Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 16 marzo 2015
Azione 12
Società e Territorio Virgilio Kohler: l’uomo che conosce ogni vite del LAC
Ambiente e Benessere Come riconoscere e curare i diversi tipi di artrite. A colloquio con il reumatologo Andrea Badaracco
Politica e Economia Boko Haram e Isis, l’asse del terrore jihadista
Cultura e Spettacoli In Ticino una primavera musicale ricca di spunti
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Gauguin, la mostra dell’anno
di Gianluigi Bellei pagina 31
Go East, Credit Suisse di Peter Schiesser L’avvicendamento ai vertici del Credit Suisse è più di uno scambio di poltrone: è una cesura storica, è la fine di un modello bancario e il tentativo di inventarne uno nuovo, che tenga conto del nuovo baricentro economico, spostatosi a est, verso l’Asia. L’americano Brady Dougan ha condotto il Credit Suisse durante l’era più tormentata immaginabile: quando giunse ai vertici della banca nel maggio del 2007 (dopo una carriera interna cominciata nel 1990), si era alla vigilia della crisi dei subprime negli Stati Uniti, che provocò la più devastante crisi della finanza mondiale, con conseguente recessione economica in numerosi Paesi; i rampanti anni protrattisi dagli Ottanta ai primi Duemila, quando i signori della finanza – veri Re Mida dell’epoca, e come tali retribuiti – erano avvolti da un’aura di infallibità, si chiusero con uno schianto e improvvisamente quell’enorme ricchezza si rivelò essere un enorme castello di carta. Sotto accusa finì il modello dell’Investment banking, che poteva sì generare grandi guadagni, ma anche – come avvenne – enormi perdite. Diversamente da UBS, Credit Suisse subì meno pesantemente
i contraccolpi della crisi finanziaria e non dovette chiedere aiuto alla Confederazione. Ma anche Brady Dougan capì che era venuto il momento di riposizionare la banca: meno Investment banking, più gestione patrimoniale. Tuttavia, le riforme annunciate, a detta degli esperti, non vennero poi implementate con la necessaria convinzione: l’Investment banking genera ancora la metà degli utili del Credit Suisse, mentre all’UBS la quota è oggi del 30 per cento, il capitale proprio resta attorno ai limiti inferiori previsti dalle nuove norme. Dougan restava prigioniero di un tempo e di un modello in cui gli Stati Uniti erano al centro del sistema solare, e dovette pagarne le conseguenze fino in fondo: con l’arrivo di Obama alla presidenza, il fisco americano si fece più aggressivo e non tollerò più che i superricchi nascondessero i capitali nelle banche svizzere; il sogno americano del Credit Suisse, di un Far West in cui la miniera d’oro appartiene al primo che la scopre, svanì definitivamente l’anno scorso, con l’umiliante audizione di Dougan e colleghi davanti al Congresso americano e un’ammissione di colpevolezza costata una multa di 2,8 miliardi di dollari. Era tempo di cambiare. Trovare un nuovo CEO che incarnasse un mutamento strategico
non era cosa evidente. Il franco-ivoriano Tidjane Thiam sembra la persona giusta, almeno a sentire gli analisti («l’importante è che non provenga dall’Investment banking») e a vedere la reazione della Borsa, che all’annuncio della nomina ha fatto schizzare il titolo CS dell’8 per cento, dopo che negli ultimi 5 anni aveva perso il 48 per cento. Come mai tanto entusiasmo, per un manager che non viene neppure dal mondo bancario, bensì da quello assicurativo? Tidjane Thiam guida dal 2009 la società di assicurazioni britannica Prudential e ha sviluppato una strategia di espansione in Asia coronata da successo (il titolo è salito del 264%). Credit Suisse è già molto ben posizionato in Asia e l’arrivo di Thiam è un segnale chiaro: go East. In Asia c’è la più rapida crescita di milionari e miliardari al mondo, ma in quest’area, la più popolosa del pianeta, c’è anche una vasta classe media che sta accrescendo il suo benessere e chiede servizi bancari e assicurativi affidabili. Finita l’era del segreto bancario a scopi di evasione fiscale, conta la qualità dei servizi bancari. Certo, una nuova strategia e nuovi modelli andranno definiti in dettaglio, Tidjane Thiam ha davanti a sé una rivoluzione. E ora che il Credit Suisse mostra una nuova via, altre banche svizzere seguiranno?
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Attualità Migros
M Il riso della Riseria al Consiglio di cooperativa Migros Ticino Martedì 4 marzo si è tenuta a S. Antonino la prima
riunione annuale dell’organo della cooperativa; all’ordine del giorno anche la presentazione dell’azienda di Taverne da parte del suo direttore Daniel Feldmann Ogni anno sono quattro le sedute in agenda per il Consiglio di cooperativa di Migros Ticino. Quella primaverile ha avuto luogo la scorsa settimana a S. Antonino, sotto la direzione del suo presidente Giuseppe Cassina. Oltre alle trattande più istituzionali, tra cui la presentazione dei conti 2014 di Migros Ticino, di prossima
Qualità Bio sugli scaffali di Migros.
pubblicazione, e la preparazione della votazione generale 2015, alla riunione ha partecipato Daniel Feldmann, direttore della Riseria Taverne SA, che ha illustrato le attività dell’azienda. Acquistata nel 1957 dalla Federazione delle cooperative Migros, la Riseria è oggi la più grande ed efficiente industria di raffinazione e imballaggio del riso attiva in Svizzera. Dai suoi silos transitano infatti circa 14’000 tonnellate di riso l’anno, che – con l’eccezione della piccola produzione dei Terreni alla Maggia – è di importazione e proviene per oltre la metà dall’Italia. A Taverne il riso arriva semigreggio, vale a dire liberato dallo strato esterno, una lavorazione in genere effettuata prima del trasporto. Giunto alla Riseria viene sommariamente ripulito da residui e polvere per poi essere conservato per almeno un mese in appositi silos, misura protettiva nella lotta ai naturali parassiti del riso: è in questa fase che per ogni consegna vengono effettuate le analisi di campioni, dopo di che il riso segue due differenti lavorazioni, a seconda del tipo. Nel caso del parboiled il riso greggio viene sottoposto a una lavorazione con vapore acqueo e alta pressione che permette di comprimere all’interno del
chicco le vitamine e le sostanze nutritive in origine presenti nella pellicola che lo ricopre. Al termine di questa procedura il riso viene essiccato e quindi avviato alla sbramatura. Il riso bianco viene invece sbiancato tramite abrasione, fino a che perde la pellicola argentea che lo avvolge; la farina che ne deriva viene poi elaborata in pellets da destinare all’alimentazione animale, visto l’alto tenore di proteine che contiene. I chicchi spezzati delle varietà italiane vengono invece separati e poi macinati, per farne della farina destinata all’industria alimentare. Sono una trentina le qualità di riso trattate a Taverne, che portano a oltre 100 prodotti finiti destinati al mercato svizzero. Al momento dell’acquisto, che avviene direttamente nei Paesi di origine del prodotti, prioritari risultano essere i requisiti di qualità, criterio non sempre facile da seguire, soprattutto a seguito dell’abbandono della coltivazione del riso a favore di altri cereali in atto in diverse parti del mondo, Italia compresa. Proprio per questo motivo in India e Thailanda la Riseria Taverne ha dato avvio a programmi volti ad assicurare a Migros un approvvigionamento di prodotti di
Uno dei circa 750 produttori di riso basmati Bio attivi nel nord dell’India.
prima qualità e nel contempo ecologico. Nel 2010 nel nord dell’India la Riseria ha dato avvio a un progetto pilota a sostegno della coltura del riso basmati a marchio Bio. Commercializzato per la prima volta nel maggio 2012 nella linea Mister Rice, nel 2014 ha potuto ottenere la certificazione Bio grazie alla qualità dei semi e alle modalità in cui avvengono coltura e raccolta, ancora secondo modalità tradizionali. Nello Stato del Jammu e Kashmir oggi sono circa 750 gli agricoltori con cui la Rise-
ria Taverne ha concluso un accordo di partenariato (che comporta l’acquisto di una parte determinante del raccolto con tariffe vantaggiose e la compensazione di eventuali perdite) che interessa una superficie di circa 1200 ettari. Questo modello di collaborazione diretta con piccoli agricoltori ha dato risultati così positivi da portare la Riseria a estendere il progetto alla Thailandia, dove nel nord viene coltivata in altura la varietà jasmin, anche in questo caso a marchio Bio.
«Le nostre marche hanno un grosso potenziale» Intervista Il responsabile delle industrie Migros, Walter Huber parla della crescita
all’estero e delle sfide legate al franco forte Daniel Sidler Per la prima volta, lo scorso anno, l’industria Migros ha registrato un fatturato di oltre 6 miliardi di franchi. Ha continuato a consolidare la sua posizione sui mercati nazionali ed esteri: in rapporto alla clientela internazionale sono particolarmente richiesti le capsule da caffè, i cosmetici, i detersivi e i prodotti di pulizia, così come i prodotti caseari. Ma anche la cifra d’affari con la comunità Migros ha continuato a crescere.
La nostra campagna «Noi firmiamo, noi garantiamo» è l’emblema di tutto questo. L’industria Migros possiede un know how molto ampio in vari settori: esso influenza la catena della creazione di valore, a partire dalla materia prima, passando per la produzione fino al consumo e al riciclaggio.
La forte verticalizzazione, cioè la collaborazione stretta con l’attività commerciale dei supermercati Migros, è la base dell’unicità dell’industria Migros. A questo contribuisce la grande ampiezza nella produzione. Realizziamo per le nostre necessità oltre 20’000 articoli: dal dentifricio e il gel per doccia fino alla cioccolata e alle specialità di gelato, per arrivare alla panetteria, alla carne e ai latticini.
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
tà di esportazione dopo la rinuncia della BNS a mantenere il tasso minimo di cambio del franco svizzero?
Principalmente a causa della sempre maggiore vicinanza al cliente, realizzata grazie alle nostre strutture di commercializzazione in Nord America, in Asia e nei mercati chiave europei.
Ci troviamo nella stessa situazione già verificatasi tre anni fa nel momento della rivalutazione del franco. In ogni caso gli effetti sono oggi essenzialmente più limitati di allora, perché non tutte le valute che sono importanti per noi sono state toccate. Lo stesso deprezzamento dell’euro nel frattempo si è dimostrato minore che in passato.
Come valuta lo sviluppo delle attivi-
Bilancio 2014 Una sana crescita
Walter Huber, cosa sa fare meglio degli altri l’industria Migros?
L’industria Migros è cresciuta in modo particolare in rapporto al commercio estero. Perché?
Lo scorso anno l’industria Migros ha segnato una buona crescita. La cifra d’affari è aumentata del 4,4 per cento, a 6,016 miliardi di franchi. La cifra d’affari con la comunità Migros è potuta crescere del 3 per cento. In rapporto alle aziende industriali grandi consumatrici, la cifra d’affari è aumentata dell’1,3 per cento, a 995 milioni. L’attività all’estero è aumentata del 22 per cento fino a 626 milioni di franchi.
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Quanto sia importante per le industrie Migros la piazza elvetica lo mostrano gli investimenti effettuati, che ammontano a 180 milioni. In questo modo molte superfici di produzione sono state aumentate e sono state introdotte nuove tecnologie. È cresciuto anche il numero dei collaboratori: sono stati creati 253 nuovi posti di lavoro e sono stati formati 472 apprendisti. Nell’industria Migros lavorano complessivamente 12’100 persone. www.mindustry.com
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Il franco forte non ha avuto ripercussioni così forti sull’industria Migros?
Evidentemente sentiamo anche noi la pressione sui margini di guadagno, in particolare per quei clienti a cui fatturiamo in Euro. Oltre a questo siamo confrontati con i nostri concorrenti internazionali in Svizzera, che propongono prezzi ancora più bassi. L’industria Migros cresce solo all’estero o anche in Svizzera?
Naturalmente anche in Svizzera. In una situazione economica concorrenziale il commerciante che può praticare il miglior rapporto prezzo qualità è Tiratura 98’645 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
favorito: e nel nostro Paese questo succede a Migros. Ma registriamo una crescita anche nel settore della gastronomia e in quello dei prodotti da forno. Qui, grazie alle nostre strutture logistiche di fornitura, siamo molto ben posizionati. Oltre ai rischi legati al settore delle valute, in quali contesti vede le principali sfide che l’industria Migros deve affrontare?
Vedo soprattutto delle opportunità, perché la nostra unicità ci aiuta a proseguire nella crescita. Nell’America del Nord siamo attualmente meglio radicati nel mercato, e anche in Asia non registriamo i segni critici dell’attuale situazione economica. Vedo un forte potenziale commerciale nelle marche come Frey, Café Royal, Heidi o Swiss Délice. Per questo guardo al futuro con molta fiducia. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio I cento anni dell’Associazione Svizzera Inquilini Mentre la campagna nazionale «Pigioni accessibili per tutti» propone misure in difesa degli inquilini, l’Associazione invita i Cantoni e i Comuni ad impegnarsi nella promozione dell’alloggio pagina 5
La gioventù dibatte Due ragazze di scuola media sono le nostre «inviate speciali» ai concorsi ticinesi di dibattito nell’ambito del progetto nazionale di educazione alla cittadinanza e promozione della democrazia pagina 6
Virgilio Kohler nella zona tecnica della sala concertistica e teatrale del LAC. (Stefano Spinelli)
Sopra le quinte Incontri Visita di un teatro insieme a Virgilio Kohler, direttore tecnico al Sociale di Bellinzona
e controller al LAC di Lugano Sara Rossi Guidicelli Un giorno mi ha detto: «Conosco ogni vite del LAC». E questo mi ha affascinata. Il teatro io lo vedo sempre dall’altra parte: mi siedo e mi rivolgo verso il palco, alzo gli occhi e c’è il soffitto, torno al boccascena e vedo aprirsi un sipario; il mio sguardo si ferma dove il fondale vuole che si fermi. Virgilio Kohler mi racconta invece il suo mestiere, «al contrario», cioè con il punto di vista che varia, dal pubblico allo spioncino in alto, da dietro le quinte, da parte, dalle passerelle sopra al palco dove ci sono le corde, i contrappesi e le quinte mobili. Mi parla di uno spettacolo come di un ingranaggio che deve funzionare perfettamente per quanto riguarda le luci, il suono, la visibilità; il resto è poi compito degli artisti e Virgilio, che di spettacoli ne ha visti a migliaia, anche in quel campo si ritiene esigente: «Sono un perfezionista. Io mi occupo con cura e precisione dei microfoni, dei proiettori, dell’amplificazione, dei macchinari. E mi piace quando vedo una compagnia che pretende da sé stessa lo stesso rigore, la stessa oliatura. Quando mi dimentico il nome e cognome di un attore e ne vedo solo il personaggio in scena, allora per me inizia il vero piacere». Virgilio viene da una famiglia
austriaca di quelle su cui si potrebbe scrivere un romanzo: il papà che insegnava lingue orientali in un’Università di Buffalo, una mamma interprete trilingue durante la guerra, una zia addetta all’Ambasciata al Cairo, uno zio ingegnere al Centro spaziale della Nasa e così via. Lui è cresciuto in collegio e ha sviluppato per conto suo la passione di costruire le cose. Inventarsele. Individuare un desiderio e poi realizzarlo con le proprie mani. Così, da studente, quando suonava, costruiva le chitarre che avevano il suono che voleva. Ancora oggi girano pezzi rari e preziosi firmati Kohler: ricorda per esempio il chitarrista dei Pepe Lienhard Band che gli ha chiesto di fargli uno strumento su misura. Ma non solo: nel 1970 Virgilio ha progettato e costruito la prima tastiera portatile, un sistema per irrigare le piante automatico a seconda dell’umidità e la prima cabina acustica alla fiera della musica di Francoforte. Negli anni Sessanta ha messo in piedi una ditta che costruiva chitarre e dagli anni Settanta ha lavorato anche come rappresentante di strumenti musicali. Con questi impieghi Virgilio ha girato parecchio e ben presto i negozi che rivendevano i suoi articoli hanno capito che potevano approfittare del
suo passaggio anche per dargli da riparare ogni sorta di strumento musicale. Sempre in quel periodo ha iniziato a lavorare al Cem di Bellinzona e questa oggi è una delle sue attività: un centro di servizi di luci e audio per ogni tipo di concerto, conferenza, spettacolo, festival (Virgilio è uno dei fondatori di Piazza Blues a Bellinzona, dell’Irish Music Festival che è stato prima nella capitale, Bellinzona, poi a Tesserete e infine a Locarno). Nel mondo del teatro ha iniziato con il Cabaret della Svizzera italiana occupandosi degli allestimenti pressoché in tutte le sale del Ticino; amico stimato di Renato Reichlin, questi lo ha chiamato a lavorare con lui al Teatro Sociale di Bellinzona; e così, dal 1999 Virgilio passa moltissime ore della sua vita lì dentro, dove costruendo e modificando, è riuscito a inserire ben 80 posti a sedere in più di quanti ce ne fossero prima. Ora che a Lugano si costruisce il LAC, con la sua sala principale, il Teatro Studio, la Sala Polivalente, la sala P30, a Virgilio è stato conferito il mandato di controller, già dal 2009. Da subito si è occupato dei progetti audio, luci, video e scenotecnica, e durante questi anni ha sviluppato e portato nuovi progetti che rendono la «macchina» più flessibile e aggiornata.
Ecco cosa significa che conosce ogni vite del LAC: perché solo una persona che lavora dentro un teatro può avere un’idea esatta di come va costruito un palco con tutta la meccanica di scena; nessuno meglio di lui sa dove mettere le regie, dove tirare i cavi che collegano le luci, i microfoni, gli amplificatori, i monitor e gli schermi per proiettare video. «Sono tutte cose che bisogna pensare in anticipo, così da poter a tempo debito soddisfare esigenze di ogni tipo per qualsiasi attività si vorrà svolgere nelle sale, che sia un concerto rock, un quartetto d’archi, uno spettacolo circense o un convegno», spiega Virgilio Kohler. A fine stagione se ne andrà dal Teatro Sociale per aver raggiunto l’età della pensione, ma prima di potersi riposare, se mai questo concetto entrerà a far parte della sua operosa esistenza, coordinerà gli eventi d’apertura del LAC (a settembre di quest’anno) e affiancherà il Direttore Michel Gagnon nel periodo iniziale. E la continuità? Durante la sua vita, tramite il Cem, Kohler ha attivato più volte corsi di formazione gratuita a giovani tecnici che avevano voglia di imparare e di impegnarsi; così, lui, all’occorrenza, ha sempre avuto manodopera valida che potesse aiutarlo negli allestimenti quando ne aveva bisogno
e, ora, non mancherà chi potrà prendere il suo posto nei preziosi compiti che sta svolgendo dentro e fuori i teatri del Cantone. Se proprio bisogna tirare dei bilanci, Virgilio ci dice che la sua missione di rendere ben visibili e ben udibili gli spettacoli gli è piaciuta. Trovarsi di fronte a una situazione difficile, quando mancano i mezzi ma devi assolutamente trovare una soluzione: ecco l’adrenalina di cui si è nutrito e che lo ha motivato per tanti anni. Da quando in gioventù negli studi di registrazione voleva raggiungere un suono ma la chitarra non glielo permetteva e allora lui si inventava lo strumento adatto. O già a scuola, in tenera età, quando i compagni gli chiedevano di mettere dei piccoli fari luminosi sui loro trenini elettrici e lui si ingegnava per soddisfarli. In particolare, ci confida: «Mi sento molto creativo con le luci, quando mi danno un copione e devo inventarmi cosa fare; soprattutto mi piace quando siamo in luoghi speciali, come dentro a un castello o a una chiesa barocca, dove posso giocare con le ombre, con gli spazi, tra vuoti e pieni». L’unica cosa che non gli va giù è la noncuranza, i lavori fatti male. E lo esprime con la sua solita onestà: «A me, se non c’è passione, mi giran proprio le scatole».
Il mastro macellaio consiglia: «per Pasqua, con l’agnello hai tutto il gusto di variare»
Il gusto del meglio. Al bancone della carne, il mastro macellaio della Migros ti consiglia di gusto tante specialità di agnello per Pasqua. Col contorno di tutti i segreti per una preparazione perfetta e per la scelta ottimale delle giuste quantità per ospiti e famiglia. La nostra maestria è al servizio del piacere gastronomico.
Alberto Lucca Filiale Serfontana Morbio Inferiore
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Società e Territorio
Dalla parte degli inquilini Alloggi L’Associazione Svizzera Inquilini festeggia i cento anni e invita Confederazione, Cantoni e Comuni ad agire
per garantire pigioni accessibili per tutti. E in Ticino il 26 marzo sarà presentato il piano cantonale dell’alloggio
Fabio Dozio «Lugano è un campo di battaglia – si esprime così, senza mezzi termini, la segretaria dell’Associazione inquilini della Svizzera italiana, Valentina Vigezzi – Da Besso a Paradiso, dalla città alla periferia, siamo confrontati con le disdette, con palazzi che vengono venduti e svuotati per essere riattati, per venir venduti o riaffittati. In questo modo spiccio, inquilini che risiedono da venti o trent’anni vengono sfrattati». A Savosa una società immobiliare mette in vendita gli appartamenti di una palazzina degli anni Sessanta appena acquistata da una società italiana. Gli interessati all’acquisto possono visitare un appartamento ristrutturato, cucina e bagni nuovi, pavimenti rifatti, qualità standard, ma se desiderano acquistare altri appartamenti devono attendere che si liberino.
«Noi invitiamo i locatari a chiedere la correzione della pigione quando il tasso ipotecario si abbassa» «Abbiamo dato le disdette un paio di mesi fa – spiega l’agente immobiliare – ma ci sono due anziani che non vogliono andarsene. Bisogna avere un po’ di pazienza! Una volta rinnovato può valere 1500 franchi mensili!». Un balzo del 40%, rispetto ai canoni attuali: Inquilini sfrattati e maltrattati. «Se una persona anziana cerca casa – chiarisce Valentina Vigezzi – fa fatica a trovarla, perché costa troppo, perché è costretta a lasciare il quartiere e perché le società non affittano volentieri agli anziani». Se la disdetta è motivata, si può comunque chiedere una proroga. L’inquilino può rivolgersi all’Ufficio di conciliazione, poi, semmai, alla Pretura. Ma non tutti sono disposti a contestare le decisioni del padrone di casa. Se le abitazioni vetuste non vengono trasformate in proprietà per piani, si risistemano e riaffittano a prezzi maggiori, tra il 20 e il 30% in più. Queste procedure hanno un nome chiaro, in buon italiano: si tratta di speculazione. I tassi ipotecari ai minimi storici continuano a far fruttare gli investimenti immobiliari, mentre gli inquilini non hanno sconti. Alla fine dello scorso anno il tasso ipotecario medio in Svizzera si attestava all’1,92%. Nel 2008 era al 3,5%. Su un volume complessivo d’ipoteche di 870 miliardi
di franchi, la riduzione del tasso permette di risparmiare più di 13 miliardi all’anno. Ne beneficiano i proprietari di abitazioni, gli investitori e le società che possiedono immobili. Chi invece rimane in braghe di tela sono gli inquilini, vale a dire, è bene sottolinearlo, due persone su tre in Svizzera. «Gli affitti non si abbassano quasi mai, anzi, qui in città aumentano – ci dice la segretaria dell’Associazione Vigezzi – Gli inquilini non hanno sempre voglia di chiedere una riduzione degli affitti e i proprietari non lo fanno automaticamente. Noi invitiamo i locatari a chiedere la correzione della pigione quando il tasso ipotecario si abbassa». La Costituzione svizzera, che a volte sembra un libro dei sogni, si occupa degli inquilini. L’articolo 41 afferma che «Confederazione e Cantoni si adoperano affinché ognuno possa trovare, per sé stesso e la sua famiglia, un’abitazione adeguata a condizioni sopportabili». L’articolo 108 sancisce perfino che «La Confederazione promuove in particolare l’acquisto e l’attrezzatura dei terreni per la costruzione d’abitazioni, la razionalizzazione dell’edilizia abitativa, la riduzione del prezzo della costruzione d’abitazioni e la riduzione dei costi abitativi». Difficile vedere, guardandoci attorno, i frutti di questi buoni propositi costituzionali. In questo scenario il ruolo dell’Associazione Svizzera Inquilini non è marginale. Fondata a Ginevra nel 1915, l’ASI festeggia i cento anni. La presidente nazionale Marina Carobbio Guscetti critica l’inerzia del Consiglio federale di fronte alla penuria di alloggi e al costante aumento dei canoni di locazione nonostante tassi ipotecari in continua discesa. «Il Consiglio federale – ci dice Carobbio – ha riconosciuto che c’è tensione nel settore dell’alloggio, ma poi non ha fatto granché». Lo scorso settembre l’Associazione ha lanciato la campagna nazionale «Pigioni accessibili per tutti» che propone sei misure. Introdurre pigioni trasparenti, vale a dire che chi prende in locazione un’abitazione ha il diritto di sapere quanto pagava l’inquilino precedente per arginare le speculazioni; limitare l’aumento delle pigioni nelle regioni con penuria di abitazioni; promuovere e monitorare il mercato dell’alloggio da parte dei Cantoni; favorire l’accesso ai terreni alle cooperative edilizie; garantire un sostegno finanziario pubblico per offrire abitazioni alla portata di tutti e vietare le disdette mirate a un maggior reddito. In dicembre il Consiglio federale
A Lugano negli ultimi sei anni sono state presentate una decina di mozioni sul tema degli alloggi. (CdT - Maffi)
ha fatto il punto sulla politica dell’alloggio, dopo aver preso conoscenza del rapporto del gruppo di dialogo in materia di politica dell’alloggio tra Confederazione, Cantoni e città. Si invitano Cantoni e Comuni a verificare la possibilità di introdurre aiuti individuali per la promozione dell’alloggio e a pensare a misure di pianificazione territoriale. Il Governo ha però deciso di rinunciare a introdurre il diritto di prelazione dei Comuni per favorire un’edilizia a basso costo o di utilità pubblica. «Il Consiglio federale ritiene che il diritto di prelazione influenzerebbe il mercato e per di più comporterebbe un ingente dispendio per i Comuni». La Confederazione rinuncia, per ora, a proporre interventi incisivi per sostenere la politica dell’alloggio, ritenendo che l’offerta di abitazioni debba essere garantita innanzitutto dai meccanismi di mercato. Ha però messo in consultazione la proposta di introdurre a livello nazionale il formulario che indica l’affit-
to precedente, in modo da garantire la trasparenza necessaria ed evitare aumenti sconsiderati delle pigioni. E ha proposto alle Camere un nuovo credito quadro di 1,9 miliardi di franchi per la promozione, tramite fideiussioni accordate a enti di utilità pubblica, di alloggi a pigione moderata. Anche il Canton Ticino si sta muovendo in questo ambito. Il prossimo 26 marzo verrà presentato il Piano cantonale dell’alloggio. «Il progetto – chiarisce Claudio Blotti, capo Divisione al Dipartimento della sanità e della socialità – verrà posto in consultazione presso i Comuni e le Regioni durante i mesi di aprile e maggio. Sarà sentita anche l’Associazione svizzera degli inquilini. Entro questa estate il Governo dovrebbe adottare il nuovo piano». I Comuni, da parte loro, possono avere un ruolo significativo nella politica dell’alloggio. Nyon, nel canton Vaud, per esempio, ha scelto interventi pianificatori efficaci. I terreni privati hanno un vincolo edificatorio del 25% di alloggi sociali, quelli pubblici del
anni di età, entra in casa. Tutto questo, naturalmente, presuppone che Maddie abbia già un iPhone. Ci dice anche in che modo la tecnologia sarà sempre più al nostro servizio, sarà sempre più il prolungamento di noi stessi. Per sapere le ultime notizie non dovremo più estrarre l’iPhone dalla tasca, neanche per sapere che tempo fa: uno sguardo, un tocco e il nostro iWatch, come per magia, ci dirà tutto. Certo magari al mattino ci dimenticheremo di guardare fuori dalla finestra, e osservare il cielo. Disimpareremo a riconoscere da dove provengono i venti. Disimpareremo a stare fermi, in silenzio, senza sollecitazioni audio visive. Disimpareremo ad orientarci attraverso i nostri sensi e le nostre percezioni. Ci dimenticheremo di dimenticare o di ricordare.
Con la prima generazione di iWatch non potremo, però, farci i selfie. Una brutta notizia per i direttori dei musei che detestano i visitatori muniti di quei pericolosi aggeggi chiamati selfiestick (un gadget per smartphone, un’asta con regolazione telescopica ideata per fare gli autoscatti a distanza), simili a delle canne da pesca per autoritratti. Antonio Natali, direttore degli Uffizi di Firenze, tra quei direttori che ha deciso di vietarli, in una intervista al quotidiano «la Repubblica», esprime le sue perplessità. In particolare, alla domanda se i selfie pubblicati sul web aiutino ad avvicinare i giovani all’arte, dice «no, se si continuerà ad entrare nei musei come esperienza di massa e non come esperienza dell’anima». Ecco questo mi ha riportato alle parole del CEO di Apple Tim Cook
40%. Nei piani di quartiere il 10% degli alloggi deve essere a pigione contenuta, il 15% proprietà di cooperative. A Lugano negli ultimi sei anni sono state presentate una decina di mozioni sul tema. Un’iniziativa popolare, promossa dal partito socialista, dall’Associazione inquilini e dal sindacato VPOD, invita la città a promuovere abitazioni accessibili a tutti in particolare creando un ente pubblico che possa costruire e gestire abitazioni a prezzi contenuti. Il Municipio propone un controprogetto che annacqua l’iniziativa, ma ora la parola passa al Consiglio comunale. La centenaria Associazione Svizzera Inquilini, insoddisfatta di quanto si sta facendo per un bene primario come la casa, intende lanciare un’iniziativa popolare che spinga le autorità politiche a intervenire con vigore, per esempio con la messa a disposizione di terreni e stabili pubblici, per offrire alloggi a buon mercato. A giugno l’assemblea dell’ASI deciderà su questa nuova proposta.
La- società connessa di Natascha Fioretti L’iWatch non ci renderà invincibili
La presentazione del nuovo Apple Watch in diretta streaming mondiale è stato l’evento high-tech della scorsa settimana. Alzi la mano chi non l’ha visto o, chi, il giorno dopo, preso dalla curiosità, non ha guardato i giornali per saperne di più. Comunque il video si può rivedere sul sito della Apple, è facile scoprire quanto sarà grande e benefico l’impatto di questo nuovo gadget indossabile e, soprattutto, dove, e a partire da quando, si potrà acquistare. Funziona in tandem con l’iPhone e ha una marea di applicazioni che permettono di fare l’inimmaginabile: fare shopping senza estrarre il portafoglio, fare il check – in un albergo o all’aeroporto, controllare la posta da remoto, la vostra casa, ricordarvi di prendere l’ombrello,
di pagare le bollette, di andare a correre… Grazie al vostro iWatch sarete uomini e donne più efficienti. Parola di Tim Cook «vogliamo fare la differenza, farvi fare un buon uso del vostro tempo». In concreto, significa ad esempio risolvere con facilità problemi di ordine quotidiano. Un collaboratore di Cook, salito sul palco, fa l’esempio: mia figlia Maddie mi manda un messaggio nel quale dice di essere rimasta chiusa fuori casa. Per iWatch un gioco da ragazzi: grazie ad una app, Home Kit, esso è collegato al dispositivo di casa che fa alzare e abbassare la saracinesca del garage; basta dare il comando da remoto, e il gioco è fatto. Non solo, grazie ad una videocamera installata nel garage, il papà di Maddie può seguire l’avvenimento in diretta e vedere come sua figlia, all’incirca dieci
sull’ottimizzazione del tempo grazie all’iWatch e ai suoi benefici. Certo la tecnologia ci aiuta a disporne meglio ed in maniera più efficace. Ma il tempo non è una scatoletta di cui possiamo disporre a piacimento. Non è una applicazione che ci risponde su richiesta. È fatto anche di imprevisti. È scandito dai nostri sentimenti, dai nostri stati d’animo, dalle nostre paure, dalle nostre aspettative. Il tempo è altro dalle lancette, è esperienza dell’anima, della vita, di noi stessi e dell’altro. È un qualcosa al quale solo noi possiamo dare una dimensione, un sapore, un significato all’interno del flusso della vita. L’iWatch questo non può farlo. È un super gadget, ma può solo dirci che ore sono. Il resto per fortuna spetta a noi. Questo almeno ricordiamocelo. Noi, non l’iWatch.
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Società e Territorio Nuove tecnologie e stili alimentari sani erano i temi sui quali si sono confrontati i ragazzi: 12 di loro si recheranno a Berna per la finale nazionale prevista il 20 e il 21 marzo. (Sara Daepp)
P come pubblicità, l’anima del Web Alfabeto Digitale Un ingrediente inevitabile
nel nostro uso quotidiano della Grande Rete Ugo Wolf Il 13 novembre scorso è stato un giorno diverso dagli altri, almeno per i navigatori web. Per qualche ora i server che mettono online la pubblicità di Google sono andati incontro a difficoltà e sono stati spenti. Questo ha dato la possibilità ai navigatori della rete (perlomeno a quelli americani, perché da noi la panne si è verificata attorno alle 3 di notte) di provare un’emozione del passato: hanno surfato per qualche ora in un’Internet improvvisamente tornata alle origini, all’epoca cioè in cui la pubblicità online era molto meno invadente e invasiva di oggi.
Una giornata di pratica democratica La gioventù dibatte Due inviate speciali hanno seguito
per noi i concorsi ticinesi di dibattito e ci spiegano come funziona questo progetto nazionale di educazione alla cittadinanza e promozione della democrazia Ivana Ivankovic e Bianca Nussbaum La mattina di lunedì 19 gennaio 2015, piuttosto infreddolite e ancora sonnolente, ci ritroviamo alle 7.25 nei pressi della stazione di Cadenazzo. Mentre osserviamo tanti compagni di tutti i giorni incamminarsi verso la vicina scuola media, noi aspettiamo impazienti il treno per Bellinzona, dove seguiremo da improvvisate giornaliste una giornata un po’ particolare, durante la quale 48 allievi di terza e quarta media di tutto il cantone, 7 dei quali provenienti da Cadenazzo, si affronteranno sfidandosi all’ultimo argomento in… dibattiti democratici. Questa giornata costituisce il momento culminante di una preparazione durata diversi mesi, prima dibattendo in classe, poi preparandosi individualmente a casa e, infine, incontrandosi fuori dall’orario scolastico, aiutati da alcuni insegnanti della nostra sede scolastica. Un mese prima del fatidico 19 gennaio, i partecipanti hanno ricevuto dagli organizzatori i due temi sui quali prepararsi: la possibile nocività delle nuove tecnologie per gli adolescenti durante le qualifiche del mattino e l’opportunità di promuovere stili alimentari sani per le finali pomeridiane. Una delle dibattenti, Lucia Veggian, proveniente dalle Scuole medie di Bellinzona 1, ci dice a questo proposito: «Trovo gli argomenti proposti equilibrati: da una parte le tecnologie, una tematica più facile da affrontare, e dall’altra gli stili alimentari, che comportano un livello di difficoltà più alto». Siamo arrivate alla Biblioteca cantonale di Bellinzona, che da luogo silenzioso per eccellenza, dedicato alla quiete lettura, si è trasformata per un giorno in una moderna agorà, animata da un brusio di voci provenienti dalle più svariate sedi scolastiche del nostro cantone, da Bedigliora fino ad Ambrì, passando da Gordola a Giubiasco. Ci sono tanti giovani diversi, uniti però dal desiderio di mostrare la loro capacità di saper discutere in modo civile. Doreen Cavargna, che viene dal-
la scuola di Acquarossa, agitata come tanti altri ragazzi prima dell’inizio dei dibattiti mattutini, ci svela la sua motivazione: «È una bella esperienza che, ne sono sicura, mi aiuterà a costruire il mio futuro». A questo punto ci dirigiamo verso una delle sale che ospitano le discussioni. Entriamo appena in tempo per sentire suonare la campanella del «guardiano del tempo», anche lui un ragazzo, incaricato di scandire le varie tappe, ben strutturate, del dibattito. Sui volti dei quattro sfidanti, due favorevoli e due contrari, estratti rigorosamente a sorte, la tensione è ben visibile. Ognuno ha due minuti per introdurre le proprie argomentazioni, poi cercare di imporsi durante i dodici minuti di discussione a ruota libera e infine convincere in modo definitivo i tre giurati adulti nel minuto dedicato da ognuno alla conclusione. Al termine dello sforzo, finalmente liberati dalla tensione, gli allievi riflettono criticamente sulla loro prestazione, come Sara Costi, che ci dice ancora a caldo: «Durante il dibattito libero avrei dovuto cercare di cambiare più spesso il tipo di argomento, non focalizzandomi sempre sullo stesso, in modo da esporre tante idee diverse su cui far discutere gli altri». Al termine di tre serie di dibattiti, poco prima delle 13.00, tutti i partecipanti si riuniscono nell’atrio della biblioteca, per scoprire, non senza una certa ansia, la lista degli allievi qualificati per le sfide pomeridiane. I giurati, intanto, ragionano su quello che hanno potuto osservare durante la mattinata, come Marco Guaita, esperto per l’insegnamento dell’italiano nella scuola media: «Sono convinto che un’esperienza del genere può servire tanto ai ragazzi nel migliorare la loro espressione orale, a sentirsi più sicuri nel parlare in pubblico e a sviluppare più chiaramente le loro argomentazioni, in modo da affrontare con maggiore consapevolezza tutta una serie di problemi d’attualità». La fame inizia a farsi sentire e, tutti assieme, ci dirigiamo verso la mensa,
dove passiamo un momento simpatico e conviviale, che ci permette di recuperare qualche energia, prima di seguire i dibattiti del pomeriggio, al termine dei quali sono selezionati i dodici allievi, più due riserve, che si recheranno venerdì 20 e sabato 21 marzo 2015 sotto l’affascinante cupola del Palazzo federale di Berna per affrontarsi nella finale nazionale. Sofia Truninger, visibilmente entusiasta, sarà una di questi: «La mia insegnante mi ha incoraggiato a venire. Ora sono molto felice e fiera di essermi qualificata per Berna». Anche Giotto Celio si è conquistato, con grande merito, un posto a Berna. È contento del risultato, ma soprattutto particolarmente attento allo spirito dell’iniziativa: «È sicuramente utile per iniziare ad avere delle opinioni personali e imparare a difendere in modo pertinente le proprie idee». Infatti, come afferma Franchino Sonzogni, responsabile del progetto nella Svizzera italiana: «Beh, imparare a dibattere significa imparare a difendere la propria opinione. Questo è sempre utile nella vita. Del resto noi proponiamo il dibattito come strumento per imparare a esprimersi». E così, dopo qualche veloce saluto a delle nuove conoscenze fatte durante queste ore, ci uniamo ai nostri compagni di Cadenazzo. Uno di essi, Nathan Regazzi, è riuscito a entrare nella ristretta lista dei qualificati per Berna. Ci avviamo verso la stazione, guidati dall’insegnante che ci ha accompagnato, per rientrare a casa alle 17.30, stanche ma felici di aver vissuto, anche solo come osservatrici, questa esperienza di pratica democratica, così importante per dare solidità a una conquista ancora giovane, da far maturare, un po’ come i valorosi partecipanti a questa giornata.
Le nostre mosse di navigatori virtuali non passano inosservate ai grandi provider di inserzioni online Per quelli come noi, utenti informatici avanti negli anni ma di battesimo digitale recente, la pubblicità in rete è un dato assodato. Noi «nasciamo» immersi nel grande mare pubblicitario. Sul web sono riusciti a venderci di tutto, dagli antivirus patacca agli abbonamenti telefonici più improbabili. Abbiamo abboccato a tutti i tranelli di sorta, tipo iscriverci a Google+ (senza aver la più pallida idea di cosa fosse) e diventare immediatamente amici di Mariah Carey (senza capire come sia successo), la quale ci ha bombardato impietosamente con i suoi 7-8 selfies quotidiani e un sacco di informazioni in inglese che non capiamo. Siamo riusciti ad installare le più improbabili barre di ricerca sponsorizzate nel nostro Internet Explorer e abbiamo lasciato il nostro indirizzo email a chi ce lo richiedesse per i motivi più strampalati, sempre con la paura di stare sbagliando qualcosa e, di fatto, sbagliando. La pubblicità online per noi insomma è una dura realtà con cui cerchiamo di convivere, sperando di non farci troppo male. Lei è in agguato in ogni porzione dello schermo: persino sotto, dietro la pagina che ci stiamo leggendo. Ma questo non è tutto: la pubblicità è talmente connaturata al web che in
realtà i siti stessi in cui stiamo navigando ci tengono d’occhio. Prendono nota delle nostre ricerche, dei nostri interessi e fanno in modo che la nostra utenza sia correlata da messaggi pubblicitari personalizzati. Il sistema di monitoraggio infatti ha trovato la sua pratica applicazione nelle strategie di marketing, e viene utilizzato regolarmente per studiare i comportamenti dei consumatori e le loro reazioni alle campagne pubblicitarie. Come è possibile tutto ciò? Il funzionamento di questo sistema è dovuto a una serie di documenti che i siti web scaricano sul nostro computer ad ogni visita. Si tratta di piccoli files chiamati «cookies», biscottini. Informazioni relative ai contenuti di ciò che cerchiamo e visualizziamo nel nostro browser rimangono memorizzate in una sezione apposita del computer e possono essere utilizzate per calibrare messaggi promozionali in linea con i nostri interessi. Provate a fare un giretto su Amazon, ad esempio: cercate un musicista che vi piace, ascoltate le anteprime di alcuni suoi album. Rimanete nel sito a girare per un po’. La prossima volta che tornerete a vistare Amazon, questa si ricorderà cosa avete visualizzato l’ultima volta e vi proporrà di prendere in considerazione prodotti analoghi. Volendo, potete fare l’esercizio opposto. Se usate Firefox come browser, ad esempio, accedendo alla sezione Preferenze, poi a Privacy, vi viene offerta la possibilità di rimuovere i cookies presenti sul computer (vedi immagine). Potete addirittura scegliere di disattivare soltanto i cookies relativi ad un sito specifico. Scegliete ad esempio di annullare quelli di Amazon: la vostra navigazione tornerà immacolata e immemore delle visite precendenti. Con nuovi cookies però, pronti a registrare le vostre mosse, per la prossima volta. I cookies, occorre dire, non sono sempre inutili. A volte memorizzano per voi password o altre abitudini di navigazione che si rivelano pratiche. Fungono anche da promemoria, insomma. È importante però per noi capire (senza arrivare ad eccessi paranoici) che potenzialmente niente di quello che facciamo sul web passa inosservato. Da qualche parte, una traccia del nostro passaggio rimane: tenerlo presente, forse, non è nemmeno troppo male.
Informazioni
www.jugenddebattiert.ch Articolo corretto dal professor Gian Franco Pordenone
Firefox e gli altri browser ci danno la possibilità di vedere quali cookies si sono installati nel nostro pc, ed eventualmente di cancellarli.
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Distruggere il passato Recentemente si è letto e si sono viste le immagini di jihadisti islamici che, oltre ad effettuare esecuzioni capitali di prigionieri, distruggono sistematicamente opere d’arte e preziose testimonianze archeologiche: in Iraq le statue del museo di Mossoul sono state fatte a pezzi; il 5 marzo la distruzione si è avventata contro le rovine della città assira di Nimrod, del XIII secolo a. C.; negli anni scorsi i talebani hanno operato la distruzione delle statue del Buddha a Bamiyan, in Afghanistan. Perché? Qual è il nemico? La figura del nemico non è evidentemente limitata ai soli simboli di una religione diversa e antagonista: come è evidente per i reperti archeologici di Nimrod, si tratta di cancellare un passato; distruggere un mondo per edificarne un altro, nuovo e meraviglioso. È un sogno che si annida nel profondo della psiche e che si manifesta nelle
varie forme millenaristiche di religiosità. Era così per il popolo d’Israele: Jahvè ordina: «Voi vi comporterete con loro così: demolirete i loro altari, spezzerete le loro stele, taglierete i loro pali sacri, brucerete nel fuoco i loro idoli» (quanto alle relative popolazioni, «tu le voterai allo sterminio», Deut. 7:1-8). Il cristianesimo l’ha fatto sistematicamente: via via che l’espansione della nuova fede si affermava con l’aiuto dell’impero, si procedeva alla distruzione dei templi pagani e – come attesta con approvazione Beda il Venerabile nel 731 – al massacro dei relativi sacerdoti. Con i decreti di Teodosio (392) i templi vengono proibiti e i culti pagani sono puniti con la morte. Un santo non da poco – Agostino –, alla notizia che i Visigoti hanno conquistato e saccheggiato Roma, esulta: finisce la città dell’uomo, ha inizio la Città di Dio. Questa attesa del mondo nuovo, che
richiede la previa distruzione del vecchio, ha dunque radici profonde e persistenti. La nostra cultura si è distanziata progressivamente da questa mentalità millenaristica; ma evidentemente, come mostrano i rigurgiti attuali nelle frange estremistiche dell’Islam, essa rimane radicata nella psiche di popoli che non hanno avuto la stessa evoluzione culturale. Non trovo nulla, nell’estremismo islamico, che non sia stato anche nostro. È vero che il cristianesimo ha smesso di perseguitare pagani, eretici, infedeli, e di distruggere le loro testimonianze culturali: ma per raggiungere questo risultato è stata fondamentale la separazione del potere politico da quello religioso. Oggi la Chiesa cattolica è sostenitrice convinta dell’eguaglianza dei diritti umani, della tolleranza e della libertà religiosa – tutte cose che papa Pio IX aveva condannato come «deliramenti» nel Sillabo
del 1861. Anche la guerra, oggi, sembra rifiutata senza eccezioni e papa Francesco la dichiara «incompatibile con la religione»; ma decine e decine di teologi e di papi, per secoli e secoli, hanno teorizzato la «guerra giusta» e, addirittura, la «guerra santa». Per secoli è risuonato l’invito alla guerra e alla persecuzione: degli ebrei, dei musulmani, dei catari, dei valdesi, dei luterani, dei calvinisti, degli anglicani… Tempi di barbarie passati, errori umani definitivamente risolti? Chissà... L’istruzione delle masse, l’avvento delle democrazie e i processi di secolarizzazione hanno portato dei cambiamenti radicali, sia nella mentalità occidentale, sia nel magistero cattolico. Quel «relativismo culturale» che papa Benedetto XVI ha condannato ripetutamente nel suo pontificato avrà certo i suoi torti, ma per lo meno ha contribuito ad attenuare la componente integrali-
sta e il fanatismo religioso. E tuttavia nel profondo della psiche rimangono fantasmi sepolti – e i fantasmi, si sa, sono revenants. Anche per questo è un peccato che ci si ricordi così poco della nostra storia passata; perché «chi si dimentica del passato è condannato a ripeterlo». L’attuale sogno di distruzione e ricostruzione elaborato da certe frange islamiche non vuole sapere che il mondo migliore da sempre sognato non nasce dalla distruzione di quello vecchio, ma si costruisce su di esso correggendone i difetti e progredendo sul sentiero contorto della ricerca morale. Volere, con mentalità millenaristica, la realizzazione utopica del mondo perfetto richiede necessariamente e preliminarmente una radicale distruzione. Lo si è visto nella storia di tutte le utopie, comprese quelle che hanno flagellato con dittature disumane il secolo scorso.
il Giura, e l’Ajoie in particolare, è terra di leggende – dove il paese si riunisce qui per decidere la sorte di un bracconiere soprannominato Gros Jacques. In realtà, questo luogo è attestato come ritrovo secolare per le assemblee paesane, all’ombra di un vecchio tiglio ormai scomparso. «A qualche passo dalla Pierre Percée si trovava ancora, qualche anno fa, una roccia informe, quasi interamente distrutta per fornire materiale da costruzione. Secondo la tradizione questa roccia ricopre la panetteria delle fate che la notte si sentono cantare mentre impastano; qualcuno ha anche visto il fuoco di questo forno sotterraneo», scrive l’abate Arthur Dacourt nel 1903. Faccio qualche passo e un pezzo della pietra delle fate c’è ancora. Si racconta poi che nelle notti di luna piena si vedeva un branco di cinghiali aggirarsi inquieto. Un cavaliere nero gli dava la caccia e la gente del posto era solita lasciare qui delle balle di fieno per il cavallo di questo misterioso cacciato-
re. Passa uno sul suo trattore con dietro sei balle di fieno. Tra quel che resta della pietra delle fate e il dolmen druidico, c’è una fontana addormentata con un tre dita d’acqua dove sono annegate pagine di libri. In faccia, accanto al ristorante, c’è il coiffeur unisex Kathy. Laggiù, i tipici campi giurassiani frammisti ai prati che distendono lo sguardo. Al ristorante della Pierre Percée, un contadino birrafondaio mi racconta la leggenda del Gros Jacques che hanno fatto passare a forza per il buco, intrecciando nella sua versione anche cavaliere nero e cinghiali verdi. In una grotta non lontana da qui abita la Tante Arie, la fata regionale gigante che ha denti di ferro e zampe d’oca, alla quale le ragazze in cerca di marito deponevano rami di vischio. A proposito delle fate pasticciere, l’usanza era di lasciare vicino alla loro pietra, del latte, di cui sono ghiotte. Il signor Morel mi dice che lui, dopo una sbornia, ci mette dentro la testa, nel buco del dolmen, e gli passa tutto.
ben visibile con i suoi pregi e difetti. Sarà, insomma, la fine della categoria dei patiti del volante, che con la propria vettura s’identificano, fisicamente e mentalmente? Sta di fatto che la tecnologia, cui prima o poi ci si deve arrendere apprezzandone i vantaggi, ha comportato sostituzioni e persino rinunce dolorose. Cito il caso a me più vicino: il tablet che sostituirà libri e giornali, e conseguentemente un intero universo cartaceo. Perdono significato e fascino oggetti simpatici come stilografiche, matite, agende, taccuini, cartoline e, poi, enciclopedie ben rilegate con l’esito finale di svuotare intere pareti di casa, che saranno poi occupate da schermi giganti. E scompariranno gli impianti stereo, collegati ai giradischi, i vinili, i cd, sopraffatti dall’avvento della musica full immersion per via auricolare, che accompagna sempre e ovunque. Si dispone, ininterrottamente, di prestazioni e di possibilità che superano le normali esigenze del cittadino consumatore: prelevare soldi, nel cuore della notte, prenotare in qualsiasi momento
posti in aereo o a teatro o camere d’albergo. Comodità che sembrano ovvie, indispensabili e persino gratuite. In realtà, il prezzo non si paga in moneta corrente ma in termini ancora imprecisabili. L’acquisizione di ogni nuovo congegno sottintende una perdita: non soltanto di un oggetto precedente ma anche di una capacità, di un’abitudine, di una relazione: con il benzinaio, il bancario dietro lo sportello, la sarta, il capotreno, e via enumerando funzionari e artigiani, eliminati da un tesserino magnetizzato. Di pari passo con la scomparsa, per quel che concerne gli oggetti, si è sviluppato il recupero nostalgico. Si pensi alle cabine telefoniche di Londra: non servono più ma impreziosiscono l’arredo urbano. Non di rado, però, il culto del ricordo conduce al kitsch. Abbiamo sotto gli occhi esempi ormai classici: la ruota di carretto trasformata in lampadario, il macinino del caffè promosso a ninnolo da salotto, il telefono a manovella rivestito di velluto che nasconde un apparecchio attuale. E qui sta l’illusione: il vecchio non è necessariamente bello.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il dolmen con il buco di Courgenay Courgenay, nel Giura, oltre che per il dolmen con il buco, era conosciuto qualche tempo fa, soprattutto nella Svizzera interna, per una cameriera. Una cameriera di nome Gilberte, entrata a far parte del folclore svizzero a partire da una canzone di Hanns In der Gand, pseudonimo di Ladislaus Krupski: La petite Gilberte de Courgenay (1917). Tanto che questa beniamina dei soldati di stanza lì al confine con la Francia, trasformata poi durante la seconda guerra mondiale in eroina patriottica attraverso un romanzo, una pièce e due film propagandistici, nel Dizionario storico svizzero è presente proprio come «Gilberte de Courgenay». L’Hotel de la Gare, gestito all’epoca dai genitori di Gilberte SchneiderMontavon (1896-1957), viene comprato nel 1979 da una fondazione svizzerotedesca fallita qualche anno fa e restaurato, diventando l’Hotel-restaurant de La Petite Gilberte. Eccolo, proprio alle spalle della stazioncina di questo
villaggio dell’Ajoie, alle porte di Porrentruy. Di fianco, un altro hotel chiuso da tempo, l’hotel du Mont Terrible. La piccola Gilberta, ben frequentato a pranzo da pensionati e operai, va detto, è un posto onesto, ottimi i rösti. M’incammino con il corroborante odore del letame che si spande nell’aria di quasi primavera, lungo la strada chiamata pure, in onore della cameriera topica, Rue de la petite Gilberte. Un vecchietto m’indica la via: «Tutto dritto poi la vedete». «Questa pietra ha 2 metri e 40 di altezza, 2 metri e 30 centimetri di larghezza e 40 centimetri di spessore» c’è scritto in un vecchio libro trovato da un antiquario basilese; inoltre «è stata eretta per uno scopo astronomico». E dopo una decina di minuti, sulla strada per Porrentruy, dietro l’angolo del restaurant-pizzeria de la Pierre Percée, la pietra forata è lì. Sotto un tetto di plexiglas, lavanda rinsecchita davanti, due panchine di legno e ghisa modello Centaure, prodotte dalla Graff di
Kogenheim, in Alsazia. Delude un po’ il colore, visto le formazioni calcaree tipiche del Giura tabulare avvistate di sfuggita in treno prima. La roccia calcarea è verniciata con una tinta biancastra, in basso sembra nascondere una scritta vandalica. Si legge in alcune annotazioni dell’archeologo alsaziano Fritz Kessler che «l’orientamento è quello che troviamo in tutti i dolmen, vale a dire Est-Ovest». A quanto pare, è stato perforato dai druidi seguendo una linea obliqua e in ogni stagione, grazie ai raggi solari e non so che sistema di segni tracciati per terra, riuscivano a leggere il passaggio di certi astri, l’ora del giorno, stabilire il periodo delle feste consacrate a un sacco di superstizioni, fissare i solstizi ed equinozi. Mentre da secoli, la credenza popolare vuole che il passaggio nel buco del monolite sia un rimedio contro le coliche biliari e una bottiglia di aceto passato da lì, un toccasana universale. Questi due elementi si ritrovano in una leggenda –
Mode e modi di Luciana Caglio Quando oggetti, gesti, mestieri diventano cimeli Si sarebbe tentati di dire, parafrasando Quasimodo, «ed è subito domani». Cresce, infatti, la sensazione che il passaggio verso un futuro prossimo venturo, il domani appunto, sia sempre più rapido: in un soffio, lo ieri appare invecchiato, mettendo fuori servizio tutta una serie di cose, usi, capacità. Responsabile di questa corsa è, ovviamente, la tecnologia, sempre temuta e demonizzata, perché disorienta e insospettisce, mentre, a ben guardare, sta svolgendo un ruolo consolatorio. In un’attualità, dominata dagli scenari di guerre e crisi della politica, i ritrovati tecnologici sembrano aprire un varco a prospettive di vita agevolata, di contatti più facili, di tempo liberato. Promette proprio di «Rendere il futuro migliore» anche l’ultimo nato dell’elettronica informatizzata, l’Apple Watch, l’orologio multifunzionale, presentato la scorsa settimana, in anteprima, a San Francisco e a Berlino, con un clamore pubblicitario permeato di quel certo moralismo americano. Rispetto ai precedenti iPod, iPhone, iPad, il nuovo congegno non mette in comunicazio-
ne soltanto con il mondo esterno ma anche con quello interno, l’intimità stessa, dell’utente: «Non è con te ma su di te», ha precisato il suo creatore, Tom Cook. In altre parole, il piccolo quadrante da polso sarà in grado di riportare dati sulle condizioni fisiche, peso, pressione, battiti cardiaci, come pure su quelle finanziarie, indicando lo
Cabine telefoniche a Londra: non servono più ma fanno parte dell’arredo urbano.
stato del conto in banca, e procedendo al pagamento di ogni fattura: basta un touch, un tocco in apparenza magico. Un gesto che, nelle belle intenzioni dei progettisti di questo congegno intelligente, ci regalerà tempo. Da destinare, a occupazioni, si spera, più utili e intelligenti. Alla stessa stregua, dovrebbe assicurare più libertà e più serenità anche l’altra magia tecnologica, che ha fatto notizia al recente salone dell’auto di Ginevra: la guida automatica, che sostituirà il conducente al volante, nel giro di un prossimo domani, questione di pochi anni. Ora, al di là dei benefici, innegabili, che un’innovazione del genere procura all’immenso pubblico degli automobilisti, che siamo tutti noi a volte nostro malgrado, qui si delinea un cambiamento dagli effetti sconvolgenti, sul piano umano. Questa macchina, che sa dove andare correttamente, adeguando la velocità a ogni condizione, infilandosi nei posteggi, senza urti né graffi, si affida a un personaggio perfetto e invisibile, cioè un’entità virtuale che prende il posto dell’automobilista,
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Ambiente e Benessere L’«Isola degli Angeli» Una Ellis Island sulla costa ovest americana: vi venivano raccolti gli immigrati asiatici
30 anni di Media Blenio Una pubblicazione ripercorre la storia della celebre gara podistica primaverile pagina 17
Due domeniche sugli sci Reportage dalle nevi: sulle montagne ticinesi si sono tenuti il Famigros Ski Day e la tappa ticinese del Grand Prix Migros
Un sonnellino allo stadio Sono ormai tramontati i tempi in cui le partite a Cornaredo offrivano grandi emozioni
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Il reumatologo dottor Andrea Badaracco. (Vincenzo Cammarata)
Artrite: una rivoluzione terapeutica Nuove cure Dolori, gonfiore, sensazione di calore e difficoltà di movimento sono sintomi riconducibili all’artrite Maria Grazia Buletti Chi non ha mai apprezzato i tratti e i colori delicati di qualche quadro del pittore francese Pierre-Auguste Renoir? Tra i massimi esponenti dell’impressionismo francese, egli soffriva di un’artrite reumatoide che gli aveva deformato le dita delle mani al punto che, per continuare a dipingere, egli doveva farsi infilare il pennello tra le dita e fissarlo con una benda. «Un tempo l’artrite reumatoide produceva sempre danni irreversibili alle articolazioni; oggi possiamo essere fieri della grande evoluzione dell’approccio diagnostico, terapeutico e farmacologico nei confronti di questa malattia reumatica che può essere quindi curata con successo». Esordisce così il reumatologo Andrea Badaracco nel nostro colloquio durante il quale ci permetterà di comprendere un po’ meglio cosa sia, come si manifesta e come si può tenere a bada questa malattia reumatica. «Per prima cosa, non dobbiamo confondere l’artrosi con l’artrite: la prima è riconducibile all’invecchiamento delle articolazioni, mentre l’artrite è un’infiammazione di un’articolazione
che si manifesta attraverso dolore, gonfiore, surriscaldamento e difficoltà a muovere la parte colpita». Pensiamo ai sintomi dei postumi di una contusione: «Però quando questi segnali non sono causati da una contusione, dobbiamo seriamente pensare di recarci dal medico per scoprire se si tratta di artrite e, di conseguenza, curarla adeguatamente», puntualizza il nostro interlocutore che ci ricorda l’importanza della grande esperienza clinica del medico per diagnosticare con precisione il tipo di artrite con cui ci si trova confrontati: «Ve ne sono infatti di differenti tipi e individuare quale forma ha colpito il paziente ci permette di scegliere la terapia più adeguata». Di fatto, le artriti si suddividono in tre grandi famiglie: «Quelle legate a un cattivo funzionamento del nostro sistema immunitario, che attacca ingiustamente le nostre articolazioni, le artriti legate alla presenza nel nostro corpo di cristalli anomali che provocano una reazione infiammatoria e infine le artriti dovute a infezioni da batteri o da virus. Queste ultime sono piuttosto rare». Rare ma non da sottovalutare, poiché il dottor Badaracco ci spiega
che, ad esempio: «La borreliosi o malattia di Lyme (ndr: l’essere umano la prende dalle zecche) può manifestarsi anche attraverso un’artrite». Un’altra prerogativa di questa malattia reumatica è data dal fatto che in genere può sorgere a qualsiasi età: «Ad esempio, tra le artriti autoimmuni si trova l’insidiosa artrite reumatoide che inizia attorno ai 30-40 anni, ma abbiamo pure l’artrite nei bambini (per esempio il cosiddetto “raffreddore dell’anca” che attacca i bimbi piccoli, dopo un normale raffreddore». Per fortuna, il raffreddore dell’anca ha una prognosi di guarigione spontanea e veloce: «Da un momento all’altro il bambino non cammina più e l’esame sonografico mostra una grossa raccolta di liquido nell’anca. Dopo una settimana l’artrite guarisce e il bambino torna a correre come prima. Per contrapposizione, invece, la condrocalcinosi è un’artrite legata alla presenza di cristalli nel nostro corpo che potrebbe fare capolino dopo i 50 anni d’età». La prevenzione, in caso di artrite, non è una via percorribile se non per la forma che si manifesta con la gotta: «È un’artrite di tipo metabolico, dunque
un sano stile di vita e un’alimentazione povera di sostanze che si trasformano in acido urico possono aiutare a restare sani». Per alcune forme artritiche che guariscono da sole, ve ne sono altre che, dicevamo, sono particolarmente insidiose: «L’artrite reumatoide ha un decorso potenzialmente molto grave e, se non immediatamente diagnosticata e adeguatamente curata, potrebbe condurre a danni irreversibili come quelli con cui ha dovuto fare i conti Renoir». Oltre ai sintomi già citati, all’inizio dell’artrite reumatoide possono comparire segnali generici come stanchezza, malessere ed eventualmente una leggera febbre: «La malattia può progredire lentamente o svilupparsi velocemente, ma ciò che dobbiamo rilevare è il fatto che oggi disponiamo di una cosiddetta finestra di opportunità terapeutica: se riusciamo a diagnosticare l’artrite reumatoide entro le prime settimane dalla sua insorgenza, possiamo intervenire con un’adeguata e tempestiva terapia farmacologica efficace, evitando lo sviluppo di danni articolari e ottenendo la remissione della malattia nella maggior parte dei casi».
La grande evoluzione dell’approccio terapeutico e farmacologico nei confronti delle artriti ha dunque prodotto enormi benefici e oggi l’artrite non fa più così paura: «Un tempo si trattavano le artriti iniziali in modo molto blando e solo quando erano conclamate la terapia diventava più aggressiva». Il dottor Badaracco dice senza mezzi termini che a quel tempo «si perdeva il treno» verso la guarigione: «Oggi no, i buoni risultati sono evidenti quando l’artrite viene trattata subito in modo incisivo». Anche ai nuovi medicinali va il grande merito di questo progresso: «Quando l’approccio è repentino, nella maggior parte dei casi i farmaci che abbiamo a disposizione portano a una remissione completa dell’artrite della quale non sono più visibili le deformazioni articolari di cui abbiamo memoria». Farmaci pure ben tollerati che lasciano una grande speranza di guarigione: «Quando un paziente ha un’artrite reumatoide inizia il conto alla rovescia e ciò che si decide durante le prime settimane ha una grande influenza sulla prognosi della malattia», conclude il reumatologo.
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Ambiente e Benessere
Angeli senza ali Viaggiatori d’Occidente La storia dei cinesi e giapponesi di Angel Island riemerge dal passato Claudio Visentin Fu una ragazzina irlandese, Annie Moore, la prima a varcare i cancelli di Ellis Island all’inizio di gennaio del 1892. Da quel momento e sino alla Prima guerra mondiale la piccola isola nella baia di New York, accanto alla Statua della libertà e all’ombra dei grattacieli, fu una porta spalancata verso il sogno americano. La attraversarono fiduciosi milioni di emigranti provenienti soprattutto dai Balcani, dall’Italia, dalla Germania o dalla Polonia. Il 40 per cento della popolazione americana ha un antenato passato di qui; e anche per questo sono numerosi i visitatori al nuovo museo aperto nel 1990 per celebrare una storia che, pur tra molte difficoltà, è stata di accoglienza e integrazione. Ma come insegnano le avventure di Alice nel paese delle meraviglie e i racconti di Borges ogni realtà ha un suo doppio inquietante, oltre la superficie lucida dello specchio. E anche Ellis Island ha il suo corrispondente dall’altra parte dell’America, in California, nella baia di San Francisco. Qui l’isola più nota è Alcatraz, dove sorgeva il carcere di massima sicurezza per i peggiori criminali del Paese: la prigione dalla quale nessuno è mai riuscito a fuggire, raccontata in tanti film e ora visitata da chi cerca emozioni forti. Ma poco più in là troviamo l’«Ellis Island dell’Ovest», Angel Island, l’Isola degli angeli, la cui storia, nonostante il nome luminoso, ha molte pagine oscure. Nel 1910 nella parte nord-est di Angel Island fu aperta la stazione d’immigrazione alla quale nei trent’anni se-
guenti si rivolse un milione d’immigrati provenienti dal Pacifico. Nelle sue diverse sezioni la stazione poteva accogliere fino a 2500 persone al giorno, con posti letto per 1000. Alla maggior parte di loro, per esempio a chi proveniva dalla Russia, fu concesso d’entrare senza particolari difficoltà, ma nei confronti dei cinesi ci fu un’esplicita volontà di scoraggiare l’immigrazione. I cinesi erano giunti numerosi in California già al tempo della «febbre dell’oro», a metà dell’Ottocento. Quando le miniere si esaurirono lavorarono alla costruzione delle ferrovie che in pochi anni aprirono i territori del Far West e crearono la nuova frontiera. Ma a questo punto, rimasti senza lavoro, i cinesi si volsero ad altri mestieri e con la proverbiale disponibilità a lunghe ore di lavoro per paghe modeste entrarono in concorrenza con gli Americani, oltretutto in un momento di recessione. Sono queste le premesse della legge del 1882 che vietava nuove immigrazioni cinesi e non consentiva a chi già era negli Stati Uniti di diventare cittadino americano. Alcune eccezioni furono concesse solo per chi aveva una buona posizione sociale o era figlio di cinesi già naturalizzati. Molti si aggrapparono allora a quest’ultimo spiraglio, cercando di provare di avere legami familiari negli Stati Uniti, anche con complici e false prove: per loro si parlò di «figli di carta» (paper son), ma nella maggior parte dei casi ottennero soltanto di essere trattenuti per mesi e mesi ad Angel Island per umilianti visite mediche e sfibranti interrogatori sulle loro presunte famiglie e su dettagli di vita quotidiana («Quanti gra-
Le vecchie costruzioni sono conservate come patrimonio storico. (angelisland.org)
dini ci sono davanti alla casa dei tuoi in America? Come si chiamano i vicini?»). Al primo errore si veniva rimpatriati in Cina, circostanza vergognosa alla quale alcuni sfuggirono col suicidio. Nelle lunghe ore vuote in attesa di essere interrogati alcuni emigranti cinesi espressero le loro paure e le loro frustrazioni incidendo poesie sui muri di legno dei dormitori. I guardiani le co-
prirono più volte con la vernice, ma sono state riscoperte e salvate da un custode nel 1970. Come scrisse uno dei rinchiusi: «Ci sono decine di migliaia di poemi su questi muri. Sono tutte grida di sofferenza e tristezza. Quando un giorno sarò libero e ricco, devo ricordarmi che tutto questo è accaduto». I versi esprimono soprattutto una comprensibile rabbia: «Siamo stati brutalmente im-
prigionati come se fossimo colpevoli, senza la possibilità di spiegare» oppure «Odio questi barbari che non rispettano la giustizia» o ancora «Quando giunsi in quest’isola mi fu detto ch’era proibito sbarcare a terra. Potei soltanto corrucciarmi e sentirmi pieno di rabbia in paradiso». Ma alcuni hanno anche un respiro più disteso: «Due volte ho attraversato l’oceano blu, e ho provato il vento e la polvere del viaggio. Due volte ho provato il dolore d’essere rinchiuso nel fabbricato di legno». Anche i giapponesi hanno una storia da raccontare a Angel Island. Da qui infatti nei primi due decenni del Novecento passarono quasi ventimila «mogli in fotografia» (picture bride). Poiché il visto d’ingresso era accordato solo a mogli di giapponesi già residenti negli Stati Uniti, i matrimoni venivano combinati da dei sensali che mostravano fotografie, senza che gli sposi si fossero mai incontrati. Il matrimonio veniva poi celebrato in forma collettiva subito dopo lo sbarco e molte donne ebbero appena il tempo d’accorgersi che il marito era molto, molto diverso dal suo ritratto: di regola più povero e meno avvenente, senza contare alcolizzati, violenti ecc. Solo di recente la storia di queste donne è stata riscoperta e raccontata, anche in romanzi e film di successo. Più ampiamente, dopo decenni di degrado, anche per Angel Island è cominciato un lento percorso di recupero e valorizzazione fortemente sostenuto dalla comunità cinese attraverso la creazione di un museo e il restauro degli edifici, ancora largamente in corso. Un colpo d’ala, per l’Isola degli Angeli. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
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Ambiente e Benessere
Tre decenni di «Media Blenio» Pubbicazioni I 30 anni della gara podistica
in un volume curato da Elia Stampanoni
Una manifestazione che unisce sport, natura, comunità e divertimento. È lo storico Giro Media Blenio che avviene come tutti gli anni nel periodo pasquale, e che quest’anno si terrà lunedì 6 aprile. Storico, poiché è dal 1985 che tale evento si svolge annualmente a Pasquetta con grande entusiasmo, nella bellissima regione verde e soleggiata della Val di Blenio. Infatti, proprio l’anno scorso, in occasione della sua trentesima edizione è stato pubblicato il libro 30 anni di Giro Media Blenio, un tributo che ripercorre la storia e il successo della manifestazione. Il libro, scritto da Elia Stampanoni, il quale fin da bambino è stato un appassionato partecipante dell’avvenimento, si divide in diversi capitoli che legano l’affascinante storia della manifestazione ai suoi protagonisti e alla corsa. Tutto cominciò nei lontani anni Ottanta con la fondazione del Gruppo Atletico Dongio (Gad), che voleva offrire ai propri giovani la possibilità di praticare l’atletica anche in Valle. Grazie a diversi finanziamenti si formarono delle solide basi che permisero l’organizzazione di varie manifestazioni, tra le quali quella di una gara podistica. Per promuoverla e pubblicizzarla Giorgio Bassetti, a quel tempo direttore dell’ente Turistico di Blenio, contattò il bernese Markus Ryffel, vincitore della medaglia d’argento nei 5mila metri nelle Olimpiadi del 1984, che elettrizzato dall’idea decise di partecipare all’evento. La gara, oltre ad essere stata appoggiata positivamente dallo sportivo d’élite, fu molto attesa dall’intera Valle e dal Canton Ticino; malgrado tutto l’entusiasmo non mancarono però varie critiche di chi dubitava del progetto. Nonostante ciò gli organizzatori non si fecero influenzare dalle incomprensioni e finalmente il lunedì di Pasqua del 1985, dopo tanto impegno e dedizione, venne inaugurata la prima edizione del Giro Media Blenio. La prima di altre ventinove (trenta contando quella di quest’anno) che seguiranno. I trent’anni della manifestazione vengono ricordati e ripercorsi nel libro di Stampanoni attraverso testimonianze, racconti e ricordi, non solo degli atleti ma anche del pubblico, dei collaboratori e di ospiti. Tra le sezioni sicuramente più interessanti del volume ricordiamo la galleria di testi-
monianze di partecipanti alla gara, raccolta non soltanto dalle voci di sportivi di punta, ma anche da quelle di appassionati appartenenti alle più varie categorie professionali. Tra i nomi più prestigiosi vanno sicuramente annoverati ben tre Consiglieri di Stato: Patrizia Pesenti, Pietro Martinelli e Paolo Beltraminelli. Ci sono poi rappresentanti della stampa sportiva, per una volta passati dall’altro lato della barricata, come Emanuela Gaggini e Nicola Margni; un manager come Gianni Demadonna e addirittura un filosofo, Nicola Pfund. Stampanoni ha voluto raccogliere dalla loro voce il ricordo dell’esperienza vissuta sul percorso della Media Blenio, accostandolo a quella di sportivi di calibro sicuramente più competitivo, come l’olimpionico di mezzofondo Marco Rapp, o il già ricordato Markus Ryffel, o ancora la campionessa rossocrociata Marta Odun, insieme a Claudia Riem, esperta di corsa in salita, e al triatleta Bruno Invernizzi. Queste testimonianze aggiungono riflessioni dallo spessore umano e frammenti di vita vissuta alla storia della manifestazione, al di fuori da ciò che raccontano le semplici cronache sportive. Il libro di Stampanoni propone un flashback degli avvenimenti di anno in anno, fino ad arrivare all’edizione più recente, enfatizzando le particolarità di ogni singola manifestazione. Caratteristiche e singolarità dell’evento come chiaramente l’annuncio dei vincitori ma anche l’inserimento del Grand Prix (gara Internazionale solo per atleti d’élite) e di conferenze educative sullo sport; oppure particolarità come quelle di vari inconvenienti climatici (vento e neve) che però resero, appunto, l’edizione unica e memorabile. Nella pubblicazione non mancano la rassegna stampa, le statistiche e i risultati dei campioni. L’inserimento della galleria fotografica aiuta ad accompagnare il testo, rievocando i momenti più indimenticabili di questo evento. Grazie al continuo supporto finanziario di vari sponsor (tra i quali Migros dal 2001 al 2009), ma anche grazie al costante impegno degli organizzatori della manifestazione, il Giro Media Blenio si rivela anno dopo anno sempre più riuscito e di successo. Sarà sicuramente un evento che accompagnerà per ancora molto tempo i nostri futuri Lunedì di Pasqua.
Il keniano Paul Kosgei, sul traguardo dell’edizione 2001, in una foto tratta dal libro.
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Ambiente e Benessere
M Il futuro dello sci Grand Prix Migros I giovanissimi dello Sci Club Airolo in evidenza
Renato Facchetti
Mario Curti
Dopo il forzato rinvio dello scorso 15 febbraio dovuto alle copiose nevicate, sabato 7 marzo la stazione sciistica di Airolo Pesciüm ha ospitato l’ottava tappa stagionale del Grand Prix Migros. Condizioni di neve ottimali, uno splendido sole e l’entusiasmo degli oltre 400 partecipanti giunti sia dalla Svizzera italiana che da oltre Gottardo e dai Grigioni, sono stati gli ingredienti che hanno garantito il successo di questa importante manifestazione. Grande soddisfazione espressa anche da tutti i volontari – oltre un centinaio – dello Sci Club Airolo che hanno riconfermato le ottime capacità organizzative. Con al vertice il Presidente Cesare «Kuki» Zamberlani e il responsabile della Commissione tecnica Mauro Terribilini, questo sci club, fondato nel lontano 1904, rappresenta oggi la più importante fucina di talenti nel settore dello sci alpino al Sud delle Alpi. A dimostrarlo sono proprio i risultati tecnici di questa edizione del Grand Prix, che ha visto qualificarsi per le finali in programma il prossimo 28/29 marzo a Les Crosets (Portes du Soleil) 12 concorrenti della Svizzera italiana, 11 dei quali appartenenti allo sci club di casa. Al «villaggio», posto sul terrazzo naturale all’arrivo della telecabina di Pesciüm, tanti giochi e premi hanno divertito e fatto la felicità di tutti i giovanissimi presenti grazie a SwissSki e agli sponsor Migros, Carne Svizzera, Thomy, Migros Vacanze, Blizzard, Nordica, Leki e Toko.
Grand Prix Migros, Airolo 7 marzo 2015
2005), Alessandro Maghetti (Mendrisio – 1° 2004), Nives Zamboni (Gentilino – 2° 2003), Seline Gobbi (Piotta – 3° 2003), Moreno Patelli (Contra – 3° 2003), Jaiman Mida Fah (Quinto – 2° 2002), Federico Toscano (S. Bernardino – 1° 2001). Le classifiche complete sono consultabili su: www.gp-migros.ch
Mario Curti
Alla finale di Les Crosets, si sono qualificati i seguenti concorrenti in rappresentanza della Svizzera italiana: Riccardo De Monaco (Sorengo – 1° 2007), Greta Beffa (Airolo – 2° 2006), Anna Reymond (Brè s. Lugano – 3° 2006), Loris Perosa (Arbedo – 3° 2006), Gaia Schenal (Airolo – 2° 2005), Simone Santoro (Claro – 1°
Mario Curti
Finalisti
Divertimento in famiglia Famigros Ski Day Oltre 300 partecipanti a Bosco Gurin quale vi informeremo a tempo debito. Le classifiche possono essere consultate su www.famigros-ski-day.ch come pure le informazioni per iscriversi alle ultime due tappe in programma il 22 marzo a Meiringen-Hasliberg e la domenica successiva a Morgins.
Famigros Ski Day, Bosco Gurin 8 marzo 2015
Mario Curti
rin e Losone si è confermata essere una giornata di vero e sano divertimento che ha visto prevalere lo spirito conviviale rispetto a quello agonistico. A dimostrarlo, il simpatico ambiente che abbiamo potuto vivere al «Famigros Ski Day Village»; cucina genuina, giochi e premi offerti da SwissSki, Famigros, Rivella e SportXX Migros, il tutto in una suggestiva cornice paesaggistica. L’appuntamento è quindi già fissato per l’edizione 2016, della
Mario Curti
L’undicesima delle quindici tappe del ricco calendario del Famigros Ski Day 2014/15 è andata in scena domenica 8 marzo a Bosco Gurin. Ha visto protagoniste 82 famiglie per un totale di 310 concorrenti che si sono confrontati sul tracciato disegnato sulla bellissima pista Ritzberg. Un magnifico sole e temperature primaverili hanno contribuito alla buona riuscita della festa: sì, poichè quella sapientemente organizzata dagli Sci Club Bosco Gu-
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Ambiente e Benessere
Un sonnellino pomeridiano Sportivamente Ecco una cosa che si può perdonare allo spettatore anziano, in una domenica di calcio da sbadigli,
anche quando in campo c’è la squadra del cuore
Alcide Bernasconi Ora non si dorme solo sulla poltrona del salotto davanti alla tv. È successo l’altra domenica (per essere precisi: due domeniche fa) che una coppia di tenaci tifosi della squadra bianconera di football (non è per usare una parola inglese e farsi belli davanti alla composta platea di lettori di corse sportive: si chiama proprio Football Club Lugano, quindi ridotto all’osso FCL) si addormentasse, senza accorgersene, sui seggiolini di plastica della Tribuna Monte Brè. Il tiepido sole di una domenica pomeriggio, comunque di una giornata non ancora primaverile, ha favorito questo quadretto dividendosi i meriti con la qualità del gioco. Un primo tempo dai toni dimessi, senza lampi di genio senza neppure una piccola scossa che risvegliasse lo spettatore assopito. Non è escluso che ve ne fossero altri sulla tribuna visto che in campo, contro i padroni di casa, stavano battendosi gli ultimi della classe della serie B. Così non va, è chiaro. Il Lugano, che ha un certo punto della stagione si deve essere immaginato di non avere avversari, alla ripresa del campionato, dopo la pausa invernale (si dice ancora così), ha dovuto invece fare i conti con una realtà alla quale non aveva neppure immaginato possibile. Contro i bianconeri, tutti gli avversari affrontati, salvo il Le Mont, assolutamente privo di argomenti da far valere come se visto nel secondo tempo, quando la squadra allenata da Livio Bordoli è apparsa un po’ più decisa nelle sue proiezioni offensive, sono scesi in campo con una determinazione e una voglia di sorprendere che sono bastati a mettere in difficoltà l’avversario, pur sempre aspirante alla promozione. Insomma, per 45 minuti i begli addormentati in tribuna non sono stati minimamente disturbati: non un grido
si è alzato a disturbare la quiete, non un tiro che potesse suscitare un «oh!» di meraviglia né un «ah!» di rabbia, ma neppure un’imprecazione, ossia la più normale delle reazioni di un pubblico indispettito. Così i due anziani tifosi si sono svegliati, stiracchiandosi senza vergogna, soltanto quando il fischio dell’arbitro ha rimandato tutti negli spogliatoi per la pausa. Non possiamo muovere qui alcun appunto a chicchessia, avendo optato per trascorrere un pomeriggio un po’ diverso alla fiera di San Provino, con visita all’ex bianconero Giuseppe Morotti per un saluto e l’acquisto dei tradizionali tortellini. Qualche anno fa Morotti salvò la nostra squadra del cuore, sull’orlo del precipizio finanziario, grazie al suo Malcantone/Agno. Noi, da parte nostra, eravamo certi che il Lugano stavolta ce l’avrebbe fatta senza troppi problemi. Anche senza di noi… Un tempo certe cose non succedevano. Un tempo si andava a Cornaredo, perché il gioco del pallone a volte anche da noi riusciva a far sognare i suoi sostenitori. Nessun pericolo che qualcuno s’addormentasse: di fronte alla tribuna principale nessuno ancora aveva pensato di costruirne un’altra. Quello era lo spazio dei «posti in piedi». E in piedi bisogna stare. Non è che il Lugano desse vita sempre a partite frizzanti, né cercasse sempre di offrire spettacolo. Finiti gli anni d’oro con Mario Prosperi e le sue parate (che Costantin, attuale patron del Sion ma allora riserva del portiere che il pubblico luganese chiamava «Mariolino», recentemente in un’intervista televisiva ha confessato che ammirava moltissimo al punto da desiderare di uguagliarne le gesta il giorno che sarebbe tornato in Vallese; con qualche centimetro in più il giocatore melidese avrebbe potuto magari fare una carriera strepitosa in una grande squadra), con
gono i bene informati. L’arrivo di rinforzi di una certa qualità potrebbe aver creato un po’ d’ansia nello spogliatoio, dove fino a Natale l’equilibrio era perfetto. Ma i malintesi potrebbero essere risolti e la situazione mutare se l’allenatore e i dirigenti che contano sapranno mettere tutti di fronte alle loro responsabilità, per ricreare un gruppo unito, pronto a lottare con determinazione e cuore. I playoff di hockey per il titolo e così pure la lotta per sfuggire alla retrocessione stanno dimostrando quanto sia importante il gruppo, mentre sembra che parole come «determinazione» e «cuore» non abbiano più il significato d’un tempo. Soldi, trasferimenti a getto continuo e altre cose ancora hanno profondamente cambiato il mondo dello sport di squadra, per non dire degli sport individuali: nel tennis, a parte l’inarrivabile Federer e l’ottimo Wawrinka, mancano per ora rincalzi pronti a rilevarli. Sconfitti in Belgio per la Coppa Davis, gli elvetici, senza Roger e Stan, hanno comunque rivelato un Henri Laaksonen in grado di imporsi e si spera possa fare altri passi da gigante. Quanto al ciclismo, la Commissione indipendente per la riforma del ciclismo, presieduta dall’ex magistrato ticinese Dick Marti, ha stabilito che l’ex presidente dell’UCI, l’olandese Hein Verbruggen e altri dirigenti furono di manica larga nei confronti dello statunitense Lance Armstrong, radiato a vita dopo essere stato privato delle sue sette affermazioni al Tour de France. Un applauso Marti se lo merita. Per una decisione importante e pur sempre difficile nella lotta al doping, dove continuano ad rivelarsi nuovi casi a tutti i livelli. Di fronte a questi fatti, lo spettatore anziano non ha forse tutti i diritti di reagire anche con un ritemprante sonnellino pomeridiano?
Cornaredo del passato: qui nessuno dormiva...
i vari Coduri, Pullica, Luttrop, Lusenti, Indemini, Brenna e Gottardi e altri che per periodi più o meno brevi diedero corpo alla squadra allenata da Louis Maurer, il Lugano ebbe fortune alterne, ma mai più riuscì a mirare al titolo, come successe in quel breve periodo della sua storia. Chi si assopisce oggi allo stadio sa
di non commettere alcun delitto, anche se le speranze di risalire nella massima divisione rimangono ancora intatte, nonostante il capolista Servette e il Wohlen che lo segue in classifica, abbiano dimostrato di possedere le carte in regola per tenere a bada ora i luganesi. Qualcosa s’è rotto in seno al club del presidente Angelo Renzetti, sosten-
Giochi Cruciverba Scopri il proverbio nascosto, leggendo a soluzione ultimata le lettere evidenziate. (Frase: 3, 4, 6, 2, 5, 2, 3, 3, 3, 6)
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27. Sono uguali nell’insieme 28. Parlò con Mosè sul monte Sinai 29. Il signor dei tali 30. La vita nei prefissi 31. Il secondo padre del cinema 33. Le tracce del passato 34. Il Paese col fiume Yarqon VERTICALI 1. Il soccorso del Pascoli 2. Si ripetono in ogni compleanno 3. Ricoveri per capre 4. Cade finendo in acqua 5. Qui in Francia 6. Pronome personale 7. Doppio in una giacca 8. Due di cuori
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ORIZZONTALI 1. Ignoto 7. Lo è l’oro a 24 carati 10. All’opposto, al contrario 11. Preposizione articolata 12. Lì in poesia 13. Si anima girando... 14. Se ci... capovolgete 15. Sale per riunioni solenni 17. Sono attaccati a un filo 18. Nota musicale 19. Nome di molti papi 20. Apre una breve scala 21. A metà del percorso 22. Precedono i settimi 23. Le iniziali della conduttrice Isoardi 24. Un canale organico 25. Fa esplodere il tifo
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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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9. È panciuto ma ha una bocca stretta 11. Motti, sentenze 13. Pausa, sospensione 14. Stato dell’Asia 16. Disposizione dell’animo 17. Un Claudio attore e conduttore 19. Diligente, scrupoloso 21. Il secondo uomo 22. Anche se hanno i braccioli non galleggiano 23. Isole del Tirreno 25. Ricevimento mondano 26. Logore, consumate 29. Fiume della Catalogna 30. Le iniziali del Duce 31. Le iniziali del regista Scorsese 32. Lo spagnolo...
Soluzione della settimana precedente
Dal negoziante – «Ieri dandomi il resto ha sbagliato di 50 euro» – «Spiacente oggi non posso verificare» – Risposta risultante: «Va bene allora me le tengo».
S A L P A
P I E N E
O T O R
A B E L R E A D M E O S
V V I A T I O S E T I A R A L I R C O D A M E R A A T I T G S T O O L N O
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Politica e Economia Capire il nostro tempo L’ultimo saggio di Henry Kissinger inaugura la serie dei dieci libri che ci guidano nella comprensione del mondo pagina 24
Prime picconate all’Isis
Nidvaldo salva la pace linguistica Bocciata l’iniziativa popolare cantonale dell’UDC che chiedeva l’insegnamento di una sola lingua straniera alle elementari, segnatamente dell’inglese
Iraq L’esercito iracheno, con l’appoggio di milizie sciite filogovernative, ha «liberato»
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dai jihadisti dello Stato islamico Tikrit, la città che ha dato i natali a Saddam Hussein
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Marcella Emiliani
Una foto del leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, tratto da un video diffuso dal gruppo . (AFP)
L’asse del terrore jihadista Boko Haram e Isis L’obiettivo geopolitico di Shekau, il leader violento e ambizioso del gruppo fondato in Nigeria,
è la costituzione di uno Stato Islamico il più esteso possibile. Che si ispira sempre di più al califfato di al-Baghdadi Lucio Caracciolo Dopo lo Stato Islamico del sedicente «califfo» Abu Bakr al-Baghdadi, Boko Haram è la sigla jihadista più in voga del momento. Questo gruppo fondato nel 2002 nella Nigeria settentrionale, si è segnalato negli ultimi anni per la crudeltà delle sue azioni – dall’impiego di bambini per compiere attentati suicidi, spesso in luoghi affollati, al rapimento di trecento ragazze, quasi tutte scomparse – così salendo alla ribalta dei media internazionali. In questo periodo è stato capace di costruire un proprio territorio di controllo o almeno d’influenza ampio più del Belgio. Esso si estende negli Stati federati di Borno, Yobe e Adamawa, a ridosso dei confini con Ciad, Niger e Camerun. La repressione militare scatenata dal governo centrale non è riuscita a sgominare i ribelli. Tanto che il presidente Jonathan, sempre più debole, è stato costretto a far slittare l’appuntamento elettorale nazionale dal 14 febbraio al 28 marzo, nell’improbabile tentativo di garantirne lo svolgimento anche nelle zone bokiste.
Ma quali sono le caratteristiche, gli obiettivi, le risorse di Boko Haram? La Congregazione dei compagni del Profeta per la propagazione della tradizione sunnita e della guerra santa – denominazione ufficiale del gruppo – nasce nel 2002 a Maiduguri, città di due milioni di abitanti, capitale dello Stato nigeriano del Borno. È un’area tradizionalmente islamica, come tutto il nord del grande Paese africano che i colonialisti britannici, prima di abbandonarlo, vollero amalgamare con il Sud cristiano, battezzando così un colosso dai piedi d’argilla. Quasi un milione di chilometri quadrati e oltre 170 milioni di abitanti, sparsi in 36 Stati di cui 33 affetti da conflitti intestini ormai cronici, basati sulle differenze etniche e religiose e incentivati dalla povertà, dalle diseguaglianze sociali, dalla latitanza delle istituzioni. Boko Haram – letteralmente «Boicottiamo l’educazione occidentale» – nasce come movimento pacifico. Il suo islamismo radicale, dal sapore fortemente anticolonialista, slitta verso la violenza solo all’inizio di questo
Fra i libri di Paolo A. Dossena
decennio. Il primo Boko Haram viene infatti affogato in un bagno di sangue dalla repressione del governo nigeriano, che nel 2009 lo sradica (provvisoriamente?) da Maiduguru e ne liquida il leader, il predicatore Mohamed Yusuf. Ma poco dopo Boko Haram risorge dalle sue ceneri sotto la guida di un nuovo capo, particolarmente violento e ambizioso, Abubakar Shekau. Si moltiplicano gli attacchi alle chiese cristiane, alle moschee gestite da musulmani «corrotti» o «apostati», alle scuole governative, accusate di diffondere la cultura occidentale. Negli ultimi mesi, Shekau sembra ispirarsi allo Stato Islamico del «califfo» sia nelle tecniche di propaganda che nello stile degli attacchi, come pure nella definizione ideologica. Tanto da aver proclamato la nascita di un suo Stato Islamico, nei circa 35 mila chilometri di territorio più o meno sotto il suo controllo, con capitale la città di Gwoza. Qui starebbe allestendo un sistema di welfare, offrendo servizi – scolastici, sanitari, di polizia e magistratura islamica – a popolazioni poverissime e storicamente trascurate
dal governo centrale. La brutale quanto inefficace repressione delle truppe nigeriane, in diversi casi non meno sanguinarie dei terroristi di Shekau, gli facilita il compito. L’obiettivo geopolitico di Boko Haram è chiaro: costituire uno Stato Islamico il più esteso possibile, con epicentro nel territorio del Borno, abitato dall’etnia kanuri, alla quale appartengono la maggior parte dei capi e dei combattenti dell’organizzazione. La bussola di Shekau si orienta sulla memoria mai dispersa del califfato di Sokoto, un impero precoloniale di profonda matrice islamica, smantellato dai britannici. Al quale apparteneva un territorio molto esteso, comprendente parti degli odierni Camerun, Burkina Faso, Niger, oltre alla Nigeria settentrionale. Ancora oggi nel Borno esiste un erede al trono califfal-sultanale di Sokoto, di etnia kanuri. La matrice anti-coloniale e anti-occidentale di Boko Haram, espressa nel suo stesso marchio, è dunque almeno altrettanto importante di quella religiosa. Il presidente Jonathan, la cui rielezione è fortemente in dubbio (se mai il
voto si terrà e sarà relativamente credibile), ha cercato di opporre a Boko Haram non solo la repressione militare – molti soldati hanno però disertato o si sono rifiutati di sparare – ma anche aiuti economici, riflessi nel Pine, un piano di assistenza per il Nord-Est, restato per ora largamente sulla carta. A Boko Haram non mancano le risorse economiche e militari. Queste ultime si sono moltiplicate dopo la fine del regime di Gheddafi in Libia, che ha messo sul mercato regionale un’enorme quantità di armi prima controllate dal dittatore. Quanto ai denari, essi affluiscono nelle casse di Shekau da varie fonti: donazioni di charities islamiche, soprattutto arabe; traffici di ogni genere; rapine e riscatti derivanti da rapimenti; tassazione locale. Ciò ha permesso ai bokisti di costruire affiliazioni e basi in vari Paesi nordafricani e saheliani, dal Sudan al Ciad, dal Niger al Camerun. Gli ultimi tre si sono offerti alla Nigeria come cobelligeranti per stanare e liquidare Boko Haram nelle terre di origine, prima che dilaghi nelle loro. Vasto programma.
In Iraq forse iniziano a capovolgersi le sorti del Califfato islamico o Isis, o ancora Daesh (acronimo arabo) che dir si voglia. Il «forse» è d’obbligo perché la cronaca quotidiana ormai ci ha abituato alle sorti alterne della guerra che contrappone da una parte i jihadisti del califfo Abu Bakr al-Baghdadi e dall’altra l’esercito iracheno coadiuvato sul terreno dalla polizia paramilitare federale, le Iraqi Special Operation Forces (Isof), le Unità popolari di mobilitazione (alias le milizie sciite messe in campo dall’Iran), affiancate da volontari e formazioni armate tribali. In tutti i casi il 10 marzo scorso, dopo una settimana di combattimenti, questa forza d’urto estremamente composita (una sorta di grande armada di 30’000 uomini, sostenuta dai raid aerei della coalizione anti-Isis guidata dagli Stati Uniti) ha riconquistato la cittadina di al-Alam e Qadisiya, il distretto nord-orientale di Tikrit – roccaforte sunnita, caduta sotto il controllo dell’Isis nell’estate 2014 – già nota come città natale di Saddam Hussein e fulcro della sua mafia di potere (nella foto). Si tratta della prima vittoria concreta benché parziale contro il Califfato del governo di Haider al-Abadi da quando si è installato al potere nel settembre dell’anno scorso, rimpiazzando il premier eletto Nouri al-Maliki ritenuto responsabile proprio della nuova offensiva degli estremisti sunniti dell’ Isis. Al-Abadi, come al-Maliki è sciita e come lui milita nelle fila del partito Dawa, ma a differenza del suo predecessore ha dato vita ad un esecutivo più rappresentativo della complessità etnico-confessionale dell’Iraq, tanto è vero che è affiancato da ben tre vice primi ministri: Hoshiar Zebari, curdo; Saleh Mutlaq, sunnita e Baha Arraji sciita. Cosa più importante, il suo governo è stato riconosciuto non solo dagli Stati Uniti, ma anche dai due grandi contendenti della regione del Golfo: l’Arabia Saudita e l’Iran. Questa innaturale convergenza di interessi è stata «forzata» dalle conquiste fulminanti dell’Isis, prima nella provincia di al-Anbar, da cui i jihadisti sono esondati in Siria, poi soprattutto della città di Mosul, la seconda città per importanza del Paese, grande polo petrolifero nel cuore del Kurdistan iracheno, divenuta la capitale del Califfato in Iraq. E proprio la conquista di Mosul, poi di Kirkuk nel giugno 2014 da parte dell’Isis ha segnato la sorte del governo di al-Maliki, letteralmente «licenziato» dal presidente Fuad Masum perché troppo filo-sciita e «persecutorio nei confronti della minoranza sunnita» (la definizione è di Amnesty International). I primi a salutare i buoni risultati dell’offensiva su al-Alam e Tikrit sono
stati gli americani. L’11 marzo, parlando al Senato, il generale Martin Dempsey, presidente del Joint Chiefs of Staff, si è detto certo che l’Isis verrà presto sloggiata dall’ex roccaforte di Saddam. Ma il passaggio più interessante della sua relazione è stato l’aperto apprezzamento per le milizie sciite iraniane. Parole testuali: «L’operato dell’Iran per sostenere le forze di sicurezza irachene contro l’Isis è una cosa positiva sotto il profilo militare», ma si è affrettato ad aggiungere «Tutto sta a vedere cosa succederà dopo, se le stesse milizie permetteranno alle famiglie sunnite di tornare a casa loro, se daranno una mano a ricostruire i servizi di base o se, invece, si macchieranno di altre atrocità». L’allusione neanche tanto velata è alle vere e proprie epurazioni compiute dalle milizie sciite ai danni dei loro vicini sunniti fin dall’Operazione Iraqi Freedom del 2003 voluta dagli Stati Uniti di George W. Bush Jr per abbattere il regime di Saddam Hussein. Il timore di oggi è che – sconfitta l’Isis, quando non si sa – le stesse milizie si diano a feroci rappresaglie contro jihadisti e sostenitori del Califfato che hanno sterminato sistematicamente gli sciiti. Il sistema inumano delle rappresaglie e delle vendette incrociate senza fine è l’incubo dell’Iraq post-Saddam e della comunità internazionale che su queste vendette ha visto incancrenirsi la guerra civile nonché nascere e ingigantirsi un mostro come il Califfato di al-Baghdadi. Lentamente e tra mille imbarazzi gli antagonisti del Golfo, Arabia Saudita e Iran, e nemici storici come gli Stati Uniti e il medesimo Iran hanno trovato il coraggio di collaborare contro il terrorismo islamico in Iraq e in Siria. Sotto questo profilo non va inoltre dimenticato che sono in corso i negoziati sul nucleare iraniano, fortemente voluti dal presidente americano Barak Obama, ma osteggiati dal Congresso (ricordiamo gli applausi a scena aperta al discorso virulentemente antiiraniano del premier israeliano Benjamin Netanyahu di circa tre settimane fa). Detto in altre parole, sul terreno si sta realizzando una collaborazione tra nemici obtorto collo altrimenti impensabile nella contrapposizione ideologica, retorica e propagandistica che accompagna e avvelena la politica del Medio Oriente e verso il Medio Oriente. Tornando alle sorti dei combattimenti sul terreno, l’11 marzo scorso hanno esultato soprattutto l’esercito iracheno e il governo di Baghdad nella speranza che le vittorie di al-Alam e di Qadisiya, il distretto nord-orientale di Tikrit, preluda a una riconquista rapida di Mosul. Il suo petrolio alimenta attraverso il contrabbando le casse del Califfato e ha sempre rappresentato una delle maggiori fonti di entrate per l’economia irachena. Nel caso di as-
AFP
L’Isis perde terreno In Iraq iniziano forse a capovolgersi le sorti del Califfato islamico dopo che il 10 marzo le forze governative hanno riconquistato territori nel distretto di Tikrit, in mano all’Isis dal 2014
salto a Mosul, si sono detti disposti a partecipare anche Muqtada al-Sadr e le sue milizie sciite che nel 2003 combatterono ferocemente contro quelli che allora chiamavano gli «invasori americani». E parteciperanno soprattutto i peshmerga cioè i guerriglieri curdi che, sempre con l’aiuto dell’aviazione della coalizione anti-Isis, dal 1. marzo hanno lanciato un’offensiva contro Kirkuk, altro importante polo petrolifero del Nord. Tenendo conto dell’offensiva che tenta di mettere in ginocchio il Califfato su diversi fronti, forse riusciamo a capire meglio – non certo a giustificare – la stolida foga con cui i jihadisti, nelle ultime tre settimane, hanno preso di mira alcuni dei più importanti siti archeologici dell’Iraq. Attenti come sono alla propaganda più scioccante devono aver pensato che «distruggere gli idoli che offendono l’islam» li aiuti a fare altri proseliti e a dare di sé un’immagine di forza dirompente proprio nel momento in cui stanno registrando le prime vere sconfitte. Così hanno regolarmente filmato le picconate inferte da forsennati nero-vestiti e da immancabili servi sciocchi a enormi sculture assire vecchie di 3000 anni– tra cui i ben noti leoni alati – ancora presenti nel Museo di Mosul. Come si sono affrettati a chiarire i responsabili delle antichità irachene, molti dei manufatti erano semplici copie, ma soprattutto la parte più importante delle collezioni (1700 pezzi su 2200) era già stata trasferita al sicuro al Museo nazionale di Baghdad alla vigilia della conquista di Mosul da parte dell’Isis. I medesimi responsabili non hanno però nascosto il timore per le rovine di Ninive, capitale del regno assiro, che oggi sono situate alla periferia
di Mosul. Per il resto hanno le prove che tutti gli oggetti trasportabili delle antiche civiltà mesopotamiche hanno preso da tempo la via del contrabbando verso la Siria e la Turchia. Ad essere presi a picconate sono i reperti troppo monumentali e ingombranti, alias intrasportabili. Così nel mirino dei jihadisti sono finiti siti archeologi di importanza capitale per la storia dell’umanità intera, come Nimrun e Hatra, a sud di Mosul, le cui rovine sono state letteralmente rase al suolo da una colonna di bulldozer. Nimrun, la biblica Calah, è un altro sito assiro, come assira era Hatra, divenuta poi roccaforte dei Parti, la popolazione nomade di origine persiana che tanto filo da torcere diede ai romani. Infatti quanto restava del sito erano soprattutto rovine monumentali ben conservate, risalenti alla conquista romana. Ma nel mirino dei fanatici del Califfato sono finiti anche la Tomba del profeta Giona sempre a Mosul che, come abbiano appena detto era l’antica Ninive, dove Giona – secondo quanto racconta la Bibbia – andò a predicare dopo essere stato risputato dalla balena che lo aveva inghiottito proprio perché si rifiutava di diffondere il verbo del Dio unico tra gli assiri. E ancora la cosiddetta Chiesa verde di Tikrit, chiesa cristiano-caldea, distrutta il 25 settembre dell’anno scorso. D’altronde si deve all’antenata dell’Isis, Al-Qaeda nella terra dei due fiumi, la distruzione di una delle moschee sciite più belle e più amate dell’Iraq, la Moschea d’oro di Samarra, fatta saltare in aria il 22 febbraio 2006. Proprio quell’esplosione diede il via al sanguinosissimo redde rationem tra sunniti e sciiti che ancora insanguina non solo l’Iraq, ma l’intero Medio Oriente.
Massimo Campanini, Storia del Medio Oriente, il Mulino, 2014, 4. ristampa Molti sono i libri di storici e giornalisti che si occupano del Medio Oriente, ma quello appena ristampato di Massimo Campanini ha il pregio di essere sia accessibile sia impeccabilmente attendibile. L’analisi dell’autore è anche una cronaca di 200 anni d’interventi occidentali nel Medio Oriente. Tutto comincia nel 1798, quando Napoleone invade l’Egitto. L’espansione dell’influenza occidentale nel mondo «arabo-islamico» (principale variabile del Medio Oriente) è il colonialismo europeo del XIX secolo. Del quale la grande guerra segna un’ulteriore, cruciale tappa, al punto da rappresentare «uno spartiacque per il Medio Oriente». Il riferimento va al 1916-1917, che vede l’accordo Sykes-Picot, una segreta spartizione del mondo «arabo-islamico» tra Londra e Parigi, e la dichiarazione di Balfour, che «vedeva di buon occhio l’istituzione di un focolare ebraico in Palestina». È questa la premessa, gravida di conseguenze, ai flussi migratori ebraici in Palestina, poiché «gli ebrei cominciarono subito a disputare agli arabi l’acqua e la terra, i due beni primari della Palestina che a tutt’oggi sono al centro delle preoccupazioni politiche». Una prima risposta all’influenza occidentale non proviene dall’Islam, bensì dalle dittature secolari. La prima esperienza di questo tipo si manifesta in Turchia ed è un prodotto della politica dei vincitori della grande guerra. Scrive Campanini: «Esattamente come accadde con la Germania le potenze dell’Intesa erano intenzionate a usare il pugno di ferro con gli Ottomani». Hitler in Europa e Mustafa Kemal Atatürk in Anatolia approfittano dello spirito revanscista provocato dai vincitori conquistando il potere. Atatürk è un riformatore laico, modernista e militarista che dissolve il califfato. Dopo la Seconda guerra mondiale comincia la decolonizzazione del mondo «arabo-islamico», un processo nel quale (come già in Turchia e in Iran, Paesi non arabi) il ruolo centrale è giocato dagli eserciti e dalle élite militari laiche e modernizzatrici (gli Ufficili Liberi Boumedienne, Nasser, Gheddafi e Assad). Questi dittatori sono ispirati dal pan-arabismo, ovvero il baathismo in Siria e in Iraq e il nasserismo in Egitto, fenomeni secolari al punto che il baathismo è fondato da un cristiano della Siria. L’ascesa del radicalismo islamico negli anni Novanta in Medio Oriente e la sua trasformazione in terrorismo dipendono da una miriade di fattori, inclusi «gli errori e gli egoismi della politica occidentale in Medio Oriente». Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Nidvaldo salva la «pace linguistica» Votazioni cantonali Come primo cantone, ha bocciato un’iniziativa popolare che chiedeva l’insegnamento di una
sola lingua straniera alle elementari. Altre votazioni cantonali seguiranno, mentre la CDPE cerca un compromesso Marzio Rigonalli Sono stati in molti a tirare un sospiro di sollievo quando, una settimana fa, venne reso noto il no degli elettori del canton Nidvaldo all’iniziativa popolare dell’UDC, che proponeva d’insegnare una sola lingua straniera nelle scuole primarie, praticamente l’inglese, a scapito del francese. Nelle intenzioni dei promotori, la lingua di Molière avrebbe dovuto trovare posto nell’insegnamento soltanto a partire dalla scuola secondaria. I primi a congratularsi sono stati i romandi che nel voto nidvaldese hanno visto un gesto di simpatia e di solidarietà nei loro confronti. Una certa soddisfazione è stata espressa anche dai portavoce della Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE). La Conferenza difende il modello 3/5, che è stato approvato nel 2004 e che prevede l’insegnamento di una prima lingua straniera a partire dal terzo anno della scuola elementare e di una seconda lingua straniera a partire dal quinto anno. Anche nella Berna federale si è avvertito, seppur in forma contenuta, un certo compiacimento. Come è noto, in passato il consigliere federale Alain Berset ha minacciato di far intervenire la Confederazione, nel caso in cui l’inglese diventasse la sola lingua straniera insegnata nelle scuole elementari. Un simile intervento è previsto dall’articolo 62 della costituzione federale. E a livello parlamentare non sono mancate le iniziative che tendono a rendere obbligatorio
l’insegnamento di una seconda lingua nazionale nella scuola elementare. Il piccolo cantone della Svizzera centrale è stato il primo ad esprimersi sull’insegnamento delle lingue straniere attraverso una consultazione popolare. Non è facile individuare le ragioni che l’hanno indotto a optare per lo statu quo con una percentuale di voti sopra il 60%. Al di là di un gesto nei confronti di una parte del Paese, quella romanda, vi è stata sicuramente anche la paura di diventare un protagonista involontario e di ritrovarsi isolato sul piano nazionale. Nidvaldo è la patria di Arnold von Winkelried, uno degli eroi nazionali della Confederazione. Il coraggio ch’egli dimostrò durante la battaglia di Sempach, lanciandosi contro le lance del nemico austriaco e sacrificando la sua vita, vien ricordato spesso e volentieri. Gli atti eroici del passato, però, non devono necessariamente essere emulati oggi. La scelta fatta dal canton Nidvaldo rappresenta, però, soltanto un momento di tregua nella battaglia a difesa di una seconda lingua nazionale, in pratica del francese, nelle scuole primarie della Svizzera tedesca. Parecchi sono i cantoni dove sono in corso iniziative varie contro l’insegnamento di due lingue straniere nelle scuole primarie. Nel canton Lucerna è stata depositata un’iniziativa popolare che chiede una sola lingua straniera nella scuola elementare. Con ogni probabilità, si voterà in autunno. Il canton Grigioni è alle prese con un’iniziativa popolare analoga. Il
testo inoltrato chiede che nelle scuole elementari venga insegnata una sola lingua straniera. Nella parte germanofona del cantone gli alunni imparerebbero soltanto l’inglese; nelle parti romancia ed italofona verrebbe imposto l’insegnamento del tedesco. Il governo cantonale ha giudicato l’iniziativa discriminatoria nei confronti delle minoranze e, quindi, non conforme né alla costituzione cantonale né alla costituzione federale. Il Gran Consiglio se ne occuperà prossimamente. Se giudicherà l’iniziativa non valida, i promotori faranno ricorso davanti ai tribunali; se invece la giudicherà valida, i rappresentanti delle minoranze italiana e romancia sceglieranno la stessa strada e si difenderanno pure davanti ai tribunali. L’esito probabile sarà una lunga battaglia giuridica. Nel canton Zurigo, un comitato darà inizio, a giugno, alla raccolta delle firme per un’iniziativa popolare simile a quelle pendenti nei cantoni Lucerna e Grigioni. In altri cantoni vi sono atti parlamentari in corso. Nel canton Turgovia, il parlamento ha assegnato al governo il compito di eliminare l’insegnamento del francese dal programma della scuola elementare. A Sciaffusa, il parlamento ha trasmesso all’esecutivo una mozione che va nella stessa direzione. In parallelo con le varie procedure messe in moto in più cantoni, è in atto il tentativo dei direttori cantonali della pubblica educazione di trovare un compromesso sull’insegnamento delle lingue straniere, accettabile per tutti.
L’iniziativa popolare dell’UDC nidvaldese avrebbe favorito l’insegnamento dell’inglese a scapito del francese. (Keystone)
Un rapporto della CDPE è atteso entro la fine di giugno e sulla base dei risultati che verranno raggiunti, il Consiglio federale deciderà se intervenire o meno per imporre una soluzione. L’insegnamento delle lingue nazionali nella scuola elementare non è una questione secondaria. Al di là della controversa questione pedagogica sull’utilità d’insegnare presto le lingue straniere, entrano in gioco considerazioni sulla coesione nazionale, sulla convivenza tra le comunità linguistiche svizzere. La convivenza suppone anche un minimo di conoscenza reciproca. L’insegnamento delle lingue nazionali
consente di accedere a poco a poco ad un’altra cultura, apre le porte di un altro mondo e permette di scoprire diversi modi di pensare. È un arricchimento. Per convivere su di un piede d’uguaglianza, le minoranze sono praticamente costrette ad imparare la lingua della maggioranza ed a conoscere la sua cultura. È uno sforzo al quale non possono sottrarsi e come contropartita si aspettano un po’ d’interesse per le loro lingue e culture da parte della maggioranza, nonché un po’ d’apertura e, in definitiva, quel rispetto che è basilare per conoscersi, per capirsi e per vivere insieme. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Dove va l’economia ticinese? Tutti conoscono il dipinto con il quale Paul Gauguin cerca di dare una dimensione visiva alle tre domande, cosiddette impossibili, perché si crede che non abbiano risposta. Si tratta dei quesiti «da dove veniamo?, chi siamo?, dove andiamo?». In una versione un po’ diversa, queste tre domande sono state riprese come titoli di capitolo nel rapporto sul futuro del Ticino, pubblicato recentemente dall’IRE, l’Istituto di ricerche economiche dell’USI. Ovviamente Rico Maggi e Valentina Mini, i due autori di questo studio sono convinti che alle domande impossibili la risposta si possa dare. Anche a quella sul dove andiamo che, per un economista, è sempre la più difficile da affrontare perché purtroppo non esistono teorie economiche che possano essere sottoposte, senza patemi d’animo, al test della previsione. Il rapporto IRE inizia
dal «da dove veniamo» ed è una sintesi, per aspetti emergenti, della storia economica del Cantone, dall’indipendenza in poi. Quali sono questi aspetti? In primis le infrastrutture di trasporto. Lo sviluppo di lungo termine dell’economia ticinese e – aggiungiamo noi – buona parte delle sue trasformazioni di struttura sono legati al succedersi delle grosse ondate di investimento (quasi al cento per cento pubblico) nella rete dei trasporti (rete stradale cantonale, ferrovia del Gottardo, autostrada). Una di queste trasformazioni nella struttura produttiva e occupazionale, la terziarizzazione, rappresenta il secondo aspetto importante nella risposta al quesito sulla genesi del nostro benessere. Gli ultimi due aspetti di questo primo capitolo mettono in evidenza le debolezze del processo di sviluppo economico che, in Ticino è sempre stato uno sviluppo
estensivo e non intensivo. Detto altrimenti, il Pil ticinese cresce, più o meno come quello svizzero, non in forza di progressi significativi nella produttività ma facendo perno sull’espansione della forza lavoro, consentita dalla riserva inesauribile del frontalierato. Alla seconda domanda «dove siamo?» gli autori rispondono che siamo in Svizzera e che quindi l’economia ticinese, per quel che riguarda le sue specializzazioni, si muove in linea con quella svizzera. Ma, purtroppo, il Ticino, nonostante i suoi bassi salari, è scarsamente competitivo. Questa parte del rapporto riproduce largamente le considerazioni e i risultati di interessanti studi che Valentina Mini aveva già presentato negli scorsi anni. Il terzo capitolo è una specie di preliminare alla risposta alla terza domanda, quella sul «dove andiamo». Si tratta di una analisi delle misure di politica
economica adottate dal Ticino nel corso degli ultimi venti anni, dalla politica regionale a quella settoriale, dalla sorveglianza del mercato del lavoro alla politica fiscale. In conclusione i due autori affermano in modo forte e chiaro che le politiche degli ultimi venti anni hanno favorito l’occupazione a scapito della produttività. Se è vero che, in Ticino, la crescita del Pil è dovuta più all’espansione dell’occupazione che al miglioramento della produttività – e il grafico 21 del rapporto lo dimostra in modo incontrastabile – meno sicuro è invece, secondo noi, che gli scarsi progressi in materia di produttività siano da imputare alle preferenze per l’occupazione della politica economica cantonale. Che il Cantone, con le sue limitate competenze e le sue misure, possa incidere in modo significativo sull’evoluzione della produttività
resta da dimostrare. Ne sapremo forse qualcosa di più quando avremo contingentato la manodopera straniera. L’ultimo capitolo del rapporto si occupa del futuro usando il condizionale, invece dell’indicativo. I suoi autori non si chiedono dove andiamo, ma dove si potrebbe andare. Lo fanno un po’ come lo Jannacci di Vengo anch’io, lasciando cioè fuori qualcuno. Nel nostro caso il settore finanziario. C’è nel futuro economico del Ticino un breve e un lungo termine. Fermiamoci al lungo termine (che è però già domani, ossia il 2025). Il Ticino dovrebbe diventare un Cantone urbano che rivaluta l’industria e si appoggia su una base economica formata da 4 meta settori esportatori: la moda, le biotecnologie, la meccatronica e il turismo. E il settore finanziario? Il settore finanziario, ci dicono gli autori, è un settore da ripensare.
alle primarie – doveva essere al fianco del leader. Nel vuoto lasciato a destra, nasceranno altre leghe. A cominciare dalla Lega Sud. Che non può essere la sottomarca di un altro partito, come quella
che Micciché aveva tentato di lanciare sul mercato. Verrà un Bossi napoletano, un leader sudista speculare e alleato dei colleghi nordisti. Per questo nel 2010 concludevo Viva l’Italia! scrivendo che «è inevitabile, e forse anche necessario, che come risposta (alla frammentazione leghista) nasca un partito della nazione, che promuova la riconciliazione degli italiani dopo due decenni di contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani». Mi pare che ci siamo arrivati. Il «partito della nazione» non è la panacea a tutti i mali, va incalzato ogni giorno dalla stampa e dai cittadini, è pieno di difetti a cominciare dalla scarsa qualità del personale politico che lo compone; ma può mantenere una centralità politica per molto tempo. Resta il punto: i partiti non sono più quelli di un tempo. Non hanno sezioni, non hanno giornali, non hanno scuole, non hanno ideologie; forse non hanno neppure più idee forti. Le riforme istituzionali vanno bene, erano necessarie, semplificheranno il quadro politico e l’azione del gover-
no. Ma rischiano di aumentare la distanza tra le istituzioni e i cittadini, rischiano di allontanare ancora di più la gente dal Palazzo. Oggi in Italia i migliori non fanno politica. La gran parte dei giovani non la segue neppure. La politica attira soprattutto affaristi, persone che vogliono fare soldi, e tendono a diventare una corte più che una classe dirigente, a tramutarsi in clientes ingordi più che a discutere e a rappresentare gli interessi della comunità nazionale. Oltretutto il nuovo Senato non sarà eletto dal popolo. I senatori saranno solo cento, ma saranno designati dai consigli regionali e dai sindaci; oltretutto avranno l’immunità parlamentare, da qui la tentazione di mandare a Palazzo Madama i membri della casta che avranno problemi con la giustizia. Se si considera che non si vota più neppure per le province (tutt’altro che abolite), e se a questo si aggiungono i cento capilista bloccati che ogni partito candiderà alla Camera, ci si rende conto che qualche problemino per la democrazia c’è davvero.
stati confiscati tutti i televisori. Invece furono i guerriglieri somali Shabaab, affiliati ad al Qaeda, a inscenare il 15 giugno un attentato a Mpeketoni, in Kenya, uccidendo cinquanta persone che stavano guardando i mondiali in tv come rappresaglia per la partecipazione dell’esercito keniano alla missione organizzata dall’Unione africana in Somalia contro la jihad. Tutto questo non deve però portare a credere che esistano solo segnali negativi. Secondo una ricerca condotta dal sito di informazione «Vokativ», leggendo i profili Facebook dei sostenitori di gruppi come al Qaeda, Hamas ed Hezbollah la grande popolarità del pallone in terra islamica resiste anche agli anatemi talebani, dell’Isis in Iraq e Siria o di Boko Haram in Africa. Del resto la stessa Isis, prima di attuare la strage di Mosul, aveva attenuato la propria posizione anti-football e in una massiccia campagna di propaganda sui social network si era spinta sino a mostrare foto di guerriglieri che giocano a
calcio con i bambini siriani. Secondo la ricerca di «Vokativ» molti governanti musulmani mostrano sempre grande interesse per il football. L’esempio macroscopico lo ha dato l’Iran, presente per la prima volta in Brasile ai mondiali, nonostante gli ayatollah abbiano sempre bollato il calcio e continuino a ostacolarne la popolarità: gli stadi sono ancora proibiti alle donne e la censura televisiva è sempre attenta a offuscare ciò che si può vedere attorno ai campi da gioco di partite trasmesse in tv dall’estero (donne scollacciate, ma non solo). L’avvenimento più significativo lo si è avuto a Vienna, dove i negoziatori di Teheran alle trattative sul programma nucleare, lo scorso 16 giugno hanno chiesto l’interruzione dei lavori per vedere in tv il debutto mondiale della loro nazionale contro la Nigeria. Alla luce di questi segnali v’è da sperare che tutti – da dirigenti e politici, sino ai capifila del terrorismo – ricordino che quello del pallone è, e dovrebbe sempre rimanere solo un gioco.
In&outlet di Aldo Cazzullo Il problema dei partiti La riforma costituzionale di Renzi (nella foto), a prezzo di qualche forzatura, è indispensabile. Il governo in Italia conta troppo poco; e in particolare conta troppo poco il presidente del Consiglio, che è una sorta di «primus inter pares», e non può neppure cambiare un ministro. La nuova legge elettorale, se sarà approvata in via definitiva alla Camera dopo le regionali, prevede di fatto l’elezione diretta del premier. La riforma costituzionale gli darà gli strumenti per governare meglio, superando il bicameralismo perfetto – oggi ogni legge e ogni decreto devono passare sia dalla Camera sia dal Senato; domani basterà il passaggio alla Camera – e istituendo «corsie preferenziali» per i provvedimenti dell’esecutivo. Sarà «l’uomo solo al comando»? Ma no, sarà un sistema più efficiente e più simile al resto d’Europa. Resta una questione: i partiti, tante volte dati per morti, sono più potenti che mai. Il premio di maggioranza andrà al partito. E il capo partito designerà buona parte dei parlamentari. È chiaro che
urgono regole per capire come deve funzionare un partito e come deve aprirsi alla società. Matteo Salvini non mi piace. Considero un errore che la Lega degli amministratori – i Tosi, i Zaia, i Maroni – abbia affidato la leadership a un estremista di destra che va in piazza con i lepenisti. Il più bel personaggio del XX secolo, a mio avviso, è Rosa Parks, la donna delle pulizie che rifiuta di alzarsi dai posti in autobus riservati ai bianchi, e avvia la battaglia per i diritti civili nell’America segregata degli Anni Cinquanta; Salvini a suo tempo ha proposto di istituire vagoni della metropolitana riservati ai bianchi. Naturalmente non diceva sul serio, ma per finire sui giornali. Però Salvini sa fare politica. E ha capito che oggi nella politica avere il controllo del proprio partito è decisivo. Così ha fatto fuori Tosi, che secondo l’accordo spartitorio benedetto da Maroni – a Salvini la segreteria nazionale, che nella Lega si chiama federale, a Tosi la candidatura a premier del centrodestra o almeno
Zig-Zag di Ovidio Biffi Nonostante Blatter e l’Isis il calcio resta un gioco Il calcio come specchio della società e cartina di tornasole delle sue evoluzioni non è certo cosa nuova. La similitudine necessita però qualche aggiornamento. Non sto pensando alla bella novella di Blatter, padre-padrone della Fifa e del miliardario giro di business che gravita attorno al calcio, che annuncia un mondiale in dicembre – magari con lui come Babbo Natale che, dopo aver vinto la sfida sulle «mazzette» per garantirsi voti, tenta ora di sfidare anche il caldo del Qatar. E nemmeno mi riferisco ai fallimenti e agli indebitamenti che falcidiano la fama del calcio italiano, dove al declino sta subentrando lo sfacelo (anche qui, similitudini da aggiornare: non sorprende che a Parma una società sportiva cessi di esistere da un giorno all’altro, tra il più assoluto disinteresse dei politici, mentre i media evidenziano solo gli aspetti scandalistici…). Viro di 180 gradi per cercare realtà meno legate al gioco e più indicative del fenomeno sociale. Per introdurle devo risalire sino agli anni Novanta,
quando il sociologo francese Odon Vallet aveva indicato il calcio come uno dei più forti fattori della mondializzazione. Confrontando i riti settimanali del calcio con le festività e con le analoghe le frequentazioni delle chiese delle religioni monoteiste (giudaismo, cristianesimo e islam), Vallet aveva preconizzato un sempre più importante ruolo del calcio nei Paesi musulmani, con avvertenze anche su quanto sarebbe stato difficile valutare esattamente e contenere la portata politica e sociale di un simile fenomeno. Oggi, dopo quasi vent’anni, grazie anche alle influenze che i moderni mezzi di informazione, l’avanzata del calcio ha raggiunto livelli macroscopici in tanti Paesi musulmani asiatici e africani. Un’ascesa confermata anche dalla crescita di incidenti e moti violenti fra opposte tifoserie, segnatamente nell’Africa settentrionale (con Egitto e Algeria tristi primattori). Inoltre, proprio come è avvenuto in politica con le primavere arabe, negli ultimi anni ha
finito anche il calcio per confrontarsi con l’opposizione violenta e terroristica del fondamentalismo islamico che lo dipinge e lo combatte come nemico acerrimo. L’acme è stata raggiunta lo scorso mese di gennaio in Iraq: 13 ragazzini falciati da terroristi jihadisti dell’Isis con raffiche di mitra davanti alle loro case, per aver assistito alla trasmissione televisiva di un incontro di calcio della loro squadra nazionale, l’Iraq, che giocava in Australia contro la Giordania per la Coppa d’Asia. Secondo i terroristi, chi guarda le partite di calcio infrange la sharia. La carneficina è avvenuta nel quartiere di al-Yarmuk, a Mosul, città controllata dall’Isis. Diventa ora difficile immaginare quali sentieri il calcio riuscirà a percorrere nei Paesi islamici. La scorsa estate il giornale online «Linkiesta» aveva trattato l’argomento inseguendo il timore che i terroristi avrebbero potuto sfruttare i mondiali in Brasile per attentati o ricatti, visto che nelle città controllate dall’Isis erano
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Cultura e Spettacoli La Gloria di Selma Selma, di Ava DuVernay, alla notte degli Oscar ha commosso soprattutto per la musica
Autentico Steve Earle Lo statunitense Earle, figlio del folk e del country più autentici, ha richiamato la band di un tempo «The Dukes» per incidere un disco blues
Mengoni a Gnosca Un’installazione in cui l’artista propone antitesi fisiche e concettuali, dialogando con l’architettura di una chiesa
Un racconto al mese Prosegue il nostro excursus nel mondo dei racconti del Collettivo Arbok Group pagina 37
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Fuggire, laggiù, fuggire Mostre Imperdibile Paul Gauguin
alla Fondation Beyeler di Basilea
Gianluigi Bellei Ci sono delle mostre che tutti dovrebbero vedere. In genere quelle a tema sono sempre opinabili e soggettive; molte volte lasciano il tempo che trovano e generano più confusione che altro. A parte ovviamente quelle che fanno tendenza o che sono teoricamente innovative come, per esempio, la recente Modernités plurielles al Centre Pompidou di Parigi che ha chiuso un mesetto fa. Sono invece da preferire le esposizioni monografiche perché, se ben curate, danno l’idea del percorso di un artista e delle sue opere che riunite in un solo spazio aiutano la comprensione del percorso/confronto cronologico. Con gli anni ci si può così creare una personale e mentale storia dell’arte e della società che tassello dopo tassello si ricompone formando un percorso lineare. Questo ovviamente non vuol dire che non si debbano più vedere i musei, anzi. Troppe mostre fanno male e tolgono spazio alla visita dei musei siano essi internazionali, come il Louvre, che locali, come quello archeologico di Verucchio. Una mostra imperdibile quest’anno in Svizzera è sicuramente quella organizzata dalla Fondation Beyeler di Basilea e dedicata a Paul Gauguin. Imperdibile perché presenta i maggiori capolavori dell’artista in un contesto che ha richiesto sei anni di preparazione, un investimento più che milionario, prestiti eccezionali – ottenuti grazie all’autorevolezza della fondazione – che provengono da tredici nazioni e dalle più importanti collezioni del mondo che sarebbe troppo lungo citare. Un’esposizione che riposiziona l’opera dell’artista dopo quelle del 1928 alla Kunsthalle e quella del 1949 al Kunstmuseum sempre a Basilea e che si delinea fra le più importanti in Svizzera degli ultimi anni. Ma chi è Gauguin? Un personaggio strano, di famiglia benestante. Il padre Clovis è un giornalista liberale e la madre Aline Marie Chazal di origini peruviane e figlia della teorica socialista Flora Tristan. Gauguin dopo l’infanzia a Lima ritorna in Francia dove, con l’eredità della madre, fa una vita agiata prima a Orléans e poi a Parigi. Nel 1871 lavora come agente di cambio in una grande banca e poi sposa Mette-Sophie Gad con la quale ha cinque figli. Specula in borsa e con i guadagni acquista opere di Pissarro, Manet, Renoir e Cézanne. Inizia a pitturare. Nel 1883 a seguito del crollo finanziario che investe la Francia viene licenziato e pensa di vivere dedicandosi unicamente alla pittura. Animo inquieto, grande viaggiatore; ab-
biamo visto che da piccolo è in Perù e in seguito come allievo ufficiale nella marina mercantile viaggia intorno al mondo. Ma soprattutto è un grande egocentrico e pensa di essere il più importante artista del momento. Cinico, per giunta. Il 4 settembre 1893 scrive all’amico George Daniel de Monfreid: «Per fortuna mio zio ha avuto l’intelligenza di morire e la sua, pur piccola, eredità mi ha rimesso in piedi». Un erotomane indefesso, nonostante la moglie e i figli, un po’ abbandonati a loro stessi. Nel 1895 scrive da Tahiti: «Tutte le notti delle ragazze indiavolate invadono il mio letto. Ieri ne avevo tre per sgranchirmi». Teniamo presente che tutte queste ragazze sono sempre minorenni: Annah la sua prima concubina ha solo tredici anni. Ma egli è soprattutto un gran piagnucolone. Nelle sue lettere al solito Daniel chiede continuamente soldi. Nel 1896 gli propone di trovare quindici persone che gli versino ognuna 160 franchi al mese e in cambio lui gli farebbe avere un dipinto ogni anno. Nel 1899 invece chiede di trovargli qualcuno «che mi garantisca un 2500 franchi all’anno per 5 anni, più una certa quantità di colori…». Poi tubetti di colori dei migliori, i Lefranc, stivali fatti a mano dal suo calzolaio di fiducia in «cuoio di Russia quanto mai flessibile». Frequenta l’anarchico Pissarro, legge Proudhon e soprattutto la Géographie universelle di Elisée Reclus. In ogni caso pensa di essere un artista incompreso. Irrequieto com’è desidera andarsene da una Parigi che non lo capisce per raggiungere l’eden di una società incontaminata e selvaggia. Nel marzo del 1891, dopo molte insistenze, ottiene dal Ministero dell’istruzione pubblica delle Belle arti una lettera di accredito per una missione a Tahiti alfine di studiare i costumi e il paesaggio del posto. Parte e dopo mesi di viaggio viene accolto dalle autorità francesi e dalle élite coloniali con tutti gli onori riservati a un rappresentante dello Stato. Sogna, come scrive Pierre Loti nel suo Le Mariage de Loti, le belle facce erotiche e sensuali delle tahitiane, le notti tropicali dove una dolce musica mormora ai movimenti del cuore la sua armonia amorosa, «libero, senza soldi, di amare, cantare e morire». In realtà trova tutt’altro: una società decadente dove la popolazione è convertita al cristianesimo. Nel 1893 in miseria ottiene dal governo francese il rimpatrio a spese dello Stato. Deluso dai suoi insuccessi artistici nel 1895 riparte per Tahiti. Nel 1901 si sposta, per cercare le vere isole selvagge, alle Marchesi a 1500 chilometri da Tahiti. Ma anche qui non trova quello che cerca. Malato, alcolizzato, sifilitico, sen-
Paul Gauguin, Aha oe feii? (Eh quoi! Tu es jalouse?), 1892, particolare. (© Museo Statale delle Belle Arti Pushkin, Mosca)
za soldi, cerca di ritornare, questa volta in Spagna, ma nel 1903 muore nella sua capanna di Autona. In mostra alla Fondation Beyeler una cinquantina di dipinti, tutti i più rappresentativi della produzione dell’artista, e alcune sculture. Si inizia con lo ieratico Autoportrait à la palette dipinto in Francia nel 1893, nel quale appare come un mago con il suo berretto di Astrakan. Segue La vision du sermon del 1888, la sua prima opera innovativa dipinta durante il soggiorno a Pont-Aven in Bretagna. La tela viene realizzata seguendo quello che Gauguin stesso definisce «sintetismo», ovvero la semplificazione delle forme, la riduzione dei colori, la loro stesura piatta senza sfumature, separate da nette linee di contorno e l’abbandono della prospettiva. Pissarro, in una lettera del 1891 a suo figlio Lucien, rimprovera Gauguin di aver rubacchiato il soggetto ai giapponesi e soprattutto di non aver applicato la sua sintesi alla teoria moderna sociale e antiautoritaria. Il dipinto in effetti viene realizzato per essere regalato al parroco di Nizon; che ovviamente lo rifiuta. Nell’arcaica Bretagna dipinge nel 1889 Bonjour
Monsieur Gauguin, omaggio al celebre quadro di Gustave Courbet, dove si ritrae solitario e intristito. Ma i veri capolavori sono quelli tahitiani. Da Aha oe feii? / Eh quoi! Tu es jalouse? del 1892 a quello che doveva essere il suo testamento pittorico: la monumentale tela D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous? del 1897-98. Prima di dipingerla Gauguin pensa di uccidersi e di conseguenza si interroga sul perché dell’esistenza. In diverse lettere ai suoi amici spiega il significato dell’opera come un grande racconto allegorico che parte dalla nascita e arriva fino alla morte. Ma l’opera forse più intensa è posizionata nella sala accanto ed è Rupe rupe / La cueillette des fruits del 1899. Un quadro paradisiaco che risponde agli interrogativi di D’où venons-nous? Que sommes-nous? Où allons-nous? che si era posto in precedenza. Lo sfondo oro, la composizione idilliaca e calma delle figure, il carattere sognante del ritmo fra chiarori ed oscurità sono la sintesi perfetta di quel mondo primigenio che l’artista ha cercato per tutta la vita. Una delle sue ultime opere al contrario è di una struggente tristezza; si tratta di Femme à l’éventail del 1902.
Qui Gauguin ritrae una giovane donna seduta con in mano un ventaglio bianco simbolo della morte inanellato in una coccarda blu, bianca e rossa: i colori della Francia che evocano la colonizzazione dell’arcipelago. La giovane Tohotaua incarna così l’antica cultura Maohi condannata alla sparizione. Alla sua morte i mercanti d’arte fanno incetta per pochi soldi delle sue opere sparse fra le case e le pensioni dei pescatori e dei contadini bretoni. Proprio in queste settimane, per contrappasso, una delle tele in mostra, di proprietà del basilese Rudolf Staechelin ex esperto di Sotheby’s, e più precisamente Nafea faaipoipo / Quand te mariestu? del 1892, è stata venduta probabilmente alla famiglia reale del Qatar per 300 milioni di dollari. Dove e quando
Paul Gauguin. A cura di Raphaël Bouvier e Martin Schwander. Fondation Beyeler, Basilea. Orari: tutti i giorni 10.00-18.00, me fino alle 20.00. Fino al 28 giugno. Catalogo edizioni Fondation Beyeler franchi 68. www.fondationbeyeler.ch
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Cultura e Spettacoli
Per aprire occhi e orecchie Musica Finalmente alcune istituzioni della Svizzera italiana ospitano «nuove» forme di cultura musicale
Zeno Gabaglio Fare cultura cos’è: un guardarsi indietro, un guardarsi attorno o un guardarsi allo specchio? Posto che nel vivere quotidiano l’essenza dell’agire culturale non è certo un problema che tocca tutti e nemmeno tutti i giorni, la domanda ogni tanto vale la pena porsela. Non fosse altro perché – a parole – la piena adesione al sistema di valori e di pratiche artistiche che l’Europa ha sviluppato nel corso dei secoli vede concordi tutte le probe voci della Svizzera italiana.
Arricchire il nostro territorio di proposte valide significa anche rivolgere l’attenzione alle tendenze più attuali Ma il fare cultura è dunque un guardarsi indietro e valorizzare sempre al meglio ciò che è stato il passato? Oppure un guardarsi attorno e proporre anche da noi quel che di valido viene creato nelle celeberrime capitali delle tendenze artistiche? O infine far cultura significa mettere in atto tutti gli sforzi affinché anche nel nostro fazzoletto di terra vengano prodotti con regolarità dei manufatti artistici, magari di una qualità tale che possano valere come segno del nostro tempo in altri luoghi e in altre epoche? L’ordine in cui le tre categorie sono state qui esposte non è casuale: corrisponde grosso modo alle priorità dei grandi enti che la cultura – in particolar modo musicale – la promuovono, con la conseguente e rispettiva allocazione di risorse. Innanzitutto il passato (nostro, ma spesso no). Poi il luccicante presente dell’altrove. In ultima istanza quello che noi siamo. Posto che sulla mancanza di equità negli sforzi per promuovere la voce cul-
Lee Ranaldo, chitarrista dei Sonic Youth.
turale del nostro (e per «nostro» non si può che intendere «Svizzera italiana») presente si potrebbero e dovrebbero aprire discussioni assai approfondite, stringendo il campo sulla seconda categoria (ciò che vien da fuori) si possono spendere utili considerazioni, anche legate alla stretta attualità. Lee Ranaldo allo Studio Foce
I Sonic Youth sono stati il più importante gruppo su scala mondiale ad aver dato una chiave di lettura alternativa e culturalmente consapevole della musica rock. E per il «culturalmente consapevole» la spiegazione è semplice: un gruppo che ha da subito saputo collocarsi nei meccanismi di un mercato senza dimenticare la storia musicale che lo ha preceduto e affiancato, anche
in altri generi. Quindi un gruppo che da New York a tutto il mondo è riuscito ad affermarsi (anche commercialmente) essendo sia no wave sia fieramente nipote di John Cage. Una crasi di stili e idee che – ovviamente – non poteva essere capita subito come artisticamente fondamentale; ma è davvero possibile che nel culturalmente ambizioso Ticino si siano dovuti aspettare 34 anni prima che a un’istituzione più o meno pubblica sfiorasse l’idea di invitare a esibirsi Lee Ranaldo, Kim Gordon o Thurston Moore (ormai in separata convocazione, dal momento che circa cinque anni fa il gruppo si è sciolto)? Tanto di capello allo Studio Foce quindi, che lo scorso martedì ha saputo intercettare il tour acustico – intimo ma al tempo stesso graffiante – di Lee Ra-
naldo. Ma, per restare in tema di copricapi, cappello d’asino a tutti gli altri. Arve Henriksen e Christian Fennesz a Rete Due
Per non perdere il rischio di un ulteriore aggiornamento con l’attualità culturale e musicale del resto del mondo val quindi la pena di segnarsi la data di mercoledì 18 marzo e il luogo: Studio 2 della RSI a Lugano Besso. Per la rassegna Tra jazz e nuove musiche (sostenuta anche dal Percento Culturale Migros Ticino) si presenterà infatti in un’inedita formazione il duo composto da Arve Henriksen (tromba, voce ed elettronica) e Christian Fennesz (elettronica e chitarra). L’elemento di curiosità è dato sì dalla raffinata tecnica trombettistica di Henriksen (si dice faccia suonare il suo stru-
mento come un flauto) ma soprattutto dal personaggio-Fennesz. Che proprio nuovo non è, dal momento che già sul finire dello scorso millennio imperversava nei luoghi trendy di mezzo mondo con la fresca invenzione della glitchmusic, o che qualche anno fa già aveva portato in Ticino per OGGImusica il suo live fatto di raffinati rumori e squarci melodici. Ma il dato fondamentale è che gli organismi deputati alla promozione della cultura musicale dovrebbero costantemente dedicare circa un terzo delle loro attenzioni (ideali, ma anche meramente finanziarie) a questo tipo di musica dell’altrove contemporaneo. Per rendergli giustizia accanto al gloriosissimo passato e – se avanzano tempo o soldi – magari anche a quello che culturalmente potremmo mai essere noi.
Una primavera jazz tra Biasca e Lugano Rassegne Il cartellone concertistico ticinese propone numerosi appuntamenti di grande interesse
con un’offerta musicale di ottimo livello In attesa della grande stagione concertistica estiva, i poli della programmazione jazzistica primaverile cantonale si vanno disponendo tra Biasca e Lugano. Una bella partita. Da un lato la rassegna promossa da Rete Due Rsi, «Tra Jazz e nuove musiche»; dall’altra la proposta coordinata dalla dinamica associazione sopracenerina Musibiasca. Entrambe sostenute dal Percento culturale di Migros Ticino. Le differenze tra le due rassegne sono ormai acquisite e ci permetteranno di prendere contatto con dimensioni artistiche diverse e complementari. Jazz di respiro mondiale per il cartellone curato da Paolo Keller, con personaggi di vertice quali John Scofield e Marc Ribot e altri forse meno conosciuti ma non per questo meno importanti come Liro Rantala o Julia Hülsmann. Jazz «autoctono», radicato in terra elvetica ed insubrica, per la rassegna curata da Musibiasca e animata da Domenico Ceresa, in cui ascoltare capiscuola come Stefano dall’Ora, Fausto Beccalossi o Albin Brunn. Il tutto per una serie di undici serate tra marzo e maggio in cui sarà possibile ascoltare proposte davvero originali e di grande interesse, tutte caratterizzate da una grande varietà di ispirazione. Nel caso delle serate sopracenerine si inizierà sabato 28 marzo a Biasca con un trio lombardo, ThreeSpirits – com-
John Scofield e Jon Cleary, ad Ascona il 13 aprile.
posto da Nadia Braito, voce, Stefano Dall’Ora, contrabbasso, e Francesco D’Auria, batteria. Sabato 11 aprile sarà invece la volta di uno dei migliori fisarmonicisti italiani, Fausto Beccalossi, che in «My Time» proporrà il proprio straordinario repertorio per fisarmonica e voce, in un contesto di sperimentazione unico e (come sa chi conosce le sue incredibili doti musicali) sicuramente affascinante. Il 19 aprile ad Olivone sarà la volta della cantante svizzero-nipponica Yumi Ito, accom-
pagnata dallo splendido trio del batterista ticinese Sheldon Suter. Di nuovo a Biasca si esibiranno poi sabato 25 aprile Isa Wyss e il veterano del folk moderno elvetico Albin Brunn. Jazz a primavera si concluderà venerdì 1. maggio, sempre a Biasca, con uno spettacolo speciale dedicato al commediografo e poeta ticinese Sergio Maspoli, il cui figlio, Nicola Maspoli, proporrà una rilettura di alcune poesie tratte da La botega da nümm matt. Per quanto riguarda i concerti pre-
sentati da Rete Due (serate che, tra l’altro, andranno in onda in diretta sulle onde dell’emittente ticinese), il primo appuntamento è previsto per mercoledì 18 marzo con il duo Henriksen & Fennesz, un laboratorio sperimentale mittelerueopeo tra elettronica e improvvisazione, mentre lunedì 30 marzo, arriveranno a Lugano Julia Hülsmann Quartet & Theo Bleckmann, giovani musicisti tedeschi che proporranno uno spettacolo dedicato alla musica di Kurt Weill.
Tutt’altra atmosfera per la dissacrante e apocrifa formazione del chitarrista canadese Marc Ribot: Los Cubanos Postizos è uno dei gruppi mitici della scena jazz d’avanguardia newyorkese e sarà il 31 marzo a Lugano, al Teatro Foce. Una bella collaborazione con il Jazz Cat Club di Ascona ha permesso a John Scofield e a Jon Cleary di entrare a far parte della rassegna RSI: lunedì 13 aprile i due si cimenteranno con una riproposizione del loro fortunato album Piety Street, dedicato al sound di New Orleans. Atmosfere mediterranee acustiche e raffinate saranno proposte invece il 20 aprile dal Rabih Abou Khalil Quintet: nel suo gruppo al delicato suono dell’oud si affiancano le trame armoniche del fisarmonicista Luciano Biondini e le ance di Gavino Murgia. Chiuderà la rassegna lunedì 4 maggio il Liro Rantala String Trio, in cui al pianoforte del finlandese Rantala si affiancano il violino di Adam Baldych e il violoncello di Asja Valcic, in un progetto musicale di «nuovo jazz» che incuriosisce molto. /AZ In collaborazione con
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Cultura e Spettacoli
Selma is now
Colonne sonore La canzone Glory di John Legend e Common
si è guadagnata un Oscar commuovendo il pubblico
Complessità e semplicità Cinemando Il vecchio dilemma di piacere
ai critici e al pubblico
Fabio Fumagalli
Come ogni anno, anche quest’anno la notte degli Oscar è stata teatro di molte vittorie garantendo uno spettacolo unico a tutti gli spettatori del Dolby Theatre di Los Angeles e agli ascoltatori di tutto il mondo. Molti gli ospiti e le candidature, ma il 22 febbraio 2015 non è stata solo «la serata del red carpet». Tra le pellicole in gara vi era anche Selma, ovvero il film diretto da Ava DuVernay che narra le gesta di Martin Luther King e il suo movimento pacifista attraverso un unico grande evento a favore dei diritti umani: la marcia da Selma a Montgomery del 1965. Nonostante la sconfitta, quella per il miglior film non era l’unica nomination di Selma, infatti a far trionfare la pellicola ci ha pensato la musica. Glory è il titolo del brano composto dal rapper Common e dal cantautore John Legend, un inno che ha trionfato nella categoria «miglior canzone originale» e che ha commosso l’intera sala sancendo le parole del duo come uno dei momenti più toccanti della serata. Lonnie Lynn, in arte Common, si è espresso per primo ringraziando chi, dopo la vincita del Golden Globe con la stessa Glory, ha voluto premiare ulteriormente il brano. «Questa statuetta è un grande traguardo per noi, per il film Selma ma soprattutto per ciò che rappresentano idealmente questi progetti, recentemente io e John siamo stati a Selma e ci è stato concesso l’onore di esibirci sullo stesso sanguinoso ponte da cui è partita la marcia. Questo ponte, in passato, è stato un simbolo molto negativo, ha diviso la nazione ma ora è un simbolo di “cambiamento”. Questo ponte oggi non ha più paura di nulla e non discrimina più nessuno, orientamento religioso, colore della pelle, ceto sociale o sesso. Oggi congiunge tutti quelli che sognano e che sperano in una vita migliore, chi combatte le proprie battaglie quotidiane e connette l’America con tutto il mondo, perché ovunque si combattono le stesse guerre come quella per la libertà d’espressione che ha coinvolto la Francia e come quella che vede coinvolti gli abitanti di Hong Kong che protestano in favore della democrazia. È bello pensare a come si sia trasformato e cosa sia diventato oggi quel ponte,
**(*) Vizio di forma (Inherent Vice), di
Concorsi
Big Bang Family
091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle 12.00
P. T. Anderson, con Joaquin Phoenix, Owen Wilson, Reese Witherspoon, Benicio Del Toro (Stati Uniti 2014)
Common e John Legend lo scorso febbraio: un trionfo che vale molto più di una statuetta. (Keystone)
Paul Thomas Anderson è fra i registi moderni americani più seguiti e talentuosi; la sua non indifferente ambizione consiste nel raccontarci frammenti intimi della storia del suo Paese. All’inizio l’America del porno di Boogie Nights, poi quella dei quiz televisivi di Magnolia, quindi la febbre dell’oro ormai nero di Il petroliere, infine l’America dei guru di Scientology, in quel The Master che fece infuriare Tom Cruise. Tre anni dopo, eccoci a cavallo fra gli Anni Sessanta, quelli del sesso, droga e rock&roll, degli hippie californiani e l’eco di Neil Young; e i Settanta che incombono, Charles Manson, il Vietnam, Nixon alla Casa Bianca. E l’utopia del sogno psichedelico che scolora definitivamente nella bulimia consumistica reaganiana. È un cinema che continua ad aspirare all’affresco corale, ma ora anche ai suoi attori; ed è uno degli aspetti più simpatici di Vizio di forma. Quello più sconsiderato è di costruirsi su un romanzo di Thomas Pynchon, lo scrittore forse più segreto e inafferrabile della letteratura americana, da sempre ritenuto improponibile al cinema per la sua complessità narrativa. Il risultato non si fa attendere. Joaquin Phoenix è Doc Sportello, investigatore innamorato e ovviamente (vista l’epoca) tossicodipendente, vagamente derivante dal memorabile Philip
partendo da questi simboli ci possiamo elevare verso l’amore ed il rispetto per l’altro». Anche John Stephens in arte John Legend dopo aver espresso la sua gratitudine ha raccontato il suo pensiero, continuando e terminando il discorso iniziato da Common. «Come disse Nina Simone: il dovere di un artista sta nel riflettere ed esprimere il proprio periodo storico. Noi abbiamo scritto questa canzone ispirandoci al movimento pacifista condotto da Martin Luther King ma non ci siamo fermati a quanto succedeva cinquant’anni fa. “Selma is now” perché tuttora si combattono le battaglie per la giustizia e i diritti umani, Selma deve essere un simbolo immortale. Libertà e giustizia non sono parole che devono rievocare solo il passato, questi diritti vanno difesi tutti i giorni, oggi più che mai. Viviamo nel Paese con più carcerati al mondo e, come se non bastasse, ci sono più uomini di colore in prigione oggi di quanti erano ridotti in schiavitù nel 1850. Glory è il nostro contributo per dire “Selma is now”, non è uno slogan, è il nostro modo per far sapere a chi combatte quotidianamente che li vediamo, gli vogliamo bene, che li sosteniamo e marciamo con loro». Il momento più memorabile dell’87ma edizione degli Oscar non riguarda quindi il cinema e nemmeno la
splendida esibizione live del duo (con tanto di marcia) o le loro passate battaglie a favore dei diritti umani, ma il messaggio odierno. Il loro discorso. Così come fu per Martin Luther King, reso mondialmente noto per i suoi discorsi; le parole e i messaggi sono nuovamente protagonisti della scena ed è curioso pensare che inizialmente, proprio il film Selma, subì un brusco colpo e rischiò parecchio a causa della citazione più nota di King: «I have a dream». Protetta dalle leggi sul copyright fu proprio la frase più storica del leader per la salvaguardia dei diritti umani a mettere in ginocchio l’intera produzione del film che si è vista depredata di uno dei tasselli principali. Una citazione simbolica che ha costretto l’intera troupe ad omettere il discorso ma che, inconsciamente, ha reso più attuale il film. Proprio come hanno ribadito gli autori di Glory, c’è una netta differenza tra chi vuole realizzare un film e chi vuole realizzare un messaggio, la stessa differenza che c’è tra un ponte e un simbolo. Il messaggio deve affondare le sue radici nella storia ma poi deve essere libero di ergersi autonomamente spogliandosi di tutti i riferimenti per potersi mantenere sempre attuale. Glory rappresenta il coraggio di uscire da una zona sicura e contestualizzata come «I have a dream» e lancia un nuovo messaggio: «Selma è adesso e dobbiamo continuare quel sogno».
Julianne Moore nel difficile ruolo di Alice, che le è valso molti premi.
Tra jazz e nuove musiche Rassegna di concerti jazz Studio 2 RSI, Lugano Me 18 marzo, ore 21.00
Swiss Chamber Concerts Rassegna di classica Conservatorio, Lugano Gio 26 marzo, ore 19.00
Jazz a Primavera Rassegna di concerti jazz Casa Cavalier Pellanda, Biasca Sa 28 marzo, ore 21.00
Henriksen & Fennesz
Orizzonte Mozart: Vetro e suono
Three Spirits Blue Chorale
Arve Henriksen: tromba, voce, live electronics Fennesz: live electronics, chitarra
Musiche di W. A. Mozart, Nicolas Bolens, Ursula Mamlok, Heinz Hollige
Nadia Braito, voce Stefano Dall’Ora, contrabbasso, programming Francesco D’Auria, batteria, percussioni, hang esto
SWISS CHAMBER SOLOISTS Felix Renggli flauto; Heinz Holliger oboe; Esther Hoppe violino; Jürg Dähler viola; Daniel Haefliger violoncello; Matthias Würsch percussioni/ glassarmonica
Marlowe de Il lungo addio altmaniano. Una più o meno benevola dark lady lo incarica di una fumosa inchiesta, e il film seguirà da allora una traiettoria apparentemente disordinata e incomprensibile. Forse libera, creativamente psichedelica, allusivamente postmoderna: un mosaico allucinato di situazioni tipiche del genere. Dopo tutto, anche l’indimenticabile seppure indecifrabile The Big Sleep di Lauren Bacall e Humphrey Bogart è impresso per sempre. Anderson trascrive fedelmente il labirinto paranoico di Pynchon, stringe in primi piani i suoi protagonisti con pochi squarci visionari sulla Los Angeles che freme dietro l’angolo nella perdita delle illusioni della flower generation. Crea una sequenza sexy non indifferente, alcuni personaggi spassosi alla The Big Lebowski, la sua allumeuse (Katherine Waterston) è splendida e insondabile: ma, alla fine, Inherent Vice vive della più o meno buffa melanconia strafatta dello sguardo dell’ineguagliabile Joaquim Phoenix. **(*) Still Alice, di Richard Glatzer e
Wash Westmoreland, con Julianne Moore, Alec Baldwin, Kristen Stewart (Stati Uniti 2014) Still Alice fa parte di quelle pellicole che si affermano grazie a una valorizzazione estrema e prioritaria degli attori. Il film è letteralmente portato dalla commovente reattività che caratterizza ogni apparizione di Julianne Moore, giustamente sottolineata pochi giorni fa dall’Oscar 2015 per l’interpretazione femminile. Racconta di una nota insegnante di linguistica quasi cinquantenne, serena all’interno di un nucleo familiare perfetto, che improvvisamente si accorge di dimenticare una parola, quindi i ricordi, gli affetti, il proprio ruolo privato e professionale. È il morbo di Alzheimer, in una delle sue forme più precoci e crudeli: che il film descrive con pudore, ma anche con una chiarezza di analisi encomiabile. Still Alice vive della straordinaria sensibilità di Julianne Moore nel rendere un ruolo difficile. Ma, egualmente, su un tappeto stilistico che le permette tutta la sua commovente partecipazione, fatto di discrezione, di non intromissione, di non accanimento sugli elementi melodrammatici più facili.
Agenda dal 16 al 22 marzo 2015 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino
www.rsi.ch/jazz
www.swisschamberconcerts.ch
www.musibiasca.ch
Hélène Binet: dialoghi Mostra fotografica Fino al 12 aprile Palazzo Canavée, Mendrisio
Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 18 marzo al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!
Henriksen & Fennesz Concerto jazz 18 marzo 2015, ore 21.00 Studio 2 RSI, Lugano
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percentoculturale.ch e Facebook
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Cultura e Spettacoli
La versatilità di Steve Earle Musica Esplorazioni blues di un «cercatore di suggestioni»: ancora una volta, l’amore per la tradizione
guida l’opera dell’americano Steve Earle, figlio della protesta folk e del country più autentici Benedicta Froelich Per quanto si tratti della forma d’arte forse più universale al mondo, nemmeno la musica leggera è immune dai nazionalismi, specialmente quelli legati al folclore e ai quei generi popolari che appartengono inequivocabilmente alla storia o cultura di un determinato Paese. Così capita che perfino un nome come quello dell’ormai sessantenne rocker Steve Earle sia relativamente poco noto al di fuori dei confini degli States; e questo nonostante egli rappresenti senz’altro uno dei cantautori più interessanti e versatili di quella generazione che ha raccolto l’eredità della lunga linea di folksinger americani inaugurata dal leggendario e amatissimo capostipite Woody Guthrie (1912-1967). Dall’illustre predecessore, Earle ha infatti assorbito la caratura etica e l’impegno politico che caratterizzano molto del suo storytelling, ulteriormente ispessito dalle esperienze personali di una vita particolarmente tormentata e avventurosa: e in effetti, il profilo personale del cantautore lo rende simile a molti degli eroi maledetti delle ballate folk, facendo sì che l’intrigante universo roots della «strana, vecchia America» calzi a pennello a questo ribelle di professione e alle sue canzoni, risuonanti di chitarre distorte e aggraziati mandolini – in un continuo gioco di contrasti tra la delicatezza delle ballate romantiche e la ruvida assertività dei brani più rock. Ed ecco che oggi, dopo ben quarant’anni di carriera, Earle richiama
sulla scena «The Dukes», la sua band degli esordi, e decide, a sorpresa, di incidere nientemeno che un album blues. Una scelta non da poco, dato che questo nuovo Terraplane non rappresenta un semplice esperimento di contaminazione a base di sane dosi di countryfolk; in realtà, per molti versi si tratta di un tradizionalissimo tributo blues nel puro stile di un navigato performer del Mississippi. Fortunatamente, però, il buon Steve non trascura di condirlo con i suoi inconfondibili marchi di fabbrica: la voce ruvida e strascicata, il sound un po’ sporco e gli arrangiamenti dal sapore irriverente portano infatti la firma dell’artista e donano al disco la giusta verve, come si può vedere in brani grezzi e rabbiosi quali il gradevolissimo Go Go Boots Are Back e, soprattutto, l’autobiografico The Tennessee Kid (interamente giocato su un recitativo nervoso e disordinato che non potrà che esaltare i fan di vecchia data di Earle). Certo, è innegabile come questo disco soffra della classica problematica che affligge ogni album di stampo cantautorale realizzato secondo uno schema stilistico preciso quanto limitato, poiché Steve non può che ritrovarsi confinato all’interno di una «gabbia» a tratti inevitabilmente stretta per uno «spirito libero» del suo calibro – lo si nota in brani assolutamente «classici» e un po’ prevedibili come The Usual Time, un blues da manuale giocato su riff di chitarra precisi come i battiti di un metronomo e su gradevoli assoli di armonica; o nella vagamente risapu-
Il rocker statunitense Steve Earle a New Orleans nel 2012. (Keystone)
ta Baby Baby Baby (Baby), che nulla di nuovo sembra aggiungere al repertorio di Earle. Tuttavia, l’artista si concede anche dei divertissement di respiro più ampio e d’interesse senz’altro maggiore, quale un irresistibile duetto con Eleanor Whitmore (Baby’s Just as Mean as Me,
elegante mistura tra blues e swing dal sapore inequivocabilmente anni 40, che sembra uscire direttamente dalla setlist di un night club di New Orleans). Effettivamente, i brani più riusciti del disco sono proprio quelli in cui Steve riesce a coniugare la misurata e collaudatissima
struttura del blues più puro alla propria particolare personalità e «anima» cantautorale; ciò risalta maggiormente in pezzi ammiccanti e dalla superba interpretazione come King of the Blues o You’re the Best Lover That I Ever Had, in entrambi dei quali si ritrova molta dell’abituale irriverenza «southern rock» del cantante; o, ancora, nell’assai più delicato Better Off Alone, che regala una delle migliori interpretazioni dell’intero CD, in cui l’inconfondibile timbro vocale di Earle risuona in tutta la sua potenza ed evocativo fascino. E in fondo, nel valutare questa nuova fatica del cantautore, sono proprio dettagli come questo a darci l’idea del senso di un album come Terraplane; appare infatti evidente come, per Steve, questo disco non rappresenti soltanto un semplice esercizio di stile, quanto piuttosto un veicolo per incanalare la propria prorompente energia di performer in modo diverso dal solito, impegnandosi nel confronto con la disciplina e le regole richieste da un genere codificato e iconico come il blues americano. In questo senso, l’album è un successo; e anche se forse non offre al particolare songwriting di Earle la possibilità di brillare come d’abitudine, questa sortita nel mondo dei bluesmen mostra quanto versatile e legata alla tradizione USA la sua arte tuttora rimanga. Sottolineando, una volta di più, come ciò lo renda uno degli ultimi, grandi testimoni della cruciale tradizione cantautorale americana nella sua accezione più autentica e sincera.
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Cultura e Spettacoli
Ossimori d’arte Mostre La chiesa di San Giovanni Battista a Gnosca accoglie un’installazione di Luca Mengoni
Alessia Brughera A Gnosca c’è un luogo antico dall’atmosfera evocativa: si tratta di una chiesetta romanica risalente al XII secolo intitolata a San Giovanni Battista. Dopo la sconsacrazione, avvenuta alla fine del Settecento, questo edificio dalla storia un po’ tormentata è rimasto per parecchio tempo abbandonato a sé stesso, fino a che, qualche anno fa, è stato sottoposto a un intervento di consolidamento che gli ha permesso di essere riutilizzato come luogo espositivo.
L’opera di Gnosca può essere considerata una sintesi del lavoro di Mengoni: presenta infatti i temi a lui più cari Il fascino del suo aspetto, ancora in parte diroccato, si esprime soprattutto nella navata, uno spazio a cielo aperto delimitato da alte mura in cui gli antichi conci irregolari di pietra si avvicendano a moderni blocchi di cemento. Fin da quando era ancora un rudere completamente trascurato, il sito è stato frequentato spesso dall’artista ticinese Luca Mengoni, e per questo col tempo è diventato per lui un luogo ricco di ricordi e suggestioni. Non è un caso, dunque, che sia proprio tale monumento a fare da cornice alla sua ultima installazione, un’opera in stretto dialogo con l’architettura
circostante nonché emblematica della dimensione in cui si muove il lavoro dell’autore, caratterizzato dalla ricerca di antitesi fisiche e concettuali. Il linguaggio di Mengoni, artista nato a Bellinzona (classe 1972), è essenziale, rigoroso, e si avvale di immagini e di materiali semplici che si prestano però a molteplici interpretazioni. Le sue opere non si esauriscono mai nella figura rappresentata o nell’elemento utilizzato, ma costituiscono sempre un punto di partenza per generare significati più profondi. Il suo universo iconografico è abitato da pochi, selezionati soggetti che vengono reiterati e riproposti con procedimenti differenti: alberi, scale e farfalle compongono un repertorio ricorrente di temi che da un lato possono vivere autonomamente, come espressioni di singoli contenuti simbolici, dall’altro innescano nuove associazioni di senso scaturite dal loro accostamento. Sono indizi e spunti che l’artista ci affida affinché possiamo raccoglierli e rielaborarli secondo le nostre impressioni emotive. L’opera collocata a Gnosca può essere considerata una sorta di sintesi del lavoro di Mengoni, a cominciare già dal titolo, Tu sei un albero io sono un sasso, in parte già rivelatore delle figurazioni e degli elementi cari all’autore; ritroviamo qui il suo patrimonio di immagini, il suo modo di procedere per discrepanze e la sua attitudine all’uso di tecniche e materiali diversi, che in questo caso segnano anche una forte continuità con le sue più recenti esperienze nella grafica e nella scultura.
Il fulcro dell’installazione è rappresentato infatti da una grande scala in legno i cui gradini sono stati realizzati con lastre in ferro precedentemente utilizzate dall’artista per creare una serie di incisioni (queste acquatinte sono state esposte a una mostra da poco conclusasi alla Galleria Carlo Mazzi di Tegna). Attorno vi gravitano pochi altri oggetti messi in relazione tra loro: una scultura di forma ovale in marmo di Castione, una scritta al neon appesa a uno dei muri dell’edificio e uno specchio appoggiato a terra. Le matrici in ferro che hanno generato le incisioni si trovano ora alla mercé degli agenti atmosferici, abbandonate alle intemperie che le stanno lentamente corrodendo. Le tracce delle immagini si stanno così dileguando, cancellate dalla ruggine in una rielaborazione naturale che va a sostituirsi all’intervento dell’artista. D’altra parte Mengoni è sempre stato interessato a indagare le specificità dei materiali e le loro reazioni alle sollecitazioni esterne, sia quelle derivanti dall’azione dell’uomo sia quelle che provengono dall’ambiente. A questo inesorabile processo di alterazione si contrappone la scritta al neon hold on, un bagliore di luce che spicca solitario su uno dei muri a rappresentare un’esortazione a tenere duro. L’incitamento è rivolto proprio alle raffigurazioni che stanno perdendo la loro definizione per diventare sempre più dei residui evocativi e, forse, è indirizzato anche all’antica chiesa, che ha dovuto e deve tuttora combattere
Luca Mengoni. Tu sei un albero io sono un sasso, 2014. Legno di abete, ferro, plastica, vetro, marmo.
per resistere al decadimento e al logorio del tempo. Poco lontano dalla scala, lo specchio collocato sul pavimento simboleggia con il suo aderire al suolo un accesso alle profondità, un contatto con l’abisso, una discesa; nel riflettere il cielo che sovrasta le nude pareti scoperchiate dell’edificio, però, diventa anche la metafora di uno spiraglio, di un’apertura, di un sollevamento. Poco oltre, la grossa pietra ovoidale sembra fare da contraltare alla fragilità del vetro con la sua voluminosa mole e il suo considerevole peso.
Caduta e ascesa, gravezza e levità, vulnerabilità e resistenza sono dunque le tematiche indagate dall’artista anche in questo lavoro, ossimori che travalicano l’opera per diventare espressione della condizione umana, sempre in bilico tra due opposte polarità. Dove e quando
Luca Mengoni. Tu sei un albero io sono un sasso. Gnosca, Monumento San Giovanni Battista. Fino al 19 aprile 2015. Orari: accesso libero. info@gnosca.ch Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Cultura e Spettacoli
Cechin Segall, spandal, voltall, grembiall, rastelall, mügiall, portall in stala e fa sü ul caspiu. Ogni büsca l’è un car da fen e anca ul Cechin l’è ’na büsca da miga lassà in gir… ogni tant! Ieri
In tutta la valle del Vedeggio, era stata una giornata semplicemente meravigliosa. Il sole aveva attraversato l’intero arco che va da Gola di Lago fino al Monte Gradiccioli senza incontrare nemmeno un fiocco di nuvola che ne velasse per un attimo la potenza calorica e illuminante. Condizioni climatiche ideali per i contadini, i quali, muniti di ranza e qualche ancor rara falciatrice meccanica, già dai primi chiari segnacoli dell’imminente aurora, si erano messi al lavoro. Il gagliardo odore di erba tagliata aveva invaso con dolce violenza le case del villaggio, quasi tutte completamente deserte perché le braccia ancora o già in grado di lavorare erano sciamate nei prati. All’imbrunire i passi stanchi segnavano con un ritmo sempre più lento e meno marcato, un rientro verso grandi tavoli di legno, dove la cena attendeva l’apparizione di queste donne e questi uomini che per tutta la giornata non si erano mai fermati. Oggi
Il sole è sorto in un cielo sfilacciato di velature. Saggezze arcaiche e sensibilità moderne consigliano di raccogliere ciò che è stato tagliato e di tirarlo a tet-
to entro il pomeriggio. Un pomeriggio che promette quella pioggia così poco adatta per la corretta conservazione del principale alimento invernale del bestiame grosso. Così, già di primo mattino, dal cortile dell’abitazione situata un centinaio di metri a monte di casa mia, ho sentito lo scatarrare che contraddistingue la colonna sonora della cerimonia d’avvio del vecchio trattore, le imprecazioni rivolte alle stanghe del carro dimostratesi in quei momenti, per chissà quali misteriosi motivi, renitenti alla necessaria e dovuta collaborazione per la riuscita dell’aggancio al veicolo pronto a partire. Poi tutto è ritornato alla doverosa obbedienza, il trattore è passato e dietro di lui un altro carro, questo però trainato dal cavallo, al quale camminano affiancati, con un passo quasi simultaneo all’incedere dell’animale, tre membri della famiglia. Mentre mi passano accanto, mi salutano con un cenno, forse chiedendosi perché il mondo è talmente cambiato da costringere i giovani a frequentare obbligatoriamente la scuola. Verrà loro in mente il quadro che sta appeso in tutte le aule e che riproduce le fattezze di quello che ha avuto l’idea di «inventare» l’obbligo scolastico. Cinque minuti dopo di loro arriva, con la sua andatura irregolare, frutto maturato grazie a un bizzarro amalgama tra passi corti e piegamenti laterali, anche il Cechin, con un magro sacco ballonzolante sulla schiena e la forca e il rastrello su una spalla. Lui, lo vanno a chiamare solamente quando il bisogno è grande e le possibilità di scelta sono tendenti all’uno, quasi zero inglobando nel pro-
Gabriele Zeller
Il racconto Di un animo semplice, una vita in valle, un mondo di fieno – Prima parte
blema matematico anche la considerazione con la quale è misurato dalla maggior parte dei compaesani. Cechin
Il Cechin è restato figlio unico. Vive con la madre ormai quasi ottantenne, ma tuttora, fortunatamente per entrambi, autosufficiente. La presenza nella memoria di quel «restato figlio unico» è presto spiegata: qualche giorno dopo la nascita del primo figlio, il padre ha chiuso il sacco della sua vita a causa del reiterato abuso del succo di molte viti. Cechin fu partorito in una piccola stalla, quasi in contemporanea con lo sgravarsi dell’unica mucca, ma a differenza dello sfortunato vitellino lui sopravvisse coraggiosamente all’impatto con il mondo extrauterino. L’ambiente poco generoso di alimenti
e di affetti, le feroci ristrettezze portate in dote dal periodo storico immediatamente successivo al secondo conflitto mondiale, la mancanza di ogni grado di parentela con i compaesani, compose la trama e l’ordito della ruvida coperta che avvolse la sua esistenza fino al momento di varcare la soglia della scuola. Andare a scuola non era un problema, l’abitazione di Cechin e il vetusto edificio municipale che ospitava il luogo di erudizione collettiva distavano una trentina di metri l’uno dall’altro. Quindi, ed è chiaro, nessuna possibilità di sfuggire al destino di giovane virgulto ticinese e neppure da prendere in considerazione l’eventualità di smarrire la via ormai contrassegnata dal mutare dei tempi. Per quasi sei anni frequentò, occupando sempre il posto più vicino all’unica finestra,
ricco sì di spifferi e di luce, ma povero di comodità perché dotato soltanto di una cattiva sedia; poi, promosso infine in terza elementare, lasciò quell’ambiente ostile per cominciare a darsi da fare nella ricerca di qualche lavoro adatto per lui. Restano a perenne ricordo del suo tormentato passaggio in aula alcune tremende annotazioni redatte in inchiostro blu nella finca completamente a destra, quella destinata alle osservazioni psicologiche inerenti ai vari esemplari della fauna scolastica, sulla tabella delle frequenze e delle note, redatte dalla maestra, ligia alle abitudini in auge a quei tempi: «È un bambino tarato con ritardo mentale». «Non capisce niente, ma non è aggressivo». «Sa accendere bene il fuoco nel camino». «Sta crescendo piuttosto sghembo». / Francesco Giudici Biografia
Francesco Giudici, nato nel 1951, ha una moglie e due figlie, è insegnante di scuola elementare ancora in attività. Abbina la passione della lettura con la creazione di cruciverba, crucipuzzle e l’invenzione di altri più o meno astrusi giochi enigmistici. E si diverte pure a scrivere. Informazioni
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Un usurpatore in cucina Non c’è niente di più gratificante che godere di una fama usurpata. Almeno per quanto mi riguarda. Pensate: dal lontano 1988 sono universalmente considerato un esperto di cucina, un gastronomo. Tutto nasce da un equivoco televisivo. Dal 20 aprile del 1987 Rai Uno aveva trasmesso «Marisa la nuit», un varietà nel corso del quale Marisa Laurito esaudiva le richieste, espresse al telefono, dei telespettatori che volevano rivedere un brano dei programmi trasmessi in passato. La conduttrice era spronata e guidata dalla voce fuori campo del regista Larry Tree, alias Renzo Arbore. Con un successo tale da far raddoppiare le uscite: oltre al lunedì anche il martedì, sempre in seconda serata. Molte richieste degli spettatori erano pilotate dagli autori, in modo da far richiedere spezzoni di tivù trovati negli archivi. L’anno successivo erano finiti i soldi e il direttore di Rai Uno chiese a me di organizzare e condurre qualcosa di analogo, senza spendere una lira. Ero interno alla Rai, ricompensato con lo stipendio. Si trattava di
stare in un piccolo studio della Rai di Torino, seduto in poltrona e di lanciare degli spezzoni di programmi del passato, con una breve presentazione. Il direttore aveva usato il termine «avanzi di televisione» e a me, cuoco dilettante, la parola aveva fatto venire in mente «la cucina degli avanzi». Rilanciai l’offerta con una proposta: avrei assunto il ruolo di un marito rimasto a lavorare in città mentre la famiglia era già in vacanza, costretto a cucinarsi qualcosa in perfetta solitudine. Mentre pasticciavo in cucina raccontavo qualche aneddoto legato alle mie esperienze di vita e, per coprire i tempi morti di cottura, inserivo nel videoregistratore una cassetta per rivedere qualche brano di un programma che mi fosse particolarmente piaciuto. «Va bene», mi risposero i capi, «purché non costi una lira». Arredare la cucina non fu un problema, le ditte concedono gratis il noleggio di frigoriferi e attrezzature varie poiché il solo fatto di vederle in televisione costituisce una pubblicità indiretta (la più efficace). Si trattava solo di fare la spesa
te, gonfio di acqua. Mi spiegano che i semi provengono dall’Argentina e che hanno provato a piantarlo nelle nostre campagne. (Nota: il babaco argentino da noi ha ballato una sola estate, l’anno dopo era sparito). Ne faccio acquistare un certo numero e organizzo una puntata monotematica: «questa sera vi propongo un menù a base di babaco, dall’antipasto al dolce». Per la verità, sull’onda dell’entusiasmo, al termine ho proposto anche un digestivo al babaco. Qualche volta, con i ragazzi dello studio, al termine della registrazione, si mangiavano i miei cibi freddi, (ricordo uno splendido gelato di datteri) ma nel caso del babaco abbiamo buttato via tutto. Dimenticavo: per scelta della direzione, il programma s’intitolava «Cucina Gambarotta», un dettaglio che spiega la fama usurpata. Per la cronaca fu un fiasco epocale: qualche recensione sprezzantemente negativa e soprattutto un risultato più unico che raro: il programma che precedeva il mio faceva ottimi ascolti, perciò sarebbe stato un traino perfetto. Con la mia en-
trata in scena gli ascolti crollavano ma il peggio era che risalivano con il terzo, anche se era notte fonda. Non importa, ero entrato nella magica cerchia degli esperti dalla quale non sarei più uscito. Per più di dieci anni ho coordinato una guida ai ristoranti del Piemonte e della Valle d’Aosta; sono stato invitato a far parte di una serie di giurie, dalla zuppa del minatore alla torta di mele (con 64 assaggi!). Ho condotto la premiazione del «Bancarella Cucina». Nel mese di ottobre dello stesso anno sono a Bologna per le selezioni dei concorrenti a «Lascia o raddoppia?». I colleghi mi portano a pranzo da uno chef che vuole fare la mia conoscenza; il ristorante s’intitola «da Re Enzo», ignoro se esista ancora. Lo chef ci propone un menù ricco di invenzioni, ricordo un risotto alle fragole buonissimo; poi m’invita a visitare la cucina e la cambusa. Qui, prima di rientrare in sala, visto che siamo soli, mi blocca e mi confida: «Ho preso nota e ho provato tutte le sue ricette e, da collega a collega, devo dirle una cosa: quel babaco proprio non va».
Almeno l’imperatore Marco Aurelio, autore dello stoico e solitario libretto Colloqui con sé stesso, avrebbe avuto una scusa per stare per i fatti suoi, almeno una volta all’anno. Un’opportunità certo cara anche al nuovo Presidente della Repubblica italiana, mirabilmente imitato da Maurizio Crozza come uomo pubblico che non ha né voglia né capacità di essere notato. Potrebbe essere d’aiuto la giornata mondiale dei nonni (questa esiste davvero, ogni due ottobre), alla quale avrebbero aderito con passione tutti i pensatori arrivati a tarda età, anche se vissuti in epoche che vedevano la vita media terminare tra i trenta e i quarant’anni, e uno su cinque la sopravvivenza di un neonato. Che il pensiero aiuti la longevità? Così sembra a far due conti: Platone morì ottantenne, mentre Aristotele visse solo sessantadue anni perché ebbe troppa fiducia nella sua salute di ferro, fece il bagno senza aspettare le tre ore dopo i pasti, tormento di tutte le mamme, e morì di congestione nelle acque di un freddo fiume. Altri grandi vecchi furono
Agostino di Ippona, quasi ottantenne, il suo non tanto amico san Girolamo (più che settantenne), Anselmo d’Aosta (idem), poi il bellissimo vecchio dell’autoritratto, Leonardo da Vinci, quasi settanta. Non c’erano gli antibiotici né le vaccinazioni, si moriva per un taglietto o un ascesso, ricordiamolo. Con le nuove scoperte mediche, non siamo turbati nemmeno da Hans Georg Gadamer, morto nel 2002 a centodue anni, né dal viventissimo Gillo Dorfles, che va per i centocinque. Gadamer potrebbe festeggiare anche la giornata della serendipità, infatti una volta mi ha raccontato che della sua classe, dopo le due guerre, era rimasto solo lui in vita. Perché era stato escluso dall’esercito a causa di una zoppia dovuta a poliomielite: si è ammalato in tempo per non andare in guerra, ed è poi vissuto in tempo per avere medicine all’avanguardia. Karl Marx invece non arrivò a settanta, nonostante i ritratti che mostrano barba e capelli candidi. A lui quella che sarebbe piaciuta è una giornata del baratto, dove nessuno avrebbe potuto ottenere il plusvalore,
col quale si arricchivano i capitalisti. Tutti pari, tanto valore ha la mia pecora, tanto ne avranno i tuoi polli. A meno che nel baratto non si inseriscano come mediatori Giambattista Vico, Tommaso Campanella o Benedetto Croce. I napoletani, si sa, ti vendono il Vesuvio. Ma non finiscono qui le giornate ideali dei filosofi, che ben si guardano dal festeggiare il terzo giovedì di novembre, giornata mondiale della filosofia (lo sapevate? No, perché i filosofi si litigano e si festeggiano tra loro e a modo loro. A novembre poi, in compagnia della giornata dei morti e di quella dei caduti in guerra). Andando avanti avremmo la giornata del pensiero orientale (Schopenhauer, lettore di induismo e buddismo nella biblioteca della mondana e frivola madre); quella delle maratone (Rousseau, che preferiva andare a piedi anche da Ginevra a Parigi, dicono); quella dell’amicizia (Montaigne), e anche la classica pace, con le soluzioni suggerite da Kant per la Pace perpetua. Ma anche interrotta ogni tanto, gli facciamo eco noi, purché pace sia.
sulle preposizioni e si sperpera sul resto (!). Una studentessa intervistata dalla Bennett afferma che quando riceve dalle sue amiche messaggi con pochi punti esclamativi è portata a pensare male, a immaginare che ci sia qualcosa che non va. Il punto esclamativo è un segno di benessere, la sua penuria è sintomo di malattia, depressione, mal di pancia, dissenteria o emicrania. Vi ricordate la lettera di Totò e Peppino (6+)? «Punto… Due punti… Ma sì, fai vedere che abbondiamo… Abbondandis in abbondandum…». Se per quei due contadini meridionali capitati a Milano la ricchezza di virgole, punti e due punti era scambiata per uno status symbol, la punteggiatura digitale denota uno status mentale, deve comunicare tono, ritmo, emozione, agilità, buona salute. Solo un «buongiorno!!!» è davvero benaugurante, mentre
un semplice e onesto «buongiorno» suona triste, grigio, sfigato, poco convinto, rischia di sembrare vagamente iettatorio. «Ciao» non basta: o è «ciao!!!!» o meglio evitare il saluto e buonanotte!!!! Viceversa «oh no» è sinonimo di «oh sì», per dire davvero «oh no» bisogna scrivere almeno «oh no!!!»; per dire «oh no!» bisogna scrivere almeno «oh no!!!!!!!»; per urlare «oh no!!!» se ti rovesci addosso una pentola d’acqua bollente devi urlare come minimo con una ventina di punti esclamativi, altrimenti nessuno ti sente e probabilmente l’ustione non è così grave da meritare un soccorso. Immaginate che cosa sarebbe in un sms l’ira funesta del Pelide Achille che infiniti addusse lutti agli Achei… Omero, per rendere l’idea, sarebbe ancora qui tra noi, dopo quasi tre millenni, a battere punti esclamativi sul suo smartphone. E Dante? Nel mezzo del cammin di sua vita si ri-
trovò per una selva oscura: adesso il solo pensiero di quella circostanza «rinova la paura!» con un bel punto esclamativo per dare il senso dello spavento generato dal ricordo. La Commedia è piena di punti esclamativi (abbondandis ad abbondandum), ma uno per volta. Persino Pluto, il demone dalla voce chioccia, ci va cauto con gli esclamativi («Pape Satàn, pape Satàn aleppe!»). E anche Virgilio, quando sembra perdere la pazienza, mica si mette a urlare: «Taci, maledetto lupo!!!!!!!!». No, più modestamente e con il giusto understatement si limita a un: «Taci, maledetto lupo!». Severità vecchio stampo, quasi in sordina. Ai padri, un tempo, per farsi ubbidire non era necessario alzare la voce: a volte bastava sollevare un sopracciglio o in segno di minaccia alzare un indice. Come un punto esclamativo. O due!! O tre!!! O più!!!!!
al mercato del fabbisogno che giorno per giorno mi sarebbe servito e quella, bontà loro, me la concessero: davo la lista della spesa a una aiuto-scenografa per fare gli acquisti. Mi avevano assegnato il piccolo studio che tutti i giorni ospitava il telegiornale del Piemonte. Quando i giornalisti della redazione sono venuti a saperlo sono insorti: «Non pretenderete mica che noi diamo le notizie stando immersi nell’odore di soffritto!». Trattative frenetiche e infine il compromesso: avrei cucinato solo cibi freddi. Saremmo andati in onda durante l’estate e si poteva fare. Partiamo: ogni volta pasticcio allegramente, invento piatti, racconto le mie storielle e mando in onda spezzoni di programmi del passato. Al termine facciamo scorrere una scritta, insieme scherzosa e seria: non ci assumiamo alcuna responsabilità sull’esito delle ricette proposte nel corso della puntata. La mattina andavo al mercato sotto casa al banco dei contadini in cerca di ispirazione: un giorno trovo una novità, il «babaco», una sorta di zucchino gigan-
Postille filosofiche di Maria Bettetini Oggi non è «giornata» Si è già detto molto a proposito delle «giornate» dei nonni, del papà, della donna, di questioni di ambiente e sanità. Nel bene e nel male si tratta di un discorso economico, nel bene quando sono l’occasione per raccogliere fondi per la ricerca o per i bisognosi, nel meno bene quando si inducono bisogni inesistenti, come comprare mimose, cravatte, torte a forma di cuore. Alcuni sostengono che si tratti in ogni caso di realtà positive, perché anche se solo tramite un articolo di giornale, uno spazio pubblicitario, si fa luce per un giorno su temi spesso non scontati, come la necessità di risparmiare proprio la luce, per esempio, o la ricerca medica su malattie rare, o il ruolo che hanno assunto i nonni, quando possibile, nella vita delle giovani famiglie. E allora chiediamo ai grandi pensatori quale giornata avrebbero desiderato promuovere, in quale slancio ideale si sarebbero potuti riconoscere. Partiamo dalle donne, festeggiate pochi giorni fa. Le piazze di Parigi sono gremite di madri, suore, ragazze da marito, prostitute. Davanti alla cattedrale una giovane
arringa le folle, la fidanzata più invidiata della città, Eloisa. Siamo nel 1117, Eloisa sedicenne ama alla follia, ricambiata, un uomo bello e sapiente, più anziano di lei di vent’anni, Pietro Abelardo. Le donne la invidiano, ma la ascoltano: «per seguire il mio uomo non ho bisogno di sposarlo, meglio essere amica e concubina che fastidiosa moglie». Qualcuna scuote il capo: sembrava rivoluzionaria, Eloisa, ma propone solo un’altra forma di sottomissione. Lo stesso accadrà nella vita di un’altra donna filosofa, Hanna Arendt, amante del maestro Martin Heidegger. Il quale mai avrebbe approvato una festa della donna, l’unica festa che ricorda è quella dei boschi e delle foreste. Ma non si unisce a Sting per la difesa della foresta amazzonica, a lui basta la sua baita nella Foresta Nera e che lo lascino in pace, se proprio non gli possono perdonare la sincera e appassionata adesione al nazionalsocialismo, e che sarà mai. Si istituisca piuttosto una giornata dedicata alla vita ritirata, come certo avrebbero gradito gli Stoici del lathe biōsas, vivi nascostamente.
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Puntare sull’esclamativo!!! Che cosa succede ai segni di punteggiatura???!!! Non li sappiamo più usare… Hanno perso la tradizionale funzione sintattica per acquistare un valore essenzialmente emotivo,,,… Il punto esclamativo, poi!!! È diventato un grido sguaiato disseminato un po’ ovunque! tanto per gradire! (anche tra parentesi!), anche tra virgole,!, anche dopo i puntini sospensivi…!!! E persino prima!!!... Gli sms ci hanno rovinati: ignorano i due punti; per non parlare del punto e virgola. Per loro esiste solo il punto. Nient’altro. Che. Il. Punto. Punto e basta. E naturalmente (!) il punto esclamativo! Meglio se due!! O tre!!! L’importante è esagerare!!!! Il Post (5+), giornale online diretto da Luca Sofri, ci informa che in America è cominciata la carica dell’interpunzione enfatica o sciatta. Racconta Jessica Bennett sul «New York Times» (mica noc-
cioline!!!) di aver ricevuto un messaggio da una sua amica, per un appuntamento previsto da tempo, formulato così: «A che ora ci vediamo». Senza interrogativo. Non poteva fare un piccolo sforzo in più?, si chiede la giornalista. «Quella domanda senza punto interrogativo dimostrava indifferenza». È vero, ma avete mai uozzappato? Io no, però ne ho esperienza indiretta. Se è indifferenza il salto di un punto interrogativo, che cos’è il salto delle preposizioni, degli articoli, delle desinenze, delle doppie, degli accenti, degli apostrofi e delle coniugazioni verbali? Una frase come: «Ciao B chiede se anche voi venir veder mostra van gogh». Che non è propriamente una sintassi telegrafica, perché in un vecchio telegramma la domanda si sarebbe notevolmente ridotta a un semplice: «Venite van gogh?», senza tanti «ciao» o «veder» o «mostra» o altro. Dunque, si risparmia
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Idee e acquisti per la settimana
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Il pane con lo 0.7% di sale è prodotto a partire da pregiato lievito madre naturale. Questo metodo di panificazione permette di ottenere un prodotto dall’aroma molto delicato con una mollica particolarmente morbida, come pure una maggiore conservabilità del pane. L’impasto viene porzionato e lavorato a mano dai panettieri Jowa, quindi inserito in appositi stampi per la cottura e tagliato in superficie prima di essere infornato per una mezzoretta. Tra gli altri ingredienti della specialità citiamo ancora farina di malto d’orzo, farina di frumento e fiocchi di patate.
Flavia Leuenberger
Un consumo eccessivo di sale può avere ripercussioni negative sulla salute. In questo senso Migros già da alcuni anni è impegnata nel ridurre il tenore di sale nei suoi prodotti, contribuendo così attivamente alla promozione della salute nella popolazione svizzera. Il pane con 0.7% di sale già soddisfa pienamente queste aspettative. La specialità della Jowa di S. Antonino, introdotta con successo quattro anni or sono, è ora stata oggetto di alcuni cambiamenti con lo scopo di renderla ancora più appetitosa: la ricetta è stata ottimizzata e l’aspetto è stato reso più rustico.
Tradizione, qualità e fantasia Attualità Le specialità Dal Colle per una Pasqua all’insegna della dolcezza
Dal 1896 Dal Colle è sinonimo di grande tradizione dolciaria italiana. L’azienda veronese, ancora oggi a gestione familiare, grazie all’eccellenza dei suoi prodotti è diventata non solo in Italia una delle più apprezzate protagoniste nel settore delle specialità festive. Tecnologie moderne, combinate a ingredienti selezionati e naturali, nonché una lavorazione nel rispetto delle antiche tradizioni stanno alla base del successo del marchio. Nei supermercati di Migros Ticino di Dal Colle troverete quest’anno due bontà a cui sarà difficile resistere. Dedica-
to ai piccoli golosi – ma siamo certi che conquisterà anche molti adulti – «L’allegro cestino» è una squisita e originale ciambella a lievitazione naturale con ripieno di cremoso cioccolato e riempita di colorate praline di arachidi ricoperte di cioccolato. Gli amanti dei sapori più classici troveranno invece la «Colomba Giulietta». Questo dolce con canditi dalla morbidezza e fragranza uniche e glassatura supercroccante rispecchia pienamente l’insuperabile tradizione dolciaria veronese.
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Le due serate per adulti in panetteria presso le filiali di S. Antonino e Serfontana si terranno martedì 31 marzo, dalle 18.30 alle 21.00. Durante il workshop i partecipanti avranno la possibilità di cimentarsi nella produzione della tradizionale colomba pasquale. I posti sono limitati a 10
persone per panetteria. Valido per chi non ha partecipato alle ultime due serate. Per iscriversi telefonare al numero 091 840 12 61, martedì 17 marzo, tra le 10.30 e 11.30.
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Idee e acquisti per la settimana
Fragole: un frutto sano e rinfrescante per dessert paradisiaci Attualità Per ottomila anni la tenera e fragile fragolina di bosco, apprezzata anche dagli antichi Romani, è stata
amata e ricercata in tutta Europa. Imboccò il viale del tramonto solo quando fu costretta a competere con le specie dal frutto più grosso e resistente, provenienti dal Nuovo Mondo e con le quali fu poi incrociata
Le fragole dal frutto grosso arrivarono in Europa grazie all’ingegnosità di un ufficiale francese (F. Frézier), inviato in America del Sud come antesignano per spiare le postazioni navali spagnole. Egli riportò in patria dall’isola di Chiloé nel 1716 delle piantine di fragole dal frutto grosso che furono messe a dimora e presto s’acclimatarono. Le fragole sono un prodotto delicato, profumatissimo, rinfrescante e sano. Contengono per esempio più vitamina C dei limoni e delle arance: 150 grammi di fragole coprono il fabbisogno giornaliero della preziosa vitamina. Si possono mangiare in tantissimi modi: al naturale, con la panna (p.es. montata alla Chantilly), con il vino, ottime con lo champagne e nelle insalate di frutta. In pasticceria sono usate per farne gelati, mousses, bavaresi, charlottes, millefoglie, crostate… ma provatele nello zabaglione con delle foglie di menta fresche: una vera delizia. Buono a sapersi: le fragole non maturano dopo la raccolta e vanno gustate rapidamente dopo l’acquisto. Pulire le fragole sotto l’acqua corrente e lasciarle sgocciolare bene prima del consumo. Zuccherarle prima di servirle per evitare che perdano troppo succo. Attualmente presso i reparti frutta di Migros Ticino le squisite fragole nella cassetta da un chilo sono offerte ad un prezzo particolarmente vantaggioso. Un peccato non approfittarne. / Davide Comoli
Golosità a strati
La rassegna degli asparagi
Come stuzzicare i propri ospiti in occasione degli aperitivi prepasquali? Ma con un pain surprise farcito in tanti modi differenti, naturalmente. Un’idea originale che riscontra sempre un grande successo e accontenta tutti. Il pain surprise da farcire, disponibile attualmente nelle maggiori filiali Migros, è preparato a partire da farina bianca ed è già preaffettato. Può essere preparato in anticipo così da lasciarvi tempo per godervi la festa. La scelta del ripieno? È praticamente infinita: dagli affettati ai formaggi, dalle crevettes al salmone affumicato, passando per uova sode, paté e fino alle verdure grigliate.
Flavia Leuenberger
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Nei Ristoranti Migros è tempo di asparagi! Fino al 28 marzo gli avventori potranno gustare numerose delizie a base dei delicati ortaggi primaverili. Dal buffet freddo a quello caldo, dalla pasta al menu del giorno fino alle minestre… gli amanti degli asparagi troveranno sicuramente di che farsi venire l’acquolina. Alcuni idee sono per esempio la frittata con asparagi e menta, l’insalata di asparagi e gamberetti, il salmone affumicato agli asparagi, la crema d’asparagi, le lasagne agli asparagi, gli asparagi alla milanese e il vol-au-vent con
asparagi e gamberi. Inoltre, all’acquisto di un piatto a base di asparagi, si riceverà un buono di 10 franchi di sconto per lo Splash & Spa e per il Monte Tamaro.
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Idee e acquisti per la settimana
19 marzo: la Festa del papà
Come sorprendere e dimostrare il nostro affetto al babbo in occasione della sua festa, il prossimo giovedì, nel giorno di San Giuseppe? Idee golosissime arrivano dai nostri banchi pasticceria Migros, dove per l’occasione il giorno precedente troverete i dolci più indicati per festeggiarlo come si conviene. La torta a forma di cuore, a base di delicata sfoglia e decorata con frutta fresca, farà certamente l’unanimità
tra i festeggiati. Ma anche i più tradizionalisti non resteranno a mani vuote, grazie agli immancabili tortelli di San Giuseppe ripieni di crema pasticcera. E se volete aggiungere un altro regalino a queste golosità, nei nostri supermercati e negozi specializzati non mancano certamente gli spunti: camicie, cravatte, profumi, CD, cioccolatini, rasoi, articoli per il fai da te, orologi, pigiami, libri…
Il paese della cuccagna dal 17 al 21 marzo al Serfontana
Tutto il piacere del cioccolato! Evento irrinunciabile per tutti gli amanti del cioccolato quello proposto questa settimana all’interno della mall del Centro Shopping Serfontana. La Chocolat Frey, azienda produttrice di cioccolato appartenente al gruppo Migros, mostrerà ai visitatori come ven-
Il cavolo piuma Un nuovo tipo di cavolo è entrato a far parte dell’assortimento dei maggiori reparti verdura di Migros Ticino. Si tratta del cavolo piuma, un gustoso ortaggio molto ricco di vitamine C, A, calcio, ferro e potassio. Il cavolo piuma è ottimo in umido o saltato in padella previa sbollentatura, abbinato per esempio a pancetta o carne di manzo. Qualche foglia cruda
aggiunta all’insalata conferisce a quest’ultima una nota piccante. Una delizia: far bollire per qualche minuto le foglie di cavolo piuma in acqua leggermente salata, scolare e far saltare brevemente in padella con un filo d’olio con l’aggiunta di uno spicchio d’aglio e del peperoncino. Salare e servire come contorno oppure come condimento per pasta o su una bruschetta.
gono prodotte alcune delle sue deliziose specialità. Per l’occasione potrete anche ammirare l’incredibile fontana di cioccolato, assaggiare alcune creazioni tipicamente pasquali e approfittare di interessanti promozioni su diversi prodotti Frey selezionati. Accorrete numerosi! Annuncio pubblicitario
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
L’estate sta arrivando... Do it + Garden Pronti per la bella stagione con nuovi mobili da giardino
Nei Do it + Garden Migros di Agno Due e Losone, nonché presso Micasa S. Antonino e SportXX Serfontana, sono arrivati tanti magnifici mobili da giardino e tutti gli accessori coordinati per la nuova stagione calda. Quest’anno il relax assoluto è garantito grazie ai mobili lounge adatti a qualsiasi spazio esterno, grande o piccolo che sia. In questo ambito attualmente i mobili intrecciati sono molto trendy, soprattutto quelli dalle forme arrotondate per
un effetto particolarmente armonioso e naturale. Voglia di mangiare all’aperto con la famiglia o gli amici? Anche in questo caso non c’è che l’imbarazzo della scelta da Do it + Garden. L’ampia proposta di tavoli, sedie e panche di varie dimensioni accontenta ogni desiderio. Tra i materiali più apprezzati per questi mobili segnaliamo il pregiato legno di teak certificato FSC. Per gli spazi piccoli come balconi terrazzi i prodot-
ti ripiegabili e impilabili sono l’ideale perché regalano subito una piacevole atmosfera da bistrot. Infine, l’assortimento annovera ancora i mobili in metallo dai raffinati toni nero e grigio in stile retrò per un tocco di originalità ed eleganza. Per saperne di più sulla nuova collezione di mobili da giardino di Do it + Garden Migros cliccate su doitgarden.ch oppure micasa.ch. Qui l’assortimento può anche essere ordinato online.
Porto Cervo è la linea di mobili dallo stile mediterraneo per un tocco di originale eleganza in giardino.
Il barometro dei prezzi I cambiamenti di prezzo attuali
Migros riversa di nuovo i vantaggi del franco forte alla propria clientela: ecco diverse ulteriori riduzioni di prezzo. Tra gli altri saranno più convenienti in
Alcuni esempi:
media del 12.5 percento articoli delle marche Catsan, Cesar, Exelcat alimenti secchi e gli alimenti per roditori Vitobel.
Prezzo vecchio in Fr.
Cesar Inspirations du jardin légumes, 4 x150 g 5.90 Cesar Vital 10+, 4 x 150 g 5.30 Exelcat croccante menu manzo, 1 kg 6.— Exelcat croccante menu pollo, 1 kg 6.— Vitobel Complet Mix conigli nani, 1 kg 6.50 Vitobel Gourmet Garden, 500 g 4.50 Catsan Hygiene Plus 10 l, non grumosa 7.90 Catsan Ultra Plus 5 l, grumosa 7.20 Nestlé Beba Junior 12+, 700 g 18.50 Nestlé Cereals mela-pera, 250 g 6.30 Nestlé Bio verdure riso pollo, 190 g 2.10 Soft Cake arancia, 150 g 1.70 Bastonicini vaniglia, 8 g 2.40 Knorr salsa arrosto, busta, 36 g 2.20 Fol Epi fette, 150 g 3.20 Caprice des Dieux, 200 g 3.65 Asiago, per 100 g 1.60 Versatile, conveniente e sostenibile: la linea Cameron è realizzata in bellissimo legno d’acacia FSC.
Nuovo in Fr. 5.— 4.60 5.20 5.20 5.70 4.— 7.10 6.40 17.50 5.90 1.85 1.60 2.30 1.90 3.— 3.50 1.50
in % –15,3 –13,2 –13,3 –13,3 –12,3 –11,1 –10,1 –11,1 –5,4 –6,3 –11,9 –5,9 –4,2 –13,6 –6,3 –4,1 –6,3
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Bunny Family
Frey Bunny Happy, Noir 170 g Fr. 6.80
Orecchie lunghe, cuore tenero Chi vuole procurarsi un coniglietto Frey PET della Limited Edition deve darsi una mossa. Da subito, infatti, è possibile acquistare il coniglietto di cioccolato col manto a fiorellini in un numero limitatissimo di pezzi. L’anno scorso il design a fiori di una studentessa d’arte era stato scelto quale favorito in una votazione online. Ma anche così i coniglietti Frey, col loro design semplice e prezioso, sono un regalo di Pasqua perfetto. Partecipate! Su www.frey-easter.ch trovate un concorso pasquale dotato di ricchi premi per un valore di oltre 36’000 franchi.
Frey Bunny Sunny, Funny o Lucky, Latte 55 g Fr. 3.30
Limited Edition Frey Bunny Sunny, Funny, Lucky col manto a fiorellini, Latte, 170 g Fr. 7.20
Frey Bunny Sunny, Funny o Lucky, Latte 900 g Fr. 29.–
Frey Bunny Shiny, cioccolato bianco 170 g Fr. 6.80
Frey Bunny Sunny, Funny o Lucky, Latte 170 g Fr. 6.80
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche i Bunnys di Frey.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Idee e acquisti per la settimana
Burro da spalmare
Soffice come burro
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali il burro facile da spalmare.
Foto Jorma Müller; styling Esther Egli
Addio panetti di burro duri come il sasso! Lo speciale burro da spalmare della Migros si lascia cospargere sul pane senza la minima fatica già appena tirato fuori dal frigorifero. Tutto ciò grazie a un accurato trattamento che ne conserva la morbidezza. Ma attenzione: affinché questa facoltà non svanisca, il burro va riposto nel frigorifero subito dopo l’utilizzo. Il latte proviene da mucche svizzere e il prodotto non contiene additivi.
Ora il burro si può spalmare sui cornetti appena tolto dal frigorifero.
Burro da spalmare 200 g Fr. 3.95
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Pollo intero Optigal, 2 pezzi Svizzera, al kg
La Mortadèla da fidigh (mortadella di fegato) Ticino, pezzo da ca. 300 g, per 100 g
Fettine di manzo à la minute, TerraSuisse per 100 g
Bresaola affettata, vaschetta gigante salvafreschezza Italia, per 100 g
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Fragole Spagna, cassetta da 1 kg
Pomodori Cherry extra Italia, imballati, 300 g
Tutti i panini M-Classic 20% di riduzione, per es. mini panini per sandwich M-Classic, 300 g
Filetto di tonno (pinne gialle) Oceano Pacifico, per 100 g, fino al 21.3
Pancetta a dadini, TerraSuisse 4 x 60 g
Arrosto collo di maiale Svizzera, confezione da ca. 1 kg, per 100 g
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Formentino Ticino, imballato, 100 g
Caseificio Canaria prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
Quark alla frutta in conf. da 4 4 x 125 g, –.40 di riduzione, per es. alla fragola
Coniglio tagliato Ungheria, imballato, per 100 g
Spezzatino di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Prosciutto crudo Emilia Romagna, affettato, vaschetta gigante salvafreschezza Italia, per 100 g
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Emmentaler / Le Gruyère grattugiati in conf. da 2 Tutti i budini a partire da 140 g 2 x 120 g, 20% di riduzione a partire dall’acquisto di 2 prodotti (Cup Lovers esclusi), –.60 di riduzione l’uno, per es. budino alla vaniglia, 3 x 72 g
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Tutta la pasta Agnesi a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. spaghetti, 500 g
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Seattle Latte o Caramel Macchiato Starbucks Discoveries in conf. da 3 per es. Seattle Latte, 3 x 220 ml
Tutta la frutta o tutte le bacche surgelate, 20% di riduzione, per es. lamponi M-Classic, 500 g
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Cuoricini al limone o discoletti Tradition in conf. da 2 20% di riduzione, per es. cuoricini al limone, 2 x 200 g
Tutte le chips Royal o Farm 20% di riduzione, per es. chips Blue / al naturale Royal, 100 g
Tutti i tipi di tonno Rio Mare in conf. da 3 20% di riduzione, per es. tonno rosa, 3 x 104 g
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Diverse erbe aromatiche in vaso da 14 cm, per es. rosmarino, la pianta
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FRUTTA E VERDURA Cetrioli, Spagna, il pezzo –.80 invece di 1.20 33% Broccoli, Italia / Spagna, al kg 1.90 invece di 3.20 40% Edamame, 158 g 4.60 20x NOVITÀ *,** Fragole, Spagna, cassetta da 1 kg 3.90 invece di 6.50 40% Mirtilli, Spagna, vaschetta da 250 g 3.90 Formentino, Ticino, imballato, 100 g 2.50 invece di 3.35 25% Pomodori Cherry extra, Italia, imballati, 300 g 2.40 invece di 3.– 20% Rucola, bio, Italia, busta da 100 g 2.50 *
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Fettine di manzo à la minute, TerraSuisse, per 100 g 3.50 invece di 5.– 30% Prosciutto cotto in conf. da 2, TerraSuisse, per 100 g 1.95 invece di 2.80 30% Pancetta a dadini, TerraSuisse, 4 x 60 g 4.05 invece di 5.80 30% Bresaola affettata, vaschetta gigante salvafreschezza, Italia, per 100 g 6.60 invece di 8.75 20% Prosciutto crudo Emilia Romagna, affettato, vaschetta gigante salvafreschezza, Italia, per 100 g 4.15 invece di 6.50 33% Pollo intero Optigal, 2 pezzi, Svizzera, al kg 6.60 invece di 9.50 30% Filetto di tonno (pinne gialle), Oceano Pacifico, per 100 g 4.– invece di 5.40 25% fino al 21.3 Nuggets di pollo, prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg 10.60 invece di 21.20 50% Arrosto collo di maiale, Svizzera, confezione da ca. 1 kg, per 100 g 1.20 invece di 2.– 40%
Coniglio tagliato, Ungheria, imballato, per 100 g 2.– invece di 2.70 25% Spezzatino di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.30 invece di 3.50 33% Teneroni di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 2.45 invece di 3.10 20% La Mortadèla da fidigh (mortadella di fegato), Ticino, pezzo da ca. 300 g, per 100 g 2.10 invece di 3.05 30% Tutto l’assortimento di Fleischkäse Delikatess, per es. Fleischkäse Delikatess, TerraSuisse, Svizzera, affettato finemente in vaschetta, per 100 g 1.20 invece di 2.– 40% Tutti i prodotti a base di sushi, per es. sushi, bio, salmone d’allevamento, Irlanda / gamberetti d’allevamento, Costa Rica, 130 g 9.50 invece di 11.90 20% *
PANE E LATTICINI Seattle Latte o Caramel Macchiato Starbucks Discoveries in conf. da 3, per es. Seattle Latte, 3 x 220 ml 5.20 Quark alla frutta in conf. da 4, 4 x 125 g, –.40 di riduzione, per es. alla fragola 2.– invece di 2.40 Emmentaler dolce, per 100 g 1.05 invece di 1.55 30% Tilsiter dolce, ca. 450 g, per 100 g –.80 invece di 1.35 40% Formaggio alla panna Gerzensee, 150 g 4.50 20x NOVITÀ *,** Emmentaler / Le Gruyère grattugiati in conf. da 2, 2 x 120 g 3.80 invece di 4.80 20% Caseificio Canaria, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.60 invece di 28.10 30% Tutti i panini M-Classic, per es. mini panini per sandwich M-Classic, 300 g 2.– invece di 2.55 20%
FIORI E PIANTE Tulipani, diversi colori, mazzo da 10 5.90 invece di 6.90 Mazzo di tulipani con rametti di mirtillo Fiona, il mazzo 12.90 Diverse erbe aromatiche, in vaso da 14 cm, per es. rosmarino, la pianta 2.90
ALTRI ALIMENTI Millefoglie, 2 pezzi, 157 g, 5 pezzi, 390 g, e 6 pezzi, 288 g, per es. millefoglie, 2 pezzi, 157 g 1.75 invece di 2.20 20% Tutte le Colombe Jowa, scatola e sacchetto, per es. Colomba amaretti in scatola, 750 g 14.80 invece di 18.50 20%
Tutto l’assortimento Déco de Pâques Frey, UTZ, per es. pulcini, 4 pezzi, 88 g 5.30 20x 20x PUNTI Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ, per es. assortiti 8.55 invece di 10.70 20% Cuoricini al limone o discoletti Tradition in conf. da 2, per es. cuoricini al limone, 2 x 200 g 4.95 invece di 6.20 20% Tutti i caffè istantanei in bustina, UTZ, per es. Exquisito Oro Noblesse, 100 g 4.30 invece di 5.40 20% Farina bianca, TerraSuisse, 4 x 1 kg 5.50 invece di 7.40 25% Miscela per brownies o cake al cioccolato in conf. da 2, per es. brownies, 2 x 490 g 8.50 invece di 12.20 30% Tutti i budini a partire da 140 g, a partire dall’acquisto di 2 prodotti (Cup Lovers esclusi), –.60 di riduzione l’uno, per es. budino alla vaniglia, 3 x 72 g 1.40 invece di 2.– Focaccia all’alsaziana in conf. da 2, surgelata, 2 x 260 g 5.80 invece di 8.30 30% Tutta la frutta o tutte le bacche, surgelate, per es. lamponi M-Classic, 500 g 6.20 invece di 7.80 20% Tutte le 7UP in conf. da 6 x 1,5 l e le 7UP H2OH! da 6 x 1 l, per es. 7UP Regular, 6 x 1,5 l 5.85 invece di 11.70 50% Polenta bramata, TerraSuisse, 500 g 1.40 invece di 1.80 20% Tutte le salse Agnesi, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. sugo al basilico, 400 g 2.40 invece di 2.90 Tutta la pasta Agnesi, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. spaghetti, 500 g 1.30 invece di 1.80 Olio d’oliva Monini Monello, 75 cl 12.45 invece di 15.60 20% Tutti i tipi di aceto e di salse Ponti o Giacobazzi, per es. aceto balsamico di Modena Ponti, 50 cl 3.40 invece di 4.25 20% Tutti i brodi Bon Chef o Emma’s, per es. brodo di verdure Bon Chef, 12 x 10 g 2.40 invece di 3.– 20% Tutti i tipi di tonno Rio Mare in conf. da 3, per es. tonno rosa, 3 x 104 g 9.10 invece di 11.40 20% Tutte le chips Royal o Farm, per es. chips Blue / al naturale Royal, 100 g 2.70 invece di 3.40 20% Cake quattro quarti, 500 g 4.90 Coniglietto di Pasqua al limone o alla stracciatella, per es. coniglietto al limone, 20x 285 g 5.40 NOVITÀ *,** Tortine pasquali in conf. da 2, 2 x 75 g 2.05 invece di 2.60 20% Tutte le torte e i tranci alle carote, per es. tortina alle carote, 2 x 95 g 3.80 invece di 4.80 20% Tutta la frutta tagliata M-Classic o Anna’s Best, per es. macedonia Anna’s Best, 340 g 4.70 invece di 5.90 20% Sugo all’amatriciana Anna’s Best, 200 ml 3.30 20x NOVITÀ *,** Pesto aglio e olio Anna’s Best, bio, nuova qualità, 125 ml 20x 3.20 NOVITÀ *,**
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*In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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NEAR FOOD / NON FOOD Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Vital Balance, per es. Senior, al pollo, 1,5 kg 10.85 invece di 13.60 20% Mascara Manhattan, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 2.50 di riduzione l’uno, per es. Supreme Lash Waterproof, 11 ml 9.40 invece di 11.90 ** I am dynam!c Strong Matt Paste, 75 ml 4.90 NOVITÀ *,** 20x Shampoo antiforfora pH Balance, 250 ml 4.90 NOVITÀ *,** 20x Prodotti per i capelli Elseve e Studio Line Invisi Fix Gel in conf. da 2, per es. shampoo Fibralogy Elseve, 2 x 250 ml 7.20 invece di 8.50 15% ** Crema idratante anti impurità Nivea, 50 ml 20x 7.50 NOVITÀ ** Lozione per il corpo In-Shower con Q10 Nivea, 250 ml 20x 8.90 NOVITÀ ** Crema adesiva Kukident Plus 0%, 40 g 5.90 NOVITÀ ** 20x Dentifricio anticarie Elmex in conf. da 3, per es. 3 x 75 ml 9.90 invece di 11.85 15% ** Deodorante roll-on Fresh Natural Nivea o deodorante spray Fresh Active Nivea Men, per es. deodorante spray Fresh Active Nivea 20x Men, 150 ml 4.– NOVITÀ ** I am Deo Oriental Pleasure, 20x 150 ml 3.90 NOVITÀ *,** Docciaschiuma trattante Active Clean Nivea Men, 250 ml 20x 3.– NOVITÀ ** Tutti i reggiseni Classics by Triumph, 10.– di riduzione, per es. Elegant Cotton, coppa B, bianco 39.90 invece di 49.90 ** Tutto l’intimo Sloggi da uomo e donna, 5.– di riduzione fino a 29.80, 10.– di riduzione a partire da 29.90, per es. slip da donna Double Comfort, numero 38, 5.– di riduzione 12.90 invece di 17.90 ** Giacca a vento Switcher da donna e uomo, disponibile in diversi colori, taglie S–XL, per es. acqua, 20x taglia M 59.– NOVITÀ ** Nivea Baby Soft Cream, 20x 200 ml 5.90 NOVITÀ ** Magliette da bambino, taglie 104–152, per es. polo da bambino, a righe verdi e bianche, taglia 104 22.– invece di 33.– 3 per 2 ** Profumo per tessuti Migros Fresh Textil Flower, 500 ml 20x 5.20 NOVITÀ *,**
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NOVITÀ
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5.40
3.30
Coniglietto di Pasqua al limone o alla stracciatella per es. coniglietto al limone, 285 g
Sugo all’amatriciana Anna’s Best 200 ml
In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.3 AL 30.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
NOVITÀ 3.20 Pesto aglio e olio Anna’s Best, bio nuova qualità, 125 ml
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 marzo 2015 ¶ N. 12
Idee e acquisti per la settimana Scoprite il nostro assortimento di cioccolato pasquale su www.migros.ch/assortimento Regali di pasqua
Con un po’ di creatività si può dare un tocco personalizzato a qualsiasi nido di Pasqua. Qualche suggerimento per far felici tutti
A Pasqua la gioia raddoppia
Frey Coniglietto Noxana 210 g Fr. 6.90
Frey Déco de Pâques ovetti vuoti 200 g Fr. 5.90 20 X Punti Cumulus dal 17 al 23 marzo
Suggerimento Il cestello inserito in una cuffia per la doccia diventa un nido di bellezza.
Suggerimento Il pallone si gonfia dopo Pasqua. Sorprendete i vostri bambini con il coniglietto calciatore in questo originale nido pasquale.
Frey Soccer Bunny 170 g Fr. 7.90
Mezze uova di gelatina 180 g Fr. 2.70
Il più piccolo elicottero del mondo con telecomando: Silverlit Nano Falcon Fr. 34.80 Nelle maggiori filiali Migros.
Coniglio seduto 280 g Fr. 3.50 Frey Ovetti Pralinor 500 g Offerta specialel Fr. 8.55 invece di 10.70
Simone Caseri (52 anni)l «La pelle matura necessita di cure particolari. È bello non trovare solo dolciumi nel nido di Pasqua ma anche creme per il viso. Bella e originale l’idea di rivestire il cestello con una cuffia per la doccia!»
Offerta: 20% sugli ovetti dal 17 al 23 marzo
Zoé Revital Crema giorno Fr. 13.40
Asciugapiatti di spugna con farfalla 50 x 50 cm, set da 2 Fr. 7.90 Frey Ovetti Giandor al latte 500 g Offerta specialel Fr. 8.55 invece di 10.70 Uova di latta con ovetti zuccherati 72 g Fr. 2.80
Frey Ovetti Spruso 165 g Fr. 4.50 Nelle maggiori filiali Migros.
Marlon Bacchilega (10 anni)l «Trovo geniale il nido fatto con un pallone da calcio. E poi tra gli ovetti di cioccolato ho trovato il più piccolo elicottero telecomandato del mondo: fantastico!»
Eva Enz (75 anni) l «Essendo un’appassionata pasticcera mi fa particolarmente piacere ricevere un nido di Pasqua dentro uno stampo per torte al posto del cestino. La forma posso adoperarla per fare le mie torte e i gustosi cioccolatini godermeli con il caffè»
Frey Déco de Pâques ovetti di cioccolato fondente 168 g Fr. 3.80 20 X Punti Cumulus Suggerimento dal 17 al 23 marzo.
Lo stampo per torte è perfetto come nido pasquale.
Frey Maxi ovetti Extra 186 g Fr. 6.60
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Idee e acquisti per la settimana
Uova e conigli
Seduzioni al cioccolato Pulcini di marzapane con guscio d’uovo 60 g Fr. 5.10 Nelle maggiori filiali Migros. Ovetti Blanquita, 500 g Offerta speciale
Offerta: 20% sugli ovetti
Fr. 8.55 invece di 10.70 Nelle maggiori filiali Migros.
dal 17 al 23 marzo
Frey Monete di cioccolato, in retina 140 g Fr. 5.90
Bio Fairtrade Coniglio, cioccolato bianco 120 g Fr. 3.15
Frey Coniglietti seduti, cioccolato bianco 18 g Fr. 1.40
Frey Ovetti Japonais 500 g Offerta speciale Fr. 8.55 invece di 10.70
Frey Calimero 120 g Fr. 8.90
Frey Figure pasquali assortite, al latte 40 g Fr. 1.50 Anatroccolo aviatore 175 g Fr. 8.50 Nelle maggiori filiali Migros.
Frey Bunny Sunny, Funny o Lucky Milch 55 g Fr. 3.30 170 g Fr. 6.80
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Idee e acquisti per la settimana
Limonada
Un trio aspro e dolce Lemon & Lime, Orange & Cactus Pear, Pink Grapefruit & Cranberry: con le loro combinazioni di gusto aspre e dolci, le tre nuove frizzanti limonade vengono a rinfrescare l’assortimento a bollicine della Migros. Il trio vanta un’alta percentuale di frutta – dal 10 al 18 per cento – ed è privo di dolcificanti, aromi artificiali, conservanti e coloranti. Altro vantaggio: i tre softdrink contengono il 30 per cento di calorie in meno rispetto alle limonate convenzionali.
20 x punti Cumulus
Limonada Orange & Cactus Pear 1l Fr. 1.90
fino al 23 marzo
Nelle maggiori filiali Migros.
Limonada Pink Grapefruit & Cranberry 1l Fr. 1.90 Nelle maggiori filiali Migros.
Limonada Lemon & Lime 1l Fr. 1.90
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche le limonade.
Combinazioni aspre e dolci, grande contenuto di frutta, poche calorie: le tre nuove limonade.
UNA DOLCE SORPRESA.
8.55 invece di 10.70 Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ 20% di riduzione, per es. Noxana
2.05 invece di 2.60
8.55 invece di 10.70
8.55 invece di 10.70
Tortine pasquali in conf. da 2 2 x 75 g, 20% di riduzione
Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ 20% di riduzione, per es. Noir Special
Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ 20% di riduzione, per es. assortiti
PUNTI
20x 4.50
5.30
Colomba 300 g
Tutto l’assortimento Déco de Pâques Frey, UTZ per es. pulcini, 4 pezzi, 88 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 17.3 AL 23.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
8.55 invece di 10.70 Tutti gli ovetti di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ 20% di riduzione, per es. moca