Azione 49 del 1 dicembre 2014

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Aperture e v i t s Fe LunedĂŹ 8 dicembre dalle 10 alle 18 saranno aperti tutti i negozi e i ristoranti Migros del Ticino!


Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 1. dicembre 2014

Azione 49

Società e Territorio Pianificare e progettare: intervista all’architetto e urbanista Jachen Könz

Ambiente e Benessere Oggi il concetto di sostenibilità spinge a ripensare l’architettura cogliendo l’opportunità di sperimentare una nuova estetica con l’uso dei pannelli fotovoltaici

Politica e Economia Falliti i negoziati di Vienna sul nucleare iraniano: tutto rinviato al luglio 2015

Cultura e Spettacoli Luci e tenebre: la Berlino degli Anni Venti del Novecento vista dagli scrittori tedeschi

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Ti-Press

Generoso, cambiamenti in vetta

di Elena Robert pagina 5

Da Bruxelles, una goccia nel mare di Peter Schiesser Il nuovo presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker non perde tempo: appena insediato, ha presentato al parlamento europeo un piano triennale che dovrebbe generare investimenti per 315 miliardi di euro nelle infrastrutture (trasporti, informatica, energie), nella ricerca e nella formazione. Juncker punta molto sui privati: verrà creato un Fondo per investimenti strategici (EFSI) che sarà alimentato con garanzie per 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’UE e con 5 miliardi dalla Banca europea per gli investimenti, ciò che permetterà all’EFSI di raccogliere sui mercati dei capitali altri 60 miliardi di euro – capitali e garanzie che dovrebbero poi riuscire a mobilitare investimenti privati per 250 miliardi di euro. Se poi singoli Stati membri intendessero partecipare al finanziamento dell’EFSI, ben vengano, ma l’accento è posto sugli investimenti privati; questo permetterà alla Commissione europea di scegliere quali progetti sostenere senza dover considerare criteri politici (ossia senza quote per Paese membro). Vedremo al vertice dei capi di Stato e di governo dell’UE di dicembre quale saranno le

reali intenzioni dei singoli Paesi, al di là delle prime reazioni. È una situazione del tutto nuova: per la prima volta la Commissione europea assume un ruolo trainante per stimolare gli investimenti e quindi la crescita economica all’interno dell’Unione. Si comporta di fatto come un governo centrale, ma non avendo il potere di dettare una politica economica agli Stati membri si deve accontentare di agire da stimolo. E questo è senza dubbio il grande limite dell’UE: di essere uno spazio comune economico, commerciale, in parte anche monetario, ma senza una direzione politica. Un handicap che in caso di crisi, come l’UE sta vivendo dal 2008, rende tutto più difficile e obbliga le sue istituzioni a forzare il proprio ruolo – come ha dovuto fare anche la Banca centrale europea in questi anni, che si è data il potere di acquistare se necessario titoli di Stato dei Paesi europei per salvarli da eventuali default e per salvare l’euro. Come interpretare questo atto? È la dimostrazione della ferrea volontà di uscire dalla crisi economica? Un passo verso la trasformazione della Commissione europea in governo dell’UE? Un atto poco più che simbolico? Dobbiamo ricordare che 315 miliardi di euro in 3 anni rappresentano meno dell’1% del PIL dell’Unione europea

(15mila miliardi di euro all’anno). È solo una goccia nel mare. Che non modifica di una virgola le condizioni alla base della debolezza economica dell’UE, tuttora dominata dalla filosofia tedesca (e del nord Europa) votata all’austerità e al riequilibrio dei conti pubblici dei singoli Stati. Se dal 2009 gli Stati Uniti sono rapidamente usciti dalla crisi dei subprime e dalla conseguente crisi finanziaria, e da qualche anno registrano una crescita tre volte superiore a quella dell’UE, ciò è dovuto a una politica di tassi bassi e pacchetti multimiliardari di stimolo all’economia voluti dall’Amministrazione Obama. L’Unione europea, per contro, ha reagito tardi e male, ha abbassato i tassi quando ciò non bastava più per stimolare la crescita e continua, per volontà della Germania, a soffocarla, non volendo modificare il tetto ai disavanzi pubblici fissati dal Patto di stabilità. In fondo, per superare la crisi servirebbe una maggiore integrazione economica e politica dell’Unione, ma in realtà molti Paesi rispondono con politiche protezionistiche. Nel mentre, decine di milioni di persone, soprattutto giovani, restano senza lavoro, ciò che mina alla base la fiducia in un progetto europeo che ha dato stabilità per decenni ma che oggi non sa offrire prospettive ai suoi abitanti.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Attualità Migros

M Un sodalizio decennale Editoria Firmato il nuovo contratto di stampa tra Migros Ticino e Centro Stampa Ticino

Musica di solidarietà per le Feste

che legherà le due aziende ticinesi fino al 2020: mezzo secolo di collaborazione

Natale 2014 Scarica

la canzone, partecipa al progetto benefico

Da sinistra: Andrea Pizzolotto, Corriere del Ticino Group CFO; Pierpaolo Born, responsabile Dipartimento finanze di Migros Ticino; Peter Schiesser, redattore capo di «Azione»; Lorenzo Emma, direttore di Migros Ticino; Stefano Soldati, direttore del Centro Stampa Ticino SA. (CdT - Gonnella)

Con la firma del nuovo contratto di stampa per il settimanale «Azione», Migros Ticino e Corriere del Ticino si avviano verso i 50 anni di collaborazione. Il nuovo contratto, stipulato fra la Cooperativa e il Centro Stampa Ticino di Muzzano (fino all’agosto 2010 denominato Società editrice del Corriere del Ticino) entrerà in vigore il primo gennaio 2015 e avrà una durata di 5 anni. Una collaborazione solida, questa fra Migros Ticino e il Corriere del Ticino, che prende avvio nel 1970. Dalla nascita di «Azione», l’8 apri-

le 1938, fino alla fine del 1969, il settimanale della Cooperativa veniva stampato a Bellinzona, presso la Tipografia Grafica SA di proprietà della famiglia Torriani-Maderni, poi nel 1970 la stampa venne trasferita a Lugano e affidata alla tipografia Gaggini-Bizzozzero, che fece capo alle macchine del Corriere del Ticino. Con lo spostamento del Corriere del Ticino da Lugano ai Mulini di Muzzano, nel 1991, il contratto per la stampa di «Azione» venne stipulato direttamente con la Società editrice del Corriere del Tici-

no. L’evoluzione del nostro settimanale si intreccia saldamente con l’evoluzione tecnica avvenuta negli anni al Corriere del Ticino: se nel 1970 era possibile stampare un giornale di sole 16 pagine (per una tiratura fra le 32 e le 35 mila copie), dal 1991, con l’acquisto di una rotativa Wifag 360 con due torri si passò a stampare un giornale di 32 pagine e 55 mila copie alla settimana, poi dal 2001, quando si aggiunse una terza torre (Wifag 370), si arrivò a 48 pagine. Infine, nel 2010 con l’acquisto da parte del CdT della nuova rotativa

Chi scarica la canzone natalizia della Migros intitolata Ensemble sostiene alcuni progetti mirati di Caritas, Aiuto delle Chiese Evangeliche Svizzere (ACES), Pro Juventute e Soccorso d’inverno. Il download costa fr. 1.20 da ExLibris, fr. 1.10 su iTunes e 99 centesimi su Google Play. L’importo viene versato completamente ai progetti assistenziali. I consumatori, inoltre, possono comprare già dal 22 novembre alle casse della Migros dei «buoni donazione» del valore di 5, 10 o 15 franchi. Infine, si possono versare contributi per la colletta anche sul conto 30620742-6 oppure inviando un SMS con il testo «MIGROS (offerta)» al numero 455. Dal 12 dicembre su natale.migros. ch si terrà un’asta online: ognuna delle 23 celebrità che partecipano all’iniziativa della Migros, metterà all’asta un oggetto personale. La somma incassata sarà devoluta ai progetti d’aiuto. L’importo totale raccolto con tutte queste attività sarà raddoppiato dalla Migros, fino a un massimo di un milione di franchi. La cifra raccolta verrà divisa in parti uguali tra Caritas, ACES, Pro Juventute e Soccorso d’inverno.

371 Evolution con 4 torri, si raggiunge una capacità di stampa di 64 pagine in una sola produzione, con una stampa tutta a colori di una tiratura di 100 mila copie settimanali. Riconfermando il nuovo contratto di stampa del suo settimanale «Azione» (che da sempre non solo viene stampato ma anche redatto in Ticino) con il Centro Stampa Ticino, la Cooperativa Migros Ticino ribadisce il suo impegno a favore dell’economia ticinese e il radicamento nel territorio, secondo il motto «in Ticino per il Ticino».

Un importante aiuto all’auto-aiuto Generazione M Un milione di franchi per un futuro migliore: i rappresentanti di Chocolat Frey hanno consegnato il Premio UTZ agli agricoltori dell’Africa occidentale per il primo raccolto di cacao nella scorsa stagione dei raccolti Michael West La popolazione vive in semplici capanne di terra. Alcuni paesi sono raggiungibili solo utilizzando strette strade sterrate che, in caso di pioggia, si trasformano regolarmente in pozze fangose. Gli abitanti della zona agricola del Ghana e della Costa d’Avorio sono spesso privi del necessario per vivere, anche se entrambe le regioni sono fortunatamente lontane dalle situazioni più drammatiche provocate dalla crisi dell’Ebola nell’Africa occidentale. In questi due stati l’industria della comunità Migros Chocolat Frey è coinvolta in un progetto ambizioso: da due anni circa 2000 piccoli contadini del Ghana dell’Ovest e 500 nel nord-ovest della Costa d’Avorio producono cacao certificato UTZ per l’azienda svizzera. Il marchio UTZ Certified è collegato a un programma di sostenibilità che

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

avvantaggia i produttori di cacao, thè e caffè. I contadini ricevono da chi rileva la loro produzione, oltre al prezzo d’acquisto della materia prima, anche un premio supplementare. Quest’ultimo, nel caso del cioccolato Frey, viene versato per metà direttamente ai contadini. L’altra metà torna nella regione sotto forma di progetti che creano prospettive future per i contadini e la popolazione locale. Chocolat Frey produce oggi praticamente tutta la cioccolata necessaria all’assortimento Migros, partendo da bacche di cacao certificate UTZ che arrivano dal Ghana, dalla Costa d’Avorio e dall’America latina. L’azienda della comunità Migros potrebbe in realtà limitarsi ad approvvigionarsi di cacao certificato semplicemente comprandolo sul mercato mondiale. Ma vuole fare di più: i collaboratori di Chocolat Frey raggiungono regolarmente il Ghana occidentale e il nord-

ovest della Costa d’Avorio. Complessivamente rimangono sul campo per quattro settimane all’anno. Lì incontrano i rappresentanti delle associazioni dei contadini e vengono a conoscenza dei bisogni della popolazione. «Vogliamo sostenere i produttori di cacao con consigli e con fatti concre-

ti, nel momento in cui si tratta di attuare dei progetti a sfondo sociale» afferma Nicole Moret, responsabile di Chocolat Frey per la sostenibilità. «Ci siamo impegnati in una collaborazione a lungo termine con le associazioni dei contadini. Per diversi anni garantiremo loro l’acquisto di bacche di cacao certificate. Tutto questo favorisce una situazione di sicurezza economica». In occasione del pagamento dei premi UTZ una delegazione della Chocolat Frey ha raggiunto l’Africa occidentale. Del gruppo faceva parte anche Nicole Moret. I premi UTZ per i produttori di cacao ammontavano questa volta a circa un milione di franchi. Una parte di questa cifra è stata impiegata in progetti accuratamente programmati: in Costa d’Avorio saranno utilizzati tra l’altro per la costruzione di un centro di terapia. Nel Ghana invece il premio sarà utilizzato per un progetto

legato all’acqua potabile, la cui realizzazione è urgente. Nella zona di campagna l’acqua deve essere estratta da falde freatiche profonde. Per questo la manodopera locale deve perforare degli strati rocciosi, installare delle pompe e costruire delle fontane. Il progetto è molto importante per la popolazione: alcuni abitanti del luogo sono stati formati per occuparsi anche in futuro della manutenzione dell’impianto. Un ruolo centrale nel programma UTZ lo rivestono i miglioramenti della coltivazione. Grazie ai premi è possibile impartire una formazione specifica ai contadini delle piccole aziende. Questi imparano a utilizzare la giusta dose di concimi nelle coltivazioni, e a curare e potare in modo adatto le piante di cacao. «Per merito di questa formazione i raccolti sono molto migliorati» dice Nicole Moret. E ciò rappresenta un vero aiuto all’auto-aiuto.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Società e Territorio Il mentalista a cui piace la tv Federico Soldati parla a ruota libera della sua esperienza come presentatore televisivo e delle sue tante passioni

Pianificazione territoriale Intervista all’architetto e urbanista Jachen Könz presidente del gruppo ticinese della Federazione Architetti Svizzeri

Il ritorno dei Frontaliers Bernasconi e Bussenghi si scoprono difensori della lingua italiana... in un DVD

Alien, il videogioco Si ispira al capolavoro di Ridley Scott l’ultimo videogame pubblicato da Sega

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Operai al lavoro sulla vetta del Monte Generoso. (Ti-Press)

In attesa che sbocci il fiore di pietra Monte Generoso Dopo la demolizione del vecchio edificio i lavori proseguono per dar vita al progetto di Botta Elena Robert Fa un certo effetto trovarsi oggi alla stazione di arrivo della Ferrovia Monte Generoso, a quasi 1700 metri d’altezza, poco sotto la vetta, tra mucchi di macerie frantumate e ferraglie e non vedere più il grande ristorante e albergo al quale ci eravamo abituati dall’inizio degli anni Settanta. L’edificio voluto dalla Federazione delle Cooperative Migros di Zurigo, è stato demolito negli ultimi tre mesi per far posto ai lavori delle fondamenta del nuovo ristorante. Un progetto che la committenza ha affidato all’architetto Mario Botta («Azione» 21.10.2013) ed è in fase di definizione e affinamento. La struttura grezza potrebbe essere a tetto tra un anno. Sarà un «fiore di pietra» che svelerà i suoi petali al pubblico, molto probabilmente, non prima della fine del 2016. I tempi e l’organizzazione del cantiere in quota saranno infatti pianificati solo a partire dai primi mesi del 2015, in vista dell’inizio dei lavori di costruzione previsto in aprile. Scesi dal trenino si rimane un po’ spaesati e come straniati nel posare i piedi su questa piattaforma artificiale che improvvisamente si è liberata del suo volume più vistoso. Riconosciamo gli impianti della Swisscom sulla punta

estrema della sommità, l’osservatorio astronomico, la scala di accesso al vecchio edificio, gli scampoli dell’ampia area di calpestio sulla quale si sostava volentieri per guardarsi intorno, la cappella e un po’ più lontano, i pochi altri edifici cresciuti negli anni sulla vetta. Ci troviamo su una terrazza naturale straordinaria adattata nell’ultimo secolo e mezzo alle esigenze dell’uomo e del turismo di montagna, che ha visto insediarsi alberghi, poi demoliti, e il trenino a cremagliera tra Capolago e la vetta, inaugurato nel 1890. I festeggiamenti del 125esimo della ferrovia saranno, per esigenze di cantiere, rinviati a fine 2016, quando in parallelo all’apertura della nuova struttura e al rilancio dell’attività in vetta, si ricorderà anche il 75esimo dell’acquisto della ferrovia da parte della Migros. Fu infatti grazie all’iniziativa lungimirante dell’imprenditore e politico svizzero Gottlieb Duttweiler, fondatore della Migros, che nel 1941 si decise di salvare il trenino dal fallimento. L’impegno continua ancora oggi, anzi si sta rafforzando. In vetta, i cedimenti del 2010 in alcuni punti della roccia e i danni riscontrati, per quanto limitati nel tempo e circoscritti, dopo opportuni sondaggi e perizie, sono diventati punti di forza per una rinnovata valorizzazione dell’area. Tanto che la

Direzione generale della FCM e il Percento culturale a livello svizzero hanno dato avvio a uno studio di fattibilità per ricostruire una struttura ricettiva in sintonia con i tempi. L’investimento complessivo si aggira sui 16 milioni di franchi. «Col progetto di Mario Botta si vuole riportare in vetta la qualità del paesaggio costruito – evidenzia Marco Bronzini, direttore della Ferrovia Monte Generoso – puntando il più possibile sulla rinaturazione del luogo per far vivere al turista, anche il disabile, il senso autentico della montagna. Le iniziative in vetta continueranno all’insegna della sostenibilità dell’offerta e della divulgazione scientifica, con attenzione all’attività culturale, didattica, espositiva, gastronomica, ricreativa, sportiva. La fruibilità sarà estesa all’intero arco dell’anno». Sull’area della stazione di arrivo della ferrovia camminiamo sulla roccia calcarea a strati, di colore grigio scuro, ricca di selce e di argilla, formatasi per sedimentazione 200 milioni di anni fa, nell’antico mare del bacino profondo del Generoso. Si ritrova infatti la stessa formazione fino ad almeno 4mila metri sotto la vetta. È il Calcare di Moltrasio di cui è fatto, non a caso, anche il basamento del vecchio albergo ristorante della Migros: la demolizione

ha evidenziato come uno spuntone naturale di questa roccia sia stato lasciato sul posto e integrato nei muri dell’edificio. Alzando lo sguardo verso la linea dell’orizzonte, altri e ben noti punti di riferimento ancora più lontani ci riportano alla realtà del luogo in cui ci troviamo. Complice il vuoto intorno a noi, ci appare in tutta la sua ampiezza e imponenza quel panorama a 360 gradi di grande interesse che è stato l’attrattore principale dello sviluppo economico e turistico della montagna e della vetta . «Un marchio di qualità», come evidenziò Raffaello Ceschi, attribuito e veicolato sin dai primi decenni del Novecento da Stefano Franscini, da Johann Jakob Weilenmann e da molti altri dopo di loro, ma anche in tempi recenti da Graziano Papa che di questo sublime panorama ha fatto una documentatissima e appassionata descrizione ragionata. La visita di settimana scorsa sul cantiere, con Marco Bronzini, il suo successore dal 2015 Francesco Isgrò, e l’ingegnere Luigi Brenni, direttore dei lavori, che negli ultimi anni si è occupato in particolar modo dell’area della vetta, era finalizzata a prendere visione dell’esito della prima delicata fase di questo cantiere di montagna: «Le sue peculiarità risiedono nell’ubicazione

del terreno stretto e allungato sulla roccia a strapiombo – fa presente Brenni – nel meteo che condiziona a quell’altitudine la resa del lavoro, nell’assenza di strade di accesso. Si è proceduto alla demolizione per gradi dall’alto con una ruspa tradizionale. Altri tempi rispetto all’operazione di fine anni Sessanta che interessò l’albergo Vetta quando si scaricarono i detriti nel vuoto. Oggi lo smaltimento è avvenuto selettivamente e nel rispetto dell’ambiente. I materiali più leggeri, tra i quali l’amianto del rivestimento del vecchio edificio, sono stati trasportati a valle con la ferrovia, ma sarebbe impensabile, e non solo per i consumi, ricorrere per ogni scarto al trenino e ai mezzi pesanti. La garanzia di efficienza e sostenibilità del cantiere ce la darà tra un paio di settimane una teleferica provvisoria installata sulla Valle di Muggio. Per i permessi e i diritti di sorvolo abbiamo investito molto tempo. Particolare attenzione, lungo il suo tracciato, è stata riservata al nucleo di Nadig e al rispetto dell’avifauna». Ora che i lavori preliminari in vetta sono terminati, il trenino può tornare nei suoi depositi a Capolago dove rimarrà fermo fino alla primavera 2016, quando riprenderà a circolare limitatamente alla stazione della Bellavista che nel frattempo sarà stata rinnovata.


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Società e Territorio

Disarmato di fronte ai misteri Personaggi Federico Soldati a soli 26 anni ha già alle spalle una carriera di tutto rispetto come mentalista

e ora anche come presentatore televisivo, ma la sua curiosità non si ferma

Io stesso mi alleno tutti i giorni per affinare i cinque sensi per dare l’illusione che ve ne sia un sesto. Ovviamente non so leggere nella mente delle persone, ma posso illuderle di saperlo fare. E ciò si chiama intrattenimento.

Simona Sala Inizia in realtà da lontano, il percorso di Federico Soldati, che a dodici anni decide con molta intraprendenza di presentare i suoi primi spettacoli di magia. Di spettacolo in spettacolo con gli anni è cresciuto, i numeri sono diventati più complessi, lo studio che vi sta dietro più profondo. Sono seguiti i contatti con altri esperti del settore, l’avvicinamento al mondo del mentalismo e il moltiplicarsi delle esibizioni anche all’estero. Poi, nel 2012, il trionfo ad Italia’s Got Talent, davanti a otto milioni di spettatori e, poco tempo dopo, il debutto come presentatore televisivo del quiz Il rompiscatole (RSI La1, tutti i giorni alle ore 19.45). Quasi una vita a doppia velocità, e Federico lo mostra con passione quando lo incontriamo, piegando en passant un cucchiaio davanti ai nostri occhi senza toccarlo, spostando misteriosamente le lancette di un orologio con la mente, spezzando una moneta da due franchi, senza mai smettere di raccontare…

Ma è un talento che ci si porta dentro, o lo si può imparare sui libri?

Credo ci voglia una certa inclinazione, che però dev’essere esercitata e sviluppata con grande dispendio di tempo, studio ed allenamento. Personalmente mi interesso inoltre a diverse espressioni artistiche come la musica, la pittura, il teatro e il cinema, perché sono tutte quante inesauribili fonti di spunti. Recentemente ad esempio ho visto Inception con Leonardo di Caprio e grazie a questo film ora ho sviluppato un numero innovativo in cui cerco di trasmettere i pensieri di una persona nella mente di un’altra e… funziona! Essere un buon osservatore, avere empatia con le persone e i loro sentimenti è fondamentale. Si tratta di un esercizio continuo, che non viene fatto unicamente sui libri: un po’ come il presentatore televisivo, anche il mentalista deve confrontarsi con le situazioni reali, con le persone in carne e ossa. Occorre sapere gestire il pubblico, le tempistiche, e non concentrarsi su aspetti collaterali.

Federico, accanto al mentalismo ora anche la televisione. Per te è già possibile tracciare un bilancio?

Accedere al modo della televisione come presentatore televisivo è sempre stato uno dei miei sogni nel cassetto. A partire dall’età di 18 anni ho partecipato a numerosi provini della RSI ma solo l’anno scorso, a 25 anni, sono finalmente riuscito a concretizzare il mio desiderio. Chi la dura la vince. Certo, ero cosciente che iniziare un percorso nel campo della televisione, molto diverso rispetto a quello della magia che conosco bene, sarebbe stato una sfida. Ma è proprio per questo motivo che ho deciso di intraprendere una nuova avventura. Sono un ragazzo con molta voglia di fare e le sfide mi incitano ad ampliare i miei orizzonti e ad accrescere le mie conoscenze. Certo, la strada per diventare un presentatore esperto è lunga, ma per fortuna gli ottimi indici del programma sembrano dimostrare che il pubblico apprezza i miei sforzi e mi sostiene nella mia crescita professionale. In ogni caso si tratta della stessa sfida che ho vissuto nel momento in cui ho iniziato a presentare i miei spettacoli. Ci sono voluti diversi anni per apprendere i segreti del mestiere, acquisire disinvoltura e a riscuotere i primi riconoscimenti. Gli ostacoli non mi hanno mai spaventato. Anzi, mi hanno sempre incitato a dare il meglio di me, per non smettere mai di crescere. Comunque non mi sono fermato: la mia voglia di provare cose nuove ha fatto sì che pochi mesi or sono io abbia anche cominciato una formazione come pilota di parapendio tandem. Un’altra avventura strabiliante! Immagino che non sia facile per qualsiasi famiglia accettare una scelta professionale come la tua, prestigiatore, presentatore, pilota di parapendio… Sei giovane e hai cominciato molto presto, quali

In televisione la pressione data dallo scorrere del tempo attutisce le capacità di entrare in empatia col pubblico? sono state le reazioni del tuo entourage?

Il sogno di ogni genitore è chiaramente quello di vedere i propri figli felici e in buona salute, ma anche realizzati professionalmente. Per questo motivo alcuni membri della mia famiglia hanno identificato la mia realizzazione in una tradizionale laurea universitaria per accedere ad un lavoro tradizionale e «sicuro», come ad esempio quello dell’avvocato. All’inizio la mia passione era considerata una sorta di sfizio giovanile, e ci sono voluti anni, contrassegnati da grande applicazione e studio da parte mia nel campo della magia e del mentalismo, affinché finalmente la mia famiglia riconoscesse la validità della mia scelta professionale. Ovvero di diventare un artista professionista e di vivere d’arte. Sono il primo della famiglia interessato attivamente al mondo dello spettacolo, e questo sicuramente ha rappresentato un ostacolo. Ora comunque sono soddisfatto della mia scelta, anche perché parallelamente alle attività di presentatore e mentalista e alla formazione di parapendista, sto per completare anche il percorso universitario necessario all’ottenimento di una laurea in giurisprudenza. Ma vi sono molti altri interessi, troppi, a dire il vero, dalla cucina vegetariana, al pianoforte, passando per le immersioni subacquee, il jonglage, la montagna, e il bricolage. Subisci comunque il fascino dello show business e cerchi il confronto con il pubblico.

Credo che oggigiorno sia importantissimo distogliere l’attenzione della gente da una realtà che spesso è diventata troppo rigida e materialista. Una valvola di sfogo io l’ho trovata nell’arte. Nei miei spettacoli ad esempio cerco sempre di trasportare il pubblico in un mondo incantato in cui l’impossibile diventa possibile. Il mio obiettivo è quello di far sognare i miei spettatori, affinché tornino bambini e si dimentichino delle difficoltà quotidiane. Lo stesso risultato provo ad ottenerlo con dei bei voli in parapendio, o con un momento di divertimento televisivo. Fin da piccolo mi sono reso conto che mi entusiasmavo quando riuscivo a dare una componente positiva, anche estemporanea, alla vita della gente. Che è l’esatto contrario della professione dell’avvocato, sempre confrontato con i problemi delle persone. In tutto quello che fai vi è anche una dose di rischio: si tratta di uno stimolo per te?

La presenza del fattore rischio mi stimola perché rende incerto il cosiddetto Erfolg, ossia la buona riuscita. È l’avventura in sé a rendere il traguardo più interessante. Questo è uno dei motivi per cui ho deciso di iniziare il percorso di presentatore televisivo: avevo voglia di gettarmi in una nuova sfida, dato che sentivo di aver raggiunto alcuni traguardi legati al mondo della magia. Non mi sono comunque fermato, sto infatti cominciando a guardare all’estero, e vorrei viaggiare molto. La maggior parte dei miei spettacoli ora è nel resto

della Svizzera in tedesco e in francese, mi manca solo il romancio (!), ma la cosa incredibile è che tutto è successo grazie al passaparola. La magia, e dunque anche il mentalismo, sono fenomeni che vanno a ondate?

Direi a cicli, più che a ondate. C’è stato ad esempio un ciclo durante il periodo del grande Harry Houdini in cui mentalisti e spiritisti erano molto in voga. Dagli anni Ottanta in avanti si è invece registrato un picco d’interesse nei confronti dell’illusionismo, con personaggi come Siegfried & Roy e Copperfield in America, ed anche il nostro mago Fantasios, partito dal Ticino per poi diventare famoso in tutto il mondo. Gli spettatori durante questo periodo adoravano vedere fenomeni della fisica sfidati in modi impossibili. Oggigiorno è cresciuto l’accesso all’istruzione e vi è una maggiore consapevolezza del ruolo della comunicazione. Per questo motivo, complici anche alcune serie televisive di successo come The Mentalist o Lie to Me, è tornato l’interesse per il mondo del mentalismo. Il mentalismo naturalmente è un settore della magia, come lo sono ad esempio l’illusionismo, la cartomagia e l’escapologia. Si tratta di una specialità in cui si vengono presentati dei numeri mentali, che fanno capo sia ad abilità reali (quali la psicologia, la statistica o il linguaggio del corpo), sia ad espedienti da prestigiatore, come i giochi di prestigio. Il mentalismo cerca infatti di coinvolgere le abilità intrinseche dell’essere umano.

È certamente una delle difficoltà legate alla conduzione di un programma. Non si può infatti conoscere ogni componente né calcolare tutte le possibili variabili, cosa che è certamente più facile nel caso di spettacoli che ideo e programmo io. Ma è proprio la diversità fra i due campi che mi spinge a esplorarli entrambi. Questa esperienza in un solo anno mi ha permesso di acquisire degli elementi che hanno migliorato anche la presentazione dei miei spettacoli. Grazie a formatori televisivi esperti ho imparato a migliorare molti aspetti legati alla dizione, ai ritmi e ai movimenti del corpo. Vi sono cose inspiegabili per un mentalista?

Per me i veri misteri sono legati alla religione, alla presenza di forme aliene nello spazio, alla vita dopo la morte. Dal momento che il mentalista è abituato a conoscere fenomeni che sembrano inspiegabili, quando sono confrontato con questi misteri mi sento particolarmente disarmato e vulnerabile, ma è proprio questa sensazione a renderli tanto affascinanti ai miei occhi. Quando l’uomo, che per sua natura vuole capire ogni cosa, non comprende, prova gioia, ma anche stupore o fibrillazione, e in qualche modo torna in una condizione d’innocenza perduta con il passaggio all’età adulta. È proprio in quella dimensione che desidero catapultare il mio pubblico, regalandogli sensazioni perdute o dimenticate. Le stesse che provo io davanti ai grandi misteri. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Società e Territorio

La centralità del progetto Pianificazione territoriale Intervista all’architetto e urbanista Jachen Könz, presidente del gruppo ticinese

della Federazione Architetti Svizzeri Stefania Hubmann Il Ticino per salvare il suo territorio ha bisogno di progetti. Progetti come li intende la cultura architettonica. In un periodo in cui l’uso parsimonioso del suolo è un tema di stretta attualità a livello politico, ma soprattutto sta a cuore ai cittadini colpiti dal degrado degli ultimi decenni, gli architetti membri della FAS, Federazione Architetti Svizzeri, da sempre attenti alla qualità e all’aspetto culturale del loro operare, difendono lo strumento del progetto come risposta alle problematiche del nostro territorio. Il Gruppo Ticino, che riunisce una quarantina di professionisti, ha organizzato a inizio ottobre un convegno rivolto in particolare ai rappresentanti della classe politica e a tutti gli interessati alle trasformazioni del territorio. L’occasione per riaffermare alcuni principi e soprattutto presentare sette esperienze concrete che dimostrano come sia possibile applicare con successo il concetto di progetto alla nostra realtà. L’obiettivo è di offrire nuove possibilità di sviluppo, garantendo però il valore degli interventi per preservare il territorio e la qualità di vita della popolazione. Popolazione che ha da parte sua espresso in modo chiaro la propria adesione ai principi di sostenibilità e gestione parsimoniosa del suolo approvando nel 2013 la revisione in tal senso della Legge federale sulla pianificazione del territorio (LPT). Le relative norme di applicazione sono entrate in vigore lo scorso primo maggio. Per approfondire i contenuti del convegno «Ticino: il territorio e il suo progetto» ci siamo rivolti all’architetto e urbanista Jachen Könz, presidente del Gruppo FAS Ticino. Può spiegare innanzitutto cosa intende l’architetto con «progetto»?

Per l’architetto il progetto è sinonimo di un disegno concreto per un luogo concreto, operazione che implica una capacità analitica nel relazionarsi alla scala opportuna. La realtà che si va a modificare deve prima essere esaminata confrontando tutti i suoi aspetti. Il progetto offre di seguito una scelta precisa in termini di spazio. Il Gruppo FAS Ticino ritiene necessaria una maggiore collaborazione fra i diversi professionisti chiamati in causa nelle proposte di trasformazione del territorio: architetti, urbanisti, pianificatori. In particolare constatiamo un’emarginazione – volontaria o indotta – di architetti e urbanisti dai processi strategici e pianificatori

di grande come di piccola scala. Siamo consapevoli che parte del problema è da ricercare nel ruolo dei committenti pubblici e privati. Questi attori esercitano pressioni legittime, ma di parte, sui professionisti. Desideriamo ovviamente poter continuare a costruire, ma a un livello qualitativo superiore, come sancito nei nostri statuti.

podestà Alessandro Della Vedova. Un esempio di come sia possibile intervenire ancora oggi per riqualificare un’intera vallata. La lettura del territorio, l’identificazione delle presenze rilevanti (come la centrale idroelettrica) e le necessità di sviluppo sono alla base di un’analisi sfociata in un progetto che tiene conto di tutti questi elementi. Paradossalmente in Ticino abbiamo l’esempio per eccellenza di questa strategia risalente a ben 40 anni fa. È il piano di Monte Carasso dell’architetto Luigi Snozzi, entrato a far parte dei manuali di architettura, ma senza purtroppo avere avuto alcun seguito a livello locale.

La sua introduzione al convegno ricorda che la radicale trasformazione subita dal fondovalle negli ultimi decenni è avvenuta nel pieno rispetto dei Piani Regolatori comunali. Il risultato è però «un territorio occupato in maniera irrazionale, devastato dalla speculazione e sempre più privo di significati». Quali sono i limiti dei PR e quali le soluzioni per permettere agli strumenti pianificatori di rispondere alle mutate sensibilità?

Uno dei problemi principali è che i confini comunali non sempre rispondono alla logica territoriale. Le aggregazioni rappresentano da questo punto di vista una grande opportunità, ma solo se il nuovo PR è il risultato di una re-impostazione e non la semplice estensione ai nuovi comprensori delle norme in vigore nel polo principale. Il progetto di aggregazione di Bellinzona costituisce un buon esempio da questo punto di vista. Un’altra questione dolente della maggior parte dei PR è l’applicazione dei principi pianificatori a innaffiatoio come ad esempio per quanto riguarda gli indici. Densificare non significa aumentare gli indici ovunque. Questa soluzione è valida per alcune aree, mentre altre necessitano risposte più articolate, frutto di un progetto che valorizzi l’intero comparto. Mi riferisco per esempio a un quartiere cittadino di ville d’epoca o a una zona confinante con un fiume o un asse stradale. L’attuale pianificazione si confronta troppo con delle regolamentazioni generali, come piace ai politici, e manca di capacità di entrare in merito in modo specifico a delle concrete realtà di spazio. La forte urbanizzazione conosciuta dal Ticino negli ultimi decenni ha interessato anche altre regioni della Svizzera che sono però riuscite a preservare meglio il loro territorio.

Nella Svizzera tedesca e romanda le autorità hanno capito che non c’è contraddizione tra l’interesse economico legato allo sviluppo e la sua qualità, anzi quest’ultima rappresenta un valore aggiunto. Città come Zurigo, Berna, Ginevra, Losanna e Basilea hanno indetto concorsi per vaste aree come il quartiere Vernets a Ginevra. È ovvio che è necessaria da parte della

Già, come mai la Scuola ticinese, che alla fine del secolo scorso ha visto affermarsi accanto a Snozzi altri architetti riconosciuti a livello internazionale, non è riuscita a influenzare la trasformazione del nostro territorio?

Anche l’architetto Alberto Caruso – direttore della rivista «Archi» – nella sua introduzione al convegno, ha evidenziato questa contraddizione, citando, oltre a Tami e Snozzi, l’architetto Aurelio Galfetti, che ha approfondito a livello teorico e accademico i modi di intervenire nella città diffusa. Secondo Caruso si tratta di una questione culturale che coinvolge con diversi gradi di responsabilità politici, economisti e professionisti del costruire. L’unico esempio controcorrente è l’asse autostradale disegnato da Rino Tami che però oggi rischia di essere compromesso da interventi (ripari fonici, misure di sicurezza) sconnessi tra loro. La nuova Bellinzona: visione per una pianificazione territoriale aggregata – Seminario internazionale di progettazione di Monte Carasso

Come intende muoversi il Gruppo FAS Ticino per insistere sulla necessità di un progetto per il territorio?

classe politica una visione e la volontà di perseguirla.

Gli architetti FAS Ticino chiedono esplicitamente al Cantone la possibilità di applicare il progetto dello spazio a qualche concreta area di sviluppo. Alcune di queste zone, in particolare quelle legate a grandi opere come AlpTransit, sono di estrema importanza. Anche il Tilo (treni regionali Ticino-Lombardia) offre con le sue nuove stazioni l’opportunità di disegnare le relative aree di sviluppo. Desideriamo essere maggiormente coinvolti in questi programmi e nelle questioni chiave della densità, dello spazio pubblico e delle infrastrutture. La nostra associazione si è sempre distinta in tutta la Svizzera, dove gode di grande considerazione, per l’impegno professionale e pubblico. Desideriamo ribadire di fronte alle autorità e alla popolazione questo impegno a favore di un territorio sicuramente molto compromesso ma non irrecuperabile.

In Ticino è difficile coinvolgere le autorità politiche in questo tipo di riflessione?

A livello cantonale gli strumenti d’intervento esistono, soprattutto con il piano Direttore che definisce gli indirizzi di sviluppo. Dal nostro punto di vista attenzione e sensibilità non mancano, anche se ci dispiace che il direttore del Dipartimento del Territorio Claudio Zali, atteso al convegno, abbia disdetto la sua partecipazione all’ultimo minuto. Ha così perso l’occasione per confrontarsi direttamente con dei casi concreti, mentre il funzionario presente, Paolo Poggiati, capo della Sezione dello Sviluppo territoriale, conosceva già l’approccio. Il problema principale riguarda i Comuni, anche perché per il rilascio delle licenze edilizie fa stato il Piano Regolatore. Purtroppo al conve-

gno hanno aderito pochi rappresentanti comunali. Penso si tratti in molti casi di una questione strutturale, nel senso che a livello comunale spesso manca la competenza necessaria per affrontare queste problematiche. Il convegno ha presentato diversi progetti – su scala urbana, regionale e sovraregionale – che partono dal concetto di spazio. Alcuni sono studi accademici, altri sono riferiti a casi concreti. Come promuovere la loro realizzazione e soprattutto la diffusione di questa attitudine progettuale?

Purtroppo devo constatare che in Ticino i pochi progetti promossi, come ad esempio quello del quartiere Cornaredo a Lugano, faticano ad avanzare. Credo che si tratti proprio di una questione di volontà. Al convegno l’architetto Michele Arnaboldi ha presentato il progetto della Val Poschiavo alla presenza del

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Alberto Benevelli, Loretta Serofilli, La piccola stalla di Natale, Edizioni Messaggero Padova. Da 4 anni Per l’inizio dell’Avvento, due piccole storie che ci accompagnano al Natale. Hanno in comune, nella loro semplicità, un’autentica forza spirituale, sostenuta, in entrambi i casi, da illustrazioni molto belle, pur nella diversità dello stile impiegato. Delicato e leggero è lo stile di Loretta Serofilli, che in coppia con Alberto Benevelli, autore dei testi, da tempo realizza per bambini libri di qualità e mai banali, come questo, appena uscito dalle Edizioni Messaggero, che sin dal giocoso titolo ci porta in una dimensione dove le cose hanno una freschezza che scalfisce il «già sentito». A maggior ragione qui, dal momento che l’altissimo tema ha conosciuto innumerevoli narrazioni per l’infanzia. Eppure, ancora una volta, l’imme-

diatezza del racconto della Natività ci emoziona e ci stupisce: sarà per i volti dei personaggi, essenziali, empatici ed espressivi come se li avesse disegnati un bambino; sarà per il fatto che il libro, più largo che alto, sta in piedi e rimane aperto alla pagina preferita; sarà per la sobria musicalità del testo, o per il fatto che l’io narrante è un noi, angelico, collettivo. «Noi siamo gli angeli»: è questo l’incipit, chiaro e diretto. Gli angeli dunque arrivano sulla terra a cercare una casa per Gesù che deve nascere. Bussano a tutte le porte: «C’è posto per lui?» «Qui no». «C’è posto

per lui?» «No». «No. No. No. No!» Allora trovano una stalla, la puliscono un po’, ma la porta che non si chiude non riescono a ripararla. E sarà proprio da quella porta, in una fredda notte di bufera, che tutti potranno entrare. «C’è posto per me?» «Sì». Entreranno un tagliaboschi, un lupo, una sarta, un ciabattino, e infinite altre persone, perché «tutto è possibile dietro a quella porta che non si chiude mai». È possibile anche che entrino dei piccoli lettori con un libro un po’ largo in mano… Chiara Frugoni, San Francesco e la notte di Natale, Feltrinelli. Illustrazioni di Felice Feltracco. Da 6 anni L’altra storia di oggi ci parla di un Natale nel Medio Evo. Albeggia. Francesco è addormentato nella sua capanna sul monte della Verna, sogna di combattere contro un drago, ma ecco che un falco, come ogni mattina, viene a

svegliarlo. Nel frattempo arriva anche l’amico Giovanni, che lo invita a trascorrere il Natale a Greccio. Francesco s’incammina con la sua piccola comitiva di frati e amici, seguito da vari animali del bosco, che si fidano di lui. Il viaggio di Francesco dal monte della Verna fino a Greccio dura due giorni e due notti, durante i quali accadono fatti miracolosi, come la sorgente che sgorga per placare la sete dei viandanti, o le lucciole che appaiono, suscitando meraviglia, in pieno inverno. Saranno le lucciole uno dei fili di questa storia,

sia nei momenti più lirici, come quando divengono una guida luminosa lungo il sentiero; sia nei momenti più giullarescamente leggeri, come quando i frati si mettono a rincorrere «quelle stelline svolazzanti; ridendo, urtandosi nel buio». E infine, nel momento in cui tutti arriveranno al presepe di Greccio, saranno ancora le lucciole, posate sul fieno, a «formare una piccola nuvola palpitante, come il breve respiro di un neonato». Avevamo già ammirato la loro collaborazione per San Francesco e il lupo, uscito l’anno scorso sempre da Feltrinelli: anche stavolta Chiara Frugoni, medievista insigne e tra le massime studiose di San Francesco, ci narra con sobrie e intense parole alcuni episodi della vita del santo, mentre l’artista Felice Feltracco li illustra con tavole che sono veri e propri quadri, dinanzi ai quali anche i grandi potranno trovare un momento di ristoro.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Società e Territorio

Loris e Roberto, in difesa dell’italiano

Gli occhi sul futuro Unitas Un DVD

Frontaliers Una missione di frontiera: i due simpaticissimi personaggi nati

sulle onde di Rete TRE si mobilitano per la causa della terza lingua nazionale svizzera. Con l’aiuto del Poeta... e di Migros Ticino Sono tornati. In grande stile. Mentre le loro pagine Facebook, lanciate all’inizio del mese, fanno incetta di like, Bussenghi & Bernasconi tornano al cinema, dal 27 novembre, e in DVD, dal 9 dicembre. I Frontaliers della RSI rifanno capolino e, come i Blues Brothers, sono in missione. Una missione che più svizzera non si può. Salvare uno dei valori federali in questo momento più vacillante: il plurilinguismo. Le minoranze linguistiche. Avete capito bene: i Frontaliers tornano per salvare l’italiano. Agli agenti Guardie di confine Bernasconi e Veronelli tremano già le gambine. Come faranno a trasformare una parlata zeppa di dialettismi («Indove sta andando?», «Mette la macchina qui nel cantone…») in un modello di comunicazione che sia da esempio per tutte le generazioni? Il frontaliere Bussenghi da UsmateCarate darà loro una mano, aiutato dal fantasma di Dante Alighieri per l’occasione in trasferta alla dogana di Brusata-Bizzarone. Ovviamente, si ride. Sì, perché si può stimolare il dibattito sull’italiano anche attraverso l’umorismo. Il ritorno dei Frontaliers fa parte di un articolato progetto RSI,

Un fotogramma dalla nuova pellicola di Bernasconi e Bussenghi. (L. Daulte)

«Italiano: lingua di frontiera», volto a suscitare dibattito sull’italiano in Svizzera. I partner di questa operazione sono il Percento culturale di Migros Ticino e il DECS. Un dibattito che non deve restare

circoscritto a quanto sta accadendo oltre Gottardo (nella scuola, in particolare, dove l’italiano è sempre più in perdita di velocità), ma che deve potersi allargare anche alla Svizzera italiana. Soprattutto noi, per invertire la

Tornano i Frontaliers ■ Sui social: facebook.com/lorisjbernasconi e facebook.com/bussenghi; Nei rispettivi profili i nostri due eroi mantengono i propri fans costantemente aggiornati sulle loro iniziative, rispondono alle richieste dirette dei loro amici e propongono la loro particolare visione dell’uso della lingua italiana. ■ Sul web: www.rsi.ch/frontaliers; Nel sito gestito dalla Rsi sono raccolte le puntate dei «corti» realizzati da B&B negli ultimi anni. Oltre a questo si trovano informazioni di dettaglio

sulle attività legate alla campagna «Italiano lingua di frontiera». ■ Al cinema; Come nel 2011, la vendita del DVD è preceduta da un aperitivo al cinema. Da giovedì 27 novembre 2014, in tutte le sale ticinesi, trovate «Fronta-

liers al cimena: qui si parla itagliano!», proposta per tutta la famiglia, per discutere tutti insieme (dell’importanza) della lingua che parliamo. I biglietti d’entrata saranno a prezzi popolari. ■ In DVD: da martedì 9 dicembre in vendita a 10.– nelle filiali di Migros Ticino. Non cercate il DVD «Frontaliers: qui si parla itagliano!» ai valichi Svizzera-Italia. Sarà Migros Ticino, attraverso le sue filiali, ad assicurare la distribuzione su territorio cantonale.

tendenza, dobbiamo metterci in gioco: quanto amiamo e sosteniamo con i fatti la lingua che parliamo? Perché solo da qui può partire una vera, coesa, difesa dell’italiano: riconoscendo la nostra lingua come valore condiviso. Parafrasando Stallone in «Rocky IV», ecco quel che vi direbbe Loris J. Bernasconi: «Se io posso cambiare (imparare l’italiano), e voi potete cambiare (la Svizzera italiana che si interroga sull’importanza dell’italiano scritto e parlato), tutto il mondo (italianità in Svizzera) può cambiare». In mezzo tante risate, insomma, anche una sola scintilla di riflessione sul tema è benvenuta.

sull’inserimento scolastico dei giovani ipovedenti ticinesi Un filmato realizzato da Marco Horat e Mino Müller documenta il lavoro svolto da Unitas, l’Associazione ciechi e ipovedenti della Svizzera italiana, con una fascia di utenti particolarmente sensibile, perché composta da giovani affetti da problemi visivi. Nel corso del racconto ci è data la possibilità di conoscere l’esperienza di alcuni bambini e ragazzi che usufruiscono dei servizi proposti da Unitas: li seguiamo infatti nella loro giornata scolastica quotidiana attraverso tre storie di integrazione sociale in cui i bambini ipovedenti partecipano alla vita scolastica insieme ai loro coetanei, coadiuvati da docenti specializzati e da un corredo di strumenti tecnologici che li aiutano nell’apprendimento. Il DVD, che può essere richiesto al segretariato dell’associazione (info@unitas.ch, oppure telefonando allo 091 735 69 00) continua la serie dei supporti audiovisivi della serie «Con-Tatto», una pubblicazione annuale che parla agli utenti, ai familiari e alle persone interessate delle attività di Unitas. Attività a cui si aggiunge un’altra serie di eventi sostenuti da Unitas: il chitarrista ticinese Sandro Schneebeli continua infatti nella serie dei suoi concerti al buio, insieme al fiatista e polistrumentista Bruno Bieri. Prossimi concerti: 13-14 dicembre (ore 18.00 e 21.00, Teatro Paravento di Locarno) e 17-18 gennaio 2015 (ore 21.00, Allocale di Croglio). Info: www.nevemusic.ch.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Società e Territorio

In balia dell’alieno Videogame Alien: Isolation, pubblicato da Sega e realizzato da un team talentuoso è un gioco imperfetto

che sfida l’attuale status quo videoludico

Filippo Zanoli Ve lo ricordate il primo Alien? Forse no perché ha la sua età (è del 1979) ed è stato girato da un irriconoscibile (per modi e tocco) Ridley Scott. Contrapposto nettamente al suo seguito, l’Aliens cameroniano, in tutti i sensi (quindi con gran botti ed esagerazioni) era un capolavoro dell’horror fantascientifico che giocava le sue carte con finezza e sagacia. L’Alieno, malefica bestia invincibile come in ogni film di spavento che si rispetti, era solo uno e metteva a dura prova l’intero equipaggio di un’astronave-casa dell’orrore realizzata con cura certosina. Il mostro ideato dal visionario grigionese Hans Ruedi Giger con James Cameron e Aliens prenderà tutta un’altra strada diventando una sorta di minaccia corale, tipo sciame con tanto di regina, perdendo un po’ del suo fascino ma finendo per impattare in maniera ancora più radicale sulla pop-culture: influenzerà in primis il cinema ma anche fumetti, giochi da tavolo e (ovviamente) videogiochi. Proprio da questa pellicola, infatti, hanno tratto ispirazione praticamente tutti gli sparatutto fantascientifici, genere caciarone e pirotecnico per eccellenza. Doom prima e discendenti poi che hanno fatto della battaglia a suon di mitragliate e bombe fra il tenente Ripley e tutto il raccapricciante alveare una sorta di canovaccio da riadattare

alla bisogna. Un’ispirazione a catena che, volenti o nolenti, è arrivata fino ai giorni nostri. E che retaggio ha avuto Alien? Quando Ellen Ripley (interpretata da Sigourney Weaver) non era una «Ramba» ma una ragazza spaventata e «stalkerata» in una nave deserta da uno spietato predatore siderale? A quanto pare, tutti se lo sono dimenticato. In fin dei conti, la sua formula mal si adatta a quello che la gente è abituata a giocare. Un solo nemico? Che non si può uccidere e ti segue per tutta la durata del gioco? E quel passare il tempo a nascondersi tremando di paura? Unanime la conclusione: nessuno vorrebbe giocarci. A sfidare quello che si pensava fosse un suicidio commerciale ci hanno pensato i ragazzi di The Creative Assembly, supportati da Sega. Il risultato è Alien: Isolation, un gioco anomalo disponibile per Windows, Xbox (360 e One) e Playstation (3 e 4), zeppo di difetti ma entusiasmante per quella dote che, ormai, pochi videogiochi possono vantare: il coraggio e la voglia di innovare. Il giocatore (o la giocatrice) vestirà i panni della figlia della Ripley dei film, Amanda che sta investigando sulla misteriosa sparizione della madre. Finché l’alieno non ci mette lo zampino. Alien: Isolation, è un gioco atipico fatto di fughe a perdifiato, attese interminabili nascosti sotto ad un tavo-

Amanda Ripley è la protagonista del videogioco e indaga sulla scomparsa di sua mamma, Ellen.

lo aspettando che il mostro se ne vada in cui ogni (piccola) azione compiuta sembra una conquista. È anche un titolo che fa una gran paura, in cui ci si sente veramente deboli e vulnerabili (quando solitamente nei game si è in-

vincibili e in grado di superare qualsiasi sfida). È però, bisogna dirlo, anche assai imperfetto, ricco di acciacchi e pasticci, con un ritmo altalenante e forse eccessivamente prolisso. Resta comunque un prodotto en-

comiabile che dimostra come i videogame possano andare oltre ed essere qualcos’altro che kolossal tutti muscoli e niente cervello. Attenti che è spaventoso e per giocare sarebbe consigliato aver compiuto i 18 anni [PEGI 18+]. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Poker indiano: in memoriam Poche vicende, fra tutte quelle patite dai popoli coloniali in epoca moderna, hanno colpito l’immaginazione popolare come quella degli Indiani d’America. Fra questi, gli abitanti originari dell’America del Nord occupano un posto di prominenza nella coscienza più o meno travagliata del cosiddetto Occidente pur avendo avuto a soffrire vicende storiche tremende tanto quanto Aztechi, Maya ed Inca, per non parlare di quei Tupinamba, Guaranì, Mapuche e quanti altri praticamente assenti dall’appello della coscienza globale. In pochi conoscono le res gestae di un Tupac Amaru, l’ultimo sovrano Inca a tentare la restaurazione dell’Impero dalla roccaforte andina di Vilcabamba: la sua memoria è stata soppiantata da quei Tupamaros che negli anni Settanta del secolo scorso hanno combattuto una guerriglia fra le più sanguinose contro il governo uruguagio per poi portare democraticamente José Mujica alla Presidenza del Paese. Per contro, chi non conosce almeno per nome Toro Seduto e Nuvola Rossa? Chi non ha in qualche modo seguito al cinema, letto

nei fumetti e sognato in romanzi di second’ordine le gesta di Geronimo e di Cochise? E chi, nel vasto arcipelago dei vegetariani, ecologisti ed alternativi della prima e seconda ora non si è nutrito delle parole di Alce Nero? Diciamo la verità, anche se è amara: perdere dai vincitori, quelli però con la V maiuscola, i gringos Nordamericani che, dopo aver imposto il loro sogno a colpi di Winchester e strada ferrata dall’Atlantico al Pacifico, avrebbero finito per esportarlo, bene e male inestricabilmente annessi e connessi, urbi et orbi, è altra cosa che essere sconfitti (e magari completamente obliterati dall’anagrafe mondiale come successe ai Tupinambi) da chi è rimasto comunque in ombra nella storia delle Due – anzi Tre – Americhe. Insomma: almeno a partire da Il Grande Sentiero di John Ford (1964) fino a Balla coi Lupi di Kevin Costner (1990) – per non dimenticare i vari uomini chiamati cavallo e le Pocahontas di questo mondo… beh, gli Indiani ci stanno simpatici e «teniamo per loro»: almeno davanti agli schermi e coi popcorn sul grembo. Vale allora la pena

de Sole, capo supremo dei Natchez e almeno cento dei suoi guerrieri, furono ridotti in schiavitù e spediti nelle piantagioni francesi dei Caraibi. Per i Natchez sopravvissuti cominciò una lunga diaspora verso l’Oklahoma, dove oggi costituiscono una delle Tribù Native riconosciute dal Governo Federale. 29 novembre 1847: il medico missionario Marcus Whitman, sua moglie e undici altri membri della missione di Walla Walla, nello Stato di Washington, furono massacrati dai Cayuse e da altri indiani Umatilla. I missionari erano accusati di aver avvelenato 200 nativi, distribuendo veleno invece di medicine durante un’epidemia di orecchioni. La vicenda, complessa tanto nelle premesse quanto nelle conseguenze, aveva un qualche fondamento nella pratica dei nativi di uccidere il medico/sciamano nel caso la sua cura non funzionasse ed è con probabilità solo uno dei fattori in gioco. Anche dopo che cinque capi indiani furono impiccati per la parte avuta nel massacro il 3 giugno 1850, la guerra continuò fino al 1955, quando i

resti delle tribù dei Cayuse e egli Umatilla furono confinati in una riserva. Il 29 novembre 1864, settecento miliziani attaccarono un villaggio, peraltro pacifico, di indiani Cheyenne ed Arapaho nel Colorado sudorientale in quello che rimase nella storia come Sand Creek Massacre. Le 160 vittime, perlopiù donne e bambini, subirono sevizie e mutilazioni, testimoniate dagli stessi attaccanti durante l’inchiesta che seguì gli eventi. Il massacro causò l’inasprimento del conflitto per anni a venire. Quarto ed ultimo episodio: il 29 novembre 1872 una banda di indiani Modoc tenne testa ad alcuni reparti del Primo Reggimento di Cavalleria in quella che passò alla storia come Battaglia del Fiume Perduto, alla frontiera fra l’Oregon e la California. I Modoc rifiutavano di essere confinati nella riserva loro assegnata: per sette mesi – tanto durò la guerra – 53 guerrieri Modoc guidati da Capitan Jack tennero testa a 1000 soldati a cavallo, prima di essere finalmente sconfitti ma – forse – non dimenticati: in memoriam.

scontentare i nonni, gli zii, gli amici di famiglia per cui i pacchi depositati sotto l’albero diventano una piramide. Invece l’offerta non dovrebbe mai superare la domanda, altrimenti rischia di saturare il desiderio. Capita infatti di vederli scartare le prime confezioni con gioiosa eccitazione e poi di procedere annoiati, come se avessero già ottenuto lo scopo che si proponevano. Sino a qualche generazione fa, i doni natalizi erano attesi e accolti come un’intensa, indimenticabile esperienza. Nella società del «poco» servivano ad accendere la scintilla del desiderio, su cui vorrei spendere due parole. Il tempo che ci è dato è solo il presente: il passato non c’è più, il futuro non c’è ancora. La connessione fra le tre dimensioni è creata dalla tensione del desiderio che nasce dalla mancanza, dal vuoto, da ciò che non abbiamo e da quello che non siamo, e proietta la realizzazione di queste aspirazioni

nella prospettiva del domani. Se saturiamo il desiderio, blocchiamo i bambini nel qui e ora impedendo loro di attendere e, nell’attesa, di prefigurare appunto il futuro. Scrive Oscar Wilde: «Nella casa della felicità la stanza più grande è la sala d’aspetto». Se i regali che i nostri bambini ricevono lasceranno qualche cosa di non esaudito, un pacchetto che non c’è, il desiderio e l’attesa si rimetteranno in moto. E del superfluo che fare? Non accumulatelo! Le camerette dei bambini sono sovraccariche di cianfrusaglie e le cantine traboccano di cose che non utilizzeremo più. Meglio che i giocattoli circolino, che siano scambiati o portati in luoghi di raccolta per essere poi distribuiti a chi non ha possibilità economiche. I piccoli comprendono presto il senso e il valore della solidarietà. Agli adolescenti, invece, possiamo offrire, non una cosa, ma un’esperienza, magari aprendo un tesoretto che consentirà loro di

realizzare un progetto o un sogno: un viaggio a Parigi, una crociera in Grecia, uno spettacolo di ballo, un concerto del cantante del cuore, una giornata al Parco giochi più attraente. Come sempre, se la somma ottenuta eccede il bisogno, si trasformerà in dono: da chi ha troppo a chi ha poco o niente. In ogni caso, che non manchi mai, a piccoli e grandi, almeno un libro: siamo nati per leggere! PS: A proposito della lettera sull’adozione, una lettrice, figlia adottiva, propone di mettersi in contatto con il mittente per mettere in comune le loro esperienze. Attendo di conoscere la sua disponibilità.

le statistiche, soltanto il 10 per cento si porta via regolarmente gli avanzi e un 23 per cento, occasionalmente. Il motivo? Perché si vergognano. In questo comportamento, diffuso anche dalle nostre parti, si ritrovano le tracce di una tradizione, solo in apparenza virtuosa, quella del cosiddetto «rispetto umano»: un termine, ormai in disuso, con cui si definiva una forma malintesa di pudore, in pratica una sudditanza dal «cosa penserà la gente». Proprio così, riutilizzare gli avanzi, in un locale pubblico, continua ad apparire un gesto imbarazzante che espone al rischio di passare per taccagni e maleducati. Mentre non da ultimo, altra eredità del passato, rivela una sorta di soggezione nei confronti del ristoratore che, sino in tempi non poi lontani, imponeva la sua autorità: con menu intoccabili, antipasto, primo

e secondo. Impensabili, allora il piatto unico, e tanto meno la possibilità di dividere una grande porzione, lo share, praticato normalmente nei ristoranti d’oltre Oceano. Insomma, tutte piccole libertà, assimilate dal costume contemporaneo, alle quali se ne sono poi aggiunte altre, e ben più grandi. Qui, appunto, il tema si amplia: dalle scelte al ristorante, non più bloccate dal timore di pregiudizi, si passa alle scelte di attività professionali, in ambiti, psicologicamente sdoganati. Sui quali, sino a qualche decennio fa gravavano tabù d’ordine familiare e sociale: era il caso dei mestieri in cui ci si sporcava le mani, s’indossava un grembiale o una tuta, si serviva dietro un banco. E, naturalmente, si guardava con ironia a quanto, invece, avveniva negli Stati Uniti, dove quelle barriere erano cadute, da decenni, suscitan-

ricordare come il 29 novembre sia, per i nostri fantastici eroi, una data nera, nerissima, quasi che la storia avesse congiurato per fare di quella data un dies irae a futura memoria. Guerre fra i coloni francesi dell’insediamento di Natchez, nell’attuale stato del Mississippi, ce n’erano già state nel 1716, nel 1722 e nell’anno seguente. Erano state in parte la conseguenza della simpatia che la classe aristocratica del Grande Sole degli indiani Natchez aveva per i coloni francesi, ai quali non esitava a concedere terre e privilegi a danno dei suoi stessi sudditi. Nel 1729, però, i coloni francesi superarono ogni limite. Il Comandante di Fort Rosalia, il Sieur de Chépart, ordinava lo sgombero di un villaggio Natchez per estendere le sue piantagioni di tabacco. E il vaso traboccò: il 29 novembre i Natchez attaccarono l’insediamento francese. Alla fine della giornata 200 coloni francesi erano stati uccisi e più di 300 fra donne, bambini e schiavi furono fatti prigionieri. Nei due anni successivi i Natchez subirono pesanti sconfitte ad opera dei Francesi e dei Choctaw, loro nemici storici: il Gran-

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Un Natale troppo abbondante Buongiorno Silvia, in questo periodo i miei bambini di 5 e 3 anni sono già indaffarati con le letterine per Babbo Natale e decisamente confusi da un San Nicolao identico a Babbo Natale e un Gesù Bambino che sembra essere di casa solo dai nonni. La confusione ovviamente è anche dei genitori! Come ci dobbiamo comportare? / Barbara Sì, è vero, il Natale non è più quello di una volta. Anche se ci troviamo ad attraversare un periodo di crisi e le famiglie stanno risparmiando su tante cose, ai bambini si cerca di non fare mancare nulla. Ma talvolta si esagera e si rischia di cadere nel «troppo». Un tempo c’erano solo Gesù Bambino, oppure Santa Lucia o la Befana, in alternativa. Ora, come osserva lei, i «benefattori» si sono moltiplicati sino a diventare tre e oltre. L’intento degli adulti è buono ma inflazionare le proposte rischia di rendere meno intensa e mirata la domanda. I

bambini, per quanto piccoli, hanno capito che sotto l’albero di Natale troveranno tutto quello che vogliono. E anche di più. Eppure è importante che imparino a chiedersi che cosa desiderano, a manifestare le loro preferenze e a domandare alle divinità, cristiane o pagane, di esaudire le loro richieste. Se, quando scrivono la famosa letterina, li aiutiamo a moderare il Principio di piacere, a superare l’onnipotenza, ad accettare il limite, contribuiamo al loro sviluppo complessivo. Anche se piccoli, devono sapere che i giocattoli non sono infiniti, che tutti i bambini del mondo hanno diritto di riceverne qualcuno e di essere felici. La misura del superfluo è data dal bisogno degli altri. Da un’inchiesta di mercato, svolta qualche anno fa, sappiamo che, in Italia, i bambini, a Natale, domandano in media quattro regali. Sempre in media ne ricevono undici. Sette di troppo! Ma i genitori non vogliono

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Doggy bag: vecchi pudori addio La traduzione è persino superflua. Stiamo parlando di una borsa, o sacchetto, o scatola, insomma di un contenitore per gli avanzi di un pasto, consumato fuori casa, e destinati al cane: teoricamente. Perché, in pratica, quei resti, una fetta di arrosto, un pesce, mezza pizza, una bottiglia di vino bevuta a metà, troveranno un riutilizzo per una cena in famiglia. Così succede, ormai da decenni in America, tanto da diventare un’abitudine corrente, tipicamente yankee. Che, adesso, però è sbarcata anche in Europa, dove si sta diffondendo velocemente. Ha fatto notizia, soprattutto, l’accoglienza che ha trovato, in Francia, culla per definizione dell’alta gastronomia, e dei severi rituali che l’accompagnano. Ma, guarda caso, proprio qui cresce il numero dei ristoranti, anche blasonati, che accettano il doggy bag. Anzi, se

ne fanno un vanto, esibito all’insegna della lotta contro gli sprechi. Ed è, ora, la volta dell’Italia. Con un’analoga etichetta verde, più di cento ristoranti e trattorie, riuniti nell’associazione «Il Buono che avanza», non solo ammettono l’uso del sacchetto, ma addirittura lo sollecitano per dimostrare, fatti alla mano, la loro sensibilità nei confronti dell’emergenza rifiuti. Del resto, come si leggeva giorni fa su «Repubblica», servirsi del doggy bag è stato promosso a «diritto inviolabile»: così, infatti, ha deciso recentemente la Corte di Cassazione di Roma, al termine di una vertenza fra cliente e ristoratore. Una primizia, sul piano della giurisprudenza, che si vede costretta ad adeguarsi al costume che corre più velocemente delle leggi. Anche se, per la verità, gli italiani sembrano ancora restii a far uso di questa nuova libertà: secondo

do, addirittura, un orgoglio di segno opposto. Uomini politici, docenti universitari, scrittori, attori sfoggiavano proprio le loro esperienze giovanili, come lavapiatti, benzinai, strilloni, uomini sandwich, cioè chiusi fra due cartelloni pubblicitari, e via dicendo. Al punto, come capita di sentire nei discorsi elettorali, di sfruttarli anche a fini propagandistici. Ciò che, d’altra parte, si verifica anche in Europa, e pure da noi, dove un’attività manuale, artigianale, rurale serve per dimostrare sensibilità e vicinanza ai problemi del popolo. E con ciò, anche la bella esperienza sull’alpe o in una carrozzeria rischia di snaturarsi: diventando una moda o uno strumento per un futuro successo. Hillary Clinton ha fatto sapere, in questi giorni, di aver distribuito benzina, alla periferia di Chicago.


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Ambiente e Benessere Le speranze di vita del seme Quali strumenti ha prodotto la Natura per facilitare la dispersione dei semi?

Le chimere di Antalya Sulla rotta di Omero nel Mar Mediterraneo: così come allora, ancora oggi ardono le fiamme sopra le scogliere turche

Il salone degli eccessi Al Los Angeles Auto Show torna in scena anche una delle Mustang più leggendarie

Essere lupo o scimmia? Lezioni di vita dalla natura selvaggia nel libro un po’ filosofico di Mark Rowlands pagina 29

pagina 21

pagina 18

pagina 23

Si chiama Smartflower ed è la recente «scultura» a pannelli fotovoltaici, posata a Chiasso. (Ti-Press)

Il fotovoltaico si fa anche scultura e arte Sostenibilità Un modo per schierarsi a favore di fonti energetiche rinnovabili, ottimali dal punto di vista ecologico Loris Fedele Recentemente, al centro di una rotonda stradale di una località ticinese, è stata installata a titolo dimostrativo una particolare scultura. Si tratta di un impianto fotovoltaico a forma di fiore, con i pannelli, sistemati come petali, in grado di muoversi per ottenere costantemente un angolo ottimale nei riguardi dell’irraggiamento solare: il tutto a beneficio della massimizzazione della produzione di energia elettrica. Avevamo visto altrove simili dispositivi, ma non erano mobili. Erano comunque installazioni con la foggia di una statua, o di un monumento, destinate ad abbellire un giardino o un cortile vicino a edifici che, per la loro conformazione strutturale e posizione rispetto al sole, non erano giudicati adatti a ospitare pannelli fotovoltaici con un rendimento accettabile. Si otteneva così una certa quantità di energia elettrica per soddisfare piccoli consumi privati e si dimostrava la volontà politica di schierarsi a favore delle fonti energetiche rinnovabili, ottimali dal punto di vista ecologico. Oggi sono in molti a desiderare un’abitazione nella quale il riscaldamento possa essere efficiente e anche rispettoso dell’ambiente. In questa ottica gli impianti solari integrati negli edifici potrebbero dare una risposta convin-

cente, in una regione come la nostra. A patto, naturalmente, di essere competitivi nei costi, perché non tutti possono permettersi certe installazioni. Per quanto riguarda il risanamento ecologico degli edifici, fin dal 2009, sono stati promossi alcuni incentivi a livello comunale, cantonale e federale. Ma il meccanismo per fornire questi sussidi si è presto rivelato insufficiente e, a fronte di moltissime richieste, si sono formate lunghe liste di attesa, in particolare a livello federale. Tuttavia il settore dei pannelli solari, in particolare di quelli fotovoltaici – cioè quelli formati da celle che trasformano la luce del sole in energia elettrica – sta vivendo un momento di forte sviluppo. La qualità, e quindi il rendimento, delle celle fotovoltaiche e dei pannelli solari per la produzione di acqua calda è migliorata e sta migliorando, rendendo più interessante l’investimento. Ormai siamo in un mondo dove la terminologia inglese la fa da padrone e quindi si parla di Building Integrated, in particolare di BiPV (per il fotovoltaico) e BiST ( per i collettori solari termici). Nel BiPV il fotovoltaico, oltre a produrre energia elettrica, diventa un componente dell’involucro edilizio, un elemento architettonico, una vetrata, un rivestimento. Lo scorso ottobre il Dipartimento ambiente costruzioni e design della SUPSI, con il suo Istituto

di sostenibilità applicata all’ambiente costruito, ha organizzato un pomeriggio di studio aperto al pubblico dal titolo Il fotovoltaico negli edifici: sfide, innovazioni, visioni per l’architettura solare. Per quanto riguarda il BiPV, alcuni protagonisti del settore hanno mostrato esperienze di successo a livello internazionale. Si sono così viste le coperture della Stazione di Porta Susa del Metro di Torino, 15 mila mq di vetro fotovoltaico, i pannelli integrati nella torre della Regione Lombardia a Milano e l’ormai famoso «Saluto al Sole» di Zara, in Croazia. Si tratta di un’installazione posata nei pressi della banchina d’attracco delle imbarcazioni da crociera: 300 lastre di vetro multistrato, sulle quali si può camminare, disposte alla medesima altezza del lastricato della banchina a formare un cerchio di 22 metri di diametro. Sotto le lastre sono collocati i pannelli fotovoltaici, che durante il giorno assorbono l’energia solare per restituirla elettricamente, in un gioco di luci colorate al suolo, non appena il sole è tramontato. Questa piccola centrale elettrica alimenta anche l’illuminazione dell’intera riva zaratina. In altre parole, oggi si può fare qualsiasi cosa con vetri fotovoltaici stratificati, che possono essere realizzati in modo tale da soddisfare le richieste progettuali degli architetti per quanto riguarda misure, spessori, potenze, trasparenze,

colori, serigrafie, isolamenti termici e acustici. Poi sono stati segnalati grandi progetti, non a caso situati a Dubai o Abu Dhabi, nei Paesi arabi dove il costo delle realizzazioni è considerato secondario rispetto al prestigio che si vuole acquisire con le più ardite costruzioni. Tra gli altri si annovera però anche un progetto per un geniale grattacielo a forma di tubo, ancora sotto concorso a Sidney, con superfici fotovoltaiche colorate d’ogni tipo e molti sistemi di recupero energetico, non soltanto solare ma anche eolico, per esempio. Secondo gli esperti l’integrazione delle energie rinnovabili e dei componenti fotovoltaici è un settore in crescita promettente, sia in ambito industriale sia sul mercato. Ma si lamenta che la libertà di azione esistente e la reale integrabilità del fotovoltaico nelle costruzioni siano ancora poco conosciuti. Oggi il concetto di sostenibilità spinge a ripensare gli edifici, la loro forma e l’uso dei materiali. Il fotovoltaico è un’opportunità per sperimentare una nuova estetica, e a tal proposito si cita una frase del celebre e premiato architetto Norman Foster che dice: «Non ho mai visto un conflitto tra la ricerca del valore estetico e prestazioni elevate in termini di sostenibilità». I percorsi per questa innovazione sono tutti da delineare: designer, industrie e architetti sono chiamati a farlo.

La sfida è quella di sovrapporre alla qualità della struttura architettonica un migliore e più razionale utilizzo dell’energia già in fase di progetto. Dal 2005 all’interno della SUPSI è stato costituito il Centro svizzero di competenza del fotovoltaico integrato (www. bipv.ch) che in collaborazione con l’Ufficio federale dell’Energia (BFE) e Swissgrid partecipa alla definizione delle direttive e delle linee-guida per l’integrazione di questi sistemi negli edifici. Altro attore nel settore è l’Associazione TicinoEnergia. Vi è poi SvizzeraEnergia che con Swissolar ci ricorda che in Svizzera il Sole fornisce gratuitamente in un anno 220 volte più energia di quella che consumiamo: un’opportunità da sfruttare. È stato fatto un censimento cantonale e un catalogo dei tetti e delle superfici idonee per installazioni solari. La resa massima di un impianto solare si ottiene con l’orientamento a sud e un’appropriata inclinazione. Ma oggi non è più indispensabile quell’orientamento per sfruttare l’irraggiamento solare. Anche collettori solari posati (persino verticalmente) più verso Ovest oppure Est possono dare accettabili percentuali di resa, se pur ridotte. Tutto dipende dalle necessità, dalla volontà dei singoli, e dai costi: ma tecnicamente i problemi si sono ridotti di parecchio negli ultimi anni.


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Ambiente e Benessere

Semi e porta-semi, serbatoi di vita Biodiversità L’immortalità della specie è custodita a volte in piccolissimi, altre volte in enormi organi

molto resistenti e di lunga conservazione Alessandro Focarile Settantottesimo parallelo Nord, Isole Svalbard, 3000 orsi polari, 3000 abitanti e un certo numero di cani. Il governo norvegese, tre anni or sono, ha costruito nella roccia e nel ghiaccio un bunker lungo 100 metri nei pressi di Longyearbyen, il centro più importante di queste isole boreali. A livello mondiale, qui è stata costituita la più importante banca di semi. Questi sono conservati in modo permanente all’interno di speciali celle, ove regna costante una temperatura di diciotto gradi sottozero. Un’immensa e importante raccolta che comprende attualmente 800 mila semi appartenenti a 4750 specie differenti di vegetali provenienti da tutto il mondo. Raccolta costantemente incrementata, grazie al contributo di numerose associazioni che si occupano della tutela della biodiversità in campo agricolo, in quanto si sente soprattutto l’urgente necessità di conservare il patrimonio di specie in via di estinzione. Il seme, oltre che essere organo di diffusione della specie, funziona come organo di quiescenza e di resistenza ai fattori ambientali avversi. Da qui deriva la necessità vitale di conservarlo ai nostri posteri, per il tempo futuro. Il seme è definito una pianta in miniatura completamente disidratata e in attesa di svilupparsi. Le sue funzioni principali sono di garantire la continuità della specie, superando le condizioni eventualmente sfavorevoli, e di colonizzare territori sempre più ampi, grazie al suo trasporto da parte del vento, dell’acqua e di numerosissimi animali. I semi hanno meccanismi molto ingegnosi per distinguere il momento più propizio per germinare. Non basta, infatti, una giornata più calda o un temporale passeggero per attivare il complesso meccanismo della germinazione. Ma le varie situazioni a livello di microclima si devono ripetere durante un periodo sufficientemente lungo. Quando il seme percepisce l’instaurarsi di favorevoli situazioni, comincia ad assorbire acqua e spezza il tegumento che lo racchiude, permettendo alla piccola radice di fuoriuscire e penetrare

Porta-semi di Crupina vulgaris (Crupina). (Alessandro Focarile)

Ingresso del centro Svalbard Global Seed Vault.

nel terreno. Le risorse energetiche, delle quali dispone il seme, vengono consumate fino all’emissione delle prime foglie, quando la pianta neonata diventa autosufficiente grazie al fenomeno della fotosintesi. Si può dire che grandi speranze di vita sono racchiuse in un seme, che può essere piccolissimo, come quello delle orchidee. Durante una certa epoca della storia umana, il nostro antenato, stanco di mangiare filetti di mammuth e di spolpare ossa di orso, scopriva lentamente i vegetali, quale fonte di nutrimento alternativo e complementare. L’apprendimento di quello che poteva essere mangiabile e di quello invece che era sgradevole al palato o addirittura velenoso, è stato lungo e penoso, costellato di innumerevoli morti violente e terribili mali di pancia. Oggi noi godiamo i frutti di questa lunga esperienza tramandataci, scegliendo talvolta di seguire persino la sola dieta vegetariana. Nel panorama della vasta scelta disponibile, dei vegetali noi mangiamo quasi tutte le loro parti, a seconda

Semi di carota. Scala 17 millimetri. (Alessandro Focarile)

delle differenti specie: di patate e carote teniamo le parti sotterranee; di insalate, spinaci, verze, le foglie; di carciofi, broccoli, cavolfiori e zafferano, i fiori; di noci, castagne, riso e piselli, i semi. Infine, se gustiamo un’insalata di pomodori, oppure una peperonata con fagiolini, ingeriamo sia frutti sia semi. I frutti sono i porta-semi, e il ben fornito supermarket della Natura ci offre un variegato e variopinto assortimento di questi contenitori della parte vitale della pianta, e cioè l’embrione che si trova nei semi. E, poiché lo scopo ultimo e imprescindibile è la propagazione e la continuità della specie, possiamo notare (e ammirare, se del caso) gli innumerevoli e spesso ingegnosi strumenti che la Natura, durante un percorso temporale di milioni di anni – ovvero da quando sono comparse e progressivamente evolute le piante con fiori – ha messo in atto per costruire strutture sempre più perfezionate, e atte a conseguire al meglio questo programma. Dalle svettanti betulle ai minuscoli trifogli dei prati, i semi non devono essere solo protetti, ma devono avere anche la possibilità di disseminarsi per garantire la continuità vitale del vegetale. In epoca attuale, i porta-semi possono avere dimensioni esageratamente estreme: quelli della Lodoicea (una palma esclusiva delle Isole Seychelles, nell’Oceano Indiano) pesano da 9 a 13 chili, e arrivano fino a un metro di circonferenza. Per contro, quelli dell’erba medica dei nostri prati pesano soltanto qualche milligrammo. Il tempo della germinabilità dei semi è molto variabile e può procrastinarsi a lungo, come è stato possibile verificare con semi rimasti in quiescenza durante 200 anni dentro le pagine di un vecchio libro del 1804! Quali strumenti ha prodotto la Natura per facilitare la dispersione dei semi – un processo evolutivo sempre teso a ottenere la più efficiente funzio-

Porta-semi (samàra) di acero di monte. Scala 10 centimetri. (Alessandro Focarile)

Semi di Balsamina (Impatiens glandulifera) e le molle che ne consentono la dispersione fino a 20 centimetri. Scala 20 millimetri. (Alessandro Focarile)

nalità – con i suoi inevitabili errori di percorso? Innanzitutto la via aerea, come vediamo nei semi del dente di leone (Taraxacum, pissenlit), i ben noti soffioni contenuti in un leggero paracadute zavorrato dal seme. In balia del vento, esso può arrivare dovunque. Una parte di essi è inevitabilmente perduta, ma una quantità non indifferente atterra e genera nuove piantine. Anche i pioppi, i platani e i salici hanno un simile sistema di disseminazione: paracadute + seme. Quasi tutte le conifere nostrane (pini, con l’eccezione del cembro, abeti e larici) hanno il seme incastonato in una leggera «ala», che assicura la dispersione aerea (foto). Aceri e frassini hanno il seme incluso invece in una specie di elica (la samàra), la quale, con il suo volo planato a spirale, sfrutta le correnti aeree.

Animali con pelo, uccelli, formiche, sono altrettanti validi vettori e veicolatori dei porta-semi. Le spine di alcuni di questi ultimi si attaccano al pelame degli animali, che siano domestici (pecore, capre, cani, gatti), oppure selvatici. Molti uccelli, che si cibano di bacche, partecipano attivamente alla dispersione dei semi. Mentre quelli del ciliegio selvatico possono germinare grazie al passaggio attraverso l’apparato digerente dell’animale. In questa sede, i succhi gastrici facilitano la demolizione del nocciolo legnoso, e la fuoriuscita del seme. Alle pernici dobbiamo la dispersione dei semi di mirtillo e alla nocciolaia la diffusione dei pini cembri nelle Alpi. Infine, siamo debitori alla ghiandaia della disseminazione di castagne, nocciole e ghiande. Anche le formiche sono un altro valido mezzo di trasporto. I semi di alcuni vegetali erbacei molto frequenti, come la celidonia (Chelidonium majus), e la Falsa Ortica (Lamium) hanno una componente esterna, la «carùncola» ricca di grassi e proteine, molto appetita dalle formiche che disperdono il seme dopo aver consumato questa protuberanza. I fattori fisici (aria, acqua) e biologici (animali) sono i potenti motori che governano l’incessante diffusione dei vegetali in ogni ambiente naturale. Ma in mancanza del provvidenziale bunker tra i ghiacci e gli orsi delle Isole Svalbard, forse molti vegetali di importanza vitale per l’uomo, sarebbero a rischio di estinzione in un probabile futuro. Bibliografia

Pierre Jolivet, Interrelationship between Insects and Plants, CRC Press (London, New York) 1998, 309 pp. Heinrich Walter, Grundlagen des Pflanzenleben, Verlag E. Ulmer (Stuttgart), 1962, 494 pp. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Le bacche multicolori dei Cotoneaster Anita Negretti Vi sono piante che entusiasmano più di altre e, a me, i Cotoneaster non sono mai piaciuti. Non vi è una vera ragione, forse semplicemente non li ho mai osservati con la giusta attenzione. Pecca colmata in modo quasi colpevole quest’autunno, quando, durante una passeggiata fintamente distensiva con mia figlia minore Celeste – una vandala in formato mini – ho trovato le sue manine raptatorie colme di piccole bacche rosse e arancione, provenienti da una ricca siepe di Cotoneaster incautamente cresciuta lungo il nostro percorso. Dispiaciuta per il furto commesso dalla mia creatura poco disciplinata, ho guardato meglio la pianta depredata e, una volta giunta a casa, ho voluto colmare la mia lacuna. Ho così scoperto che il genere Cotoneaster appartiene alla famiglia delle Rosacee e vi sono più di 350 specie tutte originarie dell’emisfero settentrionale. Uno sguardo al planisfero le colloca a ovest, dal Marocco ai Pirenei fino a toccare l’Inghilterra, a est, da Taiwan fino alla Corea, a sud dal Sinai alle colline Nilgiri dell’India fino al monte Victoria a Burma, mentre a nord si arriva dalla penisola di Kola fino alla Yakutia in Siberia. Molto rustici, si presentano come arbusti che possono esser piantati quasi ovunque in giardino, dalla mezz’ombra al pieno sole, in terreni calcarei o acidi, con l’unica accortezza di evitare zone con ristagni idrici, in quanto li sopporta male.

Una sola malattia li porta alla morte, se non tempestivamente fermata: si tratta del colpo di fuoco batterico. Facile da individuare, si manifesta sulle piante durante la stagione di crescita con rami completamente secchi che assumono una colorazione rossastra. Nel caso in cui si verifichi, o anche solo nel dubbio che ciò accada, è opportuno contattare il servizio sanitario prima di procedere al taglio e alla bruciatura della parte ritenuta infetta. Per combatterla è sufficiente tagliare il ramo colpito fino alla porzione sana, bruciandolo il prima possibile e trattando le piante con composti a base di rame. Molti rappresentanti di questo genere mantengono le foglie durante tutto l’anno, come accade per Cotoneaster lacteus, alto fino a 4 metri, con un diametro di 2-3 metri e largamente utilizzato per creare siepi invalicabili in quanto fittissime. Presenta dei rami a forma arcuata, foglie verdi e di forma ovale con una lunghezza di circa 6 cm; nella pagina inferiore sono di colore bianco-argenteo e ricoperte da una sottile peluria, mentre i fiori, biancocrema compaiono in giugno-luglio per lasciar posto ai piccoli frutticini rossi in tardo autunno. Un vantaggio da non sottovalutare, è legato alla non commestibilità delle bacche da parte degli uccelli, ciò che ci permetterebbe di avere le bacche durante tutto l’inverno. Molto più piccolo, arriva infatti a soli 20 cm di altezza ma vanta un diametro di ben 2 metri, è il C. dammeri. Anch’esso sempreverde, è prostrato

André Karwath

Mondoverde Fra questi, da segnalare anche la spinosa Pyracantha

e con foglie verde scuro lucide. I fiori bianchi compaiono tra aprile e maggio, mentre i frutti rosso corallo sbocciano in autunno. Insieme a C. procumbens, di cui vi consiglio di ricercare la varietà Queen of Carpets, i C. dammeri sono l’ideale per tappezzare scarpate o zone poco appariscenti sotto ad alberi alti. Se desiderate avere un angolo di giardino o una zona boschiva ricca di vita, vi consiglio di piantare alcuni esemplari di C. horizontalis o C. franchettii, i cui pomi sono molto apprezzati dagli uccelli, tra cui merli, tordi e

passeri. Il primo, C. horizontalis, alto un metro circa, si spoglia in autunno, lasciando ben vedere la disposizione dei suoi rami a spina di pesce; si riempie di fiorellini rosa in maggio e produce bacche rosso vivo. L’ideale sarebbe coltivarlo a ridosso di un muro, dove sorprendentemente raggiungerà i due metri d’altezza, mentre se volete qualcosa di più inusuale, puntate sull’acquisto di C. horizontalis Variegatus, con foglioline dalle variegature bianco-crema sfumate di rosa. C. franchettii ha rami arcuati portati per tutti i 3 metri della sua altezza, of-

frendo pomi rosso arancio agli uccellini che lo utilizzeranno come banchetto. Spesso si accostano più Cotoneaster per creare macchie di colore, giocando sulla tinta delle bacche; si possono così abbinare C. glaucophyllus dai frutti rosso vivo, con C. x rothschildianus alto 4 metri e bacche giallo crema, C. x watereri dai frutti rossi molto persistenti, accompagnati da una rarità come un bel esemplare di C. moupinensis dai frutti neri e dal fogliame dorato in autunno. E per concludere va fatta notare un’ultima singolarità: Cotoneaster e Pyracantha sono quasi gemelle. Spesso si fa infatti confusione tra questi due generi, appartenenti entrambi alla famiglia delle Rosacee e originari dell’America settentrionale, dell’Europa e dell’Asia. Hanno portamenti simili, dagli esemplari striscianti fino a piccoli alberelli di 4 metri, le foglie sono piccole in entrambi i generi e in primavera producono innumerevoli piccoli fiori bianchi a forma di stella, a volte profumati. In entrambi i casi producono in tarda estate piccoli frutti tondeggianti, carnosi, per lo più commestibili, che a maturazione divengono rossi, gialli, rosati o arancione. I frutti sono per entrambe le piante minuscole mele, dal sapore dolciastro; persistenti in inverno se non predati da uccelli, donano al giardino un tocco di colore. La differenza principale tra loro è la presenza di spine acuminate su molte specie di Pyracantha, caratteristica esente nei Cotoneaster. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Antalya tra chimere, tartarughe e paradisi di schiuma Reportage Il fragile equilibrio tra natura e uomo, là dove prepotente arriva il turismo

Markus Zohner* Avevo i miei dubbi, prima di partire. «Antalya» mi dicevo, «è una città turistica. Settevirgolatre milioni di turisti all’anno, soprattutto russi e tedeschi. Non ci sarà un buon hammam (ndr: bagno turco)». Ero, però, già stato in Turchia, e le visite ai Bagni, a Trabzon, sul Mar Nero, o ad Adana, nella zona meridionale del Tauro, erano state un elemento irrinunciabile dei miei viaggi. Così, nonostante le mie supposizioni, inizio a chiedere informazioni. Alla fine, nella piccola pensione in cui alloggio il piccolo ricezionista mi rivela la strada. Non mi è difficile trovare l’edificio bianco con la grande insegna che invita gli ospiti, in russo e in tedesco, a entrare nei «più antichi Bagni di Antalya», ovvero nel «Paradiso della schiuma». Mi accoglie un bagnino gentile, con i baffi arricciati all’insù, e presto mi ritrovo circondato da un gruppo di uomini che cercano di vendermi i più svariati «pacchetti bagno». Mi sembra di essere davanti a un autolavaggio, indeciso verso quale programma mandare il mio veicolo. «Scelga il programma completo: massaggio con schiuma, rilassamento, tè, e massaggio finale con olio. Ci sono delle bellissime massaggiatrici dalle mani delicate». «?». Solitamente nei bagni turchi la separazione dei sessi è rigorosa. L’accesso per uomini e donne è strettamente distinto secondo i giorni: nessuna donna entra nell’hammam in un giorno riservato agli uomini, e men che meno viceversa. Mi decido quindi per il pacchetto base «massaggio con schiuma senza donne» da 25 euro, anche se Tahir, che ha lavorato per trent’anni in una nota casa automobilistica di Monaco e parla un bavarese colorito, mi raccomanda ancora le delicate mani oliate delle ragazze. La mezz’ora concordata del massaggio con schiuma si consuma in soli quindici minuti, e la definizione stessa di «massaggio» assume connotazioni enfatiche rispetto a quanto realmente viene offerto. Tutt’altra cosa rispetto a Trabzon o Adana, dove tentarono persino di spezzare alcune delle ossa del mio corpo che fino a quel momento mi erano persino del tutto sconosciute. Bekir, il nano tarchiato dagli occhi furbi capo massaggiatore dell’hammam, il cui nome significa «Colui che si alza presto», fa tanta scena con una federa bagnata; la immerge più volte nella saponata, la riempie di aria come una manica a vento e poi la sgonfia, producendo una montagna di schiuma con cui poi ricopre il mio corpo disteso sul marmo caldo. Un po’ di impastature qui, un po’ di pizzicamenti lì, altri due abracadabra con la federa che si gonfia e si sgonfia producendo masse di schiuma, e per il rimanente quarto d’ora dei miei 30 minuti mi dovrei riposare sotto la montagna bianca.

La spiaggia di Çıralı. (Markus Zohner)

Segue la pausa tè, durante la quale Tahir mi racconta dei suoi anni felici a Monaco e mi fa domande su mille temi interessanti, si informa sul mio stato civile e chiede se viaggio da solo, e come in una squallida versione delle Mille e una Notte entrano adesso Leyla, Eda e Fatima, si siedono sui divani e si mettono a fare cruciverba e a laccarsi le unghie. Sembrano straordinariamente affascinate dallo svizzero straordinariamente affascinante che indossa soltanto un asciugamano avvolto attorno ai fianchi e si rilassa sorseggiando un tè. «Guarda quanto sono belle!», esclama Tahir entusiasta. «E le loro agili dita sono esperte…» Fulmino Tahir con lo sguardo. Poso la mia tazza sul tavolino, passo davanti alle signorine ammutolite e vado nello spogliatoio a rivestirmi. Un attimo dopo mi ritrovo fuori, nella via soleggiata, con un gusto amaro in bocca, un misto di delusione, vergogna e rabbia, di fronte al più antico Bagno di Antalya, che il turismo ha trasformato in un bordello. Prendo il bus per Çıralı. Il velocissimo e moderno tram, con i suoi distributori di biglietti futuristici, mi ha portato alla stazione degli autobus silenziosamente e con la velocità di un soffio di vento. Il bus di linea viaggia per un’ora verso sud, lungo la costa, mantenendosi sempre alla sua destra. Il simpatico autista mi scarica a una fermata invisibile e mi dice di salire sul Minivan in attesa che mi porta poi, lungo una strada di ghiaia, giù fino al mare. Non è solo il mondo che cambia, quando si cambia luogo. La stessa anima si trasforma. Con l’arrivo a Çıralı, divento un altro. Lascio quello che ero, un uomo annodato, che inciampava confuso nelle strade di Antalya, che sostava stremato in caffè chiassosi, che la sera mangiava in piedi nei vicoli, nervosamente, polpette d’agnello piccanti con cipolle crude, e divento uno che esiste, al centro del mondo. Uno che ha con

sé soltanto il suo zaino, che si installa in un piccolo bungalow sulla spiaggia, che si getta sul letto e guarda il soffitto per un tempo infinito – finché si smaterializza – e che infine spacchetta i suoi libri e li porta tutti con sé in spiaggia. Un dio che finalmente è arrivato in paradiso e beve una limonata fresca sotto un ombrellone; un sognatore che, leggendo L’interpretazione dei sogni di Freud con gli occhi socchiusi, si dissolve tra il mare, il sole e il cielo. E che poi solleva lo sguardo verso le sempre ammiccanti, attraenti e urlanti chimere (ndr.: fiamme eterne e naturali generanti dalla roccia) che, adesso, siccome il mondo si è fermato, si staccano dall’immenso blu piagnucolando lamentose, planano in grandi cerchi, e infine atterrano in silenzio sulla spiaggia e sulle rocce tutt’attorno, quietate. Çıralı dev’essere la spiaggia più bella di tutta la Turchia. Mentre nel resto del Paese, grandi investitori hanno riempito di enormi complessi alberghieri persino le baie più pittoresche, Çıralı resiste ancora alla speculazione edilizia. Il suo mare cristallino e la suggestiva striscia di sabbia lunga chilometri, orlata da vecchie pinete dietro cui si ergono montagne scoscese, devono la loro salvezza a una creatura rara: ottanta esemplari della tartaruga marina gigante Caretta caretta giungono qui, ogni anno, per deporre fino a centoventi uova in buche profonde scavate nella sabbia. Dopo cinquanta giorni, i giovani animali escono dalle uova e strisciano di nuovo fino al mare, per ritornare nello stesso posto a deporre le uova venticinque anni più tardi. Grazie alle tartarughe, la baia di Çıralı è zona protetta. Negli anni Ottanta alcune famiglie cominciarono ad aprire qua e là, nel paesaggio di dune, piccole pensioni costruite secondo criteri ecologici, e così pian piano crebbe un piccolo villaggio con possibilità di alloggio, botteghe, caffè e ristoranti.

Tutto al limite della legalità, non veramente autorizzato, ma finora tollerato. Un progetto di turismo alternativo degli abitanti di Çıralı, in collaborazione con il World Wildlife Fund (WWF) che sostiene l’agricoltura biologica, non permette la costruzione di grandi edifici, proibisce i rumori molesti, vieta le discoteche e la musica ad alto volume, e limita all’indispensabile le emissioni di luce notturna. A partire da giugno, quando le tartarughe strisciano sulla spiaggia per deporre le uova, un gruppo di volontari si occupa della loro protezione e di quella delle covate. Quando circa due mesi dopo i minuscoli animaletti sgusciano fuori dalle uova e iniziano il loro faticoso percorso verso il mare, che è la loro salvezza, turisti e autoctoni si riuniscono sulla spiaggia per contemplare lo spettacolo fragile di queste minuscole creature, comprendendo attraverso di esse quanto indifeso sia l’ambiente in realtà, e come la minima disattenzione possa distruggere il magico decorso della natura, come il ciclo di vita di questi esseri provenienti da un’altra epoca. Questo è il loro periodo, e tutta Çıralı attende con impazienza l’arrivo della Caretta caretta. Le fiamme si agitano sulla montagna. Ovunque, mostruose creature con la testa di leone, una testa di capra sulla schiena e la coda di serpente. Chimere. Esseri ibridi omerici. Creazioni della fantasia, che appaiono e scompaiono così come sono arrivate. Idee, speranze, paure, ricerche confuse, stati febbrili, spettri della mente, allucinazioni. Le fiamme del mostro, che qui a Khimaira, soltanto a un’ora e mezza di cammino da Çıralı, scaturiscono dalle rocce e avvampano in alto sopra alla baia marina. Già ai tempi di Omero guidavano i navigatori e mettevano le ali alla fantasia dell’uomo e del poeta. Fu Bellerofonte, nipote di Sisifo, che riuscì col suo cavallo alato Pegaso a uccidere

lo spaventoso essere sputafuoco. Colpì dall’alto, brandendo una lancia dalla punta di piombo. Con il calore delle fiamme che usciva dalle narici della bestia, il piombo si fuse e colò direttamente nella sua gola facendola soffocare. Così oggi restano solo le sue fiamme, che da allora, alte sopra al Mar Mediterraneo, ardono incessantemente sulle rocce, sopra le quali adesso i turisti tedeschi arrostiscono i loro bratwurst e i turisti russi grigliano i loro marshmallows rosa. Mi siedo sul roccione e guardo giù dalla montagna verso il mare aperto su cui già Serse e Omero navigarono, guidati dai fuochi perpetui. Gli stessi che mi scaldano adesso – mentre cala la sera e si smorza l’afa di questo giorno di inizio estate – e che mi fanno scivolare in fantasticherie infinite. È certamente vero, mi dico, che non esiste un inizio e non esiste una fine. Che finché l’uomo pensa, il fuoco non si estingue. E che lo stesso fuoco che indicò la via a Ulisse, e che adesso mi dona chiarezza, fiammeggerà sulla nuda roccia per i nostri figli e per i nostri nipoti. E sarà sempre nostro compito cercarlo. E trovarlo. Mi risveglio quando in alto sopra alla terra, da miliardi di anni, una miriade di stelle invia la sua fredda luce. I turisti hanno lasciato Khimaira da un pezzo. Da qualche parte, una coppia si stringe in un sacco a pelo vicino a una fiamma guizzante. Mi alzo rabbrividito e resto a lungo in piedi a scrutare, oltre le luci fiammeggianti, il mare nero come la pece e il cielo luccicante infinito. Poi lentamente scendo dal roccione, come un nottambulo, e attraverso una selva di fuochi ardenti. Quando due ore più tardi arrivo a Çıralı, tutto dorme. Le luci sono spente. Solo il cielo trapuntato di stelle dà un’idea di luce e di eternità. Ignoro la piccola biforcazione che porta al mio bungalow, inciampo, indugio, poi lentamente scendo alla spiaggia. Mi siedo su una grande roccia e guardo il mare scuro, con le sue sottili increspature bianche e il suo respiro infinito. All’improvviso, qualcosa cambia nel suono leggero e ritmico dello sciabordìo delle onde. Una piccola rottura, un ritardo, un’interruzione quasi impercettibile dello svanire delle creste. Per un bel po’ i miei occhi non riescono a vedere, finché lentamente, adagio adagio, spinti da una forza di origini remote, si delineano gli enormi, scuri e lucenti corpi delle tartarughe, che emergendo dalle oscurità preistoriche del pianeta strisciano silenziosamente verso la terra. * Traduzione di Rachele Facchinetti

Le chimere, ovvero i fuochi perpetui. (Markus Zohner)

Una barca diretta al porto di Antalya. (Markus Zohner)


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Ambiente e Benessere

Audi cambia linguaggio stilistico Motori Presentato al Los Angeles Auto Show

il prototipo della nuova ammiraglia della casa dei quattro anelli

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Mario Alberto Cucchi La prima edizione si è svolta nel 1907 ed erano esposti 99 modelli di autovetture. L’ultima si è tenuta quest’anno dal 21 al 30 novembre su una superficie espositiva di oltre 71 mila metri quadrati. Stiamo parlando del Los Angeles Auto Show (www.laautoshow.com). Molti i prototipi presentati al grande pubblico, tra questi la concept Prologue (nella foto) che prefigura la futura Audi A9, ammiraglia della Casa dei quattro anelli. Una vettura che anticipa il nuovo linguaggio stilistico della Casa tedesca: cinque metri di eleganza caratterizzati da una linea di cintura alta e da vetrature ridotte. Sotto il cofano, un V8 biturbo da 605 cavalli che permette di scattare da fermi a cento orari in soli 3,7 secondi.

Interessanti novità anche tra le vetture prodotte dalle altre case, dalla Cadillac alla Mazda, alla VW Novità anche tra le vetture di produzione. Mazda ha presentato in anteprima mondiale la nuova CX-3. Un SUV compatto che sarà commercializzato nella primavera del 2015 in Giappone e successivamente nel resto del mondo. Cadillac ha portato invece la super sportiva ATS-V, disponibile con carrozzeria sia berlina sia coupé, che potrà ospitare sotto il cofano anche un motore sei cilindri da 3,56 litri capace di erogare la potenza di 455 cavalli. Trecento chilometri orari, è la velocità massima e solo 3,9 sono i secondi necessari per accelerare da zero a 100 km/h. Insomma, un’auto ben diversa dalle limousine che il nome Cadillac rievoca nelle fantasie collettive. Il Los Angeles Auto Show è il salone degli eccessi e quindi ecco tornare sulla scena anche una delle versioni Mustang più leggendarie: la Shelby GT350. La sua

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prima variante risale al 1965. La muscle car americana di oggi è equipaggiata con un grande motore 8 cilindri a V da 5200 cc in grado di erogare oltre 500 cavalli. Dedicata agli automobilisti più sportivi anche la nuova Volkswagen Golf R Variant, che arriverà in Europa nel corso del prossimo anno. Familiare, grintosa ed equipaggiata con il già noto propulsore 2.0 turbo TSI da 300 cavalli. Riflettori puntati infine sulla Jaguar F-Type dotata di trazione integrale. Di questi giorni la notizia che Jaguar ha registrato il nome EVType. Un’iniziativa che potrebbe prefigurare un modello a emissioni zero con il giaguaro sul cofano, ipotesi fino ad ora mai presa in considerazione dal costruttore inglese. Continuando a parlare di ecologia, al Los Angeles Auto Show è stata presentata al pubblico la prima automobile a idrogeno prodotta in serie sul suolo giapponese. Si tratta della Toyota Mirai, parola che in giapponese significa futuro. Il presidente Akio Toyoda ha confermato il nome della vettura che, secondo lui, dovrebbe rappresentare un punto di svolta nel panorama dell’ecosostenibilità. La sua speranza è che replichi il successo commerciale dell’ibrida Prius lanciata a fine 1997 in Giappone. Mirai è frutto di vent’anni di ricerche e di ben undici prototipi che ne hanno anticipato la realtà produttiva. Lunga 489 cm, larga 181 cm e alta 153 cm sarà probabilmente disponibile in Giappone dal prossimo 15 dicembre. L’arrivo nelle concessionarie europee è invece previsto nel settembre del 2015 a un prezzo di partenza prossimo agli ottantamila franchi. Grazie al Toyota Fuell Cell System, che fonde la tecnologia delle celle a combustibile con quella dell’idrogeno, si ipotizza un’autonomia di 500 chilometri. Per il rifornimento di idrogeno bastano 3 minuti di tempo, ma il problema è che, ad oggi, non si può certo dire che le stazioni di rifornimento d’idrogeno siano diffuse sul territorio europeo. Secondo i tecnici giapponesi «l’idrogeno fra cent’anni sarà diffuso come la benzina e il gasolio».

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Ambiente e Benessere

Libri per giocare e giochi da leggere Editoria Nuovi consigli biblio-ludici Ennio Peres Giochi per la mente di Fabio Ciuffoli

(Franco Angeli, pp. 160, € 18,00). Una ricca e stimolante raccolta di oltre 140 problemi logici e matematici, molto indicata per tenere allenata la mente, ma anche per affrontare test e prove di selezione per l’università e il lavoro. Una vera e propria palestra per le meningi, nella quale esercitarsi per migliorare le proprie abilità intellettive, in modo graduale, utile e costruttivo. Il grande gioco dei numeri di

Federico Peiretti (Longanesi, pp. 220, € 14,90). Ricca raccolta di giochi logici e matematici che intende ribadire quanto la matematica sia affascinante e divertente. Partendo dal principio che un’opera divulgativa deve riuscire a divertire anche un pubblico di non iniziati, l’autore evita di utilizzare una terminologia specialistica, ricorrendo a un linguaggio chiaro e accessibile ai potenziali lettori. Murder party - A cena con il morto

di Antonello Lotronto e Lorenzo Treni (Editore Ultra, pp. 240, € 13,90). Il murder party è un gioco di ruolo di argomento poliziesco, nato nel mondo anglosassone nella prima metà del secolo scorso, che da diversi anni sta conoscendo una larga diffusione anche in Italia. I partecipanti, sotto la guida di un regista, sono portati a interpretare un’intrigante vicenda gialla. Uno di loro è colpevole di un reato (ma il suo ruolo è ignoto) e gli altri dovranno sco-

prirlo, nel corso del gioco. Questo libro rappresenta la prima guida completa alle molteplici tipologie del murder party. La Bibbia enigmistica di Claudio

Monetti (San Paolo, pp. 64, € 6,90). Una raccolta di giochi enigmistici (cruciverba, anagrammi, indovinelli, legami logici, e così via), tutti ispirati ai contenuti della Bibbia. Il volume, che consente un approccio ai temi biblici, piacevole e graduale, può essere adottato come testo ausiliario per l’insegnamento della religione, nelle scuole medie inferiori, ma soprattutto dimostra come si possa anche giocare coi santi, lasciando stare i fanti… Perché nulla vada perduto e altri racconti a cura dell’Associazione Rill

(Wild Boar, pp. 176, € 9,50). Nuova raccolta della fortunata collana Mondi incantati, contenente il racconto vincitore del XIX Trofeo Rill (che dà il titolo al volume) e altri dodici racconti, classificatisi ai primi posti. Questo concorso letterario, rivolto al mondo ludico, viene bandito dall’associazione Riflessi di Luce Lunare, ogni anno, dal 1994, allo scopo di sottolineare gli stretti legami esistenti tra letteratura e giochi di ruolo. Matematica di Walter Maraschini e

Mauro Palma (Garzanti, pp. 1.536, € 46,00). Innovativa enciclopedia della matematica in formato economico, composta da 7800 voci, che intende rivolgersi sia agli esperti sia ai profani, cercando di offrire un quadro il più possibile com-

pleto, rigoroso e chiaro della Matematica, in tutte le sue articolazioni. Il volume è corredato da quattro utili appendici: Tavole (tabelle e formulari di rapida consultazione) – Storia della matematica (dall’antichità al Novecento, a cura di Luigi Borzacchini) – Premi matematici (personaggi insigniti dei più prestigiosi riconoscimenti matematici) – Giochi matematici (ndr: selezione dei più significativi argomenti di matematica ricreativa, a cura di Ennio Peres). Casin degli spiriti di Leo Colovini (Editore Eclissi, pp. 368, € 12,00). Un appassionante thriller, la cui trama si intreccia con eventi storici e ambientali, riproposti con grande accuratezza. La vicenda principale si svolge in una Venezia messa in ginocchio dall’alta marea, nell’autunno del 1966, l’anno della grande alluvione. Una coppia di giovani fidanzati si trovano, per caso, a intraprendere un’indagine molto pericolosa, sulle tracce di un sanguinario criminale nazista. L’autore di questo romanzo è il più noto inventore di giochi da tavolo italiano, con oltre 70 titoli pubblicati, in 20 diverse lingue del mondo. Questa è la sua prima incursione in campo letterario. Il matematico continua a curiosare di Giovanni Filocamo (Kowalski, pp. 240, € 13,00). Efficace testo divulgativo che dimostra come la matematica, in modo consapevole o inconsapevole, si può riscontrare anche nelle più semplici e automatiche azioni quotidiane (scegliendo la coda giusta alla cassa del supermercato, cuci-

nando la pasta, cuocendo arrosti, facendo bricolage in casa, e così via). Matematica. Una storia illustrata dei numeri di Tom Jackson (Rizzoli,

pp. 144, € 24,90). Un elegante libro illustrato che, attraverso l’analisi di cento memorabili enigmi, traccia una coinvolgente cronaca delle idee, della vita e delle opere dei matematici più rilevanti della nostra storia. L’opera è impreziosita da oltre 300 pregevoli illustrazioni e da un poster di 2,5 metri, che riporta una cronologia della matematica, in parallelo con i grandi avvenimenti della storia mondiale. L’autore è un prestigioso divulgatore britannico, che ha pubblicato finora più di ottanta libri di argomento scientifico. Scientia in rebus est di Federico

Mussano (UniversItalia, pp. 86, € 10,00). Saggio originale e coinvolgente sul gioco del Rebus che ne esamina i molteplici aspetti ludici, linguistici, iconografici e sensoriali. In particolare, ricorrendo a vari esempi particolareggiati, l’autore (uno dei più stimati enigmisti italiani) mostra il percorso che consente di giungere, da uno spunto creativo, alla realizzazione di un rebus di valore. L’opera si avvale di una premessa linguistica di Francesca Dragotto, di una postilla onomastica di Enzo Caffarelli e di un’appendice agiografica di Diego Scipioni. Il suo titolo riprende un celebre passo di Sant’Agostino, volutamente forzato per rendere ambiguo il termine rebus.

Cronache di scienza improbabile di

Pierre Barthélémy (Dedalo, pp. 144, € 14,00). Divertente panoramica di esperimenti assolutamente strampalati (pur se condotti col massimo rigore scientifico), insigniti del celebre premio Ig Nobel. Ricorrendo anche a divertenti fumetti, il libro mostra come, anche nella Scienza, non ci sia limite alla fantasia. Per cui, è lecito cercare di rispondere a interrogativi come: «Leggere in bagno fa bene alla salute?», «Esiste una relazione tra il successo professionale e il nome che si porta?», «È vero che nascono più bambini a San Valentino?». L’autore, affermato giornalista scientifico francese, con questa opera ha vinto il premio Le goût des sciences del Ministero della Cultura francese. C’era un’altra volta - La seconda vita dei rifiuti di Annalisa Ferrari e Mirco

Maselli (Editoriale Scienza, pp. 80, € 7,90). Accattivante storia a fumetti che si propone di sensibilizzare i ragazzi in merito al problema del riciclaggio dei rifiuti. I protagonisti sono l’econauta Maurice La Nature e il suo fido cane segugio Rubby. Addentrandosi nelle montagne di rifiuti non biodegradabili dell’età contemporanea, i due passano in rassegna i metodi di raccolta, gli impianti di selezione, le discariche e i termovalorizzatori, pronunciandosi anche su questioni rilevanti, come la green economy e le ecomafie. Il testo è arricchito da una stimolate raccolta di quiz a tema ecologico e da una serie di proposte per creare degli oggetti con materiale di scarto. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Ambiente e Benessere

Dal cannibalismo alle scritture bibliche Parlare dei tabù alimentari non è facile. Questo termine polinesiano identifica una forte interdizione nell’ambito dei comportamenti umani, in questo caso relativi al mangiare. Non è facile perché qualunque studioso affronti un argomento così vasto e frastagliato cerca sempre di trovare concordanze e spiegazioni «razionali legate all’economia o ad altri ambiti a lui congeniali. Chi è andato più avanti in questo studio, è stato un antropologo americano, Marvin Harris, che ha scritto sul tema un fondamentale libro che si chiama Buono da Mangiare, pubblicato anche in italiano da Einaudi. Per quanto il libro sia coltissimo e godibile, si resta sempre un po’ confusi: troppo sfugge in questo campo alla comprensione razionale.

Il cristianesimo aveva, e ritualmente ancora ha, l’interdizione di mangiare carne il venerdì Alla fine io mi sono convinto che la motivazione di chi ha creato i tabù – mai «spontanei» – sia stata legata alla necessità di «fare gruppo», di «controllare il gregge»: se vuoi far parte di noi devi rispettare certi principi, anche assurdi, se non ti piacciono esci dal gruppo. Ma è solo una mia convinzione. Il più tabù di tutti i tabù alimentari è il cannibalismo. Le società che lungo i secoli l’hanno praticato sono state perseguitate e distrutte. Una cosa però va detta: è un tabù ma non un peccato, sia per la Chiesa, sia per il pensare laico. Ricordate l’aereo uruguagio precipitato sulle Ande nel 1972, quando parte dei viaggiatori riuscirono a salvarsi mangiando i cadaveri di chi era morto? I sopravvissuti, membri di un collegio cattolico, al ritorno chiesero se avevano

peccato o no. E la risposta della Chiesa fu netta: non avevano peccato, per sopravvivere tutto è lecito – o quasi: non lo sarebbe certo stato uccidere per nutrirsi… Un altro celebre tabù è legato alla religione ebraica. In questo caso il sistema delle regole si chiama kasherut ed è condiviso in gran parte con l’Islam, che lo definisce invece halal. Nella Bibbia si fa distinzione tra alimenti tahor (permessi), comprendenti quasi tutti i vegetali, e alimenti tamei (proibiti). Per esempio, gli animali di cui è consentito cibarsi devono, se di terra, essere ruminanti e avere lo zoccolo fesso, se acquatici avere pinne e squame. Quelli generalmente vietati sono cavallo, maiale, selvaggina, crostacei, molluschi, anguilla e rettili. Inoltre, sono proibite le bevande fermentate (eccetto il vino) ed è proibito mescolare latte e carne, al punto che un piatto dove c’è stato latte non può essere utilizzato per una preparazione di carne. Le regole islamiche sono abbastanza simili, con la notevole eccezione dell’interdizione assoluta dell’alcol. Comunque anche in questo caso vige la regola: se stai morendo di fame tutto è lecito. Il cristianesimo aveva, e ritualmente ancora ha, l’interdizione di mangiare carne il venerdì, ma non era un vero e proprio tabù. Un altro tabù è la vacca sacra in India. Non può essere né uccisa né mangiata, ma si può consumarne il latte. Il tabù riguarda le femmine dei bovini, non i maschi, che possono essere mangiati. E poi in tutto il mondo alcuni animali si possono mangiare e altri no. In Asia orientale si usa mangiare il cane, cosa che noi europei troviamo intollerabile. Però in mezza Europa si mangia il cavallo, nell’altra mezza no, lo stesso vale per il coniglio. Mangiare un delfino è tabù in molte tradizioni, ma il tonno no. Si può dire che i pet, ovvero gli animali di compagnia, sono interdetti… ma a livello mondiale manca una regola che definisca quali siano questi animali nel dettaglio.

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Gastronomia Sono molti i tabù alimentari tutt’oggi vigenti nel mondo intero o in parti di esso

Oggi due super classici e super ghiotti dolci della grande tradizione francese. Il primo dolce si chiama Île flottante, perché un’«isola» bianchissima e decorata viene presentata al centro di un «mare» di crema, tanto da farla sembrare «galleggiante» sulla crema: chi ha inventato questo nome è stato un grande genio. Per 4 persone. Sbattete a neve ferma 4 albumi con una frusta e unite 125 g di

zucchero semolato e 60 g di mandorle pelate, tostate e tritate. Versate il composto in uno stampo rotondo unto di burro e cuocete a bagnomaria in forno a 160° per 20’. Sfornate, lasciate raffreddare e capovolgete l’île al centro di un piatto da portata dai bordi alti. Circondatela con 4 dl di crema inglese fredda, decorate con pistacchi tritati e servite. Il secondo è il Riso all’Impératrice, in onore di Eugenia de Montijo, consorte di Napoleone III°. È un savarin di riso cotto nel latte e poi arricchito con canditi e panna montata. Per 4 persone. Tagliate 100 g di canditi a dadini e metteteli a macerare in poco kirsch. Mettete a mollo 5 g di colla di pesce per 20’, scolatela e strizzatela. Sciacquate molto bene 100 g di riso da minestra e portatelo a cottura in una

pentola con 3 decilitri di latte e un baccello di vaniglia aperto e grattato, mescolando. Montate in una casseruola 3 tuorli e 100 g di zucchero semolato fino a ottenere un composto chiaro e spumeggiante. Unite 2 decilitri di latte caldo a filo, sempre mescolando con la frusta, e cuocete a fuoco bassissimo finché la crema non velerà un cucchiaio, ma senza mai raggiungere l’ebollizione, perché impazzirebbe. Arrestate la cottura con un goccio di latte freddo, versate la crema in un recipiente freddo, stemperate la colla di pesce strizzata, unite il riso e mescolate bene. Fate raffreddare il composto e, prima che si rapprenda, incorporare i canditi con il kirsch e 2,5 dl panna montata, mescolando delicatamente. Versatela in uno stampo e riponetela in frigorifero per almeno 4 ore.

Manuela Vanni

Oggi un antipasto freddo a base di polpa di ricci di mare, se fresca va bene, se in scatola o congelata va altrettanto bene, e un sontuoso risotto che è anche un piatto unico.

Manuela Vanni

Ballando coi gusti

Insalata di lattuga e cedro con ricci di mare

Risotto con porcini, animelle e mandorle

Ingredienti per 4 persone: 16 ricci di mare oppure 180 g di polpa di ricci di mare in scatola o decongelata · 1 cuore di lattuga · 1 cedro non trattato · 1 spicchio d’aglio · olio extra vergine di oliva · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 300 g di riso da risotti · 2 grossi funghi porcini · 400

Preparazione: Mondate e lavate la lattuga, sfogliate tutto il cespo, asciugate bene le foglie. Lavate il cedro, tagliatelo a fettine sottili. Mondate e pelate lo spicchio d’aglio, eliminate l’anima verdolina e affettatelo finemente. Lavate e pulite con cura i ricci di mare, eliminate gli aghi e rompete la corazza nella parte centrale del riccio, eliminate le parti non commestibili e con un cucchiaino da caffè prelevate le uova di colore giallo dalle pareti interne. Altrimenti utilizzate la polpa già pronta. Disponete il cedro a ventaglio sul fondo del piatto, disponete sopra la lattuga, cospargete le fettine di aglio e ultimate con la polpa del riccio. Condite con un’emulsione di olio, sale e pepe, e servite.

Preparazione: Mondate i funghi, spezzettateli e rosolateli con poco burro per

g di animelle di vitello · mandorle affettate e tostate · soffritto di cipolla · aglio · vino rosso corposo · fondo bruno (opzionale) · brodo vegetale · burro · sale e pepe. 5’. Mondate le animelle e spezzettatele. In un tegame scaldate 1 noce di burro con 1 spicchio di aglio mondato, unite le animelle e fatele colorire. Sfumate con 1 bicchierino di vino sobbollito per 3’, unite 4 cucchiai di soffritto e se volete 2 cucchiai di fondo bruno e lasciate insaporire per 2’ a fuoco moderato. Regolate di sale e di pepe. Tostate il riso e portatelo a cottura unendo il brodo bollente mestolo dopo mestolo. A metà cottura aggiungete 2 cucchiai di soffritto di cipolle e i funghi. Regolate di sale e di pepe e mantecate con burro. Mettete il riso nei piatti, coprite con le animelle, profumate con le mandorle e servite.


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Ambiente e Benessere

Il lupo e il filosofo Mondoanimale Dalla profondità di una singolare convivenza

nascono interessanti considerazioni sulla vita

Maria Grazia Buletti Brenin significa «Re» in gallese antico ed è il nome con il quale il professore di filosofia Mark Rowlands chiamerà il suo lupo. Sì, perché il giovane e inquieto Rowlands, docente di filosofia in un’università americana, dopo aver letto per caso su un giornale una bizzarra inserzione che lo incuriosisce, decide di rispondere all’annuncio. Qualche ora dopo è proprietario di un cucciolo di lupo, Brenin, che per ben undici anni diventerà una presenza determinante nella sua vita e lo seguirà ovunque, persino nelle aule universitarie dove si acciambellerà ai piedi della cattedra durante le lezioni del suo padrone. Brenin condividerà ogni istante della vita di Rowlands, influenzandola profondamente, e i due attraverseranno insieme le avventure più disparate, le difficoltà

evidenti della loro singolare convivenza, le gioie e i dolori e gli spostamenti dall’America all’Irlanda fino in Francia, dove Mark Rowlands si trasferisce dopo aver troncato quasi tutti i legami con altri esseri umani. Quindici anni gli sono serviti per trascrivere questa esperienza di vita, durante la quale il filosofo s’interroga sul Bene e sul Male nel libro autobiografico Il lupo e il filosofo (Oscar Mondadori). Egli racconta come si è specchiato nell’essere del suo lupo, fonte continua di riflessioni e idee filosofiche. Una filosofia che possiamo definire «leggera» e che non deve spaventare a priori: di semplice lettura, ma di grandi spunti e insegnamenti. La prima domanda che ci si pone quando questo gioiello di libro ci capita fra le mani è: «Perché?». Questione che peraltro l’autore ben definisce più

d’una volta nel suo diario di vita in comune con Brenin: «Perché noi, o almeno alcuni di noi, amiamo i nostri cani? Perché, io amavo Brenin? Mi piace pensare – e qui devo scivolare di nuovo nella metafora – che i nostri cani risvegliano qualcosa nei recessi più profondi di una parte a lungo dimenticata della nostra anima, dove sopravvive un noi più antico, una parte di noi che esisteva prima che diventassimo scimmie». Rowlands parla così della nostra natura di scimmia e delle sue caratteristiche, nelle quali affondano molte risposte inerenti amore e odio, che proviamo nei confronti di questi tanto magnifici quanto temuti animali: la «parte di noi che esisteva prima che diventassimo scimmie» si riferisce allora al lupo che eravamo un tempo. «È il lupo che sa che la felicità non può essere trovata nel calcolo. Sa che nessun rapporto autenticamente significativo può basarsi su un contratto. Prima di tutto c’è la lealtà». Lealtà dell’«essere lupo» che l’autore contrappone al nostro «essere scimmia», al punto da permetterci di riflettere sul fatto che, forse, i selvaggi siamo noi, che non viviamo di lealtà e complicità, ma di «inganni scimmieschi», vogliamo sempre superare gli altri e arrampicarci in cima alla scala sociale. Vivendoci fianco a fianco, l’autore scopre che il lupo non è calcolatore, non inganna i più deboli e non si adatta alle circostanze. È indomabile e se decide di esserti amico lo fa perché gli sei entrato nell’anima: «Brenin (…) non capiva cosa stava facendo e quindi non capiva che era sbagliato. (…) Come altri animali, Brenin era il tipo di creatura che ha dei diritti – un diritto a un certo tipo di trattamento e stile di vita – ma non ha concomitanti responsabilità». Insomma: il lupo è fatto così, come si pone, mentre l’essere umano è una scimmia calcolatrice e arrampicatrice, capace di trarre profitto dalle debolezze altrui.

Sempre secondo le conclusioni dettate dalla sua esperienza di vita col lupo, Rowlands giunge alla consapevolezza che noi uomini abbiamo una spiccata abilità a sorvolare sugli aspetti di noi stessi che troviamo spiacevoli. E ciò si estende alle storie che raccontiamo per spiegare noi stessi a noi stessi. Per questo, egli afferma che «il lupo è, naturalmente anche se ingiustamente, il tradizionale emblema della faccia oscura dell’umanità», ritenendo però paradossale questo sentimento umano, poiché in greco lupo si dice lycos: «Una parola così simile all’aggettivo leukos, “bianco”, “splendente” (e quindi tale da evocare la luce), che i due termini sono stati spesso associati». Allora, questa convivenza strampalata e non priva di difficoltà permetterà al filosofo di affermare che «il lupo è la radura dell’anima umana. Il lupo svela ciò che rimane nascosto nelle storie che raccontiamo su noi stessi, ovvero ciò che quelle storie dimostrano ma non dicono. Noi siamo nell’ombra del lupo». In questo modo, anno dopo anno e fino alla sua morte, il lupo Bre-

ORIZZONTALI 1. Attacca sempre bottone... 4. Semi su pane e dolci 9. Saluto d’altri tempi 10. Un Volo in tv 11. È scritta senza consonanti 12. La cantante Pausini 13. Le iniziali dell’attrice Buy 14. Strumento a fiato 15. Il «lo» tedesco 16. Lo è il germano reale 18. Impugnatura della spada 19. Ripido, scosceso 21. Un verso con le fusa... 22. Cambiano pala in parola 23. Quantità da stabilirsi 24. Non sono state firmate

Sudoku Livello facile

nin mostrerà al suo padrone e al lettore che l’essere umano sa progettare il male, che è addirittura capace di sceglierlo, soprattutto quando decide di trarne vantaggio personale. Il lupo, per contro, mostra totale dignità, pur nella sua sincera natura, senza approfittarsene: ciò è quanto emerge di Brenin, un lupo, un animale senza ragione che, semplicemente per istinto, pare essere più degno di qualsiasi essere umano. O almeno questa è l’esperienza di Mark Rowlands che a Brenin, oramai morto da qualche tempo, dedica un ultimo solenne tributo: «Il mio primo bambino, mio figlio, nascerà da un giorno all’altro (…) E spero che questo non lo costringa a vivere all’altezza di aspettative troppo alte, ma penso davvero che potrei chiamarlo Brenin». Rowlands sconsiglia di vivere un’esperienza simile alla sua: così tosta e per nulla scontata, che pur gli ha permesso di essere l’uomo che è diventato. Torna fra gli esseri umani, diventa padre, e alla fine dedica al lupo Brenin ancora un ultimo pensiero: «Ci incontreremo di nuovo nei sogni».

Licantropia tra leggenda e realtà re con i suoi artigli la porta della sua casa. Certo è che la licantropia pare scatenare ancora la fantasia di tutti e genera timore soprattutto nelle popolazioni meno evolute. Ma al momento, l’unica cosa riscontrata è stata l’autosuggestione e di concreto c’è ben poco. Di vero, infatti, sembrerebbe esserci solo la credenza e la paura di tutto ciò che riguarda l’irrazionale. E anche se esistono alcune persone affette dall’Ipertricosi (ndr: l’avere un corpo completamente ricoperto di peli), ciò non ha niente a che vedere con i cosiddetti uomini-lupo.

Quando c’è la luna piena, certi uomini si trasformano in animali e sono soliti compiere atti violenti per poi risvegliarsi il giorno seguente completamente nudi e incoscienti di quanto fatto la notte precedente. Questa la leggenda che riguarda i lupi mannari. Ma la licantropia esiste davvero? Se ne è occupato di recente un documentario del «National Geographic» che, in Sudafrica, pare abbia raccolto testimonianze di una creatura che aveva la forza di 40 uomini (così ha spiegato uno dei superstiti all’attacco del presunto licantropo), che voleva abbatte-

Giochi Cruciverba Ho tre occhi e una sola gamba se non mi ubbidisci te ne pentirai, chi sono? Se mi hai, vuoi condividermi, ma se lo fai mi perdi, chi sono? (Frasi: 2, 8 – 2, 7)

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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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Scopo del gioco

VERTICALI 1. Piccolo mammifero carnivoro 2. Sigla di un’imposta 3. Articolo 4. Un bagno di vapore 5. Fiume della Spagna 6. Esprime concessione 7. Sono nel caos 8. Ci segue ovunque 10. Un cereale 12. Ha le ruote in molte città 13. Mie a Monte Carlo 14. Il famoso... de Bergerac 15. Le iniziali dell’attore Liotti 17. Piccoli difetti 20. Arrossiscono per timidezza 21. Mia in latino 22. Gitani 23. Una consonante

Soluzione della settimana precedente

Segreti in cucina – per lessare le patate senza farle disfare mettile a bollire in acqua fredda…: salata con poco aceto.

C L A N

L O I D S I C A T

S T A M N I O G S E O L

A L V I A R A M C N E T I U P O R G A R B S A L M I A M M A B A L D L O E D

O L I O Z O O


. e or u c i d a l e s gustar

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Ingredienti: 1 cipolla, 2 spicchi d’aglio, 1 peperoncino, 2 cucchiai d’olio d’oliva, 800 g di carne macinata di manzo, 1 cucchiaio di coriandolo in polvere, 1 cucchiaio di curry dolce, sale, pepe, 2 uova, 2 paste per torte ottagonali già spianate di 270 g Preparazione: tritate la cipolla. Tagliate l’aglio a fettine. Dimezzate il peperoncino, privatelo dei semi e tagliatelo a striscioline. Soffriggete il tutto nell’olio per ca. 2 minuti. Aggiungete la carne e continuate a rosolare per 5 minuti. Insaporite con il coriandolo e il curry. Condite con sale e pepe. Fate intiepidire la carne, quindi incorporatevi la metà delle uova e mescolate bene. Scaldate il forno a 180 °C. Accomodate una pasta con la carta da forno in una teglia. Formate il bordo e bucherellate il fondo. Distribuitevi la carne macinata. Srotolate la seconda sfoglia di pasta e accomodatela sulla carne. Sigillate bene i bordi. Sbattete l’uovo restante e spennellatevi la torta. Cuocete al centro del forno per ca. 40 minuti.

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 40 minuti

Ricetta e foto: www.saison.ch

Gusti generosi per


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Politica e Economia Esplode la rabbia dei neri Proteste in tutti gli Stati Uniti in seguito al caso Ferguson nel Missouri

Diritti umani in Cina Nel 2014 sono diminuite le condanne a morte: il caso di una donna «salvata» dalla Corte Suprema di Pechino

Narcos connection La storia raccontata sul Venezuela inaugura una serie di articoli dedicati al traffico sudamericano di droga che collega governi e continenti

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Convenzione contestata L’UDC si schiera contro la Convenzione europea sui diritti umani, proprio mentre la Svizzera si accinge a celebrare i 40 anni dall’adesione

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La Guida Suprema iraniana Ali Khamenei. (AFP)

Proroga sul nucleare iraniano Negoziato di Vienna In un quadro regionale e globale complicato ma anche puntellato di interessi comuni

le condizioni per un’intesa con l’Iran sembrano molto lontane Marcella Emiliani Il 24 novembre scorso scadeva il termine delle trattative sul nucleare tra l’Iran e i cosiddetti 5+1, ovvero i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia) più la Germania, convenuti a Vienna. Nonostante i sorrisi esibiti davanti ai fotografi da tutti i partecipanti, il round negoziale è fallito e se ne riparlerà a luglio 2015, visto che la proroga concordata scadrà il 30 giugno dell’anno prossimo. Questo rinvio comunque rappresenta il male minore perché lascia aperto uno spiraglio all’accordo. Una chiusura netta tra le parti avrebbe rappresentato una vera e propria catastrofe. Si sarebbe tornato a temere un attacco preventivo di Israele contro l’Iran in un quadro regionale già al calor bianco per la guerra in atto contro lo Stato islamico del sedicente califfo al-Baghdadi in Siria e Iraq e gli sviluppi convulsi delle primavere arabe. Tanto per sottolineare la gravità del momento, il 24 mattina, Ali Khamenei, la Guida Suprema iraniana – cui spetta l’ultima parola su tutte le questioni più importanti di politica interna ed estera – via internet aveva garantito il suo ap-

poggio al suo negoziatore-capo, il ministro degli Esteri Muhammad Javad Zarif, per calmare gli animi tanto nelle capitali occidentali quanto a casa propria dove il blocco conservatore cerca in tutti i modi di frenare o far naufragare i tentativi di apertura del presidente Hassan Rouhani. Ufficialmente il roll-over, ovvero il rinvio, è stato giustificato con ragioni tecniche: il tempo a disposizione era troppo poco, 6 giorni appena, per trovare una soluzione alla miriade di problemi relativi alla limitazione della capacità di arricchimento dell’uranio dell’Iran. In pratica, nelle intenzioni dell’Occidente, questo avrebbe significato ridurre il numero delle centrifughe operative da 9400 a 4000. Il numero reale delle centrifughe installate dall’Iran è di ben 19’400. Se 10’000 non sono entrate in funzione e/o sono state fermate – afferma Teheran – è per ottemperare all’accordo già siglato coi 5+1 a Ginevra nel novembre dell’anno scorso, a riprova della sua buona volontà negoziale. Comunque, anche col blocco di un numero significativo di centrifughe non verrebbe scongiurato il pericolo che tutti temono, cioè che l’Iran arrivi a dotarsi di un’arma nucleare.

Il reattore ad acqua pesante di Arak col tempo ci potrebbe arrivare. L’altro motivo del contendere erano le sanzioni. In cambio delle limitazioni che apporterebbe al suo programma nucleare, l’Iran chiede la revoca delle sanzioni che nel 2012 Stati Uniti e Unione Europea gli hanno comminato e che hanno messo in ginocchio la sua economia. I 5+1 però intendono revocarle gradualmente, verificando di volta in volta i progressi sul terreno attraverso i tecnici dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica). Teheran invece le vuole veder sparire tutte e subito. E di nuovo il problema diventa una questione di tempo. L’Occidente in blocco non si fida affatto del regime degli ayatollah quando afferma che il suo programma nucleare ha scopi puramente pacifici e civili e si fa forza delle affermazioni dei tecnici dell’Aiea che – per quello che hanno potuto vedere in Iran – non hanno ben capito se tutte quelle centrifughe in funzione lavorino per la bomba o per garantire luce e riscaldamento ai 70 milioni di iraniani. A questo si aggiungono altre due aggravanti: in passato Teheran ha avviato e ingigantito il suo programma nucleare di nascosto, mentendo

all’Aiea e al mondo intero; inoltre compie a scadenze regolari test missilistici che, in ogni caso, non sono forieri di pace. Per gli Stati Uniti poi, dopo le elezioni di mid term si pone un problema in più. A gennaio 2015 entrerà pienamente in funzione il nuovo Congresso completamente dominato dai repubblicani che presumibilmente impediranno ad Obama di fare concessioni al regime degli ayatollah. Su un atteggiamento di totale chiusura da parte del Congresso confida apertamente Israele che fino al 24 novembre ha letteralmente assillato Obama per bocca del suo premier Netanyahu a non sottoscrivere un «accordo sciagurato» con l’Iran. Meno apertamente ci confida anche l’Arabia Saudita che nel suo braccio di ferro con Teheran, ha tutto l’interesse a mantenere l’Iran isolato nel contesto regionale e internazionale. Detto in altre parole, gli alleati di più vecchia data degli Stati Uniti in Medio Oriente remano contro l’accordo sul nucleare iraniano e continueranno a farlo. Un problema in più per il presidente americano, come se non ne avesse già abbastanza nella regione, con la guerra allo Stato islamico in Iraq e Siria, la patata bollente di una possibile Terza intifada a Gerusalemme

e la forzata proroga della permanenza delle truppe statunitensi in Afghanistan da cui avrebbero dovuto ritirarsi il 31 dicembre di quest’anno. L’accordo con l’Iran avrebbe potuto aiutare gli Stati Uniti in tutti questi delicatissimi scenari di guerra in cui Washington e Teheran hanno oggettivamente interessi comuni, soprattutto nella lotta ai terroristi sunniti del Califfato di al-Baghdadi. Ma l’Iran ha il controllo anche delle formazioni hazara (sciite) in Afghanistan che fronteggiano i talebani, è alleato della Siria, degli Hezbollah libanesi e degli sciiti iracheni. Sostiene anche la rivolta degli Houti in Yemen, una delle più efficienti palestre di qaedismo della penisola arabica e sobilla la popolazione sciita contro il re sunnita in Bahrein. In questo momento storico, dunque, Iran e Stati uniti sembrerebbero fatti l’uno per l’altro. Ma la sfiducia che regna a Washington regna anche a Teheran, dove il fronte conservatore si ostina a considerare l’accordo sul nucleare come il cavallo di Troia attraverso cui gli Usa potrebbero «controllare e spiare» il regime per sabotarlo dall’interno. Sia proroga, dunque, ma le condizioni per un’intesa sembrano ancora molto lontane.


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Politica e Economia

Ferguson, un caso nazionale Sentenza Brown In tutta l’America monta la rabbia dei neri per la non-incriminazione del poliziotto bianco

che uccise il 9 agosto scorso un ragazzo afroamericano disarmato nello Stato del Missouri

Federico Rampini Una decina di giorni separa due eventi che sembrano descrivere due Americhe lontanissime fra loro e quasi inconciliabili. Il primo evento è la decisione di Barack Obama di salvare dall’espulsione-rimpatrio 5 milioni di immigrati senza permessi di residenza. Un gesto di apertura che ha confermato l’immagine degli Stati Uniti come nazione aperta al flusso di stranieri, e che ha rafforzato i consensi verso Obama fra le minoranze etniche, soprattutto ispanici e asiatici. L’altro evento è l’ondata di proteste dilagate in tutte le città americane dopo la non-incriminazione di un poliziotto bianco che aveva ucciso un ragazzo nero disarmato a Ferguson, nel Missouri. Questo secondo evento ha confermato invece l’immagine di un’America dove i neri non si sono veramente integrati, dove la loro sfiducia verso la giustizia e le forze dell’ordine è altissima. In mezzo a queste due notizie è racchiusa una grande contraddizione degli Stati Uniti. L’American Dream, il sogno americano, è più vivo oggi tra popoli lontani che aspirano a immigrare qui – messicani e dominicani, cinesi e indiani – che non tra i neri: i quali non sono affatto «immigrati», ovviamente, ma arrivarono in questo Paese prima di molti abitanti bianchi del ceppo europeo, deportati dall’Africa come schiavi. Attenti a non cadere nelle caricature di fronte a queste contraddizioni americane. Anzitutto, la condizione nera non è «bloccata». Gli afroamericani hanno più diritti oggi rispetto a 50 anni fa, l’epoca del movimento di Martin Luther King, quando negli Stati del Sud vigeva ancora la segregazione, sugli autobus dovevano lasciare i posti ai bianchi, non potevano andare nelle scuole dei bianchi, e non potevano votare. C’è stata l’ascesa sociale di un ceto medioalto afroamericano di cui Barack e Michelle sono i simboli. E nella loro Amministrazione altri dirigenti – dal segretario alla Giustizia Eric Holder, alla consigliera del presidente per la sicurezza nazionale Susan Rice – stanno a confermare l’esistenza di un’élite nera di rilievo.

uccise il 9 agosto Michael Brown, 18 anni, nero e disarmato, non sarà processato. Non c’è motivo d’incriminare l’agente di polizia Darren Wilson, 28 anni, bianco. La sera del 24 novembre il pubblico ministero Bob McCulloch annunciava le conclusioni del Grand Jury di contea. La mamma di Michael esplodeva in un pianto convulso, abbracciata dagli amici e circondata da centinaia di simpatizzanti. Gli schermi tv, i display degli smartphone e dei tablet si sdoppiavano: da una parte appariva Obama dalla Casa Bianca con un appello a «esercitare in modo civile il diritto di protesta, la libertà di manifestare pacificamente»; dall’altra le fiamme e le colonne di fumo, il dolore dei familiari di Brown ma anche episodi di saccheggio, gang di giovani all’assalto dei negozi. Da New York a Los Angeles, da Chicago a San Francisco, da Atlanta a Baltimora le proteste sono dilagate in centinaia di città americane. Gli striscioni e le T-shirt di chi è sceso in piazza lanciano le stesse grida: «Siamo tutti Michael Brown», «Anche le vite dei neri hanno valore», «Ho le mani alzate, non mi sparate». Quel che accadde davvero il 9 agosto scorso a Ferguson, non si saprà mai. Il procedimento del Grand Jury prevede una segretezza eccezionale. Il magistrato McCulloch, regista e manovratore del Grand Jury (9 bianchi, 3 neri), prima ancora di annunciarne il risultato aveva attaccato i media incolpandoli di ricostruzioni distorte. La sua verità alternativa è affidata soprattutto al racconto dello stesso Wilson. Che intercetta Brown quel 9 agosto, all’inizio, solo perché cammina per strada invece di stare sul marciapiedi. Poi gli vede dei sigari in mano, lo sospetta autore di un furto commesso poco prima in una tabaccheria. A quel punto la ricostruzione di

Wilson è drammatica. Il controllo d’identità diventa colluttazione. L’altro è più grosso, più alto e più forte, lo terrorizza. «Mi urla che sono una femminuccia e non avrò il coraggio di sparargli, mi sbatte la portiera della mia auto addosso, mi strappa l’arma di mano». A un certo punto Wilson – che il giorno dopo l’assoluzione è diventato una star e ha rilascia la prima intervista tv – lo descrive come L’Incredibile Hulk, gigante dei fumetti e del cinema, che gli si avventa addosso anche quando è già crivellato di colpi. 12 pallottole, alla fine, prima che Brown giaccia crivellato al suolo dove rimarrà a lungo, abbandonato dalla polizia. Ma non c’è nulla che basti a incriminare l’agente. Il magistrato McCulloch era sospetto dall’inizio, le sue sentenze sono sempre dalla parte della polizia: per convinzioni di destra e per ragioni biografiche, suo padre era poliziotto e fu ucciso da un nero.

La raffigurazione della questione razziale è ancora molto divaricata, neri e bianchi si capiscono poco. Mentre gli ispanici sono vicini ai neri La raffigurazione della questione razziale è ancora molto divaricata, neri e bianchi si capiscono poco. Basta guardare ai sondaggi sul caso-Ferguson, che restituiscono l’immagine di due nazioni: quella bianca ai due terzi pensa che sia stato giusto non processare il poliziotto, che la sua sia stata legittima difesa; esattamente rovesciata è la percezione dei neri, i due terzi sono convinti che ci sia stato omicidio. Più

Da tempo il concetto di American Dream non descrive più l’America reale, non appartiene a nessun gruppo etnico. Bianchi compresi L’altro correttivo che va introdotto è questo: l’American Dream dell’immaginario collettivo, non corrisponde più alla realtà sociale, neanche per gli altri gruppi etnici. Bianchi compresi. L’idea cioè che questo sia il Paese delle pari opportunità, della mobilità sociale in ascesa, dove anche chi parte in condizioni di miseria può farcela, è un’idea viva e vegeta che spiega tra l’altro i flussi migratori. Ma da tempo è un’idea che non descrive l’America reale. Dove la mobilità sociale è limitata, inferiore a diversi Paesi del Nordeuropa. L’America di oggi è un Paese di forti diseguaglianze, dove il reddito della middle class e dei lavoratori è stagnante da trent’anni, e dove si sono create oligarchie che si tramandano il potere economico. I neri che hanno reagito con esasperazione alla nonincriminazione di Ferguson, sono la categoria sociale che avverte più delle altre ciò che è un dato diffuso, cioè l’allontanarsi di un sogno. Un riepilogo dei fatti. Colui che

Membri della Guardia nazionale davanti al Dipartimento di polizia di Ferguson. (AFP)

vicina ai neri è la percezione della comunità ispanica, anch’essa infatti si sente discriminata dalle forze dell’ordine e dal sistema giudiziario. Queste due Americhe non riescono a trovare un punto di convergenza, un luogo mediano dove conciliare le narrazioni diverse. Obama ci prova, a costruire questa mediazione, ma è ben lungi dall’esserci riuscito. Il punto di vista nero. Ve lo immaginate se a rubare qualche sigaro da un tabaccaio fosse una giovane donna bianca, coi capelli biondi e gli occhi azzurri; e se a pattugliare la strada ci fosse un poliziotto nero? Beh, non è un’ipotesi stravagante. Lo «shoplifting», rubare la merce nei negozi, per certi adolescenti bianchi – e in particolare ragazze – è quasi un rito iniziatico dell’adolescenza. Hanno beccato pure ricche star dello spettacolo che si erano infilate un vestito nella borsetta senza pagarlo. Come finisce in questi casi? Spesso con una ramanzina e una telefonata ai genitori. Alla peggio, se l’adolescente bianco finisce in commissariato, ne esce dopo qualche ora, accompagnato dall’avvocato che ha pagato la cauzione. Nel caso di un ragazzo nero, invece, il furto in un negozio è stato punito con la pena di morte, di fatto. Una sproporzione evidente, che i neri incontrano in ogni contatto con le forze dell’ordine e la giustizia. Per esempio, negli Stati dove è ancora perseguibile il possesso di marijuana, un ragazzo nero che viene trovato con la marijuana addosso ha dieci volte più probabilità di finire in un carcere rispetto ad un coetaneo bianco che abbia commesso lo stesso reato. I neri (e subito dopo di loro, gli ispanici) sono sovra-rappresentati nella popolazione carceraria; il che poi contribuisce a peggiorare le loro condizioni socioeconomiche perché i maschi neri con

precedenti penali difficilmente trovano un lavoro. La narrazione dei bianchi è completamente diversa. Loro puntano il dito contro una sotto-cultura della comunità afroamericana che legittima la violenza e la criminalità in nome di antichi abusi subiti. Per i bianchi (soprattutto nell’opinione pubblica che vota repubblicano), i giovani neri di oggi continuano a inseguire una sorta di risarcimento morale o di vendetta verso lo schiavismo, e quindi si sentono in guerra contro la società, ritengono che rubare, spacciare droga o insultare i poliziotti sia una forma di rivolta giustificata. I testi delle canzoni dei rapper vengono spesso additati come un esempio di questa sotto-cultura. I genitori dei ragazzi neri che finiscono in carcere, secondo questa narrazione bianca, dovrebbero riconoscere le proprie colpe: quei ragazzi sono cresciuti in famiglie sfasciate, non hanno ricevuto dai genitori lo stimolo ad eccellere a scuola, non sono stati educati ad un’etica del lavoro e del sacrificio. Il vittimismo non fa che incoraggiarli nei vizi autodistruttivi. «Burn this bitch down, Bruciate questa puttana, mettete a fuoco questa fottuta città». L’urlo del patrigno di Michael Brown la sera dell’annuncio del Grand Jury è diventato un simbolo di quella sotto-cultura del vittimismo, che legittima la violenza. Dall’altra parte c’è il messaggio del presidente. «Molti americani sono sconvolti – dice Obama – perché hanno l’impressione che la giustizia non sia uguale per tutti. Bisogna scegliere i modi costruttivi di rispondere, non con attacchi criminali. Bisogna dare più attenzione alle proteste civili. Sono pronto a lavorare con loro per assicurare che la legge e l’ordine siano applicati in modo imparziale. Non è solo il problema di Ferguson, è il problema di tutta l’America».


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Politica e Economia

Il generale trafficante 1. Narcos connection La grande multinazionale della droga non ha confini. I rapporti fra Stati Uniti e Venezuela si

sono fatti più tesi anche in seguito al caso di Hugo A. Carvajal Barrios accusato di essere un potente trafficante

Angela Nocioni Il leggendario principe morale dei servizi segreti venezuelano è accusato di essere un potente narcotrafficante. Cosa fa una Rivoluzione costruita sulla religione dell’alleanza civico-militare, se la Dea, l’agenzia antidroga americana, fa arrestare l’ex capo di tutte le sue spie, civili e militari, eroe della patria ancora amato e temuto, rispettatissimo, con l’accusa di essere il capo dei capi dei narcotrafficanti? Grida al «sequestro». Esige con urla e strepiti la sua immediata liberazione. La ottiene e l’accoglie in patria come fossero i Rolling Stones. Poi lo nasconde in un angolo, in attesa che passi la bufera. Mercoledì 23 luglio la polizia di Aruba, ex colonia olandese al largo delle coste venezuelane, ha arrestato all’aeroporto internazionale dell’isola il generale dell’esercito Hugo Armando Carvajal Barrios. Ai tempi in cui il defunto presidente Hugo Chavez era ancora in vita fu autore dello slogan «chi si mette di traverso a Hugo Chavez, lo fulmino», era l’unica persona autorizzata ad entrare dalla porta laterale dell’ufficio presidenziale a Miraflores, il palazzo presidenziale, senza farsi annunciare prima. L’arresto è avvenuto su mandato statunitense, con richiesta di estradizione immediata, come conseguenza di sei diverse inchieste in sei tribunali americani. I reati contestati: traffico di droga, riciclaggio di capitali, ostruzione alla giustizia e collaborazione ed assistenza alle Farc, la più vecchia guerriglia colombiana che vive di narcotraffico e compare nella lista delle organizzazioni terroristiche stilata dal Dipartimento di Stato. L’orizzonte più probabile per lui era l’ergastolo. Invece è uscito con mille scuse da Aruba e d’ora in poi si guarderà bene dal tornarci.

Per la Dea Barrios è il punto di fusione fra l’élite militare politica e il narcotraffico locale e colombiano Pochi militari in Venezuela hanno avuto tanto potere in mano come Carvajal Barrios. Partecipò con Chavez all’insurrezione militare fallita nel 1992 contro l’allora presidente Carlos Andres Perez. Appena eletto, nel ’98, Chavez lo nominò capo della Direzione generale dell’intelligence militare. È stato per anni il capo dei servizi, sia militari che civili, ma soprattutto è considerato tuttora dai militari venezuelani, gli occhi e le orecchie del comandante in capo dentro le forze armate. Nicolas Maduro, l’attuale presidente, ha raccolto in eredità l’amicizia per il generale e l’ha portato al fronte della lotta contro la delinquenza organizzata, dopo averlo fatto passare per la direzione della contro-intelligenza militare. Per la Dea Carvajal Barrios è inve-

ce il punto di fusione tra l’élite militare politica venezuelana e il narcotraffico locale che opera di rimbalzo su quello colombiano. Gli investigatori lo considerano l’equivalente caraibico di Vladimiro Montesinos, il potentissimo capo dell’intelligence peruviana del tramontato regime di Alberto Fujimori. Sotto inchiesta sono stati a lungo i complessi rapporti di Carvajal Barrios con due banchieri venezuelani, Azpúrua e García Velutini. Il generale era stato nominato di recente console venezuelano ad Aruba, un modo cortese di Maduro di non tenerselo addosso regalandogli contemporaneamente una provvidenziale immunità diplomatica. Il generale comunque si sentiva sicuro. Usciva dal Venezuela senza problemi. Prima del 23 luglio era stato almeno altre due volte sull’isola. Lì lo riceve di solito un imprenditore molto ricco dello Stato Zulia, lo Stato venezuelano al confine con la Colombia, ricco di petrolio e rotta privilegiata di ogni traffico diretto ad Occidente. Il suo anfitrione, con grandi investimenti in hotel e casino dei Caraibi, è il proprietario del jet che l’ha portato anche l’ultima volta ad Aruba. Il generale sembrava sereno. L’unica cosa che lo aveva preoccupato negli ultimi tempi era il ritardo dell’Olanda (che si occupa ancora della Difesa e degli Esteri dell’ex colonia) nell’accettare le sue credenziali diplomatiche. Le stava aspettando da sette mesi. Gli hanno fatto credere che ormai era fatta, c’è cascato. Si è precipitato ad Aruba in aereo, sicuro di ricevere il suo passaporto diplomatico, invece ha trovato la polizia. Per l’antidroga americana Carvajal Barrios è un trofeo. Il giorno del suo arresto un agente della Dea lo ha definito «la gemma più preziosa della corona». Erano tre mesi che lo seguivano. Il governo venezuelano si è mobilitato come in guerra per impedirne l’estradizione. Le pressioni diplomatiche ed economiche sull’isola sono state fortissime. Il timore era che Carvajal potesse decidere di trattare e parlare. È successo nell’aprile del 2012, quando l’ex magistrato del Tribunale supremo di giustizia, il colonnello ritirato Eladio Aponte, è scappato dal Venezuela in Costa Rica e da lì negli Stati Uniti dove ha denunciato una fitta trama di soldi riciclati, potere giudiziario usato per scopi politici e magagne del chavismo. Anche lo storico segretario privato di Chavez, l’ex tenente colonnello Alejandro Andrade che dal 1998 è stato non solo segretario ma anche viceministro, tesoriere e presidente della Banca dello sviluppo, sarebbe arrivato a un accordo di collaborazione con Washington. C’era quindi da temere. Alla fine del tira e molla sul generale Carvajal detenuto, con sommo stupore di chi aveva seguito la telenovela di cronaca nera sui giornali locali, l’estradizione non è stata nemmeno presa in considerazione e il generale è stato spedito a Caracas, accolto come un martire dell’impero, scampato per miracolo alla galera.

Droga sequestrata a Caracas, proveniente dalla Colombia e destinata al mercato americano. (AFP)

La richiesta americana di estradizione si basa sull’accusa a Carvajal di aver ricevuto denaro dal narcotrafficante colombiano Wilber Varela, alias «Jabòn», Sapone, morto a Merida, nelle montagne venezuelane, nel 2008. Varela, a quei tempi capo di una fazione nata della scissione del vecchio cartello narco «El Norte del valle», lo avrebbe pagato in cambio di «assistenza alle operazioni del traffico di droga». Altra accusa che pesa sul generale è quella di un pezzo grosso dei narcos venezuelani, Walid Makled, che in un’intervista, quattro anni fa, ha detto di pagare regolarmente l’alto militare in cambio di protezione. Makled controlla le rotte della cocaina dalla Colombia attraverso il centro del Venezuela, in alleanza con alcuni generali della Guardia nazionale e alti ufficiali dell’esercito venezuelano. Non è improbabile che per questo sia entrato in conflitto con altre cellule dei narcos nell’esercito che danno assistenza al narcotraffico gestito in uscita dalle Farc e dai gruppi paramilitari nati dalla esplosione delle Autodifese unite di Colombia, le Auc, paramilitari di estrema destra. E, da lì, secondo la Fbi, con Carvajal Barrios. Per questo pesante e per nulla chiaro bagaglio di sospetti e accuse accumulate, il generale Barrios Carvajal è chiamato dall’opposizione venezuelana, mai tenera con gli alti militari trattati coi guanti di velluto dal chavismo al governo, «il Pablo Escobar del Venezuela». Dal 2008 il Dipartimento del Tesoro statunitense lo ha incluso nella lista Clinton, l’elenco degli stranieri a cui Washington congela conti bancari

e proprietà per vincoli con il narcotraffico. Il nome del generale risulterebbe anche nei computer sequestrati in alcuni accampamenti delle Farc, lo accusano per questo di essere uno dei fornitori di armi alla guerriglia. Nonostante la sua fama di ricercato numero 1, il generale è restato agli arresti quattro giorni. Il 27 luglio era già libero. In un’intervista alla Cnn, il giudice più importante di Aruba, Peter Blanken, ha detto che non potevano fare altro, visto che l’arresto del generale era avvenuto su richiesta statunitense e non perché l’arrestato avesse commesso reati sull’isola. «Abbiamo un trattato che ci obbliga a cooperare con gli Stati Uniti e l’abbiamo rispettato arrestando questa persona come ci è stato chiesto, il resto non riguarda noi» s’è difeso il magistrato. È successo che il figlio del generale il 25 luglio si è precipitato al Tribunale supremo del Venezuela, massimo organo costituzionale, ed è riuscito a farsi coprire totalmente le spalle nella richiesta di liberazione immediata del padre «detenuto illegalmente e arbitrariamente quando era arrivato in missione come funzionario diplomatico dello Stato venezuelano». Il giorno stesso il Tribunale supremo ha invocato formalmente «il rispetto dell’immunità diplomatica stabilita dalla Convenzione di Vienna» nonostante il passaporto diplomatico non fosse stato consegnato ancora e non risulti tuttora da nessuna parte l’accettazione delle credenziali diplomatiche da parte dell’Olanda. La Corte venezuelana ha disseppellito un provviden-

ziale articolo che dispone: «Prima che siano concessi i visti necessari, il capo dell’ufficio consolare potrà essere ammesso provvisoriamente all’esercizio delle sue funzioni e in questo caso gli saranno applicabili le disposizioni della presente Convenzione». In meno di 24 ore arriva la nota ufficiale dall’Olanda con i sigilli del Regno dei Paesi Bassi. C’è scritto: «In virtù dell’articolo 13 dell’accordo consolare, il responsabile del consolato può essere ammesso provvisoriamente all’esercizio delle sue funzioni e in questo caso gli sono applicate le norme previste dall’accordo». Questo significa che la detenzione del 23 luglio è stata una violazione dell’immunità. «Il Regno si incaricherà pertanto della liberazione immediata e informa la Repubblica bolivariana del Venezuela che il signor Carvajal Barrios dovrà tornare immediatamente al suo Paese». Il giorno dell’arresto lampo del generale Carvajal Barrios, mentre la Dea aspettava notizie da Aruba, a Miami si svolgeva il primo interrogatorio di un altro pezzo da novanta del narcotraffico venezuelano, l’ex giudice Benny Palmeri Bacchi. Le seconde vite del generale e del giudice, nel pianeta narcos , si intrecciano spesso secondo le inchieste americane. E si sono intrecciate anche questa volta, nonostante nell’ordine di arresto di Carvajal non si faccia menzione dei traffici che lo legano al giudice. Funziona così il narco Stato globale, di qua e di là dello Stretto di Panama. Sud America e Nord America, come se fossero senza confini, perché il narcodollaro tutto può comprare. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Pessimismo nei preventivi dei cantoni Finanze Ben 19 cantoni prevedono un disavanzo nei conti del 2015 e il debito pubblico tende ad aumentare –

L’utile della Banca Nazionale sarebbe molto benvenuto

Ignazio Bonoli Il ripetersi, in questi ultimi anni, di disavanzi importanti di preventivo in parecchi cantoni suscita qualche preoccupazione. Il malessere che ne deriva ha radici forse più profonde se lo stesso presidente della Conferenza dei direttori cantonali delle finanze può affermare che i cantoni stanno diventando sempre più esecutori di compiti impartiti dalla Confederazione, in più assumendosene anche gli oneri finanziari. Ne va dell’autonomia politica dei cantoni, ai quali viene sempre più ristretto lo spazio di manovra. Il presidente Peter Hegglin, responsabile delle finanze del canton Zugo, constata che per i cantoni la possibilità di decidere il livello delle proprie spese è sempre più stretta. Da qui la necessità, risentita perfino da un cantone ricco come Zugo, che la Confederazione ascolti di più e meglio la voce dei cantoni. Ne va anche della solidarietà fra cantoni, poiché il perdurare di queste situazioni obbliga i cantoni che sono chiamati a finanziare la compensazione intercantonale a decidere una riduzione di questi loro contributi, creando quindi ulteriori difficoltà ai cantoni riceventi. Secondo i preventivi per il 2015, ben 19 cantoni presentano un bilancio in passivo. Si tratta del numero maggiore di cantoni da parecchi anni a questa parte. Soltanto i cantoni di Berna, Argovia, Uri, Vaud, Ginevra, Friburgo

e Vallese prevedono un bilancio positivo. Tutti gli altri cantoni denunciano quindi un passivo cumulato di 635 milioni di franchi. L’aumento delle uscite ne porta il totale complessivo a 86,6 miliardi di franchi, con un incremento del 2,2 per cento rispetto ai preventivi per quest’anno. Da notare che a questi risultati si è giunti nonostante parecchi sforzi di risparmio nella maggior parte dei cantoni. Vi sono però spese che sono difficilmente comprimibili: per esempio nelle cure della salute e nella socialità. La Conferenza dei direttori cantonali della sanità ha constatato che le sole spese per il finanziamento degli ospedali provocano un aumento di uscite di 1,3 miliardi di franchi. È un caso tipico in cui i cantoni sono chiamati ad assumersi spese decise dalla Confederazione. Non è difficile immaginare che dopo queste spese ai cantoni non resta praticamente più nessun spazio di manovra in questo settore. In queste condizioni, a molti cantoni non resta altro da fare che intaccare la propria sostanza, aumentando il debito pubblico. Nonostante questa evoluzione, cantoni come Berna e Vallese riescono a finanziare tutte le loro spese, comprese quelle per investimenti. Negli altri cantoni, invece, l’autofinanziamento è notevolmente inferiore al 100 per cento e quindi un aumento del debito pubblico è inevitabile. Globalmente gli investimenti netti sono di 5,6 miliardi, più o meno come

Anche il ricco canton Zugo prevede cifre rosse, per 139 milioni, nel 2015. (Keystone)

negli anni precedenti. 1,2 miliardi di questi investimenti sono previsti dal solo canton Zurigo. Pochi cantoni riescono invece a far fronte alla situazione aumentando le entrate, in particolare le imposte: si tratta di Svitto, Soletta, Sciaffusa e Appenzello esterno. Un aumento delle

imposte non è però sempre inevitabile, quando le misure di risparmio hanno raggiunto limiti invalicabili. Il canton Ticino è giunto molto vicino a dover applicare il nuovo strumento del freno alla spesa, pur riuscendo a tenere l’aumento delle spese all’1,6 per cento, inferiore alla media dei cantoni. Bisognerà

però vedere se il previsto aumento delle entrate correnti del 3,1 per cento potrà poi realizzarsi a consuntivo. Bellinzona, grazie ad alcuni affinamenti, riesce a prevedere un autofinanziamento del 43,3 per cento, ma con un onere netto per investimenti di 210,6 milioni. Il risultato complessivo porterà a una crescita del debito pubblico di circa 120 milioni di franchi. In Ticino, ma anche in tutti gli altri cantoni, restano delle incognite importanti sul fronte delle entrate. Intanto la crescita dell’economia sarà probabilmente inferiore a quella delle prime previsioni e quindi anche il gettito fiscale potrebbe risentirne. Resta inoltre l’incognita della quota di utili della Banca Nazionale che qualche cantone ha perfino preferito non prevedere. Se però il previsto miliardo (2/3 ai cantoni) venisse versato, basterebbe a coprire il deficit globale dei cantoni. Alcuni preventivi cantonali sono però «abbelliti» dallo scioglimento di riserve, dall’uso di fondi o di accantonamenti. Anche questo in proiezione futura non è un buon segno, tanto più che senza queste riserve il deficit globale sarebbe aumentato di 265 milioni. Il tutto comunque con riserva di approvazione dei rispettivi parlamenti. Non è raro il caso di sostanziali modifiche sia quando si propongono aumenti della pressione fiscale, sia quando le misure di risparmio possono sembrare eccessive in settori particolarmente sensibili. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Politica e Economia

Diritti umani, Convenzione sotto tiro Diritto internazionale Mentre a Berna ci si appresta a celebrare i 40 anni dall’adesione della Svizzera, l’UDC

la prende direttamente di mira, con un’iniziativa popolare e per bocca del suo consigliere federale Ueli Maurer risultano sgradevoli, o di difficile applicazione. Avrebbe, quindi, un margine di manovra più ampio sul fronte interno. Le conseguenze negative, però, sarebbero molto pesanti, sia per la Svizzera che per i suoi cittadini. La Confederazione verrebbe esclusa dal Consiglio d’Europa e si ritroverebbe praticamente isolata, collocata al margine di una comunità, quella europea, fondata sul rispetto di valori e di principi fondamentali. Farebbe compagnia ai tre Stati già nominati sopra, la Bielorussia, il Kosovo e il Vaticano. Verrebbe posto un punto finale a quattro decenni di partecipazione attiva ad un’azione di ampio respiro, in difesa dei diritti e delle libertà delle singole persone. Anche per i cittadini svizzeri le conseguenze non sarebbero piacevoli. Verrebbe tolta loro la possibilità di ricorrere in ultima istanza alla Corte di Strasburgo, quando riterrebbero di essere vittima di un arbitrio nei confronti dei loro diritti e delle loro libertà fondamentali. Verrebbe, così, cancellata un’ultima possibilità alla quale, in passato, è stato fatto ricorso più volte, con successo. La strada dell’isolamento non è indicata per trovare una soluzione alle sentenze dei giudici di Strasburgo che lasciano perplessi e che, in certi casi, perfino irritano. Occorre seguire altre vie, per esempio quella di ricercare alleanze sul piano internazionale con Paesi che si ritrovano in situazioni analoghe. È la via maestra per ogni piccolo Paese, la cui diplomazia politica ed economica stenta a far sentire la sua voce, a causa della forza limitata sulla quale si può appoggiare. Per di più, in un mondo sempre più globalizzato, i diritti e le libertà fondamentali, come il diritto alla vita ed alla sicurezza, o la libertà d’opinione e d’espressione, sono internazionali, hanno un ampio respiro. I governi che vogliono limitare il loro spazio e la loro diffusione, ricorrendo alle frontiere nazionali, o ad altre simili barriere, o semplicemente per avversione nei confronti di ciò che è internazionale, non rendono nessun servizio ai loro cittadini. Tolgono loro almeno una certezza: quella di poter ricorrere a tutti i gradi di giudizio disponibili per ottenere giustizia.

Marzio Rigonalli Quarant’anni fa, la Svizzera aderì alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Firmata a Roma nel 1950, dagli Stati allora membri del Consiglio d’Europa, la Convenzione entrò in vigore nel 1953 e Berna inviò a Strasburgo la ratifica della Svizzera il 26 novembre 1974. Oggi, tutti i 47 Stati membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato la Convenzione, in base alla quale venne istituita la Corte europea dei diritti dell’uomo. Soltanto 3 Stati sono rimasti fuori per ragioni diverse: la Bielorussia, il Kosovo e il Vaticano. Per sottolineare l’anniversario, Berna ha invitato il presidente della Corte europea dei diritti dell’uomo, Dean Spielmann, ad esprimersi davanti alle Camere federali. L’intervento è previsto il prossimo 9 dicembre. La ricorrenza è stata preceduta da una sentenza che la Corte di Strasburgo ha emesso all’inizio di novembre e che ha suscitato una certa irritazione in Svizzera. La Corte ha accettato il ricorso di una famiglia di profughi afghani contro il suo rinvio in Italia. Ha chiesto a Berna di verificare, prima di procedere, che in Italia vi siano tutte le condizioni necessarie per consentire alla famiglia di rimanere unita e sufficienti garanzie per i figli ed il loro futuro. Una verifica tutt’altro che facile. Molti vi hanno visto una violazione dell’accordo di Dublino che prevede che la domanda d’asilo va inoltrata nello Stato in cui il richiedente ha messo piede per la prima volta, nonché un’ulteriore complicazione nei già difficili rapporti tra l’Italia e la Svizzera nel settore dei profughi e dell’asilo. L’UDC ne ha approfittato per sferrare un attacco contro la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. L’ha fatto in due modi. Con dichiarazioni molto critiche sull’operato dei giudici di Strasburgo e con un’iniziativa del consigliere federale Ueli Maurer. Secondo l’UDC i giudici della Corte europea danno un’interpretazione della Convenzione che calpesta la sovranità nazionale svizzera. Dal canto suo, Maurer ha proposto al Consiglio

La sede della Corte europea dei diritti umani a Strasburgo, Francia. (Keystone)

federale di denunciare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e di aderirvi di nuovo, sottoponendola al referendum obbligatorio. Secondo numerose fonti non smentite, la proposta è stata fatta in una delle ultime sedute del governo.

Se Berna denunciasse la Convenzione, gli svizzeri non potrebbero più difendersi con un ricorso a Strasburgo L’attacco dell’UDC rientra nella strategia di questo partito, fondata sul rifiuto dello straniero. Un rifiuto che assume varie forme e varie salse a seconda del momento politico. Le frecce possono partire contro i richiedenti l’asilo, l’Unione europea, i minareti, i giudici stranieri, ecc. Il bersaglio cui l’UDC mira negli ultimi tempi, e che sarà d’attualità per tutto il periodo che precederà le elezioni federali del 18 ottobre 2015, è il diritto internazionale. Lo

scorso 25 ottobre, l’assemblea dei delegati di questo partito ha approvato il lancio di un’iniziativa popolare, secondo cui il diritto svizzero deve prevalere su quello internazionale. Il testo dell’iniziativa è in preparazione. Nelle sentenze dei giudici di Strasburgo, l’UDC coglie spunti per mantenere alta l’attenzione su di un tema che rappresenta uno dei suoi cavalli di battaglia. Il Consiglio federale non ha dato seguito alla proposta di Ueli Maurer e numerosi sono stati i dirigenti politici che si sono schierati in difesa della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e del Consiglio d’Europa. Le varie prese di posizione hanno messo in evidenza alcuni risultati positivi, attribuibili all’esistenza della Convenzione ed al suo rispetto, sia sul piano europeo che su quello svizzero. In Europa per esempio, soprattutto nella parte centrale ed orientale del continente, la Convenzione ha concorso ad una rapida democratizzazione delle legislazioni nazionali, per quanto riguarda i diritti dei cittadini. In Svizzera, il contenuto della Convenzione è stato integrato nella Costituzione federale del

1999 ed è quindi ben presente nella nostra legislazione. La Convenzione europea ha così agevolato un’evoluzione del diritto interno favorevole ai cittadini ed ha permesso a numerosi svizzeri, anche residenti all’estero, di difendere i loro diritti fondamentali, quando questi sono stati violati. La Corte di Strasburgo chiamata a far rispettare la Convenzione europea è un argine contro possibili arbitrii commessi dalle autorità di un Paese, ossia dai governi, dai parlamenti, dalle amministrazioni e dai tribunali. Un argine importante anche per un Paese come la Svizzera che non dispone di una corte costituzionale, chiamata a controllare la conformità delle leggi alla Costituzione, e che quindi potrebbe approvare ed applicare leggi non pienamente concordanti con la Costituzione federale e con la Convenzione europea. Che cosa succederebbe se la Svizzera dovesse denunciare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo? In primo luogo, Berna non dovrebbe più sottoporsi alle decisioni dei giudici di Strasburgo. Non si troverebbe più confrontata con decisioni che, talvolta, le

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Politica e Economia

Come districarsi nella giungla delle commissioni La consulenza della Banca Migros

Albert Steck

Una differenza di migliaia di franchi

Negli investimenti ci viene continuamente ripetuto che è importante risparmiare sulle spese. Mi chiedo come fare: con la varietà di commissioni addebitate è difficile capirci qualcosa. Lei che cosa ne pensa?

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Purtroppo devo darle ragione: per l’investitore privato è quasi impossibile confrontare i costi applicati dai diversi offerenti. Le difficoltà cominciano già con la scarsa trasparenza delle tariffe pubblicate in Internet da molti istituti. La «Neue Zürcher Zeitung» ha recentemente trovato una formulazione che calza a pennello: «Lo stesso pane costa da un panettiere fino a cinque volte di più rispetto al concorrente dietro l’angolo. Quello che sembra assurdo per il pane, nella negoziazione titoli in Internet è realtà». Per aiutare a districarsi in questa giungla, la NZZ ha quindi confrontato le commissioni sulla base di un esempio concreto. Il test si basa su un deposito tipo del valore di 155’000 franchi, nel quale sono state eseguite in totale otto operazioni in obbligazioni svizzere ed estere, azioni ed ETF. Come appare nella prima colonna della tabella, la Banca Migros addebita complessivamente 624 franchi, comprese le commissioni di borsa, la

Banca Banca Migros Postfinance BC di Berna Raiffeisen BC di Zurigo Credit suisse UBS

Spese (in franchi) Operazioni di borsa* 624 1055 1057 1329 1440 3027 3035

Gestione patrimoniale** 5750 n.V. 6750 7500 7000 9000 8250

* Banche universali testate dalla “Neue Zürcher Zeitung”. Costi trimestrali. ** Fonte: moneyland.ch, somma investita CHF 500‘000, strategia “Bilanciata”. Costi annuali.

tassa di bollo e l’imposta sul valore aggiunto. Nel test della NZZ già la banca universale collocatasi al secondo posto per convenienza chiede più di 1000 franchi, mentre gli offerenti più cari addebitano oltre 3000 franchi di spese.

Ogni franco risparmiato aumenta il rendimento Per un privato sarebbe impossibile eseguire questo calcolo da solo. Chi vuole risparmiare sulle spese deve

dunque ricorrere ai confronti attuati da media indipendenti o portali web. Tra l’altro ciò non vale solo per le operazioni di borsa, ma anche per la gestione patrimoniale, dove la banca non addebita le spese a ogni transazione, ma un forfait per l’intero anno. Per cominciare il cliente definisce la strategia d’investimento auspicata: un investitore prudente opta per un quota elevata di obbligazioni, mentre in caso di una maggiore tolleranza al rischio può investire anche in azioni con un’ampia diversificazione. Il servizio di confronti finanziari

moneyland.ch ha analizzato minuziosamente le commissioni applicate alla gestione patrimoniale, constatando notevoli differenze di diverse migliaia di franchi. Nella seconda colonna della tabella figurano i prezzi di alcune banche per una somma investita di 500’000 franchi. Conclusione: la scarsa trasparenza penalizza gli investitori. Molti non sanno neppure di poter ridurre notevolmente le spese. Eppure sarebbe un modo semplice ed efficace di aumentare il rendimento del portafoglio titoli. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Affari Esteri di Paola Peduzzi Qualcosa non funziona La guerra contro lo Stato islamico è cominciata da quasi quattro mesi, i suoi esiti sono incerti, la strategia è ancora in corso d’opera (quel «we don’t have a strategy yet» detto dal presidente Barack Obama ad agosto è più o meno tuttora in vigore) e il capo del Pentagono, Chuck Hagel, si è dimesso. Anzi, è stato «forzato» a dimettersi, sostengono alcuni retroscenisti ricordando che soltanto qualche settimana fa Hagel aveva detto in tv di non aver alcuna intenzione di lasciare il posto. Il segnale non è rassicurante, soprattutto perché avviene dopo che i giornali americani si sono riempiti di articoli che raccontavano le difficoltà interne al team di sicurezza nazionale al servizio di Obama. C’è qualcosa che non funziona, lì dentro, e noi spettatori stranieri ce ne accorgiamo soltanto quando vediamo il lavoro di un rappresentante americano nel mondo smentito dalla Casa Bianca (è accaduto con John Kerry, segretario

di stato, durante la crisi a Gaza), ma anche dal punto di vista strategico si intuiscono alcune falle. La più evidente riguarda proprio Hagel: il capo del Pentagono ha consegnato alla fine di ottobre un memo di due pagine alla consigliera per la Sicurezza nazionale, Susan Rice, in cui chiedeva di fare chiarezza sugli obiettivi da perseguire nei confronti del rais siriano, Bashar al-Assad. Dalle indiscrezioni risulta che Hagel non abbia chiesto di organizzare attacchi contro il regime siriano, posizione che al momento esplicitamente nessuno ha mai suggerito, ma che abbia però invitato la Casa Bianca a rassicurare gli alleati che vedono nella guerra allo Stato islamico un’alleanza di fatto con Damasco e con gli iraniani. Da quel momento, da quando la Rice ha ricevuto il memo, le discussioni tra Pentagono e Casa Bianca sono diventate più aspre (già prima non erano serene: i militari dicono di essere stati

esclusi dalla gestione strategica del conflitto) e sono finite con le dimissioni del segretario alla Difesa. Hagel non è mai stato un fedelissimo di Obama. È un veterano repubblicano chiamato dal presidente per lo più a gestire i colossali tagli al budget del Pentagono, di convinzioni realiste, più adatto a chiudere le guerre che a iniziarne di nuove. Ma di fronte all’ascesa dello Stato islamico, così repentina e feroce, anche Hagel ha avuto dei ripensamenti. È una minaccia come non ne avevamo mai viste prima, ha detto, lasciando intendere che erano necessarie misure straordinarie per ottenere il risultato di «distruggere e sminuire» il gruppo di al-Baghdadi, nel momento in cui il presidente ancora rincorreva la retorica su al-Qaeda mezza distrutta e la guerra al terrore mezza vinta. La creazione di una coalizione internazionale che ha dichiarato guerra allo Stato islamico è stato un primo

passo, ma non può essere l’ultimo. È su questo punto che ha battuto Hagel, ed è su questo punto che con tutta probabilità è caduto. Un rimpasto all’interno del team di sicurezza di Obama era previsto da qualche tempo, ma si pensava che sarebbe arrivato tra gli uomini e le donne che lavorano alla Casa Bianca, dal momento che negli equilibri del potere di decisione sia il Pentagono sia il Dipartimento di stato sono andati via via perdendo peso. Se tutto si decide alla Casa Bianca, se le decisioni prese non sono efficaci, perché cambiare il segretario alla Difesa? I commentatori si stanno ancora interrogando. Pesa ovviamente l’equilibrismo obamiano che è si è sempre più staccato dal «team of rivals» delle origini per chiudersi nel gruppo ristrettissimo di collaboratori: chi è fuori dal cosiddetto «inner circle» non è destinato a durare molto. Ma c’è ancora una guerra da combattere e sui

metodi e sugli obiettivi di questo conflitto molto si capirà con l’arrivo del prossimo segretario alla Difesa. Con la consapevolezza che permane una distorsione di fondo nella gestione del dossier iracheno-siriano, e riguarda il rais Assad. Nell’estate del 2013 era parso imminente un blitz contro il regime di Damasco che aveva usato armi chimiche contro il suo popolo. Dopo un anno, la guerra è iniziata, ma contro un nemico di Assad (e di tutto l’Occidente, naturalmente) con il risultato non voluto ma di certo prevedibile che il regime siriano si è rafforzato. Dopo appena qualche giorno di calma, all’inizio dei raid americani in Siria, Assad ha ricominciato a bombardare le aree governate dai ribelli, ad Aleppo è atteso un violento regolamento di conti. Se non si stabilisce come comportarsi con Damasco, la percezione di insicurezza della Casa Bianca nel mondo non sarà sanata.

po’ da tutti gli istituti di previsione. Anche perché la statistica della produzione ha segnalato una diminuzione nel terzo trimestre, sia rispetto al trimestre precedente, sia rispetto all’anno precedente. Le ragioni del colpo di freno sono due. In primo luogo la mancata ripresa a livello di economia mondiale che ha inciso negativamente sull’evoluzione delle esportazioni, anche se, in controtendenza, occorre ricordare che nel mese di ottobre l’economia svizzera ha realizzato esportazioni da primato. L’altra ragione è data, come precisa il bollettino più recente della SECO, dalla perdita di vigore della domanda interna che, negli anni susseguenti alla crisi finanziaria, aveva invece largamente contribuito (unica eccezione il 2011) a mantenere il tasso di crescita del PIL sopra il livello dell’1.5%. Dopo esserci

soffermati lungamente sul 2014 che, finalmente, si rivelerà, economicamente parlando, un anno senza infamia e senza lode, vorremmo ancora parlare brevissimamente delle previsioni per il 2015. Dapprima ricorderemo che le previsioni per l’anno entrante restano positive. La Seco prevede un tasso di crescita del PIL reale superiore al 2%. Avverte però, e credo che tutti noi, nel corso degli ultimi mesi abbiamo potuto renderci conto di quanto fondato sia questo avvertimento, che sull’evoluzione congiunturale della nostra economia pesano molti fattori di rischio e che quindi la probabilità di realizzazione di queste previsioni è sicuramente inferiore a quelle delle previsioni degli ultimi due anni quando la barca della nostra economia navigava in acque molto meno agitate.

possibilmente mastodontici, capienti come quelli situati negli agglomerati d’oltralpe. Insomma, pare veramente che la priorità consista nell’innalzare muri inghiottendo coltivi e vigneti, il resto seguirà. Forse. Ad ogni modo le imprese avranno fatto il loro dovere. Allarmate dai costi del LAC, e dalle previste spese di gestione, alcune forze politiche vorrebbero ora stringere i cordoni della borsa. Sanno che intervenire in questo campo – nel campo dell’offerta culturale – porterà voti alle prossime elezioni cantonali e a quelle comunali in programma nel 2016. Sono forze e correnti d’opinione che non sono contro il cemento: sono contro la cultura, terreno infido in cui può crescere il dissenso, in cui possono formarsi spiriti liberi e non controllabili. Le campagne anti-intellettuali e il fastidio per l’interrogazione critica fanno sempre presa, specie nei momenti di smarrimento ideale. Ma un LAC decapitato, impoverito e spolpato, non servirà certo a ridare lustro alla città di Lugano com’era nelle intenzioni nei giorni festosi del varo del progetto. Forse si è puntato troppo

sul contenitore, sull’«hardware», dimenticando il contenuto, la materia grigia, il «software»; forse si è peccato di «grandeur» (ma allora in piazza Riforma pascolavano ancora vacche dalle mammelle gonfie). Fatto sta che l’amministrazione e la direzione della struttura dovranno ora aguzzare l’ingegno per evitare sprechi e orpelli. E soprattutto per dissipare il sospetto, assai radicato e diffuso, che il LAC sia stato realizzato soltanto per servire un’élite, la Lugano altolocata e borghese. Non è detto che la camicia di forza del risparmio sia un male. Non sempre l’opulenza giova all’elevazione dello spirito. Oggi, si sa, bisogna creare «eventi», non importa se calati dall’alto e pianificati da agenzie internazionali del tutto prive di legami con i luoghi; «eventi» seriali, che facciano rumore e che attirino le folle, meglio se accompagnati da svolazzi mondani. Ma come dimostra la rete di micro-iniziative presenti nel nostro cantone, specie nelle aree discoste e nelle valli, spesso basta molto meno per nutrire l’intelletto e contribuire all’incivilimento del Paese.

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un 2014 senza lode né infamia Siamo in dicembre e, con le previsioni per la congiuntura del prossimo anno, cominciano ad apparire anche i bilanci per quello corrente. A livello macroeconomico il 2014 è stato un anno di continue correzioni verso il basso. Abbiamo cominciato l’anno pieni di ottimismo. La Svizzera entra con slancio nel 2014, titolava uno dei maggiori quotidiani della Svizzera tedesca. Perché? Perché ci si attendeva una ripresa a livello di economia mondiale che avrebbe favorito una forte espansione delle esportazioni. Si prevedeva perciò che l’economia svizzera avrebbe realizzato un tasso di crescita reale superiore al 2.2%. A marzo, però, l’entusiasmo dei pronosticatori cominciava a incrinarsi. Klaus Abegger, economista del KOF, dichiarava al «Corriere del Ticino»: «L’anno era cominciato con molto ottimismo, ora

c’è più cautela». Doveva però trattarsi di nubi di piccole dimensioni perché la revisione delle previsioni del primo trimestre, di fatto, non ridimensionava ancora le aspettative di crescita. Il vero punto di inversione delle attese doveva manifestarsi in giugno quando la metà circa degli istituti rivedeva verso il basso la previsione di crescita del PIL reale per il 2014. Il KOF del Politecnico federale di Zurigo riduceva la sua previsione di crescita dal 2.2 all’1.8%, la Seco, dal 2.3 al 2%. Ottimisti restavano invece il Credit Suisse e Economiesuisse che mantenevano intatte le loro previsioni, tutte e due superiori al 2%. Ora che abbiamo a disposizione le stime relative all’evoluzione del PIL svizzero per il primo e il secondo trimestre del 2014, possiamo affermare che avevano ragione i pessimisti. Mentre infatti la crescita nel corso

del primo trimestre raggiunse lo 0.4% restando quindi nettamente al di sopra del risultato raggiunto durante il primo trimestre del 2013 (+0.2%), nel secondo trimestre il PIL svizzero aumentò solo dello 0.2% contro un buon 1% nel secondo trimestre del 2013. Le stime di metà anno – che, lo ripetiamo, sono state rese pubbliche solo qualche settimana fa – suggeriscono quindi che, difficilmente, il tasso di crescita del PIL, durante il 2014, supererà l’1.5%. Ma veniamo alle previsioni di fine settembre-inizio ottobre. Per quel che riguarda il tasso di crescita reale del PIL per il 2014, il KOF rimaneva sull’1.8%, la Seco scendeva anch’essa all’1.8%, mentre il Credito svizzero scendeva addirittura all’1.4%. La forte inflessione del tasso trimestrale di crescita del secondo trimestre è stata quindi recepita, tre mesi più tardi, un

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Sulla relazione tra la cultura e il cemento Si è molto insistito, negli ultimi anni, sulla necessità di potenziare le infrastrutture culturali: biblioteche, musei, teatri, pinacoteche, sale da concerto. Da Biasca a Bellinzona, da Locarno a Mendrisio, parecchi edifici storici – ville neoclassiche, case patrizie, conventi, stazioni di posta – sono stati ammodernati per accogliere esposizioni e manifestazioni di varia

natura. Ne è scaturita una rete a maglie fitte, comprendente esposizioni di forte richiamo, dislocate nei centri urbani, e un variegato universo legato al territorio in cui si è voluto privilegiare la storia locale con i relativi addentellati etnografici e linguistici. Anche l’Università ha potuto insediarsi nei locali di un fabbricato dismesso, il vecchio Ospedale Civico di Lugano.

Il LAC e il suo direttore artistico Michel Gagnon. (Keystone)

Si è insomma fatto di necessità virtù, ristrutturando e riconvertendo; soluzioni non sempre ottimali, ma comunque praticabili e soprattutto sostenibili per l’erario pubblico. Poi è arrivato il LAC, croce e delizia del comune di Lugano, ora alle prese con le spire di un soffocante indebitamento. Il LAC, polo della cultura della Svizzera italiana, faro in grado di competere con Milano a Sud, e con Lucerna e Zurigo a Nord. In mezzo, le carrozze veloci di AlpTransit, capaci di trasportare raggianti cultori della musica, del teatro e delle arti tra una città e l’altra. Lo scenario, così dipinto, ha l’aria promettente; traduce finalmente in prassi operativa il celebre cartellone ideato da Orio Galli negli anni ’80 del Novecento: «Ticino terra d’artisti». A dire il vero, se abbassiamo gli occhi, se osserviamo quanto è accaduto nel territorio in questi anni di euforia edificatoria, qualche dubbio affiora. L’arte è rimasta dietro le quinte, lontana, impalpabile. Ciò che si è affermato è una gran voglia di costruire anfiteatri e «campus» di ogni foggia e dimensione. E poi impianti sportivi e stadi,


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Cultura e Spettacoli A caccia di San Nicolao A Küssnacht mancano pochi giorni alla straordinaria festa in cui si dà la caccia a uno dei santi più amati pagina 48

Mondi in trasformazione La Biennale dell’Immagine propone una serie di mostre intorno al cambiamento. Questa settimana Stabio e Mumbai

Antisemitismo d’occidente Ebrei causa di tutti i mali? David Nirenberg analizza un fenomeno preoccupante

Bloggami che ti bloggo Esistono blog tanto degni di nota da (paradossalmente) diventare dei libri

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Costumi di Oskar Schlemmer (Bauhaus) al Metropol di Berlino nel 1926, foto di Ernst Schneider. (Keystone)

Una metropoli che vive e s’incendia Berlino, porta del mondo Negli anni Venti del 900 la città tedesca si presenta come luogo vivace e trasgressivo Luigi Forte Forse davvero Berlino, come è stato detto, è una metafora urbana, un luogo rivisitato in molti modi dalla letteratura, il simbolo di una modernità che riceve significati diversi e spesso contrastanti dalla percezione dei viaggiatori. E da quella dei suoi numerosi interpreti, filosofi, scrittori, maestri del feuilleton. Da modesta capitale del secondo Reich essa divenne negli anni Venti, in un clima di forti contrapposizioni sociali e politiche, una metropoli di livello europeo con un certo carattere nomade. Come diceva il critico d’arte Klaus Scheffler all’inizio del Novecento: «Questa città è condannata a divenire sempre e a non essere mai». Dispensatrice di fantasmi e profili riflessi nei dipinti di un Grosz o di un Otto Dix, Berlino incarna quell’aspetto effimero e transitorio che già per Baudelaire era la sostanza stessa della modernità. Döblin la definisce una città invisibile; proprio lui che ne ha scandagliato il ventre profondo nel suo romanzo Berlin Alexanderplatz. Forse perché il complesso sistema di rapporti e funzioni del grande Moloch urbano in cui è ingabbiato il suo sventurato eroe Franz Biberkopf gli appare insondabile e labirintico. Ma altri, come Franz Hessel,

riscoperto, a suo tempo, grazie al film Jules et Jim di Truffaut ispirato all’amicizia con lo scrittore Roché, scruta la città con l’occhio del flâneur, cioè di un passante con la dignità del prete e il fiuto del detective, come scrisse l’amico Walter Benjamin. La capitale diventa nel suo bizzarro vademecum A spasso per Berlino lo scenario di una malinconia che riscatta fantasmi lontani e ricompone un ordine e un senso dietro la dissoluzione della modernità. Del resto anche Benjamin, con cui Hessel tradusse la Recherche proustiana, evocò in Infanzia berlinese non la città weimariana sconvolta da forti tensioni, ma una topografia del rifugio, della sicurezza affettiva circoscritta alla zona del Westen fra Charlottenburg e il Tiergarten. Non era certo lo spazio problematico dell’attualità che emergeva invece dagli elzeviri di Roth, Kracauer o Bernhard von Brentano. Collaboratori di uno dei più prestigiosi quotidiani, la Frankfurter Zeitung, tutti i tre costruiscono l’immagine di una metropoli in cui modernità e sedimenti del passato danno vita a una creativa tensione, a flash originali e a una quotidianità ritmata dal progresso tecnico che spinge Roth a vedere in Berlino un luogo nemico dell’uomo e Brentano, nella seconda metà degli anni Venti, a esal-

tarne vitalità e dinamica. Impossibile, per altro, non stupirsi di fronte a grandi magazzini come Wertheim, Tietz o KaDeWe, alle vistose icone pubblicitarie, alla spettacolare illuminazione che trasforma la notte in giorno. Fernand Léger ne fu talmente impressionato durante una breve permanenza da dichiarare: «Berlino non è che un blocco di luce. La spaventosa architettura guglielmina scompare, assorbita e mascherata dall’elettricità». Al mito di Berlino, nel bene e nel male, hanno contribuito anche i reportage di uno degli spiriti satirici più graffianti dell’epoca come Kurt Tucholsky e certo figure come Walter Mehring, anch’egli autore di molti testi per cabaret, e scrittori come Erich Kästner con il suo romanzo Fabian. Storia di un moralista. Mentre il mondo più umile fu immortalato da Hans Fallada, capofila del nuovo realismo fra le due guerre, corifeo di una quotidianità piccolo-borghese inquinata dal nazismo. E i pareri degli intellettuali che stazionavano nei vari locali fra cui il noto Romanisches Café, sono spesso divergenti. Heinrich Mann, rivedendo la città nel 1921 la trovò bella ma senza fulgore; Gottfried Benn invece ne andava pazzo: «Città della mia vita, del mio destino, dei miei anni migliori! –

scrisse in una lettera del settembre 1935 – Ne avrò sempre nostalgia». Nella breve pausa weimariana Berlino fu veramente una metropoli di eccessi, di trasgressioni, di squilibri, dove, nonostante inflazione, caos e miseria, un pubblico eclettico e stravagante folleggiava inconsapevole di fronte all’incombente apocalisse tra piaceri e svaghi d’ogni sorta organizzati in un formidabile business da una nuova ed efficientissima industria dell’intrattenimento. Non si contavano i cabaret e i teatri di varietà come il Metropol, il Plaza o il Wintergarten. Andava di moda l’America: si ballava al ritmo dell’one step, del charleston o del blues, magari con orchestre d’oltreoceano come quella di Paul Whitman, mentre spopolavano le Tiller-Girls e le ballerine londinesi della HallerRevue. La metropoli faceva proseliti a non finire, perfino fra tipi cerebrali e disincantati come lo stesso Benn: «Sabato e domenica sono stato a Berlino – scriveva all’amico Oelze –. Come mi ha di nuovo entusiasmato questa città (...), la sua mostruosa macchina dei divertimenti, la sua sicurezza, il suo volto assassino, il suo freddo frantumare ogni vezzo provinciale, ogni miserabile voglio-ma-non-posso, qui la legge è: forma e perfezionamento».

Ci voleva il berlinese Tucholsky figlio di un commerciante ebreo, pacifista radicale, corrispondente da Parigi per la Weltbühne e collaboratore della rivista satirica Simplizissimus, per attenuare il tono sublime del collega. Lui trasforma la propria città in un caleidoscopio di impressioni vivacissime, scava nella cattiva coscienza dei suoi concittadini e in quella società in cui tutto sembrava provvisorio. L’amore traboccante lo spinge ad un’eccessiva severità sia pur intinta nella salsa agrodolce dello humour. Così fa un ritratto di Berlino, dove gli svantaggi di una metropoli americana si uniscono a quelli di una città di provincia tedesca, che sembra non accorgersi di girare a vuoto rimanendo ferma al punto in cui è arrivata. Tutto nel frattempo, fra abissi di povertà e montagne di ricchezza, è diventato più arduo e difficile, e il mito del successo troneggia sullo sfondo di vaghe illusioni e balzane utopie. Tuttavia la città vive. Lo dicono anche gli emigré che mitigano la loro nostalgia con il profumo di novità. Sì, la metropoli vive e s’incendia. Ma – si chiede il commediografo Carl Sternheim – «vivrà anche domani?». E che sarà di quella Germania, il paese del suddito e della maschera, che egli vede predestinata alla catastrofe?


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Cultura e Spettacoli

A caccia di San Nicolao Tradizioni Una volta all’anno la località svittese di Küssnacht am Rigi diventa teatro di una singolare e suggestiva

caccia a un Santo, in quello che è un compromesso tra un’usanza pagana e la volontà cattolica

Marco Horat Tra pochi giorni, come ogni anno dalla notte dei tempi (non ci sono documenti storici che lo attestino), a Küssnacht am Rigi si rinnoverà la magia del «Klausjagen». Venerdì 5 dicembre, il campanile della chiesa segna le 20.15 in punto, si sente risuonare un colpo di cannone e le luci della cittadina svittese si spengono. Cala il buio sulla folla assiepata lungo le strade: ventimila persone venute da tutta la Svizzera e dall’estero, forse di più. C’è un silenzio irreale, ma l’attesa per quanto deve succedere sta per finire: da lontano si sentono come degli schiocchi di frusta e i presenti allungano il collo per vedere chi arriva in fondo al corso principale che attraversa il borgo, si preparano i videotelefonini. Il frastuono cresce di intensità e copre il brusìo di fondo; dall’oscurità emergono decine e decine di personaggi in costume che agitano lunghe fruste saldamente tenute con le due mani o che fanno ruotare sopra la testa. Meglio non avvicinarsi troppo. Colpi secchi ripetuti ritmicamente come ad inventare un ritmo dal sapore antico e moderno al tempo stesso. Dietro di loro spuntano silenziosamente le prime «Iffelen», mitre di carta colorata trasparente, illuminate all’interno con candele, portate con fierezza da 180 personaggi in file ordinate. Sembra di veder sfilare le infinite vetrate di una cattedrale immaginaria: ve ne sono di antiche e di moderne, di

grandi e piccole, astratte o figurative; le più spettacolari oltrepassano i due metri di altezza e svettano sull’intero corteo. Perfino i bambini si cimentano con la creatività dei loro padri. Tutte sono di grande qualità, veri e propri capolavori di arte popolare che continua ai nostri giorni, per rendere omaggio alla figura di San Nicolao. È lui infatti il personaggio chiave della festa... anche se, come vedremo, è l’ultimo arrivato. Lo accompagnano i portatori di torce e i grotteschi «uomini neri» che durante il giorno hanno fatto il giro delle case portando regali o carbone ai bambini di Küssnacht. Il silenzio dura ancora poco perché dietro al santo incalza un migliaio (avete letto bene) di cacciatori incappucciati che reggono sul davanti giganteschi campanacci dal suono profondo, fusi appositamente per il «Klausjagen» nella Muothatal. Vengono agitati a ritmo cadenzato seguendo un caratteristico passo di marcia, e creano una specie di melodia assordante che riempie l’atmosfera e fa vibrare tutti gli organi interni: è diventato l’inno ufficiale di San Nicolao. Se questo non bastasse al povero santo, a chiudere il corteo ci pensano altre centinaia di figuranti che soffiano a più non posso dentro corni di mucca (ricordate come facevano i Vichinghi?) producendo un suono ripetitivo, monotono e, dicono qui, raccapricciante. Lo spettacolo è ora terminato; il silenzio e il buio tornano padroni della strada quasi a voler trattenere per un at-

Il tipico mare di mitre del Klausjagen. (Keystone)

timo il momento magico appena vissuto, fatto di suoni e di silenzi. Poi, come a teatro, le luci si riaccendono riportando tutti alla quotidianità e la gente si avvia prosaicamente verso i molti ristoranti e tendoni attrezzati per una cena o una bevuta di fine serata. Perché ho detto che San Nicolao è l’ultimo arrivato? E perché i partecipanti al corteo lo vogliono scacciare (di qui il nome dato alla ricorrenza: cacciare-jagen e Klaus, da Skt. Nikolaus)? Perché in effetti il «Klausjagen», che certo non si chiamava così, è nato come rito

pagano celebrato nel periodo del solstizio d’inverno, quando i lavori agricoli erano finiti e la gente aveva un po’ più di tempo libero: il clamore delle fruste, dei campanacci e dei corni serviva a scacciare demoni e spiriti malvagi per garantirsi un buon raccolto durante la stagione seguente. Con l’avvento del Cristianesimo le autorità pensarono di porre un freno a queste usanze pagane (evidentemente senza troppo successo) che degeneravano spesso in baldorie, introducendo nel rito la figura del vescovo di Myra, appunto quel San Ni-

colao che la chiesa cattolica festeggiava all’inizio di dicembre. Di qui l’accostamento curioso e contraddittorio tra il santo che porta doni ai bambini e gli «scacciatori» che lo inseguono lungo le strade di Küssnacht am Rigi fino a notte fonda come fosse invece un demone. Scherzandoci sopra potremmo parlare di un compromesso alla Svizzera che accontenta tutti, anche se non sono sicuro che la festa di oggi non continui ad essere occasione per festeggiamenti laici un po’ sopra le righe. Il Carnevale insegna. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

La Storia e la finta pazzia: un riparo dal mondo Teatro Enrico IV di Pirandello con Franco Branciaroli interprete e regista

Giovanni Fattorini Cavallo di battaglia di Ruggero Ruggeri (per il quale fu scritto nel 1921), Enrico IV si potrebbe definire, fra l’altro, un dramma per mattatore. Attraverso il racconto di accadimenti pregressi e la rischiosa simulazione concepita da un benintenzionato alienista, nove personaggi di poco spessore concorrono infatti ad esaltare la statura e la centralità del più desolato e conturbante raisonneur del teatro pirandelliano. Forse solo moderatamente scossi dalla rievocazione della singolare disavventura occorsa al finto imperatore (la caduta di sella durante una cavalcata in costume e il conseguente trauma cranico che lo ha «fissato» nella parte), gli spettatori dei giorni nostri sono invece profondamente turbati (ne sono certo) dall’amaro e lucido argomentare dell’anonimo personaggio che per diciotto anni ha creduto di essere Enrico IV, e che dopo aver ritrovato la ragione ha consapevolmente assunto la maschera del pazzo, perché si è reso conto che facendo ritorno in società (l’ambiente aristocratico che frequentava prima di perdere il senno) sarebbe arrivato «con una fame da lupo a un banchetto già bell’e sparecchiato». Ancor più delle antinomie vita/ forma, ragione/pazzia, maschera/volto, finzione/realtà – alle quali è comunque strettamente connesso – è il tema del tempo che col procedere dell’azione

acquista uno struggente rilievo: non solo attraverso le considerazioni del protagonista (riguardanti sia la propria esistenza e la vita di ogni individuo, sia i trascorsi accadimenti della Storia, che per chi scelga la finzione costituisce un rifugio sicuro, in quanto «fissata per sempre»), ma anche attraverso gli andirivieni tra finto Medioevo e Novecento, e i segni impressi nell’arco di vent’anni sui corpi di due personaggi, i cui ritratti giovanili si vedono appesi nella sala del trono: il finto Enrico IV, che Pirandello descrive prossimo alla cinquantina, pallidissimo, con i pomelli dipinti di «un rosso da bambola», e i capelli ancora biondi «per via di una tintura evidentissima», e la marchesa Matilde Spina, di cui il protagonista, prima di smarrire la ragione, era profondamente innamorato, e che ora «è sui 45 anni, ancora bella e formosa, per quanto con troppa evidenza ripari gl’inevitabili guasti dell’età con una violenta ma sapiente truccatura». Tra gli attori di primo piano che dopo Ruggeri hanno interpretato la parte di Enrico IV è doveroso ricordare Memo Benassi, Lamberto Picasso, Renzo Ricci, Salvo Randone, Romolo Valli, e più di recente Giulio Bosetti, Mariano Rigillo, Giorgio Albertazzi, Glauco Mauri. A questo elenco di nomi viene ad aggiungersi – direi necessariamente – quello di Franco Branciaroli, da alcuni anni impegnato, anche

Franco Branciaroli nei panni di Enrico IV di Pirandello. (Umberto Favretto)

in qualità di regista, in una sua ricerca sulla figura del grande attore: una ricerca che a volte è sembrata peccare di narcisismo. Enrico IV è un testo rischioso per chi voglia esserne il principale interprete e il regista. Attorno al finto imperatore, come accennavo all’inizio, si muove infatti un gruppo di personaggi stereotipati (nel caso dei quattro giovani «consiglieri segreti» si potrebbe parlare di presenze quasi puramente

nominali). La tentazione di prendersi poca cura di loro e di costruire uno spettacolo al servizio del primattore è dunque grande. Imboccare questa strada significherebbe fare una scelta da vecchio capocomico. Branciaroli non ha voluto cedere alla tentazione, e si è chiesto (così immagino): come dare un qualche rilievo e colore a delle parti che con un vecchio termine gergale si potrebbero dire delle «tinche»? come ren-

dere evidente che i personaggi in visita al finto palazzo imperiale sono anch’essi, in quanto parte della comunità sociale, «mascherati», ma diversamente dal finto Enrico IV inconsapevoli di esserlo? A queste domande ha risposto facendone delle figure dei giorni nostri, non solo negli abiti che indossano (le scene e i costumi sono di Margherita Palli), ma anche nella disinvoltura dei gesti: una disinvoltura che nella marchesa Matilde Spina (Melania Giglio) a tratti si risolve, prima dell’entrata di Enrico IV, in vera sguaiataggine. Ha voluto inoltre che le battute fossero pronunciate ora più ora meno sopra le righe, con coloriture a volte caricaturali. Una soluzione non originalissima, che rischia di stancare, perché Enrico IV fa il suo ingresso solo verso la fine del primo atto. Con il suo arrivo si ha un improvviso, impressionante cambiamento di registro. Ma è più tardi, nella scena in cui il protagonista parla ai quattro «consiglieri segreti» – ormai al corrente della sua finzione – che Branciaroli tocca uno dei punti più alti della sua carriera di attore. Un’interpretazione davvero straordinaria per intensità e varietà di toni. Un’interpretazione ammaliante. Dove e quando

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Cultura e Spettacoli

I binari della delusione Biennale dell’immagine/1 Al Museo della civiltà contadina del Mendrisiotto il lavoro

Serie tv e romanzi, è confusione

del fotografo Giovanni Luisoni, realizzato lungo la fantomatica tratta Stabio-Arcisate

Visti in tivù Sono

Giovanni Medolago

due esperienze diverse, ma il rischio fraintendimento è dietro l’angolo

Sono anni che sorgono polemiche attorno la tratta ferroviaria StabioArcisate (chissà se la vedremo mai…), ma forse pochi tra i nostri lettori sanno che la prima linea Mendrisio-Valmorea fu inaugurata nel 1926 con tanto di regio decreto firmato da Sua Maestà Vittorio Emanuele III, salvo poi venir smantellata solo due anni dopo, quando a chi (in primo luogo i commercianti brianzoli e del Varesotto) quella tratta era sembrata interessante per collegarsi all’allora già mitica Gotthardbahn risultò chiaro che il santo non valeva la candela. Da allora tutto è cambiato: dalla civiltà contadina si è passati a quella industriale, i vagoni non sferragliano più, ma i binari sono ancora lì. Dimenticati da tutti, ma non da Giovanni Luisoni che alla Mendrisio-Stabio ha dedicato un volume, Lungo i binari (Salvioni Editore) e che è stato fiero di proporre il suo lavoro al Museo della Civiltà Contadina di Stabio (suo paese natale), che per la prima volta partecipa alla Biennale dell’Immagine. La Rassegna, in pieno svolgimento, ha quale titolo generale Trasformazioni e a Luisoni sarà apparso un autentico invito a nozze! Lui che, allievo di Gino Pedroli, da decenni è testimone di quanto accade nel «suo» Mendrisiotto, ha infatti ancora una volta buon gioco nel testimoniare da un lato quanto abbia potuto combinare l’uomo con i suoi interventi troppo sovente sconsiderati; dall’altro come la natura sappia tirar fuori gli artigli per non farsi oltraggiare oltre misura. Evidentemente, egli allarga il suo sguardo anche a quanto sta attorno ai binari. Luisoni ha l’invidiabile capacità di affiancare l’occhio del reporter a quello di un fotografo che dalla mera

Antonella Rainoldi

Coda, fotografia scattata da Giovanni Luisoni a Stabio nel 2009. (© Giovanni Luisoni)

realtà (una locomotiva d’antan, un viale pieno di erbacce, un capannone industriale) riesce a offrirci immagini arricchite da un tocco poetico: «Le sue immagini – scrive Dalmazio Ambrosioni – non sono documentali ma interpretative: fotografano l’illusione». Ambrosioni si riferisce all’illusione, svanita nel breve arco di un biennio, di chi vedeva dietro la ferrovia uno sviluppo economico e la possibilità di maggiori contatti tra persone e comunità diverse. Ma Luisoni riesce col suo obiettivo a proporci anche ricordi e a raccontarci storie: riusciamo a immaginarci che vita scorresse attorno alla vecchia stazione di Stabio? Chi ha si-

stemato con tanta cura quelle decine di copertoni che adesso ricoprono non più ruote, bensì addirittura una collinetta? Accanto a libere associazioni di pensieri che nascono spontanee di fronte a queste foto, una loro più attenta lettura ci porta dritti al piacere estetico, ci induce a credere che l’obiettivo di Luisoni non finisca «proprio lì» per caso. C’è una cura estrema nei dettagli dell’inquadratura, c’è lo sforzo di cercare prospettive anomale e c’è il tocco originale di chi ci mostra quanto noi solitamente non vediamo. Frutto di una ricerca durata ben dieci anni, in questo suo lavoro Luisoni conferma altresì due peculiarità del proprio stile:

l’inquadratura nell’inquadratura (una finestra, ma in un caso anche un gigantesco tubo di cemento) e il suo interesse nel sistemare qualcosa – un velo, una rete – tra l’obiettivo e il soggetto vero e proprio. Da notare infine gli ottimi esiti ottenuti con l’utilizzo del colore: non erano scontati per un fotografo molto legato al bianco e nero.

Diversità di contenuti o diversità di forma? Alcuni lettori ci hanno rimproverato di aver espresso giudizi critici sulla strategia di programmazione punitiva per la fiction. La denuncia di certe vetrine modestissime della tarda serata, in Svizzera come in Italia, ci è stata ritorta contro con l’accusa di troppo amore per le serie tv, specie di provenienza americana. Il ragionamento è questo: per i suoi standard qualitativi elevati, la serialità televisiva meriterà anche di trovare una collocazione adeguata nel palinsesto delle generaliste, ma a furia di elevarla al rango di oggetto culturale di primo piano si corre il rischio di gettare una luce corrusca sulle forme espressive più tradizionali, in particolare la letteratura. Per ristabilire la verità, i lettori hanno pensato bene di chiamare in causa la saggezza di Paolo Giordano. Diversità di contenuti o diversità di forma? In un articolo dal titolo Guardo le serie tv. Ma i romanzi sono meglio, apparso su la Lettura del «Corriere della Sera» due settimane fa, Giordano stabilisce il confronto delle differenze fra le

Dove e quando

Giovanni Luisoni, Fotografie, Stabio, Museo della Civiltà Contadina (Piazza Maggiore). Orari: ma, gio, sa, do 14.00-17.00. Fino al 15 gennaio 2015. Tel. +41 91 64169 90. museo@stabio.ch

Mumbai, infinita e noncurante Biennale dell’immagine/2 Lo zurighese Georg Aerni, di formazione architetto,

offre all’osservatore un agghiacciante scorcio dell’abitato di Mumbay Gian Franco Ragno Alla Galleria Cons Arc il tema della attuale 9a Biennale dell’Immagine – le «trasformazioni» – è declinato in senso globale, a conferma di una mondializzazione degli eventi e dell’economia. Ospite in quest’occasione, il fotografo zurighese Georg Aerni, nato nel 1959 e diplomatosi al Politecnico di Zurigo in architettura nel 1986 – artista con già all’attivo quattro importanti monografie. Aerni mette in scena un cambiamento su scala e dalle proporzioni inimmaginabili, nell’ordine di grandezza per noi difficile da concepire: quello di Mumbai. L’oggetto della sua ricerca visiva, la città che fino al 1995 era conosciuta con il nome di Bombay, con i suoi quattordici milioni di abitanti (ma allargando l’area metropolitana – per ben quattrocento chilometri – il conglomerato urbano supera i venti milioni) è una delle metropoli più grandi al mondo, e senza dubbio quella con la più alta concentrazione abitativa: ad una media di trentamila abitanti per chilometro quadrato si arriva a toccare i quattrocentomila per la stessa superficie (soprattutto nelle baraccopoli, negli immensi slum). Già qualche anno fa, un premiatissimo film di Danny Boyle, The Millionaire, ne riprendeva – pur in una riduzione fotografica e nel montaggio serrato – alcuni temi e i contrasti. In questo progetto che l’ha visto impegnato dal 2007 al 2010, Promising Bay, la baia promessa, Georg Aerni sor-

prendentemente non coglie la folla, ma gli innumerevoli edifici formicaio ad altissima densità abitativa, progettati per liberare quello che è oggi il centro e per ospitare e trasferire forzatamente una popolazione recalcitrante dagli slum. Perché al posto delle baraccopoli – in un aperto, impressionante ed emblematico contrasto già in atto – devono venir costruiti nuovi edifici dirigenziali, nuove autostrade, nuove strutture per l’economia emergente. Aerni documenta con cura le decine di palazzine che crescono giorno dopo giorno, alcune vuote ed altre popolate, costruzioni recenti e già fatiscenti. Ma soprattutto riesce a restituire l’impressione della fragile resistenza dei luoghi più precari che non vogliono essere abbandonati dalle persone. Stiamo parlando di un fenomeno che in sociologia viene chiamato «gentrificazione», ossia la riqualificazione di una zona di

una città, che tuttavia qui assume una connotazione drammatica e proporzioni vastissime. Perché per quanto ai nostri occhi più dignitose, le costruzioni moderne non rispettano l’universo sociale delle persone, i loro contatti, le loro sicurezze e i loro legami. Un universo di fili invisibili che nessun urbanista riesce a prendere in considerazione. Probabilmente le nuove abitazioni sono poste a decine di chilometri di distanza dal domicilio precedente. Testimonianza, ancora una volta, del fallimento di ogni iniziativa dall’alto, di ogni disegno progettuale nel momento in cui entra in contatto con la realtà dei fatti. Solo un sguardo antropologico può capire che l’uomo non è solo un individuo ma un’unità di relazioni. Un contesto che lo nutre riflettendone l’identità. Rispetto alle sue prove precedenti, il fotografo zurighese in Promising Bay

Serie come romanzi? Non tutti sono d’accordo.

sembra assumere un linguaggio più narrativo. Precedentemente si è confrontato con un stile fotografico maggiormente concettuale – ripetitivo per temi – inquadrando sezioni di grattacieli, paesaggi fittizi costruiti dall’uomo e particolari porzioni di città. Si trattava di prove in cui non mancava un certa predilezione per l’aspetto grafico. Tuttavia, in questo progetto, come molti fotografi svizzeri della sua generazione – penso ad esempio a Joël Tettamanti – sembra guardare al mondo attuale senza il filtro dei media. Sorpassando gli stereotipi ed evitando al contempo la cronaca. Indagando fenomeni su vasta scala e di grande contraddizione interna. Come, con le giuste proporzioni, fecero una generazione di fotografi svizzeri a cavallo della seconda guerra mondiale (Bosshard, Schuh e Bischof), indipendenti nella visione e nella narrazione del mondo, senza l’afflato epico e la retorica di altri protagonisti, bensì portatori di un particolare lirismo. Curiosamente, quasi ad avallare questa ipotesi, l’esposizione alla Cons Arc segue quella di un altro fotografo svizzero emergente Andreas Seibert, incentrata sulla Cina più sconosciuta, quasi ad offrire un doppio ritratto delle due economie ormai protagoniste di questo scorcio di millennio. Dove e quando

Georg Aerni, Hiranandani Garden, 2010. (© Georg Aerni)

Georg Aerni. Promising Bay. Mumbai 2007-2010. Chiasso, Galleria Cons Arc. Fino al 20 dicembre 2014.

due diverse espressioni artistiche, senza però mai identificarsi con chi si abbandona all’inclinazione telefila. Perché, in fondo, il viaggio degli amanti delle serie tv inizia e termina con la fruizione stessa. Lo spostamento del confine tra serialità e letteratura è anche uno spostamento di prospettiva: «Forse dovremmo cominciare a domandarci se tutto l’entusiasmo (e il malcelato sollievo?) con il quale stiamo liquidando la letteratura in favore delle narrazioni televisive – un trend inaugurato in maniera curiosa dagli scrittori stessi – non sia soprattutto dovuto al fatto ch’esse sono più facili, più immediate, che non richiedono vero sforzo se non quello oculare, mentre vi è una fatica intrinseca, che tutti conosciamo, nella lettura. Con ciò, non si tratta di demonizzare una forma in favore di un’altra. Solamente di continuare a distinguerne la specificità». Diversità di contenuti o diversità di forma? Dopo aver letto con attenzione l’articolo di Giordano, una cosa appare chiara: le posizioni iniziali contrapposte non impediscono di convergere in un unico punto di vista finale. E il punto di vista finale conta più di tutto. Qui la sola verità decisiva è la diversità di forma. P.S. Lo scambio tra TG RSI e 19h30 RTS di martedì 25 novembre ha vinto due volte. La prima incoraggiando la coesione nazionale. La seconda con gli ascolti: 73’500 spettatori per il TG (56,1% di share), 290’000 per 19h30 (51,6% di share). Buona anche la partecipazione sociale.


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Cultura e Spettacoli

L’antisemitismo è cosa occidentale Saggistica Lo storico americano David Nirenberg spiega origini e continuità di un pregiudizio duro a morire

Luciana Caglio David Nirenberg, classe 1964, professore di storia medievale e pensiero sociale all’università di Chicago, autore di saggi sui rapporti fra le religioni monoteiste, sin qui aveva goduto di un prestigio prettamente accademico, confinato nell’ambito specialistico. Negli ultimi mesi, invece, si trova al centro di un’ampia notorietà mediatica, proprio in seguito alla pubblicazione di un libro che fa discutere: Anti-Judaism: The Western Tradition (W.W. Norton & Company). È di regola, del resto, quando si affronta un tema caldo, sempre attuale, che tocca tutti da vicino, qual è l’antisemitismo, di cui le cronache continuano a registrare le manifestazioni virulente: attentati contro sinagoghe, vandalismi in cimiteri ebraici, bandiere israeliane incendiate su piazze che inneggiano alla Palestina, e via dicendo. Sono episodi che sembrano appartenere alla normalità, non conoscono frontiere e succedono anche negli Stati Uniti, l’alleato d’Israele per definizione. L’autore ne è stato diretto testimone. Dopo ripetuti casi di ragazzi ebrei insultati e picchiati dai loro compagni, avvenuti in scuole del Connecticut, fu chiamato in vari campus universitari ad analizzare, dal profilo scientifico ed educativo, un fenomeno subdolo, paragonabile a un fiume carsico: scorre sotterraneo, silenzioso, e poi riemerge clamorosamente. E così successe l’11 settembre quando, una volta ancora, circolò l’ipotesi del complotto ebraico. Ne raccolse gli echi Nirenberg, in metropolitana, ascoltando commenti del genere:

«Siamo odiati perché l’avidità degli ebrei ha trasformato New York in simbolo del capitalismo», o ancora «No, è perché gli ebrei hanno ucciso Gesù Cristo» e poi l’ormai leggendaria asserzione: «Fra 3000 vittime, neppure un ebreo: chiaro il perché…». Ora, questi argomenti banali e sballati, che comunque fecero il giro del mondo, non stupiscono David Nirenberg: da storico e studioso del costume vi ritrova confermata una costante della tradizione occidentale, che ha assimilato l’antigiudaismo attraverso tutte le svariate forme di antisemitismo, che ne derivano. Si tratta, quindi, di un’eredità che grava sia sul piano culturale sia sulle mentalità e sui comportamenti quotidiani, insomma un virus di cui si continua a essere portatori. Per sconfiggerlo, dice l’autore, si devono attivare gli anticorpi della conoscenza e dello spirito critico e autocritico. Certo, è necessario studiare la storia delle origini e dell’evoluzione di un fenomeno millenario, ma, soprattutto, occorre imprimere una svolta al modo di pensare: per capire che la questione ebraica è più astratta che reale. In altre parole, non sono gli ebrei a minacciare il mondo, per quel che fanno, bensì per quel che essi sembrano rappresentare. Funziona, nei loro confronti, una percezione immaginaria che ha attribuito a una minoranza, a volte esigua, uno spazio e un potere sproporzionati. Tanto da generare, nella maggioranza, diffidenza, paura, e odio. Con le conseguenze tragiche che si sanno. Deportazioni, pogrom, ghetti, lager, gulag, Shoa hanno contrassegnato le sorti di un popolo ritenuto

Stella di David proveniente dal museo ebraico di Venezia. (Keystone)

una categoria a parte e destinato a fare da capro espiatorio. In ogni epoca, c’è stato sempre un ebreo, o un gruppo ebraico di turno su cui far ricadere le responsabilità di conflitti, catastrofi, pestilenze, crisi economiche, insomma guai e sofferenze, per altro inevitabili. Tutto ciò ha radici lontane e tenaci, difficili da estirpare. Nirenberg ci prova, guidato da un’esigenza che è d’ordine culturale e d’ordine morale. In 500 pagine (dal linguaggio accessibile anche al profano come vuole la tradizione del saggio anglosassone) ripercorre l’itinerario della civiltà mediterranea e occidentale seguendo le tracce della presenza ebraica: che compare già in un papiro egizio del 700 a.C. Fu però solo agli albori del cristianesimo che emerse chiaramente la contrapposizione fra «gentili» e «giu-

dei»: i primi, secondo Paolo, interpreti della «parola» di Cristo, i secondi della «carne». Da qui l’equazione giudaismo = materialismo, diventata un persistente luogo comune, che assegnò all’ebreo i connotati, persino caricaturali di un usuraio dal naso adunco. In realtà, privi di altre opportunità, senza terra e senza patria, molti di loro si dedicarono al commercio, alla finanza. E, nel Medio Evo, furono assunti da principi e possidenti terrieri come esattori di tasse. Il rapporto con il danaro sembrava caratterizzare una stirpe considerata incapace di coltivare valori spirituali. E questo diventò l’argomento centrale dell’antigiudaismo, di cui nel corso dei secoli ci si servì per demonizzare l’avversario o addirittura per annientarlo. Come in Spagna, con l’Inquisizione che attuò un

massacro di massa ante litteram: 200 mila ebrei uccisi o costretti alla fuga. Durante la Riforma, Lutero definì «giudaica» la chiesa cattolica, perché accumulava ricchezze. A sua volta, Roma replicò dando dell’«ebreo» a Lutero. Giudeo, in senso spregiativo, entrò anche nelle dispute fra filosofi dell’illuminismo. Se una corrente di pensiero appariva scorretta o pericolosa, veniva attribuita a un giudeo. Persino dietro la rivoluzione francese ci fu chi ipotizzò una macchinazione ebraica. In realtà, nella Francia di allora viveva una piccola comunità israelita, 40 mila persone, priva di contatti con ambienti rivoluzionari. Non di meno, malgrado la sua effettiva inconsistenza, il pericolo ebraico ha continuato a esercitare una sorta di fascino aberrante. Ispirando movimenti eversivi e populisti di opposte tendenze. Bruciare i libri degli scrittori ebrei fu la parola d’ordine di Goebbels. Ma anche Marx si proponeva di «emancipare l’umanità dal giudaismo». In forme subdole, l’antisemitismo, poi spacciato per antisionismo e anti-Israele, doveva infiltrare le scelte di non pochi intellettuali e artisti, anche illustri, di ieri e di oggi. Nirenberg dedica un intenso capitolo a un fenomeno che sfugge a ogni logica. In proposito, confermando il senso dello humour ebraico, cita una barzelletta cara a Hannah Arendt che colpisce nel segno più di tanti discorsi. Eccola: un antisemita dichiara: «Sono stati gli ebrei a provocare la guerra». Al che, il suo interlocutore replica: «Sì, gli ebrei e i ciclisti». E allora, il primo: «Perché i ciclisti?» «E perché gli ebrei?», gli risponde l’altro. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Se trascuri il blog, il tweet te lo ricorda Blog Fra i milioni di diari online ve ne sono un paio davvero degni di interesse – e le case editrici non stanno

di certo a guardare, ma già subodorano il potenziale affare Mariarosa Mancuso Tra i tanti blog che interessano soltanto chi li scrive, la fidanzata o l’ex fidanzata ma solo se gelosissima, qualche amico che a sua volta ha un blog voglioso di lettori, pochi si distinguono e meritano visite frequenti. Il vizio riduce il già scarso tempo a disposizione nella giornata, ma si sa che sappiamo resistere a tutto tranne che alle tentazioni: un bell’aneddoto, o un articolo scritto bene, o una curiosità sui registi o i romanzieri, son tutte cose che fanno vacillare. Brain Pickings è uno degli imperdibili, nel caso lo dimenticassimo arrivano i tweet a ricordarlo. Con buona pace di chi ancora vorrebbe scambiarsi messaggi tramite piccioni viaggiatori, e non legge su iPad perché ama l’odore dei libri – confessiamolo una volta per tutte: dai romanzi abbiamo ricavato parecchie gioie, ma mai una volta ne abbiamo annusato uno, neanche quando tutti attorno a noi si vantavano di farlo – seguire su twitter una lista di account ben scelti garantisce una formidabile rassegna stampa mattutina. Maria Popova manda avanti Brain Pickings – qualcosa come bocconcini di cervello, l’immagine di copertina mostra un cranio aperto alla Hanibal Lecter, e le bacchette da sushi – e ne ha ricavato una certa celebrità. Anche qualche soldo per campare affidandosi al buon cuore dei lettori, che possono sottoscrivere un abbonamento e te-

nersi al corrente delle novità tramite newsletter. Va a rovistare nelle biblioteche, ricavandone vecchie ghiottonerie dimenticate. A lei si deve l’invenzione di un curioso jukebox letterario che accoppia citazioni a brani musicali. Per L’urlo e il furore di William Faulkner ha scelto The Clock di Thom Yorke: bisogna andare a sentirlo sul sito per capire quanto è azzeccato. Un altro blog imperdibile è Letters of Note, nato da un’idea di Shaun Usher che lo alimenta con regolarità. «Lettere che meritano un pubblico più vasto», dice la ragione sociale. Appena viene segnalata una new entry ci precipitiamo a leggerla, e anche a guardarla: accanto alla trascrizione del testo viene pubblicato l’originale, dattiloscritto o manoscritto, spesso su carta intestata. Lì abbiamo scoperto la missiva con cui Salinger spiega al mondo che Il giovane Holden non potrà mai diventare un film (da morto non lo potrò impedire, è costretto ad ammettere, magari i miei eredi bisognosi di soldi venderanno i diritti, ma io non li cederò mai). Primo: il romanzo punta tutto sulla voce narrante, e mica si può fare un film tutto con la voce fuori campo, che in italiano poi direbbe «infanzia schifa». Secondo: gli attori adolescenti di Hollywood sono tutti insopportabili e leziosi, mai vorrei che la mia creatura finisse in mano loro (per fortuna riposa in pace, nel paradiso degli scrittori, ignaro del cinema colonizzato dalle saghe adolescenziali).

Vi sono di sicuro modi più veloci per inviare una missiva. (Keystone)

Lì abbiamo letto, qualche giorno fa, la lettera di un soldato americano a papà e mamma, subito dopo l’armistizio. Più interessante di tutti i commenti degli storici letti o ascoltati in occasione del centenario, racconta i primi voli di ricognizione al confine tra Francia e Germania, i voli notturni sulle Ardenne in fiamme, i commilitoni che non tornano, le serate attorno al fuoco da campo. «È stata una guerra, una grande guerra, e adesso è finita» scrive il ventiseienne Lewis C. Plush

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REGALI

alla fidanzata una betoniera.

dalla nave che lo riporta in patria, fiero del dovere compiuto. I toni cambiano in una lettera pubblicata a qualche post di distanza, scritta con una macchina per scrivere piuttosto vecchiotta, con il doppio nastro nero e rosso. La firma Tom Hanks, dopo aver ricevuto in regalo una Smith Corona del 1934: un tentativo di corruzione, spiega l’attore e collezionista, da parte di Chris Hardwick – anche lui attore, oltre che musicista e sceneggiatore e stand up comedian – per averlo come ospite nel suo programma di interviste Nerdist Podcast (sì, sono sempre più numerosi anche i programmi radio che vanno direttamente su internet, e rispetto ai blog la qualità media è decisamente migliore). Chiacchierate di un’ora, sul tema: «Cosa vuol dire essere un nerd»: insomma, quei fissati che vanno in giro con le stanghette degli occhiali

accomodate con i cerotti, studiano cose strane, trafficano nei garage e un bel giorno fondano la Apple. Se siete tra quelli che i libri li annusano – non è mica vietato, solo che non è obbligatorio – sappiate che Shaun Usher dal suo blog ha ricavato un volume cartaceo, e che la casa editrice Feltrinelli lo pubblica come strenna natalizia, con il titolo L’arte delle lettere. 125 missive in tutto, scelte tra le più ghiotte. Mick Jagger che scrive a Andy Warhol, per esempio. L’artista e il teorizzatore dei 15 minuti di celebrità che spettano a ognuno (mai boutade fu più presa sul serio) aveva proposto per la copertina di un LP la foto di un jean con cerniera vera e apribile. Il boss dei Rolling Stones, facendo presente le difficoltà di realizzazione, chiese se si poteva aggiungere la linguaccia destinata a diventare il logo della band.

Lettere dalla storia ticinese Editoria Un affascinante viaggio nel Ticino

dell’epoca napoleonica, nell’accurato studio di Kurt Baumgartner

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La storia vista attraverso i documenti più concreti, quelli che trascrivono la vita quotidiana. In questo caso le lettere, intese sia come documenti scritti, frammenti di comunicazione, sia come oggetti concreti, veicolati da una serie di servizi che servono all’organizzazione sociale, che permettono ad una società di strutturarsi e di evolvere nel tempo. Si tratta in questo caso di lettere e messaggi amministrativi che Kurt Baumgartner, collezionista e grande conoscitore della materia filatelica, ha raccolto nel suo sorprendente volume Il cantone Ticino occupato dalla Truppe Napoleoniche del regno d’Italia (1810-1813) (Dadò Editore). Nella società della comunicazione totale in cui viviamo ci sembra persino impossibile immaginare le difficoltà e i tempi che erano necessari a far giungere le lettere, all’inizio dell’800. Soprattutto ci sfugge quale complessa organizzazione di uomini, cavalli, stazioni di posta, fosse necessaria. Per non parlare dei dispositivi legali e economici che reggevano il sistema e lo facevano funzionare tra comunità e comunità all’interno del cantone, ma ancora di più tra Stati diversi. Occuparsi di questi aspetti della storia sociale richiede una enorme quantità di informazioni dal passato,

per comprendere non soltanto come funzionassero le cose allora, ma anche cosa significassero veramente quei messaggi. Il lavoro di Baumgarter, da questo punto di vista è incredibilmente dettagliato e didattico nell’aprirci alla conoscenza molti elementi che costituiscono la sostanza dell’apparentemente semplice messaggio epistolare. Oltre alle necessarie informazioni di storia dell’epoca, occorrono nozioni geopolitiche, economiche, biografiche, per non parlare delle necessarie capacità paleografiche che permettono l’interpretazione dei testi e la loro corretta trascrizione. Il libro di Baumgarter (al quale di recente è stato attribuito il premio della Fondazione svizzera per l’incremento della filatelia) è dunque un manuale molto particolare e accuratissimo di storia del Ticino, vista sotto un’ottica concreta e settoriale, ma non per questo meno affascinante. Per conoscere la storia del nostro cantone in un periodo complesso e drammatico come quello dell’occupazione napoleonica, pare che le lettere, i documenti ufficiali e i ritratti di coloro che li hanno redatti siano il metodo più dinamico, quasi con un taglio d’inchiesta, che rende il volume certamente meno specialistico di quanto sembri. / Red.


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Cultura e Spettacoli

Il potere dell’immaginazione Mostre Alla Galleria Sestante di Viganello le opere di Giovanni Zgraggen dedicate a Don Chisciotte

Alessia Brughera Di solito il luogo che custodisce le opere dell’artista luganese Giovanni Zgraggen è il suo atelier di Tesserete, uno studio carico di luce in cui incisioni, dipinti e sculture testimoniano il suo percorso eclettico e libero da ogni vincolo. L’attuale mostra alla Galleria Sestante di Viganello, dunque, rappresenta per lui il primo incontro con il pubblico lontano dalla fucina artistica dove i suoi lavori hanno avuto origine.

Il segno di Zgraggen è laconico e preciso e concede ben poco a tutto ciò che è superfluo La scelta di esporre qui non è casuale, e risulta piuttosto chiara leggendo la sua biografia. Zgraggen ha infatti trascorso l’infanzia proprio a Viganello, in una casa che guarda dritto in faccia la galleria. Negli anni Cinquanta e Sessanta, questo quartiere ha contribuito a formare quel primario e fecondo patrimonio di immagini e impressioni che più di ogni altro ha attecchito nella sua mente senza più abbandonarla. Questa esposizione ha quindi il sapore di un ritorno a un luogo caro pregno di ricordi, popolato da figure autentiche che la memoria dell’artista ha fatto proprie. Non a caso la mostra inizia con una serie di schizzi che ritraggono con gioviale ironia alcuni dei personaggi che hanno animato, e in taluni casi animano ancora, i vicoli di quella zona, ambientazione genuina in cui si consumavano scene di vita quotidiana «interpretate» da tipi semplici e stravaganti al tempo stesso. Già da queste opere emerge la predilezione di Zgraggen per un segno laconico e preciso che nulla

Quando fu mattino di Giovanni Zgraggen, olio e acquarello.

concede al superfluo; uno stile, questo, sicuramente influenzato dall’attività di grafico e illustratore che l’artista svolge da quarant’anni. Questi disegni fanno da preludio al vero e proprio ciclo di lavori pensato per l’esposizione, dedicato alla figura di Don Chisciotte, che per molti versi si può considerare affine a quegli animi candidi e bizzarri a cui Zgraggen si è sempre sentito profondamente legato. Impavido sognatore e paladino dei più nobili ideali, «l’ingegnoso hidalgo» incarna l’uomo che lotta contro le convenzioni, sospinto da una grande sete di giustizia. La sua pazzia, tanto nobile da diventare quasi saggezza, lo conduce in un mondo in bilico tra verità e immaginazione. Non è strano, quindi, che Don Chisciotte abbia destato l’in-

Le Trasformazioni di un luogo Eventi Il prossimo 4 dicembre una serata di

musica, teatro e fotografia ai Bagni di Stabio

Si respira un’aria vissuta nei locali del vecchio stabile sulla Piazza di Stabio: sarà per la verniciatura vissuta delle pareti e per le tracce lasciate qua e là dalle varie attività che vi hanno trovato spazio. Nato effettivamente con una vocazione idroterapica, il vecchio palazzo dello Stabilimento Balneare Sociale, oggi indicato come «i Bagni» è stato in seguito riconvertito a edificio industriale, ed è rimasto in attività fino agli anni 80. Più di recente, ha acquisito la fisionomia di spazio culturale aperto a manifestazioni di vario genere, con vocazione multiculturale

Il clarinettista Paolo Rocca e l’organettista Fiore Benigni.

e di animazione della regione. Una destinazione che nei prossimi giorni troverà una nuova conferma con un originale appuntamento. A fianco della mostra fotografica dal titolo L’odore della brace spenta (fotografie di Lorena Pini e testi di Martino Giovanettina) che è qui in programma e si concluderà il 7 dicembre, sono previsti giovedì 4 dicembre uno spettacolo teatrale appositamente creato per i Bagni e un concerto. Alle 20.30 la Compagnia EX TRIPPERIA metterà in scena tre brevi atti creati in occasione della 9a Biennale dell’Immagine di Chiasso, e che ne riprendono il titolo, Trasformazioni. Interpreti Bernie Schürch e Momo Woerner. Alle 21.15 invece è previsto il concerto del duo del clarinettista Paolo Rocca e dell’organettista Fiore Benigni. Il loro repertorio variegato, incentrato sulle musiche che vanno dal klezmer al repertorio gitano, dal folk rumeno al moderno tango-jazz, sembra intonarsi perfettamente con la vocazione popolare e di apertura all’incontro di questo particolare spazio culturale del Mendrisiotto.

teresse dell’artista. Così come è stato in passato per molti altri pittori (da Honoré Daumier a Marc Chagall a Pablo Picasso a Salvador Dalì), anche Zgraggen è affascinato dalle paradossali avventure di quell’irriducibile visionario, di quel folle idealista che escogita una «realtà-altra» per nobilitare quella ordinaria.

Sono le incisioni ad aprire il percorso consacrato a Don Chisciotte. Qui Zgraggen ci racconta di quando il cavaliere errante venne ingabbiato, di quando restò a cavallo ad aspettare il mattino o di quando si ammalò: opere raffinate dal taglio compositivo originale e dal segno energico, pervase di innocente ironia e garbato lirismo, nonché dense di riferimenti colti, come quelli alle ottocentesche incisioni di Gustave Doré sullo stesso tema. Poi è la volta di una serie di sculture e dipinti. Ecco allora Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancia emergere dalla semioscurità con il viso raccolto in un’eroica e malinconica espressione, effigiato in una tela dalle cupe tonalità rembrandtiane con una tecnica che mescola l’acquarello al bitume per ottenere ombre profonde e luce ambrata. Zgraggen dipinge con tratti fugaci e incisivi, delineando figure che spesso appaiono scarne silhouette. Come in Quando fu mattino, ad esempio, dove i profili di Don Chisciotte e del suo devoto scudiero Sancho Panza si stagliano su un cielo carico di promesse, in un’atmosfera liquida che lascia poco spazio ai dettagli. O come in A spasso per la Mancia, in cui un Don Chisciotte dalle fattezze giacomettiane appena abbozzate, in groppa al suo scheletrico ronzino dalle zampe lunghissime, ha lo slancio di chi si erge sopra la realtà; al suo fianco, un basso e grassoccio Sancho Panza rivolge sconsolato lo sguar-

do a terra, vittima della sua cinica concretezza. Non manca neppure la dama a cui Don Chisciotte dedica le sue mirabolanti imprese. In Dulcinea del Toboso, una delle piccole e intense sculture naïf in legno e metallo, la donna, con un corpo caricaturato vestito solo di una rigida sottogonna a gabbia, sembra quasi attendere di indossare un abito adatto al suo «nobile» rango. Con i due dipinti a fine percorso veniamo catapultati nel presente, dove i mulini a vento sono diventati carri armati e mostri giganteschi che incarnano la malvagità e le aberrazioni moderne. Don Chisciotte, armato di tutto punto, compare anche qui, pronto a combattere questi nuovi inquietanti avversari. Perché Zgraggen sa che i grandi personaggi continuano a generare significati anche se li si interpella in momenti storicamente differenti. Oggi come nel passato, il nostro cavaliere errante persiste nell’ingigantire i propri rivali e nell’esaltare le proprie imprese, rendendosi sì goffo, ma costringendo la realtà a rivelarsi per quello che è, inadeguata alla statura morale di un animo puro. Dove e quando

Giovanni Zgraggen. Il fantastico cavaliere Don Chisciotte della Mancia. Galleria d’Arte Sestante, Lugano – Viganello. Fino al 21 dicembre 2014. Orari: do e gio dalle 14.30 alle 18.30 e su appuntamento. www.galleria-sestante.ch Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

La politica delle parolacce

Tre donne e il tempo

Pubblicazioni Parole maleducate e politica volgare in un saggio

nell’Engadina di Nietzsche e Proust

Cinemando Il cinema intellettuale francese

della sociologa Graziella Priulla

Stefano Vassere «Il leaderismo finto-plebeo congiunto al voyeurismo televisivo ha forgiato una rozza mitologia della spontaneità, per cui l’abolizione dei freni inibitori si fa passare per la rivincita degli umili o per rifiuto del perbenismo: sbandierata nei comizi, ostentata nei talk show, sgangherata fino all’impudicizia nei reality, questa vantata spontaneità ha riempito le nostre orecchie di parolacce e le nostre teste di luoghi comuni».

I social network e i talk show televisivi hanno contribuito largamente alla diffusione del turpiloquio, legittimandolo Graziella Priulla è una sociologa che insegna nell’Università di Catania e pubblica ora questo lucido e arrabbiato (di questi tempi si direbbe, facilmente, indignato) Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo. Il turpiloquio contro le donne, quello omofobo, quello politico che pesca spesso nel torbido delle abitudini sessuali, delle discriminazioni basate sulla prevaricazione di genere, sono sovente l’espressione sociale più esplicita di una prepotenza sociale di fondo, l’etichetta superficiale di un modo sempre più gratuitamente volgare di affrontare i rapporti fra persone, gruppi, fazioni politiche. In una prospettiva evidentemente più sociale, dice Italo Calvino (Una pietra sopra, del 1980): «Credo poco alle virtù del parlare francamente: molto spesso ciò vuol dire affidarsi alle abitudini più facili, alla

pigrizia mentale, alla franchezza delle espressioni banali». Ma anche la linguistica si occupa fatalmente di fenomeni di questo genere, e da diversi punti di vista: quello più cognitivo, che individua per esempio le parti del cervello dove abitano le parolacce (le parolacce hanno sempre una loro casa deputata, cognitiva o concreta che sia), la sede del turpiloquio più triviale e patologico, quello che non si può contenere perché è una malattia: la sindrome di Tourette provoca nel malcapitato tic motori e una tendenza irrefrenabile al parlare sporco. Ma altre discipline della scienza linguistica finiscono per occupare il campo: c’è una parte della pragmatica linguistica che teorizza la presa dei turni nella conversazione. E ce n’è un’altra che fa capo a Paul Grice che fornisce un protocollo di massime della conversazione ideale e cooperante: «esprimiti in modo chiaro», «di’ solo cose vere e verificate», «di’ tutto quello che serve e solo quello che serve». Non fosse un padre della teoria della comunicazione verrebbe da sorridere, certo; basta pensare che una delle formule più usate e abusate nell’attuale discorso politico fra parti è «io l’ho lasciata parlare, adesso parlo io». Si capirà che lo spregio della turnistica in questo ambito è non solo calpestato ma addirittura sfruttato a proprio vantaggio, in un gioco al massacro conversazionale disonesto e sgangherato. Poi ci sono i social media. Per una prevedibile e deleteria evoluzione, il marciume di certa comunicazione sociale e genericamente politica dell’oggi si gioca tutto lì. Torna a dire la Priulla che prima la radio a microfono aperto e ora l’Eldorado dei social network moltiplicano «la voce dei frustrati, dei mascalzoni, degli idioti», il più delle volte protetti dall’anonimato in misura direttamente proporzionale alla loro volga-

Fabio Fumagalli **(*) Sils Maria, di Olivier Assayas, con Juliette Binoche, Kristen Stewart , Chloë Grace Moretz, Angela Winkler, Hanns Zischler (Francia 2014)

rità. I canoni sono quelli classici, e la fa da padrona l’invettiva, che è più disinvolta se rivolta verso il genere femminile e gli interlocutori più deboli (Perché le donne non sono benvenute su Internet titola un suo testo la giornalista americana Amanda Hess), cui si associa una tentazione aumentata con l’aumentare del ruolo sociale e professionale della fortunata bersaglio del turpiloquio. «La rivendicazione della mediocrità può scandalizzare, ma l’eroe burino seduce ed esercita un fascino mimetico perché fa dimenticare l’alta funzione che l’individuo dovrebbe esercitare in quanto eletto. In altri paesi chi oltrepassa i limiti del reciproco rispetto viene invitato a dimettersi dai suoi stessi colleghi di partito».

Alzi la mano chi non abbia mai definito magiche, come poche altre al mondo, le misteriose prospettive che s’irradiano dal villaggio dell’Engadina in questione. Una vertigine che nel tempo ha colto tanti visitatori, a cominciare da maestri sommi del pensiero come il Nietzsche che vi concepì i cicli ripetitivi del suo Eterno Ritorno; o il Proust che vi narrò i propri amori nel suo I piaceri e i giorni. Tutte cose che hanno di certo occupato la mente di Olivier Assayas, raffinato e ormai sessantenne enfant prodige di estrazione Cahiers du Cinéma e, forse non a caso, noto studioso del cinema di Ingmar Bergman; l’eco di un’altra storia di ripetizioni teatrali, Dopo la prova (1984) del grande svedese, uno dei tanti rinvii che riecheggiano in Sils Maria. Tre donne e il trascorrere del tempo, della giovinezza, della fama; l’evasione nell’arte e la realtà della vita,

Bibliografia

Graziella Priulla, Parole tossiche. Cronache di ordinario sessismo, Cagli, Settenove edizioni, 2014.

Juliette Binoche e Kristen Stewart nella locandina di Sils Maria.

l’introspezione nei personaggi sulla scena e il confronto con lo sgretolarsi della propria identità. Juliette Binoche è un’attrice quarantenne, alla quale viene proposto di recitare nuovamente nella pièce che la rese famosa ai suoi esordi vent’anni prima. Ma il suo personaggio ora è mutato: non più quello di una giovane che seduce una donna più matura, fino a condurla al suicidio, ma ormai il ruolo di quest’ultima: con il tempo che ha rovesciato i ruoli, minato le sicurezze, insinuato ambiguità e malesseri. Tre attrici magnifiche: certo, la navigata e sempre ispirata Juliette Binoche ma, assolutamente sorprendente, Kristen Stewart (la ricordate nell’adolescenziale Twilight?), nel ruolo di segretaria della star. Le prove della pièce, che hanno luogo fra le due nello chalet di montagna, avranno ripercussioni più intime che affioreranno man mano. Ai traumi più o meno repressi si aggiungerà lo sfasamento provocato da un idolo hollywoodiano dei teenager, la 17enne Chloë Grace Moretz, reduce da Desperate Housewives e Kick-Ass, che si è vista assegnare il ruolo della giovane adescatrice. Sarà la sua sensualità candida a penetrare la diva che intravvede la decadenza, ad insinuarsi in lei come l’inquietante serpente di nuvole Maloja Snake, fenomeno naturale che invade progressivamente la serenità della vallata engadinese. Contrasto generazionale anche spregiudicato, completato dalla presenza di Angela Winkler, memoria di tante tappe mirabili del cinema tedesco (da Schlöndorff a Fleischmann, Handke, Hauff, Haneke) che costruisce un gioco di specchi destabilizzante, elegante, a tratti affascinante. Pure fin troppo evidente, e non proprio cinematograficamente inedito, colto e filosofeggiante, dispersivo al punto di disinnescarne la malinconia e l’impulso melodrammatico: tanto da perdere il contatto non solo con lo spettatore, ma anche con l’incomparabile potere metafisico della cornice naturale che fa da sfondo. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Dessie Abate (65), vedova dell’Etiopia


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Cultura e Spettacoli

Jazz da quattro stelle Strenne in musica Panoramica sulle ultime pubblicazioni su CD

nazionali e internazionali, come proposte per gli appassionati

Le tante donne di Camilla Parini… In scena ...e una riflessione ironica e

appassionata dell’artista Nando Snozzi

Concorsi

Che aria tira, nel mondo del jazz discografico, là fuori dove i dischi continuano ad essere prodotti ma non si sa bene quanto siano venduti? A giudicare dalle sempre molto nutrite rassegne discografiche delle riviste specialistiche, la produzione c’è ed è anche di ottima qualità. Date un’occhiata ad esempio alle «Reviews» di Downbeat: quasi nessuno dei dischi proposti riesce a scendere sotto le quattro stelle (su cinque). Se questo sia o no indicativo della reale situazione in campo è tutto da vedere, ma, anche nell’epoca di Spotify, sembra affermata l’importanza del disco come «oggetto del desiderio» da parte di chi ha fatto della musica il suo passatempo preferito. Lanciando uno sguardo sulle produzioni pubblicate nelle ultimi mesi che ci sono sembrate più interessanti potremmo consigliare ad esempio l’ascolto di un giovane chitarrista, Andreas Varady. Nato nel 1997 (no, non è un errore di stampa) il ragazzo vive in Slovacchia e viene da una famiglia di rom ungheresi. Per questo, su di lui sembra inevitabilmente condensarsi la magica aura di Django Reinhardt. Varady è in effetti un virtuoso «naturale»: conosce a perfezione i brani di Django, ma quello che stupisce di lui è la maturità con cui riesce a praticare anche i molti altri stili della chitarra moderna. Non soltanto gypsy, Varady, è un ottimo jazzista, un chitarrista funky e un solista rock, allo stesso tempo. Il suo primo disco, Andreas Varady, prodotto nientemeno che da Quincy Jones, sembra creato proprio per dimostrare questa incredibile versatilità. È intrigante e moderno, con un tocco anni 70 che si deve al maestro Jones (e che lascia i Daft Punk indietro di parecchi chilometri) e dimostra un’intelligenza davvero notevole nella scelta dei pezzi. Da ascoltare assolutamente la scoppiettante versione di Do it again degli Steely Dan, assurto grazie a Varady e a Jones a standard jazz (quattro stelle, naturalmente). Altro disco che vale davvero la pena di far girare sul proprio impianto stereo (dandogli magari una spolveratina prima) è un album orchestrale affidato a una delle maggiori big band europee, la francese l’Orchestre National de Jazz. Dopo essere passata nelle mani di alcuni grandi direttori, la formazione è ora condotta dal chitarrista Olivier Benoit, uno dei più coraggiosi sperimentatori musicali francesi. L’Or-

091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 10.30-12.00

Giorgio Thoeni

Andreas Varady, un nuovo Django? Quincy Jones ci scommette.

chestre, dal canto suo, è una vera istituzione ed è veramente «nationale», alla francese. Nata per mettere in evidenza le qualità dei musicisti dell’Esagono, è radunata ogni 4 anni da un direttore d’orchestra nominato ufficialmente dal Ministero della cultura. Il direttore poi compone la sua formazione secondo i gusti personali e le progettualità che intende perseguire. Nel caso di Benoit, il suo mandato lo vedrà esplorare il tema «Europa», intesa sia come platea a cui portare la musica dell’ONJ, sia come serbatoio di idee e di stimoli che informino il programma delle composizioni. Il disco che contiene i germi del progetto è potente e autorevolissimo e si intitola Paris Europe: per certi versi richiama alla mente le esperienze dei famosi «ripetitivi americani», per altri la sperimentazione ritmico-melodica zappiana. L’idea poetica che lo sostiene è un viaggio ideale attraverso la città di Parigi, ritratta in undici cartoline sonore, dall’impianto musicale strutturatissimo e diremmo quasi impressionistico. Da ascoltare assolutamente il primo brano, Paris I, sorta di Bolero di Ravel del nuovo millennio. Per quanto riguarda la scena musicale elvetica, è da segnalare in primis l’ultima pubblicazione della collana «Jazz» di Musiques Suisses. Pyhä è l’album proposto dal collettivo musicale World of Strings, un quintetto formato da quattro strumentisti a corda e un percussionista. Leader e compositore del gruppo è il contrabbassista zurighese Rätus Flisch. Attivo per anni in

ambito jazzistico (si è diplomato alla Berklee di Boston negli anni 80) Flish cerca di fondare un progetto musicale totalmente acustico, programmaticamente e saldamente radicato nel folk europeo. Il risultato è un disco che difficilmente si può classificare sotto l’etichetta di jazz (ma d’altra parte il jazz ci ha abituato a ciò da molto tempo): le sonorità sono comunque cristalline e gradevoli. Flish ammette di aver voluto scrivere in questo disco musica che mettesse in evidenza la melodia e che potesse servire quasi da punto di accesso «facilitato» al jazz. L’impressione è che ci sia proprio riuscito e confermiamo la «piacevolezza nell’intelligenza» dei suoi brani: il tutto sembra iscriversi in un processo di graduale ritorno del jazz (qualunque cosa sia) alle sue forme meno spigolose e ruvide. L’ultima proposta di ascolto è legata a un musicista di casa nostra, il pianista Michael Fleiner, eccellente cultore della musica latina. Il suono nuovo disco Tumbando lo habitual, pubblicato da Altrisuoni, continua nell’esplorazione «scientifica» del repertorio sudamericano. Fleiner, che già nei suoi lavori precedenti aveva mostrato la sua predisposizione per l’uso di modelli matematico-scientifici nel processo compositivo, qui ci dimostra ancora una volta come tale complesso lavoro ideativo finisca... per passare inosservato e diventare un pretesto giocoso che nulla toglie al piacere di gustare i ritmi sudamericani. (Quattro stelle, certo). /AZ

Civica Filarmonica Lugano Concerto bandistico Palacongressi, Lugano Lunedì 8 dicembre, ore 16.15

Fra le produzioni delle compagnie della Svizzera italiana proposte al Teatro Foce di Lugano per «Home», la rassegna sostenuta dal Percento culturale Migros Ticino, recentemente ha debuttato lo spettacolo Still Leben, primo progetto personale di e con Camilla Parini del «Collettivo Ingwer», un gruppo artistico da lei creato lo scorso anno. Diplomatasi parallelamente come operatrice sociale, il percorso teatrale di Camilla Parini passa dal Teatro delle Radici di Cristina Castrillo alla Scuola Paolo Grassi di Milano indirizzato al teatrodanza accanto a esperienze di produzioni che la mettono in contatto con altre realtà artistiche legate alla danza, al teatro e alla performance. Ed è su quest’ultima vena creativa che si muove Still Leben, un’ora di intense immagini femminili che sul palcoscenico si trasformano in una storia come lettura simbolica della vita di una donna, di tante donne, riunite in un’unica personalità teatrale. Lo racconta bene il primo quadro con cui l’attrice si presenta sulla scena, seduta su una grande poltrona, il corpo frontalmente verso la platea ma con la testa apparentemente voltata all’indietro, complice la coda dei suoi lunghi capelli girata per nasconderne il viso: una sorta di trompe l’oeil metafisico, illusione riuscita di un personaggio che guarda al passato, complice la memoria di una vita vissuta. Lo spet-

tacolo è senza parole accompagnato da un medley di musiche che richiamano le età di una vita, è un susseguirsi di momenti giocati con bravura e delicatezza, con la forza e la leggerezza della sua dimensione poetica lungo le età della protagonista: dall’infanzia all’adolescenza, dall’età matura fino alla morte. Ma è la storia di tutte raccolta in due parole Still Leben che, se unite, in tedesco significano «natura morta» ma se divise possono voler dire «vivere ancora». Ecco. Il senso di questo progetto consiste proprio nella sua duplicità, cercando il labile confine tra il senso delle cose, tra ciò che vive e ciò che muore, sulla spinta della necessità di riflettere sulla figura della donna ritraendola nella sua intimità e con tutte le sue fragilità. Camilla Parini con questo spettacolo ha fatto «en plein» per tre sere, convincendo in bravura, nell’uso della metafora, delle simbologie, senza mai eccedere o compiacersi. E il pubblico questo l’ha capito, seguendo il suo percorso e applaudendola calorosamente. I «selfie» di Nando Snozzi

Camilla Parini, autrice e protagonista dello spettacolo Still Leben.

Sono state quattro le performance che il pittore bellinzonese Nando Snozzi ha raccolto con il titolo Selfie al chilometro zero, una serie di appuntamenti al suo «Athelier Attila» di Arbedo dove ha riunito la pittura, la teatralità poetica e la musica. «Il selfie è il fratello minore dell’autoscatto», afferma Snozzi nelle quattro tappe in cui racconta le sue riflessioni sul mondo fatto di «segni suoni e parole dentro territori dichiarati e appartenenti all’arte». E non c’è via di fuga. Con i suoi testi Snozzi sa essere delicato e forte, spaventato e sicuro in un’altalena di considerazioni sull’uomo moderno, sull’ambiente degradato, sulla necessità di vivere come urgenza di una comunicazione vera. Senza autoscatto, dove ognuno è protagonista responsabile della propria vita. Un’ora appassionata e ironica dove il pittore ha usato le sue tecniche di disegno a mano, con colori forti sui volti giganti e primitivi che caratterizzano il suo tratto «brut». Con lui la voce registrata di Anahì Traversi e le geniali campionature elettroniche sul violoncello elettrico di Zeno Gabaglio.

900Presente Rassegna di contemporanea Auditorio Rsi, Lugano Domenica 14 dicembre, ore 17.30

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio Don Bosco, Minusio Domenica 7 dicembre, ore 15.00 e 17.00

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio Don Bosco, Minusio Domenica 11 gennaio 2015, ore 15.00 e 17.00

Concerto di gala

Americanness

Acqua che ti passa

Pelle d’Oca

Maestro direttore: Franco Cesarini Musiche di Ralph Vaughan Williams, Percy Aldridge Grainger, David Bedford, Leonard Bernstein.

Ritratto di alcuni autori americani nati tra il 1870 ed il 1900: Charles Ives, The Unanswered Question Aaron Copland, Appalachian Spring George Gershwin, Rhapsody in Blue

Compagna Sugo d’inchiostro. Riuscirà il messaggero ad affrontare tutte le avventure del viaggio per trovare l’acqua miracolosa e salvare il vecchio saggio? Spettacolo per famiglie con bambini dai 3 anni

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Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 3 dicembre al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Rape, salici e topi: antichi rimedi Dai e dai, sono diventato sensibile alle esortazioni sulla prevenzione, sempre concluse da un lugubre «prima che sia troppo tardi». Non so se tutti hanno la disgrazia di avere un compagno di scuola che tiene aggiornata la contabilità; io ce l’ho e quando mi capita di incontrarlo non perde occasione di informarmi se uno dei nostri coetanei è salito sul pullman per fare l’Ultima Gita. Costui è prodigo di dettagli sulle modalità del decesso del de cuius e si esalta nei casi in cui può sottolineare la circostanza che «fino al giorno, o alla settimana prima stava benissimo, è stato colpito dal male senza alcun preavviso». I malanni che non mandano segnali di allarme sono tantissimi; me li elenca e ogni volta la lista si allunga. Così ho finito per accettare l’invito di un amico medico a prendere parte a un convegno di chirurghi vascolari sulla prevenzione dell’ictus perché è uno di quei casi in cui ti arriva addosso senza alcun preavviso. Il mio ruolo era marginale, ero lì soprattutto per imparare; sono stato incaricato di descrivere i

rimedi della medicina popolare in Piemonte, ricordi di un’infanzia trascorsa in campagna, nella cascina dei nonni materni durante gli anni di guerra e per tutte le estati del dopoguerra. Si fa presto ad andare indietro nel tempo; i miei nonni si erano sposati nel 1895! Non sono in grado però di specificare se certi rimedi li ho visti in azione con in miei occhi o se li ho sentiti raccontare nelle veglie nella stalla, evocati come storie di un passato già remoto, allo scopo di stupire noi bambini di città. Il fine ultimo di questa ricerca empirica, affidata alla memoria di un singolo era verificare se alcune di queste pratiche ingenue fossero basate inconsapevolmente su principi attivi. Il mio amico medico citava il caso del vin brûlé, usato per combattere raffreddori e mal di gola: una bevanda calda ottenuta facendo bollire del vino rosso con l’aggiunta di zucchero e di chiodi di garofano. È così buona che vale la pena di esporsi al freddo per ammalarsi apposta. A quanto pare l’effetto curativo è affidato ai tannini presenti nel vino rosso. Un altro rime-

denso. Posso confessare che in casa nostra lo usiamo tuttora? I ragazzi della mia generazione hanno avuto, fra le tante, la fortuna di poter giocare liberamente su strade e piazze dove transitavano rare automobili. Non sono mai ritornato una sola volta a casa senza i segni di qualche contusione e subito mia nonna prendeva una fetta di lardo, l’avvolgeva nella carta da zucchero (era blu, che fine ha fatto?) e me la faceva tenere sull’ematoma. Sulle ustioni mi mettevano delle fette di patata crude. Fra i banchi del mercato c’era sempre quello del venditore di grasso di marmotta, esaltato come la panacea di tutti i mali, con un eloquio in una lingua strampalata e piena di parolone scientifiche. Una povera marmotta in gabbia calamitava la nostra attenzione. Ecco i rimedi che non so più se ho visto praticare o sentito raccontare: la ragnatela applicata sulle ferite per cauterizzarle e fermare il sangue; la lumaca inghiottita per farla passeggiare sulle pareti dello stomaco per curare l’ulcera con la sua bava. Per i reumatismi, bisognava

andare a torso nudo a stuzzicare un vespaio, farsi pungere, non più di venti o trenta volte, e scappare in casa prima di soccombere. In alternativa, fasciare la parte malata con delle ortiche. Contro l’enuresi si somministrava ai bambini un ottimo e nutriente brodo di topo di granaio; senza spiegargli però come era stato ottenuto. Per fortuna i miei nonni non hanno mai avuto un granaio. È una ricerca da approfondire, affidandola a qualche università che avesse voglia di intraprenderla. Quella di Helsinki ne ha sviluppata una sulle misure delle Barbie. Le bambole, nelle varie versioni, sono sempre alte 29 centimetri e hanno un petto più che ragguardevole. Rapportando questi dati all’altezza media di una donna in carne ed ossa, le misure dovrebbero essere 91/45,7/83 con un seno della sesta misura. Con un peso di 49,8 chilogrammi, 15 in meno del giusto, e una massa grassa inferiore dal 17 al 22% a quella ottimale. Avrei preferito di non venire a conoscenza di questi dati sconvolgenti; se ci penso non riesco più a prendere sonno.

a un fine settimana, non lavora certo la creatura. Quindi: mentre ti comunico il prezzo da me pagato per essere qui davanti a te, bello mio, e nessuno dice ma tutti sappiamo che comunque mi conviene un’ora di trasmissione rispetto a una gita, ci tengo anche a sottolineare che non è mia abitudine non fare quello che mi pare. Aggiungendo «per un ragazzo, poi», chiarisco che anche prima degli ultimi due anni per un ragazzo non ho mai rinunciato a nulla. La lucidità della fanciulla è spaventosa. Chi di noi ricorda da quanto tempo non rinunciamo o rinunciamo a qualcosa per qualcuno? La vita è fatta di continue scelte, e scegliere è togliere, buttare tutte le alternative tranne una. Se mi piace vestire di rosso e anche vestire di viola, potrò al massimo vestirmi di rosso-e-viola, ma non tutta di rosso e tutta di viola in contemporanea. Il principio di non contraddizione non vale solo per i sillogismi astratti, vale anche per i ragionamenti pratici, che

guidano l’azione e nei quali si esprime la morale. Guido da Montefeltro, nel ventisettesimo canto dell’Inferno dantesco, racconta con vergogna la sua storia e il motivo della condanna nel girone dei consiglieri fraudolenti. Guido sul finire della sua vita, dopo tante battaglie e opulenze, decise di farsi francescano. Questo «giovato sarebbe» (avrebbe), se il «Principe dei nuovi farisei», ovvero Bonifacio VIII, non lo avesse quasi costretto a dargli consigli di guerra per sconfiggere i Colonna, promettendo la contemporanea assoluzione dal peccato di induzione al male, di consiglio che porta alla vittoria attraverso l’imbroglio e le promesse non mantenute. Quando Guido muore, San Francesco non riesce a prendere l’anima di questo suo figlio spirituale, ghermita da un demonio. Infatti «assolver non si può chi non si pente, / né pentere e volere insieme puossi / per la contradizion che nol consente». Non c’è niente da fare, quando agiamo

operiamo una scelta e scartiamo tutte le altre, neppure un Papa ha potuto far peccare e assolvere insieme il povero Guido. E che cosa avrà scartato, la fanciulla del reality, per rimanere almeno due anni determinata alla non rinuncia ai suoi desideri? È facile, fin banale parlare di sorrisi di riconoscenza, di intesa che si stabilisce grazie alle reciproche rinunce, ciascuno cede un poco e si trova quella serenità così importante per la vita quotidiana. Non è sempre facile, ma apporta anche il vantaggio dell’autostima: checché la gente ne dica, io so di avere fatto cose utili, so di saperle fare, e non è nemmeno così difficile. Non voglio pensare a che cosa potrà accadere, quando gli occhi belli che ora blandiscono le telecamere cercheranno in qualcuno un aiuto, un po’ di dedizione. Scusi ma lei chi è? Dove era quando noi avevamo bisogno? Goda dei suoi record, due anni senza un piccolissimo dono del suo tempo ad altri, e ci lasci che abbiamo da fare.

ne ispirata, stravagante, esibizionistica. La tensione è un’altra cosa. Va da sé che quel che agisce nella prosa di Stajano è una tensione etica e civile, per cui le storie e i personaggi vengono presentati da molto vicino e insieme da lontano, proposti nella loro esemplarità, quasi a futura memoria, nel bene e nel male. Si veda il libro, appena uscito da Archinto, Destini (5½). Sottotitolo: Testimonianze di un mondo perduto. È un bellissimo titolo che potrebbe stare a epigrafe di tutta l’opera di Stajano, perché Corrado (mi permetto di chiamarlo per nome, perché è un mio caro amico) da decenni non fa altro che ricostruire e raccontare destini umani perduti e si direbbe a volte sperduti (da quello dell’anarchico Serantini a quello dell’eroe borghese Ambrosoli). Si tratta di articoli scritti in molti anni, dai Settanta a oggi, e consegnati ai giornali in varie occasioni. Ritratti di italiani illustri e non illustri, si va dagli scrittori Paolo Volponi, Vincenzo Consolo,

Romano Bilenchi al banchiere-editore Raffaele Mattioli; da Giorgio Manzini, «l’umile cronista delle tute blu» al «guerrigliero della memoria» Saverio Tutino. Spesso sono amici, sempre sono persone ammirate, i cui ritratti comportano una buona dose di empatia, che permette di dare un senso ai gesti minuti e alle parole, di intravedere il temperamento dietro un carattere fisico apparentemente insignificante. Pochi esempi bastano. Volponi, con «la testa contadina simile a un cubo, i capelli tagliati corti, gli occhi tondi, un buco nel mento, sorridente…», è un «uomo dolce e insieme furioso, tenero e nevrotico, un ossimoro vivente…», tra il drammatico e il burlesco, «un uomo integro del Novecento». Il giornalistascrittore-politico Peppino Fiori viene fotografato dentro «il suo giaccone foderato d’agnello un po’ sformato perché cacciava là dentro tutto quanto gli capitava in mano…». E «con quel pesantissimo montone – aggiunge Sta-

jano – doveva sentirsi ciò che veramente era, una specie di pastore sardo, solo un po’ modernizzato». Il poeta-conte Agostino Richelmy, seduto sulla sua poltroncina foderata di bianco, potrebbe essere un «Tonio Kröger, il giovane eroe di Thomas Mann, invecchiato e nascosto nelle valli». Il grande cronista appassionato Tiziano Terzani, prima di diventare il guru vestito di bianco, «cresce ribelle, è uno di quei fiorentini vigorosi dipinti dal Masaccio, distante dai delicati modelli botticelliani». Lo scrittore degli emarginati Danilo Monaldi, morto nella acque del fiume Roia, «faceva lunghe camminate nei quartieri della città vecchia (la sua Cremona) e sugli argini del fiume. D’inverno col suo impermeabile verdolino o grigio da film di Renoir fra le due guerre, d’estate impavido nel caldo umido della pianura, la camicia abbottonata ai polsi e fino al collo». E così via, un intreccio di destini che compongono il meglio del Novecento italiano. A futura memoria.

dio, questa volta contro l’influenza, forse sfiora il territorio della scienza; mi raccontavano che per guarire bisognava strusciare a lungo il sedere nudo contro il tronco di un salice, avvolgere una corda al tronco stringendola in un nodo e infine allontanarsi dalla pianta senza mai voltarsi. Avevo il dubbio che si prendessero gioco di me ma forse qualcosa di vero c’era, dal momento che il salice contiene l’acido acetilsalicilico, componente base dell’aspirina. Dovendo scegliere fra l’andare in giro con le chiappe di fuori e inghiottire una pastiglia di aspirina, non avrei dubbi, sono disposto a mandarne giù una scatola intera. Alcuni rimedi ho fatto in tempo a sperimentarli di persona. Per curare gli orzaioli che hanno funestato a lungo la mia adolescenza mi facevano appoggiare l’occhio sul collo della bottiglia dell’olio. Per combattere le conseguenze di un raffreddamento c’era lo sciroppo di rapa: si taglia in due una rapa, si cosparge la superficie dei due emisferi di zucchero e lo si lascia sciogliere fino a formare un impasto

Postille filosofiche di Maria Bettetini Rinunce? Ma perché mai? «Per incontrarti ho rinunciato a un week-end a Londra con le mie amiche!» strilla una delle tante innamorate di uno dei tanti belli da reality (nel quale ancora non si cucina: come mai questa lacuna? Non ci si potrebbe fidanzare in base alla morbidezza ottenuta per la base di pandispagna?). E fin qui, una recriminazione come un’altra. Rientra nell’ambito dell’alternativa «amiche/uomo», valida con parametri diversi anche per «amici/ donna»: a volte sembrano termini contraddittori, impossibile gestire serenamente entrambi. Naturalmente non è vero, come tutti sanno. Non è questo l’oggetto della rubrica, non questa volta. Ciò che è davvero mirabilis, degno di attenzione, è il seguito della recriminazione: «e dire che io non rinuncio mai a quello che mi piace». Azzardata, la ragazza, infatti rendere pubblico il proprio capriccio può essere un modo per dichiararsi vincente, per attirare sudditi ai piedi della principessa viziata. Ma

ascoltate il seguito: «sono almeno due anni che non rinuncio a qualcosa di mio per qualcun altro». Pausa. «Un ragazzo, poi». Quest’ultima affermazione può essere considerata un corollario di quella con cui la fanciulla dichiarava il suo diritto ad autodeterminarsi come difficile e volubile preda. Quella che sconcerta è l’affermazione precedente, saranno due anni che non rinuncio a un capriccio. Innanzitutto prendiamo atto della originalità della concorrente, perché di solito nelle baruffe di coppia si sottolineano i propri sacrifici, non i propri vizi. Che sia una via per ribadire l’eccezionalità della rinuncia, un viaggio a Londra con amiche giocato per incontrare pubblicamente il bietolone? No, non regge, infatti il prezzo del baratto è comunque conveniente, perché una gita sul Tamigi, una ragazza che se l’organizza a novembre è anche dotata della possibilità di riorganizzarne un’altra nei successivi fine settimana. Poi chissà perché penso

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Ritratti a futura memoria «I grandi giornalisti di solito scrivono bene: efficacia dell’espressione, evidenza delle descrizioni, rigore delle deduzioni. Ma altra cosa è essere scrittori». Parole di Cesare Segre, che nel 1993, recensendo Il disordine di Corrado Stajano, non mostrava alcun dubbio sulle sue qualità di scrittore. Senza sapere che le prove migliori da questo punto di vista sarebbero venute dopo, con quella che si potrebbe definire la trilogia della memoria e dei luoghi: Patrie smarrite, La città degli untori e La stanza dei fantasmi. «Per trasformare un giornalista in scrittore – osservava il critico e filologo Pier Vincenzo Mengaldo – ci vuole lo stile». Quello di Stajano è uno stile molto riservato, asciutto, limpido, quasi ritroso, ma sempre in tensione, com’è il temperamento della persona: uno stile di precisione, understatement e insieme sicurezza di dettato e di giudizio, per esempio nel disegnare con poche pennellate il ritratto delle tante persone che, da giornalista o da amico,

ha incontrato nella sua lunga vita (Stajano è nato a Cremona nel 1930). Direi che Stajano è uno dei pochi giornalisti che riescono a mettere a frutto le proprie qualità professionali per scrivere opere di letteratura. Le virtù del giornalista, che vengono prima della scrittura e che in qualche modo la generano, sono due: saper osservare e saper ascoltare. La fedeltà della visione e dell’ascolto è uno dei princìpi base e irrinunciabili della deontologia. La tensione che si produce tra il sacro rispetto delle cose viste e sentite e l’espressione è un valore aggiunto che non tutti i giornalisti possiedono: anche perché, se non viene giocato con i soliti stilemi brillanti o pseudo brillanti del giornalistese, il margine concesso all’espressività, per un testo di giornale, è assai ristretto. Il peggio si produce quando il giornalista aspira a una letterarietà astratta e incontrollata o a un lirismo artificioso pieno di frasi paratattiche simil-Hemingway e a un’aggettivazio-


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IL CALENDARIO DELL’AVVENTO FAMIGROS *Dal 1° al 24 dicembre 2014 Famigros mette in palio giornalmente fantastici premi come ad esempio un televisore OLED LG «55EC930V» con diagonale di 139 cm del valore di fr. 2699.–, un buono viaggio di Vacanze Migros del valore di fr. 1000.–, un equipaggiamento da sci SportXX del valore di fr. 1500.–, un iPad Air WiFi argento da 16 GB del valore di fr. 439.–, una console Nintendo Wii U, incl. gioco, del valore di fr. 389.–, un apparecchio fotografico compatto Nikon Coolpix P600 del valore di fr. 429.–, diversi giocattoli, cesti regalo Sélection e molto altro ancora. Trovi tutti i dettagli per partecipare su www.famigros.ch/calendario-dell-avvento


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Un panettone tradizionale prodotto a regola d’arte Attualità Giuseppe Piffaretti ci spiega le caratteristiche che rendono il suo panettone «magnifico»

Flavia Leuenberger

Siamo nel pieno dell’atmosfera natalizia e occorre stilare una lista della spesa per non trovarsi impreparati al 24 e 25 di dicembre. Si può forse rinunciare ad un buon panettone? Impossibile! Tra i prodotti in assortimento presso Migros anche il panettone tradizionale di «Mastro Piff», ovvero Giuseppe Piffaretti, panettiere e pasticcere e oramai da anni anche volto noto della televisione. Il suo panettone, già insignito con premi, è anche certificato dal marchio della Società Mastri Panettieri, Pasticceri e Confettieri la quale valuta annualmente il re dei lievitati prodotto dai soci iscritti. Giuseppe Piffaretti ci spiega i punti di forza che fanno del suo panettone tradizionale un prodotto certificato. Forma e colore del panettone sono importanti quanto il suo sapore. La doratura della crosta ed il colore paglierino della mollica sono indici di un’estrema cura del tempo e della temperatura di cottura da un lato e dall’uso di una quantità sufficiente di tuorli di qualità dall’altra. Al taglio la mollica deve presentarsi soffice e filante, con alveoli regolari e omogenei. Canditi e uvette devono essere presenti con un minimo del 70% sul peso totale della farina ed essere ben distribuiti. Il criterio più importante di valutazione è quello organolettico, profumo e sapore del panettone devono essere equilibrati. Il burro si deve percepire ma non sovrastare gli aromi naturali della vaniglia, degli agrumi e dell’uvetta presenti nell’impasto. La mollica, soffice ed elastica, deve sciogliersi in bocca. A partire da un mese prima di Natale nella sua bottega nel centro di Mendrisio – anche conosciuto come magnifico borgo – «Mastro Piff» sforna giornalmente oltre un quintale di panettoni, seguendo una tabella di marcia studiata in modo da sfruttare al meglio l’utilizzo del forno che durante questo periodo lavora senza sosta, alternando i panettoni agli altri prodotti da forno giornalieri. Dopo il giusto riposo per permettere al panettone di raffreddare il prodotto è pronto per essere fornito alla Migros Ticino. Come gustarlo al meglio? Per quel che riguarda il vino Giuseppe Piffaretti consiglia l’abbinamento classico con un moscato oppure in alternativa un vino tardivo tipo passito. I più golosi possono nappare il panettone con una salsa alla vaniglia non troppo densa e calda, magari aromatizzata con del moscato o passito. / Luisa Jane Rusconi

Mastro Piff e il suo Panettone tradizionale: 500 g Fr. 16.–.


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Idee e acquisti per la settimana

Carni esclusive per momenti speciali Novità Quest’anno per Natale le macellerie di Migros Ticino vi invitano ad assaggiare alcune carni

particolarmente gustose Filetto di bisonte in salsa al pepe Piatto principale per 4 persone

Keystone

Volete trasformare il vostro banchetto festivo in qualcosa di veramente indimenticabile? In tal caso non esitate a rivolgervi ai nostri specialisti macellai, i quali vi invitano ad assaggiare alcuni tagli pregiati che non mancheranno di stuzzicare piacevolmente il palato dei vostri invitati: il filetto di bisonte e l’entrecôte di alce. La carne di bisonte proviene dagli Stati Uniti, dove gli animali vengono allevati su estesi pascoli. La loro alimentazione a base di erba fresca e foraggi vegetali, nonché la vita all’aria aperta, si ripercuotono positivamente sulla qualità e tenerezza della carne, la quale si presenta di un bel colore rosso intenso, leggermente marmorizzata, con un sapore dolce e aromatico. La carne di bisonte è inoltre considerata una delle carni più sane, poiché è altamente nutritiva, ricca di proteine e ferro, ma povera di grassi, calorie e colesterolo. Gli alci, dal canto loro, provengono da allevamenti svedesi. Questo animale, che è più grande tra tutti i cervidi, possiede una carne simile a quella del cervo, e come quest’ultimo si cucina. La polpa, molto saporita e con pochi grassi, è facilmente digeribile. Consiglio: entrambe le carni vanno cotte a temperature moderate per po-

Ingredienti 1 scalogno 1 cucchiaio di pepe in grani 4 filetti di bisonte di ca. 160 g 2 cucchiai di senape sale burro per arrostire 400 g di cavolini di Bruxelles 2 cucchiai di burro 10 g di pepe verde 4 cl di cognac 2 dl di salsa d’arrosto

terne apprezzare tutta la loro gustosa tenerezza. Chiedete consiglio ai nostri esperti sul miglior modo di prepararla. Infine, oltre alla carne di bisonte e alce, chi cerca qualcosa di speciale nelle macellerie Migros troverà ancora l’entrecôte di manzo irlandese, il filetto di manzo statunitense oppure la classica costata di manzo TerraSuisse.

Pregiate creazioni

Il pregiato filetto di bisonte statunitense per il vostro banchetto festivo.

Preparazione 1. Scaldate il forno a 80 °C. Tritate lo scalogno. Pestate il pepe in grani. Spalmate i filetti di senape e conditeli con sale e il pepe pestato. Rosolateli nel burro per arrostire ca. 2 minuti per lato. Terminate la cottura della carne in forno, in una teglia foderata con carta da forno, per ca. 15 minuti. Mettete da parte la padella in cui avete rosolato la carne. In abbondante acqua salata lessate i cavolini per ca. 10 minuti, finché risultano morbidi. Scolate l’acqua. Condite i cavolini con metà del burro e teneteli in caldo coperti. 2. Nel frattempo, scaldate il burro per arrostire restante nella padella messa da parte. Rosolatevi lo scalogno e il pepe verde. Bagnate con il cognac. Versate la salsa d’arrosto e fate ridurre la salsa per ca. 2 minuti finché s’addensa. Aggiustate di sale e servitela con i filetti e i cavolini. Suggerimento Accompagnate con pasta o patate al forno.

Arriva San Nicolao!

Praline Vanini assortite 25 pezzi Fr. 36.80 Praline Vanini assortite 36 pezzi Fr. 48.80 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Flavia Leuenberger

Nata nel 1871 in via Nassa a Lugano per opera di Vittorio Vanini, l’omonima pasticceria-confetteria riuscì in breve tempo a conquistare i favori non solo dei ticinesi, ma anche dei confederati e degli stranieri in visita in Ticino grazie alle sue raffinate e originali creazioni dolciarie. Simbolo della grande artigianalità Vanini sono a tutt’oggi le praline assortite realizzate con ingredienti accuratamente selezionati. I differenti gusti, proposti in una confezione dal design particolarmente elegante, annoverano ad esempio varianti quali Desire con ganache al latte, cuore di gianduja morbido alle mandorle, ciliegie candite e cioccolata al latte; Biancarancio con ganache bianca, pasta di arance Sicilia e cioccolata bianca; il Tronchetto a base di nocciole piemontesi IGP, noci tostate, cioccolata al latte e fondente oppure ancora l’Esotico con gelatina del frutto della passione, ganache bianca e cioccolata fondente grand cru. Quando il 6 dicembre ci fa visita l’arzillo vecchietto vestito di rosso e dalla lunga barba bianca i bambini gioiscono perché sanno che si ricorderà di tutti. Il suo sacco è infatti ben fornito di dolcissimi regali da distribuire ai piccoli golosoni, anche ai più monelli. Eh sì, San Nicolao è talmente buono che un pensierino lo riserva davvero sempre per tutti quanti. L’attesa del Natale sarà dolcissima!

Novità: Tazza di gomma 115 g Fr. 9.90 Novità: Renna di peluche con sacchetto 75 g Fr. 9.90 Orsetto con sacchetto 115 g Fr. 12.20 Sacchetto di San Nicolao 175 g Fr. 6.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.


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Idee e acquisti per la settimana

La magia dell’albero Attualità Da questa settimana nei nostri

maggiori supermercati bellissimi abeti Nordmann da decorare a festa

La neve, il caldo di un bel camino scoppiettante e poi lui, il vero protagonista delle feste, l’albero di Natale. Scintillante in oro e rosso o più sobrio con decorazioni bianche ed argento, è importante che durante tutto il periodo che trascorrerà in casa non perda gli aghi. Per non ritrovarci rametti spelacchiati ed un tappeto di spinosi aghetti verdi sul pavimento, la scelta è quella di acquistare l’abete ottimale: tra tutti sicuramente l’abete Nordmann (Abies nordmanniana) è il migliore. Viene da lontano, è originario del Caucaso, Armenia ed Anatolia settentrionale, ha una crescita piuttosto lenta, raggiunge i 25-30 metri d’altezza con un portamento piramidale. Resiste al freddo invernale, si sviluppa bene in climi temperati come il nostro, diventando un ottimo albero ornamentale nei parchi. Per riconoscere il vero abete del Caucaso, dovete far attenzione alle foglie: lunghe 2-3 cm, con apice arrotondato che non punge, sono di color verde scuro lucido, coriacee ed al tatto molto

resistenti, talmente perfette che bisogna toccarle per capire che sono vere, perché in realtà... sembrano di plastica. Nella pagina inferiore sono argentate grazie alle due striature ed i rami si presentano pieni ed ordinati. Le foglie hanno una durata sorprendente: si mantengono sulla pianta per una ventina d’anni. Coltivati in Nord Europa e raccolti con estrema attenzione per non rovinarli, vengono imballati singolarmente per avere alberi praticamente perfetti. Per mantenere al meglio gli alberi recisi, lasciateli per qualche giorno all’esterno in luoghi asciutti e freddi, come un garage; una volta in casa non avranno problemi a mantenere intatte le loro ricche fronde, anche se sprovvisti di radici. Per mantenerlo fresco più al lungo, utilizzate l’apposito piedistallo con serbatoio dell’acqua. Un’ultima curiosità: il legno dell’abete del Caucaso viene utilizzato in Giappone per la costruzione di case antisismiche. / Anita Negretti

Frutta secca da regalare Attualità Variopinte composizioni di

Flavia Leuenberger

energetica frutta secca vi aspettano nei reparti frutta Migros

L’essiccazione è una delle tecniche più antiche di conservazione della frutta, essenziali per consentire alle popolazioni di poterne beneficiare anche quando la stagione produttiva è terminata. La frutta essiccata fa parte della famiglia «frutta e verdura». Per frutta essiccata si intendono ad esempio fichi secchi, mele secche, prugne, albicocche secche, uvetta. Questi alimenti non hanno esattamente le stesse qualità nutritive che i loro equivalenti freschi, ma conservano gran parte delle loro interessanti caratteristiche. La frutta essiccata è meno ricca di acqua, e il procedimento di preparazione fa sì che il contenuto di alcune vitamine sensibili, come la vitamina C, cali. D’altro canto, la disidratazione dei frutti comporta una forte concentrazione delle sostanze nutritive dei frutti. Questi cibi sono ricchi di fibre alimentari,

diventano preziosi fornitori di energia poiché sono ricchi di glucidi facilmente disponibili (fruttosio e glucosio naturalmente contenuto nei frutti) e trasportabili (ad esempio come spuntino). Altre vitamine, come la vitamina E, le sostanze vegetali secondarie e i sali minerali sono poco toccati dall’essiccazione e dalla lunga conservazione. La frutta essiccata può contribuire a raggiungere le cinque porzioni di frutta e verdura raccomandate quotidianamente. Una porzione di frutta essiccata (equivalente a una porzione di frutta fresca), corrisponde a 20-30 g. Se introducete questi alimenti nella vostra alimentazione è molto importante ricordare di bere, per permettere alle fibre alimentari che esse contengono, di agire a livello della funzionalità intestinale e a livello del loro potere saziante. / Pamela Beltrametti, dietista diplomata S.S.S.


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Idee e acquisti per la settimana

Per vivere le Feste in tutta tranquillità

Attualità Dedicarvi ai festeggiamenti insieme ai vostri cari invece di passare ore ai fornelli? Niente di più facile,

se vi affidate al servizio catering di Migros Ticino

Le feste di Natale sono spesso una vera e propria maratona per chi decide di invitare amici e parenti. Preparare una tavolata per più persone non è infatti un gioco da ragazzi, giacché richiede molto tempo e impegno tra scelta dei menu, acquisti, preparazione, servizio... Per facilitarvi il compito, permettendo anche a voi di assaporare l’atmosfera festiva coi vostri cari, può entrare in gioco il servizio di gastronomia di Migros Ticino. Offre una grande scelta di leccornie freschissime, preparate dai nostri specialisti. Lasciatevi semplicemente ispirare dai nostri svariati piatti d’asporto, dai pain surprise riccamente farciti, dai canapé assortiti, dai dessert eccezionali e da molto altro ancora. Inoltrate la vostra ordinazione con un certo anticipo (vedi box) e ritiratela direttamente in negozio, oppure fatevela consegnare a casa. Ordinazioni e informazioni

Ordinate le vostre prelibatezze presso i Ristoranti Migros, i De Gustibus Migros e i banchi pasticceria di ArbedoCastione, Biasca, Giubiasco, Grancia, Pregassona, Savosa e Taverne; per e-mail all’indirizzo party-service@ migrosticino.ch oppure al numero 0848.848.018. Sul sito www.migrosticino.ch/party_ pdf/Piu-tempo-per-i-tuoi-ospiti.pdf potete visualizzare tutto il nostro assortimento festivo.

Un omaggio per ringraziarti della tua fedeltà

Due caffè al prezzo di uno, una colazione per due a metà prezzo, una bevanda calda gratis con un pasticcino o una fetta di torta, uno sconto di 3 franchi su bratwurst e patatine, una bevanda a 1 franco, punti Cumulus moltiplicati per dieci: queste sono solo alcune delle

allettanti offerte mensili personali che troverai nel calendario 2015 dei Ristoranti Migros. Il medesimo sarà ottenibile esclusivamente il prossimo sabato 6 dicembre, dalle 11.00 alle 15.00, nei Ristoranti di Agno, Serfontana, S. Antonino e Grancia per ogni acquisto ef-

fettuato. Ma non finisce qui: insieme al calendario ti saranno pure consegnati 4 buoni omaggio per lo Splash & SPA di Rivera del valore di 10 franchi. Ti aspettiamo anche nel 2015 per deliziarti con le nostre proposte gastronomiche.


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Idee e acquisti per la settimana

Vinci una PlayStation 4!

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Concorso

Prestazioni grafiche incredibili per esperienze di gioco indimenticabili. La PlayStation 4 è dedicata a tutti coloro che vogliono intraprendere viaggi straordinari attraverso mondi di un realismo unico. Grandissima selezione di giochi di successo mondiale per giocare da soli o in compagnia ed entrare

in una comunità di gioco superattiva. Con un po’ di fortuna, ora da Melectronics potresti vincere una delle due Playstation 4 in palio. Inoltre durante il mese di dicembre, all’acquisto di un gioco per consolle da Melectronics, riceverai il 20% di sconto sul prossimo gioco a gennaio 2015.

Per partecipare al concorso compila questo tagliando con i tuoi dati e imbucalo nell’apposita urna posta presso i Melectronics di Locarno, S. Antonino, Serfontana, Lugano, Taverne e Agno. Ultimo termine di partecipazione: 14 dicembre 2014. Un solo tagliando per partecipante. I collaboratori di Migros Ticino sono esclusi dal concorso. I vincitori saranno avvisati per e-mail.

Nome Cognome Via Località E-mail

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Tutte le offerte sono valide dal 2.12 al 15.12.2014, fino a esaurimento dello stock.

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Idee e acquisti per la settimana

Fagottini di sfoglia ripieni di pollo e fichi Piatto principale per 4 persone

Ingredienti Ingredienti 4 fettine di pollo di ca. 150 g sale, pepe olio per rosolare 4 fichi secchi 500 g di pasta sfoglia farina per spianare 8 fette di prosciutto crudo, ad es. culatello 100 g di senape ai fichi 2 gambi di prezzemolo 1 uovo piccolo 2 cucchiai di mandorle a scaglie 1 scalogno 1 dl di vino bianco 2 dl di brodo di pollo 1 presa di cannella 1,5 dl di panna Preparazione 1. Scaldate il forno a 180 °. Condite le fettine di pollo con sale e pepe. Rosolatele in poco olio da entrambi i lati per ca. 2 minuti. Estraetele dalla padella e lasciatele raffreddare. Tagliate i fichi a fettine sottili. Spianate la pasta su poca farina in una sfoglia di ca. 2 mm. Ricavate dalla sfoglia 4 quadrati di 18 cm. Mettete da parte i resti di pasta per decorare. Stendete il prosciutto crudo sui quadrati, lasciando libero il bordo. Adagiate le fettine di pollo. Spalmate su ognuna 1 cucchiaio di senape e adagiate le fettine di fichi. Staccate le foglie di prezzemolo e distribuitele sulla carne. Separate il tuorlo dall’albume e spennellate i bordi con l’albume. Richiudete le sfoglie a fagottino e premete bene il bordo. Adagiate i fagottini su una teglia foderata con carta da forno. Decorate a piacere i fagottini con i resti di pasta. Sbattete il tuorlo e spennellate i fagottini. Cospargete le mandorle a scaglie e cuocete i fagottini in forno per ca. 30 minuti. 2. Nel frattempo, tritate lo scalogno. Fatelo appassire nel fondo di cottura per ca. 3 minuti. Bagnate con il vino. Versate il brodo e la cannella. Fate ridurre la salsa a ca. 1,5 dl. Unite la panna e la senape restante e lasciate sobbollire la salsa finché lega leggermente. Condite con sale e pepe. Servite i fagottini di pollo con la salsa. Accompagnate con insalata e riso. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti. Per persona ca. 44 g di proteine, 60 g di grassi, 37 g di carboidrati, 3700 kJ/880 kcal. Un piatto quotidiano ma anche molto speciale: il pollo in crosta. Una ricetta di

Pollo come ispirazione raffinata La qualità senza compromessi con carne proveniente da allevamenti rispettosi degli animali: la linea di Optigal è un piacere genuino

Dalle fettine di petto fino alle alette: nell’assortimento Optigal si può trovare un’ampia gamma di specialità. La carne di pollo è facilmente digeribile, povera di grassi (se se ne esclude la pelle) ed è un’ottima fonte di proteine.

I prodotti Optigal sono allevati in Svizzera e sottoposti a una stretta regolamentazione. Vengono poi elaborati secondo uno standard molto rigido che tiene sotto controllo anche il loro allevamento, il mantenimento e l’alimentazione. / NO

L’industria Migros elabora molti dei prodotti Migros più apprezzati. Ne fanno parte anche quelli della linea Optigal.

Optigal Pollo intero Fr. 9.50 per kg

Optigal fettine di pollo conf. 2 pezzi Fr. 3.30 per 100 g


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I rösti al burro di marca Bischofszell sono prodotti con patate svizzere e le mele impiegate per la purea di mele Jonagold provengono dalla Svizzera orientale.

Gustose bontà all’insegna della semplicità! I piatti pronti preparati secondo le tradizionali ricette svizzere sono specialità della marca Bischofszell

Durante la stagione fredda, piatti sostanziosi e deliziose puree di frutta sono sempre più i protagonisti della tavola. Spesso, però, presi dallo stress quotidiano, ci manca il tempo per preparare in casa le ricette tradizionali di altri tempi. In particolar modo all’ora di pranzo, chi lavora, vuole soluzioni rapide e semplici. Per loro e tutti gli amanti della cucina rapida, ma buona, la Bischofszell Alimentari SA si assume il dispendioso lavoro di preparazione. L’arte culinaria svizzera predilige i prodotti regionali

L’azienda Migros turgoviese, che vanta una lunga tradizione, propone un vasto assortimento di cibi precotti ispirati dall’arte culinaria elvetica. La scelta è ricca ed esemplare dal punto di vista ecologico; infatti, per la produzione delle specialità Bischofszell si prediligono materie prime svizzere e, dove

possibile, persino regionali. Ciò vale in particolar modo per la frutta trasformata in purea e poi venduta in vasetto. Le mele Jonagold impiegate per la purea di mele, per esempio, maturano sugli alberi della Svizzera orientale. Gli apprezzatissimi ravioli alla napoletana e i tortellini alle verdure in scatola vanno solo riscaldati. E per portare in tavola dei croccanti e gustosi rösti al burro, bastano solo pochi minuti. Chi desidera seguire i preziosi consigli della nonna e rendere i propri rösti ancor più gustosi, può arricchirli con qualche erba aromatica fresca, dei pomodorini cherry, delle cipolle tostate o dei raffinati dadini di pancetta. E per coronare il tutto, una bella porzione di purea di mele, rigorosamente di casa Bischofszell. Perché? Perché è impossibile resistere a una tale bontà già pronta. / JV; illustrazioni e styling Claudia Linsi

Ravioli alla napoletana Bischofszell* 430 g Fr. 3.10

Tortellini alle verdure Bischofszell* 430 g Fr. 3.90

Rösti al burro Bischofszell* 400 g Fr. 2.60

Purea di mele Jonagold Bischofszell* 300 g Fr. 2.50

*in vendita nelle maggiori filiali Migros

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui troviamo anche i piatti pronti della Bischofszell Alimentari SA.


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Idee e acquisti per la settimana

L’ora della Fortuna

Partecipate al Mega Jackpot e inseguite la fortuna su www.megajackpot.ch o con l’App di Migros. Fino al 29 dicembre sul retro di ogni scontrino di cassa Migros trovate dei Win Codes.

È il momento della sorpresa: nonostante non pensassero di vincere nemmeno un franco con il Mega Jackpot, Gilda L., Claudia T., Jean-Marc R. e Thea W. sono riusciti a vuotare il forziere. Con la loro vincita possono soddisfare grandi e piccoli desideri

«Mi godrò un finesettimana in Ticino. Con molte Pralinor al cioccolato nella valigia». «Mio figlio desiderava un iPhone per Natale. E sulla lista dei desideri ci sono anche dei Lego Technics. Adesso vedrò quale dei due desideri esaudire».

«Userò una parte della vincita per un viaggio; mi piacerebbe una crociera nel Mediterraneo».

«Con la vincita mi comprerò un computer portatile».

Congratulazioni a tutti i vincitori…:*

Thea W., Amministratrice di immobili «Quando mi sono accorta di aver scassinato il Jackpot la prima cosa che ho pensato è: «Non può essere vero». Sicuramente dividerò questa vincita con altri. Mia figlia Daniela vive in un istituto per invalidi e offrirò a tutto il suo gruppo una bella cena. A mia figlia Michelle invece regalerò una carta regalo di Migros».

i Premalore v n di per u lessivo p com

Gilda L., Casalinga pensionata

Claudia T., Specialista nella vendita

«Mia figlia sabato pomeriggio ha provato a inserire il Win Code in Internet. Sono stata così sorpresa di essere riuscita ad acciuffare il Jackpot. In genere non sono molto fortunata in queste cose. Con una parte della vincita durante le Feste farò sicuramente una bella sorpresa ai miei cari».

«Domenica sera ero seduta sul divano e ho provato a usare l’Ipad per collegarmi al sito e inserire i Win Code. Subito non mi sono accorta di aver vinto. In un primo momento ho pensato che si trattasse di spam. Il destino ha avuto una buona idea, con questa vincita, perché negli ultimi tempi mi sono capitate una serie di spese impreviste».

Jean-Marc R., Rappresentante di commercio «E pensare che non volevo nemmeno prendere la ricevuta alla cassa. Ma la cassiera ha insistito che tentassi la fortuna e ci provassi. Ed effettivamente sono riuscito a incassare il Jackpot. Che sorpresa! Normalmente non mi capita mai di vincere».

e n o i l i m 1 nchi di fra

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 1. dicembre 2014 ¶ N. 49

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Idee e acquisti per la settimana

L’ESPERTO

Micha Schranz, Campione svizzero di «Latte Art» Micha Schranz, 32 anni, barista, disegna foglie, cuori, uccellini nella schiuma di latte. Per farlo, questo vero amante del caffè, investe molto del suo tempo e della sua passione.

SERIE Come si diventa campioni svizzeri in questa disciplina? Grazie alla mia formazione professionale come Specialista dei servizi ho sempre avuto a che fare con il caffè. Però volevo saperne di più. Per questo mi sono iscritto alla formazione come barista alla Speciality Coffee Association of Europe (SCAE). In seguito ho frequentato una formazione ulteriore come «caffeologo» a Mannheim, passando diverse ore a lavorare su una macchina da caffè espresso professionale a vapore. Dopo di che ero pronto per i campionati svizzeri.

Cultura del caffè Seconda parte Dalla macchina per il caffè l’espresso scende denso e oleoso nella tazza.

L’affascinante mondo del caffè, dalla sua coltivazione nell’America del Sud fino agli Swiss Coffee Championship.

Con la mano si tiene sotto controllo la temperatura della schiuma di latte.

Oggi: «Latte Art»

Quali sono le categorie che ne fanno parte? Sono quattro: Barista, Latte Art, Brewers Cup e Cup Tasting.

Caffè adatti al cappuccino:

E quale latte è migliore per il cappuccino? Consiglio il latte intero con 3,8 per cento di grasso.

La crema viene leggermente agitata e disposta al margine della tazza.

Per creare la base, il latte deve essere versato con un flusso regolare dall’alto, sotto la crema.

Lei beve spesso dei cappuccini? Sì certo, molto volentieri. A volte a colazione, ma di tanto in tanto anche alla sera. Durante il giorno bevo prevalentemente del caffè espresso. Senza troppe complicazioni, così com’è, senza zucchero né latte. In quale direzione si sta muovendo la tendenza che riguarda il caffè? Si sta diffondendo il gusto per il buon caffè. Se ne apprezza il sapore. C’è un nuovo trend che riguarda il caffè filtrato stile «Melitta»: sta vivendo un revival.

Caruso Oro macinato 500 g Fr. 9.80

Alla fine, il becco della brocca viene avvicinato alla tazza e il disegno può iniziare.

Il cuore è il disegno base, il più semplice per i principianti: si presta perfettamente per imparare. Campionati svizzeri 2015: si terranno dal 6 all’8 febbraio a San Gallo, nell’ambito della Fiera di San Gallo.

Caruso Espresso chicchi 500 g Fr. 8.90 Nelle maggiori filiali

Il due volte campione svizzero Micha Schranz lavora nella maggior parte dei casi a mano libera, e riesce così a creare i suoi affascinanti esemplari.

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Un artista della schiuma

www.migros.ch/ caffe

Opere d’arte dal caffè: il barista Micha Schranz è uno dei migliori nel suo mestiere e spiega come si può preparare una perfetta opera di «Latte Art»

L’industria Migros elabora molti prodotti Migros. Ne fanno parte anche un gran numero di quelli dell’assortimento di caffè.

«Latte Art» è una delle categorie che fanno parte delle discipline inserite nel Campionato svizzero per baristi. Lo organizza dal 2000 la Swiss Speciality Coffee Association of Europe (SCAE). La prova prevede che si versi della crema di latte schiumosa sopra un espresso forte, cercando di ottenere un cappuccino con una decorazione il più possibile artistica. Uno che

è capace di farlo particolarmente bene è Micha Schranz, campione svizzero 2012 e 2013 e ora, in qualità di membro della giuria, responsabile della valutazione dei baristi in concorso per il campionato. La sua passione per il caffè è nata nel 2006. Anni fa, si era chiesto quali fossero esattamente gli ingredienti della bevanda, che gli piaceva

molto. Oggi nell’atelier della caffetteria a Rorschach offre diversi corsi e momenti di formazione per i futuri baristi. La schiuma di latte non deve essere più calda di 65°

Come ingrediente base si parte da un espresso cremoso. La qualità del caffè è un fattore

importante per fare in modo che che la sottile schiuma di caffè, la crema, sia ben ferma. Il tipo di macinatura, la tostatura e la temperatura dell’infusione devono essere perfette. Per ottenere il cappuccino ideale la forma della tazza è essenziale. La sua parte superiore dovrebbe essere sempre più larga. Quando il latte vi viene versato, la parte superficiale deve aumentare, e la crema viene epansa. La schiuma di latte, dalla grana molto sottile, non deve essere più calda di 65°. E la sua consistenza non deve essere troppo morbida, ma nemmeno troppo dura. I dilettanti utilizzano dei frullini elettrici o delle fruste per la schiuma. Ai professionisti basta invece solo il beccucchio del vapore della macchina per il caffè. Il peggior errore si verifica quando si lascia schiumare troppo a lungo il latte o se ne usa troppo. La creazione di opere d’arte con il latte chiede molto esercizio, ma è sicuramente un buon pretesto per un altro giro di cappuccini. Navigando su Internet si trovano numerosi filmati sull’argomento. Esistono poi vari utensili utili, sotto forma di bastoncini, polvere di cacao oppure di sagome disegnate. Provate e sbizzarritevi, è un divertimento assicurato. / Testo Heidi Bacchilega; foto Tina Sturzenegger

Questi motivi richiedono più esercizio e tempo.


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Idee e acquisti per la settimana

Nella culla degli omini di treccia Tempo di Natale, tempo di Grittibänz… E i fornai delle panetterie di filiale diventano artisti

Il tronco, le braccia e le gambe fuoriescono da un pezzo di pasta rettangolare. Una palla di dolce impasto lievitato di farina TerraSuisse diventa la testa. Ed ecco che un Grittibänz prende velocemente forma nella panetteria della filiale di Conthey, in Vallese. Durante il periodo natalizio, Alain Ferrari e la sua squadra di panettieri modellano circa 3000 di questi maliziosi omini di soffice pasta di treccia. Ma mentre una treccia al burro viene intrecciata in pochi secondi, le esperte mani dei fornai hanno bisogno di un paio di minuti per dare forma a un Grittibänz. I Grittibänz Sélection hanno bisogno di molta cura

«Dobbiamo essere veloci con tutti questi omini, che ci vengono messi tra le mani ancora caldi», dice sorridendo Alain Ferrari. Ma a cosa bisogna prestare attenzione nel modellare i Grittibänz? Dopo 25 anni d’esperienza, dare una risposta diventa facile: «Non bisogna schiacciare troppo l’uva passa nella pasta, altrimenti gli occhi diventano brutti». I nuovi Grittibänz Sélection richiedono particolare destrezza. Infatti, sono modellati con finezza, decorati con le mandorle e pesano ben 500 grammi. Per dare forma ad omini dalla corporatura così prestante, il panettiere ha bisogno di due o tre minuti. Ma il risultato è talmente stupefacente, che perfino molti adulti si fermano meravigliati a fissarli. / CS

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TerraSuisse Grittibänz 100 g Fr. 1.90

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche le varietà di pane di Jowa.

Alain Ferrari con tre delle sue piccole creature, che ha modellato con grande amore per i dettagli.


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Arrosto di punta di vitello arrotolato, Svizzera, imballato, in conf. da ca. 800 g, per 100 g 1.75 invece di 2.50 30%

Tutte le miscele per dolci e i dessert in polvere (prodotti Alnatura esclusi), per es. brownies, 490 g 4.25 invece di 6.10 30%

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Tutte le stecche, le confezioni da 4 e da 6 e i mini Blévita, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. alle erbe aromatiche, 216 g 4.70 invece di 5.30

Salmone selvatico Sockeye, MSC, pesca, Alaska, 280 g 12.40 invece di 20.70 40% * Cotechino, prodotto in Ticino, imballato, per 100 g 1.35 invece di 1.75 20% Prosciutto crudo di Parma Ferrarini, Italia, affettato, in conf. da 2 x 90 g 9.40 invece di 18.80 50%

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FIORI E PIANTE Rose, Fairtrade, in diversi colori, gambo da 50 cm, mazzo da 15 14.90 Stella di Natale, in vaso da 17 cm, la pianta 14.90

NEAR FOOD / NON FOOD Tutti i praliné in scatola e le palline Adoro Frey, UTZ (escluse confezioni multiple), per es. praliné Prestige, 250 g 12.40 invece di 15.50 20% ** Tutte le palline di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ, per es. Giandor al latte 8.60 invece di 10.80 20%

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Tartare Finest, surgelato, 6 x 70 g 14.– invece di 21.– 6 per 4 Tutti i prodotti Mifloc bio e i rösti bio, per es. Mifloc, 2 x 95 g 3.15 invece di 3.95 20% Tutti i funghi secchi in bustina, per es. funghi porcini secchi, 30 g 2.90 invece di 3.65 20% Farfalline con zucca o fusilli con spinaci Agnesi Mini, per es. farfalline con zucca, 400 g 2.90 NOVITÀ *,**

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NEAR FOOD / NON FOOD Tutti gli alimenti Gourmet Gold o Perle in conf. da 8, vaschette o bustine, per es. terrina Gold, 8 x 85 g 6.55 invece di 8.20 20% Tutti i mascara Covergirl, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, 2.50 di riduzione l’uno, per es. mascara Professional 3 in 1 Very Black Curved 200, 9 ml 8.40 invece di 10.90 ** Tutti i prodotti per i capelli Essence Ultîme, per es. shampoo Repair, 250 ml 20x 6.90 20x PUNTI ** Tutti i prodotti Nivea Hairstyling in conf. da 2, per es. mousse per lo styling Diamond Volume, 2 x 150 ml 8.80 invece di 11.– 20% **

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Cake marmorizzato M-Classic 700 g

Salmone affumicato M-Classic, ASC d’allevamento, Norvegia, 200 g

Farfalline con zucca o fusilli con spinaci Agnesi Mini per es. farfalline con zucca, 400 g

NOVITÀ 7.80 La Pizza Capricciosa 420 g

In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 2.12 AL 15.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

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Idee e acquisti per la settimana

Più di un semplice snack Con la fondue chinoise i contorni originali sono sempre i benvenuti. Come ad esempio le Farm Chips

Da quando, oltre 150 anni fa, fecero la loro apparizione sui menù dei migliori ristoranti d’America, le patatine hanno fatto una carriera folgorante. Oggi, solo nell’industria alimentare Bischofszell Alimentari SA ogni anno circa 11 000 tonnellate di patate vengono trasformate in chips. Le si sgranocchia preferibilmente come aperitivo o davanti alla televisione. Ma le patatine vanno per la maggiore anche come contorno, ad esempio per le grigliate o la fondue chinoise. Aromi e patate di produzione svizzera

In linea con l’atmosfera conviviale di una serata davanti a una chinoise, la qualità degli ingredienti non lascia spazio a compromessi. Ciò non vale solo per la varietà della carne, ma anche per i contorni. Già solo per questo motivo, le patatine della marca Farm Chips sono un’ottima scelta, dato che per produrle vengono utilizzate solo materie prime d’alta qualità. Sia le patate, che sono fritte con un procedimento speciale, sia le erbe aromatiche sono di origine svizzera. E, poiché sono prodotte da patate non sbucciate e le fette sono tagliate leggermente più spesse delle comuni pomme-chips, le Farm Chips di color giallo oro sembrano fatte in casa. Come si sa, si mangia innanzitutto con gli occhi e questo vale anche per la fondue chinoise con tutte le sue deliziose salse e salsine, che si prestano perfettamente ad intingervi le Farm Chips mentre si aspetta che la carne cuocia nel caquelon. / NO

Farm Chips Nature 150 g Fr. 2.70 Farm Chips alle erbe svizzere 150 g Fr. 2.80

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche le Farm Chips .

Le Farm Chips si abbinano in modo eccellente alla fondue chinoise, anche solo per essere intinte nelle delizione salse.


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Idee e acquisti per la settimana

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Quinoa rossa Bio Fairtrade Max Havelaar 400 g Fr. 5.60*

1 La quinoa cresce rigogliosa fino a 4300 metri d’altitudine e resiste a gelo e siccità. 2 In Sudamerica, questo cereale degli Inca è uno degli alimenti base da oltre 6000 anni. I principali Paesi produttori sono il Perù, la Bolivia e l’Ecuador. 3 + 4 I suoi semi, grandi quanto chicchi di senape, vengono raccolti dalle piante ramificate tramite trebbiatura.

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Quinoa bianca Bio Fairtrade Max Havelaar 400 g Fr. 5.60*

Penne Becs de plumes con quinoa con salsa d’arance e porri Piatto principale per 4 persone Ingredienti 400 g di penne Becs de plumes con quinoa* sale 4 cucchiai di pinoli o di pinoli di cedro* 3 arance bionde* 2 cucchiai di burro, morbido* 1 cucchiaio di farina bianca* 800 g di porri* 3 dl di brodo di verdura* ½ cucchiaino di sale pepe* prezzemolo per cospargere Preparazione 1. Cuocete le penne al dente nell’acqua salata in ebollizione. Tostate i pinoli in una padella antiaderente senza aggiungere grassi. 2. Spremete un’arancia. Pelate al vivo quelle restanti e liberate gli spicchi dalle pellicine con l’ausilio di un coltellino affilato, raccogliendo il succo che fuoriesce. Impastate la metà del burro con la farina (burro maneggiato). 3. Tagliate i porri ad anelli obliqui di ca. 7 mm. Scaldate il burro restante, unite i porri e fateli appassire per ca. 4 minuti. Versate il succo d’arancia e il brodo e portate a ebollizione. Mescolando, unite il burro maneggiato e fate sobbollire per ca. 10 minuti. Unite i filetti d’arancia e lasciate riscaldare. Condite le penne con la salsa. Tritate finemente il prezzemolo e cospargetelo sulla pasta con i pinoli.

Penne Bio Becs plumes con quinoa 500 g Fr. 2.70* 20 x punti Cumulus dal 2 al 15.12 *In vendita nelle maggiori filiali Migros

Il festival dei cereali

Bio è sinonimo di misure severissime nella coltivazione di materie prime. La massima priorità è riservata al minimo impatto ambientale, al rispetto delle materie prime e alla naturalità dei prodotti come pure al benessere degli animali.

conquistato la nostra cucina solo alcuni anni fa. Appartenente alla famiglia delle Chenopodiaceae, cresce fino 4300 metri d’altitudine. I suoi semi, grandi quanto semi di senape, propongono una composizione simile ai cereali tradizionali e conquistano il palato grazie alle loro note nocciolate. In cucina la quinoa è versatile quanto il riso e il miglio e, mescolata alla farina di mais o di frumento, si presta persino alla preparazione di squisiti biscotti, pane e dolci. La quinoa vanta un valore nutrizionale di gran lunga superiore alla media. Spicca in particolar modo l’elevato tenore di pregiate proteine; ma anche le preziose fibre alimentari e gli acidi

grassi insaturi non sono da meno. Il cereale degli Inca rappresenta quindi una valida alternativa e un ottimo complemento all’alimento di base per eccellenza delle nostre latitudini: il frumento. La Migros propone esclusivamente quinoa di produzione Bio, disponibile in due varietà diverse. Sia la quinoa rossa che quella bianca sono inoltre contrassegnate con il marchio di qualità Fairtrade Max Havelaar. E ad arricchire il nostro assortimento e garantire maggiore varietà in cucina, è arrivato un nuovo tipo di pasta: le penne Bio contenenti quinoa. Prodotte con semola di grano duro e fari-

Per persona ca. 9 g di proteine, 13 g di grassi, 21 g di carboidrati, 1000 kJ/ 240 kcal. * Disponibile in qualità bio.

Una ricetta di

L’assortimento di prodotti Bio di quinoa propone ora una nuova varietà di pasta

In Sudamerica, la quinoa è da oltre 6000 anni uno degli alimenti base. Mentre da noi, questa pianta, chiamata anche il «cereale degli Inca», ha

Tempo di preparazione ca. 30 minuti.

na di quinoa, si trasformano in gustose bontà come tutte le penne tradizionali. Provate per esempio la nostra ricetta; preparata con ingredienti freschi, è una vera delizia! / JV; illustrazioni Getty Images, dpa Picture; (food) Claudia Linsi

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. E il programma Bio è un importante contributo. Parte di

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Idee e acquisti per la settimana L’ESPERTO: HANSUELI HUBER «La Migros fa molto per il benessere degli animali» I vitelli del programma TerraSuisse possono uscire ogni giorno. Ma l’aria fresca non fa già parte del programma d’allevamento convenzionale?

L’aria fresca rende sani i vitelli I vitelli di Luzi Stucki possono respirare in abbondanza l’aria buona di Turisch, sulle alture di Valdendas. Nel silenzio della montagna conducono un’esistenza del tutto priva di stress.

Chi compra carne TerraSuisse ha la garanzia che gli animali sono stati nutriti e trattati nel migliore dei modi. In più, dal 2015 tutti i vitelli avranno costantemente accesso a spazi all’aperto

Principi del programma TerraSuisse

Sempre più consumatori s’interrogano sull’origine della carne prima di comprarla: in quali condizioni ha vissuto l’animale e cosa ha mangiato? Marchi sostenibili come TerraSuisse applicano la trasparenza. Per quanto riguarda i vitelli, TerraSuisse garantisce i seguenti requisiti: gli animali vivono in gruppo; nella stalla hanno a disposizione abbastanza paglia per sdraiarsi comodamente; ogni volta che hanno voglia possono andare a sgranchirsi le zampe nel recinto all’aperto. TerraSuisse promuove un’agricoltura in sintonia con la natura e rispettosa degli animali. Il marchio di sostenibilità poggia sulle linee direttrici di IP-Suisse, l’Associazione svizzera dei contadini che praticano la produzione integrata, che conta 12 000 affiliati. Maggiori informazioni su www.migros.ch/terrasuisse.

I vitellini amano i raggi del sole

La scoperta che l’aria fresca fa bene ai vitelli è relativamente recente. Un tempo si pensava addirittura che li indebolisse; oggi invece è assodato che l’aria fresca e la luce del sole irrobustiscono gli animali, facendoli crescere più sani. L’allevatore grigionese Luzi Stucki di Turisch, nella Surselva, racconta che i suoi vitelli addirittura cercano regolarmente la luce del sole: «Specie d’inverno, i vitellini passeggiano volentieri nel recinto esterno, per scaldarsi al sole». Stucki è convinto che passeggiare all’aperto li renda anche più equilibrati. «Non è solo l’aria fresca ad avere effetti positivi, ma anche il movimento», afferma l’agricoltore, aggiungendo di aver preso molto rapidamente

la decisione di investire in uno spazio esterno. E la Migros gli assicura un premio supplementare durante un periodo di cinque anni, affinché possa effettuare una pianificazione a lungo termine. Oltre alla libertà di movimento TerraSuisse promuove anche altre misure per migliorare l’allevamento dei vitelli. Per esempio, gli animali ricevono un’alimentazione strutturata ed appropriata, con almeno 1000 litri di latte vaccino fresco all’anno, oltre ad acqua e fieno a volontà. Il fieno li rifornisce di ferro, che come l’aria fresca rafforza il sistema immunitario. In passato, quanto non venivano mai nutriti con il fieno, la carne di vitello era quasi bianca, il che era visto come un segno di qualità. Tuttavia, secondo le odierne conoscenze, la carne bianca è addirittura un indizio di malnutrizione, mentre la carne che ha una colorazione tra il rosa e il rosso indica una corretta alimentazione ed è classificata come pregiata. La colorazione più scura non ha conseguenze dannose sulla tenerezza della carne. I provvedimenti per rafforzare il sistema immunitario hanno anche il vantaggio di ridurre il fabbisogno di farmaci. Gli antibiotici vengono somministrati solo in casi d’estrema urgenza e solo sotto controllo veterinario. «Finora ho avuto la fortuna che nessuno dei miei vitelli si è mai ammalato», dichiara Luzi Stucki. Non c’è di che meravigliarsi, visto che ogni giorno i sui animali possono respirare questa buona aria di montagna. / Anna-Katharina Ris

Generazione M è il programma di sostenibilità della Migros, al quale anche TerraSuisse apporta un prezioso contributo.

Libertà di movimento I vitelli hanno accesso in ogni momento al recinto esterno e all’aria fresca.

Alimentazione Mille litri di latte vaccino all’anno, oltre ad acqua e fieno a volontà.

Hansueli Huber: Purtroppo no. La maggior parte dei vitelli sono tenuti stabilmente all’interno della stalla. Gli agricoltori di IP-Suisse, che producono per Migros sotto il marchio TerraSuisse, danno invece il buon esempio. Infatti, lasciano uscire i loro vitelli anche se non sono obbligati dalla legge svizzera sulla protezione degli animali. Credo che circa un quarto della produzione di carne di vitello svizzera si attenga ai principi IP-Suisse/TerraSuisse. Pertanto, circa un animale su quattro può spostarsi all’aperto. Mi auguro che prima o poi tutti i vitelli svizzeri possano fare altrettanto. In questo ambito la Migros recita un ruolo di primo piano. Perché i vitelli hanno bisogno di muoversi liberamente? L’aria fresca fa bene ai vitelli. Crescono più robusti e si ammalano meno. I vitelli sono anche degli animali giocosi che si muovono volentieri, ciò che si ripercuote positivamente sulla loro salute. Inoltre i raggi UV hanno un effetto antisettico e incrementano la produzione di vitamina D. Cosa apprezza di più nell’impegno di Migros? Il fatto che nel suo reparto di carne fresca venda quasi esclusivamente vitello TerraSuisse. Questo marchio è diventato quindi uno standard di base e non un programma di nicchia e potrebbe essere preso a modello da altri negozi al dettaglio e macellerie. Inoltre, con le sue Promesse 2020 per il benessere degli animali, la Migros ha lanciato un forte segnale, impegnandosi a raggiungere il massimo benessere possibile per gli animali sia per quanto attiene alla produzione nazionale sia per quella d’importazione. Oltre all’allevamento, ciò riguarda anche il trasporto degli animali e la loro macellazione. Hansueli Huber (59 anni) è il direttore

della Protezione Svizzera degli Animali.

Parte di

Farmaci Gli antibiotici vengono somministrati solo in casi eccezionali.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino Âś 1. dicembre 2014 Âś N. 49

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Idee e acquisti per la settimana

La succulenta carne di vitello sostenibile di TerraSuisse Oltre agli aspetti sanitari, una stabulazione all’insegna del benessere e un’alimentazione a base di latte e fieno danno come risultato un sapore genuino e delicato

2. Bocconcini per uno squisito spezzatino. Al prezzo settimanale.

1. Fettine: per saltimbocca e impanate di vitello. Al prezzo settimanale.

3. Spalla di vitello per i classici arrosti arrotolati. Al prezzo settimanale.

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4. Stinco per ossobuco alla milanese. Al prezzo settimanale.

6. Costolette da cucinare in padella, grigliare o impanare. Al prezzo settimanale. 5. Per lo sminuzzato alla zurighese o altre variazioni con panna. Al prezzo settimanale.


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Idee e acquisti per la settimana

Bambini chiudete gli occhietti, che San Nicolao cammina sui tetti… (ndt: filastrocca che si cantava da piccoli)

Come ogni anno si è in trepida attesa di San Nicolao e il suo fido aiutante, lo Schmutzli. Tra pochi giorni arriveranno con noci, mandarini e una montagna di cioccolatini

Grand-Mère Stelle alla cannella 230 g Fr. 3.90* invece di 4.50 Grand-Mère Milanesini 200 g Fr. 3.40* invece di 4.– *Offerta speciale: dal 2 all’8 dicembre sconto di Fr. –.60 su tutti i biscotti natalizi GrandMère a partire dall’acquisto di due confezioni. Fino a esaurimento scorte M-Classic Arachidi 400 g Fr. 2.50 Smarties Babbo Natale 180 g Fr. 5.50 Frey Croccanti al latte extra fine in retina 115 g Fr. 3.80 Frey Palline al latte 500 g Fr. 8.60* invece di 10.80 *20% di sconto su tutte le palline di cioccolato Frey in confezione da 500 g dal 2 al 18 dicembre. Fino a esaurimento scorte

Come sempre il 6 dicembre, San Nicolao e lo Schmutzli escono dal profondo del bosco per distribuire felicità a tutti i bimbi del mondo. Durante l’ultimo anno hanno annotato sul loro Libro d’Oro se i bambini sono stati davvero bravi. Chi può confermarlo, e promette di essere altrettanto obbediente durante l’anno che verrà, sarà ricompensato generosamente. Il grande sacco dei regali strabocca di succosi mandarini, pezzi di panpepato, prelibati cioccolatini, omini fatti con la treccia al burro e noccioline. / SL


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Bimba di pasta dolce Per 2 pezzi Ingredienti 500 g di farina per treccia 1 cucchiaino di sale 60 g di miele di fiori 75 g di burro, morbido 20 g di lievito fresco 3 dl di latte, tiepido 1 uovo uvetta granella di zucchero Preparazione 1. Mettete la farina, il sale, il miele e il burro in una scodella. Sciogliete il lievito nel latte, unitelo alla miscela di farina e impastate il tutto fino a ottenere una pasta morbida ed elastica. Copritela e lasciatela lievitare del doppio per ca. 1 ora. 2. Scaldate il forno a 200 °C. Dividete la pasta in 2 porzioni e formate 2 palline Spianatele in ovale e ritagliate le figure con una formina per omino di pasta. Accomodatele in una teglia foderata con carta da forno. Con gli avanzi di pasta formate delle trecce lunghe per i capelli e altre decorazioni. Sbattete l’uovo, spennellate le decorazioni e sistematele sulle figure. Spennellate i dolci con l’uovo. Formate gli occhi premendo le uvette nella pasta. Cospargete le gambe con la granella di zucchero e praticate 1 incisione per il lungo su ogni gamba. Incidete la bocca. Cuocete le bimbe di pasta al centro del forno per ca. 30 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare su una griglia per dolci. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + lievitazione ca. 1 ora + cottura in forno ca. 30 minuti Un pezzo ca. 38 g di proteine, 43 g di grassi, 226 g di carboidrati, 6090 kJ/1460 kcal

Che ne dite di un Gritti bänz che assomiglia a vostra figlia? Una sorpresa ch e la farà scoppiare di gio ia. Altre ricette su www.m igros.ch/ricette


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Nonnina di pasta salata Per 2 pezzi Ingredienti 2 cucchiai di timo 50 g di pancetta a fette 500 g di farina per treccia 1½ cucchiaini di sale 50 g di burro, morbido 20 g di lievito fresco 3 dl d’acqua, tiepida nocciole per decorare poca farina per spolverare Preparazione 1. Tritate finemente il timo, tagliate la pancetta a striscioline e mescolate con la farina, il sale e il burro. Sciogliete il lievito nell’acqua, unitelo alla miscela di farina e impastate fino a ottenere una pasta liscia ed elastica. Copritela e lasciatela lievitare del doppio per ca. 1 ora. 2. Scaldate il forno a 200 °C. Dividete la pasta in 2 porzioni grandi uguali e formate 2 palline. Spianatele in ovale e ritagliate le figure con una formina per omino di pasta. Accomodatele in una teglia foderata con carta da forno. Con gli avanzi di pasta formate dei rotolini per i capelli e altre decorazioni. Formate gli occhi premendo le nocciole nella pasta e spolverizzate i dolci con poca farina. Incidete la bocca. Cuocete le nonnine di pasta al centro del forno per ca. 30 minuti. Sfornate e lasciate raffreddare su una griglia per dolci. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + lievitazione ca. 1 ora + cottura in forno ca. 30 minuti Un pezzo ca. 34 g di proteine, 32 g di grassi, 186 g di carboidrati, 4940 kJ/1180 kcal

Ricette di

e änz con le fattezz o squisito Grittib La ricetta per un . plice vvero molto sem della nonna è da

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Idee e acquisti per la settimana

Uova grandi Bio svizzere, d’allevamenti in libertà 4 x 63 g+ Fr. 3.30

Uova Bio svizzere, d’allevamenti in libertà, 6 x 53 g+ Fr. 4.75

Per maggiori informazioni sulla provenienza delle uova acquistate e sul rispettivo produttore, collegatevi al link www.migros.ch/ uova e inserite il codice impresso sui gusci delle uova.

La famiglia Iten posa davanti alla sua fattoria con alcune delle sue 2000 galline ovaiole. Da sinistra a destra: Roland, Lian, Carina, Lewin e Nicole Iten.

Totale trasparenza Migros rende più trasparente la tracciabilità delle sue uova Oggigiorno, sempre più clienti desiderano conoscere l’origine precisa dei prodotti che consumano. Per soddisfare questa grande esigenza, la Migros ha deciso di rendere più trasparente la tracciabilità delle sue uova, creando Bio è sinonimo di misure severissime nella produzione di materie prime. La massima priorità è riservata al minimo impatto ambientale, al rispetto delle materie prime e alla naturalità dei prodotti come pure al benessere degli animali.

una piattaforma che permette di risalire a tutte le tappe percorse, dalla fattoria al negozio. Per tale motivo, ora, ogni uovo riporta un codice impresso sul suo guscio. Per scoprire ogni particolare sul produttore e la sua azienda – tutto rigorosamente accompagnato da illustrazioni – basta inserire tale codice nell’apposito spazio su www.migros. ch/uova. «Non abbiamo nulla da nascondere: siamo fierissimi delle nostre galline ovaiole. Dispongono di vasti prati dove possono muoversi liberamente e godono persino di una vista mozzafiato sul lago di Ägeri; la soddisfazione è garantita!» spiega con un pizzico di umorismo il contadino Bio Roland Iten. La fattoria della famiglia Iten, infatti, si

trova a Unterägeri (ZG) e offre tutte le premesse per un allevamento esemplare. Qui, le inquiline piumate razzolano felicemente nei prati. Solo gli uccelli predatori che di tanto in tanto appaiono in cielo, a volte perturbano la loro tranquillità. In questi rari casi, però, le galline hanno la possibilità di rifugiarsi nel pollaio in attesa che il gallo emetta il segnale di allerta rientrata, la vita possa riprendere il suo percorso normale e gli animali possano dedicarsi alla loro attività preferita; beccare con gusto il loro cibo. Oltre agli spazi in libertà, le galline godono anche di un’ottima alimentazione Bio. Per rispettare appieno le esigenze naturali della specie, gli animali hanno a disposizione ampi spazi coperti, in cui si trovano trespoli, mate-

riale da scavo e sabbia a sufficienza per dei piacevoli bagni a secco. E infine un’ultima informazione importante: questo mese, sulla pagina www.migros.ch/uova, vi aspetta un fantastico concorso a premi. / AKR; illustrazioni Daniel Kellenberger

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. E il programma Bio è un importante contributo. Parte di


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Idee e acquisti per la settimana

Per un profumo che dura nel tempo! Exelia Parfumeur Pink Pleasure, created by Martine Gaffet 1l Fr. 6.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Le irresistibili fragranze degli ammorbidenti Exelia nascono dall’abilità di profumieri di spicco; per un tocco di lusso che dura nel tempo

Exelia Parfumeur Golden Temptation, created by Philippe Durand 1l Fr. 6.50

Exelia Parfumeur Violet Senses, created by Gerard Leblanc 1l Fr. 6.50

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche gli ammorbidenti Exelia.

Indossate piacevoli sensazioni: Exelia regala, infatti, al vostro abito preferito un profumo esclusivamente intenso e una magica morbidezza vellutata.

Le fragranze stimolano i sensi, svegliano dolci nostalgie e influiscono sul nostro benessere. E l’universo Exelia è intimamente legato all’emozionante mondo dei profumi. Profumieri di spicco hanno, infatti, creato tre esclusive fragranze per Exelia: il frizzante Pink Pleasure sorprende con una nota fruttata e floreale impreziosita da un tocco di gelsomino,

mentre il Golden Temptation conferisce al bucato un seducente profumo di vaniglia e spezie. La variante Violet Senses, invece, rievoca la magica essenza di fiori delicati, valorizzata da una sensuale e leggera sfumatura fruttata. Il balsamo ammorbidente impreziosisce i tessuti rendendo il bucato morbido e vellutato e quindi piacevole da indos-

sare. Inoltre, previene la formazione di scariche elettrostatiche facilitando la stiratura. Testato dermatologicamente e ben biodegradabile, regala intense note profumate che durano nel tempo. Anche dopo ore, infatti, il bucato sprigiona un seducente e sensuale profumo di freschezza. Un tocco di lusso accessibile a tutti. / JV


S c a r ica or a e do na: acq u is t a la ca E n s e m b l n zo n e E x Li b r i s e s u , Go Play, iTu ogle nes .

Musicisti svizzeri cantano per i più bisognosi in Svizzera. Grazie alla tua donazione contribuisci a rendere sereno il Natale per tutti. Sostieni l’azione della Migros con una donazione o scaricando la nostra canzone natalizia. La Migros raddoppia tutte le donazioni fino a 1 milione di franchi. Maggiori informazioni e altre modalità di donazione su migros.ch/natale.

Un’iniziativa della Migros a favore di:


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