Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 23 marzo 2015
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Società e Territorio È nato Safe Zone, il portale svizzero di consulenza e informazione sulle dipendenze
Ambiente e Benessere L’inquinamento da mozziconi di sigaretta è un problema ecologico dalle dimensioni macroscopiche
Politica e Economia Papa Francesco annuncia il Giubileo della Misericordia
Cultura e Spettacoli L’esperienza mistica di Teresa D’Ávila a 500 anni dalla nascita
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Luigi Baldelli
Esodo biblico dalla Siria
di Marcella Emiliani e Luigi Baldelli
Servizi segreti, tra poteri e controllo di Peter Schiesser Fin qui, ben cinque consiglieri federali avevano fallito l’obiettivo: non si era mai riusciti a dare ai servizi d’informazione della Confederazione quei mezzi che li avrebbero messi (un po’ più) alla pari con i servizi di altri Paesi occidentali, lo scandalo delle schedature di 25 anni fa, quando si scoprì che 700 mila persone (oltre il 10 per cento della popolazione) erano state schedate, spesso per futili motivi, ha pesato fino ad oggi. Persino i partiti borghesi erano restii ad adottare misure che permettessero allo Stato di violare troppo facilmente la sfera personale dei cittadini. Oggi le condizioni sono cambiate, i pericoli e i timori di un tempo hanno lasciato spazio ad altri pericoli e timori. E, senza dubbio, a causa del terrorismo islamico, oggi si sente maggiormente il bisogno di garantire la sicurezza pubblica. A scapito di qualche libertà personale. Alla cui perdita ci si è forse già un po’ rassegnati, in un mondo in cui da una parte si rivela volontariamente molto di sé attraverso internet e dall’altra si ha la sensazione di essere possibilmente già nel mirino di servizi segreti esteri (Edgar Snowden ci ha rivelato quanto ampio sia il si-
stema di controllo della National Security Agency degli Stati Uniti). I tempi erano dunque maturi affinché il Consiglio nazionale, quale prima Camera e in prima lettura, votasse a favore di una revisione della legge sui servizi d’informazione, che permettesse loro di compiere intercettazioni telefoniche, ambientali, in internet, persino di sviluppare e impiantare virus informatici, perquisizioni di luoghi e di sistemi informatici. Questo per combattere terrorismo, attacchi a infrastrutture di importanza critica, commercio di armi di distruzione di massa e azioni di spionaggio straniero. Tuttavia, la versione adottata il 17 marzo non sarà forse definitiva, poiché su un elemento chiave non è stato raggiunto un consenso abbastanza ampio da includere almeno il Partito socialista che, diversamente dai Verdi, aveva votato in favore dell’entrata in materia, proprio perché oggi riconosce il pericolo dato dal terrorismo alla pubblica sicurezza e che i servizi d’informazione sottostanno a limitazioni troppo rigide, oltre ad essere sottodotati (266 collaboratori e 63,3 milioni di franchi, si legge sulla stampa). I socialisti sono d’accordo di dare più potere ai servizi d’informazione (e una ventina di agenti in più), ma in cambio vogliono che vi sia un controllo migliore sulle loro attività e soprat-
tutto esercitato da un organo indipendente, oppure rafforzando tecnicamente e giuridicamente la delegazione della commissione della gestione delle Camere, che è l’attuale organo di controllo dei servizi d’informazione; la maggioranza borghese però non ne ha voluto sapere e si è mantenuta fedele alla proposta governativa: un’indagine preventiva dei servizi d’informazione dovrà essere autorizzata dal Tribunale federale amministrativo, poi dal Dipartimento della difesa, dopo consultazione con il Comitato per la sicurezza del Consiglio federale. Il no ad un’istanza di controllo indipendente ha spinto quindi il PS a votare contro la revisione della legge e i Verdi liberali ad astenersi (i Verdi erano contrari comunque), con richiami al referendum se il Consiglio degli Stati non correggerà il tiro. C’è però un altro punto critico: come fa notare la NZZ, è estremamente delicato dal punto di vista della neutralità svizzera se agenti segreti possono penetrare in reti e sistemi informatici stranieri per prevenire «attacchi cibernetici». C’è dunque ancora sufficiente materia su cui riflettere, prima di una votazione finale. La revisione della legge sui servizi d’informazione è certo urgente, ma vista la delicatezza sarebbe auspicabile il consenso più ampio possibile.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Attualità Migros
M 2014 all’insegna della stabilità Migros Ticino Presentato il rapporto d’attività della cooperativa ticinese per l’anno appena trascorso
Nel 2014 il mercato ticinese, contrariamente a quanto avvenuto nel resto della Svizzera, non è cresciuto a causa del maggior impatto della situazione congiunturale e del franco forte, che ha accentuato la concorrenza dei commerci d’oltre frontiera e indebolito il turismo. Migros Ticino ha così chiuso l’anno con una cifra d’affari di 515,7 milioni di franchi, praticamente immutata (–0,4%) rispetto all’anno precedente, mentre l’utile netto si è assestato a 5,9 mio di franchi (pari a 1,15 franchi di utile netto per 100 franchi di incasso), in leggera diminuzione (–1,5%) rispetto al 2013. Un livello di redditività in linea con l’obiettivo di assicurare uno sviluppo a lungo termine della Cooperativa. L’indotto nell’economia cantonale tra salari, acquisti di merce e consulenze è stato di 211,3 milioni di franchi, pari al 41,3% degli incassi della cooperativa. Grazie a risultati finanziari più che soddisfacenti Migros Ticino ha potuto aumentare i salari mediamente dell’1% e versare ai suoi 1730 collaboratori una partecipazione straordinaria agli utili di 500 franchi. Nel corso dell’anno Migros Ticino ha registrato un aumento dei prezzi medi dello 0,3%, principalmente nel settore alimentare (prodotti di origine animale) e coloniali, a seguito dell’accresciuto costo d’acquisto di materie prime provenienti d’oltre oceano. Dal 2009 la riduzione cumulata media dei prezzi realizzata da Migros Ticino è del 9,4%. Qualità, scelta, disponibilità e modalità di presentazione della merce, in particolare dei prodotti freschi e a valore aggiunto (qualità, etica e ambiente), sono aspetti sui quali si è ulteriormente lavorato nell’ottica del servizio al cliente. Con un fatturato stabile a 23,9 milioni di franchi (–0,4%) il marchio dei Nostrani del Ticino, che caratterizza l’offerta dei circa 300 prodotti locali, si conferma il più venduto e precede l’offerta dei prodotti a marchio TerraSuis-
se (produzione integrata) e i prodotti della linea primo prezzo M-Budget, con 23,4, rispettivamente 19,3 milioni di franchi. Particolarmente positivo l’andamento della linea per le persone allergiche a marchio aha! (prodotti cosmetici e per la pulizia, oltre a un’ampia gamma di alimenti, la cui offerta è in parte stata estesa alla ristorazione Migros) che ha realizzato una crescita del 13,5%, dei prodotti a marchio Bio (+9,5%) e dei marchi MSC/ ASC (Marine e Aquaculture Stewardship Council, programmi del WWF a favore di una piscicoltura e di una pesca responsabili e certificate) con un fatturato in crescita dell’8,7%. L’offerta regionale comprende una decina di prodotti realizzati da utenti di istituti che promuovono l’integrazione di persone disabili nel modo del lavoro – fondazioni Diamante, La Fonte, OTAF e San Gottardo – cui viene interamente riversato il ricavato delle vendite. Grazie al suo impegno in tale ambito e alla collaborazione con la Fondazione Diamante in un progetto di integrazione socio-professionale, di cui si è festeggiato nel 2014 il 25° di attività, Migros Ticino ha ricevuto il riconoscimento Agiamo Insieme 2014, promosso dall’Ufficio delle assicurazioni sociali e dalla Camera di commercio del Cantone Ticino. Per l’ampliamento e l’ammodernamento della sua rete di vendita, nel 2014 Migros Ticino ha investito 25,4 milioni di franchi: un nuovo supermercato è stato aperto a Mendrisio, mentre a Losone sono stati aperti un mercato specializzato Do it + Garden – in sostituzione del negozio di Piazza Grande a Locarno – e il primo centro della Cooperativa a marchio Activ Fitness. Frutto dell’accordo tra Migros Ticino e Activ Fitness SA, la nuova attività è svolta in franchising e offre gli standard più moderni, con un’offerta completa e attrezzature di ultima generazione. Le ristrutturazioni hanno invece interes-
La nuova filale Migros di Mendrisio inaugurata il 6 novembre scorso. (Matteo Aroldi)
sato il supermercato di Tenero e la sede della Scuola Club di Bellinzona, che ha riaperto in Piazza Simen all’inizio dell’anno scolastico. Come già negli anni precedenti, i punti di vendita nuovi e ristrutturati sono stati realizzati attuando misure per limitare il consumo energetico e l’impatto ambientale, in linea con gli obiettivi che la cooperativa si è data in questo settore in collaborazione con l’Agenzia dell’energia per l’economia. I nuovi stabili diMendrisio e Losone sono stati edificati secondo le norme Minergie e sono entrambi dotati di un impianto fotovoltaico, la cui produzio-
ne annua, di 240 e 114 kWh, va a sommarsi a quella degli impianti già attivi a Sant’Antonino e Taverne: assieme generano 916 mila kWH l’anno, ciò che corrisponde al fabbisogno di circa 200 economie domestiche. Nel settore culturale, cui la Cooperativa ha destinato 2,5 milioni di franchi, le ore di frequenza ai corsi di formazione per gli adulti erogati dalla sua Scuola Club si sono mantenute ad alto livello, mentre gli eventi e le manifestazioni culturali presentati nel programma del Percento culturale hanno richiamato più di 100’000 spettatori. «Azione», organo ufficiale di Mi-
gros Ticino e settimanale di informazione e cultura redatto e stampato in Ticino, è stato letto da mediamente 114’000 persone il che corrisponde a circa il 40% dei potenziali lettori della Svizzera italiana. Migros Ticino si prepara ad affrontare una situazione di mercato difficile (franco forte, concorrenza in aumento) migliorando ulteriormente sia l’offerta (qualità e convenienza) sia l’efficienza aziendale con l’obiettivo di rimanere un punto di riferimento per l’economia e la cultura della Svizzera italiana in qualità di azienda autonoma ticinese all’interno della comunità Migros.
Le «parole» che servono a viaggiare Scuola Club Migros Ticino Nuove proposte arricchiscono l’offerta di corsi dedicata all’apprendimento delle lingue L’insegnamento delle lingue è l’attività principale della Scuola Club Migros Ticino. Nel 2014 le ore di classe hanno superato il 40 per cento dell’intera offerta formativa e, anche a livello nazionale, la frequenza dei corsi di lingua rappresenta oltre il 30 per cento del totale. La proposta formativa si caratterizza per due aspetti: le varie tipologie di corsi e le tecniche di apprendimento. Sono infatti dedicati allo studio di tutte le lingue moduli di livello e impegno differente: si va dai moduli standard di due ore settimanali, ai semintensivi e intensivi per chi vuole e può dedicare più tempo allo studio della lingua, fino ai corsi power, che permettono una vera e propria full immersion il sabato mattina. Infine le ore di conversazione consentono di sviluppare le proprie capacità espressive, arrivando a padroneggiare le sfumature linguistiche. I corsi tematici si caratterizzano invece per l’approccio focalizzato a un obiettivo specifico. Si rivolgono al ma-
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
nager che deve aprire relazioni commerciali con il mercato russo o cinese oppure allo studio legale che stringe una collaborazione con un partner di lingua inglese o, ancora, a operatori che devono gestire la corrispondenza o le
Il materiale didattico è disponibile anche in podcast. Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
telefonate in tedesco o francese. Oltre ai corsi tematici programmati, che coprono la gran parte delle esigenze professionali, la Scuola Club Migros Ticino può allestire programmi ad hoc per rispondere a esigenze specifiche e particolari, anche in company. Passando all’uso delle lingue per il tempo libero, l’inglese è certamente un viatico straordinario per muoversi ovunque nel mondo. Ma la lingua è lo strumento più autentico e sensibile per conoscere un paese. Per questo la Scuola Club presenta il programma di Corsi Travel, dedicati a questo uso particolare ed emozionante della lingua. L’obiettivo è acquisire una conoscenza della sfera pratica dell’idioma, che permetta di orientarsi in una città straniera, chiedere indicazioni stradali, ordinare al ristorante e fare shopping, senza doversi affidare a qualcuno che organizzi gli appuntamenti o le gite per noi. Oltre ai corsi consolidati di inglese, spagnolo, russo, sono stati inseriti il greco, il
tedesco e l’italiano per persone di madrelingua russa. La Scuola Club e Hotelplan hanno anche attivato un piano di promozione che prevede uno sconto per il corso travel della lingua desiderata per chi prenota un viaggio presso le sedi del gruppo o le migliori agenzie affiliate. Alla varietà delle offerte, si aggiunge la scelta delle modalità, che vanno dalla lezione in classe, alle conversazioni via Skype one to one per ben 13 lingue, con oltre 150 docenti locati in tutto il mondo, disponibili 24 ore su 24, o all’ascolto di podcast dedicati. «L’aspetto più affascinante di una scuola di lingue è che è un luogo di incontro e di scambio – osserva Aris Sotiropoulos, docente di Greco alla Scuola Club di Lugano e Presidente della Comunità Ellenica in Ticino – Durante i miei corsi di lingua, inserisco spesso notizie storiche, di cultura e di folklore». «Mi piacerebbe molto – prosegue Sotiropolous – aggiungere alla mia atti-
vità principale anche un corso di cucina greca o di balli greci, discipline che possono essere un valido modo di trasmettere una lingua straniera attraverso l’intrattenimento e il divertimento». Oltre alla costante attenzione alle lingue nazionali, per cui la scuola si avvale di forme di apprendimento sempre aggiornate, le lingue «diverse» assumono infatti sempre maggior importanza nell’offerta formativa, sia per la presenza di comunità straniere che vedono nella scuola un punto di incontro e un luogo di crescita personale, dalla cucina all’arte e alla cultura, sia per il mondo del lavoro che ha ormai un profilo internazionale. Aumenta infatti la richiesta di corsi di russo, di cinese, di spagnolo, così come la presenza di stranieri giunti in Ticino per lavoro o per motivi personali, che vogliono accostarsi alle lingue della confederazione, o anche solo imparare i piatti locali, conoscere i nostri contesti lavorativi o, semplicemente, tenersi in forma.
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
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Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Società e Territorio Le famiglie oggi Un incontro con Giovanna Campani autrice di Madri sole per riflettere sulle strutture familiari attuali
Valle Malvaglia Tre iniziative cercano di valorizzare i villaggi e l’architettura rurale in un paesaggio di importanza nazionale pagina 6
Standard è bello Siete sicuri che la standardizzazione sia qualcosa di negativo? In realtà è un espediente razionale indispensabile non solo per la scienza e la tecnologia pagina 8
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Dipendenze a 360 gradi Consulenza online È nato Safe Zone
il portale svizzero che offre informazioni in modo gratuito e anonimo su tutte le dipendenze, anche quelle senza sostanze
Roberta Nicolò La parola dipendenza ci fa subito venire in mente l’utilizzo di sostanze stupefacenti, l’abuso di alcolici o il tabagismo, più raramente pensiamo a internet e gioco d’azzardo. Eppure è proprio quest’ultima, la dipendenza da gioco, quella più infiltrante e pericolosa, soprattutto tra giovani e minori. Molte ricerche di settore, infatti, dimostrano che i ragazzi entrano in contatto con il gioco d’azzardo ben prima di aver raggiunto la maggiore età. Ne abbiamo parlato con Anna Maria Sani, coordinatrice di Gruppo Azzardo Ticino: «nei giovani e giovanissimi, oggi, il rischio è molto alto, internet e i social network, come Facebook per esempio, propongono in continuazione giochi online gratuiti, che mirano dapprima ad una fidelizzazione del giocatore e poi incentivano al gioco a pagamento. La grafica sempre più accattivante, la costante richiesta di invitare i propri contatti ad iniziare e condividere il gioco, fanno sì che il numero di giocatori aumenti in maniera esponenziale e che per il ragazzo sia sempre più difficile smettere. Il mondo di oggi è veloce e i giochi, per catturare l’attenzione, si adeguano perfettamente alla rapidità di fruizione e al linguaggio più di moda, aumentando così anche il loro potenziale di rischio». Anche la televisione propone il gioco d’azzardo come modello di successo con programmi di reality sul poker, pubblicità di scommesse sportive e casinò virtuali, dando l’impressione che non rappresentino un pericolo in quanto legali. Occorre quindi prestare attenzione a come si muovono i minori sul web, monitorizzando le loro attività e informando adeguatamente sulle minacce. «La prevenzione parte sicuramente dal contesto famigliare. Occorre spiegare ai ragazzi i pericoli che corrono e dar loro gli strumenti per orientarsi in maniera corretta. I consigli per i genitori sono quelli di sempre: il computer in rete in uno spazio condiviso e non nella camera del minore,
telefoni cellulari possibilmente senza la connessione internet, ma il dialogo resta sicuramente la carta vincente. Per la scuola è attivo un progetto gestito da Radix che si occupa di informare con interventi nelle classi, anche questo è un utile canale di prevenzione. GAT-P inoltre è presente con banchetti informativi alle manifestazioni ticinesi, dove incontriamo i ragazzi e parliamo di prevenzione» chiarisce Sani. Per intercettare i più giovani, ma non solo, è nato da poco Safe Zone, il portale svizzero per le dipendenze, promosso dall’Ufficio federale della sanità pubblica in collaborazione con i Cantoni. Il portale è stato ideato da Infodrog con l’aiuto di consulenti attivi. Il Ticino ha aderito al progetto attraverso i soggetti presenti sul territorio, Antenna Icaro, Gruppo Azzardo Ticino, Radix e Zona protetta. Lucia Galgano, collaboratrice scientifica di Infodrog, presenta gli obiettivi del progetto pilota, tracciando anche linee interessanti per un possibile sviluppo futuro: si tratta di un portale online che permette di porre domande e chiedere informazioni sulle dipendenze con o senza sostanze, si rivolge sia alle persone direttamente toccate dal problema sia a quelle a loro vicine, facilitando l’accesso alla consulenza. È un campo estremamente innovativo, almeno in Svizzera, che utilizza i nuovi linguaggi per la prevenzione, uno strumento alla portata di tutti, per informare e supportare la popolazione sul tema dipendenza a trecentosessanta gradi. Il portale è dedicato a tutti coloro che desiderano ottenere informazioni, ma ha sicuramente grosse potenzialità nell’intercettare un pubblico di giovani e giovanissimi. Tra gli strumenti di Safe Zone, la chat è quella che maggiormente si presta al dialogo con i ragazzi. Uno strumento veloce e informale che, garantendo l’anonimato, facilita un primo contatto a chi non si sente pronto per un colloquio faccia a faccia. Anna Maria Sani è tra gli operatori che si sono messi al servizio del nuovo portale di consulenza: «l’interazione
La dipendenza dal gioco d’azzardo è ancora poco percepita ma molto diffusa anche tra i giovani. (Keystone)
utente-consulente in chat è molto veloce, spesso non hai il tempo neppure per battere sulla tastiera che sei già sollecitato a rispondere. Manca la possibilità di leggere l’espressione del tuo interlocutore, le pause, le interiezioni di una normale conversazione non ci sono. È una sfida in più, per questo Safe Zone ci mette a disposizione dei tutor che ci aiutano a intervenire in maniera adeguata e puntuale». Oltre alla presenza dell’operatore, che modera le conversazioni di gruppo e offre consulenza, un aspetto importante è proprio quello della condivisione dell’esperienza. Le chat infatti permettono di fruire di una discussione partecipata, in cui gli attori possono scambiare liberamente le proprie opinioni: «in questa formula c’è l’aspetto del mutuo aiuto, il condividere aiuta spesso a far cadere alcune inibizioni, a sentirsi accolti, non isolati. A rendersi conto che il problema non è solo tuo, ma che ci sono altre persone
con le tue stesse difficoltà. Abbiamo due tipologie di chat, quelle libere e quelle a tema, questo aiuta ad orientarsi ancora meglio» continua Anna Maria Sani. Avere un punto di ascolto è importante anche per i famigliari, che hanno bisogno a loro volta di capire e di essere accompagnati attraverso il percorso riabilitativo del proprio caro. La personalità di chi sviluppa una dipendenza cambia e influisce su tutti gli aspetti della vita, sia in famiglia che nel lavoro. Spesso chi è vittima di dipendenza è irriconoscibile e soprattutto per i figli c’è una grande sofferenza. I ruoli si invertono, le dinamiche famigliari sono sconvolte. Se non adeguatamente seguiti, i minori, che si confrontano con la dipendenza dei genitori, rischiano di sviluppare una qualche forma di disagio. «La sindrome del “piccolo samaritano” è uno schema che si ripete. I figli di genitori con dipendenza tendono a
cercare partner con problemi di dipendenza, un rapporto che serve a mantenere vivo e costante il problema anziché risolverlo. Seguire tutta la famiglia è quindi molto importante, occorre ricomporre il nucleo famigliare e far sì che ognuno possa riprendere il ruolo corretto all’interno delle dinamiche relazionali. Spiegare ad un bambino come mai il papà o la mamma si sono comportati in modo non adeguato li aiuta ad affrontare la cosa e impedisce che nel minore si instauri un modello sbagliato», conclude Sani. L’importanza di una buona prevenzione è quindi evidente e nel parlare di dipendenze non va dimenticata quella da gioco, che sebbene meno percepita, costa oggi in termini di spese sociali 650 milioni di franchi all’anno. Informazioni
www.safezone.ch
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Società e Territorio
Le famiglie postmoderne Monogenitorialità L’incontro con l’antropologa Giovanna Campani
autrice del saggio Madri sole è lo spunto per alcune riflessioni socio-economiche sulle «nuove famiglie» Stefania Hubmann Le famiglie monoparentali, risultato dei silenziosi ma rivoluzionari cambiamenti che hanno investito la struttura familiare negli ultimi decenni, stanno cercando di superare perplessità e pregiudizi, soprattutto nei confronti delle madri sole, per evidenziare i nuovi valori che veicolano e i modi in cui arricchiscono la società. Il processo è lento e ancora lungo, mancano studi e la letteratura sull’argomento è quasi inesistente, ma i professionisti del settore sociale così come i diretti interessati sono consapevoli di questa trasformazione e la stanno studiando anche nell’ottica delle nuove politiche familiari.
Le strutture familiari attuali non sono nuove, ciò che sta cambiando è il livello di coscienza e riflessione su di esse Uno dei pochi volumi pubblicati sull’argomento si spinge oltre, evidenziando come le madri nel loro ruolo di «genitore unico» (anche se non per scelta) esistano sin dall’antichità. In Madri sole. Dalle concubine romane alle single mothers l’antropologa Giovanna Campani ripercorre la storia della monogenitorialità al femminile in Europa e nel Nordamerica, per poi chinarsi sul dibattito attuale con particolare riferimento alle dimensioni sociologiche e socio-economiche del fenomeno. Lo studio, pubblicato nel 2012 dall’editore Rosenberg & Sellier di Torino, è considerato la prima panoramica internazionale sul tema. L’autrice, insegnante all’Università di Firenze, dove si occupa di migrazioni internazionali, pedagogia interculturale, studi di genere e razzismo, è giunta a Lugano il mese scorso per un incontro
organizzato dall’ATFMR (Associazione Ticinese delle Famiglie Monoparentali e Ricostituite) con il sostegno di Infofamiglie, dell’Ufficio della legislazione, delle pari opportunità e della trasparenza, dell’Associazione genitori non affidatari e del Coordinamento donne della sinistra. Riassumendo i contenuti del suo libro, Giovanna Campani ha ribadito che le strutture familiari attuali non sono nuove. Ciò che sta cambiando è il livello di coscienza e riflessione su di esse. Lo dimostra anche il titolo del volume, che parte sì dall’italiano Madri sole, definendo però le donne del presente come single mothers. Il termine inglese non ha la connotazione negativa evocata da quello italiano – solitudine, abbandono – ma si concentra sull’individualità che caratterizza questa condizione. Se in passato quest’ultima era determinata in prevalenza da vedovanze, oggi è da ricondurre alle «forze» che hanno portato alla democratizzazione dei processi familiari, come teorizzato dall’antropologo della famiglia Maurice Godelier. Scrive Giovanna Campani: «Maurice Godelier (2010) individua principalmente tre “forze” che, lentamente, hanno condotto alla postmodern family nell’epoca del démariage: l’accento messo sulla libera scelta dell’altro nella fondazione della coppia; il movimento verso una maggiore uguaglianza tra i sessi; il movimento di valorizzazione del bambino e dell’infanzia». Non si tratta – ha precisato la ricercatrice durante la serata – di esaltare la condizione della famiglia monoparentale, ma nemmeno di demonizzarla o di pensare che la normalità sia solo quella della famiglia bigenitoriale tradizionale. Nel suo studio Giovanna Campani mostra infatti attraverso alcuni percorsi biografici di madri sole e dei loro figli come, in assenza di difficoltà economiche, «la famiglia monogenitoriale si sia rivelata
altrettanto adeguata che quella bigenitoriale a fornire le basi affettive e gli stimoli intellettuali necessari per realizzare delle vite soddisfacenti, ricche e generose». Alcuni esempi? Dal pittore Michelangelo Merisi detto il Caravaggio al presidente degli Stati Uniti Abraham Lincoln (vissuto con il padre), allo stesso presidente in carica Barak Obama, citato nella parte conclusiva del volume quale esempio di figlio cresciuto in un nucleo familiare che la madre Ann Dunham ha costruito in modo libero e alternativo, sfruttando la possibilità di «inventare la propria famiglia». Realtà familiari variegate sono presenti anche sul nostro territorio, come ha documentato il regista Patrick Soergel nel filmato Le nuove famiglie, girato per la RSI nel 2012 e presentato in apertura dell’incontro promosso dall’ATFMR. Un padre solo con figli a carico, una famiglia allargata formata di recente e una terza famiglia ricostituita con anche figli in comune, hanno testimoniato con maturità e rispetto la loro esperienza di vita divenuta un vero e proprio percorso formativo. Non tutti condividono la visione di una famiglia che esuli dagli schemi tradizionali e il concetto di «incidente di percorso» è infatti emerso più di una volta fra il pubblico. Più generale il consenso sulla necessità di garantire il necessario sostegno a queste nuove forme di famiglia, che risentono pesantemente delle difficoltà economiche. Un tema, quello finanziario, che affronta anche Giovanna Campani nel suo libro. Povertà e mother-blame (attribuire alla madre la colpa di quanto accade alla famiglia e ai figli) sono le conseguenze negative di una maggiore democratizzazione della vita familiare, conseguenze più accentuate in certe categorie sociali e legate a una questione di genere. Precisa l’antropologa nel suo studio: «Le famiglie monoparentali – specialmente quelle con una madre capofamiglia ovvero la
In Svizzera le famiglie monoparentali rischiano la precarietà finanziaria. (Keystone)
grande maggioranza in Europa e negli USA – ricorrono ai sussidi pubblici, più spesso di quelle con due genitori. Il rischio povertà è maggiore nelle famiglie monoparentali femminili che in quelle con a capo un genitore maschio». Di qui la necessità di politiche familiari mirate e incisive. L’incontro organizzato dall’ATFMR è proprio partito, oltre che dal volume di Giovanna Campani scoperto dalla presidente dell’associazione Serena Giudicetti, da due incontri per specialisti a livello cantonale e nazionale ai quali la presidente e la coordinatrice Sandra Killer hanno partecipato lo scorso autunno. «Il Coordinamento donne della sinistra ha organizzato a Bellinzona una tavola rotonda sulle prospettive dei modi di convivenza delle famiglie e sulle trasformazioni in atto oltre la famiglia tradizionale. A Losanna si è svolta una giornata di studio promossa dall’Università e in particolare dal Polo di ricerca nazionale LIVES in collaborazione con la Federazione svizzera delle famiglie monoparentali, di cui l’ATFMR fa parte e di cui rappre-
senta l’antenna italofona. I partecipanti hanno approfondito diverse questioni legate agli aspetti legali e fiscali e alle politiche sociali in Svizzera per quanto riguarda le famiglie monoparentali. Obiettivo: identificare le sfide per le politiche pubbliche e le piste da seguire nella ricerca». Uno dei problemi principali che devono oggi affrontare le famiglie monoparentali nel nostro Paese è la precarietà finanziaria che colpisce anche il genitore non affidatario. Migliorare le possibilità di conciliare vita familiare e professionale è sicuramente uno dei punti chiave per affrontare la questione. Anche durante questa giornata sono emersi i punti forti delle famiglie monoparentali, come ad esempio la presenza di un numero maggiore di modelli e referenze rispetto alla famiglia tradizionale. L’essenziale, sottolinea Giovanna Campani citando gli studi della psicoanalista e terapeuta Alice Miller, è che il bambino cresca circondato da persone empatiche in grado di capire i suoi sentimenti e di rispondere ai suoi bisogni. Annuncio pubblicitario
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Suheil Semdan (6), bambino profugo siriano
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Società e Territorio
Un passato da vivere Valle Malvaglia Tre iniziative ne valorizzano i villaggi, gioielli di architettura rurale in un paesaggio naturale
di importanza nazionale Mara Zanetti Maestrani L’attaccamento al proprio territorio, alle proprie origini e anche ai propri ricordi d’infanzia può dare origine a delle azioni pregevoli. Come quelle in corso in Valle Malvaglia, una valle laterale della Valle di Blenio che ha inizio dall’omonimo paese sulla sponda sinistra del fiume Brenno e che raggiunge i 2107 metri dell’Alpe di Quarnei ai piedi del massiccio dell’Adula (3402 metri). La Valle – che confina a sud con la Val Pontirone e ad est con la parte superiore della Valle Calanca – è un vero e proprio gioiello naturale, paesaggistico ed architettonico. Tanto da essere da tempo inserita nell’Inventario dei paesaggi e dei monumenti naturali di importanza nazionale. Le sue caratteristiche, tra cui le tipiche case rurali, hanno reso famosa la Valle, anche se fortunatamente è riuscita a mantenersi lontana dal turismo di massa e a preservare così la sua identità. La sua essenza. Cinque sono i piccoli villaggi (chiamati Ville) che vi si sono insediati, tra i 1000 e i 1400 metri di quota: Madra e Dandrio sul versante orografico sinistro, Anzano, Chiavasco e Dagro (quest’ultimo molto panoramico) sul più soleggiato versante destro. Fino alla metà del XX secolo, questi villaggi erano abitati tutto l’anno. Ad Anzano e Dandrio c’erano pure le scuole (quella di Dandrio è ora Ristoro alpino) e ogni Villa aveva la sua chiesetta. Ai margini dei nuclei sono ancora in parte visibili le «rascane» sulle quali veniva legata la segale ad essiccare. Proprio a Dandrio, in fondo alla Valle a 1220 metri di quota, è in corso il progetto Vivere il passato ad opera dell’Associazione Ricreativa Mulino di Dandrio. Lo scopo è quello di rivalorizzare e conservare alcune cascine del nucleo, ma non solo: già da anni l’associazione si occupa della cura e manutenzione del mulino a ruota orizzontale e del forno e organizza la tradizionale Festa del Mulino di metà luglio, durante la quale viene cotto il pane con la tipica farina di segale macinata sul posto. Questa ricorrenza popolare, che richiama oltre 500 persone, permette di raccogliere i fondi necessari per mantenere la struttura meccanica in legno di larice del mulino, ristrutturato nel 1977. Il progetto Vivere il passato prevede ora il recupero e la ristrutturazione di due cascine: la Cà dru Murin – che era praticamente diroccata – dove gli interventi sono già in fase avanzata (grazie al volontariato), e una dimora risalente al
Le 17 cascine di Germanionico risalgono al 1500-1600, ora una Fondazione ne promuove la salvaguardia. (Keystone)
1571 per la quale è stato allestito un progetto completo di restauro, che andrà eseguito a tappe. L’intento è quello di preservare queste importanti testimonianze rurali a beneficio dei visitatori e delle future generazioni. Questi interventi saranno completati con la posa di pannelli informativi, la miglioria dei percorsi all’interno del nucleo e l’accesso alla spettacolare cascata «la Fürbeda» che sbuca dall’alto del maestoso anfiteatro roccioso alle spalle di Dandrio. Il progetto è sostenuto dal Comune di Serravalle (prima Malvaglia) e dal locale Patriziato. Ciononostante, per continuarlo l’Associazione ha ora bisogno anche di un aiuto da parte di sostenitori esterni e privati. Le sole mani dei generosi e forti volontari – che dal 2011 hanno portato a termine le prime due fasi di rifacimento della Cà dru Murin fino alla copertura del tetto in piode – ora non ce la fanno più. L’Associazione spera di poter raccogliere i fondi necessari per eseguire le opere interne e concludere i lavori entro i prossimi 2 anni e iniziare quindi la ristrutturazione della dimora del 1571. Nella Cà dru Murin è stata ricavata, oltre che ad un magazzino, un’aula multiuso che potrà essere impiegata per corsi e conferenze sui temi della vita rurale della Valle Malvaglia, della flora e della fauna locali.
Ed ecco l’altra iniziativa: quella promossa dalla Fondazione per la difesa e la valorizzazione del nucleo di Garmagnünach, costituita nell’estate del 2014 con sede a Malvaglia-Rongie. Garmagnünach (Germanionico in italiano) è un nucleo di 17 cascinali, a 1470 metri di quota sulla sponda destra della Valle Malvaglia; il nucleo è inserito nell’Inventario degli insediamenti d’importanza nazionale da proteggere (ISOS). Come gli altri villaggi della Valle Malvaglia, Germanionico – che non è una vera e propria Villa – è rimasto praticamente intatto nel corso degli anni, senza deturpazioni o nuove costruzioni (gli stabili risalgono al 1500-1600 circa). La fondazione è stata creata con lo scopo di «salvaguardare, proteggere e valorizzare attivamente questo nucleo nelle sue componenti etnologiche, geografiche, botaniche, faunistiche e paesaggistiche». Vi è in questo caso una certa urgenza di salvare le cascine dal degrado e dall’abbandono, specie ora che Germanionico è abitato solo da uno – l’ultimo rimasto – degli otto fratelli proprietari dell’intero nucleo, ossia Gino Scossa Baggi (82 anni). I fratelli erano soprannominati «I Fadarich» dal nome del loro nonno Federico. Quella di Garmagnünach è una
storia davvero particolare e sorprendente. Tanto che ha attirato anche giornalisti e telecamere: nel 2004 ne aveva già scritto la collega Alda Fogliani con un servizio sul mensile «Tre Valli»; nel 2007, prendendo spunto da quell’articolo, la RSI aveva dedicato a Germanionico un documentario per la trasmissione «Storie» a firma Mirto Storni. Ma cosa fa di Germanionico un posto così speciale? Ebbene, fino a due anni fa era abitato tutto l’anno solo dai fratelli Emilio e Gino Scossa Baggi, «i Fadarich». In famiglia, «i Fadarich» erano 8 fratelli maschi, nati dal matrimonio di Ferdinando Scossa Baggi (1893-1953) con Ida Pedretti (19001990). Solo uno di loro si era sposato, ma nessuno ha avuto figli, quindi non ci sono eredi. Così, nel 2012 dopo la morte di Emilio (classe 1928), l’ultimo fratello rimasto, ossia Luigi detto Gino (che tuttora vive a Germanionico), ha convenuto di garantire un futuro al villaggio dando l’accordo per la costituzione della fondazione, di cui è presidente. La fondazione ha così determinato quali sono gli interventi più urgenti per ognuna delle 17 cascine e quale potrebbe essere la loro destinazione futura. Ad esempio, una cascina si addice meglio a diventare un refettorio comune con spazi per incontri,
gemellare, e che avrebbe dato alla luce un maschio, Bawn, e una femmina, Darra. La tredicesima, appunto. La vittima sacrificale, da allontanare e far allevare da Cail, l’anziano del villaggio. Il romanzo coglie Darra alla vigilia del suo tredicesimo compleanno, quando «il suo ultimo giorno sulla terra era quasi finito». La vicenda, pur attraversata da atmosfere magiche e oniriche, è intrisa di umanità vera, colta sia nelle sue bassezze, sia nella purezza luminosa dell’amore. Un ruolo cruciale, oltre alla protagonista, l’avranno il gemello Bawn e la madre Meb, riuscito ritratto di donna tratteggiata nell’ambiguità della sua meschinità, da una parte, e del suo commovente tormento, dall’altra, che sfocia nel – vero – «riscatto» della storia. Ma un ruolo altrettanto importante, ancorché corale (e sempre attuale), è quello del villaggio, che auspica impietoso un capro espiatorio. Il finale, di speranza, ci porta nel regno d’Irlanda: terra d’origine dell’autrice,
che tuttavia ha vissuto a Oxford, e terra di sogno, sovente evocata nei suoi romanzi.
ed una a fungere da esempio didatticomuseale (abitazione in torba antica). Si pensa pure di creare un piccolo agriturismo a gestione famigliare, con posti letto, e informazioni storiche. Il tutto aperto alle scolaresche. L’investimento totale è stimato in 2,6 milioni di franchi, che la fondazione intende raccogliere da privati e/o enti interessati. Ma non è tutto. Andiamo a scoprire cosa succede a Montegreco (Muntcréch in dialetto locale). Questo nucleo è situato all’imbocco della Valle Malvaglia su un ampio e soleggiato terrazzo a 1156 metri di quota, con vista a cielo aperto su 50 km di cime circostanti. In effetti, essendo proprio al limite orografico sinistro della Valle, non è mai stato considerato una vera e propria Villa. Da 10 anni l’Associazione Amici di Montegreco è attiva per la sua valorizzazione ricostruendo dapprima la chiesetta e il vecchio forno e ripristinando antichi itinerari. Attualmente sta ristrutturando un edificio da adibire ad ostello consentendo ai visitatori di conoscere meglio la storia e le tradizioni della regione. L’ideale coronamento di tutte queste meritevoli iniziative, basate in larga misura sul volontariato, sarebbe la loro messa in rete, ossia la creazione di sinergie a tutto vantaggio del visitatore.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Siobhan Dowd, Il riscatto di Dond, Uovonero. Da 11 anni In copertina, Darra guarda il mare dalla scogliera. La vediamo di spalle, la lunga treccia scura sulla schiena sferzata dal vento, la postura solida e forte. Lo sguardo lo possiamo solo intuire, ma sappiamo, dopo aver letto il libro, che è uno sguardo vibrante e magnetico, come quello della sua autrice, Siobhan Dowd, morta nel 2007, a soli quarantasette anni, dopo averci offerto alcuni intensi romanzi, che l’editore Uovonero sta pubblicando con traduzione di Sante Bandirali. Questo breve romanzo, uscito postumo e valorizzato anche dalle adeguatissime illustrazioni di Pam Smy, è l’ultimo di Siobhan Dowd, e ci mostra bene la capacità dell’autrice di padroneggiare scritture dai registri differenti: dopo Crystal della strada, ad esempio, uscito l’anno scorso, in cui domina la vivida colloquiale disinvoltura del linguaggio quotidiano, abbiamo ora, con Il riscat-
to di Dond, una scrittura dai toni lirici e quasi epici, consoni al quadro fiabesco e tragico della storia. Siamo nel mondo arcaico e senza tempo dell’isola di Inniscaul, abitata da pescatori e maledetta dal dio degli Inferi Dond, che esige, per assicurare la buona sorte al villaggio, il sacrificio di ogni tredicesimo figlio partorito da una donna, quando giungerà all’età di tredici anni. Ovviamente le donne di Inniscaul stanno ben attente a non avere più di dodici figli, ma Meb non sapeva che il suo dodicesimo parto sarebbe stato
Anna Sarfatti, Che differenza c’è tra un libro e un bambino? Illustrato da Sara Benecino, Nord-Sud Edizioni. Da 4 anni Questo è un libro da far vivere. In biblioteca, a casa, a scuola. In tutti quei luoghi dove gli adulti possono trasmettere ai bambini l’amore per i libri. È un libro da commentare, da giocare, da continuare. Quante cose in comune hanno i libri e i bambini! Ad ogni pagina, l’umorismo e l’incisività delle autrici ce ne raccontano una. A volte sono analogie letterali: «Ci sono bambini sottili e grossi, secchi e cicciotti… anche i libri»; a volte metaforiche: «Ai libri piace stare accanto ad altri libri, si fanno compagnia e si sostengono a vicenda… anche ai bambini»; a volte l’analogia è giocata sulla polisemia del termine: «Ogni bambino ha il suo carattere… anche ogni libro», «Ai
libri piace avere una copertina… anche ai bambini», «I libri hanno un indice… i bambini di solito ne hanno due»; altre volte l’umorismo è sul gioco di parola: «I bambini sono anche figli… i libri sono anche fogli». Quello che conta è che questo libro spiega, divertendo, tante cose sui libri: che cos’è – per un libro – un carattere, un’aletta, una collana, una costola… E, quello che conta ancora di più, è che questo libro può essere un ottimo modo per interessare ad altri libri. E naturalmente farli amare. Perché, si sa, «libri e bambini sempre vicini!»
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Società e Territorio La sede ginevrina della International Organization for Standardization. (www.iso.org)
Troppo forte per essere una ragazza Videogiochi e misoginia MagicAmy,
asso dell’e-sport, si è ritirata dalla scena dopo che il web ha affermato per settimane che lei, in realtà, era un ragazzo
Filippo Zanoli
Il ruolo degli standard nella creatività
Idee e progresso Il ricorso alla standardizzazione è un espediente
razionale essenziale che rende possibili sviluppi e ricerche altrimenti troppo complicati
Massimo Negrotti Quando si parla di standardizzazione, ad alcuni viene subito alla mente qualcosa di grigio e di poco originale, qualcosa, appunto, di banalmente standard. In economia, peraltro, il tema in oggetto è ricollegato alla globalizzazione e alla circolazione di prodotti largamente identici e intercambiabili ovunque ci si trovi; una realtà escogitata per ridurre costi e prezzi elevando inoltre l’efficienza e l’operabilità dei beni di consumo durevole. A Ginevra, dal 1947, ha sede la International Organization for Standardization (la sigla internazionale è ISO) che si occupa appunto della predisposizione di misure e caratteristiche standard di numerosi prodotti tecnologici o servizi commerciali in modo da consentire la loro più agevole utilizzazione in termini globali. Questa sua natura, orientata a beni e servizi impiegati da grandi masse di individui in ogni parte del mondo, è sicuramente alla base della percezione in qualche misura negativa di cui parlavamo. Il suo contrario, ovviamente, è infatti la «personalizzazione» di un prodotto o di un servizio, ossia la predisposizione di qualcosa ritagliata, per così dire, sulle specifiche desiderate dal cliente o come si diceva un tempo, «fuori serie». Un procedimento decisamente più costoso del ricorso a prodotti standard ma, proprio per questo, percepito come maggiormente prestigioso e magari, cosa non sempre vera, anche qualitativamente migliore.
Nel corso della storia la standardizzazione ha riguardato anche fenomeni culturali come la musica In realtà il ricorso alla standardizzazione è un espediente razionale di grande rilievo in ogni campo dell’attività umana che quasi sempre rende possibili azioni e sviluppi altrimenti impossibili o decisamente troppo complicati. Si pensi innanzitutto alle lingue che, nel loro insieme, costituiscono solenni barriere per le relazioni internazionali ad ogni livello. Il tentativo proposto con l’Esperanto, una lingua creata «a
tavolino» verso la fine del secolo XIX in Polonia capace di proporsi come sintesi di varie lingue e tale da potersi insegnare a tutti i popoli del mondo, era di fatto la proposta di uno standard linguistico in grado di consentire la mutua comprensione fra tutti gli uomini. Il suo fallimento, a causa del suo carattere inesorabilmente utopico, non ha significato affatto la scomparsa della predisposizione di uno standard linguistico che, al contrario, si è imposto di fatto premiando la lingua inglese dopo qualche predominio, almeno in tema di diplomazia, di quella francese. Si può discutere a lungo sulla capacità o meno dell’inglese internazionale di prestarsi ad una adeguata traduzione di testi letterari, poetici o teatrali scritti originariamente, poniamo, in giapponese o in italiano, in francese o in russo. Ciò che più conta è che, senza questo standard linguistico, non solo l’economia mondiale procederebbe molto più lentamente ma le stesse scienze, basti pensare alla medicina o alla farmacologia, avanzerebbero fra grandi difficoltà. Ma nel corso della storia umana la standardizzazione ha riguardato anche altri fenomeni culturali come la musica che, a cominciare, quanto meno, da Guido d’Arezzo attorno all’anno mille, si è universalmente uniformata alla notazione che oggi è adottata in tutto il mondo e attorno alla quale la stessa intonazione degli strumenti è altrettanto standardizzata e fa riferimento al «la» di 440 Hertz quale risultato di una convenzione internazionale stabilita a Londra negli anni trenta del secolo scorso. Immagino che nessuno, a questo proposito, voglia negare la straordinaria bellezza delle composizioni, poniamo, di Brahms o Gershwin, un tedesco e un americano, per il fatto di essere state prodotte utilizzando un linguaggio notazionale standardizzato. Sul piano delle scienze e delle tecnologie la standardizzazione offre infine la sua immagine più persuasiva. Anche qui, di fatto, i sistemi metrici sono approdati a veri e propri standard indispensabili per assegnare efficienza ai più svariati progetti, realizzazioni e comparazioni. Alcuni sistemi metrici «nazionali» resistono ma, a conti fatti, costituisco solo un intralcio alla rapidità e all’efficienza del lavoro scientifico e tecnologico e per questo sono destinati ad essere superati. Inu-
tile poi segnalare l’importanza degli standard nell’ambito dell’informatica, senza i quali i computer non potrebbero comunicare e «capirsi» fra loro. Altrettanto avviene, ma in misura più oscillante per la marcata dipendenza da fattori economici e politici, per le monete inevitabilmente alla ricerca di standard di riferimento al fine di permettere valutazioni corrette dei vari parametri e transazioni finanziari in gioco. Si può dunque concludere che gli standard forniscono strutture e procedure altamente generalizzate le quali, anche se ciò può sembrare a prima vista contraddittorio, massimizzano la possibilità di elaborazioni creative a carattere universale perché amplificano enormemente la nostra capacità di descrizione, valutazione e impiego di idee e progetti nei più diversi settori, facilitando e velocizzando la comunicazione, la comparazione e la selezione delle migliori realizzazioni. Lungi dall’essere un fatto paradossale – che, cioè, facendo valere gli standard, con la loro carica di uniformazione e «appiattimento», si generi in realtà maggiore creatività – l’adozione di misure, linguaggi, strutture e procedure standardizzati consente incrementi sostanziali ed esponenziali di varietà, ottimizzando in questo modo la probabilità di reperire miglioramenti continui in ogni ambito. In fondo, la stessa matematica costituisce l’esempio massimo di linguaggio standardizzato poiché un calcolo o una formula, proprio come una partitura musicale, supera agevolmente le barriere linguistiche e così, fortunatamente, qualsiasi uomo capace di «far di conto», ma soprattutto scienziati e professionisti di tutto il mondo possono confrontarsi, discutere e fare avanzare le nostre conoscenze senza dover ogni volta tradurre ogni cosa in una miriade di potenziali «matematiche» nazionali. Va da sé che, come in tutte le cose umane, non tutto è rose e fiori. Anche la standardizzazione può essere accompagnata da alcuni effetti negativi. Per esempio, nel campo della robotica e dell’intelligenza artificiale, sarebbe ed è davvero molto rischioso stabilire degli standard circa i bisogni dell’uomo, i suoi modi migliori di pensare o prendere decisioni e così via. Ma, qui, si aprirebbe tutt’altra storia.
Nome di battesimo Hyerim Lee, nazionalità sudcoreana, poco più di 20 anni con un master in fashion design ottenuto in una prestigiosa università internazionale. Passioni: la moda (ovviamente), lo shopping di qualità e chattare con gli amici. Professione? Non ci crederete mai ma… gamer professionista con il nickname MagicAmy. Nata e cresciuta (videoludicamente parlando) nel talentuosissimo vivaio sudcoreano, Hyerim in un tempo relativamente breve ha scalato la classifica mondiale arrivando a occupare le prime posizioni nelle classifiche. La sua specialità è il videogioco di carte fantasy Heartstone di Blizzard, una delle novità più interessanti del 2014 videoludico capace di generare nelle sue prime quattro stagioni di vita qualcosa come 480 milioni di dollari e 25 milioni di giocatori attivi. Dopo aver fondato un team omonimo in patria, MagicAmy ha iniziato a «frequentare» la scena internazionale stringendo amicizie con diversi fra i giocatori più forti. Questo le ha permesso di entrare fra le fila di Tempo Storm, uno dei team professionali più blasonati per quanto riguarda Heartstone. Un successo che l’universo gamer, purtroppo facile a misoginie infantili e gratuite, ha poco digerito e che, con il tempo, si è tramutato in una gratuita caccia alle streghe. Se nel caso di un’altra campionessa sudcoreana del videogame di strategia Starcraft 2, Kim «Eve» Shee-Yoon, l’odiosa rete aveva affermato «Non è abbastanza brava per giocare negli SlayerS (uno dei team più forti al mondo)», puntando con il dito alle sue statistiche non così strepitose, con MagicAmy questo era semplicemente impossibile: di fatto era una dei player numero uno in Asia. Le partite le vinceva e i tornei pure. Un’altra sua caratteristica che la rendeva ancora più insolente agli occhi delle migliaia che la osservavano in streaming mentre vinceva un match dietro l’altro con machiavelliche giocate, era la sua collezione di carte. Tutti i suoi mazzi, infatti, erano composti esclusivamente di carte dorate: le più rare che ci siano. Una caratteristica che, anche nella scena professionistica, nessuno poteva eguagliare. «Esco di rado e non bevo mai, Heartstone è il mio unico vizio», aveva dichiarato alla stampa specialistica, «per me avere tutte le carte d’oro è come possedere una borsa di Louis Vuitton, niente più di un bell’accessorio!». Un tesoretto, quindi, acquistato con i propri risparmi e i ricavati
Hyerim Lee è sudcoreana ed è conosciuta con il nickname MagicAmy. (TempoStorm)
della vittoria nei tornei ma che, in molti, sul web sostenevano fosse stato ottenuto, addirittura, con favori sessuali elargiti agli autori del gioco. Per spiegare, invece, la sua serie di vittorie la teoria doveva essere ben più audace visto che, tutte le partite che contano, sono visibili sul web su Youtube e su Twitch. tv. La soluzione a un enigma poteva essere una sola: non era lei a giocare le partite ma un altro, un ragazzo canadese di nome William Blaney, noto nella scena pro. Già, in effetti, era semplicemente «troppo brava per essere una ragazza». Le prove: un account social condiviso dai due (che tra l’altro erano stati fidanzati) e il fatto che, nei tornei dal vivo, Hyerim non presenziava mai adducendo al fatto che «i suoi genitori semplicemente non la lasciavano». Anche dopo essersi recentemente qualificata a uno dei tornei più importanti aveva nicchiato a causa di problemi di liquidità della sua Visa che non le aveva permesso di comprare un biglietto aereo di più di mille dollari. Quindi doveva essere per forza una cospirazione: e, come spesso capita, il popolo del web credeva e autoalimentava le sue paranoie: «È troppo impassibile in webcam mentre gioca: non sta giocando lei!». La preoccupazione generale che si trattasse di una frode e-sportiva era tale che anche TempoStorm, la sua squadra, ha iniziato a indagare sulla veridicità dell’identità di MagicAmy. Al termine dell’inchiesta ecco la conclusione del team: «Hyerim Lee è chi dice di essere e non potrebbe essere altrimenti, chi non ne è convinto è proprio un idiota!» ha rinfacciato alla comunità di giocatori di Heartstone con voce tonante e arrabbiata del presidente conosciuto con il nickname Reynad. Ma, ormai la frittata era fatta e, dopo sei settimane di calvario, ha deciso di gettare la spugna e abbandonare per un periodo indefinito la scena, ringraziando comunque il suo team. Spesso e volentieri si discute di come, con gli anni, il videogame si stia aprendo diventando più inclusivo andando incontro alle «minoranze videoludiche» (se così possiamo chiamarle considerando che, secondo uno studio del 2014 il 52% dei gamer è femmina): più donne in posizioni-cardine all’interno degli studi di sviluppo, più protagoniste e personaggi femminili caratterizzati in maniera convincente e meno sessualizzate, nuove sensibilità nella critica nella progettazione. Ma tutto questo rischia di essere un po’ fine a se stesso se, a cambiare veramente, non saranno gli stessi videogiocatori.
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Società e Territorio
Quando Oh cadde sulla terra Anteprima Nei cinema ticinesi un nuovo film d’animazione divertente e originale del tempo a costruire una grande e tenera amicizia fondata sulla comprensione reciproca, legame che li aiuterà a superare ogni tipo di ostacolo. La divertente avventura animata verrà proiettata nelle sale cinemato-
grafiche ticinesi a partire dal 26 marzo anche in versione 3D. Sito ufficiale
www.home-movie.ch
A sinistra, la locandina. Home © 2015 DreamWorks Animation LLC. All Rights Reserved
Home – A casa, è il nuovo film animato della DreamWorks diretto da Tim Johnson, in arrivo nelle sale cinematografiche ticinesi il prossimo 26 marzo. Un film molto originale, a cominciare dalle motivazioni che hanno spinto il regista a realizzare il film. Johnson racconta che aveva iniziato a raccontare ai suoi figli la storia, contenuta in un romanzo di Adam Rex, intitolato The True Meaning of Smekday. Il libro lo aveva talmente appassionato che dopo aver letto loro i primi due capitoli, Johnson era rimasto sveglio fino alle 2 di notte per finirlo. Da quell’innamoramento fulmineo era nato il desiderio di collaborare con l’autore della storia per fare in modo che i personaggi potessero animarsi, uscendo dalle pagine di carta per ritrovarsi sul grande schermo. Ecco dunque prendere forma le avventure filmate del simpatico personaggio Oh. Ottimista, impacciato ma adorabile, Oh desidera a tutti i costi provare delle emozioni e condividerle con una persona cara. Il suo sogno si rivela però molto improbabile perché appartiene ad una razza aliena chiamata Boov, scesa sulla terra per colonizzarla. Emarginato dal suo stesso popolo, in cui vige il conformismo e l’opportunismo, Oh decide di scappare. Ma non rimane solo per molto, poiché incontra Tip, una ragazzina di 12 anni, la quale vuole a sua volta sfuggire alla dittatura dei Boov. Coinvolti in un’analoga e rocambolesca fuga, dopo una serie di incomprensioni iniziali, i due personaggi riescono col passare
Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita in Ticino il 26 marzo (anche in 3D) di Home – A casa (www.home-movie.ch), la DreamWorks Animation in collaborazione con Migros Ticino mette in palio: 10 badge – 10 calamite per frigo – 10 infila lacci per scarpe – 10 sacchetti con stringhe – 5 sfere luccicanti – 5 poster italiani del film.
Regolamento: partecipazione riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghi concorsi promossi da «Azione» nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare al concorso telefona allo 091 821 71 62 mercoledì 25 marzo dalle 14.00 alle 15.00. Buona fortuna!
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi San Giacometo e la nascita di Venezia Il prossimo mercoledì vedrà cadere il 1594esimo anniversario della fondazione di quella straordinaria città che è Venezia. La tradizione vuole che la posa della prima pietra per la costruzione della chiesa di San Giacometo, come la chiamano i Veneziani per distinguerla da altre chiese omonime, avvenuta a Rialto a mezzogiorno del 25 marzo 421, costituisca la data di nascita ufficiale di quella compagine politica dalla peculiare forma di governo che fu conosciuta, nel corso dei secoli con l’appellativo di «La Dominante». La chiesa sarebbe stata voluta per voto da un certo mastro carpentiere Candioto o Eutinopo (nomi entrambe, si noti, bizantini) che si era rivolto a San Giacomo per domare un incendio. Il problema è che la chiesa di San Giacometo a Rialto, nel 421 era ben di là dall’essere anche concepita. Un documento di donazione del terreno sul quale sorge la chiesa del 1097 non ne fa infatti menzione, ed occorre attendere fino al maggio del 1152 per averla finalmente documentata per iscritto. Siamo dunque in presenza di uno dei
tanti casi nei quali la storia raccontata e la storia documentata non coincidono. Il caso è interessante perché ripropone il problema annoso del rapporto fra storia ed antropologia. Mentre infatti le discipline storiche considerano le res gestae del passato solo nella misura in cui esse corrispondano in effetti a quanto è oggettivamente accaduto (con tutti i problemi che pone l’interpretazione dei fatti, si intenda – ma questa è un’altra storia), all’antropologia interessa anche – e forse soprattutto – capire perché la «verità» storica viene spesso distorta. Le leggende non nascono per caso, in altre parole, ma vengono elaborate per poi imporsi come versioni ufficiali del «come le cose siano andate» per motivi precisi, altrettanto interessanti di quanto sia sapere «come le cose siano andate veramente». In sostanza ed in soldoni: raccontar balle ha una sua razionalità, anche se non proprio una sua virtù, e scoprirne le motivazioni aiuta a capire proprio la storia vera. Nel caso di Venezia le cose stanno così. In primo luogo dobbiamo capire che il consolida-
mento delle parti emerse della laguna è frutto di secoli di incessante governo delle acque che dalla laguna entrano ed escono. Fiumi deviati dall’alveo originale, canali scavati per mettere in comunicazione tra loro vie d’acqua e per scavare sfoghi al mare – o, al contrario, opere di contenimento per impedire che questi entrasse troppo vicino agli insediamenti – per non parlare poi dei milioni di tronchi di larice delle fondamenta lagunari che hanno consolidato i banchi di terra emersa preservandoli dall’erosione – insomma: il paesaggio che vediamo oggi mantenere una certa stabilità nel tempo era invece in passato soggetto a drammatici movimenti, a trasformazioni non solo della linea di costa ma della stessa mappatura delle terre emerse oggi difficile da immaginare. Questo per dire che non è affatto vero che quando il primo nucleo di quella che sarebbe diventata Venezia fu stabilito a Rialto il resto della laguna fosse disabitato. Il settore settentrionale della laguna vedeva fiorenti città come Altino spingersi verso la laguna, così come te-
stimoniano i recenti rinvenimenti delle fondamenta di importanti ville di epoca romana dove oggi c’è solo acqua. In epoca bizantina la parte settentrionale della laguna era di importanza strategica come ultimo baluardo di Costantinopoli/Bisanzio contro i Longobardi insediati in Friuli. L’isola di Torcello, abitata già in epoca romana, costituiva un importante e popolatissimo avamposto assieme a Grado, Equilio (l’attuale Jesolo) ed Eraclea. Torcello fu per secoli centro principale di una serie di isole che comprendeva le attuali Burano e Mazzorbo, ma anche le adiacenti isole Ammiana e Costanziaco, oggi sprofondate nella laguna. Ancora nel 636 la costruzione della grandiosa cattedrale della Theotokos – la Madre di Dio cara ai bizantini – per volere dell’Esarca bizantino di Ravenna Isacco ed iniziativa di Maurizio, l’allora Governatore della Venetia et Histria coincideva con il trasferimento della sede vescovile da Altino a Torcello. Fino al secolo XI i vescovi di Torcello si definivano «altinati», segno che Venezia, in quanto tale, era ben
lungi dall’essere il centro dominante la laguna che sarebbe poi diventata. È vero: gli stessi bizantini avevano costruito un castrum a Rialto: Rialto, il rivum altum – ovvero fiume profondo – era proprio per quello un punto strategico in quanto permetteva una navigazione sicura fino al centro della laguna – e oltre, verso la terraferma. Ma questo non vuol dire che fin dalla data fantasiosa del 421, Rialto/ Venezia fosse quel rifugio degli ultimi cives romani in fuga dai barbari dilaganti che costituisce il mito di Venezia. Diciamo invece che, nella lunga lotta per affermarsi come centro dominante della laguna per poi lanciarsi sui mari alti, Venezia aveva bisogno di costituirsi come quel baluardo di civiltà erede della romanità che il suo Doge/Duce avrebbe rappresentato per secoli a venire. Ecco allora la necessità di inventarsi un’antichità a prova di concorrenza – un pedigree che le permettesse di competere con altre vitali e fiorenti realtà lagunari letteralmente ante litteram. Morale altropologica della storia? Dimmi perché menti e ti dirò quale sia la verità.
avendo preso il posto della mamma della prima infanzia, unica, incomparabile, insostituibile. Il tuo girare ossessivamente nei pressi della casa che ti esclude, intorno alla finestra illuminata che non puoi spalancare, ripete la dolorosa esperienza del bambino piccolo, esiliato dalla camera da letto dei genitori. Sei ormai un uomo adulto, che si sta avvicinando alla seconda metà della vita, ma gran parte dei tuoi sentimenti (forse sarebbe meglio dire «passioni») sono rimasti impigliati nella rete dei legami edipici, quelli che uniscono in dinamiche di amore e rivalità, padre-madre e figlio. Finché non te li lascerai alle spalle non riuscirai a instaurare un rapporto di reciprocità con una partner amata per se stessa, non in quanto sostituta della madre. La gelosia, se non viene elaborata e superata per tempo, diviene un habitus che, coincidendo con l’identità, non può più essere dismesso. Mi sembra di intravvedere, nella sequenza dei tuoi innamoramenti, l’accanito
tentativo di alimentare una gelosia a tutti i costi, forse per godere di un fuoco che, mentre brucia i legami, esalta il tuo Io. Il narcisista, paradossalmente, nutre scarsa autostima per cui cerca, nel torneo col rivale, di affermare il suo valore e di realizzare una vittoria che non otterrà mai perché non è con lui che combatte ma con le ombre di un passato che non passa. Come vedi, caro Fabio, la Prof. è stata particolarmente severa nei tuoi confronti ma sento che questo è il momento buono per chiudere il capitolo «infanzia» e iniziare una nuova narrazione di te, una biografia più capace di mettere a frutto i tuoi indubbi talenti della mente e del cuore.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi La gelosia che non passa Gentile Professoressa, mi confesso subito: sono un uomo instabile. Per quanto sia ancora giovane (43 anni) ho avuto molte donne e di tutte sono stato geloso, forse perché erano molto belle e desiderate. Stanco di tormentarmi, circa due anni fa sono andato a convivere con una coetanea non certo avvenente, quella che si suole dire una «zitellina». Pensavo fosse la persona giusta per fare famiglia e, probabilmente, lo era. Sono io a non essere giusto e ad avere rovinato tutto. A un certo punto le ho confessato che le volevo bene ma non l’amavo e l’ho lasciata. Ma, poco prima di Natale mi sono accorto che aveva dimenticato da me degli oggetti personali e ho pensato di portarglieli e di farle gli auguri. Quando sono giunto a casa sua (abita in una villetta), mi sono accorto che c’era un uomo con lei, un uomo non giovane ma evidentemente di casa. Questa scoperta mi ha sconvolto e, anche se ero stato io a lasciarla, mi sono sentito terribilmente geloso della mia ex e del suo partner. Geloso di lei perché, in
fondo, la consideravo «mia per sempre» e geloso di lui perché aveva usurpato il mio posto. Tranquilla prof.! Non sono pazzo e mi rendo conto dell’assurdità dei miei sentimenti, ma non riesco a farmi una ragione di quanto è successo e la sera mi trovo a girare intorno a quella finestra illuminata pensando: «Chissà cosa stanno facendo?». Mi aiuti, la prego. / Fabio Caro Fabio, chi ama è sempre geloso e ha paura del tradimento. Nei casi più gravi ciò che cambia è l’intensità della gelosia, il suo potere d’inquinare ogni altro sentimento. Dalla tua storia mi sembra di comprendere che per te amore e gelosia sono un binomio inscindibile, che non esiste l’uno senza l’altra. E, quando hai trovato una compagna che non ti dava alcun motivo per dubitare di lei, l’hai lasciata perché non ti interessava più. Scorgo, in questo tuo atteggiamento, una certa confusione tra amore e
potere. Ciò che ti sta a cuore è prima di tutto esercitare il controllo e il possesso assoluti della donna amata. Questa pretesa rivela, nella sua onnipotenza, di essere radicata nell’inconscio e proprio per questo ti risulta al tempo stesso intima ed estranea. Perché temi di essere tradito? Perché non sei sicuro di te, del tuo valore, della tua capacità di farti amare. Come in tutte le passioni, la gelosia provoca una tensione che ci fa sentire più vivi e, per gli uomini, più virili. Apre infatti una contesa col rivale, che appare sempre migliore di sé: più bello, più forte, più adulto. Nel tuo caso ti ha turbato intuire che è più vecchio di te. Come tale, evoca infatti la figura paterna e la gelosia che ogni neonato prova quando la mamma, dopo i primi mesi di attaccamento esclusivo al figlio, si volge verso il marito per riprendere la relazione amorosa temporaneamente interrotta. Questa scena, evocata dalla fantasia, fa sì che anche la donna che hai freddamente abbandonata («ti voglio bene ma non ti amo») ti appaia ora,
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Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Conoscere il destino: la scienza ci prova «Perché io, perché ora?»: è la normale reazione di fronte alla diagnosi di una malattia grave, percepita innanzi tutto come un’ ingiusta condanna, oggi, persino inaccettabile. Nell’era del progresso scientifico, sembra sconfessare le certezze in cui credere. La longevità, l’efficienza terapeutica, la prevenzione affidata alla genetica hanno, infatti, contribuito a diffondere una sorta di garantismo sanitario, l’idea insomma che dai rischi della malattia, della sofferenza dell’infortunio sia possibile difendersi. In altre parole, grazie a conoscenze specialistiche sempre più mirate, a interventi tempestivi, a uno stile di vita adeguato, si è in grado di correggere il corso del destino. Un obiettivo verosimile o illusorio? L’interrogativo è stato proposto al recente seminario, organizzato a Lugano dalla Fondazione di ricerca
psicooncologica e dall’Associazione di volontariato Triangolo, con un titolo rivelatore: «Il fantasma del destino» che già alludeva a una risposta. Anche sottoposto all’attenzione di addetti ai lavori altamente qualificati, sul piano scientifico, filosofico, religioso, il tema conserva, insomma, gli aspetti imperscrutabili di un mistero, qualcosa che accompagna il nostro itinerario, da sempre. Si tratta di quell’inquietudine, a suo modo vitale, provocata dallo scontro fra la voglia di sapere quel che verrà e la barriera di un destino fondamentalmente indecifrabile. Di questo pensiero dominante, filo conduttore di un incontro multidisciplinare, il filosofo Carlo Sini ha ritrovato le tracce nelle riflessioni di Marco Aurelio (121180 d.C.) Per poi concludere che dalla sballata illusione di un dominio su tutto ci deve salvare la consapevolezza dei nostri limiti.
Con ciò il desiderio di addomesticare il fato, che per gli antichi era una divinità cieca, ha continuato a sollecitare studi, curiosità, fantasie dagli esiti contrastanti. Da un lato, la scienza ne ha ricavato la spinta verso ricerche, concretamente promettenti. Ma, dall’altro, ha aperto il varco a derive mistificatorie. Non cose da medioevo oscurantista, per dirla con un luogo comune, ma usi e credenze sempre in auge. Basti pensare alla chiromanzia, all’astrologia, ai tarocchi, agli stregoni e, persino, a certe forme di medicina alternativa. Del resto, in quest’aspirazione a impossessarsi del proprio futuro, anche le religioni hanno avuto una parte rilevante delineando prospettive consolatorie. È quel che spiega, secondo la testimonianza dell’antropologo Pino Schirripa, il successo, in Africa, delle chiese pentecostali, considerate
appunto portatrici di speranze, una sorta di ricompensa rispetto ai guai terreni. Mentre alle nostre latitudini, secondo Italo Molinaro, giornalista e sacerdote, ci si trova alle prese con due visioni concomitanti: quella razionale, ispirata al pensiero cristiano, che porta ad accettare la limitatezza umana, e quella emotiva, ispirata a una concezione laica, insomma materialista, che i limiti li rifiuta. Esponendosi, così, al pericolo di una sorta di onnipotenza. Che oggi può assumere la forma dell’accanimento genetico. Qui, infatti, si è aperta la frontiera più avanzata dell’indagine scientifica. Come ha spiegato il biologo Mario Tosi, siamo alla vigilia di prospettive affascinanti ma insidiose. Si potrà, forse entro il prossimo decennio, disporre di una carta genetica personale, in grado di rivelare il nostro
avvenire, determinato da fattori ereditari e ambientali. Sapremo, quindi, esattamente da dove veniamo, guidati in pari tempo dalla convinzione di sapere dove andremo. Eviteremo gli errori commessi dai nostri avi, sul piano dei comportamenti, e adotteremo una saggezza sanitaria performante. Tuttavia, al di là delle difficoltà d’ordine materiale, organizzativo, finanziario, un simile documento si presta considerazioni allarmanti d’ordine psicologico, etico, persino politico. Che uso se ne potrà fare? Non mancano precedenti non lontani, e basti pensare a Mengele e compagni, impegnati nell’operazione della super-razza ariana. Ma lasciando da parte questi fantasmi orrendi, sta di fatto che il destino evoca pur sempre un mistero. Sarà poi utile sondarlo? La scienza ci sta provando, ma le sue risposte non sono definitive.
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Ambiente e Benessere La causa delle valanghe Negli ultimi decenni questo fenomeno ha assunto aspetti e dimensioni preoccupanti pagina 12
Una passeggiata gastronomica Lungo i sentieri del Mendrisiotto torna la Mangialonga, manifestazione di successo che unisce il piacere del palato a quello paesaggistico
La cucina di Capitan Cook Un excursus storico per scoprire come venivano conservati i cibi nel passato
A casa di Tosca Incontro con un cane molto speciale, addestrato per accompagnare i diabetici
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Non vale una cicca però avvelena il pianeta Ambiente Una proposta di sensibilizzazione a un tema piccolo, apparentemente innocuo ma effettivamente tossico:
l’abbandono dei mozziconi che continuano ad inquinare le nostre regioni Patrizia Barbuiani «I bianchi si impadroniranno della nostra pianta sacra, il tabacco, ma non la useranno con il rispetto dovuto. Non la fumeranno con la pipa in un rito sacro, ma inspireranno senza ritegno la sua essenza solo per il loro piacere. Allora il fumo li ucciderà». Gli indiani d’America lo avevano predetto. Me lo dice un indiano shoshoni in Nevada mentre nella mano stringe una sigaretta e ne aspira con voluttà il contenuto. Devo sorridere per l’ennesima volta sull’incoerenza umana. La sigaretta sparisce nei suoi polmoni e l’essere umano crede che non esista e non possa nuocere perché si è dissolta, come i bambini credono di essere invisibili perché chiudono gli occhi. E il mozzicone lo si getta velocemente lontano, dove capita. Occhio non vede, polmone non duole. Secondo lo studio Enea – AUSL di Bologna, una sigaretta accesa immette nell’ambiente più di 4000 sostanze chimiche ad azione nociva, tossica, irritante, mutagena e cancerogena. Una parte di queste sostanze chimiche resta nel mozzicone che diventa una minuscola bomba inquinante contenente nicotina, benzene, gas tossici quali ammoniaca e acido cianidrico, composti radioattivi come polonio-210, nonché acetato di cellulosa, la materia plastica di cui è costituito il filtro. Il mozzicone è quindi un rifiuto tossico. Dovrebbe essere trattato come tale e invece la maggior parte delle persone crede che sia un elemento biodegradabile. Altrimenti non ci si può spiegare questa marea di mozziconi abbandonati ovunque, gettati per strada, nei tombini, nelle acque, nei boschi, ritrovati persino in cima alle montagne o in luoghi sacri. Una cicca di sigaretta ha un basso volume inquinante però la massa numerica è spaventosa e appesta l’intero pianeta. Nel mondo vengono consumate ogni giorno circa 12 miliardi di sigarette, di cui i due terzi, cioè 8 miliardi di mozziconi vengono buttati senza ritegno nella natura e impiegano dai 10 ai 15 anni per smaltirsi. Alle nostre latitudini come viene affrontato il problema? Secondo il portavoce dei Servizi Rifiuti Cantonali, Daniele Zulliger, da parte loro non è mai stata promossa una campagna specifica solo sui mozziconi. Vengono organizzate delle giornate di sensibilizzazione sull’abbandono di rifiuti in cui si coinvolgono le scuole e tutti i comuni del Ticino. Conferma che il mozzicone è uno dei mate-
Una piramide di mozziconi che non smette di crescere. (Mattia Martelli)
riali che pone più problemi per quantità, piccolezza e difficoltà di recupero. Il Municipio di Mendrisio ha emanato un’ordinanza contro il littering, l’abbandono di rifiuti in città, a fine settembre 2014, che prevede multe ai contravventori. Lugano ha preso la stessa contromisura in questo periodo. Chi sporca, paga. Davanti alla Biblioteca dell’Università di Lugano gli studenti hanno disseminato il prato di mozziconi, forse nella vana speranza che a primavera crescano nuove sigarette. All’esterno di molti bar cittadini alla mattina si possono contare gli avventori della serata precedente, non dai registri di cassa, ma contando la moltitudine di cicche gettate sui marciapiedi. Forse non è stato messo sufficientemente l’accento sulla velenosità del mozzicone, per far comprendere la gravità dell’inquinamento a tutti i livelli. Bisognerebbe produrre dati, cifre, spiegare nel dettaglio gli effetti nocivi che le cicche di sigarette producono nell’ambiente. Si è sensibilizzata l’opinione pubblica sui rischi del fumo per l’essere umano, ma i fumatori non sono stati sensibilizzati sui rifiuti che producono. «La situazione è drammatica – af-
ferma Cristina Zanini Barzaghi dell’Area Servizi Urbani della città di Lugano – lo abbiamo constatato proprio durante le giornate di lotta ai rifiuti, effettuate durante il mese di settembre, dove ci siamo resi conto che i rifiuti in assoluto più presenti sono proprio i mozziconi. Si trovano dappertutto, finiscono nei posti più impensati e anche gettati per terra laddove ci sono i portacenere. Dopo aver posizionato una concentrazione di posacenere nel centro città e via Nassa ci siamo resi conto che questi contenitori sono difficili da svuotare e da pulire. Inoltre viene inserita al loro interno anche altra immondizia, diventando quindi pericolosi. Abbiamo optato per questi grandi portarifiuti di acciaio inossidabile: sul coperchio le cicche possono essere spente e poi il mozzicone gettato nel contenitore sottostante. Questi recipienti si trovano più o meno ovunque in tutta la città. Per le due prossime giornate della manifestazione Clean Up Day, nel settembre 2015, vorremmo tematizzare proprio la questione del mozzicone abbinandola ad una campagna contro il fumo. Stiamo lavorando quindi anche sulla prevenzione e non solo sulla sanzione, che per il momento non è ancora applicata».
Nicoletta Crivelli, capogruppo di lavoro sui rifiuti e vandalismo della città di Lugano si affida anche all’esperienza di collaborazione con altre città svizzere. «Sull’esempio di Lucerna e in collaborazione con l’Azienda Cantonale dei Rifiuti, la città di Lugano ha intenzione di fare una campagna nel 2015 per sensibilizzare sul problema dei mozziconi lasciati in giro. Vorremmo promuovere anche l’uso di portacenere tascabili per i fumatori, delle scatolette in alluminio che ci verrebbero messe a disposizione dalle società del tabacco». La succursale svizzera della British American Tobacco afferma nel suo sito Internet «di essere consapevole della sua parte di responsabilità» nell’inquinamento provocato dai mozziconi e fornisce gratuitamente dei posacenere portatili. Solo che nel formulario da riempire per ottenerli bisogna sottoscrivere di essere «fumatrici o fumatori di età superiore ai 18 anni». Altrimenti il formulario di richiesta non parte. Non fumi, non ricevi il posacenere. Solo questione di età? Perché limitarlo ai soli fumatori? Si vuole premiare con questo gadget gratuito solo coloro che arricchiscono le società del tabacco? Una buona campagna
contro l’inquinamento da mozziconi potrebbe prevedere che tutti ricevano il portacenere, per poterlo donare alle persone fumatrici della sua cerchia e in questo modo sensibilizzarle al problema dei rifiuti. Una ditta inglese prevede di immettere sul mercato per l’autunno 2015 un filtro per sigarette completamente biodegradabile composto di cotone, lino e canapa. La composizione del loro filtro, senza aggiunta di elementi chimici o artificiali, farebbe sì che impiegherebbe molto meno tempo per decomporsi, ma nel loro sito precisano che non si tratta di un’alternativa per poter buttare mozziconi per terra. Nella lontana Tasmania, in Australia, è stata fatta in questo periodo una proposta di legge. Si vuole vietare ai tutti i nuovi nati dopo il 2000 l’uso della sigaretta fino al compimento dei 18 anni, per prevenire la dipendenza, per proteggere le nuove generazioni dal cadere facilmente vittima di mode poco salutari, per evitare l’imitazione di falsi idoli. Una profezia oppure un’illusione il loro slogan? «Fumare è stato un fenomeno del XX secolo, liberi dal tabacco è un fenomeno del XXI secolo».
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Ambiente e Benessere
L’insidia invernale che aleggia nelle Alpi Climatologia Le valanghe hanno terrorizzato per secoli le popolazioni di montagna. Ma attualmente
sono soprattutto i cittadini a esserne maggiormente coinvolti – Prima parte
Alessandro Focarile «Nel sortilegio della montagna innevata si inserisce la fredda e tragicamente suggestiva insidia della valanga: ricorrente, consueta o eccezionale, minuscola o immane, candida e precipite nuvola distruttrice. Con il buono e il cattivo tempo, d’autunno, d’inverno e primavera. Improvvisa, imprevedibile o attesa, e spesso provocata dall’uomo». (Filippo Guido Agostini, in Fraser 1970).
Giovedì 22 gennaio 2015. Tre californiani, che praticano lo sci fuori-pista, si apprestano a scendere da oltre 3500 metri lungo un canalone sul versante italiano del Monte Bianco, in Val Ferret. Il giorno precedente era caduta molta neve, pesante a causa della temperatura bruscamente aumentata anche in altitudine. Sono le 11.30 del mattino, la giornata è splendida, e la grandiosità dell’alta montagna in pieno sole induce all’euforia e alla perdita di percezione del pericolo immanente. Il primo sciatore inizia la discesa e provoca una valanga, che lo travolge e lo trascina per centinaia di metri verso il basso del canalone che confluisce nel ghiacciaio di Rochefort. Morirà dopo qualche ora all’ospedale di Aosta a causa delle gravissime ferite. Era stato recuperato sotto venti centimetri di neve dalle squadre di soccorso intervenute nonostante il pericolo di altre valanghe. Troppe valanghe causate dall’uomo, titolava «La Stampa» del 17 dicembre 2014, riferendo in merito a una precedente valanga (con un morto) causata dalla presenza contemporanea di una ventina di sciatori fuori-pista trasportati sulla Becca di Nana (3010 metri) in Valtournanche (Valle d’Aosta) dal compiacente elicottero. Non a caso, durante la scorsa stagione invernale 2013-2014, il 60 per cento delle valanghe è caduto in Valle d’Aosta in dicembre e gennaio, i mesi più affollati in quota: 22 persone coinvolte, 6 delle quali sono decedute. Il sovraffollamento della montagna è uno dei fattori di più forte rischio per gli incidenti da valanga. Il 60 per cento di questi eventi, come detto, è causato dagli sciatori fuoripista (detti freeriders), dagli sci-alpinisti che si avventurano non solo fuori-pista, ma anche fuori-stagione e fuori-orario. Del tutto recentemente si sono aggiunti anche i «ciaspolisti», gli escursionisti che vanno in montagna con le racchet-
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Il sovraffollamento della montagna è uno dei fattori di forte rischio per gli incidenti da valanga
te da neve, a volte in allegre e incoscienti brigate. Nel corso della stessa stagione, e sempre in Valle d’Aosta, sono cadute 200 valanghe, ma ben 1304 nell’inverno precedente particolarmente nevoso. La sensibilità del territorio valdostano è ben nota, e i dati finora raccolti ed elaborati rendono conto del fatto che il 16 per cento della regione – cioè 490 chilometri quadrati – è soggetta alla caduta di valanghe. Negli ultimi decenni, il fenomeno ha assunto aspetti e dimensioni preoccupanti in tutte le Alpi. Le cause sono molteplici e differenziate: 1. la sempre più fitta e periodica presenza dell’uomo, il che aumenta la probabilità di disgrazie; 2. l’accelerata, spesso disordinata e imprevidente aggressione (edilizia, viabilistica, idro-elettrica) al bosco; 3. un lento ma determinante mutamento della copertura vegetale dei pascoli, che va a creare il permanere e il consolidamento non del bosco protettore, bensì di superfici coperte da cespugli non più eliminati (come i rododendri, i ginepri, gli ontani verdi, giunti questi ultimi solo 3mila anni or sono sulle Alpi insieme con l’Abete rosso). Cespugli, uniti all’erba non tagliata o bruciata, che creano ottime superfici di scivolamento per il manto nevoso; 4. e, infine, per i mutamenti
climatici in atto: insoliti e improvvisi aumenti di temperatura, che provocano lo scioglimento degli strati superiori di neve e le successive diminuzioni termiche che li gelano. Ulteriori nevicate si depositano su superfici instabili che agevolano lo scivolamento delle valanghe. Essenzialmente, le valanghe sono un meccanismo di eliminazione per gravità della neve: dalle quote superiori di una montagna. In sostanza, si tratta di una frana di masse di neve e/o di ghiaccio in condizioni di equilibrio instabile lungo un pendio superiore a 30 gradi. La valanga può essere provocata per scivolamento di masse di neve fresca su una superficie di neve vecchia, più o meno consolidata, per effetto del proprio peso. Particolarmente in primavera, il parziale disgelo della massa nevosa dovuto all’aumento termico dell’aria e a un apporto di calore dal basso verso l’alto (il terreno si sta scaldando), provoca una valanga di neve pesante, detta di fondo (foto), con conseguente trascinamento di vegetali e piccoli animali, dall’alto verso il basso in un ammasso di fanghiglia. Nel Cantone Ticino, la Valle Bedretto è nota da vecchia data per il «flagello bianco». Posta al confluire delle sorgenti di cinque fiumi (Reuss, Rodano, Toce, Ticino, Maggia) è sede di co-
piose nevicate. Tra il 1594 e il 1863 caddero nove memorabili valanghe, che causarono 51 vittime (compresi due parroci), a testimoniare che, dopo l’optimum termico medievale (900-1400 circa) le condizioni climatiche erano drasticamente cambiate, apportando valanghe, miserie, fame e morti durante la «piccola era glaciale» protrattasi sino alla fine dell’Ottocento. Di questo periodo nefasto per gli abitanti e per la Natura, così ne parla Luigi Lavizzari nel suo celebre libro del 1863 Escursioni nel Cantone Ticino: «Presso Villa si vede la chiesa con campanile costruito in particolar modo, di cinque lati in luogo di quattro e con un angolo acuto prolungato verso il fianco del monte, atto a rompere l’impeto delle vallanghe che ivi sogliono precipitare con furore… La gente di Val Bedretto, esposta a così dure prove, è nulladimeno la più gaia e lieta che si conosca…». Anche durante il secolo appena trascorso, si ebbero due inverni eccezionali per la caduta di valanghe ad Airolo e in Val Bedretto. Quello del 1950-1951 narrato da Giovanni Orelli nel suo libro L’anno della valanga (1963) e quello del 1970-1971. In questo settore delle Alpi ticinesi, il disboscamento (dissodamento) fino in altitudine è stato particolarmente intenso e attuato da qualche
millennio (per un certo periodo non sussisteva pericolo di valanghe) per trasformare le superfici un tempo boscate con il pino cembro e il larice in pascoli di altitudine. Per esempio all’Alpe Pesciora, 2100 metri: il toponimo deriva da Peccio, a significare la passata presenza dell’abete rosso (Picea abies). La valanga – che discende quasi ogni anno da questo alpeggio fino nei pressi di Ronco Bedretto a 1500 metri – è una significativa testimonianza di quanto possa produrre l’uomo nei cambiamenti ambientali: a proprio danno, se si considerano i tempi lunghi della Natura. L’uomo alpino, nel corso della sua pluri-millenearia presenza sulle Alpi, ha conosciuto il caldo, il freddo e le valanghe. Che cosa gli riserverà l’effetto-serra nel molto prossimo futuro? Bibliografia
Colin Fraser, L’enigma delle valanghe, Zanichelli (Bologna), 1970, 236 pp. Giovanni Kappenberger & Jochen Kerkmann, Il tempo in montagna. Manuale di meteorologia alpina, Zanichelli (Bologna), 2004, 254 pp. Charles-Pierre Péguy, La Neige, Presses Universitaires de France, (Paris), 1952, 119 pp. Annuncio pubblicitario
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L’Audi Q7 e-tron, un concentrato di tecnologia innovativa.
Mario Alberto Cucchi Esiste un’automobile con alimentazione ibrida plug-in, motore diesel 6 cilindri e trazione integrale permanente? Sì, l’unico modello al mondo che riunisce tutte queste caratteristiche è la nuova Audi Q7 e-tron che è stata esposta per la prima volta in Europa al Salone di Ginevra che si è appena concluso. La Casa dei quattro anelli ha scelto il motor-show svizzero per presentare nel vecchio continente la seconda generazione del suo grande suv Q7 che sarà offerta inizialmente nelle versioni V6 3.0 TFSI benzina in grado di erogare 333 cavalli e V6 3.0 Tdi da 218 e 272 cavalli. Sulla nuova Q7 i consumi sono stati tagliati sino al 26 per cento rispetto al vecchio modello che pesava fino a 325 chilogrammi in più. Ma a catturare l’attenzione del pubblico più attento all’ecologia ci ha pensato l’attesissima versione Q7 etron, che dovrebbe arrivare nei saloni solo nel 2016. Si tratta della seconda vettura della Casa tedesca ad essere equipaggiata con un sistema propulsivo ibrido plug-in. Il motore diesel 3.0 TDI e il propulsore elettrico erogano una potenza complessiva di 373 cavalli e sviluppano una coppia di 700 Newtonmetro. Q7 e-tron è in grado di raggiungere una velocità massima di 225 chilometri orari e di scattare da ferma a 100 orari in soli sei secondi. Lascia davvero a bocca aperta il consumo medio soprattutto pensando alle dimensioni del mezzo: solo 1,7 litri ogni 100 chilometri. Q7 e-tron quattro può viaggiare in modalità totalmente elettrica fino a 56 chilometri orari. Le batterie agli ioni di litio assieme al carburante tradizionale garantiscono un autonomia di ben 1’410 chilometri. Lunga 5,05 metri, la Q7 e-tron quattro si distingue dalle altre versioni per alcuni dettagli: mascherina single frame specifica, prese d’aria frontali modificate, nuovi cerchi in lega da 19’’ con design specifico. Ma
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le novità Audi non finiscono qui. Il costruttore tedesco ha infatti diffuso un teaser della prossima Q6 che dovrebbe essere il suo primo SUV totalmente elettrico: adotterà lo stesso sistema della R8 e-tron e avrà un’autonomia di quasi 300 km. Intanto il responsabile ricerca e sviluppo, Ulrich Hackenberg, ha confermato ad Autocar che Audi svilupperà il nuovo SUV ultra compatto Q1 che dovrebbe arrivare nelle concessionarie nel 2016. Nessun dubbio anche sul futuro debutto dell’ammiraglia suv Q8 che diventerà una seria rivale dell’imminente Maserati Levante. Audi dice invece addio al motore 8 cil. a V che aveva equipaggiato sin dalla nascita la sua supercar R8. La seconda generazione, in anteprima mondiale al Salone di Ginevra, è infatti equipaggiata con il propulsore da 10 cil. a V aspirato, condiviso con Lamborghini. Si tratta del 5.2 FSI declinato in due potenze e coppie: 540 Cv e 540 Nm per la versione definita «base» e 610 CV e 560 Nm per la R8 plus. Quest’ultimo propulsore è in grado di spingere la GT sino a una velocità massima di 330 chilometri orari e di farla scattare da ferma a 100 orari in soli 3,2 secondi. Bastano meno di 10 secondi per completare lo scatto da 0 a 200 km/h. Il motore FSI di 5,2 litri adotta inoltre il sistema cylinder-on-demand e consente di limitare i consumi a 11,8 litri/100 km nel caso della V10 e a 12,4 litri/100 km per la V10 plus. Ciò si tramuta in un risparmio del 10 per cento rispetto alla serie precedente anche grazie alla presenza della funzione Start&Stop. Il propulsore è abbinato ad una trasmissione a doppia frizione a sette rapporti e alla trazione integrale quattro che trasmette fino al 100 per cento della coppia ad uno soltanto dei due assi. Prodotta nella fabbrica di Böllinger Höfe, la nuova R8 esordirà in estate a un prezzo superiore ai 150 mila franchi. Più avanti arriverà anche la versione ibrida e-tron.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Ambiente e Benessere
Mangialonga tutta da scoprire Agriturismo La sesta edizione propone un percorso completamente nuovo che attraverserà i comuni
di Mendrisio e Castel San Pietro Il panorama delle manifestazioni che annualmente in Ticino si presentano al pubblico è molto ampio e vario. Tra tutte, la Mangialonga risulta essere uno degli appuntamenti enogastronomici legati al territorio più attesi. Proposta dalla «Vineria dei Mir» di Mendrisio, un’associazione che da anni s’adopera su base di volontariato nell’organizzare di manifestazioni che mirano a rafforzare la conoscenza della regione e dei prodotti del Mendrisiotto e Basso Ceresio, la Mangialonga ha fatto scuola e, oggi, in altre parti del Cantone sono organizzate manifestazioni simili: tutte godono di grande apprezzamento. La Mangialonga è ormai un evento consolidato, che riunisce le forze di Mendrisiotto Turismo e dei comuni coinvolti. L’ambizione è quella di proporre un evento di qualità, soddisfando le grandi aspettative del pubblico protagonista, che giunge da ogni dove per l’occasione. Il numero dei posti a disposizione è limitato. I motivi sono legati alla logistica e agli obiettivi di qualità che l’organizzatore mira a riconfermare, per offrire il meglio ai partecipanti. Così, centinaia di interessati attendono con
Iscrizioni a concorso Migros Ticino mette in palio fra i lettori di «Azione» 3 iscrizioni omaggio (valide per 2 persone) alla Mangialonga ai primi fortunati lettori che telefoneranno giovedì 26 marzo 2015 dalle ore 10.30 allo 091 840 12 61.
impazienza che sul sito web della «Vineria dei Mir» si aprano le iscrizioni per potersi garantire il privilegio di partecipare (per la prima volta o per rivivere emozioni già vissute) all’ambita manifestazione. Nelle cinque edizioni tenute tra il 2010 e il 2014 sono stati scelti una serie di itinerari sempre diversi da percorrere rigorosamente a piedi lungo le pendici del Monte San Giorgio. Sono stati quindi presentate un’interessante serie di possibili escursioni in questa magnifica zona collinare, attraversando i grandi vigneti, i piccoli nuclei e scoprendo luoghi affascinanti come il Museo dei Fossili a Meride o le cave di marmo ad Arzo. Quest’anno il percorso permetterà invece la scoperta di una nuova zona del Mendrisiotto. Fino a pochi anni or sono Castel San Pietro era il comune più vignato del Cantone. Da un paio d’anni a questa parte, complice l’aggregazione comunale che ha visto accorpare un buon numero di comuni a Mendrisio, è invece proprio il capoluogo ad essersi aggiudicato il primato. Ecco allora lo spunto che caratterizzerà l’edizione 2015: scoprire la quantità, la varietà e la qualità dei prodotti e dei produttori legati al mondo della viticoltura presenti nel territorio di entrambi i comuni. Il punto di partenza della Mangialonga 2015 è fissato quindi al Mercato Coperto di Mendrisio. Da qui, a partire dalle ore 08.00 del 1.maggio, prenderanno il via i gruppi di persone che s’incammineranno in direzione di Corteglia e raggiungeranno Castel San Pietro, per quindi rientrare a Mendrisio attraversando la Collina degli Ulivi. Undici le tappe di questo percorso circolare della lunghezza complessiva
Un momento dell’edizione 2014. (Mario Curti)
di 9,24 km, con un dislivello di 367m. Stuzzicanti le proposte che i diversi partner della manifestazione propongono in degustazione. Da notare che la Mangialonga si svolgerà indipendentemente dalle condizioni meteo, mentre lungo tutto il percorso sono previsti piacevoli intrattenimenti musicali di vario genere. I prezzi per l’iscrizione sono rimasti invariati, ma con l’edizione 2015 della passeggiata gastronomica viene introdotta un’ulteriore importante novità a favore dei partecipanti. La «Vineria dei Mir», sensibile ai temi ecologici, ha infatti siglato un accordo con Arcobaleno per permettere a tutti gli iscritti di raggiungere comodamente Mendri-
sio utilizzando i mezzi pubblici, a costo zero. Per poter ottenere il buono che autorizza a viaggiare gratis nel corso della giornata del 1. maggio sulle tratte della rete cantonale e regionale di Arcobaleno per e da Mendrisio, basterà inoltrare una richiesta specifica all’indirizzo email della «Vineria»: info@vineria.ch. Nel corso della manifestazione, dalle 10.00 e fino alle 22.00 circa, il Mercato Coperto diverrà un grande mercato dei prodotti che sono proposti presso le soste della Mangialonga. Inoltre, durante tutta la giornata qui saranno anche serviti, a coloro che non hanno potuto o voluto iscriversi alla camminata, piatti tipici regionali.
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Migros Ticino ha riconfermato il partenariato con la Mangialonga e in qualità di sponsor sarà pure attivamente presente alla tappa numero 10 con dolci proposte dei «Nostrani del Ticino». La manifestazione gode del sostengo e della collaborazione di alcuni partner istituzionali quali SAM e Arcobaleno e annovera fra gli sponsor principali anche BSI e Cardiocentroticino. Informazioni e iscrizioni
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VI Mangialonga, 1. maggio 2015, Mendrisio - Castel San Pietro
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Ambiente e Benessere
La vecchia cucina del Capitano Cook Allan Bay Simpatica lettera di Dolores di Chiasso che dice, sostanzialmente e sull’onda della lettura del Viaggio attorno al Mondo del Capitano Cook (leggetelo, è meraviglioso): ma come facevano i nostri avi a essiccare il cibo e a conservarlo per anni? Dolores nota anche che sua madre faceva dei dadi da brodo con le ossa: si conservavano senza ammuffire.
Il metodo di essiccazione sta scomparendo, ma a tenere in vita questa vecchia tradizione c’è lo stoccafisso. La risposta non è facile. Ma prima bisogna fare una premessa. Industria e artigiani nei secoli hanno sempre lavorato per il mercato, cioè per un qualcosa che i clienti compravano. Fino al secolo scorso di frigoriferi non ce n’erano, esistevano le ghiacciaie, ma solo per le persone benestanti. Di conseguenza gli artigiani sapevano che quanto producevano doveva essere conservato a temperatura ambiente, e quindi si attrezzavano in proposito. Oggi sia i negozi che i clienti vogliono e favoriscono i prodotti da consumo immediato da conservare in frigorifero, quindi i produttori si sono adeguati a queste neccessità. Il capitano Cook aveva bisogno di carne secca che durasse anni? Gliela facevano. Oggi Dolores vuole mangiare carne secca perché le piace? Certo non ne compra un barile ma al massimo 1 kg, che finirà rapidamente. In questo è il mercato che la fa da padrone. Conseguenza è che la sapienza empirica che avevano i nostri antenati nel seccare per conservare i prodotti sta sparendo, dato che il mercato non la richiede più. Detto questo, storicamente il miglior modo per conservare un alimento è farlo seccare, estraendone tutta l’acqua, trasformandolo in mummia
si usa dire. Un prodotto di questo tipo può durare anni e anni, soprattutto se ben conservato. L’unico prodotto simile in commercio è lo stoccafisso. È merluzzo di prima qualità, essiccato all’aria. La proverbiale durezza di questo pesce è dovuta alle tecniche di lavorazione: privato della testa, pulito e sfilettato, il merluzzo è ridotto alla durezza del legno dall’essiccamento e dalla successiva esposizione all’aria aperta nel clima rigidissimo della Norvegia. La selezione accurata e la tecnica impiegata – molto più lunga e complessa della salagione, la tecnica di conservazione che dà il baccalà – fanno lievitare i costi dello stoccafisso e ne riducono la produzione, molto limitata rispetto a quella del baccalà. La lavorazione dello stoccafisso è sopravvissuta da una parte perché è un prodotto che ha ancora una domanda, soprattutto in Italia, e dall’altra perché i norvegesi hanno saputo conservare la sapienza antica di come lavorarlo. Sia chiaro, è una frazione infinitesimale del merluzzo commercializzato… Ma sono contento che esista. Tutti gli altri pesci possono essere trattati nella stessa maniera. Non succede perché il mercato non lo chiede. Lo stesso vale per la carne secca, che prende il nome di Viande séchée du Valais o Walliser Trockenfleisch nel Vallese e Bündnerfleisch nei Grigioni.È un insaccato di carne bovina magra insaporito con erbe e spezie ed essiccato all’aria. Ma è la stessa carne secca che chiedeva il Capitano Cook, prodotta con metodi storici, più o meno come si fa per lo stoccafisso? No di certo: è un prodotto moderno adattato ai nostri gusti e al fatto che comunque viene conservato in frigorifero. Si può fare anche a casa? Certo, ma nella versione moderna. Farla come usavano i nostri predecessori è difficilissimo sia per gli artigiani e più che mai per noi appassionati. Ma lo spazio è tiranno e della tecnica riparleremo in un prossimo articolo.
Marka
Gastronomia A proposito di antichi sistemi di conservazione dei cibi
CSF (come si fa)
A proposito di conservazione: i Re degli ortaggi conservati sono i crauti. Il cavolo verza, da cui si ricavano i crauti, viene coltivato per la produzione di grosse foglie, grinzose o bollose a seconda della varietà, di colore verde intenso, a volte azzurrato, inserite a cespo in un breve fusto erbaceo. Presenta delle varietà a raccolta estiva e altre a maturazione autunno-inverna-
le. Ha una quantità di virtù tali da far impallidire tutti gli altri ortaggi. Nel viaggio citato qui accanto del Capitano Cook, non fu perso per malattia quasi nessun marinaio perché questi mangiavano, mugugnando, tanti crauti, che il Capitano amava e che sapeva, o meglio aveva intuito, contenessero la vitamina C, cura dello scorbuto per eccellenza. Vediamo come si fanno i crauti, moderni ovviamente. La ricetta è di Manuela Vanni. Per 2 vasi da 500 g. Prendete due grossi cavoli, mondateli delle foglie più esterne e tagliateli a listarelle regolari. Deponeteli quindi su un tagliere, cospargeteli di sale e lasciateli ad asciugare per una notte intera. Il giorno dopo, in una casseruola piuttosto capiente, fate rosolare in poco olio 100 g di lar-
do e 100 g di pancetta tagliati a dadini. Aggiungete quindi i cavoli tagliati la sera precedente a listarelle e 2 mele sbucciate, private del torsolo e affettate. Mescolate con un cucchiaio di legno il composto, attendete che cavoli e mele appassiscano e quindi aggiungete 8 bacche di ginepro, 20 g di zucchero e un’abbondante spolverata di pepe. Mescolate energicamente e versate nella casseruola tanto aceto quanto ne serve per ricoprire completamente il composto. Proseguite la cottura ancora per 5-6 minuti, quindi spegnete, togliete la casseruola dal fuoco e lasciate intiepidire. I crauti ora vanno passati al setaccio, per liberarli dell’aceto in eccesso, e poi posti in una terrina, o in un contenitore di vetro, e ben pressati. Una volta invasati, l’ultima operazione consiste nell’irrorarli ancora di aceto.
Manuela Vanni
Ancora risotti oggi. Il primo è rosso come il pomodoro e insaporito con frutti di mare, il secondo è giallo come lo zafferano e insaporito con un finto sugo di arrosto: se avete quello vero è meglio, Risotto rosso ai frutti di mare però.
Manuela Vanni
Ballando coi gusti
Risotto giallo al finto sugo d’arrosto
Ingredienti per 4 persone: riso da risotti g 320 · 1 spicchio di aglio · 8 code di gam-
Risotto giallo al finto sugo d’arrosto: riso per risotti g 320 · 4 costine di vitello ·
bero o di scampo · 8 seppioline o calamari · 16 cozze · 16 vongole · salsa di pomodoro · prezzemolo · vino bianco secco · burro · olio di oliva · sale e pepe.
1 cipolla · concentrato di pomodoro · zafferano · rosmarino · formaggio grana · vino bianco secco · brodo di carne · burro · sale e pepe.
Aprite in una padella coperta le cozze, cuocendole per un paio di minuti con poco vino, poi sgusciatele e filtrate il fondo. Fate lo stesso con le vongole. Private le code del budellino nero. Mondate seppioline o calamari e tagliatele a striscioline. Mondate l’aglio. Scaldate in una casseruola 1 giro di olio con l’aglio, unite le seppioline e cuocetele per 3’, poi spegnete, unite vongole, cozze e code, mescolate e tenete in caldo. In una casseruola tostate il riso per 2’, poi unite il fondo filtrato di cozze e vongole bollente e portatelo a cottura unendo acqua bollente quando necessario. 2’ prima che sia pronto unite 4 o più, a piacere, cucchiai di salsa di pomodoro e regolate di sale. Alla fine spegnete, mantecate con 60 g di burro, spolverate di prezzemolo, unite i frutti di mare, mescolate e fate riposare coperto per 2’ prima di servire spolverizzando con pepe.
Rosolate le costine in poco burro e portatele a cottura unendo poco vino bianco secco e un rametto di rosmarino. Alla fine eliminate gli ossi delle costine e il rametto e spezzettate finemente con un coltello la carne, poi rosolatela ancora per pochi minuti, bagnando con vino. Fate un soffritto con una cipolla tritata e una piccola punta di concentrato stemperato in poca acqua, poi frullatelo. In una casseruola tostate il riso per 2’, poi unite il soffritto e 1 mestolo di brodo bollente e portatelo a cottura unendo altro brodo bollente quando necessario. 1’ prima che sia pronto unite un ultimo mestolino nel quale avrete stemperato lo zafferano e regolate di sale. Alla fine spegnete, mantecate con 40 g di burro e altrettanto grana grattugiato, mescolate e fate riposare coperto per 2’. Servite il risotto nappando col sugo d’arrosto e spolverizzando con pepe.
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Ambiente e Benessere
Il san Domenico di Imola, la tavola e le cantine Vini senza frontiere La storia di successo di un intraprendente ristoratore romagnolo Grimod Il proprietario e gerente del celebre ristorante San Domenico di Imola è Gian Luigi Morini, classe 1935. È nato – mi ha raccontato, tra l’altro, una decina di anni fa – al secondo piano della casa in cui ha poi aperto il ristorante. Il nonno paterno Luigi possedeva un piccolo podere a Sasso Marelli, una frazione distante 8-9 chilometri da Imola. Era un abilissimo acconciatore di carni suine e un ottimo vinificatore. Ampliò la sua attività e aprì un negozio di generi alimentari che aveva acquistato a Imola, continuando a lavorare personalmente tutte le carni di maiale aiutato dai figli Paolo e Carlo (papà di Gian Luigi). A Imola ebbe ben presto successo. Il nostro protagonista, da bambino, si trovò così garzone di bottega. Era l’ombra di suo padre. Dapprima maldestro poi, a poco a poco, capace di aiutarlo nel lavoro di salumeria. Racconta che ogni tanto, dopo il grande lavoro per le feste di Natale, accompagnava il padre in campagna per acquistare il vino. Partivano con le tasche piene di mele acerbe perché – così sosteneva il padre – «non c’è niente di meglio per gustare e giudicare il vino che avere la bocca preparata dal sapore di mela acerba». E proseguiva: «bisogna stare attenti perché il contadino è furbo e offrirà del formaggio per mischiare i sapori e nascondere i difetti». Il giovanetto maturava la passione
Sotto le antiche volte, una collezione di bottiglie da togliere il fiato. (sandomenico.it)
per il cinematografo, mentre papà Carlo immaginava di vederlo funzionario di banca, in particolare lo vedeva cassiere ben vestito a presidiare lo sportel-
lo. Da sempre amava mangiare bene. A casa sua aveva imparato a cucinare. Gli amici apprezzavano i suoi piatti. È andato avanti con l’idea di farsi un risto-
rante. Così, sistemato il piano terreno, ha aperto il suo ristorante il 7 marzo 1970 e lo chiamò San Domenico (senza alcuna insegna).
Ha ingaggiato dapprima il celebre Nino Bergese, grande cuoco che aveva appena pubblicato un libro – Mangiare da re – con le sue oltre 500 ricette e avviò la cucina con piatti tradizionali. Poi gli suggerì l’allievo prediletto Valentino Marcattilii (dal cognome complicato poiché è il genitivo latino di Marco Attilio) che è tuttora in forza e regista della cucina del celebre ristorante imolese. Le bottiglie dormienti nelle cantine del San Domenico non si contano. Una visita, anche solo fugace, tra le sue ampie volte del piano di sotto toglie il fiato: imponente la selezione dei vini della penisola; altrettanto, quella dei vini francesi, dalla Borgogna al Bordolese, dalla Champagne ad altre regioni. Gian Luigi Morini è un generoso. L’ultima volta che pranzai da lui – una dozzina di anni fa – mi diede una flûte di Krug in aperitivo. Poi mi fece degustare un Montrachet 1989 con il pesce e un sorso di Barolo 1979 di Bartolo Mascarello con la carne; senza dimenticare uno Château Gruaud Larose 1975 con il dessert. Un menu semplice ma incantevole, con i detti vini eccelsi. Sul conto scrisse «grazie della visita!». E non solo: mi regalò il libro Il San Domenico di Imola – Estetica del cibo, le cantine e i sapori di tavola (Rizzoli 1997. Autori Vittorio Sgarbi, Marco Guarnaschelli Gotti, Luigi Veronelli). La dedica che mi vergò mi fa arrossire. Annuncio pubblicitario
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Orari d’apertura: lu–ve 9.00–18.30 / gi 9.00–21.00 / sa 8.00–17.00 tel.: +41 91 858 21 49
Orari d’apertura: lu–ve 8.00–18.30 / gi 8.00–21.00 / sa 8.00–17.00 tel.: +41 91 605 65 66
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Ambiente e Benessere
Un aiuto speciale Mondoanimale Cani del tutto normali che richiedono attenzioni, cure e amore,
ma in cambio possono salvare la vita dei loro padroni Maria Grazia Buletti Quando suoniamo il campanello di casa, prima ancora di aprirci la porta, Tosca ci saluta con l’entusiasmo di chi accoglie un ospite più che gradito. E siccome Tosca è un bellissimo cane bovaro, il suo saluto è un festosissimo abbaiare che si quieta quando la sua proprietaria ci accoglie. Un saluto fra esseri umani, poi Tosca si riprende la scena sedendosi accanto a noi. Ci dà la zampa e chiede carezze con uno sguardo assai eloquente. Fino a questo punto tutto normale e parecchie persone possono riconoscere questa scena come una consueta situazione nella quale qualcuno va a trovare un amico che vive con un cane. Invece Tosca ha un compito molto particolare che la rende speciale: è un cane d’allerta per diabetici e per conoscerla noi siamo venuti a Contra, dove abita con la sua proprietaria Rita Bächtold Bugari. Nel numero 11 di «Azione» avevamo parlato dei cani «medical detector» e adesso
possiamo presentarne uno che vive nel nostro Cantone e svolge con successo il proprio compito, come ci spiega la sua proprietaria: «Come tutti i cani d’allerta per diabetici, Tosca è in grado di riconoscere i sintomi di un’ipoglicemia e allarmare la persona diabetica tramite uno speciale segnale appreso e concordato; su comando sa andare a prendere il misuratore glicemico, lo zucchero d’uva, succo o bevanda zuccherata come pure la siringa d’emergenza; sa azionare l’interruttore della luce o un pulsante d’emergenza appositamente installato per persone che vivono da sole o in modo da chiamare aiuto in caso di ipoglicemia grave o eventuale coma; sa condurre a casa la persona diabetica quando si trova in uno stato confusionale (con disturbi alla vista o cose simili)». Oltre a tutto ciò, Tosca sa aprire le porte e sarà in grado di imparare altri compiti precisi e adattati ai bisogni della persona diabetica. Questa cagnolona e i cani come lei sanno dunque essere un amico assolutamente fe-
10 cose che cani e gatti fanno meglio di noi «Vivere una vita più tranquilla, socievole, senza preoccupazioni e dando sempre il massimo: ecco come si comportano nella vita di tutti i giorni gli animali, che dovremmo veramente prendere ad esempio per trascorrere un’esistenza più rilassata e felice». Così esordisce la giornalista di tuttoquattrozampe.com nello stilare la classifica delle prime 10 cose più importanti che cani e gatti sanno fare meglio degli esseri umani, a cominciare dall’essere tanto dormiglioni e concedersi tanti salutari pisolini. Camminano ogni giorno, un’attività che giova a chiunque di
noi, per mantenerci in forma e ridurre lo stress. Sono sempre pronti a coltivare amicizie, «Possiamo dire altrettanto di noi?». Non tengono il broncio e anche su ciò dovremmo imparare da loro. Mantengono viva la curiosità verso ogni cosa che li circonda. Sono gioiosi. Dimostrano sempre il loro amore. Bevono tanta acqua e si fanno massaggiare con entusiasmo. Infine, l’autrice dice: «Mangiano pesce» e cosa intendesse dire con questo resta un mistero anche per noi. Ma tant’è: gli animali qualcosa ci sanno insegnare, a prescindere dal punto dieci.
dele e riescono a trasmettere maggior sicurezza riguardo all’ipoglicemia, ad esempio ai genitori di bambini diabetici: nell’articolo che approfondiva i progressi dei cani medical detector si parlava di un cane d’allerta per diabetici che dormiva con una bambina e andava a svegliare i suoi genitori quanto questa era in una situazione critica di ipoglicemia. «Questi cani vengono allenati a sentire e percepire l’odore dello stress di chi si trova in una situazione di ipoglicemia: la persona comincia a sudare e gli indumenti si impregnano di sudore che il cane riconosce come un segnale d’allarme», ci racconta Rita Bächtold, spiegandoci che lei stessa soffre di diabete e qualche anno fa ha letto di questi cani e della possibilità di formare anche il suo per un compito così utile. Così ha pensato di intraprendere la via dell’istruzione con la sua Tosca: «Si tratta di cani del tutto normali, spesso vivono già in famiglia e si rivelano adatti all’istruzione per diventare cani d’allerta per diabetici, purché non siano di taglia troppo piccola né troppo grande». Infatti, se fossero piccolini non saprebbero ad esempio aprire una porta o il cassetto di un comodino per prendere il misuratore di glicemia da portare alla persona diabetica; troppo grandi potrebbero incutere timore agli altri o essere d’ingombro, visto che accompagnano sempre e ovunque il loro proprietario. La nostra interlocutrice si affida alla scuola Verein Assistenzhundezentrum di Dürrenäsch (www.assistenzhundezentrum.ch) dove ha istruito il suo cane e ha deciso in seguito di seguire la formazione di allenatrice per cani d’allerta per diabetici: «In Ticino mancava questa possibilità e mi sono impegnata perché anche i ticinesi diabetici possano insegnare al proprio cane come aiutarli in caso di bisogno e di ipoglicemia». Oggi Rita Bächtold è responsabile dei corsi che sono organizzati a Contone: «Presto saremo
Rita Bächtold, con il suo cane Tosca. (Maria Grazia Buletti)
riconosciuti come lo è la scuola di cani per ciechi, mentre la Società diabetici svizzera ci ha già attestato la sua approvazione». Dopo averci mostrato Tosca «al lavoro» nel portarle l’apparecchio per misurare la glicemia, grattando sulla sua gamba per renderla attenta e andando a suonare con la zampa il campanello d’allarme, Rita ci racconta qualche aneddoto a proposito di alcune persone che hanno seguito con successo i corsi insieme ai propri cani: «Ricordo una bimba e il suo cagnolino che ha superato brillantemente il test finale, pur essendo piuttosto piccolo. Con estrema intraprendenza, quando la bimba ha simulato un malore da ipoglicemia il suo cane ha cominciato a grattare con la zampa e ad abbaiare fino a correre nella stanza attigua per attirare l’attenzione della mamma».
Una scena che noi possiamo solo immaginare, ma che da sola spiega tutto. «Anche se dobbiamo considerare che si tratta sempre di un cane e nessuno è perennemente perfetto: qualche errore ci può scappare. Può succedere che qualche volta il cane non si senta in forma o semplicemente non abbia molta voglia di collaborare». Ma in fondo anche agli esseri umani talvolta può capitare di non avere molta voglia di andare al lavoro. Noi abbiamo potuto appurare che Tosca ha eseguito sempre e senza titubanze ogni ordine richiesto dalla sua proprietaria Rita Bächtold che (all’indirizzo rita. ba@bluewin.ch) si mette a disposizione di tutti coloro i quali desiderano sapere di più sull’eventualità di istruire il proprio quattro zampe come cane d’allerta per diabetici.
Giochi Cruciverba Si stima che il corpo umano abbia vasi sanguigni per…. Termina la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 5, 9, 10)
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ORIZZONTALI 1. Massimo a Roma 6. Può essere balsamico 11. Inattivo, inoperoso 13. Celebre moschea di Gerusalemme 14. Un colore 16. Capitoli della geologia 17. Svizzera in autostrada 19. Trafila burocratica 21. Giudeo 23. L’impugnava D’Artagnan 25. Le iniziali dell’attrice Stefanenko 27. Un capolavoro di Michelangelo 29. Un numero 31. Le iniziali del Limiti della Tv 32. Scorre... perfido 33. Anagramma del 32 orizzontale 34. Scritta senza consonanti 35. Parte dell’intestino VERTICALI 1. Maga dell’Odissea 2. Con «terno» fanno... dentro 3. Abbreviazione ecclesiastica 4. Capigliatura poetica 5. Il gigante figlio di Poseidone 7. Discorso senza capo né coda 8. Affiorato 9. Tribunale Amministrativo Regionale 10. Città della Russia 12. Un sommo sacerdote ebreo 15. Fu scacciata dall’Olimpo 18. Le iniziali dell’attrice Berry 20. Pesante copricapo 22. Li rifiutava Cincinnato 24. Impervie, malagevoli 26. Gabbia per polli 28. Gas raro 30. Ai confini del tempo 33. Il nucleo del Sole
Sudoku Livello per geni Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
Soluzione della settimana precedente
Il proverbio nascosto – proverbio risultante: Non puoi vedere il bosco se sei tra gli alberi. A N O N I N V E T I V A U L E M I C O S A R T E I E D N B I O R M E
I M O C E I S B O S I S E S T R I A I O O M I S
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Auto-Extra
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Uno sguardo al futuro
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Una macchina dal prezzo contenuto, che consuma soltanto un litro di carburante? Renault assicura che non si tratta di un’utopia e a riprova presenta il suo innovativo vettore Eolab Vi ricordate della VW XL1? Tre anni fa, questa due posti dalla forma a sigaro, pesante neppure 800 chili, a propulsione ibrida con un motore elettrico da 27 CV ed un bicilindrico diesel da 48 CV, fu la prima auto della storia a fregiarsi del titolo di «auto da 1 litro». Oggi viene prodotta in serie limitata di 250 esemplari, dichiara un consumo di 0,9 litri per 100
chilometri, raggiunge una velocità di 160 km/h, con un’autonomia 100% elettrica di 50 chilometri, si può ricaricare alle normali prese di corrente e… costa la bellezza di 110’000 euro! Tre anni fa, quando la presentò, il capo del reparto sviluppo di Volskwagen Ulrich Hackenberg proclamò con orgoglio: «Con lo sviluppo della nostra campionessa
mondiale di risparmio di carburante siamo scesi sotto i limiti del possibile. Nella XL 1 tutto è estremo». Un aggettivo che vale anche per il prezzo! Da poco anche Renault dispone di un’automobile da 1 litro con la concept car Eolab, basata sull’ultima Clio. Il responsabile del progetto, Laurent Taupin, non ne va meno fiero del suo collega
tedesco. Tuttavia, per la progettazione della Eolab, Taupin e il suo team di sviluppatori hanno perseguito tutt’altra strategia di quella VW: «Con la tecnologia avveniristica del nostro vettore, vogliamo dimostrare che si può realizzare un’automobile dal consumo estremamente basso e prestazioni più che accettabili anche senza utilizzare costosi
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materiali». Del rivoluzionario pacchetto tecnologico montato sull’Eolab dovrebbero beneficiarne un folto gruppo di modelli. L’Eolab, infatti, non sarà mai prodotta in serie, ma Taupin assicura che «entro il 2022, circa il 90 percento delle componenti e delle idee utilizzate confluiranno nella produzione su vasta scala».
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Durante i tre anni della fase di sviluppo di un prototipo che offre spazio per quattro persone e tocca i 100 km all’ora in nove secondi, il capo-progetto e la sua squadra si sono concentrati su tre fronti: aerodinamica, costruzione leggera e trazione. E proprio su questi tre elementi ci soffermeremo in queste pagine. / Raoul Schwinnen
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La prima auto da un litro VW XL1
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Forme perfette
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L’idea dell’auto che consuma un solo litro su 100 km non è nuova: già nell’aprile del 2002 l’allora boss della Volkswagen Ferdinand Piëch e il suo successore Bernd Pischetsrieder avviarono a Amburgo il progetto VW 1L. Con un peso di soli 290 chili, quel veicolo aveva due sedili allineati uno dietro l’altro, un motore monocilindrico diesel da 8,5 CV e consumava 0,89 l/100 km.
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Aerodinamica
Aerodinamica ottimizzata
SOLUZIONI RAFFINATE CARROZZERIA: un’ampia serie di misure porta a un coefficienze di resistenza aerodinamica complessivo di soli 0,470 SCx. SOSPENSIONI PNEUMATICHE: da ferma, l’Eolab è più alta di 25 mm. Una volta in movimento, le sospensioni scendono alla posizione intermedia normale. A partire da una velocità 70 km/h, l’Eolab si abbassa ulteriormente di 25 mm per minimizzare il passaggio dell’aria sotto il veicolo. RUOTE: per un design più bello e per raffreddare i freni, i cerchi sono aperti quando l’auto è ferma. Una volta in marcia, gli spazi tra le razze vengono chiusi per mezzo di un raffinato meccanismo.
1. Tetto a volta 2. Deflettore sopra il passaruota 3. Spigoli aguzzi che riducono la turbolenza frenante 4. Retrovisori laterali sostituiti da telecamere con minor resistenza all’aria 5. Prese d’aria canalizzano il flusso sulle ruote anteriori 6. 15% di minor resistenza al rotolamento rispetto alla Clio grazie a copertoni di 145 mm 7. Spoiler anteriore attivo che si abbassa di 10 cm a partire dai 70 km/h 8. Assetto che varia di 25 mm grazie a sospensioni pilotate ad aria 9. Dispositivo intelligente che ostruisce i cerchioni quando i freni non hanno bisogno di essere raffreddati, riducendo così la resistenza all’aria 10. Alettoni attivi che si aprono di 6 cm allo scopo di canalizzare i flussi d’aria frenanti lungo le fiancate 11. Pianale ribassato con minor resistenza all’aria
Con la stessa lunghezza (4,06 m), ma un po’ meno alta della Renault Clio di base, per la Eolab è stata concepita una carrozzeria a goccia, perfezionata nella galleria del vento, con uno spoiler sul tetto a forma di mezzaluna e la coda più stretta di 10 centimetri. Il coefficiente di penetrazione dell’aria eccezionalmente basso ( 0,235 Cx) è inferiore del 30 percento a quello della Clio. Il risultato di questa ottimizzazione aerodinamica: a 130 km/h il consumo si riduce di 1,2 litri su 100 chilometri.
Nel 2009 seguiva un ulteriore sviluppo del prototipo L1, nel frattempo aumentato a 380 chili e dotato di un diesel bicilindrico accoppiato a un motore elettrico da 39 CV. Il consumo di questa biposto si attestava a soli 1,38 l/100 km. Dopo altri due anni, fu presentata al Motor Show del Qatar la versione di serie XL1 con propulsore ibrido plug-in e due sedili affiancati. Tuttavia, il primo cliente svizzero – l’imprenditore argoviese Hanspeter Setz – è riuscito a venire in possesso della sua VW XL1 soltanto due mesi fa. Al prezzo ufficiale di 111’000 euro.
Propulsione efficiente
Propulsione ibrida
Una dieta di successo
Scocca
Come modello di riferimento è stata adottata la Renault Clio Tce con 120 CV e 1205 kg di peso, un’accelerazione da 0 a 100 km/h in 9 secondi netti e un consumo di 5,2 l/100 km. La «nostra Eolab», spiega Taupin ricordando le sfide poste dalla propulsione, «doveva raggiungere esattamente le stesse prestazioni, ma con un consumo nettamente inferiore». L’alleggerimento del veicolo ha permesso l’impiego di una motorizzazione più piccola e di un modulo ibrido plug-in con un’autonomia a elettricità di 60 km.
1. Motore tre cilindri a benzina di 1000 cc, che eroga 78 CV e una coppia di 95 Nm 2. Motore elettrico da 54 CV e coppia di 200 Nm con autonomia 100% elettrica fino a 60 km 3. Cambio automatico a tre rapporti, di cui i primi due associati al motore elettrico, il terzo al motore termico. 4. Unità di comando elettronico 5. Batteria agli ioni di litio con 6,7 kW/h di energia immagazzinata 6. Serbatoio di benzina 7. Impianto di scarico 8. Sistema di recupero dell’energia 9. Connettore per ricaricare la batteria alla presa di corrente
La Renault Eolab pesa solo 955 chilogrammi. Vale a dire circa 400 in meno del modello di base Clio. In dettaglio, la dieta ha riguardato: 130 kg di scocca, 110 di assetto ed equipaggiamento e altri 160 kg di telaio e organi di trazione. Per ottenere questo dimagrimento non si è fatto ricorso a materiali «esotici» o estremamente costosi come titanio e fibre di carbonio. La costruzione coniuga, infatti, elementi di acciaio, alluminio, magnesio e compositi plastici super resistenti.
Oltre alla costruzione in sé con differenti strutture d’acciaio, l’elemento di spicco della carrozzeria Eolab è sicuramente il leggerissimo tetto in magnesio del peso di soli 4,5 chili. Impiegato finora per componenti interne come le armature dei volanti, il magnesio ha il vantaggio di essere più leggero dell’acciaio e dell’alluminio, rispettivamente del 60 e del 20 per cento. Ma il suo processo di lavorazione è più complesso. Appositamente per il tetto dell’Eolab è stato messo a punto un innovativo procedimento che consente di produrre lamiere di magnesio.
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–130 kg
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Telaio
Propulsione
Nel telaio, che costituisce in media fino al 20 percento del peso del veicolo, l’acciaio è stato sostituito con l’alluminio. Risultato: l’alloggiamento anteriore è stato alleggerito di 5,3 chili, i bracci della sospensione ne perdono 1,8, mentre il perno del fuso pesa 5 kg in meno e i puntoni dell’assale posteriore 9 kg in meno. Senza sacrificare nulla a livello di sicurezza, l’impianto frenante in alluminio risparmia 14,5 chili, dei quali ben 1,3 chili sul solo freno a mano.
COMBINAZIONE INTELLIGENTE DUE MOTORI: l’abbinamento di un motore tre cilindri a benzina da 1000 cc (78 CV) e di un gruppo elettrico (54 CV), combinato a un peso minore e a una migliore aerodinamica, permette di raggiungere le stesse prestazioni della Clio Tce 120, presa come modello di riferimento. Tuttavia, grazie a un raggio d’autonomia di 60 km in modalità 100% elettrica, il consumo a norma si attesta a 1,0 l/100 km con emissioni di CO2 di soli 22 g/km. DUE PROGRAMMI: prima della partenza si può scegliere tra la modalità «settimana» per i tragitti brevi – che sfrutta al massimo il motore elettrico – e una modalità «week-end» per le distanze più lunghe. Anche in questa modalità si parte ad elettricità, ma il motore a benzina entra in funzione relativamente presto e fornisce più potenza.
Equipaggiamento Laurent Taupin: «Già 50 delle nostre 100 innovazioni sono in attesa di essere brevettate»
Intelligente combinazione di materiali STRATEGIA OLISTICA: non c’è un unico elemento che consente di alleggerire il peso, ma molti piccoli accorgimenti esterni, interni e a livello della trazione. Soltanto sulla sicurezza non si è risparmiato. COSTI: oggi esistono carrozzerie in alluminio o in fibre di alluminio e di carbonio. Sono però molto costose e richiedono spesso procedimenti produttivi altrettanto costosi. Perciò, per la Eolab sono state messe a punto soluzioni appropriate alla produzione in serie per un’ampia fascia di clientela. La ricetta vincente: un’accurata combinazione di materiali relativamente convenzionali.
–110 kg
Oltre ai sottili finestrini in vetro stratificato e policarbonato, la squadra di progettisti dell’Eolab è riuscita a risparmiare peso anche sull’allestimento interno. Per esempio, con un’intelaiatura in alluminio, fibra di carbonio e magnesio, i sedili anteriori sono più leggeri del 35 per cento di quelli della Clio. Grazie a una costruzione semi-rigida più compatta e «più attillata», è stato guadagnato un altro 40 per cento di peso sui gusci dei sedili, senza sacrificare confort e sicurezza.
–160 kg
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Auto-Extra
L’assistente viaggia nel telefonino Tecnologia Oggi gli smartphone sono usati per qualsiasi cosa. In auto sono protagonisti già da tempo.
E in futuro si guiderà ancora di più tramite app Era il 1983 quando fece la sua apparizione sul mercato il Motorola DynaTAC 8000X, il primo telefono mobile in assoluto. Il suo inventore, Martin Lawrence Cooper, si era lasciato ispirare dalla serie televisiva di fantascienza Star Trek. Meno fantascientifico sarebbe se oggi il Comandante Kirk e Mister Spock scambiassero la loro Entreprise per un’automobile…
Nuove applicazioni spronano il conducente alla guida ecologica Infatti, oggi lo smartphone in macchina non funge più solo da jukebox, indicatore del percorso o stazione meteorologica. Nuove applicazioni specifiche per l’auto valutano il comportamento al volante e spronano il conducente alla guida ecologica. E dal momento che la generazione-Facebook vuol essere costantemente aggiornata, ci sono app che consentono di visionare subito feed, tweet o messaggi di stato anche mentre si guida. Chi è stanco di trascorrere ore alla ricerca di un parcheggio o del distributore di benzina più a buon mercato, può lasciarsi guidare senza indugi alla meta da una delle tante applicazioni esistenti. Ma il divertimento non va trascurato neppure se si circola su quattro ruote. Perciò, alcuni costruttori offrono delle applicazioni che abbinano la musica più appropriata al proprio stile di guida.
Tuttavia, molte applicazioni sono molto di più di futili giochini e possono rappresentare un grande aiuto in caso di situazioni d’emergenza. Infatti, via telefonino si possono allertare i soccorsi se l’airbag si gonfia o se il flusso di benzina si interrompe bruscamente e si può perfino rintracciare un veicolo disperso. Presto queste app intelligenti potrebbero servire anche per stilare la diagnosi del veicolo a distanza, che saranno poi inoltrate direttamente al meccanico di fiducia. Mentre altre potranno sostituire le chiavi dell’auto. Già oggi, grazie a MirrorLink lo schermo del telefonino può essere proiettato sullo schermo di bordo. E su alcuni veicoli, il display dello smartphone so-
stituisce già ora completamente quello del veicolo. E questi sono solo gli inizi dell’auto in rete. Diversi costruttori stanno lavorando alacremente su modelli a guida autonoma, che non hanno più bisogno né di un conducente né di uno smartphone. Anche in questo caso si sono lasciati ispirare da Mister Spock e compagnia? In fondo, la nave stellare Enterprise fluttuava nello Spazio tramite pilota automatico già quarant’anni fa. / Rafael Künzle Grazie a MirrorLink le foto e altri contenuti dello smartphone possono essere proiettati sullo schermo di bordo.
Qualche app utile all’automobilista Info traffico RSI
Chi non vuole restare bloccato in colonna, prima di mettersi in strada può dare un’occhiata all’app gratuita «RSI. ch traffico». Grazie alla localizzazione GPS, il programma visualizza i punti congestionanti nei dintorni. E sfiorando semplicemente lo schermo potrete anche inviare a Viasuisse segnalazioni su code e altre perturbazioni. Trova il parcheggio
La ricerca di un posteggio è spesso snervante. Si può velocizzarla con «park it». Oltre a segnalarvi i parcheg-
gi disponibili nelle vicinanze, questa applicazione per Android vi consente di prenotare e pagare il parcheggio via smartphone. Diagnosi di bordo
Con l’app «Torque Pro» il vostro telefonino si trasforma in un computer di bordo. Per potervi collegare, dovete prima installare sull’auto un adattatore OBD Bluetooth, che trasmette il segnale al vostro smartphone facendolo diventare uno strumento di «on-board diagnostics». Sulle schermo sono visualizzati decine di dati, per esempio i
valori dei gas di scarico, la temperatura dell’acqua nel radiatore. Ritrova la mia auto
Vi trovate in una città sconosciuta e non riuscite più a ricordarvi dove avete posteggiato l’automobile. L’app «Find my car» memorizza via GPS il luogo del parcheggio o del vostro albergo oppure di qualsiasi altra posizione e poi vi indica la via per ritornarci. Scegli la tua auto
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Auto-Extra
Il futuro dell’automobile Intervista L’obiettivo è zero morti sulle strade e le macchine autoguidate permetteranno di raggiungerlo In Germania, il Professor Ferdinand Dudenhöffer è spesso chiamato il «Papa dell’Auto». Con il fondatore del Center Automotive Research (CAR) all’università di Duisburg-Essen, parliamo delle attuali tendenze nel settore dell’automobile. Professor Dudenhöffer, lei ha lavorato a lungo per i costruttori automobilistici e in quanto fondatore del CAR ha sempre il polso della situazione. A quali tendenze andiamo incontro nel settore dell’auto?
Una delle grandi innovazioni è la guida autonoma, che sarà introdotta gradualmente nel corso dei prossimi anni e renderà l’autovettura futuristica come non mai. Già oggi esistono sistemi di assistenza alla guida che, in determinate situazioni, «prendono in mano» l’acceleratore, i freni e addirittura il volante. E sono sicuro che verrà il giorno in cui tutti guideremo in modalità completamente autonoma. Le prime macchine autoguidate potrebbero apparire sul mercato già nel 2025, ma prima bisognerà adattare la nostra legislazione. In Europa va sempre un po’ di più a lungo, mentre negli USA ci sono già tre Stati federali dove i veicoli a guida autonoma sono permessi. Non dobbiamo assolutamente mancare questo sviluppo. Cosa cambia con la guida autonoma?
Pensiamo solamente al car sharing.
Oggi ci rechiamo alla stazione di consegna per ritirare l’auto. Domani, invece, l’auto verrà a casa nostra e non dovremo fare altro che salire a bordo. Perché mai dovrei avere ancora un’auto di proprietà? Nelle città la qualità di vita aumenterà, perché ci sarà bisogno di meno parcheggi. Inoltre, non si verificheranno errori di guida, quindi non ci sarà bisogno delle assicurazioni di responsabilità civile. Di conseguenza, anche il settore assicurativo dovrà riposizionarsi. E se un giorno tutti circoleranno in modalità autonoma, avremo realizzato la più grande delle visioni: zero morti sulle strade. Un Paese emergente come la Cina influenza le tendenze del settore?
Altroché! Penso che la Cina diventerà un Paese modello per l’industria dell’auto e, sebbene al momento suoni strano, anche un Paese modello in campo ecologico. Se oggi vai a Pechino, senti la puzza di smog e l’aria è appestata dall’inquinamento. Una situazione di cui i Cinesi non vedono l’ora di sbarazzarsi. Nell’intera nazione uno dei temi principali è l’ambiente e l’economia sostenibile. E qui le auto elettriche potrebbero recitare un ruolo di primo piano. Attualmente, per lo sviluppo dell’infrastruttura di ricarica elettrica viene stanziato l’equivalente di 16 miliardi di franchi. Nel 2020, sulle strade cinesi dovrebbero circolare già cinque milioni di e-auto, dato che già ora si concedono sovvenzioni fino a
L’esperto per eccellenza Ferdinand Dudenhöffer è nato nel 1951 a Karlsruhe (D) ed è uno dei massimi esperti europei in campo automobilistico. Apprezzato economista, ha ricoperto posizioni dirigenziali in grandi case come Opel, Peugeot e Citroën, oltre ad aver diretto la ricerca di mercato per Porsche. Dal 2008, Dudenhöffer è professore all’università di Duisburg-Essen dove è titolare della cattedra di «Gestione aziendale e industria automobilistica». È anche il fondatore del Center Automotive Research (CAR). Il centro fondato
da Dudenhöffer nel 2008 all’Università di Duisburg-Essen promuove importanti lavori di ricerca nei campi dell’industria e della gestione automobilistica, nonché della meccatronica. L’istituto pubblica studi sugli sviluppi del mercato mondiale dell’auto, sulle strutture dei prezzi del mercato dell’auto tedesco, e su temi d’attualità. Tra le manifestazioni di maggior rilievo promosse dal centro c’è l’annuale congresso del CAR, nel corso del quale si ritrovano e si scambiano opinioni i principali manager dell’industria dell’auto e della componentistica.
andava in vacanza, mentre oggi l’auto è confrontata alla concorrenza dei voli charter che ti portano in capo al mondo. D’altra parte ci si allontana sempre di più dalla realtà per vivere in un mondo virtuale. Se oggi passeggiate in una città, vedete come la gente non guarda più le vetrine ma lo smartphone. Le auto, però, fanno ancora parte del mondo reale e, dato che noi siamo sempre più immersi nel virtuale, perdono inevitabilmente di fascino. Con i sistemi infotainment il mondo virtuale è entrato anche nell’auto. Non saremo sempre più distratti?
Ferdinand Duddenhöffer: «La Cina diverrà un modello per l’industria dell’auto, e un modello in campo ecologico». (Keystone)
15’000 franchi sottoforma di incentivi all’acquisto. Costruttori come Daimler e BMW hanno riconosciuto questo potenziale e producono già vetture elettriche per il mercato cinese assieme a costruttori locali. Le auto elettriche si imporranno anche da qui noi?
Si affermeranno solo se le vorremo. Vale a dire se la politica introdurrà le relative normative. Da sole non arrivano di certo. Esattamente come non sarebbero arrivate le auto a basso consumo di carburante senza le prescrizioni di Bruxelles. Abbiamo bisogno dell’appoggio dei politici dell’Unione Europea. Allora tra 20 anni non ci saranno più i super bolidi da centinaia di cavalli?
Prendo atto che l’immagine dell’auto nella nostra società sta cambiando. Un esempio: di recente abbiamo condotto un test con clienti Mercedes. Uno di loro guidava la sportivissima C 63 AMG e guidava sempre in modo frenetico e stressante per poter utilizzare a fondo la potenza del motore. Poi ha comprato la BMW i3 completamente elettrica e da allora è un uomo totalmente diverso. Adesso guida molto rilassato e con grande piacere. Lentamente, questo modo di pensare sta prendendo piede. E un giorno ci chiederemo tutti se vogliamo davve-
ro tornare ai vecchi tempi, quando le macchine avevano larghi tubi di scappamento e cilindrate enormi. L’atteggiamento e la consapevolezza delle persone nei confronti dell’efficienza e della sostenibilità sta mutando. E in questo scenario non c’è posto per un’auto da 1000 CV. Come mai la percezione delle auto è cambiata così tanto?
Io sono cresciuto in un’epoca in cui non c’erano ancora i telefonini cellulari. A casa c’era un telefono, un televisore e un’automobile. La macchina era il centro del nostro mondo. Con lei si
In realtà, si constata che le sollecitazioni sul guidatore sono sempre maggiori. Inoltre la nostra società sta invecchiando e con lei anche l’automobilista medio. Ciò provoca due effetti. Innanzitutto, gli anziani non hanno più i riflessi tanto rapidi quando sono confrontati a cambi di scenario. Contemporaneamente offriamo loro sempre più distrazioni, che sfociano in più affaticamento e quindi in più incidenti. Lo si vede anche dal numero degli incidenti, che per anni è andato diminuendo mentre al momento è stagnante. Un altro problema è il telefonino: a prescindere che si usi il sistema viva voce o l’auricolare, quando telefoniamo abbandoniamo ulteriormente la realtà e pensiamo a quello che ci dice il nostro interlocutore. Il risultato è che reagiamo più lentamente anche nelle situazioni delicate. Dobbiamo assolutamente evitare che il numero degli incidenti tendi ad aumentare. / Andreas Engel
Cina al centro del mondo dell’auto Il mercato automobilistico globale continua a crescere: se nel 2000 le automobili vendute in tutto il mondo erano circa 49 milioni, nel 2013 hanno superato i 71 milioni. E la fine della crescita non è tuttora all’orizzonte, come dimostra un recente studio del CAR di Ferdinand Dudenhöffer. Secondo una proiezione, nel 2030 usciranno dai concessionari ben 124 milioni di veicoli. E la Cina è destinata a fare la parte del leone. Se nel 2005 la
sua quota costituiva ancora soltanto il 6 per cento del mercato mondiale, con 3,15 milioni di unità vendute, nel 2013 erano già 13,3 milioni le nuove auto che hanno trovato un acquirente in Cina: più del quintuplo del 2005 e primato mondiale. Secondo il CAR, questa cifra potrebbe più che raddoppiare entro il 2025 e attestarsi a 36 milioni di automobili vendute, ciò che rappresenterebbe il 35 percento del mercato automobilistico mondiale. Annuncio pubblicitario
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Auto-Extra Se è Fabian Oefner a imbrattare di vernice una costosissima Ferrari California T, non si parla più di vandalismo, ma di arte.
Il mago del colore L’artista Circa due anni e mezzo fa Fabian Oefner decise di votarsi completamente alla fotografia artistica.
In questo lasso di tempo, il trentenne argoviese è diventato un artista di livello internazionale, con coloratissime mostre a Milano e Dubai
Le sue opere vengono esposte in tutto il globo, le università se lo contendono. È proprio quello che Fabian Ofner (30 anni), artista e fotografo argoviese con un diploma di designer in tasca, sognava due anni e mezzo fa, quando decise di mettersi in proprio. Nella primavera dell’anno scorso, con le sue immagini Oefner è riuscito a creare l’illusione di una vettura che esplode disintegrandosi: con un lavoro da certosino, l’artista ha dapprima smontato pezzo per pezzo il modellino di un’auto d’epoca in scala 1:18, poi ha collocato nella giusta posizione e sotto la giusta luce ogni singola componente, anche le viti più minuscole, e ha iniziato a scattare fotografie. «Con questi scatti ho ricreato un momento che non è mai avvenuto», spiega Oefner. Risultato: tutte le 75 immagini realizzate sono state vendute in un battibaleno. Oltre che con queste creazioni puramente artistiche, Oefner si guadagna da vivere con lavori su commissione. E così ha incrociato nuovamente la strada del mondo dell’auto. A richie-
dere la creatività dell’artista svizzero è stato nientemeno che il costruttore di auto sportive per eccellenza: Ferrari. Lo scopo: pubblicizzare la nuova California T negli Stati Uniti. E, così, a Oefner è venuta l’idea di rivelare la velocità attraverso le forme del colore. Il tutto grazie a sgargianti vernici psichedeliche spruzzate sulla carrozzeria da un sistema di ugelli concepito dallo stesso artista. Dopo tre mesi di preparativi, Oefner si è recato nel quartier generale della Ferrari a Maranello, dove ha realizzato il suo progetto all’interno della galleria del vento, con un flusso d’aria che soffiava a 200 km/h. Quest’anno le opere dell’artista si potranno vedere in primavera alla Salome di Milano (dal 14 al 19 aprile) e in autunno alla M.A.D Gallery di Dubai. Sempre in autunno seguirà una seconda serie di immagini di lussuose autovetture che saltano in aria. / Andreas Engel, foto Laurent Burst Informazioni
fabianoefner.com Nel suo atelier immerso nella luce di Oberentfelden (AG), Oefner concepisce e realizza le sue creazioni artistiche.
Per creare l’illusione dell’esplosione di questa Mercedes 300 SLR ci sono voluti circa due mesi.
Minuziosa preparazione – Su questa riproduzione in scala, modellata sulle forme della Ferrari California T, Fabian Oefner ha sperimentato diversi colori nel suo studio nel Canton Argovia, dove ha messo a punto il progetto. Successivamente, dopo tre mesi di preparativi, si è recato nella galleria del vento della Ferrari a Maranello.
Centinaia di componenti – L’artista Fabian Oefner (d.) mostra al redattore di Migros Magazin Andreas Engel i dettagli del modellino in scala 1:18 di una Ferrari 330 P4.
Artista versatile – Sul fondo dell’atelier di Fabian Oefner c’è spazio per sofisticati esperimenti. A sinistra: raccolta di schizzi, piani e immagini dei progetti realizzati.
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Politica e Economia Giubileo straordinario Con 10 anni di anticipo Papa Bergoglio annuncia la sfida all’insegna della misericordia
La Nuova Via della Seta Preoccupata per il rallentamento della sua crescita, Pechino investe fondi e energie in un progetto terrestre (in Asia centrale) e marittimo (nel sudest asiatico) che rilanci l’economia
Fotoreportage In fuga dalla Siria 4 anni dopo l’inizio della guerra civile
pagina 33
Dietrofront al Nazionale Un compromesso raggiunto fra Helvetia Nostra e la destra borghese porta la Camera del Popolo a rinunciare all’annacquamento dell’iniziativa popolare sulle residenze secondarie pagina 37
pagina 34 pagina 31
Una marcia per protestare contro la violenza sulle donne. (Keystone)
Suzette, donna coraggio La seta indiana L’attivista, violentata nel 2012, è morta a Calcutta di meningite. Si è sempre rifiutata di nascondersi
nonostante le leggi indiane vietino di rivelare l’identità delle vittime di stupro Francesca Marino L’avevamo sentita l’ultima volta qualche giorno fa, per domandarle di venire a sfilare con noi l’8 marzo per la giornata delle donne e per One Billion Raising, il flash-mob mondiale in difesa dei diritti delle donne. «Non ce la faccio, Didi, aveva detto. Non mi sento bene, probabilmente è il tempo così strano ma ho mal di testa e la febbre, preferisco stare a casa e riposare». È morta due giorni dopo al Medical College di Calcutta, di meningite. Aveva appena compiuto quaranta anni, e lascia dietro di sé due figlie adolescenti e il ricordo del suo coraggio. «Mi chiamo Suzette Jordan» aveva dichiarato due anni fa a una giornalista della Bbc «Mi chiamo Suzette Jordan e mi rifiuto di essere conosciuta e definita soltanto come “la vittima dello stupro di Park Street”». Finita l’intervista, aveva chiesto alla giornalista in questione di non oscurare il suo viso, mascherare la sua voce o cambiare il suo nome. Un atto di coraggio estremo, considerato che
la legge indiana proibisce di rivelare l’identità delle vittime di stupro. Un atto di coraggio estremo, visto che lo stupro di Suzette, il famigerato «stupro di Park Street» in questione ha destato e desta ancora polemiche infinite in città. Riassunto delle puntate precedenti, come si dice: nel febbraio del 2012 Suzette era con amici nel night di uno degli alberghi a cinque stelle che si affacciano su Park Street, la strada più elegante di Calcutta. Prima che sorgesse il giorno la ritrovano ai bordi di una strada praticamente in fin di vita. Il corpo ricoperto di ecchimosi e lacerazioni, gli abiti strappati. Il referto medico evidenzia ulteriori lacerazioni, meno visibili delle altre, e ipotizza che si sia trattato di uno stupro di gruppo. La polizia, dove Suzette si reca con il supporto della famiglia per denunciare l’accaduto, si rifiuta di prenderla sul serio: perché Suzette, in fondo, non è una brava ragazza. Quale madre di due figlie degna di questo nome, difatti, resta fuori fino a tarda notte fumando, bevendo e ballando in un night
club la notte di san Valentino? Quale madre di due figlie degna di questo nome indossa leggins e un top scollato e tacchi alti per andare a ballare in compagnia di uomini che non sono suo marito? Ci stava Suzette, di sicuro, e adesso cerca soltanto di mettere nei guai quelli che le hanno dato, in fondo, quello che andava cercando. Commenti disgustosi del genere non arrivano soltanto dai poliziotti o da gente ottusa e ignorante ma anche dalle istituzioni. E Mamata Banerjee, il Chief Minister donna che governa Calcutta e il West Bengal, arriva a dire che si è trattato di un incidente organizzato dai suoi avversari politici. Suzette diventa vittima di un linciaggio morale senza precedenti: stuprata due volte, fisicamente e spiritualmente. I vicini la segnano a dito, le sue figlie a scuola vengono fatte bersaglio di commenti indegni e infami. La gente mormora e mette sotto accusa la vita «dissipata» della giovane donna, sciorinando l’infame repertorio che ciascuno di noi ormai di mezza età ricorda nello storico proces-
so del Circeo. A essere messa sotto accusa è la vittima: la sua moralità, la sua vita, le sue abitudini. Come se non essere «una brava ragazza» agli occhi della piccola e media borghesia autorizzasse qualcuno a uno stupro di gruppo. Pur sostenuta da Ong e attivisti per i diritti umani, Suzette non riesce più a trovare un lavoro: nessuno vuole dare un impiego alla «vittima di Park Street». Fino a che, per permetterle di continuare a sostenere le sue figlie (perché a quel punto la donna rischia anche che le siano tolte le figlie) una delle Ong la assume, per una cifra modesta ma fondamentale, per lavorare al telefono in un centro anti-violenza. Nessuno e niente, mai, le permette di dimenticare e di continuare con la sua vita. Le cicatrici del corpo se ne sono andate da un pezzo, quelle nell’anima restano ancora là, riaperte ogni volta dalla cattiveria, dall’ottusità, dal perbenismo ipocrita di una società che noi, adolescenti negli anni Settanta, ci ricordiamo bene. Mesi fa Suzette era stata cacciata dal bar dell’ennesimo albergo a cinque stelle: il
manager l’aveva riconosciuta e le aveva chiesto di uscire dal locale. Come un’appestata, come una strega. Ma lei andava avanti, coraggiosa e fragile. In chiesa c’erano migliaia di persone: attivisti, donne, la comunità angloindiana di Calcutta, a cui Suzette apparteneva, al completo. Brillavano per la loro assenza le istituzioni, al completo. Che non solo non hanno dato ancora giustizia a Suzette, ma che si rifiutano di rispondere a un quesito facile facile: perché al Medical College di Calcutta non sono in grado di diagnosticare una meningite? Suzette è morta, ma nessuno di noi dimentica. Sua figlia, in Chiesa, ha dichiarato di essere fiera di quella madre che le ha insegnato il coraggio e l’onestà. A non arrendersi mai. Di essere fiera di quella madre che ha sempre vissuto la propria vita facendo ciò che riteneva giusto. Buona notte Suzette, buonanotte. Abbi pace dovunque tu sia. In quel mondo migliore in cui, come si dice, «le brave ragazze vanno in Paradiso, ma quelle cattive vanno dappertutto».
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Politica e Economia
Il giubileo di Papa Francesco Anno Santo della misericordia A due anni
Giorgio Bernardelli Lo ha chiamato l’Anno Santo della misericordia; ma per tutti è già il Giubileo di Francesco. Dodici mesi scarsi – dall’8 dicembre 2015 al 20 novembre 2016 – che si annunciano come il momento della verità per il papa venuto dall’Argentina. È la nuova sfida che Bergoglio ha lanciato proprio nel giorno del secondo anniversario della sua elezione al soglio pontificio. Quindici anni dopo la chiusura del Giubileo del 2000 – quello di un Giovanni Paolo II reso ormai ieratico dalla malattia, dopo la stagione trionfale del crollo dei muri – Francesco sceglie di ripercorrere quella stessa strada con un Anno Santo straordinario, convocato con dieci anni di anticipo rispetto alla scadenza «canonica» del 2025. Anno di pellegrinaggi e remissione dei peccati: questo – dal 1300 a oggi – è storicamente un Giubileo per i cattolici, con il passaggio simbolico sotto la Porta Santa della basilica di San Pietro, fisicamente chiusa con un muro durante tutti gli altri anni. Ma al gesto fisico si accompagna soprattutto un tempo forte di autocoscienza per una Chiesa in cammino dentro la storia.
Il richiamo alla misericordia resta la vera bussola per Bergoglio. Sarà un anno per far riscoprire all’uomo oggi la gioia di sentirsi perdonati Viene allora subito da chiedersi: come sarà il Giubileo di un papa che ha fatto della sobrietà e del primato dei poveri la sua bandiera? Sono bastati pochi giorni in Italia per far partire la sindrome da grande evento, con stime da 30 milioni di pellegrini in arrivo e il sindaco di Roma già pronto a battere cassa davanti a Palazzo Chigi. Forse, però, sarebbe meglio aspettare almeno un momento; perché non è affatto escluso – ad esempio – che lo stile Francesco non arrivi a mischiare un po’ le carte anche rispetto al modo di celebrare questo evento che affonda le sue radici nella Roma medievale. Qualcosa si dovrebbe capire già nel giro di qualche settimana: per domenica 12 aprile – la domenica dopo Pasqua che per volontà di Giovanni Paolo II è la intitolata proprio alla Divina Misericordia – è previsto infatti il primo atto ufficiale e cioè la lettura solenne della Bolla di indizione. Un passaggio non solo formale: lì dentro solitamente i Pontefici indicano le modalità attraverso cui i fedeli potranno vivere l’Anno Santo. E – con un papa venuto «dalla fine del mondo» e così attento alle periferie – non è affatto detto che siano tutte a Roma. Una cosa – ad esempio – la si può già dare praticamente per certa: non ci sarà nessuna riedizione del mega raduno dei giovani a Tor Vergata, l’evento
che tutti i servizi televisivi ci hanno fatto rivedere ricordando il Giubileo del 2000. Non ci sarà per il semplice fatto che per l’agosto 2016 è già fissata a Cracovia la Giornata mondiale della gioventù. E dunque – con ogni probabilità – almeno gli under 30 l’appuntamento centrale dell’Anno Santo lo vivranno in Polonia, dove sarà piuttosto il papa a raggiungerli. Inoltre il 2016 dovrebbe essere un anno scandito anche da altri viaggi molto significativi per Bergoglio, primo tra tutti il suo ritorno in Argentina, la terra natale che lo aspetta, a quel punto, già da tre anni. Ed è difficile immaginare che anche quello non diventi un appuntamento giubilare. Alla fine, dunque, l’Anno Santo potrebbe rivelarsi molto meno romano di quanto oggi si immagini. Perché – ed è questo il punto vero – ciò che sta realmente a cuore a papa Francesco è proprio accelerare sul tema della misericordia; una parola che, ogni giorno che passa, appare sempre di più come la cifra del suo pontificato. Quello del 2015/2016, dunque, difficilmente si presenterà come un Giubileo muscolare, fatto di grandi adunate. Sarà invece l’Anno Santo di un papa che è il primo a pronunciare frasi come: «chi sono io per giudicare?» o «pregate per me perché sono un peccatore». Sarà un tempo in cui Bergoglio chiederà alla Chiesa di diventare una comunità più accogliente per le donne e gli uomini di oggi. Una Chiesa che non usa il Vangelo per contrapporre, ma per abbracciare. Emblematica la scelta dell’8 dicembre 2015 come data per l’inizio del Giubileo della misericordia: proprio quel giorno ricorreranno, infatti, i 50 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, il grande snodo per il cattolicesimo del Novecento. Il momento in cui la Chiesa di Roma scelse la via del dialogo con il mondo contemporaneo, con posizioni coraggiose su temi come la libertà, il rapporto con le religioni non cristiane, il ruolo dei laici e delle donne. A cinquant’anni di distanza Francesco dice: è la misericordia la strada per riprendere quel cammino. Ed è un’affermazione che appare come una precisa scelta di campo nel dibattito interno alla Chiesa cattolica di oggi. Al malcontento dei custodi del rigorismo – che guardano con sempre più sospetto alla «confusione» provocata da certe prese di posizione di Bergoglio – lui risponde con un Anno Santo della misericordia. Dodici mesi che cominceranno proprio dopo la conclusione della seconda Assemblea del Sinodo dei vescovi sul tema della famiglia, in programma a ottobre; un appuntamento che già prima dell’annuncio del Giubileo si annunciava per la Chiesa cattolica come il momento delle scelte su temi come la questione dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati e – più in generale – sull’atteggiamento nei confronti della morale sessuale. Ci sono settori del cattolicesimo che stavano già preparando le barricate in vista del Sinodo, per evitare «pericolose derive relativiste».
Keystone
esatti dalla sua elezione a Papa, Bergoglio lancia una sfida con 10 anni di anticipo rispetto alla scadenza del 2025
All’opposto, con l’indizione dell’Anno Santo della misericordia, papa Francesco alza la posta di questo confronto. Non è più – semplicemente – un dibattito da canonisti su un sacramento da concedere oppure no; in gioco c’è molto di più: l’idea stessa di una chiesa come «ospedale da campo» – come ama chiamarla lui – preoccupata di stare vicina ai feriti molto più che della salvaguardia di alcuni principi teorici. Quasi a rendere ancora più chiara l’urgenza della questione, poi, in occasione del secondo anniversario dell’elezione, sono arrivate anche le parole – consegnate in un’intervista alla tv messicana – sulla «sensazione» di avere di fronte a sé un orizzonte di tempo breve, «quattro o cinque anni di Pontificato» in tutto. Parole non strane per un uomo che si avvicina agli ottant’anni; eppure assolutamente inedite sulla
bocca di un papa e per questo passate attentamente alla moviola da tutti i vaticanisti. Che cosa voleva dire Bergoglio con quell’accenno? C’è chi ha pensato a una malattia, chi all’intenzione di dimettersi come ha fatto il suo predecessore... Ma la risposta più plausibile è probabilmente la più semplice: papa Francesco avverte l’urgenza di portare a compimento la riforma che ha avviato nella Chiesa. Sente che la stagione difficile che il cattolicesimo sta vivendo – tra persecuzione violenta e crisi di credibilità lasciata in eredità dagli scandali del recente passato – chiede tempi brevi. Tempi di scelte straordinarie. Ed ecco allora l’idea dell’Anno Santo, inteso come un modo per far partecipare tutto il mondo cattolico a questo sforzo di rinnovamento. In fondo il Giubileo è un invito a non guardare a quanto sta accadendo in Vaticano come a una sorta di House
of Cards con una spruzzatina di sacro. È la conferma di quell’ideale di una Chiesa di popolo che fin dal suo primo saluto dalla loggia di San Pietro il papa argentino ha costantemente proposto. In questo senso quello che si aprirà a dicembre sarà il Giubileo di Francesco: il momento durante il quale tirare le somme di quell’ansia di novità che il suo stile così fuori dagli schemi ha risvegliato tra tanti cattolici e in buona parte del mondo laico. E il richiamo alla misericordia resta la vera bussola per Bergoglio; con una sfida non da poco: far ritrovare ai cattolici il senso della confessione, il più in crisi tra i sacramenti, ma anche quello che Francesco sente a sé più vicino. Sarà un anno per far riscoprire all’uomo di oggi la gioia di sentirsi perdonati. Oltre le due schiavitù speculari del mondo contemporaneo: l’indifferenza e i sensi di colpa.
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Politica e Economia
Una Nuova Via della Seta per rilanciare il Dragone Economia Per contrastare il rallentamento cinese, il piano di Pechino prevede di ricostruire gli antichi collegamenti
tra Oriente ed Occidente lungo una direttrice terrestre e una marittima
Beniamino Natale È una Via della Seta doppia, quella che la Cina vuole creare per evitare che il rallentamento della crescita economica incida eccessivamente sulla classe media urbana, la base irrinunciabile del consenso che tiene in piedi il regime autoritario di Pechino. Che il rallentamento ci sia, e che sia deciso, lo ha fatto intendere il primo ministro Li Keqiang, nell’unica conferenza stampa che un esponente della leadership cinese concede alla stampa locale e internazionale. «Non sarà come tagliarsi le unghie – ha detto il premier riferendosi alle misure necessarie per fronteggiarlo – ma come un coltello che incide in profondità la carne». Non siamo al «lacrime e sangue» ma ci manca poco. Poche ore prima delle dichiarazioni di Li, l’Assemblea Nazionale del Popolo, il Parlamento cinese, aveva approvato un’obiettivo del 7 per cento per la crescita dell’economia nel 2015. L’anno scorso il tasso di crescita è stato del 7,4 contro il previsto 7,5. Come se non bastasse, Li Keqiang ha aggiunto che raggiungere quell’obiettivo – modesto per gli standard della Cina dei due decenni scorsi – «non sarà facile». Le esportazioni hanno ripreso a crescere come percentuale del Prodotto Interno Lordo (Pil) e il continuo rafforzamento dello yuan si è bloccato. Anzi, la moneta ha mostrato i primi segni di cedimenti rispetto al dollaro Usa. L’idea di una Via della Seta sia terrestre e che marittima è stata lanciata l’anno scorso dal segretario del Partito comunista e presidente della Repubblica Xi Jinping. In una serie di discorsi tenuti in Cina e all’estero, il Numero Uno ha sottolineato la necessità della circolazione libera nei porti dell’Asia e dell’Europa, per unire i due vecchi continenti rilanciando allo stesso tempo il commercio e contenendo l’influenza degli Usa nella regione del Pacifico. Un collegamento commerciale tra la Cina e l’Europa che passi per un sistema di libero accesso ai porti di tutta l’Asia, dalla costa cinese a quelle dei Paesi dell’Asean, risalendo poi dall’Oceano Indiano fino al Mediterraneo. Che il progetto sia considerato prioritario da Pechino è evidente se si tiene presente la rapidità con la quale si è mosso Xi Jinping. Il leader cinese ne ha parlato per la prima volta nel settembre 2013 ad Astana, nel Kazakhstan, in una riunione con i dirigenti russi e centroasiatici. Un mese dopo, a Giakarta, eccolo esplicitare l’idea della Via della Seta «marittima», poi ripresa nel corso di tutte le sue visite a Paesi asiatici tra cui l’India. Al vertice Cina-Asean (l’associazione dei Paesi del sudest asiatico) che si è svolto lo scorso settembre a Nanning, nel sud della Cina, il vicepremier Zhang Gaoli, uno dei sette membri del massimo organismo politico cinese, il Comitato Permanente dell’Ufficio Politico (Cpup) ha messo la Via della Seta marittima al centro del suo intervento. In un articolo pubblicato dalla rivista di politica internazionale «The Diplomat», la studiosa Shannon Tiezzi ha sostenuto che la «Via della Seta marittima», non sarebbe altro che «un tentativo di dare un nuovo nome» ad una vecchia iniziativa della Cina, chiamata la «collana di perle», cioè un sistema di porti nei Paesi «amici» che avrebbe circondato l’India garantendo alle flotte cinesi approdi sicuri lungo le rotte tra Asia ed Europa.
Un treno sulla tratta finale della Nuova Via della Seta che collega l’Iran con la Turchia. (AFP)
La Via della Seta marittima può ben servire alla Cina per contrastare lo sviluppo della Trade Pacific Partnership (Tpp) lanciata dal presidente americano Barack Obama, una zona di libero commercio ma anche di alleanze politiche. Australia, Canada, Cile, Giappone, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Brunei, Malaysia Singapore e Vietnam stanno discutendo con gli Usa per la creazione della Tpp. La Cina ne è esclusa. Per tutta risposta, Pechino ha proposto la creazione della «sua» area di libero scambio nell’Asia/ Pacifico, che si chiama Free Trade Area of Asia/Pacific (Ftaap), e per la quale è stata approvata l’anno scorso, al vertice Asia-Europa che si è tenuto a Pechino, una «road map» piuttosto generica, che non impegna in modo definitivo nessuno dei firmatari. Dopo la conclusione dell’Apec, Xi Jinping e Obama si sono incontrati per un vertice a due e hanno minimizzato le differenze tra le due «aree di libero scambio», lasciando anzi intendere che in futuro esse potrebbero coesistere, sovrapporsi e forse addirittura fondersi in un’unica entità. Per far capire che fa sul serio, Pechino ha annunciato lo scorso novembre la creazione di un fondo d’investimento dotato di 40 miliardi di dollari che servirà prima di tutto, secondo l’agenzia Reuters, «a finanziare le creazione delle infrastrutture della Nuova Via della Seta, con l’accento su strade, ferrovie, porti e aeroporti lungo l’Asia Centrale e l’Asia del Sud». La proposta cinese è stata accolta con favore, ma anche con una buona dose di sospetto, dagli altri Paesi asiatici. Il progetto della «collana di perle» – precursore della «Via della Seta marittima» – è entrato in crisi con il recente cambio della guardia nello Sri Lanka, dove al fidato alleato Mahendra Rajapaksa è subentrato alla testa del governo Maithripala Sirisena, favorevole ad un «riequilibrio» dei rapporti del piccolo Paese insulare con i
due Grandi Fratelli regionali, la Cina e l’India. Perso un alleato nell’Oceano Indiano, Pechino ne ha però trovato uno nuovo nella Russia di Vladimir Putin, ai ferri corti con l’Occidente per la crisi nell’Ucraina. La Russia può dare un’importante mano nell’Asia Centrale, peraltro già rigurgitante di «amici» di Pechino. L’accordo per rafforzare e velocizzare la strada ferrata che attraverso la Russia porta in Europa, la mitica Transiberiana, è una delle iniziative in cantiere. Un altro «ramo» della Via delle Seta terrestre passerà – secondo i progetti cinesi – dall’Iran e dalla Turchia prima di raggiungere l’Europa. Quella marittima partirà dal Guangdong, nel sud della Cina, per poi passare dallo Stretto della Malacca, dall’Oceano Indiano, dal Corno d’Africa, dal Mar Rosso per sfociare nel Mediterraneo. Il progetto della Nuova Via della Seta è legato anche alla creazione della Asian Infrasructure Investment Bank (Aiib), una banca internazionale per lo sviluppo che ha un capitale di 50 miliardi di dollari. Pechino non nasconde di voler mettere l’Aiib in concorrenza con l’Asian Development Bank, branca asiatica dell’ordine internazionale stabilito dopo la Seconda Guerra Mondiale a Bretton Woods e che ha i suoi perni nel Fondo Monetario Internazionale e nella Banca Mondiale. Tra i 20 Paesi fondatori dell’Aiib non figurano il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia, cioè gli alleati degli Usa nell’Asia/Pacifico. L’unico importante Paese asiatico che prenderà parte alla creazione della banca sarà l’India. A sorpresa, ha dato la sua entusiastica adesione la Gran Bretagna, che si è esposta così ad una raffica di critiche da parte di esponenti dell’Amministrazione americana guidata da Barack Obama. «I costanti cedimenti davanti alla Cina – ha sostenuto un alto funzionario americano – non sono il modo migliore per gestire le relazioni con una potenza emergente».
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Politica e Economia
Politica e Economia
Profughi siriani, un esodo lungo 4 anni Fotoreportage Entrata nel 5. anniversario della sua primavera fallita, degenerata in guerra civile oltre che in scontro regionale e internazionale, la Siria vede assottigliarsi la propria popolazione
in seguito a una massiccia fuga di profughi che sconvolge pesantemente gli equilibri dei Paesi d’accoglienza
Marcella Emiliani, foto Luigi Baldelli Il 15 marzo scorso, la Siria è entrata nel quinto anno della sua «primavera fallita», degenerata in una guerra civile che via via si è trasformata in scontro regionale e conflitto internazionale. Le cifre fornite dalle Nazioni Unite sono disperanti: in 4 anni sono morte almeno 220’000 persone, 6 milioni e mezzo si sono date alla fuga in altre province rispetto a quella d’origine (gli sfollati interni), altre 3’805’572 sono fuggite negli Stati vicini. Di queste ultime, i rifugiati veri e propri, ne sono state censite: 1’622’839 in Turchia, 1’167’982 in Libano, 619’306 in Giordania, 235’563 in Iraq, 136’601 in Egitto. E queste sono solo le cifre ufficiali. Lo stesso Alto commissariato Onu per i rifugiati (con acronimo inglese Unhcr) ammette che dalla Siria esce un flusso fantasma di persone in cerca di salvezza o di qualche mezzo di sostentamento che risulta difficile quantificare. Questo flusso dipende dall’andamento degli scontri sul terreno tra il regime di Bashar al-Assad e le organizzazioni armate dell’opposizione – il Libero esercito di Siria e il Fronte al-Nusra di filiazione qaedista in testa – nonché dagli scontri tra le milizie del Califfato islamico installatesi nelle province nordorientali del Paese da una parte e dall’altra l’esercito di Bashar o le milizie locali, curde in particolare, supportate dai raid aerei della coalizione anti-Califfato guidata dagli Stati Uniti.
Sull’orlo del collasso ma ancora accettabile la condizione dei profughi in Giordania. Mentre molto più critica è quella in Libano I Paesi che accolgono i fuggitivi nella maggioranza dei casi si sono fatti trovare impreparati. Il numero dei fuoriusciti troppo alto ha messo immediatamente in crisi le strutture di accoglienza e questo, sul terreno, si è spesso tradotto in improvvisazione e inefficienza che sono andati a discapito dei profughi. I casi dei rifugiati siriani in Giordania e in Libano, di cui vi mostriamo le foto, sotto questo profilo sono emblematici. La Giordania fin dal 2011 ha accolto senza reticenze quanti fuggivano dalla Siria, attuando la cosiddetta «politica della porta aperta». Alla fine del 2014 però dell’assistenza Onu nei campi usufruivano solo 120’000 rifugiati: tutti gli
altri, almeno 800’000 tra quelli censiti e quelli non censiti, si erano disseminati nelle principali città del regno. La stragrande maggioranza, quindi, vive o cerca di sopravvivere in ambiente urbano, innanzitutto perché la maggioranza dei rifugiati siriani proviene da ambienti urbani, in secondo luogo perché in città è più facile passare inosservati e trovare un lavoro in nero. Ai rifugiati, da qualunque Stato provengano, in Giordania infatti non è permesso lavorare (con l’unica eccezione dei palestinesi tutelati da uno status particolare fin dal 1948 o divenuti cittadini giordani). Questo per impedire che facciano concorrenza ai giordani sul mercato del lavoro. Il lavoro ufficiale, s’intende. Nella realtà i rifugiati finiscono per danneggiare i locali proprio per i bassi salari con cui vengono ingaggiati sul mercato nero del lavoro nell’edilizia, nei servizi, nell’agricoltura, finendo per abbassare le retribuzioni già poco remunerative per gli stessi giordani in questi settori. Ma c’è di più. I rifugiati siriani «pesano» su servizi nazionali cruciali come la sanità e l’istruzione (garantiti nei campi dall’Unhcr) e in questo modo mettono in pericolo «la coesione sociale» come ammettono le stesse autorità del regno hashemita che temono seriamente scontri tra i locali e nuovi arrivati. La politica della porta aperta, poi, per la monarchia hashemita si è rivelata troppo costosa (251 milioni di dollari nel 2012, 493 milioni nel 2013) e neanche i ricchi donativi che arrivano dagli Emirati del Golfo riescono a coprire le spese. Come affermato dal portavoce del governo giordano Mohammad alMomani, l’aiuto straniero fa fronte solo «al 30% dei costi» che lo stesso governo deve affrontare. I milioni di dollari stanziati da altri Stati arabi, inoltre, creano ulteriori problemi. Innanzitutto non sono prevedibili né garantiti, vengono cioè erogati di anno in anno nella misura decisa dal Paese donatore, quindi oggi ci sono, domani inshallah. In secondo luogo i donatori spesso li stanziano e li spendono bypassando il controllo del governo giordano che fatica a tenere sotto controllo la rete di charities e di organizzazioni non governative che l’aiuto va a beneficare con una pianificazione e modalità che in diversi casi si sono rivelate non gradite nemmeno agli stessi profughi. Il caso più eclatante è quello del sesto e ultimo campo profughi in Giordania, al-Azraq, creato nel 2014 a 100 km da Amman, finanziato coi petroldollari del Golfo e ufficialmente gestito dall’Onu e dalle autorità giordane. Oggi è quasi vuoto, ospita non
Il servizio fotografico si riferisce ai campi profughi in Giordania e Libano, Paesi che hanno adottato la «politica della porta aperta» senza una vera pianificazione.
più di 15’407 rifugiati siriani quando ne potrebbe ospitare almeno altri 130’000. Ha scuole, supermercati, ospedali attrezzatissimi, e ai suoi abitanti vengono regolarmente distribuiti buoni per l’acquisto di generi alimentari e persino coupon per la benzina (come avviene anche nei campi creati dall’Unhcr). Ma i siriani non ci vogliono andare, il cam-
po è troppo grande e hanno paura di un attacco del Califfato islamico, vista la vicinanza col confine da cui sono scappati. Non sopportano il senso di vuoto che vi regna, la mancanza di uno spirito di comunità che invece si respira a Zaatari, altro campo sul confine, nato spontaneamente, senza nessuna pianificazione nel 2012 nella provincia di Mafraq. Zaa-
tari oggi conta almeno 112’000 persone assistite sia dall’Unhcr che dalla Jordanian Hashemite Charity Organization. Praticamente è diventato un campo stabile, un’isola siriana coesa in Giordania. Sull’orlo del collasso, ma ancora accettabile – dunque – la condizione dei profughi siriani in Giordania. È invece molto più critica in Libano, innanzi-
tutto per il rapporto fra popolazione locale e profughi che rappresentano circa un terzo degli autoctoni. Accanto ai 4’467’000 libanesi, infatti, oggi convivono 1’167’982 rifugiati dalla Siria: tutt’altra proporzione rispetto ai 619’306 rifugiati siriani versus i 6’459’000 di abitanti della Giordania. Detto in altre parole, in Libano locali e rifugiati sono in dram-
matica concorrenza sul mercato del lavoro e nell’accesso ai servizi. Ma a questo fattore se ne aggiunge un altro di natura politica e psicologica che rappresenta una vera e propria miccia per la stabilità sociale. Sebbene anche il governo libanese abbia attuato una «politica della porta aperta», non ha minimamente pianificato l’accoglienza, non ha costruito campi
profughi , sapendo che la maggioranza dei libanesi odia i siriani. Dal 1976 al 2005 la Siria, infatti, ha spadroneggiato in Libano e continua ancora a condizionare pesantemente la vita politica del Paese attraverso i suoi alleati sciiti locali: Amal e Hezbollah. Hezbollah, poi, assieme all’Iran è stato fondamentale nel mantenere al potere il regime di Bashar
al-Assad contro i suoi nemici. Inoltre, sempre dal 1976 al 2005 (quando la comunità internazionale ha costretto la Siria a ritirare le proprie truppe dal Libano), Damasco ha «esportato» in Libano un milione di poveri che già allora facevano concorrenza ai locali sul mercato del lavoro coi loro salari bassissimi. Tutto questo si è trasformato oggi in di-
scriminazione e disprezzo per i profughi siriani che ha dato al flusso dei rifugiati un carattere particolare: chi fugge dalla Siria in Libano si dirige spontaneamente nelle aree di residenza della comunità confessionale cui apparteneva in patria e si stanzia in uno dei campi profughi improvvisati (sono ormai circa un migliaio) della relativa area di insediamento . In altre parole i cristiani libanesi accolgono i cristiani siriani, e così fanno i sunniti e gli sciiti. In questa maniera i rifugiati si ritrovano ad essere pedine e l’anello più debole del gioco di equilibrio delicatissimo e precario tra confessioni che ha caratterizzato il Libano dal 1975 ad oggi. I profughi siriani, ovunque si siano rifugiati, sono l’ultima preoccupazione di Bashar al-Assad. Impegnato contemporaneamente su fronti diversi, contro il Califfato islamico, al-Nusra e il Libero esercito siriano, ha ancora sotto controllo la maggioranza del Paese e ha trovato a combattere accanto a sé degli «alleati riluttanti» come la coalizione anti-Califfato messa in piedi dagli Stati Uniti o i peshmerga curdi che hanno strappato ai jihadisti la cittadina di Kobane, quando avrebbero preferito combattere proprio il suo regime. Quella che si sta combattendo in Siria oggi è una guerra paradossale che stando al segretario di Stato americano John Kerry non potrà mai avere una soluzione militare. Su quest’onda ha proposto a Bashar colloqui di pace. E Bashar, navigatore di lungo corso come suo padre Hafez, non gli ha chiuso la porta in faccia.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Politica e Economia
La volontà popolare, innanzitutto Camere federali Dopo un compromesso raggiunto con Helvetia Nostra, UDC e PLR ribaltano la loro posizione
e al Nazionale votano contro un annacquamento della legge di applicazione dell’iniziativa sulle residenze secondarie
Johnny Canonica Prove tecniche di compromesso. È ciò cui si è potuto assistere nel corso delle due prime settimane della Sessione primaverile delle Camere federali, quando i due rami del Parlamento hanno trattato la legge sulle residenze secondarie, il testo che servirà a concretizzare l’articolo costituzionale approvato l’11 marzo 2012, il giorno in cui popolo e cantoni – con il 50,6% di sì – avevano approvato l’iniziativa popolare «Basta con la costruzione sfrenata di abitazioni secondarie!». «Prove tecniche di compromesso», perché dopo un primo esame del testo di legge effettuato dal Consiglio degli Stati lo scorso settembre, e che aveva allentato di molto quanto proposto dal Consiglio federale, il Nazionale ha dato un profondo giro di vite al testo approvato dagli Stati, per evitare che contro la legge potesse essere lanciato il referendum da parte di Helvetia Nostra, la fondazione all’origine dell’iniziativa popolare approvata. Un passo compiuto dal Parlamento in direzione degli iniziativisti, un passo comunque non disinteressato per alcuni partiti politici. L’articolo costituzionale (il 75b) approvato in votazione è chiaro, ma lascia un certo margine di manovra al legislatore. L’articolo afferma infatti che «la quota di abitazioni secondarie rispetto al totale delle unità abitative e della superficie lorda per piano utilizzata a scopo abitativo di un Comune non può eccedere il 20 per cento» e che «la legge obbliga i Comuni a pubblicare ogni anno il loro piano delle quote di abitazioni principali unitamente allo stato dettagliato della sua esecuzione». Nel settembre dell’anno scorso, dando una prima lettura alla legge elaborata dal Consiglio federale, il Consiglio degli Stati aveva allentato molto quanto proposto. Soprattutto invocando le necessità economiche dei cantoni di montagna (le cui economie si basano anche sull’indotto generato dalle abitazioni secondarie, grazie al turismo ma anche all’edilizia), i rappresentati di questi cantoni – in particolare quelli borghesi – erano riusciti a prevedere talmente tante eccezioni alla norma, che la stessa consigliera federale Doris Leuthard
Châlet sulla Belalp, a Blatten, vicino a Naters, Vallese. (Keystone)
si era sentita in dovere di richiamare all’ordine (inutilmente…) i «senatori» PPD, PLR e UDC. Stessa musica anche al momento in cui la legge modificata dagli Stati è giunta all’esame della Commissione della pianificazione del territorio del Consiglio nazionale. Anzi, non contenta degli allentamenti apportati dalla «Camera dei cantoni» al progetto del Consiglio federale, la Commissione del Nazionale aveva limato ulteriormente le restrizioni, tanto che la Fondazione Helvetia Nostra per bocca della sua presidente Vera Weber (la figlia di Franz Weber, ecologista della prima ora e primo firmatario dell’iniziativa) ha gridato allo scandalo, minacciando inoltre di lanciare il referendum se quanto approvato dal Parlamento non rispecchiasse maggiormente i contenuti dell’iniziativa e la volontà popolare. Poi, improvviso e dietro le quinte, il colpo di scena. Quindi, a una settimana dal dibattito al Consiglio nazionale – dopo un incontro con Vera Weber in una sala riunioni di Palazzo federale – UDC e
PLR hanno annunciato di aver cambiato opinione, e che sì, è necessario tener conto della volontà popolare, preoccupata per la salvaguardia dei paesaggi alpini, sempre più messi sotto pressione (e spesso imbruttiti, a detta dei più) dalla costruzione di case di vacanza. Un ripensamento che ha dato il via a una commedia dell’assurdo al Consiglio nazionale. Al momento del dibattito alla camera del popolo, l’UDC Albert Rösti e il PPD Yannick Buttet, a nome della maggioranza della Commissione della pianificazione del territorio, hanno infatti presentato e difeso il progetto approvato dalla maggioranza commissionale – composta da parlamentari UDC, PLR, PPD e BDP – cioè quello che prevedeva talmente tante eccezioni a quanto previsto dall’artico costituzionale che, come affermato dalla socialista grigionese Silva Semadeni, «se questa legge fosse una forma di Emmental, dai tanti buchi che contiene non resterebbe che la crosta». Poi è toccato ai rappresentanti dei vari gruppi dire la loro. E allora, se come era lecito
attendersi, chi parlava a nome di socialisti, verdi e verdi liberali si appellava alla maggioranza, ricordando quanto avevano deciso popolo e cantoni 3 anni prima, affinché non desse seguito al progetto approvato dalla commissione, è toccato poi ai rappresentati di UDC e PLR spiegare che sì, quella iniziativa non l’abbiamo mai sostenuta e a nostro giudizio reca più danni che benefici alle regioni di montagna, ma la volontà popolare è stata espressa e bisogna rispettarla. E ironia della sorte è stato proprio il capogruppo democentrista Adrian Amstutz – che, come ammesso da lui stesso, quale imprenditore edile di residenze secondarie ne ha costruite a decine nell’Oberland bernese, la sua regione di provenienza – difendere il compromesso elaborato insieme a Vera Weber. «Perché adesso si tratta di presentare una soluzione, che non solo possa trovare una maggioranza in questo Consiglio, ma anche tra i nostri capi in questo Paese. E questi non siamo noi, non è il Consiglio federale, ma il popolo», ha affermato Amstutz. Parole che hanno
decretato la «capitolazione» della maggioranza borghese in Parlamento nei confronti sì di Vera Weber e di Helvetia Nostra, ma soprattutto nei confronti della volontà popolare. Un cambiamento di rotta talmente improvviso e drastico che ha fatto dire al consigliere agli Stati bernese Werner Luginbühl (PBD) che «vi è una certa ironia nel fatto che chi in commissione si era impegnato ad allentare il testo con sempre più eccezioni, ora venga salutato come il salvatore della legge». Questo brusco cambiamento di rotta non è però stato effettuato unicamente per rispettare la molto invocata volontà popolare, ma soprattutto per i rappresentati UDC si è trattato, per così dire, di un investimento per il futuro. Dopo esser state approvate in votazione popolare, due iniziative democentriste devono ora venir concretizzate a livello di Parlamento (quella «per l’espulsione degli stranieri che commettono reati») e di Consiglio federale (quella «contro l’immigrazione di massa»). Per mantenere alta la pressione su legislativo ed esecutivo, l’UDC si è vista costretta a bere l’amaro calice, a rimangiarsi quanto affermato ancora a livello di commissione e ad andare incontro alle richieste di Helvetia Nostra, nella speranza che la medesima sorte possa toccare alle sue proposte accolte alle urne. (Senza contare che sarebbe stato alquanto difficile giustificare di fronte all’opinione pubblica di volere un’applicazione rigida e rigorosa delle sue proposte, quando si è contribuito ad annacquarne un’altra). Ma se Helvetia Nostra è uscita complessivamente vincente dal dibattito parlamentare sulla legge sulle residenze secondarie, anch’essa ha dovuto cedere su alcuni punti per evitare lo scontro frontale con il Parlamento e portare a casa la vittoria. Un atteggiamento aperto al compromesso che il Parlamento si aspetta ora anche da parte dell’UDC. Resta ora da vedere se il partito, che negli ultimi anni si è profilato come poco incline a cedere sulle sue idee e i suoi principi, anche a costo di perdere parecchie battaglie in parlamento e qualcuna alle urne, sarà pronto ad effettuare delle prove tecniche di compromesso.
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Politica e Economia
Le casse pensioni stanno meglio ma il futuro cela nuovi rischi Previdenza Il 2014 si è chiuso con buoni rendimenti, ma già quest’anno si teme il contraccolpo
dei bassi tassi di interesse e degli interessi negativi della Banca Nazionale Svizzera
Ignazio Bonoli Le casse pensioni svizzere hanno chiuso i conti 2014 con risultati in media positivi, nonostante i momenti difficili dei mercati obbligazionari, a causa del persistere di livelli molto bassi dei tassi di interesse. L’indice elaborato dal CS, sulla base dei titoli in deposito presso la banca, e che fa regolarmente un’analisi dei finanziamenti delle casse pensioni, indicava per lo scorso anno un rendimento del 7,73 per cento. Nei due anni precedenti lo stesso rendimento era stato del 5,76 e del 7,21, mentre nel 2011 si era dovuto registrare un andamento negativo (–0,56 per cento). Il miglioramento generale dei rendimenti delle casse pensioni è evidenziato anche dal confronto negli anni Duemila. Al 31 dicembre 2014 la differenza fra la rimunerazione minima LPP e l’indice CS era del 5,98 per cento. All’inizio del 2000 era invece del 2,84, ma a fronte di una rimunerazione minima LPP annualizzata al 2,56. Un’evoluzione senz’altro positiva, date le circostanze, ma che rischia di subire un pesante contraccolpo dall’introduzione degli interessi negativi, da parte della Banca Nazionale, dopo la decisione di abbandonare la parità a 1,20 franchi con l’euro. Già i risultati del mese di gennaio indicano per l’indice del Credit Suisse un calo dell’1,8 per cento e per quel-
lo dell’UBS un calo dell’1,7. Tutte le principali voci degli investimenti subiscono un calo sostanzioso, mentre risultano in crescita i rendimenti delle obbligazioni svizzere (+2 per cento) e quelli nell’immobiliare (+0,7). Dopo il 15 gennaio però le quotazioni sono in ripresa per cui non sono tanto le evoluzioni a breve, quanto il probabile effetto a media/lunga scadenza degli interessi che destano preoccupazione. È per lo meno questa l’opinione di alcuni specialisti, i quali ricordano che le casse pensioni svizzere investono in media oltre il 40 per cento del loro patrimonio in obbligazioni o in liquidità. Per il momento possono ancora approfittare dei tassi di interesse di prestiti acquisiti in passato. Questi titoli stanno però per scadere e le casse pensioni si trovano alla soglia di un periodo di rimunerazione media molto vicino a zero. Inoltre, non sono nemmeno da escludere interessi negativi. Per il momento le banche non addebitano ancora gli interessi negativi alle organizzazioni del secondo pilastro. Tuttavia, se le rimunerazioni dovessero ancora scendere, l’atteggiamento potrebbe cambiare. Ma già alle attuali condizioni di mercato le casse pensioni incontrano difficoltà nel finanziare le rendite da pagare. Si comincia perciò a constatare una lacuna fra le necessità di garantire un grado di copertura stabile
degli impegni futuri e i rendimenti previsti. Per la maggior parte delle casse pensioni svizzere questa lacuna è valutabile tra il 2 e il 3 per cento. Da un lato non si possono prevedere rendimenti significativi sul mercato obbligazionario nei prossimi anni. Dall’altro anche l’evoluzione degli impegni delle casse desta parecchie preoccupazioni. In sostanza, mentre i rendimenti ristagnano, gli impegni a cui far fronte crescono. Alle casse pensioni resta aperta la strada (fino a un certo punto a causa della LPP) di investire maggiormente in titoli ad alto rendimento, ma anche con rischio elevato, oppure di investire sempre di più nel mercato immobiliare. Qui siamo però già oltre il 20 per cento (20,5, indice CS al 31.12.2014) e il mercato comincia a dare segni di saturazione. Viste le difficoltà di investire, molte casse detengono parecchie liquidità, che rischiano interessi negativi. A breve scadenza, se il mercato azionario non peggiora, la situazione sarebbe sopportabile, ma – secondo gli esperti – l’attuale tasso di rimunerazione minimo (1,75 per cento) è troppo alto, considerato per esempio quanto si paga sui capitali del pilastro 3a (previdenza volontaria) e una sua riduzione permetterebbe alle casse di correre minori rischi negli investimenti. Queste considerazioni sul momento attuale e l’immediato futuro
I mercati finanziari hanno dato un buon rendimento alle casse pensioni negli ultimi anni, ma i segnali ora sono di segno opposto. (Keystone)
si innestano su un discorso di lunga scadenza, che vede un’evoluzione demografica poco favorevole alla salute finanziaria dell’attuale sistema pensionistico. Le previsioni demografiche dicono infatti che, tra il 2010 e il 2035, le persone con più di 65 anni passeranno dal 17 al 26 per cento. Di fronte a questo «invecchiamento» della popolazione, con l’età media in continuo aumento, le previsioni dicono che l’AVS, nel 2030, potrebbe accumulare un deficit di 8,6 miliardi di franchi, ai quali si aggiungeranno debiti miliardari anche nelle casse pensioni. Il piano d’azione
«Previdenza vecchiaia» del Consiglio federale (v. «Azione 51») potrebbe non bastare. Infatti, esso prevede solo l’aumento dell’età di pensionamento delle donne a 65 anni, il finanziamento dell’AVS tramite 1,5 punti di IVA al massimo, la riduzione progressiva dal 6,8 al 6 per cento del tasso di conversione del capitale vecchiaia del II pilastro e anche un freno all’indebitamento per l’AVS. Molti dubbi solleva anche la proposta di unificare i due sistemi di previdenza, con l’intenzione di usare le eccedenze delle casse pensioni per finanziare l’AVS. Ma ci saranno ancora? Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
Politica e Economia
Le tasse dei Ticinesi (e degli altri) La consulenza della Banca Migros Albert Steck Aiuto, la dichiarazione dei redditi diventa sempre più complicata. Come faccio a non perdere la bussola in questa giungla fiscale?
Il nostro sistema fiscale è molto caotico. L’elenco di prescrizioni da osservare per la dichiarazione fiscale diventa sempre più lungo. Inoltre ogni cantone applica regole del tutto diverse. La conseguenza è che l’onere fiscale presenta enormi differenze, come conferma il grafico. Un single con un reddito lordo di 100’000 franchi paga 8000 franchi di tasse a Zugo, 21’000 franchi a Neuchâtel. Sono soprattutto impressionanti le disparità del carico fiscale tra single e famiglie. Per un single con un onere fiscale di 14’900 franchi il Ticino si colloca a metà classifica (nono posto). Ma per una famiglia con lo stesso reddito le tasse in Ticino scendono ad appena 4400 franchi, ossia il terzo livello più basso in Svizzera.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros Cari per i single, ma vantaggiosi per le famiglie sono anche i cantoni Ginevra, Vallese o Grigioni Nel cantone di Obvaldo vale l’esatto contrario: per i single si annovera tra i cinque cantoni fiscalmente più vantaggiosi, mentre alle famiglie chiede quasi il doppio del Ticino, piazzandosi così al ventesimo posto nella classifica
Quanto si paga a seconda dei cantoni Imposte per famiglie in franchi
3 JU 3 NE 3 BE 3 VD 3 SO Oneroso per famiglie
Oneroso per famiglie 3 OW 3 UR 3 GL 3 AI 3 ZH 3 NW 3 SZ
Vantaggioso per famiglie e single
e single
3 AR
3 BS 3 LU 3 SH 3 FR 3 AG 3 TG 3 SG 3 BL 3 GR 3 VS
Media svizzera
Oneroso per single
3 TI 3 GE
3 ZG
Imposte per single in franchi Esistono enormi differenze tra i cantoni: il grafico indica l’onere fiscale di un single e di una famiglia con due figli e un reddito lordo di 100’000 franchi (valori mediani cantonali). Esempio di lettura: il Ticino si colloca a metà classifica per i single, mentre è più vantaggioso per le famiglie.
nazionale. Le famiglie pagano molte tasse anche nei cantoni di Berna, Vaud, Soletta, Giura e Neuchâtel (v. grafico). La giungla fiscale non riguarda solo il criterio single/famiglia. Anche nelle deduzioni delle spese di trasporto dei pendolari, del pilastro 3a o delle spese sanitarie, tanto per citare qualche esempio, ogni cantone applica disposizioni diverse, tra l’altro in continuo cambiamento.
Per facilitare la comprensione della dichiarazione fiscale ho pubblicato in Internet, all’indirizzo blog.bancamigros.ch, un elenco di 50 consigli utili in materia. Nel blog della Banca Migros trovate inoltre una classifica dettagliata dell’onere fiscale nei singoli cantoni dove non figura solo il valore medio, ma anche la forbice tra i comuni più cari e quelli più vantaggiosi in ogni cantone.
Mostriamo anche l’onere fiscale di una terza categoria, ossia le persone coniugate senza figli. La classifica non cambia niente al fatto che compilare la dichiarazione fiscale sia molto oneroso. Ma offre almeno la consapevolezza di pagare, a seconda dei casi, molte o poche tasse rispetto alla media svizzera. Da leggere su blog.bancamigros.ch: ■ 50 consigli utili per le tasse Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Facciamo anche noi come fanno i cinesi La settimana scorsa ho già parlato del rapporto che l’Istituto di Ricerche Economiche dell’USI (IRE) ha dedicato al futuro del Ticino, riassumendone i contenuti. Non sono però entrato nel dettaglio delle proposte (l’unica parte, purtroppo, che interessa l’opinione pubblica) per mancanza di spazio. Cercherò quindi di commentarle in questo articolo. Gli autori del rapporto le suddividono in due gruppi: misure di lungo e misure di breve termine. Di fatto questa è solo una suddivisione di comodo perché la questione della realizzazione delle proposte nel tempo non viene affrontata nel rapporto. Non solo, ma in particolare per quel che riguarda produttività, mercato del lavoro e struttura del settore produttivo non è facile stabilire quale sia, in questo rapporto, la differenza tra il lungo e il breve termine. In generale si può dire che quello che viene presen-
tato nella sezione sul lungo termine assume maggiormente il carattere di un obiettivo (o di un orientamento strategico), mentre quello che viene suggerito per il breve termine ha piuttosto il carattere di una misura. Ma bando a questi arzigogoli sul metodo e veniamo al contenuto del rapporto. I suoi autori mettono l’accento, nella parte normativa, sul capitale umano, ossia sul lavoro, sulla struttura imprenditoriale, ossia sul capitale, e sul territorio costruito che viene considerato, accanto a lavoro e capitale, come il terzo fattore importante del potenziale economico ticinese. Cominciamo dal capitale perché è la proposta che ha fatto discutere di più. Dove dovrebbero investire gli imprenditori ticinesi in futuro? Preferibilmente in uno dei 4 meta-settori indicati dagli autori del rapporto, ossia la moda, le bio-tecnologie, il turismo e
la meccatronica. In piccole o grandi aziende? In piccole aziende, suggeriscono gli autori del rapporto, perché, molte volte sono più innovative e sono maggiormente flessibili rispetto agli alti e bassi della congiuntura. A proposito di capitale varrà ancora la pena di accennare alla raccomandazione di migliorare il capitale sociale, inteso qui come capacità di definire e perseguire da parte della collettività degli obiettivi comuni. Non sarebbe impresa da poco perché, come hanno messo in evidenza anche studi empirici recenti, il Ticino, rispetto agli altri Cantoni, è da questo punto di vista molto carente. Parliamo ora del territorio. Nel lungo termine gli autori del rapporto raccomandano di favorire la tendenza all’urbanizzazione e alla costituzione di unità urbane di grande dimensione per migliorare le opportunità del Ticino a livello di mercato
internazionale delle localizzazioni. Nel breve termine sono tre le misure che vengono raccomandate. La prima concerne il patrimonio immobiliare (che gli autori chiamano capitale fisico) che comincia a denunciare segni evidenti di vecchiezza. La seconda concerne il funzionamento del mercato immobiliare in cui, nonostante la presenza di un eccesso di offerta, i prezzi rimangono rigidi. Infine, nel breve termine, si spende anche una parola per incoraggiare un cambiamento di comportamento dei ticinesi rispetto alla qualità ambientale. Veniamo infine al lavoro. Qui è di dovere accennare al tema centrale di questo rapporto, vale a dire alla necessità di incrementare la produttività del lavoro. Intendiamoci, non è – come pensano alcuni – che chi lavora in Ticino sia più pigro del lavoratore svizzero medio. È che in Ticino le quote dei rami con
produttività bassa (e quindi costi bassi e salari bassi) nell’occupazione totale sono largamente superiori alla media nazionale. E se il settore finanziario dovesse ridimensionarsi in misura significativa la prevalenza dei rami con bassa produttività sarà ancora maggiore. Quella di affidare le fortune dell’economia alle produzioni di basso costo e con salari bassi è stato sin qui il sentiero di sviluppo economico preferito. È una alternativa che, oggi, non vuole seguire più nessuno, a quanto pare neanche i cinesi. Gli autori del rapporto citano infatti il ministro del commercio cinese che, di recente, sembra abbia detto: «Sappiamo che non possiamo fare per sempre affidamento su un vantaggio competitivo come i costi bassi». E allora facciamo come i cinesi: cerchiamo quindi di favorire un futuro economico con produttività e salari elevati.
John Kerry, la vittoria pareva inevitabile per i democratici: il presidente conservatore aveva fatto una guerra impopolare, era inviso a tutta la comunità internazionale, parlava di doveri morali laddove il resto del mondo si votava al pragmatismo, l’economia di guerra traballava e più lui parlava di scontro di civiltà più il resto del mondo si indignava. Kerry non brillava per carisma – come Herzog oggi in Israele – ma era un uomo d’establishment rassicurante (gli Herzog sono conosciuti come i Kennedy d’Israele) ed era quello che ci voleva dopo quegli anni tumultuosi di assi del male e scontri di civiltà. Basta con le sfide aperte, si diceva, si torna al sano multilateralismo. La storia sappiamo poi come è andata e in parte assomiglia a quella di Netanyahu oggi, che ha conquistato non soltanto i voti degli israeliani sensibili alle questioni sulla sicurezza, ma anche quelli delle fasce economiche basse della popolazione, che alla retorica sulla diseguaglianza lanciata dai laburisti hanno risposto votando il Likud. È la pancia del Paese, quella che spesso i leader di cui si innamorano i media stranieri non sanno bene che cosa sia.
La risata di Netanyahu è quindi più che giustificata, davvero tutti pensavano che non ce l’avrebbe fatta (lui stesso lo temeva, diceva di essere vittima di un complotto internazionale) e davvero tutti pensavano che non rappresentasse più l’anima del suo Paese. Ora ci saranno i negoziati politici, faccenda stancante, ma quel che conta è quel che accadrà d’ora in avanti nella comunità internazionale. Dall’Europa hanno già fatto sapere che la vittoria di Netanyahu non cambia di molto il negoziato in corso in queste settimane sul nucleare iraniano: si sa che l’Occidente, in particolare l’America, vuole fortemente questo accordo, e pare che anche a Teheran i falchi si stiano, per l’occasione, allineando sulla trattativa. Ci sono parecchie incognite da risolvere – la deadline è il 30 marzo, per le linee guida – ma certo è che l’opposizione più decisa al deal è proprio quella di Netanyahu. Il quale ora, forte della sua conferma elettorale, farà sentire ancora più forte la sua voce. Con che effetti non è dato sapere, ma è vero che Barack Obama, presidente americano, contava sul fatto che i laburisti vincessero le elezioni. C’è un’antipatia ormai
acclarata tra Obama e Netanyahu, che neppure la diplomazia più raffinata è riuscita a smussare, ma soprattutto c’è una diversità assoluta di vedute, che con l’avvicinarsi degli Stati Uniti alla Repubblica islamica d’Iran è diventata sempre più evidente e irreversibile. C’è chi già sorride all’idea della prossima visita di Netanyahu in America, ma se i rapporti tra i due Paesi non sono mai stati tanto gelidi, è anche vero che il premier dovrà lavorare parecchio per restaurare la sua immagine all’estero, non soltanto negli Stati Uniti che hanno ospitato l’inizio della sua carriera (negli anni Ottanta, era il volto più conosciuto di Israele nei talk show televisivi). C’è chi ancora auspica un messaggio di unità nazionale da parte di Netanyahu, anche se dopo la dichiarazione pre-elettorale sulla fine del progetto dello Stato palestinese è un po’ difficile immaginare un riequilibrio tra il premier e i suoi oppositori. Ma nella difesa dell’interesse nazionale – che nel caso di Israele si tratta di esistenza stessa – rientra anche la percezione dei tuoi alleati nei tuoi confronti: e questo anche il Netanyahu che non sa trattenere il sorriso da bullo lo sa.
oppure condividere, almeno a grandi linee, le istituzioni della «democrazia borghese». Il dilemma fu sciolto nel 1935, nel corso di un burrascoso congresso tenutosi a Lucerna in cui il Ps dichiarava di abbandonare la dittatura del proletariato e di aderire al principio della difesa militare del Paese. Prendeva così avvio una seconda tappa, destinata a sfociare nell’elezione del sindaco di Zurigo Ernst Nobs a consigliere federale (1943). La pace del lavoro s’inseriva in questo itinerario come una delle pietre miliari del modello elvetico, fondato sulla composizione dei conflitti attraverso il dialogo e la progressiva integrazione nel sistema politico delle principali forze di opposizione. Naturalmente ogni interlocutore reclamava, nelle trattative, una precisa contropartita. Gli imprenditori la messa al bando dello sciopero; le maestranze l’introduzione
di un contratto collettivo di lavoro. E questo era un punto fondamentale, che oggi spesso si dimentica: la centralità del contratto, che entrambe le parti erano tenute a rispettare. Nel secondo dopoguerra, fase di alta congiuntura, la pace del lavoro ha funzionato. Ma oggi i parametri sono mutati. La fabbrica fordista è esplosa, creando una miriade di occupazioni e di sotto-mansioni, non più regolate da contratti vincolanti. Dal terreno delle vecchie relazioni industriali sono spuntati nuovi soggetti, di cui il «lavoratore transfrontaliero» può considerarsi l’emblema: una figura un tempo «senza voce», passiva e manovrabile, ma che ora reclama un suo ruolo: sia come «attore» nelle pratiche negoziali che lo riguardano (orario, salari, previdenza), sia come «testimone» di un certo tipo d’impresa che si è andato diffondendo nella fascia di confine insubrica.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Riconfermato Netanyahu «Contro tutte le previsioni» Benjamin Netanyahu ha vinto le elezioni in Israele, battendo l’Unione sionista composta dai laburisti di Isaac Herzog e dall’ex ministra Tzipi Livni, che era data per strafavorita. La sorpresa è stata grossa. Nel suo primo discorso, quando ancora c’erano soltanto proiezioni che parlavano di un pareggio, Netanyahu, che è premier, non è riuscito a trattenere un sorriso che sconfinava nel riso, un misto di sorpresa e di consapevolezza, come a dire: e ora come la mettiamo? La vittoria poi è stata netta, sempre relativamente al frammentato contesto
politico del Paese: al premier ora serve la solita abilità necessaria nella politica di Israele per cucire una coalizione sufficientemente solida, che permetta di avere la maggioranza dei 120 seggi della Knesset, il Parlamento (non è un lavoro semplice: i governi in Israele durano meno che in Italia, per dire). Come la mettiamo, allora? Intanto è chiaro che la destra in Israele è quanto di meno compreso dagli occhi internazionali, un po’ come accadeva alla «Right Nation» americana negli anni della presidenza di George W. Bush. Nel 2004, quando a sfidare Bush c’era
Netanyahu a sorpresa supera il centrosinistra di Herzog.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti L’emersione del «lavoratore transfrontaliero» La pace del lavoro («Arbeitsfrieden») è stata a lungo considerata una delle colonne portanti dell’identità elvetica, accanto alla democrazia semi-diretta, alla neutralità, al federalismo, all’esercito di milizia. Per alcuni storici, lo spirito che la ispira, fondato sulla collaborazione tra il capitale e il lavoro attraverso la mediazione delle rispettive rappresentanze di categoria, risale addirittura al Medioevo, all’epoca delle corporazioni e della gestione comune di risorse fondamentali per la vita comunitaria, quali le acque, i boschi, i pascoli. Questa interpretazione, un poco forzata, ebbe larga eco e diffusione negli anni della difesa spirituale, al tempo dell’ascesa in Europa dei regimi totalitari (bolscevismo, fascismo, nazismo) e della riduzione del popolo sovrano a semplice «massa» amorfa, manipolabile a piacimento. La pace del lavoro scaturì, nel 1937,
da un accordo stipulato nel settore della metallurgia e della manifattura orologiera tra le delegazioni padronali e sindacali. Fu quindi il frutto di un clima pregno di minacce, che invitava a deporre le armi dello sciopero e della serrata per privilegiare la cultura del dialogo. Per la verità, anche all’estero, e specialmente nell’Italia mussoliniana, era venuto instaurandosi un regime detto «corporativo», fondato sull’intesa tra tutti i ceti attivi nella produzione. La concertazione prevedeva l’esclusione dalle fabbriche dei sindacati di matrice comunista e socialista; le uniche organizzazioni riconosciute erano quelle fasciste. Nel Ticino degli anni Trenta, la dottrina corporativa esercitò una certa influenza negli ambienti cattolici: don Luigi Del Pietro la espose nel volume La corporazione. Lineamenti di una riforma sociale ed economica (1936). «Malgrado la lotta di classe – osser-
vava Del Pietro –, la classe operaia è lontana dall’aver raggiunto la sicurezza materiale e il riconoscimento della sua dignità morale per il quale ha lottato. [...] Oggi la vincono i padroni, domani gli operai: in una perpetua altalena. Intanto dopo decadi di lotta di classe, i disoccupati si contano a milioni, i salari crollano ovunque: la classe operaia si trova nello stato di insicurezza completa». Il secondo percorso, che avrebbe favorito la convergenza del 1937, era quello compiuto dai socialisti. Dopo i conflitti che avevano punteggiato sia l’ultimo biennio della «grande guerra», culminati nello sciopero generale del novembre 1918, sia gli anni Venti, il Partito socialdemocratico si era ritrovato con in testa un dilemma: o rimanere agganciato alla dottrina della «lotta di classe» (nel frattempo abbracciata dal neonato Partito comunista),
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Cultura e Spettacoli Carrère a Locarno Il grande scrittore francese prossimamente protagonista de «L’immagine e la parola»
Bertolt Brecht e le donne Nel teatro del drammaturgo tedesco la figura femminile riveste un ruolo fondamentale
Furia distruttrice I militanti dell’Isis non si accaniscono ormai più unicamente sugli esseri umani: nel mirino delle loro attenzioni anche siti archeologici di grande pregio
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Il canto di Marco Beasley Il tenore, presto in concerto in Ticino, ci parla della stratificazione della musica napoletana
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Non intendere intendendo Anniversari La testimonianza dell’estasi
a 500 anni dalla nascita di Santa Teresa D’Ávila
Daniele Bernardi È bene considerare, come ha sottolineato lo psicoanalista francese JacquesAlain Miller nel suo intervento intitolato Il ritorno del blasfemo, che cosa è in gioco quando chiamiamo in causa il sacro. Georges Bataille, nel 1964, scriveva che «col nome di sacro» gli uomini riconobbero «un ribollimento segreto, (...) una violenza» che si impossessava di un dato soggetto, «consumandolo come fuoco». «La religione», aggiungeva, cerca di glorificare il soggetto e «trasformare un principio di rovina nell’essenza del potere e di ogni valore, ma ha, d’altro canto, la preoccupazione di ridurne l’effetto a un circolo ben definito». Oggi Miller sostiene che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, «l’era della scienza» non ha fatto veramente «svanire il senso» di tale termine. Questo indica una sorta di «sistema» che dovrebbe servire ad arginare l’eccedere di quel furore sotterraneo, sempre presente nella natura umana. E anche se, da un dato punto di vista, il sacro «è un fatto di discorso», Miller e la psicoanalisi affermano che «il godimento che vi si condensa» è qualcosa di assolutamente concreto (per «godimento» si intende quell’eccedere pulsionale del desiderio che è il superamento «del principio di piacere» di cui parla Freud, nel suo celebre testo del 1920). L’opera e la vita di Teresa D’Ávila (Ávila, 1515 – Alba de Tormes, 1582), come quelle di altri mistici, testimoniano proprio di quella densità che si manifesta nelle più alte forme dell’esperienza del sacro.
Nota anche come Teresa di Gesù, la Santa scrittrice e riformatrice venne alla luce in una famiglia piuttosto benestante, dall’unione tra Alonso Sánchez de Cepeda e Beatriz de Ahumada. A lungo si è pensato, come fece credere lei stessa, definendosi una «illetterata e senza virtù», che la sua cultura fosse alquanto limitata. Questo è vero solo in parte. Dai sette anni lesse il Vangelo e le vite dei Santi, per passare poi, verso i dieci, a libri di tutt’altro genere, come Amadigi di Gaula e le Gesta di Esplandiano. Pare quindi che l’autrice della famosa Vita fosse anche una divoratrice di storie cavalleresche. La futura Santa era pure dotata di un temperamento avventuroso, quasi romantico. Meraviglioso, in questo senso, l’aneddoto della sua infanzia riguardante la fuga col fratellino Rodrigo. I due, spinti dalla volontà di predicare, si decisero a partire per la «terra di Mori» – laggiù, si dissero, avrebbero portato il verbo agli infedeli e, soprattutto, sarebbero stati uccisi da martiri, volando così verso l’altissimo. Riacciuffati da uno zio che li scorse su un ponte, Teresa e Rodrigo non si arresero e cominciarono a costruire romitaggi improvvisati e a «fondare» dei minuscoli conventi con i bambini del vicinato. Nel marzo del 1536, Teresa coronò il suo sogno di vocazione ed entrò finalmente nell’ordine delle Carmelitane. Iniziò quindi una serie di battaglie che si svolsero tra la carne e l’anima della giovane, portandola, successivamente, alle visioni che la resero celebre. «La sua natura passionale ed estremistica» la spinse a sottoporsi ad esasperanti sanzioni spirituali e corporali, trasci-
Santa Teresa D’Ávila in un’illustrazione di Giona Bernardi.
nandola, man mano, in un vortice di turbamenti che non tardarono a ripercuotersi sulla salute: paralisi prolungate, debilità, febbri infuocate e magrezza divorante – Teresa D’Ávila soffrì spesso e molto, rasentò la morte e, creduta spacciata, ricevette anche l’estrema unzione da chi era convinto che la si sarebbe presto seppellita. Ma sarà a partire dal 1554 che avverranno ai suoi occhi quelle «cose troppo diverse da quelle che la sua stessa esperienza poteva riconoscere e valutare», come ha scritto Italo Alighiero Chiusano nella sua introduzione alla Vita, edita da Rizzoli (noto libro, scritto su ordine dei confessori che volevano scongiurare una possessione diabolica, in cui la Santa racconta il suo percorso esistenziale). Al di là delle immagini celebri delle sue epifanie, come l’angelo che la trafigge col dardo infuocato o i demoni e i rettili alle bocche dell’inferno, la scrittura di Teresa D’Ávila ci mostra i «resti» della sua esperienza con il «ribollimento segreto» che aveva presa sul suo corpo. Qui il linguaggio fa ciò che può, ma rispetto al vissuto è una povera cosa.
Ce lo dice Teresa stessa, trascrivendo, alcune delle parole dette a lei dal Signore: «L’anima si strugge tutta, figlia mia, per meglio addentrarsi in me. Non è più essa, ormai, che vive, ma io. Non potendo essa comprendere quel che sente, il suo è un non intendere intendendo». La memoria di ciò che è stato è dunque balbettante, come una «farfalletta importuna» che «si brucia le ali e non può più svolazzare». Eppure, quella della Santa è una prosa disobbediente, che cattura il lettore con la sua potenza. Incurante, procede con forza, senza «sottostare ad attenzioni e riguardi “rigoristi”, grammaticali». Teresa D’Ávila lavora velocemente, di getto, senza rileggere «i suoi fogli che, appena scritti, le vengono letteralmente strappati di mano». Il risultato di questo sforzo è uno dei capolavori della mistica europea. Testimonianza di un’esperienza sconvolgente e invenzione linguistica di altissimo livello, Vita è un racconto espresso con «una scrittura quasi totalmente fonetica», aderente al parlato della Vecchia Castiglia. Il vissuto della donna è di una pregnanza tale da forgiare una pro-
pria lingua, composta da parole irregolari, inedite. Ma la sua opera non si limitò alla creazione di testi – che non sono pochi. Questi, in fondo, rispetto a ciò da cui la Santa si sentiva mossa, sono, si fa per dire, lo scarto. A partire dal 1562, con l’inaugurazione del monastero di San Giuseppe ad Ávila, verranno fondate ben sedici strutture – frutto della sua volontà e di estenuanti peregrinazioni per tutta quanta la Spagna. Contemporaneamente, San Giovanni della Croce, grande mistico, poeta e suo fedele collaboratore, darà vita ad altri quindici monasteri maschili dell’ordine dei Carmelitani Scalzi. Vediamo dunque quanto la «sragione» del sacro, nel caso di questo incredibile personaggio, in un’epoca particolare e favorevole, sia divenuta parte di un discorso condiviso, che chiamò a sé un’intera comunità. Se mai, all’interno di una data società, si dovesse perdere il senso della sacralità, cosa ne sarebbe del caos che questo tiene a bada? Forse uscirebbe dai confini e, allora, si dovrebbero trovare nuovi sistemi per cercare di articolarne l’impeto.
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Cultura e Spettacoli
L’universo di Emmanuel Letteratura L’edizione di quest’anno di «L’immagine e la parola» a Locarno (19-22 marzo)
ruoterà attorno all’opera del poliedrico scrittore francese Emmanuel Carrère
Mariarosa Mancuso I due campioni della letteratura francese provocano schieramenti di campo che neppure Bartali o Coppi, Inter o Milan, Beatles o Rolling Stones, gel ato al pistacchio o gelato al cioccolato. Chi preferisce Michel Houellebecq, con Sottomissione (Bompiani), e chi preferisce Emmanuel Carrère, con Il regno (Adelphi). In un Paese che orgogliosamente coltiva la laicità, che considera la religione un residuo passatista, e considera sacre solo le diete (più son rigide più funzionano, mentre la Chiesa è invitata ad accettare deroghe ai propri principi) o al massimo la new age, per coincidenza singolare uno parla di Islam e l’altro di Cristianesimo. Da sempre – vale a dire da prima che lo pubblicasse Adelphi, che lo scrittore diventasse una star, e che fosse invitato da Fabio Fazio a sedersi nella stessa poltrona in cui si era seduta Madonna – stiamo con Emmanuel Carrère. Di Michel Houellebecq abbiamo letto tutti i libri, annoiandoci parecchio e faticando ad appassionarci. Volendoli descrivere con un’immagine, i suoi personaggi (più o meno velate controfigure dello scrittore, figlio di una madre sessantottina che lo fece crescere dalla nonna) si riducono a un depresso che vomita sulla moquette. Ammettiamo che Sottomissione sia più interessante, e in linea con lo spirito del tempo (non solo perché Houellebecq era sulla copertina di «Charlie
Hebdo» il giorno dell’attentato). Il depresso rimane, fa il professore universitario specialista di Huysmans (scrittore dell’Ottocento che prima celebrò il decadentismo, poi scoprì la fede) e quando i musulmani prendono il potere nella Francia del 2023 si sottomette volentieri. Non sa più che farsene della sua libertà, al pari di tutto l’Occidente: i precetti rigidi rassicurano, la poligamia offre maggiori soddisfazioni dei siti porno. La scrittura vischiosa, piatta, antiromanzesca rimane uguale: le idee e le posizioni non sono mai mostrate ma sempre spiegate, durante interminabili conversazioni. Noi, che alla libertà non vogliamo rinunciare e siamo disposti a pagarla con qualche depressione, scegliamo senz’altro Il regno. E tutti gli altri romanzi di Emmanuel Carrère, con l’unica eccezione di Baffi, che in italiano fu pubblicato da Theoria: un uomo decide di tagliarsi i baffi, moglie e amici non se ne accorgono, quando lui allude al cambiamento son pronti a giurare che i baffi non li aveva mai avuti (l’idea era curiosa, lo svolgimento zoppicante: un episodio dalla serie tv Ai confini della realtà riscritto da un intellettuale francese). L’avversario – una sorta di A sangue freddo, detto a nostro rischio e pericolo, Emmanuel Carrère non ha simpatia per Truman Capote – fece scattare la scintilla, per quanto ci riguarda (un’altra schiera di carreriani sono stati invece conquistati da Limonov, biografia poco ortodossa del russo che fondò il
Emmanuel Carrère, mago della narrativa, come dimostra anche la serie Les Revenants cui ha collaborato – in onda su LA1. (Keystone)
partito nazional bolscevico, nonché avversario di Putin, nonché nemico giurato di Brodsky, nonché puttaniere, poeta e galeotto). È la storia, vera e documentata, di Jean-Claude Romand, che mancò un esame alla facoltà di medicina, non lo confessò ai suoi, finse la laurea e un incarico al Cern di Ginevra (in realtà passava le giornate nei boschi
del Giura). Accumulò debiti, quando la situazione stava per precipitare, sterminò la famiglia e diede fuoco alla casa (i poliziotti arrivati sul posto lo trovarono malconcio, e pensarono che fosse miracolosamente scampato all’incidente). Vicino agli scatoloni con gli atti del processo e i ritagli di giornale usati per
L’avversario, Emmanuel Carrère ritrova i quaderni del suo periodo cristiano. Li aveva riempiti nel 1990, quando – «toccato dalla grazia», parole sue, aveva sposato in Chiesa la compagna Anne, andava a messa tutte le mattine, ogni giorno commentava il Vangelo di Giovanni. Lo racconta all’inizio di Il regno, e non ci sarebbe nulla di strano se – solo poche pagine prima – non avesse fatto una requisitoria razionalista contro le credenze dei cristiani. Testuali parole: «Ogni frase del Credo è un insulto al buon senso». Ha appena manifestato l’intenzione di fare un’indagine tra i credenti, tra l’altro iscrivendosi a una crociera «sulle orme di San Paolo» organizzata da un’agenzia specializzata in turismo religioso, quando all’improvviso ricorda di essere stato cristiano, una quindicina di anni prima. A chiunque altro avremmo chiuso il libro in faccia. Non a Carrère, che nei suoi libri ci ha abituati a mosse anche più azzardate, sulla scacchiera dell’autobiografia. Ci ha costruito sopra La vita come un romanzo russo (e qui bisogna ricordare che la madre, Helène Carrère d’Encausse è una famosa slavista che preannunciò la fine dell’impero sovietico, da allora viene consultata come un oracolo). E ci costruisce sopra Il regno, commentando i Vangeli senza nascondere la sua invidia – da romanziere – per chi racconta vita e miracoli di Cristo, mentre lui si è dovuto accontentare di un medico mancato. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il coraggio di una madre
Donne in scena Dopo esserci occupati di Frank Wedekind, in questa puntata rievochiamo
le indimenticabili figure femminili raccontate da Bertolt Brecht Luigi Forte Bertolt Brecht ha ribaltato l’impeto vitalistico di Frank Wedekind: le sue figure femminili non sono perfide seduttrici, ma piuttosto eroine bastonate, vittime predilette di un mondo dal volto biecamente maschilista. Certo non mancano le Lulu in formato ridotto come Jenny delle Spelonche che fa arrestare il bandito Mackie Messer nell’Opera da tre soldi, o Leocadia Begbick nella commedia Un uomo è un uomo che fuma sigari e se la spassa coi soldati, per ricomparire, un paio di anni dopo, nell’opera Mahagonny come tenutaria di un bordello. Ma sono figurine di contorno, icone d’un certo compiaciuto «esotismo» teatrale.
Nessuna possibilità di redenzione o di riscatto nella figura contraddittoria di Madre Coraggio Nulla a che vedere con Giovanna Dark, missionaria dell’Esercito della Salvezza nella pièce Santa Giovanna dei macelli, che scopre morendo l’inutilità del suo credo che voleva risvegliare la coscienza dei ricchi e confortare i poveri nella rassegnazione. La bontà individuale si dimostra, a conti fatti, inutile, quando non dannosa, in un mondo retto da un rapace sistema economico.
La galleria di ritratti femminili brechtiani comprende anche figure giovanissime come la piccola servetta d’albergo Simone Machard, la muta Kattrin, figlia di Madre Coraggio, che si sacrifica per la città di Halle o la povera serva Grusa nel Cerchio di gesso del Caucaso, uno degli ultimi lavori brechtiani dell’esilio americano, che resiste con energia e abnegazione alla malvagità del mondo dando all’eterno femminino popolare quasi consistenza ontologica. Ben altra cosa è la vivandiera e arcitruffatrice Anna Fierling, la protagonista del dramma Madre Coraggio e i suoi figli, che Brecht scrisse nell’autunno del 1939, mentre era in esilio, prima in Danimarca, poi in Svezia: una popolana che si arrabatta fra desolazione e miseria umane, mostrando però la follia del gioco dei grandi e il loro perfido calcolo. La pièce, ambientata durante la terribile guerra dei Trent’anni che sconvolse l’Europa, si rifà allo scrittore secentesco Grimmelshausen, ma parla del presente, non solo riflettendo la condizione di instabilità ed esistenza precaria dell’esule Brecht, ma mettendo a fuoco un mondo sull’orlo dell’abisso, in cui è proiettata l’esile silhouette di una donna che trae forza da una quasi animalesca vitalità e da una sovrumana capacità di adattamento. Insieme alla figlioletta Kattrin e ai due figli maschi, Anna trascina il suo carro con le poche mercanzie attraverso una guerra senza fine, tra protestanti e cattolici, che la sfigura e deforma fino a renderla moralmente irriconoscibile. Si
La grande attrice tedesca Therese Giehse nel ruolo di Madre Coraggio di Brecht. (Keystone)
rifiuta perfino di cedere un paio di camicie per farne bende per i feriti, tanto che il cappellano la definisce una «iena dei campi di battaglia». Ma, peggio ancora, tira sul prezzo del riscatto da pagare ai nemici che hanno catturato il figlio Schweizerkas con il risultato di affrettarne la fucilazione. L’altro, Eilif, viene condotto al patibolo per aver continuato a saccheggiare e uccidere anche durante una tregua, mentre Kattrin spedita in città dalla madre per ritirare merci preziose, è violentata e sfigurata. Tuttavia Anna è reattiva fino a cancellare la propria dignità umana per poter tirare avanti, consapevole che si vive in tempi bui in cui non è possibile
– come ricorda la nota poesia brechtiana A coloro che verranno – «spogliarsi di violenza/render bene per male». La madre-trafficante conserva dunque, in apparenza, la dinamica degli appetiti: nel mondo il soggetto deve mimetizzarsi o astutamente adeguarsi al potere, come mostrano le sue oscillazioni fra cattolici e protestanti. Incapace di imparare dalle sventure che l’hanno segnata, ella diventa una contraddizione vivente, convinta che la corruzione sia l’unica speranza dei diseredati. Anzi, dopo aver maledetto la guerra, al culmine della sua carriera di affari, esordisce dicendo: «Non permetto, io, che mi si guasti il piacere della guerra. Di-
cono che distrugge i deboli, ma quelli crepano anche in tempo di pace. Però la guerra, la sua gente la nutre meglio». È una chiara lezione in cui si sposano realismo e cinismo sullo sfondo di una tragedia nella quale individui anche moralmente abietti come Anna Fierling, appaiono agli occhi di Brecht vittime prima ancora che colpevoli. Così Anna genera una simpatia che non si può non provare per gli sconfitti, che rifiutano ogni vana illusione. «La povera gente – ella dice al cappellano – ha bisogno di coraggio. Perché è gente perduta. Ce ne vuole di coraggio, nella loro situazione solo per alzarsi ogni mattina! (..) Già il fatto che mettono al mondo dei figlioli, dimostra che hanno del coraggio, perché di speranze non ne hanno». Eppure da questa donna ci si aspettava un riscatto, un risveglio della coscienza, una pur tragica maturazione. Ma Brecht rimase fedele al suo personaggio impastato di egoismo e brusco affetto, di astuzia contadina e volgare affarismo. Del resto, quelli erano tempi carichi di sfiducia, quando non di disperazione, di fronte al destino di un’Europa, che stava precipitando nella barbarie. Forse è proprio vero, come confermano le guerre che infuriano tuttora sul pianeta, che il male del mondo non rende necessariamente saggi. E Anna Fierling sta lì a dimostrare la cecità e l’indifferenza della gente di fronte al dolore. Rabbia, ribellione interiore, intolleranza verso il destino dei reietti: ecco ciò che il cuore non è riuscito a esprimere nella sua marcia disperata. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Quando la realtà diventa messaggio metafisico Fotografia A Corzoneso la ricerca di Egdardo Gandolfi, artista polivalente Giovanni Medolago Edgardo Gandolfi (1945-2011) a Corzoneso è nato è cresciuto, vi tornava sempre d’estate quando studiava all’Accademia di Brera e quando era libero dal suo impegno d’insegnante d’educazione visiva, dapprima al Ginnasio e poi alla Scuola Media. Riposa nel cimitero di Corzoneso da quando la malattia s’è l’è prematuramente portato via. Le profonde radici nel piccolo villaggio bleniese, sue e dei suoi famigliari, sono testimoniate anche dai due ritratti che Roberto Donetta realizzò ai suoi nonni, paterni e materni. Non poteva dunque che intitolarsi Ritorno a Corzoneso la mostra attualmente allestita alla Casa Rotonda di Casserio, dove sono le fotografie a farla da padrone, ma dove ci sono anche dipinti e poesie che Gandolfi realizzò dando seguito al suo spirito di artista interessato alla bellezza e alla ricerca (notevole un Paesaggio che realizzò appena quindicenne). A Milano seguì anche corsi di fotografia – fu suo insegnante Ando Gilardi – e più tardi partecipò a diversi workshop, tra i quali quello intitolato Fotografia, paesaggio e architettura, tenuto da Franco Fontana, Francesco Radino e Gabriele Basilico. Lui stesso ha tenuto dei corsi al Liceo di Locarno e la sua passione lo ha spinto ad aprire, a Tenero nel 1995, lo spazio espositivo «Spaziophotografica». È lì che l’amico e collega Gianni Cima ha ritrovato una gran mole di materiale, stampe e rullini, che oggi dan-
no corpo alla mostra bleniese. «Opere dimenticate – spiega Antonio Mariotti – tutte vintage prints ovvero stampe originali, molte delle quali firmate e datate di proprio pugno dall’autore, a cui Gandolfi ha applicato anche un passepartout: molte di loro fanno parte di una serie, spesso con un titolo e una numerazione ben precisi». Tra queste spicca quella chiamata Metamorfosi, la fine di un mito dedicata a diverse carcasse d’automobili abbandonate in mezzo a un campo o sotto una tettoia. In Val Pontirone un Maggiolino VW sembra tener compagnia a un albero spoglio e agli uccelli che riposano su un ramo. È l’unica immagine in cui il soggetto/automobile compare per intero: Gandolfi sembra più sovente interessato al particolare: una portiera, il deflettore o l’incalzare della ruggine segnano davvero desolatamente la fine di un mito, quello delle quattroruote che rappresentò un’altra sua passione: Gandolfi infatti ottenne a Monza la licenza di pilota sportivo che gli permise di partecipare ad alcune corse in salita. Di notevole interesse anche la serie Oltre la chiesa, dove il fotografo usa abilmente il contrappunto luce/ombra, soprattutto nell’immagine dove ritrae (con singolare angolazione) archi e capitelli. «La fotografia è una traduzione delle realtà, un insieme di segni ordinati secondo un codice e che significano qualcosa – annotava Gandolfi – questo qualcosa non è il soggetto ma il rappor-
Un’immagine della serie Metamorfosi, la fine di un mito. (Edgardo Gandolfi)
to che il fotografo ha saputo instaurare con esso, lo stile con cui ha affrontato e risolto il problema che quel soggetto poneva; le modalità con cui ha saputo trasformare un pezzo di realtà (di per sé stesso privo di significato) in un messaggio». Riflessioni che si materializzano in particolare in due immagini di piccolo formato: il borgo di Peschici a picco sul mare e l’immagine realizzata sulle rive del Po. Nuvole e nebbia, mare
e cielo diafani, viuzza che sfocia su una strada: emerge lo stile con cui il fotografo ha trattato il suo soggetto proponendo allo spettatore delle immagini ferme nel tempo e nello spazio che rimandano all’arcano, al ricordo, alla nostalgia. Da segnalare infine che a partire dal 21 marzo alla Casa Rotonda è possibile vedere il documentario su Gandolfi realizzato da Eliana e Fabrizio Giacomini; e che nel catalogo che ac-
compagna l’esposizione si può leggere un esaustivo saggio di Claudio Guarda sul Gandolfi fotografo, pittore e poeta. Dove e quando
Ritorno a Corzoneso, fotografie di Edgardo Gandolfi. Casserio (frazione di Corzoneso), Casa Rotonda. Orari: sa, do e festivi 14.00-17.00. Fino al 12 aprile 2015. www.archiviodonetta.ch Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Cultura e Spettacoli
Distruggere per il gusto di farlo Archeologia Alle crudeli immagini delle numerose esecuzioni da parte dell’Isis, si aggiungono sempre più spesso
anche atti vandalici su siti di grande pregio archeologico e dunque umanistico Maria Bettetini Hanno nomi da saga di Tolkien, come Sargon di Akkad, padre di Enkheduanna. Oppure Sennacherib, re di Arabi e Assiri, citato da Dante e Lord Byron. La Bibbia riporta nel Secondo Libro dei Re l’assedio di Gerusalemme, concluso con la strage di quasi duecentomila assiri per mano dell’angelo del Signore. Anche Erodoto narra le mire espansionistiche di Sennacherib, anche gli dei egizi lo obbligarono alla ritirata, perché inviarono dei topi a divorare le sue armi. L’imponenza della civiltà di Ninive è tale da meritare di essere più volte maledetta: «Nessuna discendenza porterà il tuo nome, dal tempio dei tuoi dèi farò sparire le statue scolpite e quelle fuse, preparerò il tuo sepolcro, poiché non vali nulla», così il libro del profeta Naum su Ninive. Gli Assiri erano un popolo sanguinario e crudele, lussurioso come le loro divinità. A Ninive fu inviato un profeta apposta per i suoi abitanti: Giona, il profeta che non trova pace, la cui tomba è stata distrutta dai terroristi dell’Isis nel luglio scorso. Gli stessi che hanno aggredito le statue del Museo di Mosul, come oggi si chiama la città sorta vicino al sito di Ninive, di cui parla Luca Peyronel nell’intervista qui accanto. Oggi sappiamo che le statue erano delle copie in gesso, però ugualmente il filmato delle azioni vandaliche fa paura. Dovremmo solo scandalizzarci per la distruzione di statue trimillenarie (o ritenute tali), sono pietre e non soffro-
Il grande toro alato androcefalo a Ninive. (Keystone)
no come i prigionieri torturati e uccisi: invece tanta violenza ci spaventa. Il nostro sguardo interiore rifugge dalla persecuzione di uomini, donne, bambini, nei quali ci riconosciamo, e dei
quali sentiamo la disgrazia come fosse nostra, perché potrebbe essere nostra. Guardiamo e non guardiamo, quindi, le efferatezze sui prigionieri, anzi saremmo grati ai media se evitassero di
mostrarceli, dando voce così a una studiata semina di terrore. Non riusciamo invece a staccare gli occhi dalle mazze che spezzano la schiena dei re assiri, dei loro simboli. E ci appare con terribile
evidenza la furia, la bestia che alberga in questi uomini vestiti di bianco e nero. Si accaniscono sulle macerie anche con un incongruo trapano elettrico, per violentare ciò che doveva essere
protetto nel Museo di Mosul, dove in un inutile gesto d’amore qualcuno aveva protetto ogni statua in un sudario di plastica trasparente. La violenza continua, si parla di cingolati per spianare le rovine di Hatra e di Khorsabad, secondo l’Unesco l’Isis dominerebbe almeno duemila siti iracheni su dodicimila, e uno via l’altro li aggredirebbe al grido di «così vuole Dio, così il suo profeta Mohammad». Eppure nel Corano non si trova una teoria sullo statuto delle immagini, solo un invito a guardarsi dall’idolatria e dai bugiardi. L’aniconìa, che non comporta la distruzione di immagini, ma il loro bando, entra nella cultura islamica solo un paio di secoli dopo, quando nei Detti del Profeta si trova scritto che Mohammad chiedeva di non essere distratto dalle figure durante la preghiera, e dichiarava che «gli angeli non entrano in un tempio decorato da figure». Quindi le immagini possono disturbare le azioni sacre, la vita all’interno dei templi. Le stesse idee che si trovano in famose pagine di Bernardo da Chiaravalle, il monaco cistercense che nell’XI secolo descriveva le decorazioni dei chiostri come pericolose distrazioni, ma le rendeva nei particolari di tale bellezza da far capire quanto ne fosse attratto. Il problema però non può essere solo la distrazione, anche se solo questa è riprovata nei Detti del Profeta. A essa si aggiunga la dissuasione dall’idolatria, come detto nel Corano. Non basta ancora, perché distruggere statue di divinità che nessuno adora più da tremila anni? La risposta è nel filmato della furia iconoclasta, nel brivido che ne accompagna la visione: non è fedeltà a una legge divina, nemmeno a usi e costumi della devozione. È vandalismo, tale e quale quello dei ragazzotti che bruciano le auto, sporcano le strade, rompono le vetrine. E non fanno nemmeno più paura, prigionieri della loro cecità.
«Noi archeologi siamo confrontati con una violenza inaudita» Luca Peyronel è un archeologo e storico dell’arte del Vicino Oriente Antico, si occupa quindi dello studio e della ricostruzione delle culture che si sono sviluppate in Iraq, Iran, Siria-Palestina e Anatolia nell’arco di tre millenni, a partire dalla nascita delle prime città in Mesopotamia durante il IV millennio a.C. Romano, insegna a Milano all’Università IULM. Ha scavato in Siria dal 1991 al 2010, in un sito di straordinaria importanza, Ebla, capitale di un grande regno attorno al 2500 a.C., come ci è reso noto dalla scoperta del palazzo reale con un archivio di oltre cinquemila tavolette cuneiformi. La missione italiana ad Ebla, che era iniziata nel 1964, si è conclusa nel 2010 con il precipitare della crisi siriana. Tra i migliori ricordi dell’archeologo, lo scavo a Ebla di un quartiere di case di quattromila anni fa: «Erano perfettamente conservate grazie all’incendio appiccato durante la conquista della città. Cucine con ancora le pentole di argilla sul focolare, magazzini con grandi giare piene di orzo, canalette e cisterne dove convogliare l’acqua piovana. Toccavo con mano le attività, la vita di tutti giorni degli eblaiti, un’emozione incredibile». E ora, di quali scavi si sta occupando?
Dal 2013 guido una missione archeologica dell’Università IULM nella piana di Erbil, nel Kurdistan iracheno. Siamo a poche decine di chilometri da Mosul, dovevamo tornare nel settembre scorso ma l’avanzata dell’Isis non lo ha permesso, troppo rischioso. Ma non vediamo l’ora di partire, quest’anno la nostra presenza assume valore
sorta di programma, oppure si tratta di una distruzione irrazionale?
L’azione dell’Isis contro il patrimonio storico-archeologico di Siria e Iraq è condotta su due binari distinti. Da un lato la distruzione di siti e opere d’arte conservate nei musei, propagandata come necessaria per perseguire l’iconoclastia fondamentalista, e veicolata sul web per indignare l’Occidente e diffondere il loro verbo. Dall’altro, l’Isis controlla bande di scavatori che saccheggiano i siti archeologici. Si vuole cancellare il passato e i suoi «falsi idoli», e insieme vendere tutto ciò che ha un valore economico. anche come testimonianza di impegno per la salvaguardia del patrimonio culturale iracheno: siamo italiani, polacchi, francesi, inglesi, americani, tedeschi. Rimane ancora molto da cercare e da scavare in Iraq?
In Iraq è nata l’archeologia orientale, alla metà dell’Ottocento, proprio con lo scavo delle grandi capitali assire, Ninive, Nimrud e Khorsabad, che oggi sono oggetto della furia devastatrice del fondamentalismo dell’IS. Per dare un’idea di quanto ci sia ancora da fare nella Mesopotamia, faccio due esempi. Di Ninive, l’ultima capitale dell’impero assiro, oltre 700 ettari di estensione, è stata indagata di fatto solo la cittadella e le porte urbiche, del resto della città non si sa ancora nulla! Il primo «impero universale» della storia, il regno di Akkad, fondato da Sargon attorno al 2300 a.C., unifica tutta la Mesopotamia centro-meridionale, ma la sua capitale non è stata ancora identificata... L’Isis conosce il valore di ciò che distrugge, e in questo segue una
Che cosa perdiamo, perdendo ciò che restava dell’integrità dei siti e dei musei distrutti?
Sono purtroppo oramai moltissimi i siti archeologici oggetto di scavi clandestini condotti sistematicamente e su larga scala, nelle zone controllate dall’Isis, tanto in Siria che in Iraq. Certo a noi fa inorridire la distruzione deliberata delle sculture del museo di Mosul e l’idea di una ruspa che spiana un sito archeologico, come sembra stia avvenendo a Nimrud, Khorsabad e Hatra. Lo sentiamo come una violenza inaudita, che si affianca alle brutali decapitazioni degli ostaggi e alle stragi delle minoranze religiose. Tali distruzioni del patrimonio culturale sono state condannate unanimemente e sono state dichiarate un «crimine contro l’umanità», ma non dobbiamo dimenticare che anche il saccheggio di un sito per trafugare antichità è una devastazione irreparabile e altrettanto criminale. È vero che il museo di Mosul ospitava per lo più copie in gesso delle opere?
Molte delle statue che vengono distrutte nel video diffuso dall’Isis erano effettivamente delle copie in gesso, per questo appena toccano terra si frantumano così facilmente. Gli originali dovrebbero essere stati spostati al museo nazionale iracheno di Baghdad nel 2003. Vi sono però anche pezzi autentici, soprattutto assiri: il grande toro alato androcefalo della porta di Nergal a Ninive, su cui infieriscono i miliziani con martelli e trapani, è un capolavoro dell’arte assira del VII secolo a.C. perso per sempre. Ma allora non è meglio conservare le opere antiche in musei più sicuri, in Occidente?
La questione della dispersione del patrimonio archeologico siriano e iracheno nel mondo è legata alla storia delle ricerche nelle terre di Mesopotamia. Nella seconda metà dell’Ottocento nascono le sezioni orientali del British e del Louvre con opere trovate nelle grandi capitali assire, che però vengono private delle splendide sculture che ornavano gli edifici. Ci furono casi clamorosi di perdite ingenti di reperti con l’affondamento delle chiatte che li trasportavano lungo il Tigri. Nella fase dei protettorati francesi e inglesi, alla fine delle campagne di scavo, i reperti venivano «spartiti» tra l’ente occidentale che finanziava la ricerca e i musei locali, determinando la separazione fisica di manufatti magari provenienti dallo stesso contesto. I beni archeologici devono rimanere nel loro territorio e gli sforzi vanno indirizzati allo loro corretta valorizzazione, recuperando i legami tra siti e manufatti. La notizia della riapertura del museo di Baghdad è la migliore risposta allo scempio di Mosul. / MB
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Cultura e Spettacoli
Orlando, una segreta parodia sul filo della memoria In scena Prova molto impegnativa per Margherita Coldesina, che si china sul complesso
e suggestivo testo di Virginia Woolf Giorgio Thoeni «Ieri mattina ero disperata, non riuscivo a spremere una parola, alla fine mi sono presa la testa tra le mani, ho intinto la penna nell’inchiostro, e ho scritto queste parole quasi meccanicamente, sul foglio bianco: Orlando. Una biografia. Appena fatto questo, il mio corpo è stato invaso dall’estasi, la mia mente da idee». Così Virginia Woolf (1882-1941) scrisse in una lettera indirizzata a Vita Sackville-West, la donna con la quale grande scrittrice inglese ebbe una storia d’amore e a cui dedicò il suo Orlando che può essere considerato come una lunghissima lettera d’amore e un inno al fascino ambiguo. Tra le pagine di Orlando troviamo l’idea, difesa strenuamente, che in ogni persona convivono una parte maschile e una femminile, sottolineate nel mancato ruolo della donna nella società contemporanea all’autrice. Per rileggere il suo romanzo occorre dunque entrare nella dimensione dell’ironia ma anche della scioltezza; due parole-chiave che sono anche i registri sui quali si orienta la lettura – questa volta teatrale – di Orlando di Margherita Coldesina al suo debutto sul palco del Teatro Foce di Lugano per la rassegna «Home»: una sorta di impegnativo monologo accompagnato in scena da Elena De Carolis e diretto da Andrea Lanza su un libero adattamento di Silvia Villa.
Siamo nell’Inghilterra di Elisabetta I e Orlando è una strana creatura la cui bellezza e l’ambiguità dei tratti conquistano la regina che lo introduce a corte come suo prediletto. Un’ondata di freddo glaciale («il Grande Gelo» del 1608) travolge l’Inghilterra e Orlando incontra Sasha, figlia dell’ambasciatore di Russia, di cui si innamora perdutamente. Un amore che non dura a lungo. Come arriva il disgelo Sasha riparte. Un lungo sonno colpisce Orlando e al suo risveglio parte come ambasciatore per l’Asia. Cade nuovamente in un lunghissimo sonno durante il quale il suo corpo si trasforma in quello di una donna. Dopo un periodo trascorso tra i nomadi, Orlando torna a Londra dove si dedica alla poesia e alle lettere: scrive La quercia, un romanzo autobiografico. La sua casa diventa un luogo di ritrovo per intellettuali e poeti. Diventa moglie di un avventuriero che solca i mari verso Capo Horn e i cieli... per Orlando è un uccello che volteggia: «È l’oca... l’oca selvatica». La regia di Andrea Lanza ha portato l’interpretazione di Margherita Coldesina a percorrere il tema dell’ambiguità e dell’androginia fra ammiccamenti simbolici, iniziali ombre kubrickiane nel doppio-sogno schnitzleriano attraverso la maschera di Anubi (la divinità egiziana con testa di cane che protegge il mondo dei morti) nell’evocazione di un patto col diavolo
Margherita Coldesina ed Elena De Carolis sulla scena. (Ti-Press)
che rende immortale Orlando nel viaggio che gli farà percorrere quattro secoli di storia con il personaggio di Septimus (l’ex soldato scampato alla guerra, amante delle arti, della letteratura e dell’Inghilterra di Shakespeare) uscito da La Signora Dalloway, il romanzo del 1925 della Woolf. Septimus è allusivo nel gioco come servo e pronubo di Orlando per le riflessioni del signore/ signora per una segreta parodia nel fitto bosco di simboli: dallo specchio alla penna e calamaio fino alla sfera del mondo, dal libro all’acqua, alla luce, in un turbine d’immagini videoproiettate sul filo della storia, fra antico e moderno, dall’albero-uomo fino alla struttura elicoidale del DNA: stimoli visivi su fondoscena come squadra e compasso massonici, quasi a evocare una Londra occulta. Ritmati da cambi di luce e lampi sonori, le pagine dell’Orlando scorrono con un buon ritmo. Diversi i registri dell’attrice: dalla lettura senz’anima iniziale del Grande Gelo come parole che attendono un’anima nell’ambiguità della protagonista alla continua ricerca di poesia. Specchio ideale per Margherita Coldesina, attrice colta e raffinata, animata dal sacro fuoco sulle ali di un Icaro ansioso di volare sempre più in alto. Ottima, impegnativa e brillante la sua prova (ancora qualche immaturità nella dizione) con numerose chiamate al termine dello spettacolo.
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Cultura e Spettacoli
Il suono di Napoli al di là delle epoche Musica Marco Beasley inaugura i Concerti delle Camelie a Locarno
Zeno Gabaglio Napule è... Chi negli ultimi due mesi si è trovato a cantarla lo ha fatto per un senso di stringente attualità, per un sentito omaggio all’inaspettata scomparsa di Pino Daniele. E non potrebbe che essere così.
La musicalità di Napoli è unica nel suo genere poiché è il risultato di coloro che ci sono passati Chi però Napule è... l’ha sempre cantata, lo ha fatto con un sentimento diverso, più ampio. Riconoscendo in Pino Daniele il punto contemporaneo ed estremo di una tradizione che ha attraversato i secoli, una continuità che risale almeno fino al Cinquecento di Andrea Falconieri, e che puntualmente ha toccato tutte le successive epoche della creazione musicale, in quella declinazione speciale e unica che si riferisce alla città di Napoli. Ovvio: per pensare Pino Daniele – e ancor di più per cantarlo – in una prospettiva temporale e stilistica così larga ci vuole un’ampiezza di vedute fuori dal comune, una capacità di trovare le somiglianze anche in contesti molto diversi. E di questa straordinaria saggezza è portatore sano il cantante Marco Beasley, che già trent’anni fa diede vita
Marco Beasley, inconfondibile tenore partenopeo.
– assieme al tastierista Guido Morini – all’Ensemble Accordone, gruppo pioniere in quel tipo di indagine monografica trasversale alla musica che ha fatto dapprima scuola e poi il successo di tante altre realtà interpretative, generalmente ricondotte alla «musica antica». Un procedere per idee e concetti che già nel 2012 aveva portato Accordone a dare alle stampe il disco Storie di Napoli, in cui il filo della musica partenopea veniva dipanato attraverso 5 secoli di canzone in un modo sorprendentemente convincente. Da far appa-
rire assolutamente naturale la filiazione diretta di Pino Daniele rispetto ad Andrea Falconieri. Quel meraviglioso disco – pensato e realizzato da due napoletani veraci – rivivrà il prossimo venerdì 27 marzo alle ore 20.30 presso la Sala Sopracenerina di Locarno, per il primo appuntamento con i Concerti delle Camelie. «Napoli affascina perché è un luogo dove si possono fare tutte le esperienze della vita in un tempo e in uno spazio brevi» ci dice Marco Beasley. «È una città difficile, dai contrasti duri.
Ma proprio i contrasti ti impongono delle scelte: devi distinguere cosa è bene da cosa è male. Non soltanto perché te lo dicono gli adulti, ma perché te ne accorgi tu per strada». E tra le varie esperienze che hanno segnato Marco Beasley nei primi vent’anni di vita a Napoli c’è stata anche la musica. «Napoli è considerata una città molto musicale, e oltre gli stereotipi è proprio vero che esiste un’attitudine al canto che procede fin dalla gestualità quotidiana. Mi ricordo benissimo i venditori ambulanti della mia infanzia che, spin-
gendo il loro carretto, annunciavano il proprio arrivo con precise melodie di vendita. La musica era un modo per conoscersi e farsi riconoscere, ma anche per entrare nell’animo delle persone». Non è però che quella della musicalità possa essere una caratteristica non solo di Napoli, ma più in generale di tutte le grandi città affacciate sul Mediterraneo? «Di sicuro le città marinare hanno delle caratteristiche anche umane che le distinguono dalle città di terra. Però – vivendo da diverso tempo a Genova – posso dire che la musicalità di Napoli è qualcosa di più di una semplice conseguenza del mare. Genova è pure marittima e molto musicale – basti pensare alla grande generazione dei cantautori, da Tenco a De André a Gino Paoli – ma a Napoli la musicalità è più sviluppata e più stratificata. Lì ci sono stati i greci, gli arabi, i francesi, gli spagnoli, gli austriaci e la melodia era diventata un linguaggio trasversale e comune affinché la gente si potesse capire oltre le parole». Con l’etichetta «musica napoletana» si sono però venduti prodotti molto distanti per spirito e qualità intrinseche: dalla ricerca rock di Pino Daniele al melenso neomelodismo di Gigi d’Alessio, dall’intimità sussurrata di Roberto Murolo alle tronfie ugole dei tenori: è davvero tutta musica napoletana? «Rischio dicendo di sì. Perché secondo me nella libertà d’espressione sta la forza dell’espressione stessa. Ognuno di noi è libero di decidere cosa vuole pensare e soprattutto cosa vuole ascoltare». Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Se la vita è malattia... Teatro Molière in scena a Locarno, con Gioele Dix nei panni di Argan
Giovanni Fattorini Il programma di sala del Malato immaginario inscenato da Andrée Ruth Shammah nel 1980 (con Franco Parenti nella parte di Argan), e quello della ripresa 2015 (con un cast tutto nuovo, eccezion fatta per Gioele Dix, che 35 anni fa impersonava il giovane Cléante e ora indossa la camicia da notte e i calzettoni del protagonista), contengono entrambi una nota interpretativa che è parte del saggio premesso da Cesare Garboli alla sua bellissima traduzione, messa in scena da Giorgio De Lullo nel ’74 e pubblicata da Einaudi nel ’76, in un volume comprendente altri quattro testi molieriani tradotti anch’essi da Garboli.
Gioele Dix riesce a conferire un che di pacioso e di bonario al proprio personaggio Secondo il quale (gli omissis sono miei): «Argan è un uomo che si rifiuta alla morte. Per questo si lascia docilmente sedurre e abbindolare dai medici. Finché esistono i medici, esiste anche l’illusione che il futuro di un’esistenza malata non sia la morte, ma un’ipotetica vita da sani. […] Come nessun altro personaggio del teatro antico e moderno, Argan è consapevole che vivere è essere malati. Ma se
la vita è malattia, solo una malattia immaginaria può tenere in scacco, e addirittura sconfiggere il vero, oscuro, immedicabile malanno di esistere. […] Figlio di Molière, Argan è un estremista e un solitario. È un uomo senza prossimo, e tutto il teatro che egli gestisce fra la poltrona e il cesso, nel proprio foderato alloggio ospedaliero, è un teatro tutto per lui, un teatro-monologo, un immenso soliloquio. Argan non ha interlocutori che possano comprendere il suo male, così come non ha medici che possano guarirlo. Se la vita è male, si può viverla solo se si è “malati”, o se si è irresponsabili e ciechi. In ogni caso, è impossibile vivere la vita da “sani”: se la vita è male, la coscienza uccide la salute». Nella messinscena del 1980, Andrée Ruth Shammah e Franco Parenti avevano sostanzialmente accolto l’interpretazione di Garboli, così come l’avevano accolta, sei anni prima, Giorgio De Lullo e Romolo Valli. D’intesa con lo scenografo Pier Luigi Pizzi, De Lullo aveva collocato l’ipocondriaco Argan, con la sua conclamata nevrosi, in una stanza dalle pareti di legno pregiato (il «foderato alloggio» di cui parla Garboli), che dando l’impressione di un protettivo benessere borghese metteva maggiormente in risalto la disarmonia psichica del personaggio. Nello spettacolo 2015 di Andrée Ruth Shammah, la scena di Gian Maurizio Fercioni – identica a quella del 1980 – pare suggerita dal secondo aggettivo usato da Garboli: «ospedaliero». La stanza di Argan è un locale spoglio, con sedie
metalliche che fanno pensare all’anticamera di un gabinetto medico, con un carrello-portamedicine il cui piano d’appoggio è un poco impreziosito da un bordo di penduli e tintinnanti cucchiaini d’argento, e con pareti di tulle nero dietro cui s’intravede un labirinto di corridoi. Nella sua irrimediabile condizione di separatezza, Argan è sempre esposto allo sguardo degli altri, che attraverso le pareti trasparenti lo guardano, lo spiano, aspettando che muoia o che guarisca. Parodicamente intronizzato in una poltrona a rotelle (all’inizio, col volto coperto da un fazzoletto, richiama il beckettiano Hamm) è al tempo stesso un degente, un sorvegliato speciale, e un piccolo despota che non vede e non sente ciò che accade e si trama oltre le pareti della sua stanza. Trentacinque anni fa, Franco Parenti riusciva in modo egregio nell’impresa di alternare o coniugare la dimensione drammatica e la comica, il fondo «nero» di cui parla Garboli e i tratti risibilmente maniacali del tirannello ipocondriaco. Alquanto diverso, a cominciare dal volto meno scavato e sofferente, è il personaggio a cui dà corpo e voce Gioele Dix. Il richiamo iniziale a Finale di partita è fuorviante. Il malato immaginario di Molière, e più ancora quello di Gioele Dix, non conoscono il nichilismo radicale di Hamm, il suo umorismo distruttivo, la sua attesa di una fine che tarda ad arrivare. Al ritualismo ossessivo e all’egoistico arbitrio di Argan, Dix conferisce spesso, con gradazioni
Gioele Dix malato immaginario insieme alla sua infermiera (Anna Della Rosa).
diverse, un che di pacioso, di bonario. Alza i toni solo nella sfuriata contro Molière, colpevole di satireggiare i medici e la medicina. Si direbbe che Andrée Ruth Shammah, riprendendo l’allestimento del 1980, abbia voluto rendere un po’ meno evidenti le divaricazioni del testo – che ora è commedia di carattere, ora indubitabile farsa – sia attenuando il fondo cupo di Argan, sia non esagerando nel sottolineare i tratti caricaturali dei notabili: i medici, il notaio, il farmacista. Il risultato è uno spettacolo ben concertato e
divertente. Tutti bravi gli attori: Anna Della Rosa (che è la serva-infermiera Toinette), Marco Balbi, Francesco Brandi, Piero Domenicaccio, Alessandro Quattro, Linda Gennari, Piero Micci, Francesco Sferrazza Papa e Valentina Bartolo (nel doppio ruolo di Angélique e della piccola Louise, che strappa al padre la memorabile battuta: «Non ci sono più bambini»). Dove e quando
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Cultura e Spettacoli
Vita in noir Pubblicazioni Istruzioni per vivere meglio e per scrivere e leggere
«Strings», danza versatile e giocosa
meglio il noir nel profilo dell’opera di Raymond Chandler curato da Davide Mosca
al Teatro dell’Opera di Zurigo
Stefano Vassere
Marinella Polli
Arriva infine il giorno del commiato e del ritorno di Marlowe a Los Angeles: «E mentre vedevo la casa che spariva nello specchietto retrovisore, provai, dentro di me, una sensazione strana, come se avessi scritto una poesia molto bella e l’avessi perduta, conscio di non poterla più ricordare». È nato di recente tutto un filone di letterature e arti terapeutiche, testi, musiche, cinematografie che dovrebbero far bene allo spirito e al corpo. Estetiche per il benessere in generale, come è sempre stato, ma poi anche in modo più mirato: libri per il mal di testa, per il male d’amore, film per la gastrite, per l’acufene, per i paterecci e per tutta una serie di grandi e piccoli malanni. In pratica si legge un po’ di questo, tipo ogni mattina o si guarda un po’ di quell’altro dopo i pasti e il sollievo dovrebbe essere più o meno assicurato. È sorella di questi rimedi una nuova collana della casa editrice Chiarelettere che si chiama «FeelBook», la quale dopo due volumi dedicati a Più in forma con Kafka e Più saggi con Lucio Anneo Seneca, approda qui a un terzo Più sicuri di sé con Raymond Chandler scritto dal narratore e saggista Davide Mosca.
I tre magnifici balletti attualmente in cartellone sono un appuntamento di quelli da non perdere assolutamente per tutti gli amanti della danza classica e moderna, e, soprattutto, per i numerosissimi fan del Ballett Zürich. È infatti un piacere particolare assistere alle esibizioni della preparata e affiatatissima compagnia del Teatro dell’Opera di Zurigo diretta da Christian Spuck, sempre in grado di danzare ad un davvero eccezionale livello di tecnica ed espressività le coreografie stilisticamente più diverse e, anche per questo, internazionalmente fra le più ammirate. Coreografie, dunque, come la prima della serata, dello stesso Spuck, ovvero das siebte blau creato nel del 2000, ma in prima rappresentazione svizzera. Vi danzano molti ballerini e ballerine dell’ensemble, e fra loro Katja Wünsche, la quale interpreta Das Mädchen, in quanto la musica scelta da Spuck è appunto costituita principalmente da parti di Der Tod und das Mädchen di Franz Schubert, oltre che da qualche brano di Gyorgy Kurtàg e Dieter Fenchel. E das siebte blau si può ben dire che viva del brano sublime di Schubert: l’abbiamo tutti talmente nell’orecchio da quasi non poter più essere in grado di avvalerci degli altri sensi. Così, le immagini coreografiche che si stagliano nell’essenziale scenografia (pure concepita da Spuck, mentre i costumi sono di Miro Paternostro) rimangono paradossalmente soltanto un contorno. Al punto che quasi non ci si accorge della loro difficoltà, né della perfetta forma
Grazie a Raymond Chandler chiunque può imparare come dare lustro alla propria vita
Concorsi
La terapia, qui, è condotta seguendo due strade: sicuramente cercando di ricostruire la filosofia e la condotta di vita dei protagonisti nei romanzi del maestro del noir americano, e in particolare del mitico detective Marlowe; ma poi però anche tracciando qualche caposaldo biografico dello stesso Chandler, a partire da quella documentata sofferenza senza scampo dopo la morte della moglie, che, come un suo personaggio, lo indusse nell’alcol e nell’angoscia fino a condurlo ai tentativi di suicidio e alla successiva morte certamente prematura. I titoli dei capitoletti tracciano appunto questo vademecum: dai più
091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle12.00
Balletto In cartellone fino a giugno
Lo spettacolo workwithinwork, in programma a Zurigo. (opernhaus.ch)
fisico-tecnica dei ballerini, non da ultimo perché il quartetto d’archi (Hanna Weinmeister, primo violino, Xiaoming Wang, secondo violino, Valérie Szlavik, viola, e Bruno Weinmeister, violoncello) si esibisce in piena visibilità sulla scena. Il secondo balletto in programma, pure in prima svizzera, è workwithinwork del grande coreografo americano William Forsythe (è sua anche la scenografia, mentre i costumi sono di Stephen Galloway) sui Duetti per due violini di Luciano Berio. Un balletto risalente al 1998, nel quale il linguaggio della danza classica viene perentoriamente smembrato per poi essere ricostituito e riplasmato in risultanze completamente nuove e quasi inattese. Forsythe parte come sempre dal presupposto che le sue geometrie corporee vadano a disegnare linee e sagome nello spazio, e dunque, inesorabilmente, ad influenzarlo. Accostandosi a figure della danza classica tradizionale in maniera sempre differente, decostruendole e ricomponendole poi minuziosamente in tante diverse successioni, ecco che le possibili evocazioni inevitabilmente si moltiplicano. Anche per quanto concerne questo suggestivo balletto, dobbiamo stringere in un unico, forte abbraccio elogiativo tutti i ballerini, perfetti per tecnica e forza fisica, espressività e precisione. Dopo una pausa per la verità piuttosto lunga (per giunta già la seconda della serata) segue Chamber Minds di Edward Clug in prima mondiale, un balletto su brani di Milko Lazar. Anche Clug, attualmente alla testa del Balletto di Slovenia, incrocia e mescola tradizionale, moderno e postmoderno, disegnando immagini coreografiche oltremodo eloquenti ed espressive, ma altresì di grandissima comicità, e ciò con specifica maestria, ma anche con un grande senso dell’umorismo: saltelli, balzi, giochi, malintesi, corse e corsette, impennate, cadute... insomma forza e grazia si susseguono in una caleidoscopica gamma di possibilità che solo la danza può raccontare. Ad eccellere, oltre all’interessante scenografia di Marco Japelj, sono anche qui i ballerini tutti. Le repliche di questa serata intitolata «Strings» per il genere di musica scelto, si protrarranno per tutta la stagione fino al 19 giugno.
Tra Jazz e nuove musiche Rassegna Jazz Teatro Foce, Lugano Martedì 31 marzo, ore 21.00
Jazz a Primavera Rassegna Jazz Casa Cavalier Pellanda, Biasca Sabato 11 aprile, ore 21.00
Tra Jazz e nuove musiche Rassegna Jazz Teatro del Gatto, Ascona Lunedì 13 aprile, ore 20.30
Julia Hülsmann Quartet &Theo Bleckmann
Marc Ribot y los Cubanos Postizos
Fausto Beccalossi – My Time
John Scofield & Jon Cleary
Unsung Weill Julia Hülsmann, piano Theo Bleckmann, voce Tom Arthurs tromba, flicorno Marc Müllbauer, contrabbasso Heinrich Köbberling, batteria
Marc Ribot, chitarra Horacio «El Negro» Hernandez, trap drums Brad Jones, basso Anthony Coleman, organo EJ Rodriguez, batteria, percussioni
Uno dei maggiori esecutori italiani contemporanei alla fisarmonica, in grado di mescolare il repertorio jazz a quello della musica popolare, del tango e del’improvvisazione.
John Scofield, chitarra Jon Cleary, tastiere, voce
www.rsi.ch/jazz
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www.musibiasca.ch
www.jazzcatclub.ch
Un vademecum per essere come lui, Philip Marlowe (alias Robert Mitchum). (Keystone)
prevedibili come «Pensa meno, vivi di più», «Non avere paura di sporcarti con la vita», fino ai meno probabili «Come sopravvivere alla fine di un amore», «Prenditi cura degli animali», «Scrivi di lettere». Poi, come si conviene a un autentico hard boiled americano, il testo finisce per tradire, all’inizio ben nascoste ma poi mano a mano più esplicite, altre intenzioni: qui le ben più ambiziose intenzioni di stabilire punti fermi della letteratura noir e della letteratura in generale. «La cosa più durevole dello scrivere è lo stile, e lo stile è l’investimento più prezioso che uno scrittore possa fare». Come dire «forma, forma e forma, poi magari, dopo, alla fine, un po’ di storia». Non è forse questa, l’essenza della letteratura, del cinema, dell’arte e, per dirla con Chandler, della vita? Per cui, il lettore impara qui a vivere, e a leggere e scrivere letteratura, o meglio con la scusa di imparare a vivere impara come funziona la letteratura (è concesso: sarebbe più logico e scontato il contrario). Ci sono per esempio belle pagine dedicate alla differenza che qualifica il noir di fronte al più banale giallo tradizionale: dice Chandler che un
libro noir lo leggeresti anche sapendo che qualcuno ha strappato l’ultima pagina, o che lo rileggeresti anche sapendo come va a finire. Così, una vita intensa potresti comprarla a scatola chiusa, anche ignorandone il finale, «non più di un’oliva nel Martini», seconda immagine molto di casa in questo genere letterario. C’entra meno, ma il consiglio ai più attenti a grafiche, forme, packaging e confezioni è quello di saggiare il peso della carta di questo libro e passare i polpastrelli di indice e medio per sentire i rilievi del titolo in copertina; perché sia concessa, su!, una innocente pernacchia alle versioni elettroniche dei libri. Per dirla con Marlowe, finché questi libri saranno di carta la nostra vita potrà essere migliore. «Mostrami un uomo o una donna a cui non piaccia il noir e mi mostrerai uno sciocco – uno sciocco intelligente magari, ma pur sempre uno sciocco».
Tra Jazz e nuove musiche Rassegna Jazz Studio 2 RSI, Lugano Lunedì 30 marzo, ore 20.30
Bibliografia
Davide Mosca, Più sicuri di sé con Raymond Chandler, Milano, Chiarelettere Editore, 2014.
Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
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Idee e acquisti per la settimana
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Una nuova Migros nel luganese Attualità Giovedì 26 marzo apre i battenti il supermercato
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In signor Dario Calori, gerente della nuova Migros di Melano, è felice: «Io e i miei 9 collaboratori non vediamo l’ora di poter accogliere la clientela in questo “nostro” nuovissimo supermercato». Giovedì 26 marzo dalle ore 8.00 i primi clienti potranno varcare la soglia e scoprire quella che sarà l’offerta per la spesa di tutti i giorni. Con una superficie di vendita di ca. 440 metri quadrati, il negozio è situato al piano terra della nuovissima casa comunale facilmente raggiungibile al numero civico 89 di Via Cantonale; un edificio dalle spiccate particolarità architettoniche firmato dallo studio BasergaMozzetti Architetti. Questo nuovo punto vendita di Migros Ticino si inserisce nel contesto di un
Comune, quello di Melano, che ancora lo scorso anno ha fatto segnare una leggera crescita demografica attestandosi a fine 2014 a 1446 abitanti. Migros Melano si propone come interessante riferimento per la spesa giornaliera di generi alimentari con una vasta scelta di prodotti freschi a libero servizio quali: una variegata scelta di frutta e verdura, panetteria e pasticceria, salumeria, macelleria e pesce. Completano l’offerta di questo negozio: alimenti cani e gatti, articoli Non-Food di prima necessità, prodotti per la pulizia, cartoleria, fiori recisi, ecc. All’esterno comodi parcheggi saranno a disposizione durante gli orari d’apertura: dal lunedì al venerdì dalle 8.00 alle 18.30; il sabato dalle 8.00 alle 17.00.
Per festeggiare l’inaugurazione di Migros Melano, sono previste una serie di promozioni e iniziative rivolte ai primi visitatori. A cominciare dal 10% di riduzione su tutto l’assortimento, in programma giovedì 26 e venerdì 27 marzo; in queste due giornate, il Gerente Dario Calori da parecchi anni residente a Melano e con una pluriennale esperienza a Migros Ticino, offrirà personalmente alle clienti una bellissima rosa rossa. Sabato 28 marzo sono invece previste simpatiche sorprese per tutti i bambini. Non dimenticate di partecipare al concorso: basta ritagliare e compilare il tagliando qui a lato, imbucarlo entro sabato sera 28 marzo nell’apposita urna che troverete a Migros Melano. Buona fortuna!
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Imbuca questo tagliando nell’apposita urna presso il nuovo supermercato Migros di Melano. Termine di partecipazione: sabato 28 marzo 2015 * Premi sotto forma di carte regalo Migros. Condizioni di partecipazione: nessun obbligo d’acquisto, la partecipazione è riservata a maggiorenni, sono esclusi ricorsi a vie legali, non è prevista alcuna corrispondenza. I vincitori saranno avvisati per scritto entro il 10 aprile 2015. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dalla partecipazione.
Dario Calori e i suoi 9 collaboratori della nuova Migros Melano. (Flavia Leuenberger)
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Idee e acquisti per la settimana
Colombe artigianali ticinesi, un omaggio gradito Pasqua Solo gli ingredienti migliori e tanta manualità per un dolce speciale tutto da regalare Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi. Poco importa con chi trascorrete il giorno di festa, l’importante è passare una giornata in pace ed armonia con le persone care. Che siate ospiti o invitati è buona regola offrire ai commensali una dolce colomba. Da dove nasce la tradizione di mangiare questo soffice lievitato? C’è chi sostiene sia nato dall’ingegno di un pasticcere che grazie al dolce fece desistere il re Alboino dal proposito di conquistare Pavia. Altri narrano che San Colombano alla tavola della regina Teodolinda trasformò un banchetto di selvaggina in colombe di pasta lievitata. O fu un condottiero del Carroccio che ebbe l’idea di confezionare questi pani in omaggio a tre volatili che si erano posati sulle vittoriose insegne lombarde? Il mistero rimane fitto. Fortunatamente non è un mistero che da Migros sono disponibili due prodotti artigianali ticinesi di alta qualità. Le colombe provengono dai laboratori di panetteria e pasticceria dei fratelli Buletti e di Luca Poncini, due rinomate realtà nostrane. Quali sono i segreti per ottenere colombe così pregiate? Anzitutto l’alta qualità degli ingredienti, tra cui spicca l’importanza del burro. La colomba ha meno frutta del panettone ed è importante che l’impasto sia equilibrato nel sapore e nella consistenza, soffice e burrosa. La fragranza delicata, data da aromi naturali di vaniglia e arancio, è esaltata dal burro che inoltre conferisce scioglievolezza alla mollica. I fratelli Buletti fanno uso di burro d’alpeggio della regione del S. Gottardo, prodotto di alta qualità che conferisce digeribilità al prodotto, rendendo più leggera sullo stomaco e sulla coscienza la concessione di una seconda fetta. Poncini arricchisce l’impasto con una percentuale del 60% di burro, dettaglio non trascurabile poiché il risultato è una mollica morbidissima ed elastica, che torna indietro se si affonda il dito, e dall’estrema scioglievolezza sul palato. Importante anche la manualità: essendo l’impasto molto delicato va lavorato con cura e attenzione in tutte le fasi di produzione per ottenere colombe ben lievitate e soffici. Per quel che riguarda la classica glassatura, ogni panettiere ha il suo segreto, in aggiunta alla base di albume, zucchero e mandorle. L’uso del miele permette la lunga conservazione, senza uso di conservanti chimici, di queste delizie che si contraddistinguono per freschezza e genuinità. L’eleganza delle confezioni di entrambi i produttori ne fanno un perfetto omaggio in caso di un invito a pranzo. / Luisa Jane Rusconi
Colomba Poncini 500 g Fr. 19.–
Flavia Leuenberger
Colomba Buletti 500 g Fr. 18.– 1 kg Fr. 33.–
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Migros Faido è pronta Inaugurazione Giovedì 26 e venerdì 27 marzo si festeggia la fine
a t a v o n n Ri
dei lavori di ammodernamento
FAIDO VINCI LA TUA SPESA! In palio 10x100.– franchi* Nome
Cognome
Via/n°
NPA/località
Parte del team di Migros Faido con il gerente Edy Frey. (Giovanni Barberis)
Nelle scorse settimane nel supermercato Migros di Faido sono stati effettuati interventi di ammodernamento. Hanno riguardato in particolare le strutture espositive dei prodotti refrigerati, quelle dei surgelati e le postazioni delle casse. Grazie ai nuovi standard tecnologici, la spesa di tutti giorni è diventata ancor più confortevole. Dal lontano 1971, Migros Ticino è presente a Faido con un suo punto vendita
che rappresenta la filiale più a nord della propria rete di vendita. È un punto di riferimento essenziale per la clientela locale e per i turisti che trascorrono le vacanze invernali ed estive nell’alta e media Leventina. Per sottolineare questi lavori di rinnovamento, ma anche per ringraziare la fedele clientela della pazienza dimostrata a causa degli inevitabili disagi nel periodo di «lavori in corso», giovedì 26 e 27 marzo è prevista
la promozione «10% di riduzione su tutto l’assortimento». In questi due giorni il gerente Edy Frey offrirà personalmente alle clienti una bellissima rosa rossa. Sabato 28 marzo sono invece previste simpatiche sorprese per tutti i bambini. Non dimenticate di partecipare al concorso. Basta ritagliare e compilare il tagliando qui a lato, imbucarlo entro sabato sera 28 marzo nell’apposita urna che troverete a Migros Faido. Buona fortuna!
Più tempo per i tuoi ospiti, anche a Pasqua
Imbuca questo tagliando nell’apposita urna presso il nuovo supermercato Migros di Faido. Termine di partecipazione: sabato 28 marzo 2015 * Premi sotto forma di carte regalo Migros. Condizioni di partecipazione: nessun obbligo d’acquisto, la partecipazione è riservata a maggiorenni, sono esclusi ricorsi a vie legali, non è prevista alcuna corrispondenza. I vincitori saranno avvisati per scritto entro il 10 aprile 2015. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dalla partecipazione.
L’aperitivo e il contorno della festa Vi proponiamo due specialità surgelate perfette per dare il via con gusto al banchetto pasquale e per accompagnare i piatti di carne più tradizionali. Le olive all’ascolana rendono l’aperitivo sfizioso e invitante. Questa tipicità della cucina marchigiana a base di olive snocciolate farcite e impanate è pronta in cinque minuti, semplicemente facendo saltare il prodotto in padella ancora surgelato con un filo d’olio. Immancabili come contorno ricco di gusto, p.es. al capretto al forno, le patate al rosmarino si presentano già tagliate a spicchi e pronte per il forno o la padella. Per portare in tavola questo apprezzato accompagnamento bastano dieci minuti di cottura.
Flavia Leuenberger
Ogni periodo dell’anno ha ovviamente le sue prelibatezze. Ecco perché la gastronomia di Migros Ticino, accanto alle molte proposte da asporto classiche di Party Service, per le festività più importanti arricchisce la propria gamma con alcune preparazioni ad hoc. Quest’anno
Telefono
per Pasqua i gastronomi hanno preparato le colombine vol-au-vent, ottenibili con una farcitura a scelta tra pollo/funghi, insalata russa/salmone, mousse di tonno o mousse di prosciutto presso i De Gustibus di Migros Ticino e ai buffet dei Ristoranti Migros. Voglia di classici d’a-
sporto? Delizia i palati dei tuoi ospiti con «I salumi del Ticino», oppure «L’aperitivo vegetariano», o ancora «I guizzi della Norvegia», o «I Pain Surprise». Per maggiori informazioni: www.migrosticino. ch/party-service, party-service@migrosticino.ch, 0848 848 018.
Orogel Olive all’ascolana 250 g Fr. 3.80 Orogel Patate al rosmarino 450 g Fr. 5.50 In vendita al reparto surgelati delle maggiori filiali Migros.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Da Migros corone Jowa per tutti i palati, per una tavola ricca e variata Attualità Panini croccanti di pane bianco o pane di cereali bio, da gustare in ogni momento della giornata
Corona croccante 300 g Fr. 2.–
Flavia Leuenberger
Bio Corona del sole 360 g Fr. 2.90
Chissà se i panettieri della Jowa si sono ispirati alla tradizionale corona di segale grigionese per elaborare le corone di panini croccanti in vendita presso le filiali Migros. Certo è che oggi come ieri questo pane si contraddistingue per una caratteristica preziosa, la comodità della sua foggia in panini che possono essere consumati singolarmente. Un tempo per essere conservato questo pane veniva appeso ad aste, in quanto serviva da provvista, ma fortunatamente oggi lo troviamo appena
Voglia di un brunch? Con le corone Jowa è presto fatto.
sfornato tutti i giorni. Solo così si può apprezzare la freschezza di questo pane che mette allegria solo a guardarlo. Le corone sono composte da sei panini dalla caratteristica foggia a fiore. Durante la formatura i singoli panini vengono rigirati su sé stessi lasciando una piccola apertura sul fondo. Le palline vengono assemblate a mo’ di corona con la chiusura verso il basso ma prima della cottura i pani vengono rigirati per fare in modo che le michette si schiudano come fiori lievitando in forno. Ma
non lasciatevi ingannare dalla forma, le due corone sono completamente diverse nel gusto anche se hanno altre due caratteristiche comuni: una mollica soffice ed una crosta croccante e irresistibile. La corona croccante di farina di frumento chiara è il pane più venduto in assoluto in Svizzera, con 30’000 corone portate in tavola tutti i giorni. Preferita dagli amanti del classico pane da tavola, il suo sapore neutro ne fa un perfetto pane da colazione, da brunch, da accompagnamento ai pasti o da
spuntino di metà giornata, imbottito con formaggi stagionati o salumi. La corona bio, ideale per gli appassionati di pane rustico con semi misti, avendo un sapore caratteristico e deciso si sposa meglio con ingredienti dal sapore delicato, come formaggi light, creme di legumi oppure verdure e carni bianche. La miscela di farine biologiche certificate è a base di frumento, segale, germi di frumento, granoturco, miglio, spelta, grano saraceno, orzo e avena. Le farine germogliate, oltre che farne un
prodotto molto salutare, fanno sì che il pane si conservi più a lungo. Inoltre contengono una maggiore quantità di nutrienti, permettono un più facile assorbimento di minerali quali ferro e zinco e risultano più facili da digerire. Entrambe le corone sono preparate con farine garantite dal marchio TerraSuisse, che certifica cereali provenienti da aziende agricole impegnate nel produrre derrate alimentari rispettando l’ambiente e tutelando gli habitat naturali. / Luisa Jane Rusconi
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Idee e acquisti per la settimana
Il tuo uovo pasquale di cioccolato personalizzato Evento Presso il Centro S. Antonino ti produciamo
sul posto un uovo di cioccolato con sorpresa
Stai cercando un regalo pasquale originale, unico e particolarmente goloso? Allora viene trovarci i prossimi due fine settimana (27, 28 marzo e 2, 3 e 4 aprile) presso la mall del Centro S. Antonino, dove è previsto un evento di sicuro richiamo per i visitatori. Due mastri cioccolatai produrranno infatti sul posto delle uova di cioccolato a base di finissimo cioccolato svizzero al latte della Chocolat Frey, le quali potranno essere personalizza-
Più fresca di così non si può
te inserendo al loro interno il proprio regalo e facendosi fare la decorazione e dedica desiderata. Il regalo lo potrai portare da casa tu – gioiello, cellulare, giocattolo, profumo, CD… – oppure sceglierlo tra le nostre proposte esposte in loco, dal coltellino svizzero allo specchietto raffinato per il trucco, dal Lego City fino al peluche portachiavi. Altri articoli regalo saranno consigliati sul posto. L’uovo di cioccolato sarà in vendita al prezzo di fr. 19.90.
Gustosissimi
Vincenzo Cammarata
Bio Biscotti d’avena 200 g Fr. 2.60
La colomba appena sfornata viene prodotta dagli abili panettieri nella panetteria della casa di S. Antonino, ma solamente ancora i prossimi giovedì 26 marzo e 2 aprile. La tradizionale specialità pasquale è preparata artigianalmente all’interno del laboratorio con ingredienti accuratamente
selezionati e un’ora dopo essere uscita dal forno è già pronta per essere acquistata dalla clientela. Anche questa delizia, come tutte le altre colombe firmate Jowa, è elaborata a partire da lievito madre naturale, ciò che assicura una morbidezza e un equilibrio di sapori caratteristici.
Colomba appena sfornata 500 g Fr. 6.50 In vendita presso il supermercato Migros di S. Antonino, il 26 marzo e 2 aprile a partire dalle ore 15.00.
I croccanti e saporiti biscotti d’avena bio sono preparati con ingredienti di provenienza biologica certificata e si caratterizzano per l’alto contenuto di fiocchi d’avena, nella fattispecie di ben il 21%. L’avena, oltre ad essere ricca di fibre, è particolarmente digeribile e possiede un effetto saziante. I biscotti d’avena bio sono l’accompagnamento imprescindibile per il caffè o il tè, così a colazione come a merenda, oppure come snack quotidiano rompifame tra un pasto e l’altro. Sono in vendita nei maggiori supermercati Migros nella confezione da 16 pezzi.
oekom Rating 2015:
Siamo il primo commerciante al dettaglio a offrire pollo d’importazione che soddisfa gli standard svizzeri in materia di benessere degli animali.
La Migros: il commerciante al dettaglio più sostenibile del mondo.
La nostra promessa entro il 2020: standard svizzeri in materia di benessere degli animali per tutti i nostri prodotti importati dall’estero. Già oggi la Migros offre carne di pollo importata dall’estero che corrisponde alle severe direttive svizzere. E in collaborazione con partner quali la Protezione svizzera degli animali (PSA) garantiamo di adottare entro il 2020 un approccio verso gli animali attento al benessere delle singole specie. Grazie a questa e a molte altre misure ci impegniamo oggi per la generazione di domani.
Di più su generazione-m.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Una raffinata verdura già apprezzata dagli egizi Attualità Gli asparagi sono approdati
sugli scaffali dei reparti verdura Migros Si presume che gli asparagi fossero già coltivati dagli antichi egizi, oltre 3000 anni fa. Ma anche i greci e i romani apprezzavano questo ortaggio dalle molte proprietà culinarie e curative. Gli asparagi sono poveri di calorie, privi di colesterolo, ma in compenso ricchi di vitamine, sostanze minerali, potassio, calcio e fibre alimentari. Svolgono inoltre un effetto depurativo e diuretico, e aiutano a rafforzare ossa e sistema immunitario. Il colore degli asparagi – verdi o bianchi – dipende dal tipo di coltivazione:
Il consumo di frutta e verdura Perché si insiste tanto sull’importanza della presenza giornaliera di alimenti del gruppo frutta e verdura nella nostra alimentazione? I motivi sono molti e tutti legati ai vari aspetti benefici che questa famiglia di alimenti presenta per l’equilibrio alimentare e la salute umana. La presenza di fibre alimentari da una parte conferisce un potere saziogeno, molto importante Pamela Beltrametti, dietista diplomata S.S.S.
per definire le porzioni alimentari ai pasti; d’altra parte è un prezioso substrato per mantenere attivi i batteri della flora intestinale, che possono trarre energia dalle fibre. Le sostanze antiossidanti (vitamine C ed E, carotenoidi, polifenoli) proteggono il DNA dai radicali liberi e prevengono l’attivazione metabolica di vari cancerogeni. Come per le altre famiglie alimentari rimane importante il concetto di equilibrio, per cui un consumo eccessivo non presenta un beneficio supplementare. Le raccomandazioni promuovono il consumo di due porzioni di frutta e tre porzioni di verdura (600 g di ortaggi al giorno). Nella pratica significa poter consumare a pranzo e a cena verdura cruda e cotta, e durante la giornata due frutti, ad esempio per spezzare la fame tra i pasti se se ne
sente il bisogno. A dipendenza delle stagioni la nostra preferenza va a crudità oppure a verdure cotte. Il metodo di cottura che preserva maggiormente vitamine e sali minerali è la cottura breve in una pentola pesante con coperchio, in pochissima acqua. Le verdure dovrebbero risultare croccanti e mantenere il loro colore originario. La cottura in alcuni casi può migliorare la disponibilità di alcune sostanze. Ad esempio il beta-carotene, contenuto nelle carote, e il licopene contenuto nel pomodoro, vengono assorbiti meglio dopo la cottura. Se seguiamo il calendario stagionale, e prepariamo gli ortaggi con stili di cottura adatti, assicuriamo il mantenimento della maggior parte dei nutrienti importanti, e godiamo della varietà di colori e gusti che la natura sa regalare.
gli asparagi verdi crescono in superficie e devono il loro colore e l’intenso sapore alla clorofilla che contengono. Gli asparagi bianchi invece crescono protetti dalla luce. Una volta acquistati, gli asparagi possono essere conservati qualche giorno in frigorifero avvolti in un panno umido. Prima della cottura i gambi dei bianchi vanno pelati per tutta la loro lunghezza, mentre dei verdi solo la parte inferiore. Grazie al gusto raffinato, gli asparagi sono un ingrediente principe in mille ricette.
Tortini di quark e limone con asparagi verdi Piatto principale per 4 persone
Ingredienti 1 kg di asparagi verdi 3 cucchiai d’olio di colza 2 dl di panna semigrassa 40 g di crescione Per i tortini 3 uova 120 g di semolino di grano duro 400 g di quark magro 2 limoni sale, pepe Preparazione 1. Per i tortini sbattete le uova. Incorporate il semolino e il quark. Unite la scorza dei limoni grattugiata. Salate e pepate la massa e lasciatela riposare per 20 minuti.
2. Pelate il terzo inferiore dei gambi degli asparagi e spuntateli. Rosolate gli asparagi, pochi alla volta, in un po’ d’olio, a fuoco medio, per 8-10 minuti, finché iniziano ad ammorbidirsi. Unite la panna e salate. 3. Scaldate un po’ d’olio in una padella antiaderente. Versatevi con cautela ca. 1½ cucchiai d’impasto per tortino. Dorate i tortini da entrambi i lati, girandoli delicatamente con una paletta. Serviteli con gli asparagi e guarnite con il crescione. Tempo di preparazioneca. 40 minuti + riposo 20 minuti Ricetta di
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Chateaubriand o Châteaubriant? Pasqua Perché non sorprendere gli invitati con un raffinato e saporito Chateaubriand?
Il filetto di manzo TerraSuisse è l’ideale per questa preparazione. Lo trovate ai nostri banchi macelleria
Chateaubriand è il nome dato nella cucina francese e internazionale a una fetta di carne spessa dai 3 ai 4 cm, ricavata dal cuore del filetto del manzo. È un taglio pregiato che può arrivare a pesare dai 350 fino ai 500 grammi, ed è un pezzo indicato per due persone. Sulle origini del suo nome esistono due teorie: una vorrebbe che la preparazione, con tanto di salsa d’accompagnamento, sia stata dedicata al visconte di Chateaubriand – uno dei più celebri scrittori francesi del primo ottocento – dal suo cuoco Montmirail. L’altra tesi vuole che il nome, connesso a una diversa grafia, sia invece legato alla città di Châteaubriant, nella Loira, dove un tempo venivano allevati bovini di razza pregiata. Sia quel che sia, ecco come preparare un filetto Chateaubriand «comme il faut»: prendere un bel filetto e cuocerlo alla griglia o in padella a fuoco vivo con un poco di burro (meglio se chiarificato). Grado di cottura desiderato: molto al sangue: 4-6 minuti; al sangue: 6-8 minuti; rosa: 10-12 minuti; ben cotta: 16-18 minuti. Scolare bene la carne e servirla (dopo averla lucidata con una noce di burro, salata e pepata) con salsa béarnaise.
Il palato ringrazia
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Flavia Leuenberger
I maggiori supermercati di Migros Ticino vi consigliano alcuni prodotti esclusivi dell’Antica Acetaia della Marchesa, un’azienda famigliare emiliana specializzata negli aceti balsamici di prima qualità, alcuni dei quali sono già parte dell’assortimento Migros. Per valorizzare con eleganza e gusto i vostri manicaretti pasquali, le «Mousse» e le «Perle ai porcini» e alla soia sono proprio l’ideale. Con il loro aspetto simile al caviale e l’aroma pronunciato le perle sono perfette per insaporire e abbellire antipasti, carni, formaggi, verdure e pesci, ma conferiscono un tocco originale anche a risotti e paste. Le mousse, dal canto loro, sono ottime su carpacci, crostini, formaggi stagionati e insalate.
Antipasti ricercati per un tocco di stile Per garantirvi delle entrée all’altezza dell’importante ricorrenza pasquale, i reparti gastronomia dei principali supermercati Migros hanno allestito una selezione di specialità fresche, tutte preparate a mano con materie prime accuratamente selezionate. Oltre ai medaglioni con mousse di prosciutto, il tris di antipasti, le capesante con cocktail di gamberi, la gamma annovera anche il cestino con mucchi di gamberi, i vol-au-vent con cocktail di gamberetti e, infine, una delle pietanze festive d’effetto per eccellenza, l’aragosta con cocktail di gamberetti (nella foto). Un grande classico che non deluderà mai i vostri invitati.
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Idee e acquisti per la settimana
Il barometro Come imparare a vivere meglio i nostri dei prezzi spazi domestici Informazioni sui cambiamenti di prezzo
Evento La «Professional Organizer» Monica Oberti ospite di Micasa
S. Antonino giovedì 26 marzo dalle 19.00 alle 21.00
Migros riversa i vantaggi del franco forte ai propri clienti. Ciò permette di ridurre ulteriormente i prezzi di diversi articoli. Tra i molti saranno ridotti
Alcuni esempi:
Una casa ben organizzata permette di godersi pienamente i propri spazi abitativi e renderli un luogo accogliente in cui vivere e invitare amici e parenti. Perché spesso sfruttiamo male gli spazi casalinghi anziché renderli più funzionali? Come organizzare il cambio di stagione negli armadi? Quando cerchiamo qualcosa in casa perdiamo tempo inutilmente? Cosa fare per rispettare gli spazi degli altri membri della famiglia? A queste e altre domande cercherà di dare una risposta la «professionista dell’ordine» Monica Oberti, la quale, questo giovedì dalle ore 19.00 alle 21.00 presso il negozio specializzato Micasa di S. Antonino, illustrerà ai partecipanti le soluzioni più efficaci per aiutarli a organizzare al meglio i propri spazi domestici, semplificando e migliorando così la propria vita quotidiana. Gli interessati a questa avvincente serata possono annunciarsi telefonicamente al numero 091 850 80 20, oppure direttamente presso il punto accoglienza clienti del negozio stesso. Vi aspettiamo numerosi.
in media del 10 per cento marche quali Axe, Rexona, Listerine collutorio e colorazioni dei fornitori Henkel & Cie e Garnier Nutrisse.
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Appenzeller Surchoix per 100 g
Arrosto spalla di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Cordon bleu di pollo Don Pollo prodotti in Svizzera con carne del Brasile / dell’Argentina, 4 x 150 g
Gamberetti tail-on cotti, bio* d’allevamento, Ecuador, per 100 g
Carne macinata di manzo Svizzera / Germania, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg
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Foglia di quercia verde o rossa Ticino, al pezzo
Il Burro panetto da 250 g, –.40 di riduzione
Formagín ticinés (Formaggini ticinesi) prodotti in Ticino, in confezione doppia, al kg
Fettine vegetariane o polpettine di okara, bio, in conf. da 2 15% di riduzione, per es. polpettine di okara, 2 x 180 g
Carne secca ticinese prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g
Paté pasquale alle spugnole Rapelli Svizzera, 500 g
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.3 AL 30.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Insalata pasquale Anna’s Best 250 g, 20% di riduzione
Snack al latte e fette al latte Kinder del reparto frigo –.20 di riduzione, per es. Kinder Choco Fresh, 5 x 21 g
Tutto l’assortimento Glacetta 20% di riduzione, per es. cappuccino, 800 ml
Miscela pasquale Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ ovetti e cioccolatini
Tutto l’assortimento Pancho Villa 20% di riduzione, per es. Soft Tortillas, 326 g
Vittel in conf. da 6, 6 x 1,5 l
33%
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11.55 invece di 16.55
1.20 invece di 1.55
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Bastoncini alle nocciole in conf. da 2 2 x 220 g
Petit Beurre con cioccolato al latte o cioccolato fondente in conf. da 3 per es. cioccolato al latte, 3 x 150 g
Biscotti Walkers Highlanders, Chocolate Chip o Chocolate Chunk in conf. da 3 25% di riduzione, per es. Walkers Highlanders, 3 x 200 g
Scatola assortita per l’aperitivo delle feste Happy Hour prodotti surgelati, 1308 g
Tutte le tisane e i tè Migros Bio, Klostergarten bio, Swiss Alpine Herbs bio o Yogi bio 20% di riduzione, per es. tisana ai semi di finocchio Klostergarten, 20 bustine
Ice Tea in bottiglie di PET in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. al limone
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Tulipani tono su tono diversi colori, mazzo da 20
Collezione di bulbi da fiore il pezzo
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Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo Party o di cracker Pic a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.30 di riduzione l’uno, per es. cracker alla pizza Party, 150 g
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Costine di maiale, Svizzera, imballate, per 100 g 1.10 invece di 1.70 35% Costolette magre di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 1.50 invece di 1.90 20% Fettine di tacchino fini, AIA, Italia, in conf. da ca. 600 g, al kg 10.80 invece di 18.- 40% Luganighetta, Svizzera, in conf. da ca. 800–1000 g, per 100 g 1.10 invece di 1.85 40% Salame a pasta grossa, prodotto in Ticino, pezzo da ca. 500 g, per 100 g 2.65 invece di 3.85 30%
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FRUTTA E VERDURA Pomodori ciliegia a grappolo, Spagna / Italia, vaschetta da 500 g 1.75 invece di 2.95 40% Lamponi, Spagna / Portogallo, vaschetta da 250 g 3.20 invece di 5.40 40% Fragole, bio, Spagna, vaschetta da 250 g 1.90 Foglia di quercia verde o rossa, Ticino, al pezzo 1.85 invece di 2.50 25% Carote, bio, Svizzera, sacchetto da 1 kg 2.60 Susine rosse, Sudafrica/Cile, al kg 2.70 Punte d’asparagi verdi, Messico, imballate, 200 g 3.20 invece di 4.60 30%
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Tutti gli articoli M-Plast Salviettine umide per bebè Milette in conf. da 4 (esclusi i prodotti M-Budget e le confezioni multiple), 20% di riduzione, per es. Ultra Soft & Care Quattro, per es. cerotti idrorepellenti, conf. da 24, 4 x 72 pezzi, offerta valida fino al 6.4.2015 offerta valida fino al 6.4.2015
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*In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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PANE E LATTICINI Burro svizzero per arrostire, Migros Bio, 250 g 5.50 invece di 6.90 20% Emmentaler, bio, per 100 g 1.60 invece di 2.– 20% Caprice des Dieux, 330 g 4.60 invece di 5.75 20% Michette precotte M-Classic in conf. da 1 kg o panini al latte precotti M-Classic in conf. da 600 g, per es. michette, 1 kg 4.50 invece di 6.– 25% Corona croccante, TerraSuisse, 300 g e 320 g 1.70 invece di 2.– 15% Panino Tartaruga, 80 g 1.60 invece di 1.90 15% Formagín ticinés (Formaggini ticinesi), prodotti in Ticino, in confezione doppia, al kg 14.30 invece di 18.35 20%
FIORI E PIANTE Phalaenopsis con 3 steli, coprivaso decorato, la pianta 23.90 invece di 34.90 30%
ALTRI ALIMENTI Cioccolatini Frey Swiss Chocolate, UTZ, assortiti, 20x 500 g 16.80 NOVITÀ *,** Tavoletta di cioccolato Frey Suprême Blanc Passion, UTZ, Limited Edition, 100 g 20x 2.90 NOVITÀ *,** Tavolette di cioccolato Frey Suprême in conf. da 2, UTZ, Lait Noisettes, Noir Noisettes, Blanc Amandes o Lait Trois Noix, per es. Noir Noisettes, 2 x 180 g 6.30 invece di 7.90 20% Tutte le mezze uova o uova vuote Frey con praliné con truffes, UTZ, per es. mezzo uovo con praliné du Confiseur, 345 g 14.60 invece di 18.30 20% Uovo o coniglio di Pasqua M&M’s e Celebrations, per es. coniglio di Pasqua Celebrations, 20x 220 g 5.60 20x PUNTI Articoli pasquali Smarties, per es. pulcini, 5 pezzi, 20x 105 g 4.30 20x PUNTI Mentos Rainbow in conf. 20x da 3, 3 x 38 g 2.80 NOVITÀ **
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Pasqua
Un brunch vestito a festa Croccantini, rotolini di pancake, mousse di prosciutto e insalata a strati: con queste ricette impreziosite il vostro buffet pasquale Sul buffet per il brunch pasquale non si può lesinare. Salato o dolce, acquistato o fatto in casa: con la varietà e la qualità si viziano i propri ospiti. E con un po’ di organizzazione le piccole delizie si possono benissimo preparare, e in parte distribuire nei bicchieri, già il giorno prima (vedi ricette). Quando ci si gusta un brunch non si ha nessuna fretta, perché i ripetuti passaggi al buffet escludono di principio qualsiasi frenesia. Fragole extra vaschetta da 350 g al prezzo del giorno
Bio Fairtrade Smoothie kiwi-banana 250 ml Fr. 3.30
Pain Création pane croccante 400 g Fr. 3.70 M-Classic mandorle 200 g Fr. 3.20
Sarasay Florida succo d’arancia 1l Fr. 2.95
Sélection confettura pesca-maracuja 250 g Fr. 4.20 Nelle maggiori filiali
Sélection miele di rosmarino 250 g Fr. 5.20 Nelle maggiori filiali
Bio formaggino alla panna 125 g Fr. 3.10
2
4
Suggerimento
Burro al limone
1
Sbattere il burro a schiuma, amalgamarvi zucchero, scorza e succo di limone. 100 g di burro, 3 cucchiai di zucchero, 1½ cucchiai di succo di limone, 1 cucchiaino di scorza di limone.
3
Burro spalmabile a freddo 200 g Fr. 3.95
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Idee e acquisti per la settimana
I comprimari
Non appariscenti, ma irrinunciabili
Suggerimento
Conservazione Travasare il resto del müesli in un vaso a chiusura ermetica. Durata di conservazione: 2 settimane.
Exquisito caffè in grani 500 g Fr. 7.50 Bio Miscela di spelta 375 g Fr. 4.85 Nelle maggiori filiali
TerraSuisse Treccia al burro 300 g Fr. 2.30
Uova di Pasqua svizzere allevamento all’aperto 4 pezzi da 50g+ Fr. 3.30 Bio Sciroppo d’acero 25 cl Fr. 6.30
TerraSuisse prosciutto cotto maxivaschetta per 100 g Fr. 2.80
1
Granola croccante
2
Per ca. 12 porzioni di 45 g (550 g)
Thomy Mayonnaise à la française 265 g Azione Conf. doppia Fr. 4.– invece di 5.–
Rotolini di pancake con sciroppo d’acero Per 8 rotolini
Ingredienti 50 g di cranberries secchi 100 g di pezzetti di mela secchi 100 g di latte condensato zuccherato 50 g di sciroppo di fragole 1 presa di sale 50 g di mandorle macinate 200 g di miscela di spelta 50 g di nocciole d’avena
Preparazione Scaldate il forno a 160 °C. Tagliate finemente i cranberries e i pezzetti di mela. Mescolate il latte condensato, lo sciroppo e il sale. Unite le mandorle, la frutta secca, la miscela di spelta e le nocciole d’avena. Mescolate. Distribuite la massa su una teglia foderata con carta da forno e cuocete per ca. 10 minuti. Dopo 5 minuti, girate la granola. Sfornate e lasciate raffreddare completamente. Distribuite la granola in bicchieri e servite con latte. Conservazione La granola restante può essere conservata per ca. 2 settimane in un vasetto a chiusura ermetica. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura in forno ca. 10 minuti + raffreddamento Ogni porzione ca. 4 g di proteine, 4 g di grassi, 27 g di carboidrati, 700 kJ/170 kcal
Ingredienti 60 g di farina 20 g di zucchero ½ cucchiaino d’agente lievitante (come sulla confezione) 1 presa di sale 1 uovo 1 dl di latticello al naturale poco olio per dorare 1 dl di sciroppo d’acero
Preparazione Mescolate la farina, lo zucchero, l’agente lievitante e il sale. Sbattete l’uovo con il latticello e versateli nel composto di farina. Lavorate il composto fino a ottenere un impasto liscio. Coprite e lasciate riposare per ca. 30 minuti. Scaldate il forno a 60 °C, compreso un piatto. Per i pancake, scaldate un po’ d’olio in una padella antiaderente grande. Per ogni pancake, versate 2 cucchiai d’impasto a strisce lunghe ca. 22 cm e doratele da entrambi i lati a fuoco medio. Tenetele in caldo. Procedete così con l’impasto restante. Arrotolate i pancake, fissateli con uno spiedino e teneteli in caldo, coperti. Poco prima di servire, mettete 1 rotolino in ogni bicchiere e irrorate con lo sciroppo d’acero. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + riposo 30 minuti Ogni cranberries ca. 2 g di proteine, 1 g di grassi, 17 g di carboidrati, 350 kJ/80 kcal
Bio Emmentaler 250 g Azione Fr. 1.60 invece di 2.– per 100 g
Sun Queen Mirtilli rossi Fr. 2.15 Bio Carote svizzere 1 kg Azione Fr. 2.60
Azione dal 24 al 30.3
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino t 23 marzo 2015 t N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Ricette di
3
Mousse di prosciutto Per 4 bicchierini di ca. 1 dl
Ingredienti 100 g di prosciutto cotto a fette 50 g di panna semigrassa acidula (sulla confezione: mezza panna acidula) ½ cucchiaino di salsa Worcester poca paprica in polvere sale pepe 0,5 dl di panna intera 1 mela piccola per decorare poco prezzemolo
Preparazione Tagliate grossolanamente il prosciutto e frullatelo bene con la panna acidula, la salsa, paprica, sale e pepe. Montate la panna ben ferma e incorporatela delicatamente al composto. Mettete in frigo per ca. 30 minuti. Spruzzate la mousse nei bicchierini. Tagliate in quatto una mela. Tagliate un quarto a listaelle e distribuitele sulla mousse. Usate i quarti di mela restanti per altre preparazioni. Tagliuzzate finemente il prezzemolo e cospargetelo sulla mousse. Tempo di preparazione ca. 15 minuti + refrigerazione ca. 30 minuti Ogni bicchierino ca. 5 g di proteine, 6 g di grassi, 2 g di carboidrati, 3350 kJ/80 kcal
4
Insalata a strati Per 4 bicchieri di ca. 3 dl
Ingredienti 150 g d’emmentaler 50 g di cavolo rosso 100 g di carote 50 g di lattuga batavia 50 g di ravanelli 4 cucchiai di germogli, ad es. germogli di cipolla 2 cucchiai d’olio di colza 1½ cucchiai d’aceto di vino bianco 2 cucchiai di yogurt al naturale 1 cucchiaino di senape 1 presa di zucchero ¼ mazzetto d’erba cipollina sale, pepe
Preparazione Tagliate l’emmentaler a dadini. Con la mandolina affettate finemente il cavolo rosso. Grattugiate grossolanamente le carote. Tagliate la batavia a striscioline. Con la mandolina affettate finemente i ravanelli. Disponete a strati tutti gli ingredienti nei bicchieri, terminando con i germogli. Coprite e mettete in frigo le insalate. Emulsionate l’olio, l’aceto, lo yogurt, la senape e lo zucchero. Tagliuzzatevi finemente l’erba cipollina. Condite con sale e pepe. Servite la salsa con le insalate. Tempo di preparazione ca. 25 minuti Ogni bicchiere ca. 12 g di proteine, 17 g di grassi, 4 g di carboidrati, 900 kJ/210 kcal
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 23 marzo 2015 ¶ N. 13
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Idee e acquisti per la settimana
Yogurt Passion
Variazione esotica La linea di yogurt multifrutta della Migros, yogurt Passion, offre una vasta scelta di varietà fruttate. Questi yogurt devono il loro intenso sapore a una massa di frutta di alto valore che comprende grandi pezzi di frutta. Ma sono molto apprezzati anche per la loro consistenza cremosa. Nella stagione primaverile e estiva la Migros offre due nuove varietà: Limetta-Tè verde con succo di limetta e tè verde e Caffè Croccante con estratto di caffè e croccanti scaglie di caffè. Come tutti gli altri yogurt Passion, anche questi sono prodotti in Svizzera con latte svizzero.
Special Edition Limetta-Tè verde & Caffè Croccante Yogurt Passion Limetta-Tè verde 180 g Fr. 1.–
Yogurt Passion Caffè Croccante 180 g Fr. 1.–
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche gli yogurt Passion.
Ricetta e foto: www.saison.ch
A C I T T I A I Z I DEL . E L A U Q S PA
–––––––––––––––––––––––––––––––––––– Trancio di salmone con insalata di finocchi Antipasto per 4 persone
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1.15 invece di 1.45
Pesce fresco di Pasqua selezionato* per es. salmone selvatico, MSC, pesca, Alaska, per 100 g, (Fino al 28.3)
Tutti i tipi di senape Migros bio, maionese Migros bio, salsa tartara Migros bio o ketchup Migros bio 20% di riduzione, per es. senape dolce, 200 g
2.05 invece di 2.60
3.30
Tutti i tipi di spezie Migros bio 20% di riduzione, per es. pepe nero, Fairtrade, 100 g
Fenouil Italie, le kg
* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 24.3 AL 30.3.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Ingredienti: 1 limone bio, 4 tranci di salmone di ca. 120 g ciascuno, 1 cucchiaino di fleur de sel, pepe dal macinapepe, 6 cucchiai d’olio di colza, 1 scalogno, 2 cucchiai d’aceto di vino bianco, 1 cucchiaino di senape dolce, 2 finocchi di ca. 250 g ciascuno
Preparazione: scaldate il forno ad aria calda a 100 °C. Tagliate il limone a fette. Accomodate il pesce in una teglia e conditelo con il fleur de sel e pepe. Coprite i tranci di salmone con le fette di limone. Irrorate con la metà dell’olio. Sigillate la teglia con la pellicola trasparente ben tesa. Cuocete il salmone al centro del forno per ca. 25 minuti. Tritate lo scalogno e mescolatelo con l’olio rimasto, l’aceto e la senape. Salate e pepate. Tagliate i finocchi a fette sottili con una mandolina, conditeli con la salsa e serviteli con il pesce. Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona ca. 24 g di proteine, 22 g di grassi, 4 g di carboidrati, 1300 kJ/310 kcal
E N O I Z U D I R I D 40% 40% 7.95 invece di 13.30
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ad es. Olia No 4.0, colorazione permanente
9.80 invece di 16.40 ad es. Ultra Lift Complete Beauty, crema da giorno anti-età, 50 ml
40% 2.90 invece di 4.90 ad es. *Handrepair, crema mani rigenerante, 100 ml
E T N E M A L O S Ì D E T R A M 5 1 0 2 . 3 0 . 24
40% 2.70 invece di 4.50 ad es. Fructis shampoo Fresh, 250 ml
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MELANO Giovedì 26 e venerdì 27 marzo 2015
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Supermercato Migros Melano Nuova Casa Comunale, Via Cantonale 89, 6818 Melano tel. +41 91 821 75 40 Orari d’apertura: lunedì–venerdì: 8.00–18.30 / sabato: 8.00–17.00
* Ad eccezione di un numero ridotto di prodotti e delle prestazioni di servizio.
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