Azione 15 dell'11 aprile 2016

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 11 aprile 2016

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Azione 15

Società e Territorio Anche le città ticinesi studiano strategie per evitare isolamento e apatia sociale

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Politica e Economia L’insegnamento del francese suscita discussioni in Turgovia

Ambiente e Benessere La vita può svilupparsi nello Spazio o, quantomeno, per ora è dimostrato che nelle astronavi possono nascere e crescere i vegetali

Cultura e Spettacoli Ulay si è esibito a Ginevra in una performance dolorosa, lunga e intensa

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Chi perde e chi vince a Palmira

La voce della Baia di Ushuaia

di Monica Puffi

di Stefano Faravelli

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Stefano Faravelli

Dopo le stragi di Parigi e Bruxelles siamo ancora paurosamente annichiliti di fronte a questo islamismo armato che s’aggira per l’Europa e che ci ha dichiarato guerra. Siamo riottosi di fronte al male subìto dalle nostre città, eppure tenacemente convinti che opporsi al nemico che ci odia sbandierando i nostri valori di pace, solidarietà e amore ci metterà al riparo dalla dominazione jihadista e dalla sottomissione del nostro mondo cosiddetto libero. Durante il lutto recente non ci siamo accorti, complice il silenzio di gran parte della stampa e di tante cancellerie occidentali, che in un’altra parte di mondo lontana dai riflettori del Bataclan, dalle luci degli aeroporti, dalla pagine di Facebook invase dalle bandiere francese e belga lo Stato islamico ha subito una pesante sconfitta militare proprio su quei territori che controlla. Negli ultimi quattordici mesi, secondo l’«Economist», il Califfato ha perso circa un quarto delle aree sotto il suo controllo e questo comporta un grave danno per le sue finanze e per l’esportazione di petrolio. Ma cosa più importante in Siria ha perso Palmira, dichiarata dall’Unesco «patrimonio dell’umanità». L’antica cittadella è stata liberata il 27 marzo dall’esercito di Damasco dopo giorni di strenua lotta contro i jihadisti dell’Isis, quando l’Europa ancora sotto shock per i recenti attentati celebrava la Pasqua. Nel maggio del 2015 fu messa a ferro e fuoco dai califfi barbuti che, non contenti, fecero scempio della sue antiche mura e del suo curatore, l’anziano archeologo, Khaled al Assad, decapitandolo barbaramente e appendendo il corpo a una colonna romana. L’Isis diffuse sui social network quelle immagini che fecero il giro del mondo. L’AFP è stata la prima agenzia di stampa a fotografare oggi i soldati dell’esercito di al-Assad che sventolano la bandiera siriana fra i resti archeologici di Palmira. È una di quelle notizie che meritano di definirsi storiche per il suo valore simbolico ma anche per il significato geostrategico che essa implica: in primo luogo la sua liberazione rappresenta il compimento del dovere morale – giunto molto tardivo – per essere riusciti a riappropriarsi di ciò che appartiene all’umanità intera e non soltanto a un manipolo di barbari fanatici che denigrano i valori della civiltà; in secondo luogo significa riconquistare il controllo dello snodo strategico verso Raqqa, la capitale de facto siriana dello Stato islamico, e verso Mosul, roccaforte del califfato in Iraq. «L’Isis ha appena subìto la peggiore sconfitta in più di due anni eppure – ha osservato Robert Fisk sull’“Independent” –, né il primo ministro del Regno Unito David Cameron né il presidente degli Stati Uniti Barack Obama hanno detto una sola parola riguardo a questo avvenimento». Scrive Fisk: «Sono rimasti tanto muti come la tomba a cui l’Isis ha inviato tante delle sue vittime». Nemmeno dalla Nato sono venuti commenti ufficiali su questa vittoria militare in grande stile. Il motivo di questo silenzio assordante è presto detto: la «Sposa del deserto», sfigurata ma non distrutta, non è stata strappata al califfo di al-Baghdadi dall’Occidente e la barbara uccisione del suo curatore non è stata vendicata da chi vuole esportare la democrazia in Medio Oriente. Secondo il «Washington Post» la liberazione della città rappresenta una vittoria storica per il rais siriano Bashar al-Assad e il suo esercito (coadiuvato fra l’altro da Hezbollah libanesi e forze iraniane), che ora è forse in grado di preparare l’assalto contro Raqqa. Ma è anche una vittoria altrettanto importante per l’alleato russo che con i suoi raid aerei ha dato il colpo di grazia ai jihadisti. L’attivismo russo fa da specchio all’inerzia occidentale. Nei giorni precedenti la conquista di Palmira l’esercito siriano si domandava perché gli Stati Uniti non avessero bombardato i convogli dei terroristi che vedevano avanzare nel deserto dopo aver rotto le linee dell’esercito siriano. Non fu data risposta allora, perché tanta indifferenza anche oggi, si chiede Fisk? Probabilmente è meglio tacere che dover ringraziare al-Assad, non certo uno stinco di santo che fino a ieri si voleva far cadere foraggiando i ribelli. Meglio tacere che dover ringraziare Vladimir Putin, fino a ieri in isolamento internazionale per l’annessione della Crimea. Intanto i militari russi sono già in azione per bonificare l’aerea archeologica di Palmira disseminata di mine dopo il ritiro del Califfato. Poi sarà la volta degli archeologi, anch’essi russi, a guidare una task force per la ricostruzione. Churchill dopo la vittoria alleata di El Almameni durante la Seconda guerra mondiale commentò: «Questo non è l’inizio della fine, che sia la fine dell’inizio…?». La guerra in Siria sarà probabilmente ancora lunga e molto potrà accadere. A Ginevra riprenderanno i negoziati per cercare una soluzione a cinque anni di conflitto. Palmira è stata solo la fine dell’inizio, importante e molto simbolica, ma il male non è stato estirpato. Soprattutto nell’Occidente che si ritrova i tagliagole in casa.

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Attualità Migros

M Un aiuto all’autonomia Coltivazione del cacao Migros vende principalmente cioccolato certificato.

L’esempio di cooperative in Africa occidentale e nelle Antille mostra i vantaggi che possono trarne i coltivatori

Michael West* Se avete l’abitudine di acquistare cioccolato alla Migros, avrete senz’altro notato che sull’imballaggio generalmente figura un marchio di qualità che ne certifica la sostenibilità. È il caso per tutte le varietà della marca Frey, che sono certificate Utz, ma anche degli articoli che recano i marchi Migros Bio e Fairtrade Max Havelaar. Ma concretamente, che cosa significa per i produttori di cacao? Prendiamo l’esempio della cooperativa Necaayo, nel sudovest della Costa d’Avorio. Circa cinquecento piccoli contadini vi vivono in capanne di argilla. Per raggiungere i villaggi bisogna affrontare strade sterrate che nella stagione delle piogge spesso si trasformano in pantani. Da ormai più di tre anni la cooperativa fornisce fave di cacao certificate Utz alla Chocolat Frey, un’impresa dell’Industria Migros. Da allora la situazione degli abitanti è migliorata in diversi ambiti. La trasmissione delle nozioni di agronomia ha un ruolo centrale nel programma Utz: ci sono esperti che formano i contadini e gli insegnano a ottimizzare i loro metodi di coltivazione. I membri della cooperativa Necaayo ne hanno beneficiato in grande misura. Ora potano i loro alberi del cacao a regola d’arte ed eliminano sistematicamente il vischio e il muschio che vi crescono. E quando un albero non è più produttivo, viene abbattuto e sostituito da una nuova pianta. Questi progressi

Costa d’Avorio: i contadini della cooperativa Utz imparano come aumentare i loro redditi. (Max Havelaar France)

hanno permesso alla cooperativa di aumentare sensibilmente i suoi redditi, il che significa migliori condizioni di vita per gli abitanti della regione. Oltre al prezzo d’acquisto del cacao, Chocolat Frey versa ai contadini un premio Utz. Ma il suo apporto non è meramente finanziario: rappresentanti dell’impresa si recano regolarmente in Africa occidentale e s’incaricano di seguire i progetti sociali realizzati grazie Annuncio pubblicitario

Per il Dipartimento il Dipartimento Risorse Umane, presso gli Uffici Amministrativi della Centrale di S. Antonino, cerchiamo una collaboratrice o un collaboratore

Responsabile formazione e sviluppo Data d’inizio – Al più presto o da convenire. Requisiti – Formazione di livello superiore con specializzazione nel settore della formazione continua e/o della formazione in azienda; – Esperienza negli ambiti manageriale e della gestione delle risorse umane; – La conoscenza del tedesco parlato e scritto costituisce un requisito importante; – Spiccate capacità organizzative, dinamismo, creatività e spirito d’iniziativa; – Buone doti comunicative e relazionali, attitudine al lavoro in team. Mansioni – Analizza i bisogni formativi dell’azienda ed elabora il piano di formazione annuale; – Sviluppa e organizza interventi formativi volti a migliorare le competenze del personale e del management; – Si occupa dell’erogazione di corsi e di varie attività di affiancamento, di coaching e sviluppo delle risorse umane; – Realizza progetti nell’ambito del settore assegnato e collabora a progetti aziendali di gestione delle risorse umane; – Collabora con diversi partner interni ed esterni all’azienda; – Contribuisce a garantire una completa informazione dei collaboratori nell’ambito di una gestione del personale moderna e dinamica; – Cura i contatti a livello nazionale e si occupa dei relativi dossier specifici. Offriamo – Salario attrattivo e prestazioni sociali all’avanguardia; – Ambiente di lavoro aperto e dinamico. Saranno prese in considerazione unicamente le candidature con i requisiti corrispondenti al profilo indicato. Le persone interessate sono invitate a compilare la loro candidatura in forma elettronica, collegandosi al sito www.migrosticino.ch (sezione «Lavora con noi»), includendo la scansione dei certificati d’uso.

al premio, per esempio la costruzione di un dispensario. La cooperativa di Conacado, una piantagione di cacao situata nel sudest della Repubblica dominicana, è certificata Faritrade dal 1995. Qualche anno più tardi si è vista attribuire il marchio Bio. I circa 8600 piccoli contadini che la compongono sono dei pionieri Fairtrade. Essi forniscono fave di cacao che serviranno a fabbricare alcuni tipi di cioccolato Migros. La cooperativa riceve un premio Fairtrade fisso e beneficia inoltre di un prezzo minimo garantito. Sono i contadini stessi che decidono democraticamente dell’utilizzazione di queste somme nel corso delle loro assemblee. I fondi servono spesso a finanziare progetti sociali e a migliorare la produttività. Da quando Conacado produce e vende il suo cacao alle condizioni Fairtrade, si sono già realizzate numerose iniziative, in particolare la costruzione di una biblioteca e nuove scuole.

I piccoli contadini lavorano secondo metodi bio utilizzando concimi fatti di composto e guano. Privilegiano anche soluzioni naturali per lottare contro i parassiti e le malattie, per esempio soluzioni a base di sapone o estratti di peperoncino rosso. Il cacao certificato Bio e Fairtrade raggiunge prezzi di vendita nettamente più elevati delle fave prodotte in modo convenzionale. I piccoli contadini se la cavano quindi piuttosto bene, anche se la Repubblica dominicana resta uno dei paesi più poveri delle Antille. Nonostante le loro inevitabili differenze, tutte queste cooperative hanno un punto in comune: grazie alle misure che favoriscono la loro autonomia, i piccoli contadini vedono migliorare la loro situazione economica, il che, in ultima analisi, va a beneficio della popolazione di tutta la regione.

Sharoo, l’automobile condivisa Riconoscimenti La

start-up svizzera, appartenente alla comunità Migros, riceve un premio

Le piattaforme online dedicate al tema della mobilità stanno vivendo un momento di grande sviluppo. Tra le varie formule che si vanno affermando quella del car-sharing è tra le più popolari. In Europa si contano oggi più di 30 attori sul mercato in questo settore: tali servizi permettono ai proprietari di automobli di noleggiarle ad altri automobilisti, ottimizzando così il loro uso e riducendo il tempo in cui non sono utilizzate. Gli analisti dell’ufficio di ricerca Frost&Sullivan hanno analizzato i servizi delle aziende europee del comparto e hanno assegnato all’azienda svizzera Sharoo il «Best pratice award» 2016. Tra i fattori messi in evidenza per il raggiungimento del risultato sono stati valutati la convivialità, l’affidabilità, la qualità dei servizi e la sicurezza. Elemento vincente si è dimostrata poi l’implementazione su ognuna della auto della «Sharoo-Box», un pannello di comando pilotato via Bluetooth dallo smartphone dei proprietari. Grazie ad esso non è più necessaria la consegna di chiavi fisiche a chi prende a noleggio l’automobile. Sharoo è uno spin-off di M-Way, un’azienda della comunità Migros che si dedica da tempo alla diffusione della mobilità sostenibile. Ciò mostra una volta ancora l’impegno di Migros a percorrere nuove strade, sia sul piano strategico che imprenditoriale.

* Redattore di Migros Magazin

Migros gode della migliore reputazione Sondaggi Il GfK Business Reflector 2016 evidenzia che, tra le 52

aziende leader in Svizzera, Migros è la più reputata: per l’allestimento della classifica sono state intervistate 3500 persone

Ormai per la terza volta consecutiva Migros guida la classifica stilata dalla GfK Switzerland SA e dal Forschungsinstitut Öffentlichkeit und Gesellschaft dell’Università di Zurigo (fög). Rispetto allo scorso anno, Migros ha addirittura registrato un ulteriore incremento, ottenendo una valutazione ancora più favorevole da parte delle 3500 persone interpellate. Secondo gli autori dello studio Migros ha ottenuto il miglior punteggio in tutte e tre le categorie: per i suoi risultati economici, per l’unicità del suo profilo e per il suo eccellente impegno sociale, ecologico e culturale. Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della Federazione delle Cooperative Migros, ha dichiarato: «Questo riconoscimento da parte dei nostri clienti va ai collaboratori che, ad ogni livello e in ogni settore, danno il meglio di sé. Evidentemente siamo sulla strada giusta con la nostra strategia di prezzo e di

qualità nonché con le ampie offerte di servizi e tutto ciò che intraprendiamo per un mondo migliore». Sul piano internazionale Migros

era già stata insignita del titolo di commerciante al dettaglio più sostenibile al mondo dall’agenzia di rating indipendente Oekom Research AG di Monaco.


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Società e Territorio Letteratura per ragazzi Al via mercoledì la terza edizione del festival Storie controvento, tra gli ospiti anche Chiara Carminati

Ritratti di famiglia I racconti di persone provenienti da tutto il mondo danno forma a un piccolo gioiello editoriale pagina 5

Premio SIA 2016 La Società svizzera degli ingegneri e degli architetti lo assegna ogni 4 anni, rendendo omaggio non solo ai professionisti del settore ma anche ai committenti pagina 6

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Evitare l’isolamento e l’apatia sociale nei quartieri urbani è una delle sfide delle città contemporanee, anche in Ticino. (Ti-Press)

Città a misura d’uomo Socializzazione Anche gli agglomerati urbani ticinesi studiano misure per favorire il contatto tra i loro abitanti

Roberta Nicolò Un mondo che impone ritmi di vita sempre più veloci e che non lascia molto spazio alla socialità, è questo il nemico da combattere. Una tendenza che sta prosperando anche nelle nostre città. I quartieri si sviluppano, le aggregazioni tra i comuni aumentano e spesso i centri storici fungono da polo economico commerciale, mentre alla periferia viene assegnata la funzione di quartiere dormitorio. Una tendenza che colpisce un po’ tutto il Ticino e che determina in maniera significativa anche un cambiamento nella qualità di vita e nel contatto tra le persone. Questo nuovo stile concorre al deterioramento delle relazioni interpersonali. La relazione diretta, i rapporti di buon vicinato, sembrano soffrire della nuova realtà, che tende a isolarci e che spinge ad un’interazione più virtuale che reale. Interagire attraverso la tecnologia è più semplice, veloce, e comporta senza dubbio uno sforzo personale minore. Una crescente apatia, che isola maggiormente quei soggetti già fragili e in difficoltà, aumentando la distanza tra il socialmente accettato e la marginalità. «Quello di oggi è un mondo frettoloso con un’umanità sempre più at-

tenta al suo ombelico. La solidarietà, l’attenzione all’altro, è stata fagocitata dall’effetto spettatore. A fronte del disagio del nostro vicino, in un concetto di responsabilità diffusa, ci si aspetta sempre che sia qualcun altro a occuparsene, che qualcun altro intervenga. Si delega la responsabilità, si delega l’azione. Una sorta di crisi della società, quindi, che colpisce i più fragili e i più soli. Solitudini che si concentrano maggiormente nelle città e che figurano, statisticamente e concretamente, nella fascia della popolazione che più facilmente richiede l’aiuto sociale» ci spiega Luigi Romeo operatore sociale della Città di Locarno. Proprio per far fronte alla crescente necessità di offrire un sostegno concreto a coloro che si trovano in difficoltà, Locarno ha istituito nel 2008 la figura dell’operatore di prossimità. Il ruolo dell’operatore, sebbene in un primo momento destinato ad avvicinare le situazioni di marginalità giovanile, ha oggi una funzione molto più ampia e si occupa di tutte le situazioni di disagio presenti sul territorio. «Una sorta di primo soccorso che si assume il compito di cercare le risposte più idonee ai bisogni contingenti. Una figura che costruisce ponti, che media, tra il cittadino e l’amministrazione, tra pubblico

e privato. Lo scopo ultimo dell’azione è quello di dare, alla persona in difficoltà, gli strumenti per diventare sempre meno dipendenti e fragile ed essere in grado di gestire in modo autonomo la propria vita» racconta Romeo. Anche a Bellinzona i servizi sociali della città si occupano di far fronte alle problematiche legate alle fasce deboli della popolazione. L’apatia e l’isolamento, sono favorite anche da una maggiore mobilità dei cittadini, che oggi si spostano con grande facilità e che vedono i comuni confrontati sempre più con difficoltà relazionali, di socializzazione, di attenzione verso il prossimo. Ci sono interi quartieri in cui questo fenomeno sembra essere maggiormente sentito e presente. «Il controllo sociale da parte degli stessi cittadini è andato diminuendo, oggi le segnalazioni sono meno frequenti, ma con l’ausilio degli agenti di quartiere, si cerca di far fronte a questa carenza. Spesso coloro che rimangono più emarginati sono i giovani in difficoltà. Le persone anziane hanno una buona rete, costituita anche dalle molte associazioni loro dedicate, ma per coloro che arrivano sul territorio da fuori, spesso, è più complicato integrarsi nel tessuto cittadino. Il servizio sociale si

assume l’incarico di accompagnare i casi con necessità più marcate, mentre il Comune mira a sviluppare una rete di collaborazione tra le figure che già operano sul territorio per un maggior monitoraggio e una migliore presa in carico» spiegano Lisa Bernasconi assistente sociale e Corinna Galli Vicesegretaria comunale. Lugano è confrontata con la difficoltà di socializzazione e di integrazione da diversi anni e sono molte le strategie che i dicasteri della città mettono in campo per far fronte ai problemi. Per stimolare la reciproca conoscenza tra i cittadini, per esempio, il Comune, attraverso il dicastero Integrazione e Informazione Sociale, propone da oltre dieci anni la festa dei vicini, un momento ludico che ha lo scopo di incentivare i rapporti di buon vicinato e aumentare l’attenzione verso l’altro. Sono davvero molte le strategie che i comuni ticinesi stanno studiando per fare fronte a questo fenomeno e che sono al vaglio delle amministrazioni: orti comunali, spazi di scambio, luoghi di ritrovo, attività ludiche, messa in servizio di operatori specializzati, ampliamento dei servizi sociali, tutte soluzioni che nella maggior parte dei casi prevedono la messa in rete di servizi e compe-

tenze. Fare rete è una modalità funzionale alle nuove esigenze del territorio ed è la soluzione auspicata dalla maggior parte dei grandi comuni. Anche il ruolo delle Associazioni presenti gioca un compito importante nel campo della socializzazione e del contrasto all’apatia sociale. Esse sono infatti, spesso, un collegamento diretto tra la popolazione e le istituzioni. A Locarno le Associazioni hanno voce attraverso il Forum delle Associazioni, costituito nel settembre 2014 su proposta del Municipio. Si tratta di una piattaforma utile a raccogliere e discutere, con scadenze puntuali, le problematiche e le esigenze della cittadinanza dei diversi quartieri. La voce dei quartieri ha trovato spazio anche a Lugano, proprio quest’anno ha infatti preso avvio il progetto Quartieri Urbani che ha lo scopo di raccogliere dal basso le esigenze dei cittadini. Molteplici i bisogni della popolazione, una la soluzione proposta: ovvero ricostruire una dimensione più umana del vivere lo spazio urbano e stimolare le persone ad una maggiore coscienza sociale, ma alla base occorre attivare un’inversione di tendenza, bisogna stimolare il cittadino a riprendere coscienza di se stesso e del valore che il rapporto diretto con gli altri sa regalare.


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Società e Territorio

Tre anni di storie controvento Rassegne Da mercoledì 13 aprile torna il Festival bellinzonese

di letteratura per ragazzi

Letizia Bolzani Tre anni fa è nato, l’anno scorso ha subito incrementato il suo successo, invitando ospiti internazionali, quest’anno si allarga ulteriormente, offrendo più eventi nell’arco di quattro giornate, da mercoledì 13 a sabato 16 aprile: è il Festival di letteratura per ragazzi Storie Controvento, organizzato a Bellinzona dall’Associazione culturale Albatros e sostenuto anche dal Percento culturale Migros Ticino. Pensato per coinvolgere e appassionare i lettori adolescenti, si rivolge in particolare agli studenti delle classi terze e quarte delle scuole medie cantonali, i quali sono invitati a partecipare attraverso un percorso di preparazione che li rende protagonisti maggiormente attivi e consapevoli, come ci spiega Cristina Galfetti-Schneider, una dei responsabili del Festival: «Alle classi che si iscrivono forniamo per tempo una rosa di testi – selezionata tra le migliori

proposte contemporanee di narrativa per ragazzi – tra cui sceglierne uno da leggere insieme, con il docente. Poi, al Festival, la classe incontrerà l’autore del libro prescelto: sono incontri sempre molto vivaci e soddisfacenti, sia per i giovani lettori, che possono così conoscere la persona che sta all’origine del libro letto, sia per gli stessi autori, che si trovano di fronte un pubblico interessato e interessante, perché conosce la loro opera, e può quindi porre domande più specifiche. Oltre all’incontro con l’autore, ogni classe avrà la possibilità di partecipare a un laboratorio sul romanzo scelto, e la novità di quest’anno è che saranno dei docenti di Scuola Media in formazione a preparare e a condurre le animazioni. Continua quindi, e si arricchisce, la collaborazione con il Dipartimento Formazione e Apprendimento già iniziata l’anno scorso». Un Festival molto ricco, dunque, che vede una partecipazione sempre più numerosa da parte delle scuole, come ci

conferma Cristina Galfetti-Schneider: «quest’anno abbiamo 36 classi di scuola media e 8 classi di scuola superiore». Sulla locandina spicca una citazione di Alda Merini, relativa al suono dell’ombra. Come mai? «Per questa edizione il tema è appunto l’ombra, intesa come parte sommersa di noi, come componente intima e segreta, o come zona “fuori fuoco” – per citare il titolo del romanzo di Chiara Carminati, che è tra gli ospiti del Festival – ma altrettanto importante delle zone più a fuoco, per potersi situare nel mondo. Gli ospiti di quest’anno saranno, oltre a Chiara Carminati: Kevin Brooks, Susan Kreller, Björn Larsson, Fabrizio Silei e Massimiliano Tappari. Le letture saranno a cura di Alessia Canducci». Per la bibliografia e i dettagli del programma, che offre anche diverse proposte aperte al pubblico, e non solo alle classi, rimandiamo al sito: www. storiecontrovento.ch.

I bambini e la poesia: intervista a Chiara Carminati Perché è importante «fomentare» la poesia?

La parola «fomento» mi è molto cara. In riferimento alla poesia, non ce n’è un’altra che possa sostituirla. Tiene in sé il calore e la ribellione, la fame e la folla. Ho parlato di «fomento della poesia» in apertura al manuale Perlaparola perché mi sembrava importante segnalare ai lettori, che sono per lo più insegnanti, la necessità di trasmettere prima di tutto la passione per la poesia, come un fuoco che non è di fiamma vorace, ma di brace continua e persistente, di quella che scalda a lungo e che si può dividere e condividere. La poesia ha bisogno di essere fomentata, di essere fatta conoscere, perché altrimenti rischia di rimanere ai margini dell’esperienza linguistica del bambino, confinata a un uso decorativo come celebrazione della primavera o delle feste comandate. È invece uno strumento molto potente, di espressione e di scoperta. La poesia si ascolta o si legge?

Entrambe le cose. Ma prima di tutto i

bambini hanno diritto ad ascoltarla, anzi, ad ascoltare tante poesie e tutti i giorni. Se vengono immersi a lungo nella voce che dice poesia, probabilmente poi anche quando la leggeranno da soli lo faranno in qualche modo ad alta voce, perché il suono delle parole echeggerà in loro anche durante la lettura silenziosa. Credo che il cammino di avvicinamento alla poesia, che sia fatto da adulti o da bambini, passi necessariamente attraverso un lungo tempo di ascolto. E se la lettura (o la recitazione) è appassionata, divertita, commossa... non potrà che essere motivante e generare altra lettura. Ha senso che i bambini provino a scrivere poesie?

Credo che sia utile non porsi la scrittura come un obiettivo urgente, ma arrivarci dopo l’esperienza della lettura, quanto più varia e nutriente possibile. Contemporaneamente, si può stimolare la sensibilità del bambino per il linguaggio attraverso i giochi di parole e i giochi sulle parole.

do tanti testi diversi riusciremo a dare almeno un assaggio di questa complessità. E se ci rivolgiamo agli adolescenti, le cose cambiano? Come parlare loro di poesia?

Tutte quelle che ci piacciono, tutte quelle che pensiamo possano piacere a loro. Soprattutto se abbiamo a che fare con delle classi, cioè con gruppi di bambini, che per forza di cose sono diversi uno dall’altro, sarà proprio nella varietà dei testi scelti che troveremo la possibilità che uno o l’altro colga nel segno. Senza contare che sotto il termine di «poesia» si nasconde un universo di forme così diverse tra loro, che soltanto esploran-

In genere, l’adolescenza è un’età in cui si cerca se stessi anche nelle cose che scegliamo di leggere. Purtroppo, a differenza della narrativa, che possiede titoli e collane pensati per i lettori di questa fascia di età, in Italia non sono molti i testi di poesia a loro dedicati. Tranne rari casi fortunati, la poesia viene identificata allora solo con lo studio scolastico dei testi della storia della letteratura, che spesso risultano ostici e ostili, se l’approccio con il testo in versi non è stato graduale, continuo e motivante negli anni precedenti. In questo caso sta agli insegnanti recuperare il filo là dove si è spezzato, e ancora una volta lo si può fare attraverso un piccolo e semplice gesto quotidiano: leggere di tutto, ad alta voce, gratuitamente, senza altro scopo che quello di regalare una poesia.

narrazione è affidata alle immagini. E che immagini: raffinate, in stile anni Quaranta, eppure straordinariamente coinvolgenti e immediate per i bambini, anche molto piccoli. Piccoli proprio come Elliot, l’elefantino protagonista, surreale e tenero, non solo perché a pois, ma anche perché insolitamente piccolo per essere un elefante, e perché unico cittadino-animale in una metropoli (New York a metà del secolo scorso) abitata da umani. Il libro è dedicato «a chiunque si senta invisibile» ed esprime con delicatezza la sensazione di chi vive in solitudine,

affrontando quotidiane difficoltà, dentro una moltitudine di persone che non si sofferma mai, non si accorge di nulla (fatta eccezione per lo sguardo fugace di una bambina nella folla), e anzi rischia di calpestarlo. Elliot riesce sempre a gioire per le piccole cose, come un minuscolo fiore che nasce sull’asfalto, ma un giorno è proprio sopraffatto dalla tristezza... «finché vide qualcuno ancora più piccolo di lui, con un problema ancora più grande». Sulla strada c’è un topino che sta cercando di prendere un po’ di cibo da un cestino dei rifiuti (interessante la visione dall’alto del topo piccolissimo in confronto al cestino, alla panchina e al lampione; e nella pagina accanto la soggettiva del topino con un particolare gigantesco del cestino) e l’aiuto di Elliot sarà provvidenziale per il destino di entrambi. Ed è proprio l’attenzione agli altri, il prendersi cura di chi ha ancora meno, la chiave di svolta di questa storia, e forse anche la chiave per la felicità nella vita di tutti noi.

Daniela Zedda

In attesa quindi di fruire di tutte le ricche offerte di Storie Controvento, ci gustiamo un assaggio di quello che sarà l’evento pubblico di apertura: mercoledì 13 aprile, alle 17.30, nell’aula magna SUPSI/DFA in Piazza San Francesco a Locarno, Chiara Carminati terrà una conferenza che ha il titolo del suo manuale edito da Equilibri: Perlaparola. Bambini e ragazzi nelle stanze della poesia. Chiara Carminati è autrice di storie, di poesie, di testi sulla poesia con i bambini, di testi teatrali. Il suo romanzo Fuori fuoco (Bompiani), uscito l’anno scorso, ha vinto premi prestigiosi, quali il Premio Strega Ragazzi 2016, assegnato pochi giorni fa alla Bologna Children’s Book Fair, il Premio Orbil 2015 e il Premio Andersen (Premio speciale della Giuria) 2015. Con gli studenti parlerà del suo romanzo, mentre nell’incontro pubblico del 13 aprile parlerà di poesia. E sulla poesia le abbiamo rivolto alcune domande.

Quali poesie proporre ai bambini?

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Guido Quarzo, L’ultima lettera di Vincent, Raffaello Ragazzi. Da 10 anni È un romanzo (avvincente) ed è anche un piccolo saggio. Appartiene decisamente al genere narrativa, ma è anche divulgazione. Insomma, è garantito che qualsiasi giovane lettore, dopo aver letto le avventure di questa terza media in gita scolastica a Parigi a dintorni, si sia appassionato a Van Gogh e desideri saperne di più. Il romanzo appartiene alla collana «I Geniali» di Raffaello Ragazzi: storie di ragazzi di oggi che per un momento (ad esempio per una ricerca, o in un viaggio) incrociano la loro vita con quella di grandi personaggi del passato, e li sentono più vicini e interessanti di quanto avrebbero mai potuto immaginare. Ogni storia della collana è affidata a un autore tra i maggiori della letteratura italiana per ragazzi, come in questo caso Guido Quarzo, che ci offre l’avventura tinta di giallo di Mattia, il quale sul treno che lo riporta all’ostello di Parigi, dopo

la visita con la sua classe alla locanda Ravoux di Auvers-sur-Oise, ultima dimora dell’artista, si ritrova nella tasca della felpa un misterioso biglietto scritto in francese e firmato Vincent. Come ha fatto quel foglio, che parla di corvi e di un’arma, a finire nella sua tasca? È quanto cercherà di scoprire Mattia, aiutato dalla sua gemella Mara, dentro un’avventura tra Parigi e Torino, in un contorno di compagni di classe, professori, misteriosi turisti, mercanti d’arte e incalliti falsari. Ma forse non tutto è falso quel che sembra falso... come ci ammicca il sapiente e

brillante capitolo finale. E su tutto si erge l’intensa figura di Van Gogh, del quale il lettore è condotto passo dopo passo a scoprire la vita e le straordinarie opere: le pagine a colori del volume, che ci offrono immagini di quadri e fotografie di luoghi salienti, oltre a brevi ed efficaci testi informativi, si inseriscono con mirabile leggerezza e senza soluzione di continuità nelle pagine narrative del romanzo. Van Gogh è raccontato con misura, sensibilità e acume, senza nulla concedere alle facilonerie aneddotiche, ma lasciando aperto un romanzesco spiraglio di dubbio sull’effettiva realtà del suicidio, come fecero nel 2011 gli studiosi Steven Naifeh e Gregory White Smith nella loro biografia Van Gogh. The Life. Mike Curato, Piccolo Elliot nella grande città, Il Castoro. Da 4 anni Non c’è una parola di troppo in questo bellissimo albo dell’autore americano Mike Curato, perché la forza della


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Società e Territorio

Famiglie come la nostra, da tutto il mondo Editoria Un originale progetto coniuga libri di ottima qualità tipografica a una visione aperta,

sensibile e interculturale dei rapporti affettivi

Alessandro Zanoli «Non è un’iniziativa legata alla questione dello statuto di migrante ma legata al destino delle persone. Non è un’indagine sociologica: il progetto di questo libro si voleva come esercizio di vicinanza umana, non come inchiesta. Il titolo Famiglie indica che si tratta di un libro sui rapporti familiari, non sull’emigrazione o sull’esclusione. È una raccolta di rapporti affettivi». Così i promotori della casa editrice ELSE di Roma ci spiegano le premesse e il programma di lavoro che hanno trovato forma nel volumetto Famiglie, da loro pubblicato di recente. La precisazione è importante: numerose associazioni e gli enti preposti alla presa a carico degli stranieri che giungono in Europa propongono ai loro assistiti un impiego del tempo che spesso prende la forma di una pubblicazione. Famiglie nasce invece in un contesto diverso, molto particolare e prende le mosse da una lettura ampia e «intelligente» delle dinamiche sociali. Diversi anni fa a Roma era stato organizzato un progetto di lavoro collettivo, in cui alcuni immigrati avevano seguito corsi di stampa serigrafica, di tipografia e di rilegatura. Si trattava di un atelier di alto livello artigianale, che non aveva necessariamente lo scopo di una formazione o di reinserimen-

to professionale. Alla fine di quel percorso di apprendimento era nata una piccola casa editrice, ELSE (Edizione libri serigrafici e altro) la cui vocazione era di realizzare prodotti editoriali di alta qualità. Il concetto riguardava sia la scelta della carta, sia la tecnica di impaginazione, sia i contenuti testuali e iconografici. ELSE (il suo sito è www. elsedizioni.com) mirava a realizzare oggetti artigianali di pregio, che potessero distinguersi sul mercato librario. Famiglie, terza pubblicazione realizzata dopo i volumi Radici e Animali, è quindi un libro pregiato: interamente fatto a mano, stampato in serigrafia su carta ecologica in tiratura limitata di 500 copie. Raccoglie diciannove storie di persone nate in diverse parti del mondo ma non tutte necessariamente «straniere». Vi si leggono infatti anche due storie di famiglie italiane che, insieme alle altre, compongono un mosaico ampio e vivo di «ritratti di famiglia». Sono racconti orali, raccolti su registratore, poi sbobinati e trascritti cercando di mantenere la genuinità dell’espressione originale. Sono stati scelti per la loro originalità e per la loro forza narrativa tra le molte storie raccolte dalle Associazione Asnada di Milano, dalla stessa Else Edizioni di Roma e dalla Scuola di italiano Frisoun di Nonantola, Modena. Un’idea di fondo lega tutte le testimonianze,

che giungono da tutto il mondo: riflettere sul ruolo e la funzione della famiglia (sia essa realizzata o no, sia essa felice o no) nella formazione e maturazione di ogni persona. Di nuovo, non si tratta quindi di un libro che si occupa necessariamente di immigrazione, di estraneità. Il primo racconto ad esempio è di una donna lombarda che racconta della fattoria di suo nonno, alla periferia di Milano. Punti di forza del volume sono naturalmente le bellissime illustrazioni di Mirjana Farkas, disegnatrice ginevrina. Ci ha raccontato di non aver pensato alle immagini come vere illustrazioni per le storie, ma piuttosto come un intervento dialogico con i racconti, nel tentativo di espandere la narrazione su un piano universale, fantastico. Quasi per creare delle foto di famiglia immaginarie: un proposito che si sposa perfettamente con l’intenzione originaria del progetto di non personalizzare i racconti ma di universalizzarli. Il libro si chiude con una «Postfazione» del nostro collaboratore Paolo Di Stefano e offre un’occasione di lettura allo stesso tempo seria e piacevole. È una bella testimonianza di racconto corale, molto coinvolgente. Permette a ogni lettore di confrontarsi con storie apparentemente lontane nella geografia ma vicine nei loro risvolti affettivi. Annuncio pubblicitario


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Società e Territorio

Un premio per l’architettura

Nutrirsi di creatività

Riconoscimenti I progettisti Durisch + Nolli si aggiudicano il concorso

The Space È stato

indetto dalla Società svizzera degli ingegneri e degli architetti Stefania Hubmann È il risultato di un percorso che progettista e committente compiono insieme, l’espressione di una forma culturale purtroppo ancora poco riconosciuta come tale dal grande pubblico. Eppure una costruzione di qualità, benché fortemente caratterizzata dalla sua funzione, è una manifestazione estetica che riguarda tutti, ovunque. La SIA (Società svizzera degli ingegneri e degli architetti), sezione Ticino, ribadisce l’importanza di questo approccio attraverso l’attribuzione, ogni quattro anni, del Premio SIA, giunto nel 2016, per quanto riguarda l’architettura, alla quarta edizione. Un’edizione caratterizzata dall’estensione del riconoscimento a tutti gli ambiti professionali della SIA, quindi anche ingegneria, territorio e ambiente, e dalla crescente importanza dei progetti di trasformazione dell’esistente. La cultura del costruito, seppur a fatica, si sta quindi affermando. La SIA Ticino con il Premio, il relativo catalogo (ordinabile presso info@sia-ticino.ch), l’esposizione di tutti i progetti partecipanti a Castelgrande e prossimamente alla SUPSI e le Giornate di porte aperte (vedi box) la promuove tra gli addetti ai lavori e soprattutto tra i cittadini, possibili futuri committenti.

Attraverso il premio la SIA pone l’accento sull’importanza del ruolo del committente Come è cambiato il panorama del costruito in Ticino negli ultimi quattro anni? In molti casi in peggio, non c’è dubbio. Se il presidente della giuria del Premio SIA 2016, Dick Marty, ha ricordato al riguardo nel suo discorso «soluzioni facili o speculative», nel contributo in catalogo l’architetto Alberto Caruso, direttore della rivista «Archi», cita il «ricorso assiduo degli investitori immobiliari a progettisti non qualificati, a tecnici interni alle imprese, all’utilizzo di progetti diretti a soddisfare la domanda nei modi più banali e meno mediati dalla cultura architettonica». A fronte di questa realtà si pongono le 65 opere in concorso che, scrive la SIA, «grazie ad una proficua collaborazione fra le parti, si distinguono per uno sguardo attento, innovativo e valorizzante verso il territorio quale bene culturale dell’intera comunità».

Su tutte la giuria ha scelto all’unanimità la sede del Tribunale Penale Federale di Bellinzona – progettisti Durisch + Nolli, Lugano, unitamente a Bearth & Deplazes, Coira – «per la qualità eccezionale di questo progetto di grande valore simbolico per il nostro Cantone, progetto che ha mirabilmente saputo unire l’edificio neoclassico della vecchia Scuola di commercio con un nuovo corpo». Il progetto vincitore, annunciato lo scorso 26 febbraio, rappresenta una trasformazione dell’esistente così come altri tre segnalati con una menzione, di cui due riguardano i nuovi ambiti professionali ai quali il comitato SIA ha aperto il Premio. Si tratta infatti nell’ordine dell’opera ingegneristica di risanamento del ponte stradale in zona Motto in Val di Blenio (Ingegneri Pedrazzini Guidotti, Lugano), dell’intervento paesaggistico che ha portato alla ricomposizione degli alpi di Sceru e Giumello in Valle Malvaglia (committente e progettista Martino Pedrotti, Mendrisio) e del restauro dell’ex fabbrica di cioccolata Tobler a Lugano-Besso (progettista Jachen Könz, Lugano). La giuria ha inoltre attribuito una menzione all’edificio abitativo Progetto 1077 situato a Bellinzona (Guidotti Architetti + Andrea Frapolli, Monte Carasso) e allo stabile amministrativo dell’AET a Monte Carasso (Consorzio Architetti Lukas Meyer, Ira Piattini, Francesco Fallavollita, Lamone). L’architetto Caterina Hörtig, responsabile Premio SIA 2016, sottolinea l’ampio margine di manovra della giuria nell’assegnazione dei premi. «La decisione di conferire un solo premio rappresenta sicuramente una scelta forte, un segnale chiaro riguardo ai temi prioritari nell’ambito della cultura del costruito. Lo sguardo di professionisti esterni con esperienze diverse – la giuria era composta, oltre che da Dick Marty, da due architetti, due ingegneri e un pianificatore svizzeri e dal prof. Virginio Bettini di Venezia – assicura una valutazione libera da condizionamenti di natura emotiva. Il presidente per contro è volutamente una personalità politica che si distingue per il suo valore e la profonda conoscenza del territorio». Attraverso il premio (una targa d’acciaio da apporre sull’opera) la SIA pone l’accento sul ruolo del committente che rende possibile la realizzazione di opere insigni tramite i professionisti del settore. Caterina Hörtig: «Va rilevato come sia degno di nota anche il ruolo delle piccole committenze, le quali comunque vanno ad incidere sul

Le Giornate SIA Le Giornate SIA 2016 sono un’occasione unica per varcare la soglia di sette interessanti case unifamiliari (di cui due ristrutturate), quattro plurifamiliari, due edifici amministrativi d’autore, un rustico trasformato in sala polivalente, l’ex convento Santa Maria degli Angioli a Lugano, il museo Arp a Solduno e la centrale di teleriscaldamento a Losone. I rispettivi committenti e progettisti spiegheranno personalmente l’opera, permettendo così al pubblico di vivere le emozioni di un progetto, capirne l’inserimento nel contesto paesaggistico e conoscerne la storia, dalla prima idea fino alla realizzazione. Queste opere recenti, pubbliche e private, potranno essere visitate nel nostro cantone dal 20 al 22 e dal 27 al 29 maggio negli orari previsti consultabili su www.giornate-sia.ch. L’appuntamento biennale con l’archi-

tettura e l’ingegneria contemporanee dal vivo è una manifestazione nazionale di grande richiamo ormai giunta alla nona edizione. Essa rappresenta la più grande esposizione architettonica della Svizzera. L’ultima edizione ha registrato in tutto il Paese circa 20mila visitatori per un totale di 300 progetti presentati. SIA Ticino inaugurerà l’evento del 2016 con la presentazione giovedì 19 maggio alle 20.30 alla Biblioteca cantonale di Lugano dello spettacolo in francese ein Gebäude sein – être un bâtiment, messo in scena dalla Compagnie un tour de Suisse partendo dal testo Penser l’architecture di Peter Zumthor. Informazioni

www.giornate-sia.ch www.cieuntourdesuisse.ch

presentato il progetto di Arteinsieme Paola Bernasconi

Il ponte in zona Motto a Ludiano risanato dagli ing. Pedrazzini Guidotti. (Kuster Frey)

territorio. Questa responsabilità può essere condivisa con un professionista serio, che senz’altro può aiutare nell’iter progettuale. I cataloghi del Premio SIA offrono al riguardo spunti interessanti». A distanza di tredici anni dalla sua istituzione, il Premio SIA riflette l’evoluzione della cultura del costruito a livello di esigenze abitative, sensibilità ecologica e conseguente sfruttamento del territorio. Quasi un quinto delle opere presentate appartiene alla categoria della trasformazione dell’esistente. Le abitazioni unifamiliari rappresentano un quarto del totale contro la metà della prima edizione. Assenti nel 2003, quelle plurifamiliari hanno raggiunto quota 23%. L’attualità del tema della densità, per il quale i professionisti del settore sollecitano da tempo una riflessione approfondita, è quindi confermata anche da questo concorso. Medesima costatazione per quanto riguarda la sensibilità nei confronti del paesaggio e la complessità nella gestione dei progetti. L’architetto Federica Colombo, presidente SIA Ticino, solleva la questione nel catalogo precisando che «sempre più frequenti sono i casi in cui un lavoro coordinato tra i diversi progettisti (architetti, ingegneri civili e ingegneri specialisti, architetti paesaggisti, urbanisti, pianificatori) diventa indispensabile ai fini del compimento di un’opera di qualità». Lo dimostra in modo esemplare il risanamento del ponte sul fiume Brenno in territorio di Acquarossa, menzionato dalla giuria. Lo studio Ingegneri Pedrazzini Guidotti ha infatti collaborato con gli architetti Baserga-Mozzetti di Muralto e con il consulente del committente (Repubblica e Cantone Ticino), architetto Michele Arnaboldi. La giuria ha sottolineato da parte sua «l’eleganza e la raffinatezza della cura dei materiali e la ricerca di un inserimento ottimale in un contesto paesaggistico particolare con la presenza da ambo i lati della valle di monumenti storici tutelati». I due monumenti sono la

chiesa di Santa Maria dal lato Dongio e l’oratorio di San Pietro verso Ludiano. L’intervento, sempre secondo la giuria del Premio SIA 2016, dimostra che è possibile riunire le esigenze tecniche con quelle del restauro conservativo. L’ingegnere Andrea Pedrazzini spiega come. «Il ponte originale, costruito attorno al 1865, era chiuso ai lati da due muri in pietra, demoliti verso la metà del secolo scorso per allargare la strada e sostituiti da una ringhiera agganciata all’esterno. Il vuoto che si era venuto a creare è stato sostituito da nuovi parapetti pieni che permettono al ponte di riacquistare le sue proporzioni e la sua forza». Il manufatto è infatti una presenza massiccia, caratterizzata da due archi che poggiano al centro del fiume su un grosso masso. «I rilevati che proseguono oltre il ponte – precisa l’ingegnere – all’esterno sono stati rivestiti in pietra naturale in segno di continuità con il ponte, mentre internamente sono rimasti in beton. L’intervento è volutamente deciso, pur essendo improntato alla conservazione dell’opera. La relazione del ponte con i due monumenti storici adiacenti è stata riaffermata attraverso le modifiche apportate ai tracciati dei muri di sostegno, in particolare quello già realizzato verso l’oratorio». Essenziale per l’esito di questo progetto, la collaborazione con la Divisione delle costruzioni del Dipartimento del territorio. Il confronto fra gli aspetti funzionali e quelli conservativi non è stato sempre semplice. Proprio per questo motivo l’azione di divulgazione, sensibilizzazione e riflessione legata al Premio SIA è tanto preziosa. Il suo obiettivo principale è di creare le condizioni necessarie per favorire lo sviluppo di una cultura del costruito che punti sulla qualità. Prendere coscienza del valore aggiunto di quest’ultima rispetto alla speculazione è un atto di responsabilità collettiva che coinvolge ogni cittadino e a maggior ragione le categorie professionali interessate e chi lo rappresenta a livello istituzionale.

Aprire gli atelier di artigiani e artisti a tutti gli interessati, con corsi e workshop, non solo per trasmettere le abilità manuali ma anche per nutrire lo spirito perché il fare artigiano e creativo è fonte di benessere. È questa in sintesi l’idea che anima il progetto The Space. Ma che cosa c’è di diverso rispetto ad altre associazioni simili? Ce lo spiega la sua entusiasta ideatrice, Barbara Del Fedele, presidente anche di Arteinsieme. «La nostra iniziativa non ha uno scopo commerciale, ovvero non mira alla vendita del prodotto, ma vogliamo trasmettere la nostra passione. Essendo piccole realtà possiamo offrire corsi su misura, personalizzati come obiettivi e tempistica». «I problemi del settore – continua – partono dal fatto che il valore dell’opera artigianale non è riconosciuto. Manca, ed è il concetto su cui si basa il progetto The Space, la sensibilità della persona che non si è mai cimentata col fare artigianale. Quando si prova a creare si riesce ad apprezzare, non solo le capacità manuali, il tempo necessario, ma anche il benessere che l’attività procura». The Space, sinora, conta sette membri: l’atelier ManoLibera, dell’ideatrice Barbara del Fedele, che si occupa di arte tessile, patchwork, cucito creativo e decorazioni per feste, l’atelier di ceramica e tecniche pittoriche di Fosca Rovelli, l’atelier Wind, anch’esso nel campo di tecniche e decorazioni pittoriche così come l’atelier Daldini Art, poi l’atelier Rosanimo con l’art metal-clay e la scultura, l’atelier Del Legno, che si occupa d tornitura e modellaggio del legno e infine l’atelier il Ricciolo, con la scultura con pietra saponaria. L’associazione si è presentata nel corso di una due giorni sabato 2 e domenica 3 aprile a Il Ciani. «Abbiamo avuto un successo che va oltre le aspettative – si rallegra la signora Del Fedele – tanto che già più di venti persone hanno chiesto di iscriversi come utenti, e diversi atelier vogliono partecipare». Cosa deve avere un artigiano per poter divenire parte del progetto? «Richiediamo prima di tutto che sia attivo sul territorio e capace nel suo mestiere, oltre a rispettare un codice etico, che comprende la volontà di aprirsi e trasmettere il proprio sapere con corsi nel proprio atelier oppure in un altro spazio. Chiediamo inoltre la non concorrenza fra i partner». Un modo di lavorare che Fosca Rovelli, attiva nel campo della ceramica e delle tecniche pittoriche, applicava già e che l’ha spinta a entrare a far parte di The Space. «Quando vendo un oggetto, mi piace raccontare la sua storia, mostrare il materiale e il forno utilizzati, spiegare come lavoro. The Space ci dà la possibilità di conoscere anche il lavoro degli altri, si creano collaborazioni che possono spaziare in altri campi», aggiunge. Sinora gli artigiani e artisti coinvolti operano nel Luganese, ma l’obiettivo è di espandersi, sottolinea Del Fedele. «Non vogliamo centralizzare, bensì coinvolgere. Espansione vuol dire conoscenza di altre tecniche e culture, per questo si è scelto di registrare il marchio The Space a livello europeo». L’arte procura benessere, ne sono convinti gli ideatori di The Space, e significativa in tal senso è stata la testimonianza, nel corso della due giorni, di Vincenzo Altepost, ceramista di Sala Capriasca che per anni ha messo davanti al tornio ragazzi con problemi di dipendenza. «Senza pensare per forza a chi ha un disturbo – ci dice Del Fedele – siamo in un’epoca in cui si è perso il valore manuale, e spesso si vive in una sorta di isolamento: frequentare un corso vuol dire dedicare del tempo a sé e a qualcosa di piacevole e socializzare con chi ha degli interessi in comune».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi La storia dura a lungo Sarà accaduto – credo – nel 2009. L’Altropologo è seduto in uno stallo del convento di Pantokator, nella repubblica monastica di Monte Athos, in Grecia. È circa la mezzanotte ed attende l’inizio del mesonitykon, la funzione notturna che accompagna le grandi feste della liturgia ortodossa. La chiesa è immersa nell’oscurità. Da qualche parte, all’interno del perimetro interdetto agli ospiti di confessione Latino-romana, si sentono i monaci di servizio preparare la liturgia. Si muovono veloci e senza esitazioni in una tenebra pressoché totale come solo può fare chi conosce l’architettura del luogo a memoria, e si sposta come per istinto. Poi, laggiù in fondo, qualcuno accende un lume ed ecco i monaci sono lunghe ombre su e giù lungo i muri – ancora più silenziosi ora che l’attivazione del senso visivo rende meno acuta la percezione uditiva. Stretto nello spesso mantello di lana grezza fornito dai monaci contro il freddo di Novembre, perso nei miei

pensieri, estraniato dall’atmosfera che ora si riempiva d’odore d’incenso non mi sono accorto che, silenzioso, un monaco anziano mi era passato accanto diretto al peristilio interno. Arranca a fatica, aiutandosi con un bastone. Mi accorgo di lui quando si ferma. Sì volta, mi vede seduto là e capisce. Torna indietro. Punta il bastone e chiede: «Orthodox?». «Ehem… No, Padre» rispondo imbarazzato: «Latinos, temo». Ne seguì una lezione di Storia fra le più istruttive che mai mi fu dato ascoltare. Ci sono due date che mi sono state sempre rinfacciate come Latinos durante ripetute visite al Monte Athos. La prima è la caduta di Costantinopoli agli Ottomani nel 1453 che pose fine alla più che millenaria vicenda dell’Impero Romano. «Perché voi cristiani d’occidente, voi latini romani non siete venuti in soccorso?!» incalzava il vecchio monaco in un crescendo d’indignazione solo di poco – e per fortuna – temperata da un inglese peggio che approssimati-

stesso clero, cavalieri di nobile rango e di grande reputazione si misero in competizione con la soldataglia. La grande Biblioteca fu distrutta, e con essa le chiese coi loro tesori d’arte, ivi compresa Aghia Sofia che vide la sua iconostasi distrutta mentre una prostituta ubriaca sedeva sul trono patriarcale cantando carmi osceni mentre i crociati banchettavano bevendo dai sacri calici. Nelle parole di uno storico di quegli eventi «sebbene i veneziani avessero un’occhio di riguardo per i tesori artistici della città (essendo essi stessi quasi-bizantini) e ne salvassero una buona parte come bottino, i francesi e gli altri altro non fecero che distruggere, violentare e massacrare lo stesso clero bizantino». Tutto questo perché, sulla via per la Terra Santa, i leader della quarta crociata avevano stretto un patto con il principe bizantino Alexios Angelos per rimetterne sul trono il padre deposto in uno dei tanti colpi di stato che, a Costantinopoli, seguivano l’onorata

tradizione del tardo Impero romano. Ma i crociati avevano scommesso sul cavallo sbagliato. Sedotti dalle somme ingenti promesse in caso di vittoria, fallita l’operazione per la morte in febbraio di Alexios, assassinato in seguito ad un’insurrezione popolare, e venuto dunque meno il pagamento, decisero di riscuotere il debito senza passare per intermediari. Risultato? Una delle pagine non solo più vergognose della storia dell’Occidente, ma anche un cuneo che sarà irremovibile e carico di conseguenze per la storia a venire del rapporto fra Oriente ed Occidente. «Ma, Padre, ehm… sono cose successe ottocento e rotti anni fa… non sarebbe forse il caso di passare oltre?» – propongo al mio venerabile interlocutore mentre tendo la mano della riconciliazione. «Forse, per voi. Per voi queste cose sono successe ottocento anni fa: per noi, invece, sono successe ieri». Ricordo, poi, il ticchettìo del bastone perdersi verso l’oscurità di un’iconostasi santa ed invisibile.

schierarsi dalla parte di suo figlio, per considerare le ragioni di lui migliori di quelle di lei. Non si cessa mai di essere mamme e di battersi per la felicità della persona che si è messa al mondo. Anche i proverbi lo sanno quando sentenziano, ad esempio: «tra moglie e marito non mettere il dito». Ma è difficile, lo ammetto, tirarsi fuori da una contesa che ci riguarda come mamme e come nonne. Tuttavia le due funzioni sono diverse. Se le risulta arduo incontrarsi con sua nuora e impossibile fingere una benevolenza che non c’è, può invece rimanere in ottimi rapporti con i suoi nipoti. Per quanto gli incontri col padre siano osteggiati, gli accordi della separazione prevedono senz’altro che i bambini trascorrano alcuni giorni col papà. In quelle occasioni potrà godere della loro compagnia e, senza lasciar trapelare la

sua ostilità per la mamma – cosa che i figli non perdonano – confermare il vostro reciproco affetto. Gli uomini, si sa, sono un po’ imbranati quando devono occuparsi personalmente di bambini (nel vostro caso due femmine e un maschietto) per cui il suo aiuto sarà sempre gradito. Trovi però modo di offrire loro qualcosa di speciale: una gita, uno spettacolo cinematografico o teatrale, una merenda con i cuginetti. Probabilmente i bambini, coinvolti in un doloroso conflitto familiare, saranno tesi, preoccupati di dire qualcosa che non va, di non essere leali con la mamma. Cerchi perciò di metterli a loro agio evitando riferimenti ai rapporti familiari, accettando eventuali reticenze, non sollecitando possibili lamentele. Quando i genitori si separano, in particolare quando la divisione è conflittuale, i figli piccoli sentono messa in pericolo la

loro stessa sopravvivenza, la continuità della loro storia. Per rassicurarli, dichiari apertamente che, qualsiasi cosa accada, lei sarà sempre la loro nonna e che possono contare, senza riserve, sulla sua accoglienza e sul suo affetto. Anche quando, durante l’adolescenza, sembreranno allontanarsi da lei, lo consideri un atteggiamento temporaneo. Se saprà attenderli senza sentirsi delusa, vedrà che torneranno più affezionati di prima. Non a caso, alla domanda «qual è stata la persona più importante della sua vita?» la maggior parte delle persone indicano i nonni.

una scienza, sempre più abbinata alla tecnologia, e, in pari tempo, risvegliare una nuova sensibilità sociale, che era nell’aria ma andava organizzata. E, con effetti ormai assimilati nella quotidianità, dove ciechi e ipovedenti lavorano, fanno sport, si occupano di cultura, si divertono, viaggiano. E si mettono in gioco anche in politica, con cariche di alta responsabilità, affrontate con un’energia grintosa e magari polemica. Com’è il caso per Manuele Bertoli, la cui elezione rappresentò una primizia sul piano nazionale. La Svizzera, del resto, e deve stupire, non è all’avanguardia nell’adeguamento delle strutture pubbliche alle esigenze degli invalidi. Un ricordo personale, in proposito: nel 1998, partecipai, con un gruppo di architetti ticinesi, all’inaugurazione delle strisce pedonali in rilievo, destinate ai ciechi, alla stazione di Zurigo, appena rinnovata. Ora, proprio questo tracciato, che facilitava l’accesso ai treni, doveva incontrare la resistenza da parte degli architetti che lo ritenevano un elemento di disturbo, dal profilo

estetico. Del resto, non tutte le nostre stazioni, fra cui Biasca, non si sono ancora aggiornate. Insomma, questo è un cantiere dove i lavori sono sempre in corso per abbattere barriere, d’ogni genere. Oggi, d’ordine finanziario. Molte, comunque, sono cadute. Infatti lo spazio a disposizione dei ciechi continua ad allargarsi rivelando, al di là dell’impegno nella professione e nel volontariato, bisogni in apparenza secondari, ma che rimangono sintomi di vitalità, di buona salute: uscire la sera, incontrare gente, scambiarsi opinioni e reazioni. Da qui è partita l’idea delle cene al buio, organizzate, a casa Andreina, a Lugano, il venerdì e il sabato sera: un’occasione conviviale che, complici cibi e vini, sollecita il piacere di stare insieme, e, in questo caso di mettersi a confronto e di riflettere sul tema delle diversità. Che, adesso, seduti intorno alla stessa tavola, si concretizza, senza scampo. Ecco il nostro buio che, al primo momento sembra insopportabile, e poi si dirada grazie al contatto con il loro buio, che ci fa da guida. Sul piano materiale,

vo. Ora aveva abbassato il bastone per tornare ad appoggiarvisi, ma il suo viso era chino sul mio: ne vedevo l’espressione adirata, avevo il fiato della storia sul collo – e non era simpatico: «Sì, certo, certo che non siete venuti in soccorso… folli noi ad aspettarcelo… eh, già, già… ma d’altro canto non fu nel 1204 che voi stessi distruggeste Costantinopoli, la Santa Città in quella che avete chiamato la Quarta Crociata?!». Tutto ahimè vero: il 12 aprile 1204 l’esercito cristiano occidentale, veneziani in testa, faceva finalmente breccia dalla parte di mare nelle formidabili difese costantinopolitane per dare inizio ad un sacco senza precedenti di quella che era – al tempo – coi suoi 500’000 abitanti, la più grande città del mondo. Sbaragliata la Guardia Varangiana, formata da mercenari di origine vichinga ed anglosassone, i crociati si scatenarono per tre giorni in un saccheggio senza precedenti. Dimenticati i solenni giuramenti e sordi alle minacce di scomunica del loro

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi L’importanza dei nonni dopo la separazione Cara Signora Vegetti, anch’io, come lei, non sono più giovane ma non per questo la vita mi lascia in pace. Ho avuto tre figli maschi e due di loro sono ben sistemati, hanno sposato ottime ragazze e non mi hanno mai dato pensieri. L’ultimo invece ha voluto prendersi per moglie una giovane molto bella ma sciocca, pigra e presuntuosa, che ha chiesto e ottenuto sempre il massimo: un grande appartamento in città, una villa sul lago, cameriera e baby sitter di giorno e di notte perché lei è sempre troppo stanca per occuparsi dei figli: tre in cinque anni. Purtroppo mio figlio ha avuto un tracollo economico ma lei non accetta di diminuire le sue pretese. L’ha buttato fuori casa e, sostenuta dai migliori avvocati, lo sta riducendo sul lastrico. Ora non lo vuole più incontrare e gli sta montando i figli contro. Io sono indignata e vorrei fare qualcosa ma non so bene che cosa, mi consigli lei. / Tiziana

Cara Tiziana, è vero che non sono più giovane e che ho trascorso quasi mezzo secolo a cercare di comprendere le vite degli altri, di chi mi chiedeva, e mi chiede, aiuto e consiglio. Ma le confesso che, molte volte, il rapporto tra coniugi conserva per me un nucleo di segreto e di mistero che non sono mai riuscita a svelare del tutto. Difficile comprendere perché due persone s’innamorino e decidano di diventare marito e moglie, padre e madre. Ma è ancora meno chiaro perché, a un certo punto, quel patto s’infranga e l’attrazione iniziale si tramuti nel suo contrario: in avversione, insofferenza e rancore. Se l’intransigente voltafaccia di sua nuora risulta incomprensibile a me, che sono un arbitro imparziale, figuriamoci a lei che occupa la posizione della suocera. Per quanto si sforzi di essere oggettiva, finirà sempre per

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Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Con i ciechi nel «loro» buio C’è buio e buio. La parola definisce condizioni ben diverse. Ecco, per cominciare, il nostro buio che, in pratica, è soltanto relativo. Ci si è abituati a vivere, all’aperto e al chiuso, in ambienti sempre illuminati, persino eccessivamente sfavillanti. Tanto da rendere l’oscurità fitta, per non parlare di quella totale, qualcosa di estraneo alle nostre esperienze. Ma, se è scomparso il buio, come presenza concreta, sopravvive il buio, come metafora. Basti pensare a modi di dire del tipo «tempi bui», «salto nel buio», «brancolare nel buio», e via enumerando espressioni che evocano incertezze, minacce, paure. C’è, però, un altro buio: il «loro buio», che appunto concerne la realtà vissuta dai ciechi, alle prese con le vere conseguenze della perdita della vista, il senso considerato, tradizionalmente, il più importante e insostituibile per condurre un’esistenza normale. Invece, era uno dei molti pregiudizi che la nostra epoca, tanto deprecata, è riuscita a sfatare assicurando ai ciechi un riscatto materiale e morale, che coincide con un diritto civile: uscire

da un isolamento umiliante per entrare nello spazio sociale e professionale aperto a tutti. Ciò che ha comportato un lungo percorso. L’aveva avviato in Ticino, già nel 1946, Tarcisio Bisi, che con il coraggio e l’intuito del pioniere, fu capace di sfruttare le opportunità di

innanzi tutto, questi commensali, e per me amici di lunga data, ci aiutano a maneggiare le posate, i bicchieri, a reperire il cestino del pane, insomma gesti d’ordine pratico, immediato. Ma, infine, e il discorso si allarga all’infinito, entra in gioco il loro buio che, attraverso i racconti di Rino, di Mario, di Sandro, delinea un’altra dimensione: quella di una vita ricominciata, ricostruita, affidata a nuove capacità, anche di pensiero e d’immaginazione. Certo con un computer apposito si riesce a scrivere, i testi registrati sostituiscono i libri stampati, il bastone bianco aiuta a muoversi in città, ecc. Poi, però, interviene qualcosa che appartiene a una sfera inafferrabile. Questi ciechi , quando viaggiano, percepiscono quel che li circonda, ne ricavano ricordi e materia di riflessione. E rievocando momenti del passato, addirittura l’incidente che li ha privati della vista, rivelano il distacco necessario per andare avanti, risentimenti e rimpianti sembrano lontani. Insomma, questo loro buio racchiude proprio un mistero.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Attualità Migros

M La scelta degli chef 2.0 Carne Migros Venerdì 15 aprile prende il via la seconda edizione della rassegna che per tre fine settimana

vedrà gli chef di 14 ristoranti ticinesi proporre le loro migliori ricette a base di carne Migros. L’iniziativa è organizzata in collaborazione con Mérat, con il patrocinio di GastroTicino Ha avuto un buon successo la rassegna dedicata alla carne che Migros Ticino ha organizzato lo scorso settembre, tanto che la carne svizzera di Migros Ticino, GastroTicino e 14 ristoratori della regione si ripresentano insieme

Il calendario 3 weekend del gusto in 14 ristoranti ticinesi – 15/16, 22/23 e 29/30 aprile

Grottino Orselina, Orselina; Hotel Ristorante Cereda, Sementina; Ristorante Casa Berno, Ascona; Grotto Pergola, Giornico; Grotto Madonnone, Purasca; Antica Osteria Manetti, Bironico; Ristorante Della Torre, Morcote; Ristorante San Grato, Carona; Hotel La Perla, S. Antonino; Canvetto Luganese, Lugano; Osteria Andina, Madonna Del Piano; Ristorante Giardino, Bombinasco; Ristorante Da Gina, Ascona; Ristorante Stazione, Bodio.

per una seconda edizione in programma in aprile, con l’attiva collaborazione di Mérat che si occuperà della logistica. Il «sistema Svizzera» ha quindi funzionato, e gli attori coinvolti sono sempre più numerosi, a conferma del fatto che produzione, distribuzione e vendita lavorano in sintonia e in difesa della qualità del nostro territorio. Per tre fine settimana – 15/16, 22/23 e 29/30 aprile – i 14 chef presenteranno le loro ricette, per esaltare e proporre le carni di manzo, maiale e vitello, esprimendo tutta la creatività e la fantasia, a partire dalla scelta dei tagli, fino alla mise en place. All’incontro di presentazione, Migros Ticino ha voluto dedicare particolare attenzione alla principale protagonista dell’iniziativa, la carne, invitando a intervenire il Dottor Quarenghi, medico internista, specialista in nutrizione, per illustrare quanto e come mangiare la carne e per confermarne i valori nutritivi e il ruolo che può avere sulla nostra tavola, con le raccomandazioni e le cautele che ogni consumatore è giusto conosca; in seguito Roberto Aerni, Presidente dell’Unione Contadini Tici-

Da sin: Fabio Rossinelli, Resp. Dip. Marketing Migros Ticino; (sopra) Roberto Aerni, Presidente Unione Contadini Ticinesi; Massimo Suter, Presidente Gastroticino; Massimo Quarenghi, Dr. Med. specialista in medicina interna e medico nutrizionista; Kilian Wenger, re della lotta svizzera. (Flavia Leuenberger)

nesi, ha spiegato quali sono i motivi per cui la carne svizzera è così buona e sicura, portando una diretta testimonianza come allevatore del manzo Charolais

e confermando che gli allevamenti del nostro paese seguono rigide normative in materia di nutrizione degli animali, di igiene, di libera uscita dalle stalle e

alla speciale pizza, il fiore all’occhiello è lo smokegrill, per ricche grigliate a base di carne e di pesce, tutte collocate nell’ambito di un ricco menù mediterraneo. Ristorante La Perla, Via Cantonale 39, 6592 S. Antonino, T. 091 850 29 50 www.hotelperla.ch – La famiglia Bassi e il suo team è lieta di ospitarvi nel ristorante dell’hotel, in un ambiente moderno, caldo e accogliente. La cucina è ricca di piatti genuini e di qualità, prediligendo ingredienti regionali e stagionali. La maggioranza delle verdure e ortaggi provengono dall’azienda di famiglia Orticola Bassi.Il vino della casa, Merlot La Perla, viene prodotto vinificando le uve dei vigneti circostanti. Grotto Madonnone, Via Madonnone 19, 6989 Purasca T. 091 606 14 31 – Accoglienza signorile, cucina nostrana e curata, il giardino con il campo da bocce e le belle sale interne completano la buona cucina e una cantina ben fornita. Le specialità della griglia esterna sono la luganighetta, le costine e il tenero filetto di toro. Antica Osteria Manetti, Via Cantonale 138, 6804 Bironico T. 091 946 11 69 www.anticaosteriamanetti.com – Alla

Casa Manetti si cambiavano i cavalli e i viaggiatori trovavano già allora un sicuro ed accogliente punto di ristoro. Oggi è una tappa ideale per i buongustai che vogliono assaporare una cucina accurata con specialità italiane, mediterranee e piatti della cucina locale. Grottino Orselina, Via al Calvario 6, 6644 Orselina, Tel 091 743 44 08, www. grottino-orselina.ch – Un’atmosfera rustica ma elegante che sposa la tradizione del locale con l’innovazione della cucina. Ornella e Kurt con il loro staff vi aspettano per proporvi la loro professionalità. Ideale per incontri di affari o per romantiche cene con il proprio partner. Grotto Pergola, Via Cribiago 2, 6745 Giornico T. 091 864 14 22 www.grottopergola.ch – Ha alle spalle 50 anni di storia, ma molte cose in questa tipica osteria ticinese sono rimaste così come erano in origine. Propone una cucina semplice e saporita, che si basa su prodotti e ingredienti regionali e ricette della casa. Ristorante San Grato, Via San Grato, 6914 Carona T. 091 649 70 21 – Situato al centro del Parco San Grato, sopra Lugano, il ristorante gode di un panorama eccezionale sul lago e sulla catena alpi-

altre regole e cure che fanno della carne svizzera un prodotto da portare in tavola con gusto e con orgoglio. Padrino della rassegna sarà Kilian Wenger, re della lotta svizzera, che ha accettato con simpatia di testimoniare per questa occasione, sia perché appassionato mangiatore di carne svizzera, sia perché in passato ha lavorato come macellaio ed è quindi un volto più che affidabile in materia! Come anticipato, i ristoranti coinvolti passano da 8 a 14, tutti selezionati sulla base di buona qualità e soddisfazione del pubblico. Ogni chef manterrà la sua impronta nelle serate dedicate alla rassegna, con la possibilità di esprimersi come meglio ritiene, sia declinando la materia prima in proposte di cucina tipica, sia internazionale, privilegiando un taglio piuttosto che un altro. La carne Migros alla base dei menu della rassegna è al 100% di provenienza svizzera. Informazioni

www.carnemigros.ch

Le schede dei ristoranti Osteria Andina, 6995 Madonna del Piano, T. 091 608 20 96, www.osteriaandina.ch – A pochi minuti da Ponte Tresa, l’ Osteria Andina propone piatti della cucina nostrana e internazionale. Grigliate e carni: raffinate proposte basate su prodotti d’eccellenza e nel rispetto delle stagioni. L’ambiente ristrutturato, è intimo e romantico. Canvetto Luganese, Via Rinaldo Simen 14b, 6904 Lugano T. 091 910 18 90 www.f-diamante.ch – Il Canvetto Luganese è un ritrovo storico a LuganoMolino Nuovo. Dal 2000 è una delle strutture lavorative della Fondazione Diamante. Il Canvetto Luganese è oggi un raffinato ristorante-laboratorio che privilegia l’utilizzo di prodotti locali e garantisce la massima trasparenza rispetto ai prodotti offerti alla clientela. Ristorante Casa Berno, Via Gottardo Madonna 15, CH-6612 Ascona, Tel. +41 (0)91 791 32 32, www.casaberno.ch – In un ambiente elegante e suggestivo, con bellissima terrazza panoramica, lo chef Romeo Corona vi propone ricette di cucina tradizionale ticinese oltre a specialità internazionali, sempre e rigorosamente a base di ingredienti stagionali, freschi e di elevata qualità.

Hotel Ristorante Cereda, Via Locarno 10 , 6514 Sementina T. 091 851 80 80 www.hotelcereda.ch – Il ristorante offre una cucina improntata alla stagionalità con particolare attenzione ai prodotti locali. Lo chef Luca Merlo propone delicati piatti della migliore tradizione culinaria, accompagnati da una vasta scelta di vini, con particolare attenzione a quelli ticinesi. La vocazione del territorio predilige materie prime fresche, sapientemente elaborate che vengono proposte in piatti che soddisfano anche i palati più raffinati. Ristorante Giardino, 6981 Bombinasco, T. 091 608 11 07 www.bombinasco. ch – Il Ristorante Giardino si caratterizza per un’accogliente conduzione familiare dal 1960. Oggi Monique e Daniele propongono, per la delizia dei palati più fini, la migliore cucina ticinese ed internazionale, privilegiando la qualità delle materie prime e le specialità stagionali. Ristorante da Gina, Viale Monte Verità 19, 6612 Ascona, Tel: 091 791 27 40 www.dagina.ch – Oasi di tranquillità e cortesia, il Ristorante Da Gina offre un ricco aperitivo, con cocktail di frutta, vini di diverse varietà e provenienza e un ottimo assortimento di birre. Oltre

na. Flavio Riva e il suo staff, propongono ricette della tradizione, d’estate con piatti freschi e gustosi, e d’autunno con la selvaggina. Il tutto abbinato a una bella scelta di vini, ma soprattutto a un sorriso autentico. Ristorante Stazione, Via Stazione, 7, 6743 Bodio, Tel 091 864 21 24 www.albergostazionebodio.ch – L’albergo stazione nasce nel 1910 ad opera di Lorenzo Guzzi. Negli anni è stato un cinematografo, un salone per le feste e ricevimenti e persino una discoteca. Dal 1997 viene riacquistato dalla famiglia Guzzi ed è attualmente un hotel molto frequentato. Il ristorante – pizzeria, perfetto per feste e banchetti, è gestito dalla famiglia di Nandi e Pascal Mayer. Ristorante della Torre, Riveta da la Tor, 6922 Morcote T. 091 996 26 36 www.ristorantetorre.ch – Il Ristorante ha sede in un’antica casa sul lungolago di Morcote, proprio accanto alla Torre del Capitano. Il legno del soffitto e i colori pastello delle pareti, rendono accogliente l’ampia sala del ristorante. A disposizione un grottino in pietra a vista, ideale per pranzi o cene intime, ma anche per degustazioni di vini e prodotti locali o riunioni di lavoro. Annuncio pubblicitario


a im r fa tà n o b o d n Qua con semplicità!

–––––––––––––––––––––––––––––––––––– Torta di carne –––––––––––––––––––––––––––––––––––– Ingredienti 1 peperoncino, 80 g di cavolo cinese, 1 cucchiaio d’olio per cuocere, 300 g di carne macinata di manzo, 2 d’aglio, 2 dl di mezza panna, 1 uovo, 1 cucchiaino d’olio di sesamo, sale, pepe, burro per la teglia, farina per la teglia, 1 pasta per crostate già spianata, ottagonale di 270 g, 60 g pangrattato

Preparazione 1. Dimezzate il peperoncino per il lungo, privatelo dei semi e tagliatelo a striscioline. Dimezzate il cavolo cinese per il lungo e tagliatelo di traverso a striscioline. Scaldate l’olio in una pentola ampia. Rosolate la carne macinata. Aggiungete il peperoncino e il cavolo cinese. Unite l’aglio schiacciato e rosolate il tutto a fuoco medio, in modo che il cavolo cinese rimanga ancora croccante. Togliete la padella dal fuoco e fate raffreddare la farcia.

40% 10.80 invece di 18.– Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, al kg

2. Per la salsa mescolate panna e uovo, unite l’olio di sesamo, salate e pepate. 3. Scaldate il forno a 200 °C. Ungete la teglia di burro e spolverizzatela di farina. Accomodate la pasta nella teglia. Ripiegate verso l’interno il bordo in eccedenza e premetelo sul bordo della teglia. Bucherellate più volte il fondo della pasta con una forchetta. Cospargete di pangrattato. Distribuite la farcia e versatevi sopra la salsa. Cuocete la torta nella parte inferiore del forno per ca. 30 minuti. Tempo di preparazione ca. 30 minuti, più raffreddamento, cottura ca. 30 minuti Per persona una fetta ca. 25 g di proteine, 43 g di grassi, 46 g di carboidrati, 2800 kJ/670 kcal

OFFERTA VALIDA SOLO DAL 12.4 AL 18.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Ricetta e foto: saison.ch

Piatto principale per 4 persone Per 1 teglia di 22 cm Ø


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Ambiente e Benessere Fuori dalla legge dell’utilità Nel libro Ho costruito una casa da giardiniere, Gilles Clément racconta, mattone dopo mattone, la propria dimora

L’ultima indio Un viaggio nella Terra del fuoco alla ricerca della storia delle genti delle Ande

Come si fa la tartara La bontà di una dadolata di carne, di pesce, ma a volte anche di verdure, mangiata cruda

Cuccioli d’importazione In Europa il commercio di cani è spesso illegale e comporta grosse sofferenze per gli animali

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Nasa

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Il fiore nato nello spazio Colture spaziali Il benessere fisico e psicologico delle verdure coltivate dagli astronauti Loris Fedele Si può nascere e vivere nello spazio. Questa affermazione, per ora, non si riferisce agli esseri umani ma ai vegetali. All’inizio dell’anno si è dato molto rilievo mediatico al fiore di Zinnia dai petali color arancione «twittato» dall’astronauta della NASA Scott Kelly da bordo della Stazione spaziale internazionale. Kelly, nell’entusiasmo, millantò come «primo fiore sbocciato nello spazio» il frutto del suo lavoro da giardiniere. Informazione falsa: che i russi per primi e poi gli stessi americani si sono affrettati a smentire. La coltivazione di forme vegetali in orbita è cominciata molto presto e già nel 1984 una pubblicazione rendeva noto che, sulla stazione spaziale sovietica Salyut-7, si era riusciti a far completare l’intero ciclo vitale di una arabetta comune (Arabidopsis thaliana), una pianta erbacea le cui infiorescenze a grappoli, all’estremità del fusto o dei rami, sono costituite da fiorellini bianchi a quattro petali. I fiori dell’arabetta sono ermafroditi, quindi presentano sia caratteristiche maschili sia femminili. Le sue piccole dimensioni la rendevano particolarmente adatta alle serre spaziali. L’importanza di questa pianta non era tanto quella agronomi-

ca, quanto piuttosto quella di essere molto adatta per l’uso come organismo modello. Gli organismi modello usati per esperimenti riguardanti fenomeni biologici nel mondo vegetale hanno fatto del bene al progresso scientifico. Per ricordare un esempio storico, il primo organismo modello fu la pianta del pisello, studiando la quale il grande naturalista ceco Gregor Mendel, a metà dell’800, svelò i meccanismi biologici dell’ereditarietà (passando alla storia come il padre della genetica moderna). Quanto al fiore di Zinnia gli americani lo hanno scelto perché adatto all’esperimento Veggie sulla Stazione spaziale internazionale (ISS). Il programma Veg-01 aveva fatto crescere nel 2014 in condizioni di microgravità, all’interno di una serra speciale (la Veggie) su di un substrato di argilla calcinata, cespi di lattuga rossa romana. L’equipaggio l’aveva gustata con piacere, prima di mandarne a terra alcuni campioni da analizzare. Quella speciale serra era stata provata in un laboratorio della NASA situato vicino a Capo Kennedy, in Florida. Proprio per una verifica comparativa in quello stesso laboratorio si conducono durante le missioni i medesimi esperimenti di crescita delle verdure operati su ISS. La riuscita di Veg-01 ha convalida-

to la bontà spaziale della serra: una camera di crescita nella quale si alternavano 10 ore di luci accese con led rossi, verdi e blu, a 14 ore di buio, per simulare il giorno terrestre. Inoltre era attivato un sistema che portava l’aerazione, l’acqua e i nutrienti alle piante. Ci sono voluti 2 mesi per seminare e raccogliere l’insalata. Aperta la strada, su substrati diversi, si è passati alle prove coi fiori. La zinnia è un fiore molto sensibile ai parametri ambientali e alle variazioni di luce e nello spazio ha avuto un ciclo di vita di quasi 3 mesi, quindi assai più lungo e delicato dell’insalata romana coltivata prima. Si è voluta provare questa coltivazione più difficile per preparare il passo ulteriore che, con Veg-03, vedrà avviare nel 2017 su ISS la coltivazione di un cavolo cinese e altra lattuga romana rossa. Poi, nel 2018, il piano della NASA prevede di portare nello spazio semi di pomodoro e peperone. Per essi il ciclo vitale si prospetta come piuttosto lungo. Lo scopo ultimo delle sperimentazioni è evidente. Ricordate il recente film The Martian, il marziano, dove un botanico abbandonato solo sul pianeta rosso riesce a sopravvivere coltivando patate in quell’ambiente alieno? Le serre a bordo dei veicoli spaziali permet-

terebbero agli equipaggi delle missioni di lunga durata, come in un viaggio su Marte, di procurarsi cibo fresco che può riprodursi, come appunto i pomodori. Non si sottovaluta nemmeno l’aspetto psicologico di un’azione del genere. Veggie non è una semplice serra, ma la possibilità di vivere la natura come se si fosse sulla Terra. Gli psicologi e analisti comportamentali che hanno seguito gli astronauti a lungo confinati nell’asettico ambiente spaziale hanno verificato il piacere da loro provato quando i nuovi arrivati portavano un frutto fresco. Hanno anche visto con quale entusiasmo gli astronauti hanno fatto i giardinieri spaziali, vivendo un momento di distrazione tra i carichi del programma, e la loro gioia esplosa a risultato ottenuto. Ricordo tra l’altro che il fiore di zinnia che ha colorato la stazione spaziale era di una varietà commestibile. Non l’hanno mangiato, ma dopo aver raccolto la corolla, i semi e altre parti, le hanno congelate a –80°C e inviate a terra per test microbici e altre analisi. Nella nostra Europa, e in particolare in Svizzera, la coltura idroponica è una realtà che ben conosciamo. La tecnica di coltivazione caratterizzata dal fatto di far crescere i pomodori senza utilizzare la terra arrivò nel Canton Ti-

cino negli anni 80. Si chiamava «horssol», perché le piantine dentro le serre, invece di essere interrate, utilizzavano come supporto all’apparato radicale dei materiali inerti, come la lana di roccia o dei pani simili al polistirolo. L’acqua e le sostanze nutritive venivano aggiunte regolarmente. In Olanda lo si faceva già e questa pratica ormai forniva il prodotto sul mercato in tutte le stagioni. Un metodo successivo, applicato alle insalate, abbandonò il substrato immergendo direttamente le radici in una soluzione nutritiva, con l’acqua che scorreva. Ciò permetteva un ottimale dosaggio chimico della concimazione. Al gusto, gli ortaggi non differiscono sostanzialmente da quelli coltivati in terra. Nel 2013, nel Canton Ticino, c’erano 8 aziende con in totale 11 ettari di colture hors-sol di pomodori. Le infrastrutture necessarie alla coltura idroponica sono costose e per ammortizzarle bisogna avere un mercato sicuro e una produzione rilevante. In questo caso solo la grande distribuzione può dare garanzie ai coltivatori. Per quanto riguarda alcuni tipi d’insalata prodotti in Svizzera con il sistema idroponico, nella Svizzera tedesca si è già cominciata la grande vendita e di questi tempi anche il Ticino è entrato nella partita.


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Ambiente e Benessere

Come la casa di un giardiniere Il seme nel cassetto Lo studioso Gilles Clément racconta di come si è costruito una dimora ecologica

con le proprie mani Laura di Corcia

Che casa potrà essere quella di chi si sforza a tutti i costi di fuoriuscire dalla legge dell’utilità e del guadagno, che casa potrà essere quella di chi crede al valore generativo dello spreco? Gilles Clément, che oltre ad essere paesaggista è anche agronomo ed entomologo, non ha bisogno di presentazioni: il suo Manifesto sul terzo paesaggio, pubblicato in Italia nel 2005, è diventato il punto di riferimento per tutti coloro che nel contatto con le piante e con la terra cercano e scoprono un modo alternativo di organizzare i rapporti con gli altri e con l’ambiente. In questo nuovo libro, Ho costruito una casa da giardiniere, Clément racconta l’avventura di costruire, mattone dopo mattone, la propria dimora. Dopo un conflitto col padre, il giovane si mette alla ricerca di un nuovo posto dove abitare, sapendo che la sfida è quella di reggere al conflitto interiore che spinge ogni uomo a cercare la stasi e il movimento al tempo stesso. La sua casa, «un’enorme protesi senza la quale saremmo disabili, malati o semplicemente villosi», dovrà tessere un dialogo profondo con la natura che la circonda, sarà intrisa della consapevolezza

È agronomo, entomologo e architetto paesaggista. (expo2015.org)

che l’ordinarietà e l’utilitarismo, pur con la loro forza rassicurante, distruggono il sale, ciò che origina e rinnova la potenza della vita. Nel territorio della Creuse, un luogo che si tiene al riparo dalla globalizzazione grazie alla risolutezza anche un po’ ruvida dei suoi abitanti, più precisamente nella Valle delle farfalle, si viene a creare un «noi», un gruppetto di persone che sanno sognare e lavorare, quelli che lui stesso definisce «eredi di una rivoluzione piena di stelle» (il Sessantotto appena passato) che con i piedi piantati per terra e la schiena rotta sanno insediarsi in un luogo senza distruggerne l’equilibrio. La casa costruita non avrà angoli, non sarà illuminata dall’elettricità ma dalle lampade a petrolio, non sarà tirata a lucido dalla candeggina: su di essa cadrà la polvere, che ci ricorda come tutto ciò che lanciamo verso il cielo ci ritorna indietro; attorno ad essa germoglierà la vita, incoerente ma variegata, libera e felice di esistere e di buttarsi nel paradosso del bene e del male mescolati insieme. Alla mente acuta di Gilles Clément non manca la capacità di spingere in direzione dell’utopia senza per questo cadere nella trappola dell’idealizzazione ingenua: la natura, lui lo sa benissimo, è «amorale e senza appello», ma non dà giudizi e offre una libertà immensa: la possibilità di sbagliare. L’autore non risparmia nemmeno la comunità contadina, descritta nei suoi punti di forza ma anche nelle sue debolezze – le rivalità, la chiusura mentale, la paura della novità e del diverso. Così «il contadiname» gli manderà la polizia, convinto che gente così strana e così libera debba avere una pecca (coltivano la marijuana?), convinto che il disprezzo verso la norma vada assolutamente punito. Ma non importa, lui e il suo gruppo vanno avanti, scoprendo, attraverso il monitoraggio degli insetti, che la varietà è tornata: che la vita torna a splendere ricca di colori e sfumature, lontano dalle paure e dagli eccessi

Progettato da Gilles Clément , questo giardino è parte del museo di Quai Branly. (Jean-Pierre Dalbéra)

della civilizzazione. Entra a pieno diritto nel «Terzo paesaggio» questa casa, in quel territorio spontaneo dove le luci e le ombre si alternano al riparo dalla legge del dominio e della sopraffazione. «Se si smette di guadare il paesaggio come l’oggetto di un’attività umana subito si scopre (…) una quantità di spazi indecisi, privi di funzione», scriveva Clément nel Manifesto. Trovare anche un piccolo angolo, uno spazio di disorganizzazione, «un luogo lontano dalle crudeltà e in cui le uniche violenze pertengano all’ordinaria catena predatoria» è un atto alchemico da non poco conto: certo, alle spalle

di tutto questo la globalizzazione imperversa e nel libro se ne dà conto. Oggetti che si accumulano, elettrodomestici, turismo che crede di essere alternativo e invece risponde agli stessi dettami del mainstream, rotonde con sculture tremende e inguardabili: la maggior parte del nostro mondo è contaminazione. Ma Clément ci ricorda che esistono valli «dove l’acqua scorre nei fossi sia d’estate che di inverno, dove si radunano gli uccelli, dove volano gli insetti, dove sul fondo umido fioriscono gli spondilii e la valeriana grande, dove il granito affiora sulla parte alta dei pendii lasciando cre-

scere le ginestre secche, l’erica e la ginestra spinosa, i rovi, i prugnoli selvatici, il biancospino, la rosa canina, una trave di spine»: si tratta di un «terreno armato» col quale possiamo fare amicizia, sul quale possiamo innestare con gentilezza e forza di spirito la nostra «protesi». Per fare in modo che il terzo paesaggio diventi il secondo, o magari il primo. Bibliografia

Gilles Clément, Ho costruito una casa da giardiniere, Quodlibet, 16 euro, pp. 160.

Una vera sportiva «zero emissioni» italo-elvetica Motori La Green GT e Pinfarina propongono una idrogeno/elettrica da 300 all’ora; dal canto suo Volvo

decide di appoggiare la Charging Interface Initiative per migliorare i sistemi di ricarica Mario Alberto Cucchi Il Principe Alberto di Monaco negli ultimi anni è molto impegnato per la protezione dell’ambiente. La sua passione per le auto ecologiche cresce di anno in anno. Basti pensare che già nel 2011, per il giorno del suo matrimonio, ha usato come carrozza proprio una vettura ibrida: la Lexus LS 600. In questi giorni il Principe Alberto ha invitato la società svizzera Green GT (www.greengt.com) e Pininfarina a presentargli la loro supercar ad alimentazione elettrica-idrogeno. Si chiama H2 Speed e in Pininfarina so-

La nuova Volvo XC90.

stengono si tratti della prima auto da pista elettrico-idrogeno ad alte prestazioni. «H2 Speed – spiegano i progettisti – è la visione innovativa di Pininfarina di un’auto da pista ad alte prestazioni basata su una rivoluzionaria tecnologia a idrogeno fuel cell sperimentata da Green GT». A palazzo Grimaldi è arrivato anche il collaudatore ufficiale di H2 Speed, che è di casa a Montecarlo. Parliamo del pilota francese di Formula 1 che ha vinto il Gran Premio di F1 a Monaco ne 1996: Olivier Panis. «Prodotto in serie limitata – spie-

ga Pininfarina – si rivolge agli amanti della velocità abbinata all’estrema innovazione. Ma come funziona? Full Hydrogen Power. Questo è il nome della tecnologia. Un potente gruppo motopropulsore «elettricoidrogeno» fuel cell messo a punto dal partner Green GT fa sì che la vettura sia una vera e propria «zero emissioni». La velocità massima? Ben 300 chilometri orari. La potenza di 503 cavalli le permette di scattare da ferma a cento orari in solo 3,4 secondi. Uno dei difetti maggiori delle auto ecologiche? Il lungo tempo necessario al rifornimento. Non è questo però il

caso della vettura italo-svizzera che riesce a fare il pieno d’idrogeno in soli tre minuti. Resta il problema che di stazioni di rifornimento per auto a idrogeno in giro non ve ne sono o quasi. In relazione alle difficoltà correlate al rifornimento delle auto ecologiche, il Costruttore svedese Volvo lancia un appello all’industria automobilistica mondiale per l’introduzione di un’infrastruttura standardizzata per la ricarica dei veicoli elettrici. Volvo, come anticipato dal senior vice presidente del reparto ricerca e sviluppo, Peter Mertens, ha

La supercar ad alimentazione elettrica-idrogeno: H2 Speed.

deciso di appoggiare la Charging Interface Initiative, consorzio di azionisti fondato per affermare il Sistema di ricarica combinato sviluppato come potenziale standard per la ricarica delle auto a zero emissioni. Volvo oggi è impegnata nella realizzazione di una variante ibrida plugin per ogni modello e lancerà la sua prima elettrica pura nel 2019. Gli svedesi sono confortati in questi sforzi da quanto scrive il sito Hybrid Cars (www.hybridcars.com/ about). La Volvo versione T8 ibrida plug-in incide attualmente per circa il venti per cento sul totale delle vendite globali del nuovo SUV XC90. La variante plug-in garantisce un’autonomia elettrica di circa 450 km. Anche i giapponesi non vogliono restare indietro in questa gara verde: «Entro il 2030 la gamma Honda sarà composta per due terzi da veicoli ad alimentazione alternativa, che siano ibridi, plug-in, elettrici o a idrogeno». È la previsione, e il desiderio, del Presidente Takahiro Hachigo, in carica da un anno. Nel dettaglio, ibride, plug-in ed elettriche incideranno per circa la metà dell’offerta, mentre le fuel cell si attesteranno al quindici per cento del totale. Hachigo ha inoltre annunciato l’obiettivo di produrre 950mila vetture l’anno negli stabilimenti giapponesi.


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Ambiente e Benessere

L’ultima Yaghan Viaggiatori d’Occidente Un incontro nella Terra del Fuoco

Stefano Faravelli Christina Calderon non ha più nessuno con cui parlare la sua lingua madre, lo Yaghan. Quando lei morirà, un idioma ricco e antichissimo sparirà del tutto. Thomas Bridges, il missionario anglicano che alla fine dell’Ottocento compilò il dizionario di questa lingua, raccolse trentaduemila parole «senza averne per niente esaurito le riserve espressive», come riferisce Bruce Chatwin. Quando Christina morirà, nessuna voce articolerà la parola hahshuk a indicare una spiaggia sassosa, distinta da duan, la spiaggia pietrosa, che a sua volta non è lahpicun, la spiaggia fangosa, né asetan, la spiaggia arenosa, e neppure uahan, la spiaggia dove si tirano in secco le canoe. Questo è solo un piccolo esempio della raffinatezza di questa lingua che pure Darwin disprezzava: «Il linguaggio di questo popolo, secondo le nostre nozioni, non merita quasi il nome di articolato. Il Capitano Cook lo ha paragonato al suono che fa un uomo rischiarandosi la voce, ma certamente nessun europeo si è mai rischiarato la voce mandando suoni così aspri, gutturali e chioccianti».

«Seduta su una poltrona sfondata, (...) l’abuela stava sferruzzando un cappello di lana (...) è forse l’ultima Yaghan a ricordare il modo di vivere degli indio» Ho incontrato Christina a Puente Ukika, una manciata di baracche in legno con il tetto di lamiera ondulata a due chilometri da Puerto Williams, sull’isola Navarino, l’ultimo avamposto umano prima dell’Oceano antartico. Christina abita in una minuscola casetta bianca tra la sponda cilena del canale Beagle e l’antichissima foresta australe. Una selvaggia coltre verde ricopre gran parte dell’isola. A Puente Ukika, all’inizio degli anni Sessanta, si stabilirono gli ultimi discendenti degli Yaghan, nessuno dei quali tuttavia sa più parlare l’antica

La prua del veliero Adriatica in navigazione verso Capo Horn; il pulpito appare deformato a seguito dell’impatto con uno scoglio. A dritta la costa argentina, a sinistra quella cilena, con il profilo dell’isola Navarino. Ho disegnato alcuni degli incontri avvenuti nel tragitto: una balena (con il suo chorro, il soffio di acqua nebulizzata), i piccoli gruppi di pinguini di Magellano, l’albatros, i cormorani...

lingua. La loro vicenda, come quella di tutti i nativi della Patagonia e della Terra del Fuoco, è uno dei capitoli più tragici e vergognosi della storia coloniale del Novecento. All’inizio dell’Ottocento – dopo essere entrati in contatto con le prime ondate di coloni, cacciatori di foche, cercatori d’oro e proprietari terrieri (estanciero) – le popolazioni di indio Yaghan e di altri gruppi affini cominciarono a declinare. Il loro modo di vivere, che si era perpetuato in quelle terre estreme a partire dal paleolitico (14’000 a.C.), si rivelò ben presto incompatibile con quello dei nuovi arrivati. A metà degli anni Settanta

Ritratto di Christina Calderon.

dell’Ottocento il bollettino della Società geografica francese si interrogava sui motivi del rapido declino demografico di questi popoli. In realtà era cominciata una decimazione causata dalle malattie giunte con i coloni e dalle alterazioni di modi di vita ancestrali: un silenzioso genocidio. Infine, tra gli anni Venti e Trenta del Novecento, gli indio della Patagonia e della Terra del Fuoco furono scientemente e deliberatamente liquidati. La caccia all’indio era praticata come sport. Vi sono racconti raccapriccianti (e testimonianze fotografiche) delle pratiche genocide dei coloni e della loro turpe opera di sterminio. Sapevo di Christina da un documentario-intervista della televisione cilena, dove lei raccontava la sua vita parlando Yaghan. Mi aveva emozionato la sua voce e il suono di quella lingua, simile allo stormire delle foglie nel vento. Così, sbarcato sull’isola Navarino, sono andato a visitarla. I vicini la chiamano l’abuela, la nonna. Quando l’ho incontrata, seduta su una poltrona sfondata, con le gambe gonfie, stava sferruzzando un cappello di lana. Christina non si è alzata per accogliermi, ma ha ascoltato con rassegnata pazienza la mia autopresentazione. Le ho chiesto se potevo farle un ritratto e ha annuito, lanciandomi uno sguardo in tralice che non dimenticherò. Quello sguardo, e non il ritratto che ho riportato da quella visita, è il vero tesoro per il mio taccuino. L’abuela è forse l’ultima Yaghan a ricordare il modo di vivere degli indio prima dell’internamento nelle missioni, dove furono catechizzati e scolarizzati. Sovente veniva loro vietato anche di esprimersi nell’idioma natio. I salesiani e le missioni protestanti ebbero un ruolo duplice e in fondo ambiguo. Da un lato protessero gli indigeni che si rifugiavano presso di loro: figure luminose come Bridges o il piemon-

Dopo una indimenticabile notte in tenda sull’isola Navarino, ho dipinto questo cielo australe. Ho immaginato la costellazione della Croce del sud nelle sembianze di una delle figure del Hain, il grande rito di iniziazione delle tribù fueghine.

tese De Agostini ebbero il coraggio di schierarsi al loro fianco contro i potenti interessi dei proprietari terrieri. Nel contempo però sradicarono e snaturarono l’identità culturale e tradizionale di quei popoli. Oggi Christina rimpiange il fatto che i suoi genitori non le avessero trasmesso, insieme alla lingua, la cultura Yaghan: «Non usava che le conoscenze tradizionali venissero trasmesse ai figli in così giovane età» dice. Ma ricorda bene la fatica e la precarietà della vita nomade tra i fiordi del labirinto inospitale delle terre fueghine. Ho inteso il mio ritratto come un omaggio pieno di tristezza all’abuela Yaghan. Finito il disegno le ho preso

la mano artritica e l’ho baciata, come fosse quella di una regina. Quando sono uscito mi sono seduto sulla spiaggia. La mattinata splendeva luminosa e lo sguardo si spingeva nell’aria tersa fino a dove il canale Beagle sfocia nell’Atlantico. I picchi innevati che costeggiano il canale degradavano in azzurre lontananze. Stormi di cormorani disegnavano lettere viventi tra cielo e mare. Un paesaggio tra i più straordinari che abbia mai visto, eppure al tempo stesso una bellezza mutilata. Pensai a quanto sarebbe stato più bello quel paesaggio se gli Yaghan ne facessero ancora parte; se solcassero ancora le acque dei fiordi con le loro canoe; se la loro lingua non sprofondasse nell’oblio.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Le uve di Algeria, Marocco e Tunisia Davide Comoli La storia viticola dei tre paesi dell’Africa del Nord, Tunisia, Algeria e Marocco, si perde nella notte dei tempi e di certo furono i navigatori Fenici a impiantare le viti e a commerciare il vino in quelle regioni. Sia Romani sia Arabi hanno poi con scopi diversi propagato la viticoltura, molto prima dell’arrivo dei coloni francesi alla fine del XIX sec., dopo che la filossera aveva colpito tutti i vigneti del sud della Francia mandando in rovina decine di famiglie. L’arrivo dei coloni francesi in Algeria (1840) e in Tunisia (1881), diede una svolta alla viticoltura di questi paesi. Si cominciarono allora a produrre vini fortemente alcolici e molto scuri di colore che venivano mischiati ai vini della Languedoc, i famosi: «gros rouges», venduti nelle non meno celebri bottiglie stellate da un litro. Negli anni Cinquanta questi tre paesi, fornivano i due terzi della produzione vinicola mondiale. Ma dopo la dichiarazione d’indipendenza del 1956, l’esportazione dei vini da taglio subì un netto calo. Tra le cause, c’è da porre in risalto il regolamento della Comunità Europea, che vieta di mischiare «vini da tavola» con vini non prodotti dai paesi membri. Migliaia di viti furono sradicate: nel 1962 si contavano ancora quasi 500mila ettari vitati fra i tre paesi, oggi sono poco più di 65mila ettari e l’avvenire della viticoltura resta incerto in questi paesi dove l’alcol è proibito per ragioni religiose. L’Algeria, nel 1960, possedeva forse uno dei più grandi vigneti del mondo, 350mila ettari. Dopo la conquista dell’indipendenza dalla Francia

(1962), l’antico dipartimento francese ha adottato la propria legislazione sul vino l’ONCV (Office National de Commercialisation des Produit Vitivinicoles) ponendo sotto la propria sorveglianza la sua produzione e la sua messa in commercio. La maggior parte dei vini oggi è prodotta con vitigni introdotti da vecchi coloni: Cinsault, Alicante, Alicante-bouschet, Mourvèdre, Grenache, Cabernet Sauvignon. Ai vitigni sopracitati vengono usati dei vitigni autoctoni come il Farhana (nella regione di Tlemcen) e il Tizourine con cui si produce un piacevole vino bianco. Alcune zone nei dintorni di Algeri e Orano sono classificate con l’AOG (Appellation d’Origine Garantie) le principali sono: Médéa, Coteaux de Zaccar, Coteaux de Tlemcen, Ain-Bessem-Bouira, Dhara, Monts de Thessalah e i celebri vini di Coteaux de Mascara. Anche il Marocco, come detto, possiede una tradizione vitivinicola molto antica. Ma molto presto, in ragione della proibizione del Corano, l’uva da tavola rimpiazzò il vino. Fu poco prima della Prima Guerra mondiale che un gruppo di coloni francesi s’insediarono nel paese su una superficie di 80mila ettari. Ma l’interruzione delle esportazioni con la Francia, nei decenni scorsi, fece sì che la coltura della vite ne soffrisse molto e moltissime parcelle furono abbandonate. Oggi la superficie viticola copre circa 18mila-20mila ettari, alcuni vini commercializzati portano il marchio A.O.G. e sovente hanno nomi di fantasia come: Chante Bled, Chaudsoleil. Il più conosciuto è il vin gris, un vino rosato, prodotto con il vitigno rosso Boulaouane, nella zona tra Casablanca e Marrakech.

Keystone

Bacco giramondo Un viaggio tra i vini della costa africana del Mediterraneo

I migliori vigneti si trovano nella regione di Fez e Meknès, dove si producono soprattutto vini rossi in circa una quarantina di cantine, delle quali più di tre quarti sono raggruppate in cooperative con partecipazione dello Stato. Da qualche anno gli investitori francesi sono tornati in Marocco puntando su vitigni come il Carignan, il Cinsault; ma si incomincia a produrre dei buoni vini anche con il Merlot, il Cabernet Sauvignon e da non perdere (grazie al clima) alcuni ottimi Syrah e Grenache. In Tunisia, la viticoltura riprese solo il secolo scorso con l’occupazione francese. L’odierna superficie vitata è di circa 24mila ettari e la sua produzione s’aggira intorno ai 300mila ettolitri annui, ripartiti tra 25 diverse cantine, sia

private sia statali. Il vino viene prodotto soprattutto per la vocazione turistica che ha assunto questo paese negli ultimi decenni. Per venire incontro ai desideri dei turisti europei, l’amministrazione locale sta incoraggiando la produzione di vini da monovitigno come: Chardonnay, Pinot Nero, Merlot, Cabernet Sauvignon, ma molto buoni sono i vini prodotti con uvaggi introdotti all’epoca coloniale come: Moscato, Pedro Ximénez, Carignan, Cinsault, Grenache, Syrah. Le regioni viticole più fresche sono quelle lungo la costa, le brezze marine al nord di Bizerte e il terreno argilloso insolitamente fresco, permettono di ottenere gradevoli bianchi, da cui si percepiscono note di frutta esotica, fiori bianchi, molto piacevoli e dal finale molto lungo. I vini

rossi sono molto equilibrati, hanno colori intensi, profumi di frutta rossa, come mora, ciliegie e cassis, sentori speziati e di cuoio, con tannini molto setosi. Si produce un buon Moscato anche in versione passita dolce. Il Moscato secco, spesso ossidato, è invece tipico dei terreni sabbiosi di Cap Bon (noto come Kelibia) sulla costa est, e i vigneti di Jendouba quelli situati più a ovest, che è la zona più calda della Tunisia. I vini tunisini stanno molto migliorando grazie ad alcune joint venture con capitali europei, che hanno permesso di migliorare gli antiquati (alle volte) macchinari di cantina, come ad esempio l’introduzione di sistemi di controllo delle temperature e il rinnovamento dei vigneti, molti dei quali ora dispongono di sistemi d’irrigazione. Da non perdere per gli amanti dei vini rossi, il pallido rosé Gris de Tunis, prodotto sulle colline di argilla rossa alle spalle di Tunisi. C’è uno splendido tramonto quando rientriamo nel nostro hotel, dalla calda giornata passata tra le rovine di quella che fu la grande Cartagine, distrutta da Scipione l’Emiliano nel 146 a.C. Ci riaffiorano alla mente i ricordi e le storie apprese a scuola: è ridicolo pensare che fu solo l’enorme grappolo d’uva portato davanti al Senato Romano dalle coste tunisine a scatenare le guerre Puniche. Ma non ci pensiamo e proviamo il magnifico rosso prodotto con uve provenienti da vecchie vigne di Carignan e Syrah: che profumi! Inconsciamente, al sorridente maître sussurriamo un versetto di Omar Khayam (XII secolo): «Solo chi sa bere, sa apprezzare il linguaggio delle rose e del vino». Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Ambiente e Benessere

Scusi, lei è un crudista? Sono un crudista. Ma non nel senso di una delle tante mode culinarie che prosperano (quella che inibisce la «cottura» di un ingrediente a una temperatura superiore a 42°) ma nel senso che amo, sì, tutti i piatti, comunque cotti (a patto che siano buoni…). Ma amo molto quelli crudi, comunque. Che, al di là delle verdure, sono tartare e carpacci della tradizione occidentale, sushi e affini di quella giapponese. Anche in Italia del resto esiste una tradizione di pesci crudi, così come esiste il ceviche in Perù e tanto altro. Oggi vi voglio parlare della tartara. Premessa, ma si dice tartare o tartara? Se la parola finisce con la «e» è un francesismo, però l’hanno inventata loro. Se finisce con la «a» è in italiano. In inglese fa tartar. Comunque se la mayonnaise è col tempo diventata maionese, tartara può essere usato: sono le leggi della cucina.

Va tagliata a dadini con un pesante coltello. Se si usa il tritacarne, si sentirà solo il sapore del condimento L’origine del nome, si dice (anche se sa tanto di leggenda) è che i cavalieri tatari (senza la «r», è una tribù mongola) mettessero del filetto tagliato a fettine fra la sella e il cavallo; dopo qualche ora di cavalcata la carne era «cotta» e poteva essere mangiata. Ma come questa curiosa per quanto rara preparazione – che manca nel mio carnet di piatti tradizionali assaggiati – sia diventata la tartara che tutti conosciamo nessuno lo sa. Di certo si è diffusa nella ristorazione perché facile e veloce da preparare. In origine è una dadolata di carne di cavallo condita in vari modi, tradizionalmente in maniera ricca e gustata da cruda. Poi si è incominciato a usare la carne di

manzo. Oggi il termine identifica una dadolata di carne, di pesce, ma a volte anche di verdure, mangiata cruda, comunque condita. A chi non ha problemi etici a mangiare il cavallo, consiglio di utilizzare carne equina. È dolciastra; cotta mi piace meno di quella bovina, ma cruda si lega meravigliosamente bene al condimento classico, mentre quella bovina spesso resta penalizzata: il condimento prevale. Quindi se la volete classicamente ricca, che cavallo sia, in alternativa, se impiegherete condimenti più light, scegliete pure il bovino. Un’avvertenza. La carne di cavallo va messa a congelare almeno per un giorno prima dell’uso a crudo: la congelazione uccide eventuali batteri e parassiti; poi la si lascia scongelare in frigorifero. Per quella di manzo non c’è bisogno. Per quella di pesce, sì (ma come è complicata a volte la cucina…). Assolutissimamente, va tagliata a dadini non troppo fini con un pesante coltello. Se si trita al tritacarne, si sentirà solo il sapore del condimento. Su questo non si può transigere, né per la versione di carne né per quella di pesce. Tradizionalmente si utilizza il controfiletto, ma io penso che sia uno spreco tagliare a dadini una carne così nobile e cara. Vanno altrettanto bene la lombata ma anche il diaframma e lo scamone. Al di là del condimento classico si possono usare tantissimi condimenti. Uno dei più gettonati ed estivi è una dadolata di pomodori con basilico e una citronnette. Semplice e ottimo. È una banalità, ma quella di pesce chiede più che mai condimenti leggeri e semplici. La tartara non deve mai essere troppo fredda, va levata dal frigorifero almeno due ore prima di essere gustata. Non tutti sono d’accordo su questo: capita sempre in cucina. Se si utilizzano tuorli, sale o ingredienti acidi come succhi di agrumi, vanno messi all’ultimo momento: altrimenti cuocerebbero la carne, degradandola.

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De Fazio

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Gastronomia Forse lo siamo un po’ tutti, se ci piacciono piatti come tartare, carpaccio e sushi

Due celeberrime preparazioni della tradizione romana a base di carciofi. Vediamo come si fanno. Ma vi servirà un termometro da cucina. Mondate i carciofi eliminando 1 pezzo del gambo, poi tagliate la testa con le spine ed eliminate le foglie più esterne e più dure. Apriteli leggermente e con uno scavino eliminate al meglio le barbe che stanno al cento del carciofo. Con un pelapatate pelate

i gambi. Alla fine tornite la base. Tutte queste lavorazioni fatele sempre passando i carciofi in acqua acidulata con succo di limone perché non anneriscano. Anche alla fine tenete i carciofi in questa acqua. Carciofi alla giudia: Per 4. Mondate 8 carciofi mammole come detto sopra: ma con i gambi corti. Scolateli, asciugateli e schiacciateli sul piano di lavoro a testa in giù per aprirli a fiore. In una casseruola versate olio sufficiente a coprire i carciofi sino alla metà e, quando sarà caldo a 130°, disponetevi i carciofi ben diritti, che si tengano in piedi uno con l’altro, con il gambo verso il basso. Cuoceteli per 10’, poi voltateli e lasciateli cuocere per altri 10’. Scolateli e fateli intiepidire. Portate la temperatura dell’olio a 170°, rimettete i carciofi e cuoceteli per 3 minuti. Scolateli defi-

nitivamente, eliminate l’unto in eccesso su carta assorbente da cucina poi salateli e serviteli. Carciofi alla romana: Per 4. Mondate 8 carciofi romani lasciandoli interi, come indicato sopra. Mondate 1 spicchio d’aglio, 1 mazzetto di prezzemolo e foglie di mentuccia, tritateli e farcite i carciofi con il trito. Richiudete i carciofi e poneteli a testa in giù in una casseruola alta, che li contenga appena. Salateli e versateci sopra 2 parti di brodo vegetale e 1 parte di olio in modo da coprirli a filo. Copriteli e cuocete in forno a 160° per circa 40’, l’acqua dovrà evaporare completamente. Se fossero cotti ma ci fosse ancora acqua sul fondo, scoperchiate negli ultimi minuti. Regolate infine di sale e di pepe. Serviteli sia caldi sia freddi.

Ballando coi gusti Oggi due ottime e facili torte che hanno come ingrediente principale il cioccolato: piacciono a tutti!

Ciambella con cioccolato e noci

Torta con cioccolato e miele

Ingredienti: 150 g di cioccolato fondente · 150 g di burro · 150 g di zucchero · 3

Ingredienti: 100 g di cioccolato fondente · 150 g di fichi secchi · 130 g di scorza di aran-

uova · 1 bicchierino di rum · 1 bustina di lievito in polvere · 150 g di farina · 150 g di gherigli di noce · panna fresca.

cia candita · 70 g di mandorle spellate · 150 g di nocciole sgusciate · 60 g di zucchero a velo · 3 uova · 1 bicchierino di Cognac · 150 g di farina · 1 bustina di lievito in polvere. Per guarnire: 1 cucchiaio di miele · 1 tazza di nocciole sgusciate · 1 cucchiaio di cacao.

Preparazione: Montate a crema 150 g di burro con lo zucchero. Unite le uova, uno per volta, continuando a sbattere. Aggiungete il rum e il cioccolato tritato molto finemente. Mescolate lievito e farina, poi incorporateli delicatamente; unite infine le noci tritate. Versate il composto in uno stampo da ciambella imburrato e cuocetelo nel forno a 180° per 45’. Sfornate il dolce, lasciatelo raffreddare e sformatelo. Decorate la ciambella con panna montata prima di servirla.

Preparazione: Sminuzzate il cioccolato, i fichi secchi e la scorza di arancia; tritate

le mandorle e le nocciole. Lavorate a crema lo zucchero con le uova, aggiungete il Cognac e unite il cioccolato, i fichi secchi, la scorza di arancia, mandorle e nocciole. Per ultimi incorporate la farina e il lievito setacciati assieme. Versate l’impasto in uno stampo foderato di carta da forno e cuocetelo nel forno a 180° per 45’. Sfornate il dolce, lasciatelo raffreddare e sformatelo. Spennellate la superficie della torta con il miele scaldato a bagnomaria, guarnite con le nocciole e spolverizzate con il cacao.


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Ambiente e Benessere

Muoversi senz’auto, per un giorno slowUp Ticino La 6a edizione della giornata dedicata alla mobilità ecologica è in programma domenica 17 aprile Renato Facchetti Si snoderà su un percorso di 50 km chiuso al traffico motorizzato tra Locarno e Bellinzona. Un evento gratuito di grande successo che, con 30’000 partecipanti nel 2015, rappresenta la giornata dedicata alla mobilità lenta più importante del Ticino. Nel 2016 le giornate senz’auto «slowUp» saranno 19 in tutta la Svizzera; slowUp Ticino, in programma domenica 17 aprile sarà il primo della stagione. La ricetta del successo dell’iniziativa slowUp è molto semplice: prendere un tratto di strada, chiuderlo al traffico motorizzato e organizzare lungo il percorso feste e punti di animazione. Nasce così un evento diverso da tutti gli altri in un’atmosfera unica e senz’auto. In Ticino il percorso unidirezionale previsto per l’edizione 2016 e chiuso al traffico dalla 10 alle 17, si snoderà come di consueto tra Locarno e Bellinzona toccando ben 12 comuni: Locarno, Muralto, Minusio, Tenero-Contra, Gordola, Cugnasco-Gerra, Gudo, Cadenazzo, S. Antonino, Camorino, Giubiasco e Bellinzona. I partecipanti potranno così, almeno per una volta all’anno, spostarsi tranquillamente in bicicletta, coi pattini, a piedi, in skate, ecc., senza essere disturbati dal rumore e dallo stress del traffico. I punti di animazioni previsti lungo il tracciato di 50 km saranno 15 (uno in più rispetto allo scorso anno) e saranno gestiti principalmente da associazioni sportive e ricreative locali che

Edizione slowUp Ticino 2015, Piazza Grande Locarno. (Franco Curti)

proporranno ristorazione e animazioni. Non mancheranno le visite e la presentazione di alcune aziende agricole presenti sul percorso, che in occasione dell’evento apriranno le loro porte ai partecipanti e organizzeranno attività. Presso alcuni punti di ristoro (Locarno, Tenero, Gudo e Giubiasco) vi sarà inoltre la possibilità di assaggiare il piatto slowAppetito: un menù proposto a un costo contenuto composto da una specialità regionale accompagnata da frutta e/o verdura e un bicchiere d’acqua. Presso il Centro Migros S. Antonino sarà a disposizione l’ampio parcheggio per tutti coloro che giungeranno

dal nord del Ticino e dal Sottoceneri per partecipare alla manifestazione. Dalle 9.30 alle 17.30 sarà aperto il Ristorante Migros e il bar «Caffè spettacolo» che garantiranno un confortevole punto di ristoro prima del via e durante il percorso. La possibilità di pranzare sarà naturalmente garantita anche a tutti coloro che non dovessero poter partecipare a slowUp. La zona verde all’esterno del Centro S. Antonino con il parco giochi permanente, ospiterà il «villaggio Famigros» con animazioni a premi, zona relax, esibizioni di bike-trial e musica non-stop. SportXX Migros presenterà l’ampia gamma di

biciclette elettriche. Oltre alle e-bike, saranno esposte le novità 2016 di mtb, streetbike, bici da bambino. Per eventuali piccoli interventi meccanici, al Centro S. Antonino sarà attivo uno dei «garage SportXX». È pure prevista la presenza dello stand di Activ Fitness. Il progetto cantonale «Strade sicure» offrirà la possibilità a tutti i partecipanti di affrontare una divertente gincana in bicicletta con simpatici omaggi. slowUp è un concetto nazionale di promozione della mobilità lenta, della salute e del territorio promosso dalle organizzazioni nazionali Svizzera Mobile, Promozione Salute Svizzera e Sviz-

zera Turismo e sostenuto dagli sponsor nazionali principali Migros, SportXX Migros e Rivella, dagli sponsor nazionali SuvaLiv e ŠKODA e dal co-sponsor nazionale EGK – Cassa della salute. I principali sostenitori a livello regionale del progetto sono il Cantone, affiancato dai partner regionali Associazione Ticino Energia, Organizzazione turistica Lago Maggiore e Valli e Azienda Elettrica Ticinese, dai partner media Illustrazione Ticinese, Rete Tre e Ticinonline, e non da ultimo della Polizia cantonale e cinque polizie comunali ed intercomunali. Sul sito www.slowup-ticino.ch sono già sin d’ora disponibili informazioni utili per coloro che intendono partecipare, ma pure consigli per i domiciliati o coloro che avessero necessità di spostarsi nel corso della giornata. Si ricorda che il percorso slowUp per ragioni di sicurezza è ufficialmente chiuso al traffico e che vi sono solo alcuni punti di attraversamento – ma non di transito – possibili e gestiti da polizia o personale di sicurezza privato. Si invitano gli utenti ad attenersi alle indicazioni del personale di sicurezza, in caso di infrazione sono previste ammende. Informazioni

www.slowup-ticino.ch oppure scaricando l’app gratuita «slowApp».

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Ambiente e Benessere

Occhio alle fabbriche di cuccioli Mondoanimale Un cane non è un giocattolo che si può mettere da parte quando non interessa più:

Maria Grazia Buletti Vivere con un cane è divertente. Prima, però, va registrato, educato frequentando corsi cane-padrone, occupato, mosso, nutrito, accudito e curato quando è necessario. E prima ancora? Primaprima va attentamente, anzi «attentissimamente» valutato il suo acquisto. E questa «valutazione» non è cosa semplice o superficiale: passa attraverso l’analisi sincera e oggettiva di molte variabili, dal nostro desiderio di avere un cane, al tempo, allo spazio e alle cure che gli possiamo dedicare, fino alla scelta adeguata di una razza o di un soggetto che possa vivere serenamente insieme a noi.

Un Mastino da due milioni di dollari Definire questo cucciolo di Mastino tibetano come un cane di lusso è un eufemismo: parecchi sono i media della vicina Penisola che riportano la notizia secondo cui il cucciolo in questione sia stato venduto per un milione e 900mila dollari, in una Fiera nella provincia orientale dello Zhejiang, in Cina. Fosse vero, questo cane si è aggiudicato il record di cane più caro del mondo. Enormi e spesso dal carattere non troppo docile, i Mastini tibetani sono facilmente riconoscibili per la regale criniera che li fa assomigliare a dei veri e propri leoni. Manco a dirlo, è pure di qualche mese fa la notizia che uno zoo cinese, nella gabbia riservata al Re della foresta, aveva truffato i visitatori mettendoci dentro un mastino tibetano. Il cucciolo record ha un anno, è alto 80 centimetri e pesa appena 90 chilogrammi, si fa per dire.

Non solo noi dovremo trovarci a nostro agio insieme a lui, ma dovremo scegliere un animale che, per le sue caratteristiche e le sue esigenze possa trovarsi a suo agio nella vita che saremo in grado di offrirgli. Per tutta la sua vita. Sì: perché un cane, non smetteremo mai di ripeterlo, come ogni altro animale è un essere vivente che ha una sua dignità e suoi sentimenti, sue emozioni, e ci resterà accanto tutta la sua vita che, di norma, è più corta della nostra di esseri umani. Ma non è nemmeno cosa di un anno o due: la vita di un cane può durare fino a 15-17 anni. «In Svizzera vivono molti cani: grandi e piccoli, esili e tarchiati, bonari ed esuberanti, a pelo lungo o corto e in diversi colori. Alcuni sono persino addestrati per compiti speciali, per esempio i cani guida per non vedenti, quelli da terapia, i cani poliziotto o quelli da soccorso», così esordisce un’interessante e utile pubblicazione dell’Ufficio federale della sicurezza alimentare e veterinaria (Usav). Insieme alla Protezione svizzera degli animali (Psa), l’Usav ha di fatto lanciato una nuova campagna informativa che vuole sensibilizzare sull’acquisto di un cane che: «Deve sempre essere ponderato». A partire dalle motivazioni che ci spingono a volerne uno. «Acquistare un cane solo per accontentare i figli non è una buona idea», ricorda l’Usav, riconoscendo ai bambini la maggior parte degli input che portano all’acquisto di un quattro zampe: «I bimbi spesso promettono di occuparsene ogni giorno e di portarlo fuori regolarmente. In realtà, il loro impegno si esaurisce spesso molto rapidamente e l’incombenza dell’animale ricade sui genitori». Così come pure la responsabilità del nuovo adottato, che non può essere dei bambini, ma rimane degli adulti.

Daniel Stockman

per questo, il suo acquisto non deve essere avventato dita ricerca, la Psa ha fatto luce sulle strutture criminali che si nascondono dietro alla produzione di massa di cuccioli e al commercio internazionale di cani. Dunque, se mai ancora non si fosse compreso: «L’acquisto di un cane su Internet comporta rischi davvero elevati: ad esempio, la rabbia (ndr: una malattia trasmissibile all’essere umano) che, se non trattata, ha sempre un epilogo letale. Altre malattie, invece, possono comportare costi elevati per il loro trattamento». Anche per questi motivi, al momento dell’importazione di un cane è imperativo rispettare le condizioni previste dalla legge: «Passaporto per animali da compagnia, identificazione mediante microchip e una vaccinazione antirabbica ancora valida. Inoltre, ogni cane deve essere dichiarato alla dogana e deve essere pagata l’I.V.A.». Le disposizioni legali svizzere, dobbiamo dirlo, contribuiscono a limitare le importazioni illegali di cani, ma secondo l’Usav non bastano, da sole, a risolvere il problema. Noi possiamo fare la nostra parte scegliendo seriamente, e con cognizione di causa, l’animale e il venditore, permettendo così indirettamente di ridurre il numero di cuccioli allevati in condizioni definite «atroci» e a evitare che i cani randagi siano trasportati in lungo e in largo per l’Europa, soltanto per mero profitto. E se proprio non siamo in grado di assicurare tutte queste condizioni al nostro nuovo beniamino a quattro zampe (dall’acquisto ponderato e al suo giusto valore, fino al trattamento che esso merita per tutta la sua vita), allora forse è proprio il caso di rinunciare al suo acquisto. Amare per davvero qualcuno non vuol forse dire lasciarlo dove le sue condizioni di vita sono migliori di quelle che potremmo offrirgli noi?

Una posizione, questa, sostenuta pure dalla Protezione svizzera degli animali (Psa), e che fa da preambolo alla campagna di sensibilizzazione a favore di un acquisto ponderato: «Desideri un cane? Occhio all’acquisto!». Questa volta Usav e Psa prendono una posizione netta nei confronti delle offerte di cani che pullulano su Internet dove le offerte allettanti sono migliaia: «Per lo più sono messi in vendita cuccioli di origine sconosciuta, ma anche cani randagi provenienti da diversi Paesi». Adesso sappiamo che quasi un cane su due è importato dall’estero e, secondo l’Usav: «A ciò non vi sarebbe nulla da obiettare se gli animali provenissero da buoni allevamenti o da pensioni serie per animali». Il problema è che purtroppo in Europa il commercio di cani è sovente illegale e comporta grosse sofferenze per gli animali: «Spesso cuccioli ancora troppo giovani sono trasportati nel bagagliaio di un’automobile e

consegnati al nuovo proprietario in un parcheggio, senza documenti o con documenti falsi». L’Usav rende attenti sul fatto che molti di questi cuccioli («che provengono soprattutto da allevamenti di massa in cui vivono in condizioni atroci e sono sempre più spesso offerti con una falsa dichiarazione d’età») giungono nel luogo di vendita già molto debilitati dal lungo viaggio o addirittura ammalati: «Non è raro che acquisti del genere finiscano con la morte prematura del cane». E questo sebbene le organizzazioni di protezione degli animali, le autorità e i media continuino a informare sulle indicibili sofferenze di questi animali, raccomandando costantemente di non acquistare cani da offerenti sconosciuti. Secondo la statistica 2014 dell’ANIS, ogni settimana varcano il confine in media 440 cani, di cui almeno una parte proveniente da fabbriche di cuccioli. In una recente e approfon-

ORIZZONTALI 1. Un senso 5. Giaciglio pensile 10. Posticci quelli dei clown 12. Trafila burocratica 13. Il «sì» di Provenza 15. Mite, dolce in Germania 17. Prefisso che viene dopo il «bi» 18. Articolo spagnolo 20. Possono esserlo le etichette 22. Una consonante 23. Bagna Strasburgo 24. Le iniziali della Tatangelo 25. Nota musicale 26. Le ali dell’oca 28. Aspri, acidi 30. Il nome della Nannini 32. Lo usa l’artigliere

Sudoku Livello per geni

Giochi Cruciverba Le bacche di Goji contengono proteine, fosforo, potassio, omega 3, magnesio ecc.. e in percentuale contengono più… Per trovare il resto della frase risolvi il cruciverba e leggi le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 1, 5, 6)

VERTICALI 1. Strumenti nei prati 2. Son senza cuore 3. Il signor Dei Tali 4. La Minore è in Turchia 6. Pronome personale 7. Tempi sulla scena 8. Nutre i piccoli cerbiatti 9. Costellazione dell’emisfero boreale 11. Uno dei Paesi più popolati del mondo 14. C’è quel di Tenda 16. Preposizione articolata 19. Le iniziali del regista Lee 21. Frase pubblicitaria 25. Un Dario attore 27. Bagna Firenze 28. Affluente del Rodano 29. Fiume dell’Europa centrale 30. Le iniziali dello stilista Armani 31. Due di spade

Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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Soluzione della settimana precedente

LE TAGLIAFOGLIE – Le «tagliafoglie» sono un genere di formiche che d’inverno si nutrono di… Resto della frase: FUNGHI CHE COLTIVANO NELLE TANE. A F O B A C I T A A R L I E N N N O E I L N O T

N O H M H A D U O U S E V N E S E T E O

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Politica e Economia Fotoreportage I profughi eritrei che vivono ad Addis Abeba, alcuni in attesa di prendere la via per il mare

Evasione fiscale su scala globale Scoppia lo scandalo Panama Papers: miliardi nei paradisi fiscali, tremano vip e potenti della terra. L’inchiesta di un consorzio di 307 giornalisti di 76 Paesi. Sotto accusa Putin, Cameron, Xi Jinping, Messi e tanti altri ancora

Reddito non è Rendita Una riflessione attorno a due termini che sembrano sinonimi ma hanno invece caratteristiche economiche diverse pagina 27

pagina 25

Keystone

pagine 22-23

La scelta didattica che diventa politica Plurilinguismo La decisione del governo turgoviese di proporre una riforma che sposterebbe l’insegnamento

della lingua francese alle classi della scuola secondaria viene letta come un attacco alla coesione nazionale Marzio Rigonalli L’insegnamento del francese nelle scuole elementari della Svizzera tedesca ha registrato un altro colpo di scena. Il governo turgoviese ha deciso di porre in consultazione un progetto che rinvia l’insegnamento della lingua di Molière alla scuola secondaria. Se i risultati della consultazione saranno favorevoli, e tutto sembra indicare che si vada in questa direzione, il progetto entrerà in vigore nel 2017, all’inizio del nuovo anno scolastico. Per rimediare alle conseguenze di questo rinvio, è previsto di aumentare il numero delle lezioni di francese che verranno impartite nella scuola secondaria, nonché di intensificare gli scambi di classe con la Svizzera romanda. Il governo turgoviese risponde così a una mozione approvata dal parlamento cantonale nell’agosto del 2014 ed è convinto che il nuovo sistema garantirà un buon livello di conoscenza della lingua francese alla fine della scuola dell’obbligo, pari a quello che offre il sistema attuale con l’insegnamento della seconda lingua nazionale a partire dalla quinta classe. La decisione presa a Frauenfeld ha suscitato vive reazioni in Romandia,

soprattutto tra i politici. Le espressioni forti non sono mancate. Si è parlato di un «attacco contro la coesione nazionale», di un «gesto arrogante nei confronti della minoranza francofona», di un «rilancio della guerra delle lingue», con il pericolo di creare una situazione analoga a quella che caratterizza il Belgio, e si è chiesto al consigliere federale Alain Berset, capo del Dipartimento federale dell’Interno, d’intervenire per bloccare il progetto. Secondo l’art. 62 della Costituzione federale, approvato nel 2006, il Consiglio federale può intervenire ed emanare le misure che ritiene necessarie, quando i cantoni non arrivano ad armonizzare i loro programmi scolastici. È quanto sta succedendo con l’insegnamento delle lingue straniere nella scuola elementare. Nel 2004, la Conferenza svizzera dei direttori cantonali della pubblica educazione (CDPE) definì ed approvò un compromesso che prevede l’insegnamento di due lingue straniere nella scuola elementare, la prima a partire dalla terza classe, la seconda con l’inizio della quinta classe. È il modello 3/5. Il compromesso viene applicato in diversi cantoni, con una chiara preferenza per l’inglese

come prima lingua straniera e talvolta vien anche difeso, come fece un anno fa il canton Nidvaldo quando, in votazione popolare, respinse un’iniziativa dell’UDC che chiedeva d’insegnare una sola lingua straniera nella scuola elementare. Il modello, però, non vien rispettato in alcuni cantoni ed in altri viene addirittura combattuto a suon di iniziative popolari. Ecco alcuni esempi. Nell’Appenzello Interno e nel canton Uri, il francese è insegnato soltanto a partire dal settimo anno della scuola dell’obbligo; nel canton Argovia a partire dal sesto anno e nel canton Glarona il francese non è più obbligatorio nella scuola secondaria. Nei cantoni Zurigo e Lucerna si voterà su iniziative popolari che chiedono d’insegnare una sola lingua straniera nella scuola elementare, sottinteso ovviamente l’inglese. E per iniziative analoghe è in corso la raccolta delle firme necessarie nei cantoni di Basilea Campagna, Soletta e San Gallo. È un quadro frastagliato, che la CDPE, presieduta dal basilese Christoph Eymann, non sembra in grado di ricomporre, in modo da poter trovare un compromesso. Se il canton Turgovia metterà ad esecuzione il suo progetto, altri gover-

ni cantonali potrebbero imitarlo e rendere così il sistema scolastico ancora più differenziato. Il rischio è grande di avere livelli di conoscenza della lingua francese diversi secondo i cantoni, con conseguenze non proprio piacevoli, soprattutto per le famiglie con figli in età scolastica, che si spostano all’interno della Svizzera tedesca. Il Consiglio federale interverrà, come vien chiesto da più parti, per imporre una soluzione uguale per tutti i cantoni? L’articolo 62 della Costituzione federale gli consente di agire, ma la questione è delicata per più ragioni. Innanzitutto perché un intervento del Consiglio federale avverrebbe su proposta del capo del Dipartimento federale dell’Interno. Alain Berset si esporrebbe così alla facile critica di agire più in difesa della propria lingua madre che a tutela degli interessi degli allievi delle scuole della Svizzera tedesca. Poi, perché la scuola è uno degli ultimi settori che fanno ancora parte della sovranità cantonale. Un intervento dell’autorità federale nel potere decisionale dei cantoni non verrebbe certamente accolto con favore ed entusiasmo. Infine, perché l’intervento del Consiglio federale assumerebbe probabilmente la forma

di una revisione della legge sulle lingue. Basterebbe fissare il principio che nella scuola elementare, oltre alla lingua madre, va insegnata anche una lingua nazionale. Con ogni probabilità, però, contro la nuova legge verrebbe indetto un referendum, che aprirebbe un dibattito nazionale sulle lingue e le cui conseguenze potrebbero rivelarsi tutt’altro che positive. Per queste ragioni, Alain Berset esita ed almeno per ora si accontenta di fare pressione sul presidente della CDPE, affinché trovi un compromesso condiviso da tutti i cantoni. La coesione nazionale non dipende sicuramente dall’insegnamento del francese nelle scuole elementari della Svizzera tedesca. In qualche modo, però, l’insegnamento del francese vi contribuisce, perché aiuta alla comprensione reciproca e stimola, in un’età che vi è favorevole, l’interesse alla conoscenza della lingua e della cultura degli altri, in questo caso alla conoscenza di una minoranza da parte della maggioranza germanofona. Una conoscenza che è indispensabile per garantire la coesione nazionale. E quanto vale per la lingua francese, ovviamente, vale anche per la nostra lingua italiana.


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Politica e Economia

Politica e Economia Nel quartiere Mebra Hailt di Addis Abeba vive la comunità dei profughi eritrei. In un appartamento di due stanze, che costa intorno ai 150 euro al mese di affitto, abitano dalle quattro alle otto persone. La paga mensile per un lavoro manuale, come ad esempio il muratore in un cantiere, è di circa 60 euro.

Aspettando il mare Fotoreportage Storie dei profughi eritrei

che vivono ad Addis Abeba, alcuni in attesa di tentare la via del mare per raggiungere l’Europa

Freu, 32 anni, all’entrata della baracca di terra, paglia e lamiera dove abita con un amico. È in attesa del visto.

Birhanu (20 anni) vive con Adane (21 anni) in una stanza di 15 metri quadri, senza bagno. Sul muro alcune foto ricordo e un girasole.

Stefania Prandi testo e foto Prima di attraversare il deserto del Sudan, arrivare sulle coste della Libia e tentare la via del mare per l’Europa, i profughi eritrei passano dall’Etiopia, che ospita il più alto numero di rifugiati in Africa (660mila, di cui 130mila eritrei, secondo le stime delle Nazioni Unite). Scappano da una terra infernale, dove il servizio militare è obbligatorio e senza fine per gran parte della popolazione, incluse le donne e gli anziani, con una paga mensile di circa trenta euro (da tassare). Come

denuncia Amnesty International, chi si rifiuta di lavorare per lo stato, viene arrestato e detenuto «in condizioni agghiaccianti», in celle sotterranee o in container per la navigazione. Passata la frontiera, rischiando di essere fucilati dai militari eritrei al confine, i profughi finiscono nei campi di accoglienza etiopi. Sotto i tendoni sono salvi, ma per le alte temperature e il cibo razionato, faticano a resistere. Dopo un periodo che va da poche settimane a diversi mesi, molti si spostano ad Addis Abeba. La capitale etiope sta crescendo a ritmo ser-

Fermata Mexico della metropolitana di superficie, uno dei simboli della massiccia influenza cinese in Etiopia. Costruita in soli tre anni, è gestita dal Gruppo Shenzhen Metro e dalla China Railway Engineering Corporation.

rato: compreso l’hinterland conta 4,5 milioni di abitanti che, secondo alcune previsioni, potrebbero arrivare a 8,1 milioni nel 2040. L’inaugurazione della metropolitana di superficie, lo scorso settembre, la prima nell’Africa subsahariana, è uno dei segni visibili della trasformazione in atto, uno sviluppo repentino che ricorda quello dei Paesi asiatici. Nota

* Tutti i nomi sono stati cambiati su richiesta degli intervistati.

Una dama fatta a mano nella casa di Russom.

Camil ha 27 anni. «Partirei anche stanotte. Sto finendo di mettere da parte i soldi».

Naizghi ha 27 anni ed è in attesa di tentare la via del mare. Vorrebbe arrivare in Gran Bretagna, per lavorare part time e studiare ingegneria. È ad Addis Abeba da otto mesi e vive con il nipote Muse. «Le misure di chiusura dell’Ue, con l’accordo con la Turchia, non ci hanno scoraggiati. Noi non abbiamo nulla da perdere. Dio farà di noi quello che vorrà. Molti miei amici sono già in Sudan».

Muse vive con il cugino e lo zio che cercano di trovargli i soldi per le medicine e non lo lasciano mai solo in casa perché, a causa delle crisi ipoglicemiche, a volte sviene. Vorrebbe andarsene dall’Etiopia ed essere adottato o preso in affido da una famiglia europea.

Nella casa di Muse, lo zio Naizghi, il cugino Gebre e altri due inquilini pranzano con pollo e injera, piatto tipico della cucina etiope ed eritrea, preparato con carne e pane di farina di teff, cereale originario degli altopiani etiopici. L’usanza vuole che si mangi con le mani e tutti dallo stesso piatto.

Un crocifisso nella casa di Freu.


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Politica e Economia

Caccia globale all’evasione Panama Papers Diversi paradisi fiscali off-shore sono in ritirata sotto la spinta dell’offensiva Usa contro il segreto

bancario dopo la crisi del 2008. Oggi è soprattutto la volontà politica a ridurre spazio di manovra all’evasione

Federico Rampini Più di 100 politici ed esponenti di governo da 50 paesi del mondo sono già stati esposti allo scandalo dei cosiddetti Panama Papers, una fuga di notizie che ha tra i suoi registi l’autorevole organizzazione di giornalisti indipendenti riuniti nell’International Consortium of Investigative Journalists. Tra i nomi della lista nera ovviamente ci sono un po’ di dittatori, o loro parenti e amici, dal clan di Putin a quello di Xi Jinping. Oltre ai politici sono usciti nella lista nera anche tanti nomi di imprenditori. Istituti bancari. E non poteva mancare la Fifa-Uefa, l’organizzazione del calcio con sede in Svizzera, che ormai sembra abbonata agli scandali (nel caso dei Panama Papers è stato coinvolto il suo neopresidente Gianni Infantino). È passato appena un anno da un episodio altrettanto clamoroso, le rivelazioni di SwissLeaks: finirono sotto i riflettori i nomi dei clienti della Hsbc Private Bank di Ginevra. Vista la frequenza e l’enormità di queste rivelazioni, l’opinione pubblica oscilla fra due reazioni: l’indignazione da una parte, ma spesso anche la rassegnazione, il cinismo, il disgusto impotente verso un mondo di straricchi che calpestano le regole, si dissociano dalla sorte fiscale della gente comune. Dopo il clamore degli scandali, il rischio è convincersi che non cambia nulla. «Così fan tutti», almeno nel Gotha dello 0,1% dei privilegiati.

Il colosso farmaceutico Usa Pfizer ha deciso di abbandonare il maxiprogetto di fusione da 152 miliardi di dollari con Allergan dopo che il dipartimento al Tesoro Usa ha introdotto nuovi limiti per la cosiddetta inversione fiscale È davvero così? Si può cercare di alzare lo sguardo dai singoli scandali e cercare una spiegazione, una macrotendenza? Gli economisti hanno qualcosa da insegnarci sui Panama Papers? I grandi teorici di questa scienza non si sono conquistati fama e autorevolezza occupandosi di «devianze» come l’evasione fiscale. Da Keynes a Samuelson, da Krugman a Stiglitz, non trovo un nome di prestigio che abbia legato la sua carriera ad una teoria che spieghi comportamenti di tipo criminale. Le politiche fiscali hanno sempre ricevuto attenzione da parte degli economisti, ma le loro teorie in genere danno per scontato che una volta stabilito il livello e il tipo di imposte, la maggioranza dei contribuenti rispetti le regole. Se qualcuno non lo fa, non è questo comportamento illegale a diventare il centro dell’attenzione.

Non dico che non esistano gli specialisti di questo tema: ad un recente summit del Fmi, a Lima nell’ottobre 2015, l’Ocse presentò uno studio sugli effetti dell’elusione fiscale delle multinazionali, dove si stima che il gettito sottratto agli Stati è dell’ordine di 250 miliardi annui. Ma siamo nell’ambito di studi empirici, che giustamente vanno a caccia dell’evasione per stimarne il danno alla collettività, e i rimedi da adottare per ridurne l’ampiezza. Non vedo una «teoria dell’evasione». Le reazioni più analitiche vengono dalla destra neoliberista, che di fronte ad ogni scandalo tipo SwissLeaks o Panama Papers ribadisce la sua interpretazione: la colpa è degli Stati troppo rapaci, la spiegazione dell’evasione sta a monte, in una pressione fiscale insopportabile. Il rimedio è abbassare le tasse in modo consistente e generalizzato, togliendo l’incentivo a delinquere. È una semplificazione che non spiega la scarsa evasione in paesi ad altissima pressione fiscale come quelli scandinavi. Inoltre questa «teoria» liberista non dà conto dei significativi cambiamenti avvenuti negli ultimi anni, per esempio l’offensiva sferrata dagli Stati Uniti contro il segreto bancario svizzero. Perché la mappa dei paradisi offshore è tutt’altro che immutabile. In generale è una mappa che si sta restringendo. Gli scandali non sono inutili. Le reazioni delle pubbliche opinioni, e poi di diversi governi (la maggioranza di quelli riuniti nel G20) stanno portando dei frutti. Le politiche fiscali cambiano nel tempo, sono uno specchio dei valori dominanti, e della loro evoluzione. Anche la lotta all’evasione non è un gioco di «guardie e ladri» che si ripete sempre eguale a se stesso. Uno dei rari economisti che hanno approfondito questo tema, l’italiano Donato Masciandaro, ha elencato alcuni cambiamenti avvenuti dopo la grande crisi del 2008. In un articolo sul «Sole-24 Ore» Masciandaro ha tracciato una mappa dei centri off-shore, e la loro evoluzione nel dopo-crisi. Lui elenca 64 tra paesi e territori sovrani, cioè il 28% del totale degli Stati, ma solo il 4% del Pil mondiale (molti paradisi bancari e fiscali sono staterelli piccoli o addirittura città-Stato). Il loro peso sull’economia mondiale invece sale molto più su, se misurato in depositi bancari: il 30% del totale. Ma in questo ampio gruppo Masciandaro individua delle evoluzioni: ci sono paradisi in declino, altri in crescita. La Svizzera ha perso il 42% della sua raccolta di capitali esteri, come tale guida il gruppo dei paradisi declinanti o addirittura ex-paradisi. Insieme a lei ci sono Andorra, Gibilterra, Liechtenstein, le Channel Islands britanniche. Tra i paradisi in ascesa, come capacità di attrazione di capitali, ci sono Macao, Tonga, Grenada, Isole Marshall, Brunei. Insomma la geopolitica dell’evasione si può fare eccome. Le cose cambiano. Interessante è capire il perché. Se prendiamo l’esempio del-

Il centro finanziario a Panama City. (AFP)

la Svizzera e delle sue banche, qui si è concentrata l’offensiva degli Stati Uniti nel dopo-2008, sotto l’Amministrazione Obama. I banchieri svizzeri dopo avere capitolato di fronte ai diktat di Washington, in privato sostengono che è stata tutta una manovra «imperialista» a favore di paradisi fiscali domestici (Usa) come il Delaware restituendo a Wall Street un primato mondiale schiacciando i possibili rivali. È in parte vero, ma comunque se i capitali stanno nel Delaware è meno facile che finiscano investiti in attività criminali: l’Fbi è troppo vicina. Per me che l’ho vissuta negli Stati Uniti, però, prevale un’altra interpretazione: gli shock multipli generati dalla crisi del 2008 nell’economia, nella società, nella politica, creavano una spinta verso la caccia ai capitali fuggiti all’estero. Del resto il tema è diventato di interesse mondiale, fino a dominare l’agenda del vertice G20 già citato. In quel summit è stato affrontato prevalentemente un versante dell’evasione,

quello delle multinazionali che spostano le proprie sedi in paradisi fiscali. L’imponibile che le multinazionali sottraggono globalmente al fisco: 7 600 miliardi di dollari. Le dimensioni delle imposte non-pagate da Apple o Google hanno fatto gridare allo scandalo, negli Usa come in Europa. Ma non dimentichiamo chi ha dato il cattivo esempio: le banche. Ancora prima che Steve Jobs lanciasse Apple nella stratosfera, le banche globali avevano creato un mestiere, il «wealth management»: gestione patrimoniale al servizio dei ricchi. Un trattamento molto diverso rispetto a quello degli ordinari correntisti. I super-ricchi hanno diritto a un trattamento da Vip non solo nella varietà d’investimenti finanziari. Vi si aggiungono consulenze di tipo ereditario: come minimizzare le imposte di successione. Via via i consigli più sofisticati spingono ai limiti dell’illecito. Certe banche aiutano tuttora i clienti Vip ad aprire conti all’estero per sfug-

gire al fisco. I Panama Papers includono i nomi di grossi istituti bancari. Come spiego nel mio nuovo libro in uscita in questi giorni (Banche: possiamo ancora fidarci?) il fenomeno della macro-elusione fiscale chiama in causa il ruolo chiave del sistema bancario. Ma la battaglia per restringere le aree dell’evasione sta continuando. Obama stringe il cappio attorno a quello che lui stesso definisce «uno dei più insidiosi trucchi fiscali». Nuove regole del Tesoro Usa, varate proprio in coincidenza coi Panama Papers, riducono la possibilità di eludere le tasse legalmente per le multinazionali. Ne fa subito le spese una maxifusione di Big Pharma che era nata proprio per ridurre la pressione fiscale: salta il «matrimonio del secolo» tra l’americana Pfizer (produttore tra l’altro del Viagra) e l’irlandese Allergan (Botox), un’operazione da 152 miliardi di dollari. Quel matrimonio non si farà perché è venuta meno la sua principale ragion d’essere: che non era un progetto industriale, ma un immenso risparmio d’imposte. Le nuove misure annunciate dal presidente e varate dal Tesoro Usa prendono di mira in particolare due operazioni, chiamate «inversion» e «earnings stripping». Per «inversion» – letteralmente un’inversione – s’intende un tipo d’investimento che rappresenta un’acquisizione alla rovescia: quando cioè una grande azienda americana si fa comprare apparentemente da un’azienda straniera più piccola. Operazione in buona parte fittizia. In realtà sono sempre gli azionisti dell’azienda americana «comprata», a mantenere la maggioranza del capitale anche nella nuova società. La finzione serve a spostare la sede sociale all’estero, in un paese dove le imposte sui profitti sono più bassi. A questo fa seguito la conseguenza ovvia che è appunto l’«earnings stripping» in cui, secondo un’immagine eloquente, gli utili societari vengono strappati via come striscioline di carta. La nuova regolamentazione annunciata dal Tesoro Usa ostacola anche quelle operazioni di prestito interno tra filiali di una stessa multinazionale, che servono proprio a trasferire profitti da una sede ad un’altra collocata in paesi diversi. Nel momento in cui il mondo intero è scosso dalle rivelazioni sui Panama Papers, l’annuncio di Obama dà un segnale di segno opposto. Si tratta di fenomeni affini ma diversi. Con le «inversioni» non si evade di nascosto dal fisco, si elude alla luce del sole. È la legge americana ad avere consentito finora questi comportamenti da parte delle multinazionali. E poiché non è cambiata, su mandato del presidente il Tesoro ha dovuto lavorare d’astuzia per «interpretare» la legge in modo nuovo, chiudendo gli spazi alle inversioni attraverso regolamenti esecutivi che dettano l’applicazione delle norme vigenti. Sembra esserci riuscito piuttosto bene: a poche ore dall’annuncio delle nuove regole, arrivava la resa di Pfizer-Allergan e la cancellazione della fusione. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Politica e Economia

Reddito e rendita, simili eppur diversi

La classifica della competitività

Fiscalità L’equiparazione tributaria tra salari e pensioni

leggermente divergenti fra l’indagine UBS e quella dell’IRE: quest’ultima pone il Ticino all’ultimo posto, UBS è meno pessimista

Indicatori economici cantonali Risultati

ne trascura le peculiarità. Ed è foriera di una «doppia imposizione

Ignazio Bonoli

I pensionati mostrano spesso una minore propensione al risparmio. (Keystone)

Edoardo Beretta Già nell’articolo «Costo» e «prezzo», gemelli diversi («Azione 3» del 18 gennaio scorso) si era evidenziato come la differenza fra tali termini non fosse soltanto formale, ma di contenuto. Del resto, si può incappare facilmente in altri concetti fondanti per le vite di ciascuno, che sono (in contraddizione alla loro natura) trattati in modo similare: è il caso di «reddito» e «rendita». Se con il primo si indica il ricavato dall’attività lavorativa individuale (e non solo), la seconda tipologia di introiti è complessa e racchiude più voci (fra cui gli assegni pensionistici). Per semplicità: se i redditi tendono ad accompagnare un soggetto nella sua vita professionale, sono le rendite a garantirne regolare fonte di guadagno in età pensionabile. Capire significato ed implicazioni di entrambi assume, quindi, nelle società post-moderne, che presentano tendenze fisiologiche all’invecchiamento, un’importanza sempre maggiore.

Se l’imposizione fiscale sulle rendite di vecchiaia venisse ripensata si avrebbe un vantaggio economico per la società Il legislatore, però, pare essere insensibile (e, forse, disinteressato) alla distinzione fra i due concetti in quanto entrambi suscettibili di imposizione fiscale in base alle aliquote di riferimento. Astraendo da casi specifici, non c’è motivo (se non meramente erariale), per cui le pensioni siano fiscalmente assimilate a redditi di nuova generazione (cioè derivanti da attività lavorativa): spingendosi oltre ancora, è persino possibile sostenere che esse nemmeno dovrebbero essere soggette a tassazione. Beninteso: non c’è populismo né necessità di consenso popolare dietro

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

a tali affermazioni. È piuttosto il buonsenso economico (se non addirittura mero utilitarismo) a dettarle. Da un lato, è evidente che i redditi (in quanto «nuovi» ricavi) possano essere fiscalmente imposti per garantire anche solo il finanziamento dei principali servizi di pubblica utilità. Dall’altro lato, invece, non è possibile affermare altrettanto le rendite come gli assegni pensionistici, che derivano da regolare contribuzione previdenziale durante la vita lavorativa e sono già stati a suo tempo tassati quali redditi. Acquisita la consapevolezza che rendite pensionistiche derivino dal versamento di parte degli introiti lavorativi, ogni altra tassazione costituisce una vera e propria «doppia imposizione». Riassumendo: le pensioni non dovrebbero essere soggette a prelievi fiscali, poiché esse lo sono già state in precedenza in quanto redditi da lavoro. Più precisamente, si dovrebbe perlomeno distinguere fra rendite calcolate con un approccio contributivo (cioè basate su quanto effettivamente corrisposto in passato) o retributivo (cioè potenzialmente superiori rispetto agli ammontari versati): la seconda metodologia di conteggio è, comunque, già stata perlopiù sostituita dalla prima, che risulta meno impattante su casse erariali o fondi pensione. A rigor di logica e con l’intento di evitare «doppie imposizioni», nel modello contributivo l’assegno pensionistico dovrebbe essere tax free nella misura del capitale versato (ricalcolato in base a potere d’acquisto, livello salariale e dei prezzi dell’epoca): ad esempio, a fronte di versamenti previdenziali in età lavorativa pari a 100, la pensione futura non dovrebbe essere imposta fintanto che il pensionato non abbia effettivamente percepito quanto versato (100). Allorquando fosse stata raggiunta tale soglia, l’imposizione fiscale dovrebbe riguardare la sola parte eccedente (per riprendere quanto sopra, solo 20 unità nel caso di una rendita

previdenziale complessivamente pari a 120). Lo stesso principio sarebbe da applicarsi agli assegni calcolati con il modello retributivo, che poggia pur sempre su una quota versata all’epoca dal lavoratore ed un quid in più, quest’ultimo unico a potere essere imposto in quanto «nuovo» reddito. Rimane da chiedersi quali effetti benefici siano da attendersi da simili misure. Attualmente, sono i soli pensionati a risentire troppo spesso di assegni previdenziali non indicizzati a costo della vita e livello dei salari ed a subire nel tempo una duplice spoliazione delle loro entrate (dapprima come redditi, poi come rendite). Disponibilità economiche maggiori in capo a soggetti non più attivi professionalmente – ben conoscendone l’evidente tendenza alla minore propensione al risparmio – contribuirebbero attivamente al ciclo economico. La società odierna, invece, è portata a considerare gli assegni pensionistici come una spesa ineluttabile, ma altrettanto pregiudizievole per la salute economica generale: tale conclusione è veritiera solo in presenza di investimenti inefficienti delle somme previdenziali versate oltre che in un contesto di aperta ostilità nei confronti del pensionamento (paradossalmente, anche da parte dello stesso futuro pensionato). Adottando l’approccio proposto, si offrirebbe un valido «risarcimento» anche a quei giovani lavoratori orbi di ogni certezza su età pensionabile e rendita effettiva. Quanto eventualmente mancante agli Stati dopo l’abolizione (anche solo parziale) della tassazione delle rendite sarebbe facilmente recuperato attraverso una calibrata tassazione indiretta: nel frattempo, però, i maggiori consumi di tale categoria avrebbero rinvigorito la crescita economica. Tale decisa defiscalizzazione avvantaggerebbe la (finora auspicata) ripresa generalizzata, rinsaldando l’essenziale rapporto di fiducia fra cittadino-contribuente e Stato.

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Mentre l’Osservatorio delle politiche economiche dell’Università della Svizzera italiana (unità di ricerca e formazione dell’IRE) pubblicava i dati dell’indagine 2015 sulla competitività economica dei cantoni, anche l’Ufficio studi dell’UBS rendeva noti i dati della sua inchiesta annuale sullo stesso tema. Considerando i due studi in parallelo balza subito all’occhio una notevole differenza: il Ticino è situato all’ultimo posto tra i cantoni nello studio dell’IRE, mentre è al 21esimo nello studio dell’UBS. Quindi incredibilmente basso nella classifica dei 26 cantoni per l’IRE, ma moderatamente valutato in quella dell’UBS. Una divergenza di un certo rilievo si rileva anche nell’alto della classifica: Basilea-Città inequivocabilmente in testa per l’IRE, preceduto invece da Zugo e Zurigo per l’UBS. Singolare anche la posizione del canton Grigioni che per l’IRE è in un ottimo nono posto su 26, mentre per l’UBS è solo al terzultimo, quindi persino dietro il canton Ticino. Queste differenze possono dipendere da molti fattori. Intanto dal tipo di indagine, dal metodo di valutazione e poi dalle ponderazioni (in punti) delle singole componenti della struttura dell’economia considerata, nonché dagli indicatori che ne derivano. Che cosa può quindi determinare forti differenze nel risultato finale? Nella realtà ticinese, per esempio, tre fattori hanno un peso determinante nell’indagine IRE: un tasso di occupazione che è generalmente più basso della media svizzera, un livello salariale inferiore a causa della struttura produttiva dell’economia; infine anche la struttura demografica, caratterizzata in Ticino da una popolazione invecchiata e da un debole rinnovo generazionale, dovuto a sua volta a un basso tasso di natalità. Tra i fattori positivi viene invece considerato il costo della vita inferiore alla media svizzera, il che compensa in parte i salari nominali inferiori, ma incide positivamente sul potere d’acquisto e indirettamente sul calcolo del PIL pro capite. Positivi sono anche l’import-export a livelli elevati, quindi l’apertura internazionale e, non da ultimo, la creazione di nuove imprese. Ma vediamo i risultati dello studio UBS. Da tempo i cantoni di Zugo e Zurigo mostrano il maggior potenziale di

crescita, mentre i cantoni di montagna continuano a mostrare un potenziale di crescita inferiore. Così Giura, Vallese, Grigioni, Uri e Glarona rimangono costantemente in fondo alla classifica. La struttura dell’economia – come nel caso del Ticino – l’innovazione, il capitale umano, il mercato del lavoro, i collegamenti, le zone di influenza, il costo della vita e anche le finanze cantonali sono i fattori determinanti. Questi ordini di grandezza vengono valutati in base a oltre 50 variabili. Il canton Zugo, per esempio, deve la sua forza all’elevato grado di formazione della popolazione. Zurigo approfitta invece di un vasto territorio a cui può attingere, mentre Basilea trae la sua forza nella struttura dell’economia, nell’innovazione (soprattutto nel settore farmaceutico) e nelle agevoli comunicazioni. Il Giura e il Ticino soffrono invece di una debole partecipazione delle popolazione locale al mercato del lavoro. Ginevra soffre di un alto livello fiscale, degli alti costi degli affitti e dei prezzi dell’energia. A Glarona e nei Grigioni la struttura economica rimane debole a causa del prevalere di rami poco redditizi e di scarse esportazioni. L’UBS fa comunque notare che la Svizzera rimane, nel complesso, uno dei paesi con la migliore competitività al mondo. Di conseguenza, anche un cantone debole, a livello internazionale si situerebbe certamente in buona posizione. Criteri determinanti in questi confronti potrebbero essere: il numero di brevetti annunciati, la fiscalità favorevole, la quota di indebitamento o la disoccupazione giovanile. Infine, non vanno dimenticate, anche all’interno dei cantoni, grandi differenze regionali. Inoltre, considerate su un periodo di dieci anni, si possono pure notare forti differenze. Il buon risultato dei cantoni con forti settori industriali è dovuto alla dinamica di industrie come la farmaceutica, la chimica e l’orologeria. Anche piccoli cantoni rurali hanno beneficiato di modifiche strutturali, grazie ad attività come l’industria agro-alimentare, quella delle macchine o dell’elettrotecnica. Il Ticino è invece rimasto arretrato per quanto attiene ai progressi della produttività. L’UBS conclude che migliori condizioni-quadro, formazione e politica fiscale sono più efficaci di promozioni o aiuti diretti o indiretti a livello cantonale.

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un malato immaginario: la classe media Di due miti vive la discussione politica attorno all’evoluzione della distribuzione del reddito nel nostro paese. Il primo, diffusissimo, è quello stando al quale «i poveri diventano sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi». Le statistiche svizzere dimostrano che non è vero. Il secondo mito, pure molto discusso anche se non nella misura del primo, afferma che la classe media è sempre più in difficoltà. Della sorte dei poveri si occupa, in politica, la sinistra che difende a spada tratta le istituzioni dello Stato sociale. Della sorte dei ricchi, come è giusto, non si occupa nessuno. I ricchi hanno abbastanza mezzi a disposizione per cavarsela da soli. Della sorte infine della classe media si preoccupano tutti: dall’estrema sinistra alla destra più nazionalista. Il perché di questa grande attenzione al divenire della classe media è presto

spiegato. La posizione della classe media nella popolazione svizzera è dominante. Stando al recente rapporto del Consiglio federale sulla politica in favore della classe media, la stessa rappresenterebbe in Svizzera il 60 per cento della popolazione contro un 20 per cento di poveri e un 20 per cento di ricchi. Siccome l’unico indicatore ritenuto per misurare questa proporzione è il reddito, l’importanza della classe media dipende dai limiti di reddito fissati per definirla. Nel rapporto in questione si considera che un persona, che vive da sola, fa parte della classe media se il suo reddito si trova tra i 3868 e gli 8289 franchi. Per le coppie, invece, i limiti di reddito sono 8123 e 17’406 franchi. Sicuramente questi limiti sono stati fissati con criteri statistici, riferendosi all’intera distribuzione del reddito pro-capite. Tuttavia, tra i lettori

di questo articolo non saranno pochi quelli che scopriranno con sorpresa di far parte della classe media, mentre si ritenevano poveri, oppure di far parte della classe dei ricchi, mentre pensavano di godere di un reddito appena superiore alla media. Per mettere le cose in chiaro ricordiamo che se anche si dovessero spostare i limiti di un 500 o di un mille franchi, la proporzione delle tre classi di reddito non muterebbe di molto. È così certo che della classe media fa parte più della metà della nostra popolazione e, di conseguenza, anche del nostro elettorato. Di qui la grande attenzione che i nostri politici dimostrano sempre nei confronti della classe media. La stessa si può dire sia nata con la rivolta dei contribuenti, iniziatasi in California, verso la fine degli anni settanta dello scorso secolo. Un’istituzione come la tassazione progressiva

del reddito che, fino ad allora, veniva accettata come l’incarnazione stessa della giustizia sociale, fu rimessa in discussione perché, con tassi di inflazione annuali spesso superiori al 5 per cento, rosicchiava in modo permanente il potere di acquisto della classe media. Il seguito è conosciuto. Dapprima si adottarono provvedimenti per eliminare la cosiddetta progressione a freddo, ossia per l’appunto quella dovuta all’inflazione, poi si promossero riforme fiscali con riduzioni della pressione fiscale. Non è per niente dimostrato che questo misure favorirono il potere di acquisto della classe media. Quel che è certo però è che vennero sempre vendute all’elettorato come provvedimenti di conservazione e rafforzamento di questa classe. Ora siamo nel 2016 e forse è tempo anche di chiarire che il declino della classe media è solo un

mito. Lo fa con abbondanza di cifre il Consiglio federale nel rapporto citato qui sopra. E non si ferma qui. Il nostro governo aggiunge che non c’è nessun bisogno di una politica in favore della classe media. Nel corso degli ultimi anni il reddito pro-capite della classe media è aumentato in misura superiore alla media. Di un declino degli effettivi non si può parlare, a meno, come si è già ricordato, di spostare i limiti di reddito con i quali si definisce questa classe. E allora? Allora sarebbe tempo che i politici si mettessero il cuore in pace. In Svizzera la classe media, per il momento, prospera. Tra venti anni, con le tendenze al rapido invecchiamento della popolazione e alla riduzione delle prestazioni dello Stato sociale, la situazione potrebbe peggiorare. Per ora, però, la classe media non è che un malato immaginario.

la Fifa e il padre del premier britannico che ha convocato un vertice contro l’elusione fiscale. È il tradimento delle élites transnazionali; compresi coloro che, come il clan Le Pen, millantano di stare dalla parte del popolo e di combatterle, le vecchie élites (e l’autodifesa del patriarca, che ha parlato di Francia come inferno fiscale, non è parsa convincente, anzi è suonata più come una rivendicazione che come una smentita). Intendiamoci: una lista non è una sentenza; e aprire un conto off-shore non è di per sé un reato (anche se spesso serve a commetterlo, e per un politico rappresenta comunque un vulnus alla fiducia del suo Paese e dei suoi elettori). Ma fin da ora i Panama Papers si annunciano come lo scandalo più grave dell’era della rivoluzione digitale, in cui è divenuto molto più difficile occultare gli arcana imperii, i segreti del potere; e per una volta la rete e i giornali hanno marciato di pari passo, i guastatori elettronici e i reporter d’inchiesta si sono completati a vicenda. Il quadro – da verificare – che si intravede è devastante. Nel momento più

nero della crisi, le punte di diamante dell’establishment globale mettevano al sicuro i loro cospicui risparmi; a volte con complesse soluzioni a prova di indagine, a volte con trucchetti da letteratura minore tipo i lingotti d’oro intestati al maggiordomo. Fino al caso più clamoroso: le grandi banche tedesche, salvate con il denaro dei contribuenti, offrivano ai clienti di riguardo la via d’uscita dei paradisi caraibici, abbandonando il ceto medio a pressioni fiscali oltre il 40 per cento, che nessuna economia può sostenere, tanto più in periodi di magra come questo. Ed è una modesta consolazione che i primi ministri democraticamente eletti debbano dimettersi, mentre i dittatori – che restano tali anche quando confermati da un plebiscito – possono permettersi di dare la colpa alla Cia. In Italia ha causato emozione e indignazione la presenza nella lista di nomi molto popolari. C’è da augurarsi sinceramente che le smentite di queste ore siano confermate dai fatti, che davvero – come annunciano giornali economici – almeno la metà degli ottocento

nomi avessero già chiesto di riportare i capitali in Italia; il che appiana l’aspetto giudiziario ma non cancella il giudizio morale. Resta un dato: il sistema mediatico viene spesso rappresentato come legato alla politica; e qualche conferma la tv pubblica continua a darla. Ma in realtà non c’è nulla di più facile che attaccare un politico; subito scattano gli applausi, nei talk-show e in rete. È più difficile avere un rapporto critico con il potere economico e finanziario. Almeno questa è stata la mia esperienza. Qualcuno in Italia ha accostato i Panama Papers alla vicenda delle dimissioni del ministro Guidi e delle inchieste sul centro oli di Viggiano e sull’oleodotto da Tempa Rossa a Taranto. A me pare che le due vicende debbano restare distinte. C’è la prudenza del «sopire e troncare»; ma c’è anche il populismo per cui sono tutti sempre colpevoli, che è come dire che nessuno è colpevole. Indagare senza generalizzare è l’unico modo in cui la magistratura da una parte, il giornalismo dall’altra possono procedere.

bisogno della legge». Oggi Di Rupo non vede che è in quell’«humus» sociopolitico e nell’omertà crescente che il terrorismo islamico ha potuto coltivare le sue cellule di fanatici assassini, «liberi» di acquistare armi e esplosivi, di tessere reti e connessioni, di architettare deliranti disegni terroristici. Il lassismo di stato belga, bollato già dalla matrice degli attentati di Parigi e dalla serie incredibile di errori della polizia dopo l’arresto di Salah Abdeslam, è conclamato anche da recenti rivelazioni di un autorevole collaboratore della rivista Foreign Policy (Jeffrey Lewis, membro di varie commissioni internazionali sulla non proliferazione delle armi nucleari): in almeno due riprese, nel 2009 e nel 2010, i depositi della base militare belga di Kleine Brogel, che custodiscono anche armi nucleari di Usa e Nato, sono stati occupati da manifestanti pacifisti senza che scattassero i sistemi di allarme e senza che qualcuno venisse punito, nonostante un video pubblicato su YouTube! Ma non è tutto. All’indo-

mani della doppia strage di Bruxelles, mentre un taxista di Schaerbeek salvava i servizi di sicurezza belgi, la Commissione europea diramava due documenti. Uno, con le condoglianze del presidente Junker, riusciva a parlare di terrorismo senza nominare i responsabili jihadisti; l’altro, stilato dall’Agenda sulla sicurezza contro il terrorismo creata dalla stessa Commissione dopo l’attentato a «Charlie Hebdo», era una gigantesca foglia di fico. Infatti il resoconto si preoccupava soprattutto di mascherare una colpevole ignavia elencando progetti, sollecitazioni e direttive, purtroppo ancora in preparazione o in attesa di essere varati. Due soli punti fermi: sei mesi dopo la creazione dell’Agenda è giunta la strage di Parigi, un anno dopo quella di Bruxelles… Un’ultima nota, un po’ bizzarra. Venti anni fa un ingegnere belga ha pubblicato L’assedio di Bruxelles, romanzo che si apre con questa Sura del Corano: «Quando vogliamo distruggere una città, ordiniamo il bene ai suoi ricchi, ma

presto trasgrediscono. Si realizza allora il Decreto e la distruggiamo completamente». Ipotizza un’Europa sconvolta da crisi e conflitti religiosi in cui un leader nazionalista fiammingo scatena una guerra civile nel suo ventre molle, a Bruxelles. I fiamminghi sono raccolti a nord e preparano la conquista della capitale, la popolazione francofona è arroccata attorno alla sede dell’Unione Europea, mentre la comunità islamica, chiusa fra i due opposti blocchi, viene sospinta da Schaerbeek fino a Molenbeek, da dove organizza attacchi contro il nuovo stato indipendentista fiammingo. D’accordo, L’assedio di Bruxelles è un romanzo, oltretutto a lieto fine (golpe e guerra civile si spengono). Questo non impedisce che, letto alla luce dell’attualità, il fantastico racconto susciti qualche inquietudine in più. E anche sorpresa: l’autore Jacques Neirynck, scrittore e professore emerito al Poli di Losanna, nel frattempo è diventato cittadino svizzero, nonché deputato Ppd al Nazionale.

In&outlet di Aldo Cazzullo Vergogna su scala planetaria Bisogna essere molto prudenti nell’affrontare la questione dei Panama Papers. Almeno in Italia la pubblicazione dei primi nomi è stata seguita da una pioggia di smentite, da parte di manager, attori, presentatrici tv. Ma questo è il primo vero scandalo globale della storia. La mondializzazione ha prodotto la prima vergogna su scala

planetaria, in cui sono coinvolte le élites di quasi tutti i Paesi, democratici e no. Dittatori e primi ministri di Stati europei, il regista simbolo della sinistra libertaria spagnola e il patriarca dell’estrema destra francese, il calciatore più famoso del mondo e il pilota di Pescara, il presidente appena eletto per ripulire

Spunta anche il nome di Gianni Infantino presidente della Fifa fra i file. (Getty Images)

Zig-Zag di Ovidio Biffi Metti un giorno a Schaerbeek La traccia me la offre il bell’editoriale del direttore Schiesser di fine marzo, quindi rischio di ripetere qualcosa. Il fatto è che dal giorno degli attentati di Bruxelles continuo a pensare al paese e al popolo colpiti, al Belgio, insomma. Rimugino sul paradosso di poliziotti ridicolizzati proprio nel paese di Georges Simenon, il padre di Maigret. Ma a rubarmi i pensieri è soprattutto Jacques Brel, nato quasi novant’anni fa in uno dei tanti comuni che formano Bruxelles (scheda geo-politica dello scrittore David Van Reybrouk su «Repubblica»: «Negli ultimi decenni, a proposito del conflitto tra Fiamminghi e Valloni, questo paese ha investito molto più tempo, soldi ed energia nella riforma dello stato che nella costruzione di una coscienza comune. Dopo sei riforme dello stato, abbiamo sei parlamenti, sei governi, 47 ministri e sei sottosegretari, e questo per un piccolo paese che si attraversa tutto in auto in circa due ore. Bruxelles conta diciannove comuni, sei forze di polizia, un governo, un parlamento e

due mini-parlamenti, per i Fiamminghi e per i Valloni, che hanno a loro volta un organo collettivo con il nome improbabile di “Commissione comune della società”»). È da Schaerbeek che sono partiti i terroristi jihadisti, lo stesso quartiere in cui nacque Brel e da dove, mezzo secolo fa, partivano le sue tristi canzoni, da «Le plat pays» a «La valse à vingt ans» sino al terribile «J’arrive» con il lancinante ritornello: «De chrysanthèmes en chrysanthèmes / A chaque fois plus solitaire». Ho cercato i suoi versi dopo aver letto sul «Corriere della Sera» l’intervista in cui l’ex-primo ministro socialista Di Rupo, suppongo inconsapevole di essere irriverente nei confronti delle vittime, cercava di smentire che il Belgio sia uno «stato fallito». Così lo aveva descritto, qualche mese fa, Tim King su «Politico»: un paese dove «La vita è semplice perché lo stato, in generale, è assente. Le persone vanno avanti contando su strutture di sostegno informali. In larga parte, non hanno


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Cultura e Spettacoli L’utopia di Philippe Forest A colloquio con il grande scrittore francese, che sarà ospite degli Eventi letterari di Ascona

Teatro, che passione Mancano pochi giorni all’inizio dell’amata maratona teatrale, che si terrà a Locarno

L’impegno pop della Migros Il Percento culturale Migros organizza da diversi anni m4music, il più importante appuntamento dedicato al pop della Svizzera

Berlino e gli italiani La metropoli tedesca nella prima metà del 900 attirò anche diversi intellettuali italiani pagina 36

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Invisible Opponent Performance L’artista Ulay è stato

recentemente ospite al Musée d’art et d’historie di Ginevra

Gianluigi Bellei Nel 1977 ho visto una performance di Ulay alla Galleria d’arte moderna di Bologna. Allora era in coppia con Marina Abramovič, divenuta poi una star dell’arte internazionale. Erano nudi, vicinissimi, uno di fronte all’altra e per entrare bisognava passare fra i loro corpi decidendo se volgere lo sguardo verso uno o l’altra. Non ricordo i particolari e nemmeno se ho attraversato queste forche caudine. Vedo invece i personaggi della giornata. I vestiti dell’epoca, i capelli un po’ mossi e leggermente lunghi, l’aria distinta. Forse imbarazzati. Quello che è certo è che quella trasgressione non faceva parte del clima di allora. Bologna era una città viva, ma tra i colori sgargianti degli indiani metropolitani, la serietà della polizia in tenuta antisommossa e l’odore acre dei lacrimogeni, il sentimento più diffuso era di eccitazione mista a paura. A marzo viene ucciso dalla polizia lo studente Pier Francesco Lorusso e a settembre si tiene un convegno contro la «repressione». Forse è per questo che Lea Vergine qualche anno prima a proposito della body art ha scritto che «l’arte – se di arte si può ancora parlare – non è che l’arte degli intellettuali borghesi che si cimentano contro la borghesia per separare ciò che è da ciò che non è più, per riformarne la cultura». In ogni caso la body art agisce direttamente sul corpo, la maggior parte delle volte sul proprio, che diventa così il linguaggio stesso. Tutto questo non nasce a caso dato che prima dei bodyartisti ci sono state le serate futuriste e le azioni dadaiste, ma anche quelle del gruppo giapponese Gutai. Negli anno Settanta i due registri principali erano quelli del travestimento e del sesso. Travestimento come mancanza di identità o sradicamento dei generi femminile e maschile e sesso come disvelamento e affrancamento dai tabù del periodo. Allora il personale era po-

litico e forse gli artisti maggiormente interessanti erano quelli che giocavano col proprio corpo in maniera tragica e drammatica come la francese Gina Pane, con il suo fisico ferito – ricordiamo Azione sentimentale del 1973 dove, con in mano un mazzo di rose, si tagliuzza le braccia con una lametta da barba –, o rituale come nel caso di Rudolf Schwarzkogler che tra sangue, carne e fluidi arriva a mettere in scena la mutilazione dei propri genitali. Senza dimenticare Carolee Schneemann… Sono in treno verso Ginevra; qui, al Musée d’art et d’histoire stasera 5 aprile, Ulay tiene una performance intitolata Invisible Opponent. Proprio in questo museo nel 1977 Ulay, assieme a Marina Abramovič, ha realizzato Balance Proof a sostegno della creazione di un nuovo museo d’arte moderna. Questa volta è da solo, malato, ma sempre determinato. Il suo vero nome è Uwe Frank Laysiepen. È nato a Solingen in Germania nel 1943, proprio durante la guerra. Si è trasferito prima ad Amsterdam e poi a Ljubljana, in Slovenia, dove vive tuttora. I suoi primi lavori, dal 1968, sono legati al problema dell’identità, tipico del periodo, in un’indagine serrata di confronto e integrazione fra maschile e femminile, quasi a negare una distanza fra i generi. Come in S’he nel 1972/’74 dove appare travestito metà da uomo, con la sigaretta in bocca, e metà da donna, con i lunghi fascinosi capelli e la pelliccia, o in un collage fotografico di nudi maschili e femminili mescolati fra loro. Più cruenta la performance Talking About Similarity del 1976 nella quale si cuce le labbra con ago e filo, come in uso fra i detenuti. Dal 1976 al 1988 collabora con Marina Abramovič in performance dure e fisicamente debilitanti. Si separano, appunto, nel 1988, dopo aver percorso la Grande muraglia cinese partendo uno dalla parte opposta dell’altra per ritrovarsi a metà strada e dirsi addio. Da allora lei è diventata

Un momento della performance di Ulay.

una star e lui è rimasto ai margini del mercato. I rispettivi legali recentemente stanno litigando per i diritti d’autore sulle comuni performance. Dal 1988 Ulay lavora indagando sulla posizione dell’individuo divenuta marginale nella società contemporanea. Ultimamente si è concentrato sulle problematiche legate alle risorse idriche. Dal febbraio di quest’anno la Ong «Art for The World», creatura di Adelina von Fürstenberg – ricordiamo tra le mostre organizzate da lei Balcan Epic di Marina Abramovič all’Hangar Bicocca, Azione 21 febbraio 2001, e il Padiglione armeno alla Biennale di Venezia 2015 con il suo Leone d’oro, Azione 7 settembre 2015 – organizza World Water Joy legato al progetto Earth Water Catalogue creato da Ulay. Il progetto consiste in una collezione di suoni d’acqua che gli servirà per una composizione musicale. Insomma un artista impegnato perché, come sostiene, «l’estetica non è cosmetica». Ulay dopo la recente ma-

lattia, e nonostante l’età, sembra in forma e desideroso di continuare il cammino. La sua vita e soprattutto la sua lotta contro il cancro sono visibili nel film Project Cancer del 2013. Un lungo e sofferto racconto – inanellato da commenti di personalità come Chuck Close, seduto su di una sedia a rotelle, Charlemagne Palestine, Chris Dercon, direttore della Tate Modern di Londra, Chrissie Illes, curatore del Whitney Museum of American Art di New York, amici, musicisti e marinai — che ripercorre il suo lavoro nei luoghi della sua vita. Alle 19 in punto Invisible Opponent ha inizio. I capelli sono ricresciuti, la forma fisica sembra buona; Ulay è sdraiato su di una lastra di metallo ricoperta di gesso bianco. Anche lui è vestito tutto di bianco. Adagio, adagio inizia a graffiare la superficie di gesso con le unghie partendo da un angolo per scoprire il metallo. Il rumore stridente è fastidioso, quasi irritante.

Lunghe linee traslucide scure appaiono e sopra incide la parola «nowness». Così con gli altri tre angoli con le parole «suchness», «enough» e «not I». Ai lati toglie completamente il bianco realizzando una sorta di quadrato. In mezzo, con lo stesso sistema, un cerchio con all’interno un altro quadrato. Inizia poi una sorta di lotta fatta di contorsioni controllate e movimenti lenti. La tensione sale, come il fastidio e l’ansia. Sino alla fine, lenta ma liberatoria. Ulay lotta contro un avversario invisibile e lo fa mettendosi in gioco, con tenacia e risolutezza. Gridando, senza voce, ma con la forza della determinazione e della sopravvivenza: «non io». Dove e quando

Ulay. Invisible Opponent. Musée d’art et d’histoire. A cura di Adelina von Fürstenberg. Ginevra, 5 aprile 2016. www.mah-geneve.ch. www.artfortheworld.net


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Cultura e Spettacoli

Splendidi e dolorosi percorsi

Come vivere la passione

Incontri Lo scrittore francese Philippe Forest sarà tra i prestigiosi ospiti degli Eventi letterari

Cinema Ignorato

del Monte Verità per parlare di utopia e amore partendo dal suo nuovo romanzo

dai nostri schermi l’affascinante Carol

Simona Sala Lo avevamo lasciato nel 2011 a Soletta, quando ci si apprestava a scoprirlo ulteriormente anche sul piano internazionale, certamente non da ultimo grazie anche all’encomiabile lavoro della casa editrice padovana ALET, sin dall’inizio fedele traghettatrice di questo grande autore francese, ora passato a Del Vecchio Editore. Di lui avevamo amato Tutti i bambini tranne uno dedicato alla scomparsa della figlia Pauline, ma anche L’amore nuovo, sulla complessità dei nostri rapporti; Sarinagara, l’importante viaggio nel cuore del Giappone così come le riflessioni sconvolgenti sulla malattia di Anche se avessi torto. Ora Philippe Forest, classe 1962, scrittore per caso, o per i casi della vita, che l’ha confrontato con la morte della figlia, si appresta ad incontrare per la prima volta il pubblico ticinese: il 16 aprile alle 16.30 sarà ospite degli Eventi letterari del Monte Verità, che quest’anno ruotano intorno a utopia e amore. Philippe Forest, partiamo dal titolo della conferenza che terrà a Locarno, La casa che non esiste. Ci racconta qualcosa a questo proposito?

Il titolo scelto per il mio incontro con il pubblico è tratto da un capitolo del mio recente libro Il gatto di Schrödinger, in cui racconto di una persona che tutte le notti sogna di trovarsi davanti alla stessa casa, dentro cui non riesce ad entrare. Il tema del festival è l’utopia, e io ho voluto attribuirle il suo senso originario di luogo che non esiste, o non-luogo. Cosa rappresenta per lei l’utopia?

Nel senso tradizionale è una parola che non mi riguarda particolarmente. Se invece parliamo di utopia politica, in Francia ho recentemente dato alle stampe una biografia del poeta francese Louis Aragon. Aragon apparteneva a una generazione che credeva nell’utopia ed era convinta che la rivoluzione politica avrebbe permesso di creare le condizioni ideali per una società giusta e migliore. Secondo me è un sogno che in qualche modo appartiene al passato. Io non ho mai creduto molto nelle uto-

Fabio Fumagalli **** Carol, di Todd Haynes, con

Cate Blanchett, Rooney Mara, Kyle Chandler (Stati Uniti 2015)

La scrittura come un’arma: lo scrittore francese Philippe Forest. (© JF Paga, Grasset)

pie politiche, per questo mi focalizzerò appunto sul «luogo che non esiste», che per me è il luogo del sogno, dell’assenza, della perdita. Giro un poco il senso della parola, ridandole il suo significato etimologico.

La dimensione psicanalitica non c’entra dunque nulla?

In passato lei ha raccontato le dinamiche amorose da un punto di vista letterario: amore paterno, amore tra uomo e donna, amore per il Giappone... Il suo percorso di scrittore è entrato in una nuova dimensione?

Sono passati molti anni dal dramma della morte di sua figlia Pauline. Lei ne ha parlato in libertà, con grande apertura. Nel suo percorso di dolore dove si trova ora? Cosa è cambiato nel frattempo?

Direi solo in parte, poiché i sogni hanno sempre avuto un ruolo importante nei miei libri, sin da L’Enfant éternel (Tutti i bambini tranne uno, NdR). Io cerco di scrivere un libro partendo sempre dalla mia esperienza. Poiché le mie opere contengono sempre una componente autobiografica, per ogni libro è necessario trovare delle formule diverse. Sebbene nel Gatto di Schrödinger vi sia un lato un poco fantastico, ho comunque continuato a occuparmi del mio tema di sempre, il lutto. Allo stesso tempo i miei romanzi sono tutti romanzi d’amore, persino quelli di natura filosofica. Ma sull’amore in quanto tale preferisco rifarmi a quanto afferma Dante nella Divina Commedia: «L’amor che move il sole e l’altre stelle».

Credo che le risposte a queste domande si trovino tutte nei miei libri, che testimoniano la mia evoluzione personale. Questa esperienza è sempre rimasta essenziale per me, sebbene l’abbia raccontata in forme molto diverse: i primi libri erano segnati dalla violenza e dallo choc di quanto successo, lo scorrere del tempo ha portato a rappresentazioni diverse.

No, per quanto in realtà io sia interessato alla psicanalisi. Il mio approccio al sogno è poetico e non di tipo psicanalitico o scientifico.

Lei ha affermato che nel momento in cui si racconta un ricordo ce ne si separa, poiché lo si consegna al lettore trasformandolo in qualcosa di diverso. Come sono i suoi ricordi dopo tutto quello che ha scritto?

Conservo dei ricordi molto precisi e vivi, gli avvenimenti sono stati vissuti in maniera intensa e così rimangono come scolpiti nella memoria. Molte cose le

ho dimenticate, altre sono sicuro che le ricorderò fino alla fine dei miei giorni. È però vero che la memoria è un processo ambiguo e ambivalente, soprattutto quando si scrive di sé. In fondo si scrive sulla propria esistenza anche per non dimenticare, ma scrivendo si trasformano i ricordi, e in qualche modo si cancellano, un processo di cui sono consapevole. Ma proprio in ragione dell’ambiguità appena citata, scrivere, nonostante tutto, è anche un modo per ricordare. Ha mai provato paura di dimenticare la persona tanto amata, perdendola così per sempre? Non significherebbe perdere anche una parte di sé stessi?

Assolutamente, sì. Anche per questo l’immagine dei labirinti è molto presente nei miei libri, ad esempio quando parlo del Giappone o quando evoco gli universi paralleli nel Gatto di Schrödinger. Dove e quando

Gli eventi letterari del Monte Verità avranno luogo dal 14 al 17 aprile 2016. Per maggiori informazioni: www.eventiletterari.swiss

Un lungo ragionare senza età

La locandina di Carol di Todd Haynes.

Pubblicazioni È uscito per Einaudi un saggio del russo-italiano Gustavo Zagrebelsky

in cui si analizza il rapporto della nostra epoca con il tempo, soprattutto quello giovane Stefano Vassere «Persino la conoscenza e l’esperienza del mondo che sono proprie dei vecchi possono essere un handicap e non un vantaggio». «Nessuno nasce nel nulla e si forma nel nulla attorno a sé. Konrad Lorenz porta l’esempio dell’apprendimento del linguaggio con cui entriamo in rapporto con il mondo: parole, immagini, simboli che riceviamo dal passato attraverso una filogenesi che ci condiziona e ci plasma. La sua forza è tale che, per il “dilettante”, “la lingua poeta e pensa per te”, come ha scritto Friedrich Schiller». C’è un modo migliore per iniziare un saggio sull’incontro delle generazioni come questo Senza adulti del giurista, costituzionalista e ormai grande saggio russo-italiano Gustavo Zagrebelsky? L’immagine schilleriana della lingua che pensa per te, che addirittura «poeta» per te è conosciuta ma la sola enunciazione è, per chi si interessi di filosofia del linguaggio, da brivido. Dice, Schiller, che la lingua è il portato parlante della nostra tradizione, è un modo di concepire il

mondo, e forse è il mondo stesso, che le generazioni che ci hanno preceduto ci consegnano perché noi impariamo a starci. Senza adulti è un lungo ragionamento sui rapporti tra le età della vita e tra i loro rappresentanti e sulle concezioni reciproche che queste età hanno l’una dell’altra. Sui numerosi luoghi comuni che condizionano questa faticosa discussione, su precedenze e pretese delle giovani generazioni, sui diritti e doveri delle generazioni attuali e di quelle future, fino a scendere sul terreno esemplificativo molto concreto delle generazioni in politica, i grandi saggi, i padri fondatori, ma poi anche il vecchiume politico, il nuovo che avanza, le rottamazioni e i governi dei trentenni per intenderci. Sulle età della vita ci sono molti luoghi comuni, che «modellano i nostri giudizi» così come «i giudizi modellano le nostre azioni»; filosofemi sentenziosi e autoritari che ci piegano la vita e ci costringono in una riduzione cattiva della realtà. Anche mettersi d’accordo su quante siano le età della vita è operazione tutta in salita: se i saggi dell’età indiana dividono l’e-

sistenza di un uomo in quattro stadi, «quello in cui si impara, quello in cui si insegna ciò che si è imparato, quello in cui si va nella foresta e quello in cui si impara a mendicare», Rousseau traccia cinque sezioni della sola giovinezza e la

C’è del marcio a Cinelandia: citiamo Shakespeare per tradurre il malessere nella diffusione del prodotto cinematografico, così come la mortificazione del sublime Carol di Todd Haynes. Premiato nel 2015 al Festival di Cannes, è del tutto ignorato dai nostri schermi. Il film di Haynes è un melodramma omosessuale, tratto da The Price of Salt di Patricia Highsmith, pubblicato sotto lo pseudonimo di Claire Morgan nel 1952. Propiziata forse dal fatto di succedere alla prima opera della scrittrice, tradotta nel capolavoro cinematografico di Hitchcock Strangers on a Train, l’operazione editoriale sarà dapprima uno scandalo, poi finirà tra i successi dell’autrice stabilitasi ad Aurigeno, in Vallemaggia. Lungo il percorso della giovane e timida venditrice di un grande magazzino di Manhattan che incontra la ricca e affascinante cliente per fondersi con lei in una passione amorosa assoluta, presto prigioniera delle convenzioni sociali e morali, il regista Todd Haynes ha costruito una meraviglia. Carol costituisce infatti il vertice di uno splendido trittico, iniziato con l’omaggio magistrale all’epoca gloriosa del mélo

prima distinzione, quella dell’antichità, divide il corso della vita in due semplici categorie, i giovani e i vecchi. Il libro di Zagrebelsky ha un’andatura assertiva e sentenziosa, ma è un «medium freddo», che si legge per un centinaio di pagine che il lettore è indotto a completare con migliaia di ragionamenti propri. Il tema di chi siano, tra le persone che vivono la nostra contemporaneità, i più adatti a occuparsi di politica, ad amministrare il mondo, a disegnare, affrontare e forse risolvere le grandi questioni del futuro, tiene conto di queste categorie della società. E rimane sospeso il giudizio se gli eletti siano i giovani, che hanno più aspettative di vita e più futuro o se non sia il caso di pensare «proprio ai vecchi, che possono avere di fronte a sé l’avvenire dei propri figli e dei figli dei figli, mentre i giovani vivono ancora nella beata condizione che permette di occuparsi e preoccuparsi solo di sé stessi». Bibliografia

Gustavo Zagrebelsky, Senza adulti, Torino, Einaudi, 2016.

di Lontano dal paradiso (2002), seguito, nel 2011, dai cinque episodi di una delle più belle serie televisive mai realizzate, Mildred Pierce. Il cineasta è riuscito a rinnovarsi: non soltanto la meravigliosa ricostruzione storica di un’epoca (nella fotografia di Ed Lachan) o il piacere di specchiarsi in un genere dal manierismo magnetico, ma anche la possibilità di penetrare in un universo dalla bellezza incantata con la forza di un percorso inedito. La passione fra Carol e Therese non arrischia mai di afflosciarsi nella convenzione delle ricerche estetiche. Vengono introdotti nuovi ambienti, inediti approcci espressivi e interrogativi psicologici attuali per permettere agli eroi di affrontare a viso aperto le incertezze delle passioni, l’esaltazione dei desideri. Tutto però ristagnerebbe senza il filo miracoloso che da sempre lega il cineasta ai propri attori. Cate Blanchett, e Rooney Mara sono indimenticabili: se l’introspezione del romanzo nasceva dal linguaggio, nel film si alimenta di sguardi e fremiti. Certo, il fascino sontuoso eppure fragile di Cate Blanchett ricorda le Lauren Bacall e Jean Simmons predilette da Douglas Sirk; e la determinata giovinezza di Rooney Mara quella di Audrey Hepburn. Ma la fortissima vibrazione emotiva del film e l’intelligenza di un finale provocatorio nascono da un’arte raffinata.


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Cultura e Spettacoli

m4music, per un pop che sia di tutti Musica Il fondatore Philipp Schnyder von Wartensee ci introduce

al prossimo festival nazionale

Zeno Gabaglio Il prossimo sarà un weekend campale per la popular music svizzera perché – come ormai da consolidata tradizione – andrà in scena (giovedì a Losanna, venerdì e sabato a Zurigo) m4music, il festival del Percento culturale Migros che nel corso degli anni si è guadagnato il ruolo di passaggio obbligato per la scena pop nazionale ma non solo. «Iniziò tutto nel 1998 e quest’anno si tratterà della diciannovesima edizione» ci ricorda Philipp Schnyder von Wartensee, fondatore e direttore del festival. «All’epoca lavoravo come agente musicale per alcune band svizzere e l’idea era stata quella di creare una piattaforma di visibilità internazionale per la nostra musica, offrendo uno spazio più aperto rispetto ai pochi circoli ristretti che esistevano in Svizzera». Un tentativo di allargare il mercato straniero per le produzioni svizzere, quindi, ma anche di far partecipare al gioco un numero più ampio di attori e di idee: «nessun professionista – invitato, accreditato o spontaneamente annunciato – doveva venir escluso». Il progetto iniziale ha però avuto una sensibile evoluzione: «all’inizio si era puntato molto sull’internazionalità, invitando ospiti da tutta Europa. Per presentarci con forza e credibilità

abbiamo però presto capito che prima ci toccava fare i compiti a casa nostra: la Svizzera era ed è in sé molto eterogenea, fortemente parcellizzata tra cantoni e città» e bisognava innanzitutto lavorare sulla coesione nazionale: «se è già difficile portare un basilese a Zurigo, o un ticinese a Ginevra, perché mai con un berlinese dovrebbe essere più facile? Il nostro obiettivo si è quindi rivolto verso la scena nazionale, creando prima di tutto un punto di contatto per il sistema musicale svizzero». E circa a questo punto è entrato in gioco il diretto sostegno del Percento culturale Migros «m4music era nato come iniziativa dell’agenzia di management, anche se all’epoca già lavoravo al 40% in un ruolo di segretariato per il Percento Culturale a Zurigo. Con l’arrivo di un nuovo direttore, e con la sua esplicita richiesta di nuovi progetti o idee, m4music è diventato parte integrante dell’offerta culturale del Percento culturale Migros abbracciando contestualmente la propria vocazione nazionale, che pur non esclude rapporti con l’estero». Ma obiettivi di questo genere – la coesione nazionale sul terreno della cultura – non sarebbero dovuti rientrare tra i compiti primari delle istituzioni pubbliche e statali? «Sì, avrebbero potuto. Però se un ente privato attivo nel

sostegno culturale si accorge di un certo tipo di mancanza, fa benissimo a operare nel senso di nuove soluzioni». In un certo senso il Percento culturale Migros è quindi stato pionieristico e anticipatore nel sostenere un’iniziativa come m4music. E oltre a unire parti della nazione prima separate, un elemento fondamentale è stato anche quello di affermare la popular music come componente imprescindibile della cultura musicale contemporanea. «Vent’anni fa la musica pop era molto meno considerata – e quindi meno sostenuta – in una prospettiva culturale: si fa quasi fatica a crederlo, ma i budget stanziati all’epoca dai cantoni o dai comuni per il pop erano ancora più piccoli di oggi». Come mai? (domanda tanto scontata quanto pericolosa) «Soprattutto per due motivi: da un lato perché il sostegno alla cultura è nato e si è modellato su una visione borghese dell’arte, che comprende principalmente grandi istituzioni – musei, teatri d’opera, sale sinfoniche – dal funzionamento molto dispendioso. Dall’altro lato perché la musica pop è sempre stata ritenuta di natura commerciale, e quindi non bisognosa di ulteriori entrate che non fossero quelle derivanti dal libero mercato. Un’idea vera in minima parte, perché la popular music gratificata dal successo commerciale è solo di un certo tipo e ge-

Philipp Schnyder von Wartensee. (Alessandro Della Bella)

neralmente riguarda grandi artisti stranieri». E poi – a ben guardare i cachet, i costi e i profitti – non è che la categoria del commerciale sia completamente estranea al mondo delle musiche classiche borghesi e colte, anzi. Però l’idea di una cultura che non sia per forza borghese ed elitaria, ma anzi al contrario aperta a tutti non è forse uno dei principali elementi del pensiero che fu di Gottlieb Duttweiler, fondatore di Migros e di quella folle (imprenditorialmente parlando) visione che è il Percento Culturale? «Credo di sì, anche se è difficile immaginare oggi un’esatta applicazione di quella filosofia, perché l’orizzonte

sia ideale sia pratico di Duttweiler era strettamente connesso alle condizioni della sua epoca. Lui comunque si distinse per un’idea di cultura diversa da quella puramente borghese, che intende il fenomeno culturale soprattutto come una questione di poche ma fulgide genialità da venerare. Il focus di Duttweiler era invece puntato sull’allargamento dell’accesso alla cultura, a favore di tutta la popolazione. Un pensiero di fondo davvero democratico, che però non significava la dittatura della maggioranza, ma che anzi teneva in considerazione anche le minoranze in un ampio senso di partecipazione». Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli Il teatro amatoriale è anche comunanza e divertimento.

Un irresistibile parodista In memoriam Ricordo dell’eccentrico

e irriverente Paolo Poli (1929-2016)

Giovanni Fattorini

Teatro per diletto, spesso in dialetto In scena Il teatro amatoriale si dà appuntamento a Locarno

per una maratona; ce ne parla la presidente Sylvia Zemanek

Giorgio Thoeni Il teatro amatoriale della nostra regione ha una tradizione molto antica. Inizialmente era principalmente in lingua, non solo per la mancanza di autori ma soprattutto perché l’attività teatrale era vista come strumento educativo e aggregativo. In epoca più recente, nello sviluppo e nella diffusione della dimensione popolare del dialetto, hanno certamente avuto un ruolo determinante la radio e la televisione, che ne hanno dato una veste professionale. Fin dai suoi esordi, la radio gli ha dato spazio come intrattenimento molto apprezzato dal pubblico (si pensi per esempio alla Domenica popolare). La televisione ha poi portato avanti il suo percorso con produzioni teatrali, soprattutto tra gli anni 70 e 90, che hanno dato visibilità e popolarità a interpreti e autori come Mariuccia Medici, Quirino Rossi, Yor Milano, Sergio Maspoli, Fernando Grignola, Martha Fraccaroli, Vittorio Barino… l’elenco evidentemente può diventare più lungo.

Per gli amanti del teatro amatoriale la «maratona» avrà luogo dal 15 al 17 aprile al Teatro di Locarno Nel 1991 alcuni appassionati di teatro amatoriale si sono riuniti al Teatro Varietè di Ascona organizzando una «kermesse» con lo scopo di raggruppare sull’arco di tre giorni consecutivi alcune compagnie appartenenti alla Federazione delle filodrammatiche della Svizzera italiana (FFSI): nasceva la prima edizione della Maratona del Teatro amatoriale della Svizzera italiana, che nel 1999 si trasferisce al Teatro di Locarno dove quest’anno andrà in scena dal 15 al 17 aprile.

Sylvia Zemanek, presidente della manifestazione giunta alla sua 26esima edizione, ci offre un quadro di questa importante realtà. «Nella Svizzera italiana esistono circa 50 compagnie di teatro amatoriale, 36 di queste sono affiliate alla FFSI che ha sede a Giubiasco.» Quale tipo di repertorio viene messo in scena? «Si va dal comico al drammatico, dal grande classico alla pièce dialettale. C’è persino un gruppo di giovani che ogni anno allestisce una commedia scritta in proprio. Altri, più temerari, affrontano classici di autori come Dürrenmatt, Frisch, Pirandello, Goldoni, Brecht… Altri ancora scrivono testi in dialetto come «La Cumbricula Bregnona» di Acquarossa o «La piccola Ribalta del Moesano» di Roveredo, quelli del «Cör e fantasia» di Canobbio, «I Matiröö» di Vacallo, «Chii da Gordola» e altri ancora. C’è però da dire che le compagnie dialettali pian piano vanno purtroppo scomparendo anche se c’è chi ancora non demorde». Alla manifestazione partecipano solo compagnie svizzero italiane? «No, a ogni Maratona invitiamo una compagnia dalla vicina Lombardia o dal Piemonte per rinsaldare i rapporti culturali e di amicizia.» Com’è organizzata una filodrammatica? «Ogni compagnia è una società indipendente con un proprio regolamento. La cosa più importante è avere una sede. Una filodrammatica senza una «casa» non può esistere. Le più fortunate hanno a disposizione una sala offerta dal comune, possono essere aule scolastiche ma anche oratori. Il tutto in cambio di un modesto contributo». Ma come si finanziano? «Ognuna sopravvive con i propri mezzi. Talvolta qualcuna riceve un aiuto da uno sponsor locale, dal comune o da qualche simpatizzante. Altre sopravvivono solo con gli incassi derivanti delle rappresentazioni. In generale, nel campo amatoriale, i componenti di una filodrammatica investono molto di tasca propria. Io

faccio parte di una compagnia che risiede a Lugano e ogni volta che vado alle prove devo spostarmi dal bellinzonese con la macchina come altri miei compagni che vengono da altre parti del Cantone: nessuno di noi chiede un rimborso. Inoltre confezioniamo i costumi, diventiamo operai e manovali per le scenografie, tecnici del suono e delle luci, persino truccatori... nessuno si tira indietro!» In quale misura è presente il dialetto negli spettacoli amatoriali? «Il genere dialettale è sempre molto apprezzato. Agli inizi della nostra Maratona le rappresentazioni in dialetto superavano quelle in lingua. Oggi non è più così. Tuttavia quelle che ci sono ancora riscontrano ampi consensi». Mediamente, quante rappresentazioni all’anno fa ogni compagnia? «Una decina: due o tre repliche «in casa» poi su altri palcoscenici ticinesi, del Grigioni Italiano e della vicina Italia. Ovviamente non si recita ogni fine-settimana. Una produzione può sopravvivere anche più di un anno, in particolare se partecipa alle varie rassegne organizzate in Svizzera e all’estero.» E quanto costa un allestimento? «I costi per una produzione variano in base al genere di spettacolo. Se non richiede particolari costumi e scenografie, si aggirano intorno ai 2000 franchi. Se però si organizza un giro di spettacoli in diverse piazze bisogna calcolare anche l’affitto delle sale, di solito sui 2-300 franchi nei paesi e nelle valli. In città sono molto più care. A ciò occorre aggiungere anche la stampa di manifesti e locandine che rappresenta un costo non indifferente». Come si arriva a partecipare alla Maratona? «Ogni autunno, le filodrammatiche affiliate alla FFSI ricevono un formulario d’iscrizione. Generalmente le proposte sono una dozzina e molto diverse fra loro».

Paolo Poli (morto a Roma lo scorso 25 marzo) è stato un artista davvero unico nel panorama teatrale italiano degli ultimi sessant’anni. I suoi spettacoli più applauditi (di cui ci restano alcune riprese video, vale a dire degli utili e dilettevoli simulacri di quelli dal vivo) non appartenevano a un genere codificato, sfuggivano a ogni tentativo di classificazione. Per vari aspetti erano tuttavia qualificabili, a mio parere, con l’aggettivo «parodici». Dei testi inscenati e interpretati dall’attore-autore-regista fiorentino, non pochi sono stati scritti con Ida Omboni, collaboratrice preziosa, capace d’intendere sia la sua repulsioneattrazione per certa drammaturgia borghese (si pensi alla versione parodica de La nemica di Dario Niccodemi) e ancor più per certa sotto-letteratura italiana (i romanzi di Carolina Invernizio, Pitigrilli, da Verona), sia le ragioni del suo amore per la fantasia e l’intelligenza corrosiva di autori settecenteschi come Swift (I viaggi di Gulliver, 1997) e Diderot (Jacques il fatalista, 2002). Dalla collaborazione con Ida Omboni è nata anche la celebre Rita da Cascia, che nel ’66 fece infuriare la Democrazia Cristiana – al punto di indurre il futuro presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro a formulare un’interrogazione parlamentare – e le cui repliche milanesi vennero interrotte dopo un intervento della polizia. Anche là dove non c’era riscrittura irriverente o rimaneggiamento ludico-burlesco di un’opera letteraria più o meno nota – anche quando il testo inscenato, cioè, non subiva modificazione alcuna: ad esempio le poesie di Giovanni Pascoli nello spettacolo Aquiloni (2012) – l’effetto parodico era rapidamente conseguito grazie al peculiare stile recitativo di Poli e alle meno peculiari ma consonanti prestazioni di un gruppetto di giovani attori-cantanti-ballerini, che erano in prevalenza dei maschi impegnati, al pari del primattore-regista (che era dichiaratamente omosessuale), anche in ruoli femminili. Uno stile recitativo antipsicologico, il suo, estremamente artificioso, sopra le righe, veloce o velocissimo: uno stile camp, che era già ben definito al tempo della Rita da Cascia, e che negli ultimi anni appariva sempre più sbrigativamente automatico, di maniera (così come appariva sempre più di maniera la struttura simmetrica dei suoi spettacoli, con la loro rigida alternanza di parti recitate e parti cantate). Non meno peculiare era il suo modo di interpretare le canzoni, presenti in numero rilevante nella maggior

Dove e quando

www.maratona-teatrale-si.ch Il compianto Paolo Poli. (Marka)

parte dei suoi spettacoli: ad esempio nel travolgente e direi quasi esemplare Mezzacoda (1978), il cui titolo si riferiva al pianoforte suonato da un’altra fedelissima e preziosa collaboratrice, Jacqueline Perrotin, compositrice di musiche originali e arrangiatrice di musiche altrui. (Mi pare doveroso aggiungere che negli spettacoli di Poli avevano grande importanza anche i coloratissimi e fantasiosi costumi di Santuzza Calì, le coreografie spiritose di Claudia Lawrence, le scene ironiche e fiabesche di Emanuele Luzzati). In questo spettacolo a mezza strada tra cabaret sofisticato e teatro da camera, Poli trascinava lo spettatore a velocità indiavolata e mozzafiato attraverso storie feuillettonesco-surreali che parodiavano i topoi romanzeschi di Pittigrilli e Guido da Verona, per scatenarsi infine in un’antologia di canzoni che rispecchiavano i modi di pensare e di sentire della piccola e media-borghesia italiana fra gli anni Venti e gli anni Cinquanta del secolo scorso. Dando corpo e voce, da solo, a diversi personaggi, e poi danzando, cantando e mimando – con mille smorfie, sorrisi, boccacce, strilli, moine, ammiccamenti e birignao – Poli irrideva la retorica della patria e della mamma, della ragazza onesta e della pecorella smarrita, dell’uomo forte che protegge paternamente la nazione, del socialdemocratico abbraccio tra ricco e povero in nome della pace sociale, dell’Occidente portatore di civiltà tra i «selvaggi». «Parodico» non è sinonimo di «satirico». Se è vero – come è stato detto e scritto da più parti – che la satira presuppone sempre che chi parla abbia ragione, che il satirico è più o meno consapevolmente animato da un intento educativo, e che la sua volontà di colpire il vizio tende a un ritorno all’ordine attraverso la punizione, allora non c’è dubbio che gli spettacoli di Paolo Poli non sono mai stati «satirici». Poli si sentiva ed era imparentato – per restare in Italia – con autori come Savinio e Palazzeschi, che furono, fra l’altro, degli ironisti e dei parodisti. A loro, non a caso, dedicò due dei suoi più deliziosi spettacoli: Il coturno e la ciabatta (1990) e Aldino, mi cali un filino? (2001). Il suo senso del ridicolo, la sua acuta consapevolezza dell’incommensurabile stupidità umana (di cui si sentiva in qualche misura complice), erano cosa diversa dalla sempre rinnovata, tormentosa e aggressiva indignazione del vero satirico (che secondo Walter Benjamin «è la figura sotto cui il cannibale fu accolto nella civiltà»). Tutto il teatro di Paolo Poli è nato dal desiderio espresso in un verso giovanile dell’amato Palazzeschi: «Lasciatemi divertire!».


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Cultura e Spettacoli

Delicata Lucinda Musica Lucinda Williams e i fantasmi dell’America «on the road»: la prolifica cantante country torna con un nuovo,

eccellente disco, che la conferma come una delle autrici più delicate e suggestive dell’attuale scena USA

Benedicta Froelich Benché il suo nome sia noto soprattutto agli appassionati del genere, le ultime annate discografiche hanno dimostrato in modo innegabile come la statunitense Lucinda Williams possa oggi definirsi una delle rappresentanti senz’altro più intriganti dell’attuale scena country-folk internazionale; seppur, di primo acchito, non risulti celebre e scoppiettante quanto le inossidabili Dolly Parton o Emmylou Harris, la 63enne Lucinda, che vanta una carriera ormai quarantennale, è infatti cantautrice particolarmente attiva e prolifica,

Per estro e sincerità Lucinda Williams meriterebbe la celebrità anche fuori dai confini nazionali come dimostra il fatto che quest’ultimo album giunge nei negozi a soltanto diciotto mesi di distanza dal precedente e acclamato Down Where the Spirit Meets the Bone. Non solo: il nuovo The Ghosts of Highway 20 è, a tutti gli effetti, un altro trionfo per la Williams – una prova che brilla non solo per magistrale songwriting, ma anche per un’interpretazione solenne e vibrante, in grado di trascendere il genere country per calarsi completamente nella più pura tradizione angloamericana.

Basta infatti inserire il CD nel lettore per ritrovare intatta la magia della voce densa ed espressiva di Lucinda, perfettamente a suo agio nelle scarne e riflessive atmosfere «folkeggianti» e nei delicati arrangiamenti di questo lavoro, con cui l’artista si cimenta in quello che è, a tutti gli effetti, un vero e proprio «concept album» di matrice roots. Infatti, per ammissione della stessa Lucinda, quasi tutte le canzoni della tracklist riguardano eventi della sua vita più o meno riconducibili alla Highway 20 (anche nota come Interstate 20), ovvero una delle innumerevoli autostrade che solcano le immense zone rurali degli States, lontano dai grandi centri urbani: in questo caso, una strada che, seppur non rinomata quanto la mitica Route 66, percorre una zona cruciale dell’America profonda, collegando, tra gli altri, la Georgia al Texas. Ciò spiega la grande uniformità melodica e compositiva dei brani del disco, e non solo; perché nella composizione e realizzazione di questo CD si notano una delicatezza, un rispetto quasi reverenziale e un’assoluta sobrietà, evidenti più che mai anche nell’interpretazione della Williams, quasi trattenuta e ossequiosa nei riguardi del materiale sonoro con cui è alle prese. A creare un effetto generale di grande grazia contribuiscono inoltre non poco le supreme chitarre di Bill Frisell e Greg Leisz, che impreziosiscono gli arrangiamenti asciutti e tuttavia evocativi di The Ghosts of Highway 20.

La cantautrice Lucinda Williams in occasione di un concerto al KKL di Lucerna. (Keystone)

Ecco quindi che un brano malinconico come Dust, prima traccia del CD, costituisce uno splendido incipit per quest’opera, conducendo fin dall’inizio l’ascoltatore nei meandri di sentimenti contrastanti, a metà strada tra una sottile inquietudine e quello struggente e lacerante rimpianto che costituisce il leitmotiv dell’intero lavoro. I Know All About It è, invece, una strascicata ballatona blues, del genere favorito da quella che Emmylou Harris definirebbe come una «Red Dirt Girl», ovvero una ragazza proveniente dal

vero entroterra dell’ovest degli Stati Uniti, quale anche Lucinda è; ma, pur trattandosi di un buon brano, tradisce forse l’unico, vero limite di quest’album – ovvero, il fatto che The Ghosts of Highway 20 tende a uniformare gli arrangiamenti in un’attitudine un po’ troppo da «lento», che a tratti assume quasi le caratteristiche di una litania leggermente monocorde: come accade anche con i pur poetici Place in My Heart e Louisiana Story. Tuttavia, brani come Death Came e l’intensa cover del classico di Spring-

steen Factory mostrano grande forza espressiva e perfino una sorta di energia primordiale, che vibra subito al di sotto della fine linea melodica – laddove Bitter Memory ci conduce invece nel gradevole regno del folk più easy listening e «leggero», che non guasta accanto alla riflessiva introspezione della maggior parte del disco. Inoltre, nonostante, come detto, il CD si distingua per un’atmosfera generale estremamente languida e rilassata, non mancano brani più ritmati, quali Doors of Heaven e il romantico Can’t Close the Door on Love – e, soprattutto, il piccolo capolavoro di tensione e pathos narrativo che è la title-track The Ghosts of Highway 20, la quale si rifà da vicino alla tradizione di classici del folk angloamericano come House of the Rising Sun e Poor Wayfaring Stranger. Ed è proprio quando si avvicina alla lezione offerta da simili capisaldi che Lucinda riesce a dare il meglio di sé: lo dimostrano pezzi dal sapore «antico» quali If My Love Could Kill e If There’s a Heaven, ma anche Faith and Grace, che, da parte sua, deve qualcosa anche a certo folk-rock anni ’90. Tutto ciò non può che confermare come questo nuovo sforzo della Williams sia destinato a essere annoverato tra i lavori più riusciti e rappresentativi della pur lunga carriera dell’artista – nella speranza che questa piccola gemma, destinata a brillare a lungo negli annali della cosiddetta «musica delle radici», renda infine il nome di Lucinda familiare ai più, ben oltre i confini degli States. Annuncio pubblicitario

Una chitarra poco ortodossa Concerti Al Sociale di Bellinzona il grande

improvvisatore Fred Frith, uno dei maestri che ha stravolto la storia della sei corde Sabato 16 aprile (ore 20.45) la bella sala del Sociale risuonerà di un esperimento musicale sicuramente molto originale. Il chitarrista inglese Fred Frith vi proporrà infatti un suo concerto in trio, in cui sarà accompagnato dalla violinista e cantante Mina Fred, dal percussionista Benjamin Brodbeck e dal chitarrista «creativo» Giancarlo Nicolai. Sotto il nome di Fred Frith Trio and Lost Frequency il gruppo proporrà un affascinante viaggio nel mondo dell’improvvisazione pura, un’avventura sonora che merita di essere affrontata e che suscita grande attesa. Il compositore, improvvisatore e polistrumentista inglese Fred Frith è una delle più importanti personalità della musica improvvisata e del rock progressivo. Deve la sua celebrità alla rivoluzione che portò nel modo di suonare la chitarra elettrica e la classica a partire dal 1974. È stato autore e improvvisatore in diversi gruppi rock quali Henry Cow e facendo musica in studio di registrazione. Ha composto molti temi per spettacoli di danza e per film, e ha collaborato fra gli altri con Brian Eno, John Zorn, Ensemble Modern, Hieronymus Firebrain, Arditti Quartet, Robert Wyatt, Bang on a Can All Stars, Concerto Köln e Rova Sax Quartet. Frith insegna improvvisazione libera al Mills College di Oakland, California e alla Musik Akademie di Basilea. A lui è dedicato il celebre documentario Step Across the Border di Nicolas Humbert e Werner Penzel. Il concerto è una collaborazione del Teatro Sociale di Bellinzona con

Non vi piacciono i progetti campati per aria? Ponete le fondamenta della vostra casa con le nostre vantaggiose ipoteche. Con la Banca Migros vi finanziate la casa a tassi vantaggiosi. bancamigros.ch oppure Service Line 0848 845 400. l’Associazione AMIT ed è iscritto nella stagione Tra Jazz e nuove musiche di Rete Due Rsi, con il sostegno del Percento culturale di Migros Ticino. Da notare che il 17 aprile, nella stessa sede (alle ore 17.00) si terrà il concerto finale del workshop «Fred Frith e l’Orchestra del Caso», organizzato da Amit e a cui prende parte una nutrita schiera di jazzisti ticinesi. Ricordiamo che la stagione jazz di Rete Due prevede nelle prossime settimane altri due appuntamenti di grande interesse. Il 21 aprile sarà infatti di scena a Biasca il gruppo dell’eccezionale batterista Antonio Sanchez, uno dei massimi percussionisti attualmente in attività. Allo Studio 2 della Rsi di Lugano si esibirà invece il 19 maggio il trio del pianista indiano Vijay Iyer, altro giovane elemento di spicco della scena jazz internazionale. Informazioni su: www.rsi.ch/jazz.


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Cultura e Spettacoli

Rosso a Berlino Berlino capitale del mondo Rosso di San Secondo visse alcuni anni a Berlino

senza tuttavia percepirne fino in fondo lo spirito di emancipazione

«luminaria abbagliante della réclame che ha tolto a molti palazzi barocchi la gravezza delle ornamentazioni per sostituirle con balconate di lampadine». Certo Rosso, pur avendo alle spalle soggiorni all’estero, è troppo invischiato con l’ideologia del regime fascista per cogliere e accettare quel sottofondo di emancipazione politica che il mondo nuovo, sia pure in forme estreme cercava di realizzare. L’introduzione alla raccolta di racconti Luce del nostro cuore pubblicata da Bompiani nel 1932, con molte pagine anche su Berlino, non fa mistero dell’entusiasmo che lo scrittore provava per Mussolini. Tuttavia il suo smodato e retorico ossequio verso il regime fascista non gli impedisce di cogliere, da buon anticapitalista romantico, gli aspetti eccitanti ma anche problematici della civiltà moderna a cui anche la sua drammaturgia sembra aderire. Autore di interessanti testi teatrali a cominciare dal noto Marionette, che passione!, opera molto apprezzata da Pirandello che ne promosse e favorì con successo la rappresentazione, Rosso mise al centro della sua ricerca crisi esistenziale e frantumazione della personalità, in un processo di rinnovamento della scena legato a Strindberg e all’espressionismo tedesco, con un linguaggio che alterna gestualità, grottesco e astrazione simbolica. Berlino, a sua volta, gli offre molti spunti per riflettere su una modernità che trasforma impulsi razionali in rigida organiz-

zazione, in un sistema affidato a ruoli e funzioni più che a singoli individui. Così nel dicembre del 1928 il più grande emporio berlinese diventa la scena dell’atto unico Wertheim: qui il drammaturgo mette a fuoco, in un puro disegno di balletto, il processo di mercificazione indotto in modo massiccio dalla civiltà dei consumi. Impietoso è il flash su quelle migliaia di metri quadrati di magazzino: «…sei o sette piani, millecinquecento scompartimenti, centoventi ascensori, settanta scale mobili». Ecco la megalopoli della merce dove si vende tutto il vendibile e non si lesina mai sui piaceri da offrire al pubblico: «Servizio di restaurant a ogni passo; orchestre, grammofoni, radio, giardini d’inverno». L’«ebbrezza religiosa» delle metropoli già evocata nell’Ottocento da Baudelaire, diventa ora una forma di ipnosi che trasforma gli attori di quella sconfortante commedia in automi. È il caso della giovane Else, la «signorina delle informazioni» a cui il pubblico dell’emporio Wertheim si rivolge. Del tutto disumanizzata, la ragazza risponde in modo automatico e impersonale e nella sua turbinosa rapidità muove le labbra anche quando tace, come un robot telecomandato. Il breve atto unico di Rosso di San Secondo stigmatizza un mondo in cui i rapporti umani degenerano in puro scambio e i sentimenti sono trattati alla stregua di merce. Perfino l’offerta di matrimonio

rivolta alla giovane da un suo ammiratore, è formulata in modo commerciale al punto da lasciare interdetta la stessa Else. Ci penserà la zia Katharina, presenza assidua e attenta, a concludere l’affare presentando la nipote come un oggetto in vendita: «Anni ventiquattro, altezza uno e sessanta, torace ottantasei, salute garantita, precisione andamento ménage adempimento funzioni matrimoniali. Disponibile subito». Ma Rosso di San Secondo guarda perplesso anche le giovani impiegate e cassiere che sognano di diventare ballerine o attricette in uno spettacolo di rivista, magari al Cabaret des Westens, e dopo il lavoro frequentano i locali del Nollendorfplatz o della Potsdammerstrasse: «Moralmente e fisicamente – afferma – si direbbero uscite dalla fabbricazione a serie d’una macchina frigorifera. La loro psicologia è infantile. (…) La loro freschezza è ingenua e piccolo-borghese». Forse si salva l’amica ballerina Hilde Bilder, la cui compattezza fisica s’avvicina a quella delle piante e degli animali, o la giovane Margarethe nel racconto Si ride: una ragazza che «si è fatta un’epidermide color banana, si è come rivestita di una guaina impermeabile, ha temprato la sua anima a somiglianza del suo corpo». La nuova Valchiria trascorre le vacanze in tenda sulle rive del Müggelsee a ridosso di Berlino, dove la consistenza del suo corpo sembra fare tutt’uno con la flora circostante. Sulla scena berlinese Rosso scova figure anfibie, ermafrodite, che difendono la naturalezza contro l’artificiosità e l’alienazione della vita urbana. Non a caso Hilde gli appare come un’ondina «tutta tremolii e frusci» che scuote le fronde della sua verdissima giovinezza. L’ambiente straniero suscita in quell’originale siciliano esotiche fantasie e offre mille occasioni per sviluppare inediti percorsi in cui l’attenzione ai dettagli e alle novità sconfina con gustoso senso narrativo in mitiche avventure. C’è un tratto regressivo, quasi una forma di difesa dal mondo moderno, avido e affarista, che trova nella natura il suo più diretto e rasserenante interlocutore; la quale, nelle pagine di Rosso, trasforma la propria esuberanza e gioia in una varietà sorprendente di erbe e fiori, fra rose thea, verbene e gerani. Un sogno che profuma di Sicilia fra le sabbie del Brandeburgo.

Steps Rassegna di danza Teatro Dimitri, Verscio Venerdì 22 aprile, ore 20.30

Steps Rassegna di danza Teatro Sociale, Bellinzona Domenica 24 aprile, ore 17.00

Chi è di scena? Rassegna teatrale Teatro Sociale, Bellinzona Mercoledì 27 aprile, ore 20.45

Jazz a Primavera Rassegna musicale Osteria Centrale, Olivone Domenica 1 maggio, ore 17.00

Rising

Força Forte

Bianco su bianco

Yves Theiler Trio

Aakash Odedra Company

Coreografia Gilles Jobin Musica Franz Treichler Luci Gilles Jobin, Marie Predour Ambiente virtuale Gilles Jobin Motion capture Artanim Geneva Ballerini Gilles Jobin, Susana Panadés Diaz.

Scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca Con Helena Bittencourt e Goos Meeuwsen Regia, codesign luci, coreografie e Firefly Forest: Daniele Finzi Pasca Musiche, sound design e codesign delle coreografie: Maria Bonzanigo.

Yves Theiler, tastiere Luca Sisera, basso Lukas Mantel, batteria

www.steps.ch

www.teatrosociale.ch

www.musibiasca.ch

Luigi Forte

Concorsi

È rimasto proverbiale il casuale incontro a Berlino nel 1928 fra due scrittori italiani, il calabrese Alvaro e il siciliano Rosso di San Secondo. «Come mai, Rosso, qui?», gli chiede incuriosito il primo. E l’altro di rimando: «Sto qui perché è centrale. Stoccolma, Parigi, Mosca, Londra, Zurigo, tutti vicini. È centrale». Pensava infatti di trovarsi nel punto d’incrocio dello spirito europeo, in una specie di Gerusalemme letteraria. E non ebbe difficoltà a creare quasi un mito geografico, in contrasto con i colori della sua terra natale, la campagna di Caltanisetta dov’era nato nel 1887, esaltando come caratteristiche del nord la luce pallida, la forza di volontà, la tensione dell’intelletto. Egli immagina Berlino come un’enorme nave disancorata dalle sabbie su cui riposa, con i tentacoli della metropoli che avvolgono i laghi e invadono le selve. Ma la natura, almeno nella fantasia dello scrittore, non tarda a prendere il sopravvento. È il volo di uccelli notturni che da parchi e boschi circostanti trasvolano verso il folgorìo della città per spazzare ogni fiato maligno riempiendola di fragranze. Come se tornasse alle selve da cui era nata trasfigurandosi agli occhi incantati dell’osservatore straniero, per poi balzare, un attimo dopo, sulla scena della modernità «nello snodarsi dei suoi centomila treni (...), nella veemenza incalcolabile delle sue velocità». Con accenti modernisti Rosso sembra prospettare una sintesi fra natura e cultura, fra primitiva soavità e Zivilisation, come nemmeno i tedeschi avevano osato immaginare. È un sentimento forse comune agli intellettuali italiani che s’aggirano in quegli anni per Berlino. Anche dai reportage di Rosso di San Secondo, scritti fra il 1928 e il 1932 per «La Stampa» e per «Il secolo XX», emerge la forte tensione di una metropoli che «danza sul vulcano», divisa fra americanismo e bolscevismo, strisciante dittatura e lotta per la democrazia. Una città in preda a una frenesia spesso meccanica e vuota, come quella dei grandi centri commerciali, popolata da nuove generazioni e da un pubblico femminile mondano e antisentimentale. Anche nelle novelle scritte durante il suo soggiorno si coglie non di rado una certa perplessità di fronte ai nuovi scenari urbani con la

Lo scrittore siciliano Rosso di San Secondo, a Berlino negli Anni Venti.

Il programma presentato dal solista Aakash Odedra, ballerino e coreografo inglese, sembra una scatola delle meraviglie. Aakash Odedra fa parlare il proprio corpo in modo superbo, passando da piroette infuriate e selvagge a gesti di estrema dolcezza e morbidezza. www.steps.ch

091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle12.00

Agenda dall’11 al 17 aprile 2016

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Concerti in San Martino Altus Trio Trio con pianoforte Ronco sopra Ascona 12 aprile 2016, ore 17.00 Festival di letteratura per ragazzi Storie controvento Vari luoghi del Cantone 13-16 aprile 2016 Questo festival di letteratura è stato pensato e organizzato per i lettori più giovani (v. articolo pag. 4) www.storiecontrovento.ch

900presente Kurt Weill L’opera da tre soldi Lugano, LAC 14 aprile 2016, ore 20.30 www.conservatorio.ch Le forze del Conservatorio della Svizzera italiana, dell’Accademia Teatro Dimitri e del DACD della SUPSI si confrontano quest’anno nel consueto spettacolo transdisciplinare per la stagione «900presente» con una delle opere più conosciute del teatro musicale del Novecento: L’opera da tre soldi. Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche Facebook percento-culturale.ch e

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 13 aprile al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!


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Idee e acquisti per la settimana

Torta di asparagi Per 4 porzioni

D’attualità

Ingredienti 1 pasta sfoglia Rustico rettangolare già spianata di 320 g 4 cucchiaini di pasta d’olive nere 500 g di asparagi verdi 80 g di pomodori secchi sott’olio, ad es. pomodori cherry 100 g di taleggio pepe 2 rametti di maggiorana

Aprile/Maggio

I primi asparagi dell’anno garantiscono un piacere incomparabile, soprattutto se sono stati coltivati nella nostra regione. Gli asparagi ticinesi vengono raccolti dalla fine del mese di aprile. Migros offre già una vasta scelta di asparagi, dalle varietà bio a quelle sciolte verdi e bianche fino alle punte, attualmente tutti di provenienza europea. La domanda è talmente elevata che non è possibile soddisfarla esclusivamente con i prodotti indigeni.

Preparazione Scaldate il forno a 220 °C. Srotolate la pasta e accomodatela su una placca da forno capovolta con la carta da forno. Spalmate la pasta di olive sulla pasta lasciando libero un bordo di ca. 1 cm. Pelate il terzo inferiore degli asparagi e spuntateli. Dimezzate gli asparagi per il lungo, metteteli in una scodella e mescolate con poco olio dei pomodori. Tagliate il taleggio a dadini. Accomodate gli asparagi e i pomodori sulla pasta. Condite con il pepe. Cuocete la torta al centro del forno per ca. 10 minuti. 2 minuti prima di fine cottura, distribuite il formaggio sulla torta e terminate la cottura. Sfornate, guarnite con le foglie di maggiorana e servite. Tempo di preparazione 10 minuti + cottura in forno ca. 10 minuti Per una porzione 12 g di proteine, 38 g di grassi, 38 g di carboidrati, 2092 kJ/500 kcal

Salvatore Romeo con i suoi asparagi verdi che saranno disponibili nei supermercati di Migros Ticino a partire dalla fine del mese di aprile.

Asparagi verdi

Asparagi bianchi

Salvatore Romeo

Alla Migros poche ore dopo la raccolta Salvatore Romeo, dove coltiva i suoi asparagi verdi?

uno speciale coltello che non danneggia gli altri turioni.

Sul Piano di Magadino, in un piccolo appezzamento di terreno di ca. 3500 metri quadri.

Il nostro clima è ideale per la crescita di questi ortaggi?

Quando inizia a raccoglierli?

Se il tempo non fa le bizze la raccolta può avvenire già a partire dalla seconda metà di aprile. E se tutto va per il meglio le ultime raccolte le effettuo ancora alla metà di giugno. Come vengono raccolti gli asparagi?

Al mattino presto, col fresco, rigorosamente a mano uno a uno per mezzo di

Direi proprio di sì. Inoltre gli asparagi sono relativamente facili da coltivare, non richiedono troppo lavoro e nemmeno trattamenti particolari. Cosa li caratterizza?

Rispetto a quelli d’importazione, i miei asparagi sono di un calibro più piccolo e risultano più teneri, tanto da poterli consumare anche crudi, semplicemente aggiunti ad una bella insalata di stagione.

Testo Claudia Schmidt; Foto Cucina di stagione, Martin Mischkulnig; Illustrazioni Olivia Aloisi

I primi asparagi verdi nostrani dell’orticoltore Salvatore Romeo giungeranno alla Migros verso la fine di aprile, gli ultimi alla metà di giugno

Punte d’asparagi verdi

Punte d’asparagi bianchi

Cipollotti Lattughino Ricette di

www.saison.ch


Premi in palio Domanda del concorso: Che cos‘è un looping? Il classico giro della morte (un cerchio disposto in verticale) delle montagne russe Una bevanda a base di succo di frutta Una specie di scimmie proveniente dal Madagascar

o nel parco Un soggiorno da sogn ato d'Europa divertimenti più am Park con Due giorni all’Europazione inclusi pernottamento e cola tematici a in uno dei due hotel rno del parco quattro stelle all'inte bambini. per due adulti e due

Ulteriori premi persone) (al massimo quattro lie ig m fa r pe si rk. es gr 25 in sierata all'Europa-Pa en sp ta na or gi a un e per trascorrer mbre 9 alle 18 fino al 6 nove erto tutti i giorni dalle ap è le rk te -Pa Tut pa . ne uro l'E gio Stagione estiva: gati durante l'alta sta eventualmente prolun ropapark.de 2016. Orari di apertura 37 oppure su www.eu nibili allo 0848 37 37 po dis no so i on azi inform

Chi conosce la risposta giusta?

Basta andare su Internet fino a domenica 24 aprile 2016 e cliccare su www.lilibiggs.ch/avventura. In bocca al lupo! Possono partecipare le persone residenti in Svizzera. I premi non vengono corrisposti in contanti. Condizioni di partecipazione dettagliate su www.lilibiggs.ch.

1° premio


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Il Centro S. Antonino vi invita al 6° slowUp Ticino Eventi Domenica 17 aprile la ristorazione del Centro S. Antonino sarà aperta dalle 09.30 alle 17.30

mo le esibizioni di bike trial con Pascal Benaglia (nella foto), fra i più forti specialisti a livello nazionale. Per il secondo anno, «Strade più sicure» – programma del Dipartimento delle istituzioni volto a promuovere la sicurezza stradale, con la Polizia cantonale organizzerà un percorso di abilità dove i bambini potranno testare la propria padronanza della bici e la conoscenza delle regole della circolazione stradale. Saranno inoltre previste attività di disegno, la presentazione dei mezzi della Polizia cantonale e un furgone per il controllo della vista. SportXX Migros oltre che essere presente con una postazione «officina» per le piccole riparazioni gratuite, presenterà le novità 2016 del settore biciclette da passeggio, mountain bike e le sempre più apprezzate e-bike, già in vendita presso lo SportXX Migros del Centro S. Antonino (stabile OBI), che per l’occasione si potranno testare. Novità proposta da SportXX, la soluzione per la sicurezza personale «Ice Key» in caso di emergenza. Per l’occasione vi invitiamo a ritagliare, compilare e imbucare nell’urna presente allo stand SportXX, il tagliando del concorso (vedi a fianco). Sarà presente lo stand di Activ Fitness che informerà tutti gli interessati sulle offerte dei Centri di Lugano e di Losone. Per tranquillizzare tutti coloro che vorranno privilegiare il pranzo con grigliata sulla terrazza al Ristorante Migros con animazione musicale, non sono richieste riservazioni e il ristorante sarà aperto anche a coloro che non parteciperanno a slowUp. Infine, vi anticipiamo che tutti i negozi del Centro S. Antonino saranno aperti domenica 24 aprile in occasione dei festeggiamenti del 30° anniversario. Sulla prossima edizione vi illustreremo il programma dettagliato.

DA IMBUCARE ALLO STAND SPORTXX. BUONA FORTUNA!

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Sono già moltissimi coloro che si sono segnati in agenda per domenica prossima l’appuntamento con la sesta edizione di «slowUp Ticino». Attorno alle 90’000 persone è la somma dei partecipanti dei primi cinque anni di questa bellissima manifestazione che attira sempre più gli amanti delle passeggiate in bicicletta, a piedi o con i pattini a rotelle. Essendo il primo appuntamento stagionale di una lunga serie di 19 tappe che toccheranno i vari angoli della Svizzera per concludersi a fine settembre sul lago di Zurigo, lo slowUp Ticino attira sempre più presenze sia di confederati che di fans della mobilità lenta e del movimento che giungono da oltre confine. I 50 chilometri di strade chiuse al traffico motorizzato (dalle 10.00 alle 17.00) attraverso tutto il Piano di Magadino, da Locarno a Bellinzona, sono un’occasione unica! Migros crede molto nel progetto slowUp e lo sostiene attivamente da anni dando visibilità al progetto «Generazione M» (www.generation-m.migros.ch). Quale ideale porta d’entrata al percorso per chi giunge da più lontano in automobile, suggeriamo di raggiungere i posteggi del Centro S. Antonino e da lì immettersi sul percorso in direzione di Cadenazzo e Gudo per poi scegliere se dirigersi verso il Locarnese o risalire il piano in direzione di Giubiasco e Bellinzona. Per rendere più confortevole la partenza, il finale o la pausa pranzo, il Ristorante Migros e il bar Caffè Spettacolo, saranno aperti dalle ore 9.30 alle 17.30. Le animazioni inizieranno alle ore 10.00, in particolare nel parco del Centro S. Antonino le famiglie con bambini troveranno da che divertirsi presso la zona Famigros dove saranno distribuiti migliaia di simpatici regalini per tutti i graditi visitatori. Fra le novità segnalia-

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Nelle foto alcuni momenti della passata edizione di slowUp Ticino.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 11 aprile 2016 ¶ N. 15

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Idee e acquisti per la settimana

Tutta la bellezza dei gerani ticinesi Attualità Nei reparti fiori e Do it + Garden Migros sono arrivati i gerani ticinesi in diversi colori da trapiantare.

Sono prodotti dalla fioricoltura Martinelli di Sementina Azione 50% sui gerani ticinesi dal 12 al 18.04 (la pianta Fr. 1.85 anziché 3.70)

In primavera e estate il protagonista assoluto di balconi, terrazzi e giardini è sicuramente il geranio. Scegliendo i gerani prodotti nella nostra regione potete esser certi di optare per dei prodotti di qualità elevata, giacché vengono coltivati nelle migliori condizioni possibili. Presso l’azienda Martinelli di Sementina il processo di produzione inizia già verso la fine dell’anno quando le piantine giovani sono trapiantate nei vasetti. Successivamente sono poste sui bancali una accanto all’altra affinché inizi la radicazione. Da gennaio il geranio inizia a crescere anche in volume fogliare e a febbraio tutte le piantine vengono spostate in altre serre e distanziate di una ventina di centimetri l’una dall’altra per garantire una crescita ottimale. Tutte queste attenzioni fanno sì che le piante di geranio siano già ben acclimatate e non subiscano inutili stress. «Le specie di geranio più conosciute e coltivate – spiega Ivan Martinelli, titolare dell’azienda di Sementina – sono lo zonale (o geranio comune), dal fogliame peloso e cuoriforme con caratteristico anello; e il geranio edera dalle foglie peltate lucide e carnose e fusti ricadenti». Alcuni consigli per la cura? «Il geranio preferisce le zone soleggia-

te, anche se vive bene in mezz’ombra: durante l’estate, infatti, una prolungata esposizione al sole può deteriorare la pianta. Le innaffiature devono essere regolari per tutta la stagione riproduttiva: in primavera si annaffia circa tre volte alla settimana, a seconda delle condizioni climatiche locali, mentre d’estate anche tutti i giorni. Tuttavia non bisogna eccedere, perché troppa

acqua potrebbe far marcire la pianta. Bisogna pure aver cura di non bagnare le foglie. Importanti per ottenere una fioritura rigogliosa sono le concimazioni, da effettuare ogni 2 settimane circa. Quando i fiori cominciano a seccare è necessario cimarli, tagliando fino alla base del rametto fiorifero: in questo modo, la pianta continuerà a rifiorire», conclude Ivan Martinelli.

Berliner alla vaniglia e al cioccolato

Ivan Martinelli rifornisce Migros Ticino dei suoi gerani. (Flavia Leuenberger)

Lo snack di vero formaggio Groksì Deciso 5x15 g Fr. 4.80

Con il caffè, come dessert oppure sotto forma di dolce spuntino tra i pasti, i berliner Migros sono da sempre molto gettonati da grandi e piccoli golosoni. Questi «bomboloni» fritti di pasta lievitata dolce e farciti sono stati inventati da un pasticcere berlinese nella metà del

1700, anche se a Berlino sono conosciuti con il nome di «Pfannkuchen». Giovedì 14 e venerdì 15 aprile presso la filiale Migros di S. Antonino, e giovedì 21 e venerdì 22 aprile presso quella di Serfontana, è prevista una vendita speciale dove i fan dei berliner potranno portarsi

a casa il loro dolce preferito scegliendo tra le due irresistibili farciture crema alla vaniglia e crema al cioccolato. Sempre disponibile nell’assortimento Migros è ovviamente la variante di berliner con farcitura alla marmellata di lamponi.

Un innovativo e saporito spuntino entra a far parte dell’assortimento di Migros Ticino: Groksì, delle genuine cialde croccanti di vero Grana Padano DOP cotte al forno, non fritte, prive di conservanti aggiunti e additivi. Questo prodotto originale, gustoso, ad alto valore nutrizionale e di facile digestione,

è disponibile in una pratica confezione da 5 x 15 grammi e si conserva fuori frigo. Una monoporzione è ricca di calcio, fosforo e proteine. Oltre alla sua genuinità, Groksì è inoltre naturalmente senza glutine e, grazie alla stagionatura del formaggio e al processo di cottura, è anche privo di lattosio.


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Idee e acquisti per la settimana

Un formaggio di carattere Novità Al reparto formaggio dei maggiori supermercati Migros è in vendita il Castelmagno Alpeggio DOP Prodotto esclusivamente nel comprensorio di Castelmagno, in provincia di Cuneo, in Piemonte, al di sopra dei 1000 metri di quota, il Castelmagno Alpeggio DOP è un formaggio di latte vaccino crudo con possibili aggiunte di latte ovino o caprino. È prodotto da secoli: la prima notizia sul Castelmagno è addirittura datata 1277. È un formaggio dal sapore vigoroso a pasta rotta: ciò significa che la cagliata viene frantumata, sminuzzata e pressata per due volte. Matura lentamente per almeno 60 giorni in stagionatura di montagna. Possiede una pasta friabile, granulosa e asciutta, che con il tempo sviluppa naturalmente qualche striatura di muffa, molto apprezzata dagli intenditori. La crosta invece risulta liscia e sottile quando fresca per poi assumere un aspetto rugoso di colore ocreo-brunastro con l’avanzamento della stagionatura. Il Castelmagno Alpeggio DOP si gusta da solo con miele di montagna e pane rustico, ma è particolarmente apprezzato come condimento di risotti, paste e gnocchi.

Castelmagno Alpeggio DOP 100 g Fr. 4.85

Flavia Leuenberger

Il potere dell’Acqua alle Rose

Tentazioni alle fragole Acqua alle rose Crema viso antietà notte 50 ml Fr. 15.90

Acqua alle Rose è da sempre l’elisir di bellezza più amato dalle donne. La linea si è allargata con l’introduzione delle creme viso e dell’acqua micellare e di recente di due novità: la crema viso notte e la crema viso antirughe. La crema viso notte per una pelle più compatta, tonica e rigenerata è a base di acqua distillata di rosa gallica dalle proprietà lenitive e tonificanti, olio di rosa mosqueta, ricco di vitamina

Acqua alle rose Crema viso rassodante antirughe 50 ml Fr. 15.90

A e acidi grassi essenziali, olio di Argan e burro di Karité, ricchi di agenti antiossidanti dagli importanti effetti anti-età, acido ialuronico e ceramidi, naturali componenti della pelle che rafforzano la barriera idro-lipidica riducendo la perdita di acqua. L’olio di rosa mosqueta nutre e rinnova i tessuti favorendone il rinnovamento durante il sonno e le ceramidi rinforzano la barriera cutanea. La crema viso

antirughe è a base di acqua distillata di rosa gallica dalle proprietà lenitive e tonificanti, estratti di rosa damascena, ricca di flavonoidi ad azione antiossidante, Olio d’Argan ricco di agenti antiossidanti che rallentano la formazione delle rughe e proteggono la pelle dai radicali liberi, per un effetto anti-età. Il risultato sarà un viso più giovane, tonico e dall’aspetto compatto.

Come soddisfare la voglia di golosità fatte con i frutti di stagione? È facile, basta recarsi in uno dei Ristoranti o banchi pasticceria Migros, dove vi attendono diverse creazioni artigianali a base di fragole e frutti di bosco. Grazie alla loro versatilità e al loro aroma intenso, le fragole sono tra i frutti più amati dai consumatori, sia al naturale che come ingredienti principale in moltissime ricette diverse. I pasticceri del laborato-

rio artigianale di Migros Ticino hanno trasformato questi frutti freschi in irresistibili dessert per la gioia di ogni palato: dalla crema alle fragole al trancio di fragole panna; dall’eclaire con fragole al wrap alle fragole; dalla fetta di torta di pan di spagna e fragole alla torta s. honoré alle fragole fino alla tarteletta alla fragola, alle mini mousse fragola/limone e panna cotta/fragola e alla cialdina ai frutti di bosco.


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Idee e acquisti per la settimana

M-Classic

Un hamburger che è anche una pizza I giocatori incalliti non scendono a compromessi. Perché dovrebbero scegliere tra pizza e hamburger quando possono averli entrambi? Con gli hamburger-pizza di M-Classic ecco arrivare lo spuntino perfetto per una serata tra uomini. E quello che hanno da offrire non è certo un bluff: una base di pizza croccante, aromatica salsa di pomodoro e succosa carne di manzo svizzera, il tutto arricchito con mozzarella e pezzetti di cipolle e cetrioli. Il nuovo modo di gustare un hamburger… O una pizza…

Azione

20x Punti Cumulus

Foto e Styling Claudia Linsi

fino al 25 aprile

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche gli hamburger-pizza di M-Classic.

Gli hamburger-pizza accontentano sia gli amanti della pizza che quelli degli hamburger.

M-Classic Hamburger Pizza surgelati, 2 x 120 g Fr. 4.40


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Idee e acquisti per la settimana

Café Zaun

Marca propria con una lunga storia Il caffè è uno dei sei prodotti presenti già sui primi furgoni Migros del 1925. Come tutti sanno, il fondatore della Migros Gottlieb Duttweiler amava a tal punto questa bevanda che in gioventù

era andato perfino a fare in coltivatore di caffè in Brasile. Poco tempo dopo averlo inserito nella gamma dei prodotti, introdusse in Svizzera anche il decaffeinato Café Zaun, come conveniente

alternativa al costoso Caffè Hag. Ancora oggi questa variante senza caffeina è molto popolare e le confezioni originali sono ricercatissime dai collezionisti e vengono perfino battute all’asta. Retroscena

Zero caffeina, tanto gusto Per estrarre la caffeina dal Café Zaun, i chicchi essiccati vengono nuovamente inumiditi prima di essere tostati, in modo da aprirne i pori. In seguito, si estrae quasi completamente la caffeina usando una soluzione organica. Ma cosa contraddistingue un decaffeinato a livello di gusto? Secondo Philipp Meier, già campione svizzero di caffetteria, oggi specialista di caffè per la Delica: «Chi non prova ogni giorno diversi caffè a scopo professionale, quasi non riesce a distinguere la differenza. Il modo migliore di assaporare il Zaun è in versione “caffè lungo” oppure mischiato al latte. È invece poco adatto per essere bevuto come espresso».

Fino a poco tempo fa il Café Zaun era disponibile sotto il marchio M-Classic. Ora l’imballaggio è stato rinnovato, mentre la formula della miscela è rimasta invariata.

2016

1930

Café Zaun UTZ macinato, 250 g Fr. 3.75 Disponibile anche in grani per Fr. 3.65

1980

1950

La sigla UTZ certifica una coltivazione rispettosa dell’uomo e della natura, che consente agli agricoltori di aumentare raccolti e redditi.

Illustrazioni illumueller.ch

Parte di

1960

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche il Café Zaun.


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Idee e acquisti per la settimana

Scopri online chi trova il grande amore grazie a Risoletto.

Scopri online perché Angela era al settimo cielo.

Risoletto Classic 5 barrette, 210 g Fr. 4.60

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La Migros produce in proprio circa 10’000 articoli. Molti di loro sono protagonisti di storie di vita Chi non ha un prodotto preferito? Non di rado esso è legato a momenti o incontri particolari. Dai nostri clienti ci giungono continuamente aneddoti simpatici ed emozionanti che hanno come protagonisti i prodotti Migros. In questa nuova serie di «Noi firmiamo, noi garantiamo» vogliamo darvi la possibilità di raccontare le vostre storie sul nostro sito Internet. La maggior parte dei prodotti prediletti dalla clientela sono realizzati nelle indu-

strie della Migros in Svizzera e molti sono da tempo diventati veri e propri oggetti di culto. La loro grande popolarità non prova solo che i marchi Migros incontrano il gusto dei clienti, ma anche la loro immutata alta qualità e un prezzo sempre conveniente. Due interessanti storie sui prodotti Migros prediletti le potete leggere in questo numero di Azione, a pagina 48 e 50. Buona lettura!

Erich ha vissuto quasi 90 anni senza cioccolato, ora non può star senza. Scopri il motivo a pagina 50. Frey Pralinor 100 g Fr. 2.05

Gelida sorpresa per la famiglia Poretti? Leggi la storia a pagina 48. Gelato alla panna Vaniglia 12 x 57 ml Fr. 7.20


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Idee e acquisti per la settimana

Monica Poretti di Bellinzona

Quando la foca arrivò in montagna Più di 40 anni fa, la bellinzonese Monica Poretti andò in vacanza in montagna con tutta la famiglia. Le sono rimasti i ricordi di un soggiorno senza lussi e di una merenda davvero speciale Testo Simona Sala; Foto Paolo Dutto

1 Negli Settanta, qualche giorno prima che le scuole chiudessero i battenti per la lunga pausa estiva, molte famiglie ticinesi iniziavano già a fare i bagagli per la villeggiatura. In un’atmosfera pre-vacanziera, si preparavano cibi e vestiti da portare sull’alpe, per soggiornare in semplici rustici di pietra. Come tante ragazzine, anche Monica Poretti era in preda all’eccitazione della partenza. E come molte altre famiglie del Bellinzonese, anche i Poretti possedevano un rustico sui Monti di Claro che sovrastano il capoluogo ticinese, a 1000 metri di quota. All’epoca, le ferie in montagna non erano come quelle d’oggi. Innanzitutto perché le casette degli alpeggi sui Monti di Claro si potevano raggiungere solo a piedi. «Era sempre una passeggiata meravigliosa. Per noi bambini, il più bel momento della salita era l’arrivo al monastero di Claro, dove compravamo un pacchetto di biscotti delle suore di clausura. Le udivamo parlare e, ogni anno, cercavamo disperatamente vederle, ma non ci siamo mai riusciti», racconta Monica Poretti, che nel frattempo è diventata maestra d’asilo e oggi è vicedirettrice di una scuola d’infanzia a Bellinzona. I papà facevano i pendolari

Il rustico di famiglia non possedeva alcun confort. Non c’erano né acqua corrente né elettricità. Eppure, nei ricordi di Monica l’alpe è il paradiso terrestre. Durante le lunghe, calde giornate estive, i bambini delle casette nei dintorni si ritrovavano per giocare, ogni tanto si aiutava la mamma nei lavori domestici. Di sera si radunavo tutti in una radura, dove le mamme chiacchieravano e i bambini giocavano nell’oscurità, facendo attenzione a non scontrarsi con le vacche al pascolo o a non inciampare nello sterco di mucca. I papà, invece, dopo aver accompagnato donne e bambini in montagna, tornavano al lavoro a valle. Durante l’estate facevano i pendolari del fine settimana e ogni venerdì sera risalivano sull’alpe carichi di provviste. Ogni sabato mattina, alle sette in punto, Monica Poretti veniva svegliata dal rumore della teleferica da carico. A manovrarla da valle era l’«Ernestin», che spediva merci e generi alimentari all’altro capo del filo, dove a prenderli in consegna c’era il «Dori». «Ogni sabato,

la teleferica funzionava ininterrottamente fino alle undici», ricorda Monica. Ad esempio, il pane arrivava sull’alpe appena sfornato. La mamma ne dava subito un pezzo ai bambini, mentre il resto veniva chiuso in un sacco e appeso in cantina, perché doveva durare l’intera settimana. La villeggiatura di Monica Poretti e dei suoi compagni di giochi scorreva sugli stessi binari giorno dopo giorno, fino a un sabato pomeriggio dell’agosto 1975. Quel giorno, Monica e i suoi fratelli sedevano a tavola aspettando la merenda. Quando, di colpo, la teleferica si mise in moto. I sei bambini si guardarono con stupore, perché di solito di pomeriggio non funzionava mai. «Il miglior gelato del mondo»

Improvvisamente il «Dori» irruppe nella stanza. «Aveva in mano una scatola azzurra. La mise sul tavolo senza parlare e l’aprì sotto i nostri occhi. Dentro, perfettamente allineati come soldati, apparvero dieci invitanti gelati alla vaniglia con la foca stampata sulla confezione». I bambini quasi non credevano ai propri occhi. Sull’alpe, il gelato non ce n’era mai stato nonostante la canicola. «Ed ora, ognuno stringeva in mano un gelatino con la foca della Migros. Per noi bambini fu una sorpresa straordinaria». Chiamarono gli amichetti che giocavano sul prato adiacente e si spartirono quei gelati alla vaniglia ricoperti di cioccolato. «Benché ormai si fosse già fuso e trasformato in frappè, per noi era il miglior gelato del mondo». I bambini conservarono addirittura la carta degli imballaggi. Per mantenere vivo il ricordo di quella sorpresa, fecero un quadro che è tuttora appeso alla parete della cucina del rustico sui Monti di Claro. Infatti, il ricordo del gelato con la foca arrivato in teleferica quella calda giornata d’estate è ancora nitido in tutti i presenti di allora. Ed ogni volta che questo dessert compare nel menu della sua scuola d’infanzia, Monica si rammenta di quelle vacanze estive del 1975, senza lussi ma con un gelato alla vaniglia. Poi, con il solito buonumore scoppia a ridere: «Se devo essere sincera fino in fondo, confesso che il gusto di vaniglia mi piaceva da bambina, ma oggi preferisco la versione al cioccolato con gli orsetti sull’imballaggio».

1 Negli anni Settanta Monica Poretti (quarta da sinistra) con sua madre e gli amici durante una vacanza. 2 Ancora oggi Monica Poretti (la seconda seduta da sinistra) e la sua famiglia amano godersi un gelato alla vaniglia della Migros. Un momento legato a un bellissimo ricordo.

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Idee e acquisti per la settimana

Eric Aeschbacher da Krattingen

Un dolce e tardivo amore Durante la maggior parte della vita di questo pensionato, la cioccolata era stata un lusso. Oggi non può più fare a meno della sua porzione quotidiana di Pralinor Testo Jacqueline Vinzelberg; Foto Mara Truog

Senza cioccolato Erich non va a letto. Eppure ci ha messo quasi 90 anni a scoprire la sua dolce passione, che oggi celebra con gustosa allegria. Erich Aeschbacher ha compiuto 103 anni lo scorso gennaio. Ad 80, l’arzillo vecchietto si era trasferito da Aarau nella casa di cura per anziani Oertlimatt a Krattingen (BE), dove nel frattempo è diventato non solo l’ospite più longevo ma anche l’abitante più anziano del comune bernese. Quando gli si chiede la ricetta della sua longevità in buona salute risponde con piglio serio, unito a una punta di malizia: «La fede in Dio, una sana alimentazione preferibilmente vegetariana, niente alcool né nicotina». Come spiega lui stesso, l’appartenenza

alla chiesa libera protestante e la predilezione per il buon cibo vegetariano sono le ragioni principali per cui non si è trasferito in una casa di riposo nel suo cantone d’origine, Argovia, ma quaggiù. Per lui, ex decoratore e tappezziere, la cioccolata non ha avuto alcuna importanza per gran parte della vita. Rientrava tra i lussi, cui questo uomo umile rinunciava. «Da mia mamma ogni tanto ricevevo un po’ di cioccolata, ma molto raramente», ricorda. Erich si rammenta perfettamente anche del furgone della Migros che regolarmente si fermava sulla strada. Ma di cioccolato non ne aveva mai comprato. «Non ricordo più quanti anni avessi di preciso, ma avevo abbondantemen-

te superato gli ottanta, quando per la prima volta afferrai una confezione di Pralinor mentre facevo la spesa alla Migros», racconta con un sorriso. «Mi piacque in un modo straordinario». E Susanne Fink, la sua badante alla Oertlimatt, aggiunge ridendo: «Se ne parlò a lungo in tutta la casa di riposo!». Quando gli altri ospiti gli chiedono cosa desidera per regalo nei giorni di festa, come ad esempio per compleanno, Erich Aeschbacher non deve pensarci su molto: qualche tavoletta di Pralinor, in modo da non intaccare le sue scorte. Del tutto inutile ogni tentativo di fargli scegliere un altro tipo di cioccolato, racconta Susanne Fink. Anche il figlio di Erich, che una volta al mese viene a trovarlo

benché lui stesso abbia quasi 80 anni, porta sempre con sé qualche tavoletta di Pralinor. Spesa settimanale alla Migros

La cioccolata, però, non è l’unica debolezza di Erich. Per lui è sempre stato importante mantenere il più possibile in forma la mente e il corpo. Un tempo era un appassionato alpinista e gli piaceva scalare vette in Svizzera, in Austria e sulle Isole Canarie. Ancora oggi, se viene messo alla prova, non sembra proprio aver perso il mordente dei tempi passati e l’interesse per la vita è ancora ben saldo. Ad esempio, dopo essersi fratturato l’anca lo scorso anno, svolge con diligenza e disciplina i suoi esercizi di riabilitazione quotidiani. Inoltre, si

tiene costantemente informato sull’attualità leggendo il quotidiano locale «Berner Oberländer», ma gli piace anche sfogliare la rivista spagnola «Hola». Nutre infatti un affetto speciale verso questo Paese, di cui ha imparato la lingua a 70 anni suonati, frequentando alcuni corsi. Spesso ama intrattenere chi conversa con lui con gli aneddoti dei suoi viaggi in Spagna. E quando, ogni mercoledì mattina, Susanne Fink porta i suoi protetti al settimanale giro di spese a Thun o Interlaken, Erich Aeschbacher è sempre della partita, per andare a rifornirsi di fresco Pralinor alla Migros ed essere sicuro di potersi gustare una o due barrette di cioccolato al giorno. Spesso a mezzogiorno, ma immancabilmente prima di andare a letto.


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20% Azione assortimento Tutti i gelati MegaStar in confezioni multiple per es. Mini Almond, 6 x 65 ml, 4.80 invece di 6.–

30% 5.70 invece di 8.20 Spicchi di mango secchi M-Classic in conf. da 2 2 x 200 g

30% Gomme da masticare M-Classic o Ice Tea Gum in confezioni multiple per es. Ice Tea Gum alla pesca in conf. da 2, 2 x 80 g, 5.40 invece di 7.80


. a z n ie n e v n o c a ll e d o Il bell 50% Azione assortimento

20% 1.75 invece di 2.20 Aceto alle erbe aromatiche Condy 750 ml

Tutto l’assortimento Handymatic Supreme (sale rigeneratore escluso), per es. pastiglie Brilliant Shine All in 1, 32 pezzi, 6.25 invece di 12.50, offerta valida fino al 25.4.2016

33% Lenticchie, lenticchie con pancetta, fagioli bianchi o chili con carne M-Classic in conf. da 4 per es. fagioli bianchi, 4 x 440 g, 3.85 invece di 5.80

a partire da 2 pezzi

20%

20%

7.40 invece di 9.30 Detersivo per i piatti Manella Swiss Edition in conf. da 3 per es. Apple, 3 x 500 ml, offerta valida fino al 25.4.2016

20% Azione assortimento Tutte le bibite Limonada per es. Lemon & Lime, 1 l, 1.50 invece di 1.90

17.80 invece di 22.40 Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 per es. Care, 2 x 2 l, offerta valida fino al 25.4.2016

50% di riduzione

Azione assortimento Tutti i detersivi Total a partire da 2 pezzi, 50% di riduzione

L’INDUSTRIA MIGROS E I SUOI PRODOTTI.

50%

Latte, bevande a base di latte, yogurt, formaggio fresco, salse, maionese. Collaboratori: 583

7.– invece di 14.–

Caffè, caffè in capsule, frutta secca, spezie, noci. Collaboratori: 302

Succo multivitaminico M-Classic, Fairtrade, in conf. da 10, 10 x 1 l

Ice Tea, succhi di frutta, prodotti pronti, prodotti a base di patate e prodotti a base di frutta. Collaboratori: 971

Carne fresca, pesce, salumi, pollame. Collaboratori: 2650

a partire da 2 pezzi

– .5 0

di riduzione l’uno

Azione assortimento Tutti gli sciroppi in bottiglie di PET da 75 cl o da 1,5 l a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. al lampone, 1,5 l, 3.75 invece di 4.25

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.4 AL 18.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

30%

Pane, prodotti da forno, pasticceria, paste. Collaboratori: 3269

Formaggio per raclette Raccard, Gruyère AOP, Appenzeller, fondue. Collaboratori: 243

Biscotti, Blévita, gelati, dessert in polvere, frittelle di Carnevale, prodotti da forno per l’aperitivo. Collaboratori: 623

Conf. da 2 in azione Senape, maionese o salsa tartara M-Classic in conf. da 2 per es. maionese Classic, 2 x 265 g, 2.15 invece di 3.10

Acqua minerale, sciroppo, succhi di frutta. Collaboratori: 122

Prodotti trattanti, sostanze cosmetiche Diverse varietà di riso, riso al attive, detersivi e detergenti, margari- latte, varietà speciali di riso. ne, grassi commestibili. Collaboratori: 24 Collaboratori: 957

Cioccolato, gomma da masticare. Collaboratori: 774


20%

25%

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40%

2.70 invece di 3.40

22.50 invece di 30.10

2.35 invece di 3.40

3.20 invece di 5.40

Formentino Anna’s Best 100 g

Hit 2.60 Broccoli Italia, al kg

25% 2.70 invece di 3.60 Finocchi Italia, imballati, al kg

San Gottardo Prealpi prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

20% Azione assortimento Tutto l’assortimento sushi per es. nigiri classic, prodotto in Svizzera, in conf. da 180 g, 9.50 invece di 11.90

Aletta di manzo TerraSuisse Svizzera, in conf. da ca. 800 g, per 100 g

Filetto di agnello Nuova Zelanda / Australia / Irlanda / Gran Bretagna, per 100 g, offerta valida dal 14.4 al 16.4.2016

20%

30%

6.90 invece di 8.65

5.60 invece di 8.–

Carne secca affettata Svizzera, 125 g

Bresaola Beretta Italia, in vaschetta da 100 g

– .4 0

di riduzione

2.10 invece di 2.50 Pane alla ticinese 400 g

30%

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1.60 invece di 2.30

2.10 invece di 2.90

2.60 invece di 3.80

2.25 invece di 3.30

2.70 invece di 3.90

9.40 invece di 13.50

Pomodoro Datterino Italia, in conf. da 250 g

Uva bianca senza semi, Fairtrade India, confezione da 500 g

Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.4 AL 18.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Pere Packhams Sud Africa, sciolte, al kg

Arrosto collo di vitello arrotolato TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Arrosto spalla di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Galletto Optigal Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg


Near Food/Non Food

Altre offerte. Frutta e verdura

Fiori e piante Spago riciclato Papeteria in conf. da 4, 4 x 100 m, 5.80 invece di 11.60 50%

Kiwi Extra, Italia, il pezzo, –.45

Pesce, carne e pollame

20% Azione assortimento Tutte le farine speciali per es. farina per treccia TerraSuisse, 1 kg, 1.90 invece di 2.40

3 per 2 23.70 invece di 35.60

Nuggets di tacchino, prodotte in Svizzera con carne di tacchino dal Brasile, in conf. da 2 x 250 g/500 g, 8.50 invece di 11.40 25%

33%

Cartucce per il filtraggio dell’acqua Brita in conf. Shampoo I am Hair in confezioni multiple da 3 per es. Intense Moisture in conf. da 3, 3 x 250 ml, 5.10 3 x 2 pezzi, offerta valida fino al 25.4.2016 invece di 7.65, offerta valida fino al 25.4.2016

Salametti a pasta grossa, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g, 2.85 invece di 3.60 20%

Filetti di merluzzo MSC, pesca, Atlantico nord-orientale, per 100 g, 1.60 invece di 2.30 30%

Torte Foresta nera, 440 g, 8.30 invece di 10.40 20% Mini panini M-Classic TerraSuisse, da giovedì a sabato, 180 g, 1.75 invece di 2.50 30%

30% 9.– invece di 12.90 Tortelloni o cappelletti M-Classic in conf. da 3 per es. cappelletti, 3 x 250 g

30% 12.– invece di 17.20 Buste Papeteria, FSC per es. C5 senza finestra, 200 pezzi, offerta valida fino al 25.4.2016

9.90 Calzini da uomo John Adams in confezioni multiple, Bio Cotton disponibili in diversi colori e misure, per es. antracite, n. 43–46, in conf. da 3, offerta valida fino al 25.4.2016

Tulipani M-Classic, disponibili in diversi colori, mazzo da 20, per es. gialli e rossi, 11.70 invece di 13.80 15% Bouquet italiano Linda, per es. rosa, il mazzo, 14.90

Altri alimenti

Treccia Leventina, solo venerdì e sabato, 500 g, 3.15 invece di 4.50 30% Pane proteico, 350 g, 2.95 invece di 3.50 15%

Cartucce per il filtraggio dell’acqua con magnesio BWT in conf. da 3, 3 x 3 pezzi, 39.60 invece di 59.40 3 per 2 Cartucce per il filtraggio dell’acqua Cucina & Tavola o M-Classic in conf. da 3, per es. filtri Duomax Cucina & Tavola, 3 x 3 pezzi, 29.60 invece di 44.40 3 per 2 Set di bastoncini profumati Migros Fresh, vaso in vetro, 2 mazzetti di bastoncini di legno e 2 bottiglie di deodorante da 100 ml, per es. Orchid Dreams, 2 set, 9.50 invece di 13.70 30%

Croccantini di pangasio M-Classic, ASC, in conf. da 3, d’allevamento, Vietnam, 3 x 250 g, 9.90 invece di 14.85 33%

Pane e latticini

Hit

Contenitori per l’ufficio Spacebox in conf. da 2, per es. trasparenti, 26.– invece di 52.– 50%

Pasta Subito in conf. da 3, ai funghi, alla carbonara o all’arrabbiata, per es. all’arrabbiata, 3 x 160 g, 5.40 invece di 8.10 33%

PUNTI

20x

Novità

Acciughe, sardine o sgombri M-Classic in conf. da 3, per es. sardine senza pelle e lische, in olio d’oliva, MSC, 3 x 85 g, 4.60 invece di 5.85 20% Alimenti per animali M-Classic in confezioni multiple, alimenti per cani da 6 x 300 g o alimenti per gatti da 16 x 100 g, per es. alimento per gatti a base di spezzatino, 16 x 100 g, 5.20 invece di 6.50 20%

Body per bebè con gonnellina, color albicocca, disponibile nelle taglie 62/68–98, per es. taglie 62/68, il pezzo, 9.80 Novità ** Deodorante Golden Amber I am, Limited Edition, 150 ml, 3.30 Novità ** Yogurt al mango e al frutto della passione aha!, 150 g, –.85 Novità **

Tilsiter dolce, per 100 g, 1.05 invece di 1.35 20%

Yogurt Greek Style Special Edition ai lamponi e alla melagrana Oh!, 170 g, 1.85 Novità **

Le Gruyère grattugiato in conf. da 3, 3 x 120 g, 5.50 invece di 6.90 20%

Ravioli agli spinaci, tortelli ai funghi o ravioli all’aglio orsino Anna’s Best, per es. ravioli all’aglio orsino, 250 g, 5.90 Novità **

Le Gruyère surchoix, per 100 g, 1.60 invece di 2.– 20%

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 25.4 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.4 AL 18.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Azione assortimento Tutti i pantaloni da donna o da uomo disponibili in diversi colori e misure, per es. jeans da uomo, tg. 38, il pezzo, 34.85 invece di 49.80, offerta valida fino al 25.4.2016

Hit 14.90 Calze da donna Ellen Amber in confezioni multiple, Bio Cotton disponibili in diversi colori e misure, per es. fantasmini bianchi, numeri 35–38, offerta valida fino al 25.4.2016 FCM

Scarpa multifunzione per bambini e ragazzi Adidas Terrex GTX disponibile nei numeri 31–37, 1 paio, offerta valida fino al 25.4.2016

30%

Cur ved Des ign

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Televisore LED 4K – UHD UE-55JU6580 bianco

Notebook Aspire F5-571-C026

Sintonizzatore DVB-T2/C/S2 CI+, WLAN integrato, registrazione USB, upscaling UHD, processore Quad Core™, Picture Quality Index (PQI) da 1100, Smart TV, 4 prese HDMI, 3 prese USB / 7703.196

Processore Intel ® Celeron™ 2957U (1,4 GHz), Intel ® HD Graphics, masterizzatore DVD-RW, webcam, tastiera numerica, Bluetooth ®, lettore di schede, 1 presa HDMI, 2 prese USB 3.0, Windows 10 / 7981.175

Le offerte sono valide dal 5.4 al 18.4.2016 e fino a esaurimento dello stock. Trovi questi e molti altri prodotti nei punti vendita melectronics e nelle maggiori filiali Migros. Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.


. s o r ig M a tu a ll a à it v No

Con . salmone selvatico

4.90 Sandwich di Sils con salmone Anna’s Best 140 g

Piatto pronto vegetariano.

5.60 Lasagne al quorn Buon Gusto* Limited Edition, surgelate, 600 g

Con ripieno di frutt naturale.

a

Fruit Branches Frey mango-maracuja, lamponi o Mini Mix, per es. mango-maracuja, 115 g, 3.60

Autentico gusto di hamburger.

4.40 Pizza Hamburger M-Classic* surgelata, 240 g

Fragole e mandorle, combinate con tanti cereali.

4.50 Barretta ai cereali con fragole e mandorle Farmer Limited Edition, 120 g

Con bordo intrecciato a mano.

4.65 Torta salata al Camembert e alle cipolle Maître Pierre* surgelata, 275 g

n Edizione limitata co fresco profumo di . zenzero e limonata

Lo snack alla pizza ideale per l’aperitivo.

2.80 Panini pizza con pomodori Happy Hour* surgelati, 220 g

Gusto di pizza con pasta di pane.

3.80 Panfino alla pancetta* surgelata, 210 g

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.4 AL 25.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

3.20 Docciacrema Ginger Lemonade Fanjo 200 ml, offerta valida fino al 25.4.2016


Offerte che fanno impazzire gli amanti delle grigliate.

40%

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10.80 invece di 18.–

3.20 invece di 5.40

Carne di manzo macinata M-Classic Svizzera, al kg

Filetto di agnello Nuova Zelanda / Australia / Irlanda / Gran Bretagna, per 100 g, offerta valida dal 14.4 al 16.4.2016

50%

15%

5.85 invece di 11.75

2.80 invece di 3.30

Cervelas TerraSuisse in conf. da 5 5 x 2 pezzi, 1 kg

Fettine di pollo Optigal Svizzera, per 100 g

33% 30% Conf. da 2 in azione Senape, maionese o salsa tartara M-Classic in conf. da 2 per es. maionese Classic, 2 x 265 g, 2.15 invece di 3.10

9.90 invece di 14.85

50% Pommes Chips M-Classic in conf. speciale alla paprica o al naturale, per es. alla paprica, 400 g, 3.– invece di 6.–

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 12.4 AL 18.4.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Croccantini di pangasio M-Classic, ASC, in conf. da 3 d’allevamento, Vietnam, 3 x 250 g


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Idee e acquisti per la settimana

Papeteria

Tutto per l’ufficio creativo Chi ha un ufficio in casa per svolgere le proprie faccende o semplicemente per dedicarsi al bricolage, conosce bene i vantaggi di avere a portata di mano tutto quel che ci vuole. Buste, foglietti e cartoncini per gli appunti, nastri ade-

sivi e graffette fanno parte dell’armamentario d’ogni ufficio che si rispetti. Infatti, chi vuol dar sfogo alla propria creatività deve avere sottomano tutto il necessario. Solo così riesce davvero a divertirsi.

Papeteria Nastro adesivo trasparente 19 mm x 33 mm, pacco da 10* Offerta speciale Fr. 5.45 invece di 7.80 30% dal 12 al 25.04 fino a esaurimento scorte

Foto Lucas Peters; Styling MirjamKaeser

*senza dispenser

Papeteria Buste C5 senza finestra FSC, scatola con 200 buste* Offerta speciale Fr. 12.– invece di 17.20 30% dal 12 al 25.04 fino a esaurimento scorte

Papeteria Cartoncini per bricolage con buste da lettera in 5 colori, set da 20 pezzi Prezzo speciale Fr. 7.70 dal 12 al 25.04 fino a esaurimento scorte

Papeteria Bastoncino di colla 4 pezzi da 20 g Offerta speciale Fr. 5.85 invece di 8.40 30% dal 12 al 25.04 fino a esaurimento scorte


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Idee e acquisti per la settimana

I am

Cosmetica naturale per la pelle Chi vuol bene alla propria pelle si affida ai prodotti della linea I am Natural Cosmetics. Si tratta di cosmetici realizzati con essenze naturali, senza coloranti e profumi sintetici né sostanze a base di oli minerali. Ciò vale anche per il peeling doccia, grazie al quale si può pulire la pelle in profondità. Un guanto da massaggi aumenta l’effetto peeling. La Crème Soufflé favorisce l’elasticità della pelle e ha un effetto levigante. Dal canto suo, l’olio per il corpo ha un effetto rassodante e un’applicazione regolare può prevenire le smagliature.

Offerta speciale 20% Su tutto l’assortimento I am a partire dall’acquisto di due articoli (escluse confezioni multiple). Dal 12 al 25.04

I am Natural Cosmetics Detox & Energy Peeling doccia 200 ml Fr. 5.90

I am Natural Cosmetics Detox & Energy Olio per il corpo 100 ml Fr. 9.80

I prodotti della linea I am Natural Cosemtics Detox & Energy contengono composti biologici del tè, estratto di limetta ed oli di limone e cipresso.

Guanto massaggi in sisal con lato morbido per insaponare Fr. 7.90

Foto Lucas Peters; Styling Regula Wetter

I am Natural Cosmetics Detox & Energy Crème Soufflé 200 ml Fr. 10.80


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Idee e acquisti per la settimana

Competenza Bio

Caldo e croccante

I prodotti di panetteria precotti contengono preziosi ingredienti provenienti da coltivazioni rispettose della natura.

I prodotti di panetteria precotti sono pronti in un baleno e si possono conservare tranquillamente in frigo. Ora esistono anche in qualità bio

2

Testo Heidi Bacchilega; Foto e Styling Veronika Studer

L’ingegnere alimentare Christian Städeli è a capo della tecnologia dei cereali alla Jowa SA. Prima era panettiere lui stesso.

Christian Städeli

«Per ogni pane cerchiamo il cereale adatto» Negli anni scorsi Migros ha continuamente ampliato la percentuale di cereali svizzeri nei prodotti di panetteria bio. Entro l’autunno 2017, tutti i prodotti di questo assortimento dovranno essere fabbricati almeno nella misura dell’80 per cento con cereali bio indigeni. Christian Städeli, perché finora è stato importato così tanto grano bio?

3

1

Perché il grano bio svizzero non era disponibile in quantità e qualità sufficienti. In collaborazione con l’Alta scuola di Zollikofen, diversi mulini per cereali e numerosi contadini svizzeri, abbiamo compiuto delle ricerche e grazie alle nuove conoscenze abbiamo già potuto ottenere maggiori quantità e una miglior qualità. Che cosa significa miglior qualità?

Per poter produrre costantemente prodotti di panetteria di alta qualità, dipendiamo da cereali sulle cui proprietà di cottura si possa fare affidamento. È chiaro che nella coltura bio è più difficile mantenere costanti i circa 20 criteri di qualità richiesti, come ad esempo l’energia dell’impasto o la capacità di assorbire l’acqua.

1

Staccate un panino dalla corona del sole precotta bio e dimezzatelo per il lungo. Così entra anche in un tostapane e può essere cotto a puntino in modo semplice e veloce. Naturalmente si può fare anche in forno.

Bio Corona del sole precotta 360 g* Fr. 3.50 * Nelle maggiori filiali

2

Quale cereale risponde nel modo migliore a tali presupposti?

Per ogni pane cerchiamo il cereale adatto per poter cuocere i prodotti nel modo più naturale, vale a dire senza additivi. Ciò presuppone che ogni cereale venga esaminato a fondo in tutte le sue proprietà. Qui lavoriamo in stretta collaborazione coi partner sunnominati. Quando abbiamo trovato la varietà che risponde a tutti i presupposti, la palla passa ai contadini. Perché per i prodotti di panetteria precotti serve una particolare varietà di grano?

I pani precotti vengono cotti solo brevemente ma devono comunque avere una grande stabilità, e questo senza l’aggiunta di alcun additivo. Quanto grano svizzero si trova nei nuovi pani precotti bio?

Nella corona del sole, oggi siamo già all’80 per cento. Nella treccia al burro e nei gipfel al burro la percentuale è del 30 per cento. Anche dopo il 2017 si utilizzeranno ancora cereali bio importati, anche se in misura ridotta. Perché?

È necessario, per compensare eventuali variazioni nelle quantità dei raccolti. Intervista: Anna-Katharina Ris

3

Completate brevemente la cottura della treccia al burro bio e servitela tiepida, preferibilmente spalmata con burro e marmellata o miele. Una volta cotta, la treccia al burro resta morbida a lungo.

Il gipfel al burro precotto bio si può trasformare facilmente in un sandwich croccante. Per farlo, dimezzate per il lungo il gipfel dopo averne completato la cottura e farcitelo con salsiccia, formaggio o verdura grigliata. Una foglia d’insalata nel mezzo impedirà al gipfel di afflosciarsi.

Bio Treccia al burro precotta 400 g* Fr. 3.80

Bio Gipfel al burro precotti 2 x 90 g* Fr. 3.15

Migros-Bio è simbolo di una produzione rispettosa della natura, sostenibile, che viene controllata e certificata da istituti indipendenti.

Parte di

Generazione M è simbolo dell’impegno sostenibile della Migros. Migros-Bio ne fornisce un prezioso contributo.


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Idee e acquisti per la settimana

Frey

Un piacere cioccolatoso e fruttato Le combinazioni tra frutta e cioccolato sono richieste come mai fino ad ora. Ecco perché la Chocolat Frey con i Fruit Branches lancia due nuove creazioni di bastoncini di cioccolato alla frutta: mango-maracuja con cioccolato bianco nonché raspberry con cioc-

colato al latte. Il loro cuore è composto da una delicata crema al latte fondente e da un naturale ripieno alla frutta. Entrambe le varietà sono disponibili anche in miniformato in un box assortito. I Branches della Frey esistono già da oltre 70 anni.

Azione

20x Punti Cumulus fino al 25 aprile

I Branches sono una specialità tipicamenteelvetica. Le nuove varianti sorprendono con il loro fresco ripieno alla frutta.

Foto Yves Roth; Styling Katja Rey

Frey Fruit Branches Mango-Maracuja 115 g Fr. 3.60

Frey Fruit Branches Raspberry 115 g Fr. 3.60

Frey Fruit Branches Mini Mix 175 g Fr. 6.90

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche i Fruit Branches della Frey.


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Idee e acquisti per la settimana

Optigal

Saporito pollo in veste primaverile Quando in primavera le temperature ritornano a salire, rinasce la voglia di piatti leggeri. In questo caso la novità di Optigal cade proprio a puntino: le sottili fettine al limone sono ricavate dal petto del pollo e pertanto risultano particolarmente tenere. La croccante panatura al limone conferisce a questa bontà una nota rinfrescante. Le fettine si preparano facilmente e in pochissimo tempo in padella e possono essere servite nei più svariati modi. Come tutti i prodotti Optigal, anche le fettine al limone provengono da polli allevati nel rispetto della specie, e rispondono a elevati criteri di qualità.

Consiglio di servizio Con le fettine di pollo al limone si abbinano bene delle verdurine fresche primaverili. Una salsa olandese completa alla perfezione il piatto.

Foto e Styling Claudia Linsi

Leggere e vivificanti come la primavera: le fettine di pollo al limone di Optigal con verdure croccanti.

Optigal Fettine di pollo al limone impanate, 2 pezzi, per 100 g Fr. 2.95 Nelle maggiori filiali

L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche i prodotti a base di pollame Optigal.


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Idee e acquisti per la settimana

Smoothie

Sferzata di energia primaverile Fruttati, dolci e incredibilmente rinfrescanti: lo smoothie è un mix di frutta e verdura fresche, reso in purea con l’aggiunta di acqua o latticini. In questo modo lo smoothie acquisisce la sua inconfondibile e cremosa consistenza. Gli smoothie non sono solo deliziosi, ma forniscono anche all’organismo importanti vitamine, minerali e sostanze vegetali secondarie. In diverse filiali Migros, i prossimi 15, 16 e 22 e 23 aprile si potranno gustare diversi smoothie preparati freschi.

Degustazioni 15/16 e 22/23.04 Tutte le filiali partecipanti come pure ulteriori ricette su www.migros.ch/ frutta-verdura

A seconda degli ingredienti, lo smoothie può diventare un piccolo pasto ricco di vitamine.

Smoothie di kiwi e mela

Foto e Styling Veronika Studer

Per 2 bicchieri da ca. 3 dl Ingredienti 2 kiwi 2-3 mele (ca. 200 g, mondate) 100 g di latte acidulato (M-Dessert) 2 dl d’acqua fredda 2 gambi di menta

Suggerimento Aggiunta Frullate nello smoothie anche 2 cucchiai di nocciole macinate.

Preparazione Pelate i kiwi e tagliateli a pezzetti. Tagliate le mele a dadini. Versate nel frullatore i kiwi, le mele, il latte acidulato, l’acqua, le foglioline di menta e frullate bene. Gustate subito.

Un bicchiere ca. 3 g di proteine, 7 g di grassi, 22 g di carboidrati, 700 kJ/170 kcal

Tempo di preparazione ca. 10 minuti

Ricette di

www.saison.ch


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Idee e acquisti per la settimana

American Favorites

Burger-Buns in variante integrale Con carne di manzo, pollo, pesce, verdure o formaggio grigliato: gli hamburger si possono preparare in tutte le combinazioni possibili, anche dai fan del fast-food che vogliano alimentarsi in maniera equilibrata. Perché adesso anche sotto il marchio American Favorites sono di-

L’idea arriva dagli utenti di Migipedia: i buns American Favorites esistono ora anche nella variante integrale.

sponibili i buns nella variante integrale. L’idea di creare questa novità nasce dalla comunità di Migipedia. I panini sono già dimezzati e possono essere subito farciti. I burger risultano particolarmente appetitosi se prima del consumo si passano per qualche istante nel forno.

Azione

20x Punti Cumulus

FotoSimone Vogel; Styling Katja Rey

fino al 18 aprile

American Favorites Buns Integrali 6 pezzi, 360 g Fr. 2.70


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Idee e acquisti per la settimana

Actilife

Per bilanciare l’acidità Il corpo dispone di sistemi tampone efficaci per contrastare l’iperacidità dell’organismo. Tuttavia, si consiglia di aiutarlo con una dieta equilibrata, in modo da mantenere stabile il bilancio di acidi basici. Sono particolarmente indicate allo scopo frutta e verdura. I principali acidificanti sono le fonti proteiche, come la carne, il pesce, le uova, il formaggio e i prodotti a base di cereali. La miscela basica e gli stick basici direct della linea Actilife forniscono un sostegno a completamento di un’alimentazione bilanciata. La miscela basica in polvere, disponibile in bustine, si scioglie in un bicchiere d’acqua. Le dosi degli stick basici possono essere assunte direttamente, anche senz’acqua.

Actilife Stick basici direct 25 dosi* Fr. 10.90 Nelle maggiori filiali

Actilife Miscela basica 30 bustine* Fr. 12.90

* Dosaggio raccomandato: 2 bustine o 2 stick al giorno Annuncio pubblicitario

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