate quel tipo di tumore. Secondo gli studiosi «è stato infatti riscontrato che le cellule tumorali di questo tipo influenzano l’odore delle urine e tutto sta nel comprendere come fare a isolarlo, in modo da renderlo facilmente fiutabile dagli amici a quattro zampe». Se questa recente ricerca andrà a buon fine, si potrà creare un test per la diagnosi precoce di questa neoplasia. «Avremo dunque a disposizione un’indagine precoce molto meno invasiva di quelle ora impiegate, ma altrettanto efficace», puntualizzano i ricercatori americani, ricordando che il tumore alle ovaie è molto aggressivo e ha un’alta mortalità, soprattutto perché viene individuato quando è già a uno stadio avanzato. Il migliore amico dell’uomo, però, non finisce qui di sorprenderci. Le sue doti per fiutare, non solo le sostanze stupefacenti, pare riescano pure a identificare l’odore del tumore polmonare dal respiro della persona,

ancora prima che questo possa essere rilevato dagli attuali metodi di screening. È quanto asserisce il gruppo di ricercatori tedeschi dello Schillerhoehe Hospital, attraverso il coordinatore di questo studio, il dottor Thorsten Walles, che spiega: «Il cancro ai polmoni rappresenta la seconda tipologia di tumore che colpisce nel mondo uomini e donne. Il fiuto canino è in grado di riconoscere una serie di sostanze chimiche specifiche, detti Composti organici volatili (COV), emanate dal respiro di chi è colpito da questa neoplasia». Non solo: «Dopo aver scansionato l’alito di circa 600 pazienti, con e senza la malattia, i cani addestrati sono stati capaci di distinguere le persone malate di Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) da quelle con il cancro, escludendo i volontari sani». I risultati di questa ricerca sono stati pubblicati sulla rivista «European Respiratory Journal» e hanno mostrato che il fiuto dei cani, se ben preparati, «può essere un valido strumento di rilevazione del cancro in fase precoce, con un’attendibilità del 70 percento». In alcuni casi, questi animali domestici sono invece riusciti a captare anche l’odore di alcune lesioni cutanee

Maggiore trasparenza sugli esperimenti con animali Dallo scorso mese di novembre, a cadenza trimestrale, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) fornisce sul proprio sito informazioni dettagliate circa il titolo e lo scopo degli esperimenti sugli animali conclusi, nonché sul grado di aggravio che essi hanno comportato. In

precedenza erano pubblicati esclusivamente dati annuali nell’ambito della statistica degli esperimenti sugli animali. La pubblicazione dei dati dettagliati costituisce parte integrante della revisione della legislazione in materia di protezione degli animali entrata in vigore dal primo maggio 2014.

Il loro odorato è sessanta volte più sensibile di quello umano. (Crjs452)

tipiche del melanoma, il tumore della pelle. Si tratta per lo più di Labrador, Yorkshire Terrier, ma anche Cocker Spaniel e Barboncini che non solo si stanno rivelando preziosi per la diagnosi precoce delle neoplasie alle ovaie e ai polmoni, ma riescono ad annusare anche gli sbalzi della glicemia nei diabetici e altre malattie. A suffragio di ciò, la dottoressa Claire Guest porta qualche esempio: «Tra le diverse esperienze, quella di Nano, un Barboncino che annusa ogni cibo prima che la proprietaria Yasmine possa mangiarlo, per avvertirla dell’eventuale presenza di noci alle quali la donna è fortemente allergica. Poi c’è Polo, un Labrador nero di quattro anni che ogni notte veglia su Gemma, una ragazza dodicenne affetta da diabete di tipo 1 e dunque soggetta a improv-

vise e pericolose fluttuazioni della glicemia. Se l’olfatto di Polo avverte che i livelli di glicemia di Gemma subiscono degli sbalzi, se ne accorge, prende il suo osso giocattolo che è un segnale speciale e corre a svegliare i genitori spingendolo contro il loro viso: li invita così a intervenire». L’anno scorso «Plos One» ha pubblicato un lavoro dal quale è emerso che 17 pazienti diabetici a cui era stato affidato un cane medical detector godevano di un migliore controllo glicemico, con un numero minore di ricoveri ospedalieri. E prossimamente noi andremo a trovare uno di questi cani la cui proprietaria abita in Ticino (su «Azione» n° 13 in uscita il prossimo 23 marzo), dalla quale ci faremo raccontare la sua esperienza di vita legata all’olfatto del suo migliore amico.

Giochi Cruciverba Una signora al negoziante: «Ieri quando mi ha dato il resto ha sbagliato di 50 euro» – «Mi dispiace signora, doveva dirmelo ieri, ormai non posso verificare!» Cosa risponde la cliente? Scoprilo, leggendo a soluzione ultimata le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 4, 6, 2, 2, 5)

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ORIZZONTALI 1. Iniziate, cominciate 7. La vita dei greci 8. Rendono serena la sera 9. Ethical Trading Initiative 10. Lo erano le timeli 11. Le iniziali dell’Ariosto 12. Costellazione dell’emisfero boreale 13. Cellule destinate alla riproduzione agamica 17. Arrotolata quella del carlino 18. Soccorso poetico 19. Semplice, pura 21. L’attore Gullotta 22. Informazioni registrate 23. Ha un proprio servizio 24. Pena senza pari 25. Una delle Piccole donne 26. Punto in lettera 28. Raggiunge anche i piccoli bronchi 29. Il padre di Sem e Cam VERTICALI 1. Un figlio di Adamo 2. È presa in giro... dalla cinta 3. Pronome personale 4. Le iniziali dell’attrice Spada 5. L’humus è un suo componente 6. Figlio di Anchise e Afrodite 10. Celeste verdiana 12. Lo ama Fedora 13. Pesce marino 14. Colme 15. Prefisso che vuol dire orecchio 16. Viene in camera dopo me 17. Questo a Parigi 19. Personaggio delle fiabe 20. Una spezia 22. Preposizione articolata francese 23. Anche a Londra ... 25. In capo al mondo 27. Torna se ora non c’è

Sudoku Livello medio Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

Soluzione della settimana precedente

Conoscere le api – Le api da miele catturano tanto polline perché hanno: Molti peli sugli occhi.

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Politica e Economia Narcos connection Settima puntata sul traffico internazionale di droga fra le due Americhe: la storia di Sandra Avila Beltrán, definita la Regina del Pacifico pagina 23

Usa, Internet per tutti Analisi sulle conseguenze della Net Neutrality, il principio che Internet non può essere a due velocità e va regolato come un servizio pubblico

Accordo fiscale firmato Fissati gli scenari per i rapporti tra Svizzera e Italia ma molti punti sono ancora da definire

pagina 25

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Finito il sogno della Padania, Matteo Salvini combatte l’euro e l’Unione europea. (Keystone)

Il nuovo fantasma italiano

La Lega postbossiana È il fascioleghismo di Matteo Salvini che si aggira per la Penisola con tanto di agganci

in tutta Europa a cominciare dal lepenismo francese

Alfredo Venturi La sola cosa che nella Lega non è cambiata è il linguaggio, non proprio di raffinata eleganza ma forse precisamente per questo capace di strappare l’applauso nei comizi. Bisogna «tirar fuori le palle», declama Matteo Salvini sul palco romano di Piazza del Popolo, e le parole sono più o meno simili a quelle a suo tempo impiegate da Umberto Bossi. Solo che ai tempi di Bossi si coltivava il mito padano, con tanto di ampolle di acqua del Po attinta alle sacre sorgenti sul Monviso, si gridava «Roma ladrona» e «forza Vesuvio». La Lega di Salvini è diventata nazionale, ha fatto pace con Roma e fa l’occhiolino persino al Mezzogiorno «fannullone» e «parassita». È dunque in nome del Paese intero che il capo lancia la parola d’ordine, stampata come sempre sulla felpa: «Renzi a casa!». Quando all’inizio della sua avventura politica Silvio Berlusconi scelse di allearsi sia con la Lega, sia con Alleanza nazionale, dovette ricorrere a uno stratagemma: con la Lega al Nord, con An al Sud. Potevano forse battersi fianco a fianco, secessionisti e nazionalisti?

Oggi «l’altro Matteo», come qualcuno chiama Salvini obbligandolo al punto di riferimento renziano, riunisce in una stessa piazza i «barbari sognanti» con l’elmo cornuto, i post-fascisti Fratelli d’Italia e i fascisti mica tanto post dei circoli di Casa Pound. Davanti al palco che lo vede arringare la sua composita platea, accanto alle bandiere leghiste sventola un vessillo della Repubblica Sociale, persino uno stendardo con Mussolini che saluta a braccio levato e dichiara: «Salvini ti aspettavo!». Buttato a mare il sogno della Padania indipendente, dell’armamentario leghista il nuovo capo conserva l’avversione all’euro e all’Unione Europea, che sa assai popolare in tempi di crisi. Aggiungendovi un inno all’autodifesa armata («se entri in casa mia in piedi, puoi uscirne disteso!») e una radicale ostilità agli immigrati, tema gradito a molta parte dell’opinione pubblica: «Da noi non c’è posto per i campi nomadi, vadano a fare i rom da qualche altra parte!». Arriva a parlare di pulizia etnica, spiega che mentre gli italiani fanno sempre meno figli, con le migrazioni è in atto una «sostituzione di popoli». Infine, dettaglio d’obbligo per

un movimento di destra, la promessa di abbassare drasticamente le tasse: prospetta un’aliquota unica ridotta al quindici per cento! La nuova Lega ha un nume tutelare, Marine Le Pen, che nel comizio romano è comparsa su un grande schermo salutata da un applauso scrosciante e ha impartito la sua benedizione ai camerati italiani e alla loro union sacrée. Infatti il progetto del «fascioleghista» Salvini, lui stesso membro del Parlamento europeo, non si limita all’Italia. Riprendendo il precedente dell’Eurodestra alla fine degli anni Settanta e del Gruppo destra europea che a metà degli Ottanta comprendeva il Movimento sociale italiano, il Front National francese allora guidato da Le Pen padre e l’Epen greca progenitrice di Alba Dorata, Marine e Matteo intendono coalizzare l’opinione euroscettica, creare un fronte comune con le forze affini e insieme attaccare a fondo l’«Europa dei burocrati». Impresa non facile, per natura i nazionalisti sono poco inclini alle alleanze transfrontaliere. Sta di fatto che fra la nuova Lega post-bossiana e il Front National, anche grazie all’amicizia personale fra Salvini

e Le Pen, i rapporti sono molto stretti. Li accomuna il vento in poppa in termini di consensi popolari. Certo la Lega è lontana dalle fortune del partito francese, al quale le indagini demoscopiche assegnano quasi un terzo dei consensi, ma la tendenza è in costante aumento. Di pochissimo al di sopra del quattro per cento alle ultime elezioni politiche, la Lega vede oggi più che triplicati i consensi. Inoltre al tradizionale radicamento padano corrisponde un’ascesa nelle altre regioni, quelle stesse dalle quali Bossi voleva separarsi: venti per cento al Nord, dieci nel Centro, sei nel Sud e nelle isole. Di fronte a questi dati Salvini insiste sulla sua irruente predicazione, fatta di slogan piuttosto che di argomentazioni: evidentemente funziona. Il successo è legato anche alle condizioni disastrose in cui versa il fronte conservatore e al declino del Movimento cinque stelle. Nel comizio di Roma qualcuno ha visto il funerale politico di Berlusconi. Non a caso un gruppo di militanti di «Azzurra Libertà», il movimento giovanile di Forza Italia che voleva partecipare alla manifestazione, è stato sbrigativamente allontanato. Salvini dice di non avere nulla contro una

nuova alleanza elettorale con Forza Italia, ma a due condizioni sulle quali baldanzosamente insiste: è la Lega che detta la linea e il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano, reo di stare al governo con Renzi, non può essere della partita. Intanto il capo della Lega si sbarazza facilmente di Flavio Tosi, il sindaco di Verona che nel Veneto contrastava la sua linea, e inasprisce la polemica antiUnione Europea: «Bruxelles peggio del fascismo!». A proposito di fascismo, anzi di «fascioleghismo», cerca di moderare i toni, cosa che non gli è proprio congeniale. Qualcuno agita l’immagine di Mussolini? Fatti suoi: «il ventennio è roba del passato, noi guardiamo avanti». Dove guarda questo ruvido tribuno della plebe, che porta a spasso per l’Italia e negli studi televisivi le sue magliette vociferanti? Certo sogna una contesa elettorale: lui a capo della destra contro Renzi, il Renzi «servo di Bruxelles e di Berlino», indebolito dalle politiche impopolari con cui vorrebbe raddrizzare la rotta pericolante dell’Italia. Matteo contro Matteo: lo scontro fra due approcci diversi, ma ugualmente controversi, all’arte della politica.


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Politica e Economia

La regina della coca 7. Narcos connection La storia di Sandra Avila Beltrán, potente e spietata trafficante di droga,

che ha gestito l’invio di montagne di polvere bianca dal Messico agli Stati Uniti Angela Nocioni È libera la regina del Pacifico. Con i capelli stinti e qualche chilo in più sui fianchi, Sandra Avila Beltrán, la Pablo Escobar femmina che tanto ha fatto penare l’Agenzia antidroga americana nell’ultimo ventennio, è uscita in un pomeriggio di sole con le mani in tasca e gli occhi bassi dal carcere di Nayarit, nel nord ovest del Messico. Un giudice di Jalisco, terra controllata dal cartello narco di Sinaloa, ha accolto il suo ricorso contro la condanna per riciclaggio che la teneva in cella dal 2007. È stata giudicata due volte per lo stesso reato, dice la sentenza: scarceratela. La Reina del Pacifico, che deve il soprannome alla abilità con cui ha fatto viaggiare per anni tonnellate di cocaina dal Messico agli Stati Uniti su rotte marittime apparentemente impermeabili ai controlli delle polizie dei due Paesi, è stata bravissima nel non farsi mai condannare per reati di sangue, nonostante regni su un impero che di sangue ne fa scorrere parecchio. Solo reati finanziari a suo carico. Né i tribunali americani né quelli messicani sono mai riusciti a incastrarla per omicidio. E così l’altro ieri anche la condanna per il riciclaggio di 22 milioni di dollari è sfumata all’orizzonte. Sandra Avila Beltrán è un personaggio molto popolare in Messico, la sua potenza deve molto alla leggenda che sceneggiatori e successo di pubblico le hanno costruito addosso. La sua vita e i suoi uomini – alcuni grandi capi del narcotraffico e qualche comandante di polizia – hanno ispirato fiction tv, un paio di telenovelas e infinite narcocorridas, le canzoni che celebrano le gesta dei narcos, l’equivalente locale di alcuni pezzi del neomelodico italiano. La sua storia è diventata un libro di gran successo, La Reina del sur dello spagnolo Arturo Pérez-Reverte. È lei la potente Teresa Mendoza, costretta a scappare da un agguato avvolta nella schiuma della sua vasca da bagno.

La sua vita e i suoi uomini hanno ispirato fiction tv, telenovelas e infinite narcocorridas, le canzoni dei narcos Sandra Avila Beltrán è nata nel 1960 nello stato messicano della bassa California. La sua famiglia è quella di Rafael Caro Quintero, l’ex leader del clan Guadalajara, che negli anni Ottanta portava marijuana e eroina dal Messico agli Stati Uniti. Suo nonno paterno è Miguel Ángel Félix Gallardo, a sua volta leader del traffico di droga in Messico. Anche la famiglia della madre negli anni Settanta era coinvolta in un traffico di eroina. Per molto tempo la polizia non si accorse di lei, finché nel 2002 non fu costretta a contattare le autorità per via del rapimento di suo figlio adolescente. I rapitori le chiesero un riscatto di 5 milioni di dollari. Beltrán riuscì a far liberare il figlio ma la polizia iniziò a indagare su di lei e l’accusò di aver organizzato nel 2001, con l’aiuto del suo secondo marito Juan Diego Espinoza Ramírez, un trasporto di nove tonnellate di cocaina. La droga era a bordo di una nave nel porto di Manzanillo, a Colima. Quando le autorità americane scoprirono il carico dell’imbarcazione, la bombardarono. Dopo quattro anni di ricerche, Beltrán è stata arrestata a Città del Messico il 28 settembre 2007. Per più di due anni ha fatto di tutto per fermare la richiesta di estradizione presentata dagli Sta-

Sandra Avila è stata rilasciata dal carcere messicano di Nayarit, dove era rinchiusa dal 2007.

ti Uniti, accusando il carcere di Santa Martha Acatitla, dov’era detenuta, di violazione dei diritti umani. Beltrán ha detto di essere una semplice casalinga «che si arrangia vendendo qualche vestito e affittando casa in estate». In Messico è stata processata per riciclaggio di denaro e assolta per insufficienza di prove, condannata a un anno e mezzo di detenzione per porto d’armi illecito. A gennaio del 2011 il carcere aprì un’inchiesta dopo che a un medico venne permesso di farle delle iniezioni di botox, una terapia che non è consentita ai detenuti. In sintesi, i suoi passaggi in cella sono stati i seguenti: La Regina del Pacifico era stata arrestata in Messico nel settembre 2007, accusata di aver fatto entrare nel Paese varie tonnellate di cocaina nel 2002, assieme al suo ex compagno, il colombiano Juan Diego Espinosa Ramirez, alias «El Tigre». Alla fine del 2010 un giudice messicano la assolse per i reati di criminalità organizzata e riciclaggio di denaro, la detenzione continuò in vista dell’estradizione negli Usa. La donna venne consegnata alle autorità statunitensi nel luglio 2013 e la Corte federale del distretto sud della Florida la condannò a 70 mesi di carcere. Il mese successivo fu nuovamente trasferita in Messico, e imprigionata per affrontare le accuse di riciclaggio di denaro. Il 5 settembre 2014 è stata condannata a cinque anni di carcere e reclusa. Considerando che è appena uscita e visti i reati che le aleggiano intorno sempre colpirla mai, si può dire che le è andata bene. In un’intervista del 2009 con Anderson Cooper Ávila ha respinto ogni accusa contro di lei e ha dichiarato «In Messico c’è corruzione. Molta. È ovvio e logico, il governo messicano è coinvolto in tutto quel che è corruzione». La Reina è cresciuta insieme al cartello di Sinaloa, comandato da Joaquín Guzmán Loera, detto «El Chapo». È stata sposata due volte. Entrambi i mariti hanno fatto una brutta fine. Il primo, José Luis Fuentes, superpoliziotto, comandante della Policía Judicial Federal del Messico, è stato misteriosamente ucciso. Il secondo, Rodolfo López Amavizca, comandante dello scomparso (insieme a lui) Instituto Nacional para el Combate a las Drogas, sempre messicano, è stato pugnalato al cuore mentre entrava in ospedale per curarsi da un’infezione. Ai tempi della pugnalata, la Reina già stava lavorando per «El Tigre», Juan Diego Espinos,

colombiano, suo ultimo fidanzato. Insieme a lui era stata arrestata a Città del Messico il 28 febbraio del 2007 con l’accusa di aver appena fatto spedire nove tonnellate di coca pura. Nell’agosto

del 2012 gli Stati Uniti hanno ottenuto la sua estradizione. L’ipotesi di reato a suo carico non era lieve. La volevano processare come responsabile dell’ingresso e della distribuzione di coca in

Florida. Roba da ergastolo. Ma una serie di oscure circostanze e un’ottima negoziazione del suo avvocato hanno finito per farla condannare solo come consulente del Tigre. Lei, nella sentenza, risulta essere solo la consigliera del suo fidanzato, considerato invece l’anello tra il cartello di Sinaloa (grande distribuzione di coca) e il narcotraffico colombiano (produzione). Quindi solo 70 mesi di reclusione per Sandra, ma da scontare di quelli già trascorsi come detenuta in Messico. In breve, nell’agosto del 2013 la Reina già abbandonava l’odiato carcere americano e tornava nel (per lei) molto meno ostico carcere messicano. Sandra Avila Beltrán, amante delle grandi feste narcos e dei gioielli vistosi, sta di solito molto attenta a non ostentare con le parole il suo potere. Mantiene un profilo basso nelle dichiarazioni pubbliche, non si vanta mai del suo sterminato impero. Ogni tanto, però, le scappano frasi di sfida da grande capo. Il giorno dell’estradizione negli Stati Uniti, probabilmente il più brutto della sua vita, ha detto: «Mi piace il commercio sì, ma purtroppo non mi interessa quello di case e vestiti». Nell’ultima intervista da detenuta, giurando la sua estraneità a quei milioni di dollari riciclati tra la selva colombiana e la costa della Florida, ha detto di sé: «Sono solo una povera turista del pianeta del narcotraffico, devo dirvi che è un pianeta interessante». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Politica e Economia

Usa, Internet uguale per tutti Net Neutrality Dopo un lungo dibattito è passata l’idea sostenuta da Obama secondo la quale tutto il traffico internet

debba essere trattato alla stesso modo, senza corsie preferenziali a pagamento

Federico Rampini Come consumatore, come utente, ho avuto qualche diffidenza a schierarmi dalla parte dei Padroni della Rete, Google, Amazon, Netflix & C, nella loro battaglia per la Net Neutrality. Se si tratta solo di stabilire una ripartizione di risorse e di profitti, i nuovi potenti della Silicon Valley non mi stanno più a cuore delle «vecchie» telecom. Ma la battaglia della Net Neutrality era cruciale per i creatori di contenuti: loro sì, rischiavano di essere tagliati fuori in un sistema a tariffe differenziate. Piccole aziende o piccoli produttori di video, se fosse passato il principio dell’Internet a due velocità poteva essere una sentenza mortale per loro, allontanandoli dal pubblico. Alla fine è stata una Santa Alleanza, fra i Padroni della Rete e la sinistra democratica, quella che ha vinto la battaglia americana per la Net Neutrality. È passata la linea di Barack Obama: la Federal Communications Commission (Fcc), che è l’authority del settore, tratterà Internet come una utility. Cioè un servizio di pubblico interesse anche se operato da privati, quindi soggetto a regolazioni dettagliate in difesa degli utenti. In particolare questo significa la sconfitta di un progetto che stava a cuore alle telecom: poter incassare tariffe superiori dai grossi utenti di Internet, come i servizi di videostreaming offerti a pagamento da Netflix e Amazon.

In America l’universo di creatori è molto più sviluppato e vasto rispetto all’Europa. E quindi è diversa la percezione della Net Neutrality E in Europa? La situazione sul Vecchio continente è meno chiara. Il «Financial Times» del 4 marzo ha pubblicato delle indiscrezioni – per ora non confermate – secondo cui l’Unione europea sarebbe più possibilista sulla «doppia velocità». In particolare, stando alle voci raccolte dal «Financial Times», alcuni governi dell’Unione europea spingono per una direttiva comunitaria che «consenta alle telecom di gestire il traffico online in modo da raggiungere la massima efficienza, quindi con la possibilità di accordi separati con alcuni grossi clienti aziendali a cui verrebbe fornita una connessione più veloce». Queste clausole sulla «gestione del traffico» verrebbero accolte con grande soddisfazione dagli operatori telecom, ma si scontrerebbero con la filosofia della «Rete aperta», e certamente solleverebbero obiezioni da parte di un’ala progressista in seno al Parlamento europeo. Il «Financial Times» ne trae la seguente conclusione, sul piano politico: ancora una volta l’Europa si mette di traverso, rispetto agli interessi della Silicon Valley. Il concetto dell’Internet a due velocità non è di facile comprensione. Non si tratta di tariffe

Membri dell’authority prima del voto sulla Net Neutrality. (Keystone)

differenziate per chi vuole accesso alla banda larga, a una connessione Internet più veloce e potente a casa sua. Questi dislivelli qualitativi e tariffari nell’utenza finale esistono già; ma non hanno veramente differenziato «l’esperienza Internet» che miliardi di persone vivono quotidianamente. La battaglia che infuriava da mesi negli Stati Uniti riguarda l’altra estremità della Rete: i colossi che l’alimentano di contenuti, e gli altri colossi che gestiscono l’infrastruttura stessa. La battaglia è partita appunto da uno scontro tra titani. Da una parte le telecom (Comcast, Verizon, AT&T), e altri gestori della cable tv e degli accessi Internet. Dall’altra Google con la sua filiale YouTube, il numero uno dei servizi di videostreaming Netflix, la Walt Disney, Microsoft con Skype, Apple con iTunes, Amazon. La «corsia veloce», a tariffa maggiorata, sarebbe l’equivalente su un’autostrada di una corsia riservata ad alcune società multinazionali che gestiscono flotte di Tir, e hanno comprato quel diritto a farli circolare molto più in fretta delle vostre automobili. Pedaggio superiore, velocità superiore. A fine febbraio in America la Federal Communications Commission ha affondato definitivamente quell’idea. È prevalsa la linea di Barack Obama da sempre favorevole alla Net Neutrality. La Fcc ha cinque commissari, tutti di nomina politica. Attualmente sono tre democratici e due repubblicani. Al momento di votare si sono spaccati secondo l’appartenenza di partito: è finita 3 a 2. È interessante la dinamica politica che ha portato a questo esito, tutt’altro che scontato fino a poche settimane fa. Basta leggere «The Wall Street Journal» per trovarvi commenti quotidiani che denunciano la Net Neutrality come l’equivalente di «Obamacare»: cioè quella riforma sanitaria che la destra liberista

continua a descrivere come «socialista». Obama ha tenuto duro, sul principio della Net Neutrality, grazie all’appoggio di due forze convergenti. Da una parte i big della Silicon Valley, tradizionalmente vicini al partito democratico. D’altra parte le organizzazioni più battagliere della sinistra del suo partito come MoveOn e Democracy for America. Grandi capitalisti digitali, e progressisti radicali, uniti nella stessa battaglia. Mi sono visto bombardare la casella di email da messaggi delle organizzazioni politiche di sinistra a favore della Net Neutrality. E al tempo stesso mi chiedevo se non stessero lavorando «al servizio del Re di Prussia», cioè i Padroni della Rete. Ma il mondo non si divide solo tra i big del capitalismo digitale da una parte, e la massa degli utenti finali dall’altra. In mezzo c’è anche una fiorente economia fatta di piccolissimi imprenditori digitali, creatori di contenuti, di start-up. Sono probabilmente questi le vittime predestinate di un Internet a due velocità. È questo mondo di piccolissimi «aspiranti Steve Jobs, Bill Gates, Mark Zuckerberg», che in una Rete suddivisa tra ricchi e poveri rischierebbero di vedere i propri contenuti emarginati, invisibili, quasi inaccessibili per il vasto pubblico di noi utenti finali. Questo universo di piccoli creatori di contenuti per la Rete, è molto sviluppato e vasto in America, rispetto all’Europa. Questo spiega la diversa percezione e sensibilità sul tema della Net Neutrality. Per capire dove sta andando il mondo della creazione, sono andato a visitare una delle sedi di YouTube. A dieci anni dalla sua fondazione nella Silicon Valley californiana, e nove anni dopo essere stato comprato da Google, YouTube è ancora un bambino ed è già uno dei Padroni della Rete. La quantità di immagini che si riversano su questa piattaforma dà le vertigi-

ni: 300 ore di video vengono aggiunte («caricate») a ogni minuto che passa. Chi ha tempo per guardare questo Big Bang di immagini e di musica? Tanti: un miliardo di utenti al mese. E il numero di ore quotidiane che spendiamo per andare a pescare informazioni o spettacoli su questo sito crescono a velocità esponenziale: +50% da un anno all’altro. YouTube fa tremare Hollywood. È nella creazione di serie, di comedy show, che la piattaforma digitale nata nella Silicon Valley si candida a diventare il vero rivale della majors situate un po’ più a Sud, a Los Angeles. Una volta penetrato nello YouTube Space di New York (secondo al mondo per dimensioni, dopo Los Angeles), lì dentro ho scoperto una miniatura dei grandi studios delle majors hollywoodiane. 20.000 metri quadrati. Tecnologie da fantascienza, i soli cavi a fibre ottiche che da questo laboratorio connettono e trasportano immagini, sono lunghi 187 volte il grattacielo Empire State Building. Più delle grandezze colpisce la miniaturizzazione, perché lo consentono le tecnologie: le salette di registrazione mi ricordano altrettante newsroom delle grandi tv americane come quella FoxNews che frequento, solo più in piccolo. Il gigantismo è virtuale. Gli spazi di lavoro replicano, come a Hollywood o un tempo a Cinecittà, degli scenari tipici per film e serie televisive. Ma chi usa tutto questo bendiddio? Sono i futuri Francis Ford Coppola, Martin Scorsese, Woody Allen, Jim Jarmusch o Paolo Sorrentino. Hanno vent’anni, e un fuoco magico addosso. Vogliono sfondare nella tv o nel cinema. Sanno già maneggiare con perizia telecamere, apparecchi foto, computer. Sono dei maghi delle tecnologie e non vogliono passare sotto le forche caudine dei network tv o dei potentati del cinema tradizionale. Vengo-

no a frotte, nei workshop, per assistere a lezioni pratiche, o mettersi direttamente al lavoro per girare dei brevi film, documentari, serie comiche, tutorial. «YouTube – dicono i suoi dirigenti – ha smesso di essere un canale, un semplice contenitore, oggi la parola chiave per noi è la creazione». Il laboratorio al sesto piano del Chelsea Market, è un luogo dove si fa addestramento: ai giovani creativi viene insegnato ogni trucco del mestiere, per sfornare a gran velocità di video di altissima qualità professionale. E poi piazzarli al pubblico infinito che vaga su Internet alla ricerca di qualcosa. «La prima fase della nostra storia – dicono i capi – è servita a democratizzare i contenuti; ora vogliamo democratizzare la produzione». Come diventare un regista-produttore-attore di successo, senza baciare le pantofole di Mgm, Sony-Columbia, Fox, come si usava una volta? È il modello Silicon Valley: sii imprenditore di te stesso, se Hollywood non ti assume devi crearti una start-up che aggiri il vecchio establishment. Basta avere un canale su YouTube, e almeno 5000 abbonati (gratuiti), per poter affittare questo spazio a ore. La soglia è più bassa per iscriversi ai corsi. Se hai vent’anni e vuoi raggiungere il pubblico dei tuoi coetanei, «this is the place to be», questo è il luogo dove devi essere. I tuoi coetanei navigano su YouTube mentre non sanno più cosa sia un televisore: è un elettrodomestico che sta in casa dei genitori. 50’000 giovani sono già passati in questo laboratorio, per seguire corsi di formazione. Altri 24’000 a Tokyo. Poi c’è quello di San Paolo: i brasiliani sono scatenati, uno dei popoli più creativi su YouTube. Questo «ecosistema audiovisivo» cresce a una velocità così forsennata, che un pezzo del vecchio establishment sente di doverci essere. Annuncio pubblicitario


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Politica e Economia

Ti confondo per stuzzicarti Dietro il prodotto Campagne all’apparenza «strane e poco

comprensibili» si rivelano di successo, se vengono rispettate alcune regole logiche ed etiche Mirko Nesurini Il teaser («stuzzicare») è una campagna pubblicitaria preliminare, di forte impatto, che fa leva sulla curiosità del pubblico senza però rivelare la natura né il nome o la marca del prodotto pubblicizzato. Necessita di una seconda campagna (follow up), in cui si svela il mistero e si pubblicizza esplicitamente il prodotto. Con una serie di spot e slogan per cartelloni stradali, per video o per contenuti web non viene rivelato subito il marchio né la natura del prodotto. Anche la televisione che promuove programmi in largo anticipo con una serie di brevi annunci e la scritta «prossimamente» è una pubblicità teaser. La stessa pubblicità a puntate, con una trama che si sviluppa di spot in spot, è definita teaser.

La valutazione del piano etico è determinante: far credere A e vendere B può trasformarsi in un grande flop Alla fine del teaser, che può durare anche qualche settimana, segue una campagna in cui si svela il mistero del prodotto, con il vantaggio auspicabile di essere già entrati nella memoria e nel cuore del pubblico. Negli ultimi anni si assiste al proliferare di campagne e in particolare di video teaser, supportati dai diversi social media e dalla possibilità, grazie a essi, di generare interesse in un pubblico molto vasto. Un esempio recente di campagna teaser di successo è il countdown per il lancio di 1989, l’ultimo album di Taylor Swift uscito lo scorso autunno, su Instagram e gli altri social media. Il 14 ottobre la cantante ha lanciato un countdown di due settimane, svelando un pezzettino del nuovo lavoro giorno dopo giorno (una strofa di una canzone, una foto significativa, un disegno e appunti scritti a mano), rendendo il processo molto personale e facendo sentire i fan quasi in contatto reale con lei. In questo caso la sequenza logica è stata impeccabile. La cantante ha consegnato l’album a pezzi, con coerenza e senza sfumature. Le campagne teaser funzionano se rientrano in un piano marketing articolato, ben pianificato e che dispone di

budget elevati. Con maggiore probabilità funzioneranno quindi per marchi già riconosciuti, ambiti e desiderati dal grande pubblico. All’aspettativa suscitata dalla campagna deve poi corrispondere un effettivo e concreto prodotto interessante per il consumatore. Se l’attesa viene delusa è probabile che s’incorrerà in un effetto boomerang. Mai tentare di «ammaliare» il pubblico non dandogli quello che si aspetta di trovare. La valutazione di impatto sul piano etico è determinante. Fare credere «A», per vendere «B», può trasformarsi in un grande flop oppure in una rivolta dei consumatori. La tecnica del teaser è infatti molto rischiosa per chi ha le idee poco chiare. Capita anche ai grandi. La casa automobilistica Dodge lanciò su carta stampata, cartellonistica e online alcuni spot teaser dove compariva soltanto la scritta «Different», senza alcun riferimento al marchio. Peccato però che, prima di loro, Apple avesse lanciato una campagna imponente denominata «Think Different». Seguendo la campagna Dodge tutti pensavano che un nuovo computer stesse per uscire sul mercato. I brand prestano attenzione spasmodica a non deludere i propri consumatori. Il teaser che delude viene di solito ignorato o dimenticato rapidamente. I consumatori ormai hanno modo di monitorare le azioni messe in campo dalle aziende. Molti brand della moda comunicano utilizzando temi legati alla sostenibilità, ma pochi hanno poi comportamenti etici in ambito di gestione del lavoro o attenzione all’ambiente. Il sito comparativo olandese Rank a Brand (rankabrand.org), ad esempio, esamina la trasparenza e la responsabilità sociale dei marchi del settore dell’abbigliamento e pubblica una classifica molto seguita dai consumatori che di conseguenza premiano o penalizzano i brand. Nella comunicazione di marca esiste una regola non scritta che tutti rispettano. La pubblicità non può in alcun modo deludere il consumatore, quindi in ogni iniziativa deve esserci un fondo di verità. I pubblicitari sono stati spesso raccontati come imbonitori sulla soglia della bugia, ma in verità tutti quelli che svolgono la professione con successo sono grandi «magnificatori» della realtà. Guai quindi a deludere il consumatore, qualunque sia il prodotto in

La campagna di RIM Australia – Black Berry.

campo. Il pubblicitario Kevin Roberts ha scritto un libro di grande successo, Lovemarks, nel quale ricorda come il rapporto tra un brand e il proprio consumatore assomigli a un innamoramento. Nell’innamoramento è concesso un passaggio teaser, ma poi la sostanza deve esserci. E se la sostanza non si materializza, oppure al posto di un agnello scopro che dietro ad un messaggio c’è un lupo, perdo fiducia definitivamente. Riguardo ai limiti della comunicazione di marketing, Eleonora Cattaneo, Professore di Marketing presso SDA Bocconi School of Management, sostiene che «A prescindere dagli aspetti di regolamentazione che sanzionano la comunicazione ingannevole o offensiva, i limiti etici riguardano l’utilizzo di immagini o claim che pur rimanendo nei limiti del consentito possono infastidire o offendere. Anche immagini o slogan shock possono creare “rumore” temporaneo intorno al brand. Tali comportamenti non contribuiscono certo però a costruire una reputazione solida nel tempo. Un brand non può nascondersi in un messaggio pubblicitario ma può inserirsi in altre forme di comunicazione senza dichiararsi. Se viene scoperto, la strategia migliore è quella della trasparenza». E quindi quando un brand sbaglia che cosa accade? Prosegue Cattaneo: «Il tempo per ricostruire la perdita di consensi dopo uno spot considerato ingannevole o offensivo dipende molto dallo stato della reputazione del brand pre-spot. Se è già molto solido può bastare una rettifica o uno spot successivo “riparatore”. L’acqua Rocchetta (target decisamente femminile) con lo spot ambientato in un negozio in cui la modella viene affiancata alla ragazza «normale» che sembra in confronto in sovrappeso e sgraziata, è stato molto criticato dalle associazioni consumatori e online. Con lo spot successivo, più “neutro”, il problema (e l’eventuale impatto sull’opinione dei consumatori) è rientrato nel giro di poche settimane». A patto che alla base vi sia un concept innovativo e un’esecuzione impeccabile, ha senso usare i teaser e in molti casi essi contribuiscono al successo generale della campagna. Un esempio di campagna teaser che faceva pensare ad altro rispetto al prodotto che poi è stato presentato ha raggiunto un successo enorme: si tratta di RIM Australia – BlackBerry con la campagna Wake Up.

Fisco, intesa fra Roma e Berna Negoziati La firma dell’accordo a Milano

apre una nuova serie di discussioni dall’esito non ancora scontato. L’Italia pone anche la condizione delle future regole svizzere per l’immigrazione Ignazio Bonoli Per l’Italia si è trattato di una vittoria. «Siamo riusciti ad abolire il segreto bancario svizzero» era la frase più ricorrente nei media italiani, dopo la firma dell’accordo fiscale con la Svizzera, che sostituisce quello del 1976 sulla doppia imposizione. Per la Svizzera si è trattato di un adeguamento a una situazione che da tempo stava evolvendo in questa direzione. Anzi tutti sapevano – e sanno – che al più tardi nel 2018 la Svizzera si adeguerà al sistema dello scambio automatico di informazioni fiscali voluto dal G-20 attraverso l’OCSE. La Svizzera ha finora firmato già 50 convenzioni e 7 accordi sullo scambio di informazioni fiscali su domanda, che soddisfano gli standard OCSE attualmente in vigore. Anche l’accordo con l’Italia si inserisce in questa politica, volta a chiarire le situazioni del passato, con l’applicazione del segreto bancario, ma già con ampie possibilità di ottenere l’assistenza giudiziaria in casi documentati. Una delle grandi novità dell’accordo consiste proprio nella possibilità di ottenere dati fiscali di cittadini del Paese che ne fa domanda, ma senza passare dalla complicata prassi utilizzata finora, sia per singoli cittadini, sia per gruppi di cittadini, tuttavia senza cadere nelle cosiddette «fishing expeditions». Questa novità riveste però un aspetto tutto particolare per l’Italia, poiché permette alla Svizzera di farsi togliere dalla lista nera italiana dei Paesi non collaborativi in materia fiscale. E questo proprio in vista dell’applicazione del nuovo strumento del fisco italiano, chiamato «voluntary disclosure». Questo permette ai residenti in Italia di beneficiare delle riduzioni di pena in caso di dichiarazione dei capitali esportati, finora occultati al fisco. Senza l’accordo firmato a Milano, le pene previste in questi casi sarebbero state doppie. È anche possibile che l’interessato possa mantenere il capitale in Svizzera. Ma questa è una delle tante questioni che dovranno essere risolte nel seguito dei colloqui, il cui esito sarà comunque soggetto all’interpretazione che la parte italiana darà nell’applicazione concreta dell’accordo. Anche da parte svizzera, la firma è per il momento un atto preliminare, poiché l’accordo dovrà essere approvato dal Parlamento e sarà soggetto a referendum. I problemi ancora da chiarire sono peraltro di una certa importanza. Tra gli altri anche quello (voluto in particolare dal Ticino) della tassazione dei frontalieri. Entro la metà di quest’anno dovrà essere trovata una soluzione che prevede la tassazione del reddito da lavoro in Svizzera anche in Italia. La Svizzera potrà trattenere al massimo

il 70% dell’imposta alla fonte totale, mentre il resto verrà versato in Italia. È già nato un diverbio per quanto attiene alle aliquote da applicare. Il Ticino, da quest’anno, applica un moltiplicatore del 100% dell’imposta comunale, mentre l’accordo parla del moltiplicatore comunale medio (cioè circa l’80%). Questo influirà sul gettito dell’imposta in Svizzera, mentre l’Italia non fa previsioni. I comuni italiani di frontiera non sono però contenti di ricevere la nuova imposta, invece del 38,2% finora riversato dalla Svizzera. Un aspetto importante che concerne gli operatori svizzeri dal settore finanziario è quello della punibilità di agenti, di istituti e di loro dipendenti. Nell’accordo si dice che gli istituti finanziari e i loro collaboratori, di principio, non sono responsabili di eventuali reati fiscali commessi dai loro clienti italiani. Da parte svizzera si è anche aggiunto che del comportamento cooperativo degli istituti finanziari si terrà conto ai fini della regolarizzazione dei capitali da loro gestiti. Sempre per il settore bancario resta ancora aperta la questione dell’accesso al mercato finanziario italiano. Finora c’è solo un impegno dei due Stati nel favorire soluzioni che migliorino la cooperazione transfrontaliera. Pure aperto rimane il problema delle tassazioni privilegiate di imprese applicato da alcuni cantoni. La soluzione di questo problema viene posta quale condizione indispensabile, da parte italiana, per togliere la Svizzera da altre liste nere che ostacolano l’accesso ai mercati italiani. Anche in questo caso ci si dovrà adeguare agli standard internazionali, che però non sono ancora elaborati. La Svizzera sta rivedendo in ogni caso la legislazione in materia (vedi «Azione» del 2.3.15). Nella «road map» per il perfezionamento dell’accordo si cita anche un’ulteriore modifica della convenzione sulla doppia imposizione mediante una riduzione delle aliquote fiscali per i dividendi e gli interessi. Infine, sempre per quanto tocca da vicino il canton Ticino, l’accordo dice vagamente che continueranno le discussioni per trovare soluzioni pragmatiche al caso particolare dell’enclave di Campione d’Italia. La firma dell’accordo, dopo tre anni di discussioni, è senz’altro un fatto positivo. La vera partita è però appena cominciata e non si può prevedere se finirà in pareggio. Tanto più che l’Italia fa dipendere l’applicazione dell’accordo dall’esito delle discussioni sull’applicazione dell’iniziativa sull’immigrazione di massa. Perdente finora risulta l’italiano, se proprio i due soli Paesi al mondo che hanno l’italiano quale lingua ufficiale hanno discusso e scritto in inglese!


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Politica e Economia

Albert Steck Gran parte del nostro patrimonio è collocato nella cassa pensioni, quindi vale la pena di comprendere bene il proprio certificato di previdenza, soprattutto in queste fasi di turbolenze. La nostra guida vi aiuta a decifrare queste importante documento?

In primavera tutti i dipendenti ricevono il certificato di previdenza, ma molti lo mettono in un cassetto senza neppure leggerlo, di certo pensando che in quella giungla di cifre non riescono a districarsi. Ma è un errore! Con la cassa pensioni c’è in ballo parecchio denaro, quindi è fondamentale sapere a quanto ammonta il proprio patrimonio e quale rendita è legittimo attendersi al momento opportuno. Ecco perché vi mostriamo che cosa significano le cifre dell’attestato, limitandoci volutamente a quelle principali. ➊ Lo stipendio annuo lordo comprende la tredicesima, lo straordinario e le

indennità. Verificate che queste componenti siano considerate. ➋ Ai fini della cassa pensioni è rilevante lo stipendio LPP (l’abbreviazione sta per legge sulla previdenza professionale). Ottenete lo stipendio LPP deducendo dallo stipendio annuo la cosiddetta deduzione di coordinamento, pari a 24’675 franchi. L’importo corrisponde ai 7/8 della rendita massima AVS di 28’200 franchi. La deduzione di coordinamento si applica perché una parte della rendita per la vecchiaia è già coperta dall’AVS. Lo stipendio massimo LPP ammonta a 59’925 franchi. Per la parte che supera tale cifra la cassa pensioni non deve attenersi al tasso d’interesse minimo stabilito dalla LPP e al tasso di conversione (v. punto 7). La remunerazione potrebbe dunque essere inferiore. ➌ Il capitale di risparmio include tutti i contributi pagati dal lavoratore e dal datore di lavoro, inclusi gli interessi. Questo capitale può essere a sua volta suddi-

Si tratta di miliardi Gli Svizzeri hanno risparmiato nella previdenza professionale un patrimonio di circa 800 miliardi di franchi. Tuttavia non mancano i problemi per la previdenza: prima di tutto aumenta la nostra aspettativa di vita, in secondo luogo diminuiscono i proventi a causa dei tassi ai minimi storici. Molti si chie-

dono dunque se hanno una lacuna previdenziale. All’indirizzo www.blog. bancamigros.ch è pubblicata una guida facile che vi aiuta a valutare la vostra situazione personale. Troverete inoltre altri consigli utili sul risparmio fiscale con la cassa pensioni oppure sulle lacune previdenziali con il part time.

viso in una parte obbligatoria e in una sovraobbligatoria. La prima si basa sui contributi nell’ambito della LPP obbligatoria, fino allo stipendio massimo LPP. I contributi per la parte dello stipendio superiore a 59’925 franchi confluiscono invece nella quota sovraobbligatoria, che a seconda della cassa pensioni ha un rendimento inferiore a quello stabilito dalla LPP. ➍ Il contributo di risparmio annuo dipende dall’età del lavoratore: a partire da 25 anni ammonta al 7 percento dello stipendio assicurato, da 35 al 10 percento, da 45 sale al 15 percento e da 55 anni arriva al 18 percento. Il datore di lavoro è tenuto a pagare almeno la metà, ma numerose aziende scelgono di pagare di più. ➎ La quota di rischio varia a seconda della cassa pensioni. Di norma ammonta al 3 percento dello stipendio. Questo contributo serve a finanziare l’eventuale rendita d’invalidità e, in caso di decesso, una rendita per il coniuge o una rendita per orfani. ➏ Il presunto avere di vecchiaia al pensionamento corrisponde a una calcolo ipotetico, nel quale sono compresi gli interessi. Nel calcolo si presuppone che lo stipendio attuale rimanga costante. Nel nostro esempio la remunerazione corrisponde all’attuale tasso minimo LPP dell’1,75 percento. Alcune casse pensioni applicano un tasso d’interesse superiore, che può fare una notevole differenza: al 3 percento l’avere di vecchiaia aumenterebbe di circa 50’000 franchi. ➐ Per calcolare la presunta rendita

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Mario Campione

Data di nascita

1.1.1971

Stato civile

coniugato

Numero AVS

756.9999.9999.99

Data del pensionamento

1.2.2036

Dati di base Stipendio annuo Stipendio LPP

78 105

1

53 430

2

Grado di occupazione

100%

A n d a m e n t o d e ll a v e r e d i v e c c h ia ia e n a n z ia m e n t o Situazione capitale di risparmio allfl1.1.2015 Contributo di risparmio annuo

50 942

3

5 343

4

Contributo annuo per lflassicurazione rischi, le spese e il fondo di garanzia Avere di vecchiaia previsto a 65 anni incl. lfl1,75% di interessi Rendita di vecchiaia annua presunta

5

1 514 301 677

6

20 514

7

P r e s t a z io n e in c a s o d i in v a lid it Ú Rendita dflinvaliditÓ annua in caso di malattia

31 200

5

P r e s t a z io n i in c a s o d i d e c e s s o Rendita annua per il coniuge superstite

9 329

5

Altri dati Prelevamento anticipato possibile per la proprietÓ abitativa

di vecchiaia l’avere di vecchiaia viene moltiplicato per il cosiddetto tasso di conversione. Nel nostro esempio abbiamo utilizzato il tasso attuale LPP del 6,8 percento. Con un tasso di conversione del 6,0 percento, che il Consiglio federale propone per la riforma previdenziale del 2020, la rendita di vecchiaia scenderebbe a 18’100 franchi. Per la quota sovraobbligatoria del capitale di risparmio le casse pensioni utilizzano già oggi in prevalen-

50 942

8

Massimo riscatto facoltativo presumibilmente possibile con interessi

8

42 600

za tassi di conversione più bassi del 6,8 percento. ➑ Tra le altre voci importanti del certificato di previdenza si annovera il prelevamento anticipato consentito per l’acquisto della proprietà abitativa. È importante anche l’importo massimo per un riscatto facoltativo della cassa pensioni, che va ad aumentare la rendita di vecchiaia ed è deducibile dal reddito imponibile. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Affari Esteri di Paola Peduzzi Se il dissenso è il nemico Chi ha ucciso Boris Nemtsov? Forse non lo sapremo mai con certezza. Il leader dell’opposizione russa è stato ucciso un venerdì sera di fine febbraio, a metà strada tra il suo ufficio e il Cremlino, da cinque o otto spari, colpito alle spalle da un uomo che poi è salito su un’auto che aveva una targa dell’Inguscezia. Le telecamere che sorvegliano questo tratto del centro di Mosca quella sera non funzionavano, mentre la fidanzata – una giovane modella ucraina – che era al fianco di Nemtsov non ricorda molto, era anche lei di spalle, appunto. Da allora, da quando la notizia si è sparsa e si sono ripetuti messaggi di cordoglio e di condanna nei confronti del regime di Vladimir Putin, gli inquirenti – e il presidente russo guida ufficialmente l’inchiesta – indagano sulla pista islamista, sul delitto passionale, sulla criminalità. Nessuno dice quel che i più, almeno in Occidente, pensano: Nemtsov è stato ucciso perché era un oppositore. «Alto, bello, arguto, irriverente», dice di lui Serge Schmemann sul «New York Times»: quando fece la sua ascesa

dopo il collasso dell’Urss, a soli 32 anni, Nemtsov «era più giovane e più impaziente degli altri». Un oppositore vociante, coraggioso, preparato, prima di morire aveva per le mani un dossier di prossima pubblicazione sul coinvolgimento russo nella guerra in Ucraina. Ma a Putin un omicidio politico così non conviene, dicono i realisti. E nella diatriba del cui prodest si perde di vista un elemento importante, cioè che in Russia oggi l’opposizione, il dissenso, è visto e trattato come un nemico, e che questo clima porta allo scontro, in questo caso allo scontro in armi. Non è certo stato Putin a mettersi un passamontagna e andare a sparare, e con tutta probabilità non desiderava ancora una volta i riflettori accesi sul suo isolamento né la piazza luttuosa che grida slogan libertari, ma questo non toglie il fatto che oggi, in Russia, c’è un oppositore di meno, e che quell’oppositore è stato ammazzato per strada nel centro di Mosca. Gideon Rachman, firma del «Financial Times», ha scritto: «Il presidente russo e i suoi accoliti hanno indubbiamente

Il rapporto tra l’Europa (e l’America) e la Russia è scandito, ormai da un paio di anni, dalle dimenticanze. La crisi ucraina lo dimostra: c’è stata una piazza pacifica che voleva sganciarsi dal giogo russo e abbracciare l’Occidente, cioè noi, ed è stata più volte attaccata, l’obiettivo era raderla al suolo, dagli alleati della Russia; è stata violata l’integrità territoriale dell’Ucraina con un referendum in Crimea non monitorato, il che significa che i confini dell’Europa non sono più com’erano, e a cambiarli è stata la Russia; è stato abbattuto un aereo di linea malese, 300 passeggeri morti, sul cielo dell’Ucraina dell’est dove si combatte una guerra che i russi dicono di non combattere, e a colpire il velivolo è stato un armamento in possesso dei separatisti filo russi, finanziati dalla Russia. Poi ci sono stati gli accordi di Minsk mai rispettati, gli sconfinamenti dei jet russi, le provocazioni, soprattutto la propaganda, secondo la quale la Russia è stata aggredita dall’Occidente, e ora si riunisce sotto al suo presidente di guerra per difendersi. Eppure l’atteggiamento occidentale è

sempre stato conciliante: ci sono state le sanzioni, certo, ma l’obiettivo ultimo è da sempre quello di riportare le relazioni con la Russia alla normalità, magari una normalità freddina, ma comunque non il confronto diretto. Ora che è stato ammazzato un leader politico, l’atteggiamento non sembra mutare. Anche se al confronto internazionale sempre più acceso ora si aggiunge una caccia ai «traditori» interni che getta una luce ancora più sinistra sul regime putiniano. I nazionalisti, con il loro solido sostegno al Cremlino, spiegano perché il potere in Russia non è meno forte (e perché dovrebbe, visto che c’è un oppositore di meno in giro?) e perché la battaglia contro l’Occidente è oggi semmai ancora più dura. Con la speranza di non infastidire troppo la Russia l’Occidente si lascia ancora una volta convincere del fatto che i cani sciolti e assassini sono un po’ ovunque, non si può responsabilizzare troppo Putin. E gli accordi di pace nell’Ucraina dell’est reggono, si dice nelle cancellerie europee, anche se continuano ad arrivare immagini di guerra.

Cantonali, 1,3 dal Cantone Ticino e 700’000 dalle banche ticinesi, sopravvissute al tonfo del gennaio del 1914, aprì i suoi sportelli il 30 marzo 1914. Nei suoi statuti figurava la possibilità del riscatto entro due anni da parte dello Stato. Il Cantone, con una decisione del Gran Consiglio del 6 maggio 1915 decise effettivamente di riscattare la Banca del Ticino e trasformarla in Banca dello Stato. Non ho letto i verbali del Gran Consiglio e quindi non so quale fu l’atmosfera nella quale si prese questa importante decisione. Devo però riconoscere che la stessa non può non suscitare, a cento anni di distanza, quando nel Gran Consiglio ticinese si discute spesso e volentieri solo del sesso degli angeli, che una grande ammirazione. Pensate, cari lettori: all’inizio del 1914 tre banche ticinesi, tra le quali la Banca cantonale, falliscono eliminando di fatto una buona parte dei risparmi dei ticinesi e

la loro fiducia negli istituti bancari. Da Zurigo, Basilea e Berna si accorre per cercare, se non di riparare al maltolto, di arginare le conseguenze negative del fallimento. Attorno al settore bancario ticinese viene costituito una specie di cordone sanitario per evitare che l’epidemia dei fallimenti si diffonda oltre. Si costituisce una banca di soccorso con capitali che venivano, per l’80%, dal resto della Svizzera. Passano 14 mesi – l’attività della Banca del Ticino non è incoraggiante – il Cantone si trova nel bel mezzo del primo conflitto mondiale, con un’economia che ristagna, una popolazione povera e in diminuzione, pochissime prospettive per un miglioramento rapido della situazione e, soprattutto, con appena un milione e mezzo di gettito fiscale. Tuttavia, il parlamento ticinese decide di spendere 8 milioni per riscattare la Banca del Ticino e trasformarla in Banca dello Stato.

Nella votazione si contano 57 favorevoli e 5 contrari. Romano Mellini, che ha dedicato la sua tesi di dottorato a rifare la storia dei primi 50 anni della Banca dello Stato, sembra suggerire che il Gran Consiglio accettò di assumersi il rischio del riscatto per impedire che la Banca del Ticino, con capitali prevalentemente di fuori Cantone, facesse concorrenza agli istituti ticinesi. Insomma era un po’ come dover scegliere tra la padella e la brace. Ciò nonostante pensiamo che non si possano ricordare i cento anni di Banca Stato senza esprimere una grande riconoscenza a quei 57 parlamentari che, nel maggio del 1915, decisero che, nonostante i guai nei quali si trovavano economia e Cantone, si potesse ancora guardare con fiducia all’avvenire del settore bancario ticinese e all’imprenditorialità pubblica. E speriamo che ci sia ancora qualcuno segua il loro esempio!

mico cantonale nello scenario della globalizzazione» redatto da Carlo Pelanda nel 1998 su incarico del Dipartimento delle finanze e dell’economia diretto da Marina Masoni. Al 2015 siamo arrivati e quindi vale la pena di riprendere in mano il volume per tentare un bilancio. Ricordiamo che Pelanda formulava le sue tesi sullo scorcio degli anni 90, un periodo abbastanza fosco per il cantone, definito come stagnazione-recessione; perfino la popolazione era in leggero calo, fatto incredibile, considerata l’impennata demografica del decennio successivo. L’economia appariva in affanno, così come le istituzioni e l’amministrazione cantonali, anchilosate e perciò scarsamente reattive, incapaci di cogliere occasioni e opportunità. Il cantone, insomma, era scivolato agli ultimi posti della classifica intercantonale; la sua macchina produttiva non era più competitiva.

E «competizione», «competitività», «concorrenzialità» erano i tasti su cui batteva insistentemente l’economista italiano nella sua diagnosi. Il Ticino aveva di fronte un bivio, un cartello indicante due strade: o la decadenza controllata o il rilancio competitivo. La prima via l’avrebbe relegato – lentamente ma inesorabilmente – nel limbo del ristagno, con un’amministrazione sovradimensionata ed inefficiente (oggi diremmo un modello greco); la seconda l’avrebbe invece condotto nei promettenti mercati nazionali e internazionali, strappandolo alla sua secolare arretratezza. Questo percorso esigeva però un prezzo: lo sfoltimento generale delle norme che imbrigliavano la libera concorrenza; la riduzione del carico fiscale per persone fisiche e giuridiche; il passaggio dallo Stato sociale allo Stato della crescita. Il capitale – proseguiva l’autore – era di fatto «libero di decidere dove andare in base

al puro criterio di remunerazione». La terapia dunque s’imponeva da sé: una robusta iniezione di liberismo, l’unico lubrificante ritenuto idoneo a sbloccare gli ingranaggi della crescita. Ora, di fronte agli ultimi episodi (tensioni sul mercato del lavoro, decurtazioni salariali, export in difficoltà), molti si chiederanno se Pelanda non avesse visto giusto nel 1998. Che il 2015 segni davvero una svolta, l’avvio di una parabola discendente? Rispondere è prematuro. E comunque l’attuale battuta d’arresto arriverebbe al termine di almeno tre lustri di costante crescita per il cantone. Immaginare che l’economia di una regione o di uno Stato possa solo veder aumentare il proprio Pil non trova conferma nella storia. Prima o poi la curva s’interrompe e in assenza di correttivi scende. Lo afferma la teoria dei cicli economici. Perciò dire che presto o tardi la crisi arriverà è facile profezia.

creato un clima di paranoia nazionalista che ha reso l’assassinio ammissibile. La televisione di Stato ha ripetutamente definito Nemtsov “un traditore”». Le responsabilità culturali di Putin sono piuttosto evidenti. Meno evidente è invece quel che l’Occidente deciderà di fare, anche se, a giudicare da questi primi giorni, la risposta sembra delinearsi. E la risposta è: niente.

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Una centenaria dalle origini movimentate Senza tanta pompa i responsabili di Banca Stato hanno commemorato, nel primo numero del 2015 del loro magazine, il centesimo anniversario dell’Istituto. Il presidente della Direzione generale ha affermato «siamo e saremo la banca dei ticinesi» e il presidente del Consiglio di amministrazione ha ribadito che «il nostro obiettivo storico è quello di supportare l’economia ticinese». Con il vento che tira attualmente, se Banca Stato vuol tener fede al suo obiettivo dovrà stringere bene i bulloni che legano il suo supporto all’economia locale. Raggiungere i cento anni non è facile per un’azienda, neanche per una banca che, tutto sommato, lavora in un ambiente in cui l’impatto delle trasformazioni tecnologiche, almeno fino a data recente, non era molto significativo. Tanto più difficile lo è quando l’azienda nasce da un parto complicato come quello della Banca dello Stato. Probabilmente nelle

celebrazioni del centenario si parlerà poco di questo parto. Segno dei tempi! Secondo noi però sarebbe un peccato dimenticarlo perché la nascita della Banca dello Stato è stata una delle operazioni imprenditoriali più rischiose e maggiormente riuscite mai promosse dai politici ticinesi. Tutto iniziò con il fallimento, nel gennaio del 1914, dell’antenata della Banca dello Stato, la Banca Cantonale. Il fallimento della Cantonale e di due altre banche ticinesi fece accorrere in soccorso del settore bancario ticinese non soltanto le autorità cantonali, ma anche il Consiglio federale e le altre banche svizzere, cantonali e private. Sulle prime sembrò che alla Banca cantonale – che era un istituto di diritto privato – dovesse succedere un altro istituto, sempre finanziato da capitali privati, la Banca del Ticino. La stessa, con un capitale di 10 milioni di cui 6 venivano dal cartello delle banche svizzere, 2 dalle Banche

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti 2015: la profezia del libro bianco Anche la scienza economica vanta i suoi anniversari. Spesso sfuggono all’attenzione dell’opinione pubblica, fors’anche perché si continua a considerare questa branca del sapere una «scienza triste», fatta unicamente di numeri e tabelle. Sarà anche triste, l’economia, fatto sta che gli economisti sorridono. Li incontri ovunque. Alcuni sono diventati celebri come divi del cinema. Sono i nuovi sacerdoti della nostra società stregata dai listini di Borsa. Da loro abbiamo imparato un nuovo vocabolario, parole esoteriche mai udite prima, prelevate dal sempre pescoso bacino lessicale inglese, per la delizia degli iniziati e l’irritazione dei profani. Vediamo dunque di risollevare il morale. Nel 2014 si è ricordato il cinquantennale del Rapporto Kneschaurek, ovvero l’indagine condotta dall’economista luganese sullo «stato e le prospettive» dell’economia ticinese. Ne

hanno scritto Angelo Rossi, Pompeo Macaluso e Franco Masoni sul Cantonetto (n. 5-6, ottobre 2014 ) e Silvano Toppi sull’Archivio Storico Ticinese (n. 156). Nel 1964 pochi ragionavano in base a dati certi, raccolti e classificati dagli statistici; solo una minoranza conosceva i princìpi della scienza economica moderna, i suoi metodi e le sue categorie. Kneschaurek invitava tutti, politici e giornalisti (che tanto amavano incrociare le spade dalle colonne dei quotidiani), ad osservare con occhio scientifico la realtà dei fatti. Non sono molto numerosi i documenti che hanno segnato una svolta nel dibattito politico e civile del cantone. Tra questi citiamo Il settore industriale ticinese, studio promosso e diretto da Basilio M. Biucchi nel 1968; Un’economia a rimorchio, di Angelo Rossi, saggio pubblicato giusto quarant’anni or sono, nel 1975, e infine Ticino 2015, «libro bianco sullo sviluppo econo-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Cultura e Spettacoli Una vita per il teatro Un incontro con l’instancabile Yor Milano, che ha dedicato una vita alla prosa dialettale

La fotografia di Jardini Immagini studiate nei più piccoli particolari, affinché siano perfette

Le memorie di Philip È di recente uscita la biografia di uno dei più grandi autori del nostro tempo, l’indagatore del presente Philip Roth

pagina 38

pagina 37

pagina 35

L’affermazione dell’indie Gli americani The Neighbors confermano la propria bravura con un nuovo album

pagina 36

Fritz Kortner e Louise Brooks in Il vaso di Pandora, film tratto da Wedekind e diretto da G.W. Pabst nel 1929. (Keystone)

E l’Europa scoprì la donna Donne in scena Il teatro di lingua tedesca del Novecento assistette all’ingresso a tratti sconvolgente,

ma mai banale, di indimenticabili figure femminili – Una ricognizione Luigi Forte Grande Belva come la Lulu di Frank Wedekind o multimilionaria cinica e vendicativa come Claire Zachanassian nella Visita della vecchia signora di Friedrich Dürrenmatt, le donne entrano in scena nel teatro di lingua tedesca del Novecento, con una sconvolgente aggressività. E che dire dell’arcitruffatrice Anna Fierling, la Mutter Courage di Bertolt Brecht che s’arrabatta nel caos della guerra dei Trent’anni, o di Erna, Grete e Mariedl, le tre «presidentesse» nell’omonima pièce dell’austriaco Werner Schwab, frustrate e sbruffone, vittime e aguzzine al tempo stesso? In principio c’è Wedekind. Egli non è solo il geniale promotore di una nuova drammaturgia fra Monaco e Berlino, ma anche il cantore di quella cultura antirepressiva di fine secolo che intende valorizzare, contro ogni conformismo borghese, la vitalità erompente di quegli anni, la libertà degli istinti, insomma l’elemento dionisiaco celebrato da Nietzsche. La sua energia e vivacità colpirono il giovane Brecht che non esitò a definirlo, con Tolstoj e

Strindberg, «uno dei massimi educatori della nuova Europa». La sua era una «pedagogia» piuttosto disinvolta: a Parigi, fra il 1892 e il 1895, si appassionò al circo, era di casa nei teatri di varietà e nei cabaret, componeva canzoni e balletti frequentando prostitute e ballerine. Nel frattempo ebbe un figlio dalla moglie di Strindberg e, tornato a Monaco, si diede alla satira collaborando alla rivista Simplizissimus, che gli costò alcuni mesi di carcere per una poesia non proprio encomiastica sull’imperatore Guglielmo II. Proprio nella capitale francese ebbe la sua incubazione il dramma di Lulu, poi diviso in due parti con titoli diversi: Lo spirito della terra e Il vaso di Pandora, proibito dalla censura e sequestrato nel 1906 da un tribunale del Reich. Ci pensò l’amico Karl Kraus a presentarlo in forma privata al teatro Trianon di Vienna. Nasceva così fra i due un sodalizio improntato alla lotta contro l’ipocrisia e il filisteismo, contro la pruderie borghese e la mercificazione della cultura e della parola. Il grande polemista Kraus condivideva appieno la sostanza provocatoria e il gusto paradossale delle pièces di Wedekind. E an-

che il regista austriaco Max Reinhardt, si fece portavoce di quel teatro grottesco estraneo alle atmosfere esangui e intimiste dell’epoca. È il domatore del circo a definire nel prologo dello Spirito della terra la scena del futuro presentando una Lulu acciambellata come un serpente e vestita da Pierrot: «La bestia selvaggia, bella e vera, – egli proclama – soltanto qui, signore, appare intera». L’affascinante e diabolica icona del piacere si lascia dietro vittime e sciagure: il marito Goll muore d’infarto nel sorprenderla con il pittore Schwarz per cui stava posando, che a sua volta si suicida a causa del nuovo amante, il redattore capo Schön, che finirà, contro voglia, per sposarla. Ma anche il suo destino è segnato: Lulu lo tradisce con suo figlio Alwa, poi lo uccide con la pistola che lui stesso le aveva dato. Gli uomini sciamano e cadono come insetti intorno ad una donna che – ricorda il domatore – «è qui a recar sventure tra la gente, / A sedurre, adescare, avvelenare, / Ed ammazzare come nulla fosse». La natura primordiale di Lulu, il suo impeto amorale le permettono di dirigere in modo autonomo i ruoli che le si vorrebbe impor-

re. Certo non fugge dal serraglio in cui l’ha rinchiusa la fantasia maschile; tuttavia riesce a sconvolgere le regole dello scambio e i ruoli dei contraenti: dispensa eros come veleno che atrofizza la morale borghese, mettendone a nudo ambiguità e ipocrisie, e s’insinua nei precordi di signori in marsina sullo sfondo di un insanabile antagonismo fra i sessi. Ma la sua marcia trionfale è destinata alla sconfitta. Incarcerata per l’omicidio di Schön, nel Vaso di Pandora, riesce ad evadere e diventa una prostituta di lusso in un mondo violento che tutto trasforma in merce di scambio. Avventurieri, millantatori e manutengoli la sfruttano e ricattano, come il protettore Rodrigo e il marchese CastiPiani che non usa mezzi termini: «Io non ti ho derubata perché mi amavi – le dice brutalmente –, ma ti ho amata per poterti derubare». Altri faranno di peggio, come Jack lo squartatore, un cliente casuale che accoltella una Lulu ormai ridotta alla fame in una mansarda londinese. Il mito della donna-vampiro elaborato da Wedekind finisce per scontrarsi con una realtà in cui uomini e donne

giocano i loro destini contro forze sempre più anonime in un sistema che tutto reifica e annichilisce. Forse questo è il senso più profondo della disfatta di Lulu e non la condanna morale inflitta dall’autore alla sua creatura. Anche il filosofo Theodor W. Adorno ricordò come dietro le favole del drammaturgo si nasconda l’ansia di un io che viene svuotato e ridotto ad anonima entità nell’incessante trasformazione meccanica degli eventi vitali. Per questo Wedekind sognava un grande sistema teorico ispirato alla riforma e all’affrancamento dell’eros, convinto, com’era, che la repressione sessuale contribuisse alla conservazione e alla stabilità di quella società borghese che il suo teatro fustigava. Ma era un’utopia destinata a infrangersi, giacché la sua prospettiva separava i processi dell’emancipazione individuale, anzitutto della donna, da tutte le questioni dell’emancipazione sociale. Il vitalismo rampante e spregiudicato della femmina Lulu non portava molto lontano. Come diceva Karl Kraus, forse con un eccesso di pessimismo anche per quei tempi: «La donna può fare ciò che vuole l’uomo, ma solo se non lo vuole lei».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Cultura e Spettacoli

Il dialetto è parlare a colori Personaggi Incontro con Yor Milano, che da decenni è un punto di riferimento

per la scena teatrale popolare ticinese

Alessandro Zanoli Racconta Yor Milano che Franco Lurà, vedendolo arrivare alla presentazione di un suo libro, sarebbe sbottato in un «Oh signur, a gh’è scià ul vescuf!». Vescovo forse no, ma portabandiera del dialetto ticinese, Yor Milano lo è senza dubbio. Insieme ai colleghi del Teatro popolare della Svizzera italiana ha mantenuto alta una tradizione che, discendendo dal grande maestro Sergio Maspoli ha allietato platee teatrali, radiofoniche e televisive per decenni. Dal 2000 Yor Milano ha curato una produzione teatrale in dialetto in sinergia con la Rsi, collaborazione che si è interrotta quest’anno per i motivi di cui la stampa ha abbondantemente riferito. Senza voler entrare nel merito della controversia abbiamo pensato di parlare con l’attore ticinese della situazione del teatro dialettale, della vitalità del dialetto e del modo con cui il Tepsi (Teatro popolare della Svizzera italiana e Insubria) si impegna per mantenere la sua vocazione culturale e linguistica. Come vede dal suo osservatorio la scena del teatro dialettale, che impressione ne ha?

Vedo tanti uccellini con il becco aperto, che aspettano l’imbeccata, cioè tanti spettatori che aspettano di riempirsi di teatro. La situazione è questa. Certo, c’è una fetta di pubblico a cui non interessa il teatro dialettale, ma chi invece è veramente un fan del dialetto, perché lo parla o anche solo perché lo ama, ci tiene moltissimo, caspita! Queste persone si aggrappano a noi, in un certo senso. Sono spettatori che sanno criticare, sanno distinguere le produzioni di scarsa rilevanza, dalle nostre. Il pubblico che ha visto noi da 50 anni, vede la differenza. E allora aspetta, aspetta che facciamo qualcosa noi. Tra l’altro c’è un fenomeno strepitoso: c’è un sacco di gente, soprattutto del sud, che vive in Ticino e che tiene tantissimo al dialetto. È una cosa bellissima. E con l’accento napoletano ti dicono che adorano il nostro teatro perché il dialetto esprime quello che la gente ha nel cuore. Il dialetto come lingua del sentimento sa toccare corde che non sono solo regionali...

noi ne L’apetit l’è la salsa püssé bona che ga sia, una commedia di Vittorio Barino di tre anni fa, e non ha deluso le mie aspettative. Si è dimostrata subito duttile, intonata, sicura di sé per cui, con Flavio sono stati i protagonisti di Possibil che ma capitan tücc a mi? Da allora è sempre all’altezza della situazione e ne vado fiero! Va poi segnalato il nuovo acquisto del TEPSI: Giuseppe Franscella che ha debuttato con noi creando una caratterizzazione molto apprezzata dal pubblico, il ginecologo d’oltre Gottardo, romantico e sprovveduto che ha dimostrato in modo geniale di non intendersi di donne. Un grazie anche a Giampaolo Caligari, Anna Bianchi e all’imprevedibile Felix Karoubian per il loro prezioso contributo

Io dico sempre che parlare il dialetto è parlare a colori. Una conferma bellissima l’abbiamo avuta con la nostra attività di doppiaggio dei film del passato. La prima esperienza è stato un western, Sentieri selvaggi, uno dei più belli, con sentimenti forti, perché è una storia vera. Il titolo è Se ta cati ta copi, perché è la storia di Ethan Edwards (John Wayne), che va a cercare un indiano responsabile del massacro del fratello e tutta la sua famiglia. In quel film in bianco e nero è come se il dialetto aggiungesse la dimensione del colore?

Ci sono delle scene che in dialetto acquisiscono un impatto molto forte. Per trovarle guardo tutto il film con calma, cerco le espressioni giuste. Nel western a un certo punto c’è una scena in cui lo sceriffo impedisce a Wayne di sparare e lui invece si arrabbia e gli risponde «Reverendo, dàgan un tài». E tu lo vedi, sembra che dica davvero quelle parole. In Dü testimoni scomod, che è la versione in dialetto di A qualcuno piace caldo (A quaidün ga pias cald, non era proprio bello) c’è un altro esempio del «parlare a colori»: mentre sono sul treno, a un certo punto Tony Curtis scuote Jack Lemmon e quello gli dice «Ta sé mia cusa ta mè fai? Ta mè fai bürlà giò una téta...». La versione italiana: «Mi hai fatto cadere un seno» non fa ridere allo stesso modo. Se lo dici in dialetto è da morire. Adesso stiamo preparando Tre uomini in fuga, (La grande vadrouille) con De Funès, Bourvil e Terry Thomas: viene molto bene, lo presenteremo al Cine Star in primavera. Un’idea davvero molto originale. Infatti ho pensato sarebbe bellissimo che diventasse un format e si doppiassero in piemontese, in genovese, veneto, eccetera. Sarebbe strepitoso... Torniamo a parlare di teatro: il buon teatro ha bisogno di buoni testi...

Per quello che riguarda le commedie abbiamo iniziato questa bella collaborazione con un giovane autore, Giona Calderari. Lui aveva scritto una commedia per i ragazzi, che ho messo in scena alla Scuola Media di Massagno. Era venuta fuori una cosa fantastica, Romeo e Giülieta, ambientata in un paesino. Ho pensato: «Giona, è il tuo

Per concludere questa chiacchierata?

Ambasciatore del teatro in dialetto, e non solo... (Stefano Spinelli)

momento, io ti do un canovaccio, te lo studi bene e mi scrivi una bella commedia, anzi il titolo te lo do io, Una bela tosa par tri dotor». Volevo che fosse un po’ diversa, ambigua, e così mi ha scritto una commedia bellissima. ...e di buoni attori.

Nel Tepsi ho creato veramente dei personaggi nuovi. Flavio Sala, lasciando da parte il fenomeno Bussenghi che è

un suo successone professionale, ma è cabaret, non è teatro, con me ha avuto la possibilità di fare anche l’attore. Con una regia curata, giusta, lui ha dimostrato di essere un perfetto attore giovane, comico, brillante. Poi c’è Simona Bernasconi, che ha raggiunto un buon livello di recitazione, bellissima, ha pure la fortuna di essere particolarmente telegenica. Ha debuttato con

Da anni il TEPSI si preoccupa di rivitalizzare le nostre origini, difendendo a spada tratta il nostro dialetto. Infatti, una comunità che perde la propria lingua, perde la sua identità. Due sono i fattori che minano la nostra identità: la globalizzazione che ha invaso il mondo intero e che tutto appiattisce, e la nostra società sempre più multietnica. Certamente le tante razze che ormai formano la nostra popolazione ci arricchiscono delle loro culture ma, proprio per questo, noi non dobbiamo perdere la nostra identità e il nostro bagaglio culturale, le nostre tradizioni e quindi la nostra lingua. Per concludere, vorrei ancora ringraziare gli sponsor Migros Ticino, Manor, Fox Town e l’imprenditore Ennio Ferrari, per aver garantito la registrazione della commedia dialettale. Il pubblico della Svizzera italiana, deluso per la cancellazione dell’appuntamento che da 13 anni veniva proposto dalla RSI il 31 dicembre, ha apprezzato tantissimo questo intervento e gli sponsor ne escono con un’immagine rafforzata in stima e simpatia. Un sentito grazie a Filippo Lombardi, prezioso partner per la ricerca di sponsor e a TeleTicino per averla messa in onda. Spero di poter contare anche quest’anno su tanta generosità e sensibilità nei confronti della cultura popolare di casa nostra.

Le parole del silenzio Pubblicazioni Un originale saggio antologico della linguista italiana Bice Mortara Garavelli dedicato

alle forme del silenzio nella composizione letteraria

Stefano Vassere «Voi, mie parole, tradite invano il morso / secreto, il vento che nel cuore soffia. / La più vera ragione è di chi tace. / Il canto che singhiozza è un canto di pace». Comincia così, con Montale, un tempestivo saggio di Bice Mortara Garavelli dal titolo Silenzi d’autore. Tempestivo perché il tema è moderno oltre che originale: è quello del tacere, del silenzio, del vuoto temporaneo in letteratura. Del quando la narrativa (ma anche la poesia) rappresenta una sospensione: non dicendo, tacendo, ma anche accompagnando il non detto con qualifiche e aggettivi. E una rassegna, un campionario di silenzi è appunto questo libro. Bice Mortara Garavelli è Bice Mortara Garavelli; nel senso che è una specie di mamma della linguistica italiana contemporanea, autrice di mirabili saggi di retorica e di qualche sua personale direzione di studi, con il quasi assoluto monopolio sull’indagine a proposi-

to del linguaggio giuridico italiano, con una Storia della punteggiatura in Europa e con molte e molte pagine su retorica e stilistica. In questo nuovo libro ci sono quattro parti principali: la

serie dei silenzi nella letteratura greca e latina, poi la letteratura italiana con le associazioni del silenzio all’oscurità e altri accoppiamenti, un capitolo dove il silenzio è silenzio perché è l’indicibile silenzio della shoah e infine uno sui silenzi della devozione e della sacralità. Il libro procede, come detto, con passo antologico e per anche generosi assaggi, dove il silenzio è segnalato da didattici corsivi della curatrice. Come nella gelida Antonia Pozzi a pagina 24: «Quando dal mio buio traboccherai / di schianto / in una cascata / di sangue – / navigherò con una rossa vela / per orridi silenzi / ai crateri / della luce promessa» (qui non si vede, ma disposti come si deve i versi cadono rapidi, come una cascata vera, di sangue) e a pagina 25: «Ho tanta fede in te. / Mi sembra / che saprei aspettare la tua voce / in silenzio, per secoli / di oscurità». Il silenzio non è informe e non tutti i silenzi sono uguali, e così la rassegna degli attributi conta per esempio silenzi manzoniani di volta in volta astiosi,

vasti, forzati, impazienti; e se da una parte esso richiama l’assenza, la mancanza e la rinuncia, d’altro canto altri autori si fanno forza nel non detto, nel risparmio delle parole, quando ci vuole. La rassegna è qui ricca ma anche ogni tanto sorprendente, e così Renato Serra sembra quasi anticipare di un secolo il Cormac McCarthy più plumbeo quando dice: «Non vedo le tracce degli uomini. Le case sono piccole e disperse come macerie; un verde opaco e muto ha uguagliato i solchi e i sentieri nella monotonia del campo; non c’è né voce né suono se non di caligine che cresce e di cielo che si abbassa, grigio». E, anche, il silenzio ha una sua dimensione sociale, ovvio, e secondo questa dimensione è distribuito in posti più o meno prevedibili: si sa, nell’animo dei contadini, «questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini, legame non religioso, ma naturale». Ma è anche in regioni e localizzazioni: c’è un libro,

una raccolta di racconti senza titolo ma con loro etichetta geografica, che si chiama I Silenzi. Dalle Langhe alla Sicilia e alla Sardegna e che presenta una teoria geografica di questo solo apparente stato zero della comunicazione. È sonora, la linguistica del silenzio di Bice Mortara Garavelli. (Come si dice «al momento di andare in stampa», questo spazio bisettimanale dedicato a linguistica e cose affini e il piccolo club dei linguisti che hanno passato – a naso – i quaranta si commuoveranno un po’ nell’apprendere che una settimana fa a ottantotto anni è morto Joshua Fishman, forse il più puntuale e commovente tra i sociolinguisti americani «pieni di grazia» del secondo dopoguerra novecentesco; sì, certa scienza così ben fatta, eccome, commuove). Bibliografia

Bice Mortara Garavelli, Silenzi d’autore, Roma-Bari, Editori Laterza, 2015.


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Cultura e Spettacoli

Un Giappone (quasi) tutto da immaginare

Cayo Cochinos si distingue nel peggio

Mostre Una curiosa mostra al Museo di etnografia di Neuchâtel per i 150 anni

Visti in tivù Su

dell’amicizia tra Svizzera e Giappone Marco Horat La storia di questa esposizione ruota attorno a un personaggio illustre: Aimé Humbert nato a Neuchâtel nel 1819 e vissuto fino alla fine del secolo, dopo una vita fatta di importanti esiti professionali. Fu lui che nel 1864 siglò a Tokyo (allora si chiamava Edo) il primo Trattato commerciale e di collaborazione tra la Svizzera e l’Impero del Sol Levante. Nel 1862 Humbert era stato nominato Ministro plenipotenziario di Svizzera in Giappone e l’anno seguente era partito per Yokohama, uno dei pochi porti aperti agli stranieri, alla testa di una piccola delegazione, con lo scopo di preparare l’incontro per la firma. Per il Giappone un periodo fondamentale per la sua storia millenaria: il passaggio dall’epoca Edo all’era Meiji, come dire dalla tradizione alla modernità. Le trattative andavano per le lunghe e così il nostro diplomatico ebbe modo di dedicarsi alla raccolta sul posto di una montagna di documenti su quel paese allora poco conosciuto: stampe, incisioni, fotografie e informazioni relative alla vita quotidiana della gente, all’economia, alla politica, alle arti. Non per assecondare un gusto estetico per l’esotismo o per la bellezza in sé (vedi le famose stampe di Hokusai, Hiroshige e soci), ma, cosa straordinaria per un non-etnologo, per documentare una realtà culturale e sociale diversa dalla sua. E sicuramente, bisogna pur dirlo, per l’interesse politico ed economico che la sua missione comportava. Al suo rientro pubblicherà su una rivista francese e poi in volume da Hachette nel 1870, un libro fondamentale per la conoscenza del Giappone di allora: Le Japon illustré, due grossi tomi ricchi di osservazioni di viaggio e di immagini. Ma non di immagini direttamente tratte dalla sua sconfinata raccolta (più di 3600 documenti iconografici): la curiosità sta nel fatto che buona parte delle illustrazioni sono incisioni su legno rielaborate a posteriori partendo da soggetti diversi che Humbert aveva indicato con pre-

La sezione della mostra dedicata alla città comprende opere di Olivier Christinat, Homme Bleu, Nicolas Sjoestedt e Julien Glauser.

cisione nelle sue note. In altre parole un processo tipo Photoshop moderno, che combina tra di loro temi presi da varie parti dentro un’unica scena, qualche volta stravolgendo le atmosfere originali; così che il risultato è al tempo stesso una rappresentazione della realtà ma anche frutto della fantasia e dell’interpretazione etnocentrica dell’artista. Di qui il titolo della mostra Imagine Japan. Per fare un esempio: una scena di mercato che un anonimo artista giapponese ha ritratto o fotografato, viene ripresa dall’incisore introducendo però la figura di un saltimbanco che ingoia una spada, da un samurai che passa tra la gente con il suo seguito o da un artigiano che lavora la creta, provenienti da altre stampe o fotografie. Il Museo di etnografia di Neuchâtel possiede una gran parte di questi straordinari e fragili documenti che saranno infatti presentati a rotazione, sempre con poca luce e con solo 50 persone in sala alla volta per questioni di umidità dell’aria. Li espone ora al pubblico unitamente a un’altra collezione

sui generis frutto della passione di un moderno collezionista neocastellano: quella che si rifà agli inconfondibili cartoni animati made in Japan che tanta influenza hanno avuto sulla cultura giovanile di tutto il mondo in questi decenni. Anche qui gioca un ruolo importante la passione per oggetti apparentemente poco rilevanti quali le tavole di celluloide sulle quali sono stati dipinti gli sfondi per disegni animati che forse abbiamo visto anche noi in televisione prima che il digitale prendesse il sopravvento. Una volta utilizzate, queste immagini venivano praticamente buttate via... fino a quando qualcuno ha cominciato a raccoglierle e a catalogarle forse per amore verso la giovinezza perduta. Anche in questo caso emerge un Giappone immaginario che si sovrappone a uno realistico. In effetti si tratta delle due facce di una stessa medaglia: quella del passato e quella del presente viste con gli occhi della cultura popolare e soprattutto della fantasia interpretativa, che costituiscono un elemento di continuità: nei Manga di oggi si riflettono le stampe colorate

dell’800, ovviamente in una diversa prospettiva: la vita di una città, il lavoro, la famiglia, gli eroi (dai samurai agli Ufo-robot) e via dicendo. Ad accomunare le due sezioni della mostra le reciproche influenze tra le due visioni e culture. Humbert era partito per il Giappone con occhiali ideologici normali per quel tempo: credeva nella tecnica: uno dei regali per il Tenno era un orologio Girard Perrégaux che doveva sancire il passaggio al nostro sistema di misurazione del tempo, in un paese che contava le ore in modo diverso; così tra parentesi si poteva avviare l’esportazione in Giappone di orologi svizzeri! Egli credeva nella superiorità dell’Europa e della religione cristiana (era calvinista), in un sistema portatore di progresso tecnico e benessere. Dal paese del Sol levante era tornato con qualche dubbio in più e qualche certezza in meno, da persona sensibile e di grande cultura quale era. E con qualche visione premonitrice, come traspare da alcune citazioni tratte dal suo libro che fanno da filo conduttore alla mostra. Forse non si sarebbe meravigliato più di tanto vedendo sfrecciare sulle nostre strade Kawasaki e Toyota e un sacco di gente con una Canon a tracolla. Come pure venendo a sapere che un artigiano di Corcelles forgia pregiate spade katana che vende in tutto il mondo, che a La Chaux-deFonds esiste un frequentato monastero zen da trent’anni, che i tatuaggi sono diventati una moda dilagante anche in Svizzera e che a mezzogiorno possiamo mangiare sushi. Accompagna la mostra un finalmente agile catalogo di piccole dimensioni, ben strutturato e illustrato, che riporta i testi di Humbert e approfondisce alcuni temi evocati nelle sale del MEN. Dove e quando

Imagine Japan, Neuchâtel, Museo di etnografia MEN. Orari: 10.00-17.00; lunedì chiuso. Fino al 26 aprile 2015. www.men.ch

Caos calcolato Fotografia Un emozionante Caos apollineo nelle immagini di Gabriele Jardini Giovanni Medolago Di fronte al sorprendente lavoro di Gabriele Jardini, la nostra mente è subito andata all’opera dell’artista brasiliano Vik Muniz, scoperta in un’esposizione al Musée de l’Elysée di Losanna parecchi anni or sono. Perché? I due artisti, prima di fotografarli, creano i loro soggetti: Jardini manipolando ciò che comunemente troviamo per casa; Muniz utilizzando elementi quali il filo di refe, lo zucchero e divertendosi poi con la cioccolata. Le affinità si fermano tuttavia qui, perché se Jardini crea ex novo ciò che diventerà un suo soggetto, Muniz parte da qualcosa che è già stato soggetto per qualcun altro: paesaggi di Cortot o Monet, l’ormai celeberrima Origine du monde di Courbet, oppure l’altrettanto famosa immagine di Jackson Pollock impegnato in un’action painting. Jardini afferma dunque la sua piena libertà di giocare con un universo che si crea a suo uso e consumo: «Sono un architetto prestato alla fotografia», dice infatti lo stesso artista, ma non è certo un caso se a questo architetto sia poi capitato in mano un apparecchio

fotografico. Sono un artigiano, aggiunge, che si avvale delle nuove tecnologie: tante, ma non dell’aborrito photoshop (che secondo Berengo Gardin andrebbe abolito per legge!). Jardini, come le sue fotografie, è una personalità dalle mille sfaccettature e dunque tutta da scoprire: ha studiato pianoforte e composizione al Conservatorio di Milano, diplomandosi poi in canto corale e direzione di coro. «La musica è come una sirena da cui è difficile staccarsi», e difatti l’insegnamento della musica è stata la sua professione «prima di scoprire nel mio intimo che ciò che veramente posseggo è la passione per il disegno e la scultura». Ha esordito in mezzo alla natura, proponendo giusto trent’anni fa interventi scultorei su alberi e sassi, rami, neve e foglie, fissando poi le sue performance sulla pellicola che in questo modo raggiungevano per certi verso lo status di quadro. Oggi Jardini crea le sue opere nel proprio atelier, dedicando due o tre settimane alla costruzione di autentici set. Sono nature morte in cui, dice, «rispetto la regola che vuole la luce provenire sempre da sinistra, sin dal lontano ’600».

Calder Parterre V, di Gabriele Jardini. (© Gabriele Jardini)

È difficile descrivere le foto esposte alla Cons Arc e, in questo contesto ci torna utile il titolo dato all’esposizione: Caos apollineo, un ossimoro che perlomeno riassume quanto stiamo vedendo: in Calder parterre dalle punte di matite colorate perfettamente allineate sul profilo del tavolo dove sono sistemate, parte una serie di linee disegnate su una parete bianca. Una foto unica, poiché solo nel momento di «quello» scatto Jardini è riuscito a cat-

ture geometrie e simmetrie assolute: un minimo errore di parallasse ripetendo l’operazione, ed ecco che matite e linee perderebbero il loro punto d’incontro. In altra occasione, la didascalia Fulmine indica il danno che rovina longitudinalmente una brocca, una crepa che continua poi il suo percorso su un piatto e il coltello che vi sta appoggiato. Ma è inutile, come detto, tentare di spiegare le immagini di Jardini: corriamo il rischio di confondere le idee ai lettori. Molto meglio lasciare ancora la parola a Jardini, che spiega: «Caos apollineo è un ossimoro dietro il quale si nasconde una metafora: quella della nostra vita che, in quanto esseri umani, vorremmo tendesse sempre verso il bello e l’assoluto, ma che deve fare i conti anche con il caos della realtà che ci circonda». Dove e quando

Caos apollineo; Fotografie di Gabriele Jardini. Galleria Cons Arc, Chiasso, (Via Gruetli 1). Orari: ma-ve 9.0012.00, 14.00-18.30; sa 9.00-12.00. Fino al 15 marzo 2015. www.consarc.ch

Canale 5 va in onda la più modesta edizione dell’Isola dei famosi Antonella Rainoldi

Al peggio non c’è mai fine. E in questo momento, c’è qualcosa di peggio dell’Isola dei famosi? Mai visto un programma così imbarazzante (Canale 5, lunedì, ore 21.30). Cayo Cochinos 2015 è la più modesta edizione dello storico, o meglio del preistorico reality. Le ragioni sono tante, proviamo a elencarne alcune, lasciando perdere ogni delicato confronto con le stagioni precedenti. Fin dalla prima brevissima puntata si è visto con tutta evidenza che la conduttrice non sa condurre. Alessia Marcuzzi è una brava ragazza, ma poverina, non ha carisma, non ha il senso del

Alessia Marcuzzi. (isola.mediaset.it)

ritmo. Basta poco, un imprevisto, un tempo morto, la rivendicazione patetica di un morto di fama, e lei va subito in confusione. Purtroppo gli opinionisti in studio non l’aiutano. Come tutti gli opinionisti, «la zia» Mara Venier e Alfonso Signorini non hanno idee ma fingono di averle. Per non smentirsi, i due si esercitano in una serie infinita di mezze frasi e doppi sensi, forse ispirati dalla presenza sull’isola del pornodivo Rocco Siffredi. Anche a Cayo Cochinos le cose non vanno per il verso giusto. La tempesta si è dissolta, non piove più, il mare è calmo, il vento è cambiato. Bisogna accontentarsi dei morti di fama. Nei reality i concorrenti contano molto, ma questi naufraghi sembrano una banda di sfigati, capaci solo di suscitare sentimenti contrastanti di tristezza e compassione. Nessuno salva l’isola dal naufragio, così come l’isola non salva nessuno dal degrado puro. Dal semisconosciuto all’illustre sconosciuto, da Pierluigi Diaco a Cecilia Rodriguez, da Patrizio Oliva a Rachida Karrati, tutti hanno una famiglia da aiutare, un portafoglio da rimpinguare, un’infanzia difficile da riscattare, un sasso da lanciare e una mano da nascondere. Persino Catherine Spaak è finita a fare la naufraga a Cayo Cochinos, seppure per pochi giorni. L’Isola dei famosi è il peggio della tv e insieme lo specchio di un Paese che aspira al meglio ma primeggia nel peggio. P.S. Il post scriptum della scorsa settimana conteneva un errore. Alla RSI i faccia a faccia del Quotidiano in vista delle elezioni cantonali di aprile sono partiti martedì 3 marzo e non lunedì 2, come invece abbiamo scritto. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori. Ce ne scusiamo con gli interessati e con i lettori, giustamente attenti fino alla spietatezza.


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Cultura e Spettacoli

Quando Roth ci provò con la Kennedy Pubblicazioni Il prolifico scrittore statunitense Philip Roth al centro di una biografia

scritta da Claudia Roth Pierpoint, giornalista del «New Yorker»

Mariarosa Mancuso Nel 1964, Philip Roth corteggiò per qualche settimana Jacqueline Kennedy. Si erano conosciuti a una festa, lui era intimidito ma finì per commentare «una donna intelligente». Si rividero qualche altra volta, dopo che lui era andato a comprarsi un completo elegante e un paio di scarpe nere per non sfigurare in società. A tormentarlo, anche le regole del galateo: «Ero mancino, a tavola si serve da destra, e se le avessi rovesciato addosso qualcosa?»

In letteratura i pettegolezzi si chiamano (auto)biografie, o epistolari. Questo libro ne è pieno Jacqueline Bouvier vedova Kennedy interpretava l’etichetta a modo suo. Tornati a casa una sera, con la limousine e l’autista, propose a Philip Roth: «Le va di salire?», e senza attendere risposta aggiunse «Ma certo che sì» (la fama di sciupafemmine precedeva lo scrittore, la signora aveva trovato un modo garbato per fargli capire che sapeva). Lui salì, piuttosto agitato. Soprattutto dopo la frase «I bambini sono a letto» (vuol dire il piccolo John John che aveva salutato la bara del padre mettendosi sull’attenti? proprio lui).

Quando alla fine la baciò – un gentiluomo per quanto timido e messo in soggezione sa che lo deve fare, dopo che una signora ti ha invitato a casa – disse che «era come baciare una faccia su un manifesto pubblicitario». O magari, visto che Roth non era ignaro di quel che succedeva a New York (mentre la traduttrice Anna Rusconi non sembra avere colto il riferimento), una delle serigrafie che Andy Warhol aveva dedicato a Jackie. È uno dei tanti pettegolezzi – ma i pettegolezzi in letteratura si chiamano biografie, autobiografie e in qualche caso epistolari, bellissimo quello di John Cheever nelle edizioni Feltrinelli – da gustare in Roth scatenato. Uno scrittore e i suoi libri. Lo firma Claudia Roth Pierpoint (non sono parenti, lei è una giornalista del «New Yorker», compare accanto allo scrittore in una celebre fotografia), è appena uscito da Einaudi. «Uno scrittore e le sue donne» avrebbe ugualmente fatto al caso, visto l’intreccio tra avventure amorose e scrittura che riempie le pagine. C’è un vestito nuovo – principe di galles, con gilet, comprato da Brooks Brothers – anche nel primo sposalizio di Philip Roth, sintetizzato dalla biografa come «Il più devastante, doloroso e duraturo dal punto di vista degli effetti letterari dopo l’unione tra Scott Fitzgerald e Zelda» (che finì in manicomio). In effetti lo scrittore, interrogato di recente in materia dei diritti rivendicati dagli omo-

sessuali, rispose con bella sincerità: «Proprio non li capisco, lottano per le due cose che mi hanno rovinato la vita, il servizio militare e il matrimonio». Il primo matrimonio fu con Maggie Williams, che una mattina del 1959 gli disse «sono incinta». Philip Roth, evidentemente d’accordo con Cyril Connolly, lo scrittore britannico (e gay) convinto che una carrozzina in casa fosse il peggiore nemico dell’arte, la convinse ad abortire, e per risarcimento la portò all’altare. Scoprì più tardi che non era vero niente, e che il campione da analizzare era stato fornito, a pagamento, da un’altra ragazza. Ma ormai erano sposati (e non si può non notare, di passaggio, che la romanziera dilettante aveva avuto la meglio sul professionista). Il secondo matrimonio, una ventina di anni dopo, fu con l’attrice inglese Claire Bloom, anche lei sposata per una sorta di risarcimento. Philip Roth aveva perso la testa, sei mesi l’anno viveva a Londra (pur tra gli screzi con la figlia di lei). Nei mesi americani, aveva tradito Claire con una vicina di casa nel Connecticut, e aveva avuto la leggerezza di ficcare in un romanzo, intitolato Inganno, una tradita di nome Claire. La vera Claire indagò e scoprì la tresca. Il fedifrago passò da Bulgari, e accompagnò il gioiello con un invito a nozze. Finì malissimo, qualche anno dopo, e la seconda signora Roth si vendicò raccontando tutto in Leaving a Doll’s House (Lon-

Philip Roth in un’immagine di qualche anno fa. (Keystone)

tano dalla casa delle bambole). John Updike lo recensì, e Philip Roth gli tolse il saluto per sempre. Siccome Claudia Roth Pierpoint è brava e informata, nonché amica dello scrittore, tra un pettegolezzo e l’altro riesce a tracciare anche il bel ritratto letterario di Philip Roth. Utile per il ripasso e anche per sapere qualcosa dei romanzi che non abbiamo letto, o che abbiamo lasciato a metà. Ognuno ha il suo Roth personale, il nostro comincia con il Lamento di Portnoy, uscito nel 1969 (i genitori furono mandati in crociera, per timore dello scandalo, ma

papà aveva una valigia piena di copie da distribuire ai naviganti). Dopo una serie di delusioni, la passione riprende nel 1995 con Il teatro di Sabbath e con Pastorale americana. Non riusciamo ad apprezzare L’animale morente e amiamo invece Everyman, per restare tra le storie più cupe. E a proposito di tristezza, saperlo nel Connecticut, da pensionato che scrive solo favole con la figlia di una sua ex fidanzata, ormai esperto di cortecce e di licheni, non è quel che ci aspettavamo da lui. Claudia Pierpoint Roth, da brava biografa, registra e non commenta. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Di somma grazia Musica La delicatezza di Drew Holcomb e del suo cantautorato

Jimi come nessuno l’ha mai visto

poco commerciale riportano l’attenzione sulla scena indie targata USA

Jimi: all is by my side

Benedicta Froelich

Zeno Gabaglio

Quando si parla della scena musicale odierna, vi sono talune verità che, seppur dolorose, non possono essere ignorate da un vero appassionato. Una di queste è che l’industria discografica di oggi raramente permette agli artisti più meritevoli la visibilità che essi meriterebbero – o meglio, la permette soltanto a quei nomi la cui offerta musicale si presenti come sufficientemente mainstream da poter garantire un più che sicuro riscontro commerciale. Ciò significa che, al di là del rock radiofonico, la scena internazionale ha relegato molta della musica di matrice folk-country-roots più interessante di questi anni al microcosmo dell’ambito cosiddetto «indie» (alternativo) – ovvero, a quell’intrigante e misterioso universo vagamente underground nel quale raramente gli ascoltatori casuali si avventurano. Un mondo che propone sortite musicali spesso ben più originali e affascinanti di quelle offerte dal regno delle star di grande successo, tanto che, in questo senso, la scena folk-rock angloamericana pullula letteralmente di validi esempi; anche perché, contrariamente a quanto l’ascoltatore medio potrebbe pensare, dischi come questo nuovo album di Andrew «Drew» Holcomb e della sua band The Neighbors dimostrano come anche la musica indie possa essere estremamente accessibile e orecchiabile, senza alcun tipo di altezzoso o astruso esclusivismo. E in effetti la parabola artistica dell’appena trentaduenne Holcomb – il quale, originario di Memphis, per ovvi motivi di affinità musicale ha eletto la sempreverde Nashville a sua patria – è stata comunque premiata da un successo di gran lunga superiore a quello cui la maggior parte dei colleghi del suo milieu può aspirare: le instancabili tournée intraprese dall’artista (che ha funto da supporter a nomi del calibro di Ryan Adams e Los Lobos), così come l’inclusione di diverse sue composizioni nelle colonne sonore di serie TV come Dr. House, hanno fatto sì che, nel corso degli anni, Drew sia riuscito a costruirsi un seguito fedele. La proficua collaborazione con i già citati The Neighbors (di cui fa parte anche la moglie Ellie) ha fatto il resto, permettendo a Holcomb di incidere con loro,

«Questo film è stato una vera delusione. C’era gente che russava in sala, gruppi di spettatori che uscivano in gruppo prima della fine. E avevano ragione, io da fan di Jimi Hendrix ho fatto fatica a restare seduto per tutta la durata della pellicola. L’attore scelto ad interpretare il grande chitarrista ha un viso che non ispira simpatia, oltretutto con un bitorzolo gigantesco sulla faccia che con Hendrix non c’entra nulla. L’atmosfera della Londra di quegli anni non è per niente ricostruita. Pochi gli esterni e poco della psichedelia/figli dei fiori». Certo che a leggere nei blog simili opinioni – spontanee e quindi molto probabilmente veritiere – la voglia di andare a cercarsi in DVD il film Jimi: all is by my side scende proporzionalmente ad ogni nuova parola. La notizia di un biopic sul più grande chitarrista di tutti i tempi era però nell’aria, una di quelle nuvole che non si capisce bene se vanno o vengono; emersa un paio di anni fa – sulla scorta delle sempre abili azioni di marketing – ma poi non se ne era saputo più niente. E sì che le premesse per un evento, se non proprio epocale perlomeno importante, c’erano tutte: un personaggio mitico della storia del rock cui non era mai stato dedicato un film, un regista e sceneggiatore (John Ridley) recente premio Oscar per 12 anni schiavo, un attore (André 3000, frontman degli Outkast) non troppo dissimile da Hendrix e come lui esponente di spicco della comunità musicale afroamericana, un curatore musicale (Waddy Wachtel) che vanta un’esperienza non indifferente

Medicine, il nuovo album di Drew Holcomb and The Neighbors.

tra il 2007 e oggi, ben sette album; e oggi questo nuovo Medicine, da poco pubblicato presso la solita Magnolia Records, costituisce, secondo lo stesso Drew, «il nostro lavoro migliore nei dieci anni in cui abbiamo fatto musica insieme». Effettivamente è difficile non condividere un simile giudizio, in quanto l’album mostra un grande equilibrio e grazia interpretativa, e una sapiente capacità di sintesi tra musica e testi: le agili liriche di Drew si combinano alla perfezione con le semplici ma efficaci melodie dal sapore folk-country intessute dalla band, dando vita di volta in volta a riflessive digressioni intimiste o a dichiarazioni d’amore allegramente baldanzose. Lo dimostra un’aggraziata (seppur non molto originale) ballata acustica come la traccia d’apertura, American Beauty, la quale richiama alla mente certe atmosfere tipiche del folk americano anni 90; o, ancora, lo si nota in piccole gemme quali il misurato ed elegante Tightrope o il romantico Avalanche. La voce piacevole e suadente di Drew, che a tratti ricorda quasi la dolce arrendevolezza di un James Taylor, si trova a suo agio sia sui brani lenti (You’ll Always Be My Girl) che su quelli elegantemente esuberanti, come Shine Like Lightning e Sisters Brothers; allo stesso tempo, anche i disinvolti divertissement per piano e chitarra di brani come Here We Go (che sembra provenire direttamente da un’esibizione live in

qualche fumoso localino di Nashville) e Ain’t Nobody Got It Easy risultano interpretati in modo impeccabile, tanto che simili esecuzioni, immuni dalla minima esitazione o imperfezione, costituiscono prova evidente della maturità artistica raggiunta da Drew e dalla sua ormai rodatissima band. Certo, la musica di Holcomb non propone grandi sconvolgimenti di natura lirica o melodica; per quanto musicalmente fini i suoi arrangiamenti siano, e per quanto delicati e attenti alla vita e ai sentimenti di tutti i giorni i testi risultino, le sue canzoni non possiedono quella caratura innovativa o particolarmente sofisticata che in passato ha contraddistinto il lavoro di rivoluzionari del genere quali i maestri del folk revival anni 60: semplicemente, il suo sound ricorda troppo da vicino quello di molti passati artisti della scena alternativa per poter davvero stupire l’ascoltatore navigato. Tuttavia, il delicato songwriting di Drew si fonde alla perfezione con la raffinata e attenta capacità performativa mostrata dalla sua band, dando vita a un prodotto di grande professionalità e vibrante di vita e di passione – lontano anni luce dalle fredde canzonette prefabbricate che oggi, purtroppo, costituiscono gran parte dell’offerta delle classifiche pop-rock. E una simile, autentica forza espressiva ed emotiva rappresenta, in fondo, la più alta misura del valore e della qualità di un artista vero.

Biopic Recentemente pubblicato in DVD

La locandina del film dedicato al più grande chitarrista della storia.

dentro e fuori le colonne sonore ma anche accanto a vere e proprie icone delle storia del rock come Keith Richards, James Taylor, Warren Zevon e Jackson Browne. Il dato disarmante prima di ogni altro è che la produzione del film non abbia ottenuto dalla Experience Hendrix LLC (la società di famiglia che gestisce tutti i diritti relativi a Jimi) l’autorizzazione ad utilizzare alcuna musica composta da Hendrix. Un po’ come se per una monografia su Vincent van Gogh non si potesse mostrare nessun quadro di van Gogh o – più prosaicamente – se si dovesse fare una torta alle zucchine senza poter usare le zucchine. È peraltro vero che poi si è ripiegato su tutte quelle cover (cioè brani altrui) che Jimi regolarmente aveva suonato nel corso della propria carriera, ma la fondamentale insensatezza dell’operazione rimane come un macigno a schiacciarne il risultato complessivo. Se poi si aggiunge che André 3000 – valente rapper ma chitarrista assai meno dotato – appare scarsamente istruito o malamente inquadrato rispetto al fingere di essere un genio della chitarra, la frittata è completa: i due elementi essenziali di un biopic musicale (la musica e le gesta) sono amaramente assenti dal film. Il dubbio più sensato è che il regista non abbia voluto realizzare un film puntuale e filologico sulla vita di Hendrix, e già la scelta di ripercorrere soltanto un anno (dall’incontro nel 1966 con l’amica e mentore Linda Keith fino al giorno prima dell’indimenticabile esibizione di Monterey nel 1967 con tanto di chitarra bruciata) sembra deporre a favore di questa tesi. Un film più di sensazioni che non di fatti, quindi, com’era mirabilmente riuscito a Gus van Sant in Last Days per la descrizione esclusivamente emotiva degli ultimi giorni di Kurt Cobain. Se così fosse stato, però, cinematograficamente si sarebbe dovuto lavorare diversamente: non soddisfare le pretese voyeuristiche dei fan musicofili (con lunghe processioni di celebrità rockettare quali Keith Richards, Eric Clapton o gli Who) e concentrarsi piuttosto sulle sensazioni di quel favoloso chitarrista disadattato rispetto al sistema che dai sobborghi di New York si trovò improvvisamente proiettato nell’epicentro del music business londinese. Sarà per un’altra volta?

Bernarda Alba, madre tiranna nella casa del silenzio In scena Al Teatro Foce di Lugano una pièce di Fedederico Garcia Lorca molto seguita

e che rappresenta un modo di fare teatro unico nel suo genere Giorgio Thoeni Anche questa settimana ci occupiamo di Federico Garcia Lorca, perché si è confermato particolarmente azzeccato il progetto di Carmelo Rifici nel creare un «focus» dedicato al poeta e drammaturgo di Fuentevaqueros inserendo nel cartellone di LIS (Lugano in Scena) un trittico di opere con Yerma, Federico. Vita e mistero e ultimo, in ordine d’apparizione, l’allestimento de La casa di Bernarda Alba, spettacolo coprodotto dalla stagione del LIS con la compagnia ticinese del «Teatro d’Emergenza» diretta dal regista Luca Spadaro e andato in scena al Teatro Foce di Lugano. Diversi sono gli elementi di spicco di questa operazione. Lo ribadiamo. Dapprima l’adesione del pubblico a tutte le serate, numeroso e con molti giovani in platea. A ciò si aggiunge l’indubbia curiosità verso un autore importante, per molti versi attuale, la

Un dettaglio della locandina dello spettacolo.

cui opera drammatica si stacca decisamente dalla tradizione tardoromantica e sentimentale del teatro spagnolo del

tempo e che non deve la sua notorietà in Europa solamente alla sua tragica morte per mano falangista. Il suo è infatti un teatro inimitabile e difficilmente paragonabile ad altri. È mosso da interessi sociali, animato dalla descrizione impietosa di un mondo apparentemente fermo, antico e rurale, ma che diventa un filtro rivoluzionario e anticonvenzionale fra uno sguardo poetico sul popolo andaluso e la storia che si sta consumando tragicamente. Un altro elemento da segnalare è la presenza sui tre fronti di Maria Pilar Perez Aspa, superba protagonista di questo filone teatrale. Ma a ciò vogliamo anche aggiungere la promettente iniziativa di affidare a una compagnia locale l’allestimento di un’opera particolarmente emblematica come La casa di Bernarda Alba, tragedia scritta in meno di un mese e che Lorca fece appena in tempo a leggere agli amici («Neanche una goccia di poesia! Realtà! Realismo puro!»,

ripeteva) prima di essere fucilato nel 1936, allo scoppio della guerra civile spagnola. Luca Spadaro ha fatto scelte coraggiose, la prima delle quali è stata quella di affidare alcuni ruoli femminili ad attori. La seconda consiste nell’aver creato una sorta di «tableau vivant» dai toni caravaggeschi per introdurre il pubblico alla cupa «deposizione» della salma del secondo marito di Bernarda Alba: un’efficace immagine funebre per offrire una prima chiave d’interpretazione della tragedia che si consuma fra lacrime di «piangitrici» nella casagineceo dove lei vive con cinque figlie vergini: Martirio, Angustias, Adele, Maddalena, Amelia. Nomi emblematici che giustificano un avvio pittoricofotografico forte che diventa corollario di una storia fatta di chiaroscuri misti a tinte forti. La madre pazza che Bernarda tiene lontano da tutti; un’improbabile e malferma vecchierella del paese;

la lungimirante e antica saggezza nelle sentenze della serva; le stesse figlie e lei madre-padrona. Ma anche il conflitto fra silenzio, urla di ribellione e desolazione in un cerchio maledettamente chiuso, dentro il quale si agitano le passioni femminili con un bel cast «misto» da citare: Maria Pilar, Silvia Pietta, Massimiliano Zampetti, Caterina Carpio, Pasquale De Filippo, Igor Horvat, Simon Waldvogel, Laura Serena, Lidia Castella, Giulia Pizzimenti. Il cedimento-epilogo alla carne maschile avrà la sua vittima sacrificale: una delle sorelle, Adele, si ucciderà. Bernarda Alba ingiungerà alle figlie che della sua morte non si dovrà parlare né piangere e pronuncerà quelle ultime battute come storica profezia di Lorca: «Ci annegheremo tutte in un mare di lutto. La figlia minore di Bernarda Alba è morta vergine. Avete sentito? Silenzio. Silenzio ho detto. Silenzio».


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Cultura e Spettacoli

Mommy e il suo figliolo, storia straordinaria di amore e rabbia Cinemando César come miglior film dell’anno, Palma d’Oro auspicata all’ultimo Festival di Cannes,

la consacrazione di Xavier Dolan, prodigio del cinema canadese, quinto film a ventiquattro anni

Fabio Fumagalli **** Mommy, di Xavier Dolan, con Anne Dorval, Suzanne Clément, Antoine-Olivier Pilon (Canada 2014)

Mommy, del prodigio nascente canadese Xavier Dolan (cinque lungometraggi a ventiquattro anni) si sviluppa nel segno dell’energia di un talento furibondo, assolutamente fuori dal comune. La storia che racconta (ridotta ai minimi termini: un rapporto madre-figlio) è banale e stradibattuta. È il modo di raccontarla di Dolan a renderla straordinaria, squisitamente cinematografica, difficile da immaginare egualmente esplosiva se espressa altrimenti che dall’occhio di un cineasta attraverso la cinepresa, dal suo intervento sui vari strumenti espressivi a disposizione, e attraverso la follia squisita delle musiche, per sfociare nella resa incredibile ottenuta dagli accenti di verità dei suoi tre straordinari protagonisti. Certo, si tratta pur sempre di un avvenimento eccentrico, un figlio affetto da problemi estremi di relazione fra tenerezza e violenza (tecnicamente: iperattività dovuta a deficit di attenzione) con una madre vedova, disinibita e pure sexy alla ricerca di ritrovare una vita normale. Certo, in quel duo già di per sé esasperato s’introduce un’ina-

Antoine-Olivier Pilon e Anne Dorval in Mommy, 2014. (Keystone)

spettata vicina, per temperamento agli antipodi, che completerà un universo quotidiano esaltato, spassoso e paradossale sempre più toccante. Ma sono la qualità dello sguardo di Dolan, la sua sfrontata sete di libertà espressiva e al tempo stesso la sua partecipazione emotiva e psicologica a un tema che s’indovina autenticamente sofferto a creare quell’unicità memorabile dell’atmosfera del film. Dove il

coraggio, ma anche la maestria (senza la quale il non sarebbe altro che incoscienza), permettono di andare a sfidare i limiti. Senza mai oltrepassarli, ai confini fra melodramma e provocazione, violenza e dolcezza, esasperazione e lirismo, classicismo del tema e sperimentazione della forma. Ogni inquadratura, ogni salto di montaggio racconta una storia. Che Dolan costringe con i suoi personaggi in un formato

quadrato (1:1), simile a quello delle vecchie Polaroid; per poi, nei momenti più lirici e coinvolgenti riallargare lo schermo, in un anelito di libertà, di un’emozione confondente Ma il prorompente potere emozionale di Mommy nasce dal fatto che (contrariamente da quanto accade, ad esempio, nell’oscarizzato Birdman di questi giorni) l’estremo ed evidente virtuosismo del cineasta, l’interesse o l’entusiasmo suscitato dalla

sua ricerca espressiva, non avviene mai a detrimento di una identificazione da parte dello spettatore negli umori dei personaggi. Trascorsa una parte del film che a qualcuno apparirà anche fin troppo scopertamente disinvolta (e il doppiaggio crudo della versione italiana regolarmente mortifica la versione originale, con il suo francese del Quebec, qui volutamente indistinto) l’ultima mezz’ora di Mommy è sconvolgente ma meravigliosa: non solo per il suo finissimo processo emotivo (che evidentemente non vi racconto) ma per l’intelligenza della sua ansia crescente, la lucidità implacabile delle sue conclusioni psicologiche, la commozione poetica a cui giunge. Nelle immagini sempre solari del film dilaga il grigio, cadono le prime gocce di pioggia; è la fine del sogno, il ritorno alla realtà, al cinismo delle leggi sociali. Xavier Dolan ama dirlo: «sono i nostri sogni che possono cambiare il mondo». Ma poi aggiunge: «il solo amore è insufficiente, se non è condiviso, se non si ha la forza di sostenerlo, se la società lo respinge». Ed è forse per questo che la gioia di creare, la libertà nella ricerca artistica, lo sprezzo del rischio espressivo, la tenerezza dietro l’impudenza impregnano Mommy di una esaltazione commossa che il cinema sembrava avere perduto. Annuncio pubblicitario

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Farina per pizza... e siamo tutti pizzaioli! Novità Nell’assortimento dei Nostrani del Ticino una farina studiata

ad hoc per i palati più esigenti

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Flavia Leuenberger

È innegabile, l’interesse per la cucina dilaga facendo riscoprire il piacere di mettere le mani in pasta. Migros sulla scia di questa tendenza propone un prodotto nostrano doc: la farina per pizza del Mulino di Maroggia. Una farina professionale dal formato casalingo che combina grano tenero e semola di grano duro provenienti da grano coltivato in Ticino. La semola dà croccantezza all’impasto, ne rende la superficie leggermente ruvida e facilita la stesura. Per ottenere una buona pizza occorre pazienza. Preparate l’impasto ventiquattro ore prima e sarete ricompensati con una pizza molto digeribile. In una ciotola unite 200 g di farina per pizza a 200 g di acqua, mescolate con una forchetta, coprite con pellicola e fate riposare mezz’ora. Sciogliete l’impasto con 100 g di acqua, unite 270 g di farina per pizza, 2 g di lievito di birra istantaneo e 2 g di zucchero. Amalgamate con la forchetta e quando quasi tutta la farina sarà assorbita unite 5 g di sale. Impastate con le mani nella ciotola ripiegando l’impasto su sé stesso. L’impasto sarà appiccicoso ma non preoccupatevi, coprite la ciotola con pellicola e lasciate riposare mezz’ora. Rilavorate l’impasto nella ciotola, noterete che sarà meno appiccicoso. Coprite e lasciate riposare mezz’ora. Impastate un po’ e date una forma sferica. Riponete nella ciotola leggermente oliata, coprite con pellicola e mettete in frigo per venti ore. Un’ora prima di stenderlo togliete l’impasto dal frigo, lasciandolo nella ciotola coperta. Spolverate carta da forno e impasto con farina, con le mani schiacciatelo dal centro verso l’esterno dando una forma rettangolare e lasciando un bordo. Con un matterello infarinato stendete l’impasto al centro o schiacciate bene con le mani, lasciando il bordo. Bucherellate il fondo e trasferite sulla teglia. In forno preriscaldato al massimo infornate la pizza non condita 6 minuti o finché inizia a colorire. Se gonfia al centro sgonfiate con un cucchiaio di legno. Condite a piacere e cuocete ancora 5 minuti o finché la mozzarella è sciolta. / Luisa Jane Rusconi


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Idee e acquisti per la settimana

La colomba appena sfornata Attualità Il 12, 18, 26 marzo e 2 aprile potrai

Non c’è niente di più invitante del profumo di pane e dolci appena sfornati. Una realtà che la clientela può già toccare con mano e «naso» nelle due panetterie della casa Migros di Serfontana e S. Antonino, dove ogni giorno gli abili panettieri Jowa preparano e cuociono decine di aromatiche varietà di pane. In occasione del periodo prepasquale – il 12, 18, 26.3 e 2.4 - il laboratorio di S. Antonino propone però qualcosa in più: la possibilità di portarsi a casa una colomba da 500 g praticamente ancora fumante. Il dolce festivo viene

infatti cotto nel forno sul mezzogiorno e dalle ore 15.00 lo si potrà acquistare direttamente davanti alla panetteria del supermercato. Le colombe Jowa sono realizzate con ingredienti di prima scelta, tra cui un’alta percentuale di burro e l’impiego di pregiato lievito madre, sostanza quest’ultima che permette di ottenere prodotti dal sapore armonioso ed equilibrato. La lunga lievitazione e la cottura lenta sono altri fattori che rendono incredibilmente invitante questo dolce tradizionale «Made in Ticino».

Flavia Leuenberger

acquistare la colomba pasquale ancora calda direttamente presso la panetteria della casa di S. Antonino

Colomba appena sfornata sacch. 500 g Fr. 6.50 In vendita solo presso Migros S. Antonino, il 12, 18, 26.3 e 2.4 a partire dalle ore 15.00.

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Sano e versatile

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Prodotti di alta qualità nel rispetto della grande tradizione culinaria italiana. Queste sono le carte vincenti delle specialità firmate AIA, marchio leader nel campo delle carni fresche avicole. AIA è presente sugli scaffali di Migros Ticino con differenti bontà pratiche e facili da preparare in pochissimo tempo, tra cui le fettine di tacchino, le spinacine, il pollo party e le sottilissime di pollo.

Proprio quest’ultime questa settimana sono oggetto di un’allettante promozione e si potranno gustare dall’11 al 12 marzo presso il supermercato Migros di S. Antonino. Le sottilissime sono fini fette di petto di pollo, tenere e veloci da preparare in 2 minuti in padella con l’aggiunta di un filo d’olio. Sono tuttavia ideali anche per la preparazione di involtini, impanate e scaloppine.

L’aceto di mele a base di frutta di produzione biologica certificata non è soltanto un’ottima alternativa culinaria fruttata e fresca agli aceti convenzionali, ma è anche particolarmente sano. Già Ippocrate, padre della medicina moderna, considerava l’aceto di mele un ottimo rimedio contro diversi disturbi grazie al suo ricco contenuto di vitamine, sali minerali e oligoelementi. Bere ogni giorno un cucchiaio di aceto di mele diluito in un bicchier d’acqua ha un effetto disintossicante, anti allergico, digestivo e può aiutare a bruciare i grassi. Per uso esterno l’aceto di mele è consigliato come naturale balsamo per i capelli, antibatterico cutaneo o come rimedio in caso di brufoli e acne.

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Idee e acquisti per la settimana

La vivacità delle verdure mediterranee Attualità Carciofi, cime di rapa e trevigiano per piatti già in sentor di primavera. Ora nel tuo reparto verdura Migros Cime di rapa

Di tipico colore verde chiaro, sottili e leggere, le cime di rapa sono presenti in molte ricette mediterranee. In Italia, e precisamente in Puglia, le cime di rapa sono famose come condimento per le orecchiette (tipo di pasta tipico della regione), un’autentica squisitezza della cucina locale. Altro uso assai apprezzato è quello di sbollentare leggermente le cime di rapa e saltarle in padella con aglio, olio e peperoncino.

Il carciofo

La raccolta a scalare del carciofo continua da ottobre fino a giugno: le varietà coltivate presenti sul mercato sono molte (nel mondo se ne conoscono più di novanta). Il carciofo è molto diffuso nel bacino del Mediterraneo, l’Italia è il maggior produttore al mondo con le sue estese coltivazioni, soprattutto in zone vicino al mare. Il carciofo è molto ricco di ferro, risulta di buon valore alimentare e di basso apporto calorico. In cucina, tutte le varietà, siano o no spinose, vanno private delle punte, che sono la parte più dura di ogni foglia, vanno poi eliminate le foglie esterne, per arrivare a quelle che sono più chiare e tenere: se si consumano crudi, bisogna invece arrivare alle foglie completamente chiare.

Trevigiano (radicchio)

Radicchio è un nome generico attribuito ad alcune varietà di cicoria caratterizzate da un particolare metodo

di coltivazione (forzatura) che porta alla produzione di grumoli compatti formate da foglie tipicamente rosse o variegate. Le varietà di radicchio più diffuse sono: «Rossa di Verona», «Variegata di Castelfranco», «Variegata di Chioggia» e la «Rossa di Treviso». Quello di Treviso ha foglie rosse allungate, si presta a preparazioni come il: «radicchio con pancetta affumicata» o al più celebre «risotto al radicchio» arricchito sia con luganiga o crescenza. Prima della cottura bisogna eliminare le radici molto amare, anche se qualcuno le apprezza (a patto che la Trevigiana sia giovane e fresca) in insalata. / Davide Comoli

Carciofi marinati Antipasto per 4 persone Ingredienti sale 2 cucchiai di succo di limone 4 carciofi 4 cucchiai d’aceto ai lamponi 6 cucchiai d’olio d’oliva ½ cipolla ½ mazzetto di prezzemolo pepe

Il barometro dei prezzi Cambiamenti di prezzo attuali

Migros riduce i prezzi dei giocattoli. Grazie ad una trattativa economica risoltasi in modo positivo con i fornitori Lego, Playmobil e Ravensburger, Migros è riuscita ad ottenere condizioni d’acquisto più vantaggiose, e ne riversa completamente alla propria clientela il vantaggio economico. Così facendo l’assortimento Lego, Playmobil e Ravensburger sarà in media più conveniente del 10 per cento.

Preparazione Portate a ebollizione abbondante acqua, salatela e aggiungete il succo di limone. Spuntate i gambi dei carciofi lasciando un pezzetto di ca. 2 cm. Lessate i carciofi per ca. 30 minuti finché risultino morbidi (prova cottura: la punta del coltello deve penetrare nel gambo fino al cuore senza incontrare resistenza). Scolate e fate raffreddare. Staccate le foglie esterne più coriacee dei carciofi. Tagliate i cuori a metà ed eliminate la paglia. Mescolate l’aceto con l’olio. Tritate finemente la cipolla e il prezzemolo. Distribuite sui carciofi, salate e pepate. Lasciateli marinare per almeno 30 minuti.

Alcuni esempi:

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura ca. 30 minuti + marinatura almeno 30 minuti Per persona ca. 2 g di proteine, 6 g di grassi, 2 g di carboidrati, 300 kJ/70 kcal

Ricetta di

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Lego City Autocarro Lego Duplo Il mio primo zoo Lego Friends Heartlake Mongolfiera Lego Star Wars Senate Commando Troopers Playmobil Zoo Playmobil Superset Fortino pirati Playmobil Trattore Playmobil Mercato ortaggi Ravensburger Memory Svizzera Ravensburger Puzzle 500 pezzi Ravensburger Gioco carte, assortiti Kikkoman Salsa soia 150 ml Kikkoman Salsa soia dolce 250 ml Kellogg’s Chocos, 600 g Kellogg’s Frosties, 600 g Kellogg’s Tresor Choco Nougat 600 g Brita Maxtra Cartucce filtro acqua, 3 pz. C&T Cartucce filtro acqua Duomax, 3 pz. Bio Herbamare Original, 250g

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Nuovo in Fr. 22.80 29.80 34.80 19.80 34.80 29.80 18.80 24.80 19.80 14.80 16.80 2.90 4.90 5.— 5.— 6.40 19.80 14.80 4.10

in % –14,9 –14,4 –12,6 –13,2 –18,7 –14,4 –13,8 –13,9 –13,2 –11,9 –10,6 –12,1 –16,9 –8,3 –9,1 –5,9 –12,0 –10,3 –4,7


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Idee e acquisti per la settimana

La Pasqua secondo Maina Ricorrenze A Migros Ticino alcune specialità del celebre marchio piemontese Servono costantemente passione, cura e attenzione per portare in tavola la genuinità degli autentici sapori italiani. Ed è proprio quello che Maina fa da cinquant’anni a questa parte, offrendo ai consumatori dei prodotti di qualità realizzati nel rispetto della tradizione ma con metodi all’avanguardia. Quest’anno le sue specialità vestite a festa disponibili a Migros Ticino sono La Gran Colomba e la Colomba Tutti Frutti. La prima è nel segno della classicità con il suo morbido impasto lievitato naturalmente e arricchito con profumati canditi calabresi e infine ricoperto di una croccante glassa di nocciole e mandorle lavorata a mano. La Colomba Tutti Frutti nasce dalla fantasia dei migliori pasticceri e stuzzica il palato grazie al suo azzeccato connubio tra irresistibile sofficità e fresco sapore di frutta esotica non candita.

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Il mese dedicato al comfort del sonno Attualità Per tutto il mese di marzo da Micasa S. Antonino

una straordinaria esposizione dedicata al relax. Per l’occasione potrai approfittare di straordinarie offerte fino al 50% di sconto sui prodotti Nottinblú

Stai cercando un’esperienza di riposo diversa da quella che hai provato sinora? Allora ti aspettiamo da Micasa S. Antonino dove, nell’ambito del mese dedicato al dormire, potrai scegliere il materasso che meglio si adatta alle tue esigenze. Infatti, Micasa propone eccezionalmente i prodotti del noto marchio italiano Nottinblú, un nome che si caratterizza per l’utilizzo di materiali ad alta tecnologia in grado di favorire un sonno fresco e riposante e un elevato senso di benessere. Qualche esempio? «Blucell» è un materiale innovativo a cellule a pori aperti, molto simile alla spugna naturale, soffice al

tatto, con elevata elasticità, che si adatta perfettamente alle forme del corpo. Garantisce inoltre un’elevata portanza e distribuzione del peso, un’ottima traspirazione ed un alto standard di sicurezza contro le allergie. Il rivestimento sfoderabile in «Silverblù» con fibra d’argento fissata in maniera irreversibile, assicura le proprietà tipiche dell’argento: azione antimicrobica, dissipante di scariche elettrostatiche, forte potere inibente agli odori, regolarizzatore della temperatura corporea, buon trasporto dell’umidità e scambio di calore. Segnaliamo ancora di Nottinblú il ma-

terasso «Orchidea» con anima a molle insacchettate. Questo prodotto offre un elevato ricambio dell’aria e un’ottimale distribuzione del peso corporeo anche alle persone con sonno pesante. Tra i vantaggi, inoltre, grazie all’ampia circolazione dell’aria, è indicato nei casi di enuresi notturna. È il materasso che rimane asciutto nelle case di vacanza. Nell’assortimento subito disponibili anche Topper – coprimaterasso per un eccellente comfort anatomico – e telai a doghe flessibili in legno di faggio curvati e pressati a vapore (a scelta inseribili o con piedini separati).


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

Buono a sapersi

Pasqua

Bifidus: piccoli agenti benefici

Giorni di Pasqua senza uova colorate? Inconcepibile. E chi vuole distinguersi con un tocco di stile, le tinge con ingredienti naturali. Trucchi e consigli

Per una Pasqua variopinta

Praticare jogging, nordic walking o yoga, come si preferisce: in ogni caso, iniziare la primavera in modo attivo fa bene al corpo e allo spirito. Quali componenti di un’alimentazione equilibrata, gli yogurt Bifidus forniscono un ulteriore contributo al nostro benessere. I batteri probiotici Bifidus favoriscono l’equilibrio naturale della flora intestinale e aiutano la digestione, il che accresce la vitalità e l’equilibrio interno. Questi yogurt piacciono per la loro dolce cremosità e i numerosi pezzetti di frutta.

Suggerimento Le bucce di cipolle rosse

Colori per uova Stick & Paint Fr. 4.20

donano un’elegante sfumatura rossastra Bifidus yogurt Fragola* 150 g Fr. –.85

Bifidus yogurt Mocca 150 g Fr. –.85

2

3

Che cosa sono i batteri Bifidus? I batteri Bifidus sono agenti benefici che si trovano nella nostra flora intestinale. Che cos’hanno di speciale i batteri Bifidus? Diversamente dai normali batteri lattici, i batteri probiotici Bifidus sono più resistenti agli acidi e ai sali biliari del tratto intestinale. Una gran parte dei batteri Bifidus che si assumono con uno yogurt Bifidus raggiunge quindi le parti basse dell’intestino in condizioni vitali. Lì, i minuscoli agenti possono sviluppare i loro effeti positivi. Come approfittarne al meglio Consumando regolarmente – preferibilmente tutti i giorni – uno yogurt Bifidus, si è certi che i batteri probiotici giungano continuamente in gran numero e in condizioni vitali nel tratto intestinale. Gli yogurt forniscono inoltre calcio e proteine di alta qualità.

Bifidus yogurt Cereali 150 g Fr. –.85

1

Che differenza c’è con uno yogurt normale? Gli yogurt Bifidus contengono colture di yogurt speciali, i batteri Bifidus.

Bifidus Crunchy yogurt Classic 175 g Fr. 1.95

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Set di adesivi, 2 soggetti Fr. 2.30

Foto Christine Benz; styling Monika Hansen

Bordi adesivi, 3 pezzi assortiti, vari motivi Fr. 5.60

Bifidus yogurt Classic* 150 g Fr. –.65

Bifidus yogurt Mango* 150 g Fr. –.85

Bifidus yogurt Vaniglia 150 g Fr. –.85

Azione *20% sui Bifidus yogurt Fragola, Mango e Classic, 4 x 150 g dal 10 al 16.3

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche gli yogurt Bifidus.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino Âś 09 marzo 2015 Âś N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

Materiale di base e decorazione

La festa delle uova

Colori per uova 5 colori e vasetti Fr. 4.90 Uova svizzere di allevamento al suolo, 10 uova da 53 g+, guscio bianco garantito, con pastiglie coloranti* Fr. 4.90

Portauovo di silicone, 4 pezzi Fr. 5.90

Uova di Pasqua svizzere di allevamento all’aperto 6 uova da 47 g+* Fr. 4.50

Adesivi / Etichette 2 motivi Fr. 2.20

Set di decorazioni pasquali Fr. 6.50

Suggerimento Gli scaldauova a forma di sgargianti coniglietti possono essere usati anche solo come decorazione da tavola o per i nidi di Pasqua.

Scaldauova a forma di coniglietto, al pezzo Fr. 1.90

Stampi di legno con alfabeto incl. tampone Fr. 5.90

Colori per uova Stick & Paint Fr. 4.20

Formina per uova in vari motivi Fr. 3.90 *nelle maggiori filiali Migros.

Portauovo con cucchiaio Fr. 4.90


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

aha!

Coniglietti di cioccolato senza lattosio Chi soffre di un’intolleranza al lattosio, spesso deve rinunciare a molti alimenti. Latte, yogurt, burro o cioccolato al latte non fanno parte del regime alimentare. Per fortuna esistono però le specialità senza lattosio. Per Pasqua, Migros completa questo assortimento specifico, che già ora può contare su 66 articoli, con i nuovi conigli di cioccolato senza lattosio aha!

aha! Coniglio di cioccolato al latte, senza lattosio 120 g Fr. 6.30

Foto Yves Roth; styling Karin Aregger

Grazie ad aha! anche i golosoni intolleranti al lattosio possono godersi una dolce Pasqua.

Il marchio aha! contrassegna quei prodotti ben tollerati anche in caso di allergie o intolleranze. www.migros.ch/aha

Parte di


AZIONE

2.55 invece di 3.20

2.45 invece di 3.10

Deodorante spray Dry Formula (confezioni multiple escluse), 150 ml, 20% di riduzione

Shaving Cream (confezioni multiple escluse), 125 ml, 20% di riduzione

2.– invece di 2.55

2.55 invece di 3.20

3.95 invece di 4.95

Power Shampoo (escluse confezioni multiple), 250 ml, 20% di riduzione

Deodorante spray Classic Protection (confezioni multiple escluse), 150 ml, 20% di riduzione

Shave System (confezioni multiple escluse), 1 pezzo, 20% di riduzione

1.75 invece di 2.20

7.– invece di 8.80

3.65 invece di 4.60

Docciaschiuma trattante 2 in 1 Energy (confezioni multiple escluse), 250 ml, 20% di riduzione

Hydra Cream Sensitive (confezioni multiple escluse), 75 ml, 20% di riduzione

Lozione dopobarba (confezioni multiple escluse), 125 ml, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.3 AL 23.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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40% 1.95 invece di 3.50 Fragole Spagna, vaschetta da 500 g

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1.95 invece di 3.30

Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, al kg

Cavolfiori Italia / Spagna, al kg

Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.3 AL 16.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

50% 5.– invece di 10.– Cestino primaverile Eva il cestino


. A Z Z E H C S E R F O L O S E E R SEMP 30%

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1.75 invece di 2.20

2.30 invece di 2.90

3.90 invece di 4.80

3.75 invece di 5.40

4.05 invece di 6.75

Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10 per 100 g, 20% di riduzione, per es. blocco maxi

Mozzarella Alfredo in conf. da 2 2 x 150 g, 20% di riduzione

Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2 2 x 125 g, –.90 di riduzione, per es. alle erbe aromatiche

Lombatine d’agnello Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g

Prosciutto crudo ticinese prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g

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33%

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3.50 invece di 3.90

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9.90 invece di 15.–

Pomodoro a grappolo Italia / Spagna, sciolto, al kg

Caseificio Leventina prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

Tutti i tipi di pane Pain Création (panini a libero servizio esclusi), –.40 di riduzione, per es. Le Baluchon bianco, 340 g

Arrosto spalla di manzo, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Fettine e arrosto coscia di maiale, TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g

Filetti di trota affumicata, bio* d’allevamento, Danimarca, 3 x 100 g

25%

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PUNTI

20x

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2.25 invece di 3.–

3.30

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1.15 invece di 1.70

Pere Kaiser Svizzera, sciolte, al kg

Banane, bio, Fairtrade Perù / Ecuador, al kg, 25% di riduzione

Tutto l’assortimento di uova pasquali (uova M-Budget e uova al pezzo escluse), per es. uova di Pasqua svizzere da allevamento all’aperto, 4 x 50 g+

Latte M-Drink UHT Valflora 12 x 1 l, 20% di riduzione

Sottilissime di pollo AIA Italia, in conf. da ca. 250 g, al kg

Luganighe prodotte in Ticino, imballate, per 100 g

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.3 AL 16.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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11.– invece di 13.80

11.70 invece di 14.70

Pizza Anna’s Best in conf. da 2 20% di riduzione, per es. ai funghi, 2 x 395 g

Fiori Anna’s Best in conf. da 2 o ravioli pomodoro e mozzarella Anna’s Best in conf. da 3 20% di riduzione, per es. ravioli pomodoro e mozzarella, 3 x 250 g

30%

1.20 invece di 1.50 Tutte le salse in bustina Bon Chef a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.30 di riduzione l’uno, per es. salsa per arrosto, 30 g

50%

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2.15 invece di 2.70

6.30 invece di 7.–

Olio di colza, TerraSuisse 50 cl, 20% di riduzione

Tutte le tortine o gli strudel M-Classic o bio surgelati, 20% di riduzione, per es. tortine al formaggio M-Classic, 4 pezzi

Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni grandi o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. Kinder Bueno, 10 pezzi, 430 g

6 per 4

2.90 invece di 3.90

14.25 invece di 20.40

7.05 invece di 14.10

5.20 invece di 7.80

Narcisi in vaso da 10 cm, la pianta, 25% di riduzione

Filetti di salmone atlantico Pelican in conf. da 3, ASC surgelati, 3 x 250 g

Nuggets di pollo Don Pollo surgelati, 1 kg

Tutti i mitici Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1 l per es. al limone

30% 6.– invece di 8.65 Mini Windy’s Classic da 400 g o frittelle di mele da 500 g M-Classic surgelati, per es. frittelle di mele

50% 11.50 invece di 13.80

7.10 invece di 8.90

2.30 invece di 2.90

2.85 invece di 5.70

Tulipani tono su tono diversi colori, mazzo da 20

Tutti i bulbi primaverili 20% di riduzione, per es. mughetto

Tutti i tipi di pasta TerraSuisse 20% di riduzione, per es. pipe di spelta originale, 500 g

Aproz o Aproz Plus in conf. da 6, 6 x 1,5 l e 6 x 1 l per es. Aproz Classic, 6 x 1,5 l

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.3 AL 16.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

5.60 Nutella in barattolo da 1 kg

50% 4.70 invece di 5.70 Chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g

5.90 invece di 11.80 Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco per es. Adult Sensitive, 4 kg


ALTRE OFFERTE.

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FRUTTA E VERDURA Formentino Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 100 g 5.60 invece di 7.– 20%

Fragole, Spagna, vaschetta da 500 g 1.95 invece di 3.50 40% Pomodoro a grappolo, Italia / Spagna, sciolto, al kg 2.50 invece di 3.60 30%

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Pellicole salvafreschezza e fogli di alluminio Tangan in conf. da 3 per es. pellicola salvafreschezza e per forno a microonde n. 11, 3 x 36 m x 29 cm, offerta valida fino al 23.3.2015

Tutte le linee di bicchieri Cucina & Tavola (stoviglie in vetro escluse), per es. Superiore Bianco in conf. da 3, 3 x 32,5 cl, offerta valida fino al 23.3.2015

Tutte le linee di posate Cucina & Tavola per es. cucchiaio Creazione, il pezzo, offerta valida fino al 23.3.2015

Patate resistenti alla cottura, Svizzera, sacchetto da 2,5 kg 2.50 Pere Kaiser, Svizzera, sciolte, al kg 2.70 invece di 3.60 25% Banane, bio, Fairtrade, Perù / Ecuador, al kg 2.25 invece di 3.– 25%

PESCE, CARNE E POLLAME Carne di manzo macinata M-Classic, Svizzera, al kg 10.80 invece di 18.– 40% Cervelas in conf. da 3, TerraSuisse, 3 x 2 pezzi, 600 g 4.20 invece di 7.05 40% Salame per la Festa del papà Rapelli, pezzo, Svizzera, per 100 g 2.15 invece di 4.30 50% Cosce di pollo Optigal, 4 pezzi, Svizzera, per es. al naturale, al kg 7.80 invece di 13.– 40%

50% 69.– Triciclo Be fun Confort offerta valida fino al 23.3.2015

4.90 invece di 9.80 Tutte le linee di stoviglie da tavola in porcellana o vetro Cucina & Tavola per es. piatto piano in porcellana Melody, Ø 30 cm, il pezzo, offerta valida fino al 23.3.2015

Filetti di salmone atlantico Pelican in conf. da 3, ASC, surgelati, 3 x 250 g 14.25 invece di 20.40 30% Nuggets di pollo Don Pollo, surgelati, 1 kg 7.05 invece di 14.10 50%

Cavolfiori, Italia / Spagna, al kg 1.95 invece di 3.30 40%

33%

Tutte le tortine o gli strudel M-Classic o bio, surgelati, per es. tortine al formaggio M-Classic, 4 pezzi 2.15 invece di 2.70 20%

Filetti di trota affumicata, bio, d’allevamento, Danimarca, 3 x 100 g 9.90 invece di 15.– 33% *

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Luganighe, prodotte in Ticino, imballate, per 100 g 1.15 invece di 1.70 30%

24.10 invece di 48.20

Salamín al Merlot (salametti al Merlot), prodotti in Ticino, imballati, per 100 g 3.50 invece di 4.40 20%

Detersivo Total Classic o Color in conf. risparmio XXL da 7,5 kg offerta valida fino al 23.3.2015

Prosciutto crudo ticinese, prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g 4.05 invece di 6.75 40% Arrosto spalla di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.60 invece di 3.50 25% Fettine e arrosto coscia di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 1.75 invece di 2.60 30% Sminuzzato di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 1.75 invece di 2.40 25%

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Letto da viaggio Good Night Graphite Chicco offerta valida fino al 23.3.2015

Tutta la teleria da bagno in spugna 20% di riduzione, per es. asciugamano Neva, verde chiaro, 100% cotone bio, 50 x 100 cm, offerta valida fino al 23.3.2015

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48.90 invece di 69.90 Tutte le valigie e borse da viaggio per es. Titan Merik, 54 cm, bordeaux, offerta valida fino al 23.3.2015

Tutti i tipi di pane Pain Création (panini a libero servizio esclusi), –.40 di riduzione, per es. Le Baluchon bianco, 340 g 3.50 invece di 3.90 Latte M-Drink UHT Valflora, 12 x 1 l 12.40 invece di 15.60 20% Yogurt Bifidus, 4 x 150 g, per es. alla fragola 2.70 invece di 3.40 20% Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10, per es. blocco maxi, per 100 g 1.75 invece di 2.20 20% Mozzarella Alfredo in conf. da 2, 2 x 150 g 2.30 invece di 2.90 20% Formaggio fresco Cantadou in conf. da 2, 2 x 125 g, –.90 di riduzione, per es. alle erbe aromatiche 3.90 invece di 4.80 Caseificio Leventina, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.40 invece di 24.35 20%

FIORI E PIANTE Tulipani tono su tono, diversi colori, mazzo da 20 11.50 invece di 13.80 Narcisi, in vaso da 10 cm, la pianta 2.90 invece di 3.90 25% Cestino primaverile Eva, il cestino 5.– invece di 10.– 50% Tutti i bulbi primaverili, per es. mughetto 7.10 invece di 8.90 20%

ALTRI ALIMENTI Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni grandi o multiple (prodotti a base di latte del reparto frigo esclusi), per es. Kinder Bueno, 10 pezzi, 430 g 6.30 invece di 7.– Tavoletta di cioccolato Frey Suprême Blond Amandes, UTZ, 180 g 3.95 NOVITÀ **

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Uovo di metallo Frey con ovetti di cioccolato, UTZ, per es. uovo di metallo Torrone, 264 g 20x 12.80 20x PUNTI Tutti gli ovetti Frey in sacchetto da 165 g, UTZ, per es. ovetti Pralinor, assortiti 3.60 invece di 4.50 20% Rocher o Carré ChocMidor in conf. da 3, per es. Carré, 3 x 100 g 6.20 invece di 9.30 33%

Mini Windy’s Classic da 400 g o frittelle di mele da 500 g M-Classic, surgelati, per es. frittelle di mele 6.– invece di 8.65 30% Tutti i prodotti Limonada, per es. Lemon & Lime, 1 l 1.90 NOVITÀ *, **

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Birra Feldschlösschen 10 x 33 cl, 6 x 50 cl o 50 cl, senz’alcol, per es. 10 x 33 cl 10.90 20x NOVITÀ ** Aproz o Aproz Plus in conf. da 6, 6 x 1,5 l e 6 x 1 l, per es. Aproz Classic, 6 x 1,5 l 2.85 invece di 5.70 50% Mitico Ice Tea al limone non zuccherato, 50 cl 1.– NOVITÀ *, **

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Mitico Ice Tea alla menta e ai fiori di sambuco, 50 cl 1.10 NOVITÀ *, **

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Tutti i mitici Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1 l, per es. al limone 5.20 invece di 7.80 6 per 4

Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco, per es. Adult Sensitive, 4 kg 5.90 invece di 11.80 50% Prodotti I am men (confezioni multiple escluse), per es. lozione dopobarba, 125 ml 3.65 invece di 4.60 20% ** Deodorante Maximum Protection Stress Control Rexona, 20x 45 ml 7.20 NOVITÀ ** Deodoranti Rexona Women Compressed, per es. Cotton ultra dry, 75 ml 3.75 NOVITÀ **

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Docciaschiuma trattante Nivea Sport for Men in conf. da 3, 3 x 250 ml 7.20 invece di 9.– 20% ** Assorbenti igienici Always Discreet, per es. small, 20 pezzi 6.50 NOVITÀ **

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Gocce buona notte Actilife, 100 ml 5.40 NOVITÀ *, **

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Letto da viaggio Good Night Graphite Chicco 49.– **

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Tuta in jeans da bambina, taglie 98–128 29.– NOVITÀ *, **

Tutti i tipi di pasta TerraSuisse, per es. pipe di spelta originale, 500 g 2.30 invece di 2.90 20% Olio di colza, TerraSuisse, 50 cl 2.65 invece di 3.35 20% Tutte le salse in bustina Bon Chef, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.30 di riduzione l’uno, per es. salsa per arrosto, 30 g 1.20 invece di 1.50 Chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g, 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g 4.70 invece di 5.70 Leckerli di Basilea, 1,5 kg 12.70 invece di 15.90 20% Tutte le torte svedesi (intere e a fette), per es. al lampone, 500 g 7.80 invece di 9.80 20%

Tutto l’assortimento aha!, per es. Corn Flakes Farmer Crunchy, 156 g 3.60 20x PUNTI

Spätzli fini Anna’s Best, nuova qualità, 500 g 3.– NOVITÀ *, **

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Filetti di pangasius, ASC, d’allevamento del Vietnam, per 100 g 1.95 invece di 2.80 30% fino al 14.3 *

Nocciole macinate, mandorle macinate, mandorle a bastoncino e mandorle a scaglie M-Classic, per es. mandorle macinate, 200 g 2.55 invece di 3.20 20%

Sugo al pomodoro Anna’s Best, bio, 200 ml 2.90 NOVITÀ *,**

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NEAR FOOD / NON FOOD

Purea di patate Mifloc in confezioni multiple, 5 x 95 g 4.55

Sottilissime di pollo AIA, Italia, in conf. da ca. 250 g, al kg 12.90 invece di 18.50 30%

Tutti i tipi di zucchero fino cristallizzato da 1 kg (zuccheri Aarberg esclusi), per es. zucchero fino cristallizzato Cristal –.85 invece di 1.10 20%

Veneziane, 220 g 2.20 invece di 2.80 20%

Tutto l’assortimento di marca Bischofszell, per es. rösti al burro, 400 g 2.05 invece di 2.60 20%

Nutella in barattolo da 1 kg 5.60

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Tutto l’assortimento di uova pasquali (uova M-Budget e uova al pezzo escluse), per es. uova di Pasqua svizzere da allevamento all’aperto, 4 x 50 g+ 20x 3.30 20x PUNTI

Scarpe per il tempo libero per tutta la famiglia, disponibili in diversi colori, per es. scarpa per il tempo libero da donna, nera, numero 36 29.90 **

Spätzli alle verdure Anna’s Best, nuova qualità, 500 g 20x 3.90 NOVITÀ *, **

Lombatine d’agnello, Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g 3.75 invece di 5.40 30%

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PANE E LATTICINI

Tutto l’assortimento Sélection, per es. gelato Pure Rooibos Honey, 450 ml 5.50 invece di 6.90 20% **

Pizza Anna’s Best in conf. da 2, per es. ai funghi, 2 x 395 g 11.– invece di 13.80 20%

Fiori Anna’s Best in conf. da 2 o ravioli pomodoro e mozzarella Anna’s Best in conf. da 3, per es. ravioli pomodoro e mozzarella, 3 x 250 g 11.70 invece di 14.70 20%

* In vendita nelle maggiori filiali Migros.

*In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Società Cooperativa Migros Ticino

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Idee e acquisti per la settimana

Suprême Blond Amandes

Una squisitezza bionda Blond è la quarta varietà proposta da Chocolat Frey. È prodotta con cioccolato bianco, quindi contiene una maggiore quantità di burro di cacao, mentre è priva di cacao in polvere. La ricetta è poi raffinata ulteriormente con zucchero caramellato. Questo tipo di cioccolato è disponibile in due varianti: in forma di tavoletta da 100 g e come Suprême Blond Amandes, una nuova versione con mandorle intere e croccante di mandorle caramellato. Una specialità che piacerà non solo agli amanti del cioccolato con frutta secca. Potranno apprezzarla boccone dopo boccone: la quantità di mandorle complessiva raggiunge il 27 per cento della miscela.

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Foto Raphael Zubler; styling Katja Rey

Un nuovo sapore di successo: cioccolato biondo, mandorle intere e croccante caramellato alle mandorle.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche il cioccolato Frey.


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Ora il nostro cioccolato biondo è disponibile in 2 varietà: l’ormai classico Blond e la novità Suprême Blond Amandes, con croccante di mandorla e mandorle intere (contenuto in mandorle: 27%). *In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 10.3 AL 23.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Idee e acquisti per la settimana

Kult Ice Tea

Assolutamente senza zucchero Per coloro che spesso trovano il tè freddo troppo dolce, adesso c’è il Kult Ice Tea Migros senza zucchero. L’ Ice Tea unsweetened al limone è un infuso fresco di tè nero, rosa canina, fiori d’ibisco e aroma di limone. Con la sua bottiglietta PET da 50 cl è comodo da portare in giro. Consiglio: il tè freddo al limone si gusta al meglio leggermente refrigerato e non ghiacciato.

+

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche il Kult Ice Tea.

Foto Yves Roth; Styling e illustrazioni Mira Gisler

Kult Ice Tea unsweetened limone 50 cl Fr. 1.– 20x Punti Cumulus dal 10 al 23 marzo. Nelle maggiori filiali.


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Idee e acquisti per la settimana

Buono a sapersi

Yogurt Bifidus

Bifidus: piccoli agenti benefici

Il piccolo cremoso con quel qualcosa in più

Praticare jogging, nordic walking o yoga, come si preferisce: in ogni caso, iniziare la primavera in modo attivo fa bene al corpo e allo spirito. Quali componenti di un’alimentazione equilibrata, gli yogurt Bifidus forniscono un ulteriore contributo al nostro benessere. I batteri probiotici Bifidus favoriscono l’equilibrio naturale della flora intestinale e aiutano la digestione, il che accresce la vitalità e l’equilibrio interno. Questi yogurt piacciono per la loro dolce cremosità e i numerosi pezzetti di frutta.

In forma verso la primavera: gli yogurt probiotici Bifidus sono arricchiti con batteri Bifidus. Questi minuscoli agenti benefici contribuiscono al nostro benessere

Bifidus yogurt Fragola* 150 g Fr. –.85

Che differenza c’è con uno yogurt normale? Gli yogurt Bifidus contengono colture di yogurt speciali, i batteri Bifidus. Che cosa sono i batteri Bifidus? I batteri Bifidus sono agenti benefici che si trovano nella nostra flora intestinale. Che cos’hanno di speciale i batteri Bifidus? Diversamente dai normali batteri lattici, i batteri probiotici Bifidus sono più resistenti agli acidi e ai sali biliari del tratto intestinale. Una gran parte dei batteri Bifidus che si assumono con uno yogurt Bifidus raggiunge quindi le parti basse dell’intestino in condizioni vitali. Lì, i minuscoli agenti possono sviluppare i loro effeti positivi. Come approfittarne al meglio Consumando regolarmente – preferibilmente tutti i giorni – uno yogurt Bifidus, si è certi che i batteri probiotici giungano continuamente in gran numero e in condizioni vitali nel tratto intestinale. Gli yogurt forniscono inoltre calcio e proteine di alta qualità.

Bifidus yogurt Cereali 150 g Fr. –.85

Bifidus yogurt Mocca 150 g Fr. –.85

Bifidus Crunchy yogurt Classic 175 g Fr. 1.95

Müesli a strati con mango e frutti della passione Per 4 vasetti Preparazione Dimezzate i frutti della passione ed estraete la polpa. Fatela sobbollire dolcemente con lo zucchero e l’acqua per ca. 5 minuti. Filtrate 2/3 della salsa passandola attraverso un colino e aggiungetela al resto della salsa non filtrata. Fate intiepidire. Nel frattempo, snocciolate il mango e tagliate la polpa a dadini. Marinate i dadini di mango con la salsa di frutti della passione. Mescolate lo yogurt con il quark. Tostate i fiocchi in una padella. Irrorateli con il miele e fateli caramellare leggermente. Fate intiepidire i

fiocchi. Versate a strati la crema di yogurt, i dadini di mango e i fiocchi in vasetti di vetro, ad es. vasetti per le conserve, alternandoli. Tempo di preparazione ca. 20 minuti Un vasetto ca.16 g di proteine, 5 g di grassi, 54 g di carboidrati, 1400 kJ/340 kcal Ricetta di:

Foto e styling Giulia Marthaler

Ingredienti 3 frutti della passione 1 ½ cucchiai di zucchero 2 cucchiai d’acqua 1 mango 600 g di yogurt Bifidus al mango 250 g di quark magro 40 g di fiocchi ai 5 cereali 1 cucchiaino di miele liquido di fiori

Bifidus yogurt Classic* 150 g Fr. –.65

Bifidus yogurt Mango* 150 g Fr. –.85

Bifidus yogurt Vaniglia 150 g Fr. –.85

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 09 marzo 2015 ¶ N. 11

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Idee e acquisti per la settimana

Milette Baby Care

Per mamme e bebè La delicata pelle dei neonati richiede cure particolari, perché è tre volte più sottile di quella degli adulti e dunque più vulnerabile. La linea completa di prodotti per neonati di Milette è concepita specificamente per la pelle delicata dei bebè e va dall’olio alla crema da sole per bebè. I prodotti non contengono né parabeni né coloranti. E al benessere delle mamme ci pensa la linea Mama di Milette. Con burro di karité e olio di sesamo: Milette Mama Burro per il corpo, 250 ml Fr. 9.30

Con ossido di zinco e camomilla: Milette Talco 100 g Fr. 1.95

Previene le smagliature della gravidanza: Milette Mama Olio per massaggi 150 ml Fr. 7.10

Con ossido di zinco e pantenolo, senza profumo: Milette Baby Crema per il sederino 150 ml Fr. 5.40

Super delicato: Milette Baby Shampoo 300 ml Fr. 2.70

Foto: Christian Dietrich; Styling: Mirjam Käser

Con olio di avocado e burro di karité: Milette Baby Crema viso e corpo 100 ml Fr. 3.45

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