Azione 25 del 15 giugno 2015

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 15 giugno 2015

Azione 25

Società e Territorio Quarantadue anni di insegnamento: l’esperienza della maestra Laura Cassina Notari

Ambiente e Benessere La medicina a confronto con il grave problema della resistenza batterica agli antibiotici

Politica e Economia G7 senza la Russia: in Baviera clima da guerra calda

Cultura e Spettacoli Emil Cioran: la scrittura, la disperazione e lo spettro dell’insonnia

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Stefano Spinelli

Lungo la valle delle meraviglie

di Sara Rossi Guidicelli pagina 5

Il fantasma di Luxor di Peter Schiesser Un attentato che fallisce non ha l’impatto mediatico di uno che «riesce», con il suo corollario di dolore. Ma dovrebbe sempre essere considerato un campanello d’allarme, la riprova che il terrorismo resta una minaccia seria. E così, mercoledì scorso, a leggere la notizia di un fallito attentato al tempio di Karnak a Luxor, in Egitto – con un kamikaze che si è fatto esplodere ad un posto di blocco e una susseguente sparatoria in cui è morto un secondo terrorista ed un terzo è stato ferito – la mente è tornata al 1997, quando davanti al tempio della regina Hatshepsut a Luxor dei terroristi della Jamaa Islamiya massacrarono 58 turisti, di cui 36 svizzeri, e 6 egiziani. La mente torna ad un’amica sopravvissuta al massacro, che ebbe la prontezza di rifugiarsi all’interno del tempio assieme ad alcuni turisti (compreso il direttore della «Nzz am Sonntag», Felix E. Müller) – tanto per rammentare che il terrorismo a volte ti arriva tanto vicino da non poterlo più rimuovere, come invece facciamo nella vita quotidiana. Ma il segnale di questo attentato non è solo generico, di un terrorismo islamico che può colpire ovunque: è l’indicazione che gli

islamisti intendono colpire l’Egitto al cuore, ossia nell’industria del turismo. Questo è quanto pensano alcuni osservatori, considerato anche che una settimana prima degli uomini armati hanno ucciso due poliziotti vicino alle piramidi di Giza. Se questo scenario si confermasse, assisteremmo ad un salto di qualità nella lotta che gli islamisti hanno dichiarato al regime egiziano del presidente al-Sisi, dopo che questi, due anni fa, ha defenestrato il presidente eletto ed esponente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi: nel 1997, il massacro di Luxor provocò una spaccatura interna all’estremismo islamico egiziano (l’attuale capo di al Qaeda, il medico al Zawahiri, fu uno degli ispiratori dell’attentato) e spinse il presidente Mubarak a sopprimere ferocemente la galassia islamista, che con quell’attacco ai turisti si era alienata la simpatia di molti egiziani, consapevoli che il prevedibile crollo del turismo avrebbe danneggiato l’intera nazione; oggi, attaccando siti turistici, gli estremisti islamici segnalano di non temere una escalation dello scontro con lo Stato, nemmeno se così facendo dovessero danneggiare gli interessi della collettività. In questi due anni, gli estremisti islamici sono stati attivi soprattutto nella penisola del Sinai. Qui, una guerriglia che si ispira all’ISIS ha

ucciso centinaia di soldati egiziani. Nel resto dell’Egitto, in seguito alla repressione condotta dal governo di al-Sisi (vedi a pagina 32), l’opposizione islamica (che pur si differenzia dai gruppi salafiti che combattono nel Sinai) ha le braccia spezzate, o incatenate. Ma non c’è come una repressione sanguinosa per forgiare una nuova generazione di estremisti-terroristi. L’Egitto, nuovo focolaio di instabilità in Medio Oriente? Basterebbe la restaurazione in atto delle strutture di potere che reggevano l’Egitto sotto Mubarak, con il tradimento dei principi della rivoluzione del 2011 e la repressione non solo dei Fratelli Musulmani ma anche dell’opposizione nata a Piazza Tahrir, per rispondere affermativamente. Ma ora, con il rischio di attacchi ripetuti ai turisti stranieri, l’instabilità del Paese cresce. Se poi ricordiamo che, attorno, la Libia è sempre più da considerare un Paese imploso, facile preda di estremismi islamici delle più svariate tendenze, che anche in Tunisia ci sono migliaia di giovani che si radicalizzano in Siria e poi tornano per proseguire la Jihad in casa propria, che la Siria e l’Iraq sono due buchi neri che minacciano la stabilità della regione (si può ancora usare questo termine in Medio Oriente?), il quadro, per l’Europa e per Israele, è davvero a tinte fosche.


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Attualità Migros

Una promessa mantenuta Generazione M Le sardine del Mar Cantabrico sono ritenute le migliori al mondo.

M Spot pubblicitari per il volontariato

E possono essere usate anche per raccontare la storia di un successo: da uno stato di necessità ecologico e da una crisi economica si è sviluppata una sorpresa biologica

x-elevato-cuore Un

Nove anni fa la Commissione europea, a causa dell’intenso sfruttamento dei mari, era stata costretta a introdurre un divieto di pesca delle sardine nel Mar Cantabrico, uno specchio di oceano che si apre oltre le coste occidentali della Spagna. E ciò malgrado l’Engraulis encrasicolus (questo il nome scientifico del guizzante pesce argentato) abbia reso celebre la Cantabria: è considerata la migliore sardina al mondo. Nella sua lavorazione industriale, tra l’altro, sono occupate in prevalenza donne, più abili nelle attività manuali e quindi in grado di sfilettare i delicati pesci, per riporli poi nelle scatolette. Nonostante gli ammonimenti degli scienziati e degli ecologisti le riserve ittiche locali erano andate incontro a un estremo impoverimento. E improvvisamente, ecco che l’industria locale, cresciuta nella regione da decenni, si era ritrova in una situazione di pericolo. Oltre 3000 pescatori e più di 30 aziende famigliari, quasi tutte di ridotte dimensioni, vedevano minacciata la loro esistenza.

Con x-elevato-cuore, il Percento culturale Migros offre alle scuole la possibilità di affrontare in classe questioni legate al contributo che ogni singolo può dare alla nostra società impegnandosi nel volontariato. Dal suo avvio nel 2006, già 46’000 allievi di tutta la Svizzera hanno partecipato ai suoi concorsi. Il compito proposto per l’edizione 2014/2015 era di girare uno spot video della durata massima di 60 secondi a favore del volontariato, che motivasse i singoli ad agire in prima persona. Una giuria ha premiato i migliori 19 video tra i 114 spot pubblicitari pervenuti, di cui 5 dalla Svizzera italiana. Il premio del pubblico è stato conferito tramite votazione online. Tutte le classi premiate hanno ricevuto un contributo di 500 franchi per la propria cassa scolastica. Il Percento culturale Migros metterà in onda cinque dei 19 spot pubblicitari premiati sulla Televisione svizzera. Lo spot in italiano sarà trasmesso su RSI 1 dal 15 al 19 giugno 2015 alle ore 17.55, mentre gli altri spot saranno diffusi su SRF 1 e 2 e RTS 1 dal 22 al 26 giugno tra le 16.00 e le 18.30. Tutti gli spot pubblicitari premiati sono visualizzabili online sul sito www. xelevatocuore.ch. Il compito del concorso per l’anno scolastico 2015/16 sarà reso noto nel mese di settembre 2015.

Al personale femminile il compito di sfilettare le sardine. (Daniel Grieser)

Per sopravvivere, le aziende hanno temporaneamente importato sardine dal Mediterraneo e da altre zone del

Cosa significa MSC? Nella vendita di pesce pescato in mare aperto Migros fa riferimento al marchio MSC (Marine Stewardship Concil). Lo standard ambientale è stato cofondato nel 1997 dal WWF. Tre principi sono alla sua base: ■ Mantenimento di contingenti di pesci in buona salute; ■ Impatto ambientale minimo sull’ecosistema marino; ■ Organizzazione di un management in grado di vegliare sulla pesca. Grazie alla definizione di 28 diversi criteri di valutazione, alcune istanze di certificazione indipendenti verifi-

cano che i tre principi siano rispettati (si veda tra l’altro su msc.org/ch). Controlli regolari indipendenti garantiscono che le linee guida siano rispettate, dal peschereccio fino al punto di vendita. Entro il 2020 Migros metterà in vendita pesci e frutti di mare non minacciati da una pesca eccessiva. Già oggi i prodotti ittici Migros provengono per il 97 per cento da fonti sostenibili. Parte di

mondo, nell’attesa che le riserve ittiche della loro regione riprendessero consistenza. Con grande sorpresa dei biologi, il fenomeno si è prodotto più in fretta del previsto. L’Unione europea ha potuto quindi, a partire dal 2010, dare il via alla pesca libera, riducendo però i contingenti pescabili e imponendo regolamenti più restrittivi, in modo da rendere maggiormente sostenibile la gestione della pesca. I responsabili di Migros sono partiti due anni fa per la Cantabria e si sono seduti al tavolo con le autorità locali, i rappresentanti delle aziende e delle associazioni di categoria dei pescatori, discutendo a volte anche animatamente attorno al tema dei contingenti pescabili, delle regole da rispettare e degli impegni da prendere. L’obiettivo era di promuovere una pesca più ecologica e più efficiente, regolata da concetti etici e da un mo-

dello economico capace di garantire la sopravvivenza collettiva. Fino a oggi hanno aderito al programma un gran numero di pescatori e la più grande azienda di confezionamento delle sardine. Hanno appreso le regole e hanno effettuato importanti investimenti per implementare le 28 rigorose linee di condotta del protocollo MSC. Migros, quale unica azienda al dettaglio a livello mondiale, può quindi da alcuni mesi offrire sardine certificate MSC provenienti dalla Cantabria. In tal modo incrementa, raggiungendo il 97 per cento dell’offerta complessiva, il numero totale di specie di pesci e di frutti di mare che provengono da fonti sostenibili. Ed è ora molto vicina al raggiungimento complessivo della sua promessa, formulata all’interno della campagna Generazione M: entro il 2020 tutta l’offerta di pesce proverrà da fonti sostenibili. /Monica Glisenti

I Raptor sono tornati... Concorso È uscito nei cinema ticinesi Jurassic World, la nuova puntata di uno dei film

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più amati della storia: la minaccia dei dinosauri continua

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Sono passati 22 anni dall’uscita di una delle pellicole più fortunate e coinvolgenti che la storia del cinema abbia mai prodotto. Jurassic Park è stato certamente un film che ha segnato un’ epoca, da vari punti di vista. Da quello tecnologico, per le innovazioni tecniche che Steven Spielberg aveva saputo escogitare, dando vita in modo stupefacente e con un realismo incredibile ai grandi mostri preistorici. Ma Jurassic Park era stato uno dei primi kolossal a toccare argomenti di grande rilevanza etico-fantascientifica: riprendendo i suggerimenti dell’omonimo romanzo di successo di Michael Crichton, Spielberg aveva reso attenti gli spettatori di tutto il mondo sugli scenari che avrebbe potuto aprire una sconsiderata (per quanto allora concretamente impossibile) utilizzazione delle tecniche genetiche.

Anche in questo nuovo capitolo della vicenda, che ruota attorno all’invenzione del parco dei divertimenti più straordinario del mondo, tornano a rinnovarsi le domande che il primo Jurassic Park aveva sollevato. Questa volta però non si tratta soltanto di riportare in vita i giganti preistorici, ma di crearne dei nuovi... Nella storia immaginata da Steven Spielberg (e che segue due ulteriori film The Lost World: Jurassic Park del 1997 e Jurassic Park III del 2001), a 22 anni dagli eventi disastrosi che tutti conosciamo, sull’isola Isla Nublar del Dr. Hammond è finalmente in funzione il parco delle attrazioni. «Jurassic World» offre ai suoi frequentatori la possibilità di avvicinare dei dinosauri in carne ed ossa. Ma per mantenere alto l’interesse del pubblico è importante fornirgli sempre nuove emozioni e sempre nuovi prete-

sti per visitare le installazioni sull’isola. Gli scienziati che collaborano con il parco si sono quindi impegnati nella manipolazione del patrimonio genetico di vari giganti preistorici riuscendo alla fine a farli coesistere nel DNA di un nuovo, terribile mostro, denominato Indominus Rex. Lasciando il resto della storia alla sorpresa degli spettatori, vogliamo solo accennare al fatto che la regia di questa nuova puntata della saga è stata affidata a Colin Trevorrow, scelto personalmente da Steven Spielberg. In questa occasione Spielberg opera invece da Produttore esecutivo. Curiosità: del cast originario è presente un solo attore, Bradley Wong, che riprende il suo ruolo del Dr. Wu, genetista capo nell’équipe del Dr. Hammond. Trailer (davvero terrificante...) su: www.jurassicworld-ilfilm.it.

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

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La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

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concorso per le scuole

Gadget in palio per i nostri lettori In occasione dell’uscita in Ticino l’11 giugno di Jurassic World (jurassicworldil-film.it), Universal Studios in collaborazione con Migros Ticino mette in palio: – 3 magliette con 3 temi diversi – 3 cappellini – 3 modelli di macchinine Matchbox – 1 borsa in tela. Regolamento: partecipazione riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghi concorsi promossi da «Azione» nel corso degli scorsi mesi. Per partecipare al concorso telefona allo 091 8217162 mercoledì 17 giugno dalle 11.00 alle 12.00. Buona fortuna!

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 15 giugno 2015 ¶ N. 25

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Società e Territorio Meraviglie in Valle di Blenio Fieno, uva, zucche: un’associazione di agricoltori e appassionati della valle sta progettando alcuni percorsi tematici pagina 5

Movimenti sociali nell’era del web Le ricerche del sociologo catalano Manuel Castells indagano l’uso dei social network durante i rivolgimenti sociali avvenuti in Tunisia, Islanda, Egitto, Spagna e Stati Uniti pagina 6

La bambina che insegnava alle bambole Incontri Dopo 42 anni di lavoro tutti

trascorsi alla scuola elementare di Molino Nuovo la maestra Luisa Cassina Notari va in pensione

Roberto Porta Questa è una storia che inizia a Londra, città che fa da cornice alla favola di Peter Pan. E non per nulla questa è una storia che ci parla di bambini, non quelli delle filastrocche che si rifiutano di crescere ma quelli a cui la maestra Luisa Cassina Notari ha insegnato per ben 42 anni. Venerdì 19 giugno sarà il suo ultimo giorno di lavoro, dopo quattro decenni trascorsi tutti alla scuola elementare di Molino Nuovo, a Lugano, senza mai cambiare sede. «E dire che avevo iniziato proprio lì, ma da allieva, in terza elementare». Luisa è nata per l’appunto a Londra dove ha vissuto fino all’età di nove anni, poi i genitori decisero di rientrare a Lugano. E proprio in quegli anni nasceva in quella bambina l’idea di diventare maestra. «Già da piccolina mettevo tutte le mie bambole sul letto e facevo finta di insegnare – ci dice la signora Luisa – E poi devo dire che ho avuto un ricordo molto positivo delle scuole che ho frequentato, per cui quando ho dovuto scegliere tra il liceo e la scuola magistrale sono andata dritta e convinta verso l’insegnamento». Allora la scuola magistrale si poteva frequentare già dopo le scuole dell’obbligo, a 15 anni, al termine del ginnasio. «Certo che mi ricordo il mio primo giorno di scuola da insegnante. Avevo una prima elementare di ventinove allievi, tra loro anche tre bambini di Casa Primavera che erano un po’ dei casi sociali. È stata una giornata durissima, sono arrivata a casa in lacrime, dicendo a mia mamma che non avrei mai più insegnato. Era il 1973 e avevo 21 anni». Proposito subito accantonato, il giorno dopo la maestra Luisa era di nuovo in classe. «Con il trascorrere del tempo ci si fa due spalle larghe così, altrimenti si rischia di soccombere. In ogni caso è stata dura, soprattutto all’inizio, anche perché a quei tempi non c’erano i docenti di appoggio o altri profili professionali di aiuto agli insegnanti. Ti dovevi arrangiare da sola». Quattro

decenni dentro la scuola elementare, in una società che dagli anni ’70 del secolo scorso è cambiata parecchio. «Un tempo avevamo un paio di casi difficili per classe, oggi gli allievi problematici sono più numerosi. Una volta si faceva scuola. Il maestro arrivava al mattino, si occupava della parte didattica e alla sera riconsegnava il bambino alla sua famiglia, e il rapporto tra scuola e genitori si fermava lì. Adesso i genitori sono più coinvolti, si interessano di più. Oggi si mantengono i contatti molti più regolarmente, basti dire che i genitori vengono convocati due volte all’anno per colloqui obbligatori, senza contare ulteriori incontri se il bambino è problematico». In altri termini il docente oggi non si limita più al solo insegnamento del programma scolastico ma in molti casi è diventato una sorta di assistente sociale, al fianco del bambino e della sua famiglia. E in questo rapporto con gli allievi la docente Luisa si fa dare del «lei» o del «tu»? «Ho passato un periodo in cui mi davano del tu, poi ad un certo momento, ho preferito che mi dessero del lei. Con i bambini di prima è diverso, ti dicono “buongiorno” o “buonasera” ma non sono capaci di darti del “lei”. Non ho mai accettato che mi si chiamasse solo per nome, mi hanno sempre chiamato maestra. Qualcuno si confonde e mi chiama mamma, ogni tanto capita soprattutto con i più piccoli. Penso comunque che sia giusto far capire agli allievi che c’è una differenza tra il “tu” e il “lei”, anche se alla fine ciò che conta è l’autorevolezza del docente, il modo in cui ci si pone di fronte alla classe e al singolo alunno». E dentro questo rapporto come sono cambiati l’allievo e la sua capacità di attenzione? (qui Luisa sospira...) «La capacità di attenzione è diminuita, e anche tanto. Una volta i bambini avevano meno distrazioni, raramente venivano a dirmi “non ho potuto fare i compiti perché avevo scuola calcio, o perché avevo questo o quell’altro”. E poi un tempo i bambini

Il rapporto nato nei primi anni di scuola con alcune materie si conserverà per tutta la vita. (Stefano Spinelli)

non avevano i videogiochi e tutti gli altri aggeggi elettronici, telefonini compresi, che ci sono ai nostri giorni. Oggi è davvero difficile far in modo che gli allievi siano attenti, bisogna sempre cercare di attivare la loro attenzione, altrimenti pensano subito ad altro e normalmente questo altro non ha nulla ha a che vedere con la scuola. Ti guardano ma ti accorgi che con il pensiero sono da un’altra parte. Poi fai delle domande e non si ricordano niente di quello che hai detto, hanno altro per la testa». La scuola è cambiata anche perché non offre più soltanto l’insegnamento inteso nel senso comune del termine. «Ci siamo aperti verso l’esterno, e questo è molto positivo – sottolinea la maestra Luisa – Andiamo ai concerti, nei musei, a teatro. Si esce molto più di un tempo dalla sede scolastica. E anche questo prende tempo, il programma poi va accelerato perché altrimenti non si riesce a

fare tutto. Se poi si aggiunge il fatto che i bambini sono spesso distratti si capisce come sia sempre più difficile portare a termine il programma scolastico». Un esempio di questa difficoltà sta nella lezione di aritmetica, materia che viene insegnata con questa sequenza: addizione, sottrazione, moltiplicazione e divisione. «Qualche anno fa in seconda elementare riuscivo a concludere la divisione, adesso sono già soddisfatta se riesco a portare a termine i primi esercizi della moltiplicazione». Difficoltà a parte quale è stata la soddisfazione più grande della maestra Luisa? «Termino con una seconda elementare, questo perché ho sempre preferito i più piccoli, le prime e le seconde. Sono gli anni più belli, vederli imparare a leggere è una cosa bellissima che resterà con loro tutta la vita. Certo i più piccoli hanno bisogno di tante attenzioni e alla sera il docente arriva a casa stanco

ma queste sono soddisfazioni che ti ripagano davvero parecchio». E ha già pensato a cosa proverà quando sentirà squillare per l’ultima volta il campanello scolastico? «Mi emozionerò e mi dispiacerà, di questo sono convintissima. Ma cercherò di rimanere ancora con un piede dentro la scuola, ci sono le supplenze o incarichi come lettrice di fiabe alla scuola dell’infanzia. Le mie colleghe che mi hanno preceduto dicono di essere beate e contente, quindi mi faccio coraggio». E un consiglio ai bambini che da settembre inizieranno il loro primo anno scolastico? «La cosa che a me piace di più sono gli allievi sinceri», ci dice con un sorriso Luisa. E questo consiglio della maestra arrivata da Londra, a ben guardare, vale per una vita intera e serve per tutti i bambini che, contrariamente a Peter Pan, vogliono crescere davvero.


Il mastro macellaio consiglia: ÂŤsucculenti spiedini di carneÂť

Prelibatezze alla brace. Al banco della carne il mastro macellaio della tua Migros propone una ricca scelta di spiedini di carne per la tua prossima grigliata. Spiedini di filetto, carne mista e alla tzigana aspettano solo di soddisfare tutti i gusti. Fatti consigliare. La nostra maestria è al servizio del piacere gastronomico.

Alberto Lucca Filiale Serfontana Morbio Inferiore


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Società e Territorio

Fieno, uva, zucche e altre meraviglie Valle di Blenio L’associazione Meraviglie sul Brenno sta progettando cinque percorsi tematici

per riscoprire gli incanti del fondovalle Sara Rossi Guidicelli Cosa possono raccontare i sassi, gli alambicchi, certe pieghe del terreno? I semi, le stalle, il torchio al centro del villaggio? Camminiamo lungo un fiume, una valle, paese dopo paese. Riprendiamo i sentieri, le mulattiere, i ponticelli. Cerchiamo le tracce del passato e annotiamo quelle del presente. Formiamo dei gruppi, mettiamo in fila gli elementi e chiamiamolo «percorso a tema»: ci racconterà una storia. La storia del territorio, della gente, del mondo. Il «Sentiero del castagno» ci porta nelle selve castanili della bassa Valle di Blenio, da Loderio ad Acquarossa. Come Arianna seguiva il filo, noi seguiamo i ricci: di castagneto in castegneto, dalla sponda destra del Brenno alla campagna di Semione, ai boschi di castagno di Cradon, di Suré fino al Castello di Serravalle, dove le selve castanili sono appena state ripulite; attraversiamo il Ponte della Ganna e da Malvaglia Rongie saliamo ai vecchi grotti del paese ed entriamo nel castagneto di Motto, passiamo da Santa Maria del Monastero, San Remigio Boscero e arrivamo ad Acquarossa. Questo è un itinerario. Racconta di quanto la castagna sia la nonna di tutti noi, perché ha dato da mangiare ai nostri avi, che ne hanno fatto colazione, merenda, cena, farina, frutto e pasto unico; l’hanno consumata, arrostita e venduta nelle piazze del mondo, un po’ anneriti e congelati, sempre sorridenti, con un mezzo dialetto e un mezzo inglese, francese, tedesco, olandese, ucraino, russo, o semplicemente un po’ di italiano buono. Un altro sentiero segue il fieno, e per fieno si intende agricoltura, allevamento. Mucche, pecore, capre; e con loro ovviamente vitelli, agnelli e capretti. Significa carne, formaggio, panna, latte, lavoro tutto l’anno, odore di stalla, erba, fiori e mungitura. Il «Sentiero delle vigne» ci parla invece di filari, colline, terrazze, di uva e tralicci, di vendemmia, di succo, di torchio, di alambicco, di botti e cantine. Di fatica e di sole, dell’allegria dell’uomo e della sosta sotto la pergola. Che cosa sono questi sentieri? Nuo-

Agricoltori e appassionati della valle sono i promotori del progetto entrato nell’ambito di BlenioPlus. (Stefano Spinelli)

ve creazioni per turisti, cittadini, gruppi di scolaresche? Qui nessuno ha inventato niente. Era già tutto al suo posto, da anni, o anche secoli. Però a volte dare un nome alle cose vuol dire permettere loro di esistere. Perché si parla di ciò che ha un nome e spesso l’occhio vede solo quello che conosce. Sono gli agricoltori e appassionati della Valle di Blenio che lo hanno capito, due anni fa: hanno creato un’associazione, «Meraviglie sul Brenno», e hanno disegnato nella loro testa tre sentieri: del Fieno, delle Vigne, dei Castagni. Poi un geografo li ha messi sulle mappe, ha contato i dislivelli (non forti, ma adatti alle famiglie, a tutti) e il progetto è rientrato nell’ambito di BlenioPlus, che aspetta di essere presentato all’Ufficio federale dell’Agricoltura per beneficiare del sostegno allo sviluppo regionale tramite finanziamento. E allora non solo i turisti, i cittadini, le scuole ma tutti gli amanti del territorio e delle passeggiate avranno un incentivo in più per uscire di casa e per-

correre un pezzo di natura che mischia passato e presente. L’idea è quella di essere pronti per l’anno prossimo, con segnaletica, pannelli esplicativi, magari qualche bicicletta elettrica, sicuramente attività lungo il percorso e punti di degustazione. Molte aziende agricole della zona hanno aderito e i sentieri passeranno anche da loro, perché alla gente piace vedere gli animali e portarsi a casa qualche prodotto nostrano, fresco. Si potrà salire con il tema del fieno e tornare con quello delle vigne per esempio, perché gli itinerari formano anelli, si incrociano, vanno e vengono e ognuno potrà crearsi il suo cammino ideale. Nel frattempo si sono aggiunti altri due sentieri tematici: un gruppo di abitanti di Corzoneso ha riesumato quattro macine di un vecchio mulino e ha ripulito tutta la zona dove un tempo sorgeva Ul Mürìn da Curzönas. Insieme a un architetto stanno progettando di ricostruirlo e rimetterlo in funzione, per scopi dimostrativi e didattici. Significa dunque

anche riportare il canale che prendeva acqua dal fiume e passava sotto alle pale del mulino; per questo si è pensato di inserirlo come tappa in un sentiero, quello dell’acqua, che fa visita a una centralina elettrica, a varie fontane e lavatoi e arriva al futuro caseificio di Olivone. L’altro è il «Sentiero del latte», anch’esso con destinazione finale (o punto di partenza) il caseificio parte del progetto BlenioPlus, chiaramente improntato sull’allevamento di mucche dell’alta valle. «Vorremmo proprio che la nostra idea ne stimolasse altre», spiegano la presidente dell’Associazione Meraviglie sul Brenno Giovanna Dandrea e la segretaria Carla Baselgia, entrambe proprietarie di un’azienda agricola. «Vorremmo diventare una rete che unisce tutto quello che di bellissimo abbiamo nella nostra regione, ma che rimane un po’ nascosto, relativamente poco frequentato». Per intanto, mentre si aspettano i prossimi passi per concretare il progetto dei Sentieri tematici, i membri delle Meraviglie non se ne stanno con le

mani in mano. In aprile hanno avviato un’iniziativa che riguarda la coltivazione di centinaia di tipi di zucche, in collaborazione con Meret Bissegger, cuoca appassionata di erbe e verdure spesso dimenticate. Gratuitamente sono stati distribuiti semi di zucca ed è stato presentato il progetto. A ottobre chi sarà soddisfatto del proprio raccolto potrà partecipare al mercato delle zucche a Malvaglia con esposizione e degustazione di tutte le varietà coltivate. L’Associazione Meraviglie sul Brenno la si è potuta incontrare anche ieri a «Bimbinfesta», una festa a misura di bambino svoltasi a Olivone il giorno prima della tappa bleniese del Tour de Suisse, dove le famiglie si sono cimentate in attività sportive e artistiche, grazie alle associazioni del territorio. Meraviglie sul Brenno ha proposto giochi legati all’agricoltura, perché la sua missione principale è divertire le persone salvando nel contempo quel patrimonio agricolo che appartiene a tutti noi e alla nostra terra. Annuncio pubblicitario

Fare la cosa giusta

Quando la povertà mostra il suo volto Maggiori informazioni su Patrizia e i suoi figli: www.farelacosagiusta.caritas.ch

Patrizia Monier (33), mamma single in Svizzera


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Società e Territorio

L’autocomunicazione di massa per cambiare il mondo Indignazione e speranza Il sociologo Manuel Castells ha studiato l’uso dei social network fatto dai movimenti

sociali in Tunisia, Islanda, Egitto, Spagna e Stati Uniti Lorenzo De Carli Lo studio della dinamica dei social network ha messo in evidenza il contributo teorico fornito da chi ha alle spalle una formazione scientifica. I fisici in particolare – come l’ungherese AlbertLászló Barabási – hanno il pregio di esaminare che cosa succede quando entriamo in rete con altri, prescindendo dalle nostre intenzioni o dalle nostre aspettative. Ma se dobbiamo apprezzare il contributo di fisici e matematici, ad un certo punto dobbiamo anche riconoscere che ciascuno di noi, sarà, sì, anche un nodo, che si muove in uno spazio dove il caso ha un’importanza troppo spesso sottovalutata, ma è un nodo che ha due caratteristiche che concorrono a dare un senso alla sua quotidianità: è un nodo che abita in un territorio ben definito, ed è un nodo portatore di progetti sociali – progetti che, talvolta, intendono proprio modificare il territorio e i rapporti di potere che lo governano. È a questo punto che tornano in scena i sociologi. Sono loro che si pongono la domanda: «che cosa succede, quando la gente usa i social network per cambiare il mondo»? Le ricerche più recenti del sociologo catalano Manuel Castells sono proprio orientate in modo tale da dare una risposta a questa domanda, e lo studio che mette alla prova la sua capacità di osservazione in presa diretta con cruciali fenomeni sociali è il volume intitolato Reti di indignazione e speranza. Movimenti sociali nell’era di Internet, dove Castells studia i rivolgimenti sociali avvenuti in Tunisia, Islanda, Egitto, Spagna e Stati Uniti, osservando l’uso dei social network e le dinamiche d’interazione con il territorio – di solito piazze o parchi fortemente rappresentativi per le comunità coinvolte: piazza Tahrir al Cairo, Porta del Sol in Spagna, Wall Street e Zuccotti Park a New York. Le rivoluzioni che Castells studia sono quella tunisina del 2010-2011 (Rivoluzione dei Gelsomini), quella in Islanda del 2009 (Rivoluzione silenziosa), quella egiziana di quattro anni fa (Rivoluzione egiziana del 2011), quella spagnola del 2011 (Movimento 15-M conosciuto anche come il movimento degli Indignados), e i movimenti sociali sviluppatisi negli Stati Uniti anch’essi nel 2011 (Occupy Wall Street).

Ciò che è accaduto in Islanda nel 2009 e quanto avvenne in Tunisia due anni dopo ha caratteristiche molto diverse: in Islanda i cittadini si sono ripresi in mano il Paese, rigirandolo come un guanto, usando i social network persino per riscrivere la Costituzione; in Tunisia, invece, la pervicace resistenza di chi è al potere è stata solo indebolita da chi, ricorrendo ai social network, ha stimolato un’azione sociale, che ha portato in piazza migliaia di oppositori al regime – ma anche questi due movimenti, pur molto diversi, sono stati caratterizzati dal fatto che «condividendo problemi e speranze nello spazio pubblico e libero di Internet, attivando connessioni reciproche, elaborando progetti da molteplici fonti diverse, singoli individui hanno dato vita a una varietà di network, prescindendo dalle opinioni personali o dai vincoli con qualsivoglia organizzazione». Castells è ben lungi da ritenere che le tecnologie della comunicazione siano motore di cambiamenti sociali, non è un «determinista tecnologico», energicamente dichiarando che «la scintilla è stata la ricerca della dignità nel bel mezzo della sofferenza per l’umiliazione – temi ricorrenti nella gran parte dei movimenti». È stato, quindi, un diffuso sentimento di frustrazione che ha stimolato l’uso delle tecnologie della comunicazione per creare reti sociali in grado di trasformare quel sentimento privato in una motivazione sociale, e gli strumenti usati sono quelli che adoperiamo ormai tutti i giorni: «gli attivisti pianificavano le azioni di protesta su Facebook, le coordinavano tramite Twitter, le diffondevano per mezzo di SMS e le trasmettevano attraverso il Web in tutto il mondo caricandole su YouTube». Una serie di azioni molto consapevoli della specificità dei mezzi usati. Il metodo d’indagine di Castells è chiaramente definito dal sociologo stesso: «io parto dalla premessa che sono le relazioni di potere a dar forma alla società, perché chi ha potere costruisce istituzioni sociali in base ai propri valori e interessi. Il potere esercitato tramite gli strumenti della coercizione (il monopolio della violenza, legittima o meno, rimane sotto il controllo dello Stato) e/o tramite la costruzione di significato nell’immaginario collettivo, attraverso meccanismi di

Puerta del Sol, Madrid, 15 ottobre 2011. (Wikipedia)

manipolazione simbolica». In questa prospettiva, «la lotta fondamentale per il potere è quella per la costruzione di significato nelle menti delle persone». Così, mentre il potere al governo usava i mass media tradizionali (giornali, TV e radio) non solo per stabilire agende nazionali, temi di cui occuparsi, e dar forma agli immaginari collettivi, i movimentisti usavano i social network come «fonte primaria della produzione sociale di significato». Ma se i nuovi movimenti sociali, da una parte, praticano assiduamente l’auto-comunicazione di massa allo scopo di configurare uno spazio comunicativo idoneo a produrre e mettere in circolazione simboli e concetti utili per interpretare il mondo e cambiarlo, dall’altra parte essi conoscono l’importanza di occupare gli spazi fisici: «i movimenti sociali devono ritagliarsi un nuovo spazio pubblico che non sia limitato a Internet, ma si renda visibile nei luoghi della vita sociale». E così, se la rivoluzione tunisina ispirò altre rivolte arabe

e l’impegno sociale degli islandesi ispirò movimenti sociali in tutto il mondo Occidentale, che lodarono la determinazione degli islandesi (il cui governo ha fatto pagare i costi della crisi ai banchieri): «dal punto di vista dei cittadini di entrambe le comunità, – secondo l’analisi di Castells – i governi in carica, i politici in generale, non rappresentavano la loro volontà perché hanno fatto causa comune con gli interessi dell’élite finanziaria e hanno posto i propri interessi al di sopra di quelli del popolo». Il movimento statunitense Occupy prende forma, ispirandosi a quanto accaduto prima in Islanda, poi nei Paesi arabi e successivamente in Europa. La caratteristica saliente del movimento Occupy fu quella di aver realizzato «uno spazio di tipo nuovo, uno spazio misto fatto di luoghi, in un determinato territorio, e di riflussi, su Internet. L’uno non poteva operare senza l’altro: è questo spazio ibrido che caratterizzava l’intero movimento». Nelle conclusioni della sua ricerca, Manuel Castells, che sottolinea più

volte il ruolo propulsore dell’indignazione, osserva che l’odierna auto-comunicazione di massa offre l’opportunità di mostrare dal vivo ciò che accade in luoghi lontani: «guardare e ascoltare le manifestazioni di protesta in atto da qualche parte, perfino in contesti lontani e culture differenti, ispira la mobilitazione perché fa scattare la speranza del possibile cambiamento». Ma non c’è movimento di protesta che non abbia la necessità di occupare spazi fisici, cosicché «lo spazio del movimento è sempre costituito dall’interazione tra lo spazio dei flussi via Internet e reti di comunicazione wireless, e lo spazio dei luoghi occupati e degli edifici simbolici che sono bersaglio delle azioni di protesta». Oggi, i movimenti studiati da Castells sembrano essersi smorzati. In realtà, se altri, regolarmente, se ne stanno manifestando, è sempre nella stessa modalità: reti di comunicazione che aiutano a trasformare l’indignazione in speranza, attraverso la partecipazione sociale.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Henry Winkler, Lin Oliver, Un segnalibro in cerca d’autore, serie «Vi presento Hank», Edizioni Uovonero. Da 7 anni Chi ha l’età giusta lo ricorderà come Fonzie, il mitico protagonista della serie televisiva «Happy Days», tamarro e gentiluomo, col suo giubbotto in pelle e la moto. Ora, a parecchi anni di distanza e smessi i panni di Arthur Fonzarelli detto Fonzie, il signor Henry Winkler diventa scrittore. E, a differenza di tanti vip che malauguratamente si improvvisano autori per l’infanzia perché pensano sia cosa facile, lui fa centro e convince, raccontando, a quattro mani con Lin Oliver, delle storie divertenti e vivaci. Forse anche perché Winkler conosce bene ciò di cui narra, e cioè la dislessia, disturbo specifico dell’apprendimento che riguarda Hank Zipzer, il protagonista delle sue storie, e di cui ha fatto esperienza egli stesso. Ma questi non sono libri «per» bambini dislessici (anche perché la dislessia non è in alcun modo

associata a deficit cognitivi), questi sono libri per tutti, semplicemente tengono conto anche di chi può avere maggiori difficoltà a leggere in modo fluente. E lo fanno attraverso alcuni accorgimenti, come un font ad alta leggibilità, un interlinea ampio, uno spazio più largo tra i periodi, l’utilizzo di carta avoriata e non bianca, per evitare l’effetto di abbagliamento, un allineamento del testo solo a sinistra. Inoltre, ovviamente, il contenuto delle storie rispecchia l’esperienza di chi legge a fatica, perché il piccolo Hank, ragazzino intelligente e simpaticissimo, è dislessico, e per lui

leggere le sue battute da un copione per prepararsi alla recita di fine anno può rivelarsi un’impresa molto ardua, soprattutto se dei bulletti iniziano a deriderlo. Ma niente è impossibile per uno come Hank, che ha degli amici e una famiglia che sanno sostenerlo e che lo aiutano a credere in se stesso. La casa editrice Uovonero, specializzata in libri ad alta leggibilità, dopo aver varato con successo la serie «Hank Zipzer il superdisastro», adatta a ragazzi dai 9 anni in su, ci propone ora una sorta di «prequel», con Hank più piccolo, in seconda elementare, nella serie «Vi presento Hank», adatta a bambini già dai 7 anni. L’alto tasso di divertimento però è invariato. Jutta Bauer, La regina dei colori, Terre di Mezzo Editore. Da 3 anni «Fino a quel momento per me i colori potevano solo riempire spazi, senza avere una vita propria» scrive l’autri-

ce e illustratrice tedesca Jutta Bauer (insignita del prestigioso Andersen Award nel 2010) nella postfazione di questo bel libretto uscito in originale nel 1998 e ora fortunatamente proposto in italiano da Terre di Mezzo. Qui, nella storia della regina Malwida (nome che racchiude sia un omaggio alla scrittrice Malwida von Meysenbug, sia un richiamo fonico all’espressione «Mal wieder!», «dipingi ancora!») i colori hanno una potente vita propria, e possono travolgere, riscaldare, o anche intristire la loro

regina. Quando arrivano tutti insieme e si sovrappongono litigando tra loro, tutto diventa grigio, troppo grigio. Tanto grigio che a un certo punto Malwida inizia a piangere, e le sue lacrime scompongono e ricompongono i colori, che tornano a brillare uno dopo l’altro: il Blu, il Giallo, il Rosso... ora i colori possono giocare liberi con la loro Regina! Non so se è una citazione voluta, ma ricordo il grande classico di Leo Lionni, Piccolo Blu e Piccolo Giallo (Babalibri), che già nel 1959 dava vita propria ai colori, e attribuiva alle lacrime, nel suo splendido finale, il potere catartico di scomporli e di ricomporli. Un libro da leggere e da ammirare con calma, a partire dalla bellissima copertina, che è un intenso e vibrante omaggio all’energia femminile. Un libro che inoltre invita, appunto, a «dipingere ancora!», sperimentando tutta la vitalità liberatoria dei colori.


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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Kosovo polje: la piana degli uccelli neri Sarà stato forse il febbraio del 2003 – o giù di lì. Ero arrivato a Belgrado per motivi di lavoro e mi trovavo su di un taxi dall’aeroporto all’albergo. Conoscevo un poco la città, e anche se ormai era buio mi ero accorto che l’autista aveva imboccato una rotta ben diversa da quella che mi avrebbe portato a destinazione. Preoccupato – come tutti i viaggiatori – che si trattasse del solito giochetto per far correre il tassametro avevo fatto le mie rimostranze. «Non si preoccupi – mi si rispose – la corsa è gratis. Voglio farle vedere un palazzo della città che è una vera e propria attrazione turistica, solo che molti non lo sanno». Pochi minuti dopo mi trovavo nel cortile interno di quello che era stata la sede della TV serba ai tempi di Milosevic e della Guerra del Kosovo (1996-1999). Di un imponente edificio in stile realsocialista non rimaneva, di surreale, che uno scheletro annerito – le putrelle accartocciate come artigli rattrappiti protesi verso un cielo gelido e indifferente. «Vede?» – la voce del taxista, vibrante d’indignazione, mi richiamava dall’estraniamento di un

luogo sconosciuto e inquietante: «Vede!? Quella era la sede della televisione più importante dei Balcani. Fu bombardata dagli aerei italiani di D’Alema. Morirono in venti fra tecnici e giornalisti. E tutto per mettere il Kosovo nelle mani degli albanesi musulmani». Imparai più tardi che – a detta degli avversari di Milosevic – laddove le autorità della NATO avevano dato ampia pubblicità al fatto che la sede della TV sarebbe stata bombardata il giorno tale all’ora tale – per farla evacuare – Milosevic avrebbe dato l’ordine di restare al lavoro – chissà... e forse non importa. Il nazionalismo degli Slavi Meridionali, e quello serbo in particolare, ha rappresentato quanto di più fatale per le sorti dell’Europa ben prima e ben oltre gli spari di Gavrilo Princip che – si dice – innescarono il massacro della Prima Guerra Mondiale: 9 milioni di morti in divisa e 5 in borghese. Il 28 giugno del 1914, fatale all’arciduca Ferdinando e a sua moglie Sofia, era (ed è) giorno di San Vito e festa nazionale serba. In Serbia si commemora in quel giorno anche la battaglia di Pristina, nel Kosovo, nota come la

battaglia della Piana degli Uccelli Neri, combattuta il 15 giugno 1389, orsono esattamente 626 anni – questo secondo il computo del calendario giuliano ancora in uso presso le chiese ortodosse. Non sappiamo di preciso quante fossero in quel giorno lontano le forze dei rispettivi eserciti. Forse l’armata cristiana non contava più di 25’000 soldati di contro ai 50’000 dell’esercito Ottomano. O forse così si è tramandato per esaltarne l’eroismo. Fattostà che alle truppe del Principe Serbo Lazar Hrebelianovic si affiancavano al lato destro gli armati di Vuk Brankovic, genero e tributario di Lazar e, al lato sinistro, quelli del Duca bosniaco Vlatko Vukovic. Di contro si trovava l’esercito del sultano ottomano Murad I e del suo generale Evrenos Bey. Dei cinquantamila, almeno 2000 erano temutissimi Giannizzeri, le truppe scelte ottomane reclutate nei villaggi cristiani dell’impero. I resoconti dello scontro sono confusi e contraddittori, ma pare che – dopo una prima volata degli arcieri ottomani – la carica della cavalleria pesante serba, forte anche di un buon numero di Cavalieri di Gerusalemme,

riuscisse a sfondare l’ala sinistra dello schieramento ottomano. Per l’ironia del senno di poi, il parziale successo della cavalleria pesante fu anche dovuto ai rincalzi di fanteria albanese che seguivano di corsa i cavalieri montati. Poi, secondo un copione già noto (e mai imparato) dai tempi delle crociate, le sorti si invertirono: esaurito il primo slancio della cavalleria, mentre cavalli e cavalieri si raggruppavano e rifiatavano per una seconda carica, la cavalleria leggera ottomana – agile, veloce e manovriera – entrava in azione e scompaginava le schiere cristiane. Presto le sorti della battaglia tornarono incerte, per poi volgere a favore degli Ottomani con l’arrivo dei rinforzi che superavano in gran numero le forze nemiche. Per la coalizione serba fu un disastro senza precedenti: se la morte di Lazar sul campo fu in qualche modo controbilanciata da quella di Murad, assassinato da un cavaliere serbo – Milos Obilic – il quale, avendo annunciato di voler disertare in favore degli Ottomani, fu condotto di fronte a Murad per essere interrogato: cavata una daga nascosta gli si scagliò addosso

e lo uccise. Di Vuk Brankovic invece si dice che abbia tradito Lazar, per fuggire e salvare il suo esercito: più verosimile è che si sia ritirato avendo visto perire il suocero con lo sfondamento del centro dello schieramento serbo. L’ipotesi è anche convalidata dal fatto che Brankovic tentò ancora di opporsi all’avanzata Ottomana nei Balcani, per poi essere fatto prigioniero e morire in cella. Ma tant’è: l’eroismo sconfitto è – nelle ballate e nella leggenda nazionale – l’eroismo tradito. Il copione è noto: abbiamo perso perché qualche Giuda ci ha venduto. L’Altropologo, dal canto suo, non ha mai capito se il termine Kosovo Polje – «La Piana degli Uccelli Neri» si riferisca ai merli o ai corvi. Più probabile si tratti degli ultimi: le due armate, in quel 15 giugno di 626 anni fa, si annientarono a vicenda in un massacro con pochi precedenti. I corvi si nutrono di cadaveri. Quella sera a Belgrado, fra le macerie della TV di Stato, pensavo ai tiri lunghi della Storia – che si ripete, pervicace, testarda e monotona: le putrelle contorte come artigli di corvi protesi verso il cielo uggioso e indifferente di Kosovo Polje.

Non trascuri però la sua ex moglie, la mamma di Silvana, perché la bambina sarà indotta a impostare la sua relazione con voi in base alle reazioni della madre. Se quest’ultima accetta la vostra convivenza, e vi affida la figlia con fiducia, la piccola sarà pronta a volervi bene e ad apprezzare quanto le offrite. In caso contrario, farà propria l’ostilità materna. Il rapporto che la sua giovane compagna può offrire a Silvana è un «affetto senza possesso», libero da quelle componenti biologiche che spesso rendono l’amore materno un «corpo a corpo». Come tale può aiutare la bambina a prendere progressivamente le distanze dalla mamma, ad acquisire autonomia e indipendenza, pur restando la mamma il primo, impareggiabile oggetto d’amore. In generale, la relazione che la compagna del padre può instaurare con una figlia non sua, di cui non è effettivamente madre, può rappresentare un esempio di quell’affetto con misura,

che ogni figlio deve raggiungere per crescere, per diventare grande. Vi è invece il rischio che le mamme rimaste sole sostituiscano l’amore erotico del marito con l’amore fusionale del figlio. Ma il compito dei genitori è un altro: allentare il legame iniziale, pur conservando la relazione. In tutto questo il suo ruolo di mediazione sarà particolarmente importante: cerchi di vegliare sulle sue tre donne senza interporsi tra di loro e, rassicurandole della sua protettiva presenza, difenda in modo particolare il diritto della bambina, non tanto di essere felice – se lo sarà tanto meglio – quanto di evolversi armonicamente, esprimendo tutte le sue potenzialità.

in verità sparuto, di contestatori, che sventolavano la bandiera palestinese e un balordo striscione «Contro il razzismo» (rivolto a chi, agli ebrei che sono vittime?). Come dire, un’atmosfera calda, che doveva, però, raffreddarsi mentre la regia, come è ormai d’uso, prolungava i tempi: facendo precedere l’intervento del protagonista da quelli di una serie di comprimari. Dall’ambasciatore d’Israele a Berna, al presidente del nostro governo cantonale, al sindaco di Lugano, e poi l’autrice di un compendio storico sullo Stato d’Israele, e ancora filmati e intermezzi musicali. Persone di tutto rispetto ma che, qui, apparivano d’ingombro. Suscitando, dopo più di un’ora d’attesa, comprensibili reazioni di sconcerto e d’insofferenza. Un signore, vicino a me, sbotta. «Ma quando si arriverà al dunque?» Era un

modo di dire che non sentivo da tanto tempo ma che esprimeva un’esigenza, diffusa in un pubblico costretto a sorbirsi il contorno mentre giustamente aspirava all’essenziale. Il rischio, d’altra parte, va oltre l’eventuale noia di un pubblico in attesa della performance di una celebrità. Consiste, non da ultimo, nello spazio offerto ai comprimari di contorno per celebrazioni narcisistiche. Va precisato, a scanso di equivoci, che il fenomeno non porta un’etichetta né ideologica, né partitica, non è praticata soltanto dai politici. Alla ribalta degli eventi, c’è posto per tutti e per tutto. È un aspetto tipico della società dello spettacolo che dilata a dismisura ogni avvenimento, alterando e rovesciando valori. Al dunque, come diceva quel mio vicino, si stenta ad arrivare. E tante volte il dunque, la cosa che conta, non arriva perché non c’è.

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Il terzo genitore Cara Silvia, sono un padre non più giovanissimo che, dopo la separazione, ha lasciato alla ex moglie, la nostra unica figlia, Silvana, di quattro anni ma che ora vorrebbe realizzare un affidamento congiunto. Da circa un anno convivo con una giovane donna di 24 anni che vorrei sposare al più presto. Nonostante la differenza di età, la nostra relazione non conosce ombre e non sono mai stato così felice. Quello che mi preoccupa è la convivenza tra la mia compagna e Silvana. Vorrei che la bambina, secondo gli accordi che faremo, vivesse alternativamente con noi, ma è patologicamente legata alla madre (chiede continuamente di essere presa in braccio, esige il suo completo interesse, si rifiuta persino di andare dai nonni) e temo che non riuscirà ad accettare di venire educata da una matrigna. Prevedendo tempi difficili, la prego di aiutarmi per non fare errori e per non compromettere il rapporto con mia figlia. / Lodovico, un padre in pensiero

Caro Lodovico, la ringrazio per la fiducia che mi dimostra, anche se la responsabilità non è da poco. Quanto agli errori (tutti si sbaglia!) gliene indico subito tre: – Il legame affettivo, per quanto esigente, tra una bambina di quattro anni e la mamma non è «patologico» ma «fisiologico». È normale che Silvana voglia tanto bene alla sua mamma anche se la vostra separazione può aver esasperato l’attaccamento. È comprensibile che, durante la separazione, si sia schierata con la mamma, anche per un sentimento di lealtà, forse mal inteso, che i bambini provano sempre per il genitore che viene lasciato. – La sua giovane compagna non è tenuta a educare la bambina, a questo ci dovete pensare voi genitori: sarete voi a concordare l’impostazione, esplicitare le regole, poche e chiare, che la piccola deve seguire e sanzionare le eventuali infrazioni. – Inoltre quella che sarà sua moglie non

è una «matrigna», ma la donna che sta accanto al papà e che esercita, quando la bambina abita con voi, le veci della mamma. L’orribile termine «matrigna» non si usa più e, insieme a quello di «figliastra», lo lasciamo alle fiabe. Meglio che Silvana chiami la sua compagna col nome proprio. Tenga conto che, dai tre ai sei anni, tutti i figli provano un amore immaginario, ma intenso, per il genitore di sesso opposto per cui ogni figlia considera la donna amata dal padre come una rivale. Avrebbe fatto comunque lo stesso con la mamma. Per fortuna questa prematura «passione» tramonta spontaneamente e nell’età di latenza (che corrisponde alla scuola elementare) le tensioni si appianano quasi automaticamente. Suppongo che la sua prossima moglie, che sa renderla tanto felice, sarà capace di estendere l’amore che prova per lei a sua figlia e che troverete insieme, non senza qualche difficoltà iniziale, un modo di vita soddisfacente per tutti.

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Quando l’involucro soffoca il contenuto Questa volta non stiamo parlando di scatole di cioccolatini, uova di Pasqua, flaconi di profumo, esempi classici di confezioni spropositate, e quindi ingannevoli, da cui mettono in guardia le associazioni dei consumatori. La supremazia dell’involucro, infatti, non è più soltanto questione di cartoni, stagnole, veline, nastri, paglie, sagex, e via enumerando i materiali di ripieno che adornano e gonfiano acquisti e regali. Dall’ambito dei prodotti di consumo si è estesa a quello dei cosiddetti eventi, termine multiuso che definisce una gamma infinita di manifestazioni diverse: incontri, dibattiti, mostre, concerti, dove non ci si limita a proporre un tema centrale o un personaggio di punta. Sembra, insomma, che si abbia paura della brevità, della sintesi, della sobrietà. E, quindi, un solo ospite, sia pure illustre e competente non basta

per riempire uno spazio, considerato alla stregua di una scena. Dove, per assicurare successo a qualsiasi incontro, se ne allargano le dimensioni trasformandolo in uno spettacolo, affidato a figure di contorno e di pronto intervento. Si tratta, solitamente, degli stessi organizzatori della riunione, dei politici di turno, degli sponsor o altri addetti ai lavori. Così fra scambi di congratulazioni, complimenti, preamboli vari, magari intercalati da momenti musicali e filmati, si consuma il tempo che, nel rispetto della logica, dovrebbe spettare al protagonista vero e proprio, incaricato di parlare dell’argomento vero e proprio. Il quale, però, rischia di finire marginalizzato. Come, infatti, succede. Trascorsa quella prima mezz’ora di attesa, che stimola il desiderio, l’attenzione del pubblico comincia a calare, sostituita dalla noia e

dall’insofferenza. Si avvertono segnali rivelatori. L’occhiata all’orologio, un commento sottovoce. Sono effetti controproducenti che, quando l’evento è particolarmente importante e di per sé attraente, possono rappresentare un’occasione persa. E devo citare, in proposito, un caso persino emblematico dell’assurda dittatura dell’involucro. Domenica 31 maggio, ore 18, Palazzo dei congressi, a Lugano: nella sala al primo piano, un pubblico folto, 600 persone, attende un ospite di tutto riguardo, Bernard Henry Lévy, cioè il discusso BHL, una figura poliedrica, ammirata e controversa, sul piano ideologico e culturale, presente sui fronti caldi dell’attualità anche bellica, e per giunta, di bell’aspetto, modi disinvolti, eloquio sciolto. Dunque, si era lì proprio per lui. E la sua presenza aveva persino mobilitato un gruppo,


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Ambiente e Benessere 2015, anno del suolo Si stima che un quarto di tutta la biodiversità sia presente nel terreno

Cespugli colorati e profumati Conferiscono all’ambiente un tocco di fascino mediterraneo: sono i vari esemplari di Cisto

Autoveicoli sotto controllo Grazie all’impegno della Volvo e alla tecnologia di Apple, un’applicazione permetterà di «interagire» con l’auto

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Cartellonistica didattica Il Comune di Pura invita a una ragionevole convivenza in piena libertà nel bosco

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Argonne Laboratorys

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Batteri resistenti agli antibiotici Medicina Sono sempre più numerosi i tipi di batteri contro i quali questi farmaci sono inefficaci: servono nuovi

antibiotici e per scoprirli c’è un innovativo metodo di ricerca

Sergio Sciancalepore Nei primi anni Trenta del secolo scorso – dunque non molto tempo fa – per una polmonite, una peritonite, una ferita, un intervento chirurgico o persino per un banale ascesso a un dente, il rischio di morire perché non esistevano gli antibiotici era elevato. La scoperta della penicillina – ad opera di Alexander Fleming nel 1928 – segnò un svolta decisiva nella storia della medicina e tra gli anni Cinquanta e Sessanta numerosi ed efficaci antibiotici vennero identificati e introdotti in terapia: il successo fu tale da far pensare che le malattie causate da batteri sarebbero ben presto state un ricordo del passato. Così, purtroppo, non è avvenuto, anzi da qualche tempo la medicina deve confrontarsi con il grave problema della resistenza batterica agli antibiotici: sono sempre più numerosi i ceppi, le specie batteriche contro le quali gli antibiotici disponibili non hanno più effetto. L’allarme è già scattato da diversi anni e gli ultimi dati confermano la gravità della situazione. Secondo un recente studio delle Autorità sanitarie della Gran Bretagna, in Europa – ogni anno – muoiono circa 25mila persone per malattie infettive da batteri resistenti agli antibiotici: polmoniti, tu-

bercolosi, infezioni del sangue, ferite infette e altro ancora. Un rapporto statunitense stima che nel mondo, in un prossimo futuro, potrebbero essere circa due milioni – sempre ogni anno – le persone con malattie causate da batteri resistenti, con un aumento della mortalità e dell’aggravio dei costi per la sanità pubblica. La resistenza batterica è un fenomeno naturale. È uno dei sistemi di difesa usato dai batteri contro altri microrganismi nel quadro della lotta per la sopravvivenza in un certo ambiente: purtroppo, un uso eccessivo, non razionale degli antibiotici da parte dell’uomo ha favorito questa naturale attitudine dei batteri. Vietati da alcuni anni in Europa (Svizzera compresa) come stimolanti dello sviluppo degli animali d’allevamento, gli antibiotici continuano ad essere usati in altri Paesi come gli USA, dove il 70 percento degli antibiotici venduti è utilizzato nelle stalle per la produzione intensiva di carne. Anche per questo motivo si è favorita la selezione e la diffusione di ceppi batterici resistenti che hanno iniziato a diffondersi – e pure in Europa, segno che negli allevamenti intensivi si usano ancora troppi antibiotici a scopo di profilassi delle malattie infettive – prima tra gli addetti agli allevamenti poi

anche in altri ambienti come gli ospedali: il rischio di infezioni ospedaliere da batteri resistenti è oggi un grave problema in molti Paesi sviluppati. A ciò, si aggiunge che non sempre gli antibiotici sono usati razionalmente in terapia umana e che la scoperta di nuovi antibiotici efficaci contro i batteri resistenti segna il passo ormai da anni. Fortunatamente, i risultati di una recente sperimentazione condotta da università statunitensi, britanniche e tedesche induce a un cauto ottimismo. La ricerca è importante per due aspetti. In primo luogo, ha permesso di scoprire un antibiotico naturale (la Teixtobactina) prodotto da batteri che si trovano nel terreno, utilizzato da alcuni microrganismi per non farsi sopraffare da altri batteri con i quali condividono l’habitat. La Teixtobactina, nel corso di esperimenti in laboratorio e nei topi, si è dimostrata efficace contro ceppi batterici di Stafilococco aureo e della tubercolosi resistenti agli antibiotici di uso corrente: inoltre, la sperimentazione non ha finora evidenziato lo svilupparsi di ceppi di quei due tipi di batteri resistenti al nuovo antibiotico. Il motivo sta nel meccanismo con il quale agisce la Teixtobactina: demolisce l’involucro di protezione esterno dei batteri e rende

estremamente improbabile che sviluppino una resistenza contro questo antibiotico. La Teixtobactina, tuttavia, non è efficace contro altri tipi di batteri patogeni, per esempio contro l’Escherichia coli, causa di gravi infezioni intestinali: questo e altri batteri patogeni hanno infatti una diversa struttura dell’involucro di protezione, il che impedisce alla Teixtobactina di agire come fa contro altri batteri. Occorre inoltre precisare che l’antibiotico non è ancora stato sperimentato sull’uomo, quindi bisognerà attendere qualche anno prima che possa – se l’efficacia sarà confermata – essere usato in medicina. L’altro aspetto importante emerso da questa sperimentazione è il metodo innovativo messo a punto per la ricerca di nuovi antibiotici. Come si è detto, molti batteri produttori di antibiotici vivono nel terreno e solo una minima parte di essi – circa l’uno per cento – può essere «coltivato», fatto crescere a scopo di studio in un laboratorio di microbiologia, cioè in un ambiente artificiale. Finora, dunque, non era possibile coltivare e studiare la maggior parte dei batteri del terreno per scoprire quelli che producono antibiotici. La soluzione escogitata dai ricercatori per aggirare l’ostacolo si chiama iChip. Il terreno contenente i batteri è si-

stemato tra due lamine di uno speciale materiale: sulla superficie delle lamine si pongono i microrganismi che causano malattie, quindi l’iChip è rimesso nel terreno. Dopo qualche tempo, si vede se i batteri del terreno hanno prodotto antibiotici efficaci contro quei germi. Grazie a questa «coltivazione sul campo», osservando migliaia di campioni, ne sono stati isolati finora 25-30 di origine batterica potenzialmente utili in terapia, come la Teixtobactina: gli scienziati hanno ora la possibilità di studiare – con questo metodo innovativo – una sterminata varietà di microrganismi che vivono nel terreno e che potrebbero diventare preziosi alleati della salute umana, producendo nuovi antibiotici efficaci contro diversi tipi di batteri patogeni, anche quelli diventati resistenti agli antibiotici in uso. Nel frattempo, usiamo con parsimonia e intelligenza gli antibiotici che già possediamo. Informazioni

Il dossier dell’Organizzazione Mondiale della Sanità www.who.int/ drugresistance/ e quello a cura del DSS www4.ti.ch/dss/dsp/umc/cosafacciamo/malattie-infettive/germimultiresistenti/


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Ambiente e Benessere

È l’«Anno internazionale dei Suoli» Biodiversità Ci può essere più vita in una manciata di terra che non nel mare o nella foresta

Lo calpestiamo, è sporco, lo copriamo di rifiuti. Ma lo baciamo in segno di rispetto e siamo pronti a difenderlo con le armi. Preziosa quanto misconosciuta risorsa, in apparenza morto, in realtà pieno di vita, il suolo è quest’anno protagonista. Con il motto «suoli sani per una vita sana», l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2015 «Anno Internazionale dei Suoli», delegandone l’organizzazione alla FAO, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura. «Il suolo non ha voce e pochi ne parlano. Eppure, il suolo è il nostro silenzioso alleato nella produzione di cibo», così si esprime José Graziano da Silva, Direttore generale della FAO. E ha pienamente ragione: il 95 per cento di ciò che l’umanità, in tutto il mondo, mangia, proviene, direttamente o indirettamente, dal suolo, che fornisce non solo cibo ma anche foreste con i loro prodotti, farmaci, fibre tessili, acqua pura. Il suolo è una risorsa non rinnovabile: almeno non nei tempi che occorrono allo sviluppo di una civiltà. Un suolo distrutto è perso per sempre. Occorrono migliaia di anni e condizioni favorevoli perché si formi un suolo, questo fantastico prodotto della natura. E, proprio perché sorto in modo naturale, è sempre diverso. Non esiste il suolo, ma ci sono tanti tipi di suoli e proprio per questo motivo si parla di «Anno Internazionale dei Suoli». Il suolo è qualcosa di estremamente complesso. Ce lo rivela anche soltanto una manciata di terra. La lunga esperienza consente al contadino di valutare qualità, pregi e difetti di un suolo, tenendolo in mano, guardandolo, annusandolo. È compatto e si lascia modellare? È ricco di argilla. Si sbriciola facilmente? È sabbioso e andrà bene per le radici profonde.

Il suolo è una risorsa non rinnovabile in tempi pratici: un suolo distrutto è perso per sempre Ogni suolo è composto da due parti principali, una minerale, l’altra organica. Inoltre contiene aria, acqua e ospita una miriade di organismi viventi, da quelli visibili a occhio nudo come vermi o millepiedi ad altri rintracciabili solo con lente o microscopio. Si stima che un quarto di tutta la biodiversità mondia-

Marco Martucci

Marco Martucci

le viva dentro il suolo: ci può essere più vita in una manciata di terra che non nel mare o nella foresta. Il suolo, questo sottile involucro che separa la roccia dall’atmosfera, contiene minerali che provengono dalla disgregazione della cosiddetta roccia madre, quella che, scavando, s’incontra a più o meno grande profondità e, laddove il suolo ancora non si è formato, appare in superficie. A seconda del tipo di roccia e dei minerali che la compongono, si formeranno diverse qualità di suolo. Possiamo assistere all’origine di un suolo osservando con attenzione una roccia affiorante, come spesso capita in montagna. Acqua, pioggia, fiumi, torrenti e poi gelo e vento, sbalzi di temperatura sono fra gli agenti fisici alla base dell’erosione delle rocce e della loro trasformazione in suolo. Nelle fessure della roccia si raccolgono piccole quantità di minerali, semi e spore s’insediano e ne nasceranno felci, muschi, erbe. Le radici allargheranno le spaccature della roccia. I licheni, che spesso vediamo come macchie colorate sulle pareti rocciose, riescono, attraverso la produzione di speciali sostanze acide, a corrodere la roccia: sono i preparatori del suolo, pionieri e colonizzatori, avanguardie della vita che seguirà. Ma i suoli non nascono solo dalla roccia madre, sottostante: ghiacciai, fiumi, torrenti, vento posso-

no portare sassi, sabbia, argilla anche da molto lontano. Ci suono suoli, detti loess, nati dal vento, altri, i suoli alluvionali, sorti dal corso di fiumi, di ghiacciai o da sedimenti di antichi mari o laghi da tempo scomparsi. E infine anche l’uomo è fabbricatore di suoli, quando trasporta terra da un luogo all’altro. Accanto alla componente minerale, il suolo contiene una non meno importante componente organica. La si può vedere a occhio nudo: foglie, ramoscelli, radici. Questo apporto organico forma il ben noto humus (dalla parola latina che vuol proprio dire «terra») che non è materia vivente, né minerale, né acqua né aria. Dal due al quattro per cento di un buon suolo agricolo coltivato, l’humus si compone di centinaia di sostanze sorte dalla degradazione della biomassa morta, attraverso l’attività di miliardi di creature, come funghi e batteri. E, sempre grazie alla presenza di organismi viventi del suolo, l’humus si mescola in modo stabile con la parte minerale. Questi «complessi argillo-umici» contribuiscono grandemente alla fertilità del suolo, ne sono riserva nutritiva per le piante e danno alla terra una preziosa struttura leggera, mobile e arieggiata. La natura non conosce rifiuti, non nel senso che diamo noi a questo termine. In natura tutto ciò che muore

o viene eliminato da un essere vivente, viene riciclato e riutilizzato per la vita, attraverso l’incessante e discreta attività della vita del suolo. Là sotto vivono, mangiano e vengono mangiati, trasformano, si riproducono, una quantità sorprendente di creature. Si stima che in un metro quadro di suolo, nei primi trenta centimetri di profondità, vivano la bellezza di 60mila miliardi di batteri, in compagnia di un miliardo di funghi, un milione di alghe, 500 milioni di protozoi, dieci milioni di vermi nematodi, cinquanta ragni, duecento larve d’insetti, qualche topo o talpa di passaggio e duecento lombrichi. Instancabili «aratri viventi», i lombrichi arricchiscono e arieggiano il suolo. In un anno, su un ettaro di buon suolo, fino a 300 tonnellate di terra attraversano il loro tratto digerente. Tanto importante e indispensabile quanto ingiustamente disprezzato, il suolo è in grave pericolo. Nella sola Svizzera una superficie grande come un campo da calcio viene edificata ogni due minuti e sparisce per sempre, sotto cemento e asfalto, un utilizzo poco parsimonioso e non sostenibile di una risorsa irrinunciabile e non rinnovabile. Il suolo è stato usato a lungo come pattumiera, anche di rifiuti molto tossici. Nel mondo il suolo sparisce e si ammala a causa della crescente

urbanizzazione, della deforestazione e desertificazione, dell’erosione incontrollata, della compattazione, della salinizzazione, della perdita di biodiversità, dell’inquinamento, di pratiche agricole non rispettose e non sostenibili, di eccessiva pastorizia e per i mutamenti climatici. Quest’Anno dedicato al suolo invita tutti, dal singolo cittadino all’agricoltore, all’imprenditore, al pianificatore, al politico, a prendere coscienza dell’inestimabile valore del suolo, di un suolo sano e fertile, e ad agire attraverso azioni concrete. Possiamo fare tanto per i nostri suoli: evitare il loro inquinamento, adottare pratiche basate sulla sostenibilità, ridurre la compattazione e l’impermeabilizzazione dei suoli, anche nei nostri giardini, diminuire le immissioni di gas-serra, attraverso comportamenti più rispettosi verso l’ambiente naturale, mantenere e incentivare la copertura vegetale, prati e boschi, non sprecare e buttar via il cibo, diffondere conoscenza e rispetto del suolo. Ognuno di noi, anche nel suo piccolo, può contribuire a salvare e proteggere una delle risorse più preziose che abbiamo: il nostro suolo. Informazioni

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Ambiente e Benessere

Un sultanato dove il passato incontra il presente Reportage Oman, racconto di viaggio da una duna del deserto bianco

Fredy Franzoni, testo e fotografie Seduto su una duna. Davanti, una distesa di sabbia, bianca come la neve di casa, fuggita alla ricerca del caldo. Alle spalle il rumore delle onde dell’oceano indiano. Il sole è una palla dorata. Sono da poco passate le 18. Tra non molto sarà buio. Il deserto bianco, una delle meraviglie dell’Oman, Paese per molti aspetti insolito. Ultimo lembo della penisola arabica racchiuso tra mare, Yemen, Arabia Saudita ed Emirati Arabi, con uno spicchio di terra sulle rive dello stretto di Ormuz. Qui il petrolio sgorga abbondante, ma non a fiumi. Poco più di mezzo milione di barili al giorno, tanto che l’Emiro sta già programmando un futuro senza oro nero. Gioca la carta dello sviluppo turistico Quabus Bin Said, il rispettato padre padrone del Paese che nel 1970 strappò il potere con un colpo di Stato al genitore. Allora si era fermi al medioevo. Vasto quanto l’Italia, l’Oman aveva soli cinque chilometri di strada asfaltata; tre scuole con cento allievi, tutti maschi; un unico ospedale gestito da missionari. Oggi è un Paese moderno a tutti gli effetti, con luce e acqua ovunque, una rete stradale efficientissima, scuolabus che quotidianamente raccolgono maschietti e femminucce anche nei villaggi più remoti. Un benessere diffuso, senza però le esagerazioni dei vicini Emirati. Forte l’attaccamento alle tradizioni. È giovedì sera a Salalah, nel sud del Paese. Sembra di rivivere le rime di Leopardi nel sabato del villaggio. Domani è giorno di festa nei Paesi musulmani. Uomini ovunque sotto i lunghi portici di fronte alla moschea. Un minuscolo atelier di sartoria, gents tailoring sta scritto su un’insegna luminosa che si accende e si spegne a intermittenza. Pochi metri quadrati, simili, anzi identici, a tutti gli altri già incontrati e che si incontreranno anche più il là. Una vetrata sul davanti. Un uomo sta cucendo una stoffa verde con una vecchia Singer. Gli scaffali lungo le pareti sono zeppi di pezze di stoffa messe in verticale, una stretta all’altra. Soprattutto bianche, ma anche di varie sfumature di verde, blu, marrone. Qui si confezionano le dishasha su misura, gli

eleganti camicioni a tubo per uomini che scendono fino ai piedi. È il vestito buono degli omaniti. Dal colletto, sul lato destro, pende un piccolo pennacchio fatto di fili di cotone che viene intriso di profumo prima di uscire di casa. Per il turista, un modo di vestire che permette di distinguere senza errore la gente locale dai tanti indiani, pachistani, cingalesi e bengalesi venuti in questa terra di immigrazione, spesso matrigna. Davanti allo specchio un giovane. Veste una dishasha bianca. Come tutti ha capelli, pizzetto e baffi curatissimi, come le lunghe basette appena accennate. Sta provando un kumah, il tipico copricapo a cilindro bianco, ornato con disegni colorati che paiono dei ricami. Ce ne sono di tutti i tipi dietro il vetro del bancone. Ne ha scelto uno, non sembra convincerlo. Davanti allo specchio ne prova a decine. Ogni tanto chiede consiglio all’amico rimasto fuori dal negozio. Poi finalmente sembra decidersi. Bello davvero quel kumah con i suoi ricami rosso vino e blu scuro. Dalla tasca estrae il suo smartphone e si fa un selfie che mostra all’amico che lo ha raggiunto. Annuisce sorridendo. Sfila dal portamonete una banconota. Mi sembrano dieci rial, una ventina di franchi nostri. Li allunga al sarto. Lui, bengalese, come tutti gli altri colleghi che lavorano lungo i portici per dei padroni omaniti. Cucitori di dishasha, vestiti della festa che non potranno mai indossare. Certo, la ricchezza dell’Oman è il frutto dei tanti soldi che provengono dalla vendita di petrolio e di gas, ma le braccia sono quelle di centinaia di migliaia di emigranti dal continente indiano. Vivono spesso nei vecchi villaggi abbandonati dagli omaniti che si sono trasferiti nelle case nuove costruite sul terreno messo a disposizione gratuitamente dal governo. Seicento metri quadrati rigorosamente cinti da mura per difendere la privacy, che per molti significa soprattutto permettere alle donne di girare attorno a casa senza velo. Qui la religione si coniuga attraverso una terza via tra sciiti e sunniti. Una forma di Islam molto moderato e tollerante, che sembra aver contagiato l’insieme delle relazioni sociali tra la gente, tanto da far sentire a proprio agio anche chi viene da

fuori, nelle vesti inevitabilmente invadenti del turista. Un territorio in gran parte arido, salvo al sud, attorno a Salalah, dove da giugno a settembre arrivano le piogge monsoniche. Allora il paesaggio si trasforma. Si narra che gli abitanti dell’altopiano desertico, affacciandosi sulla pianura diventata d’incanto, dopo le prime piogge, rigogliosa e verde, consideravano quelle terre una specie di Eden. Oggi richiama per alcuni mesi un turismo locale sfrenato, con intere famiglie che si recano sul posto per ammirare i fiumi scorrere nei wadi, le vallate solitamente secche. A rimirare le cascate, a giocare su prati per una volta verdi. Qui cresce anche l’albero dell’incenso. Immaginavamo delle coltivazioni intensive, se non addirittura delle foreste. Invece si tratta di singoli alberi disseminati qua e là, tra colline rocciose. Ogni pianta è considerata un dono di Allah e appartiene a una sola e uni-

ca persona che deve prendersene cura. Quale ricompensa ottiene l’incenso, che è la resina che fuoriesce dalle raschiature che il proprietario effettua periodicamente sul tronco. L’albero dell’incenso non viene piantato dall’uomo, ma cresce spontaneamente, proprio perché dono di Allah. Mai nessuno, ci è stato detto, si permetterebbe di raccogliere l’incenso di un albero che non gli appartiene. Per goderne i profumi al visitatore basta addentrarsi nei tanti mercati che si incontrano strada facendo. Una terra che è anche un vero e proprio manuale di geologia a cielo aperto per gli esperti. Per il profano un affascinate gioco di colori, di rocce stratificate che salendo verso le cime diventano pareti a strapiombo su vallate incise quasi fossero delle ferite. Sulle montagne ancora oggi una vita che ricorda i racconti di Martini, con le «gerlate di terra» portate sui massi per guadagnare qualche metro coltivabile. Lunghe canaliz-

zazioni, spesso scolpite nella roccia, per far scorrere l’acqua verso arditi pianori, ottenuti costruendo muri e muriccioli, spesso a strapiombo su gole profonde e aride. Le palme da datteri coprono, quasi volessero proteggerli, i piccoli orticelli. Una fatica umana già conosciuta in tanti altri Paesi, ma che non smette mai di commuovere. Nessun omanita soffre la fame. Per i più indigenti vengono costruite case in cui abitare gratuitamente. Non si pagano tasse. La benzina costa poco più di 30 centesimi al litro, scuola e sanità sono garantite. Il Paese è un grande cantiere. Il reddito medio pro capite è di 29mila dollari annui. Tutto questo, ci dicono, grazie alla lungimiranza e sensibilità del Sultano. Quattro anni fa ci furono, parallelamente alle varie primavere arabe, alcune proteste. Quabus Bin Said licenziò subito i ministri corrotti denunciati dalla piazza, aumentò sostanzialmente i salari dei tanti funzionari statali e rilanciò i progetti di sviluppo, in particolare nel settore turistico. Oggi tutti sono sinceramente preoccupati per il futuro del Sultano. Da mesi è ricoverato in Germania, si mormora per seri problemi di salute. Non ha figli, dunque non vi sono eredi diretti alla sua successione. Lunga vita a Quabus Bin Said si augurano tutti, concludendo con il tradizionale insh’Allah, se Dio vuole. Nel frattempo l’ultimo spicchio di sole è scivolato dietro la duna all’orizzonte. La sabbia bianca è diventata d’un colore quasi metallico. Prima del calar della notte c’è ancora tempo per scendere i pochi metri che separano dalla spiaggia per un ultimo tuffo. Poi, una notte da trascorrere sdraiati tra dune e mare a interrogare le stelle. Magico Oman.


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Ambiente e Benessere

I colori della macchia mediterranea Mondoverde Un mare di cespugli vivaci, allegri e profumati – Cisto

Anita Negretti Fiori semplici, delicati, simili a quelli delle rose antiche si schiudono da aprile fino a luglio colorando i luoghi aridi della macchia mediterranea. Fortunatamente il genere Cistus, composto da piante sempreverdi, rustiche e semirustiche, riesce a prosperare bene anche nelle nostre zone, purché abbia una protezione invernale: basterà ritirare in un angolo del terrazzo i vasi che li ospitano o avvolgere le piante in piena terra con stuoie o tessuto non tessuto, pacciamando bene la base con delle foglie.

Con cinque petali crespati, che variano dal bianco al rosa, e dal porpora fino al rosso scuro passando per un viola brillante, questi allegri e profumati fiori richiedono pochissime cure e in particolare un terreno ben drenato, preferibilmente non concimato, poca acqua e una potatura primaverile sugli esemplari più vecchi per contenere la forma. Belli e appariscenti anche da soli, amano il pieno sole e vi consiglio di piantumarli su una scarpata rivolta a

Erfil

Una delle tante varietà produce una resina molto aromatica usata per creare profumi sin dall’antico Egitto

sud, in particolare gli esemplari di Cistus albidus, che sono dei buoni consolidatori di pendii e scarpate e sfoggiano fiori rosa e gialli. Questo tipo di arbusto potrà essere accompagnato da altri arbusti dalle caratteristiche simili, come rosmarini, lavande e salvie. Facili da moltiplicare tramite ta-

lea semilegnosa a fine estate, hanno la caratteristica di resistere agli incendi: dopo il passaggio del fuoco, la pianta madre brucia, mentre la capacità germinativa dei semi aumenta di ben dieci volte rispetto alle condizioni normali. Ogni varietà ha caratteristiche differenti, come ad esempio Cistus la-

daniferus, con foglie ricoperte di una sostanza resinifera e appiccicosa, chiamata ladano, in grado di proteggere le piante dalla disidratazione da sole. Questa resina, molto aromatica, viene utilizzata per creare profumi e già trovava il suo utilizzo nell’antico Egitto al tempo dei faraoni. L’aroma viene

accompagnato da grandi fiori a petali bianchi con all’interno una macchia color porpora. Dall’aroma meno intenso ma comunque piacevole, C. monspeliensis, chiamato anche cisto marino, raggiunge il metro d’altezza e si riempie di fiori bianchi tra aprile e giugno, entrando in riposo vegetativo in estate, spogliandosi quasi completamente dalle foglie così da mostrare la corteccia bruna. Se siete indecisi sulla coltivazione di un cisto perché vi condiziona l’idea che il freddo invernale possa danneggiarlo, vi consiglio di orientarvi verso un C. laurifolius, rustico, con corolle bianche dal cuore giallo portati su fusti eretti e pelosi che arrivano al metro e più d’altezza. Desiderate colori più accesi? In questo caso vi potranno accontentare i fiori di C. purpureus dalle corolle rosse o rosa cupo, o C. pulverulensis «Sunset» che è rosa acceso e ha foglie verde-grigio, oppure ancora l’ibrido C. x argenteus «Peggy Sammons» con fiori rosa confetto. Provate ad abbinare questi cisti dai colori sgargianti con una pianta di Ceanothus dai fiori blu intenso: avrete portato l’allegria della macchia mediterranea in Canton Ticino! Per chi ama varietà precoci ecco C. villosus, in fiore già da aprile con petali rosa pallido macchiati di giallo, da accostare a C. salviaefolius, alto fino a 80 cm, anch’esso in fiore da aprile e con belle foglie soffici e pelose molto simili a quelle della salvia. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 15 giugno 2015 ¶ N. 25

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Ambiente e Benessere

Volvo On Call in versione aggiornata grazie ad Apple Motori L’applicazione permetterà persino di ricordare dove è stata parcheggiata l’auto

Mario Alberto Cucchi La data ora è ufficiale. Dal 26 giugno Apple Watch sarà in vendita anche in Svizzera. L’azienda di Cupertino, che ha previsto di vendere 20 milioni dei suoi orologi solo quest’anno, sta lavorando anche con alcuni costruttori automobilistici. Tra questi la svedese Volvo Cars che sta lanciando una versione aggiornata della sua smart app Volvo On Call dedicata a garantire una connettività senza soluzione di continuità proprio grazie ad accessori indossabili come Apple Watch.

La Volvo è tra i primi costruttori al mondo a proporre autovetture interfacciabili con Apple Watch In pratica i possessori di una Volvo potranno controllare molte funzioni dell’auto attraverso il proprio orologio. Dalla semplice apertura e chiusura delle portiere sino al controllo dello stato di carica delle batterie di una versione elettrica. Insomma le possibilità di controllo sono davvero moltissime. «Volvo On Call è un’applicazione che permette all’automobilista di tenere letteralmente sotto controllo tutti

gli aspetti quotidiani della sua Volvo. Consente di impostare l’accensione del riscaldatore dell’abitacolo nelle giornate fredde e il sistema di raffreddamento per ridurre la temperatura all’interno dell’auto nelle afose giornate estive, di verificare il livello del carburante e la distanza, o il tempo di guida necessario, fino al successivo rifornimento. Aiuta persino a localizzare la vettura all’interno di un parcheggio molto affollato» spiega David Holecek, Responsabile Prodotti e Servizi Connessi presso Volvo Cars. Va ricordato che il sistema Volvo On Call è stato lanciato nell’ormai lontano 2001. Si trattava di uno dei primi sistemi telematici di bordo al mondo ma era dedicato esclusivamente alla sicurezza dei passeggeri. Era infatti in grado di comunicare la posizione del veicolo in caso d’incidente grazie a una scheda Sim installata a bordo. In tutti questi anni Volvo non ha mai smesso di credere in questo progetto incentrato sulla comunicazione tra l’auto e il mondo esterno e viceversa e il risultato è quello di essere tra i primi costruttori al mondo a proporre autovetture interfacciabili con Apple Watch. Non si tratta di dettagli ma di nuovi strumenti tecnologici pronti a rendere più confortevole l’utilizzo delle auto moderne. Di questo e altro parleranno gli oltre 20mila delegati provenienti da 195

Questo il futuristico «Apple watch» con l’App della Volvo.

Paesi che parteciperanno alla prossima conferenza delle Nazioni Unite COP21 (Conference of Parties) – www.cop21paris.org – che si terrà dal prossimo 30 novembre all’11 dicembre a Parigi. Sustainable Innovation Forum: un summit dedicato al clima. Tra i partner ufficiali anche Renault e Nissan che

metteranno a disposizione una flotta di 200 veicoli al 100 per cento elettrici composta dalla city-car Renault ZOE, dalla Renault Kangoo Z.E, dalla berlina Renault Fluence Z.E, dalla berlina compatta Nissan Leaf e dal van Nissan e-NV200 in versione sette posti. L’alleanza franco-nipponica mette

a disposizione i suoi veicoli per accompagnare i visitatori nei diversi siti della conferenza. I due costruttori parteciperanno anche al Solutions COP21, una mostra internazionale che si terrà presso il Grand Palais a Parigi, dal 4 al 10 dicembre, presentando soluzioni per la lotta contro il cambiamento climatico. Annuncio pubblicitario


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Ambiente e Benessere

Un «Oscar» per il libro di ricette Migros

Se Victoria si commuove per Stan

Premiato Green Gourmet Family

Sportivamente La presidentessa del Federer

Alcide Bernasconi Roger Federer perde il derby con Stan Wawrinka (nella foto) agli Internazionali di Francia «Roland Garros». Potrei immaginare un rapido rientro a casa di donna Michelle, presidentessa del Federer Fans Club di Via Collinetta, nato anni fa grazie a un consistente gruppo di luganesi riuniti da un direttore di banca, che continua a chiedermi di mantenere l’anonimato soprattutto ora, visti i tempi che corrono. Certo, Parigi offre una tale quantità di alternative (non si vive di solo tennis), per cui Michelle decide di prolungare comunque il soggiorno nella Ville Lumière. Questo è quello che io penso dopo essere salito in villa a salutare almeno il Labrador, il quale mi accoglie al cancello come fossi un parente stretto. In soccorso giunge Victoria, la governante, che spiega il vero motivo della prolungata assenza della padrona di casa: «Niente visita ai negozi di moda. Michelle ha già gli armadi pieni di vestiti e bluse. No, no. È rimasta a Parigi per Stan. Stan Wawrinka. Lo sa – mi dice la governante spagnola, che non tifa per Nadal solo in rare occasioni – che il club non è da tempo più intitolato solo a Fer-

derer, il quale del resto non è mai venuto a farci visita? Eh, no. Wawrinka è stato un grande sostegno per il basilese: gli permise di riscattarsi dopo la sconfitta nel singolare con la conquista della medaglia d’oro nel doppio ai Giochi olimpici di Pechino. E poi, è storia recente, chi ha avuto maggior peso nella conquista della Coppa Davis se non Wawrinka?» Insomma, Victoria sa tutto del nostro tennis. La buona donna potrebbe scrivere un libro, purtroppo in spagnolo, ma dubita fortemente (e forse pure a giusta ragione) che a Madrid e dintorni lo leggerebbero. «Sa che ho pianto, assistendo con il mio Giovanni alla finale di Parigi? Lo sentivo che Stan avrebbe vinto, ma mi ero preparata a un incontro più lungo, da temere lo sfinimento. Stavolta il numero uno ha faticato a trattenere lacrime di commozione, ma si è dimostrato sportivissimo nei confronti di Stan, al quale ha ripetuto più volte la propria ammirazione. E gli abbracci? Ha visto che abbracci veri fra i due? Stan ha regalato a Parigi una finale coi fiocchi e con molto senso dello humor visto il suo paio di calzoncini a quadretti, quelli che all’inizio del torneo ha indotto il giornale “l’Equipe” a deridere il romando».

Keystone

Fans Club di via Collinetta si è fermata a Parigi, nonostante la sconfitta del suo favorito

idee e le battute come i primi servizi di Stan e i micidiali rovesci che hanno messo in ginocchio il numero uno mondiale. Io non posso dire nulla. Guardo la villa, ammiro la vista dalla collina, saluto Bello e prendo congedo: «Dì a Michelle di chiamarmi. Ora ci sarà il torneo di Wimbledon e non mi sembra il caso di distrarre i nostri eroi. Vedremo se il club sarà felice di riunirsi un’altra volta per un party “verde” di quelli che pure a Wimbledon si sognano». Victoria mi dà la sua benedizione: «Vai pure, dirò a Michelle che sei stato qui. Che quasi eri commosso anche tu, ma il benedetto calcio ti ha distratto. Quando comincerà il prossimo campionato, penso che Giovanni ti chiederà di venire con te a Cornaredo. Almeno una volta. A lui piace il gioco del pallone e io mi fido di te…» Già temo per quello che Michelle e suo marito mi porteranno da Parigi. Però, a caval donato non si guarda in bocca e se sarà il caso, di notte, davanti alla tv a seguire le nostre ragazze della nazionale di calcio impegnate ai mondiali in Canada, indosserò i calzoncini a quadretti. Chissà che non portino bene anche a loro.

«Senti Victoria – replico io, quando me lo consente – ma chi ti ha raccontato tutte queste cose? Sai che è tutto vero, al punto che Michelle tornerà dalla Francia con Stan nel cuore…?» «Lo penso anch’io», mi fa Victoria, mentre Bello abbaia contento, come se avesse capito tutto. E aggiunge: «Altro che Sepp Blatter e la FIFA! La Svizzera deve aggrapparsi a Roger e Stan per nascondere certe figure meschine». Donna Victoria, lo so, non chiederà adeguamenti dello stipendio per questo suo sapere. Del resto donna Michelle è sempre generosa nei suoi confronti. Parecchi i vestiti parigini appartenuti alla padrona che, con i necessari ritocchi, le donano proprio tanto che quando va a fare spese in città molti pensano che sia lei la moglie del direttore. Cerco di cambiare argomento, ma Victoria non capisce il mio interesse per il FC Lugano: «Non ti bastano Federer e Wawrinka? Non ti basta la Coppa Davis? Cosa pretendi di più? E poi – ormai mi dà del tu – Michelle stravede per te. Perché non ti dai da fare e porti Roger e famiglia qui da noi per un weekend? E invita anche Wawrinka, visto che ora è libero…» Victoria è lanciatissima. Le vengono le

Importante premio per Green Gourmet Family, il libro di ricette per le famiglie di Migros: a Yantai, in Cina, il libro ha ottenuto il «Gourmand World Cookbook Award», ossia l’Oscar dei libri di cucina. In un concorso al quale hanno parteciparto 250 Paesi, Green Gourmet Family ha ottenuto il primo posto della categoria «Best Food & Family Cookbook». La cerimonia di premiazione si è svolta la settimana scorsa nella città di Yantai. Edouard Cointreau, fondatore e presidente degli Awards, ha lodato la pubblicazione di Migros per il «concetto di ricette sostenibili con focus sulle famiglie». Il premio è stato preso in consegna da Christine Kunovits (nella foto), la caporedattrice di «Cucina di Stagione» e responsabile della pubblicazione premiata, si è detta orgogliosa del lavoro svolto dal suo team. La stampa Migros mette in palio 60 esemplari del libro Green Gourmet Family. Gli interessati devono inviare entro il 21 giugno 2015 una cartolina postale all’indirizzo: «Azione», casella postale, 8099 Zurigo.

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Ambiente e Benessere

Per salvare lo storione… mangiamolo Gastronomia Aumentare la richiesta di questo pesce in via d’estinzione potrebbe aiutare a cambiare il suo destino

Allan Bay Tempo fa ho pubblicato una ricetta a base di storione – non su «Azione», su una rivista italiana. Un lettore mi ha mandato una e-mail segnalando quella che lui definiva un’incongruenza: mi accusava di aver parlato di un pesce che notoriamente era a rischio di estinzione, in quanto vittima di una pesca indiscriminata. Mi invitava pertanto a non scrivere ricette che utilizzano ingredienti così a rischio.

Se si guadagna bene con questo pesce allora ci si darà da fare perché la produzione cresca evitandone l’estinzione Io gli risposi che in Italia lo storione selvaggio è, sì, in via di estinzione, ma esiste e prospera quello di allevamento, a tal punto che la penisola è diventata la prima produttrice di storione e addirittura la prima produttrice di… caviale, dato che Russia e Iran soffrono di così tanti problemi per l’inquinamento del Mar Caspio che la loro produzione è crollata. Certo, la bontà di un salmone selvaggio è maggiore di quella degli storioni allevati ma… questo è un altro discorso. Al di là della mia risposta qui sopra riportata, ero convinto e lo resto tutt’oggi che sia giusto mangiare storione perché esiste un fenomeno chiamato «Paradosso dei Boschi». Di che cosa si tratta? Un secolo fa tutti i Paesi europei avevano più boschi di quanti ce ne siano adesso – anche se negli ultimi decenni c’è stata un’inversione di marcia e in molti stati l’area boschiva si è estesa. Salvo in due di questi: Svezia e Finlandia. Forse perché hanno abbattuto meno alberi? Affatto, sono in assoluto quelli che ne hanno abbattuti di più; per loro l’industria del legno e della carta è fondamentale. Ma appunto perché è così importante, ne hanno piantati

in quantità maggiore rispetto a quelli tagliati; è tanto ovvio da sembrare banale. Al contrario tutti gli altri Stati, abituati a comprare legno dall’estero, hanno trascurato l’impegno di ripiantare quei (relativamente) pochi boschi che hanno abbattuto. È questa miope politica che ha ridotto l’area boschiva, non la domanda di legno. E a smettere o ridurre l’uso del legno, se mai fosse possibile, si otterrebbe solo un unico risultato: un’ulteriore riduzione del numero degli alberi, come capita con tutte le cose «inutili» da un punto di vista commerciale. Lo stesso vale per i nostri storioni. La causa del rischio di estinzione è il risultato della politica sconsiderata degli Stati coinvolti, che si rifà in minor parte alla pesca eccessiva, e in maggior parte all’inquinamento, alla costruzione di dighe, alla stupidità che non manca mai e via elencando. Questo ha tagliato l’offerta, di quelli selvaggi ovviamente, e quindi compaiono poco o nulla nei nostri menù, a riprova del fatto che sono proprio stati dimenticati. Come uscire da questa impasse? C’è un solo modo: far aumentare la domanda di storioni, anche di quelli selvaggi, rendendone la reintroduzione nei nostri fiumi redditizia. Se si guadagna bene con questo pesce allora ci si darà da fare perché la produzione cresca. Solo una domanda regolare, in continua e costante crescita, potrà salvarli. E allora conosciamoli un po’ meglio. Sono simili agli squali, ma hanno la pelle liscia, priva di squame. Sono praticamente senza spine. Vivono in mare, ma quando devono riprodursi risalgono i fiumi. Ogni coppia può fecondare fino a tre milioni di uova, il famoso caviale. La carne è grassa, saporitissima. Si possono cucinare in moltissimi modi: sostanzialmente tutte le ricette per il vitello sono valide anche per lo storione. Il mio consiglio è di cuocerlo impanato e fritto nel burro, alla milanese: viene proprio bene. Oppure proporlo marinato e cotto in umido con le verdure canoniche e vino bianco, che diventa altrettanto buono. Qui accanto le ricette.

CSF (come si fa)

Ecco le due molto amate ricette di storione cui ho accennato qui accanto. Storione impanato e fritto. Per 4 persone. Spellate 4 trance di storione alte circa 2 cm e passatele nella farina, poi in un uovo sbattuto e infine nel pangrattato, scrollandole leggermente per eliminare l’eccesso di pane. Mettete le trance in una capace casse-

ruola con abbondante burro meglio se chiarificato spumeggiante e cuocetele 2’ per lato, girandole una volta sola. Togliete il pesce dalla casseruola e asciugatelo su carta assorbente da cucina, quindi servite. Si sala sul piatto, spolverando di buon sale marino o Maldon. Storione in umido. Per 4 persone. Mondate e tritate 1 cipolla, 1 carota, 2 coste di sedano, 1 spicchio di aglio e una manciata di foglie di prezzemolo. Cospargete il fondo di un piatto con metà trito, adagiatevi, senza sovrapporle, 4 trance di storione spellate alte circa 2 cm e ricopritele con il trito rimasto, spolverizzando di pepe. Irrorate poi con vino bianco secco e 1 bicchierino di aceto di mele e lasciate marinare al fresco per circa 1 ora. Scolate quindi le fette di storione e fil-

trate la marinata recuperando la parte liquida. Frullatene circa 3 cucchiaiate e fatele appassire in una casseruola con 2 cucchiai di olio o burro. Infine fateci sciogliere 2 acciughe ben dissalate e tritate. In una casseruola rosolate le fette di storione da ambo i lati con un filo di olio, lo spicchio d’aglio e il ciuffo di prezzemolo, poi unite il soffritto di verdure e acciughe, aggiungete 1 bicchiere del vino della marinata e cuocete lo storione per circa 6’ voltandolo un paio di volte e bagnandolo con il fondo di cottura ben caldo. Scolate le trance e tenetele in caldo. Fate ridurre di 1 terzo il fondo di cottura, regolatelo di sale se necessario – ma non dovrebbe esserlo dato che le acciughe anche se ben dissalate restano salate – e versatelo sulle trance. Servite lo storione con puré di patate.

Manuela Vanni

Oggi due piatti unici, ovvero piatti dove sono presenti sia amidi sia proteine. Le paste delle foto sono cavatelli e ziti corti, voi usate quelle che più vi piacciono.

Manuela Vanni

Ballando coi gusti

Pasta con fave fresche e pancetta

Pasta con seppie, gamberi e patate

Ingredienti per 4 persone: 300 g di pasta a piacere · 150 g di pancetta a dadini · 300 g di fave fresche · 2 cipollotti · 4 pomodori maturi · vino bianco secco · menta fresca · olio di oliva · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 320 g di pasta a piacere · 1 patata · 150 g di seppie pulite

Sbollentate i pomodori, privateli di buccia e semi e spezzettateli. Sgranate le fave. Mondate e affettate i cipollotti. Scaldate in una casseruola un filo di olio, unite la pancetta e i cipollotti e fateli rosolare. Unite le fave e fate soffriggere il tutto. Sfumate con un bicchierino di vino, aggiungete i pomodori e lasciate cuocere per circa 15’. Regolate di sale e di pepe. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata al bollore, scolatela al dente e calatela nella casseruola del sugo. Fate insaporire per 1’, profumate con qualche foglia di menta spezzettata e servite.

Cuocete al vapore per 30’ la patata poi fatela intiepidire, sbucciatela e frullatela con il basilico e 1 bicchierino di brodo, fino a ottenere una crema di media densità. In una casseruola fate rosolare con 1 filo di olio lo spicchio di aglio e la cipolla tritata. Aggiungete le seppie tagliate a piccoli pezzi e i gamberi, bagnate con 1 bicchierino di vino e fate evaporare. Unite i pomodorini tagliati a spicchi, continuate la cottura per altri 3’, poi aggiungete la crema di patate. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata al bollore, scolatela al dente e calatela nella casseruola del sugo. Fate insaporire per 1’, regolate di sale e di peperoncino, quindi servite.

· 100 g di gamberi sgusciati · 4 pomodorini · 1 spicchio di aglio · mezza cipolla · foglie di basilico · brodo di pesce o vegetale · vino bianco secco · olio di oliva · sale e peperoncino.


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Ambiente e Benessere

Incontri nel bosco Mondoanimale Cura dell’ambiente e rispetto per le persone e gli animali che lo frequentano per dar vita

a un luogo a beneficio di tutti Maria Grazia Buletti «Un tempo, con i miei cani, andavamo a passeggiare, giocare e fare il bagno alla Foce della Magliasina. Poi non è più stato possibile, perché a un certo punto la legge ha deciso che i cani dovevano rimanere al guinzaglio e le sanzioni per chi sgarrava, pur senza far del male a nessuno e nel rispetto dei passanti, erano pesanti. Che fare? A malincuore abbiamo lasciato quel bel luogo che per i nostri cani rappresentava un innocuo momento di svago e libertà, voltando le spalle anche allo sporco dei pic-nic (danni fatti da esseri umani e non da cani) e agli alberi spaccati da qualche vandalo… cose che, però, non venivano né notate e presumo neppure sanzionate», queste le considerazioni di Ebe Kunz che, a Caslano, convive con due cani: «Ben, che ha 12 anni ed è un meticcio di taglia medio-grande e Zoe, una Border collie che ogni tanto giocano con il cagnolino di mia figlia, Charlie, un meticcio volpino». In Ticino, l’Ordinanza che regola la tenuta dei cani parla chiaro ormai dal 2009: «Nei luoghi frequentati dal pubblico o da altri animali è obbligatorio tenere il cane al guinzaglio». In ottemperanza alla Legge federale della protezione degli animali (OPAn), aggiunge però pure che «in zone discoste o poco frequentate è possibile liberare il cane dal guinzaglio». Questo solo se si è certi che si può contare sull’ubbidienza dell’animale in ogni momento, anche quando si incontrano altre persone o animali. La signora Kunz ha trovato una soluzione che soddisfa lei, ma soprattutto i suoi beniamini: «Ora andiamo a passeggiare a Pura, dove c’è la strada forestale che porta a un boschetto, un luogo discosto e ideale per lasciare ai cani quel poco di meritata libertà di correre, giocare, annusare l’ambiente e, come

Questo il cartello posato nel punto di accesso al boschetto del comune malcantonese. (MG Buletti)

spesso capita, socializzare fra cani che si incontrano». La signora Kunz ci racconta che le è già successo di incontrare persone con i propri cani o semplicemente che passeggiavano da sole, senza problemi di sorta: «Ci si vede da lontano, si chiede se qualcuno teme i cani, eventualmente si richiama l’animale in modo da incrociare il cammino senza creare problemi, nella tolleranza e rispetto reciproci». Qualche incontro un pochino critico c’è comunque stato («Un pastore tedesco al guinzaglio è stato disturbato dal mio cane che ha un’avversione per gli altri cani tenuti al guinzaglio»), cosa risolta subito con il richiamo e senza conseguenze. «Per contro, ho addirittura incontrato una scolaresca di bambini le cui maestre hanno approfittato della presenza dei

miei cani per spiegare ai propri allievi il comportamento adeguato da tenere in questi casi». Proprio buonsenso, tolleranza e rispetto reciproco per gli utenti di questa zona verde hanno spinto il Comune di Pura a posare, lo scorso mese di maggio, un cartello all’entrata della strada forestale che porta al boschetto. Paolo Ruggia, sindaco del Paese, da noi interpellato a proposito di questa iniziativa, ci ha raccontato che di grossi problemi non ce ne sono stati, ma la posa di questo cartello che dice «Il bosco è un bene di tutti: abbiatene cura nel rispetto delle leggi e di tutti gli utenti» ha fatto seguito a un’interpellanza che contestava un precedente cartello nel quale si intimava di tenere i cani al guinzaglio. «Troppi divieti mettono a

dura prova la democrazia; questa zona verde è sufficientemente discosta perché anche i cani, nel pieno rispetto della legislazione, possano goderne in libertà. Naturalmente essi devono essere opportunamente gestiti dai proprietari che ne restano responsabili» spiega Ruggia che non nasconde quanto la questione sia «delicata» e che qualsiasi incomprensione potrebbe venir ingigantita, quando invece, lo ripete, «attraverso buonsenso, tolleranza e senso di responsabilità è possibile far sì che in un angolo di verde possano avere tutti pari diritti e comuni benefici, oltre che doveri: ciclisti come pure pedoni a passeggio nel bosco, con o senza cani». Per tornare ai proprietari dei cani, l’«Obbligo di sorveglianza» dell’Ordinanza dà comunque ragione al Comune

ORIZZONTALI 1. Avverbio di luogo 4. Figlia di Zeus e di Eris 7. Collisione 9. Astro al tramonto 10. Elisabetta regnante 11. Posta inglese 13. Strumento a fiato 14. Una... cricca di amici 17. Componimento poetico 18. Suo in inglese 19. Nome maschile 21. Uguali nel telescopio 22. Il fiume di Bankok 23. Precedono la «v» 24. Riferimenti in navigazione 25. Una volta in latino 27. Abita a Nuova Delhi 28. Servizio vincente a tennis

Sudoku Livello geni

di Pura che li richiama al proprio senso di responsabilità per i propri animali nei confronti di chi incontrano: «Chi si occupa di un cane, anche senza esserne il proprietario, è responsabile di tutte le sue azioni ed è tenuto ad adottare i provvedimenti necessari affinché il cane non costituisca un pericolo per gli esseri umani o per altri animali». Tutto dovrebbe poter essere proprio come la signora Kunz ci ha raccontato descrivendo il suo comportamento responsabile e rispettoso durante le passeggiate con i suoi cani. Peraltro, sempre secondo quanto disposto nell’OPAn, i cani dovrebbero essere portati fuori quotidianamente in funzione delle loro esigenze e, per quanto possibile, «devono potersi muovere senza guinzaglio». Perché non va dimenticato che, a seconda della taglia e dell’età, «un cane avverte il bisogno di essere impegnato per diverse ore nel corso della giornata e, durante le passeggiate giornaliere, i cani dovrebbero avere l’opportunità di esplorare l’ambiente con tutti i sensi (soprattutto con l’olfatto), essere stimolati con giochi educativi e muoversi a sufficienza». Il cartello che è stato posato a Pura non si rivolge unicamente ai proprietari e ai loro cani, ma a tutti gli utenti della zona verde e boschiva. Il sindaco Ruggia ripropone questo concetto, ricordando per l’ennesima volta come la differenza stia ancora nelle mani dell’essere umano. Per questo, insieme all’immagine di chi passeggia o pratica jogging, al ciclista, agli animali selvatici che il bosco lo abitano, c’è posto anche per la persona con il proprio cane al fianco. Passeggiano tranquillamente, il quattro zampe libero da qualsiasi costrizione se non quella di obbedire agli eventuali ordini di richiamo del suo amico umano. Perché tutti, ma proprio tutti, possano godere di una bella passeggiata nel bosco.

Giochi Cruciverba L’oleodotto più lungo del mondo trasporta petrolio russo per … Trova il resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere evidenziate. (Frase: 11, 10)

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VERTICALI 1. Indovinello, quesito 2. Il cantone di Guglielmo Tell 3. Il settentrione d’Italia 5. Si dice di Dio 6. Dio sbuffante 8. Ha lo stesso nome 12. Lo ha prensile il tetrapoda 13. Amata 14. Caro parigino... 15. L’attore Gullotta 16. Il regista di Striscia la notizia (iniz.) 17. Gruppo montuoso delle Prealpi Giulie 19. Semplice, pura 20. C’è anche quello della ragione 22. Avverbio di tempo 23. È ripetitivo 24. Le iniziali di Dostojevskij 26. Le iniziali dell’attore Argentero

Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

Soluzione della settimana precedente

ALLA STAZIONE – Un viaggiatore al bigliettaio: «Vorrei un biglietto di prima per Roma» – «Mi dispiace … : « … ABBIAMO SOLO QUELLI DI ADESSO» A T T E N U A N T E

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Politica e Economia Terremoto curdo Dopo 13 anni ininterrotti al potere il partito di Erdogan perde la maggioranza assoluta

Paladino contro il terrorismo Nella sua guerra all’estremismo islamico, il presidente al-Sisi incarcera l’opposizione e coopta il potere giudiziario. L’Occidente tollera pur di non ritrovarsi un’altra Libia o un’altra Siria alle porte

Compromesso in vista Il braccio di ferro alle Camere federali sulla perequazione finanziaria sta per terminare

Re dollaro In che cosa consiste il fascino del dollaro? Perché resta la valuta più forte, nonostante l’enorme debito pubblico americano? Un’analisi pagina 34

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Angela Merkel e Barack Obama a Schloss Elmau, località della Baviera. (AFP)

Putin convitato di pietra G7 Si è svolto in Baviera senza la Russia il vertice dei sette grandi (Canada, Francia, Giappone, Germania, Italia,

Regno Unito e Stati Uniti), che si interrogano su come rispondere all’aggressione di Mosca all’Ucraina

Lucio Caracciolo Prima che il G7 torni G8 occorrerà parecchio tempo. Questa almeno la sensazione che si trae dall’ultimo incontro delle maggiori potenze occidentali, svoltosi in Baviera a inizio giugno. La questione dei rapporti con la Russia è stata al centro delle discussioni fra americani ed europei. La crisi ucraina resta senza sbocco apparente. Il massimo che pare oggi possibile ottenere è il congelamento dei combattimenti, solo parzialmente ottenuto grazie agli accordi di Minsk 2, stipulati da Merkel e Hollande con Putin e Poroshenko. Il clima di reciproca sfiducia, di incomprensione e di recriminazione sembra prevalere sui tentativi di ricucire il rapporto tra euroccidentali e russi. In realtà, lo schieramento è abbastanza variegato. E le posizioni ufficiali, pubbliche, non sempre coincidono con quelle effettive. Vediamo. L’asse attorno al quale ruotano e si orientano le relazioni dei Paesi Nato con la Russia è quello americano. A Washington gli approcci sono diversi,

a seconda delle agenzie e delle personalità. Per Barack Obama non è semplice riportarle a sintesi. Il Dipartimento di Stato è il più aperto. Dopo il suo recente incontro con Vladimir Putin, il segretario di Stato John Kerry è sembrato relativamente ottimista sulla possibilità di giungere quanto meno alla stabilizzazione della crisi. Kerry, come d’altronde chiunque osservi la situazione sul terreno, è consapevole che non c’è modo di riportare la Crimea sotto Kiev e che l’ultima cosa che Putin vuole fare è spingersi fino a Kiev. Un’intesa sullo status quo appare dunque possibile. Cia e Pentagono premono invece per l’inasprimento delle sanzioni, per un approccio punitivo, armando fino ai denti il debole esercito ucraino. Obama si colloca in una posizione intermedia. Detesta Putin – ricambiato – e non intende offrirgli segni di debolezza che potrebbero incoraggiare i russi ad avanzare ancora. Ma si rende conto che la Russia non può essere emarginata, che anzi la diplomazia e l’influenza russa sono più che mai necessari per sbloccare alcune partite di

speciale interesse per Washington, a cominciare dall’imbroglio mediorientale. Non c’è via d’uscita dalle guerre siroirachene, non c’è intesa sul nucleare iraniano che non passi da Putin. Di fronte a Obama, nel vertice bavarese si è squadernata la diversità delle posizioni europee, tenute faticosamente assieme con gli accordi di Minsk-2 e con le sanzioni Ue. Il presidente dell’Unione Europea, il polacco Donald Tusk, è il capofila dei «duri». Per lui, come per i leader baltici in generale, le sanzioni vanno semmai inasprite e Poroshenko incoraggiato a respingere armi in pugno qualsiasi tentativo russo di allargare la propria sfera d’influenza nell’Ucraina orientale. Da Stoccolma a Varsavia passando per Riga, Tallinn e Vilnius, il clima è più da guerra calda che da guerra fredda. Matteo Renzi ha invece cautamente riportato l’ago della bilancia verso il dialogo. L’Italia sta pagando un alto prezzo per le sanzioni comunitarie alla Russia – nel corso della sua visita a Milano e a Roma, il 10 giugno, Putin ha quantificato il danno per le aziende

esportatrici del Bel Paese in circa un miliardo di euro l’anno. Tradizionalmente sensibile alle ragioni russe, vincolata al colosso eurasiatico da storiche, corpose partite energetiche, l’Italia punterebbe a cominciare a ridurre le sanzioni europee già dalla fine di quest’anno. Il leader britannico David Cameron ha un approccio più ambiguo. Vocalmente prossimo alle posizioni baltiche, favorevole a una postura più robusta dello schieramento Nato nei confronti della Russia, deve tenere conto degli interessi della City, dove i capitali russi hanno una certa voce in capitolo. Francesi e soprattutto tedeschi occupano una postazione intermedia tra baltici e italiani. Angela Merkel, che non ha mai apprezzato Putin (e viceversa), sembra impegnata in una crociata personale con il presidente russo. Dietro le quinte, la diplomazia del ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier e le pressioni dell’industria tedesca, che ha forti interessi costituiti in Russia, spingono la cancelliera a un approccio più misurato e pragmatico. Fra l’altro, la Germania tende ad aggirare le sanzioni

che essa stessa ha contribuito a imporre attraverso acrobatiche triangolazioni commerciali con Bielorussia, Cina e Corea del Nord. Alla fine, saranno russi e ucraini a dirimere la vertenza o a inasprirla. A Mosca l’obiettivo geopolitico sembra l’allargamento della repubblichetta di Donetsk fino almeno a Marjupol, in modo da assicurare la continuità territoriale fra Federazione Russa e Crimea appena annessa. Intanto si lavora alacremente ai nuovi tubi di aggiramento dell’Ucraina, per portare il gas russo in Europa via Turchia. Fra i russi si respira un’atmosfera di guerra che non può essere sottovalutata. Altrettanto esasperato il clima dell’Ucraina belligerante e di fatto in bancarotta. Poroshenko è in bilico, criticato dai «duri» che vorrebbero scatenare l’offensiva militare contro Donetsk, contando di trascinare la Nato in uno scontro con la Russia, costi quel che costi. Sarà dunque bene non perdere di vista lo scacchiere ucraino: molto del nostro futuro di europei si gioca in quella terra contestata.


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Politica e Economia

I curdi in Parlamento Terremoto politico In Turchia il partito Akp del presidente Erdogan perde la maggioranza assoluta

per la prima volta dopo 13 anni. Ora la strada della coalizione, soprattutto con l’Hdp guidato dal curdo Demirtas, è tutta in salita Alfredo Venturi È dunque tramontato, o forse soltanto rinviato, il sogno della riscossa ottomana coltivato da Recep Tayyp Erdogan. Il presidente turco confidava che la maggioranza assoluta di cui godeva da tredici anni il suo Akp, il Partito della giustizia e dello sviluppo, venisse non solo confermata, ma allargata fino ai due terzi dei seggi parlamentari. Questo gli avrebbe consentito di modificare la costituzione trasferendo poteri dal primo ministro al capo dello Stato, e con quei nuovi poteri forgiare una Turchia egemone nel mondo islamico, superpotenza regionale fra il Levante che fu ottomano e l’Asia Centrale legata a Istanbul da vincoli etnici e linguistici. La volontà degli elettori ha infranto il sogno, o almeno lo ha rinviato e comunque ridimensionato. Chiamati alle urne per rinnovare il Meclis, l’assemblea nazionale di Ankara, i turchi hanno sì confermato l’Akp come maggior partito nello spettro politico nazionale: ma questa maggioranza è soltanto relativa. Erdogan ha perduto tre milioni di voti e una settantina di seggi parlamentari. Dunque non potrà governare da solo. L’alternativa è secca, o indirà nuove elezioni anticipate per tentare la risalita o dovrà scendere a patti con chi gli ha conteso lo spazio politico. Lo ha ammesso lui stesso la sera del voto: era visibilmente turbato, si era impegnato attivamente nella campagna elettorale, suscitando le critiche degli osservatori internazionali che lo invitavano alla neutralità implicita nella carica, è chiaro che non si aspettava quel risultato. La strada della coalizione è tutta in salita: non gli sarà facile trovare alleati condiscendenti. Con chi dovrebbe mettersi d’accordo? Non certo con i kemalisti del Chp, fedeli alla tradizione laica di Atatürk e dunque pregiudizialmente ostili al confessionalismo musulmano dell’Akp. Un terreno ideologico affine ha soltanto con i nazionalisti del Mhp, il partito erede della fosca tradizione dei Lupi grigi, che lo hanno sfidato proprio sul piano del governo forte e delle nostalgie neo-ottomane e dunque lo hanno combattuto rivolgendosi al suo stesso elettorato e lasciando una scia di rancori. Di questi rancori si è fatto interprete lo stesso capo del partito, Deviet Bahceli: l’esito elettorale, ha detto, segna l’inizio della fine per l’Akp. Parole che sembrano escludere, nonostante la simile identità politica, la disponibilità a cavare Erdogan dai guai.

L’ambiziosa linea politica interna e internazionale di Erdogan dovrà essere rivista. Il Paese chiede una svolta decisa verso la democrazia e l’Europa Del tutto impensabile, infine, un’alleanza dell’Akp con i nuovi arrivati, la vera sensazionale novità di questo voto, il partito Hdp guidato dal giovane avvocato curdo Selahattin Demirtas. I curdi in parlamento segnano una svolta epocale in Turchia, dove la durissima repressione delle aspirazioni di questa minoranza ha provocato decine di migliaia di vittime. Inoltre proprio la questione curda, e lo scarso rispetto per i diritti umani con cui è stata gestita, ha tenuto lungamente in sospeso ogni prospettiva di ingresso nell’Unione Europea. Del resto l’Hdp, Partito democratico dei popoli, non è

Un sostenitore del partito filocurdo Hdp festeggia dopo la storica affermazione alle recenti legislative turche. (AFP)

una forza politica soltanto curda. Infatti il partito viene generalmente definito non curdo ma «filocurdo». A Demirtas è riuscita l’impresa di aggregare sotto le sue bandiere non soltanto buona parte della forte minoranza da cui proviene (diciassette milioni, un quinto della popolazione), ma anche gli armeni, gli alauiti e le varie frange contestatrici, dagli attivisti di Gezi Park fino ai militanti dei gruppi omosessuali. Il nuovo venuto sulla scena politica turca è riuscito a fare massa con tutte le forze emarginate dal rude governo di Erdogan e del primo ministro Ahmet Davutoglu: minoranze etniche e strati di opinione ostili all’evoluzione dell’Akp, del quale Erdogan ha progressivamente ridotto il connotato islamico moderato introducendo elementi d’integralismo per proporsi come guida della umma, la comunità transnazionale musulmana. Che poi questa massa di oppositori così assortita potesse riuscire a farsi rappresentare in parlamento pareva una scommessa impossibile. La legge elettorale turca sembra fatta apposta per tenere alla larga minoranze scomode, per impedire il passaggio dalla piazza al parlamento di certe ingombranti opposizioni: prevede infatti una soglia di sbarramento del dieci per cento. O convinci almeno un elettore su dieci o resti fuori. Demirtas e il suo Hdp hanno superato di slancio l’ostacolo, sfiorando addirittura quota tredici e spedendo al Meclis un’ottantina di deputati, per il quaranta per cento donne, altra novità di straordinario rilievo nella Turchia islamica. La chiara prospettiva d’instabi-

lità, legata alla difficoltà che Erdogan riesca a formare un governo di coalizione e dunque alla prospettiva di una burrascosa transizione verso nuove elezioni, si è ripercossa pesantemente sui mercati: borsa in picchiata, moneta in calo. Comunque vadano le cose, pare evidente che l’ambiziosa linea politica del «nuovo sultano», come qualcuno ha chiamato il presidente turco, dovrà essere rivista. È vero infatti che la somma dei voti dell’Akp e dell’Mhp delinea una netta maggioranza dell’opinione pubblica, che in caso di alleanza si tradurrebbe in maggioranza di governo, ma è anche vero che un politico accorto come Erdogan non potrà ignorare che il successo di Demirtas gli impone una nuova attenzione alle aspirazioni di quell’opinione progressista che in città come Istanbul o Smirne è sempre più diffusa, una Turchia giovane che guarda non al passato ma al futuro, intende contrastare ogni tentazione autoritaria e chiede una svolta decisa verso una democrazia compiuta e verso l’Europa. In particolare il successo di curdi e filocurdi, sia pure limitato a una frangia ancora marginale di elettori e di rappresentanti, pone in discussione la politica estera di Erdogan. Sempre più accesamente anti-israeliana, sempre più ambigua sul fronte Isis, un fenomeno che ha il grande pregio, agli occhi del presidente, di tenere impegnate le formazioni militari curde e dunque il Pkk, esorcizzando l’incubo di uno Stato curdo ai confini che potrebbe esercitare un’attrazione magnetica sulla minoranza interna. È notorio che il governo turco lascia passare uomini

e rifornimenti per i jihadisti, mentre nega le sue basi al fronte occidentale impegnato contro il terrorismo. Ma non saranno certo i potenziali alleati di Erdogan, gli eredi dei Lupi grigi, a contestare questa politica. Se questa alleanza dovesse essere lo sbocco finale del voto saremmo di fronte a un paradosso: un parlamento in cui finalmente risuonano voci nuove, voci di gente che guarda verso l’Occidente e l’Europa, e un governo d’impronta autoritaria che s’ispira all’asiatico splendore ottomano e punta all’egemonia regionale. Si deve registrare anche un altro paradosso: proprio mentre i curdi approdano in parlamento, e dunque possono finalmente difendere da una tribuna ufficiale il loro diritto al rispetto e all’autonomia, potrebbe profilarsi un governo Akp-Mhp ostile a proseguire la trattativa che pure Erdogan aveva avviato con i rappresentanti di questa minoranza. Dunque che fine farebbe la questione curda? E la candidatura turca all’Unione Europea, ancora ufficialmente in essere ma di fatto congelata dalle condizioni poste da Bruxelles e dalle ambiguità di Erdogan? Il vice primo ministro Bulent Arinc lancia una proposta: si parla di coalizione? Ebbene provino a coalizzarsi i tre partiti alternativi all’Akp! Se poi non ce la faranno, l’Akp «è pronto a fare la sua parte». Quella di Arinc è un’evidente provocazione, infatti un’alleanza a tre appare davvero impossibile: ve l’immaginate il progressista Demirtas, leader di un partito nato un anno e mezzo fa, aperto a tutti i fermenti liberali della società, guidato con una copresidente femmi-

nista e un copresidente socialista, al fianco del neofascista Bahceli, che sia pure dopo la recente conversione dal nazionalismo etnico a quello culturale è pur sempre a capo di una forza politica, l’Mhp, percepita come militarista e incline alla violenza? Anche fra costoro e i kemalisti del Chp l’intesa appare del tutto improponibile. Resta dunque, sulla carta, la secca alternativa fra un nuovo ricorso al voto e un’alleanza tra i fratelli-nemici dell’Akp e del Mhp. In ogni caso il voto ha duramente compromesso le ambizioni di Erdogan. Moltissimi cittadini sono al suo fianco, ma non abbastanza da conferirgli quei pieni poteri sui quali vorrebbe costruire la nuova Turchia. Che del resto non potrebbe né dovrebbe essere esclusivamente turca. Forse nei palazzi di Ankara (compreso quello faraonico, mille stanze sfarzose, che il «nuovo sultano» si è fatto costruire in un’area vincolata, una realizzazione che ha suscitato accese polemiche e l’accusa d’inguaribile megalomania) non si riflette abbastanza su una realtà storica. Ogni nostalgia volta alle glorie del passato dovrebbe tenerne conto: l’impero ottomano era multinazionale, fatto di turchi, arabi, slavi, curdi, armeni, greci. Anche se certe minoranze, a cominciare dagli armeni, non vi ebbero certo vita facile. Ebbene dopo il voto del 7 giugno è multinazionale anche il parlamento della nuova Turchia. Vorrà tenerne conto Erdogan? Lui che inneggia alle glorie del Saladino, forse dimenticando che il grande condottiero del dodicesimo secolo era di origine curda.


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Politica e Economia

Egitto, il prezzo della sicurezza Guerra al terrorismo Il generale al-Sisi ha superato i livelli di Mubarak nelle persecuzione degli oppositori

identificati come estremisti. Mentre l’Europa fa finta di non vedere per non ritrovarsi un’altra Siria o un’altra Libia

Alessandro Accorsi Un anno fa, quando si apprestava a diventare il nuovo presidente, gli egiziani si aspettavano che Abdel Fattah al-Sisi avrebbe portato a termine la «guerra al terrorismo», garantito maggiore sicurezza e stabilità, rilanciato l’economia. Le cancellerie europee accoglievano il nuovo rais convinte che rappresentasse l’unico baluardo contro il terrorismo islamista. Un anno dopo, con l’ascesa del califfato dello Stato Islamico e il divampare di guerre civili in Iraq, Yemen e Libia, Sisi non perde occasione per rafforzare la sua immagine di paladino della sicurezza e della stabilità. In cambio, il costo da pagare sono migliaia di prigionieri politici, centinaia di vittime civili, l’aumento della repressione poliziesca e la militarizzazione del Paese. Un costo che, machiavellicamente, potrebbe anche essere sostenibile. Ma i risultati sono all’altezza? Il successo maggiore del presidente, probabilmente, è in campo economico. Le agenzie di rating internazionale Moody e Fitch hanno promosso l’Egitto per la prima volta dal 1997. La crescita economica c’è, ma è alquanto cosmetica. «Si basa sullo stesso modello adottato per anni da Mubarak, quando il Pil cresceva di pari passo con la rabbia popolare per la corruzione, l’esclusione economica, le ingiustizie sociali e la mancanza di opportunità per giovani laureati», spiega Fadhel Kaboub, professore di economia alla

Il presidente al-Sisi stringe la mano al nuovo ministro della Giustizia Ahmed al-Zend lo scorso 20 maggio. (Keystone)

Denison University. L’Egitto cresce, ma ad arricchirsi sono soprattutto le società semi-pubbliche e le aziende militari che controllano appalti e progetti. Il costo del taglio dei sussidi statali, dell’incremento dei prezzi di trasporti e generi alimentari ricade sulle fasce più povere della popolazione, mentre il pa-

trimonio degli otto miliardari egiziani più ricchi è aumentato dell’80 per cento dalla rivoluzione. Inutile ricordare come esclusione e ineguaglianze economiche siano il terreno più fertile per la radicalizzazione dei soggetti politici e la crescita del terrorismo. Specialmente, quando i gio-

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vani sono alienati dal processo politico che hanno contribuito a lanciare. E la stabilità? Scioperi e manifestazioni giornaliere sono ormai un lontano ricordo. Il regime sembra avere il controllo della situazione molto più di quanto non riuscisse a Mubarak negli ultimi anni. Ma mentre Mubarak doveva fare i conti con opposizioni interne più o meno organizzate e potenti – o endemiche allo stesso Stato – Sisi ha reso illegali e massacrato i Fratelli Musulmani, messo a tacere, diviso o incarcerato l’opposizione laica e cooptato il potere giudiziario. In nome della propria indipendenza, i giudici tenevano in scacco il regime di Mubarak sotto il profilo del rispetto dei diritti umani. Con Sisi, sono diventati – in nome della stessa indipendenza – una delle armi principali della repressione. Un giudice di Zagazig, nel Delta del Nilo, ha chiamato otto ufficiali di polizia accusati di aver ucciso dei manifestanti «non degli imputati, ma degli eroi» poco prima di assolverli. Il giudice Nagy Shehata, è diventato ormai una star per la velocità con cui respinge prove di innocenza e distribuisce sentenze a morte o all’ergastolo. Talmente tante, talmente severe, da suscitare persino un certo imbarazzo all’interno del regime. Il costo della stabilità? Più di 40’000 prigionieri politici, carceri sature di imputati in attesa di giudizio per mesi, senza prove a carico e, per la maggior parte, sospettati di far parte dei Fratelli Musulmani o di aver violato la cosiddetta «legge anti-proteste». Una legge che punisce qualsiasi assembramento non autorizzato con pene di almeno 3 anni. È così che Ahmed Abdel Rahman è stato condannato a 5 anni di carcere perché, passando nei pressi di una protesta, ha cercato di soccorrere una donna che veniva pestata da poliziotti in borghese. E nei rari casi in cui la protesta è autorizzata la situazione non è molto diversa. Il 24 gennaio 2015, alla vigilia dell’anniversario della rivoluzione, una piccola veglia silente per i martiri di Piazza Tahrir è stata dispersa dai proiettili dalla polizia, in pieno giorno. Shaimaa Sabbag, una giovane attivista di Alessandria, è morta tra decine di passanti che si voltavano dall’altro lato, per paura di subire ripercussioni. Il regime ha tentato in tutti i modi di coprire le responsabilità della polizia accusando dei generici «terroristi» e rimandando a processo i testimoni oculari dell’omicidio. E anche sul fronte della guerra al terrorismo, il governo sembra voler

scambiare i vantaggi a breve termine con i rischi a lungo termine. La definizione di terrorista non distingue tra oppositori politici e estremisti violenti. La «guerra», infatti, è totale. Informa il discorso pubblico, serve da giustificazione per ogni azione o errore dello Stato, limita la libertà di critica e il lavoro dei media. Sono decine i giornalisti egiziani accusati di terrorismo e rinchiusi nelle carceri egiziane. Sono probabilmente centinaia, se non migliaia, secondo Amnesty International le persone sospettate di terrorismo che scompaiono nelle prigioni segrete militari, per poi riapparire mesi dopo in un tribunale con una confessione imparata a suon di torture. E i risultati? Da un lato, la militarizzazione della guerra al terrorismo ha portato all’uccisione dei presunti leader dei due gruppi terroristici più importanti del Paese, Ansar Beit al Maqdis (ABM) e Ajnad Misr. Le operazioni di polizia e quelle militari sono anche riuscite a limitare lo scopo e l’estensione degli attacchi perpetrati dai due gruppi, che non hanno più colpito il cuore del regime come era avvenuto tra il 2013 e il 2014 con una serie di esplosioni al Cairo e con l’attentato all’allora ministro dell’Interno Mohamed Ibrahim. D’altro canto, le nuove circostanze strategiche hanno spinto ABM a rinominarsi «Stato Islamico – Provincia del Sinai», dichiarando la propria affiliazione al califfato di Al Baghdadi e fornendo all’Isis una base in Egitto. La guerra al terrorismo ha, di fatto, sostituito i grandi attacchi spettacolari di ABM e Ajnad Misr con una miriade di ordigni esplosivi improvvisati piazzati da piccoli gruppi terroristici che nascono e muoiono nel giro di poche settimane, continuando però a moltiplicarsi. Secondo il Tahrir Institute for Middle East Policy, nel solo primo trimestre del 2015 si sono registrati 331 attacchi terroristici nel Paese, a fronte di 353 in tutto l’anno 2014. Il terrorismo è diventato talmente normale, che la presenza di ordigni viene segnalata con la stessa applicazione per smartphone usata per segnalare incidenti e ingorghi stradali. Il mantra, ripetuto tanto in Egitto quanto in Europa, è che sia meglio turarsi il naso e tenersi Sisi, piuttosto che avere un’altra Siria o un’altra Libia in Egitto. Ma guardando ai costi e ai risultati viene il dubbio che, tanto in Egitto quanto in Europa, si continui a scambiare la soluzione all’estremismo con la causa stessa del suo dilagare.


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Politica e Economia La Trabant, simbolo della Germania Est, è sopravvissuta solo come attrazione turistica. (Keystone)

Braccio di ferro fra le due Camere Perequazione finanziaria Per i cantoni

paganti il sacrificio è troppo grande, per quelli beneficiari è troppo piccolo. Una proposta di compromesso è attesa a breve Ignazio Bonoli

Un marchio non è per sempre Marketing Per diverse ragioni, alcuni marchi memorabili,

icone del design e della cultura moderna, vengono espulsi dal mercato, fatti semplicemente scomparire

Mirko Nesurini Alcuni marchi nascono e altrettanto velocemente muoiono. Non sempre però essi vengono del tutto dimenticati e anzi capita non di rado che sia loro concessa una seconda possibilità, tornando a occupare il posto che un tempo fu loro. Logo R.I.P. è un libro del 2003, rieditato nel 2012, pubblicato da The Stone Twins, un’agenzia creativa di Amsterdam. Esso è un tributo ai marchi defunti che un tempo furono parte integrante della cultura visuale moderna e delle nostre vite. Gli autori hanno creato una raccolta d’immagini in memoria di quei marchi ormai estinti ma che sono parte della storia del design moderno e sono stati simboli della loro epoca. «The Sunday Times» ha recensito così il libro: «Logo R.I.P. non è solo un viaggio nostalgico ma una seria riflessione sulla fugacità della vita moderna». La vita dei marchi non è quindi eterna, ma complessa sì. Vi sono marchi che si camuffano e altri che tornano, altri ancora che scompaiono per sempre e taluni che nascono con la data di scadenza fissata. Il marchio Germanwings è noto (anche) per la tragedia del 24 marzo 2015 sulle Alpi francesi. Probabilmente per decretare la fine del marchio bastava quell’evento. Ma un incidente aereo non è sempre l’ultimo evento per un marchio, in alcuni casi marchi soggetti a una forte crisi sono tornati attivi con successo. Lufthansa, la compagnia aerea proprietaria della low cost Germanwings, ha deciso invece di procedere con il processo d’integrazione del marchio Germanwings che confluirà in Eurowings. A pensare male si potrebbe immaginare che tale riorganizzazione sia un’invenzione post tragedia. Noi non pensiamo male e accettiamo la verità proposta ai cronisti dalla Lufthansa e cioè che il processo di riorganizzazione «non ha a che vedere con l’incidente dell’A320». L’obiettivo è di creare «un marchio più europeo e meno legato al mercato tedesco» fanno sapere dagli uffici di Colonia. Altro caso di camouflage: c’erano i telefonini Sony e i telefonini Ericcson (mitico il T28, super compatto, con il

copri-tastiera a «barchetta»). Poi sono arrivati sul mercato i telefonini Sony Ericcson. Due marchi che nulla avevamo a che fare tra loro sono divenuti un unico marchio che ha cercato di mettere una pezza sulle performance non fantastiche dei predecessori (Sony). Come dire, uniamoli che magari usciamo dalla pressione commerciale e innovativa dei concorrenti senza troppi danni. In seguito è arrivato sul mercato il cellulare Sony Xperia. Con la caduta del muro di Berlino abbiamo conosciuto la Trabant, auto simbolo della Repubblica Democratica Tedesca. Dopo qualche articolo romantico e qualche apparizione sulle strade europee il vecchio cimelio scomparve. Oggi però la mitica auto diventa elettrica con uno speciale kit che la rende eco-compatibile così da circolare senza vincoli anche nel centro storico delle città. La nuova e-Trabi è un’idea dell’azienda di energia del Meclemburgo, Wemag, con la sua controllata ReeVOLT. Secondo Andre Schmidt, portavoce ReeVOLT, l’acquisto è un buon affare «costa circa 15’000 Euro, la metà di una Bmw i3». Quello di Trabant è un caso di brand revival, cioè la rinascita di un brand collegato a un prodotto di un periodo storico anteriore aggiornato agli standard contemporanei di prestazione, di funzionamento e di gusto. In genere il consumo di retro brand dà all’utente maturo la percezione di non invecchiare, viaggiando indietro nel tempo e sentendosi di nuovo giovane. C’è una grande carica d’idealizzazione dietro questo fenomeno per cui, soprattutto in epoche di crisi, i tempi passati si ricordano come età dell’oro e gli oggetti che vi appartengono ne beneficiano di riflesso. La capacità di trasformare un prodotto vecchio in un «classico» è senz’altro uno dei principali requisiti per valutare le possibilità di successo di un brand che dorme, comunque già conosciuto dal pubblico e che richiede perciò minori investimenti pubblicitari e di comunicazione per (ri)creare consapevolezza nei potenziali acquirenti. A un certo punto è scattata la moda delle contrazioni. Harley Davidson è diventata Harley. Federal Express è diventata FedEX e Dolce&Gabbana è diventato D&G. Ve le ricordate le mu-

tande che spuntavano dai pantaloni per mettere in bella vista il marchio di culto della moda milanese? Lasciamo stare lo stile discutibile, il successo fu enorme. D&G, nato per offrire ai giovani una moda di qualità a prezzi più accessibili, è stato riassorbito nel 2011 dalla casa madre. La poca differenza che si riscontrava tra le due linee (D&G e Dolce&Gabbana) ha fatto emergere la necessità di fare del due uno. Con la scomparsa di D&G la griffe milanese ha avuto gioco facile nel posizionarsi verso l’alto nel settore del lusso. Dolce&Gabbana si presenta oggi come «il nuovo lusso, autentico e non convenzionale». «Uno stile inconfondibile che stagione dopo stagione coniuga una spiccata tendenza all’innovazione con l’impronta mediterranea delle origini». Un posizionamento che ha poca attinenza con le mutande brandizzate D&G che spuntano dai pantaloni calati alla moda giovane. Alcuni marchi nascono sapendo che avranno vita breve. I marchi dei grandi eventi sono un esempio. In questi mesi è in corso Expo. Tutti conoscono l’evento e di conseguenza il marchio con le lettere colorate. Dal 30 ottobre sarà un marchio senza scopo. Da cestinare. Resteranno solo i ricordi. Il marchio Expo ha una natura speciale, rappresenta un evento collettivo quindi è di tutti i cittadini che possono utilizzarlo (a determinate condizioni). In altri termini, è un brand che vince se riesce ad includere. Come? Dotandosi di modalità di utilizzo semplici e di un sistema di tutela e successivamente di licenze d’uso aperto. Expo Milano 2015 deve raggiungere la massima visibilità in poco tempo, quindi ha uno scopo determinato e lo scopo è collettivo perché se Expo Milano 2015 sarà un successo, i benefici ricadranno su tutti i cittadini, le istituzioni e i partner di vario genere. Un marchio non è dunque per sempre. Anche se è davvero difficile dimenticarne alcuni. Si tratta di quei marchi che sono entrati nella nostra memoria perché hanno avuto un ruolo importante nella nostra infanzia o nella nostra vita. Quelli sì, rimarranno per sempre nella nostra memoria e quando qualcuno deciderà di riesumarli, saremo felici di accoglierli.

Sta per giungere a conclusione (ma mentre scriviamo un voto finale non c’è ancora stato) il lungo tira e molla per l’impostazione della nuova perequazione finanziaria intercantonale (PFI). Da tempo infatti i cantoni paganti (quelli più ricchi) chiedevano di ridurre la loro quota di partecipazione alla PFI, mentre i meno fortunati volevano mantenere gli standard attuali. La Confederazione, dal canto suo, ha accettato in parte le richieste dei cantoni paganti, riducendo per il periodo 2016-2019 di circa 330 milioni di franchi la compensazione degli oneri, che ammonta a 3,8 miliardi. Di questi 330 milioni, 196 sarebbero risparmiati dalla Confederazione, 134 dai cantoni paganti. Questi ultimi sono però soltanto nove, mentre quelli riceventi sono 17. Da notare che il Ticino si muove sempre sul filo del rasoio, nel senso che talvolta riceve e talvolta paga. Quest’anno è tra i beneficiari. Questa situazione ha dato luogo a una profonda divergenza tra il Consiglio Nazionale (dove i deputati sono eletti in base alla popolazione di ogni cantone) e il Consiglio degli Stati, nel quale ogni cantone ha due rappresentanti. Evidentemente i cantoni paganti (tra i quali Zugo e Zurigo, ma anche Svitto) hanno la maggioranza nella Camera del popolo, mentre quelli riceventi ne godono al Consiglio degli Stati. Per ben due volte quest’ultimo ha rifiutato la proposta del Consiglio federale, avallata dal Nazionale. Il progetto tiene comunque conto che anche il più povero fra i cantoni possa disporre almeno dell’85 per cento della media delle risorse per abitante. Con il canton Uri che dispone ancora dell’86,7 per cento, l’obiettivo della perequazione finanziaria è raggiunto anche con la diminuzione dei contributi prevista dal Consiglio federale. I rappresentanti dei cantoni alla Camera alta non sono però di questo parere, poiché ritengono che le differenze rispetto ai cantoni più fortunati non siano diminuite, ma anzi siano aumentate, anche a causa del cosiddetto «federalismo fiscale». Essi rimproverano infatti ai cantoni più ricchi di applicare aliquote d’imposta inferiori e attirare così buoni contribuenti. Il rimprovero va soprattutto a Zugo e Svitto, che pur disponendo di grandi risorse stanno peggiorando i loro bilanci. Una conferma della tendenza è venuta proprio negli scorsi giorni dal-

la pubblicazione dei dati definitivi dei consuntivi cantonali. Da questi si evince che cantoni come Zurigo, Zugo e Svitto chiudono i bilanci 2014 con un disavanzo perfino superiore a quello preventivato. Molti cantoni sono invece riusciti a compensare il mancato versamento dell’utile della Banca Nazionale, grazie a un aumento della pressione fiscale. È quindi sintomatico che proprio due dei cantoni che danno il maggior contributo alla PFI (Zugo e Svitto) chiudano i bilanci 2014 con un deficit in aumento: 139 e 211 milioni di franchi. D’altro canto è altrettanto sintomatico che il maggior beneficiario della PFI, cioè il canton Berna, possa chiudere i conti con un consistente attivo (211.6 milioni). Ma anche la presentazione dei conti dei cantoni, benché oggi largamente armonizzata, si presta a qualche considerazione particolare, nell’ambito della perequazione delle risorse. Per esempio Argovia e San Gallo hanno contabilizzato 80 milioni di capitale proprio o delle riserve di compensazione per abbellire i conti. Il canton Vaud ha invece accantonato 599 milioni per evitare di presentare un forte avanzo d’esercizio. Comunque, secondo l’istituto di ricerche BAK di Basilea, entro il 2019, le spese dei cantoni aumenteranno di 28 miliardi all’anno e sarà difficile compensarle con le entrate. Cifre che creano non poche preoccupazioni presso i cantoni che si vedono ridurre i contributi della PFI. Per porre fine al braccio di ferro fra le due Camere, la Conferenza dei Governi cantonali ha trovato l’accordo su una proposta che prevede un risparmio di 98 milioni per la Confederazione (invece di 196) e di 67 milioni per i cantoni paganti (invece di 134). In questo caso, ai cantoni riceventi si sono aggiunti anche Basilea-Città e Vaud. Non è però detto che il Consiglio degli Stati (che deve esprimersi proprio oggi), che finora ha respinto due volte la precedente proposta, accetti ora il compromesso. La proposta deve poi tornare al Nazionale (dove l’accordo è più probabile). Nel frattempo si è però aperto un nuovo fronte: quello della Legge sulla tassazione delle imprese III, che toglie risorse ai cantoni paganti. La Confederazione vuole compensare queste perdite con una partecipazione alle sue entrate del 20,5 per cento, invece del 17. Rivedendo poi la PFI per i cantoni più deboli si otterranno 200 milioni in più. Basteranno? Un nuovo movimento rivendicativo non è da escludere.

Le bandiere cantonali esposte sulla facciata di Palazzo federale: è qui che vengono decisi gli equilibri finanziari fra i cantoni. (Keystone)


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Politica e Economia

Il regno su cui non tramonta il sole La forza del dollaro Nonostante la crescente concorrenza, la moneta americana pare tuttora insostituibile.

Un’analisi dei motivi di tale successo economico Edoardo Beretta La percezione, secondo cui il dollaro statunitense goda di una condizione particolare, non è nuova – anzi, è confermata dalla prassi quotidiana. Infatti, ciò, che per l’americano medio è colloquialmente il buck («verdone»), rappresenta per il resto del mondo una riserva di valore spendibile internazionalmente e la più liquida fra le valute, in cui gran parte delle materie prime (i cui prezzi sono fondamentali per l’andamento economico globale) è denominata. A ben guardare, il dominio monetario americano è sì frutto delle decisioni della Conferenza di Bretton Woods (1944) e della successiva demonetizzazione dell’oro (1971), ma è ancor più conseguenza dell’incondizionata predisposizione con cui le nazioni hanno finora accettato lo status quo. Se si prescinde dalle recenti richieste cinesi di beneficiare di un maggior peso all’interno delle istituzioni monetarie internazionali o dalla neo-fondata Asian infrastructure investment bank

(Aiib), che si pone come contrappeso al Gruppo della Banca Mondiale, solo all’Euro è stato riconosciuto il potenziale di concorrente della moneta americana: del resto, per dimensioni geografiche e fruitori, la moneta unica europea avrebbe avuto – almeno in teoria – tutti i numeri per divenire presto un suo insidioso competitor. In realtà, la situazione attuale appare ben diversa: l’«avvitamento» ormai cronico dell’Eurozona su Grexit, debiti pubblici e politiche economiche è sì tipico di uno spazio monetario profondamente disomogeneo, ma, altrettanto certamente, è fonte di turbolenze finanziarie. Alla ricerca continua del bene scarso chiamato «stabilità», la finanza internazionale (già americocentrica di per sé) si è ancor più ripiegata sugli USA, contribuendo ad uno dei più mirabili cambi d’immagine degni del miglior crisis manager, cioè trasformando gli Stati Uniti da «culla» della crisi economico-finanziaria globale (2007-2008) ad esortatore redento dell’Area Euro e della sua languida ripresa (2012-oggi):

Utilizzo internazionale delle valute 1998 Dollaro statunitense (1) 86,8% Euro (2) … Yen giapponese (3) 21,7% Sterlina inglese (4) 11,0% Dollaro australiano (5) 3,0% Franco svizzero (6) 7,1% … … Renminbi (9) 0,0% … … TOTALE 200%

2001 89,9% 37,9% 23,5% 13,0% 4,3% 6,0% … 0,0% … 200%

2004 88,0% 37,4% 20,8% 16,5% 6,0% 6,0% … 0,1% … 200%

2007 85,6% 37,0% 17,2% 14,9% 6,6% 6,8% … 0,5% … 200%

2010 84,9% 39,1% 19,0% 12,9% 7,6% 6,3% … 0,9% … 200%

2013 87,0% 33,4% 23,0% 11,8% 8,6% 5,2% … 2,2% … 200%

Fonte: Banca dei regolamenti internazionali (2013), Triennial Central Bank Survey – Foreign exchange turnover in April 2013: preliminary global results, http://www.bis.org/publ/rpfx13fx.pdf

più precisamente, già nel 2011 secondo il presidente USA sarebbe la crisi dell’Eurozona a spaventare il mondo. Da un punto di vista prettamente monetario, una simile posizione di potere è ascrivibile all’apparente irreplicabilità degli Stati Uniti d’America quale potenza economica e principale nazione a valuta di riserva internazionale. Ad esempio, i Diritti Speciali di Prelievo (DSP) già in vigore dal 1969 e creati dal FMI sono lungi dall’essere moneta internazionale utilizzabile negli scambi commerciali/finanziari con l’estero, sebbene secondo molti economisti ciò rappresenterebbe un primo passo per riequilibrare lo svantaggio competitivo (strutturale) subìto dai Paesi non a moneta «forte», che devono procurarsi onerosamente (tramite esportazioni commerciali nette o nuovo indebitamento) le divise necessarie per i propri acquisti internazionali. Parimenti, la Cina non dispone ancora di tutte le caratteristiche per insidiare efficacemente gli Stati Uniti da un punto di vista (oltre che economico) culturale, politico e sociale: di conseguenza, il renminbi, cioè la moneta cinese, è tutt’al più percepita come alternativa al dollaro nei soli scambi regionali (ad esempio, Hong Kong), ma lo è difficilmente in qualità di riserva di valore. Del resto, è sufficiente osservare i dati sull’utilizzo internazionale delle monete dei singoli Paesi per avvedersi come quella americana funga da apripista con largo distacco rispetto alle altre: presupponendo il coinvolgimento di due valute in una transazione internazionale – motivo, per cui la totalità delle monete dia il 200 per cento nella tabella riportata –, i dati indicano chiaramente come il dollaro sia coinvolto in quasi metà dei pagamenti esteri (87 di 200 per cento). I motivi di tale successo non sono, evidentemente, molto diversi da quelli del modello culturale ameri-

L’ineguagliabile fascino del dollaro. (Keystone)

cano, che «strega» dal Secondo Dopoguerra e a cui i più – dai Paesi post-industriali a quelli emergenti – aspirano. Ne consegue, ad esempio, che la moneta statunitense e i relativi T-Bill o TBond, cioè i principali titoli di debito pubblico, siano ancora considerati (nonostante il debito estero pari a 17’114 miliardi di dollari) un porto sicuro. Il segreto di tale risultato, più che attribuibile a fondamentali economici, è attualmente anche dovuto all’autostima americana secondo il sempre attuale motto ripreso ora nella campagna elettorale di Hillary Clinton: everyday Americans need a champion and I want to be that champion («l’americano medio ha bisogno di un campione ed io voglio essere quel campione»). Si pensi solo alla prontezza, con cui Ben Bernanke alla guida della Fed osò tagliare agli inizi della crisi economico-finanziaria globale i tassi centrali d’interes-

se da 5,25 per cento a 0,25 in poco più di un anno (agosto 2007 – dicembre 2008). Il principale competitor del dollaro rimarrebbe sì l’Euro, ma quest’ultimo appare minacciato dall’inefficace risoluzione della crisi del debito sovrano e dal rischio di defezione di alcuni Paesi membri. Poiché la stabilità economica è spesso legata a fattori psicologici e reputazione delle nazioni coinvolte (piuttosto che all’effettivo stato di salute), è indispensabile che l’Eurozona riscopra al più presto la consapevolezza economica e sfrutti proprio la sua eterogeneità come nuovo punto di forza: per così dire, reputazione e affidabilità nord-/mitteleuropee combinate a duttilità mediterranee. Una volta riconosciuto il proprio potenziale e ridisegnate le politiche comuni, l’Area Euro, la sua economia e moneta potrebbero rappresentare un connubio tale da competere seriamente con Re Dollaro.

Grosse disparità tra i sessi nella previdenza La consulenza della Banca Migros

Albert Steck Ogni anno i nostri istituti di previdenza pagano rendite di vecchiaia per oltre 50 miliardi di franchi. Quanto di questa somma ricevono le donne e quanto spetta agli uomini? Dalla nostra analisi emerge che esiste una notevole disparità. E il divario si riduce solo lentamente.

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

La discriminazione a livello retributivo tra uomini e donne è un argomento molto discusso, di conseguenza le autorità rilevano accuratamente l’evoluzione di questo divario e i fattori responsabili. Nella previdenza la situazione è molto diversa: cercare una valutazione ufficiale della parte che spetta alle donne e di quella degli uomini è un’impresa vana. Eppure c’è in ballo parecchio denaro. Nel solo 2013 l’AVS e la previdenza professionale hanno pagato rendite di vecchiaia per 52 miliardi di franchi. E questa somma aumenta di 1,5 miliardi l’anno. Cerchiamo dunque di fare un po’ di luce nella distribuzione tra i sessi dei fondi della previdenza: per il maggiore dei due istituti, l’AVS, il 58 percento dei 32 miliardi di franchi di rendite di vecchiaia va alle donne (v. grafico). Il motivo principale della prevalenza femminile è la più lunga aspettativa di vita: le donne vivono infatti tre anni di più in media. Dal momento che il primo pilastro è finanziato secondo il principio di ripartizione, le donne be-

Diversi beneficiari del primo e del secondo pilastro

%

%

AVS Rendite annue per la vecchiaia: 32 miliardi di franchi

%

Previdenza professionale Rendite annue per la vecchiaia: 20 miliardi di franchi

%

Donne Uomini

L’AVS versa ogni anno 32 miliardi di franchi in rendite di vecchiaia. Le donne ricevono il 58 percento. Delle rendite della previdenza professionale, invece, alle donne va solo il 22 percento. La somma del primo e del secondo pilastro è quindi la seguente: dei 52 miliardi di franchi di rendite di vecchiaia gli uomini riscuotono 29 miliardi e le donne 23.

neficiano inoltre dei contributi salariali più elevati degli uomini. In modo esattamente opposto sono distribuiti i pesi nel secondo pilastro, dove ben il 78 percento delle rendite di vecchiaia va agli uomini e solo il 22 percento alle donne. Come si spiega questa disparità? Nella previdenza professionale la rendita dipende dall’ammontare dei versamenti effettuati, ai quali il datore di lavoro

contribuisce per almeno la metà. La quota notevolmente più bassa delle donne rispecchia quindi il tasso d’attività professionale e lo stipendio medio inferiore. Il divario si sta colmando, ma molto lentamente: dieci anni fa le donne percepivano solo il 18 percento delle rendite versate. Dalla nostra valutazione emerge che il rischio di una carente previdenza per la vecchiaia è maggiore tra le donne.

Qui occorre considerare alcuni fattori particolari, tra cui la trattenuta di coordinamento nel lavoro a tempo parziale oppure le conseguenze di un divorzio. In Internet, all’indirizzo blog.bancamigros.ch vi spiego molto concretamente le possibili insidie della previdenza e com’è possibile porvi rimedio. Trovate questi consigli sotto il titolo «Sette consigli in materia di previdenza per le donne – e per gli uomini».


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Ticino: economia della terza età Grazie alla dolcezza del suo clima, la regione è attrattiva per i turisti e per i pensionati. Guadagna abitanti. La sua economia cresce. Le costruzioni, la gestione immobiliare, il commercio al dettaglio, l’industria alberghiera, ma anche i settori della salute e del sociale possiedono quote nell’occupazione superiori alla media nazionale. Questo scenario dello sviluppo sembra essere molto positivo. La crescita dell’economia è però accompagnata dall’invecchiamento demografico. E questo non è per niente positivo. Domanda: di che regione stiamo parlando? Il Ticino? No, caro lettore, stiamo parlando della Florida e del suo sviluppo più recente. È la «Neue Zürcher Zeitung» ad attirare la nostra attenzione sulle influenze negative che l’invecchiamento della popolazione può avere sullo sviluppo di una regione. Rispettate le differenze nelle dimensioni e nei modi di vita, le valutazioni fatte per la Florida

possono applicarsi anche al caso del Ticino. Intanto osserviamo che, come in Florida, anche in Ticino è l’immigrazione a giocare un ruolo essenziale nella crescita della popolazione e nel suo invecchiamento. Se non fosse per il saldo migratorio positivo, la popolazione residente, oggi, non aumenterebbe più. Anzi, anno più, anno meno, tenderebbe a diminuire. Il problema è però che, oggi, neppure con l’immigrazione il Ticino riesce ad arrestare l’invecchiamento della sua popolazione. La popolazione del canton Ticino invecchia rapidamente ed è ai primi posti della classifica nazionale per quel che riguarda l’importanza della quota di anziani nella popolazione. Ancora nel 1990, la quota dei giovani con meno di 20 anni e quella degli anziani con più di 60 anni si equivalevano (21% i primi e 22% i secondi); nel 2012, invece, i giovani non rappresentavano più che il 19% della popolazione, mentre

la quota degli anziani era già salita al 27%. Negli ultimi 25 anni, quindi, non solo i giovani, ma anche la popolazione attiva hanno perso di importanza nel totale della popolazione. A crescere è solo la quota degli anziani. Notiamo poi che, all’interno della popolazione anziana, la quota degli ultraottantenni, che è la popolazione che ha le esigenze maggiori in materia di assistenza sociale e di cure mediche, tende ad espandersi ancora più velocemente della quota degli anziani in totale. Questa accelerazione del processo di invecchiamento demografico deve essere attribuita non solo al fatto che il saldo naturale (nascite meno decessi) è nullo o negativo, ma anche e soprattutto al fatto che negli effettivi di immigranti la quota degli anziani è relativamente elevata. Sì, pare proprio che oggi il Ticino sia restato attrattivo solo per i pensionati. Questo tra l’altro perché, contrariamente agli altri can-

toni, nell’ultimo decennio, in Ticino, invece di assumere lavoratori stranieri che si insediavano da noi con le loro famiglie, si è preferito reclutare frontalieri. In una regione la cui popolazione invecchia aumentano la domanda di alloggi, quella per prestazioni sanitarie e sociali, quella di mezzi di trasporto e molti altri beni e servizi da concepire appositamente per gli anziani. Si tratta in generale di beni e servizi prodotti in rami a bassa produttività e a bassi salari. La loro domanda aumenta più rapidamente che il resto della domanda globale. Di conseguenza anche la loro quota nell’occupazione aumenta esercitando così un effetto rallentatore sulla crescita della produttività e dei salari. I salari ticinesi crescono più lentamente di quelli del resto della Svizzera e i frontalieri continuano, in tendenza ad aumentare. E non finisce lì! I pensionati e i rentiers, che immigrano, dispongono in generale di

redditi elevati e tendono a concentrarsi nelle zone più attraenti del cantone. Si tratta delle stesse zone che sono frequentate dai turisti. In queste zone i prezzi dei terreni lievitano e gli affitti aumentano. I ticinesi, che dispongono di meno risorse, non possono più pagare i prezzi dei terreni e gli affitti di queste zone e sono obbligati a spostarsi verso le zone periferiche andando così ad ingrossare i flussi di pendolari che, pilotando le loro auto, affluiscono giornalmente verso gli agglomerati urbani dei laghi. I problemi posti dall’invecchiamento della popolazione sono tanti. È anche possibile che le difficoltà finanziarie del settore pubblico siano, non da ultimo, attribuibili al fatto che, per effetto dell’invecchiamento della popolazione, le entrate fiscali delle persone fisiche non aumentano che molto lentamente. Ah, se si potesse scoprire, in una delle nostre valli, la fonte della giovinezza!

candidature, a cominciare dalla mossa di piazzare cinque giovani donne come capilista. Stavolta i candidati Renzi li ha più subìti che scelti. In particolare i due «governatori» del Sud, Vincenzo De Luca in Campania e Michele Emiliano in Puglia. A lungo il premier ha cercato di fermare De Luca con una candidatura condivisa da tutto il partito, ma non ci è riuscito. Quanto a Emiliano, qualcosa dev’essere successo tra i due, se l’ex sindaco di Bari è passato da ministro della Giustizia in pectore nei giorni concitati della formazione del governo Renzi a candidato ignorato per tutta la campagna elettorale (Emiliano ha pure detto di non aver ricevuto neppure una telefonata di congratulazioni dopo la schiacciante vittoria). In realtà, Renzi non ha vinto le regionali. Anche se non si può dire che le abbia perse. È paradossale, considerato che il centrosinistra ora governa in tutte le regioni italiane tranne tre; ma si può dire che il voto abbia rappresentato una

campana d’allarme per il premier e per il suo partito. Il Pd è passato dal 38 per cento al 15 in Veneto, ha perso in Liguria dove c’è la città più di sinistra d’Italia (che non è Bologna ma Genova), ha rischiato di perdere in Umbria. Questo non significa che il renzismo sia finito, anzi: le prossime politiche le vincerà senza troppi problemi Matteo Renzi. Perché gli italiani non sono pronti al suicidio collettivo di affidarsi a Matteo Salvini. Il quale non può vincere le elezioni, a meno di un rinsavimento suo o di un rimbambimento collettivo. Ma è ormai abbastanza forte per soffocare sul nascere qualsiasi altra leadership a destra. Intendiamoci: le incognite sono molte. Una crisi internazionale, tipo la tempesta finanziaria dell’autunno 2011 che costò Palazzo Chigi a Berlusconi (altro che complotto). Un’alleanza al secondo turno, tutt’altro che da escludere, tra Salvini e Grillo. Una lacerazione a sinistra, dove un centrista come Renzi

lascia ampio spazio. Soprattutto, il logoramento che inevitabilmente colpisce chi è al governo in tempi difficili. Per questo difficilmente Renzi aspetterà il 2018 per chiamare le elezioni: basterà attendere la riforma del Senato, che certo dopo le regionali si complica, e il referendum confermativo; a quel punto il ricorso al voto anticipato diventerà naturale. C’è una sola arma con cui la destra può rovesciare il tavolo: l’immigrazione e la sicurezza. È questa la vera incognita per Renzi. È vero che l’Italia l’anno scorso ha accolto meno di metà dei 150 mila migranti accolti dalla Germania. Ma ormai l’immigrazione è diventata una sorta di psicosi. Da una parte c’è la rotta di Lampedusa, che è una questione seria, drammatica. Dall’altra c’è lo sfruttamento mediatico che se ne fa, con i «governatori» di centrodestra che rifiutano di accogliere altri stranieri. Un terreno su cui Renzi può solo perdere: se fa il duro si scopre a sinistra, se fa il buono si scopre a destra.

nemico della civiltà, ossia la Germania di Guglielmo II. Libri e mostre recenti hanno ricordato come fosse stato arduo, in quel quadriennio cruciale, mantenere un atteggiamento coerentemente neutrale. Già le alte sfere dell’esercito erano tutt’altro che imparziali. Il generale Ulrich Wille non nascondeva le sue simpatie per il modello prussiano, la cui base di addestramento era rappresentata dal «Drill», metodo ferreo che riduceva il soldato a burattino nelle mani degli ufficiali. Inoltre due graduati dello Stato maggiore non esitarono a trasmettere documenti confidenziali ai servizi segreti militari tedeschi e austriaci («affare dei colonnelli»). La conclusione della guerra, nel novembre del 1918, e le proposte del presidente Woodrow Wilson di creare «un’associazione generale delle nazioni» indussero anche la Svizzera a ripensare il concetto di «neutralità integrale» fino ad allora osservato. Artefice del ri-orientamento fu Giuseppe Motta, titolare del Dipar-

timento politico, sorretto dal convincimento che pure i neutrali dovessero attivamente partecipare alla ricostruzione materiale e morale del continente. Cosicché il 16 maggio del 1920 il popolo si espresse a favore dell’adesione alla Società delle Nazioni, eleggendo Ginevra a sede naturale del consesso. La votazione inaugurava l’era della «neutralità differenziata», concetto in realtà non meno problematico di quello precedente, perché costringeva le autorità a calibrare gli interventi in base agli impegni, alle convenienze e alle necessità dell’ora (sanzioni militari inflitte a Paesi confinanti, come l’Italia di Mussolini). E infatti nel 1938 Motta decise di tornare alla neutralità integrale, ritenendo insostenibili gli obblighi imposti dalla Società delle Nazioni, un’organizzazione, d’altra parte, che dopo l’ascesa di Hitler al potere si era rivelata incapace di tener fede ai nobili propositi iniziali. Ma era un fallimento che spianava la strada ai dittatori, ai progetti di una nuova, terrificante carneficina mondiale.

In&outlet di Aldo Cazzullo Una campana d’allarme per il Pd Per Matteo Renzi (foto) le elezioni regionali sono state la prima vera battuta d’arresto. Lui stesso presagiva il pericolo. «Vinciamo ste c. di regionali e andiamo avanti» aveva detto al suo

staff. Non erano le europee, quando la sua leadership per la prima volta era stata messa alla prova, quando si sceglieva fondamentalmente tra lui e Grillo, e aveva potuto scegliere lui le

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Neutralità: i tormenti di una scelta Nessuno, apparentemente, si affida più al detto ciceroniano «la storia è maestra di vita». Insegnasse davvero qualcosa, si sostiene, non saremmo a questo punto, con sempre nuovi conflitti, massacri, colpi di stato, violenze e soprusi di ogni genere e in ogni angolo del mondo. In realtà la storia qualche lezione la impartisce. Solo che trova alunni sordi o distratti, oppure aule vuote. La storia, insomma, è noia, polvere e umidità, salvo poi ricomparire nel salotto buono quando incontra gli interessi della politica. In questo caso il cortocircuito è assicurato, con risultati che lasciano interdetti coloro che il passato lo studiano con metodo e scrupolo. Il termine «neutralità» non sfugge a questo destino. In questi mesi – in occasione della commemorazione del cinquecentenario della battaglia di Marignano (1515) – l’Unione democratica di Centro ha avviato una campagna anche su questo fronte, sostenendo che la politica neutrale della Confederazione prese avvio proprio all’in-

domani di quella disfatta. Tesi subito contestata dagli storici più accreditati, come Thomas Maissen. Edgar Bonjour (1898-1991), autore di un’opera sul tema in nove volumi, collocava la genesi della scelta nel 1674, «anno in cui la Dieta aveva dichiarato che il comportamento del “Corpo elvetico” sarebbe stato quello di uno Stato neutrale il quale, in nessun caso, si sarebbe immischiato nella guerra generale. (...) Volere però ora per esempio dedurne che la neutralità, questa legge fondamentale dello Stato e della vita svizzeri, sia stata creata con quell’unico atto di volontà sarebbe arbitrario». Naturalmente proclamare la neutralità non basta: occorre anche che questa venga riconosciuta dalla comunità internazionale. Un passaggio decisivo in questo senso ebbe luogo con il congresso di Vienna (1815), nel corso dei negoziati per riappacificare il continente dopo le imprese di Napoleone. I diplomatici scorsero nella Lega confederata plurilingue un’ideale intercapedine al-

pina alla quale assegnare il compito di attutire le tensioni che periodicamente nascevano tra i vari principati europei. Cogli anni questo compito si trasformò in «missione», in volontà di perseguire la pace, il mutuo soccorso e la collaborazione tra i popoli: era la Croce Rossa, istituzione che riprendeva i colori della Confederazione, invertendoli. Il banco di prova decisivo si ebbe comunque nella prima metà del Novecento, prima nel 1914 e poi nel 1939. In entrambi i casi il governo centrale ribadì la neutralità del Paese, ben sapendo che alle porte premevano forze soverchianti, e che il principio in sé non sarebbe bastato ad ammansire il potenziale aggressore. Il caso del Belgio, invaso e devastato dalle truppe tedesche dirette a Parigi, dimostrava che di fronte alla politica di potenza non c’era nulla da fare. E infatti l’immolazione del Belgio sollevò non pochi timori, soprattutto nelle regioni latine della Confederazione, portate per ragioni di lingua e cultura a schierarsi con la Francia contro il


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Cultura e Spettacoli La voce dei bambini A colloquio con Jacqueline Zünd, vincitrice del 5. concorso Documentario-CH del Percento culturale Migros

Controverso Truman Capote era molte persone in una sola: in un libro la parola a chi l’ha conosciuto pagina 41

Nostalgie e altre perle Esce per Castelvecchi il meraviglioso Ragazzo di Manhattan di Katharine Brush

Le note della rivoluzione L’esperto musicale Enzo Guaitamacchi ripercorre la storia del rock

Nominare l’inferno Pubblicazioni Nel ventennale della morte di E.M. Cioran, l’editore Archinto pubblica un epistolario

pagina 43

Daniele Bernardi

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Quel che resta dell’arte classica

La grave insonnia di Cioran ha portato a un confronto nuovo con il tempo e a un’altra percezione del pensiero

Mostre Duplice mostra della Fondazione

Prada a Milano e Venezia

Gianluigi Bellei L’asse che ruota intorno all’arte quest’anno si snoda fra Milano e Venezia. Milano per via di Expo 2015 e Venezia per la Biennale. C’è una mostra che è dislocata in ambedue le città e che vale proprio la pena vedere se si intraprende questo viaggio fra le meraviglie. Si tratta di un percorso curato da Salvatore Settis per la Fondazione Prada incentrato sulla serialità e sulla copia in scala ridotta nell’arte classica. Un’idea inusuale e sicuramente piacevole e istruttiva sia per gli esperti sia per i neofiti. Nulla di meglio dopo la visita ai bronzi ellenistici in corso a Palazzo Strozzi di Firenze (vedi «Azione» 18 maggio 2015) e, per chi se la fosse persa, La forza del bello a Palazzo Te di Mantova del 2008, sempre curata da Salvatore Settis (vedi «Azione» del 10 giugno 2008). In questo caso si tratta di un’indagine sull’idea del bello e del classico che nei secoli si è sviluppata in assenza degli originali dei quali tutti parlano e scrivono ma che sono per lo più andati distrutti. Infatti la maggior parte della statuaria greca è stata fusa per fare cannoni o altro e le statue presenti nei vari musei del mondo sono solo delle ricostruzioni romane o rinascimentali riprodotte o assemblate seguendo un’idea o una probabilità piuttosto che una reale analisi della realtà. Il Doriforo di Policleto come lo immaginiamo e vediamo è, per esempio, solo il frutto di un’idea ottocentesca un po’ platoniana e non sicuramente la copia esatta dell’originale. Lo stesso si può dire per il Discobolo di Mirone, che probabilmente corrisponde a una statua completa scoperta nel 1781, il cosiddetto Discobolo Lancellotti, ma del quale oggi abbiamo innumerevoli teste e dorsi diversi identificati come tale. Partiamo da Milano. La mostra è l’occasione per presentare il nuovo spazio della Fondazione Prada a sud di Milano dopo Porta Romana. L’architetto Rem Koolhaas di Rotterdam – che ha una cattedra alla Harvard University e che nel 2014 ha diretto la 14. Mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia e che da sempre collabora con la Fondazione Prada – ha realizzato la ristrutturazione di questo

spazio industriale in disuso che ospitava nei primi anni del Novecento una distilleria. «Non un’opera di conservazione e nemmeno l’ideazione di una nuova architettura», scrive Koolhaas, bensì la coesistenza di queste due dimensioni. Ristrutturazione dei vecchi spazi (magazzini, laboratori e silos) e creazione di tre nuovi edifici con al centro del cortile principale una struttura di due piani, uno dei quali tutto in vetro. La superficie totale del complesso è di 18’900 metri quadrati, mentre quella aperta al pubblico di 12’300. Il nuovo spazio ruota attorno agli interessi principali della Fondazione che sono la letteratura, il cinema, la musica, la filosofia, l’arte e la scienza. A Milano la mostra è intitolata Serial Classic e presenta l’assenza degli originali perduti mediante dei piedistalli di marmo vuoti con sopra impressa la sagoma delle sculture, in questo caso il Discobolo di Mirone, il Dorifero di Policleto e il Satiro di Prassitele. In una teca poche decine di frammenti originali: occhi, dita, ciglia, orecchie… E pensare che secondo Plinio il Vecchio nella sola Olimpia vi erano tremila statue in bronzo. Accanto a delle copie del Discobolo, della Venere accovacciata, della serie dei busti in argilla di Madma, dei Satiri, due statue di Pothos, figlio di Afrodite, troviamo due esperimenti sul colore. Sì, perché in origine i bronzi e i marmi non erano come oggi li vediamo, neoclassicamente bianchi, bensì colorati. Un Apollo di Kassel e uno dei due Bronzi di Riace bellamente dorati. La riproduzione del Bronzo di Riace, detto A, realizzata appositamente per la mostra è completa in ogni suo aspetto: dall’elmo, alla lancia, allo scudo, come doveva essere in origine. Se a Milano sono presentate le copie a grandezza naturale, a Venezia nell’antico palazzo di Ca’ Corner della Regina si esplora l’aspetto delle riproduzioni in scala: Portable Classic, portatili, appunto. Con il «Ri-nascimento» i nobili e i collezionisti si riappropriano dell’arte classica per esporla nelle sontuose dimore o nei piccoli studioli privati. Incredibile la sequenza degli Ercole Farnese che inondano la sala principale. Si parte da un calco alto

Ancora non avevo letto La trilogia della città di K. di Agota Kristof quando qualcuno me ne parlò in questi termini: «Certo, si tratta di un capolavoro. Anche se devo dire che, dopo tutta quella violenza, mi sarebbe piaciuto scorgere almeno una speranza». Leggendo le pagine del bellissimo epistolario, edito da Archinto, Ineffabile nostalgia – Lettere al fratello 1931-1985 di Emil M. Cioran (Rasinari, 1911 – Parigi, 1995) non ho potuto fare a meno di ripensare a quelle parole (in parte discutibili) e alla sconvolgente epopea di Lucas e Klaus; i gemelli protagonisti della sopracitata trilogia.

Oggi anche il lettore di lingua italiana può conoscere la singolare storia dei fratelli Cioran e, con essa, aspetti meno noti della personalità dell’autore del Sommario di decomposizione (1949). Come certo alcuni sapranno, l’opera del saggista-filosofo romeno di lingua francese non è una delle più accomodanti. Anzi, se c’è una peculiarità che la caratterizza è quella di essere, costantemente, attraversata da uno stato di allucinata lucidità – quella lucidità che Cioran acquisì quando, giovanissimo, venne colto dalla grave forma di insonnia che lo accompagnò per tutta la vita. Nel 1994, in una delle poche interviste che concesse (non amava esporsi, così come detestava i riconoscimenti e i premi – va ricordato che ne rifiutò più di uno; tra questi, il Prix Nimier nel 1977,

col quale, all’epoca, avrebbe potuto incassare diecimila franchi), aveva ribadito l’importanza che ebbe tale avvenimento negli anni della sua giovinezza: «tutto quello che ho scritto, tutto quello che ho pensato, tutto quello che ho elaborato, tutte le mie divagazioni hanno la loro origine in questo dramma». Così, durante le sue estenuanti notti bianche, lo scrittore, attorno ai vent’anni, visse quella che definì una delle «più grandi esperienze che si possano fare». Percorrendo le strade sgombre della città di Sibiu, dove, dopo la mezzanotte, nel silenzio totale, non si incontrava anima viva, cominciò a fronteggiare una dimensione del tempo che lo mise in contatto con un’altra percezione del pensiero. Attraverso le elucubrazioni elaborate nel corso delle camminate, Cioran diede corpo alle prose del suo primo libro, Al culmine della disperazione (1934). E siccome credeva che di lì a poco si sarebbe suicidato, concepì quest’opera come «una specie di testamento». Le cose andarono diversamente: successivamente, il flusso terapeutico della scrittura mutò il trauma nell’occasione che gli fece concepire alcuni capolavori, come La tentazione di esistere (1956) o L’inconveniente di essere nati (1973). Sono opere in cui traspare una visione del mondo, del destino e della Storia assolutamente cinica (anche se va fatto notare quanto l’espressione di questa sia pure velata da uno strato di sulfurea ironia). Sulla carta, Cioran dichiara guerra ad ogni illusione – non c’è idea contro la quale non scagli la lava incandescente della propria scrittura. Al contempo, egli si schiera dalla parte dello scacco perché questo, a suo avviso, è la sola certezza su cui l’umano possa fare reale affidamento. «Per quanto grave sia la nostra caduta», si legge in uno dei brani de La tentazione di esistere, «può tuttavia esserci utile se

Emil Cioran in un ritratto di Giona Bernardi.

la trasformiamo in una disciplina che ci induca a riconquistare i privilegi del delirio». In Ineffabile nostalgia – Lettere al fratello 1931-1985 trapela ancora «un altro Cioran, per certi versi inedito». Il fratello minore dello scrittore, Aurel (detto Relu), era una figura altrettanto affascinante. A differenza di Emil, che aveva scelto di abbandonare il Paese e la lingua natia, rimase quasi tutta la

vita in Romania. Vittima di quell’inclinazione all’«autotortura» che Cioran giudicava un retaggio ereditato dal carattere della madre, Aurel non si fece tentare dal demone della parola. «Soffriamo ambedue dello stesso male», sosteneva il filosofo, «ma lui, taciturno per natura, non ha accesso al verbo, mentre io, chiacchierone impenitente, esibisco le mie miserie». Dissuaso dal fratello ad entrare

in un ordine monastico, Aurel Cioran, influenzato dello stesso, si gettò nell’impegno civile e militò nel movimento della Guardia di Ferro (una formazione politico-religiosa ultranazionalista). Purtroppo, la scelta si rivelò funesta e la macchina stritolatrice del socialismo di Stato si accanì contro il giovane che, nel 1948, venne condannato a sette anni di carcere e otto di lavori forzati. Aurel uscì da questa esperienza spiritualmente stroncato – la sua depressione si fece cronica e lo schiacciò fino alla fine dei suoi giorni. Cioran, a causa della propria posizione, si sentì a lungo responsabile della sorte del fratello e di quel suo «destino fuori del comune». Anche se divisi dai crepacci della vita (non si videro per 40 anni), i due mantennero un costante dialogo di cui testimoniano le molte lettere. Emil, nel soccorrere verbalmente Aurel, scopre un suo lato nascosto e si dimostra capace di una tenerezza che, forse, a certuni potrà sembrare inconsueta. Non si limita, come ci si aspetterebbe, ad assistere psicologicamente, seppure nella distanza, il fratello ferito («Quanto vorrei convincerti della tua innocenza!», scrive in una commovente lettera del 1980) – egli si prodiga anche in consigli medici e familiari che ne rivelano la dedizione affettiva. Così, come nel caso della Trilogia della città di K., questa corrispondenza mostra la sola, spietata «speranza» terrena: anche all’inferno, nonostante tutto, è possibile nominare l’inferno. Al lettore che attraversa queste pagine non occorrono le menzogne del lieto fine, o quelle della «felicità infelice» (come avrebbe detto Carmelo Bene), ma gli bastano le parole con cui Cioran salutava l’amatissimo Relu: «la “felicità” è un problema superato, su cui è ridicolo fare considerazioni in un senso o nell’altro».

Art Basel, la mecca dei collezionisti Arte La 46esima edizione della più prestigiosa e vasta fiera d’arte internazionale si inaugura giovedì; il successo

della rassegna prova l’importanza crescente delle fiere nel sistema dell’arte moderna e contemporanea Emanuela Burgazzoli

Satiri versanti. (Foto Attilio Maranzano, Courtesy Fondazione Prada)

317 centimetri – realizzato con resina epossidica, polvere di marmo, vetroresina, acciaio, resina acrilica e pigmenti dall’Accademia di Belle arti di Napoli nel 2000 – per terminare con una copia di 15 centimetri – realizzata in marmo nel 1800 e ora al Museumslandschaft Hessen di Kassel – in una sequenza di otto repliche. La statua di Ercole è stata scoperta nel Cinquecento durante gli scavi alle Terme di Caracalla. Firmata in greco dallo scultore ateniese Glicone viene restaurata da Guglielmo della Porta che gli ha aggiunto le gambe mancanti. Nel 1787 quelle originali vengono reintegrate da Carlo Albacini. Oggi si suppone che la statua sia stata realizzata nel III secolo dopo Cristo copiando un bronzo di seicento anni prima attribuibile a Lisippo. Nelle sale adiacenti copie in scala dell’Apollo del Belvedere, della Venus felix e del Laocoonte ritrovati sempre durante gli scavi archeologici del Cinquecento. La

scoperta strabiliante del Laocoonte nel 1506 porta a una vera e propria competizione fra gli scultori indetta dal Bramante per replicarlo. Ha vinto Jacopo Sansovino e il giudice era Raffaello. Da allora le riproduzioni non si contano, in varie dimensioni e con i materiali più disparati, dal bronzo alla ceramica. Da vedere le due copie del Torso del Belvedere – il primo un gesso proveniente dalla gipsoteca dell’Università La Sapienza di Roma e il secondo un bronzo del 1500 proveniente dal Museo del Bargello di Firenze – torso osannato da tutti gli scultori. Michelangelo si diceva suo discepolo e Giovan Paolo Lomazzo ricorda che divenuto oramai cieco «si compiaceva di scorrerne tutte le forme colle dotte sue mani». Amato da Rodin, nel 1755 Winkelmann ne scrive come di una «meravigliosa quercia abbattuta e spogliata dei rami e delle fronde». Una duplice mostra sorprendente,

inaspettata, perfetta, dall’allestimento alle luci. Una ricostruzione che rivela – scrive Salvatore Settis in catalogo – come per le foto di Sherrie Levine nella serie After Walker Evans, che «è solo in assenza dell’originale che la rappresentazione può avere luogo». Da vedere assolutamente. Per tutte le altre innumerevoli iniziative collaterali consultare il sito web. Dove e quando

Serial Classic. A cura di Salvatore Settis e Anna Anguissola. Fondazione Prada, Largo Isarco 2, Milano. Tutti i giorni: 10.00-21.00. Fino al 24 agosto. Portable Classic. A cura di Salvatore Settis e Davide Gasparotto. Ca’ Corner della regina. Santa Croce 2215, Venezia. Tutti i giorni: 10.00-18.00, Chiuso martedì. Fino al 13 settembre. www.fondazioneprada.org

Non è la più antica – alla fine degli anni Sessanta avevano debuttato le fiere di Colonia e Düsseldorf –, ma certamente la più rinomata e longeva fiera d’arte: Art Basel è stata fondata da tre mercanti-galleristi Ernst Beyeler, Trudi Bruckner e Balz Hilt; alla sua prima edizione ospita novanta gallerie provenienti da dieci Paesi e registra oltre 16mila visitatori, sei anni dopo le gallerie sono trecento e i visitatori 37mila. Un successo che si è protratto nel tempo, attestato l’anno scorso dalla cifra record di 92mila visitatori, 285 gallerie da 34 Paesi di tutti i continenti; quest’anno sono oltre 4mila gli artisti rappresentati. La qualità espositiva che viene riconosciuta ad Art Basel risiede nei rigidi criteri di selezione adottati dal comitato organizzatore – un ristretto gruppo di mercanti – che accetta soltanto gallerie di alto livello, che possono permettersi anche il costo degli stand. Nel corso degli anni la rassegna basilese è diventata un vero e proprio appuntamento culturale, arricchendo continuamente l’offerta non soltanto espositiva: dal 2000, sotto la direzione

di Sam Keller (ora direttore della fondazione Beyeler), si inaugura la sezione Art Unlimited, uno spazio che ospita opere di scala monumentale, che siano video, installazioni, sculture, wall painting o fotografie; quest’anno il curatore e critico svizzero attivo a New York Gianni Jetzer ha selezio-

nato 74 progetti di artisti di fama internazionale, da Emilio Vedova a Ai Weiwei, da Dan Flavin a Jan Kounellis. Le Conversations sono tavole rotonde a cui sono invitati collezionisti, direttori di musei e curatori, critici e architetti per dibattere e approfondire temi specifici del mondo dell’arte.

Art Basel 2014, una guardia della sicurezza tiene d’occhio le opere della Gagosian Gallery. (Keystone)

Altri eventi – come una rassegna cinematografica di film di e su artisti e i Parcours che disseminano opere d’arte in strade, piazze ed edifici della città. Art Basel si inserisce infatti al centro di una rete di collaborazioni con musei e istituzioni e di manifestazioni collaterali – come l’ormai affermata Liste, fiera delle giovani gallerie d’arte giunta alla 20esima edizione – che fanno di Basilea un vero e proprio «sistema», con le sue peculiarità. Le fiere d’arte – Art Basel inclusa – restano però principalmente un’occasione per vendere e comprare opere d’arte; il loro ingresso sulla scena ha definitivamente reso esplicita la mercificazione dell’arte, assumendo un ruolo importante non solo nel mercato primario, ma anche in quello della rivendita. Un’occasione unica per mercanti e collezionisti che possono visitare centinaia di gallerie in pochi giorni, ma anche per i galleristi che beneficiano di grande visibilità e dell’opportunità di trovare compratori con grandi disponibilità finanziarie, che dotati di carte VIP detengono corsie preferenziali per fare i loro acquisti. E in un mondo dove le relazioni commerciali si moltiplicano e i mercati

si espandono, non è un caso che Art Basel abbia creato due filiali, a Miami – una realtà già consolidata nel panorama americano – e recentemente anche a Hong Kong. Il mercato asiatico ha conosciuto infatti una crescita esponenziale nell’ultimo decennio: nel 2010 la Cina era il primo mercato per valore d’asta al mondo, con il 40 percento del fatturato globale. Una fiera di galleristi per galleristi, così ha definito Art Basel in una recente intervista il suo direttore, Marc Spiegler, precisando che l’obiettivo della rassegna è attirare i collezionisti che sempre più a corto di tempo – (ma non di capitali) –, per i loro acquisti si rivolgerebbero alle case d’asta, che sono diventate le vere concorrenti di gallerie in un mercato, come quello dell’arte, ancora poco regolamentato e molto complesso, un mondo in cui i prezzi possono raggiungere cifre spropositate, e nel quale certo il denaro conta, ma gli affari si concludono – affermano gli addetti ai lavori – ancora sulla fiducia, grazie alla passione e alla competenza, a rituali ben precisi e a una capillare rete di contatti, e dove il business va a braccetto con la mondanità.


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Cultura e Spettacoli

Ascoltarli, con empatia Documentario-CH La vincitrice della 5. edizione del concorso del Percento culturale Migros nel suo documentario

si occuperà dei figli di genitori divorziati

Non ha paura di scoperchiare un vaso di Pandora chiedendo determinate cose ai bambini?

Simona Sala Con lo spirito pionieristico che lo contraddistingue, il Percento culturale Migros ha da qualche anno deciso di sostenere anche il fertile mondo documentaristico elvetico, creando il cosiddetto concorso Documentario-CH (vedi box). I cineasti finora presentatisi hanno raccolto immediatamente la sfida, proponendo dei risultati di tutto rispetto, in linea con il mandato iniziale. Ecco dunque un film come Zum Beispiel Suberg, di Simon Baumann, che analizza le conseguenze dell’avvento di una linea ferroviaria sul suo paese, con l’impoverimento delle relazioni sociali, oppure Service inbegriffe (vedi «Azione» del 15 settembre 2014), che si china sul fenomeno della chiusura di numerosi locali pubblici, cuore pulsante di molti paesini, spesso lontani dai grandi agglomerati. Il quinto concorso per il documentario-CH è stato vinto dalla zurighese Jacqueline Zünd, che nel suo 2,8 Tage (2,8 giorni, NdT) si occuperà di un tema molto scottante e attuale della società: l’affidamento condiviso. I 2,8 giorni sono infatti il tempo di norma concesso al padre per quello che riguarda il diritto di visita in seguito a un divorzio. Detto in altri termini 2,8 giorni corrispondono al 40% di una settimana, nella pratica ciò è solitamente tramutato in due fine settimana al mese e un giorno durante la settimana. Jacqueline Zünd non è interessata agli aspetti legali di questa situazione, tantomeno alle implicazioni sul piano logistico per i due genitori. Come dichiara apertamente, vuole capire, comprendere a fondo e illustrare quello che provano i bambini quando

La rimozione può rappresentare una strategia di coping e dunque sono consapevole che gli equilibri sono molto fragili. È necessario procedere con la massima cautela, non posso assolutamente compromettere l’equilibrio dei bambini. Durante i colloqui preliminari un bambino ad esempio mi ha confidato che quando arriva a casa cerca di «non provare più niente»... si tratta di un’affermazione molto delicata, che potrebbe compromettere seriamente l’equilibrio della famiglia. Questo tipo di esternazioni potranno essere presenti nel mio film, ma in forma del tutto anonima, così da garantire una certa tutela di tutte le parti in causa. In che modo si svolgeranno i colloqui con i bambini?

La regista zurighese Jacqueline Zünd.

un’economia domestica viene sdoppiata, poiché questa suddivisione del tempo, che affonda le proprie radici in un accordo legale, rappresenta anche una situazione di costante spostamento. I bambini sono infatti confrontati con due habitat diversi, due nuclei famigliari spesso distanti tra di loro, e di conseguenza con due mondi nati (con dolore) da quello che un tempo era un mondo unico. «Azione» seguirà la creazione di questo documentario, la cui uscita è prevista per la fine del 2016, con una serie di interventi puntuali.

Concorso Documentario-CH Il documentario è una competenza chiave del cinema svizzero. Al fine di creare una piattaforma promettente per questo genere di film e stimolare la discussione sui temi di rilevanza sociale, il Percento culturale Migros organizza un concorso per documentari articolato in due fasi. I cineasti possono presentare al Percento culturale Migros i propri progetti cinematografici che trattano questioni attuali e di rilevanza sociale per la Svizzera. Tra tutti i progetti inoltrati,

una giuria ne sceglie tre e sostiene la loro elaborazione sino alla produzione con CHF 25’000.– ciascuno. I progetti sviluppati verranno infine ripresentati alla giuria. La realizzazione di quello vincente sarà finanziata interamente con l’ulteriore sostegno di SRG SSR. Il concorso documentario-CH è supportato da Engagement Migros – un fondo di sostegno della Comunità Migros. Non sono ammessi al concorso: film o serie televisive, lungometraggi, cortometraggi.

Jacqueline Zünd in questo momento sta organizzando il casting dei bambini, che comincerà nel mese di settembre. La fase preparatoria del progetto è stata agevolata dal sostegno del Percento culturale Migros, che alleggerisce ai documentaristi la complicata a laboriosa fase iniziale della ricerca dei fondi. Abbiamo incontrato Jacqueline Zünd per farci raccontare il suo ambizioso e sensibile progetto. Jacqueline Zünd, vuole raccontarci con parole sue intorno a cosa esattamente ruoterà il suo documentario?

Mi voglio occupare del mondo dei bambini «divisi». Oggigiorno la suddivisione classica dei 2,8 giorni è sempre più spesso sostituita da una maggiore presa a carico da parte dei padri. In questo modo il secondo domicilio diventa sempre più importante, anche in termini temporali. Partendo dalla mia esperienza personale ho cominciato a chiedermi cosa significhi per i bambini essere costretti a ridefinire e a riorganizzare la propria vita in seguito al divorzio dei genitori. I bambini si ritrovano con due stanze, che però significano molto di più, rappresentano infatti due mondi con regole e stili diversi, vantaggi e svantaggi. In fondo

a questi bambini viene richiesta costantemente una grande prestazione. Io vorrei escludere completamente gli adulti dal documentario. Lei si è avvicinata al tema per motivi personali?

Esattamente. La storia della mia famiglia è stata determinante nella mia scelta. Mi sono separata tre anni or sono, per cui conosco il dolore implicato da questo processo. Mi sono però anche resa conto che si tratta ancora di un grande tabù, forse anche per il fatto che socialmente la separazione rappresenta comunque un fallimento. In tedesco esiste una parola orrenda per descrivere un bambino figlio di divorziati, si parla infatti di «Scheidungskind» (figlio del divorzio, NdT). Una parola che stigmatizza. Durante la fase di preparazione ho parlato con molti bambini, rendendomi conto che ognuno vede la situazione da un’altra prospettiva, soprattutto da una prospettiva diversa da quella dei genitori. Può succedere che quanto considerato problematico per i genitori sia vissuto con semplicità dai bambini, mentre cose cui i grandi non danno importanza, per i piccoli rappresentano un problema. Sono queste finezze che mi interessano e che cercherò di individuare.

Sto riflettendo se fare i colloqui autonomamente o se delegarli a qualcuno che però non sia uno psicologo. L’ascolto sarà sempre centrale in questo lavoro, tuttavia non si tratterà di un’inchiesta psicologica. Si tratta di riuscire a mescolare la curiosità e l’empatia, un meccanismo che sembra funzionare. Ho comunque consultato una psicologa di Monaco di Baviera e una psicologa dell’Università di Zurigo: loro mi hanno indicato le modalità migliori per affrontare le interviste. Il bambino deve capire che non esistono risposte giuste o sbagliate. Una delle due psicologhe mi ha dato un altro consiglio interessante, consigliandomi di chiedere ai bambini di scattare 5 foto a casa della madre e 5 a casa del padre: in questo modo i bambini possono inconsciamente e allo stesso tempo spontaneamente mettere in luce gli aspetti delle due economie che amano di più. Fra i suoi intenti vi è anche quello di sensibilizzare la società?

Certamente. Ovunque i divorzi sono in costante aumento, e sono stupita dall’insensibilità nei confronti dei bambini. Quello che si registra è per lo più un sentimento di compassione nei loro confronti, ma questo non porta a nulla. Credo che comunque un divorzio, al di là di ogni comprensibile dolore, possa portare con sé anche dei vantaggi. I figli dei divorziati godono infatti di una libertà maggiore, e si tratta proprio di quella libertà che la nostra società, con il suo iperprotezionismo nei confronti dei bambini, ha ridotto costantemente negli ultimi anni. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Rivediamoli in Dvd Truman Capote, Splendide, fugaci apparizioni personaggio o scrittore? Cinemando

Pubblicazioni Di recente uscita un libro su come il grande scrittore

americano era visto dai suoi contemporanei

Fabio Fumagalli ***(*) Canzoni dal secondo piano, di

Roy Andersson, con Lars Nordh, Stefan Larsson, Torjorn Fahlstrom (Svezia 2000) Luciana Caglio A trent’anni dalla morte, avvenuta a Los Angeles il 25 agosto 1984, l’interrogativo rimane aperto: confermando l’ambiguità che continua ad accompagnare la figura di Truman Capote. Difficile collocare sulla scala dei valori, che hanno corso nell’ufficialità letteraria, un talento tanto versatile, promettente, e in pari tempo sprecato. Certo, nel suo caso, si rinnova la tradizione americana del «selfmade man». Truman viene proprio dal nulla. Nasce, nel 1924, a Monroeville, Alabama, da una famiglia disastrata, è uno scolaro distratto, dotato però di una prorompente fantasia, e, come dirà, «ossessionato dal bisogno di scrivere: iniziai a otto anni». Spinto dall’ambizione, decide di mettersi alla prova affrontando New York, dove può succedere che uno sconosciuto ragazzo del sud ce la faccia. Genio e sregolatezza aiutando. Non ancora ventenne, assunto dalla redazione del «New Yorker» come fattorino, rivelerà ben presto le sue vere aspirazioni di scrittore, capace addirittura d’inventare un nuovo genere: «il giornalismo partecipativo». È infatti convinto che, per raccontare un’esperienza, bisogna viverla. Così, si butta a capofitto nella realtà turbolenta della metropoli riuscendo a intrufolarsi negli ambienti dei ricchi, famosi, belli del momento: a tavola con i Kennedy, i Guinness, Galbraith, in vacanza sullo yacht degli Agnelli, a Tangeri con Humphrey Bogart e Gore Vidal, a Venezia con Peggy Guggenheim. E via enumerando le celebrità della politica, dello spettacolo, della cultura per le quali Capote svolge, consapevolmente o inconsapevolmente, il ruolo del giullare di corte, chiamato a divertire, affascinare, sbalordire. Ci riesce, innanzi tutto, mettendo in gioco sé stesso. Si presenta in tenute eccentriche, racconta pettegolezzi imbarazzanti, esibisce compiaciuto la sua omosessualità, una primizia, negli anni 50-60. Queste frequentazioni gli valsero una notorietà chiacchierata ma pagante, a prima vista. Capote era riconosciuto per strada, lo invitavano ai talk show televisivi, gli chiedevano sceneggiature per spettacoli teatrali e film, guadagnava soldi e li sperperava in lussi, stravaganze e vizi. Una scelta di vita che gonfiava le dimensioni del personaggio ma sminuiva quelle

Questo Canzoni dal secondo piano, Premio della Giuria a Cannes nel 2000, ha preceduto di 14 anni il Leone d’Oro all’ultima Mostra di Venezia con Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza. Tutto ciò non ha impedito al maestro svedese di scostarsi dalla poco invidiabile schiera degli invisibili nelle sale cinematografiche. In una città dal traffico bloccato, le stazioni deserte, gli affari falliti, un’Apocalisse surreale, esilarante, premonitoria. Un immigrato aggredito, un impiegato umiliato prima di venire licenziato, un protagonista ricoperto di cenere annunciano un mondo già assurdo prima di farsi marasma. Un racconto morale assolutamente originale nel grottesco, sorretto da dialoghi assurdi ed esilaranti. Una visione sensibile, stilizzata nella scenografia sofisticata e nella recitazione lunare. Un filo prevedibile in certe situazioni dal simbolismo evidente: ma quant’è salutare questa follia svedese!

Capote in un’immagine scattata da Robert Capa in Italia nel 1953. (Keystone)

dello scrittore. Anche se, con Colazione da Tiffany e A sangue freddo, aveva ottenuto un redditizio successo, il suo talento sembrava ibernato. Si era sempre in attesa che si realizzassero le promesse, da lui stesso annunciate con arrogante immodestia: «Sarò per l’America quel che Proust è stato per la Francia». Aspettative in parte deluse. Tanto da rimanere escluso dal gotha letterario dell’epoca, che aveva consacrato Hemingway, Faulkner, Mailer, Bellow. Insomma, ai margini. C’è, però, anche un altro Capote che ha lasciato tracce, in opere meno note (Altre, voci, altre stanze, L’arpa d’erba, Un albero di notte), che fanno scoprire, dietro la maschera dell’arrivista affrettato, la capacità e il bisogno di soffermarsi sulle cose di un mondo che l’impaurisce. È rimasto incompiuto il romanzo Preghiere esaudite che, nei propositi dell’autore, doveva diventare quel «racconto-documento», cui ambiva. Pagine, cioè, dove vissuto e inventato si compenetrano. Negli estratti, apparsi in anteprima su «Esquire», si prende di mira la «café society», per rivelarne meschinità e intrighi. La pubblicazione ebbe un effetto bomba:

*** La fille de nulle part, di JeanClaude Brisseau, con Virginie Legeay, Jean-Claude Brisseau, Claude Morel (Francia 2012)

offesi, i suoi illustri amici lo abbandonarono. Per Truman, devastato dall’alcol, dalle droghe, da svaghi persino indecenti, è l’inizio di un declino irreversibile. Si conclude così un destino che si potrebbe definire esemplarmente contraddittorio: Capote, più personaggio o più scrittore, più protagonista di un’epoca, o più vittima? Sono domande sempre attuali. Le ripropone un libro di recente pubblicazione: Truman Capote: dove diversi amici, nemici, conoscenti e detrattori ricordano la sua vita turbolenta (Garzanti). L’autore, George Plimpton, nel frattempo scomparso, ricompone la figura di Trumane Capote, attraverso un collage delle dichiarazioni di diretti testimoni fra loro contrastanti, ispirate alla simpatia, all’antipatia, al sospetto suscitati da quest’insolito compagno di merende. Che mangia a ufo, alle tavole dei ricchi, come fa capire Marella Agnelli. Sfumati e indecisi, i giudizi di scrittori e critici. Secondo il poeta James Dickey, possedeva «la facoltà di isolarsi con», come dire concentrarsi con il soggetto da descrivere. Una facoltà, purtroppo, spesso dissipata.

Sorprendente Leopardo d’Oro a Locarno 2012. Non fosse che per ragioni anagrafiche: Jean-Claude Brisseau che vinceva, quasi settantenne, un Concorso in teoria destinato a dei quasi esordienti. La fille de nulle part non apparirà mai sui nostri schermi: eppure è un’opera produttivamente discreta e modesta, girata a domicilio, interpretata dal regista stesso. Una sorta di kammerspiel, che non deve essere dispiaciuto al presidente della Giuria di allora, l’Apichatpong Weerasethakul vincitore due anni prima della Palma d’Oro di Cannes: poiché come nei film del thailan-

dese si racconta di fantasmi che s’incarnano ai confini della morte, della vita, e soprattutto del desiderio. Questa storia di un professore in pensione che si ritrova una giovane insanguinata sulla soglia di casa, viene a completare la filmografia di un cineasta dalle vicissitudini, anche private, perlomeno agitate. Ma capace sempre di creare (si pensi a De bruit et de fureur, Noce blanche o Céline) degli universi estetici magistrali. Per come sfociano dal realismo attento e quasi banale al delirio fantastico, dal mondo della conoscenza a quello del misticismo. *** Cités de la plaine, di Robert

Kramer, con Ben, Amélie Desrumaux, Bernard Trolet, Erika Kramer (Francia 2000) Film postumo di Robert Kramer; il grande documentarista scomparso prima di portarne a termine il montaggio. Una storia di immigrazione: quella di un giovane algerino nella Francia del nord, la fatica, i soldi inviati al paese, il matrimonio con una francese, una normalità finalmente all’orizzonte. Prima che tutto inizi a degradarsi, nella cecità, in un buio totale che gli servirà però per ripartire. Raccontato così, Cités de la plaine pare un melodramma. Al contrario, è un film quasi astratto, con i suoni soverchianti, le sovraesposizioni e la penombra, il sogno di un non vedente, il mattatoio di Roubaix, il vaglia internazionale dell’operaio arabo alla filanda, il turacciolo della lenza nel canale, il filo accarezzato fra le dita. Un disordine apparente, una casualità che si fa sempre libertà magnifica dell’osservazione. L’intimità, l’onirismo, il simbolismo delle scene astratte o metaforiche contraddetti dal realismo spietato del documento. Mentre nel finale tutto si riconduce secondo logica: realtà e finzione si compenetrano in un puzzle liberissimo, non sempre coerente (la direzione degli attori non professionisti è ineguale; è la struttura ad essere estremamente audace), ma splendidamente moderno.

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Cultura e Spettacoli

I bei tempi del giornalismo Narrativa L’editore Castelvecchi pubblica Ragazzo di Manhattan, romanzo del 1931

uscito dalla brillante penna di Katharine Brush Mariarosa Mancuso Amy e Nick erano due giornalisti di successo a New York, prima di ritrovarsi entrambi disoccupati. Anche rancorosi, quando discutono se la perdita sia più grave per un uomo o per una donna, e se può essere alleviata dal fatto che Amy può contare su un fondo fiduciario messo a sua disposizione dai genitori (come compenso/ risarcimento per aver saccheggiato la vita della figliola facendone la protagonista di una redditizia saga romanzesca intitolata Mitica Amy). Poi si scopre che papà e mamma hanno speso più del dovuto, quindi chiedono di poter attingere al fondo, negarglielo pare brutto. Amy e Nick da Brooklyn finiscono a North Carnage, Missouri.

Fra i molti pregi del romanzo di Katharine Brush vi sono anche le «botte di nostalgia» Lì si svolge in gran parte la trama del bestseller (detto senza ombra di critica, ha venduto tanto perché è molto bello, e ancora più avvincente è il film che ne ha tratto David Fincher, titolo italiano L’amore bugiardo) scritto da Gillian Flynn. Faceva la giornalista nel settimanale di spettacolo «Entertainment Weekly», prima che la licenziassero e che decidesse di mettere a frutto il suo talento altrove. Oggi è una delle sceneggiatrici di maggior successo nella tv americana, settore che ha scalzato il cinema per vivacità (e numeri di zero negli assegni). Ci sono stati tempi migliori, per il mestiere di giornalista. Gli anni 50, per esempio. Nel più bel film visto a Cannes – Carol, diretto da Todd Haynes con Rooney Mara e Cate Blanchett – si dice che «al New York Times c’è sempre un posto libero». Si intende, per un’aspirante fotografa che si mantiene facendo la commessa ai grandi magazzini, reparto giocattoli prima di Natale. Qualche foto di prova, sviluppata nel

bagno adibito a camera oscura, l’impiego arriva puntuale (il film è tratto dal romanzo che Patricia Highsmith pubblicò con lo pseudonimo di Claire Morgan). Erano i tempi in cui per restare connessi, quando si partiva per un viaggio, si diceva ad amici e parenti «Scrivimi fermo posta». Altro salto all’indietro, fino agli anni Venti. Quando le riviste di cinema offrivano duecento dollari a una brava giornalista che scrivesse con penna brillante un ritratto d’attore. Sei articoli commissionati, più l’opzione per altri sei, e il compenso sarebbe salito a trecento dollari. Se li sente proporre Anna Vaughn, e accetta di corsa, anche se ha appena sposato un cronista sportivo piuttosto squattrinato: «Se lei si compra l’automobile, le posso regalare un pupazzino per il cruscotto». Incontriamo Anna Vaughn e il marito Toby McLean in Ragazzo di Manhattan, romanzo di Katharine Brush (nata nel Connecticut con il nome di Katharine Ingham, dettaglio che suggerisce qualcosa di autobiografico nella vicenda). Lo pubblica Castelvecchi, nel 1931 era diventato un film con Claudette Colbert e una giovanissima Ginger Rogers. Il marito infatti lascia subito perdere l’idea del pupazzetto regalo: alle prime fatture pagate dalla moglie si dà all’alcool e al corteggiamento di una fanciulla che nel romanzo ha sedici anni e si chiama Puff. Poteva averli anche al cinema – la vera età dell’attrice era attorno ai venti: il Codice Hays già esisteva, ma divenne vincolante solo nel 1934 (prima i registi potevano osare, e in effetti osavano). Da un altra storia firmata Katherine Brush viene Red-Headed Woman di Jack Conway, con la bionda naturale Jean Harlow per l’occasione tinta di rosso. Sceneggiatura di Anita Loos – suo il romanzo Gli uomini preferiscono le bionde – e battute cattivissime, oltre che parecchio audaci: altra perla del cinema americano pre-codice Hays. Era l’epoca in cui gli articoli si ricopiavano a macchina e si spedivano al giornale per posta. Il quasi disoc-

Nostalgico perfino in copertina, Ragazzo di Manhattan.

cupato Toby si offre di aiutare la moglie in carriera, come dattilografo se la cava ma poi dimentica di spedire la busta (un bell’atto mancato, secondo Sigmund Freud che una ventina di anni prima aveva scritto Psicopatologia della vita quotidiana). Chi la fa l’aspetti. Come contrappasso, quando finalmente decide di scrivere un racconto e lo spedisce alla casa editrice, viene convocato con una notizia buona e una cattiva. La buona: gli hanno

firmato un assegno di 500 dollari, il racconto è piaciuto. La cattiva: hanno perso il manoscritto, forse scivolato da una scrivania e buttato nel cestino dalla donna delle pulizie. Naturalmente, è l’unica copia esistente. Bei tempi, quando gli editori leggevano, convocavano, pagavano, non si limitavano a impilare i manoscritti nel «mucchio fangoso» (la definizione si deve allo scrittore canadese Will Ferguson) degli impubblicabili.

Un’altra botta di nostalgia provocata dal romanzo di Katherine Brush, che a 27 anni vinse il premio O’Henry destinato al miglior racconto dell’anno con una storia intitolata Him and Her. Ragazzo di Manhattan fu subito un bestseller, e spazza via tutte le inchieste di questi anni, sul tema: i maschi di fronte a una donna che guadagna e ha successo più di loro. Non ce la fanno, proprio non ce la fanno, e neppure riescono a nascondere la rabbia.

Le passioni di Steiner Filosofia e linguaggio I molteplici bilanci di una lunga e intensa vita intellettuale nell’intervista

della giornalista Laure Adler a George Steiner

Stefano Vassere «C’è un argomento, George Steiner, che il suo amico Alexis Philonenko cita nei Cahiers de l’Herne a lei dedicati: il suo braccio, la sua malformazione fisica. Lo fa dicendo che, probabilmente, ne ha sofferto per tutta la vita. Eppure lei non ne parla mai». Inizia così, con una richiesta incauta e impertinente un libro intervista a George Steiner, risultato di una serie di colloqui televisivi con la giornalista Laure Adler per France Culture tra il 2002 e il 2014. Non è facile dire chi sia George Steiner, che è filosofo del linguaggio, ma ha insegnato a lungo letterature comparate ed è pure filosofo tout court, attento ai grandi temi, il potere, la storia dei poteri assoluti, l’ebraismo e la shoah. Diciamo che capita di incontrare i suoi libri quando ci si interessi di letteratura e linguistica, per esempio dell’origine delle lingue e della millenaria scommessa sulla ricerca della lingua universale e perfetta. Steiner è certo ormai un grande in-

tellettuale, che può permettersi di parlare più o meno di tutto e non è nemmeno un caso che i suoi libri abbiano titoli ormai molto generali e definitivi, come questo La passione per l’assoluto, o i precedenti La poesia del pensiero, La lezione dei maestri, Linguaggio e silenzio. Queste conversazioni sono strutturate in cinque capitoli-pilastro e un epilogo: i capitoli riguardano un sostenuto e appassionato profilo biografico, considerazioni sull’ebraismo e lo Stato di Israele, tre sezioni dedicate alle passioni per le lingue, per il libro, per la portata filosofica degli studi umanistici; l’epilogo contiene parole molto lucide e sincere sulla morte e sulla morte dello stesso Steiner. «Di fronte a una persona mi faccio sempre questa domanda: quali sono state le sue vicissitudini? Quale la vittoria, o la grande sconfitta?». Della classe liceale parigina di Steiner, nell’istituto Janson-de-Sailly, «un po’ l’accademia ebraica per i ragazzi», sono sopravvissuti due soli ebrei e tutti gli altri sono morti per la persecuzione nazista.

E poi, di una delle sue due nipotine indiane adottate dalla figlia Deborah, dice Steiner: «Myriam, in particolare, è

Steiner, un intellettuale che ormai può parlare di tutto.

come un diamante nero, scura come la notte, con due occhi lunari. Noi, in occidente, non abbiamo occhi così». E poi le lingue. Cresciuto nella convinzione, paterna e familiare, che per un ebreo la conoscenza delle lingue, di molte lingue, fosse condizione imprescindibile alla sopravvivenza, Steiner ha pagine scarne ma di poderosa qualità sull’inglese contemporaneo. Ha ragione quando sostiene che «l’angloamericano è foriero di speranze, di promesse, mentre in molte altre lingue predominano fatica e tristezza evidenti»; e più avanti: «l’inglese non solo si impara, contiene in più un messaggio di speranza. L’inglese è pieno di promesse. Ci dice: “Domani andrà meglio”». E poi, via con il tedesco, che fa impazzire i suoi parlanti acquisiti ma in filosofia permette di dire tutto, perché ha frasi interminabili, con tutto l’ammasso di materiale linguistico e il verbo nella tranquillizzante, risolutiva posizione finale di frase. Nel capitolo sulle lingue c’è anche un vecchio tema steineriano, quello

del «parlare femminile», dell’esistenza dimostrabile di una varietà linguistica differenziata per genere, che sarebbe strutturale e lessicale in alcune lingue siberiane, nelle parlate altaiche e nel Sudest asiatico (in questi casi a supportare le teorie più originali sono sempre richiamate lingue lontanissime e quindi non verificabili). Ma per Steiner ciò avrebbe basi semiologiche anche nelle lingue più vicine, per esempio quando gli uomini attribuiscono alle donne comportamenti linguistici contraddittori (quando la donna dice no, in effetti intende sì e piacevolezze del genere). Per sfociare coraggiosamente nella teoria, «probabilmente di una totale idiozia, che se si può creare la vita, si possono fare dei figli, è molto probabile che la creazione artistica, morale, filosofica abbia minor peso». Bibliografia

George Steiner, La passione per l’assoluto. Conversazioni con Laure Adler, Milano, Garzanti, 2015.


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Cultura e Spettacoli

Tradurre è complicato, Aurelio Buletti lo fa molto bene Meridiani e paralleli Il poeta ticinese ha traghettato dal francese all’italiano le poesie del romando

Werner Renfer (1898-1936) una, non è uguale o vicinissima a «vastes». Si parla di ricordi legati all’infanzia e alla casa dell’infanzia. Anche, e sopra tutti, il traduttore, è costretto a certe scelte. A partire dal ritmo, dal cosiddetto metro. In questa poesia il traduttore ha optato (lodevolmente) per il 9 + 7, che si alterna con il suo parente stretto del 7 + 7, il martelliano, legatissimo all’alessandrino dei francesi. Prendo come esempio il verso 8, che mi pare scritto per un leventinese di una volta:

Giovanni Orelli Una regola, per chi legge romanzi, ma soprattutto poesie, è (sarebbe, mi corregge qualcuno) leggere nella lingua originale. Ma un cinese e tantissimi altri li devo pur leggere in traduzione. Di regola, l’originale batte la traduzione. Se leggi Goethe, leggilo almeno con un occhio nella sua lingua; fatti aiutare con l’altro da una buona traduzione. Ma ogni regola, dicono un po’ tutti, ha le sue eccezioni. In fatto di traduzioni poetiche, ho l’impressione che il ticinese Aurelio Buletti, traducendo una raccolta del romando Werner Renfer (1898-1936: un «poeta maledetto»: vedi l’introduzione di Patrick Amstutz a Werner Renfer, In ogni dove, Ed. alla chiara fonte) non sia inferiore al (meritorio) originale. Anzi, e lo dico con tutta la prudenza contadina di cui dispongo per la mia particina di eredità collettiva e secolare: ripeto, l’eredità contadina in cui, per quel che sono, mi riconosco, anzi mi pare che il Buletti sia, int par int, dent par dent, qua e là, interdum, un tantino migliore dell’originale. Non sto certamente qui a darne le opinabili «prove». Lo faccia invece il lettore curioso, che è il miglior lettore (e quando dico, come altri, lettore comprendo ovviamente le lettrici, per-

«de paysan lié / à sa mort à sa faucille» che il traduttore rende con: «di contadino astretto / a vita alla sua falce»

Il poeta romando Werner Renfer. (www.aepol.ch)

ché le donne battono frequentemente gli uomini quanto a curiosità, intesa come curiosità conoscitiva, non come curiosità-pettegolezzo, dato, e sia pure leggermente concesso, che le donne si-

ano un tantino più ricche di parole nel pascolo immenso del pettegolezzo). Prenda il lettore una poesia bella in francese e bella nella traduzione. Sono alle pagine 40 e 41. L’originale comin-

cia con «Crois-tu que l’ombre emplie de vastes souvenirs…»: è la battaglia tra l’ombra della dimenticanza e i pur vasti ricordi. «Tu credi che l’ombra ricolma di copiosi ricordi». Copiosi – per dirne

e qui il traduttore ha condannato il contadino ad essere astretto, participio passato aristocratico per rispettare il 7 + 7. Peccato veniale in mezzo a tante belle soluzioni. Più convincente, giusto, il comodo lié, del francese. Ma qui sono un po’ tanto andato a cercare il metaforico «pelo nell’uovo». Legga il lettore i versi del Renfer e si convincerà, penso, che il traduttore Buletti ha scelto un più che rispettabile poeta romando e l’ha egregiamente (fuori dal gregge) tradotto in italiano, talvolta superandolo. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Il rock, una storia innanzitutto dell’uomo

Estate in tv telefilm da rivedere

Pubblicazioni Ezio Guaitamacchi ripercorre per Hoepli i sessant’anni della più grande

tornato CSI: Miami con un doppio appuntamento quotidiano su Italia 1

rivoluzione musicale del Novecento

Zeno Gabaglio «Parli come un libro stampato» si suol dire a quelli – non moltissimi – che riescono a esprimersi in modo chiaro, autorevole, inequivocabile. Magari lo fanno con un po’ di pedanteria, quando non addirittura con esibita superiorità, ma certamente avendo dalla propria le ben salde forze della logica e della ragione. Per tributare i giusti onori a Ezio Guaitamacchi – uno dei più lucidi agitatori della cultura musicale italiana degli ultimi trent’anni – bisognerebbe però invertire gli addendi, in qualcosa che rischierebbe di suonare circa così: «stampi come un discorso parlato». Già, perché di libri il nostro ne ha scritti parecchi – con titoli riempipista quali 100 dischi ideali per capire il rock, Peace & love. La rivoluzione psichedelica, Mille canzoni che ci hanno cambiato la vita o Psycho Killer. Omicidi in Fa Maggiore – tutti accomunati da una qualità assai rara nell’editoria musicale: la prossimità al lettore che non scade nell’approssimazione. Spesso i libri sulla musica appaiono infatti o saccenti al punto di porre il lettore in uno stato di paralizzante sudditanza rispetto alla materia e all’autore, o talmente amicali da confondere il concetto di pubblicazione con quello di chiacchiera da bar (dove notoriamente tutto è permesso: iperboli, sentimentalismi e bugie compresi). La via mediana dello scrivere per farsi capire senza tralasciare i contenuti è dunque stretta, e Guaitamacchi l’ha indovinata anche grazie a un percorso che ha alternato senza soluzione di continuità la parola scritta a quella pro-

nunciata (in radio o televisione) sempre e solo al servizio della musica. Prova ne sia la recente pubblicazione de La storia del rock per l’editore Hoepli, che già nel titolo appare come la giusta summa per chiunque si sia mai occupato di popular music e che nei fatti costituisce un’opera poderosa e organica su quella «storia lunga 60 anni e che inizia il 5 luglio 1954, nel giorno in cui Elvis Presley ha inciso a Memphis il suo primo singolo». Il dubbio che precede una simile trattazione di 500 pagine è tendenzialmente sempre lo stesso: ne valeva la pena? Domanda ormai anacronistica – quella sul valore culturale della musica rock – che però meritava nell’immediato dell’incipit una risposta che non lasciasse adito a dubbi: «il rock è una forma d’arte. E in alcuni casi, una forma d’arte “suprema”, paragonabile per valori, influenza e longevità alle più straordinarie espressioni di talento, creatività e fantasia della storia dell’uomo». Così scorrono in ragionato ordine le dodici sezioni relative ai momenti essenziali di questa recentissima arte, secondo un excursus cronologico che predilige l’evoluzione della forma artistica e i suoi continui riferimenti ai contesti socio-culturali che l’hanno prodotta: dalle radici del rock (quelle «nere» di derivazione africana e quelle «bianche» – troppo spesso neglette – del folk proveniente dalle isole britanniche) fino al tanto discusso grunge di Seattle. E proprio l’invenzione che fu di Cobain e compagni riporta al fondamentale criterio d’indagine – che è prima di tutto criterio conoscitivo – adottato da Guaitamacchi, nel descrivere

Antonella Rainoldi

Una storia che inizia il 5 luglio 1954, con Elvis.

«quel mondo artistico-musicale che si è sviluppato in un determinato luogo, in un preciso lasso temporale e che è frutto di un certo contesto storico. Tutto ciò al fine di dimostrare che nulla è nato “per caso”. O meglio, che certe “scene” non potevano nascere che lì, in quegli anni in quello specifico humus socioculturale». Un criterio che pone l’uomo al centro di tutto – ben oltre la tecnica – in quel misterioso rapporto con sé stesso e con gli altri filtrato dai suoni.

L’uomo e la musica, dunque, che di prepotenza riappaiono anche nelle dichiarazioni a posteriori dell’autore sul processo di scrittura del libro: «la cosa più bella e gratificante è stato riascoltare i brani e le opere oggetto del lavoro che sono stati una colonna sonora formidabile per la vita di miliardi di persone. Perché, come spesso mi capita di dire, se anche il rock non ci ha salvato la vita ci ha sicuramente aiutati a vivere meglio».

Irresistibili Ottanta Musica Fascino di quegli anni: il nuovo sforzo solista del cantante dei Killers ci regala

un album fresco, piacevole e sorprendentemente nostalgico

Benedicta Froelich Nel corso degli ultimi anni, gli sfolgoranti successi internazionali a cui la band statunitense dei Killers è andata incontro hanno rimarcato più volte come il suo frontman, il nervoso e imprevedibile Brandon Flowers, fosse uno dei fattori cruciali nella popolarità del gruppo; e con il passare del tempo, il cantante ha mostrato di coltivare spiccate ambizioni personali, presto tradottesi in un innegabile gusto per l’attività solista. Così, benché il suo gruppo continui a mietere successi nelle chart internazionali (l’ultimo album, Battle Born, risale a tre anni fa), a tutt’oggi Brandon conferma di non voler fare a meno della propria personale e privata dimensione artistica: perciò, dopo l’ottima risposta di pubblico al suo primo sforzo solista, Flamingo (2010), ecco che il trentatreenne di Las Vegas torna alla ribalta con il suo secondo lavoro, dal titolo di The Desired Effect. Ma laddove il debutto (che prendeva il titolo da una via secondaria della sua città d’adozione) era tematicamente legato a doppio filo a Las Vegas – forse la più controversa metropoli del mondo, alla quale Flowers rimane ostinatamente affezionato nonostante la nota fama di «città del peccato» – è probabile che questo nuovo CD sorprenda non poco i fan. A colpire l’ascoltatore è infatti l’evidente cambiamento di direzione stilistica che distingue l’album non soltanto

dal precedente Flamingo, ma anche dal repertorio dei Killers, rispetto al quale il nuovo sforzo del frontman sceglie invece un approccio molto nostalgico e personale, evidente nel forte sapore anni ’80 di cui Flowers ha ammantato le canzoni di The Desired Effect. Tale «effetto nostalgia» è basato su un sound prettamente elettronico, che vive di esuberanti cori femminili e di un mix riuscito di sintetizzatori, drum machine e chitarre elettriche – il tutto per dare mirabilmente vita a un ottimo amalgama di classico cantautorato made in U.S.A. e del più orecchiabile rock da stadio. Ciò è perfettamente esemplificato dal fatto che il brano d’apertura, il piacevole Dreams Come True, sembra quasi un inno rock proveniente direttamente dal repertorio di una qualche band new wave di metà anni 80, mentre l’irresistibile Can’t Deny

Visti in tivù È

My Love strizza l’occhio a un certo poprock sbarazzino à la Pet Shop Boys (non a caso, una delle band favorite di Flowers), mischiandolo a suggestioni quasi gospel. Del resto, l’abnegazione di Flowers verso uno stile prettamente «eighties» viene confermata da ogni singolo brano della tracklist, al punto che troviamo addirittura un esplicito tributo al sound dell’epoca (la ballata I Can Change, incisa non a caso con la collaborazione di Neil Tennant dei già citati Pet Shop Boys, riprende direttamente la linea melodica di un pezzo-simbolo del periodo quale Smalltown Boy dei Bronsky Beat); e nemmeno deve stupire il fatto che una traccia come la gradevolissima Still Want You sembri uscita da un disco dei Crowded House, o che i filtri elettronici che distorcono la voce di Brandon in Lonely Town ci riportino con la mente al lavoro di meteore quali Nik Kershaw o Howard Jones. Certo, ci sono momenti in cui questo costante richiamo alle sonorità anni 80 si fa un po’ eccessivo, come nel poco memorabile brano uptempo Diggin’Up the Heart, che finisce per assumere un sapore quasi parodistico, o con Untangled Love, francamente un po’ risaputo; va meglio con una traccia introspettiva e intensa come la ballata Never Get You Right (uno dei pezzi migliori del CD) e con brani di forte personalità quali il vagamente springsteeniano Between Me and You (in cui il mitico Bruce

Hornsby fa da guest star) e l’intrigante The Way It’s Always Been, entrambi dal distinto gusto cantautorale. Certo, l’innegabile sapore retrò del disco fa sì che, in realtà, The Desired Effect non possa dirci granché di nuovo da un punto di vista strettamente musicale, seppure costituisca un indizio delle attuali preferenze stilistiche di Flowers; ma non si può comunque negare che si tratti di un album davvero gradevole e piacevole da ascoltare, al punto che, una volta inserito il CD nel lettore, non è facile resistere alla tentazione di alzarsi e mettersi a ballare per la stanza. Allo stesso tempo, tuttavia, bisogna ammettere che l’album è per certi versi stilisticamente «estremo», in quanto non ammette mezze misure: lo si ama o lo si odia, il che comporta il rischio che una parte dei fan possa rimanere assai poco colpita da questa fatica di Brandon, soprattutto dal momento che si tratta di materiale piuttosto diverso da ciò a cui i Killers ci hanno abituati. Eppure, The Desired Effect possiede una sua innata grazia e onestà, oltre a grande coerenza e acume compositivi: caratteristiche che permettono all’album di elevarsi oltre lo status di semplice «divertissement» per nostalgici della new wave, rendendolo piuttosto un omaggio personale e raffinato al sound e alle suggestioni che devono aver fatto da colonna sonora alla giovinezza di Brandon Flowers – così come di altri autori della sua generazione.

Capiamo la necessità di risparmiare, capiamo il desiderio di svacanzare, capiamo tutto ma di fronte a programmi come Detto fatto Night o Segreti e delitti ti cadono le braccia e ti verrebbe subito voglia di spegnere la tv. Se queste sono le proposte estive è meglio affidarsi alle care vecchie repliche. Come ogni anno, di questi tempi, con la chiusura di molte trasmissioni e produzioni varie, la tv generalista si avvia al disimpegno. Fortuna vuole che continui a utilizzare una quantità industriale di telefilm per riempire il vuoto dei palinsesti. L’arrivo dell’estate, intesa come disabitudine alle grandi novità, diventa dunque un’occasione per recuperare qualche tesoro nascosto, poco valorizzato nella stagione di garanzia, ma anche per godersi il già noto. È forse il caso di ribadirlo: i telefilm sono i migliori supplenti nei periodi di disimpegno televisivo, perché funzionano anche in replica. Come CSI: Miami, il primo spin-off di CSI. Crime Scene Investigation, ideato da Anthony E. Zuiker, Carol Mendelsohn e Ann Donahue e prodotto insieme con David Black, Danny Cannon e Jerry Bruckheimer. Com’è noto, la CBS l’ha cancellato per problemi di budget e sostituito con CSI: New York, dopo dieci bellissime stagioni e duecentotrentadue episodi. CSI: Miami è fermo al 2012 e da allora è tornato in tv in modalità rewind, ma non come una scadenza fissa: una volta ogni tanto, nascosto nelle pieghe notturne dei palinsesti, con grande dispiacere dei fan. Bisogna aspettare l’estate perché i tappabuchi di qualità possano trovare una più degna collocazione. Chi non ha seguito le vicende intrecciate della squadra della polizia scientifica di Miami, o chi non si stanca mai di rivederle, non si perda il doppio appuntamento quotidiano su Italia 1 (dal lunedì al venerdì, ore 19.25). Protagonista è il detective Horatio Caine (David Caruso), responsabile del laboratorio di criminologia della Scientifica. Accanto a lui donne e uomini impegnati a risolvere i casi della città con le più sofisticate apparecchiature elettroniche. CSI: Miami segue l’investigazione, la ricerca dei criminali accumulando notizie e prove, al pari del classico procedural. Continua ad avere grande successo di pubblico in tutto il mondo grazie a una felice congiunzione di sceneggiatura, fotografia, ambientazione e recitazione.

David Caruso è Horatio Caine, detective criminologo. (CSI Wikia)


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino Âś 15 giugno 2015 Âś N. 25

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Idee e acquisti per la settimana

Testo Sonja Leissing; Foto Daniel Aeschlimann, StockFood; Ricette Katrin Klaus/Cucina di stagione

A pagina 56 trovate la ricetta per la marinata fatta in casa.

8 pagine Speciale griglia Per uomini focosi Cucina di stagione Adesso alla vostra edicola! Fr. 4.90 in vendita singolarmente o su www.saison.ch in abbonamento annuo, 12 numeri per soli Fr. 39.–



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Idee e acquisti per la settimana

1 Nella vaschetta di alluminio per la griglia, pesce e pollo rimangono ben succosi. Anche la frutta tagliata a pezzi si presta a essere grigliata nella vaschetta.

Calamari marinati all’aglio Atlantico sudoccidentale 200 g Fr. 6.90 Nelle maggiori filiali

2

1

Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 100 g di carote 100 g di sedano 1 limone bio 4 cucchiai d’olio d’oliva 1 mazzetto d’erbe, ad es. aneto e cerfoglio 2 vaschette di calamari marinati all’aglio e al prezzemolo di 200 g 6 pomodori Preparazione Per la salsa, tagliate le carote e il sedano a dadini piccolissimi (brunoise). Grattugiate la scorza del limone e spremete l’agrume. Mescolate tutto con l’olio. Tritate grossolanamente le erbe e unitele. Mescolate la salsa con i calamari. Grigliate per ca. 10 minuti. Tagliate i pomodori e serviteli nei piatti con i calamari.

Optigal Fettine di pollo per 100 g Fr. 3.30 Nelle maggiori filiali

3

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura alla griglia ca. 10 minuti Per persona ca. 18 g di proteine, 21 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1250 kJ/300 kcal

3

Piatto principale per 4 persone Ingredienti 4 fettine di pollo marinate 1 vaschetta d’alluminio per grigliate 2 mazzi di cipollotti 1 cucchiaio d’olio di colza HOLL sale, pepe 2 limoni Preparazione Accomodate le fettine di pollo nella vaschetta d’alluminio. Grigliatele a fuoco medio nella vaschetta per ca. 6 minuti per lato. Tagliate in quattro per il lungo i

Ananas al prezzo del giorno Dessert per 6 persone Ingredienti 1 ananas 300 g d’anguria 125 g di mirtilli 4 cucchiai di miele 2 cucchiai di burro 6 vaschette d’alluminio piccole (o 1 grande)

2 Il libro con 100 nuove idee per l’estate a prova di meteo è disponibile in esclusiva alla Migros per Fr. 7.70. Caricate l’idea che più vi piace sul sito www.100idee.ch e tentate la fortuna: potrete vincere ogni settimana una carta regalo del valore di Fr. 1000.–!

Preparazione Dimezzate l’ananas ed eliminate il cuore legnoso. Tagliate la polpa dell’ananas e dell’anguria a dadi. Mescolate i dadi di frutta con i mirtilli, il miele e il burro e distribuite nelle vaschette d’alluminio. Grigliate a fuoco medio per ca. 3 minuti. Servite a piacere con menta e gelato, ad esempio alla vaniglia. Tempo di preparazione ca. 20 minuti Per persona ca. 1 g di proteine, 3 g di grassi, 30 g di carboidrati, 650 kJ/160 kcal

cipollotti. Ungeteli con l’olio e conditeli con sale e pepe. Unite i cipollotti alla carne e continuate a grigliare per ca. 3 minuti. Tagliate il limone a fette spesse ca. 1,5 cm e grigliatele per ca. 1 minuto per lato. Servite il limone con il pollo. Tempo di preparazione ca. 25 minuti Per persona ca. 25 g di proteine, 6 g di grassi, 6 g di carboidrati, 800 kJ/190 kcal


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Idee e acquisti per la settimana

1

Hamburger di manzo XXL condito TerraSuisse 300 g Fr. 7.50 Nelle maggiori filiali

Spuntino o piccolo pasto per 1 persona Ingredienti 1 panino piccolo di 75 g, ad es. Baguettini 30 g di verdura grattugiata, ad es. carote e cavolo bianco 1 cucchiaio di salsa italiana per insalata 1 foglia d’insalata 1 spiedino grigliato a scelta

o in forno. Mescolate la verdura e la salsa per insalata. Distribuite su una metà del panino con la foglia d’insalata. Sfilate la carne dallo spiedino sul pane e richiudete con l’altra metà del pane.

Preparazione Aprite il panino tagliandolo di traverso e tostatelo sulla griglia, nel tostapane

Per persona ca. 25 g di proteine, 16 g di grassi, 42 g di carboidrati, 4200 kJ/1000 kcal

Tempo di preparazione ca. 5 minuti

2

1

2

3

Spiedino gigante per 100 g Fr. 3.35 Nelle maggiori filiali

3

1

Piatto principale per 4 persone

MSC spiedini di capesante con pancetta Atlantico nordoccidentale per 100 g Fr. 5.40

4 Sulla griglia non possono mancare gli spiedini. Chi vuole, abbina i suoi pezzi di carne a diverse verdure.

Spiedini di capesante Grigliare su ogni lato per circa 3 minuti. Pronti!

Optigal spiedini di pollo marinati per 100 g Fr. 3.55 Nelle maggiori filiali

4

Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 8 spiedini di legno lunghi 1 zucchina grossa 1 peperone giallo 3 cipolle rosse 2 hamburger di manzo XXL di 300 g conditi 2 cucchiai d’olio di colza HOLL sale, pepe

Ingredienti 12 spiedini di legno 4 formaggini da grigliare di 110 g 1 melanzana media di ca. 300 g 2 peperoncini gialli 250 g di pomodorini cherry 2 cucchiai d’olio di colza HOLL ½ cucchiaino di paprica sale, pepe

Preparazione Immergete gli spiedini in acqua fredda. Tagliate la zucchina a fette spesse ca. 2 cm. Tagliate il peperone a bocconi. Tagliate ogni cipolla in 6 spicchi. Dividete ogni hamburger in 12 pezzi e formate delle polpettine. Infilzate la verdura e la carne sugli spiedini, alternandole. Poco prima di grigliarli, spennellate gli spiedini con l’olio e condite con sale e pepe. Grigliate bene gli spiedini a fuoco medio per ca. 10 minuti. Ottimi con una salsa per grigliate, ad es. ketchup.

Preparazione Immergete gli spiedini in acqua fredda. Tagliate i formaggini e la melanzana a dadi di ca. 2 cm. Tagliate i peperoncini ad anelli e, a piacere, eliminate i semi. Infilzate il formaggio, la melanzana e i peperoncini sugli spiedini, alternandoli con i pomodorini cherry. Mescolate l’olio con la paprica. Poco prima di grigliarli, spennellate gli spiedini con l’olio alla paprica e condite con sale e pepe. Grigliateli bene a fuoco medio per ca. 8 minuti.

Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura alla griglia ca. 10 minuti

Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura alla griglia ca. 8 minuti

Per persona ca. 32 g di proteine, 28 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1700 kJ/410 kcal

Per persona ca. 23 g di proteine, 38 g di grassi, 4 g di carboidrati, 1900 kJ/450 kcal


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Idee e acquisti per la settimana

Per marinare ca. 6 bistecche Ingredienti 3 rametti di timo 4 cucchiai d’olio di colza 2 cucchiai di senape granulosa 2 cucchiai chutney di mango 2 cucchiai di miele 2 cucchiai di salsa di soia pepe Preparazione Staccate le foglioline di timo dai rametti. Mescolatele con l’olio, la senape, il chutney, il miele e la salsa di soia. Condite la marinata con pepe. Lasciatevi marinare la carne per almeno 3 ore. È ottima per qualsiasi tipo di carne. Tempo di preparazione ca. 5 minuti Per persona ca. 3 g di proteine, 38 g di grassi, 59 g di carboidrati, 2500 kJ/600 kcal

Cotoletta di vitello Terra Suisse per 100 g Al prezzo del giorno

Suggerimento Profumate a piacere la marinata con 2 cucchiai di whisky.


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Idee e acquisti per la settimana

shopping La scienza del mangiare bene Gastronomia Fourchette verte affianca i Ristoranti Migros nell’elaborazione di speciali menù

all’insegna della salute e varietà, per una pausa pranzo leggera ed equilibrata

I Ristoranti Migros propongono ogni giorno un piatto diverso Fourchette verte. (Flavia Leuenberger)

La pausa pranzo è sempre un dilemma. È meglio mangiare un panino veloce, un primo oppure un secondo? Da qualche anno i Ristoranti Migros propongono menù certificati con il marchio Fourchette verte, studiati ad hoc seguendo i principi base stabiliti da Promozione Salute Svizzera, la quale si occupa di divulgare le virtù di un’alimentazione consapevole e sana. Ignazio Cassis, presidente di Fourchette verte per il Ticino, ci spiega i principi cardine dell’associazione. «Il marchio di qualità è nato nel 1993 nel Canton Ginevra e si è in seguito espanso in Ticino e in altri cantoni. Fourchette verte Ticino è attiva nel

sensibilizzare consumatori e ristoratori a un’alimentazione consapevole sia dal punto di vista della salute che da quello dell’impatto ambientale». Per ottenere il riconoscimento della «forchetta verde» è necessario offrire un menù che ne segua le direttive, ossia che offra frutta e verdura in abbondanza, carboidrati e proteine nelle quantità più indicate per un pasto completo ma leggero, il tutto in un ambiente gradevole. «L’associazione fornisce consulenza nutrizionale e organizza corsi di aggiornamento per i cuochi impiegati nei ristoranti certificati Fourchette verte – prosegue il presidente – in modo che le conoscenze

in merito alla cucina salutare vengano approfondite e mantenute nel tempo». David Barenco, cuoco formatore e membro di comitato di Fourchette verte riassume alcuni temi trattati durante i corsi: «Sensibilizziamo all’uso di meno sale, grassi e oli che possono essere usati in quantità minime pur non togliendo nulla al gusto. Insegniamo ai cuochi metodi di cottura che mantengono intatte le qualità nutrizionali rispettando il sapore della materia prima e li introduciamo all’uso di cereali integrali e cereali poco conosciuti, per dare varietà ai pasti». Equilibrio è la parola chiave in tutto e per tutto, dagli elementi nutrizionali

Filetto di luccioperca con riso allo zafferano e finocchi gratinati.

al bilanciamento dei sapori. Il cliente tipo dei Ristoranti Migros è spesso un lavoratore che ha l’abitudine di pranzare nello stesso posto e la varietà dell’offerta è dunque fondamentale. Ogni giorno viene proposto un piatto diverso Fourchette verte uguale per tutte le filiali, in versione menù oppure combo (menù + acqua + caffè). I menù vengono composti usando ingredienti locali e stagionali ed ogni giorno viene scelto un ingrediente proteico principale tra pesce, manzo, pollo, ecc., oppure un sostituto ad alto valore biologico di tipo vegetariano. Per un pranzo all’insegna di salute e leggerezza. / Luisa Jane Rusconi

Ignazio Cassis, presidente di Fourchette verte Ticino.


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Idee e acquisti per la settimana

Formaggi italiani in vaschetta di legno Attualità Attualità Molti classici formaggi tricolori li trovate in un originale formato ai banchi formaggio

Il termine «casera», che deriva dal latino «caseus», testimonia l’influsso che il mondo romano ebbe sull’arte casearia locale. La storia del «Casera» è legata alla diffusione delle latterie sociali del territorio in provincia di Sondrio. Le prime notizie su queste latterie risalgono al 1500 e attestano le antiche origini di questo formaggio. Per le sue caratteristiche il Casera è un classico formaggio della tradizione casearia di montagna e la sua produzione si effettuava in passato quasi esclusivamente nei mesi

invernali, poiché il latte in estate veniva lavorato direttamente sugli alpeggi per la produzione del Bitto. L’abbondanza di latte in Valtellina è un fatto noto da secoli, il grande Leonardo da Vinci passando da quelle parti scrisse a Ludovico il Moro: «Voltolina, fa vini potenti e assai e fa tanto bestiame, che da paesani è concluso nascervi più latte che vino». In cucina il Valtellina Casera è uno degli ingredienti fondamentali richiesti per la preparazione del piatto più tipico della gastronomia valtellinese: i «pizzoccheri». / Davide Comoli

Flavia Leuenberger

di Migros Ticino. In questo numero qualche curiosità sul Valtellina Casera DOP

Valtellina Casera DOP al kg Fr. 23.50

Buona domenica Prolungamento con il polpettone Amadori orario di apertura in alcune filiali Migros Novità Un classico secondo piatto gustoso e ricco

pronto in poco tempo

Informiamo la spettabile clientela che a partire da oggi, 15 giugno, e fino al prossimo 21 agosto, in alcune filiali di Migros Ticino entra in vigore l’orario estivo prolungato settimanale. Ricordiamo inoltre che le aperture

Gli amanti del polpettone hanno di che rallegrarsi: alla Migros è arrivato il polpettone firmato Amadori – uno dei maggiori leader nel settore agroalimentare italiano – a base di carne fresca di tacchino e maiale. Questa morbida specialità italiana è pronta per essere cotta in padella in soli 15

minuti, oppure in forno o casseruola in 50 minuti. Insomma niente di più facile per portare in tavola un secondo piatto appetitoso da servire accompagnato per esempio da patatine novelle e verdurine di stagione. Il polpettone è inoltre fonte di iodio e senza glutine, pertanto indicato sia per i bambini

sia per coloro che sono affetti da celiachia. A proposito: sul retro dell’etichetta trovate consigli e ricette per un risultato di sicuro successo. Polpettone Amadori Classico confezione da 750g 12.50

del giovedì restano invariate (ad eccezione di Paradiso fino alle ore 19.00), mentre dal 4 aprile scorso la chiusura del sabato è posticipata alle 18.30 o alle 18.00. Le filiali interessate sono le seguenti:

Filiale

Lunedì-Venerdì

Giovedì

Sabato

Centro S. Antonino (OBI + Micasa + SportXX)

19.00

21.00

18.30

Locarno + Degustibus

19.00

21.00

18.30

Losone Do-it + Garden

19.00

21.00

18.00

Paradiso

19.00

19.00

18.00

Tenero

19.00

20.00

18.00


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Idee e acquisti per la settimana

Top10 CD

Top10 DVD

Top10 Libri

1. The Kolors

1. Cinquanta sfumature di grigio

1. Sveva Casati Modignani

Out

D. Johnson, J. Dornan

2. Briga

Never Again 3. Muse

Drones / novità 4. Eros Ramazzotti

Perfetto 5. Max Pezzali

Astronave Max

La vigna di Angelica, Sperling

2. American Sniper

2. Giorgio Faletti

B. Cooper, S. Miller

Piuma, Baldini

3. Notte al museo 3

Il barometro dei prezzi Informazioni sui cambiamenti di prezzo

3. Luca Bianchini

B. Stiller, R. Williams

Dimmi che credi nel destino, Garzanti / novità

4. Exodus

C. Bale, S. Weaver

4. Andrea Camilleri

La giostra degli scambi, Sellerio

5. Jupiter

M. Kunis, C. Tatum / novità

Migros riduce i prezzi di diversi prodotti. Tra questi, articoli delle linee Milupa, Milette e Nivea. Aumenti invece per due bevande a base di latte di cocco. Il motivo è

Alcuni esempi:

un aumento nella richiesta di latte di noce di cocco grezzo. Con questo termine si intende il latte che non viene addensato prima del trasporto e in seguito ridiluito.

Prezzo vecchio Nuovo in Fr. in Fr.

in %

5. Camilla Lackberg 6. Il Volo

Sanremo Grande Amore 7. Ligabue

Giro del mondo (2 CD+DVD) 8. Jovanotti

Lorenzo 2015 CC

Il segreto degli angeli, Marsilio

6. Masha & Orso

Animazione 7. The Imitation Game

6. Marie Kondo

B. Cumberbatch, K. Knightley 8. Lo Hobbit – la battaglia delle cinque armate

M. Freeman, I. McKellen 9. Antonello Venditti

Tortuga

7. Carlo Rovelli

Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi

9. Interstellar

M. McConaughey, A. Hathaway 10. Mario Biondi

Beyond

Il magico potere del riordino, Vallardi

10. Big Hero 6

8. Jamie McGuire

Un’incredibile follia, Garzanti / novità

Animazione 9. Vanessa Diffenbaugh

Le ali della vita, Garzanti 10. Alessandro Baricco

La sposa giovane, Feltrinelli

Milupa pappa alla frutta 6+, 450 g Milupa Le Petit Dessert pesca pera, 6 x 60 g Milette Junior 5, 11 - 25 kg, 44 pezzi Milette Pants 5+, 16+kg, 32 pezzi Nivea Baby Soft Bath, 500 ml Nivea BB Cream chiara 50 ml L’Oréal Revitalift cura del viso, contorno occhi e collo, 50 ml Wilkinson Quattro for Women lame di ricambio, 3 pezzi BiC 2 Sensitive rasoio monouso, 10 pezzi Oral-B Advance Power Elektro spazzolino da denti, 1 pezzo Oral-B TriZone spazzolino, 3 pezzi Total in polvere, 825 g Lilibiggs Softly salviettine umide, 70 pezzi Soft Sensitive salviettine umide, 50 pezzi Milette detersivo speciale liquido, 1,5 l Selina Cat Mix con anatra, coniglio e selvaggina, 60 g Cornatur Quorn macinato, 230 g Coco Water Pure, 33 cl

8.30 4.20 14.50 14.50 8.10 13.50 22.50 11.80 4.40 21.80 25.80 6.— 2.40 2.60 13.50 2.30 5.50 1.95

7.90 3.80 13.80 13.80 7.50 12.80 20.50 11.20 4.25 20.80 23.20 5.70 2.10 2.30 12.— 1.90 4.90 2.20

–4,8 –9,5 –4,8 –4,8 –7,4 –5,2 –8,9 –5,1 –3,4 –4,6 –10,1 –5,0 –12,5 –11,5 –11,1 –17,4 –10,9 +12,8

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Idee e acquisti per la settimana

Al settimo cielo

I portafelicità Siete forse innamorati? Allora voltate pagina, perché comunque vivete d’aria e d’amore. Però… vale lo stesso la pena di dare un’occhiata, perché le piccole cose che danno felicità fanno bene a tutti. Regalarsi dei fiori, guardarsi al cinema all’aperto il proprio film preferito o lasciarsi cullare dalle onde sul materassino gonfiabile. Anche le attività sportive rendono felici: saltate sul trampolino direttamente fino al settimo cielo! E non dimenticate di fare qualche fotografia: i bei ricordi mantengono le sensazioni di felicità, o le rinfrescano.

Prima dell’appuntamento: L’Oréal Paris Infaillible Gel Smalto per unghie in nove colori Fr. 17.90 Nelle maggiori filiali

Per immortalare i momenti felici: Fujifilm macchina fotografica istantanea Instax Mini in tre colori Fr. 89.90 In tutti i mercati specializzati Melectronics

Risveglia belle sensazioni: rosa singola Max Havelaar 70 cm diversi colori al prezzo del giorno Nelle maggiori filiali

Leggero da prendere il volo: Frozen Yo gelato di yogurt al latte 6 pezzi Fr. 5.50 Nelle maggiori filiali

Rinforzano i nervi: Max Havelaar banane bio al prezzo del giorno

Come su un’isola: Intex materassino King Kool Lounges assortito Fr. 19.90 Da SportXX e su www.sportxx.ch

Per un sonno divino: Letto Boxspring Navier componibile individualmente da Fr. 3499.– (modello raffigurato Fr. 6328.-) da Micasa

Per chi ama i film romantici: «Questione di tempo» DVD Fr. 12.90 Nuvolette per la gola: Yupi MarshMallows 175 g Fr. 1.90

Per saltare fino in paradiso: BodyShape trampolino Fr. 69.90 Da SportXX


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Idee e acquisti per la settimana

Prodotti per il bagno

Per il wellness fai da te Centro benessere a casa tua Una variante del bagno di fieno si può fare anche nella vasca da bagno di casa propria, non solo sulle Alpi o in un lussuoso centro benessere: per esempio, si possono raccogliere e far essiccare piante di bosco o di prato, come la piantaggine, l’alchemilla, il trifoglio, il dente di leone, la calendula o il fiordaliso. Avvolgete poi le miscele in pezze di garza annodate con una cordicella, quindi immergetele nell’acqua del bagno.

100 nuove idee: con il cielo azzurro o con le nuvole grigie di pioggia dal libretto per l’estate tanti spunti per combattere la noia.

Sudare con delicatezza Testo Sonja Leissing, Nicole Ochsenbein; Foto Daniel Ammann; Styling Mira Gisler

Una ricarica di umidità L’elisir di bellezza della moderna Cleopatra: latte di cocco e miele nutrono la pelle e hanno un effetto antibatterico. Mischiate due cucchiai da tavola di miele in una tazza di latte di noce di cocco e versatela nell’acqua del bagno. Attenzione a non scivolare nella vasca!

Se l’estate non è abbastanza calda da farci sudare, allora lo farà certamente un bagno di fieno: il potere terapeutico di questa pratica era già nota da secoli ai falciatori degli alpeggi, ben prima che Padre Sebastian Kneipp la facesse scoprire a tutti. Fare il bagno nel fieno falciato di fresco dopo una giornata di duro lavoro, li rigenerava. Infatti, nel frattempo è stato accertato che i vapori esalati dalla fermentazione del fieno alleviano i dolori muscolari e altri acciacchi.

Il libro con 100 nuove idee per l’estate a prova di meteo è disponibile in esclusiva alla Migros per Fr. 7.70. Caricate l’idea che più vi piace sul sito www.100idee.ch e tentate la fortuna: potrete vincere ogni settimana una carta regalo del valore di Fr. 1000.–!

Rassodante brezza marina Quando si avvicina l’alta pressione… è tempo di immergersi nell’acqua di mare: l’acqua salata, infatti, affina la linea, estraendo dai tessuti i fluidi in eccesso.

Versate mezzo chilo di sale marino nella vasca piena d’acqua. Per una punta di profumo mediterraneo, aggiungete lavanda o rosmarino.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 15 giugno 2015 ¶ N. 25

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Idee e acquisti per la settimana

Prodotti

Per il wellness a casa M-Classic Sale marino grosso 1 kg Fr. 2.70

100 nuove idee: con il cielo azzurro o con le nuvole grigie di pioggia, dal libro per l’estate tanti spunti che combattono la noia.

Solo per teste calde

Rosmarino 15 g Fr. 1.15

Herbs Bagno alla lavanda 400 ml Fr. 5.90

Gold Succo d’arancia Max Havelaar 1l Offerta speciale 20% di sconto Fr. 1.55* invece di Fr. 1.95 * dal 16 al 22 giugno Kiwi Nuova Zelanda vaschetta da 5 pezzi prezzo del giorno

Bio Max Havelaar Chop Stick latte di cocco 400 ml Fr. 3.10

Candela con vetro diversi colori da Fr. 1.90 Fino a esaurimento delle scorte

Pronti per un bel bagno freddo? Quando la canicola vi fa gocciolare di sudore, l’unica possibilità di salvezza è quella di immergersi nell’acqua fresca. Più è fredda, più ci si rinfresca. Un consiglio: riempite una ciotola di cubetti di ghiaccio e gettateli con forza nell’acqua. Lo choc termico dura sono un attimo, ma vi rifrescherà al punto giusto, rafforzando il sistema immunitario e attivando la circolazione sanguigna.

Fanjo Doccia al cocco 4 x 250 ml Offerta speciale 50% di sconto Fr. 5.20* invece di Fr. 10.40 * dal 16 fino al 29.6 Infradito per donne e ragazze diversi colori Fr. 9.90 Nelle maggiori filiali


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Idee e acquisti per la settimana

Alnatura

Ehi, dov’è la mia pappa bio? Alnatura Verdura con Polenta 220 g* Fr. 1.85

Alnatura Mela con Mango 190 g* Fr. 1.45

Ai bebè si dà la prima pappa fra il quinto e il settimo mese di vita.

Alnatura Minicialde di riso 40 g* Fr. 1.10

Alnatura Olio 250 ml* Fr. 5.10 *Nelle maggiori filiali

Per l’alimentazione dei nostri figli, la scelta si orienta su generi alimentari di prima qualità. Gli ingredienti degli alimenti per bebè e bambini piccoli di Alnatura provengono in massima parte da contadini che producono secondo le severissime linee direttive bio Demeter. Non contengono nessun genere di additivo a base di sale o zucchero cristallizzato e sono esenti da aromi

artificiali, coloranti e conservanti. Contengono invece molta verdura e frutta fresca, il tutto cotto delicatamente e confezionato con cura. Esperti indipendenti di alimentazione e di generi alimentari supportano Alnatura nello sviluppo e nel controllo delle ricette. Solo quando tali istanze hanno dato luce verde, le nuove idee vengono tradotte in prodotti. Al mo-

mento in Svizzera sono già disponibili più di 300 prodotti nelle maggiori filiali e da LeShop.ch. Oltre ai cibi per bebè e bambini piccoli, in talune* filiali Migros sono disponibili prodotti da forno, prodotti a base di cereali, riso, leguminose, alternative al latte, succhi, prodotti sostitutivi della carne, prodotti per dolcificare e aromatizzare, dolciumi e prodotti da sgranocchiare.

* In Ticino sono attualmente in vendita nelle filiali Migros di S. Antonino e Grancia; nei prossimi giorni anche di Locarno. Degustazioni: S. Antonino 19-20.06 Locarno 23-24.06

Alnatura è simbolo di un moderno e sensato gusto bio. Contiene ingredienti di alto valore e solo quelli indispensabili.


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CONSIGLIAMO Non c’è da stupirsi se la tua crostata fatta in casa con freschissime albicocche finisca in men che non si dica. Trovi la ricetta su www.saison.ch/ it/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.

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Mini angurie Solinda Italia / Spagna, il pezzo

Tortellini con ripieno di ricotta e spinaci M-Classic in conf. da 2 2 x 500 g

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5.10 invece di 8.55 Wienerli M-Classic in conf. da 3 Svizzera, 3 x 4 pezzi, 600 g


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Tutti i sushi* 20% di riduzione, per es. sushi Maki Mix: tonno, pesca, Filippine; salmone, allevamento, Norvegia, 150 g

Biscotti prussiani 500 g, 20% di riduzione

Cosce di pollo Optigal Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g

Fettine fesa di vitello, TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g

Costolette di maiale Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g

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Fragole Svizzera, imballate, 500 g

Appenzeller Classic per 100 g, 20% di riduzione

Orecchiette Mozzarella Galbani in conf. da 125 g

Burro mezzo grasso Léger 200 g, –.50 di riduzione

Lombatine d’agnello Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g

Cervelas, TerraSuisse Svizzera, in conf. da 5 x 2 pezzi

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Pomodori Ticino, imballati, al kg

Pizza Anna’s Best in conf. da 2 20% di riduzione, per es. al prosciutto, 2 x 395 g

Prodotti Cornatur in conf. da 2 20% di riduzione, per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g

Tutti i formaggi da grigliare o rosolare 20% di riduzione, per es. Cheese Steak Grill mi, 220 g

Bresaola Beretta Italia, affettata in vaschetta da 100 g

Carne di manzo macinata, TerraSuisse per 100 g

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Yogurt M-Classic in conf. da 8 x 180 g 20% di riduzione, per es. al cioccolato

Sandwich Cream Cheese o all’erba cipollina Wasa in conf. da 2 20% di riduzione, per es. all’erba cipollina, 2 x 111 g

Tutti i cannelloni o le lasagne Buon Gusto o tutti i pasti pronti Yummie surgelati, 20% di riduzione, per es. lasagne alla bolognese, 360 g

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Tutti i prodotti Grande Caffè 210 ml, 20% di riduzione, per es. cappuccino

Pasta per crostate o pasta sfoglia M-Classic in conf. da 2 20% di riduzione, per es. pasta sfoglia, 2 x 270 g

Soft Cake all’arancia o al lampone in conf. da 3 per es. all’arancia, 3 x 150 g

Tutti i fagioli, i piselli o le taccole surgelati, 20% di riduzione, per es. piselli dell’orto Farmer’s Best, 750 g

Tutte le chips in tubo in conf. da 2 20% di riduzione, per es. alla paprica, 2 x 175 g

Tutti i tipi di frutta secca, noci miste o miscele di frutta secca e noci (prodotti Alnatura esclusi), 20% di riduzione, per es. gherigli di noci Sun Queen, 130 g

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Bouquet di girasoli Gloria il mazzo

Rose in vaso in set da 2 il set

Fette d’ananas Sun Queen in conf. da 6 6 x 140 g, 20% di riduzione

Gelati da passeggio alla panna nei gusti vaniglia, Branches Classic Frey in conf. da 60, UTZ cioccolato o fragola in conf. da 24 con borsa 60 x 27 g frigorifera per es. alla vaniglia, 1368 ml

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ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Albicocche, Spagna / Francia, vaschetta da 1,5 kg 3.95 invece di 6.60 40% Mini angurie Solinda, Italia / Spagna, il pezzo 2.95 invece di 4.95 40% Insalata del re Anna’s Best, 150 g 3.10 invece di 3.90 20% Pomodori, Ticino, imballati, al kg 3.90 invece di 5.20 25% Lattuga foglia di quercia rossa, Svizzera, al pezzo 1.20 Kiwi, Nuova Zelanda, cestino da 5 pezzi 1.95 Fragole, Svizzera, imballate, 500 g 3.95 invece di 5.80 30%

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Abbigliamento estivo da donna, uomo, bebè o bambino per es. copricostume da donna, tg. S–XXL, turchese, tg. M

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Canotto Bestway con remi e pompa, offerta valida fino al 29.6.2015

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Carne di manzo macinata, TerraSuisse, per 100 g 1.20 invece di 2.– 40% Fleischkäse affettato finemente, TerraSuisse, per 100 g 1.40 invece di 2.– 30% Wienerli M-Classic in conf. da 3, Svizzera, 3 x 4 pezzi, 600 g 5.10 invece di 8.55 40% Tutti i prodotti di salumeria Heidi, per es. salsiz del montanaro, Svizzera, 70 g 3.10 invece di 3.90 20% Minifiletto di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.55 invece di 3.65 30% Tutti i sushi, per es. sushi Maki Mix: tonno, pesca, Filippine, salmone, allevamento, Norvegia, 150 g 7.– invece di 8.90 20% * Bresaola Beretta, Italia, affettata in vaschetta da 100 g 5.60 invece di 8.– 30% Cervelas, TerraSuisse, Svizzera, in conf. da 5 x 2 pezzi 6.95 invece di 11.75 40% Roastbeef cotto, Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g 5.50 invece di 6.95 20% Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.95 invece di 3.70 20% Fettine fesa di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 4.70 invece di 6.80 30% Costolette di maiale, Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g 1.25 invece di 2.10 40% Lombatine d’agnello, Australia / Nuova Zelanda, imballate, per 100 g 3.75 invece di 5.40 30% Spinacine di pollo AIA, Italia, in conf. da 220 g 3.10 invece di 3.90 20% Cosce di pollo Optigal, Svizzera, in conf. da 4 pezzi, per 100 g –.90 invece di 1.30 30% Filetti di passera, MSC, pesca, Atlantico nord-orientale, per 100 g 1.85 invece di 2.70 30% * Fino al 20.6

PANE E LATTICINI Tutto il pane fresco bio, –.40 di riduzione, per es. pane della fattoria del sole, 400 g 3.60 invece di 4.– Tutti i latticini Heidi (formaggio escluso), per es. latte, in bottiglia, 1 l 1.35 invece di 1.70 20% Tutti i prodotti Grande Caffè, 210 ml, per es. cappuccino 1.20 invece di 1.50 20% Burro mezzo grasso Léger, –.50 di riduzione, 200 g 2.50 invece di 3.– Yogurt M-Classic in conf. da 8 x 180 g, per es. al cioccolato 3.50 invece di 4.40 20% Appenzeller Classic, per 100 g 1.25 invece di 1.60 20% Tutti i formaggi da grigliare o rosolare, per es. Cheese Steak Grill mi, 220 g 4.60 invece di 5.80 20% Diplomat alla vaniglia, 2 pezzi, 200 g 3.60 invece di 4.50 20% Orecchiette Mozzarella Galbani, in conf. da 125 g 2.05 invece di 2.95 30%

FIORI E PIANTE Bouquet di girasoli Gloria, il mazzo 17.90 Rose in vaso in set da 2, il set 9.90

ALTRI ALIMENTI Branches Classic Frey in conf. da 60, UTZ, 60 x 27 g 16.– invece di 26.70 40% Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 20, UTZ, assortite, con gadget, 20 x 100 g 25.60 invece di 42.80 40% Soft Cake all’arancia o al lampone in conf. da 3, per es. all’arancia, 3 x 150 g 3.20 invece di 4.80 3 per 2 Tutto l’assortimento Alnatura o Alnavit, per es. minigallette di riso, Alnatura, 40 g 20x 1.10 20x PUNTI ** Tutto il caffè in chicchi o macinato, UTZ, per es. Exquisito, macinato, 500 g 5.75 invece di 7.70 25% Tutte le confetture Favorit, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.60 di riduzione l’uno, per es. confettura svizzera di lamponi, 350 g 3.20 invece di 3.80 Tutti i cereali Kellogg’s, per es. Choco Tresor, 600 g 5.10 invece di 6.40 20% Sandwich Cream Cheese o all’erba cipollina Wasa in conf. da 2, per es. all’erba cipollina, 2 x 111 g 4.70 invece di 5.90 20% Tutti i tipi di frutta secca, noci miste o miscele di frutta secca e noci (prodotti Alnatura esclusi), per es. gherigli di noci Sun Queen, 130 g 2.80 invece di 3.50 20%

Tutti i cannelloni o le lasagne Buon Gusto o tutti i pasti pronti Yummie, surgelati, per es. lasagne alla bolognese, 360 g 2.70 invece di 3.40 20% Tutti i fagioli, i piselli o le taccole, surgelati, per es. piselli dell’orto Farmer’s Best, 750 g 3.10 invece di 3.90 20% Gelati da passeggio alla panna nei gusti vaniglia, cioccolato o fragola in conf. da 24 con borsa frigorifera, per es. alla vaniglia, 1368 ml 8.60 invece di 14.40 40% Sanbittèr San Pellegrino in conf. da 10, 10 x 10 cl 5.15 invece di 7.40 30% Tutti i succhi Gold da 1 l o 3 x 25 cl, per es. multivitaminico, Fairtrade, 1 l 1.55 invece di 1.95 20% Aproz o Aproz Plus in conf. da 6, 6 x 1,5 l o 6 x 1 l, per es. Classic, 6 x 1,5 l 2.85 invece di 5.70 50% Tutti gli sciroppi in bottiglie di PET da 75 cl o da 1,5 l, a partire dall’acquisto di 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. al lampone, 1,5 l 3.75 invece di 4.25 Tutti i prodotti Mister Rice, per es. Wild Rice Mix, 1 kg 3.60 invece di 4.50 20% Pipe grandi, spirali o penne M-Classic, con il 50% di contenuto in più, 500 g + 250 g, per es. pipe grandi, 750 g 1.50 invece di 2.25 33% Aceto alle erbe aromatiche Condy in conf. da 2, 2 x 750 ml 3.05 invece di 4.40 30% Pannocchiette di mais M-Classic, 190 g 1.30 invece di 2.60 50% Fette d’ananas Sun Queen in conf. da 6, 6 x 140 g 4.90 invece di 6.30 20% Tutte le chips in tubo in conf. da 2, per es. alla paprica, 2 x 175 g 3.20 invece di 4.– 20% Biscotti prussiani, 500 g 3.20 invece di 4.– 20% Pasta per crostate o pasta sfoglia M-Classic in conf. da 2, per es. pasta sfoglia, 2 x 270 g 2.15 invece di 2.70 20% Tutte le salse per insalata Anna’s Best o Tradition, per es. French Dressing Anna’s Best, 350 ml 2.65 invece di 3.80 30% Tortellini con ripieno di ricotta e spinaci M-Classic in conf. da 2, 2 x 500 g 6.90 invece di 11.60 40% Pizza Anna’s Best in conf. da 2, per es. al prosciutto, 2 x 395 g 11.– invece di 13.80 20% Prodotti Cornatur in conf. da 2, per es. fettine di quorn al pepe e al limone, 2 x 220 g 8.80 invece di 11.– 20% Maxi Sandwiches e mini gelati Orogel, 450 g e 300 g, per es. Maxi Sandwiches, 450 g 5.– invece di 6.30 20% Tutti rotoli dolci al lampone, marmorizzato e japonais, non refrigerati, per es. rotolo japonais, 330 g 3.65 invece di 4.60 20% Zatterine e Margheritine Sfoglia d’Oro, 220 g e 250 g 3.70

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NEAR FOOD / NON FOOD Tutto l’assortimento di alimenti per gatti Selina, per es. Adult, al manzo, alimenti umidi, in bustina, 100 g –.50 invece di –.65 20% Styling Creme o shampoo Active Clean Nivea Men, per es. shampoo Active Clean, 20x 250 ml 3.50 NOVITÀ ** Shampoo Instant per cuoio capelluto secco o per il trattamento calmante del cuoio capelluto Head & Shoulders, per es. trattamento calmante del cuoio capelluto, 250 ml 20x 5.10 NOVITÀ ** Tutti i prodotti per i capelli Garnier Fructis in conf. da 2 o da 3, per es. shampoo Fresh in conf. da 3, 3 x 300 ml 9.– invece di 12.90 30% ** Tonico micellare Zoé Cleansing, 200 ml 20x 7.90 NOVITÀ ** Tutti i prodotti per la depilazione I am (confezioni multiple escluse), per es. Sensitive, 150 ml 6.30 invece di 7.90 20% ** Rasoio a doppia lama Bic Twin Lady in conf. da 2, 2 x 10 pezzi 7.90 invece di 10.– 20% ** Deodorante Rexona in conf. da 2, per es. Women Compressed Cotton Ultra Dry, 2 x 75 ml 6.10 invece di 7.20 20% ** Docciacrema Smooth Nivea Creme, 250 ml 2.70 20x NOVITÀ ** Docciaschiuma I am o Fanjo in confezioni multiple, per es. docciaschiuma Lemon & Oil I am, in conf. da 4, 4 x 250 ml 4.20 invece di 8.40 50% ** Salviettine cosmetiche, fazzoletti o salviettine umide Linsoft o Kleenex in confezioni multiple, per es. fazzoletti Linsoft Design, FSC, 42 x 10 pezzi 3.95 ** Maglietta da donna o da uomo Switcher Swiss Vision, tg. S–XXL, disponibile in diversi colori, per es. maglietta da uomo, 20x tg. M 25.– NOVITÀ ** Grembiuli da pittura per bambini, disponibili in diversi colori e motivi, per es. Minnie Mouse, violetto, tg. 110/116 25.– *,** Detersivo per capi delicati Yvette liquido, per es. Care, 2 l 8.95 invece di 11.20 20% ** Decalcificante in polvere Calgon, 1,8 kg 16.90 invece di 21.80 20% ** Detergenti Migros Plus in conf. da 2, per es. mini-pastiglie per la lavastoviglie, 2 x 40 pezzi 12.45 invece di 15.60 20% ** Tutte le padelle Greenpan, in acciaio inox, indicate anche per i fornelli a induzione, per es. padella a bordo basso Miami Marathon, Ø 28 cm, il pezzo 29.50 invece di 59.– 50% ** Linee di bicchieri Cucina & Tavola, per es. Superiore Bianco, set da 3, 3 x 32,5 cl 6.40 invece di 12.80 50% **


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Idee e acquisti per la settimana

Blévita

Uno a te e uno a me L’assortimento Blévita è variato quanto lo è una giornata al lago. Dolce o salato, alle erbe o al formaggio… ce n’è per tutti i gusti. I cracker non placano solo i languorini, ma forniscono energia per una giornata di intensa attività. Infatti, questi salutari spuntini ai cereali contengono una buona quantità di fibre e sono prodotti senza coloranti né conservanti artificiali.

Blévita Timo-sale marino 228 g Fr. 3.55

Blévita Pomodori-basilico 228 g Fr. 3.55

Blévita Avena-miele 216 g Fr. 3.90 Nelle maggiori filiali

Blévita con Gruyère 228 g Fr. 3.60

Acido folico

I cracker Blévita sono spuntini adatti ad ogni occasione per esempio: Blévita Choco&Sesamo 267 g Fr. 5.20

È una vitamina necessaria alla divisione cellulare. L’acido folico è contenuto in molte varietà di biscotti Blévita. L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i Blévita.


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Idee e acquisti per la settimana

Yvette

Per un bianco luminoso È tornata la stagione in cui è bello indossare abiti bianchi e di colore chiaro. Purtroppo, sono quelli che più in fretta danno l’impressione di perdere freschezza. Ma questo non sarà più un problema, perché il detersivo per biancheria fine Yvette riporterà la luminosità nei colori, rinforzando l’effetto splendore del bianco e evitando che i tessuti diventino opachi. La formula Brilliant-White è stata sviluppata per questo. Il detersivo liquido pulisce in modo efficace e si prende cura del tessuto. La sua componente che protegge le fibre evita che queste si sciupino, in modo che i capi possano mantenere la loro forma più a lungo. Utilizzando i programmi di lavaggio per la protezione dei capi o per la biancheria fine ad una temperatura di 30°, i propri vestiti preferiti potranno durare ancora di più. Questo perché anche i movimenti meccanici della lavatrice e le alte temperature possono rovinare le fibre. Yvette White è dermatologicamente innocuo e biodegradabile.

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Idee e acquisti per la settimana

Galateo del caffè

Come ordinare un caffè correttamente In vacanza vi è già capitato di vedervi servire un caffè che non corrispondeva affatto a quanto desideravate? Il nostro piccolo galateo del caffè vi aiuta nell’ordinazione, affinché quando vi trovate nei paesi nostri vicini possiate gustarvi effettivamente il vostro caffè preferito

Germania I nostri vicini del nord sono noti per il loro amore per il Latte Macchiato. Al mattino, dopo mangiato o in qualsiasi momento: per quella bevanda il tempo c’è sempre! Ancora più nota e apprezzata e la loro cultura caffè-e-torta. Alla domanda: «Cosa prendi col caffè?» in Germania non si risponde «panna, zucchero o latte», bensì «torta margherita, crostata di frutta o millefoglie». Per il Latte Macchiato: Caruso Espresso chicchi 500 g* Fr. 8.20 *Nelle maggiori filiali

Testo Heidi Bacchilega; illustrazioni 180_AU_QS_x07

Austria Gli austriaci bevono molto caffè e lo fanno volentieri; in tutte le varianti possibili e a ogni ora del giorno. Inoltre amano la comodità e non si la sciano stressare facilmente, men che meno al bar. In un autentico caffè viennese, il cameriere col farfallino è solitamente un po’ burbero. È la regola, niente di personale. In attesa che il caffè sia servito, prendere un giornale, appoggiarsi allo schienale e rilassarsi.

Per un caffè con latte: Exquisito chicchi 500 g Fr. 7.50

Francia I francesi a colazione bevono il loro caffelatte «bol» da una grande tazza senza manico. Per il resto della gionata c’è l’espresso, che in Francia si chiama Café noir. Alla sera, dopo una copiosa cena, è una conclusione obbligatoria. Chi vuole lo corregge con un po’ di cognac. Inoltre: i francesi considerano il latte macchiato piuttosto un dessert dolce, che non ha niente a che fare col caffè.

Come si chiama all’estero il mio caffè preferito?

Espresso

Caffè con panna

Caffè con latte

Latte Macchiato

Kleiner Schwarzer

Kleiner Brauner

Melange

Kaffee verkehrt (Vienna)

Café noir, petit noir, espresso

Un crème, un noisette

Un grand crème, un café au lait

Latte macchiato

Espresso

Kaffee

Milchkaffee

Latte Macchiato

Caffè

Il caffè con panna non è conosciuto; «macchiato» è con un po’ di latte.

Caffelatte

Latte Macchiato

Per un caffè con panna: Exquisito Crema chicchi 500 g* Fr. 7.50 *Nelle maggiori filiali

Italia Dopo mangiato gli italiani bevono un espresso. Il caffellatte è per la colazione, al massimo entro le 10. Per non fare una figuraccia, dopo mangiato meglio rinunciare per una volta al consueto Latte Macchiato e provare un espresso. Per gustarlo durante la giornata ci si mette anche al bancone, per godersi un momento di italianità.

Per l’espresso: Espresso Classico chicchi 500 g* Fr. 8.10 *Nelle maggiori filiali

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui gran parte dell’assortimento di caffè.


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Idee e acquisti per la settimana

Barrette Farmer

Energia a portata di mano Suggerimento per una gita

In bicicletta da Bellinzona a Cavergno

20 varietà! Barrette Farmer per tutti i gusti. Le barrette Farmer forniscono energia naturale durante le escursioni.

Attraversando il fertile Piano di Magadino, la vivace Locarno sul Lago Maggiore e le Terre di Pedemonte, si giunge nell’idilliaca Vallemaggia. Nel fiume, lo gneiss grigio chiaro scavato, spaccato e levigato dalle acque della Maggia.

Farmer Soft Choc Mela 9 pezzi 290g Fr. 4.50

Lasciata Bellinzona e le sue torri, si attraversa l’orto del canton Ticino, il Piano di Magadino. Seguendo il lungolago si giunge nella vivace Locarno. Dopo le fertili Terre di Pedemonte, si entra nella Valle. A Maggia, un affresco nella chiesa di S. Maria delle Grazie raffigura san Lucio che serve formaggio ai poveri. A Cevio, al Museo di Valmaggia, sono presentati temi legati alla vita degli abitanti della valle e ai loro bisogni per la sopravvivenza.

Il percorso:

Se ci sono anche bambini, pianificate pause a sufficienza.

Bellinzona-Cavergno: 56 km (3 km non asfaltati)

Durata: ca. 4-6 ore. La tratta BellinzonaLocarno è particolarmente adatta alle famiglie con bambini: 22 km . Durata: ca. 2-3 ore

Requisiti: facile Condizione fisica: media Dislivello: Bellinzona–Cavergno 420 m Cavergno–Bellinzona 190 m

Dove noleggiare una bici: Alla stazione di Bellinzona, Tourist office Locarno.

I mesi estivi sono ideali per le attività del tempo libero di ogni genere: la natura ci mostra il suo lato più bello, fiumi, montagne e laghi ci fanno l’occhiolino per invitarci. È veramente ora di intraprendere qualcosa con la famiglia! Non solo è un divertimento per tutti, ma le esperienze vissute insieme rafforzano anche i rapporti fra genitori e figli. In questo senso, le attività del tempo libero, come le escursioni o le gite in bicicletta, sono proprio l’ideale

Farmer Nuts & Fruits mirtillo 3 barrette 105 g Fr. 4.20

Farmer Soft Sport 9 pezzi 180 g Fr. 3.60

Farmer Crunchy Natural 12 pezzi 204 g Fr. 4.40

Farmer Crunchy Miele 12 pezzi 240 g Fr. 4.40

per tutti. Fra gli accompagnatori ideali nelle escursioni di ogni tipo figurano le barrette Farmer. Sono imballate singolarmente e talmente leggere che non pesano nello zaino. Però forniscono energia e preziose fibre. L’unica difficoltà sta nel fare una scelta: soft o crunchy, con frutta, con o senza cioccolato, naturale o certificata bio con pezzetti di fragola… Fra le oltre 20 varietà c’è sicuramente anche la barretta ideale per voi.

Farmer Soft Latte 6 pezzi 174 g Fr. 3.60

Ulteriori informazioni: Su veloland.ch (numero per il campo di ricerca: 31) trovate una cartina ciclistica gratuita da stampare.

Bio Farmer Junior Fragola 6 pezzi 138g Fr. 3.80

Farmer Soft Mora e Mela 9 pezzi 234 g Fr. 4.40

Aha! Farmer Soft Mirtillo/Mora 6 pezzi 150 g Fr. 4.60 Nelle maggiori filiali

App gratuita Schweiz-Mobil (iOS/Android) nell’App Store o su Google Play.

Farmer Soft Brownie 6 pezzi 156 g Fr. 4.50

Farmer Soft Choc Cioccolato nero 9 pezzi 252 g Fr. 4.50

Consigli: Particolarmente consigliabile con i bambini è il tratto fra Bellinzona e Locarno (22 km). Le attrattive «Bolle di Magadino», zona golenale con una ricchezza di specie di anfibi e uccelli, sono particolarmente interessanti per i bambini. Interessante anche l’aerodromo di Magadino con lancio di paracadutisti. Fra Minusio e Muralto, il Lago Maggiore offre la possibilità di fare il bagno.

Farmer Soft Choc Natural 9 pezzi 290 g Fr. 4.50


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Mega Win

Incollare e vincere Il gioco a premi Mega Win viaggia a pieno regime. Ogni giorno sono in palio viaggi e premi immediati del valore complessivo di 800’000 franchi. Tre clienti Migros mostrano con fierezza i premi che hanno vinto la scorsa settimana: un viaggio, un laptop e un orologio Apple Watch. Brigitte V. (46)

Casalinga e aiuto domestico in un’azienda a conduzione famigliare di Würenlos, (AG) Premio: una vacanza al mare per la famiglia di Fr. 3000.– «Forse mi ha portato fortuna il fatto che, una volta tanto, non sono andata fare la spesa nella filiale di Wettingen, così ho trovato il set di sticker che mi mancava. L’ho ricevuto dopo aver comprato le racchette da walking nel negozio SportXX. In famiglia non viaggiamo molto, quindi sono ancora più felice di questo premio. Vorrei trascorrere le ferie con la mia famiglia in Grecia».

Come si partecipa Con mega Win sono in palio 122 viaggi da sogno e 3000 premi immediati, per un valore totale di 800’000 franchi, aspettano solo di essere vinti. Per ogni acquisto fino al 29 giugno, ogni 20 franchi di spesa ricevete alla cassa un set contenente due adesivi* e un Win Code.

¶ Incollate gli Stickers sui simboli opportuni stampati nel quadernetto di partecipazione al concorso, che è ottenibile alla cassa. Una volta che tutti i simboli siano correttamente incollati su una valigia, avrete vinto il premio corrispondente.

Nina B. (28)

Infermiera diplomata di Erlen (TG) Premio: un Apple Watch del valore di ca. Fr. 829.–

¶ Inserite il Win Code Inserite il Win Code sul sito www.migros. ch/megawin o nell’App Migros gratuita e vedrete se avete vinto uno dei 3000 premi messi in palio da Migros e dai suoi negozi specializzati. Si può consultare la lista di tutti gli attuali vincitori su migros.ch/megawin

«Il set di sticker con il codice giusto che mi ha permesso di vincere mi è stato regalato da mia suocera. Quando ho inserito il codice in Internet, ho pensato immediatamente di aver caricato un virus. Poi ho capito che era una vera vincita…».

Altre informazioni e set di Sticker gratuiti li trovate su www. migros.ch/megawin.

Sarah F. (27)

Infermiera in un centro terapeutico a lungo termine di Windish (AG) Premio: Un Laptop HP Pavilion del valore di ca. Fr. 399.–

«All’inizio non riuscivo quasi a crederci, perché non mi è mai capitato di vincere un concorso. Il premio cade a puntino perché non ho mai posseduto né un computer né tantomeno un portatile. Ora potrò caricare tutte le mie foto, che tengo su una Memory-stick USB, sul computer e guardarmele con tutta calma»

Sullo stesso sito si trova anche il nome di tutti i vincitori. * Al massimo 10 set di Sticker per acquisto, secondo disponibilità.


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Tradition

Salse per insalata come fatte in casa Con le temperature aumenta anche la voglia di belle insalatone leggere. La linea Tradition, con le sue formule fatte in casa, offre quattro salse Premium ben fredde, prodotte solo con ingredienti freschi. Sono salse classiche nei gusti Italienne, Balsamique e Française aux herbes. Quest’ultima, grazie a una miscela di basilico, origano, timo e rosmarino freschi, risulta ancora più cremosa. Una novità è la Sauce Française senza erbette aromatiche. La linea Tradition punta su prodotti autentici e non contiene né coloranti né conservanti o aromi artificiali.

Tradition Sauce Française aux herbes 450 g Fr. 4.90

Novità Tradition Sauce Française sans herbes 450 g* Fr. 4.90

Tradition Sauce Balsamique 450 g Fr. 5.50

Azione 30% su tutte le salse per insalata Tradition dal 16 al 22 giugno Tradition Sauce Italienne 450* g Fr. 5.50 * Nelle maggiori filiali

Scuotere una volta brevemente il flacone prima dell’uso affinché olio e aceto si miscelino per bene.

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche le salse per insalata di Tradition.


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Idee e acquisti per la settimana

Zoé

Per un’idratazione più Aqua è il nome della nuova linea di Zoé. Insieme con Zoé Cleansing viene a sostituire l’attuale gamma di prodotti di Zoé Hydraprotect. Il nome Aqua è tutto un programma, in quanto la serie di otto prodotti, con i loro preziosi principi attivi, risponde alle esigenze della pelle a partire dai 25 anni: fornisce una porzione extra di idratazione, cura egregiamente e inoltre, a seconda del prodotto, protegge dagli influssi ambientali nocivi. Zoé Aqua è testata dermatologicamente.

20X Punti Cumulus su tutti i prodotti della linea Zoé Aqua dal 16 al 22 giugno

Zoé Aqua è intensamente idratante, in modo che la pelle appaia fresca e sana.

Zoé Aqua 2 in 1 Siero & Fluido ultraleggero 50 ml Fr. 16.80

Zoé Aqua crema-gel ultraleggera SPF 15 50 ml Fr. 15.80

Zoé Aqua Detox crema da giorno protettiva SPF 15 50 ml Fr. 15.80

Zoé Aqua crema CC per una pelle perfetta SPF 15 50 ml Fr. 16.80

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche la linea trattante per il viso Zoé.


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Idee e acquisti per la settimana

Grande Caffè

Rilassati con Arabica & Co. Al piacere del caffè non bisognerebbe rinunciare nemmeno nei caldi giorni estivi. Per tutti coloro che desiderano gustare le loro bevande calde preferite in una versione fredda, adatta anche alle alte temperature, e magari in un recipiente che possa essere portato comodamente con sé, Grande Caffè offre oggi sei nuove specialità: Macchiato, una miscela di forte caffè Arabica proveniente dalle regioni del Kilimangiaro mescolato con schiumoso latte; BioMacchiato, con ingredienti specifici tratti da coltivazione biologica; Vaniglia, una miscela di caffè proveniente dal Guatemala e di raffinata vanigliabourbon; Espresso, creato partendo da chicchi del Guatemala torrefatti con cura per dar luogo a un caffè extraforte; Cappuccino, realizzato con caffè del Guatemala aggiunto a una leggera schiuma di latte e un saporito cacao; e, infine, Zero, il caffè completamente privo di zucchero. Tutte le qualità di Grande Caffè sono rese più raffinate da ottimo latte svizzero.

Grande Caffè Zero 210 ml Fr. 1.50

Bio Grande Caffè Macchiato 210 ml* Fr. 1.70 *Nelle maggiori filiali

Grande Caffè Vanille Bourbon 210 ml* Fr. 1.50 *Nelle maggiori filiali

L’industria Migros produce molti dei prodotti Migros più amati. Tra questi, anche Grande Caffè. Annuncio pubblicitario

Tutte le offerte sono valide dal 16.6 al 29.6.2015, fino a esaurimento dello stock.

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Dal 4 settembre, a Lugano la forma è di casa.

Inaugurazione ACTIV FITNESS Lugano, 4 settembre 2015. Su una superficie di 1’300 m2, in pieno centro, trovate un’offerta fitness completa a un prezzo sensazionale. Il secondo centro ACTIV FITNESS del Ticino vi aspetta! Forza · Resistenza · Corsi di gruppo · Wellness · Spazio bambini ACTIV FITNESS, Via Pretorio 15 (5° Piano), 6900 Lugano, www.activfitness.ch


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