Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXIX 27 giugno 2016
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Società e Territorio Un progetto per reinventare il futuro delle cave di Arzo
Ambiente e Benessere Come combattere i dolori cronici? Ce ne parla il dottor Paolo Maino, specialista in anestesia e rianimazione e terapia interventistica del dolore
Politica e Economia L’Indonesia vuole rilanciare il turismo e l’economia anche grazie al gioco del golf
Cultura e Spettacoli Il Museo del Prado di Madrid celebra l’arte del grande Jheronimus Bosch
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Vincenzo Cammarata
Un fiore di pietra sul Generoso
di Loris Fedele pagina 3
Un Regno disunito e isolano di Peter Schiesser E adesso teniamoci forte. Perché con l’uscita della Gran Bretagna, l’Europa unita non sarà più la stessa. Ma anche la Gran Bretagna rischia di non esserlo più, perché se Inghilterra e Galles hanno votato a favore, Scozia e Irlanda del nord hanno votato contro Brexit. Il 23 giugno 2016 entra nella Storia come una ferita profonda nel petto dell’Europa. Noi oggi possiamo solo provare ad immaginare quali conseguenze provocherà nei prossimi anni e probabilmente anche nei prossimi decenni. Perché è un divorzio che lacera gli equilibri all’interno del Regno Unito (un appellativo che forse in futuro non meriterà più) e dell’Unione Europea, ma modifica anche i rapporti di forza fra l’UE e il resto del mondo, proprio nell’era della massima estensione della globalizzazione economica. È la vittoria dei ceti bassi (o che temono di diventarlo) e dell’Inghilterra profonda, conservatrice, che guarda a Londra come ad un altro pianeta, ma anche dei più anziani sui giovani. Parallelamente, casualmente o no, è un’ulteriore prova del fascino per un nichilismo politico che sta stregando una buona parte dell’Occidente,
Stati Uniti compresi, visto il fenomeno Trump. È il trionfo del «tanto peggio, tanto meglio» come risposta ai dilemmi che pone un mondo globalizzato in cui cadono le frontiere e l’economia cambia volto. Ma il risultato è un Paese spaccato in due. I sostenitori del Brexit sono ora in debito: se non riusciranno a dimostrare che questa «indipendenza» renderà migliore la vita ai sudditi di sua maestà Elisabetta II, non solo la Gran Bretagna non troverà più un posto al sole nel mondo, ma potrebbe aprirsi la stagione più buia della sua storia degli ultimi secoli. Fermenti politici e sociali oltre a scossoni all’economia da una parte, un quasi scontato rinfocolamento dei desideri di indipendenza dei filo-europei scozzesi e nuovi dubbi sulla permanenza nel Regno Unito da parte dei nordirlandesi (oggi di nuovo più divisi dai cugini del sud) dall’altra, ne sarebbero la naturale conseguenza. Motivi per credere che non sarà così ve ne sono pochi e sconfinano nel pensiero magico. I rischi per l’economia britannica erano ben noti, ma gli appelli a non distruggere il capitale economico accumulato in questi decenni hanno sortito l’effetto inverso in chi sente di risultare perdente nella corsa all’oro scatenata dalla globalizzazione. Questo Paese divi-
so, incerto del ruolo che vuole assumere nel mondo, è il lascito alla Storia di David Cameron, ormai premier dimissionario: è stato lui a giocare con il fuoco proponendo un referendum sull’Europa; le sue contraddizioni di euroscettico, pronto a lasciare l’UE se non si fosse profondamente riformata (di questo si resta in attesa), ma poi in affanno a spiegare agli elettori che sarebbe una follia economica farlo, hanno portato il Paese a rinchiudersi nell’animo isolano. Paradossalmente, l’Unione Europa si trova ora orfana di un membro che ha fortemente influito a renderla com’è oggi: un progetto più economico che politico e il più ampio possibile. Era stata Londra a spingere per l’allargamento ad Est per evitare un’egemonia franco-tedesca. Oggi di fatto la Germania diventa ancor più il leader incontrastato dell’UE, visto che la Francia e l’Italia sono in affanno. Ma di un’Europa in cui il nazionalismo è di nuovo considerato una ricetta contro i mali del tempo. Non passerà molto tempo prima che in Francia e in Olanda qualcuno voglia imitare gli inglesi provocando dei referendum sull’uscita dall’Europa. L’unico vero antidoto sarebbe una profonda riforma dell’Unione europea. Un rinnovamento che non può più essere rinviato.
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Attualità Migros
M Tutto su rotaia! Trasporto merci Migros Fino a poco tempo fa i pomodori Longobardi arrivavano in Svizzera su camion.
Ora percorrono i 1200 chilometri che separano Napoli da Suhr, in Argovia, in treno Thomas Tobler* Il comune di Scafati, 50’000 abitanti, si trova ai piedi del Vesuvio, a sud di Napoli. Ospita in particolare la sede principale della Longobardi, un’azienda familiare che da più di cinquant’anni fornisce alla Migros prodotti a base di pomodori. Fino a poco tempo fa (il cambiamento è intervenuto alcune settimane or sono), le merci venivano trasportate su camion dalla Campania fino al canton Argovia, al centro di distribuzione Migros, a Suhr. Ora le conserve di pomodori saranno caricate su vagoni con destinazione la Svizzera. Il viaggio delle scatolette di conserva inizia nei locali di produzione della Longobardi, dove vengono impilate e imballate. L’azienda italiana fabbrica una ventina di prodotti a base di pomodori per la Migros. Gli ortaggi che partono da qui sono coltivati anche in Toscana e nelle Puglie. Oltre ai pomodori tritati e pelati, l’assortimento Longobardi comprende diverse salse di pomodoro e pomodori cherry. Occorre dire che il sito di produzione della Longobardi non dispone di un suo raccordo alla rete ferroviaria. Così, in un primo tempo, le palette vengono caricate su un camion, poi trasportate a Maddaloni, a 50 chilometri di distanza, dove vengono messe sui vagoni. Esattamente un giorno prima che il convoglio ferroviario si metta in moto in direzione del centro di distribuzione di Migros, a Suhr, il camion carico di conserve lascia l’azienda Longobardi. Sono necessari cinque giorni affinché gli articoli giungano a destinazione. A Maddaloni, le palette vengono radunate in un immenso locale di spedizione, mentre un treno merci è già pronto per la partenza. Due vol-
I pomodori Longobardi vengono caricati sul treno nella centrale di Anagni, nel Lazio. (Lorenzo Macotta/ Contrasto)
te alla settimana, il martedì e il sabato senza eccezioni, i prodotti Longobardi lasciano verso mezzogiorno le rive del Mediterraneo per intraprendere il viaggio verso la Svizzera. L’itinerario passa dalla stazione merci di Anagni, a sud di Roma, dove i vagoni vengono agganciati ad altri per formare un lungo convoglio. Le conserve proseguono poi il loro viaggio verso la Svizzera. Quando le palette arrivano a Suhr, al centro di distribuzione della Migros, vengono scaricate dai vagoni e immagazzinate. Da qui poi le conserve saranno trasportate in treno fino alle centrali regionali e poi su camion fino ai negozi Migros. Per i supermercati più lontani, un tre-
no rifornisce la centrale aziendale della rispettiva regione. Solo l’ultimissimo tratto del tragitto è percorso su strada. Ogni giorno, più di ottocentocinquanta veicoli Migros alimentano in tal modo i supermercati. Dopo 1200 chilometri e parecchi giorni di tragitto, i pomodori si trovano sugli scaffali dei negozi. Ogni anno Migros ne smercia più di 5700 tonnellate, il che rappresenta più di 12 milioni di articoli Longobardi. Grazie al trasporto su rotaia, ora questi prodotti Migros vantano un bilancio ecologico molto migliore. Markus Helg, responsabile del settore dei trasporti internazionali alla Federazione delle cooperative Migros ci
spiega nel dettaglio il vantaggio in termini ecologici del trasporto su rotaia. «Invece delle 24 tonnellate trasportate dai camion, si possono caricare fino a 28,5 tonnellate di merci su ogni vagone. Le spese di trasporto vengono considerevolmente ridotte. Oltre a questo, il treno è più ecologico. Concretizzando questo progetto, si risparmiano quasi 600 tonnellate di CO2. Ciò rappresenta una riduzione dell’80% rispetto al trasporto su camion». Per controllare che il processo avvenga nel modo più efficiente, Migros si assicura che fra il fornitore e la compagnia ferroviaria incaricata del trasporto ci sia una buona pianificazione e anche che i docu-
menti per l’esportazione e la dogana corrispondano esattamente alla merce imbarcata. In futuro sempre più merci viaggeranno su rotaia fino alla Svizzera. A partire da inizio giugno, anche la pasta Garofalo è trasportata in Svizzera su treno. Già oggi, dodici vagoni refrigerati pieni di banane verdi lasciano ogni settimana il porto di Flessinga, in Olanda, per recarsi negli impianti di maturazione della Migros. D’altra parte, Migros trasporta su rotaia anche le bevande energetiche provenienti dall’Austria. * Redattore di Migros Magazin
Delizio in aiuto al Nepal
Più scelta per vegetariani e vegani
Caffè Successo della vendita di solidarietà
Generazione M Migros promette di ampliare del 30 per cento
il proprio assortimento di prodotti vegetariani e vegani certificati entro il 2017
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Fino ad oggi sono stati raccolti circa 50 mila franchi grazie alla vendita del caffè Delizio proveniente dal Nepal. Per ogni confezione della serie speciale venduta Migros ha donato una parte del prezzo per la ricostruzione delle piantagioni di caffè a nord della capitale Kathmandu. Nonostante l’arrivo delle piogge monsoniche, nel frattempo, i lavori di costruzione sono stati quasi conclusi. Gli abitanti dei villaggi, utilizzando materiali da costruzione come pannelli in bambù e lamiera, hanno ultimato alcune aule temporanee, in modo che i bambini possano riprendere presto le loro lezioni. Dopo il terremoto le abitazioni all’interno delle piantagioni sono state ricostruite seguendo parametri antisismici e antincendio. Anche il canale che garantiva l’approvvigionamento idrico alla comunità è stato rimesso in sicurezza ed oggi funziona nuovamente, dopo essere stato distrutto dal sisma.
Nuove forme di alimentazione sono di attualità. Molte persone di tanto in tanto scelgono di consumare un pasto privo di carne. Altre rinunciano del tutto alla carne o limitano la loro alimentazione esclusivamente a prodotti di origine vegetale. Articoli come il latte di mandorla, la fettina di tofu, lo yogurt
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
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di soia, i prodotti da spalmare a base di verdura sono già molto apprezzati dalla clientela di Migros. Il successo di questi prodotti è dovuto al fatto che sono gustosi e rendono più variata l’alimentazione. Migros intende ora ampliare ulteriormente la propria gamma di prodotti vegetariani
Ad oggi 104 specialità vegetariane e 272 vegane.
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Tiratura 101’035 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
e vegani ponendosi l’obbiettivo di aumentare del 30 per cento l’offerta di tali prodotti entro il 2017. Attualmente tra i grossisti Migros è al primo posto in termini di offerta di prodotti vegetariani e vegani certificati. Nel suo assortimento figurano infatti 104 prodotti vegetariani e 272 prodotti vegani certificati. Questi articoli sono certificati secondo gli standard dell’Unione vegetariana europea («marchio V») o della Vegan Society UK («fiore vegano»), che garantiscono ai consumatori l’assenza di carne (vegetariano) o di additivi di origine animale (vegani) nella fabbricazione dei prodotti. Da circa 30 anni ormai Migros ha nel proprio assortimento linee di prodotti vegetariani. Alla fine degli anni 90 ha lanciato il primo articolo vegano a base di tofu. Con l’introduzione del marchio Alnatura nelle filiali Migros, avvenuta nel 2014, si sono aggiunti altri prodotti di qualità biologica. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Un principe mediatore Valentina Testoni propone una rilettura di Saint-Exupéry per migliorare il dialogo famigliare
Il ferro del Malcantone Il maglio di Aranno, oggi risorsa turistica, è la testimonianza di una attività mineraria unica in tutto il Cantone
Il futuro delle Cave di Arzo Per il momento la loro attività è ferma ma potrebbero ancora ritrovare un ruolo importante per la regione del San Giorgio pagina 8
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Vincenzo Cammarata
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Liberi di vedere e di sognare Monte Generoso Mario Botta ha presentato ufficialmente il suo «Fiore di pietra»
Loris Fedele «L’idea di salire su una montagna per fruire di una visione a 360 gradi è un sogno insito nell’uomo. Chi va in montagna cerca questa emozione e quel punto di vista che appena sotto di qualche metro non può avere». Chi parla è l’architetto Mario Botta , il progettista salito nella giornata delle porte aperte sul cantiere del «Fiore di pietra» in vetta al Monte Generoso. La costruzione, edificata esattamente sul sedime del vecchio albergo-ristorante Vetta (di proprietà della Migros), che è stato demolito, si configura come un edificio a pianta centrale, in cemento armato, organizzato su 5 livelli. In basso c’è un’ampia entrata con delle strutture di servizio. Al primo piano una sala per convegni e conferenze e le camere per il personale, la lavanderia, oltre all’appartamentino del custode. Al 2. livello un ristorante self service, con l’uscita sulla grande terrazza che già era presente nel vecchio albergo. I disabili oltre all’ascensore potranno accedervi con un giro esterno. Sopra, un ampio ristorante contornato da vetrate imponenti, dove si verrà ser-
viti al tavolo. Poi al 4° livello una terrazza scoperta con vista a 360 gradi. A dar forma all’edificio sono 7 torri, 2 delle quali occupate dalle scale e dall’ascensore. Una costruzione imponente, che marca una forte presenza sulla montagna, impossibile da ignorare. Vuole essere un simbolo? «È la conquista della vetta», mi risponde Botta, «è la stessa ragione per cui gli alpinisti vanno a piantare la loro bandierina. Qui è un po’ più comodo perché si arriva seduti in treno e poi si può persino mangiare, bere, discutere all’interno di questa struttura. È un luogo privilegiato, un luogo che dà una condizione che la struttura urbana non può dare. Qui si è liberi di vedere ma anche di sognare: la rarefazione dello spazio offre anche una condizione di riflessione, di meditazione, di pensiero, che credo sia insita nella natura umana». Botta è sempre stato coerente nelle sue visioni e nel seguire alla lettera, interpretandole a modo suo, le richieste del committente. «Quando ci hanno chiesto di fare questo ristorante abbiamo pensato di fare questo fiore che si apre a 360 gradi proprio per permettere a chi sale fino a qui di godere di
un panorama completo. Qui abbiamo il vantaggio di sentire da un lato la Lombardia e la luce del meridione, dall’altro invece tutta la catena delle montagne svizzere. Questa è anche la prima montagna venendo da Milano. Uno slogan potrebbe essere: “Venite al Generoso per vedere Milano dall’alto”, perché nei giorni di bel tempo, quando è ventilato, da qui si vede esattamente l’agglomerato urbano di Milano». La struttura verrà rifinita per la fine di dicembre e potrà essere aperta al pubblico nel marzo 2017, insieme all’esercizio ferroviario che sale da Capolago. È stata portata avanti dalla Ferrovia MG e interamente finanziata dalla Federazione delle cooperative Migros, attraverso il percento culturale. A lavori ultimati l’investimento si calcola sui 22 milioni di franchi. Da tener conto che oltre a questa struttura si stanno realizzando delle canalizzazioni, dalla vetta fino a Roncapiano (980 m s/m), per le acque luride, l’energia elettrica e l’acqua potabile. Per tutto questo si devono aggiungere altri 3 milioni di spesa. L’ipotesi di riproporre un albergo non è mai entrata in considerazione. Il progetto voluto era
solo per i 2 ristoranti. D’altra parte è già una scommessa far vivere una struttura così, a 1620 metri di quota, in cima a una montagna dove non c’è una strada che arriva, ma solo una piccola ferrovia e dei sentieri da percorrere a piedi. Una scommessa da vincere con un’adeguata promozione turistica, perché il «Fiore di pietra» dovrebbe diventare una tappa obbligata per i visitatori svizzeri ed esteri. Il luogo lo merita. Le pareti dell’edificio si aprono inclinate verso l’esterno per poi richiudersi in alto. Per i rivestimenti si è usato il sasso di Lodrino, una varietà di granito che era già stata usata per il vecchio ristorante. L’ingegner Luigi Brenni ha reso concrete le idee di Botta: «Lavorare con Botta è stato facile. La struttura dell’edificio era piuttosto semplice, contemplava 4 pilastri centrali e poi quelle facciate. Tuttavia bisognava risolvere il problema geotecnico di collegarsi bene a questa roccia fratturata. La soluzione trovata consiste in una «cucitura» sotto l’opera, con dei pali di 25-30 metri. Abbiamo usato circa 800 metri di pali: sono serviti a mettere insieme questa roccia calcarea che è tutta a strati. Per fortuna
gli strati vanno in direzione opposta allo strapiombo e quindi possiamo stare tranquilli». La fase che ha fatto più paura è stata all’inizio, con la demolizione del vecchio edificio. Si è dovuto operare con mezzi piccoli, smontarlo a pezzetti, puntellarlo continuamente. Ci sono voluti 3 mesi. Quanto alla nuova costruzione, dopo il fissaggio dei pali, nel mese di giugno 2015 si sono fatte le prime gettate di cemento. Alla fine di ottobre si era arrivati al terrazzo superiore. I materiali per il cantiere sono saliti e scesi usando una teleferica costruita ad hoc. Una teleferica a 2 pilastri, lunga 2,5 km, che dalla Val di Muggio raggiunge la vetta: 10 minuti per salire o scendere, una portata di 6 tonnellate a viaggio. Nel 2015, con 1500 trasporti, si sono spostate 7000 tonnellate di materiale. Impossibile pensare di farlo in questi tempi e modi con la ferrovia o l’elicottero. In più, salendo si consumava energia elettrica e scendendo la si recuperava, una performance verde di cui l’ingegner Brenni va fiero. La teleferica è un manufatto provvisorio, da smantellare a lavori ultimati, a ulteriore riprova dell’attenzione riservata all’ambiente.
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Società e Territorio
Il nostro piccolo principe Pubblicazioni Il libro della mediatrice familiare Valentina Testoni: un libero adattamento dell’opera
di Antoine de Saint-Exupéry, che si propone di mettere il pensiero del bambino al centro di ogni discorso genitoriale Elisabetta Oppo Nella società moderna si assiste in misura sempre crescente a quel fenomeno che da molti studiosi viene definito «instabilità matrimoniale». In questi ultimi decenni la propensione al divorzio si è accentuata notevolmente. In Svizzera, secondo i dati dell’Ufficio federale di statistica l’indicatore sintetico di divorzialità è nettamente aumentato a partire dagli anni Settanta, passando dal 15 per cento di allora al 40,9 di oggi, percentuale che in Ticino raggiunge il 45,7. La separazione e il divorzio vengono considerati fatti familiari e sociali che rappresentano qualcosa ad alto impatto sul benessere delle persone che vi sono coinvolte, e la rottura coniugale è considerata una transizione stressante rispetto alla quale adulti e bambini devono adattarsi.
In fase di divorzio il benessere dei bambini è inversamente proporzionale al conflitto dei genitori I genitori separati hanno un ruolo fondamentale nell’aiutare i figli ad abituarsi alla nuova situazione, per questo è necessario assumere atteggiamenti appropriati, che tengano conto in primo luogo del benessere dei bambini. Il nostro piccolo principe, il libro della sociologa Valentina Testoni da pochi giorni in libreria, si presenta quasi come una guida per interpretare le reazioni dei bambini di fronte alle paure e alle delusioni degli stessi, dopo la separazione dei genitori. Un libro scritto in modo semplice ma mai scontato, con un originalissimo punto di partenza Il piccolo principe di Antoine de SaintExupéry, un classico della letteratura per l’infanzia molto amato dai bambini e non solo. Per dargli una prima, sommaria lettura, abbiamo intervistato l’autrice, Valentina Testoni, mediatrice familiare da anni delegata all’ascolto di minori, soprattutto nelle problematiche dei bambini con genitori separati e divorziati. Com’è nata l’idea di scrivere il libro che prendesse spunto da Il piccolo principe?
Dopo diversi anni con i bambini mi sono resa conto che poteva essere un promemoria per me nella vita di tutti i giorni per non scordare di guardare nella giusta prospettiva il quotidiano e un ottimo manuale per gli adulti. Poi
mi sono resa conto di quanto le parole dei bambini coinvolti nel divorzio dei genitori fossero in linea e metaforicamente vicine a quelle del piccolo principe. Rileggendo il libro con le mie figlie, nelle sue righe trovavo anche dei concetti espressi dai bimbi che vengono da me in mediazione. Quindi ho pensato che Il piccolo principe si potesse applicare ad ogni ambito della vita. A chi è rivolto il libro e perché?
Volevo arrivare a chi davvero sta attraversando questa fase dolorosa che spesso viene banalizzata, ma che in realtà segna in modo molto forte le persone che la attraversano. Penso che la differenza sostanziale stia nel modo in cui è gestito il conflitto. Con il mio libro volevo dunque dare anche qualche consiglio pratico su come affrontare una fase di separazione e divorzio. Quali suggerimenti si possono dare a una coppia che decide di separarsi e si ponga come obiettivo principale la tutela dei figli?
Io punto sempre alla mediazione perché permette di preservare i legami e affrontare il cambiamento in modo positivo, senza arrivare a desiderare l’interruzione del rapporto con l’ex coniuge, che rimane comunque il padre o la madre del proprio figlio. È importante quindi rivedere il legame da coppia amorosa a coppia genitoriale. Una cosa da evitare assolutamente, invece, è di triangolare i minori nelle discussioni: bisogna permettere ai figli di essere estranei ai conflitti, ricordando che il loro benessere è inversamente proporzionale al conflitto dei genitori. Se un conflitto è esasperante non si può preservare il benessere dei bambini. Fondamentale la gestione della rabbia, che spesso si prova nella fase della separazione. Come controllare questa emozione?
Nell’elaborare emozioni come rabbia e frustrazioni è molto utile la mediazione, che aiuta a estrinsecarle, e concentrarci insieme. Nel divorzio e nella separazione spesso non si dà il dovuto spazio alle emozioni, non essendo sempre possibile e per nulla facile esternarle. Queste quindi tendono a trovare un nascondiglio in noi stessi, ci portano a prendere delle posizioni, a provare soprattutto emozioni ritenute «negative» quali la rabbia, il rancore o il risentimento, che portano le situazioni ad «incancrenirsi» e ci allontanano da una soluzione comune o da un accordo che possa, in parte o totalmente, soddisfare tutte le persone in causa. L’ideale sarebbe poter esprimersi e confrontarsi con l’altro quando determinate sensazioni fanno capolino nella nostra vita. Gli incontri di coppia per-
I bambini devono sempre essere al centro dei pensieri e delle azioni, anche fra genitori separati. (Keystone)
mettono di scendere sotto le posizioni e di accedere al reale desiderio e bisogno che cela una presa di posizione.
è il rispetto, per questo è importante che le parole non siano contraddette dai gesti o dai fatti.
Tra le alte cose nel libro si parla dell’importanza della parola. Perché?
Altra circostanza alla quale bisogna prestare molta attenzione è «il momento di passaggio».
Si ribadisce spesso che noi siamo esseri di parola, la parola è molto importante, bisogna parlare con i propri figli e non stancarsi di ripetergli che il papà e la mamma non si stanno separando per colpa loro. I bambini nelle situazioni di divorzio tendono spesso a colpevolizzarsi. Con i bambini bisogna fare sempre molta attenzione a quello che si dice e al linguaggio non verbale che si usa. Parole dette con noncuranza possono essere percepite dai figli come qualcosa nel quale sono direttamente coinvolti o colpevoli a causa di loro comportamenti, capricci o quant’altro. Nel caso voi avvertiate che i vostri figli stanno provando un sentimento di colpevolezza, vi invito a ripetere e a ribadire loro che non c’entrano nulla con la vostra decisione di coppia e che l’amore che provate per loro resterà sempre invariato, anzi non potrà che crescere.
Il distacco nelle separazioni è sempre un momento molto delicato e difficile. Il passaggio tra genitori, quando i figli passano da uno all’altro, non può essere banalizzato o massacrato da tensioni varie perché rappresenta quella linea continua che fa da tramite tra i genitori e il loro tempo trascorso con i figli comuni. Anche in questi frangenti possono presentarsi nei figli, soprattutto all’inizio, momenti di tristezza, di pianto che fanno male ad entrambi i genitori. Arrecano dolore a quello che lascia i figli perché sa che trascorreranno alcuni giorni prima di riabbracciarli e al genitore che li riprende perché le lacrime possono essere interpretate come «È stato così bene con lui/lei che adesso non vuole venire con me…». Sono momenti di smarrimento per tutti che possono essere gestiti in maniera meno emotiva e più razionale, garantendo così anche maggiore serenità ai figli.
Un capitolo è dedicato anche al rispetto dell’ex coniuge.
I bambini mettono sempre la mamma e il papà sullo stesso piano; sono molto sensibili al rispetto dei genitori. Si deve mettere il bambino nelle condizioni di non doversi schierare per uno o per l’altro genitore. Tutto ciò che chiedono
Quali consigli possono essere dati per gestire nel modo migliore questo momento?
Si possono seguire alcune accortezze. Ad esempio la puntualità, essere in
orario viene visto come un segno di rispetto che non innescherà rimbrotti o brontolii nell’ex partner. Salutare l’altro genitore o la persona che si occupa del «passaggio»: per i bambini è molto importante il saluto. Se questo non avviene può essere interpretato molto male dai figli. Evitare qualsiasi critica aperta o velata e il sarcasmo sull’altro genitore o sull’abbigliamento e l’igiene con cui vengono recuperati i bambini. Evitare qualsiasi scontro. Per esempio se si deve comunicare all’altro genitore che per un imprevisto nel fine settimana non potrà vedere i figli come da accordi, è bene dare la notizia quando i bambini non sono presenti. Se nel momento di passaggio scende qualche lacrima, mai dire al bambino frasi del tipo «Stai meglio con lui/lei? Beh allora io me ne vado…» queste forme di ricatto morale fanno molto male ai figli che si sentono costretti a scegliere tra uno o l’altro genitore. Accettiamo, invece, il fatto che possa essere triste di lasciare il papà o la mamma con cui ha passato dei bei momenti. Piuttosto diciamogli: «Capisco tu sia triste. Lo sarei anche io se dovessi lasciare la mia mamma o il mio papà. Ma adesso andiamo a casa e se hai voglia puoi raccontarmi quante cose belle avete fatto. Altrimenti, se preferisci stare in silenzio, guardiamo un cartone animato insieme».
La società connessa di Natascha Fioretti Lavorare in ufficio tra un bucato, una partita di ping-pong e un pisolino Immaginate, domani mattina, di andare in ufficio e trovare un vassoio di frutta fresca sulla vostra scrivania con un biglietto che dice «Da oggi ti aiutiamo ad occuparti del tuo benessere» e accanto un dépliant con vari programmi di fitness e corsi sportivi, una ricca e varia offerta di cibi, anche quelli vegani, da ordinare in mensa, la possibilità di giocare a ping-pong o di fare il bucato durante le pause. Qualcuno starà sicuramente pensando che esagero un tantino e, in effetti, trovare tutto nella stessa azienda è quasi impossibile ma alcune, soprattutto quelle che operano a livello internazionale e dispongono di maggiori risorse, ci stanno lavorando. A che cosa? A costruire un ambiente
lavorativo dal quale i dipendenti non scappano per lasciarsi dietro, finalmente, quell’aria stantia e chiusa, la moquette di una vita con strati e strati di polvere diventati ormai parte del tessuto e nel quale, al contrario, trovano lo stimolo a fare meglio e di più perché ci stanno bene, non si sentono chiusi in una scatoletta di sardine nella quale bisogna camminare a testa bassa, osservare con severo piglio militare orari e pause per poi scattare come schegge allo scoccar delle 17.30 per andare a prendere i bimbi a scuola o correre al corso di yoga. Nell’era in cui passiamo più ore seduti che in piedi, gli occhi sempre incollati ad un monitor e abbiamo poco tempo a disposizione per fare la spesa nel supermercato preferito, dove ogni corsia e scaffale ci sono familiari, o per cucinare piatti sani e freschi, pia-
no piano avanza una nuova filosofia del lavoro. L’ufficio diventa un luogo amico dove ci rechiamo con il sorriso perché sappiamo che oltre ai soliti problemi ci attendono anche varie attività e facilitazioni, ci attende un ambiente in cui viene privilegiato lo scambio umano e l’interazione, in cui sappiamo che, oltre a noi stessi, qualcun altro tiene al nostro benessere psico-fisico. E non è casuale, diversi studi dimostrano come una regolare attività fisica migliori la nostra produttività e come un ambiente lavorativo amico aumenti le nostre capacità organizzative, le prestazioni intellettive e la puntualità nel rispettare le scadenze. Fitbit, una startup con sede a San Francisco e filiali in tutto il mondo, che progetta soluzioni per la salute e il fitness realizzando prodotti e tecnologie in
grado di trasformare e migliorare la vita delle persone (ad esempio dei rilevatori con controllo del battito cardiaco) ne è un esempio lampante. Il punto forte dell’azienda non sta nel coltivare una nuova e più sana cultura professionale al suo interno – per esempio istituendo il mercoledì come giornata di allenamento collettivo in cui ognuno può partecipare a varie attività sportive testando anche i prodotti dell’azienda – ma nel promuovere la propria filosofia all’esterno fungendo da consulenti per altre aziende che vogliono cambiare il loro approccio all’organizzazione del lavoro. Poi, in testa a tutte, c’è la sede di Google a Mountain View: qui si possono fare pisolini su divani comodissimi, fare il bucato, prenotare un massaggio, nuotare in piscina... Il massimo è quando tutto questo si co-
niuga con una politica aziendale che mira a garantire un congedo maternità e paternità pagato. Tra le aziende americane eccelle Netflix che offre un congedo parentale pagato di un anno. Chi vuole rientrare prima può e anche fare il metà tempo non è un problema. Una tendenza che si estende agli spazi co-working che per definizione abbracciano una filosofia collaborativa e di condivisione e che sempre di più, magari in cambio di iscrizioni annuali, offrono la possibilità di frequentare corsi di yoga, andare a vedere mostre, oppure immergono i propri coworkers in spazi verdi nei quali sono ammessi gli animali e dove viene data la possibilità di fare giardinaggio o coltivare piante. Questa è la parte bella del nostro tempo, questa tra tante distopie e abbagli è la strada giusta da prendere.
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Società e Territorio
Il maglio del Malcantone Archeologia industriale Situato tra Aranno e Miglieglia, poté approfittare dell’attività delle miniere di ferro
sovrastanti Breno - Il figlio del suo creatore emigrò in Argentina, dove contribuì a diffondere «l’industria del ferro»
Laura Patocchi-Zweifel Nel secondo Ottocento il Malcantone conosce un periodo di intensa attività mineraria, grazie alla presenza di numerosi filoni metalliferi che ne percorrono il sottosuolo. Questi filoni erano noti da tempo, ma non si hanno notizie precedenti di un vero e proprio sfruttamento. Nel 1859 il naturalista e geologo Luigi Lavizzari annota: «Ascendendo il monte sopra Breno si giunge in mezz’ora ad un’antica miniera di ferro, e lungo la salita si vedono gli avanzi d’un forno che serviva a torrefare il minerale. (...) Questa miniera venne attivata dal 1823 al 1827 e si lavorava nella valle stessa. (...) Ma i filoni metalliferi di Breno sembrano troppo esigui per alimentare il lavoro di un’officina». Lo sfruttamento di questo giacimento del Monte Torri denominato «böcc dal fer» è di breve durata. Dopo un’interruzione di oltre 30 anni, nel 1862 una compagnia di azionisti francotedeschi riprende l’attività che si protrae fino al 1870. Lungo il filone mineralizzato sono state scavate 6 o 7 gallerie una sopra l’altra, delle quali ne sono ancora visibili 3 e un inizio di scavo. Il materiale ricavato viene trasportato al forno di arrostimento sottostante per separare il ferro dagli altri minerali. Dopo il primo trattamento termico i blocchi ottenuti vengono trainati su slitta ai mulini di Vezio dove introdotti nel forno fusorio subiscono un ulteriore processo di depurazione per ottenere pani di ghisa per la fabbricazione di oggetti e lastre
refrattarie da camino. Il ferro depurato prosegue il suo percorso a dorso di mulo fino al maglio di Aranno per poter essere lavorato. Il maglio è un enorme martello sollevato meccanicamente con la forza dell’acqua. Il salto d’acqua della roggia del canale d’adduzione fa girare la ruota a pale con il perno principale sul quale sono fissati a raggiera tre cavicchi di legno duro. Questi cavicchi, nel movimento di rotazione, toccano la coda dell’asta del maglio e lo sollevano per poi cadere sull’incudine. Il maglio di Aranno è stato costruito nel 1860 da Giuseppe Righetti. Nell’officina si lavora il ferro per ricavarne attrezzi e oggetti di uso comune, quali falci, vanghe e zappe. Il figlio del costruttore, Giacomo Righetti, dopo avere imparato qui il mestiere, come tanti suoi convallerani prende la via dell’emigrazione e parte in Argentina. In pochi anni avvia una fiorente industria metalmeccanica a Rosario de Santa Fè. La nipote, Erminia BolzaniBrentani traccia un ritratto affettuoso dello zio. «Quell’anno ritornava in patria dall’America lo zio Giacomo. (...) Lo zio aveva fatto fortuna a Rosario di Santa Fè mettendo a profitto le sue conoscenze di fabbro-ferraio imparate giù al Maglio da suo padre Giuseppe: guida e maestro sicuro e provetto che la sapeva lunga in fatto di disegni e ghirigori, che torceva il ferro come fosse zucchero filato e commissionava per tutto il Malcantone e anche per le città zappe e rastrelli, letti e lettini, culle, mensole, cavi, argani, ferrate e cancelli, aggeggi
Il maglio di Aranno è oggi un’attrazione turistica. (Laura Patocchi-Zweifel)
d’ogni genere, solidi e artistici da far pensare che giù in fondo alla valle dove il fiume Magliasina scrosciava più forte
e impetuoso v’era di sicuro una fucina stregata... Partito dal Ticino, lo zio Giacomo, coll’entusiasmo della gioventù,
pieno di talento artistico, d’iniziativa, uomo dinamico ed esuberante, aveva creato dal nulla laggiù in America «l’industria del ferro». Persona nobilissima e di gran cuore aiutava poi con consigli... e denaro tutti coloro che in patria o all’estero facevano ricorso alla sua esperienza». Nelle nostre valli e anche altrove, la materia prima per i magli era prevalentemente costituita da cascami di ferro recuperati da mercanti ambulanti che li rivendevano ai «maiée». Fedele Agostoni (1888-1983) è l’ultimo «maiée di Aranno. Alla fine degli anni Quaranta la sua attività è già ridotta, ma dal maglio escono ancora attrezzi di uso quotidiano per i contadini. L’attività cessa improvvisamente il 10 agosto 1951. Durante la notte le acque del fiume Magliasina e del vicino riale crescono a livelli spaventosi mai raggiunti. Il Maglio viene allagato e semidistrutto. Fedele Agostoni deve fuggire e rifugiarsi con tutta la famiglia a Miglieglia. Nel 1979 viene costituita la «Fondazione Maglio del Malcantone» che nel 1992 mediante la raccolta di fondi fa ripristinare il vecchio maglio da considerare come una testimonianza storica, uno squarcio di vita reale del passato e favorirne l’aspetto culturale. Il maglio di Aranno è l’unico maglio a leva attualmente esistente in Svizzera. È aperto da aprile a ottobre, salvo il lunedì. Fonte
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Società e Territorio
Un sonno solo apparente Cave di Arzo Nonostante l’attuale stato di inattività, le cave di marmo sono meta di escursioni turistiche, ma anche
di studi scientifici, in particolare geologici, paleontologici e naturalistici Elena Robert È solo apparente il silenzio che avvolge da qualche anno a questa parte le cave di Arzo. Sono ancora inattive, dopo che si è conclusa la gestione della famiglia Rossi, sul posto per sei generazioni. Neanche in tempi recenti si è manifestato l’interesse di marmisti per far ripartire la coltivazione della Macchia Vecchia e del Broccatello, le brecce sedimentarie estratte ai piedi del Poncione d’Arzo dal 1300 fino al 2009 e che hanno fatto conoscere questo fazzoletto di terra in tutta Europa. Eppure ancora oggi ci sarebbe un bel potenziale di materiale da estrarre e oltre 200 blocchi sono pronti in loco per essere utilizzati. Ma, si sa, l’attività commerciale legata a queste rocce, diventata di nicchia, va riscoperta, apprezzata, reinventata. Resta invece immutato l’interesse geologico, paleontologico, naturalistico, paesaggistico e storico del comprensorio delle cave. Non passa settimana che non sia meta di studiosi, scuole, escursionisti. Anche operatori culturali e turistici sul territorio conoscono bene la valenza attrattiva delle cave di Arzo. Emanano fascino anche da abbandonate, sul posto tutto è rimasto come prima, bellezza e suggestione dei luoghi è parte integrante della loro fortuna. Dagli anni Duemila sono diventate persino il palcoscenico di manifestazioni locali e performance: nel 2003 la cava grande (ex Caldelari), che ha un’ottima acustica, ospitò un concerto di Davide Van de Sfroos e nel2004 dei Litfiba. Nel tempo si è rafforzata la consapevolezza collettiva, si è affinata la politica di protezione e di pianificazione per preservare il territorio delle cave, riconosciuto come patrimonio di grande valore e memoria da tramandare. L’area è sottoposta all’Inventario federale del paesaggio, fa parte del geotopo di importanza nazionale del Monte San Giorgio e rientra nel comprensorio Unesco di questo sito geopaleontologico transnazionale, ubicata com’è al suo portale sud. I principi di tutela naturalistica e paesaggistica sono contemplati anche dalle norme di attuazione del Piano di regolatore di Mendrisio. Prevedono la possibilità di estrazione di marmi ornamentali, lavorazione, deposito, frantumazione e deposito di inerti nonché insediamenti collaterali. Anche la nuova scheda di Piano direttore cantonale sulle cave, in consultazione fino al 22 giugno, non fa che confermare per Arzo la possibilità di estrazione di marmi ornamentali in quattro sue cave, anche se oggi inattive. Già ora il Patriziato, proprietario da sempre della zona delle cave, è autorizzato a estrarre la Macchia vecchia e
La cava di Macchia vecchia (ex Rossi): qui verrà ristrutturato un edificio e riconvertito con finalità didattiche e divulgative. (Oikos 2000)
il Broccatello. L’area si estende nel Bosco Seraa su un territorio di 120mila metri quadrati compreso tra il torrente Gaggiolo, che forniva la forza motrice necessaria alle segherie del «marmo», e il Camp dal Mella. La coltivazione è vincolata alla Convenzione firmata nel 2010 da Patriziato, Comune di Mendrisio di cui Arzo è parte dal 2009 e Canton Ticino. Questa regola la salvaguardia del geotopo e garantisce il recupero di materiale di rilevanza scientifica a ricercatori del Museo cantonale di storia naturale di Lugano. Se il Monte San Giorgio è la migliore testimonianza al mondo del Triassico medio marino (242-239 milioni di anni fa), le formazioni e i fossili delle cave di Arzo documentano in modo esemplare un capitolo della geologia mondiale rendendo visibili le fratturazioni tettoniche della fine del Triassico e dell’inizio del Giurassico (200-180 milioni di anni fa), lungo un margine continentale mentre si stava aprendo l’oceano Tetide, da cui sono nate le Alpi. Per i biologi la cava grande (ex Caldelari) è un punto focale di elevata biodiversità da salvaguardare, testimoniata da specie rare censite in loco (farfalle, cavallette, rettili e uccelli) che hanno colonizzato l’interessante
Blocchi di Macchia vecchia . (Enrico Sassi)
mosaico di ambienti sviluppatosi dopo l’abbandono dell’attività estrattiva e rappresentato da pareti e affioramenti rocciosi, substrati sabbiosi e ghiaiosi, aree secche, umide, paludose. Una ricchezza straordinaria dall’equilibrio peraltro fragile, rilevata dalla perizia sulle componenti naturali dello Studio di consulenza e ingegneria ambientale Oikos 2000 (capo progetto il biologo Alberto Conelli). Questa è diventata parte integrante del progetto di valorizzazione e riqualifica delle cave di Arzo firmato dall’architetto Enrico Sassi, voluto dal Patriziato e patrocinato dall’Ente regionale per lo sviluppo del Mendrisiotto e Basso Ceresio. Al geologo Paolo Oppizzi si deve l’elaborazione del business plan dell’intero progetto. Il 25 gennaio di quest’anno il Parlamento cantonale ha stanziato la metà dell’investimento necessario, pari a 670 mila franchi, mentre altrettanti sono messi a disposizione dal Patriziato, donati da fondazioni e enti privati. Oggi esistono pertanto le premesse affinché l’operazione di recupero delle testimonianze di archeologia proto-industriale a Arzo possa concludersi con successo per essere inaugurato nell’autunno del 2017. Con l’avvio dei lavori, entro la fine dell’estate le cave riprenderanno ad
animarsi. Un sistema di percorsi legati al tema della pietra collegherà tra loro gli interventi previsti, connessi a nord al comparto Unesco, a sud all’area dei campi sportivi e dell’antico stabilimento balneare, che il Municipio di Mendrisio ha intenzione di salvaguardare. L’edificio nella cava grande di Macchia Vecchia sulla cantonale verrà riconvertito con finalità didattiche e divulgative: l’area che lo ospita sarà separata da quella dove potrebbe riprendere l’attività estrattiva. A est del Gaggiolo, incanalato tra argini di Macchia Vecchia, si trova la sede del Patriziato che nel 2011 rilevò gli stabili della ditta Rossi & Ci. L’ex cava Caldelari di 4700 metri quadrati diventerà un anfiteatro naturalistico per l’osservazione delle peculiarità scientifiche sulle pareti della cava e sul terreno, grazie a una passerella in legno, un sentiero, gradonate disposte a emiciclo e un piccolo belvedere attrezzato. Vi si potranno organizzare iniziative a carattere pubblico. Un percorso didattico sulla collina consentirà l’accesso a una decina di cave abbandonate. «La qualità dei manufatti esistenti sarà valorizzata da scelte progettuali e accorgimenti nonché dall’ampio riutilizzo di lastre e blocchi di marmo d’Arzo già in loco»: «Si utilizzerà il marmo –
Le cave di Arzo rendono visibili le fratturazioni tettoniche avvenute tra la fine del Triassico e l’inizio del Giurassico . (Enrico Sassi)
ci dice l’architetto – come materiale di costruzione (gradonate dell’anfiteatro, edificio dei servizi, menhir didattici sul terreno), per le coperture (tetto dei servizi), per i rivestimenti di facciata e le pareti esterne e interne (già oggi quelle del laboratorio sono in «marmo» d’Arzo), per gli elementi di arredo (panchine, banchi, tavoli al belvedere)». Fondamentale sarà il recupero dei macchinari, una ventina, tra i quali un motore diesel Hatz del 1925 che azionava il filo elicoidale per il taglio dei blocchi. Aldo Allio, presidente del Patriziato, dal 2009 ha potuto dedicarsi interamente allo sviluppo del progetto di riqualifica delle cave. Ne è particolarmente fiero, provenendo da una famiglia di cavisti marmisti. «Mio nonno Luigi aveva una licenza di estrazione per una cava di Macchia vecchia rossa sulla collina. Nel 1925 fece arrivare il motore Hatz dalla Germania. Il filo scorreva in un circuito chiuso grazie a due piantane munite di ruote. Più era lungo il percorso del cavo, meno si consumava. Mentre girava era mantenuto in tensione dal peso di un vagoncino su binari visibile ancora in loco. Per il taglio della pietra servivano anche la sabbia di mare che veniva da Savona e l’acqua (piovana) per raffreddare il filo che si attingeva da una buca predisposta in una cava superiore. Mio padre Felice e lo zio Marino continuarono l’attività di scavo fino agli anni Sessanta. Con il car matt dei Corti trainato dai buoi i blocchi raggiungevano Murinell, dove la famiglia Allio risiedeva da secoli: il marmo veniva tagliato sin da inizio Novecento nella nostra segheria, veniva poi lavorato con la fresatrice e la lucidatrice nel nostro laboratorio a Pinta». I ricordi più vivi di Allio sono però legati alle esplosioni di dinamite cui poteva assistere da ragazzo nella cava di un’altra varietà di pietra, il Rosso di Arzo, affittata da padre e zio per qualche anno. «In questo caso – ci racconta – trasportavamo i massi grandi e piccoli, prima con la strüsa trainata dal bue, poi su camion, alla stazione di Mendrisio, destinati a ditte della Svizzera interna e francese organizzate per la frantumazione. La ghiaia rossa diventava polvere ed era utilizzata per la stabilitura esterna delle case e persino per il terreno dei campi da tennis».
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Quanto dura un matrimonio? I dati statistici parlano chiaro: il numero dei divorzi è in costante aumento – non solo in Svizzera, che è tra i primi Paesi al mondo per lo scioglimento di matrimoni – ma nel mondo occidentale in genere. E nel Ticino si riduce progressivamente il numero di coppie che scelgono di legalizzare la loro convivenza. L’unione coniugale è dunque in crisi. Effetto dei tempi? In un certo senso, senz’altro; ma, direi, solo nel senso che la legislazione attuale rende lecito, oggi, quel che un tempo era vietato. Ciò non significa che in passato l’unione coniugale fosse necessariamente più felice. Una prova indiretta si può trovare nella letteratura dei secoli andati: oltre alle descrizioni di crisi coniugali presenti in romanzi celebri come Anna Karenina e Madame Bovary, sul matrimonio è fiorita un’abbondanza di aforismi velenosi come, forse, su nessun altro tema. Occorre peraltro considerare che
in passato il matrimonio era per lo più un contratto deciso dai genitori; ma anche l’innamoramento non poteva fornire una garanzia di durata. Diceva Ambrose Bierce: «L’amore è una follia passeggera che guarisce con il matrimonio». Le statistiche relative ai divorzi gli danno in parte ragione. Come tutte le forme culturali e le istituzioni umane, anche il matrimonio è soggetto al cambiamento storico che lo rimodella secondo le epoche e le relative mentalità. In un passato lontano che affonda nella preistoria si formarono le prime unioni relativamente durature fra uomini e donne. L’ipotesi oggi più accreditata tra gli antropologi è che la famiglia – ossia, l’appartenenza stabile di una donna a un solo uomo - abbia avuto inizio con la rivoluzione agricola: poiché era cominciata la proprietà fondiaria, la trasmissione ereditaria dei beni richiedeva la certezza che l’erede fosse figlio autentico; e dal momento
che non era possibile ricorrere all’analisi del DNA non restava che segregare in casa la donna, onde garantire che i parti fossero solo a denominazione d’origine controllata. Questo non significa, però, che si giungesse così al matrimonio monogamico: basta leggere l’Antico Testamento per sapere che le mogli erano plurime. Esaù si prese tre mogli; Giacobbe ne aveva almeno un paio; re Davide ne ebbe un numero imprecisato – comunque una miseria rispetto a re Salomone, che, grande in tutto, di mogli ne aveva settecento (e, ad abundantiam, ci aveva aggiunto anche trecento concubine). Com’è andata, allora, che si è giunti al matrimonio monogamico e indissolubile del cristianesimo? La spiegazione storicamente più convincente l’ha fornita Georges Duby che, da grande studioso della storia e dei costumi del Medioevo, ha individuato nell’istituzione sacramentale del matrimonio
un’estensione del potere di controllo della Chiesa sulla vita della popolazione. La nascita e la vita quotidiana dei membri della comunità cristiana erano già disciplinate dai sacramenti del battesimo e della penitenza: nel XII secolo si aggiunse il matrimonio, a sancire il controllo ecclesiastico sulla fondamentale relazione tra l’uomo e la donna. E si sa quanto fosse grande questo potere di controllo, al punto che non poche dinastie regali ottennero divorzi grazie a notevoli somme di denaro e alleanze militari. Nel caso di Enrico VIII, la mancata concessione del divorzio da parte del Vaticano determinò una nuova spaccatura all’interno della cristianità occidentale. Lo scisma anglicano separò la Chiesa d’Inghilterra da quella cattolica: il Dio rimaneva lo stesso per entrambe, ma da una parte ammetteva il divorzio, dall’altro lo subordinava alle decisioni della curia romana.
Questo tempo medievale è finito. Il tempo nostro vede la crisi delle unioni coniugali e ne legittima l’annullamento. Non resta dunque più nulla del matrimonio? Al contrario: resta quel che davvero conta – il sentimento. In una bella pagina di Elias Canetti emerge il ricordo di una coppia di coniugi anziani talmente uniti l’uno all’altra che le loro vite erano divenute, negli anni, davvero indissolubili: il marito provvedeva alla moglie, e a lei aveva delegato da sempre l’amministrazione della casa. Quando la donna morì, parenti e amici si rivolsero al vedovo per chiedergli come organizzare il funerale; e quello, disfatto dal dolore, seppe soltanto mormorare: «Non lo so. Bisogna chiederlo a mia moglie». Una coppia così è davvero tenuta assieme da un legame profondo: solo dove il sentimento prevale sul giuramento un uomo e una donna saranno uniti «finché morte non li separi».
inglesi, la sfida di scrivere il racconto di paura più bello. Chiusi in casa da giorni, annoiati a morte dal tempaccio seriale, sono presenti Claire Clairmont: amante di Byron, Mary Wollstonecraft Godwin: sorellastra dell’amante di Byron e futura sposa del poeta Percy Bysshe Shelley, Percy Bysshe Shelley, William Fletcher: il fido domestico di Byron, e John Polidori: medico personale di Byron. I due letterati, Claire, e il domestico, strafatti di laudano, non combinano molto, mentre Polidori abbozza la storia del primo vampiro moderno chiamato Lord Ruthven, ma soprattutto la pallida diciottenne conosciuta in seguito come Mary Shelley (1797-1851) partorisce l’idea di Victor Frankenstein, lo scienziato alchimista creatore del mostro che prende oggi il suo nome. In Frankenstein o il moderno Prometeo (1818), ambientato grossomodo tra Ginevra, Ingolstadt e le isole Orcadi, la Villa Belle Rive – come si chiamava Villa Diodati ai tempi di Byron – è trasposta
in una località : Bellerive, sul lago, a pochi chilometri da qui; lì, in una casa di campagna, passa l’infanzia Victor Frankenstein. A proposito di Frankenstein, a neanche un quarto d’ora a piedi da qui, per il bicentenario della sua genesi, la prestigiosa fondazione Martin Bodmer gli consacra fino a ottobre, la prima mostra esaustiva. «Creatura delle tenebre» che secondo il curatore e professore di letteratura inglese moderna all’università di Ginevra, David Spurr, «anticipa Freud». Il lettore di giornale se n’è andato, ora ci sono due giardinieri portoghesi che si bevono le loro meritate birrette spagnole. Il prato Byron, «con quell’aria da Grütli» come dice il comune di Cologny, è utilizzato anche per festeggiare il primo agosto; laggiù a valle si nota uno spiazzo terroso per i fuochi d’artificio. Mentre d’inverno, se nevica, c’è chi viene a slittare brevemente. Ma la sua vocazione rimane l’approdo panoramico degli innamorati. Magnifici lampi in lontananza, si sentono i primi tuoni.
E, qui, si ritorna al punto di partenza del discorso: la richiesta di Ghisolfi e Gendotti di allargare la presenza, anzi la tutela, della scuola, per venire in aiuto alle coppie di genitori, entrambi impegnati professionalmente. Alle prese, quindi, con una situazione che esige, figurarsi, interventi esterni, sgravi fiscali, asili nido, congedi parentali. Misure che, come avviene nella cauta Svizzera, procedono con lentezza, ma anche con la consapevolezza dei rischi che, qui, si possono correre. Anni fa, «Avenir Suisse» aveva patrocinato un concorso di progetti, fra 14 grandi imprese svizzere, per elaborare la soluzione ideale del problema. Dove, in forme diverse, comparve, però, la «scuola continua»: dal primo mattino a sera inoltrata. Come dire, la scuola, istituzione pubblica, che si accaparra un bambino e un adolescente per farne un cittadino a pieno titolo, indirizzo ideologico compreso. Insomma, fra una legittima esigenza di protezione sociale e una possibile deriva statali-
sta la linea di demarcazione è sottile, persino invisibile. Infine, sfaccettato com’è, il problema presenta un altro aspetto, su cui riflettere. Quell’emergenza, creata appunto dalla nascita di un bimbo in una coppia che diventa famiglia, può, anzi deve, mobilitare risorse mentali per trovare, al suo interno, risposte adeguate. Optare per l’asilo nido, a pagamento, per la ragazza «au paire», ricorrere ai nonni, scegliere, lei (o lui: ma è un caso ancora raro) di lavorare a metà tempo, addirittura di lasciare la propria attività. Certo è che, comunque, si parla sempre di una rinuncia. Difficile, insomma, imporre una ricetta buona per tutti i casi. Occorre fare bene i conti con se stessi. In proposito vorrei ricordare le parole di Ruth Dreifuss, consigliera federale dal ’93 al 2002. In un bel discorso, in televisione, raccontò, senza enfasi retorica, la sua scelta: la dedizione alla politica, alla società, e la rinuncia, implicita, alla propria famiglia.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf Il prato Byron a Cologny Nell’estate del 1816, passato alla storia come «l’anno senza estate» a causa della devastante eruzione vulcanica del Tambora sull’isola indonesiana di Sumbawa, George Gordon Byron (1788-1824), meglio noto solo come Lord Byron, soggiorna in una elegante villa a Cologny. Di questa villeggiatura climaticamente funesta rimane traccia in un microtoponimo a effetto romantico: un praticello scosceso vista lago, lì accanto, al quale hanno dato il nome del poeta dandy scavezzacollo quasi sinonimo di romanticismo. Infatti, meno famoso della grotta Byron – attrazione turistica con lastra commemorativa che recita «questa grotta ispiratrice di Lord Byron ricorda l’immortale poeta che ardito nuotatore sfidò le onde del mare da Portovenere a Lerici» – questo posto è ben conosciuto dalle giovani coppiette in macchina. D’altra parte, dal prato Byron, la sera tardi o a notte fonda, si gode una vista indimenticabile sulle luci di Ginevra riflesse nel lago. Dal quai du Mont-
Blanc salgo a bordo di una mouette che con lentezza lenitiva attraversa il lago fino al Port Noir. Una mezzoretta a piedi e un tardo pomeriggio verso la fine di giugno sono su al Pré-Byron (450 m): tre papaveri, sei panchine sparse, quattro delle quali occupate da coppiette, qualche fiorellino bilobato di malva, mozziconi per terra, Lemano a volontà. Di fianco a un cestino, c’è un similmasso erratico con su scolpito in grande il nome dell’«ardito nuotatore» e posto qui in occasione del centenario della morte. Alle sue spalle il teatro Le Crève-Coeur con le persiane color lavanda. Il prato in sé è un semplice prato, ma è l’unica grandiosa apertura al paesaggio in una zona piena di ville lussuose spesso di quel pessimo gusto tipico dell’ostentata ricchezza pacchiana. Uno spazio vuoto taoistico nella giungla residenziale di quieti inferni privati nascosti da cancelli atroci e siepi oppressive. Là a sinistra spunta la delicata serra antica dei giardini di Villa Diodati che confinano con il
prato. Oltre a Byron si dice che a Villa Diodati – chiamata così per via della famiglia proprietaria in origine, ramo di una stirpe estinta di uomini brillanti sfuggiti da Lucca all’epoca dell’Inquisizione – sia passato anche Milton, quello del Paradiso perduto (1667), ma Milton muore nel 1674 e la dimora risale al 1710, perciò. Su una panchina uno legge il giornale in compagnia di un kent terrier, quella libera è giù in fondo al prato, rimango qui e mi siedo all’indiana sull’erba. In cielo volano inquieti un paio di falchi ammaestrati, grande passione dei ricchi arabi che vivono da queste parti. Laggiù oltre il lago, dove c’è il palazzo delle Nazioni Unite, sopra il profilo azzurrastro della lunga catena del Giura, si annuncia un filare minaccioso di nubi. È proprio una sera temporalesca di quasi esattamente duecento anni fa che tra le mura di Villa Diodati, al nove del chemin de Ruth, nasce il personaggio di Frankenstein. La sera del sedici giugno 1816 Lord Byron lancia al suo gruppetto di ospiti
Mode e modi di Luciana Caglio Scuole pubbliche e richieste private «La famiglia è cambiata, la scuola si adegui». L’hanno ribadito, recentemente in parlamento, due deputate PPD, Nadia Ghisolfi e Sabrina Gendotti, con una mozione che ha suscitato perplessità, e non tanto per il contenuto di fondo quanto per i modi con cui veniva affrontato. Si tratta, infatti, di un tema, per così dire di sempre: l’esigenza, non più soltanto femminile, di conciliare lavoro e famiglia, ambizioni professionali e attenzioni educative. Ma, guarda un po’, a risolvere il problema dovrebbe contribuire, una volta ancora, la scuola, istituzione ormai considerata multiuso. La definizione ironica, comparsa sui quotidiani d’oltre Gottardo, rende l’idea. La scuola, in particolare, quella dell’obbligo, fa pensare a un’azienda che, per dimostrarsi competitiva, propositiva come dicono i nostri politici, continua ad allargare le prestazioni mettendo in pericolo il proprio marchio, offuscando la sua ragion d’essere. Proprio così, nell’ambito scolastico, le griglie degli orari faticano a ospitare
le materie, in incessante crescita, e in concorrenza fra loro. Alle tradizionali, matematica, scienze, lingue, storia, filosofia, si sono aggiunte le ultime arrivate, ritenute altrettanto indispensabili, come l’informatica e l’inglese, le attività manuali e sportive. Per non parlare, poi, dell’inesauribile serie delle educazioni ad hoc, imposte dall’attualità e forse anche dalle mode. Ecco, quindi, entrare nei programmi, l’educazione stradale,
Nadia Ghisolfi, Granconsigliera PPD.
sessuale, ambientale, alimentare, visiva, civica, multietnica, persino emozionale, e via enumerando i temi che emergono dalle cronache e diventano, affrettatamente, lezioni da impartire nelle aule. Ciò che, sia chiaro, non rappresenta un’invasione di campo nei confronti delle famiglie che, anzi negli ultimi decenni, hanno imparato a scaricare sull’istituzione scolastica parte dei loro compiti, magari quelli più ingrati. Ci si è, insomma, abituati a delegare, prendendoci gusto. Con il risultato, persino paradossale, di spostare le responsabilità. Come dimostrano, del resto, le reazioni dell’opinione pubblica e dei media, nei confronti di comportamenti giovanili preoccupanti, atti di violenza, vandalismi, abusi alcolici: si colpevolizza, innanzi tutto la scuola, incapace di educare gli allievi al rispetto delle cose, delle persone, della convivenza. Trascurando il fatto che questi allievi sono poi figli di genitori, spesso troppo indulgenti, magari distratti, preoccupati dal troppo lavoro.
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Ambiente e Benessere Pubblicità turistica In futuro poco potrebbe essere lasciato al caso nella scelta della destinazione di un viaggio
Scaccia-grandine Reportage dalle Ande su un rituale sciamanico contro le forze della natura
Il giardino che vorrei I punti di vista di una scrittrice che all’aria aperta ha trovato serenità, saggezza e concretezza
Sentieri d’Europa Dodici cammini pedestri attraversano il continente, dal Mare del nord alla Sicilia pagina 19
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Il dottor Paolo Maino in sala operatoria, durante un intervento di TENS. (Stefano Spinelli)
Il dolore che non c’è più Salute Il Centro per la terapia del dolore EOC all’avanguardia nelle ricerche e nelle terapie contro il dolore cronico Maria Grazia Buletti «Ero disperata: sentivo dolori che non mi permettevano di lavorare, non c’erano farmaci in grado di attenuarli, dormivo pochissimo, la qualità della mia vita era inquinata e compromessa da questo male continuo che non mi dava tregua neppure di notte, con le conseguenze che si possono immaginare: quando si soffre di dolori così costanti, e oramai cronici, si diventa suscettibili»: incontriamo la signora Antonella Lonni nello studio del medico dottor Paolo Maino (specialista in anestesia e rianimazione e terapia interventistica del dolore) all’Ospedale Italiano di Lugano, dove è responsabile del Centro per la terapia del dolore dell’EOC (che coopera strettamente con il Neurocentro della Svizzera italiana). A seguito di un esito post traumatico, la nostra interlocutrice soffriva da lungo tempo di dolori neuropatici, senza tregua e, per questo, sfibranti. «Si calcola che, nel mondo come pure in Svizzera, in media una persona su cinque soffra di dolori cronici innescati da artrosi, problemi alla schiena, neuropatie (date ad
esempio da lesioni di nervi, herpes zoster, …), infiammazioni, esiti negativi di interventi chirurgici o di traumi e molte altre cause, sebbene quelle legate al “mal di schiena” siano le più comuni». Da qui l’importanza del Centro per la terapia del dolore dell’EOC, che accoglie persone indirizzate dal proprio medico di famiglia «quando i farmaci non riescono proprio più a produrre l’effetto sperato e quando bisogna intervenire in modo più mirato e incisivo per provare a lenire il dolore cronico». A proposito di dolore, i punti di vista di scrittori, filosofi, artisti e scienziati sono molteplici e spesso contraddittori. Lo specialista ci permette di fare chiarezza: «Il dolore è l’espressione, la traduzione che la nostra mente dà a segnali dolorifici che giungono al sistema nervoso centrale dalla periferia». Misurare le sensazioni dolorose è difficile, in quanto «sono condizionate da tantissimi fattori individuali, come la genetica, l’ambiente che ci circonda, l’ambito socio-culturale della persona, la sua situazione psicologica e altro». Oggi si è però in grado di comprendere i meccanismi del dolore cronico
che, per definizione «dura più di tre mesi senza interruzioni, anche quando la causa che l’ha generato non è più presente». Comprendiamo bene questo concetto sempre attraverso la testimonianza della paziente, la signora Lonni, e del suo decennale percorso terapeutico intrapreso per sconfiggere questo stato insopportabile: «Nell’arco di trent’anni, dall’apparizione di questo dolore neuropatico, sono stata operata più volte a Zurigo, senza un successo permanente. Nel 2012 mi sono affidata al dottor Maino e finalmente, dopo aver inquadrato bene la situazione, abbiamo trovato la migliore soluzione attraverso la posa di uno stimolatore all’origine del nervo responsabile del mio male. Sono rinata!». Il dottor Maino ci illustra gli obiettivi del Centro per la terapia del dolore e nel concetto terapeutico applicato con successo alla signora Lonni, come pure a molti altri pazienti, dopo un’accurata diagnosi che permette di scegliere il trattamento multidisciplinare più indicato e personalizzato per ogni singolo caso: «la diagnosi serve per individuare al meglio l’indicazione che ci porta
a interventi mini-invasivi di posa di elettrodi alla radice dei nervi, partendo da trattamenti non invasivi come, ad esempio, la posa di cerotti o trattamenti farmacologici dai quali non abbiamo però avuto risposta soddisfacente nell’attenuazione del sintomo dolorifico». Lo specialista ci espone il ventaglio delle modalità di trattamento del dolore cronico, a partire dalla proposta farmacologica («per lo più antiepilettici e antidepressivi, i cui benefici non sono sempre apprezzabili»), passando per le tecniche cosiddette invasive diagnostiche e terapeutiche («blocchi nervosi periferici o centrali, infiltrazioni epidurali, impianto di stimolatori midollari per neuro modulazione cordonale epidurale, solo per citarne alcune»), fino alla Transcutaneous Electrical Nerve Stimulation: «per individuare da quale nervo trae origine il dolore che vogliamo alleviare si eseguono delle prove con blocchi diagnostici con anestetico locale e, in seguito, si applica un elettrodo (tramite un intervento mini invasivo) in grado di produrre una stimolazione percepita come piacevole dalla
persona, che va a spezzare il circuito del dolore cronico». La signora Lonni è soddisfatta di questa soluzione che le è stata applicata nel 2013: «Il dolore ora è pari a zero, senza lo stimolatore sarebbe rimasto pari a dieci. Grazie a ciò, oggi lavoro nuovamente a tempo pieno, cammino, nuoto e ho ripreso una vita sociale. Nessuno si accorge del mio elettrostimolatore e oggi posso dire che questa è di nuovo vita!». Il dottor Maino si sorprende ancora oggi del buon esito di questi interventi che, però, vanno destinati solo a persone che possono veramente beneficiarne: «Si tratta di un sistema innovativo che produce una stimolazione molto leggera, ma sufficiente a regolarizzare nuovamente l’attività elettrica del ganglio. È importante destinare questi trattamenti solo a casi ben selezionati: dobbiamo essere certi di trattare persone che non hanno risposto ai precedenti trattamenti non invasivi, tenendo sempre anche conto della componente psicologica, così da individuare gli eventuali problemi che potrebbero influire sulla percezione dei dolori».
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Ambiente e Benessere
Gli stregoni del viaggio Viaggiatori d’Occidente Anche le scelte turistiche possono essere influenzate
Luoghi nascosti da riscoprire Bussole Inviti a
letture per viaggiare
Claudio Visentin Quando si è affacciata in noi la prima idea di visitare quel Paese lontano? Come decidiamo la meta dei nostri viaggi? È un tema affascinante e sfuggente. Certo, la pubblicità. Gli uffici del turismo all’approssimarsi dell’estate tappezzano i muri delle città con immagini esotiche e ingenue promesse di felicità; ma il consumatore contemporaneo si è fatto scaltro e ha imparato a difendersi da queste suggestioni troppo esplicite. La pubblicità turistica allora ha fatto un passo indietro: è diventata indiretta, ma al tempo stesso più efficace. Per esempio le Film Commission cercano di attirare le produzioni cinematografiche nel proprio territorio con ogni sorta di agevolazioni, confidando che il film sarà poi un efficace réclame. Oppure gli uffici del turismo offrono viaggio e soggiorno a giornalisti e blogger influenti, purché scrivano poi della loro esperienza. Può capitare di leggere insistenti descrizioni di un Paese sui media, senza riuscire subito a distinguere se si tratta di uno spontaneo orientamento del gusto o di una campagna promozionale sotterranea. Per esempio da tempo mi incuriosisce il Kerala, nell’India sud-occidentale, una delle destinazioni più interessanti per il suo turismo fluviale sostenibile e responsabile. Poi ho scoperto che questa primavera trenta blogger da venticinque Paesi lo hanno visitato in un viaggio spesato e ne hanno scritto dappertutto in toni entusiasti. Dunque anche il viaggio ha i suoi Spin Doctor, esperti di comunicazione che cercano di orientare in forma spesso nascosta le scelte del pubblico, diffondendo informazioni solo apparentemente imparziali? Non siamo ancora al livello della politica, come ha raccontato per primo Marcello Foa qualche anno fa (Gli stregoni della notizia. Da Kennedy alla guerra in Iraq. Come si fabbrica informazione al servizio dei governi, Guerini e Associati), ma qualche inquietudine pare legittima. Certo il mondo dei viaggi è più sfuggente, meno controllabile. Libri e soprattutto film rimangono gli strumenti più efficaci per far conoscere una nuova destinazione, ma non si può mai essere certi del loro successo. Una pellicola come Notting Hill (1999), con Julia Roberts e Hugh Grant, ha la strada spianata verso il botteghino, con prevedibili ricadute positive per i luoghi dove è ambientata la trama, come puntualmente avvenne. Ma non è il caso per esempio
«Trieste è una donna capace di sedurre in tutte le stagioni, ma di mattina, in primavera, dopo una giornata di bora, è irresistibile. La luce rende i profili di cose e persone netti e puliti. Acciambellato su una bitta guardo il mare… Il Castello di Miramare immacolato torreggia a portata di mano, le falesie di Duino appena dietro; gli alberi delle barche a vela prendono fiato…»
Dal film I sogni segreti di Walter Mitty. (Twentieth Century Fox Film Corporation)
di Basilicata coast to coast, un film del 2010 che, nonostante le scarse risorse, ha avuto un successo ben oltre le aspettative; da lì è cominciata la crescente popolarità della Basilicata, sino alla scelta di Matera come Capitale della cultura europea 2019. In futuro poco potrebbe essere lasciato al caso. Amadeus, un importante sito di prenotazioni online, sta pensando di spostare la soglia ancora più avanti. Trent’anni da ora, state guardando un film, per esempio Agente 007 – L’uomo dalla pistola d’oro (1974). Uno spietato killer, che utilizza solo pallottole d’oro, vuole uccidere 007. Come sempre scorrono sullo schermo macchine veloci e belle donne, ma la vostra attenzione si sposta sullo sfondo, l’incantevole baia di Phang Nga in Thailandia, tra l’isola di Phuket e la terraferma, con rocce che si ergono sulle acque color zaffiro. Schiacciate un bottone e un pop-up vi racconta del luogo dove la scena è stata girata e, quel che più conta, vi segnala che ci sono ottime offerte per i voli verso quella destinazione…
Lo stesso potrebbe accadere quando guardiamo un video su YouTube, scorriamo immagini su Pinterest, ascoltiamo musica (reggae giamaicano? E allora perché non visitare la terra di Bob Marley?). Ogni esperienza digitale in fondo potrebbe essere il punto di partenza per una reale esperienza di viaggio. Il modello è il protagonista del film I sogni segreti di Walter Mitty (2013), un grigio impiegato della rivista «Life», la cui vita monotona è spesso interrotta da sogni a occhi aperti più reali del reale, che lo portano in terre lontane. Oggi un potenziale cliente consulta diverse fonti prima di prendere la decisione finale: articoli di riviste, guide, consigli di amici e soprattutto un gran numero di siti web (anche più di quaranta). Qualcuno si diverte, ma per altri l’esperienza può essere frustrante, con troppe informazioni da gestire in un tempo ridotto. Amadeus si rivolgerà soprattutto a loro, ai Simplicity Searchers, ovvero quel gruppo di potenziali clienti che desiderano essere ben ser-
viti da professionisti per risparmiare tempo e fatica. A questi, se appena mostrano interesse per un luogo, verranno proposti in un unico flusso di comunicazione mezzi di trasporto, possibilità di alloggio e anche le esperienze che la destinazione offre, con video immersivi e forme di realtà aumentata. La loro immaginazione sarà così prima sollecitata, poi colonizzata. In un certo senso il viaggio sarà già avvenuto nella mente ancora prima della partenza, eliminando tutti quegli imprevisti che per molti viaggiatori tradizionali sono un piacere irrinunciabile e forse l’aspetto più interessante del viaggio. Non sembra cosa per i «Viaggiatori d’Occidente» che, nella classificazione di Amadeus, potrebbero essere semmai un incrocio tra gli Ethical Traveller e i Cultural Purist, che amano immergersi nella cultura del Paese visitato e misurarsi con un diverso modo di vivere. Ma da questo momento in poi non sarà male farsi qualche domanda in più, prima di rispondere alla chiamata di luoghi lontani…
Paolo Merlini e Maurizio Silvestri sono spesso presenti su queste pagine, con i loro racconti di viaggi su treni regionali e corriere di linea. È un duo ben affiatato che ha trovato nel tempo le proprie chiavi di lettura: la mobilità dolce e lenta, l’incontro con chi quei luoghi custodisce, la passione per cibi e vini come espressione di un territorio e delle sue tradizioni. Il loro ultimo libro di viaggio prova a raccontare tre città nascoste, con poco in comune, almeno in apparenza. Trieste è stata la finestra mediterranea di un grande impero mitteleuropeo, aristocratica quanto Livorno è sanguigna e popolare; Taranto, a giudicare dai giornali, sembra sia sinonimo di raffinerie avvelenate. Ma appunto i fili che legano insieme i luoghi sono spesso nascosti e compito del viaggiatore è proprio ritrovarli e nuovamente riannodarli. Si scoprono così diversi aspetti comuni. Per cominciare sono tre città di mare e di porto, che vuol dire sempre apertura al mondo, tolleranza, dialogo con le minoranze (per tacere di un’inclinazione alla stravaganza e alla pazzia); ancora una gastronomia a base di pesce, che trova nel retroterra gli altri ingredienti. Soprattutto sono tre città in attesa di un futuro post industriale che tarda ad arrivare, sospese tra quel che non è più e quel che non è ancora, speranzose nel turismo: il viaggiatore interroga il passato della città, la città chiede al viaggiatore il futuro. Bibliografia
Paolo Merlini e Maurizio Silvestri, «Città nascoste. Trieste Livorno Taranto», Exòrma 2016, pp.192, € 15,50. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Lo scacciatore di grandine delle Ande Reportage Le coltivazioni di patate e di quinoa sull’altipiano boliviano sono esposte a condizioni climatiche
estreme: per difenderle dalle intemperie, nei secoli sono stati elaborati dei rituali propiziatori
Simona Della Valle, testo e foto Secondo la cosmologia andina sono tre i principali fenomeni naturali da cui ripararsi: gelo, grandine e vento. Questi eventi atmosferici sono di particolare interesse per l’agricoltore andino dal momento che in montagna si manifestano per lo più in maniera capricciosa e con grande forza distruttiva, mentre in altre occasioni arrivano persino a coadiuvare il lavoro del contadino capace di riconoscerli, rispettarli e trattarli bene. La lavorazione del chuño (antica tecnica di disidratazione dei tuberi) è un esempio di sfruttamento della potenza degli elementi naturali: la patata viene prima congelata mediante esposizione alle gelide temperature notturne dell’altipiano, e in seguito «scottata» sotto l’intensa luce solare diurna, in un processo che dura cinque giorni. La produzione della chacra, la fattoria, fallisce completamente se l’agricoltore non sa riconoscere e gestire questi fenomeni. È di vitale importanza che sappia utilizzarli a beneficio della chacra e delle coltivazioni, e che sia in grado di difendere gli stessi da eventuali danni causati da tali forze. Va da sé che gli andini considerano queste tre entità – così come tutti gli altri elementi naturali e culturali – come figure umane degne di rispetto, che agiscono secondo il proprio carattere e che favoriscono, castigano o rispettano il contadino in attesa di un trattamento rispettoso e corretto da parte dell’intera comunità umana. Secondo i racconti mitologici della cosmologia andina, le entità Gelo, Grandine e Vento comparirono all’inizio dei tempi, quando si fondò il mondo nella sua forma attuale. Durante questa fase si formano i riti collettivi (annuali, inseriti nel loro ciclo liturgico) e singoli (incidentali, legati alla necessità personale) i quali acquisiscono una forma concreta e una forza simbolica. In questa fase si concretizza inoltre il sistema della previsione del tempo e le tecniche di utilizzo e difesa delle variazioni climatiche per la chacra. Grandine e gelo sono fatali per lo sviluppo delle coltivazioni e il vento può spazzare via le nuvole di pioggia, portando siccità e portando parassiti alle coltivazioni. I rischi sono predominanti in questo momento, e la stagione secca (autipacha) è il momento ottimale perché si manifestino queste entità. Durante le fasi di passaggio tra le stagioni i fenomeni naturali mostrano tutti i loro vantaggi: la grandine appare di rado e per lo più senza creare danni. Nelle zone pastorali, in tempo di maturazione del seme, aiuta il processo di semina ed evita che gli uccelli si nutrano dei semi. Durante i veranillos – stagioni dominate da siccità e luce solare intense all’interno della jaillu pacha (la sta-
gione umida, che si estende tra il mese di agosto e quello di aprile) – spuntano ovunque i parassiti, in particolare sulle patate. Quando si verifica una piccola grandine durante un veranillo è sempre molto gradita, perché questo tipo di grandine non causa danni ai raccolti e uccide i parassiti delle patate. La grandine aumenta l’umidità del suolo molto meglio di quanto lo faccia la pioggia: l’acqua piovana scorre, ma la grandine viene trattenuta e fa sì che l’acqua penetri in profondità nella terra. Il ghiaccio che cade in inverno è inoltre essenziale per lo sviluppo del chuño. Per quanto riguarda il vento, a volte porta nuvole cariche di pioggia e altre volte le disperde. L’importante è dunque fare in modo che si alternino, mantenendo un equilibrio fertile: il tinku. Nella parte nord-occidentale della Bolivia, sull’altipiano di Peñas, che si estende tra La Paz e la costa meridionale del Lago Titicaca, durante la stagione delle piogge da uno a tre campos sono selezionati dalle autorità del villaggio per scacciare le nuvole con rituali sciamanici: muniti di pututu e chicote, ogni giorno e per almeno quattro mesi han-
no l’onere e l’onore di eseguire questa cerimonia, il cui scopo è quello di proteggere i campi coltivati dalla distruzione degli agenti atmosferici. Il campo, cioè il prescelto a svolgere il rituale scaccia-grandine per la stagione corrente è Norberto, un signore dall’aspetto mite e sorridente, vestito in maniera insolita: il corpo è coperto da diversi strati di lana per proteggersi
dal freddo pungente della notte, la testa è riparata da un pesante cappello, ma ai piedi indossa delle logore ciabatte aperte. Norberto vive in una capanna in mezzo ai campi: nonostante quella del campo sia una figura importante e ricoprire questo ruolo sia un onore per chiunque sia chiamato a farlo, non sono previsti aiuti per la sussistenza del prescelto da parte della comuni-
tà, e i missionari o i curiosi in visita a Norberto portano in dono sacchetti di foglie di coca e viveri. Il cielo sopra le piantagioni di quinoa e patate è tra più neri che si siano visti in questa stagione delle piogge, e sembra che la cerimonia di oggi sarà interrotta da un violento temporale. La prima fase della cerimonia consiste nell’accensione di un falò purificatore, che Norberto e il suo aiutante preparano lentamente. Il pututu, nome aymara volto a indicare il corno destro di un bue, è uno strumento molto diffuso nella cultura andina. Avvolto nel fumo del fuoco appena acceso, rapidamente alimentato dal forte vento, Norberto suona il corno ripetutamente come a voler produrre un mantra musicale, agitando con l’altra mano una sorta di frusta costruita in legno e corda: il chicote. Il posizionamento del campo rispetto alle nuvole che si avvicinano, spinte dal gelido vento delle Ande, è fondamentale: Norberto è rivolto verso le forze naturali e le affronta e respinge con decisione chiedendo loro di muoversi altrove: «Andate alle Yungas (zona ricca e fertile della Bolivia), dove c’è abbondanza di coltivazioni – qui non ne abbiamo abbastanza». Nell’ultima parte del rituale, la moglie di Norberto e un collaboratore esterno si uniscono alla celebrazione, ciascuno scacciando le nuvole con il proprio strumento. Guardo Norberto nei profondi occhi scuri, e con l’aiuto del mio interprete gli domando in lingua aymara se il rituale ha funzionato, se pensa che le nuvole se ne andranno. Lui mi guarda e sorride sicuro: «Non arriveranno qui. Se ne stanno già andando». Dieci minuti dopo la temuta grandine comincia a scendere dal cielo, sempre più rapida e fitta, abbattendosi impietosa sui campi di quinoa e di patate.
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Ambiente e Benessere
Come affronta il morire un giardiniere? Il seme nel cassetto Nel nuovo libro, Al giardino ancora non l’ho mai detto, l’autrice Pia Pera si interroga
sulla bellezza della natura, passando dal contatto diretto con le cose all’astrazione, al vizio dell’osservare Laura Di Corcia È spontaneo, ma con una visione registica che dall’alto manovra le piccole riflessioni sulla vita e sulla morte, il nuovo libro-diario di Pia Pera, giardiniera e scrittrice raffinatissima, che nel suo Al giardino ancora non l’ho mai detto (Ponte alla Grazie, 216 pagine, 15 euro), parte da un verso di Emily Dickinson (I haven’t told my garden yet) per narrare del decorso della sua malattia – la SLA – e del suo nuovo rapporto col giardino, che diventa la spietata cartina di tornasole dell’ora paragonato col prima. La stanchezza, le forze che non arrivano, le gambe che non ce la fanno: come si fa a tornare nella terra e a piantare, potare, proteggere i fiori e l’equilibrio precario di alcune piantine? La prima domanda che si pone, con la Dickinson, è: chi si prenderà cura del giardino, quando non ci sarò più? Ma Pia Pera è troppo acuta, troppo onesta per non accorgersi della palta di ipocrisia che soffoca la apparentemente generosa e sincera domanda posta dalla poetessa. «Adesso dubito di quella mia prima lettura – scrive subito, nella prefazione, riferendosi alle riflessioni attorno alla poesia della Dickinson – che, lungi dal sembrarmi sintomo di smussato egoismo, umiltà, pensiero alle piante di cui non potremo più prenderci cura, al cagnolino che non nutriremo, mi pare solo un modo ulteriore di darsi importanza, supporsi indispensabili». In effetti, ammette più avanti, in
Il giardino della casa di Emily Dickinson. (Massachusetts Office of Travel and Tourism)
pagine dense di riflessioni sul senso della morte e della malattia, il processo di cura non è stato unidirezionale; non è stata soltanto lei ad accudire il giardino, ma viceversa. Se il giardino è quel luogo in cui i pensieri volano liberi, svincolati dal severo censore interiore, allora il suo rapporto con la terra è stato dettato soprattutto dal bisogno di affrancarsi rispetto all’imperativo paterno, quello della cultura, quello secondo il quale una bambina di dieci anni non deve leggere dei semplici gialli, ma Edgar Allan Poe. «È venuta Francesca a scegliersi i libri russi. Che sollievo, vedere partire tutti quei pesantissimi tomi – formalismo russo, versificazio-
ne, semiotica. Riconosco nella ventitreenne Francesca l’avidità di libri di quando ero giovane. Si renderà conto che le sto passando un fardello?». La cultura come una zavorra, quindi, il bisogno di alleggerirsi dalle secche del raziocinio proprio ora che, come le sue piante, anche lei ha bisogno di cure, anche lei è costretta a mollare la presa. Per quanto, come il diario dimostra, il tempo della malattia non è solo quello dell’abbandono, ma anche quello del rovello, quello in cui si mette in discussione tutto, schizofrenicamente, compreso il percorso che ci ha condotti al presente, tacciato a livello inconscio di essere in qualche modo colpevole
della situazione: Pia Pera si rende conto che il puntare il dito verso la sua erudizione, il suo – perché no – snobismo, è in fondo il sintomo di una visione parziale delle cose. E qui arriva Leopardi: anche i suoi discorsi contro la natura – lo Zibaldone ne è zeppo – sono parziali, in un certo qual senso cocciuti, e non riescono ad aprirsi a una prospettiva più ampia. Ma che cosa vuol dire accettare la propria morte e come si può farlo stando nelle cose, quindi immergendosi nella natura? Forse la sfida che si e ci lancia Pia Pera è di quelle che servono a far alzare la posta in gioco, pur senza colpire nessun obiettivo: non possiamo
smaterializzarci essendo ancora materia, e non potremo mai liberarci dal nostro ego, così come non potremo mai smettere di vivere in maniera sdoppiata, da protagonisti della nostra vita ma anche da osservatori esterni della stessa. In modo solo apparentemente spontaneistico, questo diario torna a battere sulle stesse questioni: vita, morte, eutanasia, guarigione, malattia, con grandi protagonisti del pensiero che diventano quasi personaggi, come Leopardi, Dostoevskij, Florenskij e Jarman (autore esso stesso di un libro incentrato sul rapporto fra il giardiniere e la morte). Come affronta non tanto la morte, ma il morire un giardiniere? Interrogandosi sulla bellezza del giardino, passando dal contatto diretto con le cose all’astrazione, al vizio dell’osservare. Sentendosi allo stesso tempo più vicino alle piante di quanto lo fosse prima, ma anche anni luce distante dall’armonia delle cose. Potremmo dire che questo libro è incentrato sulle tematiche dell’inclusione e dell’esclusione, e anche qui coglieremmo solo in parte il segno. Ma da queste pagine, commoventi sì, però anche lucide, traspira sempre intelligenza: quella vera, autentica, quella che forse sì, è una zavorra, ma è scattante, veloce, e si nutre di contraddizioni. Bibliografia
Pia Pera, Al giardino ancora non l’ho detto, Autobiografia, Ponte alle Grazie (Milano, 2016), pp. 224. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
La rinascita della relatività Storia della scienza Onde gravitazionali – Secondo articolo Simone Balmelli I primi anni di vita della teoria della relatività generale furono segnati da brillanti successi, che in breve tempo portarono Albert Einstein alla grande notorietà di cui gode ancora oggi. Con il passare dei decenni, tuttavia, l’interesse scientifico per lo studio della relatività perse slancio, e attraversò un periodo di crisi che culminò con la seconda guerra mondiale e con l’immediato dopoguerra. A dominare la scena di quel tempo fu piuttosto l’altra grande teoria del ventesimo secolo, la fisica quantistica (e le sue applicazioni sulla fisica nucleare), la quale ebbe la priorità in un’epoca in cui anche i fondi per la ricerca erano regolati in funzione della guerra. Ma c’era un altro motivo cruciale, oltre agli interessi bellici, per cui la relatività generale divenne una teoria di nicchia a cui pochi si dedicavano: la mancanza di osservazioni. In poco tempo si erano infatti esaurite le osservazioni possibili (perlomeno senza l’uso di tecnologie spaziali) a livello del sistema solare, mentre buona parte degli aspetti legati alla relatività generale restavano ancora celati agli esperimenti. Ci sarebbe stato bisogno di qualcosa di nuovo, di un oggetto in grado di generare campi gravitazionali sufficientemente intensi da aprire nuove possibilità allo studio della gravitazione. Ma a quell’epoca non si conosceva ancora nulla di simile. Una teoria senza base
osservativa, oltre ad essere poco stimolante, rischia di incappare in difficoltà teoriche di ogni tipo. Tra le questioni dibattute da decenni, e a cui sembrava non esserci soluzione, vi era anche quella a proposito dell’emissione di onde gravitazionali. Ci si chiedeva, per esempio, se un pianeta in orbita attorno al Sole fosse o meno una sorgente di queste onde. La comunità scientifica era molto divisa su questo punto: la posizione di Einstein stesso sembrava propendere per lo scetticismo, anche se il dibattito vero e proprio avvenne dopo la sua morte. Dal punto di vista teorico la risposta a questa domanda era tutt’altro che ovvia, e non c’era neppure la minima possibilità di effettuare una verifica sperimentale, a causa dell’estrema debolezza del fenomeno in questione. Per risolvere il problema ci voleva appunto qualcosa in grado di emettere onde piÚ forti. All’inizio degli anni Sessanta, il fisico e matematico Freeman Dyson aveva speculato, in un articolo peraltro piuttosto marginale e dal carattere molto fantascientifico (il titolo era Gravitational Machines, e parlava dell’uso di tecnologie legate alla gravità da parte di eventuali superciviltà aliene), a proposito di sistemi binari di stelle di neutroni come sorgenti di onde gravitazionali potenzialmente misurabili. Le stelle di neutroni sono oggetti dal diametro di pochi chilometri, ma pesanti quanto il Sole, e il cui campo
gravitazionale è pari a miliardi di volte quello terrestre. Erano state teorizzate per la prima volta dallo svizzero Fritz Zwicky negli anni Trenta, ma fino all’inizio degli anni Sessanta quasi nessuno avrebbe scommesso un centesimo sulla loro esistenza. Ma Zwicky aveva visto giusto. Lo sviluppo della radioastronomia, una nuova tecnologia di osservazione, portò, nel 1967, alla scoperta della prima stella di neutroni. Era il laboratorio di relatività generale che mancava da mezzo secolo, e la teoria di Einstein tornò a nuovo splendore. Rinacque anche l’interesse per le onde gravitazionali, e si osò sperare che le stelle di neutroni doppie suggerite da Dyson potessero essere, dopotutto, qualcosa di reale. E infatti, solo pochi anni dopo, nel 1974, il primo sistema binario di stelle a neutroni fu scoperto da Russell Hulse e Joseph Taylor con il radiotelescopio di Arecibo, a Porto Rico. L’evento generò un grande entusiasmo nella comunità scientifica, e in men che non si dica venne pubblicata una grande quantità di articoli in cui veniva discussa ogni possibile implicazione e utilizzo della nuova scoperta. Il punto centrale era questo: l’osservazione precisa della velocità di rotazione delle due stelle avrebbe permesso di risolvere la disputa a proposito delle onde gravitazionali. Mentre le due stelle orbitano l’una attorno all’altra, infatti, le onde gravitazionali emesse sottraggono loro energia
L’Arecibo Radio Telescope, di Puerto Rico.
e la portano con sÊ, disperdendola nel vuoto. Di conseguenza, le stelle cadono sempre piÚ sotto l’effetto dell’attrazione reciproca, la distanza che le separa diminuisce, e il ritmo di rotazione del sistema si fa piÚ incalzante. Ed ecco che, dopo cinque anni di osservazione, si riuscÏ a stabilire che il periodo di rotazione delle due stelle, il quale misura pressappoco otto ore, era diminuito di circa un secondo. CosÏ, all’inizio degli anni Ottanta, teoria ed esperimento poterono essere di nuovo coniugati e, avendo il terreno solido dei dati sperimentali come punto di riferimento, anche la teoria potÊ farsi piÚ precisa. Nel 1982, una nuova e piÚ precisa derivazione delle formule per l’emissione di onde da parte del fisico francese Thibault Damour sancÏ la concordanza tra le formule relativistiche per l’emissione di onde gravitazionali e le osservazioni effettuate. La predizione che Einstein aveva fatto nel 1918 (e sulla quale egli aveva cambiato piÚ volte opinione) era stata confermata. Per decenni, questa è stata l’unica prova sperimentale dell’esisten-
za delle onde gravitazionali. Restava però pur sempre un’evidenza indiretta: non erano state osservate le onde in sÊ, ma solo un effetto secondario dovuto alla loro presenza. Il prossimo passo sarebbe stato quello di tentare una misura diretta, e cioè di rilevare le onde vere e proprie che, emesse in qualche luogo dell’universo da un sistema binario simile a quello di Hulse e Taylor, avessero attraversato gli spazi siderali fino a raggiungere la Terra. Kip Thorne, uno dei principali fautori dei moderni rilevatori di onde gravitazionali, fece a suo tempo una scommessa secondo la quale la prima misurazione diretta avrebbe avuto luogo prima della fine del Novecento. Ma l’impresa si rivelò essere piÚ ostica del previsto. Egli perse la scommessa, e le onde gravitazionali sarebbero restate nascoste ancora per molto tempo. Note
Il primo articolo è uscito su Azione il 30.05.2016. Annuncio pubblicitario
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TITANIC - IL MUSICAL Uno spettacolo titanico
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Dal 10 agosto al 10 settembre le rive del Ceresio ospiteranno il primo musical openair della Svizzera italiana: TITANIC – IL MUSICAL. La produzione, che si contraddistingue per il suggestivo allestimento sulle rive del lago, prosegue la tradizione portata in scena per oltre 10 anni di attività dalla Walensee-Bßhne, diventata oggi la rassegna di musical piÚ importante a livello svizzero. Dall’inizio abbiamo prodotto e realizzato unicamente musical di prestigio internazionale, che avessero un contenuto arricchente e potessero regalare forti emozioni. Inoltre, scegliendo la formula dello spettacolo openair, immerso nella natura, sul lago, offriamo un evento unico, un’esperienza speciale per tutti i visitatori�, commenta il direttore dell’organizzazione, Marco Wyss. In un periodo in cui il turismo ticinese è alla ricerca di nuovi stimoli, il Musical Lago di Lugano risulta quindi come un progetto interessante. Questa nuova Sulle tracce del vero Leo del film: Stefania attrazione estiva porterà benefici a piÚ livelli. Dall’espeSeculin e Andreas De Majo ad Arcisate / Varerienza di tanti anni sappiamo che la ricaduta economica se davanti alla casa di Emilio Portaluppi che ha ispirato il ruolo di Leonardo DiCaprio nel non si limita solo alle attività commerciali, ma riguarda film Titanic anche il turismo, con una crescita dei pernottamenti (in media 15’000 a Walenstadt) e degli arrivi giornalieri, sottolinea Marco Wyss. La troupe dello spettacolo, durante le 10 settimane di permanenza in Ticino, assicurerà alla regione già 4’000 pernottamenti. Da sottolineare inoltre l’importante coinvolgimento di specialisti in diversi ambiti per l’allestimento dello spettacolo, un evento di cosÏ ampie dimensioni necessita infatti di una preparazione di circa un anno. La tribuna coperta potrà ospitare fino a 1’500 spettatori provenienti da Ticino, Svizzera tedesca e Italia, che potranno assistere agli spettacoli in lingua tedesca o in lingua italiana, grazie al cast in grado di recitare nelle due lingue.
Una vicenda storica, molte interpretazioni
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Scena tratta da TITANIC – DAS MUSICAL 2015: Patrick Scott avvista per primo l’iceberg
TITANIC – IL MUSICAL si appresta a portare in scena, per la prima volta in Ticino, la storia del transatlantico piĂš famoso di tutti i tempi. I 26 attori professionisti sbarcheranno presto a Melide, tra loro gli italiani Stefania Seculin e Andreas De Majo che interpreteranno i protagonisti Kate McGowan e Jim Farrell, nonchĂŠ la ticinese Maria +!")) Ă˝ / )" Âœ)" !") 01 &+1"/+ 7&,+ )" + %" 02,/ Cristina Scuccia, conosciutissima per la sua vittoria all’edizione 2014 del talent The Voice of Italy. La leggendaria storia del Titanic che andrĂ in scena a Melide ha debuttato nel 1997 quale musical a Broadway (pochi mesi prima !") Âœ)* Ăž ,+.2&01 +!, "+ Ăš ,+6 4 /!0 &) /& ,+,0 &mento piĂš prestigioso per le opere teatrali, paragonabi)" $)& 0 / &+"* 1,$/ Âœ & &+ 03 /& 1" 1"$,/&"Ă˝ vicenda degli sfortunati amanti che andrĂ in scena sul palco in riva al Ceresio si discosta dalla piĂš conosciuta 1/ * !") Âœ)* !& *"0 *"/,+ " 0,/-/"+!"/ĂŚ 0& 2/ mente il pubblico a Melide.
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Piadina al crudo con formaggio fresco e limone Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 1 limone · 200 g di formaggio fresco · sale, pepe · 6 fichi · ½ mazzetto di menta · 80 g di rucola · 3 cucchiai d’olio d’oliva · 4 piadine · 12 fette di prosciutto crudo. 1. Grattugiate la scorza di limone e spremete il succo. Condite il formaggio fresco con la scorza di limone, poco succo, sale e pepe. Tagliate i fichi a fette. Staccate le foglie di menta dai rametti e mescolatele con la rucola, il resto di succo di limone e l’olio. Condite l’insalata con sale e pepe. 2. Scaldate brevemente le piadine in una padella antiaderente o in una bistecchiera. Spalmate il formaggio fresco sulle piadine e farcitele con i fichi, il prosciutto crudo e l’insalata di rucola. Servite subito.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Ambiente e Benessere
Il sentiero europeo è anche in Ticino
Turismo Sulle tracce del percorso E1, quasi cinquemila chilometri da nord a sud, passando per il nostro cantone.
Un’iniziativa dell’Associazione europea escursionismo
Elia Stampanoni La rete di sentieri europea è un’idea promossa dall’Associazione europea escursionismo che, nata in Germania nel 1969, ha creato un reticolo di sentieri da nord a sud e da est a ovest del continente. Dodici cammini che attraversano l’Europa, o come minimo almeno tre nazioni differenti. Due i percorsi, E1 e E5, che toccano anche il suolo elvetico e il primo, che collega il nord al sud, transita anche in Ticino. Il sentiero E1 è stato inaugurato nel lontano 1972 e oggi, nella nostra regione, sono poche le informazioni rimaste su questo tragitto. La segnaletica, posata parecchio tempo fa, non è molto frequente, ma in Capriasca, quasi come un cimelio, troviamo ancora un piccolo cartello indicatore del tragitto E1 (vedi foto). Si tratta di un percorso che si sviluppa su settemila chilometri collegando Capo Nord (Norvegia) a Palermo in Sicilia, attraverso un unico percorso che va da nord a sud del continente. O più precisamente, dal mare del nord al Mediterraneo, com’è descritto sulla targa situata nella campagna di Vaglio. La demarcazione dei sentieri europei non vuole sostituirsi alle organizzazioni presenti praticamente in ogni nazione, è piuttosto un’aggiunta alle proposte presenti sul territorio. La tratta svizzera del percorso E1 ricalca, infatti, il Trans Swiss Trail e l’associazione europea invita la posa di frecce solo laddove necessario. Sommando tutti i dodici sentieri, la rete europea copre una distanza totale di oltre 60mila chilometri, toccando circa trenta Paesi: Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Svizzera, Italia, Austria, Scozia, Inghilterra, Irlanda, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Francia, Spagna, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Grecia, Slovenia, Cipro, An-
Sommando tutti i 12 sentieri, la rete copre una distanza totale di oltre 60mila chilometri. (Maximilian Dörrbecker)
dorra, Russia, Lettonia, Lituania, Estonia o Turchia. Seguire uno dei sentieri proposti è quindi un ottimo pretesto per scoprire posti nuovi, per abbracciare nuove culture e per rafforzare la comprensione reciproca, come auspica l’Associazione europea escursionismo. L’ente si prefigge, infatti, questi principi di fratellanza, raggiungibili anche attraverso scambi culturali e tolleranza. Chiaramente, oltre agli aspetti sociali, al centro della rete sentieristica europea permangono l’interesse per i paesaggi e i territori attraversati. Paesaggi che, calcando il tratto elvetico del sentiero
E1, spaziano dal lago di Costanza fino a quello di Zurigo, per poi prendere la direzione delle Alpi, dove, sul San Gottardo, si raggiunge il punto più alto del tragitto con i suoi 2091 metri. In Ticino il percorso segue la Strada alta per poi affrontare la Riviera, il Bellinzonese, il Monte Ceneri, Isone, la Capriasca, il Luganese e il Mendrisiotto (ricalcando il percorso Trans Swiss Trail numero 1). Per gratificare chi si cimenta lungo uno dei loro percorsi, l’associazione prevede pure dei certificati e dei diplomi, secondo il livello e la fedeltà. Per appropriarsene, l’escursionista è invita-
to a inoltrare domanda all’associazione responsabile che, dopo aver verificato la documentazione a giustificazione dell’impresa, recapiterà l’attestato. Questi tragitti si possono chiaramente percorrere in qualsiasi momento e senza iscrizione alcuna, ma l’Associazione europea escursionismo, per favorire ulteriormente lo scambio reciproco, organizza pure dei momenti d’incontro, segnale di una certa vitalità. Le federazioni associate (59 in rappresentanza di 34 Paesi europei, oltre a 4 società di Israele, Stati Uniti e Marocco in qualità di osservatori), ogni cinque anni si ra-
dunano per l’evento Eurorando che nel 2016 si terrà in Svezia dal 10 al 17 settembre. Si tratta di sette giorni all’insegna dell’escursionismo, con circa ottanta differenti gite di una lunghezza variabile dai 2,5 ai 29 chilometri. Ognuno ha quindi l’occasione di scegliere il percorso preferito, adatto alle proprie esigenze e capacità, scoprendo i luoghi, i paesaggi e le magie della regione di Skåne (Scania, la contea più meridionale della Svezia), con la località di Helsingborg a fungere da campo base dell’evento. Oltre alle gite giornaliere, Eurorando è completata da conferenze, esposizioni, uscite, visite, cene, musica e avvenimenti che ruotano attorno alle tradizioni svedesi, il Paese ospitante di questa edizione della settimana dell’escursionismo europeo. Nel 2011, l’edizione spagnola organizzata in Andalusia registrò una partecipazione di circa cinquemila escursionisti che, dall’8 al 14 ottobre, invasero pacificamente una delle diciassette comunità autonome della Spagna. L’associazione europea si fa inoltre promotrice di gite organizzate dagli affiliati, poi diffuse e promosse all’interno dei soci tramite la pagina internet. Insomma, se la tratta ticinese del sentiero europeo sembra essere caduta nell’oblio, non sembra essere lo stesso per l’associazione escursionistica, che a quasi cinquant’anni pare più viva che mai. Indirizzi utili
Associazione europea escursionismo (AEE), www.era-ewv-ferp.com (solo in francese, tedesco e inglese); Eurorando, www.eurorando2016.com (solo in francese, tedesco, inglese, svedese); l’escursionismo svizzero, www.wanderland.ch (anche in italiano); la rete ufficiale dei sentieri escursionistici ticinesi, www.ti-sentieri.ch (chiaramente anche in italiano)
Giochi Cruciverba Trova il proverbio nascosto nel cruciverba, risolvendolo e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 6, 1, 4, 3, 8, 7)
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33. Strobilo delle conifere 34. Decigrammo 36. È noto quello greco 37. Sapienti, avvedute 38. Il nome del regista Scorsese 40. Un tratto dell’intestino 41. Era una guardia imperiale
giapponese Verticali 1. Rappresentazione natalizia 2. Fenomeno acustico 3. Le iniziali del politico Bonino 4. Fiume polacco 5. Opera di Mascagni 6. Particella nobiliare 7. Il noto Mandela 8. C’è anche quello solare
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Sudoku Livello difficile Scopo del gioco
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Orizzontali 1. È temuto a scuola 7. Un vento 11. Un’azione illecita 12. La Rodriguez della TV 13. Le iniziali dell’attore Murphy 14. Si ripetono nelle funzioni 15. Un fiore 16. Moneta del Perù 18. Medesimo 21. Il Superman dei fumetti 23. Lo era Sartre 24. Le iniziali della cantante Ayane 25. Le coperte meno corte 26. Ultimo ad Harvard 28. Negazione tedesca 30. Una persona con i capricci in testa... 32. Valle del Trentino
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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti in numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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3 9. Nome femminile 10. Acceso a Londra 12. Circolare nel cono 15. Aforismi 17. Un articolo 19. Sacchetto sul vestito 20. Una Gianna cantante 22. Santo del primo dicembre 24. Non ti fa guardare lontano 27. Colpisce gli adolescenti 29. La pena … nel cuore 30. Vi si smorzano le onde 31. L’attore Richard Sandler 33. La via dei ragazzi di Ferenc Molnar 35. Lavora in cantiere 37. L’ultima della scala... 38. Le iniziali dell’attrice Arcuri 39. Sono diverse nell’etere
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Soluzione della settimana precedente
IN SALA OPERATORIA – Il paziente al chirurgo: «Dottore, sono un po’ nervoso, è la prima operazione che faccio!» – «La capisco è... LA PRIMA ANCHE PER ME!»
L A P I N
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I C A R O R T G A C E T T I L E
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Politica e Economia Roma e Torino a Grillo Nelle amministrative del 19 giugno il trionfo del M5 Stelle mette in crisi il Pd
La questione meridionale Il Sud Italia è alle prese con un sottosviluppo permanente e una desertificazione industriale. La regione maggiormente colpita è la Sicilia
Resta poco della rendita Le rendite AVS ristagnano, ma intanto il costo della vita aumenta, in particolare i premi delle casse malati - La consulenza della Banca Migros
Riforma varata Accolta dalle Camere federali la riforma sulla tassazione delle imprese III, ma ci sarà referendum pagina 29
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Fuori dall’Europa Brexit Gli inglesi hanno deciso, la procedura per l’uscita dall’UE può cominciare: la scelta però
avrà gravi ripercussioni anche sullo scenario politico interno Paola Peduzzi La Brexit ha vinto, il Regno Unito uscirà dall’Unione europea, da venerdì mattina la causa di divorzio è ufficialmente cominciata. Il risultato al referendum britannico del 23 giugno è stato uno choc: nelle giornate prima del voto, e ancor più quando le urne si sono aperte, il clima è sembrato molto favorevole a una riappacificazione con l’UE dopo mesi di campagna elettorale ostile e vendicativa. I mercati sembravano quasi certi della vittoria del «remain», e anche i leader politici sembravano rassegnati, parecchi con sollievo, allo status quo. Gli inglesi invece hanno deciso di divorziare, di seguire la suggestione del «giorno dell’indipendenza» che i media legati alla Brexit hanno fatto circolare poco prima del voto, dimostrando con grande forza che esiste una frattura enorme con l’establishment, che va oltre l’euroscetticismo e che va oltre anche alle preferenze politiche. Se da tempo non si fa che parlare di un ordine mondiale liberale per la prima volta dal Dopoguerra in grande pericolo, con l’ascesa di Donald Trump in America e
i movimenti populisti che si rafforzano in Europa, questo può essere segnato come il momento in cui tutto è cominciato. Il negoziato tra Londra e Bruxelles prevede il ricorso all’Articolo 50 del Trattato di Lisbona, con richiesta formale al Consiglio europeo della procedura d’uscita e due anni di tempo per riscrivere 80 mila pagine di regolamenti (ironia della sorte vuole che l’ultimo comma di questo articolo preveda che, se in due anni dovesse scappare la voglia di divorziare, si può tornare all’articolo 49 che regola il reinserimento nell’Ue). Il premier dimissionario David Cameron deve fare la richiesta, ma prima è necessario attuare piani di emergenza per contenere lo choc dei mercati – la sterlina ha avuto un’altalena significativa: più forte che mai e più bassa che mai nel giro di 24 ore, ha raggiunto quella soglia di terrore del 1985, l’anno della sua rovina – e mettere in pratica quei «piani B» che l’UE ha ostentato con una certa sufficienza e che ora diventano quanto mai urgenti. Anche per Cameron potrebbe servire un piano alternativo. Da sempre si è detto garan-
te della transizione: anche se vince la Brexit – che per lui significa una gigantesca sconfitta, passerà alla storia come il premier che ha fatto uscire il Regno Unito dall’UE e lui non può andarne fiero – gestirò l’uscita con l’Ue, ha ripetuto. Ora però iniziano i dubbi sulla possibilità che davvero Cameron possa incarnare questo ruolo, avendo annunciato le sue dimissioni entro ottobre. I Tory spaccati a metà sulla questione referendaria si ritrovano con un premier sulla carta che soltanto un anno fa vinceva alla grande le elezioni e che ora è politicamente sconfitto: ora si dovrà cercare un sostituto. Boris Johnson, ex sindaco di Londra, e Michael Gove, ministro della Giustizia, animatori della campagna del «leave» e quindi vincitori del referendum, sono considerati i più papabili, ma ancora il giudizio è viziato dalla recente dichiarazione di divorzio all’Europa: la successione di Cameron è un affare complesso, non si risolve in una notte, così come sembrano implausibili le domande di elezioni anticipate. L’Ukip di Nigel Farage chiede già il suo dividendo per la vittoria, e questo avrà un impatto enorme sul negoziato
che si apre: le due anime della Brexit si scontreranno nel disegnare l’assetto dei rapporti tra il Regno Unito svincolato dall’Europa e il resto del mondo. La visione dei Tory pro Brexit è liberale, chiede più libero mercato, più accordi commerciali, più apertura anche all’immigrazione, laddove gli indipendentisti sono protezionisti e isolazionisti e come prima cosa pretendono la chiusura delle frontiere e la riformulazione delle regole che regolamentano l’immigrazione. Questo scontro ideologico sarà brutale, e le sue conseguenze sull’Europa saranno decisive. L’establishment ancora una volta ne esce a pezzi, e la tentazione di altre «exit», o almeno di altri referendum, comincia a entrare nei programmi elettorali di molti movimenti antisistema (Marine Le Pen, in Francia, lo ha già annunciato: se vinco, entro sei mesi organizzo un referendum europeo. In Francia si vota l’anno prossimo e a oggi i sondaggi dicono che Le Pen arriva al secondo turno. L’alternativa della spaccatura europea non è più così impensabile). Questa rivolta va oltre l’euroscetticismo, è una condanna del modello libe-
rale vigente e una richiesta urgente di cambiamento. Quale sia questo cambiamento è difficile dirlo perché ogni forza politica chiede cose differenti, ed è per questo che lo scontro dei britannici assume un significato più grande: segnerà un precedente. E questo non vale soltanto per le destre inglesi, anche nel mondo della sinistra le ripercussioni saranno grandi. Cameron contava sul voto di almeno due terzi dell’elettorato laburista, questo gli avrebbe garantito la vittoria. Ma molti laburisti non hanno votato o hanno votato per la Brexit, perché ha prevalso in questa scelta non tanto l’appartenenza politica quanto il livello di rabbia e frustrazione (nella contea dell’ex leader laburista Ed Miliband, il «leave» ha raggiunto quasi il 70 per cento). La campagna schizzinosa condotta da Jeremy Corbyn, europeista riluttante che mai ha voluto unirsi ai conservatori per difendere la causa comune, per tatticismo politico e per un sostanziale disamore per l’Europa, ha contribuito alla sconfitta: nell’ora dei regolamenti di conti, non cade soltanto Cameron, molti chiedono la testa anche di Corbyn.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Politica e Economia
La rivincita di Grillo Elezioni amministrative Per il presidente del consiglio Matteo Renzi la botta è stata più forte del previsto:
o riuscirà a ricompattare il partito o dovrà mettere la parola fine alle sue fortune politiche
Alfredo Venturi Come è consuetudine di chi prevede la sconfitta, Matteo Renzi aveva provato a derubricare il voto amministrativo: non ha contenuti politici nazionali, aveva detto, obbedisce a dinamiche locali, non sarà un giudizio sull’azione di governo. In realtà quando si vota nelle maggiori città del Paese è difficile negare alle scelte degli elettori una valenza generale. Inoltre l’arretramento del Partito democratico era stato sì previsto, così come l’affermazione a Roma del primo sindaco donna nella persona di Virginia Raggi del Movimento cinque stelle: ma sono giunte inaspettate le dimensioni del verdetto (la Raggi ha catturato oltre i due terzi dei suffragi), davvero punitive per il partito di cui il presidente del consiglio è segretario. Soprattutto nessuno all’interno del Pd, e pochi al di fuori, avevano immaginato che potesse cadere anche la roccaforte di Torino dove Piero Fassino, un amministratore serio e capace, un uomo della vecchia guardia ripetutamente baciato dal titolo di sindaco più amato d’Italia, nonostante il vantaggio al primo turno di una decina di punti ha dovuto cedere la poltrona a Chiara Appendino, un’altra vittoriosa outsider scaturita dal vivaio grillino.
La politica italiana è ora divisa in tre parti, come la Gallia di Giulio Cesare: una di queste è il M5 Stelle che ha catalizzato i malumori nazionali Soltanto locale, il voto che ha conquistato ai Cinque stelle diciannove ballottaggi su venti, e fra questi sia la disastratissima Roma afflitta da decenni di cattiva amministrazione fino allo scandalo «mafia capitale», sia l’efficiente e ordinata Torino? Che questo voto abbia un forte contenuto politico lo dimostra l’analisi dei flussi, ne risulta infatti che gli oppositori hanno fatto fronte comune nei ballottaggi, uniti nonostante le differenze nel contrastare i candidati Pd. Inoltre questo partito, soccombente di fronte al Movimento cinque stelle, ha invece vinto dove, come a Milano o a Bologna, ha dovuto affrontare rivali di centro-destra. Con alcune eccezioni, come Trieste. Mentre a Napoli, dove i Cinque stelle erano praticamente assenti, il loro messaggio di rottura è stato fatto proprio dal sindaco Luigi De Magistris, l’ex magistrato che con la sua coalizione di forze di sinistra (a sinistra del Pd...) è stato trionfalmente rieletto.
Matteo Renzi: lo sconfitto. (AFP)
Virginia Raggi, del M5 Stelle, nuovo sindaco di Roma. (AFP)
Dunque il segnale è chiaro, gli elettori confermano che il vecchio schema bipolare è consegnato agli archivi: accanto a centro-destra e centrosinistra c’è un terzo convitato al tavolo del potere, come la Gallia di Giulio Cesare la politica italiana è divisa in partes tres. Una di queste parti è il Movimento cinque stelle, la creatura fondata sette anni or sono dal comico Beppe Grillo e dall’imprenditore informatico Gianroberto Casaleggio, che si è rapidamente affermata come catalizzatore dei malumori nazionali. Risolutamente avversi alla «casta» politica, negatori dei concetti di destra e sinistra, fautori di forme di democrazia diretta fondate sulle consultazioni attraverso la rete, i «pentastellati» appartengono a quel filone che si è manifestato altrove con il movimento internazionale Occupy, il Piratenpartei tedesco e i gruppi fratelli in altri Paesi del Nord, gli indignados spagnoli. Portatori di una intransigente ostilità nei confronti dell’Unione Europea, considerata schiava di una Germania egemone e della finanza internazionale, non esitano a dialogare con forze come l’UKIP britannico di Nigel Farage. Nel 2013 i Cinque stelle fanno il loro spettacolare ingresso in parlamento con un centinaio di eletti. Il ventiseienne Luigi di Maio diventa il più giovane vicepresidente nella storia della Camera dei deputati. Oggi, dopo i trionfi di Roma e Torino, lo vogliono candidare alla presidenza del consiglio. Il Movimento si proclama infatti forza di governo, dopo la fase iniziale a tratti folcloristica, segnata dalle inevitabili approssimazioni di un gruppo dirigente improvvisato, i pentastellati «hanno studiato» e mirano in alto. Fra i perdenti di questo turno elettorale figura anche, all’interno di un centro-destra lacerato e in affanno, la Lega Nord di Matteo Salvini: non solo appoggiava Stefano Parisi, il candidato che ha vanamente conteso il municipio
di Milano al vincitore Giuseppe Sala del centro-sinistra, ma ha addirittura dovuto cedere il bastione di Varese, fin qui considerato inespugnabile. Evidentemente lo stile tribunizio di Salvini, visceralmente ostile all’Europa e all’«invasione» dei migranti, è andato oltre quei limiti di tollerabilità che potrebbero renderlo accettabile all’opinione moderata cui si rivolge il centro-destra. Salvini in crisi anche a Bologna, dove la sua candidata Lucia Borgonzoni ha vanamente conteso il passo al sindaco uscente Virginio Merola del centro-sinistra, e soprattutto a Roma, dove aveva appoggiato Giorgia Meloni, la candidata dell’ultradestra che gli elettori hanno bocciato fin dal primo turno. Eppure il tonitruante capo della Lega se n’era detto certo: Giorgia andrà al ballottaggio contro Virginia, e sarà tutta da vedere... Ormai tramontato il carisma di Silvio Berlusconi, che sta riprendendosi da un intervento al cuore in una clinica milanese, difficilmente sarà Salvini, l’uomo che vuole asfaltare i campi rom e i centri sociali, il nuovo federatore del centro-destra. Sullo sfondo del successo grillino e della débâcle Pd, gli elettori mandano a dire anche un’altra cosa, che soltanto la metà di loro si prende la briga di andare a votare. Mai nella storia dell’Italia democratica l’affluenza al voto, senza considerare i referendum, è stata bassa come in questi ballottaggi: appena il 50,5 per cento. Questa la media, ma a Napoli ha votato un solo elettore su tre. É vero che questo dato va interpretato con cautela perché cumula motivazioni diverse, dall’impedimento all’indifferenza fino alla protesta, ma se si affianca all’esito dei sondaggi di opinione risulta come l’effetto di una radicata insofferenza per la politica e i suoi riti, che nemmeno i Cinque stelle con la loro innovativa carica di rottura riescono a intaccare più di tanto. E nemmeno il Renzi degli inizi, quando con un misto di spregiudicatezza e
giovanile baldanza si affacciò sulla scena politica facendosi largo a gomitate, sloggiando sbrigativamente Enrico Letta da Palazzo Chigi, promettendo a gran voce di cambiare l’Italia e l’Europa. Allora funzionavano, per gli italiani stufi della politica, la rude categoria della rottamazione e le promesse di cambiamento radicale. Ma poi il meccanismo si è inceppato, e il presidente del consiglio pecca vistosamente di understatement quando attribuisce la causa dello stallo a un difetto di comunicazione. C’è ben altro: c’è l’indiscutibile realtà che gli effetti miracolistici annunciati, dalla ripresa congiunturale al riassorbimento della fortissima disoccupazione giovanile, sono stati minimi, e l’opinione pubblica non ha tardato a valutare con molta severità l’abisso fra l’enfasi renziana sull’Italia che cambia e i marginali «zero virgola» dei miglioramenti effettivi. Inoltre la gente comune, attenta ai problemi quotidiani piuttosto che alle grandi questioni ideologiche, non ha mai capito perché la classe politica perda tempo a discutere del sesso degli angeli, di astruse alchimie costituzionali o di astratte formulazioni etiche invece di concentrarsi sulle sfide che sente sulla propria pelle: la corruzione, la criminalità, l’economia, le migrazioni. Né riesce a capire le intese più o meno sotterranee con il centrodestra, la bizzarra sintonia con Denis Verdini, quel consumato navigatore nei meandri del potere che proviene dalla galassia berlusconiana. E così l’immagine del leader si è progressivamente appannata, la sua vitalità declassata come arroganza, l’elargizione di una manciata di euro ai meno abbienti (ma non tutti) come elemosina pre-elettorale, l’ammiccamento verso destra come tradimento degli ideali solidaristici di quello che fu un partito di sinistra, l’ostentato disprezzo verso la dissidenza interna come vanagloriosa sopravvalutazione di sé. Non è affatto piaciuto il suo invito a disertare
il voto in occasione del referendum sulle trivellazioni petrolifere in mare (può un capo di governo scoraggiare l’esercizio di un diritto politico, di un dovere civico?), e ancor meno la sua decisione di puntare l’intera posta («se non vinco me ne vado») sulla consultazione del prossimo ottobre in materia di riforma costituzionale. Questo referendum si è reso necessario perché è mancata la maggioranza per approvare la riforma con voto parlamentare, e il presidente del consiglio ha già cominciato a enfatizzare l’evento e a piazzare le sue batterie. L’interpretazione riduttiva del voto amministrativo come fatto locale era legata anche a questo: ciò che conta, ha detto e ripetuto Renzi, è il supporto popolare alla riforma della costituzione. I toni si sono fatti, e si faranno, sempre più accesi. Ma nessuno può scommettere sul risultato. Infatti proprio l’esito del voto nelle città rischia di compromettere lo scenario vagheggiato dal presidente del consiglio. Probabilmente nella fastidiosa notte in cui affluivano implacabili i risultati dei ballottaggi proprio questo era il suo pensiero dominante, alla faccia della consultazione priva di spessore politico: e adesso che accadrà? Nella nuova struttura tripolare dell’elettorato, una confluenza di fatto del Movimento cinque stelle e del centrodestra nel fronte del no, senza contare i critici interni al Pd, potrebbe portare a una clamorosa bocciatura del progetto e dunque alle dimissioni del presidente. Per Renzi, che partì a suo tempo con un radioso risultato, oltre il 40 per cento al suo partito nell’elezione del parlamento europeo, la strada si è fatta davvero stretta. Non ha alternative: o riesce a ricompattare il partito attorno a un programma di riforme reali incisive e immediate, come quelle della giustizia e della pubblica amministrazione, che siano in grado di far decollare l’economia eliminando i pesi e gli ingombri che la frenano, o dovrà mettere la parola fine alle sue fortune politiche.
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Politica e Economia
Una vecchia storia Questione meridionale Non sono bastati 155 anni per colmare l’arretratezza delle regioni sudiste depredate
da mezzo secolo di ruberie. Saviano si è spinto addirittura a dire che dal Sud ormai fuggono anche le Mafie Alfio Caruso La questione meridionale esplose prima ancora che fosse proclamato il Regno d’Italia (17 marzo 1861). Quel giorno si arrese uno dei due bastioni borbonici resistenti da mesi alle divisioni piemontesi, la Cittadella di Messina; tre giorni più tardi alzò bandiera bianca anche la fortezza di Civitella del Tronto. Una frase della deposta regina di Napoli, Maria Sofia («Piuttosto che stare qui, amerei morire negli Abruzzi in mezzo a quei bravi combattenti») aveva commosso e sommosso i cuori degli innumerevoli spasimanti di questa Lady Diana dell’Ottocento. La stampa internazionale aveva trasformato l’assedio nell’ennesima sfida fra Davide e Golia. Le cancellerie ostili al nascente Stato avevano molto sfruculiato sull’impotenza di tanti contro pochi. Tuttavia il peggio per il governo del conte di Cavour si palesò Il 7 aprile nel bosco di Lagopesole, in Basilicata: avvenne il raduno di duemila fuorilegge, fu acclamato comandante in capo Carmine Crocco, un ex artigliere dei Borboni, che nelle sue diverse avventure aveva militato anche al fianco di Garibaldi durante l’impresa dei Mille. La mancata cancellazione della condanna per omicidio l’aveva indotto a tornare all’antico mestiere. Sotto la sua guida il Meridione venne infestato per anni da una guerriglia, che non fu solo banditismo, come dipinto dalle cronache ufficiali, fu anche reazione alla cecità del governo centrale, alla mancanza di sviluppo economico.
La perdita di giovani, di competenze e la denatalità rischiano di relegare il Meridione a uno sottosviluppo permanente e alla desertificazione industriale Non sono bastati centocinquantacinque anni per colmare l’arretratezza delle regioni sudiste, acuitasi anzi con il nuovo secolo. Dal 2000 la crescita di Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia è stata appena del 13% contro il 24% della Grecia e il 53,6% delle regioni europee, che rientrano nei piani di Convergenza della UE. Nel 2014, per il sesto anno consecutivo, l’economia di queste regioni è diminuita dell’1,3% e ciò ha riportato ai livelli del 2000 il divario con il Nord. Purtroppo, neppure l’ampia crescita dell’export nel 2015 (10,2% rispetto alla media nazionale del 3,8%) serve al riequilibro. Anzi, dopo gl’interventi della magistratura e il blocco delle attività estrattive, esiste il pericolo che la regione più dinamica, la Basilicata con un aumento del 145.7%, rallenti parecchio. Perfino le esportazioni legate alla produzione di auto nello stabilimento Fca di Melfi sono finite in stallo. Di conseguenza il pil pro-capite è quasi la
Luigi de Magistris, rieletto sindaco di Napoli. (Keystone)
metà della media del Centro-Nord. In dati assoluti, quello italiano è di 26.585 euro, quello meridionale di 16.976: in Trentino Alto Adige è di 37 mila euro, in Calabria di 16 mila. Il rischio povertà è più che triplicato rispetto al resto del Paese: dal 10% al 33%. La regione maggiormente a rischio risulta la Sicilia con il 41,8%, seguita dalla Campania, 37,7%. Una famiglia meridionale consuma il 67% di quanto consuma una famiglia del Centro-Nord. Negli ultimi otto anni l’occupazione è crollata del 9%, mentre nel Centro-Nord vi è stato un -1,4%. Nel 2014 i lavoratori sono cresciuti in Italia di 88.400 unità, il Meridione, invece, ne ha persi 45.000 scendendo a 5,8 milioni di unità, il livello più basso dal 1977, anno d’inizio delle rilevazioni. E anche la ripresa registrata nei primi sei mesi del 2015 non ha toccato le sacche della disoccupazione, soprattutto giovanile. Di conseguenza, forte incentivazione all’esodo. Dall’inizio del nuovo millennio sono emigrate verso altre zone della Penisola 789 mila persone (più degli abitanti di Palermo), di cui 210 mila laureati e 526 mila (l’equivalente dell’intera provincia di Reggio Emilia) di età inferiore ai 34 anni. A costoro bisogna aggiungere quanti si sono diretti verso la Germania, l’Inghilterra, la Scandinavia e in questo caso la scelta non è stata effettuata dalla bassa manodopera, come capitava nel Dopoguerra, bensì da ragazzi in possesso di lauree e specializzazioni. Sono i famosi «cervelli», dei quali si continua a lamentare la partenza, tuttavia senza sforzarsi d’individuare rimedi. Perciò la perdita di giovani, di competenze e la denatalità rischiano di relegare il Meridione a un sottosviluppo permanente e alla desertificazione industriale.
Nel 2014 si è toccato il punto più basso delle nascite dal 1861: 174.000. Il tasso di fertilità è sceso a 1,31 figli, meno degli 1,43 del Nord e dei 2,1 necessari per non ritrovarsi nel 2065 con 4,2 milioni di abitanti in meno. Purtroppo una simile mole di problemi ha suscitato il ridestarsi degli istinti più viscerali: dal rimpianto per i centoventi anni di dominio dei Borboni – il peggio del peggio – alle accuse di ruberie e sfruttamento prima all’Italia dei Savoia, poi alla Repubblica, accusata di miopia e insensibilità. È indubbio che dopo l’Unità i notabili del Nord preferirono allearsi con i «galantuomini», i veri persecutori delle plebi meridionali, piuttosto che garantire la crescita sociale promessa da Garibaldi appena sbarcato in Sicilia nel maggio 1860. E pure l’Italia nata con il referendum del ’46 ha trovato più redditizio accordarsi con le diverse mafie che dare loro la caccia, varare improbabili piani siderurgici piuttosto che rafforzare l’agricoltura e il turismo. Ma chi ha depredato per mezzo secolo la fin troppo munifica Cassa del Mezzogiorno? Aveva i mezzi e i progetti per garantire la liberazione del Sud dalle sue endemiche miserie, viceversa le classi dirigenti di Napoli, di Palermo, di Bari, di Reggio Calabria preferirono spolparla per accrescere i propri privilegi. E che si trattasse di un andazzo univoco, prescindente dalle ideologie, l’ha dimostrato la staffetta tra gli antichi presidenti di regione democristiani e gli attuali governatori tutti del Pd. Ma ciascuno di essi – Crocetta in Sicilia, Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Pittella in Basilicata, Oliverio in Calabria – si sente e si comporta da ras locale, anziché da membro di una collettività nazionale. Ciascuno fin qui
ha cercato di raccattare il meglio per la propria parte, non per la propria terra. L’arrivo dei nuovi dati, le previsioni catastrofiche sul futuro di un’associazione molto rispettata come la Svimez (Associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno) hanno però suonato la campanella dell’ultimo giro. Saviano, l’autore del celeberrimo Gomorra, ha sentenziato che dal Sud ormai fuggono anche le mafie. Pure Renzi è stato costretto a rivedere il proprio disegno. Fin qui il suo neocentralismo tendeva a escludere sia la questione meridionale, sia quella settentrionale. Alle reciproche e opposte rivendicazioni, spesso ammantate di consunta retorica, contrapponeva la questione delle riforme nazionali. Paradossalmente l’hanno aiutato la becera intolleranza della Lega e l’affermarsi di quei caporioni approdati nel PD perché gli altri partiti erano spariti. Adesso questo schema non funziona più ed egli non pare averne sottomano un altro. «Scateniamo l’inferno del cambiamento» sostiene Emiliano, che si è già rivolto a De Luca per un coordinamento delle cinque regioni meridionali. Ma il governatore campano, oltre a non voler troppo apparire, non vuole dispiacere a Renzi. Il capo del governo gli ha, infatti, promesso 700 milioni per smaltire 4,5 milioni di ecoballe, ingombrante eredità dell’emergenza rifiuti. Se queste sono le premesse, la nascita di un partito del Sud sembra assai improbabile. Gli mancherebbe, per altro, il presupposto, che ha scandito i settant’anni precedenti: una spesa pubblica allegra, senza controlli, spesso fuorilegge. Più facile, invece, che dilaghi una sorta di rivolta fiscale copiando alcuni slogan della Lega, tuttavia con ben altra base. Nel Meridione del nero,
del sommerso, dell’evasione fiscale mai se n’era avvertito il bisogno, tuttavia la tentazione può diventare molto forte in un periodo di caccia agli evasori per rimettere in ordine i conti dello Stato. Un accenno, per quanto indiretto, lo si trova nel rapporto Svimez, che toglie il sonno a tanti governanti romani. Vi si sostiene che negli anni gli investimenti e i trasferimenti al Sud sono calati, mentre è rimasta sostanzialmente invariata la partecipazione del medesimo Sud al pagamento delle pensioni lavorative. Le quali, ed ecco la sottolineatura polemica, «sono riscosse in gran parte al Nord». Pensioni, che ovviamente nessuno si sogna di toccare, al contrario di quanto avviene con quelle d’invalidità assai diffuse in Meridione e al 90% false. Se a questo si aggiungono il sempre più probabile accorpamento nell’arma dei carabinieri del corpo forestale – riserva di caccia dei politici locali per distribuire stipendi a pioggia – e la prossima ripartizione del fondo sanitario nazionale, con una stretta per Sicilia, Campania, Calabria, Puglia e Basilicata, ecco spiegato la recrudescenza della questione meridionale. Stavolta trasformata nell’ultima barricata per la sopravvivenza. Il cardinale di Napoli, Sepe, ha osservato: «Renzi rottami tutto, ma non la nostra speranza». Sul carro fiscale è già saltato lo screditato sindaco partenopeo, Luigi de Magistris, alle prese con ambizioni eccessive perfino per la sua straripante megalomania. Ha addirittura parlato di «nuova resistenza» per ottenere che le «tasse pagate da Napoli restino a Napoli». La sua rielezione a sindaco di Napoli rappresenta l’ennesimo cerino acceso gettato sulla benzina del malcontento. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Bufera sugli indignados Finanziamenti Diverse coincidenze indicherebbero che un flusso di denaro costante e cospicuo da parte di Caracas
sia finito nelle casse della fondazione spagnola Ceps di Pablo Iglesias, leader del partito Podemos Angela Nocioni La nascita di Podemos è stata finanziata con denaro del Venezuela chavista? L’ipotesi è stata più volte formulata dopo l’exploit del nuovo partito guidato da Pablo Iglesias in Spagna. Podemos ha sempre sdegnosamente liquidato la questione come fantasiosa. In realtà un legame diretto tra la sorpresa del panorama politico spagnolo e il governo chavista del Venezuela ci sarebbe. Anche senza voler tener conto della non rara presenza a Caracas di Pablo Iglesias, che di per sé non prova nulla. Si tratta di due professori di Valencia, Roberto Viciano e Rubén Martínez. I due spagnoli erano parte integrante della delegazione diplomatica informale venezuelana in tournée continentale nei primi anni Duemila, periodo di frenetica attività delle relazioni internazionali chaviste per costruire un cordone di alleati sicuri a protezione politica dell’allora presidente venezuelano Hugo Chavez. I due si presentavano come due consiglieri informali di Chavez per la politica europea. Roberto Viciano compare a sorpresa come presidente di una fondazione culturale dalla storia, il Centro di studi politici e sociali, il Ceps. Il luogo di costituzione del Ceps è Valencia. Secondo quanto risulta al giornale venezuelano «El Nacional», e gli interessati smentiscono, sarebbe stato il Ceps a fare da tramite tra il Venezuela e la Spagna per far piovere su Podemos milioni di petrodollari chavisti. Il giornale sostiene che dal 26 novembre del 2002, data di apertura di un ufficio a Caracas e della formale autorizzazione in favore di una cittadina spagnola a rappresentare l’istituto di fronte alle istituzioni locali, si sarebbe aperta un’autostrada per spostare quattrini a vario titolo dal-
le casse chaviste a quelle della fondazione. Nell’atto di nascita del Ceps c’è scritto che l’obiettivo dell’istituto è «l’aiuto ai Paesi in via di sviluppo, specialmente in America latina e in Africa». A seguire la rotta dei soldi ricostruita dall’inchiesta da «El Nacional» invece, si direbbe piuttosto che l’aiuto, copioso, è arrivato in senso inverso. Meta finale: la Spagna. Uno dei miracolati del Ceps pare essere proprio Pablo Iglesias, il capo attuale del partito di cui si dice semplice portavoce ma che in realtà guida con piglio da politico esperto (l’ultima sua decisione è stata l’alleanza con Izquierda unida, la sinistra radicale tradizionale, mossa astuta che sta creando non pochi problemi al Psoe, il partito socilista spagnolo). Pablo Iglesias viene chiamato a Caracas per impartire corsi per funzionari del Ministero degli interni e della giustizia già nel 2006. Non si capisce a quale titolo. Ben cinque giorni di corso, dal 5 al 9 giugno, per consigliare ai quadri chavisti libri di lettura critica del modello economico neoliberista. Corso di formazione legittimo, ma perché per impartirlo hanno fatto venire apposta a Caracas dalla Spagna un ragazzo qualsiasi senza nessuna autorevolezza in materia? In ogni caso, evidenza incontrovertibile di legami illeciti tra Podemos e Ceps non c’è. Nemmeno è possibile inchiodare Viciano all’ammissione che fa parte dell’organizzazione. Ciononostante abbondano le curiose coincidenze. Vediamone qualcuna. Per esempio c’è il premio Libertador al Pensamiento critico, premio in denaro dato dal Ministero della cultura venezuelano a insindacabile giudizio dei suoi esperti, che viene dato nel 2010 a Luis Alegre, ex membro del consiglio esecutivo di Podemos. Poi ci sono grosse somme che viaggiano. Tra il 2004 e il 2012 i
Pablo Iglesias, segretario del movimento politico Podemos. (AFP)
soldi arrivati direttamente dalle casse pubbliche venezuelane al Ceps sono 3 milioni e duecentomila dollari, trasferiti in 52 operazioni diverse. Nel 2014, dopo la stretta ai cordoni della cassa chavista, resa necessaria dalla crisi di liquidità sofferta dal Venezuela, il Ceps ha continuato a ricevere soldi e risulta essere una delle tre fondazioni culturali alle quali il Cencoex, il temibilissimo ente autorizzato tempo fa dallo Stato a distribuire dollari, ha accordato elargizioni di denaro. L’ultimo pagamento della Banca centrale venezuelana risalirebbe al Natale di due anni fa. È di 60.000 dollari. Questo risulta al quotidiano spagnolo «Abc» che ha dato notizia di un con-
tratto firmato tra il primo vicepresidente della Banca centrale venezuelana, Edomar Tovar, e il rappresentante legale della Fondazione Ceps, Sergio Pascal Peña. Il numero dell’operazione è: 009-2014. Nella pagina due del contratto c’è scritto che la conversione dei bolívares, moneta nazionale venezuelana, deve essere fatta al tasso preferenziale che si usa per l’importazione di alimenti e medicine. I servizi prestati dalla persona che risulta pagata in questo ultimo giro di soldi, Manuel Cerezal Callizo, sono di consulenza per l’analisi periodica della congiuntura economica nazionale ed internazionale. C’è un precedente, l’anno prima. Un contratto per una de-
voluzione di soldi della Banca centrale alla Ceps, sempre firmato da Edomar Tovar, per un ammontare di 20 mila euro. Il giornale spagnolo sostiene di aver avuto accesso a due contratti sottoscritti da Tovar e da Pascal Peña, nel 2013 e nel 2014. E poi rimane quel documentario di propaganda politica, un’agiografia di Chávez senza ombra di critica giornalistica, realizzato da Iglesias per la televisione iraniana HispanTv, con cui il governo venezuelano aveva legami intensissimi, uscito nell’agosto del 2013, dove compare a più riprese come intervistato principale Juan Carlos Monedero, braccio destro di Iglesias a Caracas.
L’indonesian dream di Jokowi Indonesia Il presidente sta cercando di proporre il Paese come alternativa ai luoghi di maggiore interesse turistico
del sud-est asiatico, come la Thailandia e soprattutto Bali. Puntando sul turismo del golf
Il Big Bang delle liberalizzazioni economiche. Così l’ha definito il presidente indonesiano Joko Widodo, che a fine maggio ha firmato un decreto per eliminare le restrizioni alle imprese straniere che vogliano occuparsi di turismo e intrattenimento in Indonesia. Su quei settori vigeva ancora il protezionismo di Giacarta, ed erano quasi del tutto chiusi agli investimenti stranieri. Il decreto Big Bang fa parte dell’avvicinamento dell’Indonesia al Trans Pacific Partnership (Tpp), l’accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti, l’Australia e
altri dieci Paesi che si affacciano sul Pacifico, e per il quale Giacarta ha mostrato interesse sin dal febbraio scorso. Ma l’apertura agli investimenti stranieri fa parte anche della grande strategia di Jokowi (così chiamano il proprio presidente gli indonesiani) per rivitalizzare la più grande economia del sud est asiatico. E a guardare i numeri, pare che l’Indonesia stia reagendo bene: secondo la Banca mondiale, Giacarta crescerà del 5,1 per cento nel 2016 grazie alle riforme di Jokowi. Il presidente, eletto nel 2014, con i suoi cinquantacinque anni è il più giovane capo di Stato della storia indonesiana e forse anche il più AFP
Giulia Pompili
riformatore. Ascolta il rock, è il cantore dell’«Indonesian dream», è un musulmano moderato ed è fuori dalle dinastie di politici e dalle lobby che finora hanno governato a Giacarta. È proprio con Jokowi che Giacarta ha lanciato la campagna «Wonderful Indonesia», un programma del Ministero del turismo che punta a raddoppiare il numero di visitatori entro i prossimi due anni. Nel 2015 poco meno di dieci milioni di persone hanno visitato l’arcipelago indonesiano, ed è ancora troppo poco per dare un segnale economico. Per la Thailandia il turismo rappresenta quasi il 9 per cento del Pil, ma il paragone è impossibile: quello dell’Indonesia è un problema di strutture ricettive e di accoglienza, ma anche di logistica: 257 milioni di cittadini sono distribuiti su più di diciassettemila isole, con un paio di fusi orari tra est e ovest. E poi c’è il problema religioso, che non è di poco conto: il governo (e la legge) in teoria protegge la libertà religiosa ponendo come principio fondamentale l’armonia, ma con l’eccezione di Bali – isola a maggioranza induista – in alcune aree, per strada, la legge islamica è molto presente. Gli attentati di Bali del 2002 e del 2005, e poi l’attacco a Giacarta del 2015, hanno reso l’arcipelago indonesiano meno attrattivo per il turismo. Eppure negli ultimi anni il governo ha tentato una nuova strada: è stata eli-
minata la tassa d’ingresso nel Paese per un periodo inferiore ai tre mesi, sono stati intensificati voli diretti dall’Europa, l’antiterrorismo ha occhi praticamente ovunque (a Bali le macchine vengono perquisite, una per una, all’ingresso dei centri turistici). L’altro colpo di genio, l’Amministrazione l’ha avuto puntando tutto sul turismo golfistico. Fare del golf l’offerta principale del mercato non è un’idea nuova in Asia. Il precedente è sempre thailandese: Bangkok è riuscita a fare del golf in Thailandia un tratto distintivo, unendo lo sport alla promozione del Paese in termini di cultura e di business. Del resto un gioco come il golf si adatta facilmente ai Paesi in rapida crescita: il target è medio-alto, adatto a una fascia di consumatori e appassionati (e mediamente ricchi) che vengono soprattutto da Giappone, Corea, Cina, Australia e Stati Uniti. Per un campo da golf con più percorsi è necessario lavorare molto sul territorio, impiegando il maggior numero possibile di manodopera locale. Nonostante i numerosi movimenti antigolfistici globali (per cui la costruzione di campi da golf equivale a uno sfruttamento innaturale dell’ecosistema e, nel caso della Thailandia, alla promozione del turismo sessuale per via delle caddy in abiti succinti), in Indonesia il golf come specchietto per turisti
sta funzionando. Un esempio. Bintan fa parte delle isole Riau, avamposto indonesiano sul Mar cinese meridionale. Da Singapore a Bintan ci vuole un’ora di traghetto e un documento d’identità, niente visto. Il sabato e la domenica i tre resort golfistici di Bintan sono al completo, tutto l’anno, ed è grazie ai cittadini cinesi che dalla città-stato vanno a giocare a golf in Indonesia. Del resto il Partito comunista di Pechino ha da poco sdoganato ufficialmente il golf, che era tradizionalmente considerato lo sport simbolo del capitalismo e quindi da evitare. A Bintan il sistema è così collaudato che chi arriva da Singapore per giocare a golf viene prelevato dagli addetti dei vari resort direttamente nel traghetto. Al resto ci pensa il Big Bang di Jokowi: più della metà dei resort golfistici in Indonesia sono in mani straniere. Americani e australiani, per lo più. E quelli che non hanno soci all’estero, iniziano a lanciare campagne promozionali online cercando di attrarre finanziamenti. «La diplomazia del golf», la chiamò una volta il primo ministro malesiano Najib Razak, quando fu beccato a giocare a golf con Barack Obama alle Hawaii mentre la Malesia veniva colpita da un’alluvione. Voleva dire: non sto solo giocando, è una cosa seria. Chissà che non sia veramente questa, la buca vincente di Giacarta.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Politica e Economia
Imposte delle società: riforma varata Politica fiscale Le Camere federali hanno approvato la revisione - Si è cercato di compensare le perdite dei cantoni
dovute alla soppressione dei privilegi fiscali, non compatibili con le regole OCSE e UE, ma ci sarà un referendum
Ignazio Bonoli Nella sessione appena terminata, le Camere federali sono riuscite a condurre in porto l’attesa riforma III della tassazione delle imprese. Il risultato della votazione finale è chiaro: 139 sì e 55 no in Consiglio Nazionale, 29 sì contro 10 no al Consiglio degli Stati. La sinistra ha comunque annunciato il lancio di un referendum, per cui le discussioni continueranno per qualche tempo ancora e sfoceranno in una votazione popolare. Lo scopo principale di questa riforma è - in risposta alle pesanti richieste dell’Unione Europea - di sopprimere i privilegi fiscali che alcuni cantoni svizzeri concedono alle società di sede e a certi tipi di società arrivate in Svizzera dall’estero. Questa breve elencazione mette subito in rilievo come uno dei principali ostacoli a una riforma di questo tipo sia la sovranità fiscale cantonale. Si tratta quindi di salvaguardare anche una certa attrattività fiscale per la Svizzera, già scossa dallo choc del franco e dalla votazione sull’immigrazione di massa. Il voto sull’annunciato referendum, probabilmente nel febbraio 2017, avrà quindi una grande importanza economica, ma anche politica. Infatti, saranno interessate in Svizzera 24’000 aziende con 150’000 posti di lavoro. Aziende sotto forma di holding, di società di domicilio e di società miste nei cantoni e di società principali o fi-
nanziarie presso la Confederazione, ripartite in vari rami produttivi, di varia grandezza e di vario tipo. Oggi l’aliquota fiscale, compresa l’imposta federale, varia tra l’8% e l’11%. In alcuni cantoni si è perfino scesi tra il 3% e il 7%. Sommata al fatto che in certi casi non si sono prelevate imposte sugli utili, questa situazione ha creato parecchio malumore nei Paesi europei e dell’OCSE. Si tratta ora di adottare regole unitarie, ma non di concedere altri privilegi fiscali, anzi di sopprimerne alcuni. Da tenere inoltre presente che oggi queste aziende forniscono alla Confederazione circa 4 miliardi di franchi di imposte, quasi la metà del gettito delle imposte sugli utili. Aggiunte le imposte cantonali e comunali e quelle dei dipendenti, si tratta di un gettito di 7–8 miliardi di franchi l’anno che potrebbe venire a mancare in buona parte. Infatti, senza privilegi fiscali alcune aziende potrebbero lasciare la Svizzera. Uno studio del Politecnico federale di Zurigo valuta queste perdite fiscali attorno ai 4 miliardi all’anno. Non solo, ma altre aziende potrebbero non più scegliere la sede in Svizzera. Con la riforma si è quindi cercato di rimediare a questa eventualità. Ne è nato un compromesso fra le varie esigenze con l’accento posto sulle minori entrate nei cantoni. Quattro misure concernono appunto la compensazione delle minori entrate dei cantoni:
Il ministro delle finanze Ueli Maurer porta a casa una riforma che appiana un’annosa divergenza con l’Unione Europea. (Keystone)
˚ I cantoni potranno ridurre l’onere fiscale sulla proprietà intellettuale (i brevetti) fino al 90%. Il sistema è largamente accettato e serve a migliorare l’attrattività dei cantoni. I dettagli saranno precisati nell’ordinanza d’applicazione; ˚ I cantoni potranno tener conto non solo del 100% di deducibilità delle spese
in Svizzera per la ricerca, ma del 150%. In realtà si tratta di un sussidio, ma anche questo metodo è ampiamente applicato a livello internazionale; ˚ Alle aziende può essere concesso di considerare un interesse calcolatorio sul capitale proprio «in eccesso». I cantoni possono applicare la regola qualora sot-
topongano almeno il 60% dei dividendi da grandi partecipazioni all’imposta normale. ˚ Infine, la partecipazione dei cantoni al gettito dell’imposta federale diretta salirà dall’attuale 17% al 21,2%. Già oggi si tratta di oltre un miliardo di franchi all’anno. Queste maggiori entrate potrebbero permettere ai cantoni di praticare una riduzione generale dell’onere fiscale. Si tratterebbe di un altro fattore di attrattività, senza il peso politico degli attuali privilegi per alcuni. Senza queste misure minime, ai cantoni sarebbe rimasta solo l’opzione di una generale riduzione delle imposte sulle società, oppure di una massiccia partenza delle società finora privilegiate. In ogni caso una perdita di entrate per i cantoni sembra inevitabile, ma si deve tener conto della necessità di mantenere in Svizzera società molto mobili sul piano internazionale, ma fiscalmente molto redditizie, sia direttamente, sia indirettamente, attraverso i posti di lavoro. E su questo terreno la concorrenza internazionale è molto agguerrita. Riassumendo, si può prevedere che le aziende finora privilegiate pagheranno le stesse imposte o poco più; quelle che saranno maggiormente colpite cercheranno una migliore sistemazione altrove e molte aziende finora non privilegiate pagheranno meno, poiché beneficeranno delle nuove misure e eventualmente di una generale riduzione del carico fiscale. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Perché avanza sempre meno della rendita AVS La consulenza della Banca Migros
Albert Steck Le rendite AVS segnano un ristagno e il motivo è da ricercare nell’inflazione negativa. Eppure i pensionati devono fare fronte a un costo della vita in continua ascesa. Soprattutto le spese sanitarie aumentano vertiginosamente.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Nel 2017 non si attende alcun aumento per l’AVS, la cui rendita massima rimarrà dunque ferma a 2350 franchi al mese. Ma i premi delle casse malati continuano ad aumentare anno dopo anno. Vent’anni fa il premio ordinario mensile nell’assicurazione di base era di 173 franchi. Nel frattempo è salito a 428 franchi, che rappresenta un incremento del 148 percento, mentre le rendite AVS sono aumentate appena del 21 percento (v. grafico). La modesta crescita delle rendite è dovuta all’indice nazionale dei prezzi al consumo (IPC), che dal 1996 è aumentato appena del 14 percento. E l’ammontare delle rendite è determinato per metà dall’IPC e per metà dall’andamento delle retribuzioni (il cosiddetto indice misto). Ma perché l’esplosione delle spese sanitarie non ha provocato un aumento del tasso d’inflazione? Prima di tutto i premi delle casse malati (che rientrano tra le cosiddette spese di trasferimento) non sono compresi nell’indice dei prezzi al consumo. Secondariamente, nel suo paniere di beni, l’IPC attribuisce alle spese sanitarie un peso unitario del 15,6 percento, che può essere giusto per un nucleo familiare medio.
Ristagno delle rendite ed esplosione delle spese sanitarie % %
Premio della cassa malati Spesa pro capite per la casa di cura Evoluzione delle retribuzioni Rendita AVS Indice dei prezzi al consumo
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Dal 1996 le rendite AVS sono aumentate del 21 percento. Contemporaneamente il premio ordinario della cassa malati nell’assicurazione di base è lievitato del 148 percento e la spesa pro capite per la casa di cura è salita dell’84 percento. (Dati: UST, UFSP, UFAS)
Ma chi guadagna poco deve spendere automaticamente di più per l’assicurazione malattie. E con il pensionamento non solo diminuisce il reddito, ma aumentano vertiginosamente le spese sanitarie. Un pensionato deve calcolare in media 9800 franchi l’anno. In caso di ricovero in una casa per anziani o di cura il salasso diventa ancora più pesante (le cifre dettagliate sono
pubblicate all’indirizzo www.blog. bancamigros.ch). Dall’analisi emerge che molti pensionati si ritrovano meno soldi in tasca se le rendite AVS ristagnano. Infatti l’aumento del costo della vita non è adeguatamente considerato nel calcolo della rendita. Nel frattempo il tasso d’inflazione è negativo al punto tale che in base
all’indice misto in vigore le rendite AVS dovrebbero addirittura scendere nel 2017. A meno che il Consiglio federale non decida di cambiare l’attuale modello di calcolo. A deporre a favore di un simile intervento sono tra l’altro le elevate spese sanitarie. Leggete blog.bancamigros.ch: Perché avanza sempre meno dalla rendita AVS. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Se le cose stanno così…! Siamo a metà anno e gli specialisti delle previsioni ci dicono che l’economia svizzera sta andando benino. A sentire poi i rappresentanti delle aziende esportatrici – orologeria esclusa – sembrerebbe che il futuro debba essere più che roseo. Allora i commentatori approfittano dell’occasione per ripetere – dopo averlo già scritto diverse volte ormai – che gli effetti negativi dell’abbandono della soglia minima per il cambio con l’euro sono stati superati. A guardarla da vicino, però questa ripresa di metà anno non è di fatto che un ritorno alle origini. Nell’autunno del 2015, infatti, le previsioni di crescita per il Pil reale del 2016 oscillavano già, per la maggioranza degli istituti di previsione, tra l’1.0 e l’1.4%. Oggi gli stessi istituti, dopo aver corretto verso il basso le loro previsioni alla fine del primo trimestre, sono tornati ai medesimi valori. Gli argomenti a
sostegno delle nuove previsioni sono gli stessi che si avanzavano nell’autunno scorso. A incrementare la crescita sono i consumi privati, nonostante il turismo degli acquisti. Occorre però aggiungere che, fin qui, le esportazioni hanno fatto meglio di quanto si prevedeva. Per i prossimi mesi gli specialisti delle previsioni si attendono una ripresa anche degli investimenti in capitale fisico delle aziende. Resteranno invece fiacchi sia gli investimenti nell’edilizia, sia i consumi pubblici. La disoccupazione a metà anno si fissa al 3.3% in Svizzera e al 3.4% in Ticino. Sono valori inferiori di qualche decimo a quanto si prevedeva in autunno. La temuta forte ripresa della disoccupazione non si è quindi manifestata per il momento. L’ottimismo per il prossimo futuro si basa sulla constatazione che le aziende esportatrici lavorano a pieno ritmo e che i loro carnet di
ordinazioni sono pieni. I rappresentanti di categoria notano però che i margini per queste aziende sono ridottissimi, ragione per cui non c’è per il momento ancora nessuna sicurezza sull’evoluzione a medio termine. In frangenti di questo tipo ci siamo già trovati a metà del 2015. Quando tutti si aspettavano una seconda metà dell’anno più che tranquilla è venuta invece una mezza recessione. La prudenza continua dunque ad essere di casa per quel che riguarda le previsioni congiunturali. Anche perché il tasso di crescita che l’economia svizzera potrebbe realizzare nel 2016 è uno dei più bassi in Europa. Siamo all’altezza della Grecia e della Finlandia, i fanalini di coda nella classifica europea. Per il 2017, si prevede di superare nuovamente la soglia del 2% e di ritrovare quindi quello che è stato il ritmo di sviluppo di lungo termine durante i primi 15 anni
di questo secolo. Insomma, il bicchiere è mezzo pieno. E per il Ticino? Per l’economia del nostro cantone sono tempi di vacche magre. Ma i suoi problemi, a parte il turismo degli acquisti, non sono congiunturali. Sono purtroppo di natura strutturale e richiedono di essere analizzati in una riflessione di medio e lungo termine. È quanto hanno cercato di fare tre personaggi che hanno le mani in pasta come Sergio Ermotti, Christian Vitta e Elia Frapolli in una tavola rotonda tenuta di recente a Lugano. Lo Stato, il settore bancario e il turismo sono stati al centro dei loro interventi. A leggere i commenti dei giornali le valutazioni dei tre esperti sono state piuttosto pessimiste. Per l’economia della Svizzera Ermotti la vede male. Vitta pensa che i cambiamenti – e qui parliamo di banche – erano inevitabili ma, nel realizzarli, si è corso troppo alla svelta. Abbiamo
poi questa Europa che ci condiziona in termini finanziari e normativi e il nostro Stato che continua a produrre nuove regole. Non era forse la sera per proporre scenari o per riflettere sulle alternative. Frapolli, operatore del turismo nostrano, ha comunque tentato di elencare soluzioni alternative come il turismo fuori-stagione e quello «non di vacanza» come dire che il futuro del turismo ticinese sarà il non-turismo. È certamente una proposta da valutare. Per realizzare la proposta di Frapolli ci potrebbe venir incontro l’Alptransit. Per il resto si son sentite solo raccomandazioni un po’ generiche come quella di non penalizzare il risparmio e di far maggior posto all’imprenditorialità. Infine è venuto anche un invito ai giovani a non aver paura ad emigrare. Sergio Endrigo avrebbe cantato: «Se le cose stanno così...!»
Il sistema che finora ha governato Torino nacque nel 1993 a casa di Gianni Vattimo, poi pentitissimo. L’architetto fu Enrico Salza, presidente della banca San Paolo, che d’intesa con il segretario del Pds Chiamparino mise in campo il rettore del Politecnico, Valentino
Castellani, contro la Lega e contro il veterocomunista Novelli. Il 20 giugno Castellani fu eletto sindaco. Ma alle politiche di nove mesi dopo, Chiamparino veniva umiliato nel sacro collegio di Mirafiori dal candidato di Forza Italia: il leggendario Alessandro Meluzzi, poi cossighiano, diniano, verde, mastelliano e ora primate di un ramo scissionista della chiesa ortodossa, con il nome di Alessandro I. Chiamparino ebbe la sua rivincita come sindaco delle Olimpiadi: le sue partite a scopone con Marchionne suggellarono l’intesa tra i poteri egemoni in città. Andò poi a presiedere la Compagnia di San Paolo, prima di lasciare il posto a Francesco Profumo, ex rettore del Politecnico. Non a caso la Appendino come prima cosa ne ha chiesto le dimissioni. È passata sotto silenzio la netta vittoria di Luigi de Magistris a Napoli. In realtà il risultato è clamoroso. Un uomo senza partito prende al ballottaggio i due terzi dei voti nella metropoli del Sud; neanche a Lauro, che un partito bene o male ce l’aveva, era riuscito tanto. E non vale dire che l’astensione è stata molto alta: se de Magistris non avesse avuto
un consenso vero, i napoletani si sarebbero mobilitati contro di lui. Per essere chiari, il personaggio non mi piace. Credo abbia fatto un uso spregiudicato del potere che il suo ruolo di magistrato gli conferiva. Non credo che i toni usati verso il governo facciano il bene della sua città. Ma questo non mi impedisce di vedere la realtà: il movimento politico che de Magistris fonderà può avere un grande futuro. Soprattutto se si caratterizzerà – ovviamente con un altro nome – come una sorta di Lega Sud. Non a caso il primo a congratularsi con lui è stato il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. I tempi per una Lega Sud sono maturi. Nel Mezzogiorno c’è un risentimento storico verso il Nord, che ha preso forme a volte un po’ folkloristiche come i neoborbonici – peraltro attivissimi sul web – ma ha un sostrato politico e culturale che non è affatto inventato o basato sul nulla. Non è pensabile che un terzo d’Italia sia tenuto ai margini dello sviluppo economico e turistico, consegnato alle mafie, condannato a tassi vergognosi di disoccupazione giovanile, senza che venga una reazione.
ha perso la sua centralità tolemaica: morte dei quotidiani, ripiegamento sulla periodicità ebdomadaria, quindicinale o addirittura mensile. A sinistra, si credette di poter recuperare lettori-elettori introducendo il concetto di «giornale d’area», ossia di un periodico che non fosse il semplice megafono del gruppo dirigente del momento: fu un’illusione, giacché non faceva i conti con le attese e le ambizioni dell’editore (partito o sindacato). Ora lo smarrimento è totale. Gli stampati che attualmente escono dalle redazioni liberali, democristiane, socialiste e centriste non riescono a forare la nicchia in cui nascono. La loro platea è limitata agli addetti ai lavori, ossia deputati e cronisti parlamentari. Anzi, si osserva con una smorfia di disappunto: nemmeno tutti gli iscritti comprano e leggono il loro giornale di riferimento. Che fare, allora? Varare nuove iniziative editoriali nel campo della stampa
promette solo voragini finanziarie. Puntare sulla rete e sui media sociali? Si è già fatto, ma i risultati non sono incoraggianti. Questo canale funziona per l’informazione-spettacolo, per lo sfogo, per gli umori di giornata, ma non per il dibattito pacato e riflessivo, che tende a costruire, a mettere pazientemente un mattone sopra l’altro. Si tratta di uno strumento sicuramente efficace per manifestare emozioni contingenti, ma non per avviare una discussione seria e approfondita con persone di cui si apprezza l’autorevolezza. Forse il modo migliore per riallacciare le relazioni con un elettorato sempre più mobile e volubile rimane quello del contatto personale, la vecchia formula dell’incontro, dell’assemblea, della bancarella nelle piazze, nei mercati, nei quartieri. Meno virtualità, meno immaterialità, e più incontri con cittadini in carne ed ossa. Come dire: vedere le facce, guardarsi negli occhi e... ascoltare.
In&outlet di Aldo Cazzullo Il vero vincitore è il cambiamento La ripresa non è solida, le sofferenze sociali crescono: non c’è da stupirsi se gli italiani scelgono il cambiamento. Così la sinistra perde Torino, dove aveva sempre vinto, e perde in Liguria e in Toscana; per poi vincere a Varese e a Latina, roccaforti della destra. La continuità prevale solo a Milano: non a caso, l’unica città italiana che «sta bene», che pur nel disagio sociale delle periferie dimostra dinamismo e attrae investimenti. Ma non c’è dubbio che il vincitore delle amministrative 2016 sia Beppe Grillo. Anche perché ha saputo restare dietro le quinte. Il movimento non solo è sopravvissuto al passo di lato del portavoce e alla morte del fondatore (Gianroberto Casaleggio), ma è più forte se ha il volto giovane e fresco di sconosciuti, meglio se donne. Non personalità carismatiche, da amare e odiare; specchi in cui l’elettore comune ha potuto riconoscere sé stesso e la propria domanda di cambiamento. Il risultato di Roma è nettissimo e rappresenta una notizia non solo italiana. Ma è importante anche il risultato di Torino; anche se non inspiegabile. La Torino di oggi non è più
quella delle Olimpiadi. Si è un po’ fermata. La crisi sociale morde, come ha riconosciuto lo stesso Fassino. E questo rende i torinesi diffidenti verso l’ottimismo professato da Renzi, che il sindaco ha preferito non coinvolgere nella campagna elettorale. Invano.
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Giornali e partiti: più dolori che gioie L’argomento «comunicazione» ha sempre agitato il sonno dei partiti politici. Di solito, quando i consensi calano, si dice che «il messaggio non è passato», che le idee erano valide ma non i mezzi dispiegati per farle conoscere. Eppure non è mai esistito, in passato, un ventaglio così ampio e articolato di strumenti comunicativi, pubblici e privati, dal giornale alla radio, dalla televisione alla «grande rete» che tutto avvolge con la sua tela invisibile: una batteria tanto ricca di trame e di rimandi che ha proiettato il pubblico nell’era dell’«iper-informazione», un flusso incessante e diuturno di news, immagini, interviste, commenti. «Continuità» è il precetto magico adottato dalle nuove fabbriche di notizie che non conoscono soste sulle ventiquattro ore. Le schermate dei siti online rendono bene questa nuova frontiera, questa alternanza tra fatti clamorosi e curiosità, pettegolezzi e bizzarrie mirabolanti. Come detto, la comunicazione è da
sempre un chiodo fisso per gli attori che operano nell’arena della politica. Recentemente abbiamo letto che il Partito liberale-radicale ticinese vorrebbe rivedere alla radice la sua strategia informativa. L’intenzione è quella di contrastare la Lega dei ticinesi sul suo stesso terreno, quello del giornale gratuito. Si tratterebbe quindi di abbandonare la strada fin qui seguita, quella dell’«organo di partito», per gettarsi in un’impresa alla garibaldina, tutta giocata su un giornalismo d’attacco, meno ingessato, un po’ guerrigliero. Mica facile un’iniziativa del genere nel contesto attuale, dove l’anello più debole dell’intera catena del sistema politico è dato proprio dalla stampa. Di tutte le crisi di cui oggi si ragiona (crisi della politica, crisi dei partiti, crisi dell’informazione di partito), la sfera più fragile ed instabile è proprio quest’ultima. Una comunità non può vivere senza la politica; non può vivere senza i partiti (o comun-
que senza movimenti organizzati); ma può probabilmente vivere senza le testate di partito. D’altronde basta osservare la parabola delle gazzette che hanno dato voce a tutte le principali famiglie partitiche lungo l’intero secolo ventesimo, e alcune anche prima. Fino agli anni 90 del Novecento, periodo in cui inizia la dolorosa decadenza degli «organi ufficiali» (alcuni chiudono, altri si trasformano in settimanali), non c’è formazione o gruppo frutto di una scissione che non fondi un suo foglio: una testata-manifesto da cui trarre la «linea» (abitualmente dettata da un direttore-granconsigliere) e le indicazioni di voto. Giornale e partito camminavano assieme, l’uno non poteva fare a meno dell’altro. Il primo passo da compiere, avviando un’azione politica, consisteva nell’innalzare una bandiera di carta, senza la quale si rimaneva afoni. Con l’emergere e il progressivo affermarsi del voto d’opinione su quello d’appartenenza, la coppia giornale-partito
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Cultura e Spettacoli La ricerca di Disler L’artista svizzero Martin Disler in mostra alla Galleria Buchmann pagina 33
La parola allo Strega Mancano pochi giorni al fatidico 8 luglio, data in cui verrà rivelato il vincitore del 2016 dell’ambìto Premio letterario
Il fascino di Kathia Kathia Buniatishvili non è solo conturbante, come dimostra sui palchi di tutto il mondo
I due punti di Ammons Il poeta statunitense A.R. Ammons e il rapporto con la punteggiatura
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Jheronimus Bosch, l’enigmatico visionario Mostre Al Prado di Madrid la grande
esposizione del V centenario
Gianluigi Bellei Sono trascorsi 500 anni dalla morte di Jheronimus Bosch. Le celebrazioni sono iniziate questa primavera al Noordbrabants Museum della sua città natale ’s-Hertogenbosch dalla quale l’artista prende il nome; perché in realtà si chiamava Jheronimus van Aken. Una mostra eclatante preceduta da anni di studio per cercare di mettere a fuoco la personalità e l’opera di questo artista visionario e complesso. Alla fine il Bosch Research and Conservation Project ha decretato che sono 24 i dipinti ascrivibili all’artista. Tre eccellenti sono stati espulsi e, guarda caso, sono tutti del Museo del Prado che detiene la più grande raccolta di opere di Bosch, compreso il capolavoro Il giardino delle delizie, che non ha prestato al Noordbrabants Museum. Si tratta dei Sette peccati capitali, dell’Estrazione della Pietra della follia e delle Tentazioni di Sant’Antonio. Quello che è certo è che l’artista ha firmato solo pochi dipinti delle settanta opere finora attribuitegli. Anche se bisogna precisare che seguaci, copisti e imitatori si sono succeduti negli anni e hanno firmato con il suo nome diversi dipinti; in alcuni casi opere di bottega realizzate con il suo consenso. Tutto questo nella quasi assenza di documenti che lo riguardano. Insomma Bosch è, e resta, un enigma soprattutto per le sue bizzarrie. C’è chi ha parlato di folclore, di esoterismo, di appartenenza a sette religiose o di uso di droghe allucinogene. Ma forse il significato dei suoi mostri e delle sue follie è più semplice. Bosch è un uomo del suo tempo. E al Nord, nel Brabante, l’attuale Olanda, nel 1500 è ancora Medioevo. Le cattedrali con i loro doccioni e timpani sono piene di esseri orribili, mutevoli e demoniaci, come i capitelli con mostri che divorano gli uomini. Rodolfo il Glabro nell’XI secolo nelle sue Cronache racconta di un omiciattolo con gli occhi nerissimi, «la fronte increspata da rughe, il naso schiacciato… le orecchie irsute e a punta, la dentatura canina…». I libri sono pieni di unicorni, draghi, cinocefali, blemmi, sciapodi, monocoli, come illustra il Maestro di Boucicaut nel suo Livre de Merveilles. I dipinti rappresentano scene indicibili come nel Massacro dei vandali del 1474 del Maestro della Leggenda di Sant’Orsola o orripilanti come nel Trionfo della morte di Clusone
del 1485 o in quello di Palazzo Abatellis a Palermo degli stessi anni. Alart du Hameel nel bulino El Juicio Final del 1490 rappresenta anche lui dei demoni ibridi. Tutte le bruttezze diaboliche sono infine descritte da Teofilo Folengo nel 1517 nel suo Baldus. Lutero nei Discorsi a tavola spiega che spesso scaccia il diavolo con una scoreggia oppure, quando viene da lui e disputa, gli dice «Leccami il culo…». Nel 1500 in Olanda viene tradotto il poema Der zotten ende der narren scip, ovvero Gli stolti e la nave dei folli di Sebastian Brant nel quale una nave veleggia senza guida verso l’inferno, allegoria della vita peccaminosa. Bosch racconta così il bene e il male, fino alla redenzione. Con spirito cristiano; proprio all’inizio della Riforma. Non a caso è membro giurato della Confraternita di Nostra Signora, dal 1487 fino alla morte. La Confraternita, che si occupa agli inizi del culto della Madonna e poi di opere di beneficenza, ha come simbolo un cigno bianco. Nel loro Libro dei conti si legge che Bosch ne ha ospitato a casa sua in diverse occasioni i membri più illustri, sempre offrendo come pasto appunto un cigno. Incerta la sua partecipazione ai Fratelli della vita comune o alla setta eretica degli Homines Intelligentiae. Mentre sembra sicura un’influenza del movimento della Devozione moderna vicina ai Fratelli della vita comune che predica la meditazione e una lettura personale della Bibbia. In quegli anni il tipografo di ’s-Hertogenbosch, Laurens Hayen, pubblica diverse opere della Devozione moderna come per esempio nel 1514 Een devoet ende suverlyck boexken ende is ghenoemt: den boem des levens des ghecruysten jesu, ovvero: Un libretto devoto e puro chiamato l’albero della vita di Gesù crocifisso di Gerardus Zerbolt de Zutphiana. Certo è invece che dopo il matrimonio, tenutosi più o meno nel 1478, con Aleid van de Meervenne, figlia di un nobile benestante, Bosch fa la scalata sociale nel bel mondo di ’s-Hertogenbosch, città dalla quale non si è mai spostato. Questo spiega anche perché i suoi committenti facessero parte della nobiltà fiamminga oltreché spagnola, come dimostra il trittico del Giardino delle delizie commissionato da Engelbrecht II di Nassau. E sono proprio gli spagnoli che detengono il maggior numero di dipinti dell’artista, proprio perché raccolti da Filippo II per
Bosch, Trittico del giardino delle delizie. (particolare, 1490-1500, Madrid, Museo Nacional del Prado. Depósito de Patrimonio Nacional)
destinarli al monastero dell’Escorial. Nonostante la maggior parte delle opere non siano firmate e corredate da documenti certi, il suo lavoro si può dividere in tre periodi. Quello giovanile, con dipinti di tradizione fiamminga come L’Adorazione dei Magi del Metropolitan Museum of Art di New York del 1475, con il suo minuzioso realismo. Quello della maturità iniziato nel 1504 con il documento che registra il pagamento da parte di Filippo IV a favore di Bosch per un Giudizio Universale. Sono gli anni dei Trittici brulicanti di figure – animali e vegetali – ipertrofiche; di supplizi di dannati e di demoni. Tipico è il Trittico del Giardino delle delizie del Prado. L’ultimo periodo riguarda il cosiddetto ritorno all’ordine nel quale l’artista riprende i temi della gioventù con un’accuratezza formale e cromatica che si era persa precedentemente. Splendido l’Andata al Calvario di Vienna del 1505-16. Il Museo Nazionale del Prado di Madrid dedica all’artista un’imperdibile mostra con opere di prim’ordine suddivise in sette sezioni. Si inizia con «Bosch a ’s-Hertogenbosch» con la sua piazza del mercato e i suoi artisti. Si prosegue con
«L’infanzia e la vita pubblica di Cristo» con opere come L’adorazione dei Magi; «I santi» – l’artista prediligeva Gerolamo, ovviamente, e Antonio che era anche il nome del padre – con le Tentazioni di Sant’Antonio nelle versioni di Lisbona, del Prado e di Kansas City; «Il Paradiso e l’Inferno» con il Trittico del carro del fieno; «Il Giardino delle delizie» con il relativo trittico, la sua radiografia, che mostra la precisione dei contorni delle figure, e la riflettografia agli infrarossi, che svela i dubbi e i pentimenti come nelle figure di Adamo ed Eva e nella testa di Dio; si prosegue con «Peccati capitali e opere profane», per finire con «La passione di Cristo». Una cinquantina di opere, non solo ovviamente di Bosch, per un percorso entusiasmante. Cominciando dal Trittico del Giardino delle delizie che chiuso rappresenta il mondo il terzo giorno della creazione e aperto, da sinistra, il giardino dell’Eden con gli animali più o meno fantastici e Dio che presenta Eva ad Adamo; il pannello centrale ci riporta sulla terra con la carnalità del piacere e, a destra, le sue conseguenze: l’inferno. Per finire citiamo L’incoronazione di spine della National Gallery di Londra
con la sua impostazione classica realizzata mediante quattro figure che contornano il Cristo biancovestito. Poi concerti, film, conferenze, documentari, videoinstallazioni. (Consigliamo prima di partire per Madrid, oltre ovviamente a visitare il sito del museo, alcuni documenti interattivi pubblicati da El Pais: http://elpais.com/ especiales/2016/el-bosco/la-obra.html). Ottimo l’allestimento, come pure l’illuminazione. Come corollario si può fare una capatina al Real Monasterio de San Lorenzo de El Escorial che propone quattro arazzi realizzati a Bruxelles fra il 1550 e il 1570 con filo d’oro e seta sul modello di altrettanti dipinti di Bosch. Dove e quando
El Bosco. La exposición del V centenario. A cura di Pilar Silva. Madrid, Museo Nacional del Prado. Edificio Jerónimos. Sala A e B. Fino all’11 settembre. Lu-sa 10.00-20.00; do festivi 10.00-19.00. Catalogo, in castigliano o inglese, euro 33,25. www.museodelprado.es
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Cultura e Spettacoli
Oltre l’inquietudine Mostre Alla Buchmann Galerie le opere dell’artista svizzero Martin Disler Alessia Brughera In contemporanea con la grande mostra monografica con cui la Kunsthalle di Bielefeld ricorda la figura di Martin Disler a vent’anni dalla sua scomparsa, nel nostro cantone la Buchmann Galerie di Agra e di Lugano omaggia l’artista svizzero con una preziosa rassegna che raduna alcune delle opere più significative della sua prolifica, seppur breve, carriera. Pittore, scultore e anche scrittore, Disler difatti morì non ancora cinquantenne, a causa di un infarto. Nacque nel 1949 a Seewen, nel Canton Soletta, e visse spostandosi di continuo, alla ricerca non di una meta precisa, bensì di uno stato di isolamento, fisico e mentale, che per lui era condizione essenziale per dare spinta alla sua creatività. Tra New York, Zurigo, Amsterdam, Les Planchettes e il Giura neocastellano, trascorse anche un periodo a Lugano. Proprio qui, nel suo atelier in via Besso, eseguì uno dei lavori esposti nella mostra di Agra, l’acrilico Ohne Titel datato 1987 che accoglie sulla superficie della tela tutta la carica istintiva e dirompente della sua arte.
Martin Disler sperava di trovare un luogo che gli garantisse l’isolamento esistenziale di cui aveva bisogno Quella di Disler fu una formazione autonoma che si misurò fin dagli esordi con una pluralità di linguaggi – il disegno, la stampa, la pittura, la scultura – e che si avvalse degli stimoli scaturiti dall’incontro con diversi orienta-
menti, di cui sempre l’artista seppe estrapolare gli aspetti più innovativi rielaborandoli poi in maniera soggettiva. Scelse di avvicinarsi alle tendenze neo-espressioniste perché meglio rispecchiavano quel suo sentire inquieto che trovava sfogo nel gesto aggressivo e impetuoso, a rimarcare un bisogno profondo di libertà e un desiderio di riavvicinare lo spirito alla spontaneità primitiva. Disler non ci mise molto a farsi strada: la sua prima mostra personale alla Kunsthalle di Basilea risale al 1980, anno in cui partecipò anche alla XVI Triennale di Milano e venne invitato da Harald Szeemann a esporre alla Biennale di Venezia. Due anni dopo fu la volta di documenta 7, a Kassel, e, nel 1984, di una rassegna collettiva presso il Museum of Modern Art di New York, che conferì alla sua arte una rilevanza internazionale. Nelle opere presenti ad Agra emergono con chiara evidenza le tematiche predilette dall’artista: la vita e la morte sono estasi e tormento, consolazione e angoscia, espresse da una parte attraverso un genuino ritorno alle forme archetipiche, quasi a voler risalire alle radici dell’umanità per attuare una sorta di redenzione dell’anima, dall’altra attraverso un segno convulso che deteriora l’immagine e la consuma nel furtivo trattamento della materia. Disler cerca così di trascendere le proprie tensioni emotive. Lui, affascinato dalla riscoperta di una dimensione primigenia in cui il selvaggio non è barbarie ma puro istinto, crea opere pittoriche e scultoree che emanano la tragica consapevolezza di qualcosa che si è smarrito e che deve essere recuperato, qualcosa che è lontano dalla violenta modernità e che si può ritrovare solo nel mistero arcaico della vita. Ohne Titel, del 1979, è rappresenta-
Di Martin Disler, Ohne Titel, 1986.
tivo in questo senso: un lavoro su carta di grande formato pervaso da un’energia vivifica sorprendente, in cui le coordinate spaziali si perdono nel groviglio delle pennellate frementi. L’atmosfera è frenetica, agitata, con quella sagoma di un rosso ardente che incombe dall’alto appena abbozzata. L’arte di Disler è sensualità aggressiva, è turbamento, ma è anche celebrazione di un impulso primordiale che preserva il seme dell’esistenza e che nasce dalla dialettica tra carnalità e spiritualità, tra pulsione di vita e pulsione di morte. Interessanti anche le due opere su vetro realizzate dall’artista negli anni Novanta a Monaco di Baviera (esposte per la prima volta), in cui membra stilizzate e corpi nudi e deformati appaiono ora sospesi in un vuoto desolante ora immersi in scenari angusti, sfigurati nell’alternanza di colori freddi e
tocchi di tonalità calde o accennati nel contrasto tra bianchi e neri. Quei volti e quei corpi irrequieti che popolano i dipinti sembrano acquistare tridimensionalità nelle sculture in terracotta, pure presenti nella mostra di Agra, in cui forte è il richiamo alla statuaria delle antiche civiltà. In questi lavori prendono forma teste di varie proporzioni plasmate nella materia o incise sulla superficie, a rievocare un lontano passato fatto di riti ancestrali in cui l’uomo sapeva diventare tutt’uno con le forze del creato. Anche la tela esposta nello spazio luganese della galleria, un trittico appartenente alla seconda metà degli anni Ottanta, è un tentativo dell’artista di estirpare le inibizioni che trattengono l’individuo contemporaneo: qui lo fa attraverso la reiterazione di volti deturpati da violenti colpi di pennello, a
esternare quella condizione di disagio interiore che non ha mai ceduto però all’impotenza. «Al fondo di quel delirio e di quella lotta», scriveva il critico Giovanni Testori, «Disler ha rintracciato anche per noi i termini di un ordine arcano e misterioso; quell’ordine che sopravvive alle frantumazioni e al caos; quell’ordine che, proprio tramite i segni e i colori, compie su di sé la prova estrema e sacrificale della sua inevitabilità». Dove e quando
Martin Disler. Buchmann Galerie, Agra e Lugano. Fino a metà luglio 2016. Buchmann Galerie di Agra: aperta su appuntamento; Buchmann Lugano: da ma a ve 13.00-18.00, sa 13.00-17.00. www.buchmanngalerie.com
Le fondazione delle olimpiadi antiche tra mito e storia Olimpia rivive a Rio Seconda parte. Un breve sguardo alle discipline sportive degli antichi Elio Marinoni La fase più antica e per così dire preistorica delle olimpiadi è legata alle due figure mitiche di Pelope, l’eroe eponimo del Peloponneso (che significa appunto «isola di Pelope»), e di Eracle, il semidio amico dell’umanità che simboleggia l’eticità della fatica e quindi anche dello sforzo fisico agonistico. Ciascuno dei due è presentato come il fondatore dei giochi olimpici da due diverse tradizioni, la prima di origine micenea, la seconda, più recente, di origine dorica (i Dori avrebbero invaso il Peloponneso intorno al 1200 a.C. subentrando alla dominazione dei Micenei. Il corrispettivo mitico dell’invasione dorica è il cosiddetto «ritorno degli Eraclidi», cioè dei discen-
denti di Eracle). Entrambe le tradizioni sono elaborate in alcuni componimenti di Pindaro (ca. 520-438 a.C.), a cui si deve anche un tentativo di conciliazione delle due diverse leggende. Ecco come il poeta corale elabora la tradizione micenea (di cui è traccia anche in Iliade XI, 698-701): «quando nel rigoglio del corpo / gli coprì una nera lanugine il volto, [Pelope] pensò a pubbliche nozze, a vincere / al padre […] la figlia Ippodamia. / Venuto al bordo del grigio mare, solo nell’ombra / chiamava il dio del tridente / dal cupo rombo; e quello / prossimo ai piedi gli apparve. / Gli disse: “Se gli amorosi doni di Cipria / sono fonte di gioia per te, o Poseidone, / irretisci la bronzea lancia di Enomao, / e me sul più rapido carro guida / nell’Eli-
Coppa raffigurante un atleta, 500 /490 a.c., ceramica attica. (da Gli atleti di Zeus, Silvana Editoriale)
de, e accostami alla vittoria. / Perché tredici eroi pretendenti / uccise e rimanda le nozze / della figlia. Il grande rischio / respinge un uomo codardo. / Destinati alla morte, a che nel buio / inerti smaltire invano una vecchiaia / senza nome, lontani dalla gloria? / Ora io a questa lotta / andrò; tu, dà amico l’evento”. / Disse – ed a parole efficaci /ricorse. Onorandolo, il dio / gli diede un cocchio d’oro e corsieri / instancabili d’ali. / Vinse la forza di Enomao e prese la vergine a nozze; / generò sei figli, principi ansiosi di gloria. / Ora ad offerte di sangue / festive partecipa / steso al letto dell’Alfeo / e la tomba è meta di molti /all’altare ospitale, e di lontano brilla / nelle corse delle Olimpiadi la gloria / di Pelope. Là sono in lotta prontezza / di piedi e tensione orgogliosa di sforzi: / per la vita avvenire chi vince ha / deliziosa serenità / dalle gare». (PINDARO, Olimpica I, 67-99, trad. di Luigi Lehnus). Quello di Pelope, Enomao e Ippodamia è un tipico racconto folklorico. In esso sono facilmente riconoscibili i personaggi-tipo e alcune delle «funzioni» individuate dallo studioso russo Vladimir Propp (Morfologia della fiaba, trad. it., Einaudi, Torino 1966) nella struttura della fiaba. Personaggi-tipo sono l’eroe (Pelope), l’antagonista (Enomao), il donatore (Poseidon), che dona all’eroe il mezzo magico grazie al quale supererà la prova impostagli dall’antagonista (nel nostro caso, i cavalli alati). Le fun-
zioni riscontrabili sono: fornitura del mezzo magico, prova da superare, lotta, vittoria, punizione (dell’antagonista: in questo caso, Enomao si uccide), nozze (l’eroe sposa la figlia dell’antagonista e sale al trono). La tradizione dorica e il tentativo di conciliazione delle due saghe compaiono invece nell’Olimpica X, secondo cui i giochi sarebbero stati fondati da Eracle nell’ambito del culto funebre dell’eroe Pelope: «Un volere divino mi spinge a cantare l’eletto agone / di Zeus: sei giochi che presso la tomba antica / di Pelope fondò […] Eracle […] / Allora il forte figlio di Zeus […] / […] tracciò per il padre eccelso uno spazio sacro / e segnò d’un recinto l’Altis sul terreno / sgombro, e la piana all’intorno / destinò al sollievo di conviti, / onorando il corso dell’Alfeo / tra i dodici dei sovrani; […] e la festa quadriennale / fondò con la prima olimpiade / e i premi di vittoria». (PINDARO, Olimpica X, 24-59, trad. di Luigi Lehnus) Pindaro attribuisce qui alla prima olimpiade, fondata da Eracle, una struttura complessa, con la presenza di sei gare, mentre, come vedremo più avanti, secondo la tradizione prevalente la prima olimpiade ufficialmente registrata (776 a.C.) comprendeva una sola specialità e solo a partire dalla quattordicesima altre furono progressivamente aggiunte. Tuttavia già i giochi funebri in onore di Patroclo descritti nel libro XXIII dell’Iliade comprendono ben otto specialità:
corsa dei carri trainati da cavalli, pugilato, lotta, corsa, lancio del disco, tiro con l’arco, combattimento con armi pesanti, giavellotto; e in cinque gare (corsa, lotta, salto in lungo, disco, pugilato) si articolano quelli organizzati dai Feaci in Odissea VIII, 100 ss. Ora, con i poemi omerici (redatti per iscritto nell’VIII secolo a.C. sulla base di una lunga e multiforme tradizione orale) il problema è di sapere in che misura le pratiche descritte (in questo caso, le competizioni sportive) riflettano le usanze della fase terminale dell’età micenea, in cui si svolse la guerra di Troia (poco prima del 1200 a.C.), piuttosto che quelle dell’età di Omero stesso. La risposta non può essere univoca, ma nel caso delle pratiche agonistiche ci viene in aiuto l’archeologia: tra i doni votivi del periodo protogeometrico (secoli XI-X) e geometrico (secoli IX e inizio VIII) rinvenuti a Olimpia sono frequenti i bronzetti raffiguranti cavalli, carri con aurighi e tripodi in bronzo, come quello che secondo Iliade XI, 698701 era in palio nella corsa a cui aveva partecipato Pelope. Ebbene, questo tipo di doni scompare dopo il 776 a.C.! Dunque, le tradizioni mitiche, i poemi omerici e i ritrovamenti archeologici testimoniano di una fase «preistorica» delle olimpiadi, da collocarsi alla fine del periodo miceneo, in quello submiceneo e nel cosiddetto medioevo ellenico, in cui è già presente una struttura complessa con più specialità e in particolare con la corsa dei carri.
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Cultura e Spettacoli
I cinque dello Strega Premi letterari Fra i cinque finalisti
del prestigioso premio troppo poca fiction
Mariarosa Mancuso
Leo Pusterla, in arte Terry Blue, autore dell’album The Burning Trees.
Note nuove per un’estate mai banale Musica Sono usciti recentemente i lavori più recenti di Gaben,
Barachetti / Ruggeri e Terry Blue
Zeno Gabaglio Si accomodi, chi è stufo e arcistufo delle solite canzoni dell’estate. Ritmi danzerecci e ammiccanti? Ritornelli più orecchiabili di un Q-tips? Testi avvilentemente insulsi ma tanto, tanto happy? Solarità così ridente e così latina da far resuscitare Catullo, Tacito e Terenzio? Lasciamoli per un momento da parte, e proviamo a immaginare un suono che attraversi la calda stagione senza trascinare con sé covoni di gioia coatta, di banalità a buon mercato e di pensieri uniformati costantemente al ribasso. Da un simile sforzo immaginativo – improbo e in totale controtendenza – emergono in questo giugno 2016 tre significative novità discografiche. Per provare a riconciliarci con noi stessi, malgrado le alte temperature dentro e fuori. Gaben – Vado
«Sono destabilizzato, ho fatto un casino. Ho mentito per fare prima, non sono laureato, mi piace fumare. Se vuoi lavorare, ti è andata male». Se l’estate è la stagione dell’illusione, delle immagini patinate in cui tutto appare come nella realtà non è (soprattutto la serenità dell’essere umano), il nuovo disco di Gaben può offrirsi come il giusto antidoto. Perché, si sa, il malessere si cura con il veleno, mica con i pensieri gentili. Gaben, di suo, non è velenoso né per scelta né per vocazione, semplicemente racconta la realtà per quello che è, con tutti i contrasti e le imperfezioni di cui troppo spesso
ci vorremmo dimenticare. E lo fa nel modo più diretto e scarno possibile: la voce incolta e istintiva, saturazioni e distorsioni a graffiare quasi tutti gli elementi sonori, riff punk e ritmiche minimal-electro a segnare l’ultima possibile frontiera di tutto ciò che è stato definito «post-». Musicista e artista visivo – già produttore del Sheepwolf di Violante Placido nonché bassista di Mauro Ermanno Giovanardi – Gaben conosce a fondo il cantautorato e se lo porta addosso senza però scendere a compromessi. In lui la parola cantata, ma anche urlata, diventa voce soggettiva e sofferta delle esistenze precarie. Quelle esistenze oggi drammaticamente oggettive. Barachetti / Ruggeri – White Out
Un capolavoro, forse non per tutti i palati, ma questo disco è indubbiamente un capolavoro. Certo, il concetto è abusatissimo, ma nel caso di White Out non appare né vano né vuoto per un motivo sorprendentemente semplice: la matericità del suono. È un disco sì di canzoni – canzoni strane, cantilenate, a tratti ossessive, a tratti oniriche – ma quello che le rende uniche è il modo in cui tutti i suoni sono stati concepiti, curati e ordinati. Come fosse un quadro: con la materia artistica perfettamente preparata, stesa sulla tela in grumi densi o in fasce eteree, a tracciare percorsi percettivi che prima di tutto sono dei viaggi sensoriali. Ci si potrebbe ovviamente perdere il cervello, a voler cogliere e analizzare le singole sfumature dei testi o gli artifici
tecnici dietro i suoni, ma non è necessario. Perché l’unico obiettivo che l’arte musicale deve riuscire a realizzare – cioè il comunicarsi attraverso il flusso della materia sonora – qui succede con la più disarmante semplicità. Terry Blue – The Burning Trees
Alla seconda prova discografica, il cantautore ticinese Terry Blue mette innanzitutto in luce il dato più importante per un giovane lanciato nell’universo contraddittorio della creazione musicale: l’aver fatto un – e forse anche più di uno – passo avanti. E non è che si partisse da una tale retroguardia per cui procedere era inevitabile, anzi: Terry Blue ha saputo conservare la freschezza e la spontaneità del debutto Six Ruins, One Less Hope spostandosi però in un contesto di maggiore cura dei dettagli strumentali, formali e testuali. L’impianto del disco è prettamente cantautorale, nel senso acustico e dylaniano del termine. E gli unici limiti della produzione sono forse proprio lì, in un’aderenza fin troppo esplicita di certi pezzi al modello Bob Dylan, come la vocalità cantilenante al confine dello spoken word in Flor de Mayo o in Sleep Deprivation. Quando invece Terry Blue si abbandona più liberamente alla melodia è davvero un gran bel sentire, con l’ulteriore piacere del sorprendersi in quegli arrangiamenti originali e assai poco scontati – Meet me in the dark, ascolto obbligatorio – che lasciano presagire un fertile percorso anche oltre i dettami del songwriting nudo e crudo.
La «cosa divertente che non farò mai più» (copyright David Foster Wallace, che per amor di cronaca era stato una settimana su una nave da crociera tipo Costa Concordia) si chiama per noi Premio Strega. Anni, anzi decenni, a leggere le cronache – più o meno tutte uguali – e finalmente nel 2014 sbarcammo al Ninfeo di Villa Giulia. Dopo che il tassista aveva chiesto «dove?», noi avevamo ripetuto l’indirizzo – con l’aria di sufficienza inevitabile in questi casi, «ma come, non c’è tutta Roma, lì ad aspettare il vincitore?» – noi avevamo ripetuto l’indirizzo e il tassista s’era finalmente messo tranquillo: «lo doveva dire subito che andava al Museo Etrusco». (Tanto per chiarire subito che facciamo parte di un gruppuscolo, e il «tutti ne parlano» significa: «ne parlano tutti quelli che frequenti tu»). Dentro, il Ninfeo di Villa Giulia era esattamente come ce lo avevano raccontato. La ghiaietta che faceva sprofondare i tacchi alti e faceva inciampare le signore fedeli alle ballerine. Il buffet preso d’assalto, come se nessuno degli invitati mangiasse da tre giorni. I piatti stracolmi di cibi incombinabili (al nostro palato almeno). E i tavoli della gente che il cibo non lo guardava neppure. Editori e scrittori in gara avevano lo stomaco annodato in attesa del risultato, pronti a prendere nota dei voti propri e dei voti altrui: è tradizione che il vincitore venga applaudito prima di essere ufficialmente annunciato, quando c’è la certezza aritmetica. Della vittoria di Francesco Piccolo con Il desiderio di essere come tutti si era cominciato a parlare già durante la serata finale dello Strega 2013, quando il libro ancora non era stato consegnato all’editore. Unici dettagli inediti: le bottiglie mignon di liquore Strega, carinissime, e i torroncini al gusto Strega. Quest’anno il premio compie 70 anni e si trasferisce all’Auditorium disegnato da Renzo Piano (tre sale da concerto che viste dall’alto si direbbero balenotteri). La data scelta è l’8 luglio, per non interferire con gli europei di calcio. Sul buffet ancora niente si sa, ma se lo tolgono scenderà anche la partecipazione. Una piccola indagine personalmente condotta dimostrò che gli invitati non si danno la pena di leggere i libri in gara e neppure di conoscerne i titoli. Nel primo anno dell’era Mondazzoli – risultato dell’acquisto di Rizzoli da parte di Mondadori, mossa che qualche anno fa nessuno sarebbe riuscito neppure a immaginare – i candidati sono Edoardo Albinati con La scuola
cattolica (Rizzoli), Eraldo Affinati con L’uomo del futuro (Mondadori), Giordano Meacci con Il cinghiale che uccise Liberty Valance (minimum fax), Vittorio Sermonti con Se avessero (Garzanti), Elena Stancanelli con La femmina nuda («La nave di Teseo», vale a dire la costola Bompiani che ha lasciato il supergruppo a un cenno di Elisabetta Sgarbi). Cambia lo scenario, non la sostanza. C’è come ogni anno un vincitore annunciato, dal passaparola e dai titoli sui giornali. Nel 2016 tocca a Edoardo Albinati e al suo romanzo mostro lungo 1294 pagine (se non vi bastano, c’è un extra su internet). Si era parlato addirittura di Walter Veltroni: si sa che ci tiene molto, che conosce personalmente quasi tutti i 400 votanti, ma anche in una società letteraria non proprio specchiata esiste un minimo di decenza (l’ex sindaco di Roma nonché ex direttore dell’«Unità» detiene invece saldamente il record delle prefazioni: sono una settantina, dalle barzellette di Totti alle memorie di Barack Obama). Rizzoli e Mondadori un tempo si spartivano l’albo dei vincitori, nell’anno della fusione tre titoli sono sfuggiti al monopolio. Restano attuali le polemiche sulle telefonate e i voti di scambio. Antonio Scurati – arrivato secondo per pochi voti in due occasioni, contro Tiziano Scarpa e appunto contro Francesco Piccolo – pare abbia sottoposto amici e conoscenti al terzo grado. Vivaci più che mai le proteste degli esclusi, come Antonio Moresco, scrittore convinto di essere perseguitato mentre si tratta di un miracolato: tutti gli editori italiani hanno fatto a gara per pubblicargli libri illeggibili (se proprio non vogliamo dire impubblicabili). Ha messo a frutto perfino le lettere di rifiuto ricevute in gioventù, con il titolo Lettere a nessuno. Nella cinquina si nota la scarsità dei romanzi-romanzi. Se avessero di Vittorio Sermonti è un memoir. L’uomo del futuro di Eraldo Affinati è la biografia di Don Lorenzo Milani, alternata con visite alle persone che oggi continuano l’esperienza della scuola di Barbiana. La femmina nuda di Elena Stancanelli potrebbe essere scambiato per una autofiction, tanto sono crudi e feroci i dettagli sulla gelosia della protagonista, che racconta la sua ossessione amorosa a un’amica. Giordano Meacci è l’unico che sicuramente inventa: Il cinghiale che uccise Liberty Valance ha per protagonista un cinghiale parlante (il dono glielo ha dato la tv). Edoardo Albinati racconta i liceali del quartiere Trieste, negli anni 70, con piglio da scienziato naturalista.
I finalisti del Premio Strega, da sinistra Eraldo Affinati, Elena Stancanelli, Giordano Meacci, Edoardo Albinati e Vittorio Sermonti. (©Musacchio & Ianniello)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Cultura e Spettacoli
Dirompente Kathia
Incontri La pianista georgiana Kathia Buniatishvili ha fatto recentemente tappa a Lugano
in occasione del Progetto Martha Argerich
Enrico Parola Lo sa che è amata e odiata per questo. Negli ultimi anni il look è entrato di prepotenza anche nella musica classica: giovani pianiste e aitanti violiniste ritratte in pose e in mise da top model campeggiano non solo sulle copertine dei dischi o nei cataloghi delle agenzie concertistiche, ma anche in riviste patinate che si interessano di loro non perché abili musiciste ma perché potenziali personaggi da scoprire. Salendo su un palco in abitini aderenti e/o scollacciati, accentuando le labbra con un focoso rossetto e non temendo di ondeggiare la chioma ribelle e il fisico procace, Kathia Buniatishvili sa che non pochi la giudicheranno un fenomeno mediatico e non una brava pianista. Dimenticando che su un palco non si può barare – lì non ci sono i ritocchi di Photoshop o della sala di incisione, e che se giganti come Argerich o Kremer vogliono dividere il palco con lei non è per una sfilata di moda. Al LAC la 29enne georgiana (li ha compiuti sei giorni fa) ha appena suonato per il Progetto Martha Argerich e ci tornerà a ottobre accompagnata dalla OSI nel Concerto di Schumann. È di casa ai festival di Lucerna e Verbier, con la cui orchestra ha tenuto importanti tournée europee. E questi sono solo i paragrafi elvetici della sua biografia artistica. Agli scettici irriducibili Buniatishvili oppone orgogliosamente i fatti. «Avevo tre anni quando mi sedetti la prima volta al pianoforte; a cinque lo studiavo e a sei tenni il mio primo concerto pubblico con l’orchestra. Nella mia città, Tbilisi, c’era una scuola per musicisti dotati che organizzava ogni anno quattro concerti con i migliori allievi; io
e mia sorella Gansva, di un anno maggiore, venivamo sempre selezionate».
mò per suonare con lei ero emozionata, nervosa, ma mi spiazzò: mi trattò con semplicità e familiarità, mi fece sentire accolta e a casa.
Ma Tbilisi non è Vienna o Parigi, forse la concorrenza…
Dieci giorni or sono a suonato al Progetto con sua sorella Gansva: feeling speciale?
Da noi, che eravamo ancora sotto l’Unione Sovietica, c’era tanta povertà ma anche tanta musica: poco pane ma almeno uno strumento in ogni casa; mia madre era programmatrice informatica ma fu anche la mia prima insegnante e quando sono andata a perfezionarmi a Vienna ho capito quanto alto fosse il livello delle nostre scuole musicali. Quando decise o capì di poter fare la musicista?
Presto. Un fattore decisivo fu mia madre: quando io e Gansva decidemmo di provarci lei lasciò il lavoro per seguirci meglio, ma senza metterci pressioni o riversare su di noi chissà quali aspettative. Fece la mamma-casalinga che sta con le figlie, non la manager. Sinceramente mi fa pena vedere alcuni giovanissimi trattati come adulti e caricati di responsabilità che non possono reggere. Domanda inevitabile: quanto cura il look?
Non ci crederà, ma lo cura mia madre. Fin da piccola è stata lei a farmi i vestiti; eravamo poveri e potevamo permetterci davvero poco, ma lei si inventò sarta e riusciva a creare dei vestiti che mi inorgoglivano perché erano diversi da quelli degli altri: non erano anonimi, avevano un’idea che rispecchiava il mio carattere. Anche oggi è spesso lei a consigliarmi che cosa indossare; suonare è la mia professione, lei quando va a lavorare si veste bene o no? Una eleganza che calamita parecchio l’attenzione del pubblico…
Lo so e mi fa un po’ sorridere; non mi
La pianista georgiana Kathia Buniatishvili. (Gavin Evans, Sony Classical)
sono mai considerata bella, forse perché guardavo soprattutto al volto; e comunque mentre suono non penso ad ammaliare il pubblico: entro in uno stato quasi ipnotico, mi immergo completamente nella musica, percepisco la gente solo mentre sto salendo sul palco – ed è una bella scarica di adrenalina – e alla fine. Anche tra chi l’ascolta più che guardarla non mancano critici e detrattori? Invidia?
No, hanno ragione! Io ho un approccio molto personale alla musica: quanto mi accosto a uno spartito non voglio ascoltare i grandi interpreti perché inevitabilmente questi riferimenti ti contagiano e tu, poco o tanto, riverberi il loro modo di sentire, di respirare, di fraseggiare. Io in un’opera cerco di trovare quello che mi corrisponde, ciò che fa uscire qualcosa di mio e ciò porta inevitabilmente a
una grande non oso dire originalità ma almeno libertà interpretativa; qualcuno ha parlato di interpretazioni al limite del jazz o del pop: la cosa non mi turba, anzi c’è del vero se con jazz e pop si intende un modo spontaneo e sincero di far musica, libero dalle gabbie degli stereotipi. Se una sera sono triste suonerò un brano in modo molto diverso da quando sono euforica. Quindi non ha modelli?
I miti sono Horowitz e Rachmaninov, ma sono troppo grandi per tentare di imitarli. Per il modo totale di sentire e fare la musica adoro Bernstein, ma sono nata troppo tardi per poter suonare con lui. Tra i viventi?
Facile dire Martha Argerich, anche lei libera e totalmente sé stessa in quello che suona. La prima volta che mi chia-
È bello innanzitutto perché è una musicista molto dotata, fosse solo mia sorella non sarebbe possibile suonare su palchi prestigiosi. Suoniamo insieme da sempre, ma abbiamo caratteri molto diversi. È il fattore che mi attira nel repertorio cameristico: in recital o con orchestra sono sola e leader assoluta, suonare con un altro vuol dire fare un passo indietro e accogliere le sue idee e i suoi sentimenti, si è insegnanti e allievi allo stesso tempo. Un’intesa particolare è nata con Renaud Capuçon, abbiano affrontato tanti capolavori per violino e pianoforte. Una dote indispensabile per il concertista?
Amare la solitudine. Nei recital si è da soli sul palco, si studia nel chiuso di una stanza, si è sempre su un aereo o in una camera d’albergo; se non stai bene da solo non resisti. Le altre passioni di un musicista?
Su tutte la letteratura, un mondo che scorre parallelo alla musica. Meglio Dostoevskij che Tolstoj per la sua capacità di entrare nelle pieghe dell’umano, se lo conosci suoni meglio Prokof’ev, come Baudelaire ti aiuta con Ravel e Debussy. E poi il cinema: mi affascina la possibilità di raccontare la vita aggiungendovi la musica. Io l’ho sempre in testa, ma quando arriva a definire i miei sentimenti più intimi curiosamente perde il timbro del pianoforte e suona come un quartetto d’archi o una voce.
Sul palco insieme ai grandi Estival 2016 Intervista al chitarrista ticinese Matteo Finali, che suonerà con la sua band Final Step
a Mendrisio, il prossimo 2 luglio
Alessandro Zanoli «Un giorno Jacky Marti mi telefona e mi dice “Come vedi la possibilità che dopo il tuo gruppo suonino gli Steps Ahead di Mike Manieri? Non sarà un po’ troppo?”. Io sono rimasto di sasso. Gli ho risposto “Vedi tu. Ma per me sarebbe il sogno di una vita...”». Non ancora quarantenne Matteo Finali è uno degli esponenti di punta della scena jazzistica ticinese. È un musicista più che preparato: studi musicali a Los Angeles con docenti di altissimo livello; anni di insegnamento nelle scuole di musica moderna; decine di concerti; tre ottimi dischi già nel carniere. Uno stile preciso e una personalità musicale matura. Non è il solo, bisogna dirlo, a cui si può dipingere un ritratto di questo genere: sono ormai molti dalle nostre parti i «ragazzi» con le carte in regola per giocare sul palco dei grandi. E a Matteo quest’anno si offre l’occasione di calcare il palco più prestigioso dell’estate. «Estival lo conosco fin da quando ero piccolo: mi ci portava mio padre e mi ricordo concerti bellissimi, importanti. Sono stati i miei primi contatti con la fusion. Forse non c’era così tanta gente come oggi ma l’ascolto era di qualità». La fusion è il genere musicale del chitarrista Finali. Allievo di Scott Henderson, nientemeno, Matteo ha dunque preso il jazz dal lato più grintoso. Quello di Mike Stern (sarà a Lugano il 9 luglio, tra l’altro), dei fratelli Brecker, o degli Steps Ahead, a Mendrisio nella serata del 2 luglio, appunto. Certo, il genere musicale che ha scelto non è dei più facili da portare
Matteo Finali, in piedi al centro, con il suo gruppo. Il programma di Estival è online sul sito: www.estivaljazz.ch.
in giro: il jazz elettrico è musica con un certo impatto sonoro, poco adatto ai jazz club. «Seguo con attenzione la scena musicale attuale europea e sono stato anche a Brema, dove si tiene la più importante fiera del settore. Ho notato che i gruppi più gettonati sono quelli piccoli, magari con un suono acustico. Noi andiamo meglio in spazi ampi, su palchi più grandi e non capita spesso di trovare ingaggi per 7 musicisti». Il primo compito del band leader al giorno d’oggi è, del resto, quello di pianificare e promuovere in tutti i modi la propria attività. Sono ore dedicate
alle pubbliche relazioni, ai contatti, ai comunicati stampa. «Alla fine sembra che il tempo più difficile da trovare sia proprio quello per suonare e comporre» commenta sorridendo. Al di là di questo, comunque, Matteo Finali si è costruito nel corso degli anni dei buoni contatti con la scena musicale svizzera: «Ho cercato di fare conoscere il gruppo e ho contatti con i manager dei principali locali. Le opportunità di suonare rimangono comunque relativamente scarse, non capisco perché. Occorre osservare che nella Svizzera interna la scena è assolutamente più ricettiva e
interessata. C’è una maggiore attenzione istituzionale alla produzione elvetica, i musicisti sono conosciuti e girano spesso da un locale all’altro». Anche sul fronte fonografico, le entrate economiche sono scarse. «Nell’epoca della distribuzione musicale digitale dobbiamo anche noi confrontarci con i metodi attuali, ma sono sistemi che hanno una scarsa remuneratività. Per quello che ci riguarda abbiamo affidato la gestione della nostra diffusione a un’azienda specializzata, molto pronta a gestire tutte le faccende relative ai diritti d’autore. Però il mercato è ormai morto. A volte ci si chiede come mai le grandi case discografiche lo abbiano lasciato affossare in questo modo. Ormai i dischi li vendono solo i grandi nomi. E noi abbiamo una certa diffusione soltanto ai nostri concerti». Matteo non si aspetta certo che la scelta di una carriera da musicista gli renda semplice la vita. Già a scuola gli hanno spiegato che affermarsi è un duro lavoro. «Whiplash (il film di Damien Chazelle che racconta della difficile carriera di un giovane batterista a New York, ndr.) esiste davvero. In America c’è una concorrenza spietata e chi ha raggiunto una posizione che crede tranquilla può essere immediatamente sostituito. Il lato peggiore di questa attitudine è che molti diventano dei malati da performance, suonano 10’000 note al secondo e non sanno rendersi funzionali al suono del gruppo». In Ticino tutto sommato esistono delle possibilità, ma è difficile monetizzare: «Qui c’è un bellissimo movimento. Il problema è riuscire a campare solo
suonando. Direi che in Svizzera è praticamente impossibile; in Italia forse si può riuscire, perché si vive con meno». Un aspetto molto importante del lavoro di Matteo Finali è quello di aver creato un gruppo che, nelle sue varie reincarnazioni, si è rivelato un incubatore di talenti. «Al mio rientro dagli USA nel ’99, ho cercato di vedere cosa si potesse fare qui. Ho messo in cantiere diversi progetti sondando il terreno. Ho insegnato nelle piccole scuole di musica poi ho deciso di fare il salto e di diventare maestro di musica nelle scuole elementari, in modo da essere perlomeno indipendente dal punto di vista economico. Final Step è nato nel 2003, mettendo in comune con Max Pizio alcune delle nostre passioni musicali. Poi il progetto è continuato». A tutt’oggi i dischi prodotti da Final Step sono tre, l’ultimo dei quali un ambizioso CD-DVD registrato live a Losone. Lì c’è il nucleo del repertorio che ascolteremo anche sul palco di Estival: «La notizia che può interessare il pubblico è che è tornato a far parte del gruppo il tastierista originario, Gabriele Pezzoli. Ma per il concerto suonerà con noi anche l’attuale pianista, Alessandro Ponti. Vedendo quanto è successo in questi anni possiamo dire che la scena musicale ticinese è sicuramente migliorata in termini di qualità. Basta guardare gli stessi musicisti che facevano parte della mia prima formazione. Ognuno di loro ha creato il suo gruppo e sta procedendo nella propria carriera». A vele spiegate, verrebbe da dire: come sulla copertina del suo ultimo album.
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Cultura e Spettacoli
Un flusso continuo
Declinando il pensiero Archibald Randolph Ammons (1926-2001)
Spruce Woods
Bosco di abeti
It’s so still Today that a Dipping bough means A squirrel Has gone through.
È così calmo oggi che un ramo piegato vuol dire che uno scoiattolo è passato.
Progress report
Previsione di progresso
Now I’m into things
Ora sono nelle cose
so small when I
così piccolo che quando
say boo I disappear
dico bù scompaio
Immoderation
Smoderatezza
If something is too big, enlarging it may correct it:
Se una cosa è troppo grande, ingrandendola la si può correggere:
a skinny thing acquires great force pushed next to nothing.
una cosa scarna acquista grande forza spinta verso il nulla.
The scour
Il dilavamento
It was so windy last night the snow got down nowhere except against something.
C’era così tanto vento ieri notte che la neve cadeva da nessuna parte eccetto che contro qualcosa.
Per Th. S. Eliot la poesia era una sorta di sistema interpuntivo. Archie Randolph Ammons sembra avvalorare questa tesi, stravolgendo il senso dei segni di pausa o sospensione che dovrebbero modulare un testo, oppure esacerbandone il valore. Sembra avvalorarla proprio per il suo porsi davanti alla punteggiatura in maniera idiosincratica. Un po’ dappertutto lungo i suoi versi si ritrovano queste presenze, o assenze. Forse più evidenti nei lunghi poemi, dove, come in Sphere, può accadere di trovarsi di fronte a un uso meditato delle virgole e dove un unico punto ne sancisce la chiusura. Ma sono i due punti a percorrerlo e a caratterizzarlo con la loro costante presenza, lasciando la responsabilità del respiro da usare, i silenzi da dire al lettore. Credo che l’autore si sia trovato davanti a una domanda che chi scrive in versi è chiamato a farsi: è possibile trovare un ritmo e un insieme di respiri, che sono del tutto personali e psicologicamente legati alla propria esperienza, strettamente legati al proprio battito, alle proprie emozioni; è possibile trovarne la modulazione più vicina all’immaginifico reale, servendosi degli strumenti canonici? Qualche volta accade, ma altre volte risulta quasi impossibile. È quindi necessario svelare le nostre urgenze, le nostre instabili verità, sottraendole da un precoce decadimento, da un’immatura fine, e entrare in un territorio che possa contenere e com-
prendere il nostro più profondo sentire, la nostra più intima cadenza. Come in Sphere. The form of a motion (1974), anche in Garbage (1993), lungo poema strutturato in diciotto capitoli di distici ricchi di inarcature, poveri di virgole, dove, ancora una volta, l’uso quasi ossessivo dei due punti diventa tratto distintivo del suo dire poetico, Racconta l’autore che, quando cominciò a scrivere versi, non lo avrebbe potuto fare se avesse pensato che stava diventando una cosa importante, così cominciò scrivendo su fogli di carta da ciclostile usati che portava a casa la moglie, e poi su nastri per macchina calcolatrice o altre lunghe strisce di carta, usando una minuscola grafia e, con insistenza, i due punti, che gli sembravano democratici e avevano il senso di ricordare che ci era stato qualcosa prima e qualcosa d’altro sarebbe accaduto dopo permettendogli, tra l’altro, di rimandare la chiusa all’infinito e trasformare la scrittura in una specie di flusso continuo. Wordly hopes, da cui sono tratte le poesie qui presentate, è una raccolta al contrario formata in gran parte da brevi e brevissime liriche dove l’intensità meditativa è svelata dalla descrizione di piccoli eventi, paesaggi, frammenti di vita. E dove l’individuo è messo in relazione con il panorama che lo circonda, con il bosco di alberi e rami e piccole creature che lo abitano, attraverso uno sguardo indagatore che non può far altro che guardare al di là di quello che vede, di quello che sente, e rischiarare, con la sua muta e costante presenza, l’universo sonoro della parola e del respiro che la anima. I suoi versi, che bene si inseriscono in quella linea poetica tracciata da Emerson e Whitman, parlano con uno stile che mescola assieme lingua colta della poesia, parole di derivazione greca o latina in uso in ambito
scientifico e la parlata per lui familiare dell’est del North Carolina, dove era cresciuto. E ogni singolo battito del suo dire è costantemente messo in relazione con le cose, le persone e gli eventi della natura e della sua sorprendente presenza. / Franco Facchini Biografia
Archie Randolph Ammons nasce vicino a Whiteville, North Carolina, nel 1926 e muore a Ithaca, New York, 2001. Cresce in una azienda agricola dove si coltivava tabacco. Partecipa all’ultima guerra in Marina. Nel 1949 si laurea in biologia alla Wake Forest University, e viene assunto in seguito come preside e insegnante alla scuola elementare Hattaras. Dal 1964 al 1998 è professore di inglese e poeta a contratto alla Cornell University. Ha pubblicato una trentina di libri di poesia. Tra gli altri, oltre a quelli già citati: Ommateum, with doxology, 1955; Expressions of see Level, 1964; Corsons inlet, 1965; Tape for the turn of the year, 1965; Northfield poems, 1966; Uplands, 1970; Briefings: poems small and easy, 1971; Diversifications, 1975; Highgate road, 1977; The snow poems, 1977; A coast of trees, 1981; Lake effect country, 1983; Sumerian vistas, 1987; The North Carolina poems, 1994; Brink road, 1996; Glare, 1997; Bosh and flapdoodle: poems, 2005; The mule poems, 2010. Nella sua Whiteville, dove era nato nel 1926 (North Carolina), a Northfield e a Milville (New Jersey), dove aveva, per un certo periodo, abitato; alla Cornell University, dove aveva insegnato e, infine, a Ithaca (New York), dove ha finito i suoi giorni nel 2001; in questi luoghi, ha maturato, affinandola, la sua penetrante e profonda poetica.
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Quando parliamo di volontariato Di cosa parliamo quando parliamo di volontari? Per me è sempre stata una figura incomprensibile. Capisco la donna e l’uomo di chiesa che si donano in vista del premio ultraterreno, ma il laico perché dedica tempo ed energie al servizio degli altri? Il mio primo incontro con un volontario ospedaliero risale al 1992. Pochi giorni prima di Ferragosto mio padre, 81 anni di età e vedovo da 12, fu colpito dall’ictus che l’avrebbe portato a morire. Eravamo tutti, figli e nipoti, sparpagliati in giro per il mondo; lui non aveva accettato i nostri inviti ed era rimasto in città. Rientro per primo e vado subito all’ospedale dove l’avevano ricoverato. Era il pomeriggio di una domenica deserta e assolata. Nessuno nei corridoi, porte e finestre spalancate nell’illusione di un filo d’aria. Accanto al letto di mio padre, semi cosciente, c’è un signore magro e alto che gli asciuga il sudore dalla fronte e gli bagna le labbra con un cucchiaio pieno di un liquido colorato. Indossa il camice, mi presento, gli domando se è un medico. No. Infermiere? Nemmeno. È dell’AVO,
l’Associazione Volontari Ospedalieri. Arriverò nei giorni seguenti a conoscerlo; lavora come meccanico in un’officina di riparazioni auto, trascorre le tre settimane di ferie in quell’ospedale. Non ho osato chiedergli quali fossero state le ragioni che l’avevano portato a scegliere l’ospedale anziché la spiaggia o la montagna. Trascorsi 24 anni, ho l’occasione di riproporre quella domanda. Venerdì 10 giugno, 30 dei 110 volontari in servizio all’ospedale Mauriziano di Torino, si sono dati appuntamento in una pizzeria, come una scolaresca in festa. A quel tavolo mi sono seduto anch’io, grazie all’invito di una di loro, una signora amica. Mi mettono vicino alla presidente dell’AVO di Torino con 800 aderenti, età media 61 anni, in gran maggioranza donne. Si chiama Nadia Gandolfo e per quasi tre ore la martello di domande. La prima è la più ovvia: cosa spinge una persona a fare volontariato? Mi spiega Nadia: le persone che vogliono aderire all’associazione, per essere accettate devono sottostare al colloquio con uno psicologo. La loro prima
motivazione è «fare del bene agli altri»; la seconda «sentirsi utili»; la terza «sperimentare le proprie capacità». In realtà, la scelta è sempre una compensazione, per un’esistenza che si percepisce incompleta, monca; è la reazione a un orizzonte limitato, asfittico. L’aspirante volontario, superato il colloquio, dovrà seguire un corso di 12 lezioni e quando inizierà dovrà trascorrere le prime 30 ore con un tutor. Le vere ragioni della scelta spiegano anche le difficoltà crescenti nell’arruolamento di giovani leve. L’AVO organizza due corsi all’anno, un tempo si iscrivevano in 100, ora sono solo 35 e non garantiscono il ricambio con quelli che, per motivi vari, lasciano. Anche qui siamo in presenza di una decrescita. Nadia Gandolfo ha una visione disincantata delle difficoltà del momento, ripete più volte la frase «dobbiamo cambiare pelle». La missione dei volontari, impegnati per tre ore alla settimana in uno degli undici ospedali di Torino, è di porgere un aiuto a chi è solo, essere disponibili all’ascolto, contrastare la solitudine. Però i tempi di degenza negli ospedali
si sono ridotti al minimo, gli ammalati vengono mandati a casa subito dopo l’intervento, non c’è materialmente il tempo per instaurare un dialogo. Per un giorno o due di degenza i parenti ce la fanno ad assisterli. Bisognerebbe poterli seguire a casa, come richiesto dagli stessi ammalati, ma le regole burocratiche non lo permettono. Ci sono molte richieste da parte delle numerose residenze per anziani, ma nessuno dei volontari vuole andarci. Si sentono dei badanti a cui si chiedono aiuti pratici, non colloqui, sovente impossibili con anziani svaniti di mente. Non hanno voglia di vedere cosa loro stessi rischiano di diventare fra qualche anno. Qualcuno si è liberato da poco del volontariato in famiglia. Dopo quasi tre ore di conversazione con Nadia Gandolfo riesco a farla parlare della sua esperienza di volontaria in psichiatria. Sospira: quanto c’è da imparare da queste vite sofferte! La nostra paura del diverso fa sì che siamo tentati di rifiutare l’offerta di entrare in altri mondi. Le sue parole mi spingono a riflettere sulle mie paure; io lascio che la vita mi scorra
al fianco alzando degli argini per non essere costretto a pensare che esistono modi alternativi di vivere, più ricchi e intensi ma più pericolosi. Ho sempre vissuto da spettatore per la paura di cadere nel baratro della malattia mentale. Ho avuto un cugino in cura da quando aveva vent’anni fino alla morte a più di sessanta. Andavo a fargli visita per senso del dovere. In una delle tante case di cura che l’hanno ospitato, alla mia domanda su quali attività svolgessero durante il giorno la risposta era stata: «Niente, non facciamo niente». Io ho reagito d’istinto: «Se dovessi stare dal mattino alla sera senza far niente, io diventerei matto». E mio cugino: «E noi cosa siamo?». Quando esce dall’ospedale al termine del suo turno, Nadia Gandolfo torna a casa a piedi per smaltire il carico di emozioni provocato dal contatto con quelle vite convulse e magmatiche. L’immagine di questa volontaria che si allontana con la testa gravida di riflessioni sull’esperienza che ha appena vissuto, mi sembra dia bene il segno di cosa parliamo quando parliamo di volontariato.
un’impresa ancora migliore: ottenere per musici e poeti uno status sempre al di sopra delle regole, ma con minor fatica, più guadagni e un ruolo pedagogico verso le masse da educare, da risvegliare. Un orinatoio, una ruota di bicicletta, un vetro rotto, se esposti nel luogo deputato all’arte, scioccheranno gli spettatori, inducendoli a riflettere su che cosa sia vero o finto, bello o brutto, poesia o non poesia. In effetti le masse, almeno in parte, si sono dette scosse da queste provocazioni, rese riproducibili ed efficaci dall’avvento dei media. L’artista è consapevole del proprio valore, anche di mercato, e gioca con sé stesso, se lo può permettere. E noi? Noi non ci scandalizziamo più, se è vero quel che sostengono molti critici d’arte, ossia che noi, sapendo di non sapere (e non potere) distinguere l’opera d’arte dal fake, tacciamo riverenti, onorando tele tagliate (chissà da chi), tese, bucate. Oppure dipinte di un solo colore, a
volte due, a volte tre. Che cosa può dirmi se fu il grande Lucio Fontana a sfregiare quella tela o fu invece un furbetto, che cosa se non analisi degne di CSI, quindi DNA, composizione dei materiali, invecchiamento, cose che nulla hanno a che fare col giudizio estetico. Così tre studenti fecero i volti di Modigliani, così a volte osserviamo l’estintore con intensità, girando per le sale di un museo. L’ultima beffa, di altissimo livello artistico, è un video del Builders Club di Londra, da poco anche sui social. In otto minuti conosciamo Robert Rushkin, artista schivo ma amato dai più importanti critici e direttori, lo vediamo al lavoro nel suo quartier generale in Cornovaglia (che belle scogliere), stupiamo di fronte a visionarie e robotiche opere d’arte, esposte come minimo al Moma. Ci prende, amiamo già questo vecchio trasandato dallo sguardo curioso. Peccato che sia un falso.
ripartire per la lettura). Una mostra che avrebbe meritato di restare ben oltre i tre mesi previsti. Nessuna prima pagina nazionale ne ha parlato. In compenso quasi tutti i giornali hanno dato evidenza (eccessiva) alla passerella dell’impacchettatore bulgaro Christo sul Lago d’Iseo. Tra il ponte galleggiante (The Floating Piers, voto 4½–, troppo marketing per i miei gusti) da una parte e dall’altra il tascabile aldino, Tiziano, Dürer, quel capolavoro dell’Hypnerotomachia Poliphili (con dovuto omaggio a padre Giovanni Pozzi), non c’è confronto: code interminabili e folle in delirio per il primo, pubblico selezionato e nessuna coda per i secondi; pagine e pagine promozionali per il primo, poche recensioni obbligate per la rassegna veneziana. Se Manuzio sapesse… Intanto, mentre la creatura di Aldo è ancora vitalissima nel mondo, quella di Christo ha dovuto chiudere provvisoriamente dopo tre giorni per problemi di manutenzione. «Festina lente» era il
motto aldino, che spesso compariva sui libri: affrettati lentamente. La lentezza di Manuzio stava nella cura, nella scelta, nella qualità dei testi che offriva al mercato, tale da farne, nel contempo, rarità da collezionisti e oggetti «di massa» (con tirature tra le 1000 e le 2000 copie allora davvero eccezionali). Prima dei nativi digitali vennero i «nativi tipografici». Nel 1528 venne stampato, dopo anni di lavorazione, il Libro del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, «il formator del cortigiano», secondo la definizione di Ariosto. Tre volumi a cura del filologo Amedeo Quondam, appena usciti da Bulzoni, ci ricordano che cosa fu quel capolavoro europeo: un dialogo complesso su una nuova figura professionale, l’educatore del principe. Con il Cortegiano si inaugura la pratica dell’editing, cioè della revisione editoriale del testo consegnato dall’autore allo stampatore. È l’inizio di una lunga storia, dibattuta e affascinante, che arriva fino a oggi.
Postille filosofiche di Maria Bettetini Arte, tra realtà e finzione Al Museo dell’arte contemporanea di San Francisco un ragazzino ha messo per terra i suoi occhiali, normalissimi occhiali da vista. I visitatori si sono accorti dell’oggetto, e ritenendolo un ready-made alla Duchamp (senza ricordare che un secolo è passato, nel frattempo, era il 1917) lo osservavano con attenzione, alcuni lo fotografavano, sdraiandosi per terra, vedere per credere cercando «glasses on the floor» sul web. Pare che qualcuno abbia anche tentato un’interpretazione: la cultura (occhiali) è ridotta male e mal considerata (pavimento); oppure «gli occhiali giacciono sul pavimento (lie) perché ormai gli occhi vedono solo falsità (lies)». Che buontemponi, questi ragazzini, e che confusione questa arte contemporanea. Vi ricordate quando l’uomo delle pulizie raccolse i biscotti rotti da terra, senza accorgersi che erano la parte dell’istallazione che doveva significare noia, sciatteria, rifiuto?
D’altra parte come poteva accorgersene, così come vanno assolti anche il muratore che scambiò per un buco un’altra opera d’arte, e l’imbianchino che volle dare una mano di pittura a una porta artisticamente scrostata. Fino al 1917, per trovare un punto fisso, non si avrebbe avuta nessuna possibilità di subire o fare scherzetti del genere, chi mai avrebbe potuto scambiare i girasoli dipinti con arte da Van Gogh con i fiori, o il quadro della sua stanza con un letto, una sedia, un paio di scarponi. Poi si cominciò a chiedere all’arte non solo, o non tanto, di piacere e ornare, quanto di interrompere le grigie abitudini del pensiero. Lo spettatore deve essere scioccato, scandalizzato e però anche attratto dai nuovi prodotti artistici. Meno bello e più sublime, si potrebbe dire con Kant, in fondo anche con Aristotele, che chiedeva all’arte tragica di suscitare pietà e terrore. Il crinale si è fatto sempre più insidioso, nella perdita
di bellezza, armonia, proporzione e con l’arrivo di scandalo, novità, frattura (col passato e con il mondo «normale»). Naturalmente nulla nasce per caso, quindi ora siamo in grado di renderci conto che la nuova figura dell’artista, sacerdote dell’arte nuova, non era che il limite estremo della parabola dell’artista romantico. Questi non era più uno dei tanti artigiani al servizio di pochi padroni, come i suoi colleghi pittori, musici, poeti dei secoli precedenti. L’artista dell’ultimo Ottocento diventa il nuovo principe, tanto più quanto più in contraddizione con la nobiltà ricca e protetta. Bohémien, assuefatto a ogni droga, legato a suoi simili, invidiato dai normali, l’artista vive fuori da ogni legalità, perché è legge a sé stesso, al di sopra di tutte le norme. Una vita indubbiamente sofferta, per le malattie, la povertà, gli scontri con la famiglia e la polizia cui portava questo genere di scelte. Il Novecento però è riuscito in
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il corsivo di Aldo e la passerella di Christo Avrebbe meritato un prolungamento la mostra veneziana alle Gallerie dell’Accademia dedicata ad Aldo Manuzio, che si è chiusa il 19 giugno. Voto tondo: 6. Da estendere anche al catalogo Marsilio che contiene saggi di notevole interesse sul più famoso stampatore della storia dell’editoria a cinquecento (e uno) anni dalla morte (1515). In realtà una mostra sull’intreccio tra l’arte pionieristica di Aldo e la sua diffusione nel mondo della borghesia mercantile e dell’aristocrazia, la pittura contemporanea veneziana, la lettura dei classici e la nuova letteratura in volgare. Impressionante fase di vitalità culturale e di innovazione scientifica, in cui la riscoperta della cultura greca e latina contribuisce a capire e a trasformare il presente. E ciò che colpisce di più (e ci fa invidia) è come la ricerca del massimo rigore sul piano filologico e sul piano del design ottenga il massimo del successo commerciale: una coincidenza impensabile oggi. Fa anche invidia quell’Europa della cultura
che non «rottamava» il suo passato pur pensando al futuro. Se qualcuno avesse dubbi sulla genialità tecnologico-estetica del libro, pensi a Manuzio. Dire che si tratta di una specie di Steve Jobs del Rinascimento può essere persino riduttivo: quel che Aldo creò, arrivando a Venezia da un paesino del Lazio (Bassiano) come un signor nessuno, è un oggetto che dopo mezzo millennio è ancora insostituibile. Perché se Gutenberg inventò la tecnologia della stampa, Manuzio creò la semplicità fisica, la leggerezza e la praticità del libro. E nel creare il libro creò il lettore moderno. Con le sue edizioni nasce il frontespizio, cioè la prima pagina con il titolo dell’opera, il nome dell’autore e il marchio dell’editore (quello di Aldo è un delfino avvolto attorno a un’ancora) e nasce anche, nell’ultima pagina, il cosiddetto colophon con le indicazioni tecniche e la data di fine stampa. Altra invenzione aldina: il carattere corsivo, introdotto in un’edizione di Virgilio del
1501 e ancora oggi usato ovunque con il nome di italic. E soprattutto Manuzio riduce i vecchi formati «in folio» (circa 40 centimetri) o «in quarto» (30 centimetri) trasformando i volumi ponderosi di Gutenberg, che obbligano il lettore a star seduto a un tavolo (e magari con leggio), in oggetti agili, maneggevoli, nuovi, affascinanti. Nascono i «libri portatiles», quelli che ancora circolano nelle librerie del 2016. Il risultato è un equilibrio eccelso di bellezza visiva, leggibilità e praticità le cui singole componenti sono quasi indistinguibili. Il carisma di Manuzio e il fascino dei suoi oggetti irrompono nella cultura e nella società imponendo la moda del tempo: nel 1514, un Ritratto di gentiluomo di Tiziano raffigura probabilmente lo scrittore napoletano Jacopo Sannazzaro che tiene nella mano destra un piccolo libro quasi a rappresentare la nuova figura di lettore «aldino» (da notare il dito infilato dentro il volumetto rosso semiaperto a segnare la pagina da cui
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Profumata frutta a nocciolo Attualità Dai Paesi del Mediterraneo ai negozi Migros in breve tempo
Insalata di pesche e nettarine con melissa Ingredienti per 4 porzioni Ingredienti 3 pesche 3 nettarine un po’ di limone mezzo mazzetto di melissa Sciroppo mezzo limone bio 1 dl d’acqua 100 g di zucchero 2 cucchiai di monarda fresca o essiccata Preparazione 1. Per lo sciroppo, affettate il limone. Portatelo a ebollizione con l’acqua e lo zucchero. Fate sobbollire per 5 minuti. Unite la monarda. Togliete la pentola dal fuoco e fate raffreddare lo sciroppo. 2. Dimezzate le pesche e le nettarine, snocciolatele e tagliatele a spicchi. Irroratele di succo di limone. Mescolate subito con lo sciroppo. Coprite e mettete in fresco per 1 ora. 3. Poco prima di servire, guarnite con le foglie di melissa. Tempo di preparazione 20 minuti + raffreddamento 1 ora
Nettarine – o pesche noci –, pesche e albicocche sono considerati i frutti estivi per eccellenza. Sin dall’inizio dell’estate l’inconfondibile profumo di questa frutta a nocciolo invade i reparti frutta dei supermercati Migros facendoci virtualmente immergere nella caratteristica atmosfera dei paesi del sud. Qui maturano sotto il caldo sole e dal momento della raccolta all’arrivo nei supermercati Migros non trascorrono mai più di quattro giorni. Tutti questi frutti sono
originari della Cina e giunsero nel bacino mediterraneo attraverso i Romani. Le albicocche si caratterizzano per la loro versatilità: sono perfette per preparare fantastiche torte, si trasformano in deliziose confetture, ottime per la prima colazione; ma sono ideali anche abbinate a cibi salati come le carni arrosto. Il loro bel colore arancio è dato dalla presenza di beta-carotene. È un frutto molto sensibile alle ammaccature e agli urti. Il nocciolo dell’albicocca è uti-
lizzato per preparare il liquore amaretto, ma da solo non è commestibile. Sebbene le pesche noci gialle siano quelle più diffuse, esiste anche la varietà a polpa bianca. La buccia liscia è il risultato di una mutazione naturale della pesca. Le nettarine conquistano il palato grazie al loro intenso aroma e al sapore particolarmente zuccherino. Le dolci e succose pesche si declinano anch’esse nelle varietà a polpa gialla e bianca. La morbida pelle vellutata nasconde
una polpa molto profumata dal sapore fruttato. Sono ricche di sali minerali, fibre e vitamine e sono uno snack salutare perfetto durante l’estate. I frutti a nocciolo si conservano a temperatura ambiente fintanto che sono abbastanza morbidi per essere consumati. Una volta maturi, si possono tenere per qualche giorno in frigorifero, ma vanno tolti da quest’ultimo almeno due ore prima del consumo affinché possano sviluppare appieno il loro aroma.
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Idee e acquisti per la settimana
Salsa scura vegana biologica Novità Un prodotto versatile per la cucina
di tutti i giorni
Pierluigi Zanchi della tigusto SA.
si usa non solo per marinare e condire, ma anche per finire di gusto altre pietanze proteiche come carni, pesci, fagioli, ceci, tofu, seitan, verdure... È inoltre perfetta per le patate al salto con rosmarino, prezzemolo e tofu: marinare per 5 minuti dei cubetti di patate cotte e del tofu a dadini con qualche cucchiaio di salsa vegana diluita con altrettanta acqua. Rosolare il tutto a fuoco vivo per qualche minuto in una padella antiaderente, aggiungere rosmarino e prezzemolo tritati di fresco, pepe o peperoncino a piacere, e il resto della marinata diluita; servire subito». Suggerimento: lo spazio vuoto nella bottiglia serve ad agitare bene il prodotto prima dell’uso. Altre ricette su: www.tigusto.ch
Flavia Leuenberger
Pierluigi Zanchi, titolare della tigusto SA di Gerra Piano, già produttore dell’apprezzatissimo tofu bio a base di soia nostrana, lancia nelle filiali di Migros Ticino un nuovo prodotto ideale per marinare, condire e dare un tocco semplice e naturale alle pietanze più disparate: la salsa scura vegana bio. «Questo prodotto – spiega Zanchi – nasce con l’intento di proporre un aromatico condimento che soddisfi le esigenze di tutti i consumatori – carnivori, vegetariani e vegani – e che potesse conferire un gusto “d’arrostito” alle pietanze senza eccedere nei grassi e nelle cotture pesanti e energivore». La salsa è prodotta miscelando a crudo vari ingredienti: spezie, erbette aromatiche, lievito di melassa, farina di castagne e salsa di soia fermentata in modo tradizionale. Essendo esente da qualsiasi additivo, una volta aperta va conservata in frigorifero. «La salsa
Salsa scura vegana 250 g Fr. 9.90 In vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino
Pane di luglio: il pane pita Attualità Una specialità di frumento chiaro simile alla focaccia
Flavia Leuenberger
per un’estate all’insegna del gusto
Disponibile solo da venerdì 1. a sabato 30 luglio presso i reparti del pane Migros, il pane pita è prodotto freschissimo dalla Jowa di S. Antonino con ingredienti naturali attentamente selezionati e con tanta esperienza nel settore. Si caratterizza per la sua forma tonda e piatta. Prima della cottura la superficie viene bucherellata per evitare che il prodotto si gonfi più del dovuto. La crosta, bella dorata e fine, racchiude una mollica soffice capace di accogliere i companatici più disparati: dagli aromatici affettati della nostra tradizione alle ricche e salutari insalate estive; dalle carni e pesci
alla griglia fino ai formaggini freschi. Grazie alla sua forma è ideale anche per preparare sfiziosi panini o aperitivi di sicuro effetto: tagliare il pane pita per il lungo, farcirlo a piacimento e quindi affettarlo in otto pezzi triangolari come se fosse una torta. L’impasto del pane pita è molto simile a quello della focaccia, purtuttavia non contenendo olio. Consiglio: è una delizia anche riscaldato brevemente in forno poco prima del consumo. Pane Pita 400 g Fr. 2.90 In vendita dal 1. al 30 luglio
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Idee e acquisti per la settimana
Carne Migros: la scelta degli chef Gastronomia Il ritratto dei ristoranti: Ristorante San Grato di Carona
Il Ristorante San Grato ha senza dubbio una posizione di eccezione. Situato al centro del Parco Botanico San Grato, è circondato da azalee e rododendri e ha una spettacolare vista sul lago di Lugano. L’intera area venne acquistata dal dott. Winterthalter, proprietario della ditta di cerniere lampo RIRI, che ne fece la sua seconda residenza, con la scuderia per i suoi cavalli. Nel ’57 il complesso venne rilevato da una società gestita da Luigi Giussani, che creò il ristorante, alcune abitazioni e il Parco botanico, ogni anno meta di numerosi turisti e, oggi, di proprietà di Lugano Turismo. Il ristorante è gestito da Flavio Riva e dal suo staff da 25 anni. Riva propone una cucina legata alle stagioni e alla tradizione, con una costante attenzione ai sapori e ai profumi antichi, al territorio e alla qualità delle proposte della cucina. Salumi e formaggi misti, paste e risotti, carni e dessert fatti in casa sono una certezza. D’estate piatti freschi e gustosi e d’autunno la selvaggina e i funghi sono accompagnati da una buona carta dei vini sia locali che esteri. E per sposare al meglio l’atmosfera di vacanza che qui si respira, numerose sono le proposte di pesce, sia di mare che di lago. Il locale è frequentato da molti turisti e da raffinati buongustai, oltre a essere spesso meta di banchetti e cerimonie per la collocazione straordinaria e per le sale capienti e ospitali. È aperto da marzo a ottobre. www.carnemigros.ch
Flavio Riva gestisce il Ristorante San Grato da 25 anni. (Flavia Leuenberger)
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Idee e acquisti per la settimana
Sapori estivi La tua fonte di
freschezza quotidiana
I banchi gastronomia dei maggiori supermercati di Migros Ticino vi invitano ad assaggiare un piatto sempre molto gettonato durante la stagione calda: la trota nostrana in carpione. Il pesci sono allevati nel Malcantone in laghetti di acqua di sorgente a temperatura costante, dove dispongono di molto spazio per nuotare. Le trote nostrane posseggono una carne
Il nuovo nebulizzatore Cristaline all’acqua sorgiva si trasforma in un prezioso alleato quando hai bisogno di una ventata di freschezza in qualsiasi momento della giornata. Può essere utilizzato non solo in caso di caldo per rinfrescarsi e reidratare la pelle, ma anche dopo la depilazione, la rasatura, oppure dopo lo sport, in ufficio e in viaggio. Senza profumo né conservanti, ipoallergenico, questo pratico spray diffonde delle micro gocce di acqua di sorgente Cristaline dall’effetto idratante e tonificante anche sulle pelli più fragili e sensibili. Inoltre permette di fissare il make-up. È indicato per adulti, giovani, anziani e bebè.
poco grassa, simile a quella delle trote di fiume, che ben si presta per molte ricette. La trota in carpione è considerata un antipasto molto apprezzato nella nostra regione, ma se accompagnata da una ricca insalata sa trasformarsi senza problemi in un piatto principale completo. La preparazione è affidata a esperti gastronomi che si rifanno alle ricette più tipiche della nostra tradizione.
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Idee e acquisti per la settimana
L’opera d’arte di Sarah e Ruben, creata con i loro prodotti Migros preferiti.
Fai da te e vinci Quali prodotti Migros stuzzicano la vostra creatività e quella dei vostri bimbi? Inviateci una foto con il vostro «momento bricolage», corredata da qualche riga di spiegazione. Saremo lieti di pubblicarla assieme a tante altre idee creative sul sito Internet www.momenti-migros.ch Fra tutti gli invii estrarremo a sorte 10 carte regalo della Migros del valore di 50 franchi ciascuna.
Come partecipare
Foto Paolo Dutto
Via Internet: descrivi il tuo momento bricolage con un prodotto Migros su momentimigros.ch.
Noi firmiamo. Noi garantiamo
Lo yogurt in fiore Quasi ogni sera, il piccolo Ruben prende il cucchiaio, dà un’occhiatina nel frigorifero e afferra uno yogurt al caramello della Migros. «È così denso e buono», esclama l’occupatissimo alunno di prima elementare. La scuola, le costruzioni Lego, i trenini, la bici… Le giornate di Ruben sono molto variegate. E ogni tanto si cimen-
ta perfino nel bricolage. Ad esempio, trasforma in fiori i vasetti di plastica dei suoi adorati yogurt al caramello. Poi li infila in un vaso fatto con l’imballaggio del prodotto Migros più amato da Sarah, sua sorella maggiore. «Ogni giorno bevo due bicchieri di latte, che rafforza le mie ossa», spiega la vivace ragazzina di terza elementa-
re. Sarah, infatti, fa molto sport e ha perciò bisogno di ossa sane e robuste. Intanto, Ruben ha trasformato i suoi yogurt in fiori variopinti. Ha ritagliato a mano il bordo superiore dei vasetti, poi li ha dipinti e decorati con adesivi colorati. Ora mancano solo i gambi e le cannucce sono ideali allo scopo. Ed ecco come uno yogurt diventa un fiore.
Via social media: Condividi il tuo momento bricolage Migros su Twitter o Instagram. Basta caricare un testo, una foto o un video e pubblicarli con l’hashtag #MomentiMigros.
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Idee e acquisti per la settimana
Clafoutis di ciliegie Per 4 persone Per 1 stampo da gratin di 28 cm Ø Ingredienti Burro per lo stampo 2 uova 1 presa di sale 50 g di zucchero 1 bustina di zucchero vanigliato 50 g di farina 1 cucchiaino di lievito in polvere 2,5 dl di latte o panna 400 g di ciliege zucchero a velo per guarnire
e lavorate bene l’impasto fino a ottenere una massa omogenea. Lasciate riposare per ca. 15 minuti.
Preparazione 1. Imburrate lo stampo. Sbattete le uova con il sale, finché diventano belle spumose. Versate a pioggia lo zucchero, lo zucchero vanigliato e continuate a montare, finché la massa diventa chiara. Incorporate la farina, il lievito e il latte
Tempo di preparazione ca. 15 minuti + riposo 15 minuti + cottura 30-35 minuti
D’attualità
2. Scaldate il forno a 180 °C. A piacere, snocciolate le ciliegie e distribuitele nello stampo. Versate l’impasto sulle ciliegie, in modo che la frutta sia coperta per tre quarti. Cuocete al centro del forno per 30-35 minuti. Prima di servire, spolverizzate il clafoutis di zucchero a velo.
L’estate è sinonimo di ciliegie Ma solo per un breve periodo. Le ciliegie devono essere lavorate subito dopo il raccolto. Nel frigorifero rimangono fresche per un paio di giorni. Oltre alle ciliegie anche le pesche noci sono in piena stagione. Questi frutti a nocciolo si distinguono per la loro buccia liscia e giungono dai paesi vicini.
Per persona ca. 4 g di proteine, 3 g di grassi, 40 g di carboidrati, 900 kJ/210 kcal
Le ciliegie extra sono particolarmente grosse: hanno un diametro di almeno 28 millimetri.
Le pesche noci con la polpa gialla sono tra i frutti estivi più amati.
Yasar Yerlikaya, collaboratore del reparto frutta e verdura presso la filiale Migros di Serfontana. (Flavia Leuenberger)
Yasar Yerlikaya
«Direttamente dalla pianta»
Una variante delle pesche noci è quella a polpa bianca. Sono dolci e succose come le cugine gialle.
Le ciliegie svizzere sono confezionate subito e entro 24 ore sono già sugli scaffali della Migros
La stagione delle ciliegie dura da metà giugno fino a inizio agosto, ma dipende molto dal tempo. Da quali regioni provengono questi dolci frutti?
Le zone di produzione principali sono Basilea Campagna, il Fricktal e la Svizzera centrale. Le ciliegie svizzere hanno un sapore diverso rispetto a quelle estere?
Le ciliegie svizzere sono più fresche di quelle estere, poiché vengono raccolte al mattino e il giorno seguente giungono già in negozio. Il momento giusto per raccoglierle è fondamentale, perché le ciliegie non maturano più dopo la raccolta e deperiscono facilmente. Per questo hanno un sapore diverso. Com’è il tragitto delle ciliegie dalla pianta alla Migros?
Quando sono mature, le ciliegie sono raccolte a mano e sistemate nelle cassette. Successivamente sono calibrate meccanicamente, ossia selezionate secondo la grandezza. Infine sono impacchettate e immediatamente trasportate nei negozi.
Cosa si nasconde dentro le ciliegie?
A cosa bisogna prestare attenzione durante il trasporto?
Suggerimento
È importante fare attenzione alla temperatura, che idealmente dovrebbe essere tra i 10 e 15 gradi. Quali varietà di ciliegie troviamo in vendita?
Accanto alle ciliegie standard, vi sono anche quelle extra (più grosse), oppure le varietà in qualità bio. Quante tonnellate di ciliegie si raccolgono in Svizzera?
Durante il raccolto il tempo gioca un ruolo importante. Per quest’anno ci si aspetta qualcosa come 2200 tonnellate, ciò che rappresenta una resa media.
Con sole 75 calorie per 100 grammi le ciliegie sono uno snack estivo ideale. Contengono, oltre a sostanze vegetali secondarie, anche molte importanti vitamine come vitamina C e acido folico, i sali minerali potassio, calcio, magnesio, ferro e fosforo, some pure silicio e pectina. Grazie al potassio le ciliegie hanno un effetto drenante e purificante sull’organismo.
Le ciliegie si possono surgelare con il nocciolo. In tal modo si possono preparare deliziosi dolci e torte anche in inverno. Illustrazioni Olivia Aloisi
Yasar Yerlikaya, finalmente sono arrivate le tanto amate ciliegie svizzere. Quanto dura la stagione
www.migros.ch/frutta-verdura Ricette di
www.saison.ch
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
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Con gli spuntini pronti di M-Classic ci si può avvicendare al «footbalino» praticamente senza interruzioni, mangiando di tanto in tanto un boccone: al fischio d’avvio si parte con un’insalatina con pomodori, cetrioli e carote; mentre guardando la partita di un’altra coppia di giocatori ci si gode un bel sandwich al tonno con uova e maionese. E, alla fine, una volta segnata la rete della vittoria, ci si sgranchisce le mani con una rinfrescante macedonia di ananas, melone, uva e mele.
Azione 40%
30%
2.30 invece di 3.90
5.40 invece di 7.80
Pesche noci gialle Spagna / Italia / Francia, al kg
Mirtilli Italia / Spagna, vaschetta, 500 g
40%
33%
1.70 invece di 2.90
15.– invece di 22.60
Peperoni misti Spagna / Paesi Bassi, bustina, 500 g
Sminuzzato di pollo Optigal in conf. da 3 Svizzera, 3 x 222 g
30% 4.80 invece di 6.95 Roastbeef cotto Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g
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20% Azione assortimento Tutti i tipi di crème fraîche per es. al naturale, 200 g, 2.– invece di 2.55
20% Azione assortimento Tutte le bevande a base di latte Starbucks per es. Caffè Latte, Fairtrade, 220 ml, 1.65 invece di 2.10
20% Azione assortimento Tutte le crostate per es. crostata di albicocche, 215 g, 2.30 invece di 2.90
25% 3.15 invece di 4.20 Pomodori intense Ticino, imballati, 700 g
PUNTI
20x Azione assortimento Tutte le mozzarelle Alfredo per es. bocconcini di mozzarella, 150 g, 1.45
33%
25%
20%
20%
3.95 invece di 5.90
3.95 invece di 5.50
19.20 invece di 24.–
2.– invece di 2.50
Fragole Svizzera, in conf. da 500 g
Melanzane Ticino, sciolte, al kg
Caseificio Blenio prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg
20%
20%
20%
5.50 invece di 6.90
2.95 invece di 3.70
1.75 invece di 2.20
Albicocche extra Spagna / Francia, sciolte, al kg
Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Oh! Yogurt Greek Style in conf. da 2 per es. mirtillo-vaniglia, 2 x 170 g
Gruyère Heidi per 100 g
Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, a libero servizio, per 100 g
i. z z e r p i e r ia p p o c s fa y g Mig 20% Azione assortimento
M-consiglia
Tutti i panini M-Classic confezionati, per es. mini sandwiches, 300 g, 1.80 invece di 2.30
Deko Münzen
20% Azione assortimento Tutto l’assortimento Pancho Villa per es. salsa Mexicana Medium, 312 g, 2.95 invece di 3.70
FESTIVAL DELLA FOCACCIA ALSAZIANA Come accompagnamento della croccante specialità alsaziana non c’è niente di meglio di un’insalata verde mista coronata da un uovo alla coque e guarnita con del pangrattato al cerfoglio. Tutti gli ingredienti di questa ricetta estiva sono in vendita alla Migros, la ricetta per l’insalata su saison.ch/ consigliamo.
20% Focaccia all’alsaziana Tradition in conf. da 2 per es. 2 x 350 g, 7.80 invece di 9.80
50% 3.70 invece di 7.40 Succo d’arancia Anna’s Best, 2 l
33% Fleischkäse Malbuner in conf. da 6 per es. Delikatess, 6 x 115 g, 5.90 invece di 9.–
20% Azione assortimento Tutti i tipi di spinaci surgelati per es. spinaci alla panna, 800 g, 2.55 invece di 3.20
a partire da 2 confezioni
– .5 0
di riduzione
2.50 invece di 3.– Flan in conf. da 6 6 x 125 g, per es. al cioccolato
33% 4.40 invece di 6.60 Bastoncini alle nocciole in conf. da 2 2 x 220 g
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
40% Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. con ripieno di carne, 2 x 500 g, 7.– invece di 11.80
Hit 9.80 Olio d’oliva Don Pablo, 2 l
40% Azione assortimento Tutte le olive in bustina, vasetto o scatola (prodotti Alnatura esclusi), per es. olive spagnole Hojiblanca, 150 g, 1.40 invece di 2.35
1zi.on–e l’una
di ridu
Azione assortimento Tutti i tipi di riso M-Classic da 1 kg a partire da 2 confezioni, 1.– di riduzione l’una, per es. riso parboiled Carolina, 1.50 invece di 2.50
. a li ig s n o c io a n a d a lv a s Il maialino a partire da 2 pezzi
– .5 0
di riduzione l’uno
Azione assortimento
20%
20%
Azione assortimento
Tutti i prodotti Gran Pavesi o Roberto Tutti i prodotti Happy Hour a partire da 2 pezzi, –.50 di riduzione l’uno, per es. per es. tortine Gourmet, 12 pezzi, 260 g, 3.70 invece grissini Torinesi Roberto, 250 g, 1.95 invece di 2.45 di 4.65
20% 4.30 invece di 5.40 Chips Royal o Farm in conf. da 2 per es. Farm Chips al naturale, 2 x 150 g
50% 8.70 invece di 17.40
Salviettine umide Soft in conf. da 3 per es. Comfort, 3 x 50 pezzi, 3.45 invece di 4.35, offerta valida fino all’11.7.2016
4 per 2
a partire da 3 pezzi
20%
4.20 invece di 8.20
Azione assortimento
Tovaglioli di carta Cucina & Tavola in conf. da 4, FSC per es. gialli e verdi, 33 x 33 cm, 4 x 30 pezzi, offerta valida fino all’11.7.2016
Cornetti Fun alla vaniglia e alla fragola in conf. da 16 Tutte le capsule Café Royal, UTZ 16 x 145 ml a partire da 3 pezzi, 20% di riduzione
a partire da 2 confezioni
20% Azione assortimento Tutti i sandwich Blévita per es. alle erbe aromatiche, 216 g, 4.20 invece di 5.30
–.60
di riduzione l’una
Azione assortimento Tutti i biscotti Créa d’Or a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. biscotti al burro, 125 g, 3.30 invece di 3.90
OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
40% 1.95 invece di 3.30 Tutti i tipi di Aquella in conf. da 6, 6 x 1,5 l (Aquella Taste esclusa), per es. verde
50% Conf. da 2 in azione Prodotti Handymatic Supreme in conf. da 2 per es. pastiglia a 3 fasi, 2 x 44 pastiglie, 14.80 invece di 29.60, offerta valida fino all’11.7.2016
Hit 5.– Panni detergenti universali in fleece confezione, 15 pezzi, offerta valida fino all’11.7.2016
30% Azione assortimento Tutto l’assortimento di occhiali da sole o da lettura per es. occhiali da sole, marrone marmorizzato, il pezzo, 34.90 invece di 49.90, offerta valida fino all’11.7.2016
Altre offerte. Frutta e verdura
Detersivo Elan Power Fresh in conf. speciale, Active o Color Powder, 7,5 kg, per es. Color, 23.10 invece di 46.30 50% **
Near Food/Non Food
Bicchieri Acqua o Longdrink Cucina & Tavola Tricolore in conf. da 2, per es. bicchieri Acqua, 28 cl, 2 x 3 pezzi, 6.90 invece di 13.80 2 per 1 **
Fiori e piante Panni in microfibra, per es. strofinacci, confezione, 3 pezzi, 4.60 invece di 6.90 33% **
Novità
PUNTI
20x
Tazze di marche di culto, disponibili in 4 motivi, per es. tazza Vanille, 2.50 Hit ** Zucchine, Svizzera, al kg 3.60 invece di 5.70 35%
Pesce, carne e pollame Tutto l’assortimento salmone fresco, Norvegia, per es. filetto dorsale di salmone, per 100 g, 4.05 invece di 5.80 30% Fino al 2.7
20%
Tutto l’assortimento di sushi, con specialità giapponesi, per es. sushi Maki Mix: tonno, pesca, Filippine; salmone, allevamento, Norvegia, 150 g, 7.10 invece di 8.90 20%
Azione assortimento Tutti i detersivi per capi delicati Yvette liquidi per es. Care in conf. di ricarica, 2 l, 8.95 invece di 11.20
Hamburger alla birra, Svizzera, in conf. da 2 x 120 g/240 g, 2.50 invece di 3.60 30% Salame Strolghino Beretta, Italia, 180 g, 6.– invece di 7.50 20% *
Pane e latticini
20% Conf. da 2 in azione Detersivi Elan in conf. da 2 per es. Summer Breeze, 2 x 2 l, 22.20 invece di 27.80, offerta valida fino all’11.7.2016
30% Conf. da 2 in azione Deodoranti Rexona in conf. da 2 per es. aerosol compressed Cotton, 2 x 75 ml, 3.95 invece di 5.70, offerta valida fino all’11.7.2016
a partire da 2 pezzi
40%
Bouquet di rose Fairtrade, lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, mazzo, 30 pezzi, 13.50 Hit Girasoli, mazzo, 5 pezzi, 9.65 invece di 12.90 25%
Crystal White SodaStream, gasatore con 2 caraffe di vetro e 1 cilindro con anidride carbonica, il pezzo, 149.– Hit ** Cilindro con anidride carbonica SodaStream, con caraffa di vetro in omaggio, 48.50 Hit ** Salvapentole, 5 pezzi, 7.90 Hit **
Altri alimenti Gelati G7, 500 g, per es. Gelato spagnola variegato, 500 g, 3.10 invece di 3.90 20%
Lunchbox o scatola rotonda di marche di culto, disponibili nei motivi Erdbeer, Chocolat o Vanille, per es. lunchbox Vanille, il pezzo, 6.90 Hit **
Penne, spaghetti e fusilli Delverde, 1 kg, per es. Spaghetti Delverde, 2.30
Accendini elettronici delle marche di culto in set da 6, Limited Edition, 4.50 Hit **
Palline di cioccolato Frey in sacchetto da 750 g, UTZ, al latte finissimo, Giandor o assortite, per es. assortite, 11.– invece di 18.60 40%
Palloncini di marche di culto, assortiti, 30 pezzi, 8.90 Hit **
Tutte le capsule Twin UTZ, per es. Cappuccino, 16 capsule, 3.70 invece di 6.20 40%
Tutte le torte e i tranci alle carote, per es. tortina di carote, 2/190 g, 4.05 invece di 5.10 20%
Caffè in chicchi o macinato Boncampo, UTZ, con palla gonfiabile gratuita, 4 x 500 g, per es. in chicchi, 12.30 invece di 18.40 33%
Torte Foresta nera, 440 g, 7.25 invece di 10.40 20% Da giovedì a sabato
Feldschlösschen senz’alcol, 6 x 50 cl o 10 x 33 cl, per es. 10 x 33 cl, 7.60 invece di 10.90 30%
Panettone e pandoro al metro, 440/380 g, per es. panettone al metro, 440 g, 5.20 invece di 6.50 20%
Tutti i sorbetti in vaschette o in vasetti, per es. al limone, 125 ml, 1.35 invece di 1.70 20%
Pane Val Morobbia, 320 g e 550 g, per es. 550 g, 2.85 invece di 3.40 15%
Kellogg’s in conf. da 2, per es. Special K, 2 x 500 g, 7.60 invece di 9.50 20%
Azione assortimento
Set bombe d’acqua, 250 pezzi, 9.80 Hit ** Candele scaldavivande, 21 pezzi, 5.90 Hit **
Acqua micellare Oil in Water Garnier, 400 ml, 7.50 Novità ** Crema Pro-Calcium Rosé L’Oréal Age Perfect, 50 ml, 22.50 Novità ** Crème Gloss L’Oréal Casting, 515 Chocolat Glace, 680 Choco Moccacino o 780 Caramel Moccacino, per es. 515 Chocolat Glace, il pezzo, 8.50 Novità ** L’Oréal Excellence Age Perfect, 5.03 castano dorato o 6.35 castano chiaro mogano dorato, per es. 6.35 castano chiaro mogano dorato, il pezzo, 9.40 Novità **
Contenitori multiuso in conf. da 3, bianchi o grigi, 3 x 10 litri, 15.– Hit **
Crème de mousse L’Oréal Elnett, volume o ricci, per es. volume, 200 ml, 5.50 Novità **
Appendiabiti in conf. da 12, neri, 5.– Hit **
Shampoo antiforfora Elseve all’argilla, 250 ml, 3.55 Novità **
Slip da bambina in conf. da 5 o boxer da bambino in conf. da 3, disponibili in diversi colori e misure, per es. slip da bambina in conf. da 5, fucsia, tg. 98/104, 9.90 Hit **
Cracker alla barbabietola Alnatura, 75 g, 2.20 Novità *,**
Boxer aderenti o slip da uomo John Adams in conf. da 2, disponibili in diversi colori e misure, per es. boxer aderenti, neri, tg. M, 12.90 Hit ** Slip da donna Ellen Amber in conf. da 3, disponibili in diversi colori e misure, per es. slip mini, rosa, tg. S, 9.90 Hit **
Tutto l’assortimento Covergirl a partire da 2 pezzi, 40% di riduzione
Confetture estive, ananas-maracujamango-limetta o fragola-limettacocco, per es. ananas-maracujamango-limetta, 350 g, 2.90 Novità **
Pistacchi Alnatura, 125 g, 4.90 Novità *,** Salse per grigliate Alnatura, barbecue o all’aglio, per es. barbecue, 250 ml, 2.50 Novità *,** Polenta, semolino di granoturco fino TerraSuisse, aha!, 500 g, 1.80 Novità ** Quinoa Mix Migros Bio, 250 g, 4.– Novità **
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino all’11.7 Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
40%
49.90
30% 41.90 invece di 59.90 Scarpe per il tempo libero Adidas Duramo da donna o da uomo numeri 38–44, il paio, per es. da uomo, n. 42, offerta valida fino all’11.7.2016
20% 9.95 invece di 12.60 Rasoio usa e getta Blue II Plus Slalom Gillette in conf. da 2 2 x 10 pezzi, offerta valida fino all’11.7.2016
20%
Esempio: Micro Scooter Mini 3 in 1
Azione assortimento Tutto l’assortimento Zoé per es. crema da giorno rassodante Revital, 50 ml, 10.70 invece di 13.40, offerta valida fino all’11.7.2016
Tutte le offerte sono valide dal 28.6 all’11.7.2016, fino a esaurimento dello stock.
sportxx.ch OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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44.90 Esempio: Obscure Pattini in linea Neo II per bambini
Azione
a partire da 2 pezzi
20% Azione assortimento Tutte le barrette ai cereali Farmer a partire da 2 pezzi, 20% di riduzione Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli giĂ ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 28.6 AL 4.7.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
I am Soap
E lo sporco se ne va Lavano via gli odori e lo sporco dalle mani e le curano delicatamente. Ma alcuni saponi liquidi di I am fanno ancora di più: in base alle ultime conoscenze scientifiche sono stati sviluppati tre saponi che rispondono ad ulteriori esigenze dell’igiene quotidiana. I saponi sono delicati sulla pelle e disponibili in un pratico dispenser
2 Quello basico Il sapone cremoso dolce per l’igiene ottimale delle mani. Pulisce delicatamente grazie alla formulazione esente da alcali ed è pertanto indicato per il lavaggio frequente delle mani.
Quello forte Finissime perle di peeling eliminano perfino lo sporco più ostinato. Inoltre esercita un delicato effetto esfoliante mentre si lavano le mani. Per mani morbide e curate.
1 I am sapone igienico plus 300 ml Fr. 3.–
I am sapone peeling 300 ml Fr. 3.–
3
Illustrazioni: Nina Tiefenbach
Quello delicato Il pregiato olio d’argan dona quel tocco in più a questo sapone. La formulazione cremosa idrata la pelle in profondità.
I am sapone crema all’olio 300 ml Fr. 3.20
L’M-Industria produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche i saponi di I am.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Boncampo
Un caffè per tutti Per gli amanti del caffè è impensabile una vita senza l’energia della caffeina. Non è necessario avere una macchina costosa, basta una Bialetti. Un buon caffè per questo modo di preparazione è il Boncampo. Questa intensa miscela di caffè possiede tutti gli atout per ottenere un’ottima bevanda ristretta dalla moka – e questo da oltre 60 anni. Oggi come allora Migros tosta il proprio caffè in modo autonomo. La miscela di chicchi di Arabica e Robusta, però, non è solo indicata per la Bialetti: anche con le macchine da caffè automatiche o con filtro si ottiene un ottimo caffè. E in estate anche con il gelato, per un vero piacere rinfrescante.
Philipp Meier (30 anni) è stato due volte campione barista svizzero ed è esperto del caffè alla Delica di Birsfelden BL.
Philipp Meier
*Azione 33% di ribasso sul caffè Boncampo in conf. da 4 con palla gonfiabile gratis dal 28.6 al 4.7
Per un rinfresco estivo: caffè con gelato Boncampo e caffè freddo servito con molto ghiaccio.
«Scaldare prima l’acqua nel bollitore» Philipp Meier, come deve essere macinato il caffè per l’utilizzo nella Bialetti? Il caffè dovrebbe essere macinato fine, più fine rispetto per esempio a quello per la macchina da caffè. È indispensabile perché il caffè rimane a contatto con l’acqua solo per breve tempo. Dalle piccole particelle del caffè macinato fine si sprigiona molto aroma. Con la macchina da caffè bisogna premere forte la polvere di caffè. E con la Bialetti? Non è necessario. È sufficiente battere due volte il filtro sulla superficie di lavoro affinché il caffè si distribuisca in modo uniforme. Consigli per la preparazione con la Bialetti? Sarebbe utile scaldare prima l’acqua nel bollitore. In questo modo si evita che la Bialetti si surriscaldi e la polvere di caffè si scaldi troppo. Inoltre si evita il sapore di metallo che si forma lasciando troppo a lungo l’acqua nella caldaia. Quando inizia a fischiare, mettere la moka su un panno umido, in modo che il caffè non bruci e non sappia di metallo.
Un classico: la Bialetti per un caffè corposo.
Affogato al caffè Per 2 bicchieri
Boncampo Classico macinato 4 x 500 g Fr. 13.10* invece di 19.60
Boncampo Classico in chicchi 4 x 500 g Fr. 12.30* invece di 18.40
Preparazione Versate ca. 2 dl d’acqua nella caldaia di una caffettiera Bialetti per due tazze. Sistemate l’imbuto nella caldaia e riempitelo con ca. 2 cucchiai di caffè macinato Boncampo. Avvitate la parte superiore e mettete la caffettiera sul fuoco. Quando il caffè avrà riempito la parte superiore della caffettiera, toglietela dal fuoco. Riempite i bicchieri con 1-3 palline di gelato alla vaniglia. Versate il caffè bollente sul gelato e servite subito.
Utz è sinonimo di una produzione di caffè rispettosa dell’uomo e della natura, che permette ai produttori di migliorare il raccolto e incrementare il proprio reddito.
L’M-Industria produce numerosi prodotti, tra cui anche i caffè Boncampo.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
Idee e acquisti per la settimana
Mega Win
Incolla e vinci! La famiglia di Daniel B. è felice di potersi accomodare all’aperto nella confortevole lounge da giardino, mentre la tifosa di calcio Karin S. si dice lieta di poter spendere 1000 franchi in articoli sportivi assieme al marito e ai figlioletti. La stagione dei premi Mega Win è appena cominciata
Mega Win
Vinci ora! Mentre le squadre europee si affrontano per conquistare il titolo, anche voi potete vincere, con un po’ di fortuna e con minore impegno fisico: Mega Win è dotato di un monte premi di oltre 500’000 franchi, composto tra l’altro da televisori a schermo curvo Oled, da grill a gas Weber Premium. Ci sarà la possibilità anche di aggiudicarsi il mega-premio: un viaggio di sogno del valore di 10’000 franchi.
Daniela B. (39 anni) Maestra elementare di Steinach (SG) Vincita: una lounge da giardino Do-it + Garden del valore di ca. Fr. 3094.–
«Non riuscivo quasi a crederci, pensavo di aver incollato male gli adesivi. La lounge da giardino è un bellissimo premio e non l’avevamo ancora. Mio marito, i miei tre figli ed io amiamo stare all’aperto e grigliare qualcosa di buono tutti assieme. Abbiamo spesso gente che ci fa visita, con cui trascorriamo molte ore in relax. Gli Europei di calcio li guardiamo a casa, ma ogni tanto andiamo a vederli nella lounge allestita ad Arbon. Qui incontriamo amici con cui condividere l’atmosfera festosa. Naturalmente il nostro cuore batte per la Svizzera, ma mi auguro che l’Italia vada in finale, perché quel giorno ci troveremo in Italia».
Ecco come procedere: fino all’11 luglio per ogni acquisto del valore di 20 franchi* i clienti riceveranno un set da due autocollanti e un «Win Code». Gli autocollanti andranno posizionati nelle caselle corrette della speciale tessera di partecipazione. Quando tutti e sei i simboli della vincita saranno incollati sopra le immagini giuste ecco che il premio sarà vostro.
Karin S. (44 anni) Bibliotecaria di Eschlikon (TG) Vincita: un buono acquisti di Sport XX del valore di Fr. 1000.–
«Nei giochi a premi non ho mai avuto fortuna. Perciò non mi aspettavo proprio di vincere. Dopo aver incollato tutti gli adesivi sono rimasta sbalordita e ho pensato che per una volta avrei investito nelle spese d’invio, lasciandomi sorprendere se fosse arrivato qualcosa. La gioia è stata grande. Ho aperto il buono acquisti assieme a tutta la famiglia. Non abbiamo ancora deciso cosa ne faremo. Guardare le partite di calcio è la mia grande passione sportiva. Guardo quelle degli Europei assieme ai miei figli. Spesso, mio marito si unisce a noi solo verso la fine, a meno che non giochi la Svizzera. Non è un gran tifoso, ma gli piace commentare».
Per partecipare con il WinCode: inserite il codice della vincita sul sito www.migros.ch/megawin o nell’App gratuita e saprete subito se uno dei 375 premi immediati è vostro. Allo stesso indirizzo trovate ulteriori informazioni e set di autocollanti gratuiti.
* per ogni acquisto al massimo 10 set di autocollanti, fino a esaurimento della disponibilità.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Soft
Per una pulizia impeccabile
*Azione 20% di ribasso sulla carta igienica umida Soft nella confezione da 3 fino all’11 luglio fino esaurimento scorte
Le salviettine umide Soft sono ideali per l’igiene dopo l’uso della toilette. Le tre varianti sono pensate per esigenze diverse: per la pelle sensibile si sceglierà la Sensitive con una lozione curativa rinfrescante a base di aloe vera o le supermorbide salviettine Camomilla con estratto di camomilla ad effetto lenitivo. Anche la variante sandard Comfort è arricchita da una lozione benefica per la pelle. Soft Sensitive carta igienica umida Azione sulla confezione da 3, 3 x 50 pezzi Fr. 5.50* invece di 6.90
Soft Camomilla carta igienica umida Azione sulla confezione da 3, 3 x 50 pezzi Fr. 7.20* invece di 9.–
Soft Comfort carta igienica umida Azione sulla confezione da 3, 3 x 50 pezzi Fr. 3.45* invece di 4.35
Soft Comfort carta igienica umida box 50 pezzi Fr. 2.20 Le salviettine umide sono biodegradabili e facilmente idrosolubili.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 27 giugno 2016 ¶ N. 26
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Idee e acquisti per la settimana
Tradition Sauce Française aux herbes 450 ml Fr. 4.90
Tradition
Tradition Sauce Balsamique 450 ml Fr. 5.50
Solo con ingredienti freschi La linea Tradition con Française aux herbes, Française Balsamique e Italian offre quattro salse Premium per l’insalata, tutte prodotte con ingredienti freschi secondo ricette tradizionali. Non contengono nessun colorante, conservante o aroma artificiale. Le varianti Française e Balsamique sono disponibili anche come mini porzione da 60 millilitri. Prima del consumo le salse andrebbero agitate bene affinché tutti gli ingredienti si possano amalgamare come si deve.
Tradition Sauce Française 60 ml Fr. –.70
L’M-Industria produce numerosi prodotti, tra cui anche le salse per insalata Tradition. Annuncio pubblicitario
Tutte le offerte sono valide dal 28.6 all’11.7.2016, fino a esaurimento dello stock.
50%
44.90 JD Monopattino Classic 3 Rotelle da 145 mm
50%
50%
50%
24.95
74.50
Odlo T-shirt da corsa da donna Taglie S – XL
Taste Longboard
69.50 Merrell Scarpa estiva da donna /uomo Coastrider Numeri donna 37– 42 Numeri uomo 42 – 46
50%
40%
50%
44.90
49.90
39.95
Obscure Pattini in linea Neo II Disponibili anche in modello da bambina
Micro Monopattino Mini 3 in 1 Disponibile anche in blu
Trevolution Giacca da trekking da bambina Stampa allover
30% sportxx.ch Ordina ora online senza costi di spedizione.
55.90
Intex Piscina per famiglia Dimensioni 224 x 216 x 76 cm, volume 640 litri
APERTURA FESTIVA LUGANO CENTRO PARADISO CASSARATE MOLINO NUOVO LOCARNO MINUSIO SOLDUNO TENERO ASCONA DO IT + GARDEN LOSONE
Mercoledì 29 giugno Festa Santi Pietro e Paolo
Siamo aperti dalle 10 alle 18
BUONO OMAGGIO per una fragrante baguette «del forno di pietra» Offerta valida fino ad esaurimento delle scorte. Buono valido esclusivamente il 29.6.2016 presso Migros Lugano Centro, Paradiso, Cassarate, Molino Nuovo, Locarno, Minusio, Solduno, Tenero, Ascona e Do it + Garden Losone. 1 solo buono originale per cliente.
Ti aspettiamo!