Azione 48 del 24 novembre 2014

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Un’iniziativa della Migros a favore di:

Musicisti svizzeri cantano per i piÚ bisognosi in Svizzera. Tutte le informazioni sull’iniziativa di beneficenza natalizia su migros.ch/natale


Musicisti svizzeri cantano per le persone bisognose in Svizzera e aiutano a fare in modo che il Natale sia una festa per tutti. Sostieni anche tu l’azione della Migros con una donazione o scaricando la canzone natalizia. La Migros raddoppia le donazioni raccolte fino a un importo massimo di 1 milione di franchi. Fai una donazione direttamente con un buono o per SMS. Consegna i buoni sottostanti alla cassa della tua filiale Migros, Micasa, SportXX , Melectronics o Do It + Garden. L’importo ti sarà addebitato direttamente. In alternativa, invia per SMS l’importo che desideri donare con la parola chiave «Migros» al numero 455. Ecco un esempio: per una donazione di 50 franchi invia «Migros 50» al 455.

Maggiori informazioni sull’iniziativa di beneficenza natalizia su migros.ch/natale.

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10.-

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 24 novembre 2014

M sh alle p opping agin e 49 -60

Azione 48

Società e Territorio Intervista alla sociologa Marina D’Amato autrice del saggio Ci siamo persi i bambini

Ambiente e Benessere È calata l’attenzione sull’AIDS. I giovani sembrano meno consapevoli dei rischi ma, nonostante sia aumentata la speranza di vita, la malattia resta inguaribile

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Politica e Economia Attacco terroristico alla sinagoga di Gerusalemme

Cultura e Spettacoli Migros e promozione culturale: un importante studio

pagine 14-15

pagina 5

pagina 29

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L’universo di Giovanni Segantini

di Gianluigi Bellei pagina 35

Pensioni, il momento della verità di Peter Schiesser Il cantiere per riformare il sistema pensionistico è formalmente aperto: il 19 novembre Alain Berset ha presentato il messaggio del Consiglio federale alle Camere sulla «Previdenza per la vecchiaia 2020», un progetto di legge per garantire in futuro sia il livello di prestazioni del primo e del secondo pilastro, ossia AVS e previdenza professionale, sia la loro finanziabilità. Una riforma che oggi si fa davvero urgente, considerando che l’ultima riuscita revisione dell’AVS risale al 1994 con la consigliera federale socialista Ruth Dreifuss, e che dal 2030 si prevedono disavanzi di 8 miliardi di franchi l’anno per il Fondo AVS. Sia a destra sia a sinistra si sta facendo largo la consapevolezza della necessità di trovare soluzioni per rinsaldare le basi dei due principali pilastri del sistema pensionistico, ma, come spesso accade in ambito di assicurazioni sociali, i diversi schieramenti politici hanno idee diverse su che cosa vada cambiato, ciò che rende difficile se non impossibile la ricerca del consenso. Anche la riforma Berset corre il rischio di fallire. Ma il Consiglio federale è disposto a correrlo, poiché non è più tempo di mezze soluzioni.

Ecco quindi che il Governo osa puntare su una riforma che comprenda in un solo pacchetto una revisione dell’AVS e della previdenza professionale, dopo che i tentativi di riforme parziali sono stati tutti bocciati negli ultimi 10 anni. Vi inserisce un aumento dell’età di pensionamento per le donne da 64 a 65 anni, una flessibilizzazione dell’età di pensionamento, possibile da 62 fino a 70 anni, introducendo anche rendite AVS parziali per chi intende lavorare a tempo parziale oltre i 62 anni, un aumento in due tappe di 1,5 punti percentuali dell’IVA, un abbassamento dell’aliquota minima di conversione dal 6,8 al 6% in quattro anni del capitale del secondo pilastro, un meccanismo di intervento qualora il livello del Fondo di compensazione dell’AVS dovesse scendere sotto il 70% delle uscite di un anno, una riduzione delle rendite vedovili e al contempo un aumento di quelle per i superstiti, ed altro ancora. In sostanza, riprende alcune richieste avanzate dal mondo dell’economia e dal centro destra (aumento dell’età di pensionamento delle donne e riduzione dell’aliquota minima di conversione dal 6,8 al 6%) e al contempo risponde alle richieste della sinistra di un aumento del tasso dell’IVA, di un mantenimento del livello delle prestazioni di primo e secondo pilastro e

di non aumentare oltre i 65 anni l’età di pensiomanto per tutti. Eppure, questo potrebbe non bastare per fare accettare la riforma dalle Camere federali. A destra si critica aspramente l’idea di un unico e indissolubile pacchetto di riforme, che si mantenga l’età di pensionamento a 65 anni e che la riforma venga finanziata per il 90 per cento aumentando le entrate. A sinistra si contesta l’aumento dell’età di pensionamento delle donne e la riduzione del tasso di conversione per i capitali del secondo pilastro. Rispetto a 20 anni fa, in parlamento è certo venuta (molto) meno la volontà di trovare compromessi e l’abitudine alla polarizzazione potrebbe indurre una maggioranza di deputati a frazionare il pacchetto di riforme eliminando gli aspetti sgraditi, come accaduto in passato. Con il risultato di varare una riforma squilibrata che verrebbe di nuovo bocciata dal popolo. Il fatto è che oggi non resta molto tempo per evitare disavanzi di 8 miliardi all’anno dal 2030. Se la riforma dovesse fallire, il Consiglio federale dovrebbe optare con urgenza per un aumento delle entrate, quindi alzando il tasso dell’IVA e/o dei prelievi sugli stipendi. La discussione in Parlamento, dapprima agli Stati, comincerà nel 2015, capiremo presto quale destino attende la riforma Berset e noi cittadini.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 24 novembre 2014 ¶ N. 48

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Attualità Migros

M Venticinque anni di lavoro insieme Incontri A colloquio con PierAugusto Morisoli (al centro nella foto), che con i suoi colleghi della Fondazione

Il lunedì mattina in «Rampa 2» è sempre un momento molto impegnativo. Questa sezione, che ha a carico lo smaltimento del materiale da riciclare, al sabato non lavora. Ma le filiali Migros sì. I camion in arrivo dal primo giro della settimana riportano dunque a Sant’Antonino un carico doppio rispetto al solito. Palette di legno, cassette grigie e verdi per alimenti, sacchi di bottiglie in plastica recuperate, vetri da riciclare: tutto si ammassa sotto questa tettoia. L’educatore PierAugusto Morisoli («Qui mi chiamano tutti Pier, però») ci conduce in questa visita d’inizio settimana negli spazi in cui lavorano alcuni utenti della Fondazione Diamante, integrati in un progetto di reinserimento professionale all’interno della struttura aziendale di Migros Ticino. «Le persone attualmente occupate sono dodici» ci spiega l’educatore. Insieme al collega Stefano Bernaschina (a sinistra nella foto) si occupa di accompagnarle nella pratica quotidiana del lavoro. Questo gruppo di utenti della Fondazione Diamante, tutti al beneficio di un sussidio di invalidità, ha trovato presso la Cooperativa ticinese la possibilità di un reinserimento professionale e sociale. Un’esperienza di reintegrazione che festeggia quest’anno il 25mo dalla messa in opera. E Morisoli, dal canto suo, li festeggia per un doppio motivo: in primis perché è stato lui ad iniziare concretamente l’esperienza, nel 1989, e in seconda battuta perché quest’anno è quello del suo pensionamento. Il traguardo è quindi per lui particolarmente significativo. Ma torniamo alla nostra visita: come ci spiega Morisoli, gli utenti sono collocati in diversi settori, a seconda delle loro capacità e attitudini. «Il lavoro nella sezione dello smaltimento e riciclaggio è quello che richiede maggiore impegno fisico. Ci sono da recuperare le cassette in plastica delle verdure: vanno impilate, fissate e caricate sui camion per essere riinviate nella Svizzera interna; ci sono cartoni

Stefano Spinelli

Diamante segue le persone attive nel progetto di reinserimento professionale in collaborazione con Migros Ticino

e vetri da depositare in apposite benne; le bottiglie e i contenitori di plastica che vengono dalle filiali (di cui recentemente Migros Ticino ha iniziato la raccolta) che vengono pressate e compattate in grandi balle. Saranno recuperate, per produrre copertura in plastica per i fili elettrici. E poi c’è tutta la sezione con gli apparecchi elettronici da inviare allo smaltimento». Non si sta con le mani in mano, dunque, in questo settore e gli educatori, nel momento del bisogno, devono essere pronti a rimboccarsi le maniche per aiutare i loro protetti. Il lavoro infatti deve poter progredire senza intoppi. «Le cose vanno bene» dice Morisoli «al punto che in questi 25 anni abbiamo assunto sempre maggiori compiti. Gli utenti si sono ben inseriti in vari settori dell’azienda, con soddisfazione di tutti». «Quando non ci sono ne sentiamo la mancanza» ci conferma annuendo Walter Centurione, Responsabile logistica di Migros

Un saluto ai colleghi Lo scorso 6 novembre è stato organizzato un aperitivo di commiato per i neo-pensionati di Migros Ticino, che hanno concluso questo mese la loro attività. La foto qui sotto li trova riuniti in gruppo. Si tratta di: Fabrizia Bianchi, Angela Bongiorno, Mariangela Campana,

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Wilma De Giorgi, Riccardo Ferrari, Ezio Fioravanzo, Severino Giorgini, Silvia Maria Lorenzi, Simone Luethi, Assunta Massera, Erika Meoli, Vincenza Restaino, Geo Rodoni, Carmen Salis, Filomena Savalli, Giliola Zocca. Non presenti: Ezio Borromini e Arturo Catenazzi.

Ticino, e ci dimostra che il lavoro degli utenti della Diamante non è un semplice passatempo, anzi. Morisoli continua: «Certo non è sempre facile individuare il settore in cui una persona può trovare il suo spazio. In alcuni casi noi stessi eravamo scettici sulle possibilità di inserimento di alcuni, ma siamo stati smentiti dai fatti». Occorre valutare con cura per poi trovare a ognuno il ruolo più confacente e del resto, in un’attività ampia e piena di sfaccettature come quella di Migros Ticino, le possibilità sono molte. Lo smistamento della posta interna, ad esempio, è una mansione che viene ricoperta con successo da un utente della Fondazione Diamante. «I colleghi gli danno un piccolo aiuto proprio il lunedì mattina, che si conferma momento molto impegnativo» ci spiega Morisoli. Un altro utente è occupato nel servizio dopo vendita, un ambito particolarmente complesso legato alla riparazione dei prodotti elettronici. «Qui

fino all’anno scorso lavorava un altro di coloro che sono seguiti da noi, un ragazzo che ha mostrato un grado di indipendenza e di capacità così buono da spingerci a indirizzarlo su un percorso di formazione professionale pratica. Ha seguito un corso di formazione nell’uso di muletti elettrici da carico e ora sta svolgendo un apprendistato come magazziniere, sempre da Migros Ticino». In molti casi quindi, il piano di inserimento professionale può preludere al raggiungimento di un maggiore grado di responsabilità e di competenza. Tutto ciò viene naturalmente discusso e pianificato dall’équipe della Fondazione, che accompagna i propri utenti utilizzando piani personalizzati, con la definizione di obiettivi educativi e di misure di accompagnamento. In questo gli operatori possono contare sul sostegno della Fondazione stessa, che mette loro a disposizione il suo bagaglio di competenze e la possibilità di far capo a una supervisione.

Cinque nuovi specialisti nella vendita al dettaglio

Il 14 novembre scorso si è tenuta a Bellinzona la cerimonia di consegna degli attestati di Specialista del commercio al dettaglio, un attestato professionale federale proposto dalla Commissione per la Garanzia di qualità. Erano presenti Michele Bertossa, responsabile dell’organizzazione degli esami in Ticino, Francesco Franchini, Capo Ufficio formazione commerciale e dei servizi,

ed Enzo Lucibello, Presidente della Disti Distributori Ticinesi. Per Migros Ticino era presente inoltre Rosy Croce, Responsabile del dipartimento risorse umane (prima a sinistra nella foto). I diplomati sono, da destra: Oliver Belfiore, Jasmine Bracelli, Sergio Zimmermann, Marzia Merelli, Luigi Maggiotto.

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

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«Questa esperienza venticinquennale ci mostra che l’inserimento nell’organico di persone con problemi di disabilità è possibile e può fornire un contributo effettivo all’azienda». Si tratta qui di un aspetto estremamente importante: non si vuole proporre ai disabili un semplice impiego del tempo ma si vuole piuttosto fare in modo che possano dare un proprio contributo al processo produttivo, ciò che valorizza e «normalizza» il loro impegno. «Una delle cose più belle è vedere che queste persone diventano davvero parte dell’azienda, sono riconosciute ed apprezzate dai loro colleghi» continua Morisoli, sottolineando l’aspetto sociale della loro esperienza. E continua: «Come ha affermato la presidente del Consiglio di Amministrazione di Migros Ticino, Monica Duca Widmer, nella serata pubblica che si è tenuta a Lugano per questi 25 anni di collaborazione, Migros di per sé è un’azienda che promuove i valori della responsabilità sociale. Un impegno che si concretizza anche nella scelta di Migros Ticino di inserire nel proprio assortimento una serie di prodotti alimentari che vengono da laboratori protetti, rigirando poi interamente i proventi della vendita ai rispettivi istituti». Guardando al percorso della sua esperienza compiuta Pier Morisoli non ha molta voglia di pensare al passato: «Mi piace di più vedere quali sono i risultati ottenuti nel presente, e cercare di immaginare come questa esperienza potrà continuare nel futuro. Ci siamo mossi considerando i bisogni e le capacità dei nostri utenti e mantenendo al tempo stesso un ottimo rapporto con l’azienda e le sue necessità. L’abbiamo anzi seguita nel suo sviluppo degli ultimi decenni. Contiamo di continuare a farlo». Morisoli questa volta non ci sarà: mentre lui si godrà il meritato riposo, il suo posto sarà preso da Valentina Cavadini (a destra nella foto). Ma il lavoro continuerà sul solco tracciato. /AZ

Ritiro di prodotto Per ragioni di sicurezza, la ditta tedesca Gutkes GmbH richiama i rilevatori di fumo Certa FMR 4030. Il richiamo tocca anche Do it+Garden Migros e OBI Svizzera. A causa di un problema di materiale il rilevatore non può garantire la protezione prescritta dalla legge. Il modello Certa FMR 4030, reca il codice Data Matrix del lotto numero 1304A ed era in vendita da un anno in alcune filiali Do it+Garden con il numero d’articolo 6140.759 al prezzo di CHF 9.95. Le filiali di OBI Svizzera proponevano il prodotto in confezione da uno e da quattro pezzi con i numeri d’articolo 469861 e 469862. Chi riporterà i rilevatori difettosi nei punti vendita potrà restituire il prodotto e ottenere il rimborso del prezzo d’acquisto.

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 24 novembre 2014 ¶ N. 48

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Società e Territorio La boxe che cambia la vita Uno sport antico che appassiona e che può svolgere un utile ruolo sociale: intervista a Lucio Gallicchio

Chi ha paura della matematica? È la materia scolastica che suscita emozioni negative per eccellenza, il professor Pietro De Martino spiega perché pagina 9

Il progetto ForTi e la linea LONA Abbiamo visitato il fortino di Mairano lungo la linea difensiva tra Lodrino e Osogna, una delle tappe previste dagli 11 percorsi tematici allestiti da ForTi pagina 10

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Modelli di perfezione, proiezioni narcisistiche, adultizzazione precoce: il rischio è che l’infanzia scompaia. (Keystone)

I bambini non sono supereroi

Famiglia Nel suo ultimo saggio Marina D’Amato riflette sulle ansie dei genitori contemporanei

e invita a un cambiamento di rotta basato sull’accoglienza, l’accettazione e l’attenzione

Laura Di Corcia A volte sono piccoli Maradona incompresi dall’allenatore. Altre, future Carle Fracci anche se hanno appena approcciato le punte. La canzone parlava chiaro, ogni scarrafòne ecc. ecc., e se da un lato l’atteggiamento è giustificato e naturale, dall’altro è lecito interrogarsi su quali effetti abbiano sui bambini i modelli di perfezione riversati su di loro dai genitori. Ragiona su questi temi, sui contraccolpi delle manie narcisistiche tipiche della nostra epoca su un territorio delicato e al contempo forte come l’infanzia, lo snello ma denso di contenuti e riferimenti Ci siamo persi i bambini, l’ultimo libro di Marina D’Amato, Professore ordinario di sociologia presso il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università Roma Tre. Il sottotitolo, Perché l’infanzia scompare, suona come un campanello d’allarme che non può essere trascurato. Professoressa D’Amato, il titolo del suo libro pare un po’ contraddittorio rispetto a certe sententiae sulla nostra contemporaneità: siamo o non siamo nell’epoca dei bamboccioni,

dei trentenni che non riescono a diventare adulti?

voro non c’è, si va in direzione della preoccupazione.

Il titolo è una provocazione e anche un’affermazione. Vuol passare il messaggio che la caratteristica precipua della post-modernità è una società che presenta adulti sempre più infantili, i quali hanno bisogno di far crescere il più rapidamente possibile i bambini, adultizzandoli, per mettersi al loro livello.

La tesi principale del libro è che la preoccupazione, appunto, sostituisca l’attenzione.

Addirittura.

Gli esempi sono tanti e ce li abbiamo davanti agli occhi quotidianamente: madri che si vestono come le loro figlie, padri che competono con i loro figli nei giochi multimediali e elettronici, lo sport inteso sempre di più come una gara piuttosto che come uno strumento educativo. Lo scopo? Far diventare i figli loro coetanei. E anche loro complici, da un certo punto di vista. E perché? Che desideri e che paure si nascondono dietro questi atteggiamenti?

Credo che alla base vi sia un’ansia che definirei da «supereroe»: pensano che i loro figli debbano diventare il meglio del meglio. Per placare questa paura, che non ha limiti, perché evidentemente la perfezione non esiste e il capola-

Preoccuparsi dei figli, e quindi offrire loro le opportunità più disparate in ogni ora della giornata, organizzandogli un’agenda di attività simile a quella di un Primo Ministro, non significa occuparsene, alla fine. Io sostengo che questa frenesia del fare – bambini che vengono mandati a studiare inglese a un anno, a nuotare a quattro mesi – significhi da un lato cercare la perfezione, che placa certe ansie genitoriali, dall’altra subordinare a questa preoccupazione l’attenzione. Che ingloba l’attesa, il tempo della noia, il tempo del gioco e quello dell’ascolto. Si è passati da un eccesso all’altro. Prima i bambini venivano trascurati perché i problemi degli adulti erano più seri, ora vengono ricoperti di pseudo attenzioni ma il risultato non cambia.

Il concetto iniziale del libro è proprio questo: i bambini sono sempre esistiti, l’infanzia no. Ci sono diversi modi di rappresentare il bambino che riguardano la nostra cultura occidentale,

dal bambino egoista a quello innocente, puro angelicato, passando per il bambino scientifico, dove l’infanzia è vista come un oggetto da studiare per condurre l’individuo all’età adulta. La tipologia dell’oggi è quella di un bambino percepito come un prolungamento del proprio io, con scarsa attenzione alla persona. Ripercorrendo l’idea d’infanzia, si coglie un punto di snodo: fu il pudore nel tardo Impero romano, con l’avvento del cristianesimo, a separare gli adulti dai bambini. Così si definisce l’infanzia. Anche nel Medioevo l’infanzia scompare: i bambini facevano a tre anni quello che potevano fare a settanta, perché alcuni lavori non presupponevano competenze. E oggi l’infanzia è di nuovo scomparsa.

Grazie anche alla TV, perché adulto e bambino, pur avendo possibilità associative e mentali diverse, percepiscono un’analoga emotività se messi di fronte al piccolo schermo. Il fatto che la televisione parli per eccessi – sangue, grida, pianti, baci – in cui la dimensione sentimentale buca lo schermo, ha di nuovo creato una sorta di scomparsa dell’infanzia. Per comprendere il mondo che li circonda i bambini non hanno più

bisogno di un codice, venendo a mancare la necessità della lettura. Ci siamo persi i bambini per tutti questi motivi, e anche perché i genitori raccontano loro i fatti più personali, coinvolgendoli in modo improprio nelle loro dinamiche relazionali e sentimentali. Come facciamo a recuperarli?

Dobbiamo cambiare rotta. Occuparcene e non preoccuparcene. Tornare a pensare che sono persone, non supereroi. L’indagine che ho compiuto nelle sale d’aspetto degli ospedali italiani dove emergono i graffiti dei genitori che attendono la nascita dei figli testimonia che l’ansia fra la vita e la morte scatena un desiderio di perfezione che però non ha nulla a che vedere con la realtà. La chiave di volta? Riaccoglierli. Accompagnarli. Offrire loro possibilità e al di là delle nostre proiezioni narcisistiche. Accettare la loro dinamica esistenziale evitando di inserirla sin dalla nascita in un progetto precostituito. Bibliografia

Marina D’Amato, Ci siamo persi i bambini. Perché l’infanzia scompare, ed. Laterza, 2014.


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Società e Territorio

I giocatori di pugni Sul ring La boxe, uno sport che da sempre affascina scrittori e registi mentre fa paura al grande pubblico,

può avere un ruolo sociale utile. Incontro con Lucio Gallicchio Sara Rossi «Da tre anni vengo qui e non sono più lo stesso. Da quando ho cominciato a fare boxe non ho più voglia di picchiare nessuno». Fare pugilato, infatti, non è lo stesso che dare botte e qui te lo ripetono in continuazione. Siamo nella palestra di boxe e thai boxe di Lucio Gallicchio, il Boxing Team Luganese, da alcuni anni trasferitosi da Massagno a Cadro. Un ex garage rimesso a nuovo in modo accogliente, con molto legno, un bel divano all’antica, una palestra con i macchinari per gli esercizi, tanti sacchi duri appesi al soffitto e un ring sopraelevato per gli incontri di boxe. Alexandra ha scritto un libro dedicato a questa palestra e al suo gestore: «Una mia collega mi diceva: sei nervosa, fai boxe! Io cercavo di calmarmi con lo yoga, prendevo peso e non riuscivo mai a rilassarmi veramente. Mi sono iscritta di nascosto a un corso di pugilato e sono cambiata da così a così. Trattenevo la rabbia, ora incanalo le mie energie, conosco il mio corpo, sono dimagrita, sono più sicura di me stessa e ho più rispetto per quello che sono... tutto questo è positivo per me ma anche per tutti quelli che mi incontrano!». L’autrice si confida mentre fa gli esercizi, in canottiera e calzoncini, ci dà il suo libro, fatto di testi suoi, citazioni di grandi filosofi e campioni di pugilato e bellissime foto scattate da lei stessa. Le chiediamo se non le vien voglia di abusare di quella forza che ha sviluppato qui: «Intendi i muscoli? No! Mi fanno sentire più protetta, più sicura, quindi non ho nessun bisogno di usarli a sproposito...», sorride serena. Parliamo con il capo: Lucio Gallicchio, che ci rifila immediatamente anche lui un libro che gli hanno regalato e custodisce gelosamente in un cassetto: Il pugno d’oro. La prima enciclopedia storica del pugilato mondiale del 1969. Gallicchio ci parla prima di tutto di carattere e solo in seguito di tecnica o combattimento. «Ti cambia proprio! Con la boxe impari a combattere con metodo e regole, diventi leale, conosci te stesso. Puoi vincere molte volte, ma prima o poi arriva sempre qualcuno che è più forte di te, quindi devi essere furbo, tenace, attento... Sai come è difficile rialzarsi? Ed è la cosa più importante che dobbiamo imparare a fare!». Tutti i giorni alle cinque Lucio apre la sua accogliente palestra, i primi «allievi» sono già arrivati e lo aspettano. Fino alle sette ognuno fa quello che vuole, si allena con i punching ball, usa le macchine per correre o gli attrezzi per i muscoli delle gambe, solleva pesi, salta alla corda e si ingegna con ogni mezzo e fantasia per sudare il più pos-

«Sul ring non c’è il più forte, c’è il più intelligente e il più valido. È sempre la testa che ti fa muovere». (Stefano Spinelli)

sibile. Alle sette inizia il riscaldamento guidato, salti, torsioni, flessioni. Sbuffano i ragazzi più robusti mentre la donna tutta muscoli, l’allenatrice Patrizia, urla (mentre fa gli stessi esercizi): «Ancora cinque secondi, forza, non mollate!». La boxe tempra l’autostima, qui non si può dire: non ce la faccio. La mente è il muscolo più duro da allenare e può fare di tutto, può farti diventare una tigre, lanciarti come un campione del ring. Ma tra i venticinque o trenta frequentatori della palestra che vedo questa sera di novembre solo tre combattono, per gli altri questo gioco è un hobby che inizia e finisce dentro alla palestra di Cadro. «La boxe dà la grinta a chi è represso e contiene i ragazzi troppo focosi, perché qui permettiamo loro di sfogarsi ma con regole precise, diamo dei limiti e costruiamo una personalità pacifica e leale anche se insegniamo una tecnica di combattimento, quella del corpo a corpo», spiega Lucio. Già: a pensarci bene, perché fa più effetto vedere due persone che fanno a pugni, mentre ci sembra tanto elegante un duello con le spade? Sarà più raffinato infilzare qualcuno con una lama forse? In fondo, si tratta pur sempre di competere tra uomini, come da sempre l’essere umano ha fatto. La boxe è il

modo più nudo e crudo di battersi per la supremazia; la si associa alla strada, alla povertà e proprio questo è il suo stile: semplice e rude. Ma né più né meno crudele di qualsiasi altro sport. A parte il dolore fisico... «Ma chi lo sente durante un incontro, con tutta l’adrenalina che hai in corpo?», ride Lucio. «Ti fa male il giorno dopo, come quando vai in bici, a corsa o con gli sci!». Arriva uno dei ragazzi che prendono parte ai combattimenti. «La giornalista vuole sapere perché ti piace salire su un ring e pestare la gente!», gli dice l’istruttore. Il ragazzo mi guarda meravigliato: «No, non voglio picchiarmi con qualcuno, io. È un gioco, una tecnica, una prestazione che voglio svolgere bene perché mi sono allenato tanto». Anche per lui, come per Lucio e molti altri, la passione deriva dai racconti, dai ricordi di qualcuno, nel suo caso il nonno. Il mondo della boxe è ammantato di fascino, lo hanno riportato i film, i racconti di Jack London e spesso qualcuno in famiglia parla di un campione, tira fuori un aneddoto, si ammira un incontro di forza tra due uomini, il coraggio di arrivare fino ai propri limiti e di raggiungere uno scopo difficile, doloroso, che richiede una costanza e una forza interiore enorme: è così primordiale, così insito in ognuno di noi che tocca sempre una corda

sensibile, se non ci lasciamo impressionare troppo dal sangue e dalla violenza dei colpi. Do un’occhiata a quel prezioso librone enciclopedico sul pugilato. Vi leggo che gli antichi già praticavano il combattimento corpo a corpo, ma come una dimostrazione eroica che spesso finiva in un massacro. Un tempo non c’erano regolamentazioni né protezioni, si andava fino al limite del possibile e ci si fracassava spessissimo naso, mascella, nocche e talvolte si arrivava alla morte. Era impensabile, scrive l’Enciclopedia, «che qualcuno sostenesse 6 o 8 o 10 incontri l’anno come fanno abbastanza disinvoltamente molti pugili contemporanei». Con il Medioevo questo gioco cade in disuso, perché alla coscienza cristiana ripugnano gli sport violenti. In era moderna però torna alla luce nei Paesi angolofoni e piano piano acquista un regolamento che verrà messo a punto nell’Ottocento: vietati i colpi bassi (ecco da dove viene questa espressione!), proibito colpire un uomo a terra, obbligatorio l’uso dei guantoni, i tempi di match e round vengono delimitati, si creano le categorie di peso... La boxe si diffonde tramite le colonie inglesi, soprattutto in Nuova Zelanda e negli Stati Uniti. In certi periodi si abbina in modi illegali

gramma della TV lo hanno messo nella sezione della cultura!». Ma erano anche i tempi in cui la cultura veniva definita alta e per pochi, gli articoli erano spesso esercizi di stile e di retorica. Oggi, grazie a Internet, il confine tra cultura alta e bassa è praticamente eroso, sono aumentati i canali e le potenzialità di divulgazione e, soprattutto, non sono più soltanto i giornali a parlare di cultura ma anche blog e siti dedicati. Qualcuno, come il giornalista Claudio Magris, non crede alla cultura in Rete, anzi, è convinto che «l’eccesso di informazione, la velocità di pubblicazione e di fruizione, impedisca di selezionare e riflettere, mette in difficoltà i tempi dell’autentica cultura». Resta il fatto, che scrivere di cultura non è più prerogativa dei quotidiani e dei media mainstream. Forse, perché torni ad esserlo,

portando i lettori a vedere nel quotidiano se non «il luogo», uno dei luoghi autorevoli dell’incontro e dell’approfondimento, il quotidiano dovrebbe tornare a dare più valore alla cultura. Potrebbe essere una delle carte da giocare per riconquistare quella credibilità e quell’empatia con il lettore perse negli ultimi anni. E se è vero, come ha detto Corrado Augias, tra gli ospiti della serata luganese «Oddìo la cultura! Spauracchio o risorsa?», organizzata dalla CORSI (in collaborazione con l’Associazione ticinese dei giornalisti e l’Osservatorio europeo di giornalismo), che «i giornali fanno politica», e ai direttori non interessa che cosa esce nelle pagine di cultura dei loro quotidiani, forse è arrivato il momento di cambiare mentalità. Certo il valore alla cultura non possono darlo solo i giornali e i media,

al mondo delle scommesse e della malavita, ma sempre e sempre racconta di ragazzi venuti su da famiglie povere che con fatica ce la fanno, e quando poi sono scriccioli dai pugni d’oro che battono pesi massimi, Davide contro Golia, che romanzi, che film ne vengono fuori! Ma torniamo al nostro Lucio, che dai 10 anni in su porta ragazzini, donne, uomini e adulti inoltrati a credere in sé stessi e a trovare un equilibrio tra il dentro e il fuori: «Sul ring non c’è il più forte, c’è il più intelligente e il più valido. È sempre la testa che ti fa muovere. Vedi la frase su quella parete? L’ha scritta il filosofo Lao Tzu: “Se vinci gli altri sei forte, se vinci te stesso sei potente”. Per me è così: se vuoi comandare gli altri e sei succube di te stesso non hai capito niente della vita. Io voglio vincere me stesso, non mi importa degli altri, mi servono per un confronto, ma non voglio far male a nessuno». E cosa significa «vincere sé stessi»? «Non aver paura di affrontare l’ignoto, la vita; avere voglia di scoprire, di andare avanti, di guardare in faccia la realtà; essere consapevole di quello che stai facendo». Informazioni:

www.boxingteamluganese.ch.

La società connessa di Natascha Fioretti La cultura nei quotidiani

«La musica non esiste più nei media stampati. Le pagine culturali diminuiscono sempre di più, sono poco informative, non sono neanche più in grado di trasmettere al lettore la passione per la musica». Le parole sono di Anne Sophie Mutter, violinista tedesca di fama internazionale, in una intervista per Deutschlandradio Kultur. Sulla stessa emittente, Franz Schuh, letterato austriaco, critica il fatto, che un libro non fa in tempo ad uscire e sui giornali già si trovano anticipazioni e lodi. Non è un segreto che negli ultimi anni nelle redazioni ci siano stati enormi tagli alla cultura. La cultura non paga, non interessa, spiegano solitamente direttori e editori. Negli Stati Uniti giornalisti specializzati come Margaret McGurk, critica cinematografica del «Cincin-

nati Enquirer», hanno perso il posto di lavoro e sono diventati giornalisti freelance. Al loro posto giornalisti generalisti in grado di scrivere di tutto. Persino sul «New York Times», dice Michael Kaiser, Presidente del Center for the Performing Arts, nella sezione dedicata alle Arti e alla Cultura, un tempo ricca di critiche e recensioni, si parla di tv, film e musica pop. È anche vero che oggi definire «cultura» nei media è difficile. Se un tempo, quello della terza pagina, era sinonimo di letteratura, cinema, teatro, arte e musica, oggi nelle sezioni culturali dei giornali si parla anche di tecnologia, di scienza, di media, di viaggi e di molto altro. C’è una citazione del filologo tedesco Fritz-J. Schaarschuh, fatta qualche decennio fa, che rende l’idea: «Cara, pensa, nel nostro quotidiano il pro-

dobbiamo farlo anche noi come società. Andrea Kerbaker sul domenicale del «Sole 24 Ore», riferendosi alla sua esperienza di scrittore, si lamentava che «il lavoro della scrittura, se non è premiato da un successo di mercato che arride a pochissimi, non vale più niente». Forse, per tornare a conquistare il pubblico, come ha detto Armando Massarenti direttore del fortunato domenicale de «Il Sole 24 Ore», il giornalismo culturale deve essere anche in grado di «stupire e di non essere prevedibile». Io aggiungerei, di non deludere le aspettative e di credere in un pubblico di lettori e di cittadini che ha bisogno di cultura come il pane quotidiano, che crede, come qualcuno tra l’appassionato pubblico presente alla serata della CORSI che «la cultura ci fa essere» in una società dell’apparire.


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Società e Territorio

In mate come vai? Apprendimento Il professor Pietro De Martino spiega

perché la matematica suscita emozioni negative e paura di sbagliare

Letti e coperte per chi è nel bisogno Festeggiare insieme L’iniziativa di Migros

a favore del Soccorso svizzero d’inverno

Eliana Bernasconi L’incontro avviene alle elementari, e lascia un ricordo indelebile sia in chi prosegue gli studi sia in chi non lo fa. «L’importanza di questa materia è sentita perché è la base per lavorare su tutte le altre materie», ci spiega una docente di Scuola media del Ticino dove l’orario prevede ben 5 ore settimanali. Stiamo parlando della matematica, una materia «fondamentale perché entrano in gioco qualità necessarie per la vita come la precisione, la puntualità, per questo si pretende molto, ma gli obiettivi minimi da raggiungere non sono insormontabili». «Si tiene conto sempre delle difficoltà che un ragazzo può incontrare, se non ce la fa – continua la docente – in terza media sono previsti un corso base e/o un corso attitudinale, sono corsi diversificati, che non escludono nessuno. Noi insegnanti facciamo la nostra parte con la metodologia, ma altrettanto importante è che la famiglia sia vicina, collabori permettendo all’allievo di metterci tutto il suo impegno». La matematica è una scienza esatta, che purtroppo molti associano a qualcosa di arido e astratto, nel migliore dei casi noioso, un cattivo rapporto con essa, una visione negativa crea frustrazione e inevitabile ostacolo all’apprendimento. In questi ultimi decenni gli studiosi di psicologia, neurologia e neuroscienze hanno dimostrato quanto sia fuorviante considerare logica e razionalità lontane dalle emozioni, quanto sia invece stretta la relazione tra emozione e cognizione e quanto i fattori affettivi influiscano sul processo di apprendimento della materia. Proprio su questo rapporto tra emozioni e apprendimento il professor Pietro De Martino, del Dipartimento di Matematica dell’Università di Pisa, ricercatore e studioso del rapporto fra emozioni e apprendimento ha tenuto a Locarno, per i futuri maestri del Dipartimento Formazione e Apprendimento della SUPSI, due conferenze su emozioni e paura di sbagliare in matematica e sul problem solving, cioè l’analisi e la conoscenza dei processi che ognuno di noi mette in atto per risolvere un problema. In un’ampia ricerca De Martino ha interrogato 1800 allievi delle scuole primarie e secondarie. Mediante dei temi veniva chiesto ai ragazzi di parlare del loro rapporto con la matematica. Ne sono risultati racconti commoventi, intensi e divertenti, ma è emersa una prevalenza di emozioni negative e l’importanza della formazione dell’insegnante, coinvolto anch’egli necessariamente in prima persona, che con la sua pratica didattica, il suo atteggiamento e le sue scelte manda messaggi impliciti, crea le condizioni di successo o insuccesso. Le ricerche mostrano come le emozioni negative che si manifestano nei primi anni scolastici possano influire sul piano cognitivo, in casi estremi portare a un rifiuto: «Ho sempre paura di fare errori, di rispondere male, anche se le cose le so» scrive una ragazza di seconda media. E Carlo,

Compito di matematica: per alcuni allievi una vera sofferenza. (Keystone)

prima superiore: «Il rapporto che ho avuto con questa materia è stato molto odioso, ho fatto molte figuracce quando la maestra mi chiamava alla lavagna e mi dettava esercizi che quasi sempre non riuscivo a fare, iniziavo a guardarmi intorno per vedere se mi arrivavano suggerimenti». Scrive invece Lisa, terza media: «ho provato a studiare con tutte le mie forze, ma non c’era niente da fare, la mia insegnante trovava sempre qualcosa che non andava». Professor De Martino, come mai le emozioni giocano un ruolo così determinante nell’apprendimento della matematica, mentre non sembra essere lo stesso per italiano, storia o lingue straniere?

Mi occupo solo della didattica e delle reazioni emozionali nei confronti della matematica dal punto di vista dell’apprendimento e ne conosco le peculiarità. A livello di scuola primaria uno degli aspetti più ricorrenti è la paura di sbagliare, in qualche modo l’errore in matematica, e soprattutto in questo ordine di scuola viene vissuto in modo quasi drammatico, mentre probabilmente l’idea di errore nell’insegnamento di altre discipline è un po’ diverso, ma ciò andrebbe studiato. Non potrebbe dipendere dal fatto che la matematica impone esattezza, esige rigore, provoca tensione, resistenza…

Ma proprio questa è solo un’idea, in realtà non dovrebbe essere così, si presenta la matematica in maniera abbastanza rigida, con poco spazio per fare delle esperienze personali, tutto rimane piuttosto inquadrato, come una specie di algoritmo che io devo seguire pedissequamente senza possibilità di metterci del mio. Più che una caratteristica intrinseca della matematica quindi è il modo di insegnarla che è legato a binari ben fissati. La difficoltà risiederebbe quindi in chi insegna, non nell’allievo?

Non nell’insegnante, ma nel modo di insegnare. Da parte della società c’è

questa visione di una materia piuttosto chiusa e rigida, come testimonia anche la sua presa di posizione, mentre chiunque la pratica sa che ci sono degli aspetti ovviamente rigidi, come in altre materie, ma ci sono poi degli aspetti di fantasia, inventiva, originalità. Quando gli allievi iniziano ad avere qualche difficoltà?

Penso che proprio a livello di scuola elementare ci sia un problema grosso da questo punto di vista, perché i bambini potrebbero avere molta più libertà di risposta, mentre invece la concentrazione massima è sull’insegnamento delle tecniche che ovviamente sono rigide, mentre altre tipologie di attività che sono molto più aperte, come la soluzione di problemi e le argomentazioni sono forse escluse dalla matematica. Cosa fare di fronte alle difficoltà?

Molte derivano probabilmente da un cattivo rapporto che si instaura, difficile dare una risposta generale, sono convinto che un altro tipo di insegnamento, una visione diversa degli errori e degli sbagli tranquillizzerebbe molto. Soprattutto dal punto di vista delle scuole primarie il lato emotivo dell’imbarazzo, della vergogna è forte e a volte si preferisce, come testimoniano le mie ricerche, erigere un muro piuttosto che confrontarsi.

Fondato nel 1936, il Soccorso svizzero d’inverno si è distinto in Svizzera per le sue iniziative concrete e mirate sui bisogni delle fasce di popolazione meno fortunate. Il suo contributo è stato sempre concreto e pratico, dall’alimentazione alle necessità di vestiario. Grazie al suo sostegno moltissime persone hanno potuto superare un periodo critico e ritrovare quell’equilibrio necessario a riprendere con speranza una nuova fase della loro esistenza. Una delle sue iniziative storiche era stata messa in opera nel periodo in cui la Svizzera viveva le difficoltà economiche legate all’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale. Nel 1945, possedere un vero letto, un buon materasso, piumini e lenzuola, non era per molte persone una condizione scontata, soprattutto nelle regioni discoste. L’impegno del Soccorso svizzero d’inverno fu quindi quello di raccogliere fondi da destinare a chi non poteva permettersi un giaciglio soddisfacente e adatto a un riposo normale. Con il passare degli anni la campagna «per un letto confortevole» è stata mantenuta. È una tra le diverse misure di aiuto pensate per persone che, a causa di situazioni momentanee di disagio economico e sociale, vivono in condizioni economiche precarie. In particolare ogni anno vengono esaminate dal Soccorso svizzero d’inverno richieste di working-poor, cioè salariati con un reddito insufficiente, oppure di famiglie monoparentali che devono sopportare spese scolastiche oltre le proprie possibilità. Gli aiuti vanno a coprire il costo di premi assicurativi eccessivamente onerosi, oltre naturalmente al quotidiano confronto con le spese per l’acquisto di prodotti alimentari e per la cura della salute. E magari, non da ultimo, i problemi legati all’affitto mensile. Tra le categorie di persone che inoltrano la loro richiesta al Soccorso d’inverno si trovano poi gli anziani che, nonostante le coperture offerte dai sistemi previdenziali e dai vari sussidi, spesso non riescono a fare quadrare i conti, in particolare in presenza di spese impreviste. Una nuova e più preoccupante categoria di nuovi beneficiari delle prestazioni del Soccorso d’inverno è quella dei giovani. Nel loro caso, le difficoltà economiche si evidenziano nel momen-

to in cui non trovano uno sbocco professionale nel mercato del lavoro e non riescono di conseguenza a raggiungere una propria indipendenza economica. Una situazione che incide anche sul loro umore e sul senso di accettazione a livello sociale. E che può portare a momenti di depressione e scoraggiamento e quindi che rischia di influire in modo sempre più marcato sulla loro possibilità di inserimento nel mondo del lavoro. L’intento del Soccorso svizzero d’inverno è quello di intervenire prima che per tutte queste categorie di persone in difficoltà venga a crearsi un «effetto domino», in cui ad un intoppo economico se ne aggiungano un altro, e poi un altro ancora, fino a provocare una rovinosa valanga di debiti e conti in sospeso che finiscono per paralizzare ogni possibilità di recupero.

Come si fa una donazione Chi scarica la canzone natalizia della Migros intitolata Ensemble sostiene alcuni progetti mirati di Caritas, Aiuto delle Chiese Evangeliche Svizzere (ACES), Pro Juventute e Soccorso d’inverno. Il download costa 1.20 fr. da ExLibris, 1.10 fr. su iTunes e 99 centesimi su Google Play. L’importo viene versato completamente ai progetti assistenziali. I consumatori, inoltre, possono comprare già dal 22 novembre alle casse della Migros dei «buoni donazione» del valore di 5, 10 o 15 franchi. Infine, si possono versare contributi per la colletta anche sul conto 30-620742-6 oppure inviando un SMS con il testo «MIGROS ( offerta )» al numero 455. Dal 12 dicembre su natale.migros.ch si terrà un’asta online: ognuna delle 23 celebrità che hanno partecipato all’iniziativa di Natale della Migros, metterà all’asta un oggetto personale. Naturalmente, la somma incassata sarà devoluta ai progetti d’aiuto. L’importo totale raccolto con tutte queste attività sarà raddoppiato dalla Migros, fino a un massimo di un milione di franchi. La cifra raccolta verrà divisa in parti uguali tra Caritas, ACES, Pro Juventute e Soccorso d’inverno.

Non si potrebbe insegnare la matematica come fosse un gioco?

Certamente, nelle nuove indicazioni italiane viene contemplato questo aspetto sia nella scuola dell’infanzia che primaria, ma d’altra parte anche questo può essere pericoloso e va programmato, perché può diventare un gioco che però non ha finalità legate all’apprendimento matematico. Se lo scopo è solo far divertire allora vi do un pallone, vi faccio giocare e tutti sono contenti, e a volte capita così, gli insegnanti mi dicono «si sono divertiti tantissimo». Ma cos’hanno ricevuto, mi chiedo, c’è un feedback in questo divertimento o no? La cosa difficile in realtà è coniugare un’attività coinvolgente con gli obiettivi di apprendimento.

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Società e Territorio

Il fortino di Iragna Linea LONA Il progetto ForTi ha creato 11 percorsi tematici per far conoscere le fortificazioni più importanti

del Ticino. Visita al fortino di Mairano lungo la linea difensiva tra Lodrino e Osogna

Mara Zanetti Maestrani È così ben nascosto e… segreto che abbiamo fatto fatica anche noi, quel pomeriggio di fine ottobre, a trovarlo. Ma ora anche la sua posizione è ben segnalata, affinché possa essere visitato, lui e tutti i suoi simili sparsi da Airolo a Chiasso. Stiamo parlando del Fortino di Mairano, nella campagna di Iragna a due passi dall’argine destro del fiume Ticino. È una delle diverse opere realizzate prima della Seconda Guerra Mondiale tra Lodrino ed Osogna, lungo una linea difensiva quasi a semicerchio battezzata LONA (nome di copertura, dalle lettere iniziali di Lodrino e dalle finali di Osogna), linea che attraversa lo stretto fondovalle alle porte di Biasca. Lo scopo della Linea LONA era quello di contrastare eventuali attacchi di truppe nemiche da Meridione intenzionate a proseguire verso la fortezza militare del San Gottardo e il Passo del Lucomagno. Fuori dall’entrata del fortino, ci accoglie il curatore Giorgio Piona, già sottufficiale del Gruppo Fortezza 9, e grande appassionato d’artiglieria, nonché membro della Società Ticinese di Artiglieria (STA) che nel 1995 ha rilevato dall’esercito questo manufatto difensivo. «In quegli anni, con la fine della guerra fredda – ci spiega – le opere della Linea LONA sono state completamente declassate e la nostra società si è adoperata per acquistare questo fortino, denominato “opera A8154”». La Linea LONA è costituita complessivamente da 23 fortini, tutti ben nascosti, e da un’imponente costruzione di sbarramento anticarro a forma di «V» (i cosiddetti «denti di drago», grossi «spuntoni» di cemento armato), questa invece ben visibile percorrendo la strada che collega Lodrino e Osogna – di qua e di là dal fiume Ticino – a nord dell’aerodromo di Lodrino. Aeroporto che, costruito nel 1940, era allora interamente destinato all’aviazione militare completando la linea difensiva nell’eventualità di un combattimento aereo o comunque di appoggio alle truppe di terra. I «denti di drago» e i fortini, ognuno dotato di un cannone, sono stati progettati nel 1938 ed edifi-

cati nel corso del 1939. La loro costruzione terminò nel 1943. Inizialmente i cannoni erano del calibro di 12 cm poi sono stati sostituiti con i più moderni obici di 10,5 cm su affusto a leva. Lo scopo, come detto, era quello di sbarrare il fondovalle ad un’eventuale invasione da Sud. Con varie vicissitudini, alti e bassi, cambiamenti di comando, armamenti e ordini di battaglia, l’intera Linea LONA fu attiva fino al 1995. Ora molte di queste opere verranno rivalorizzate nell’ambito del grande progetto coordinato dall’Ente regionale per lo Sviluppo del Bellinzonese e Valli (ERS BV) e denominato ForTI (Fortificazioni ticinesi). L’intento è quello di collegare con un itinerario pedestre e di mettere in rete molte delle opere militari realizzate a cavallo delle Guerre Mondiali sul nostro territorio. Ma vediamo dapprima di entrare nel fortino di Mairano e di conoscerlo meglio. Molto ben camuffato nel terreno (sembra una collinetta alla cui sommità crescono erba, cespugli e addirittura qualche grosso albero), il fortino è un bunker in calcestruzzo armato. All’interno ha una superficie di una ventina di metri quadrati, il tetto a cupola e verso sud ha un’apertura per il cannone (obice). In uno scuro locale attiguo c’era il deposito delle granate da 15 kg l’una (di costruzione svizzera) che raggiungevano una gittata di 10 km. Come questo, lungo la Linea LONA sono posizionati altri cinque cannoni. Quello del fortino di Iragna, ci spiega il suo curatore, non è ormai più il cannone originale piazzato negli anni 1938/39, bensì un altro esemplare sostituto negli anni 50. L’artiglieria installata lungo la Linea LONA era divisa in due distaccamenti: uno «sotto roccia» con postazioni nelle vicinanze delle chiesette di San Martino (sui versanti scoscesi della montagna poco sopra Lodrino) e Santa Pietà (sopra Osogna) ai lati opposti della Valle Riviera, mentre due altre batterie vennero sistemate in casematte costruite in calcestruzzo, con due cannoni ai lati estremi delle rispettive batterie e sistemati sotto roccia nei settori denominati Mondascia a est (il forte forse ora più conosciuto) e Mairano a ovest, a destra

Il fortino di Mairano ovvero Opera A8154. (Zanetti Maestrani)

del fiume Ticino. I sei cannoni ubicati lungo la linea difensiva sul fondovalle furono nascosti in casematte di calcestruzzo ben cammuffate nel territorio. «Verso gli Anni ’70 – ci racconta Giorgio Piona – l’insieme delle opere della Linea LONA fu assunto dalla Brigata frontiera 9 con la denominazione di Gruppo Fortezza 9». La loro attività proseguì, come detto, fino al 1995. Grazie al progetto ForTI, ora queste opere fortificate saranno valorizzate quale testimonianza storica e memoria di un periodo delicato anche per la Svizzera. Il percorso nella Valle Riviera conta diverse tappe partendo dal Fortino di fanteria «Bunker Grande» a Lodrino e per finire al fortino di fanteria Cava Serta a sud di Osogna. Le opere d’artiglieria e di fanteria del Forte Mondascia (a sud di Biasca) sono il preludio o la conclusione di ogni visita alla Linea LONA. Lungo il percorso che attraversa lo sbarramento anticarro sono di assoluto interesse il fortino di Vergio (costruito sotto roccia quale spalla occidentale dello sbarramento), il fortino di Mairano (aperto su appuntamento telefonando allo 079 641 75 09), il fortino sotto roccia Chiesa e il fortino corazzato Bunker Grande, unico rimasto di tre opere

identiche. Il progetto, nato nel 2009, valorizza a scopi turistici e culturali alcune delle principali fortificazioni militari storiche ticinesi e della Frontiera Nord. Nel 2010, il Programma di cooperazione transfrontaliera Interreg 2007-2013 ha approvato due progetti separati geograficamente: ForTi – Linea Cadorna (Ticino / Lombardia) e ForTi – Linea Cadorna (Ticino / Piemonte). Così nel 2012 l’Ente regionale per lo Sviluppo del Bellinzonese e Valli ha assunto il ruolo di capofila per la parte svizzera. Sul nostro territorio, l’iniziativa coinvolge 14 partner e beneficia di contributi Interreg cantonali e federali. Per la parte storica e scientifica, il progetto è seguito dall’Ufficio dei beni culturali del Cantone Ticino. Grazie a questi sostegni, è stato possibile creare 11 percorsi tematici, sviluppati lungo sentieri ufficiali e volti a far conoscere al grande pubblico, valorizzandole, le fortificazioni più importanti in Ticino dalla fondazione della Svizzera moderna. È già stata posata la segnaletica escursionistica e pannelli informativi all’inizio dei percorsi e nei punti di maggior visibilità. Questi pannelli descrivono il percorso proposto e danno una panoramica delle opere presenti lungo il tra-

gitto. Inoltre sono stati realizzati degli specifici pannelli, affissi alla struttura militare o ubicati nelle immediate vicinanze, con delle informazioni puntuali sulla singola opera. Ora è addirittura disponibile un sito web (www.forti.ch) e anche una App per Smartphone, scaricabile gratuitamente (Forti – Fortificazioni ticinesi). La particolarità del fortino di Mairano è data dal fatto che, a differenza delle altre opere, esso è gestito da artiglieri, guardie delle fortificazioni ed ex militari del vecchio Gruppo Fortezza 9, riuniti nella Società Ticinese di Artiglieria. Tutte persone, insomma, con la grande passione dell’artiglieria nel sangue. «Il nostro scopo – precisa il curatore – oltre a quello di occuparci a titolo di volontariato della manutenzione del fortino, è anche e soprattutto quello di promuovere la ricerca storica sulle truppe ticinesi, con particolare attenzione a quelle d’artiglieria e quindi di contribuire a mantenere e a tramandare una memoria storica. In questo senso il progetto ForTI è una bellissima iniziativa». Informazioni

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Verità infinite, nessuna verità Da anni si discute sul ruolo dei nuovi media nell’influenzare e dirigere l’opinione pubblica e sui cambiamenti che questo può comportare per la democrazia. C’è chi vede in Internet un autentico strumento di democrazia diretta, che non solo può facilitare l’espressione del voto, ma soprattutto costituisce un luogo di contro-informazione per smentire o correggere le notizie veicolate dai media tradizionali e ufficiali – sempre più asserviti, a quel che si dice, alle lobbies di potere politico ed economico (fece scalpore, nel 2010, il «caso Assange»). Con l’avvento delle reti, la comunicazione politica perderebbe ogni centralità direttiva e lascerebbe quindi un largo margine all’autonomia del cittadino. Ma c’è chi sostiene che la democrazia elettronica, se concede a tutti la libertà di espressione, introduce anche un rischio inquietante: quello che la Rete diventi uno «strumento di consenso

plebiscitario» e un elemento destabilizzante per le vere istituzioni. Poi ci sono coloro che ritengono che comunque il medium elettronico, se da una parte ha dilatato gli spazi di libertà e d’iniziativa individuale, accrescendo le nostre possibilità di conoscere e di comunicare, dall’altra è un potenziale strumento di coazione politica e sociale, attraverso le svariate forme di controllo e manipolazione a cui si prestano di per sé sia i network televisivi che i grandi apparati pubblici e privati di gestione di dati e informazioni. Insomma, la nostra era – l’era dell’informazione – sarebbe in realtà un’era in cui predomina la censura, sotto forma di occultamento dei fatti o della loro alterazione, di propaganda mistificante e di caccia ai consensi con l’uso di meccanismi pubblicitari. In questa oscillazione di pareri, è difficile propendere per l’una o per l’altra

rono a riscaldare per mesi le terme della città. Si giunse poi a dare alle fiamme lo stesso libro sacro: a Istanbul, nel 1538, fu bruciato il Corano, stampato in arabo e in turco da due tipografi bresciani ai quali venne mozzata la mano. L’intento è evidente: il testo sacro non doveva essere interpretato dai fedeli. Non diverso fu l’atteggiamento della Chiesa cattolica: la Congregazione dell’Indice dei libri proibiti non solo impose la consegna – pena il carcere o il rogo – di tutti i libri non graditi, ma giunse a proibire la stampa della Bibbia tradotta in volgare. La conoscenza dei testi sacri doveva essere riservata al clero: di qui il divieto, di cui si fece promotore in particolare San Carlo Borromeo. E così seguitando, almeno fino a quel 10 maggio 1933 quando gli studenti nazisti portarono con molti autocarri montagne di libri ebraici e di «letteratura degenerata» in una piazza di Berlino e vi diedero fuoco.

Sembra inevitabile una conclusione. La pretesa di un’unica verità porta al soffocamento violento del pensiero; meglio dunque infinite «verità» che un’unica strapotente. Ma c’è un «ma»: la sovrabbondanza di informazione nella quale affoghiamo attualmente. I ritmi inumani con la quale i motori di ricerca rovesciano innumerevoli versioni dell’informazione che cerchiamo sono superiori al nostro approccio cognitivo. Il rischio è quello di disimparare a pensare, a interpretare criticamente: invece di dominare le informazioni, ne siamo travolti. Saremmo così liberi di informarci ma impossibilitati a farlo. Vien dunque fatto di ricordare con malinconia quanto Carlo Cattaneo diceva nel 1852, rivolgendosi ai suoi studenti del liceo di Lugano: «Voi siete liberi. Ma a che vi gioverà la libertà del pensiero, se voi non avrete pensieri?».

un pomeriggio piovigginoso di metà novembre, salgo su, in mezzo ai vigneti del Lavaux (407). Opera viticola iniziata quindici milioni di anni fa dal ritiro del ghiacciaio del Rodano e cesellata, a partire dal XII secolo, per mano dei monaci cistercensi. Sono ai fianchi del Calamin, a sinistra c’è l’appellazione Epesses, più in là il confine con il Dézaley. Il nome di questo minuscolo appezzamento vitifero, a differenza degli altri, Dézaley a parte, non è quello di un paese vicino; la sua etimologia è ancora un mistero. A me richiama il calamaio, forse perché ne sto scrivendo sopra un pezzo. Le foglie, a grandi linee, pentagonali, suddivise in cinque lobi dentellati, da vicino, virano anche nel verde e marroncino. Ma nell’insieme è l’oro-giallastro che risalta, accostandosi al blu acciaio del Lemano che adesso, a quest ’altezza, si spalanca nella classica prospettiva Hodler. Un camminamento ripido fiancheggia le mura vinicole. Queste mura, oltre a

sostenere la vigna e spezzettarla, producendo, a una certa distanza, l’effetto pittorico che trova corrispondenza nei vigneti delle Cinque Terre, svolgono fino alla vendemmia, la funzione di restituire il calore del sole durante la notte. Qui nel Lavaux si parla infatti dei «tre soli». L’altro sole, si sa, è quello riflesso dal Lemano. Ecco la prima porta, più che degna di nota: minimale al massimo, sottile ferro battuto arrugginito e dentellatura in cima. Dopo la quarta porta, identica alle altre, segno di parcella diversa ma senza nomi né niente, si potrebbe dire che le porte del Calamin sono elegantemente socchiuse. La porpora dei calici di Antirrhinum majus noto anche come bocca di leone, interrompe la monocromaticità dei filari di Chasselas. A ridosso del villaggio di Epesses c’è anche l’azzurro dei fiori di rosmarino che qui cresce copioso. A Epesses, paesino dove una casa su due è di viticoltori – ce ne sono una trentina in tutto – inserito come una scheggia

di vecchie case nel cuore dei vigneti che proseguono a monte, mi dirigo al Caveau des vignerons. Cantina pubblica gestita a turno da un viticoltore. Tra le volte umide, primo sorso di Calamin: 2013, di Gay et Pestalozzi. Color oro smorto, naso minerale, attacco forse di mirabella, oleoso in bocca e mi azzardo: tonalità di punta di matita. Mica un enologo ma è chiaro come in ogni sorso si rifletta il suolo. Il carattere del Calamin che qui definiscono «di razza» deriva dall’insolito trenta percento di argilla presente nel sottosuolo. «Non è un vino piacione» mi dice il signor Gay. È ritroso, riflessivo, bisogna avere pazienza. Senza perderci nei tralci interessantissimi dell’ampelografia va detto che tra le tante varietà di Chasselas, spesso per il Calamin si coltiva il Fendant Roux. Conta anche molto la pendenza, connessa, va da sé, a un’esposizione integrale al sole : infatti il Dézaley va giù subito preciso e spirituale come un filo a piombo.

un ponte. Tutte situazioni che fanno riaffiorare, nei discorsi popolari, invettive rivolte a quell’Altissimo che sembra dimenticarci: ma dov’eri, non hai guardato giù? Insomma, uno sfogo verbale momentaneo, senza agganci con questioni di fede. Ben diverso, invece, il riferimento a Dio, contenuto nell’esternazione di Veronesi e, con il quale, si prende le distanze da una religione ingannevole perché incapace di proteggere l’umanità da catastrofi e sofferenze. A cominciare dalla minaccia di ammalarsi di cancro, di cui quest’oncologo di fama mondiale è diretto testimone. E, come tale, ha sotto gli occhi la sofferenza di «bambini invasi da cellule maligne che li consumano giorno dopo giorno». Situazioni, spesso irrimediabili, che hanno confermato la sua convinzione: la divina provvidenza non esiste. Altrimenti, interverrebbe. Da parte di un uomo di scienza, ateo dichiarato, la conclusione può sembrare attesa e logica. Ma a ben guardare, non manca di sorprendere.

Anche per lui, e qui sta la contraddizione, la religione rimane un tema obbligato. Sia pure per dimostrarne l’inefficacia, si continua a chiamare in causa l’aiuto che, secondo promesse non mantenute e miracoli impossibili, avrebbe dovuto arrivare dall’alto. Tanto da far pensare che, magari, qualcosa da lassù ci si aspettava, una mano per risolvere problemi medici, ancora aperti, malgrado innegabili progressi, in particolare in oncologia. Questo caso doveva sollevare il polverone, del resto benvenuto ai fini promozionali di un libro, delle polemiche sempre calde quando, in un Paese di matrice cristiana, si parla di ateismo. Ma, al di là di questo scontro di opinioni e convinzioni, qui il tema è mal posto e rappresenta, una volta ancora, quella sovrapposizione o confusione fra categorie e generi diversi. È questa anche la reazione di Marco Varini che, nell’esercizio della professione di oncologo, si è impegnato per tenere separati due ambiti ben diversi e lontani: quello medico-scientifico,

di sua pertinenza, e quello spirituale e religioso, che appartiene alla sfera privata del paziente. In quanto all’esternazione «cancro=negazione di Dio», Varini la considera un esempio di uso improprio e restrittivo di Dio: «Un Dio su misura per le esigenze di un oncologo, che lo rifiuta ma lo cita. Mentre, personalmente, proprio da oncologo, preferisco evitare un argomento estraneo alle mie conoscenze e competenze». A questo punto, ce ne rendiamo conto, si toccano i massimi sistemi del pensiero e dello spirito. Meglio astenersi. Anche se la tentazione di parlare di Dio, rivendicando la libertà di negarlo, è diffusa, e non al riparo da incidenti persino spassosi. È passata alla storia la serata del lontano 25 marzo 1904, in cui Mussolini, allora socialista e anticlericale, lanciò la sua provocazione al cielo: «Dio, se ci sei, fulminami». Dopo cinque minuti, il futuro Duce concluse. «Vedete, sono ancora vivo, Dio non c’è». Tanto per dire che non è facile neppure il mestiere dell’ateo.

tesi. Ma una cosa è certa: in ogni epoca i detentori del potere hanno praticato forme di censura tentando di imporre la loro «unica verità». In passato, ben prima dell’avvento dei giornali, la censura comportava, in primo luogo, la distruzione dei libri. Già l’imperatore Diocleziano diede alle fiamme i libri dei cristiani; quando poi, con Costantino, il cristianesimo divenne religione dell’impero, furono dati alle fiamme i libri pagani. Da allora, i cristiani furono particolarmente indaffarati a distruggere quanto non era conforme alle loro convinzioni religiose. Di intere civiltà sappiamo ben poco grazie allo zelo missionario che ne fece scomparire gli scritti: nel XVI secolo il primo vescovo del Messico bruciò la letteratura atzeca e una generazione dopo si passò alla distruzione di quella maya. L’Islam non fu da meno: disastrosa fu la distruzione della Biblioteca di Alessandria, i cui libri, dati alle fiamme, servi-

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf I vigneti del Lavaux «La lunghezza dei loro muri di sostegno allineati uno all’altro totalizzerebbe trentamila chilometri (i tre quarti del giro della Terra!). I viticoltori vanno forte! Opera secolare, forse millenaria» scrive Le Corbusier in Une petite maison (1954). Ed è proprio in occasione della passeggiata in giugno alla piccola casa di Le Corbusier a Corseaux, meglio nota come Villa Le Lac, l’ultima volta che ho camminato tra i vigneti del Lavaux. Paesaggio-spettacolo dove la scenografia della vigna vertiginosa vista lago si estende per ottocentotrenta ettari, intercalata dai muretti, lungo i quindici chilometri di strada tra Chardonne e Lutry. Anche se sulla carta il perimetro del Lavaux debutta alle spalle di Vevey-Montreux. Vigneti terrazzati Patrimonio dell’Unesco dal 2007 e protetti già dal 1979 con una legge cantonale vodese che anni fa, passando spesso da lì in treno, mi lasciavano ogni volta a bocca aperta, incollato al finestrino. Stessa cosa oggi. Vasta

zona regno del Chasselas – che varia a seconda del terreno come il formaggio d’alpe ticinese a seconda della floraforaggio – ma che comprende in minor misura altri vitigni tipo Gamay, Pinot Noir, Diolinoir eccetera. Perciò, vista l’ampiezza del terroir, per questo piccolo spazio dedicato a posti minimi, focalizzeremo lo sguardo sui sedici ettari del Calamin. Una delle otto appellazioni dei vini del Lavaux che in compagnia dell’insuperabile Dézaley è di origine controllata e si fregia del titolo di Grand Cru. Dall’Auberge du Raisin di Cully in dieci minuti potete arrivare ai piedi del pezzetto di Calamin. Vale però la pena di passare prima dalla place des Armes: un monumentale platano della libertà piantato nel 1798 e appena potato, si sovrappone alla costa viticola scoscesa del Dézaley che da lì la si abbraccia tutta di un fiato. Giallastro-oro è il colore ora di questi vigneti che qui sono una religione. E così, lasciandomi dietro la fastidiosa strada principale,

Mode e modi di Luciana Caglio Se c’è il cancro, «Lui» non c’è E «Lui» è Dio, tirato in ballo, con prevedibili conseguenze polemiche, da una personalità illustre e degna di considerazione sul piano scientifico, qual è Umberto Veronesi. Giorni fa, presentando il suo ultimo libro Il mestiere di uomo (edito da Einaudi), ha voluto ribadire il suo ateismo. Per carità, è una scelta ideologica e filosofica, più che legittima, Questa volta, però, giustificata con un’argomentazione che rischia addirittura di sconfinare nella banalità di un luogo comune: «Se, c’è stata Auschwitz e se continua a esserci il cancro, significa che non esiste neppure il potere divino, simbolo di bontà e giustizia». Ci si trova, insomma, alle prese con una sorta di sillogismo multiuso. Appartiene a modi di dire che ricorrono, inevitabilmente, nelle nostre reazioni, a caldo, di fronte a eventi tragici, più grandi di noi, guerre, terremoti, incidenti, epidemie. È successo, recentemente, in Ticino, quando una valanga di fango ha sommerso due case, portandosi via quattro persone, vittime innocenti di

una fatalità. Per non parlare di episodi che sembrano addirittura una beffa: torpedoni, con a bordo pellegrini diretti a un santuario, precipitano da


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 24 novembre 2014 ¶ N. 48

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Ambiente e Benessere In Persia con Hotelplan Dieci giorni in Iran a esplorare un Paese ricco di storia e cultura, dal 1. al 12 aprile 2015

Volontariato all’estero per piacere Da qualche tempo si sono levate voci critiche, che sottolineano come, al di là delle buone intenzioni, i benefici del Voluntourism siano alla fine ridotti

Largo allo specchio solare Pure Riuakan, come Viganella, ha posto rimedio all’assenza del sole dirottando i suoi raggi

Garofani, colori e profumi Caduti nell’oblio per vari anni, si riaffacciano nuovamente sul mercato con nuove varietà

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Keystone

AIDS, giovani poco consapevoli Salute La Sindrome da immunodeficienza acquisita è una malattia di cui si parla sempre meno in questi anni

e appare meno minacciosa, soprattutto ai giovani, ma non è per nulla debellata

Maria Grazia Buletti «L’AIDS è una malattia che si può trasmettere, di più non saprei dire perché non se ne parla quasi mai»; «L’AIDS è una malattia sessualmente trasmissibile e si prende quando il sangue entra in contatto. Non c’è una cura e a volte vorrei sapere perché non l’hanno ancora inventata. Comunque non so molto di più, ma se volessi sapere ancora qualcosa penso che andrei a cercare su Internet»; «Si tratta di una malattia sessualmente trasmissibile della quale non conosco molto di più. Vorrei approfondire le mie conoscenze che sono superficiali e scolastiche, ma non so a chi rivolgermi».

Queste sono solo alcune testimonianze indicative a proposito dell’AIDS che abbiamo raccolto dalla voce di parecchi giovani ticinesi, maschi e femmine con un’età che oscilla dai 15 ai 22 anni. Giovani che hanno onestamente risposto di non conoscere a sufficienza l’argomento e alla domanda «Sai cos’è l’AIDS?» c’è pure chi ha detto di non averne mai sentito parlare, così come qualcuno pensa si trasmetta «attraverso bocca e naso». Ve ne sono parecchi che hanno manifestato il desiderio di comprendere meglio di cosa si tratti, ma ammettendo nello stesso tempo di non essere molto orientati su dove andare a cercare le informazioni di cui necessitano e, siccome non ne parlano

neppure fra loro, di accontentarsi delle informazioni scarse e superficiali che i più fortunati dicono di ricevere dalle lezioni di educazione sessuale a scuola. Le ragazze hanno le idee un po’ più chiare, mentre i maschi oscillano parecchio fra la consapevolezza di non conoscere l’argomento AIDS, il desiderio di colmare questa lacuna e la tentazione di non entrare nemmeno in argomento: «Noi maschi non ne parliamo per niente fra noi e se posso esprimere un consiglio “alla buona” direi che gli adulti dovrebbero fare un po’ di informazione mirata proprio verso di noi ragazzi, perché con il fatto che vogliamo farci vedere come “dei duri” e senza paure, ci crediamo spesso invincibili su ogni cosa

pensando “tanto a me non succede”». Così si esprime Marco, che ha 17 anni ed è fra i pochi giovani da noi interpellati ad aver avuto l’opportunità di parlare di AIDS in famiglia, rendendosi così conto che anche i ragazzi come lui non sono immuni da malattie come queste, se non dispongono di strumenti di conoscenza adeguati e soprattutto se non adottano un atteggiamento corretto nel comportamento già a partire dalle loro prime esperienze sessuali. Siccome viene interpellata la famiglia, abbiamo sentito anche la voce dei genitori che in molti casi ammettono di non parlarne con i propri figli perché non sanno come abbordare il tema, anche per il fatto che l’AIDS è ancora

percepito come un «argomento tabù». D’altro canto, altrettante famiglie hanno espresso chiaramente la percezione della netta mancanza di informazione diretta in modo specifico proprio ai giovani, come ci ha spiegato Maria, madre di due figli adolescenti: «A proposito di AIDS, su tutta la linea c’è carenza di informazione verso i nostri ragazzi e le famiglie danno per scontato che la scuola supplisca a questa lacuna, sebbene poi andando a guardare le schede scolastiche di educazione sessuale posso solo ammettere che esse forniscono un’informazione superficiale e non approfondita: così non si va a toccare la coscienza di tutti». Dal canto suo, il direttore della

Anche le affermazioni dei ragazzi confermano la sensazione di questo padre e si possono riassumere così: «Non so quanto ammalarsi di AIDS sia grave e non so bene quante persone ne muoiano»; «Penso sia molto grave, ma non so di più», e avanti così, con i «non so»,

«non conosco», «mi sembra ma non so se è corretto», «non ne so abbastanza per rispondere»… La realtà dell’odierna scarsa consapevolezza dei nostri giovani su cosa sia l’AIDS e su come oggi si possa gestire è riassumibile con il pensiero di un altro pa-

dre, Lorenzo: «Bastava continuare a fare informazione capillare come in passato, perché si tratta di una brutta malattia, malgrado il progresso dei farmaci l’abbia resa meno “mortale”. Bisognerebbe ricominciare a fare seriamente prevenzione». Affermazione sostenuta dal pen-

siero di un giovane ragazzo diciottenne che esorta tutti quanti a non abbassare la guardia: «Potenziamo l’informazione, soprattutto per noi giovani, senza cadere nella trappola del minimizzare il problema perché è un tabù o perché non se ne muore più come un tempo».

Ogni anno da 600 a 800 nuovi contagi in Svizzera di cui 20 in Ticino Vittorio Degli Antoni, di Zonaprotetta, parla della pericolosa «banalizzazione» della malattia AIDS

Negli anni Ottanta l’AIDS sorprese il mondo, ma solo per poco tempo, perché si comprese subito che si trattava di una malattia virale sessualmente trasmissibile e letale. Allora, infatti, portava velocemente alla morte. Ci si accorse ben presto anche del fatto che il problema dell’AIDS non toccava solamente gruppi di persone cosiddette «a rischio», ma poteva esserne contagiato chiunque non avesse avuto un atteggiamento di protezione per sé e per gli altri nell’ambito della sfera sessuale. Di conseguenza si sviluppò una grande coscienza di prevenzione attraverso l’informazione, le giornate mondiali contro l’AIDS e le relative manifestazioni che accendevano i riflettori su una malattia virale molto seria per la quale nel frattempo la ricerca farmaceutica cercava rimedi. Se ne aveva grande timore perché si viveva in tempo reale tutto l’evolvere di quella che si manifestava come una nuova malattia. Con gli anni Novanta e l’avvento di nuovi farmaci, l’AIDS cominciò a essere meno temuta: la speranza di vita aumentò, anche se la malattia rimaneva e rimane non guaribile. Oggi si moltiplicano le giornate mondiali dedicate a ogni sorta di argomento e l’attenzione sull’AIDS pare scemare. I giovani non ne sono consapevoli come un tempo. Ancora oggi, però, l’AIDS è la stessa malattia delle origini. Di questo, e della sensibilità giovanile

Vincenzo Cammarata

Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali Claudio Del Don esprime la propria opinione supportata dall’esperienza data dal condurre un Istituto scolastico che accoglie annualmente un migliaio di giovani: «Noi facciamo informazione specifica a proposito di AIDS, ma dobbiamo anche riflettere sul fatto che poi, il gruppo sociale di appartenenza di ciascun giovane influenza parecchio il suo modo di comportarsi al di fuori dell’ambiente scolastico». Del Don è cosciente del fatto che quando rientrano nel proprio ambiente famigliare, il giovane o la giovane tendono a «fare propria» la sua linea, soprattutto su temi come questo che vanno ad affondare nella sfera privata e sessuale: «Ciò limita in modo specifico l’informazione di cui ci facciamo carico a scuola a proposito di argomenti come questo. È dunque facile dire che la scuola non fa molto (anche se ci si può sempre perfezionare) ma non dobbiamo tralasciare di riflettere su questo meccanismo». Del Don ci chiede di pensare anche al fatto che, nell’ambiente scolastico, il giovane risponde in genere alle aspettative del docente: «Ma non significa che al di fuori di questo ambiente egli mantenga la stessa linea che, invece, tenderebbe a prendere la piega di quella del suo gruppo sociale di appartenenza». Sulla campagna informativa esterna alla scuola tutti i nostri interlocutori, genitori come pure figli, convergono sulla stessa opinione. E Benedetto, padre di due ragazzi in età adolescenziale, lo conferma: «I cartelloni pubblicitari non vanno a colpire la sensibilità dei giovani e li trovo solo sensazionalistici. La verità è che oggi non si parla più di AIDS come in passato, quando faceva davvero paura e avevamo grandi ansie: un tempo morivano attori, cantanti e questo portava alla reale percezione della pericolosità di questa malattia che, oggi, viene sopraffatta da mille altri messaggi inerenti altre patologie come quelle cardiache e polmonari, solo per citarne alcune».

Keystone

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a proposito di AIDS, abbiamo parlato con il responsabile di Zonaprotetta, Vittorio Degli Antoni (nella foto), che da sempre si occupa di sensibilizzazione, prevenzione e ascolto. L’AIDS oggi sembra fare meno paura di trent’anni fa, possiamo abbassare la guardia?

Le cifre sono evidenti e dicono che negli ultimi anni poco o nulla è cambiato rispetto a un tempo: ancora oggi in Svizzera si manifestano ogni anno da 600 a 800 nuovi contagi e in Ticino possiamo contarne approssimativamente attorno alla ventina, con grande variabilità. I morti per AIDS sono per contro subito calati: dal 1996 la mortalità è andata a picco grazie alla scoperta di farmaci che non hanno reso la malattia guaribile, ma almeno

curabile. L’impressione che essa sia diventata più gestibile è suffragata dalla maggiore speranza di vita che i farmaci assicurano ai sieropositivi così come agli ammalati. Con l’avvento dei farmaci la sensazione che l’AIDS sia meno infausto ha fatto abbassare la guardia nei suoi confronti e si è rivelata un’arma a doppio taglio. Per evitare di discriminare inutilmente le persone si è fatto di tutto per «normalizzare» questa malattia, ma ciò ha portato alla sua pericolosa «banalizzazione». Oggi i giovani sono forse ancora una categoria poco a rischio di AIDS, ma ne posseggono le dovute conoscenze?

I ragazzi dovrebbero essere orientati sull’argomento nell’ambito dell’educazione sessuale, a partire dalla terza media, ma la nostra sensazione è che,

per essere meglio recepito dai giovani, il messaggio dovrebbe essere meno tecnico e inserito nel contesto delle emozioni relativo alla sessualità. Nella sessualità si cresce pian piano e questo vale anche per la consapevolezza dei rischi, sebbene l’informazione dovrebbe già essere trasmessa prima delle iniziali esperienze sessuali. D’altronde, i giovani stessi si interessano a un tema solo nel momento in cui ne sentono la necessità e questo vale anche per le prime esperienze sessuali con tutte le domande che ne conseguono, AIDS compreso. Argomento, quest’ultimo, del quale spesso essi recepiscono unicamente i pregiudizi che arrivano dal proprio contesto famigliare, con il rischio di disinformazione che dovremmo essere in grado di correggere attraverso nuove strategie comunicative più mirate e adatte a essere accolte dai ragazzi. A chi possono rivolgersi i giovani che desiderano approfondire le proprie conoscenze sull’AIDS e sulla prevenzione?

Essi possono far capo a noi di Zonaprotetta o ai centri di pianificazione famigliare che, a loro volta, sono anche centri di consulenza sulla salute sessuale. A noi già fanno peraltro capo docenti con una particolare sensibilità sul tema. Alcuni accompagnano persino i loro allievi qui a Zonaprotetta per una lezione fuori sede. In questo modo, i ragazzi conoscono il posto e noi li informiamo sul fatto che vi possono fare capo per ogni loro esigenza: telefonando, passando personalmente o scrivendoci a info@ zonaprotetta.ch. / MGB Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere

Gli splendori della Persia

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Viaggio Per i lettori di «Azione», Hotelplan organizza una settimana

Desidero iscrivermi al viaggio dal 1. al 12 aprile 2015

di esplorazione attraverso un Paese ricco di storia di CHF 50.– re lo a v l e d s e cultura, dal 1. al 12 aprile 2015 M Carta acquisti Migro ioni entro il 20 dicembre 2014

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Un viaggio unico e straordinario attraverso le meraviglie architettoniche della Persia, le città museo di Teheran, Isfahan e Shiraz, vere perle dell’architettura islamica. L’Iran racchiude la maggior parte delle bellezze architettoniche di quest’area geografica. È infatti un Paese ricco di storia e splendidi monumenti di arte islamica, dichiarati anche patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Inoltre annovera alcune delle città più antiche

del mondo, molte delle quali centri cardinali lungo la Via della Seta. Hotelplan accompagnerà i lettori di «Azione» che vorranno lasciarsi guidare alla scoperta di questo fantastico caleidoscopio di esperienze indimenticabili e trionfo di cultura antica. Secondo il programma, saranno molte le mete che verranno visitate: Teheran in primis. Qui si visiteranno anche il palazzo Golestan e il museo dei

Prezzi Quota per persona in camera doppia: CHF 3655.–. Supplemento camera singola: CHF 445.–. Visto Iran: CHF 120.–. Spese di dossier Hotelplan: CHF 60.–. Il prezzo comprende Trasferta in bus all’aeroporto di Milano e ritorno; volo di linea da Milano Malpensa (con Scalo) per Teheran e ritorno, in classe economica; volo interno tasse

incluse; tutti i trasferimenti in loco con bus e guida locale (in italiano); sistemazione in hotel 4****, in camera doppia con servizi privati; trattamento di pensione completa dal pranzo del primo giorno al pranzo dell’ultimo; tasse e percentuali di servizio e pacchetto completo copertura viaggio. Il prezzo non comprende Pasti e bevande ove non menzionati; mance ed extra in genere; spese agenzia; visto Iran.

gioielli. Poi toccherà a Shiraz – con i suoi giardini e il bazar coperto – capoluogo della provincia di Fars, da cui partirà l’escursione all’antica Persepoli, grandiosa capitale spirituale dell’Impero degli Achemenidi. Si farà poi tappa alla necropoli di Naqsh-e-Rustam per visitare le tombe dei sovrani achemenidi e ammirare i rilievi sassanidi di Naqsh-e-Rajab. Si visiterà quindi la provincia di Kerman che comprende parte del deserto sabbioso di Dasht-e-Lut ed è famosa per le coltivazioni di palme da dattero. Si riparte poi verso sud, Raye: cittadella interessante grazie alle mura che la circondano, alle sedici possenti torri, e alla divisione in quartieri. Si proseguirà quindi verso Mahan e il mausoleo di Nur-ed-Din-Nimat Allah, per fare poi una sosta ai Giardini del Principe. Si attraverserà la steppa e il deserto, interrotto qua e là da oasi, si visiterà la moschea del Venerdì, del tempio del Fuoco, si sosterà alle «Torri del Silenzio» e poi via, verso Nain e il suo museo etnografico. Quindi si andrà ad Ardestan e infine si raggiungerà Isfahan, considerata la capitale artistica dell’Iran e per secoli crocevia di commerci e carovane. L’ultimo giorno, prima di parti-

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Cognome Via NAP

re, si percorreranno 440 km circa per raggiungere Teheran, passando per Kashan, dove si potranno visitare i «giardini del Re», una vera oasi in una regione desertica. Sosta poi a Qom, seconda città santa del Paese dopo Mashhad, dove ci si fermerà presso il magnifico mausoleo dell’Ayatollah Khomeini. Da Teheran si tornerà infine a casa.

Località Telefono e-mail Sarò accompagnato da … adulti

Programma di viaggio Mercoledì, 1. aprile. Ticino-Teheran. Ticino-Milano, torpedone. Volo di linea (con scalo) e arrivo a Teheran. Giovedì, 2 aprile. Teheran-Shiraz. Visita di Teheran. Volo per Shiraz. Venerdì, 3 aprile. Shiraz-Persepoli. Naqsh-E-Rustam. Escursione di circa 60 km, tra templi, palazzi e tombe. Rientro a Shiraz. Sabato, 4 aprile. Shiraz. Visita della città. Domenica, 5 aprile. Shiraz-Kerman. Partenza per la provincia di Kerman (550 km ca.). Lunedì, 6 aprile. Kerman-Rayen. Mahan-Kerman (200 km ca.). Visita di Kerman, Raye, Mahan e rientro a Kerman.

Martedì, 7 aprile. Kerman-Yazd. Partenza per Yazd. Mercoledì, 8 aprile. Yazd-Nain. Ardestan-Isfahan. Si va a Nain, Ardestan e Isfahan (300 km ca.). Giovedì, 9 aprile. Isfahan. Giornata intera per visitare la città. Venerdì, 10 aprile. Isfahan. Proseguimento della visita di Isfahan. Sabato, 11 aprile. Isfahan-Kashan. Teheran (440km ca.). Partenza per Kashan, Qom, e arrivo a Teheran. Nella notte partenza con il volo per Milano. Domenica, 12 aprile. Teheran-Ticino. Arrivo in mattinata, e trasferimento in torpedone in Ticino.

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La formazione continua. Anche sotto l’albero.

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Ambiente e Benessere

Voluntourism poco benefico

Le città fantasma di Capus

Viaggiatori d’Occidente I viaggi dei volontari non danno sempre i risultati sperati

Bussole Inviti

a letture per viaggiare

Claudio Visentin

«Ovunque al mondo mi capiti di viaggiare, rimango immediatamente attratto da quelle piccole cittadine che hanno un paio di migliaia di abitanti, e mi ricordano Olten, la mia città natale in Svizzera. Recentemente sono capitato in una piccola città fantasma di minatori d’oro chiamata Bodie, nel nord-est della California…»

U.S. Navy

Un pulmino si arresta in una radura, da qualche parte in Africa. Lilly – una giovane ragazza bionda in pantaloncini, top bianco e bandana – salta giù e comincia a gettare sacchetti di cibo a destra e a manca agli ignari passanti impegnati nelle loro occupazioni quotidiane; poco dopo la troviamo che sta insegnando ad alcuni ragazzini le regole del football americano; infine allatta una capretta. Nel frattempo scatta una lunga serie di selfie insieme ai suoi protetti per poi postarli su Facebook e Instagram. Come si scopre nel seguito, Lilly ignora quanti Stati ci sono in Africa, perché nella sua immaginazione è un unico grande Paese (per inciso, sembra essere un’opinione diffusa tra i giovani americani). Il video satirico «Let’s Save Africa!» (www.youtube.com/watch?v=ymcflrj_ rRc), realizzato da un’organizzazione per lo sviluppo norvegese, propone un’ottima introduzione al Voluntourism. Da qualche tempo un numero crescente di giovani – soprattutto inglesi, americani e australiani – si prende un anno sabbatico nel proprio percorso di studi, di solito tra la fine delle superiori e l’inizio dell’università. Al di là dello svago, ovviamente ben presente, l’obiettivo di questo rito di passaggio è una crescita personale: acquisire nuove conoscenze, fare esperienza, diventare più indipendenti e sicuri di sé. L’esperienza del volontariato all’estero, nei Paesi in via di sviluppo, è spesso una parte importante di questo Gap Year. Le proposte sono numerose, sia da parte delle organizzazioni non governative che di Tour operator specializzati: lavorare in un orfanotrofio (in Uganda, in Cambogia o in Nepal), ma anche occuparsi dei sopravvissuti a catastrofi naturali, coltivare i campi in India ecc. Da qualche tempo, però, si sono levate voci critiche, anche da parte di organizzazioni autorevoli come l’inglese Tourism Concern, che hanno sottolineato come, al di là delle buone intenzioni, i benefici del Voluntourism per le comunità locali siano alla fine ridotti. Per esempio, il lavoro dei volontari può sottrarre opportunità d’impiego ai locali,

che ne hanno ben altrimenti bisogno; o ancora lo scarso personale di istituzioni internazionali pressate dalle emergenze deve perdere tempo per prendersi cura dei giovani stranieri. Nel caso dei richiestissimi orfanotrofi, i bambini accuditi soffrono quando il volontario li abbandona per tornare a casa dopo poche settimane, senza contare il terribile sospetto che alcuni istituti esistano solo per approfittare degli ingenui quanto agiati viaggiatori occidentali. Spesso poi il lavoro compiuto sarebbe di scarsa qualità, a causa dell’inesperienza dei giovani volontari: in Tanzania un progetto prevedeva di costruire una biblioteca, ma di notte gli abitanti del luogo dovevano disfare tutto e ricostruire di nascosto, mentre i volontari dormivano soddisfatti dopo un duro giorno di lavoro. Meglio sarebbe stato affidare direttamente ai locali l’impresa, dando un contributo economico. Alla base di questi poveri risultati, c’è spesso l’idea errata che quelle africane siano società meno complesse della nostra, dove è più facile fare qualcosa

di utile. Al tempo stesso la conoscenza superficiale delle altre culture provoca malintesi e conflitti, anche perché i giovani viaggiatori sono spesso molto focalizzati su quello che possono ricavare dall’esperienza in termini di crescita personale anziché, come dovrebbe essere, su quello che resta sul territorio dopo la loro partenza. La frequente condivisione delle immagini sui social media racconta proprio questo desiderio di mostrarsi in una luce favorevole piuttosto che migliorare la vita degli altri. Da tutte queste riflessioni è scaturita una provocazione, anche se molto sensata: meglio viaggiare solo per divertimento, avendo naturalmente cura di soggiornare in strutture di turismo responsabile, i cui benefici ricadono sui locali, e prestare l’opera di volontari nella propria comunità d’origine, alle porte di casa insomma, dove è più facile orientarsi e ricevere una formazione adeguata. È una discussione interessante ma naturalmente bisogna fare attenzione a non esagerare nelle critiche: sarebbe un peccato se il risultato fosse quello di

scoraggiare i volenterosi e spingerli a rinchiudersi nella propria zona di sicurezza. Semmai dovrebbe essere un invito ad accompagnare con una riflessione consapevole la propria opera di volontario, anche per ottenere davvero quel che ci siamo prefissi. E in ogni caso l’impulso di aiutare gli altri resta lodevole e non si può giudicarlo solo sulla base di una severa analisi dei benefici immediati. L’esperienza di un soggiorno all’estero mette alla prova i nostri pregiudizi e apre la mente ai bisogni e alle difficoltà altrui, anche quando si è partiti con una preparazione insufficiente; e se sul breve periodo non dà risultati soddisfacenti, consente comunque quell’apertura mentale della quale non possiamo fare a meno nel mondo globale; infine apre la via a futuri ritorni, magari meglio preparati. Perché la disponibilità ad aiutare gli altri non dovrebbe concentrarsi in poche settimane della nostra vita, ma essere sempre presente, in forme diverse. In fondo, tutto si può imparare, anche come aiutare gli altri: forse a Lilly serve solo un poco di tempo per scoprirlo.

Di Bodie abbiamo parlato qualche tempo fa su queste pagine (ndr: «Azione» n.44 del 2 novembre 2010) ma il fascino delle città fantasma si accresce di anno in anno e ha infine contagiato anche Alex Capus, scrittore svizzero di lingua tedesca, che dopo aver licenziato per la stampa un romanzo d’amore, si è concesso una divagazione fisica e mentale tra le Ghost Town del Far West. Sono piccole cittadine cresciute in una notte, nel tempo di un sogno, per inseguire il miraggio di una vena d’oro o d’argento, e altrettanto rapidamente decadute e abbandonate al venir meno di questa esile ragion d’essere. Ma nel breve tempo della loro esistenza sono state un contenitore di vicende fuori dall’ordinario, che quasi inevitabilmente attraggono e affascinano gli scrittori, per i quali un giacimento di buone storie vale più di una miniera d’oro. E qui non manca davvero nulla: desperados e pistoleri ubriaconi, inventori pazzi e diligenze da assaltare, fumerie d’oppio e cammellieri arabi che tracciano nel deserto quella via verso l’Ovest, lungo la quale fiorirà la grandezza degli Stati Uniti… Il sole rovente del deserto fa squagliare ogni verosimiglianza e vecchi ritagli di giornale restituiscono aneddoti tanto improbabili quanto veri. A Capus, dopo averli raccolti e ordinati, non resta che tracciare avventurose genealogie per legare questi luoghi all’amata Olten, e il gioco è fatto. Bibliografia

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Ambiente e Benessere

Il sole allo specchio Energie Per portare luce dove domina

l’ombra, l’11 novembre è stato riattivato l’eliostato di Viganella, nel Verbano Cusio Ossola

Quando il sole non riesce più a farsi spazio tra le montagne, ecco che la luce viene dirottata verso la piazza del paese Lo stesso principio l’ha adottato, molto prima, pure il comune di Viganella, una località vicina a noi, nella valle Antrona, una gola buia e stretta nella provincia del Verbano Cusio Ossola. Qui, da nove anni, l’undici novembre entra in funzione lo specchio solare, un eliostato di 40 metri quadrati inaugurato a fine 2006. L’11 novembre è di fatto la data in cui il sole scompare dal villaggio e non si fa più vedere fino al due febbraio, lasciando gli abitanti all’ombra per 83 lunghi giorni. Lo specchio italiano è uno dei primi a cui si sono interessati anche i media e che ha portato i benefici auspicati alla comunità. La quale si dice soddisfatta del loro specchio solare, come ci conferma un responsabile del comune ubicato poco sopra Domodossola: «La piazza di Viganella è diventata anche nei mesi invernali un luogo d’incontro ideale. Sebbene non generi molto calore, porta luce e la gente si ferma volentieri ad assorbirne i raggi». In effetti, quando il sole non riesce più a farsi spazio tra le montagne, la luce viene dirottata verso la piazza del villaggio, su una superficie di circa 200 metri quadrati, dove si mantiene per quasi sei ore, dalle 9 alle 15 circa. Gli abitanti hanno di conseguenza adottato l’abitudine di soffermarsi più a lun-

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Il sole, stella madre del sistema solare, è un bene a cui ci si affeziona facilmente. C’è chi lo vorrebbe più caldo, ma c’è anche chi semplicemente lo vorrebbe più a lungo e qui da noi, quest’anno, nemmeno a dirlo lo vorremmo e basta. Nei Paesi nordici i periodi di oscurità raggiungono anche i sei mesi, un lungo tempo durante il quale il sole non si fa vedere. Il borgo norvegese di Rjuakan ha voluto porre rimedio a questa situazione e, per sopperire all’assenza dell’astro durante l’inverno, ha pensato di dirottarne i raggi con degli eliostati, ovvero con delle grandi superfici riflettenti messe in funzione nel 2013.

go nella piazza, soprattutto nei giorni festivi, per esempio dopo la messa domenicale. L’eliostato si trova collocato a monte del paese, a 1050 metri d’altitudine, in un luogo baciato dal sole e inaccessibile ai non addetti. Posto su un fusto metallico ancorato al suolo, è mosso da un sistema elettrico e informatico che, collegato a una centralina, permette allo schermo di seguire il sole e, dopo l’escursione diurna, di riposizionarsi nel punto iniziale. In questo modo si garantisce la massima riflessione e la giusta destinazione dei raggi. Accompagnando il moto dell’astro e variando la sua inclinazione, lo specchio dirige il sole nel luogo prestabilito, ossia nella piazza principale di Viganella (569 metri di altitudine), di fronte al monumento dei caduti. Durante il periodo d’inattività, in estate, la struttura viene spenta e gli abitanti possono godersi il caldo sole diretto. Ora è giunto il momento di riattivare questo eliostato che di certo ha ricominciato a portare luce nuova a quel piccolo paese di montagna, destinato altrimenti a rimanere in ombra per molti mesi. Un degno emulo dell’eliostato di Viganella, come detto, è quello norvegese di Rjukan, messo in funzione nel 2013 e di cui hanno riportato anche alcuni quotidiani e riviste di tutta Europa. La cittadina di 3500 abitanti, ubicata sul fondovalle e circondata da ripide montagne, era da sempre stata abituata a un lungo periodo in ombra, da ottobre a marzo. Oggi, grazie a un investimento di oltre 500 mila euro, la popolazione può beneficiare di un po’ di tepore solare, ideale per affrontare i duri inverni nordici, che rimangono comunque freddi e lunghi. Analogamente a Viganella, anche qui la luce è stata captata 400 metri più in alto del paese, sulle colline circostanti, dove sono stati sistemati tre specchi rettangolari, con una superficie complessiva di 500 metri quadri. Gli eliostati variano la loro posizione secondo l’andamento dell’astro e dirigono così i raggi verso la cittadina e in particolare verso la piazza centrale. L’intento di Martin Andersen, l’artista locale che ha promosso il progetto congiuntamente alla centrale elettrica pubblica e al comune, è anche stato quello di offrire agli abitanti un luogo all’aperto dove riunirsi pure d’inverno.

Philipendula

Elia Stampanoni


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Ambiente e Benessere

Garofani: il ritorno della semplicità Mondoverde Le tante sfumature del fiore degli Dei

Anita Negretti I ricchi giardini dell’Ottocento erano colmi di vasi, fioriere e bordure con garofani variopinti, in fioritura dalla primavera fino a fine autunno. Caduti nell’oblio per vari anni, snobbati da giardinieri un po’ troppo sofisticati, ecco che si riaffacciano nuovamente sul mercato, con nuove varietà dai colori accesi e con profumi deliziosi. Incominciamo a conoscerli, per poterli ospitare al meglio in giardino e ottenere fioriture continue con pochissime cure. Il genere Dianthus, della famiglia delle Caryophyllaceae, è originario delle zone temperate e comprende ben 300 specie di piante annuali, biennali o perenni, tutte sempreverdi. Si tratta di erbacee alte dai 25 cm fino ad arrivare al metro, con fusti angolosi e nodi ben visibili, foglie opposte lineari o lanceolate spesso azzurre o grigioverde. I fiori tondeggianti si presentano isolati o riuniti in mazzetti, con calice tubuloso e cilindrico che termina con una corolla a 5 petali. Il frutto è una capsula uniloculare portante numerosissimi semi. Tra le specie botaniche, meritano un posto in prima fila i garofani dei poeti, Dianthus barbatus, che si prestano molto bene nell’arricchire con colori sgargianti le aiuole. Alti dai 30 ai 60 cm, fioriscono tra giugno e luglio, con fiori semplici o doppi riuniti in mazzetti; amanti delle posizioni soleggiate, crescono in qualsiasi terreno ben drenato, anche se è preferibile correggere

i terreni acidi con del calcare o con del terriccio universale. Coltivati come pianta annuale, in realtà sono delle perenni, certamente non longeve, ma comunque in grado di rifiorire per più anni, senza dover essere gettati dopo il primo anno! Il più rappresentativo tra i garofani dei poeti appartiene alla varietà Indianerteppich, con corolle dal rosso carminio, al rosa confetto, bianco e crema, dai bordi bicolori, in grado di fiorire da maggio fino a settembre, raggiungendo 30 cm d’altezza, senza la necessità di avere dei sostegni dal momento che vanta uno stelo turgido. Si interviene solo nel caso di terreni eccessivamente fertili o in zone molto ventose, dove i fusti possono spezzarsi con facilità. Per prolungare la fioritura è invece raccomandabile tagliare i fusti fioriferi al momento della sfioritura; in questo modo le piante rifioriranno l’anno successivo. Per aver sempre nuove piantine è bene seminarle all’aperto in giugno, trapiantandole a dimora in ottobre, oppure mediante semina sotto vetro in marzo, si avranno garofani dei poeti già in fiore a luglio. Per chi ama i bassi cuscini fioriti, adatti ai giardini rocciosi, ecco i Dianthus deltoides, alti non più di 15-20 cm, con capolini larghi 2 cm dal bianco puro, come la varietà «Albus», al rosa come «Roseus» fino al rosso brillante, senza scordarci di nominare la varietà «Arctic Fire», bianco latte con un cuore centrale rosso amaranto. Questa specie, caratterizzata dallo sviluppo basso, si moltiplica con facili-

Un esemplare di Dianthus barbatus. (Love Zhirkov)

tà mediante semina o disseminazione naturale e ben si adatta a zone di primissimo piano nei bordi misti all’inglese. Simile per portamento, quindi adatta a formare cuscini puntinati di fiori, la specie perenne Dianthus haematocalyx, originaria della Grecia, ha il calice color rosso vivo e i petali rosa porpora nella parte superiore, mentre in quella inferiore tendono al giallo paglierino. Volete stupirvi? Scegliete i garofani Dianthus superbus, dai fiori profumatissimi e con petali sfrangiati, oppure andate per vivai a ricercare tutti quei garofani del gruppo chiamato «Pink», che, al contrario del nome,

non sono tutti rosa! Ne fanno parte le selezioni antiche come «Unique», rosa cupo, con macchioline simmetriche rosa chiaro, «Old Velvet», rosso scuro bordati di bianco o il magnifico «Daily Mail», tutto bianco con leggere pennellate porpora. E ora un’ultima curiosità. Linneo, padre della nomenclatura binomia tuttora utilizzata per classificare le piante, battezzò il garofano con il nome Dianthus, derivandolo da due voci greche: dios, dio, e antro, fiore. Il significato del nome è dunque «fiore degli dei». Storicamente il garofano veniva usato dai musulmani per dare profu-

mo ai liquori, e molte sono le vicende e gli aneddoti legati a questo semplice e rustico fiore. Ad esempio si racconta che i soldati di Luigi IX, re francese dal 1235, furono decimati da un’epidemia di peste durante la crociata di Tunisi nel 1270. Molti riuscirono a salvarsi grazie a un liquore a base di garofano e lo stesso liquore giunse in Europa nella seconda metà del XIII sec., fino alla corte inglese, dove nel Cinquecento diventò un’importante medicina per molti malanni. Inoltre «Garofano» è il nome del sedicesimo giorno del mese di Pratile del calendario rivoluzionario francese; è stato per anni l’emblema del partito socialista italiano; infine il garofano è anche simbolo di fedeltà in amore. Per prendervi cura di un garofano basteranno poche regole semplici. Anzitutto il terreno deve essere abbastanza calcareo e le annaffiature regolari in primavera e in estate, senza lasciar seccare il terreno. Esposizione: soleggiata. Clima: temperato per garantire fioriture fino a dicembre. Per moltiplicarle, occorre seminarle tra marzo e giugno, oppure procedere con le talee in luglioagosto. Potatura: in marzo-aprile si cimano per favorire la comparsa di più germogli, mentre si recidono i rami sfioriti durante tutto il periodo di fioritura. Per quanto riguarda eventuali parassiti, i garofani attraggono afidi e ragnetti rossi, mentre le malattie più frequenti sono le macchie fogliari e il marciume radicale delle talee. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Mousse di mascarpone al limone con susine rosse Dessert Ingredienti per 4 persone: 8 susine · ½ limone · 1 dl d’acqua · 30 g di zucchero · melissa per guarnire. Mousse: 3 limoni · 80 g di zucchero · ½ bustina di agar-agar (4 g) · 1 albume · 1,5 dl di panna intera · 100 g di mascarpone. 1. Per la mousse: spremete i limoni. Occorrono 1,5 dl di succo. Se necessario aggiungete un po’ d’acqua. Portate a ebollizione il succo con lo zucchero. Incorporate l’agar-agar e lasciate bollire per 2 minuti. Mettete in frigo il liquido, finché il bordo comincia a consolidarsi. 2. Montate separatamente l’albume e la panna ben fermi. Mescolate il mascarpone con lo sciroppo di limone. Incorporate delicatamente la panna e l’albume. Coprite la mousse e fatela consolidare in frigo per circa 3 ore. 3. Dimezzate le susine e snocciolatele. Tagliate il limone a fettine. Portatelo a ebollizione con l’acqua e lo zucchero. Aggiungete le susine, copritele e fatele stufare a fuoco basso per circa 5 minuti. Lasciatele raffreddare nel succo. Servitele con la mousse di limone e guarnite con la melissa.

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Ambiente e Benessere

L’incubo del mal di schiena Sportivamente Trascorsa malissimo l’attesa della finale di Coppa Davis anche per via della polemica avviata

da Mirka, moglie di Roger Federer, che ha provocato Stan Wawrinka nella semifinale del Masters di Londra Alcide Bernasconi Ho trascorso due settimane piene di incubi. Lasciamo perdere il maltempo e le storie, purtroppo tragiche, che hanno segnato in modo indelebile gli ultimi quindici giorni. Per questo motivo e senza che nessuno ci prenda sul serio, noi della stampa sportiva, occupandoci di cose banali quali sono spesso le vicende dello sport, soprattutto quando attorno accade quel che accade, abbiamo vissuto momenti che, senza esagerare, ci impedivano di addormentarci in modo sereno.

Ad agitare i sonni dei tifosi è un vecchio problema del tennista basilese legato alla salute Quanto a me, l’ultima settimana è stata davvero un incubo, per via della finale di Coppa Davis. Un tormento incominciato con le ultime due giornate della finale del Masters con un regolamento che ha voluto – uno di fronte all’altro in semifinale – i due campioni rossocrociati a pochi giorni dalla finale della Davis a Lilla contro la Francia, per un incontro… fratricida: Roger Federer e Stan Wawrinka! Ecco allora i due, proprio quando la loro concentrazione doveva essere ben altrimenti indirizzata, pronti a giocare una partita vera, nonostante tutto. Che ci fosse tra i due una rivalità più pronunciata di quanto non si volesse ammettere era chiaro da tempo. Non vera ruggine, ma neppure quel che si dice una sana rivalità. Poi la stampa – come sempre, del resto, chiamata in causa appena qualcosa non funziona per il verso giusto – ha fatto il resto mettendoci del suo. Anche John McEnroe ha rincarato la dose,

sebbene a suo tempo fosse un autentico birba della racchetta, un rompiscatole come pochi altri, mentre ora fa il commentatore tv con il privilegio di poter passeggiare nei corridoi degli stadi, così da poter tendere l’orecchio per captare qualcosa da raccontare al pubblico della rete privata nella quale lavora. John McEnroe ci ha, infatti, raccontato qualche particolare in più del caso scoppiato a Londra e nato da uno sfottò della signora Mirka, moglie di Roger, all’indirizzo di Stan. Comunque sia, McEnroe si sarebbe limitato a dire che tra i due svizzeri sarebbero corse parole non troppo amichevoli… Ah, queste «Mirke» che non sanno tenere la bocca chiusa e provocano l’avversario dei mariti forse con l’intento di agevolare la fine vittoriosa del confronto per i coniugi! Così, a calmare i bollenti spiriti è dovuto intervenire il giudice-arbitro in persona il quale, dall’alto del suo seggiolone, s’è limitato però a richiamare all’ordine soltanto Wawrinka: «Calmo, Stan! Calmo!» Il siparietto è finito lì. E poco dopo anche l’incontro. Intanto prendeva però il via una nuova storia, che vede Federer alle prese con un fastidioso dolore alla schiena e con lo strascico polemico della semifinale e la sua impossibilità di giocare la finale contro Djokovic, per non peggiorare il suo problema fisico. Il commento del basilese è apparso un po’ misterioso per i francesi, un po’ meno per la stampa svizzera: «Forse era meglio che il match si chiudesse sul 5-3 o su 5-4 per Wawrinka. Avremmo evitato la polemica e io il mal di schiena». Ebbene, questa settimana da incubo è stata contrassegnata da interminabili telefonate di donna Michelle, presidentessa del Fans Club di una famosa collinetta luganese, che segue da anni con trepidazione il nostro campione. Sempre con l’invito, alla fine supplichevole, di recarmi in villa per le consolazioni del caso. Potete immaginare

Stanislas Wawrinka, a sinistra, e Roger Federer. (Keystone)

tessa. E lei lo sa. Sono in molti a salire su in collina, quando è Michelle che chiama, finale di Davis o tornei dello Slam. Anche quando si reca di persona alle partite del «suo» Roger, attenti osservatori asseriscono che le occhiatacce di Michelle a Mirka sono ormai imbarazzanti. Solo Stan – si dice – sembrerebbe approvare. Mi spiace moltissimo, ma questo è tutto quanto posso scrivere alla vigilia della finale. Andrò a leggere come si è risolta poi – forse – ne parlerò. Ammetto di non aver avuto la forza di seguire quest’ultimo atto della Davis. Mi farò raccontare qualcosa da Michelle, ma lo sguardo di «Bello», il suo Labrador, varrà più di mille parole.

in che stato la povera abbia poi vissuto l’incontro. Un’unica sofferenza, al punto da non poterne riferire qui, nonostante amorevoli cure e interventi del medico di famiglia, resisi necessari. Decisive per la sua salute, comunque, credo siano state le tisane della cara Victoria, impareggiabile governante di Villa Collinetta. Nonché i grappini di Giovanni, il giardiniere, spasimante – del resto ricambiato – della brava donna spagnola. Ormai anche il sottoscritto ha la sua età. Fatica a reggere lo stress delle vicende sportive e non poche volte ha dovuto rinunciare alla presenza allo stadio per salutare il successo della squadra che in cuor gli sta (leggi FC Lugano). Dolori fisici e… morali che gli hanno fatto saltare

fra l’altro un paio di sedute rigeneratrici coi ginnasti non più verdi della Federale, fra i quali non poche vecchie glorie dello sport luganese. Per dirla tutta, il vero incubo è Donna Michelle alle prese coi preparativi per il buffet della tre giorni di Lilla. In verità, fa tutto Victoria, con il suo grande senso pratico. Il dubbio è sulle presenze degli invitati alla «Tre giorni di Villa Collinetta». Il consorte di Donna Michelle, manco a dirlo, si trova per lavoro a Londra, da dove avrà raggiunto direttamente Lilla. Quanto alla presidentessa non potrebbe mai abbandonare il campo, dovendo fare gli onori di casa, tanto più in una simile occasione. Non sono il solo ad avere un debole per la bella presiden-

ORIZZONTALI 1. Pianta aromatica 6. Fa sempre la stessa strada 7. Discorso senza capo né coda 9. Cibele lo risuscitò 10. Dentro 11. Con... «tare» vale... trasformare 12. Orifizi cutanei 13. Hanno uno stesso corredo cromosomico 17. Amabilità, cortesia 18. Paese in poesia 19. Canti del Vecchio Testamento 20. Gli dei di Sigfrido 21. Successione di diverse gradazioni di colore 23. Le iniziali dell’attore Cage 24. Mi seguono in miseria 25. Fiero, coraggioso 27. Isolotto tipico dell’Oceano Pacifico e Indiano 28. Antico nome di Tokyo VERTICALI 1. Organi maschili del fiore 2. Il leggendario re di Camelot 3. Canzoni medievali francesi 4. L’attrice Mezzogiorno 5. Giovani, immaturi 8. C’è anche quello solare 10. Abituale 12. Un albero col pennacchio 13. Una... cricca di amici 14. Spina dorsale del pesce 15. Operette poetiche 16. Fino in fondo 17. Fusto, stelo 19. Il bis della salsa 21. Prodotto per parrucchieri 22. Si visita con i bambini 24. Le iniziali dell’attore Orlando 26. Le iniziali del filosofo Diderot

Sudoku Livello per geni

Giochi Cruciverba Per lessare le patate senza farle disfare, mettile a bollire in acqua fredda... Trova il resto della frase risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate (Frase: 6, 3, 4, 5)

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Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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Politica e Economia Italia allo sbando Nonostante continui a sbandierare ottimismo Matteo Renzi deve affrontare la cruda realtà

Messico insanguinato Nel Sud del Paese, a Iguala, 43 studenti spariscono nel nulla e si teme siano stati uccisi dai narcos. Con l’aiuto del sindaco e della polizia locale pagina 30

Unione in fumo Il PBD boccia l’idea di un matrimonio con il PPD, per Eveline WidmerSchlumpf un sasso in più sulla via della rielezione pagina 31

pagina 27

Putin ha raccolto il record assoluto di consensi da quando si è installato al Cremlino. (AFP)

Dalla Russia con furore Russia-Ucraina All’inizio della crisi nessun analista poteva immaginare che i rischi di guerra potessero diventare

concreti, mentre oggi appare realistica l’internazionalizzazione del conflitto Lucio Caracciolo La Russia è entrata in guerra. Non (ancora?) nel senso pieno del termine, visto che si limita finora a supportare con gli «uomini verdi» (volontari e/o truppe speciali mascherate) e le forniture di armi la ribellione anti-Kiev nell’est e nel sud dell’Ucraina. Ma certamente lo è dal punto di vista psicologico e politico. Basta scorrere la stampa e vedere le televisioni russe: c’è una e una sola verità reiterata con ferrea monotonia. Grosso modo, possiamo sintetizzarla così: l’Occidente ci ha provocato in Ucraina, non ci rispetta anzi ci minaccia; la Nato vuole inglobare Kiev, usando l’Unione Europea come specchietto per le allodole; i fratelli russi d’Ucraina sono in pericolo, sotto il fuoco di un gruppo di nazisti che ha manipolato Majdan. Questo richiamo iperpatriottico tocca alcuni nervi sensibili dell’anima russa. Non c’è bisogno di essere degli esperti di storia per ricordare quanto il patriottismo conti a quelle latitudini, quali sacrifici quel popolo sia disposto

a fare per difendersi da attacchi presunti o effettivi, quale spirito di dedizione al capo – oggi Putin, ieri Stalin, l’altro ieri gli zar – sia capace di esprimere anche il più umile dei cittadini in tempi di acuta crisi. La propaganda martella, deforma, instilla messaggi monocordi. Ma nessuno spin funziona se non corrisponde in buona misura allo stato d’animo di coloro cui è indirizzato. E non c’è dubbio che oggi la grande maggioranza del popolo russo la pensi come i suoi imbonitori di regime. I sondaggi più o meno indipendenti collocano la soglia di gradimento di Putin fra i tre quarti e i quattro quinti, record assoluto da quando (nel 2000) l’attuale presidente, destinato a restare al suo posto fino al 2018 ma forse anche oltre, si installò al Cremlino. Le punte di dissenso sono visibili solo sui blog. E non sempre questa diversità di posizioni o di accenti volge al pacifismo o al compromesso. Anzi, spesso si accusa il presidente di eccessiva corrività con il nemico – americano anzitutto, ma anche europeo. Putin come sempre cerca il centro dello

schieramento, consapevole di quanto l’opinione pubblica conti persino in un Paese che non brilla per libertà e democrazia. La radicalizzazione dell’opinione russa corrisponde specularmente a quella visibile nell’Ucraina occidentale, a Kiev e nelle aree più vicine al nuovo potere, incarnato dal presidente Poroshenko. Anche qui il mondo è diviso in due: «Nash ili ni nash» – «Nostro o non nostro», così si classificano gli ucraini, a seconda che aderiscano al progetto neonazionalista di chi, nel febbraio scorso, rovesciò il regime ipercorrotto di Janukovich, o pertengano al cosiddetto Anti-Majdan, ossia allo schieramento filorusso. Una partizione non solo teorica, che trova infatti espressione nella legislazione sulla «lustratsija». Una vera e propria epurazione, volta a eliminare i sostenitori del vecchio regime, o sospetti tali, dalla pubblica amministrazione. Già ne sono stati liquidati a migliaia, fra cui molti poliziotti. Se fra qualche tempo li trovassimo in piazza, a contestare il governo, non dovremmo stupirci.

Quanto poi alla «rivoluzione della dignità e della libertà» che ogni 21 novembre e «per sempre» – così una recente legge – sarà celebrata nell’Ucraina rimasta fedele a Kiev, qualche bemolle è necessario. Paradosso vuole che a varare l’epurazione sia il Parlamento che esprime una maggioranza favorevole al presidente Poroshenko, un oligarca che a suo tempo contribuì alla fondazione del Partito delle Regioni oggi messo all’indice. Più in generale, rispetto alle aspirazioni di EuroMajdan – la piazza della rivolta che fra il novembre 2013 e il febbraio 2014 spazzò via il regime di Janukovich – molto sembra indicare che esse rimarranno ancora a lungo tali. Al potere restano gli oligarchi, che si stanno scambiando sedie e posizioni, senza cedere quote rilevanti di potere economico e politico. Una casta imperitura, composta da un centinaio di persone che controllano i quattro quinti del Pil. Nella migliore delle ipotesi, a questo punto, si può sperare che quello in corso nelle regioni ribelli di Donetsk e Lugansk resti un conflitto a relati-

vamente bassa intensità, più o meno «congelato». Con i suoi alti e i suoi bassi, ma comunque contenuto in quei territori. Sarebbe però irrealistico non considerare la possibilità che la guerra si estenda. In Russia si discetta dei confini della «Nuova Russia» e della necessità di collegare via terra la Crimea, ormai saldamente in mano a Mosca, al resto della Federazione. Qualcuno pensa di arrivare fino a Odessa, tagliando così fuori l’Ucraina anti-russa dalle rotte commerciali del Mar Nero. A quel punto, l’internazionalizzazione del conflitto, compresa la discesa in campo della Nato, non può essere del tutto esclusa. Probabilmente nessuno immaginava, all’inizio di questa crisi, che i rischi di guerra potessero diventare tanto concreti. Nemmeno coloro che, negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, pensavano di cavalcare EuroMajdan per ridimensionare o addirittura liquidare Putin. A conferma che l’unica certezza, quando comincia un conflitto, è che non finirà secondo i piani previsti.


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Politica e Economia

L’autunno caldo di Renzi Italia Di fronte ai molteplici problemi che affliggono il Paese, il premier continua a ostentare ottimismo, e reagisce

sprezzante alle minacce di defezione dal Pd, che sposterebbe a destra il baricentro del Partito

Alfredo Venturi Un’ondata di ansia attraversa l’Italia, affiancando la metafora alla cruda realtà delle onde di piena che insidiano città e campagne. È un Paese sopraffatto da una crisi economica e sociale ormai endemica, deluso da una classe politica incapace di venirne a capo e buona solo a bisticciare nei talk show, orfano di quei punti di riferimento che furono i partiti, facile preda di chi cavalca la tigre indicando le cause del grande malessere nell’euro, nei vincoli europei, nell’immigrazione incontrollata. Un Paese che ha riscoperto categorie da dopoguerra come lo sciopero generale, spettri che sembravano sepolti nella storia come l’occupazione delle fabbriche.

Il governo entra in conflitto con i sindacati a causa non solo della crisi ma anche dei rimedi neoliberisti contenuti nella riforma del lavoro Un Paese in cui anche l’ultima illusione, quel Matteo Renzi che aveva promesso di risanarlo in pochi mesi per poi ripiegare sull’obiettivo dei mille giorni, comincia a mostrare la corda. Non sembra più tanto a suo agio, al capezzale dell’Italia febbricitante. Riscuote ancora la maggioranza dei consensi ma la tendenza è in calo, mentre alle sue spalle incalzano non soltanto il sindacalista Maurizio Landini ma anche il leghista-lepenista Matteo Salvini e Giorgia Meloni, cofondatrice del partito di destra Fratelli d’Italia. Sono loro i capi della protesta contro l’Europa e contro i clandestini, dopo che sono vistosamente impallidite le cinque stelle di Beppe Grillo. Di fronte a tutto questo il presidente del consiglio continua a ostentare il suo inossidabile ottimismo, ma la tranquilla sicurezza degli esordi è come offuscata da un piglio nervoso e aggressivo. È visibilmente sulla difensiva, non a caso arriva a parlare di complotto ai suoi danni, di «gufi» e «rosiconi» che gli mettono i bastoni fra le ruote. Alle minacce di defezione dal Partito democratico reagisce sprezzante: se ne vogliono andare? Se ne vadano! Forse ci conta, visto che l’eventuale scissione sposterebbe a destra il baricentro del partito, proprio dove lui cerca di pescare nuovi consensi. Pierluigi Bersani, uno dei padri nobili del Pd destinati alla «rottamazione», lo invita alla cautela: l’Italia, avverte, è un oggetto da maneggiare con cura. Molti nemici molto onore, diceva il più discusso dei suoi predecessori, e certo di nemici se n’è fatti tanti. A cominciare da quelli che si annidano nel suo stesso partito, l’ala sinistra che assiste attonita a quella che percepisce come una metamorfosi del partito comunista nella democrazia cristiana. Il Pd ne risente in due modi: calano i consensi registrati dai sondaggi e calano i tesserati. Le sezioni, le mitiche sezioni che furono l’ossatura del potente Pci, si svuotano sempre più, ed è proprio quello che il presidente auspica: il suo «Partito della nazione» sarà, perché no, un organismo invertebrato e proprio per questo capace di penetrare e invadere tutti gli spazi sociali, compresi quelli a suo tempo preclusi dall’ideologia di classe. Questa manovra mette ovviamente in crisi anche l’altro grande partito, l’avversario di ieri, il berlusconiano Forza Italia. Stringendo un patto con Silvio

Protesta a Roma contro la politica sul lavoro di Matteo Renzi. (AFP)

Berlusconi per assicurare una larga maggioranza alla sua strategia riformista, Renzi si è di fatto proposto come l’erede naturale del Cavaliere, perfezionando così quell’incursione nel cuore dell’opinione centrista che i tradizionalisti del Pd soffrono come tradimento dei vecchi principi. Con il risultato che Forza Italia teme non solo di essere fagocitato dal Pd, ma anche di essere scavalcato da un nuovo possibile federatore del centro-destra, l’iperattivo Salvini che ha traghettato la Lega Nord dalle sponde padane e tendenzialmente secessioniste di Umberto Bossi ai lidi più ambiziosi di un movimento nazionalradicale. Per quanto audace e spregiudicata, la manovra di Renzi è priva del necessario contesto favorevole, quel superamento della crisi e quell’avvio della ripresa economica che il presidente

aveva dato per scontate. Niente da fare: a dispetto della retorica renziana («il nostro sogno ha le dimensioni dell’Italia»), le cifre del pil, del debito e dell’occupazione continuano a smentire le rosee previsioni presidenziali. Quanto va accadendo in Italia richiama in una certa misura il dramma di Helmut Kohl, che nei giorni della riunificazione tedesca aveva promesso alle nuove province orientali di trasformarle in un blühendes Land, un paese in fiore, per poi vedere il miraggio allontanarsi nel tempo. La discrepanza fra gli annunci e la realtà accentua il disagio sociale. Non bastano gli ottimistici cinguettii di Renzi, ormai essenziali nella sua comunicazione tanto da guadagnargli il nomignolo di serial twitter, per nascondere la realtà di un Paese allo stremo: si allunga l’ombra nera della

recessione, scompaiono i posti di lavoro e si contraggono i consumi proprio nel momento in cui la domanda interna dovrebbe stimolare la ripresa. Espresso da un Partito democratico erede di una lunga storia «dalla parte dei lavoratori», il governo entra in conflitto con i sindacati, a causa non soltanto della crisi ma anche dei rimedi neoliberisti contenuti nella proposta di riforma del lavoro chiamata, chissà perché, jobs act. I sindacati vengono investiti da due accuse convergenti: di fare politica e di limitarsi alla difesa dei loro iscritti. Evidente contraddizione, visto che proprio nell’allargamento della loro azione all’insieme della società è implicito un contenuto politico in senso proprio. Soprattutto fa infuriare i sindacalisti l’esplicita volontà di ridurre il ruolo delle rappresentanze operaie. Nella visione di Renzi non c’è spazio

per la tradizionale concertazione: il sindacato può dare al più pareri consultivi. Per di più il presidente si scaglia contro l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, un meccanismo di difesa dai licenziamenti ingiusti che in realtà ha poca rilevanza pratica ma un forte significato simbolico. Altro rapporto critico quello fra il governo da una parte, le regioni e i comuni dall’altra. Per tenere sotto controllo i conti si tagliano le spese e i tagli non risparmiano i trasferimenti di risorse agli enti locali. Risultato: regioni e comuni, già penalizzati dai vincoli europei che non consentono di spendere i fondi già destinati a opere pubbliche, vedono i loro bilanci ridotti al lumicino e dunque sono costretti ad alzare le tasse locali o a ridurre i servizi offerti alla cittadinanza. La ruggine centro-periferia è tenace: raggiunto durante il vertice australiano del G20 dalla notizia delle alluvioni che una volta ancora hanno colpito il Nord Italia, Renzi scarica la responsabilità sulle regioni e sulla loro insufficiente politica di tutela dell’ambiente. Gli risponde Claudio Burlando governatore della Liguria, una delle regioni devastate dalle avversità climatiche: i condoni li hanno fatti a Roma, non nelle regioni. I condoni, cioè i colpi di spugna sulle irregolarità edilizie ripetutamente decisi per fare cassa, causa non ultima dello sfacelo del territorio. In questo quadro così perturbato, il nodo dell’immigrazione agisce come benzina sul fuoco. In una desolata periferia romana l’episodio che suona come un campanello d’allarme: un miscuglio di rabbia e frustrazione prende di mira una struttura di accoglienza per stranieri richiedenti asilo politico. Ai manifestanti del luogo si aggiungono militanti di gruppi e gruppuscoli della destra. Molti fra gli ospiti reagiscono lanciando oggetti dalle finestre, la polizia fa quel che può, i politici in visita vengono duramente contestati. Incidenti, a Roma e altrove, anche attorno ai campi nomadi, in cui si raccoglie un’umanità allo sbando a volte circondata da comunità altrettanto disagiate. Infatti all’oggettiva difficoltà di accogliere la massa dei migranti si aggiunge spesso il degrado locale, tanto da far temere una versione italiana delle banlieues in fiamme nella Francia di qualche anno fa, o dei sanguinosi assalti agli Asylanten nella Germania degli anni Ottanta. In molti casi la situazione è aggravata da altre piaghe soltanto parzialmente connesse con l’immigrazione: piccola e grande criminalità, prostituzione a cielo aperto, spaccio di droghe. Lo sbocco violento del malessere sociale investe anche lo sport: tifoserie aggressive vengono alle mani con gli avversari e la polizia, rivelando a volte connotati esplicitamente politici. Come nel caso della banda mascherata che fa irruzione sugli spalti di un piccolo stadio della provincia romana, dove i tifosi di una squadra di calcio locale vengono colpiti con spranghe e picconi. Si tratta, a quanto pare, di una spedizione punitiva motivata semplicemente dal fatto che la squadra presa di mira sarebbe «di sinistra». Di opposta caratura politica le violenze di Milano, dove lo sgombero di alcune case illegalmente occupate produce scenari di guerriglia urbana animati dagli «antagonisti» dei centri sociali. Analoghe tensioni a Torino e altrove. È come una miccia che crepita da un capo all’altro del Paese, serpeggiando fra bombe sociali pronte a esplodere. Si aspettava un autunno caldo: è rovente, sia pure flagellato dalle piogge battenti di questo clima impazzito.


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Politica e Economia

Terza Intifada? Strage in sinagoga a Gerusalemme È opera di due lupi solitari, ma i palestinesi

potrebbero tornare ad organizzarsi

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La Città santa è l’ombelico delle tre religioni monoteiste, ma lo scontro fra israeliani e palestinesi sta assumendo le forme di una guerra di religione Erano le 7 del mattino quando due giovani arabo-israeliani del quartiere di Jabel Mukaber hanno fatto irruzione nel più sacro dei luoghi ebraici armati di pistole, coltelli e asce sorprendendo i fedeli in preghiera. Prima hanno sparato all’impazzata poi hanno cominciato ad aggredire le vittime all’arma bianca, sgozzando e infierendo sui feriti. Inutile ricordare che lo sgozzamento è la forma più crudele e simbolica di esecuzione nella religione mussulmana, come insegnano tristemente i video-spot dello Stato islamico (Is) del califfo al-Baghdadi in Siria e Iraq. Le forze dell’ordine sono intervenute di lì a breve e hanno freddato i terroristi, Ghassan e Uday Abu Jamal, due cugini che conoscevano bene il quartiere di Har Nof per averci lavorato.

La rivendicazione è arrivata invece dalle Brigate Abu Ali Mustapha, braccio armato di un vecchio arnese della lotta per la liberazione della Palestina, il Fronte popolare (Fplp) del defunto George Habbash. L’Fplp non ha mai accettato gli altrettanto defunti Accordi di Oslo del 1993 ed è finito emarginato in compagnia degli estremisti islamici a Gaza, dopo essere stato la formazione afferente all’Olp più laica e più marxista di tutta la galassia dei movimenti palestinesi. È stata anche quella che dal 1970 in poi si è macchiata di gravi atti terroristici in tutto il mondo nel nome della causa palestinese. Il presidente dell’Autonomia nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen alias Mahmoud Abbas, sollecitato oltremodo dal segretario di Stato americano John Kerry (il cui piano di pace israelo-palestinese si è arenato fin dal 24 aprile scorso), ha condannato l’attentato e deve aver sentito cadere sulla sua linea politica un’altra pietra tombale. Non bastassero infatti Hamas e il governo Netanyahu a sabotare i suoi tentativi di conciliazione, ora ci si mette anche il Fronte popolare proprio nel momento in cui vari governi europei stanno considerando l’idea di riconoscere quello Stato palestinese indipendente che proprio lui ha proclamato sulla carta. Finora l’ha fatto solo il parlamento spagnolo, ma dopo il 18 novembre difficilmente arriveranno altri riconoscimenti. Pur essendo Abu Mazen il personaggio politico più moderato di Cisgiordania, Netanyahu non gli ha risparmiato l’accusa rituale che rivolge ad ogni leader palestinese ovvero di incitare i suoi all’odio contro Israele. È dovuto intervenire Yoram Cohen, il capo in testa dello Shin Bet, il controspionaggio interno di Israele, a smentire Netanyahu e ad affermare che Abu Mazen non incoraggia il terrorismo né apertamente né segretamente. La cosa oltremodo triste è che ministri israeliani in carica, come quello dell’Economia Naftali Bennett, che non vede l’ora di prendere il posto di Netanyahu, hanno immediatamente strumentalizzato la strage alla sinagoga per anticipare l’apertura della cam-

pagna elettorale. Bennett è noto per le sue posizioni oltranziste nei confronti dei palestinesi, vorrebbe annettere subito il 60% della Cisgiordania e incalza l’attuale primo ministro perché moltiplichi in maniera esponenziale le colonie ebraiche a Gerusalemme Est come ha fatto non più tardi dell’ottobre scorso. E non è il solo a pensarla così, non rendendosi conto che una chiusura tanto netta nei confronti di tutti i palestinesi contribuisce a creare un clima di odio ancora più radicato e profondo e può spingere giovani palestinesi esasperati a seguire l’esempio dei jihadisti dello Stato islamico. Quando il 19 novembre l’esercito israeliano ha provveduto a distruggere le case dei terroristi di turno, Ghassan e Uday Abu Jamal nel quartiere di Jabel Mukaber, le loro madri si sono augurate che l’esempio dei due «martiri» fosse presto emulato da altri giovani, mentre per le strade si accendevano nuovi scontri tra palestinesi e forze dell’ordine israeliane. «Sta forse scoppiando la terza Intifada?» si chiedono fior di commentatori sulle colonne dei quotidiani più prestigiosi. Ma le Intifade passate (nel 1987 e nel 2000) – aggiungono subito dopo – erano rivolte di popolo. Ora invece in Israele-Palestina ci troviamo di fronte ad attentati di «lupi solitari» come i due cugini che hanno assalito la sinagoga o quelli che hanno ucciso i tre giovani coloni ebrei il 12 giugno. Ebbene, l’idea dei «lupi solitari» non è affatto meno rassicurante di quella di una rivolta di popolo. In tutto il Medio Oriente al-Qaeda si sta rigenerando (come bene insegna l’esempio dello Stato islamico) proprio perché troppi giovani hanno fatto proprio l’appello di quello che la Cia chiamava «il bin Laden di Internet» ovvero Anwar alAwlaki, un intellettuale americanoyemenita ucciso dai droni statunitensi in Yemen nel 2011. Nel suo saggio I 44 modi di sostenere il jihad, al-Awlaki invitava tutti i musulmani a partecipare al jihad di persona, senza aspettare qualcuno che li recluti, ovunque siano, con qualsiasi mezzo, a seconda delle proprie possibilità. Insomma un jihad fai-da-te dove si impugnano pistole, coltelli e asce come hanno fatto i cugini Abu Jamal a Gerusalemme.

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Il Talmud (uno dei testi sacri dell’ebraismo) insanguinato, squadernato sull’asfalto ugualmente lordato di sangue. Questa è l’immagine più significativa dell’attacco terroristico del 18 novembre scorso contro la sinagoga Bnei Torah Kehilat Yaakov nel quartiere ultraortodosso di Har Nof a Gerusalemme Ovest. Mai nella lunga storia del conflitto israelo-palestinese si era arrivati a profanare una sinagoga e a uccidere tre rabbini, in una strage che ha lasciato sul terreno cinque vittime ebraiche più i due attentatori palestinesi uccisi dalla polizia. Mai nelle scorse Intifade erano scesi in campo con atti terroristici gli arabo-israeliani, cioè i discendenti dei palestinesi che nel 1948 hanno accettato di restare nello Stato ebraico ed hanno ricevuto la cittadinanza israeliana. Una prima volta molto inquietante, anche per il modus operandi degli attentatori.

D’altronde tra il loro quartiere e Har Nof, che sono contigui, non ci sono muri né check point presidiati dalla polizia. Fino al 18 novembre israeliani e palestinesi avevano convissuto nervosamente fianco a fianco, come peraltro succede in molte altre parti di Gerusalemme. Stando alla cronaca il gesto dei due giovani è maturato nel clima tesissimo dell’escalation di violenza che ha investito la Città Santa fin dal rinvenimento dei cadaveri di tre giovani coloni ebrei il 12 giugno scorso. Da allora è stato un continuo di scontri, aggressioni e morti sospette. La «battaglia per Gerusalemme» l’ha chiamata il premier israeliano Benjamin Netanyahu, promettendo una reazione durissima al massacro della sinagoga. Ma Gerusalemme la Santa è l’ombelico sensibilissimo delle tre grandi religioni monoteiste che hanno forgiato la storia spirituale e politica di tre quarti del mondo: l’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam. Una battaglia per Gerusalemme rischia di scatenare i fantasmi dell’Apocalisse. E qui sta la vera tragedia di quanto è successo il 18 novembre: una guerra scatenata dallo scontro di due nazionalismi, quello israeliano e quello palestinese, sta assumendo le forme di una vera e propria guerra di religione dove logica, politica, mediazioni difficilmente avrebbero possibilità di imbastire una qualche forma di pace. Questa è la deriva che temono tutti i politici e i commentatori che si sono espressi sui media, dalla carta stampata ai social network, a qualsiasi latitudine. A rivendicare la strage non è stato Hamas, come ci si aspettava. Da Gaza si è «limitato» ad affermare di «comprendere» l’accaduto come atto di ritorsione per il presunto omicidio da parte israeliana di un autista di autobus palestinese trovato impiccato poche settimane fa. L’autopsia – attuata peraltro alla presenza di un patologo palestinese – ha poi chiarito che si è trattato di un suicidio, ma questo non ha impedito ad Hamas di continuare a strombazzare la sua versione dei fatti. Il 18 novembre poi, assieme ai sodali della Jihad islamica, ha distribuito dolci agli abitanti di Gaza City in un clima generale di festa e tripudio.

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Marcella Emiliani


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Politica e Economia

Barbarie alla luce del sole Messico violento La misteriosa sparizione di 43 studenti di Iguala

Angela Nocioni I corpi bruciati sono uno sopra sull’altro. A uno manca una mano, a un altro è stato mozzato un piede. Ventotto cadaveri. Tutti carbonizzati perché i due sicari che hanno ricevuto in consegna dai poliziotti un gruppo di studenti arrestati – secondo quanto da loro deposto in testimonianza giurata davanti a un giudice – prima ne hanno uccisi diciassette, uno a uno, con un colpo secco di pistola. Li hanno impilati su un letto di rami e foglie secche, come in una pira. E poi hanno appiccato il fuoco con una tanica di benzina. I due hanno confessato, raccontato i dettagli e indicato il luogo della fossa comune.

Il vero mandante della strage sarebbe il sindaco di Iguala, ma il vero capo narco è sua moglie Maria È dall’ultimo venerdì di settembre che nello stato del Guerrero, profondo Messico meridionale, si cercano 43 studenti delle Magistrali scomparsi dopo essere stati aggrediti a freddo, con fucili da guerra, dalla polizia municipale di Iguala, città di 130 mila abitanti in cui i ragazzi erano appena arrivati in autobus per organizzare una colletta cittadina che avrebbe dovuto servire a sostenere un lungo sciopero contro la riforma della scuola. Dagli esami della polizia scientifica, risulta che tutti i colpi sono stati esplosi da armi in dotazione alla polizia locale. Il bilancio provvisorio, subito dopo l’attacco a freddo, era di 6 morti e 43 desaparecidos. Ora non si sa più il numero delle vittime. Perché si scava, si trovano altre fosse, si trovano altri cadaveri e non si sa più di chi sono. Di certo c’è solo che quei 43 ragazzi, tutti tra i 18 e i 23 anni, sembrano essersi volatilizzati e che ad alcuni dei cadaveri trovati nella fossa sono stati strappati gli occhi. Le macabre scoperte che si susseguono una dopo l’altra in questi giorni nel municipio di Iguala, sono la foto-

grafia del potere illimitato delle bande criminali che governano alla luce del sole il Messico, tanto da agire a volte, come stavolta, insieme alla polizia locale. In questo caso la collaborazione è stata tra il cartello narcotrafficante dei los Guerreros Unidos e il governo della città di Iguala. Il Guerrero è uno Stato ad alta presenza indigena, con una lunga storia di barbarie compiute dalla polizia e con una tradizione di lotte sindacali guidate da maestri e studenti. È il territorio di origine dell’Esercito di liberazione nazionale, l’Eln, meno conosciuto fuori dal Messico di quanto lo sia l’Esercito zapatista del sub comandante Marcos, ma ancora attivo. Gli studenti uccisi vengono tutti dalla Escuela Normal «Rural Raúl Isidro Burgos», di Ayotzipan, un municipio a 123 chilometri da Iguala. Chiamati in tutto il Messico, los Normalistas, molti degli studenti di magistero del Guerrero fanno parte di un collettivo di sinistra che esiste da decenni, molto ideologizzato. Los Normalistas sono noti nel movimento studentesco messicano per essere tra i più radicali e politicizzati del Paese. Gli investigatori sospettano che siano stati assaltati manu militari perché i narcos hanno considerato lo sciopero e il loro arrivo in città, un atto di insubordinazione nel territorio di cui i narcos locali si sentono (e di fatto sono) i padroni assoluti. Il racconto terrificante dei due sicari arrestati lascia aperte domande terribili. Non spiega dove siano finiti gli altri 26 ragazzi scomparsi e non spiega perché nella fossa indicata sono stati trovati 28 cadaveri, non 17. Di certo c’è solo che gli studenti sono stati prima presi dalla polizia municipale, poi trasferiti nel patio della caserma e lì consegnati ai sicari. A questa ricostruzione dei fatti, risalente ai primi giorni dopo la sparizione degli studenti e sconosciuta ai più, forse perché la gran parte della stampa internazionale si è occupata del caso con qualche giorno di ritardo e ha saltato a piè pari le prime testimonianze, ne è seguita una seconda, in cui tre manovali del narcotraffico sostengono di aver costretto a salire in camionicini stipati i ragazzi consegnati loro dalla polizia, di averne trovati almeno quin-

dici già morti per asfissia una volta arrivati sul luogo dell’esecuzione, di aver ucciso gli altri uno a uno con un colpo alla testa, di aver disposto i corpi su una pira di rami secchi e pneumatici, di aver vegliato sul fuoco che per un intero giorno ha arso i cadaveri dei ragazzi, di aver poi chiuso i resti carbonizzati in sacchi di plastica e di averli gettati in un fiume lì vicino. Il procuratore generale federale, Jesus Murillo Karam, ha dichiarato che tre uomini hanno confessato di essere gli esecutori della strage. «Sono conscio dell’enorme dolore che può arrecare questa notizia», ha detto Murillo aggiungendo che i tre – tutti appartenenti al gruppo narco Guerreros Unidos – hanno raccontato di aver preso in consegna i ragazzi, fermati dalla polizia municipale di Iguala, e di averli portati nella vicina località di Cocula per poi ucciderli secondo il rituale terrificante di un’esecuzione di massa. Le due confessioni fanno svanire l’ipotesi del Comitato statale dei diritti umani che, nelle prime ore dopo l’agguato, ipotizzava che gli studenti potessero essersi rifugiati nella montagna, forse nascosti in villaggi indigeni. Ma ormai è passato molto tempo, la speranza che la sparizione sia stata volontaria è davvero remota. Eppure, altro mistero nel mistero: né i resti trovati nei sacchi (ripescati nel fiume dai sommozzatori della polizia), né quelli sepolti nelle fosse comuni indicate nella prima testimonianza, corrisponderebbero al dna degli studenti. Questo risulta dai primi risultati delle analisi. Non quadra nulla in questa storia. Perché ci sono due versioni simili, identiche nella sostanza, ma differenti per alcuni dettagli macabri? E, soprattutto, per quale ragione entrambe le versioni risultano false nell’elemento più importante, ossia l’identificazione delle vittime? Dove sono quei ragazzi? E a chi appartengono i resti trovati finora? L’ordine del rapimento degli studenti, secondo quanto ricostruito da alcuni investigatori arrivati da Città del Messico ed esperti in storie di narcotrafficanti, sarebbe partito dal capo della polizia locale, Francisco Salgado Valladares e quello dell’uccisione da un

AFP

è un clamoroso episodio di connivenza fra polizia locale e narcos

capetto mafioso, El Chuky. I due lavorano insieme. Il massacro a sangue freddo sarebbe opera del cartello Los Guerreros Unidos, clan sorto dalle macerie del vecchio impero di Arturo Beltrán Leyva, chiamato «il capo dei capi» ucciso il 16 dicembre 2009. Il cartello è stato guidato a lungo da Mario Casarrubias Salgado, «el Sapo Guapo» (il rospo bello), ora in carcere, che ha guidato l’offensiva militare per la conquista del Guerrero. La Procura locale ammette che ad Iguala la polizia municipale è in mano ai narcos. Per questo i 22 agenti arrestati subito dopo la sparatoria contro gli studenti sono stati trasferiti subito a Acapulco, perché si temeva venissero liberati. L’autore intellettuale del delitto, il vero mandante della strage, sarebbe però il sindaco di Iguala, Josè Luis Abarca, fuggito insieme a sua moglie María de los Ángeles Pineda Villa (personaggio chiave del narcotraffico locale) e al capo delle sue guardie del corpo, subito dopo aver dichiarato davanti alla tv la notte della sparatoria: «Non ne so nulla, non ho sentito nemmeno un rumore per strada, quella sera io e mia moglie abbiamo ballato fino a tardi e non c’era nemmeno un rumore strano in città». Il sindaco è sospettato di aver fatto sequestrare e poi uccidere nel maggio dell’anno scorso tre dirigenti di un partito avversario. In realtà si tratta più che di sospetti. Ci sono le testimonianze dirette di persone sfuggite all’esecuzione. Eppure il sindaco e sua moglie, arrestati pochi giorni fa, vivevano liberi e impuniti in una ostentazione sadica di delirio di potenza, scorrazzando con

un’auto sportiva grigia per il Guerrero senza scorta perché – questo si racconta a mezza bocca nella zona – essendo i vincitori della guerra tra narcos, non sentono il bisogno di essere protetti. Raccontano i sindaci delle città del Guerrero che il sindaco di Iguala si è sempre vantato molto con loro di poter arrivare solo soletto ai vertici politici, fino al Palacio del Gobierno. «Nessuno mi toccherà mai – diceva – nessuno osa». Dicono che alla sua arroganza corrisponda una difficoltà evidente nell’affrontare ragionamenti complessi. Alle conferenze stampa, sempre risponde con una alzata di spalle o con un «non saprei, chi se ne frega». Il vero capo narco non sarebbe però lui, ma sua moglie. Due fratelli di lei, Alberto e Mario, hanno fatto carriera nel cartello Los Guerreros Unidos. Hanno cominciato nel 2000 come venditori di droga al dettaglio, poi si sono fatti strada finché il potente cartello di Sinaloa, allora in mano al capo Chapo Guzman, ha aperto loro l’ingresso al traffico di cocaina in arrivo dalla Colombia e dal Venezuela. Obiettivo: farla arrivare nel mercato statunitense. Per riuscirci si devono conquistare il potere nello Stato del Guerrero impedendo l’espansione dei cartelli degli Zetas (cartello costituito in gran parte da ex poliziotti delle Unità speciali antidroga della polizia e dell’esercito, secondo quanto provato da numerose inchieste) e della Familia Michoacana. Da qui verrebbe la necessità di mostrarsi padroni totali dello Stato del Guerrero. In questo mostruoso campo di battaglia, tra pazzi esaltati e criminali affamati di gloria, si sono trovati i 43 ragazzini che hanno osato sfidare il sindaco andando a scioperare nella piazza della sua città. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Gli orologi di Martin Landolt (a sinistra) e Christophe Darbellay non segnano la stessa ora. (Keystone)

Marchio «Svizzera», quanta confusione Swissness Il caso delle fabbriche di birra

che non possono definirsi «svizzere» se non usano acqua di una sorgente propria: così si favoriscono le grandi aziende, che sono ormai in mani straniere Ignazio Bonoli

Non è tempo di matrimoni Politica federale Il Partito Borghese Democratico fa marcia indietro

e boccia un’unione con il Partito Popolare Democratico Johnny Canonica Nessuna delle parti in causa l’aveva mai affermato a chiare lettere, ma l’idea di unire i gruppi parlamentari di Partito popolare democratico (PPD) e di Partito borghese democratico (PBD) assomigliava molto al primo passo che bisogna compiere per arrivare a quanto fatto in Germania tra CDU e CSU. Dove i due partiti, legati a doppio filo in Parlamento e in governo, continuano a restare separati e a spartirsi il potere (quando il popolo glielo affida) nei vari Länder, con la CSU a dettar legge in Baviera e la CDU a fungere da principale forza di governo o di opposizione nelle altre regioni. Un modello che probabilmente sarebbe piaciuto molto realizzare al presidente popolare democratico Christophe Darbellay, che non ha nascosto il suo disappunto per quanto deciso dalla controparte capitanata dal suo omologo Martin Landolt. Praticamente un fulmine a ciel sereno per il PPD, il lampo (e il tuono) che ha quasi simboleggiato il via alla campagna elettorale in vista delle elezioni federali del 18 ottobre 2015. E alla (ri)elezione del Consiglio federale, prevista all’inizio di ogni nuova legislatura.

La mancata unione rende meno certa una rielezione di Eveline Widmer-Schlumpf in Consiglio federale A decidere l’interruzione dell’operazione sono state soprattutto le sezioni cantonali del PBD. Per i borghesi democratici, tendenzialmente di confessione riformata, un’unione con i nemici storici cattolici è apparsa probabilmente come un rischio che sarebbe meglio non correre. La guerra del Sonderbund è stata vinta 166 anni fa, le divisioni di allora sono state superate, «ma perché rischiare di perdere potenziali elettori a vantaggio di rivali politici come UDC e PLR, per correre insieme al PPD?» si saranno chiesti gli strateghi cantonali borghesi democratici. Tanto più che in molti cantoni incombono i rinnovi dei poteri locali, e allora meglio lasciare le cose come stanno, meglio continuare una collaborazione proficua ma separata sotto la cupola di Palazzo federale piuttosto che formalizzare un’unione che rischia di annacquare il profilo del partito agli occhi degli elettori. «Berna val bene

una messa, ma non una messa da requiem», verrebbe da dire parafrasando Enrico IV di Francia. Un pensiero che vale soprattutto in quei cantoni (Grigioni e Berna su tutti), dove l’elettore borghese democratico prima votava convinto UDC e mai si sarebbe immaginato di «dover» votare un giorno un partito legato a doppio filo con il PPD. In casa popolare democratica si fa invece fatica a capire la decisione dell’alleato. Il capogruppo Filippo Lombardi ha definito la decisione borghese democratica come «una sconfitta per una politica orientata alla ricerca di soluzioni», mentre la segretaria generale del partito Beatrice Wertli ha affermato che «noi il nostro lavoro l’abbiamo fatto», la responsabilità della rinuncia è insomma tutta nelle mani della controparte, affermazione che non viene contestata. I due partiti continueranno a collaborare tra di loro, i parlamentari a tessere e stringere alleanze. Ma non pensando e rifacendosi a una strategia comune, bensì con chiunque segga su uno dei 246 seggi che conta il parlamento svizzero, come sempre si fa tra le mura di Palazzo federale. Nessuna via preferenziale tra PPD e PBD, insomma. E se le sezioni cantonali borghesi democratiche potranno, sempre che lo vogliano, congiungere le liste alle prossime elezioni federali con il PPD, questo non sarà però un obbligo – per lo meno morale – dettato dalle alleanze allacciate a Berna tra le alte sfere. L’aspetto politicamente più rilevante della mancata unione dei due gruppi parlamentari non riguarda però tanto la collaborazione sotto la cupola di Palazzo federale o nei parlamenti cantonali, quanto le conseguenze della decisione sulla rielezione del Consiglio federale, sulla composizione dell’esecutivo. Assodato che nessuno contesta al PPD il mandato governativo che detiene con Doris Leuthard, la stessa cosa non può invece esser detta per quello in mano al Partito borghese democratico. Il seggio occupato da Eveline Widmer-Schlumpf è da sempre nel mirino dell’UDC, che non ha mai perdonato alla politica grigionese di aver accettato l’elezione in governo al posto di Christoph Blocher nel 2007 (un’accettazione che è costata alla consigliera federale grigionese l’espulsione dai ranghi democentristi, l’evento che ha portato alla nascita del PBD) e un’unione PPD-PBD avrebbe sicuramente rafforzato le fondamenta della presenza borghese democratica nell’esecutivo. In molti interpretano la decisione di

non unire le forze in Parlamento come un’ammissione da parte del PBD che la consigliera federale non si ripresenterà per la rielezione il 9 dicembre dell’anno prossimo. Un’interpretazione rispedita però al mittente dal presidente borghese democratico Martin Landolt, secondo cui né la ministra delle finanze intende ritirarsi, né la sua rielezione è in forse. «Se Eveline Widmer-Schlumpf è già stata eletta per ben due volte, perché non dovrebbe esserlo una terza?», si saranno chiesti gli strateghi borghesi democratici. Una logica che non fa una grinza, ma solo se i rapporti di forza in parlamento resteranno immutati anche dopo il 18 ottobre 2015. Perché se per ipotesi l’anno prossimo il blocco UDC-PLR dovesse sottrarre voti agli altri partiti, soprattutto di centro, la sua rielezione potrebbe risultare tutto fuorché scontata. Chi invece avrebbe preferito che PPD e PBD unissero le forze è paradossalmente la sinistra. PS e Verdi vogliono infatti mantenere l’attuale formula di governo a maggioranza di centro-sinistra ed evitare a tutti i costi una maggioranza UDC-PLR in Consiglio federale. Da tempo il presidente socialista Christian Levrat riconosce all’UDC il diritto a un secondo seggio nell’esecutivo, ma a cedere il posto dovrebbe essere uno dei due rappresentati liberali-radicali e non Eveline Widmer-Schlumpf, tiene a precisare il consigliere agli Stati friburghese. E se proprio la ministra delle finanze dovesse rinunciare o non fosse rieletta, allora sarebbe il turno di un esponente ecologista a varcare la soglia della sala in cui si riunisce il Consiglio federale. Questa almeno l’opinione della copresidente dei Verdi Regula Rytz, secondo cui sommando le forze di Verdi e Verdi liberali la pretesa sarebbe giustificata (resta però da verificare se lo sarà anche nella prossima legislatura). Da parte sua Eveline WidmerSchlumpf mantiene il silenzio. E se si può partire dal presupposto che una terza legislatura in governo non le dispiacerebbe, si può anche immaginare che la decisione se ripresentarsi o meno per la rielezione davanti all’Assemblea federale la prenderà solo una volta conosciuti i rapporti di forza in Parlamento per il prossimo quadriennio. Va bene il sacrificio per il bene del Paese e per la gloria del partito, ma meglio concludere la carriera politica uscendo dalla scena a testa alta, piuttosto che affrontare il martirio. Perché se, appunto, Berna val bene una messa, alla messa da requiem rinuncerebbe anche lei.

Capita spesso che nell’applicazione di una decisione politica, a livello di ordinanza d’applicazione, non solo non si raggiunga lo scopo voluto, ma si rischi di creare più problemi di quanti se ne volessero risolvere. Sembra essere il caso nelle regole che la Confederazione sta preparando per la protezione del marchio «Svizzera» o del «Made in Switzerland». Il progetto di legge aveva già dato luogo a molte discussioni. Dato che la Svizzera importa molte materie prime e anche semilavorati, è evidente che i suoi prodotti contengono molte componenti provenienti dall’estero. Risulta però talvolta difficile stabilire con esattezza quanto di svizzero sia rimasto in un prodotto elvetico. L’esempio che citavamo in un commento precedente («Azione» del 1.3.2010), era quello della produzione di biscotti, per i quali il grano usato per produrre la necessaria farina viene importato in misura dell’80 per cento dall’estero. Per finire, le Camere federali hanno introdotto nella nuova legge un minimo dell’80 per cento di materia prima svizzera per potersi fregiare del marchio nazionale. A fine ottobre, la «Handelszeitung» ha dedicato un lungo articolo a un altro esempio, a dir poco paradossale: quello della birra prodotta in Svizzera. La birra si compone per il 90 per cento di acqua e se c’è una risorsa che in Svizzera di sicuro non manca è proprio l’acqua. Ma, attenzione, non tutta l’acqua della montagna elvetica è degna di portare il marchio «Svizzera». Infatti, secondo le direttive federali, soltanto l’acqua che sgorga da sorgenti proprie può essere utilizzata dalle fabbriche di birra che vogliono fregiarsi del marchio nazionale, mentre importano tutte le altre componenti (in particolare malto e luppolo) dall’estero. Ora, il presupposto di «swissness» non può essere ottenuto dalle piccole fabbriche locali che da tempo immemorabile producono birra, ma servendosi dell’acquedotto comunale. Il Consiglio federale impedisce alle più tradizionali birre svizzere di definirsi tali. Infatti, chi non possiede una propria sorgente non può più, in pratica, produrre birra «svizzera». Per tutte le fabbriche, invece, i rimanenti prodotti provengono dall’estero, poiché la Svizzera è in grado di coprire soltanto il 5 per cento del fabbisogno. Il direttore dell’Associazione svizzera dei produttori di birra non riesce a capire perché una legge possa definire un bene comune come l’acqua, quale unico elemento degno di protezione. Se ne potrebbe dedurre che proprio l’acqua svizzera possiede virtù tali da farla ritenere degna del marchio «swissness».

È inoltre evidente che la legge favorisce in questo modo i grandi produttori di birra svizzera, ma di proprietà di imprese estere: Calanda e Eichhof sono nel gruppo Heineken, mentre Feldschlösschen appartiene al gruppo Carlsberg e dispongono di sorgenti proprie in Svizzera. Un tempo, un grande produttore di birra non poteva fare a meno di impiantarsi presso una sorgente d’acqua. Oggi la stragrande maggioranza dei produttori di birra (440 per la precisione) non dispone di sorgenti proprie. Il regolamento per l’ottenimento del marchio «Svizzera» non si limita alla denominazione nazionale, ma anche a quelle locali. Così, per esempio, la fabbrica di birra di Einsiedeln, che produce circa 2 milioni di litri all’anno, utilizzando l’acqua dell’acquedotto comunale, non può più definirsi «Einsiedeln Bier», così come altri non possono utilizzare il nome del luogo di produzione o un termine più generale come «federale». Infatti, la legge prevede non solo l’uso del termine «Svizzera», ma anche dei suoi derivati che possano indicare direttamente o indirettamente una provenienza svizzera. Se non ci sono le premesse «idrologiche», non si possono nemmeno usare simboli come il «Cervino» o il «Cane di San Bernardo». Alle fabbriche di birra non viene nemmeno permesso di sottolineare l’appartenenza a una determinata regione. Una nota fabbrica dell’Oberland Bernese non può più dire di usare «Jungfrauwasser» se non dispone di una propria sorgente. Essa utilizza l’acqua dell’acquedotto comunale, che ovviamente proviene dalla regione della «Jungfrau»! Queste fabbriche che non possono usare un chiaro indicatore della regione di provenienza rischiano di perdere parte del mercato regionale. A Berna, per il momento, non ci si esprime. Il progetto di regolamento dello «swissness» è stato messo in consultazione la scorsa estate e, ora, si stanno vagliando le varie prese di posizione, che – come si può presumere – sono molto variate. A quanto pare la presa di posizione dei birrai ha messo in evidenza un’applicazione da correggere, anche se da altre parti si propugnano regolamentazioni ancora più restrittive. Sta di fatto che l’uso determinante dell’acqua per la «svizzeritudine» di un prodotto (non solo birra, ma anche tè o succo di mele) rischia proprio di «annacquare» tutta l’operazione. D’altro canto, l’applicazione troppo letterale di questi concetti rischia di eludere dal marchio «svizzera» interi settori di produzione. Nel caso della birra, perfino uno dei più tradizionali nel Paese.

La Feldschlösschen, oggi di proprietà della danese Carlsberg. (Keystone)



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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Dai 90 di Kneschaurek alla votazione su Ecopop L’altro ieri il prof. Francesco Kneschaurek, «ul Cecch» come lo chiamavano affettuosamente i suoi studenti ticinesi dell’università di S. Gallo, ha compiuto 90 anni. Gli giungano, anche da queste colonne, gli auguri più vivi di buon compleanno. Che il compleanno dello studioso che, per primo, in Svizzera, aveva avvertito le autorità dei costi insiti nella crescita demografica coincida, o quasi, con la votazione sull’iniziativa Ecopop sembra quasi un’ironia. Vediamo! Verso la fine degli anni Sessanta il professor Kneschaurek, avanzò, in un esercizio a varianti, la previsione stando alla quale, nel 2000, la popolazione del nostro Paese avrebbe anche potuto toccare i 10 milioni di abitanti. Potenza dei numeri: una volta che l’opinione pubblica e, in particolare, i politici vennero a conoscenza di questa previsione non ci fu più modo di darle il senso che doveva

avere, ossia quello di una variante di sviluppo basata su ipotesi di crescita estreme. Sarà utile ricordare che, nel 1970, in Svizzera vivevano 6,3 milioni di abitanti. Per raggiungere i 10 milioni, in 30 anni, la popolazione avrebbe dovuto crescere a un tasso annuale superiore all’1,5%, mentre nei fatti questo tasso poi non raggiunse neanche lo 0,5%. Per anni questa previsione venne additata come il tipo di errori che si possono fare quando si tenta di calcolare l’evoluzione di un fenomeno socio-economico nel lungo termine, estrapolando dallo sviluppo più recente. Né mancarono le critiche per le decisioni che qualche ente, in particolare più di un comune di cintura urbana, prese per anticipare la crescita del fabbisogno in infrastrutture che il perdurare dell’esplosione demografica avrebbe creato. Ancora un paio d’anni fa, mentre prendevo l’aperitivo

in una terrazza di caffè, sull’isola di Corfù, dovetti sopportare le critiche agli economisti di un compagno di viaggio che, negli anni Settanta, nel suo comune, si era battuto come municipale per far costruire una nuova scuola che, di fatto, restò inutilizzata per più anni, perché l’aumento di popolazione atteso, in forza della previsione di Kneschaurek, non si realizzò. Il comune cadde in un lungo periodo di forte indebitamento e la carriera politica del mio compagno di viaggio andò a farsi benedire. Come ha precisato anche il giornalista Christoph Büchi, in un suo recente articolo, l’errore fu fatto, più che nella variante di previsione di Kneschaurek, nella ricezione di questo valore da parte dei politici, i quali in realtà non furono capaci di dare il giusto peso a una previsione in varianti, ma si gettarono sui 10 milioni come se fosse un dato di

fatto accertato. Non bastò che Kneschaurek, tre o quattro anni dopo, nel suo famoso rapporto sullo sviluppo a lungo termine della Svizzera del 1974, correggesse il tiro, pubblicando una previsione di popolazione di 7,1 milioni di abitanti per il 2000, che si rivelò in seguito molto vicina allo sviluppo reale. Nella memoria collettiva restarono i dieci milioni che mai si avverarono. Ma, a prova del fatto che si impara più dagli errori che dalle buone previsioni, si può ricordare che, a partire da quella previsione, lo sviluppo demografico nel lungo termine diventò in Svizzera un evento politico di primaria importanza. Lo testimoniano le previsioni demografiche di lungo termine che, da circa 30 anni, vengono fatte dall’Ufficio federale di statistica e, probabilmente, vengono discusse, prima della pubblicazione, anche a livello politico. La lezione che

noi possiamo trarre da questo caso, è che siccome in Svizzera l’apporto del saldo naturale all’aumento della popolazione è praticamente zero e, tra poco, con l’ulteriore invecchiamento della popolazione, diventerà negativo, lo sviluppo demografico dipende unicamente dal saldo migratorio. Quest’ultima variabile può essere positiva o negativa a seconda dell’andamento della nostra congiuntura economica e della politica di controllo sull’immigrazione. È così difficile dire come evolverà l’immigrazione nei prossimi venti anni. Quel che è sicuro è che le previsioni estreme di chi vorrebbe limitarla hanno la medesima probabilità di realizzarsi di quelle di chi l’immigrazione non la vorrebbe toccare. In altre parole, il rischio di produrre una previsione sbagliata è probabilmente uguale per ambedue le parti.

segni di croce. Sostituiva don Clement che forse non sapeva ancora di dover lasciare il nostro paese, ospitale per oltre un anno. O forse tremava temendo che in Curia a Lugano avrebbero scoperto che il prete indiano stava facendo… l’indiano. Magari lui sperava in comprensione, in un aiuto. Ma un prete che nasconde ordini del suo vescovo non esiste. E allora ecco il diktat: don Clement deve lasciare il suo posto, subito, anzi: a partire da ieri! Proprio così: la Curia ha diramato un messaggio assolutamente inadatto, sproporzionato soprattutto nei silenzi. E troppi interrogativi sono rimasti tali anche dopo la dichiarazione serale alla Rsi in cui, mi dicono, mons. Vescovo ha tolto ogni speranza al povero prete indiano. Io credo che questa vicenda ci trasmetta diversi messaggi. Il primo è la fragilità che caratterizza l’informazione e quante incognite questa fragilità può favorire. La prima impressione che molti hanno avuto dalla notizia sulla decisione della Curia, proprio

per la stringatezza e la perentorietà dei termini, era che don Clement fosse un millantatore, addirittura che non fosse prete. Non si può dire che la stampa abbia infierito o che abbia scatenato una caccia alle streghe, si è limitata a riempire i silenzi. C’è però voluto un altro giorno per capire che si trattava «solo» di una faccenda di ordini superiori, perlomeno alterati se non falsificati. Il tardivo chiarimento, a conferma di quanto il primo comunicato fosse fuorviante, mi ha suggerito un sonoro «öh la madocina», lo stesso che avrebbe lanciato l’amico Dario Robbiani, per perdonare «ipso facto» il colpevole: pur di restare in un paese come il nostro, anch’io falsificherei perlomeno le date, per guadagnare qualche mese, magari qualche anno... Un altro messaggio giunge dall’ipotesi che don Clemente non abbia saputo resistere alle tentazioni del benessere di casa nostra. A parte che dovrebbe essere palese a tutti che in Ticino i preti oggi non possono certo essere inclusi

nella categoria dei benestanti, credo sia significativo confrontare questo caso con quanto, la domenica successiva, rivelava un impressionante reportage della «Nzz am Sonntag»: nei pressi del Cairo in una gigantesca e dantesca discarica abitano, lavorano e sopravvivono migliaia di cristiani, tollerati (con le loro croci e i loro maiali, indispensabili per riciclare i rifiuti umidi…) essenzialmente perché «fanno del bene» tenendo pulita la metropoli egiziana dai rifiuti. Ecco: non credo che don Clement sia ora piombato in simili scenari, ma di sicuro il suo rientro in India significa anche tornare in ambienti ostili in cui il cristianesimo è ghettizzato, quando non combattuto. Forse per lui il benessere che non voleva perdere era fatto di libertà, di fratellanza, di tolleranza. Per questo, ripensando a Padre Schlooz e allo scambio India-Ticino, spero che qualcuno, oltre a chi scrive, abbia comprensione per questo prete che ha voluto «fare l’indiano» pur di prolungare la permanenza al nostro servizio.

lista padano marcia insieme con una nazionalista francese. Ma la politica di Salvini è tutta dentro il fenomeno del nostro tempo: la rivolta contro le élites, l’establishment, le istituzioni, qualsiasi forma di rappresentanza: i partiti, i sindacati, le associazioni di categoria, i corpi intermedi, le burocrazie. Oggi la burocrazia di gran lunga più impopolare è l’Europa; e la comune polemica contro Bruxelles – e contro Berlino – spiega la strana intesa tra il barbuto milanese e la bionda figlia del fondatore del Front National. In realtà, Matteo Renzi – per quanto un po’ infastidito dalla crescente popolarità del suo omonimo – considera l’ascesa della Lega lepenista un vantaggio. Salvini potrà anche diventare sindaco di Milano, soprattutto se la giunta Pisapia continuerà a non muovere un dito contro le palesi illegalità nelle periferie, o anche soltanto per consentire ai milanesi di fare due passi in piazza Duomo o in galleria senza dover evitare di continuo questuanti sempre più aggressivi. Ma Salvini non potrà mai essere un’alternativa credibile per

il governo del Paese. Berlusconi, che non lo ama, potrebbe anche decidere di nascondersi dietro di lui, appoggiando una sua candidatura a Palazzo Chigi alle prossime elezioni, nella consapevolezza che questo turno tocca a Renzi; e nella speranza di poter schierare la volta successiva un leader il cui nome assomigli un po’ più al suo. Berlusconi infatti ha una concezione patrimoniale della politica. Considera il partito che ha fondato come un cespite della sua eredità, più o meno come Mediaset o Mediolanum o il Milan. Oggi il Cavaliere ha davanti due strade. O vende tutto, come vaticina Carlo De Benedetti, e trasforma la sua famiglia in una holding, minimizzando i rischi e i contrasti tra i figli; in tal caso Forza Italia o quel che ne resta può andare serenamente verso l’estinzione, o verso la trasformazione in una piccola Dc meridionale, in mano a Fitto o magari ad Alfano. Ma Berlusconi potrebbe anche decidere di rilanciare. Tenersi l’impero editoriale, rafforzandolo attraverso un’alleanza internazionale e attraverso forme di integrazione con

Telecom, e mantenere il controllo del partito da lasciare al figlio o alla figlia che avrà dimostrato il maggior talento di comunicazione e di comando (al momento le due candidate sono Marina e Barbara, ma non si può mai dire). In questa partita, Salvini ha le sue carte da giocare. Ma fino a quando la Lega non diventerà un partito davvero nazionale, non potrà mai vincere la partita in proprio. Prima o poi una Lega Sud nascerà. Ma difficilmente si affermerà come sottomarca di un altro prodotto. Ci ha già provato Micciché con Grande Sud; ma dietro si vedeva chiaramente l’ombra di Berlusconi. Salvini può anche far eleggere Borghezio a Roma, grazie a un accordo con Casa Pound da cui possono venire solo guai (e che farebbe bene a rinnegare al più presto); ma la Lega Sud, quella vera, la fonderà un Bossi napoletano. Vedremo se con Salvini andrà d’accordo, o se finiranno per litigare. Nel frattempo il giovane capo della Lega va in giro per campi Rom. E i centri sociali si comportano secondo copione, reagendo in modo violento, e finendo per fargli un favore.

Zig-Zag di Ovidio Biffi Un indiano non può fare l’indiano Don Clement non lo conoscevo. L’avevo visto solo una volta in paese. Dal Bollettino parrocchiale sapevo che avrebbe sostituito l’altro parroco, polacco, di salute cagionevole, spesso infermo. Così avevo abbinato il suo arrivo in Valle di Muggio a un segno della Provvidenza, con una motivazione del tutto personale. La mia fugace conoscenza dell’India è legata a un viaggio compiuto oltre 40 anni fa, durante il quale avevo avuto come guide due straordinari personaggi che il Ticino, quello cattolico e del volontariato nel Terzo Mondo, ricorda sempre con immutata riconoscenza: padre Schlooz e Gianna Bernasconi. Entrambi, nella regione di Madras (oggi Chennai), a quei tempi svolgevano attività benefiche e assistenziali in prevalenza rivolte a bambini con diversi gradi di scuole e mamme con ambulatori medici e assistenza. Ma entrambi risolvevano anche numerosi altri problemi sociali sotto l’egida dell’Associazione Amici di Padre Mantovani (padre Schlooz era il

suo successore), grazie anche a numerosi e validissimi volontari ticinesi che con loro trascorrevano lunghi periodi di lavoro in quella regione. Per questo leggendo che nella mia valle, ormai senza pastori religiosi, sarebbe arrivato un prete indiano ho immaginato che questo dono, o scambio, fosse quasi come un «ristorno», in virtù di quanto tanti ticinesi hanno fatto pervenire ai bisognosi di Madras, sostenendo le ammirevoli gesta dei due missionari citati. A inizio mese credevo di riuscire a conoscere don Clement, e magari scambiare qualche parola con lui, a Sagno, ormai frazione di Breggia, quando ho visitato le tombe di famiglia. A celebrare la funzione religiosa c’era però un suo confratello africano che, senza volerlo, ha saputo recare un momento di letizia anche al cimitero, quando per la benedizione ha sciorinato una vera e propria scopetta di saggina, invece del solito «asperges» d’argento, con i fedeli intimoriti dalle abbondanti strisciate di acqua santa che distribuiva con larghi

In&outlet di Aldo Cazzullo Il tempo di Matteo Salvini Matteo Salvini è l’uomo nuovo della politica italiana. Scelto da Roberto Maroni come segretario federale della Lega, con l’accordo che il candidato premier (magari da schierare nelle primarie di coalizione del centrodestra) sarebbe stato il sindaco di Verona Flavio Tosi, Salvini ha visto la sua popolarità crescere, al punto che oggi appare il contraltare naturale a Matteo Renzi; e non solo perché si chiama come lui e appartiene alla stessa generazione. Salvini da sempre rappresenta l’ala destra della Lega. Non ha mai insistito

molto su secessione o federalismo, ma sempre su immigrazione e xenofobia, ai limiti del razzismo (come altro definire la proposta di introdurre vagoni per soli bianchi in metropolitana?). Naturalmente le sue sparate erano funzionali alla propaganda, alla costruzione del personaggio. Obiettivo largamente raggiunto. Salvini ha mollato Bossi quando è apparso chiaro che il fondatore non aveva futuro, ha seguito Maroni ma si è messo presto in proprio. Si è alleato con Marine Le Pen, in un apparente ossimoro: un federa-

Il giovane capo della Lega Matteo Salvini.



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Cultura e Spettacoli Russolo ad Ascona Il grande pittore italiano alla fine della sua carriera riuscì a trovare un quieto equilibrio

Osservare ed essere osservati Giornata di incontri all’USI sul ruolo dell’osservazione; tra gli ospiti Carlo Rovelli, Maurizio Ferraris (nella foto) e Giulio Paolini

Matrimonio e Beatles A Milano in scena una pièce di Hanoch Levin, a Lugano la Banda Osiris

La forza di Nutini Giovane, bello, scozzese: la conquista del mondo musicale da parte di un insolito cantante pagina 46

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Segantini a Milano Mostre A Palazzo Reale molte le opere

da vedere

Gianluigi Bellei Giovanni Segantini è sempre stato un po’ snobbato dalla critica e le storie dell’arte gli dedicano lo spazio spettante a un’esistenza marginale. In più si porta dietro un’aura istrionica e bohémien che, a ben vedere, non gli appartiene. Forse perché nel 1870 a dodici anni è arrestato a Milano per ozio e vagabondaggio e internato in un riformatorio; forse perché una foto lo ritrae a vent’anni con gli occhi allucinati e il farfallino d’ordinanza; forse perché è apolide o forse perché lo dipingono irsuto e solitario nelle valli desolate dell’Engadina e magari pressoché analfabeta, almeno in gioventù. I suoi messaggi scritti nel 1880-81 hanno la grafia stentata di chi non sa scrivere. Nulla di tutto questo. Segantini si muove bene nel mondo dell’arte; avvicina le persone giuste e le cerca volontariamente; sta ben lontano dai sui coetanei socialisti e anarchici come Nomellini e Longoni; dipinge i contadini delle valli, ma vive nella sua villa a Maloja con servitori in livrea, mobili Bugatti e lampadari Grandi, senza quasi mai incontrarli e per finire diventa uno dei pittori più pagati di quegli anni. Scrive Giulio Carlo Argan che il pubblico predilige gli artisti che recitano una parte, «si atteggiano a iniziati, a geni ispirati e ribelli, ma sono generalmente pronti a tutte le concessioni». Ed è proprio la borghesia «che li vuole antiborghesi». Uno degli artisti svizzeri più importanti e famosi è sicuramente Hodler che dipinge mon-

tanari e boscaioli come decorazioni adatte a banche e sedi governative «ma che si guardano bene dall’avanzare rivendicazioni salariali». Segantini – scrive Annie-Paule Quinsac – non raffigura i contadini come «ambasciatori politici che rivendicano un’esistenza migliore» ma racconta il loro mondo poetico, lirico «di matrice biblica e virgiliana». Milano gli dedica un’esposizione nelle sale di Palazzo Reale. Una Milano centrale nella sua vita e nelle sue opere, vi ha soggiornato per 17 anni, e che nonostante i vari spostamenti è rimasta per tutta la vita il suo centro culturale e forse la patria delle emozioni intellettuali. Segantini è il classico uomo di frontiera, aperto, tollerante, dialogante, rispettoso della natura e della amate montagne. Il suo è un lungo viaggio verso l’alto, per arrivare all’aria rarefatta dello spazio puro. La mostra presenta 130 opere ed è stata realizzata mediante un investimento di un milione e mezzo di euro. Divide le opere in forma tematica seguendo l’evoluzione narrativa dell’artista, le sue emozioni e la natura come forma di rivelazione. Si può scoprire così una materia e un colore piene di sensualità, un simbolismo latente e un divisionismo attuato quale mezzo per tradurre le idee e i sentimenti. La sua è una ricerca verso la luce che negli ultimi anni realizza utilizzando anche tecniche rinascimentali, quali l’oro in foglia, per dare il senso visivo a un mondo soprasensibile e ultraterreno. La mostra, dicevamo, è suddivisa in 8 sezioni. Si inizia con una sala de-

Giovanni Segantini, Mezzogiorno sulle Alpi, 1891. (Collezione privata)

dicata ai documenti, alle fotografie e alle lettere. Seguono quasi tutti i suoi autoritratti fra i quali spicca quello del 1882 nel quale appare con gli occhi allucinati e la spada alla gola. Nella sezione degli esordi due tele del 1882-83, e cioè I pittori di una volta e I pittori di oggi, rivelano, da una parte, una visione tonale dell’arte – nel quale Beato Angelico al cavalletto e un monaco rappresentano la contemplazione del passato – e, dall’altra – mediante una serie di tinte accese, con delle modelle disinvolte e un Cristo in carne e ossa da copiare – la modernità dell’arte. Poi le sezioni dedicate al vero, alla natura e alla vita nei campi con uno splendido Dopo il temporale del 1883-85, più volte rimaneggiato. Nella prima versione del dipinto la luce proviene da destra e la contadinella porta un ombrello aperto; in quella finale l’ombrello è richiuso e la luce proviene da sinistra. Da vicino possiamo osservare la modalità di esecuzione del quadro ottenuto, in alcune parti, raschiando il colore dall’alto verso il basso per poi dipingervi a pennello in orizzontale per creare così quella scabrosità e matericità tattile tipiche del divisionismo. Alla stanga, dell’anno seguente, pro-

pone un’impaginazione strettamente orizzontale con una diagonale, la stanga appunto, che divide il dipinto. Un procedimento che richiama le stampe giapponesi ukiyo-e che utilizzavano lo stesso stratagemma per rendere maggiormente suggestive le immagini. In quel periodo queste stampe erano particolarmente usate e conosciute; in Segantini rivelano il suo interessamento per il buddismo e la sua universalità panteista. Nella quinta sezione si può vedere la famosa Ave Maria a trasbordo del 1886: una sacra famiglia secolarizzata attorniata da una luce accecante che al tocco dell’Angelus si ferma per pregare sulla barca in mezzo all’acqua. Manca ovviamente per ragioni conservative il famoso Trittico dell’Engadina che è considerato il suo testamento spirituale e che viene ricostruito attraverso disegni e studi preparatori. Al Trittico, rimasto incompiuto, l’artista lavora gli ultimi tre anni di vita fra il 1896 e il 1899. Inizialmente doveva essere un Panorama dell’Engadina per l’Esposizione universale di Parigi del 1900. Un’opera grandiosa che alcuni critici, come Marcel Montandon, definirono «una

megalomane americanata». Un progetto immaginifico e nel contempo una pubblicità per la Svizzera, gli alberghi e i commerci engadinesi, oltreché per l’autore stesso. Alla fine del progetto iniziale rimangono tre tele: La vita, La Natura e La Morte delle quali solo la prima appare conclusa. Per la sua realizzazione Segantini si è avvalso della fotografia che ha utilizzato assemblando spezzoni di immagini una accanto all’altra. Una bella mostra che si propone come un punto di riferimento per tutte quelle future e soprattutto ha l’ambizione di togliere quell’ostracismo e quella condanna di provincialismo che ha caratterizzato il percorso critico dell’artista durante il secolo scorso. La mostra è promossa dalla Confederazione svizzera con il sostegno di Pro Helvetia. Bel catalogo, buona l’illuminazione. Dove e quando

Segantini. A cura di Annie-Paule Quinsac e Diana Segantini. Palazzo Reale, Milano. Fino al 18 gennaio. Catalogo Skira, euro 45. www.mostrasegantini.it


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Cultura e Spettacoli

Alla ricerca della spiritualità Mostre Ascona dedica una mostra all’artista-filosofo Luigi Russolo

Alessia Brughera Nel 1910 veniva redatto a Milano il Manifesto tecnico della pittura futurista, prima dichiarazione ufficiale del Futurismo pittorico in cui gli artisti aderenti annunciavano al mondo con toni enfatici il rifiuto di ogni arretrato passatismo in nome di una fulgida modernità. Insieme a Boccioni, Carrà, Balla e Severini, tra i firmatari del proclama figurava Luigi Russolo, che sarebbe diventato uno dei protagonisti indiscussi di quell’esplosiva stagione artistica. Più che giusto, quindi, accostare il suo nome a questo movimento, a cui ha partecipato non solo dedicandosi alla pittura ma applicando il suo ingegno ad altre discipline, come la musica, ad esempio, mostrando così una personalità poliedrica capace di spaziare nei diversi ambiti della creatività e del pensiero. L’esposizione che il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona dedica all’artista non cede però alla facile lusinga di etichettarlo semplicemente come futurista, proponendo invece una lettura, inedita, della sua intera produzione, con un’attenzione particolare alla fase finale e meno conosciuta del suo percorso, quella che, da acuto interprete del proprio linguaggio, lo stesso Russolo ha definito «classico-moderna». La mostra ci racconta infatti di un artista diverso da come siamo stati abituati finora a considerarlo, e lo fa focalizzandosi su quella ricerca dello spirituale che sembra attraversare in toto la sua opera, dalle prime impressioni simboliste fino agli ultimi lavori degli

anni Trenta e Quaranta. Si scopre così che per Russolo il Futurismo è un momento di passaggio, anch’esso legato alla costante aspirazione a un’arte nuova in grado di andare oltre l’apparenza delle cose. Al Russolo pittore si affianca pertanto il Russolo pensatore, che, anche dietro ai chiari accenni all’energia e al progresso futuristi, rivela un interesse profondo per la cultura esoterica ed ermetica, giungendo all’idea di un’unità del mondo fatta di sottili relazioni tra l’individuo e il cosmo, alla base anche della creazione artistica. La rassegna asconese si apre con una sala destinata alle incisioni, perché è proprio con la tecnica incisoria che ha inizio l’attività figurativa di Russolo. In queste opere affiorano chiaramente le atmosfere simboliste di fine Ottocento assimilate attraverso i lavori di Segantini, Previati e Pellizza da Volpedo. Donna pipistrello, Trionfo della morte, Maschere, Nietzsche, ad esempio, tutte realizzate tra il 1908 e il 1909, sono acqueforti dalle tematiche tipicamente ermetiche – mutuate da maestri internazionali quali Redon, Ensor, Munch, Böcklin e imbevute di riferimenti letterari, musicali e filosofici – in cui Russolo dà vita a immagini evocative di grande forza espressiva. L’artista veneto (Russolo era nato nel 1885 a Portogruaro e si era trasferito a Milano nel 1901) inizia a dedicarsi alla pittura solo nel 1908, risentendo ancora molto della poetica simbolista e divisionista. Emblematico di questo periodo è il dipinto Lampi, una visione notturna lacerata da una potente folgo-

re in cui la propensione allo spirituale si coglie nella smaterializzazione del dato reale attraverso l’accostamento di filamenti di colore puro. Della sua più nota stagione futurista, la mostra espone Compenetrazione di case + luce + cielo (1912-13), ed è interessante notare come, già nel titolo, anche da quest’opera emerga una tensione alla sublimazione delle cose terrene. Qui l’artista si avvale di forme sintetiche e di lineeforza dall’andamento ascensionale che dilatano case e tetti verso l’alto fino a congiungerli all’etereo del cielo. Poi arriva la guerra, un’esperienza, questa, che segna profondamente Russolo, ferito nel 1917 e costretto a una lunga convalescenza fino al 1919. Quando riprende a dipingere, la sua arte si fa più fredda e razionale, vicina a quel clima di «ritorno all’ordine» in cui sobrietà e armonia sono i nuovi dettami. L’Autoritratto del 1920 esposto ad Ascona sembra sintetizzare queste teorie senza però tralasciare, nell’inquietante ombra proiettata dal suo volto spigoloso, quella dimensione simbolica e allusiva tipica di Russolo. Dopo gli anni parigini, trascorsi soprattutto a divulgare le sue creazioni musicali (in primis i congegni sonori chiamati Intonarumori, di cui la mostra presenta la ricostruzione di un Gracidatore), nel 1933 Russolo decide si stabilirsi a Cerro, sul lago Maggiore, perché l’esigenza, adesso, è quella di trovare un luogo appartato e solitario dove riordinare tutte le esperienze passate. È in questo periodo che si dedica con maggiore intensità agli studi fi-

Luigi Russolo, Paesaggio romantico. (Collezione privata)

losofici e alla ricerca dello spirituale. L’apice di questa indagine è il saggio Al di là della materia (titolo scelto non a caso anche per l’esposizione asconese), in cui un Russolo maturo, ormai completamente affascinato dalla cultura misterica, riflette sul significato dell’arte, giungendo a una visione misticoreligiosa del mondo secondo cui l’artista diventa una sorta di mediatore tra Cielo e Terra. È interessante notare, e la mostra lo evidenzia, come queste teorie legate ai saperi teosofici e occultistici, così come la più generale inclinazione a vivere a stretto contatto con la natura, siano molto affini alle idee della comunità che, sulla sponda opposta dello stesso lago, animava il Monte Verità. Le opere realizzate negli anni dell’eremitaggio a Cerro, trascorsi a contemplare le misteriose notti stel-

late degli inverni lacustri e i vibranti crepuscoli in cui cielo e lago riflettono una raggiunta placida armonia, ormai molto lontana dai frastuoni dell’avanguardia futurista. Adesso è tempo di paesaggi romantici, lande desolate, temporali e tramonti dalle tinte talvolta luminose, talaltra cupe, ma sempre di un realismo estremamente evocativo. La natura diventa un grandioso scenario rasserenante che induce l’artista a pensare che «veramente esista una possibilità per certi stati spirituali, esistenti forse dopo la morte, di sondare le profondità infinite dello spazio». Dove e quando

Luigi Russolo, Al di là della materia, Ascona, Museo Comunale d’Arte Moderna. Fino al 7 dicembre 2014. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Guardo, dunque sono Giornata di studio Quale rapporto fra osservatore e osservato

in arte, filosofia e fisica? Il tema oggetto di un recente convegno di studi a Lugano

Emanuela Burgazzoli Una tela di Velázquez, un’immagine di Jeff Wall, un dipinto di Manet. Che cosa hanno in comune? Sul piano formale il fatto di contenere uno specchio, sul piano concettuale si tratta di tre opere in grado di interrogarci sul ruolo dell’osservatore e dell’oggetto osservato in arte. Un tema dalle molteplici implicazioni che è stato oggetto della terza giornata di studio organizzata dall’associazione Nel – fare arte nel nostro tempo, ospitata all’Università della Svizzera italiana sabato 15 novembre e realizzata grazie anche al contributo della città di Lugano e del Percento culturale Migros Ticino. Come e fino a che punto l’osservatore faccia sempre parte del sistema osservato e come sia sempre in relazione con gli oggetti che descrive in ambito scientifico lo ha spiegato a un folto pubblico il fisico teorico Carlo Rovelli. Non è un caso che il punto di partenza della discussione sia stato proprio la fisica, una scienza che forse più di altre ha come oggetto di studio la complessità del mondo, spaziando dall’infinitamente piccolo all’infinitamente grande. Fornire continue interpretazioni del reale è sempre stato del resto il ruolo della scienza; un percorso di apprendimento che nel corso dei secoli è avvenuto grazie alla capacità di disimparare e di accettare quindi che la nostra visione del mondo sia parziale.

Insomma, «la cosa difficile non è stato tanto fare propria l’idea che la Terra girasse effettivamente intorno al sole, ma piuttosto rinunciare all’idea che il Sole girasse intorno a noi»; sul geocentrismo si era fondata un’intera civiltà prima di Copernico. Quale migliore ambito dunque se non quello della ricerca scientifica – della meccanica quantistica per esempio – per dimostrarci che tutto quello che vediamo – («perché noi occidentali – è stato ricordato – sappiamo perché abbiamo visto») è frutto di uno sguardo parziale? L’uomo è infatti uno specchio imperfetto di quella natura con la quale interagisce. «È però errore diffuso nella nostra società credere che tutte le interpretazioni del mondo siano equivalenti; la scienza dimostra infatti che alcune funzionano meglio di altre» ha ribadito Rovelli. Se la ricerca scientifica è un’osservazione in costante evoluzione, anche nell’arte il dialogo fra osservatore e osservato ha conosciuto una continua evoluzione nel corso dei secoli. Basti pensare alla codificazione scientifica della prospettiva effettuata da Brunelleschi nel primo Rinascimento. Le sue tavolette prospettiche del Battistero di Firenze dimostravano la verosimiglianza dell’opera dipinta con quella reale. L’esperimento ideato del grande architetto fiorentino, ha spiegato la storica dell’arte Elena Volpato, evidenzia un gioco di proiezioni incrociate,

dimostrando che la realtà dell’opera è allo stesso tempo schermo sul quale si deposita la realtà ma anche uno schema ottico in grado di generare altri mondi. Brunelleschi – a cui viene attribuita la citazione «ogni dipintore dipinge sé» – è dunque consapevole che il ruolo dell’autore (e dell’osservatore) è ineliminabile e indispensabile. Da allora – ha ricordato dal canto suo il critico d’arte e filosofo Daniel Soutif – sono innumerevoli gli esempi di artisti che hanno giocato con le ambiguità implicite nella rappresentazione artistica, nel rapporto fra finzione e realtà o nello sguardo incrociato del pittore e dello spettatore. Senza quest’ultimo l’opera non esisterebbe, ci suggerisce lo specchio nel celebre Ritratto dei coniugi Arnolfini (1434) di Van Eyck o la tela sul cavalletto sovrapposta a un paesaggio nel La condition humaine (1933) di Magritte, o lo sguardo della ragazza del Bar aux Folies-Bergère (1882) di Manet; è stato del resto Marcel Duchamp ad affermare che «les regardeurs font les tableaux». E su fino alle espressioni artistiche più contemporanee da Ugo Mulas a Vito Acconci, da Thomas Struth a Bruce Nauman, in opere che includono (e trasformano) lo sguardo dello spettatore nell’opera d’arte. Se lo spettatore è indispensabile «regardeur», l’artista diventa un osservante, «osservante di regole che ancora non conosce», ha spiegato Giulio Paolini, l’artista italiano che alle soglie degli

Le opere di Velázquez pongono interrogativi. Qui la sua Infanta Margarita Teresa (1651-1673). (Keystone)

anni Sessanta del secolo scorso ha prodotto opere emblematiche della complessità del dialogo fra osservatore e osservato. Nel 1958 Umberto Eco parlava di opera aperta o opere «a più esiti, che sostituiscono la tendenza all’univocità con quella tendenza alla possibilità che è tipica della cultura contemporanea» (La definizione dell’arte), e nel 1960, a soli diciannove anni Paolini firma il celebre Disegno geometrico. Una tela solcata dalle diagonali che diventa così non il piano della rappresentazione, ma il piano della realtà assoluta su cui scorrono le opere del passato e quelle del futuro (illuminante in questo senso il testo La squadratura che Italo Calvino pubblica nel 1975). Del resto ha dichiarato l’artista torinese «l’opera d’arte non ha nulla da mostrare, è una sorta di palcoscenico in cui non appare nulla di compiuto». Tutt’al più, aggiungiamo noi, è

uno spazio dove si incrociano sguardi. Ma allora possiamo leggere la realtà senza cadere in un’autoreferenzialità senza uscita? Esiste il mondo anche senza soggetti che lo pensano? Su questo punto sono state rassicuranti le indicazioni del professore di filosofia teoretica Maurizio Ferraris: occorre distinguere sempre fra reale e conoscenza del reale; insomma, anche se l’importanza dell’osservatore è capitale, «i dinosauri sono esistiti e hanno vissuto anche se noi non eravamo lì a pensarli e a dare loro un nome». In collaborazione con

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Cultura e Spettacoli

Una coppia allo stremo e un favoloso quartetto Teatro Il lavoro di vivere a Milano e Beatles Submarine a Lugano Giovanni Fattorini Hanoch Levin (1943-1999) è considerato il più importante drammaturgo israeliano. Delle sessantatré opere da lui composte mi risulta che solo due sono state tradotte e rappresentate in italiano: Shitz e Un’impresa difficile. Quest’ultima è stata nuovamente tradotta – col titolo Il lavoro di vivere, più vicino a quello originale – da Claudia Della Seta e Andrée Ruth Shammah, che ne ha curato la messinscena per il Teatro Franco Parenti, e che la sera del debutto, in una sorta di prologo, ha più volte dichiarato – servendosi di una metafora che compare di frequente nelle recensioni italiane, dove non scarseggiano l’enfasi e l’iperbole – che Hanoch Levin «è un gigante». Non conoscendo le altre sessantadue creazioni di Levin, posso dire soltanto che Il lavoro di vivere non mi sembra l’opera di un gigante. Ciò non equivale a dire che mi sembra priva di valore. L’azione si svolge in piena notte, nella camera da letto dei Popoch, sposati da trent’anni. Lui, Yona, si sveglia all’improvviso con un dolore al petto, e comincia a parlare: prima stando coricato, poi camminando intorno al letto o chinandosi sulla consorte addormentata, Leviva, che definisce: «pezzo di carne andata a male», o più elegantemente: «un’estranea / con la quale non ho niente in comune». Al colmo del fastidio, ribalta il materas-

so, gettando la moglie a terra e avviando un dialogo che mette a nudo un rapporto coniugale irrimediabilmente logorato. Yona è aggressivo, sarcastico, crudele: «Chi sei tu? un culo! […] ti guardo e mi viene la nausea». Si dice annoiato da morire, sente di avere dentro di sé delle potenzialità inespresse, vuole abbandonare il tetto coniugale, «da qualche parte esiste la vita / e io ne sono escluso». Lei prima si stupisce, piange, «cosa ti ho fatto? […] dove ho sbagliato?». Gli dice: «Abbiamo faticato, abbiamo fatto dei figli, li abbiamo cresciuti, non abbiamo infranto la legge». Lui replica con parole beffarde. Allora lei contrattacca: è tempo di dire ciò che pensa di «un uomo che / invecchia con un pene che invecchia, nel panico». Cosa farà là fuori? Chi crede che lo aspetti? «Ti disprezzo […] senza di me non esisti […] tutto quello che hai lo devi a me […] sono io che ho fatto una tana per Yona, il topo». Con gesto repentino addita un invisibile pubblico di parenti e amici morti che sono venuti per ridere del fallimento del marito. All’improvviso bussano alla porta. È Gunkel, un conoscente. Dice di avere un gran mal di testa, «una piccola aspirina e me ne vado». In realtà ha bisogno di un po’ di calore, di qualcuno che sappia alleviare la sua paura di morire solo. Dopo la partenza di Gunkel, la situazione dei Popoch sembra migliorare. Ma qui mi fermo.

Scritto in versi liberi, e con frequenti variazioni di registro, Il lavoro di vivere è un dramma dalle ascendenze manifeste: Beckett, Ionesco, Pinter – direi persino Cechov. Molti affermano che le derivazioni dai primi tre sono mirabilmente metabolizzate, che la scrittura di Levin è assolutamente peculiare. Leggendo il testo, io avverto invece un alternarsi o un mescolarsi continuo di richiami e reminiscenze. A trasformare l’opera non priva di interesse di un epigono in uno spettacolo avvincente concorrono lo spazio quasi intimo della sala 3 (l’allestimento scenico è di Gianmaurizio Fercioni), con gli spettatori seduti su tre lati della camera da letto dei Popoch, le cui pareti sono appena suggerite da alcune veneziane di plastica; le bellissime luci di Gigi Saccomandi; la regia intelligente e discreta di Andrée Ruth Shammah, che ha diretto i movimenti degli attori e ha usato i suoni concreti e le musiche (di Michele Tadini) con grande cura e sensibilità; la prestazione efficace di Fulvia Carotenuto (Leviva) e Massimo Loreto (Gunkel); la splendida interpretazione di Carlo Cecchi (Yona). Per chi non conoscesse la Banda Osiris (che è attiva da trentaquattro anni) dirò che è formata da quattro polistrumentisti – nonché attori, mimi, fantasisti – che si chiamano Sandro Berti, Gianluigi Carlone, Roberto

Il lavoro di vivere. (Fabio Artese)

Carlone (fratello di Gianluigi) e Giancarlo Macrì. Il tipo di comicità che caratterizza questo singolare quartetto è stato definito «surreal-demenziale». Loro, i quattro componenti, amano definirsi degli autodidatti post-dadà. Recensendo i loro spettacoli, la critica ha fatto riferimento ai fratelli Marx e a Jerry Lewis, al cinema muto e alla commedia dell’arte, all’Art Ensemble of Chicago e alle Silly Symphonies, a Mac Rooney, Spike Jones, Jacques Tati e altri ancora. Questo non significa che i quattro della Banda Osiris siano sistematicamente dediti al plagio e al saccheggio; significa invece che ci troviamo di fronte a un gruppo che pratica una comicità felicemente immediata e cólta al tempo stesso, un gruppo capace di echeggiare, alludere, citare, parodiare e inventare in proprio, in maniera intelligente e originale. Chi li ha frequentati sa che nei loro spettacoli, il più delle volte, spetta alla musica di fornire lo spunto, di creare situazio-

ni che germogliano l’una dall’altra, in sequenze che esaltano la metamorfosi, l’analogia e il contrasto: un gioco a cui partecipano gli stessi strumenti musicali: ora semplici attrezzi di scena, ora sorgenti di suoni, ora personaggi animati. Un motivo musicale si trasforma in un altro; da una gag se ne origina un’altra. È quanto accade anche in Beatles Submarine, spettacolo che in successione non banalmente cronologica, e astenendosi dalle cover (il testo e la regia sono di Giorgio Gallione), ripercorre in maniera fantasiosa e divertente – grazie anche all’apporto di Neri Marcorè in veste di commentatore e narratore – la straordinaria avventura artistica dei «Fab Four». Dove e quando

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 24 novembre 2014 ¶ N. 48

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Cultura e Spettacoli

Distorsioni mitologiche Mostre Prima esposizione personale svizzera

dell’artista italiana MP5

Concorso

La forza del racconto, l’incombenza misteriosa dei simboli, la risolutezza del segno. MP5 – artista che vive a Roma, formatasi a Bologna e a Londra – si impone allo spettatore con dodici opere inedite, pensate appositamente per gli spazi della galleria luganese e intitolate Dog. Dipinti, su legno e su carta, che appaiono come capitoli di un racconto che fonde elementi mitologici e letterari utilizzando un linguaggio dalle movenze di una graphic novel che invece di restituire i contorni della realtà contingente, indaga alcuni aspetti della condizione umana con accenti quasi filosofici. Con uno stile caratteristico che MP5 deve alla sua formazione di scenografa, illustratrice e street artist, nota per i suoi murales che appaiono in molte città italiane ed europee – scolpisce misteriose sequenze in cui si scorgono figure e volti impersonali che abitano uno spazio atemporale; aspetti accentuati dall’essenzialità e dalla nitidezza quasi digitale del tratto e dalle tonalità assolute del bianco e del nero. Ecco allora il volto di una donna (o uomo o individuo mascherato?) che tiene tra le mani un uroboro, che a differenza del simbolo alchemico più noto, contiene un serpente che non si morde la coda: è questa dunque la vita – o la storia umana – ? Non un cerchio ma una linea lungo la quale si inseguono fatti ed eventi eludendo la logica ciclica dell’eterno ritorno, uno spazio dove il passato irrompe nel presente? Elemento ricorrente nelle opere di MP5 è il fuoco: in alcuni casi sono lingue fiammeggianti purificatrici, in altri si tratta di fiamme dalla furia distruttrice, come nel dipinto che ritrae una casa che brucia sullo sfondo, mentre in primo piano un uomo dolente abbraccia un leone. Una scena enigmatica che fa leva sulla forza evocatrice delle immagini, sulla violenza del racconto e dei suoi impliciti risvolti. Che sia il conforto illusorio di un certo materialismo ad andare in fumo, poco importa infatti; di certo quell’abbraccio nasconde l’insidia di un pericolo mortale.

La drammaturgia del silenzio di Cristina Teatro La Castrillo è tornata in scena con un terzo spettacolo

in assolo dal titolo Se il silenzio sapesse Giorgio Thoeni

Set fire to the Stars di MP5.

La tela accanto sembra invece parlare di abbracci nati dalla disperazione della consapevolezza di un’estrema fragilità esistenziale; figure avviluppate, in cui spiccano un unico volto che guarda verso l’alto e un’unica persona senza compagno. Corpi dolenti che sembrano volersi sorreggere l’un l’altro, senza sapere se e fino a quando servirà ad alleviare il destino di noi esseri umani, sembra essere l’unico modo di attraversare questa vita. Al lettore-spettatore MP5 regala l’ultima visione: un uomo che si avvia solo, risalendo un corso d’acqua sotto un’eclissi di luna – o di sole? L’unico dipinto che non a caso contiene uno scarto cromatico. Elementi di speranza mai retorica, una ferocia analitica mai algida, visioni che scaturiscono da una lucidità di pensiero piuttosto che da un’esplosione onirica. In ogni caso non ci si libera facilmente dai presagi contenuti nelle immagini del presente raccontato da MP5, convinta – come ha scritto in una sua recente pubblicazione – «che è meglio aver amato e perso piuttosto che mettere linoleum nei vostri salotti».

Come per una sorta di «serendipity», la ritrovata necessità del silenzio si è trasformata in un’urgenza collettiva: dalle pratiche meditative al dialogo con sé stessi, dalla conquista della dimensione spirituale a quella terrena. Ma, a differenza delle mode o delle opportunità mistiche o religiose, quella di Cristina Castrillo ha una sua evoluzione drammaturgica che negli ultimi quattro anni ha portato in scena Vestigia e Amori, tappe significative di un percorso che si è concretizzato attorno alla necessità di costruire una drammaturgia senza parole, quella della «non-parola», in una giostra del silenzio. Un territorio vasto, complesso, difficile da gestire, dove il rapporto con la possibilità di esprimersi può assumere una dimensione più grande quando, in realtà, diminuisce il suo raggio d’azione rischiando di oltrepassare quella soglia immaginaria del «dover dire» a tutti i costi. Dopo Sul cuore della terra e Umbral, Cristina Castrillo è tornata in scena con un suo terzo spettacolo in assolo dal titolo Se il silenzio sapesse che dopo il debutto al Teatro Sociale di Bellinzona, ha replicato al Teatro Foce di Lugano e sta per concludere un primo giro di rappresentazioni nella storica sala del Teatro delle Radici, certamente uno spazio più raccolto e consono. È uno spettacolo che evoca il

Cristina Castrillo nel suo spettacolo più recente. (Teatro Sociale)

silenzio ma che è dedicato alle parole: quelle corrette, quelle di cui abbiamo perso il vero significato, quelle assenti, quelle chiassose che si raggruppano in una barriera formando una cortina invalicabile, estranea, che stordisce. Con questa prova d’autore ad alta densità significante e una straordinaria tensione poetica, Cristina ci regala un’originale ricerca della parola innocente, un esempio della possibilità di esprimersi diversamente attraverso una coreografia dell’assenza alla ricerca del senso. Lei stessa che ama le parole (anche teatrali) e che ama la scrittura è alla ricerca di quel luminoso «uovo originale», nucleo di vita che appare dalla sua bocca

e da cui tutto prende avvio. Sola in scena, dunque, la Castrillo si libera da una gabbia di carta bianca, neutra, si scontra con una barriera di parole da cui si protegge salvandosi all’interno di un cerchio: quello della solitudine, dell’anima, del silenzio. Le parole sono simboli. Delicate piume uscite per incanto dalle tasche della giacca, lettere piovute dalle maniche, vocali disordinate che si combinano fino a farle pronunciare «io!»: l’unico suono che Se il silenzio sapesse di Cristina avrebbe invece voluto continuare a raccontarci con quella sua maschera naturale, le sue immagini semplici e dirette, i pochi gesti e la sua magia. Annuncio pubblicitario

Dove e quando

Dog, esposizione di MP5. Lugano, ego gallery (Via Canonica). Orari: gio-ve 14-19; sa 10-18. Fino al 2 dicembre 2014. www.egogallery.ch

Swiss Chamber Orchestra Rassegna di concerti Conservatorio, Lugano Venerdì 28 novembre, ore 19.00 Orizzonte Šostakovič Musiche di Dmitri Šostakovič, Valery Arzoumanov, Gustav Mahler, Alfred Schnittke. SWISS CHAMBER SOLOISTS Ilja Gringolts, violino Valérie Szlávik, viola Daniel Haefliger, violoncello Serguei Milstein, pianoforte

www.swisschamberconcerts.ch

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Cultura e Spettacoli

Intimità e partecipe osservazione Cinemando

Con Anime nere una riuscita full immersion in mondi mafiosi

Musica meravigliosa in un luogo segreto

De Mauro, un invito alla parola

Concerti I belgi Vitas Guerulaitis recenti ospiti in Ticino nell’unica

studioso a La7 in una delle più belle puntate di Otto e mezzo – Sabato

realtà musicale veramente underground Zeno Gabaglio

**(*) Anime nere, di Francesco

Munzi, con Marco Leonardi, Peppino Mazzotta, Anna Ferruzzo, Barbora Bobulova (Italia 2014) Potere (quanto sottovalutato) di una sceneggiatura. Tentativo non inedito nel cinema italiano d’immersione nell’universo mafioso, nella ’ndrangheta con le sue conseguenze ancestrali sui nuclei famigliari oltre che sociali, questo terzo lungometraggio di Francesco Munzi (Migliore Opera Prima a Venezia nel 2004 con Saimir) ne è un ottimo esempio. I tre fratelli coinvolti progressivamente nell’Aspromonte calabrese in una di quelle successioni che dalla diffidenza reciproca conducono rapidamente alla violenza, quindi alla vendetta e infine a una sorta di disgregazione reciproca non sono mostrate nel segno dell’azione superficiale alla quale siamo abituati. Ma di una verifica condotta nell’intimità dei personaggi, fatta di silenziosa, partecipe osservazione, di tempi lunghi che si dilatano ed eternizzano nello sfondo ambientale; complice anche il rispetto per l’autentica parlata calabrese (tradotta dai sottotioli…). Una tragedia antica, una sua persistenza nella modernità, che la progressione perfetta della sceneggiatura rende avvincente.

Concerto di Natale Ascona Il tenore Ottavio Palmieri propone

una selezione di brani dedicati alla ricorrenza Molto conosciuto in Ticino anche quale organizzatore del Festival dedicato al compositore Ruggero Leoncavallo, il tenore locarnese Ottavio Palmieri presenterà il prossimo venerdì 5 dicembre nella chiesa del Collegio Papio di Ascona un concerto dedicato al repertorio natalizio, tratto dalla sua ultima incisione, l’album Domine Deus. Il disco, che è il quarto nella carriera dell’artista ticinese, è stato registrato a Busseto, nello storico Teatro Giuseppe Verdi e contiene una selezione di brani classici della tradizione natalizia, come i Mille Cherubini in Coro di Franz Schubert, il Cantique de Noël di Adolphe Adam e l’Adeste Fideles di John Francis Wade. Al fianco di Palmieri, ad Ascona, sarà l’Orchestra Filarmonica Italiana, un organico di collaudata esperienza, diretto per l’occasione dal M° Daniele Agiman, uno dei direttori d’orchestra italiani più presenti a livello internazionale. In scena anche il Coro Hebel, gruppo vocale femminile che è attivo nella cittadina di Busseto. Da notare che tutti i musicisti citati hanno preso parte anche all’incisione del CD, registrato nella cittadina emiliana negli scorsi mesi. Il disco sarà offerto in omaggio ai lettori di Azione

Antonella Rainoldi

I belgi Vitas Guerulaitis.

se inconciliabilmente diversi. Se per far suonare un determinato gruppo bisogna chiedere permessi con mesi di anticipo; se si devono pagare tasse su ogni aspetto della performance e alzare di conseguenza i prezzi di tutto quello che alla performance si accompagna; se ci si deve attenere a inderogabili limitazioni di luogo, data, orario, volume, assembramento o sicurezza semplicemente quel concerto non si farà. E non è solo un concerto a non potersi tenere, ma è un intero genere musicale – quello della musica indipendente europea – a non trovare diritto d’esistenza nella nostra regione. Perché quella è una musica che ha regole opposte a quelle dei grandi eventi o dei generi ritenuti culturalmente più alti: i gruppi che si trovano ad attraversare il Ticino chiedendo un’ospitalità musicale magari lo sanno solo dieci giorni prima; magari capita in un giorno organizzativamente sfortunato (domenica o lunedì sera?); magari i musicisti si accontentano di cachet talmente bassi (con l’aggiunta di un pasto caldo e un divano su cui dormire) per cui ogni criterio economico in relazione all’evento è drammaticamente fuori luogo. Il dubbio che consegue è perciò

Concorso

Fabio Fumagalli

Da qualche tempo c’è un posto in Ticino – in uno dei maggiori centri urbani – dove si tengono concerti spontanei. Illegali, direbbe qualcuno, nel senso che non vengono richiesti permessi, non sono riscosse tasse, il luogo non è un ritrovo formalmente pubblico, tutti i regolamenti del quieto vivere sociale sono bellamente bypassati. Un’attività di controcultura in piena regola – si sarebbe detto in altri luoghi e in altri tempi – portatrice sana dei valori dell’underground, senza però quel tristemente celebre atteggiamento antagonistico a priori. Non è un’iniziativa politica, quindi, non c’è un’ideologia che muove congiuntamente tutti i partecipanti, non c’è nessuna sfida alle autorità o sprezzo delle leggi. Addirittura si cerca di non dare fastidio ai vicini – quei benpensanti che nella nostra regione notoriamente sono i veri padroni di ciò che succede nelle città non appena le banche chiudono – di non arrecare danno ad analoghe iniziative che invece devono fare i conti con i regolamenti, di non facilitare beceri atteggiamenti di vandalismo sia ideale sia pratico. Semplicemente succede – di tanto in tanto e neanche troppo raramente – un rimbalzo di richiami sui social network, non troppo espliciti, e il concerto avviene. La domanda che più o meno spontaneamente può sorgere a questo punto è: perché? Perché se non c’è niente da nascondere le cose non vengono fatte alla luce del sole, come normalmente le dovrebbe fare chiunque? La risposta è altrettanto semplice: perché non si riuscirebbe a farle. La «normalità» nell’ambito delle manifestazioni musicali in luoghi pubblici è stata stabilita da persone e secondo modi che hanno prospettive diverse. Hanno anche tempi e risor-

Visti in tivù Lo

quello della qualità: concerti raffazzonati all’ultimo momento, con musicisti sconosciuti che per di più chiedono solo tre lire non potranno certo essere qualitativamente imperdibili. E invece no, perché l’indie europeo è proprio quella cosa lì: gente che fa della musica la propria incondizionata scelta di vita, la conosce, la ama, la crea e la porta in giro senza quasi pretese di soldi o accoglienza, se non quella di essere ascoltati, applauditi e incitati per condividere momenti di pura estasi assieme a persone sconosciute. E la qualità strettamente musicale c’è eccome. Appena qualche giorno fa chi c’era ha potuto ascoltare Vitas Guerulaitis, una band dal nome impronunciabile formata da tre francesi residenti in Belgio. Musica indie-rock incredibile, perché la formazione classica-conservatoriale (non esibita e non pedante) ha fornito a Célia Jankowski, Ismaël Colombani e David Costenaro un controllo completo e intelligente su tutto l’ambito creativo. Destabilizzanti tempi dispari e vertiginose armonizzazioni vocali che però si combinano in un ruggito tutto rock, in un’energia che non è esibizione ma verità. Gente da cui ogni giovane che in Ticino vuole e pensa di far musica avrebbe molto da imparare.

Concerto di Natale Serata musicale Chiesa Collegio Papio, Ascona Venerdì 5 dicembre, ore 20.30

Ottavio Palmieri in concerto Orchestra Filarmonica Italiana, Dirige il M° Daniele Agiman Coro da Camera Hebel Tenore: Ottavio Palmieri

Ogni singola parola rappresenta una storia, ogni singola parola è storia. Ospite di Lilli Gruber e Beppe Severgnini a Otto e mezzo – Sabato, Tullio De Mauro, linguista di fama internazionale e docente emerito di Filosofia del linguaggio e di Linguistica generale, ci ha regalato mezz’ora di alta televisione raccontando la storia di una sconfitta (La7, ore 20.30). Difficile concentrare in una sola puntata tanti momenti così interessanti. Si è parlato di linguaggio politico, di scuola, di formazione, a partire da una scheda introduttiva di Paolo Pagliaro. De Mauro ha dedicato molto tempo a studiare le parole negli ultimi anni e alla fine si è abbandonato all’evidenza di un esito sconfortante: nei duemila vocaboli di massima frequenza della lingua italiana sono entrate di forza una quantità di maleparole molto superiore rispetto al passato. Per questo Beppe Grillo non è un santo del suo paradiso: la sua anima positiva ha un qualche senso del pudore linguistico e gli impedisce di mettere in primo piano la seconda parte del Vaffa (il riferimento è al V-Day di Genova), ma quella negativa lo spinge alla parolaccia senza limiti. Per questo Matteo Renzi gli piace, più per certe sue espressioni vernacolari che per i contenuti della sua comunicazione. Lo studioso non fa mistero della propria delusione per il taglio dei fondi all’istruzione. Il problema irrisolto della diseducazione di massa ha come unico risultato quello di aver creato un numero sterminato di italiani culturalmente poco attrezzati. Solo il 20 per cento di adulti maturi ha sufficienti capacità di lettura per accedere all’informazione scritta. Così, quando Lilli Gruber gli ha chiesto «perché i governanti non hanno molto a cuore una questione tanto importante?», De Mauro le ha risposto: «I vecchi politici più sicuri di sé, quelli della classe immediatamente post-unitaria, non avevano esitazione a dirlo: educazione, scuola e istruzione per tutti è il capitale su cui investire per combattere la miseria e l’arretratezza. Però, attenzione, chi semina vento…». I tre puntini di sospensione sono l’espediente attraverso cui buona parte della classe dirigente italiana ha surrogato il proprio compito: mantenere un discreto tasso di analfabetismo. Se l’Italia si trova a malaparata è perché la parola è una conquista impegnativa.

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091/821 71 62 che parteciperanno al concorso qui a lato e che riusciranno ad aggiudicarsi i biglietti gratuiti per la serata, messi in palio da Migros Ticino. In collaborazione con

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Orario per le telefonate: dalle 10.30 alle 2.00

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 26 novembre al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino Tullio de Mauro, studioso di linguistica e osservatore della società.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino Âś 24 novembre 2014 Âś N. 48

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Cultura e Spettacoli

Nutini, uno scozzese importante Musica Tutt’altro che easy listening: anatomia del fenomeno Paolo Nutini e del fascino irresistibile

di un pop-rock finalmente maturo e aperto alle contaminazioni stilistiche Benedicta Froelich BenchĂŠ non si tratti di un evento frequente, a volte capita che il panorama della musica cosiddetta ÂŤradiofonicaÂť venga scosso dall’arrivo di un giovane nome di spessore, il quale, una volta acquisita sufficiente esperienza, si rivela essere un autore e interprete dalla personalitĂ artistica ben piĂš intrigante e sfaccettata di quanto si sarebbe potuto inizialmente pensare. Il fenomeno Paolo Nutini è ottimo esempio di una simile evoluzione artistica: all’epoca del suo fulminante esordio, avvenuto nel 2006 all’etĂ di appena diciannove anni, l’artista italo-scozzese avrebbe potuto facilmente essere scambiato per l’ennesimo giovane virgulto di bell’aspetto, destinato a scalare le classifiche grazie a melodie accattivanti e orecchiabili sul genere di New Shoes, il gradevolissimo singolo che l’ha di fatto proiettato nello stardom internazionale. Ma basterebbe un ascolto attento dei suoi primi due album (These Streets e, soprattutto, Sunny Side Up, del 2009) per rendersi conto di trovarsi davanti a un artista che, sebbene ancora giovane e inevitabilmente in cerca di una propria definita personalitĂ stilistica, non potrĂ mai essere semplicemente un araldo della musica di stampo mainstream. Innanzitutto perchĂŠ il personalissimo stile interpretativo e autorale di Nutini (il cui nome italofono nasconde una formazione musicale di fatto profondamente angloamericana) ne fa un caso unico nell’attuale panorama pop, anche gra-

zie alla varietĂ del suo repertorio: capita raramente che un artista cosĂŹ giovane mostri una tale sicurezza e abilitĂ nella gestione del proprio strumento vocale, muovendosi senza esitazione lungo un’interessante mescolanza di suggestioni dal gusto afroamericano – accenti soul e blues, spesso perfino reggae – combinate all’inconfondibile poprock di matrice inglese e a reminiscenze di un certo old-time jazz e folk. Una fusione accurata ed elegante, evidente soprattutto nel secondo album di Paolo, in cui l’interpretazione del cantante mostra giĂ in sĂŠ il fuoco e la forza di un performer consumato; il che ha portato allo straordinario successo di questo ragazzo, definito dalla BBC come ÂŤil piĂš importante artista scozzese del momentoÂť, in questi giorni impegnato in una trionfale tournĂŠe europea che lo ha appena visto toccare i palchi di Milano e Vienna. In effetti, il 2014 si potrebbe definire un momento davvero magico per Nutini: l’impegno speso nella graduale formazione e definizione della sua particolare connotazione stilistica non è stato vano, poichĂŠ, dopo la pubblicazione di Sunny Side Up (subito piazzatosi al primo posto delle classifiche inglesi), l’artista ha avuto il coraggio di concedersi un prezioso, fondamentale periodo ÂŤdi transizioneÂť e riflessione personale: cinque anni di pausa, che hanno costituito un cruciale passaggio di maturazione artistica. Il risultato è l’ultimo album di Nutini, Caustic Love, pubblicato lo scorso aprile e fortemente

Paolo Nutini durante un concerto ad Austin (Texas) lo scorso ottobre. (Keystone)

intriso di sensibilità R’n’B e ritmi soulfunky, fusi in un nuovo, riuscitissimo cocktail, collocabile a metà strada tra James Brown e Bob Marley. Ma Caustic Love ci mostra un lato diverso del cantante anche dal punto di vista del songwriting, in primis tramite la forza di un singolo potente e di forte rilevan-

za sociale come Iron Sky – una sorta di urlo disperato, che s’innalza dagli abissi di una società malata per inneggiare alla speranza in una possibile redenzione, simbolizzata dalla citazione di un passo del discorso sovversivo pronunciato dal barbiere Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore (1940). E non

solo, perchĂŠ il fiore all’occhiello di Iron Sky è l’inquietante videoclip che accompagna il brano: un vero e proprio cortometraggio, che si presterebbe a infinite interpretazioni, poichĂŠ il suo spietato taglio documentaristico sembra suggerire un profondo legame con la realtĂ , e non solo quella dell’Europa dell’Est, dove il video è ambientato. CosĂŹ, quando il regista Daniel Wolfe spiega come, nelle sue intenzioni, si tratti di un’opera di fantasia – ÂŤla visione di un futuro distopico per come poteva immaginarlo un bambino degli anni 80Âť – fa male rendersi conto che, in molti luoghi del pianeta, quel futuro è giĂ realtĂ . In un certo senso, si potrebbe dire che Iron Sky stia a Paolo Nutini come What’s Going On stava a Marvin Gaye: il risultato di una fusione pressochĂŠ perfetta tra coscienza sociale e forma canzone, tra la piĂš disinvolta capacitĂ di denuncia lirica e un’efficace finezza musicale. Ăˆ grazie a prove come questa che Nutini ha innalzato il proprio profilo artistico in maniera via via piĂš convincente: l’entusiasmo e la professionalitĂ di cui il cantante infonde il proprio lavoro hanno reso le sue canzoni significative e artisticamente valide non solo per il fan abituale, ma anche per il critico piĂš esigente – riaccendendo la fiducia nella capacitĂ delle giovani generazioni di offrire una formula pop non soltanto originale, ma anche nobilitata da quello spessore sociale che in tanti, forse, temevano che la scena musicale internazionale si fosse lasciata alle spalle molti anni fa. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 24 novembre 2014 ¶ N. 48

Cultura e Spettacoli

«I risultati sono un elogio della qualità»

Promozione culturale Migros vuole conoscere le esigenze culturali degli svizzeri

Il Percento culturale Migros desidera influire sullo sviluppo della società?

Stefan Kaiser* La Migros non vuole più limitarsi ad essere unicamente un promotore culturale, per quanto svolga questo ruolo in maniera eccellente e molto spesso innovativa. Essa desidera prendere parte attivamente al dibattito politico-culturale nazionale, e per farlo nel modo più oggettivo possibile nel 2013 ha commissionato un grande studio. È stato dunque organizzato un sondaggio che ha coinvolto ben 4’000 partecipanti e che ora, accompagnato da interventi di esperti del settore, è sfociato nella pubblicazione Eine Kultur der Kulturförderung (Una cultura della promozione culturale, NdT). Ma quali sono i traguardi che desidera raggiungere Migros attraverso il sondaggio culturale e la pubblicazione? Fabrice Zumbrunnen, responsabile del Dipartimento risorse umane, affari culturali e tempo libero della Federazione delle Cooperative Migros, spiega i retroscena e trae alcune conclusioni strategiche in un’ottica di gestione aziendale.

Questa sarebbe l’aspettativa più alta della cultura. Sono convinto che gli artisti siano dotati di antenne molto sensibili, e siano dunque in grado di percepire lo spirito del proprio tempo. Le grandi questioni, quelle aperte, oggi vengono sollevate da persone attive nel campo della cultura. Per questo la popolazione afferma in modo tanto inequivocabile che «la cultura è un aspetto centrale della mia vita». Non si tratta solamente di un modo per trascorrere il tempo, bensì di una rappresentazione differenziata dell’utilità della cultura. Il sondaggio dimostra una percezione estremamente positiva nei confronti della Migros, che è vista come un’azienda simpatica. Ciò non accade per le banche, sebbene anch’esse investano nella cultura.

Forse questo risultato dipende dall’immagine piuttosto negativa delle banche in questo momento. Forse potrebbe anche essere un segno di quanto sia controproducente investire molti soldi in poche manifestazioni. Quando lo sponsor è troppo invadente, il pubblico può sentirsi irritato. La popolazione apprezza la presenza del Percento culturale Migros come partner affidabile, che non si mette troppo in luce. Apparentemente Migros sembra essere riuscita a raggiungere il difficile equilibrio tra sponsoring e promozione culturale. La varietà delle nostre proposte piace tanto quanto il fatto che ci muoviamo all’interno di confini ben stabiliti. Ciò contribuisce alla nostra credibilità.

Fabrice Zumbrunnen, l’ha stupita il fatto che per il 72 % della popolazione svizzera la cultura rappresenti una fattore importante?

In realtà lo speravo, ma nessuno era in grado di prevedere i risultati. Quando si discuteva di cultura mi disturbava sentire quasi unicamente l’opinione di esperti che ci dicevano cosa pensassero le persone in Svizzera e quali fossero le loro aspettative: alcuni progetti erano considerati troppo elitari, altri troppo mainstream. Qualcuno tirava in ballo perfino i «gruppi di destinatari». Gli esperti del settore tuttavia non potevano appoggiarsi su dati in grado di avvalorare le loro affermazioni. È stato questo a dare l’impulso a realizzare i due sondaggi sulla cultura?

Quando desidera conoscere il punto di vista o l’opinione dei suoi clienti, Migros è solita rivolgersi direttamente a loro. Noi abbiamo applicato questo principio al tema della cultura in generale: quale significato riveste oggi la cultura, come viene consumata, quali aspettative sorgono? Sin dall’inizio ci stava a cuore anche la raccolta di opinioni qualitative, non volevamo infatti basarci unicamente sui dati. Proprio nel campo della cultura circolano molte rappresentazioni unilaterali sulla forma che deve avere la promozione. Attraverso i sondaggi era nostra intenzione riunire da una parte le diverse prospettive di produttori e promotori, dall’altra quella del pubblico – senza per questo arrivare a dire che d’ora in poi proporremo solamente ciò che si aspetta la gente. Desideravamo capire quali fossero i punti di contatto più sensati, così da potere definire ancora più chiaramente la nostra politica futura. Quale risultato l’ha sorpresa maggiormente?

A stupirmi e rallegrarmi particolarmente è stato il modo di definire la

La pubblicazione nata dal sondaggio realizzato da Migros.

Fabrice Zumbrunnen, responsabile del Dipartimento risorse umane, affari culturali e tempo libero della FCM.

cultura. Due terzi della popolazione spiegano il proprio bisogno culturale con il desiderio di apprendimento. La gente ha dunque delle precise aspettative, non è unicamente alla ricerca di divertimento e intrattenimento. Questo ci conferma che anche da parte nostra dobbiamo essere molto esigenti: i risultati sono un elogio della qualità – e questo per me è l’aspetto principale dello studio. Fra le sue intenzioni vi era anche quella di stimolare un dibattito sulla promozione culturale?

Come secondo obiettivo, sì. Alcuni risultati non sono decisivi solamente per noi, ma per tutti gli attori attivi nel panorama culturale, in particolar modo le autorità politiche e l’economia privata – anche perché vi sono aziende e partiti che mettono in dubbio la promozione culturale. Noi trasmettiamo le informazioni più importanti, mettendo in luce prospettive diverse. Lo scopo principale era comunque di dimostrare che Migros dà un grande contributo alla promozione culturale, volevamo inoltre definire meglio il nostro ruolo, la nostra funzione e la nostra posizione in questo ambito.

è l’Ufficio cultura di Ginevra, dove Migros (Cooperativa Ginevra e FMC), la città e il Canton Ginevra, così come la Loterie Romande svolgono un’ottima collaborazione. Non tutte le imprese sono abituate a rinunciare al controllo così da dare maggiore spazio di manovra alla cultura.

Il nostro sondaggio dimostra quanto il popolo apprezzi i privati che offrono prestazioni culturali senza perseguire unicamente i propri interessi, dando quindi importanza allo sviluppo sociale. In questo campo Migros ha creato una promozione culturale sistematica unica nel suo genere. La cosa importante è essere riusciti a trovare un equilibrio tra lo sponsoring e la promozione: pur non essendo ancora perfetta, la nostra «cultura della promozione culturale» ci ha permesso di profilarci in molti campi e di sviluppare una nostra filosofia. Siamo in grado di spiegare cosa ci sta a cuore; le nostre strategie e i nostri criteri sono ben definiti. In tutto questo la storia della Migros e le idee di Gottlieb Duttweiler sono sempre presenti nei nostri progetti.

Il sondaggio dimostra anche chiaramente che sia lo Stato sia le aziende hanno una sorta di obbligo: il 79% della popolazione si aspetta che l’economia privata si impegni a favore della cultura.

Per l’opinione pubblica il Percento culturale Migros è un marchio distintivo, capace di dare un valore aggiunto quantificabile. Risultati di questo tipo hanno un influsso sulla posizione rivestita dalla cultura nella Direzione generale?

Non mi sarei mai aspettato una così grande maggioranza, essa oltretutto riguarda tutte le generazioni, le classi sociali e le diverse provenienze culturali. Le aziende che rinunciano a un impegno in campo culturale sono quasi costrette a giustificarsi. Il popolo svizzero ha ragione, non esistono né «ma» né «se», si tratta di trovare, di caso in caso, il giusto equilibrio tra Stato e privati. In questo modo nascono nuovi spazi per la cooperazione e il partenariato. Un esempio a questo proposito

Di fatto il Percento culturale Migros ci rende unici. Non faccio fatica a convincere i miei colleghi che questo abbia una valenza strategica e contribuisca a plasmare l’identità della Migros: ciò si vede anche nel fatto che circa il 25 per cento della popolazione afferma che a causa dell’impegno sociale e culturale della Migros, quest’ultima venga scelta come luogo per i propri acquisti. Oppure che i due terzi degli interpellati affermino che il Percento culturale Migros renda l’azienda molto simpati-

ca e credibile. È interessante constatare come il nostro studio convalidi recenti rilevamenti inerenti il core business, si dimostra in modo coerente quanto sia importante la promozione culturale per i nostri clienti. Per questo motivo per Migros la cultura ha una chiara valenza strategica.

Il bisogno di cultura per gli svizzeri coincide spesso con un grande bisogno di apprendimento In quale direzione deve svilupparsi il Percento culturale Migros?

La popolazione ha capito bene che ci muoviamo su due piani diversi, da una parte ci sono i grandi progetti nazionali, dall’altra i progetti regionali. Ciò conferma la validità della strada presa. Vi sono però anche delle critiche, ci si rimprovera ad esempio che le attività del Percento culturale Migros non siano sempre chiare, oppure che non si capisca fino in fondo cosa esso rappresenti. Questa ovviamente per noi è una sfida. Per quanto riguarda la promozione culturale Gottlieb Duttweiler è ancora molto presente.

Sì, ed è una cosa che mi ha colpito. A volte penso che i giovani non conoscano più «Dutti», ma non è vero. Per noi la domanda è la seguente: se avessero la scelta i top manager di oggi sarebbero abbastanza coraggiosi per confermare questa strategia? A questo proposito due anni fa Migros ha dato un segnale molto positivo con il lancio del fondo di Promozione Engagement Migros: tutte le aziende della Migros devono dare un contributo sociale. Il fondatore della Migros ci ha lasciato questa eredità, e noi dobbiamo vederla come un’opportunità.

Se da una parte la varietà dimostra l’ampiezza del concetto di cultura per il Percento culturale Migros, dall’altra essa è anche oggetto di critiche: alla Migros si rimprovera la mancanza di un preciso obiettivo.

Ai miei occhi una restrizione del campo rappresenterebbe un errore strategico. Tutti gli aspetti – cultura, società, formazione, tempo libero – hanno senso se messi insieme, e la somma di tutti questi aspetti crea un risultato più grande delle parti prese singolarmente. In questo senso la varietà del Percento culturale Migros è allo stesso tempo una forza e una debolezza. Questo risultato del sondaggio mi piace molto. Ciò non significa però che dobbiamo smettere di avere uno sguardo critico verso noi stessi. Alla credibilità del Percento culturale Migros contribuisce anche il fatto che sappia rimanere in disparte, preferendo mettere sotto la luce dei riflettori gli attori attivi in campo culturale.

È vero, noi diamo la parola agli artisti, e questo mi sta a cuore. L’importante è che in primo piano vi siano i temi e i contenuti, non il culto della persona. A volte forse siamo perfino troppo modesti. Ma tutti partecipano con grande passione e si identificano, e siamo tutti consapevoli dell’enorme responsabilità che abbiamo nei confronti del panorama culturale svizzero. Di questo andiamo fieri. Informazioni

L’intervista completa si trova online sul sito www.percentoculturale.ch (http://www.percento-culturale-migros.ch/Attualita/Individui/I-risultati-sono-un-elogio-della-qualita). In calce all’intervista si trovano anche i link che permettono di scaricare gratuitamente in formato PDF la pubblicazione, il poster e il booklet relativi al sondaggio (in tedesco e in francese). * Traduzione dal tedesco: Simona Sala


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Grandi e piccole leccornie artigianali per un Natale dolcissimo Attualità Ingredienti genuini e locali sono alla base dei panettoni, pandori, torrone morbido e caramelle

mou prodotti ad Airolo dai fratelli Buletti per Migros Ticino

Buletti Panettone 100% burro 500 g Fr. 17.– 1 kg Fr. 30.–

Il pasticcere Bruno Buletti. (Giovanni Barberis)

Natale è dietro l’angolo e i fratelli Buletti già da qualche tempo hanno inaugurato la produzione di panettoni e pandori. Presso Migros potete trovare le loro leccornie artigianali, tra cui anche torrone e caramelle mou. Dolcezze per il palato prodotte con ingredienti sani e genuini, freschi e locali. Panettoni e pandori contengono entrambi burro d’alpeggio della regione del San Gottardo, ingrediente che conferisce un buon sapore aromatico ai prodotti e contribuisce anche a renderli altamente digeribili. La magia dei classici lievitati natalizi viene creata lavorando ad arte lievito madre, uova, farina, zucchero, latte e burro (la cui percentuale è un poco più elevata nei pandori), aromi naturali quali vaniglia, miele e agrumi e l’aggiunta di canditi e uvette nel caso del panettone tradizionale. Il laboratorio dei fratelli Buletti è attrezzato in modo da permettere loro di lavorare fino a più di 900 chili di impasto, quantità facilmente raggiungibile quando c’è grande richiesta. Queste delizie richiedono qualche accorgimento nella conservazione perché si possano gustare appieno le loro qualità organolettiche. Per i panettoni e pandori i fratelli Buletti consigliano di riporre le confezioni in un luogo fresco e non umido, attorno ai 16 gradi. Prima di mangiarli vanno lasciati a temperatura ambiente per mezz’ora dimodoché tutti gli aromi, specialmente quello del burro, possano essere assaporati appieno in quanto il freddo smorza un po’ i sapori. Per il pandoro il suggerimento è quello di prestare molta attenzione a che non subisca sbalzi di temperatura eccessivi, per evitare la formazione di condensa nel sacchetto

Buletti Pandoro 100% burro 500 g Fr. 18.–

Buletti Torrone 100 g Fr. 5.90

Buletti Torroncini 200 g Fr. 11.90

Le specialità Buletti in vendita a Migros Ticino. (Flavia Leuenberger)

nel quale viene conservato. Meglio riporlo subito nel luogo di conservazione oppure consumarlo quanto prima. Ma non solo panettoni e pandori, a Natale anche i prodotti di confetteria fanno capolino sulle tavole decorate. I fratelli Buletti propongono due specialità da gustare al momento del caffè

o, perché no, da scartare di nascosto tra un pacchetto regalo e un’altro. Parliamo del torrone morbido e delle caramelle mou. Queste ultime, frutto di anni di lavoro e modifiche della ricetta tradizionale, hanno come particolarità quella di non attaccarsi ai denti. Dalla consistenza friabile, si sciolgono

in bocca che è un piacere. Da Migros trovate la confezione di gusti misti vaniglia, cioccolato e lampone. Anche le caramelle mou prediligono un ambiente freddo; calore e luce infatti tendono a far affiorare il burro presente nelle caramelle rendendole unte. / Luisa Jane Rusconi

Buletti Caramelle mou miste 175 g Fr. 7.95


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Idee e acquisti per la settimana

Aspettando il Natale Attualità La corona dell’Avvento conferisce

un’atmosfera speciale al periodo prenatalizio. Nei nostri reparti fiori trovate bellissime corone già pronte o da personalizzare per prepararsi alla festa più importante dell’anno

Sono molti anche da noi coloro che seguono la tradizione della corona dell’Avvento; un’usanza particolarmente diffusa nei paesi germanofoni e anglosassoni. Per ognuna delle quattro domeniche d’Avvento – la prima è il 30 novembre – si accende una candela per scandire con gioia le settimane che mancano al Natale. Alcune curiosità: secondo la tradizione, le candele andrebbero accese in senso antiorario e il compito andrebbe affidato al più piccolo della famiglia. La forma circolare della corona di rami di pino simboleggia eternità e unità. La prima candela è considerata la candela del Profeta o anche della Speranza; la seconda di Betlemme o della Pace; la terza dei Pastori o della Gioia; la quarta è invece è la candela degli Angeli o dell’Amore.

Corone variegate

Nei reparti fiori Migros trovate corone d’Avvento per ogni gusto ed esigenza. Chi preferisce toni più freschi e moderni potrà scegliere corone dalle sfumature bianche e dorate; mentre i più tradizionalisti alla ricerca di tonalità festose opteranno per quelle tendenti al rosso o arancio. Non mancano dettagli decorativi di sicuro effetto, come bastoncini di cannella, nastrini, fette d’arancia essiccate, stelline, pigne o bocce colorate. Nell’assortimento anche corone di pino da decorare a piacere. Consigli: posizionare la corona su un piatto per proteggere la superficie del tavolo. Spruzzate regolarmente i rami di pino con dell’acqua per far sì che si mantengano freschi a lungo. Non lasciare mai le candele incustodite.

Letture à gogo Laboratorio creativo con il 20% di riduzione per bambini su tutti i libri Piccoli artisti cercansi! Ai vostri bimbi piace darsi da fare con i lavoretti di bricolage e vorrebbero creare qualche regalino originale per il prossimo Natale? Allora non possono proprio mancare all’appuntamento con il laboratorio creativo Parisfamily, organizzato in collaborazione con ticinoperbambini. ch. Alla presenza di personale qualificato, i piccoli partecipanti tra i 5 e i 10 anni potranno disegnare, creare, decorare e passare un divertente mercoledì pomeriggio in bella compagnia. Il programma dei laboratori è il seguente:

Keystone

Buone notizie per tutti i lettori alla ricerca di idee regalo per sé o per i propri cari in vista delle prossime festività natalizie: da domani e fino all’8 dicembre nei reparti libri Migros tutti i libri dell’assortimento saranno scontati del 20%. Tra le novità più interessanti del momento vi segnaliamo ad esempio il divertentissimo libro sul mondo della pubblicità «L’incredibile Urka» della nota comica Luciana Littizzetto; «La regola dell’equilibrio» di Gianrico Carofoglio, dove rientra in scena l’avvocato Guido Guerrieri; e le avvincenti indagini di Kay Scarpetta nel nuovo romanzo di Patricia Cornwell «Carne e sangue». Per quanto riguarda l’editoria ticinese, un’idea azzeccata potrebbe essere «Le ricette di mia nonna» di Giuliana Campana, un ricettario sulle tradizioni culinarie ticinesi e su come utilizzare al meglio le erbe medicinali in cucina.

3 dicembre, Migros Agno 10 dicembre, Centro S. Antonino 17 dicembre, Centro S. Antonino I laboratori saranno suddivisi in due gruppi: uno dalle ore 14.30 alle 15.30; l’altro dalle 16.00 alle 17.00. Le iscrizioni possono essere effettuate sul sito www.ticinoperbambini.ch/atelier


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Idee e acquisti per la settimana

È tempo di cicitt Specialità La macelleria-salumeria Femminis di Locarno rifornisce Migros Ticino della nota salsiccia

a base di carne di capra

Cicitt di capra 100 g Fr. 3.20 In vendita sia al banco che al libero servizio. Salametti di capra 100g Fr. 4.05 In vendita ai banchi macelleria delle maggiori filiali.

Stefano Femminis vi invita a provare i suoi cicitt. (Loredana Mutta)

In questo periodo dell’anno sono molti i buongustai che non si lascerebbero sfuggire per nessuna ragione al mondo alcune tradizionali specialità della nostra regione a base di carne caprina. Tra queste ovviamente non possono mancare i cicitt, le tipiche salsicce lunghe e sottili da grigliare sul fuoco. Quest’anno una buona parte dei cicitt che trovate presso la vostra macelleria Migros di fi-

ducia sono prodotti dalla macelleria-salumeria Femminis di Locarno, azienda con una lunga tradizione famigliare alle spalle. «La nostra attività è nata nel 1976, quando mio padre Vittorio apri il primo negozio sulla piazza di Cevio», ci spiega Stefano Femminis, attuale titolare della macelleria. Nel 1981 il papà trasferì la macelleria a Cavergno, che nel 2001 fu rilevata dal figlio. «Nel 2011 – prosegue

Stefano – ho avuto infine l’opportunità di poter riprendere una macelleria in Piazza S. Antonio a Locarno, mantenendo comunque anche il punto vendita di Cavergno». La produzione dei cicitt è da oltre un secolo radicata nel territorio valmaggese e nell’azienda Femminis il salume viene preparato ogni autunno fin dagli inizi dell’attività. «Come detta la nostra tra-

dizione contadina, per produrre i cicitt si usano le parti meno nobili dell’animale alle quali, dopo essere state finemente macinate, si aggiunge una miscela speciale di spezie e del buon vino rosso. Successivamente l’impasto viene insaccato in un lungo budello naturale e lasciato essiccare per alcuni giorni». I cicitt si gustano nel modo più semplice possibile: basta infilzarli con un for-

chettone da grill e cuocerli alla brace per qualche minuto finché risultano belli croccanti fuori. Serviteli con delle patate lesse, un’insalatina oppure semplicemente con del pane rustico. Oltre ai cicitt, nelle principali filiali Migros trovate anche altre specialità di carne di capra: i salametti della Salumi Val Mara e, tra qualche settimana, l’aromatico violino.

Autentici sapori del sud La Reinese Melanzane a filetti in olio di oliva 370 g Fr. 4.80 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

La Reinese Peperoncini farciti con acciughe, olive e capperi 370 g Fr. 7.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Famoso per le sue conserve a base di ortaggi di stagione, il marchio beneventano La Reinese è presente sugli scaffali di Migros Ticino con diverse specialità sotto forma di antipasti, sott’oli e sughi. I prodotti La Reinese si caratterizzano per la grande scrupolosità nella selezione delle materie

prime e nell’accurata trasformazione nel rispetto delle più tipiche e antiche ricette della cucina italiana. Per i vostri sfiziosi antipasti o contorni, nuove nell’assortimento La Reinese sono le melanzane a filetti in olio di oliva e i peperoncini farciti con acciughe, olive e capperi.


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Idee e acquisti per la settimana

Gusto sopraffino confezionato con eleganza: Frey Pralinés Prestige Edition d’or 256 g Fr. 17.80 20 x Punti Cumulus fino al 1° dicembre. Fino a esaurimento scorte

L’ESPERTA LETTRICE Miyako Baumann Wanner (37 anni) di Uzwil

Un regalo bell’e pronto

Foto: Raphael Zubler; Styling: Katja Rey

Prima impressione: esclusivo, di classe. Trovo particolarmente belli i praliné cosparsi di polvere d’oro. Gusto: eccellente. L’unico che, personalmente, non mi dice tanto è il praliné al Grand Marnier. Praliné preferito: il Calice. Si scioglie sulla lingua.

Le bellissime confezioni natalizie delle truffe e dei praliné Frey rendono superflua la carta da regalo.

Frey Truffe assortite, scatola con le renne 261 g Fr. 15.80 20 x Punti Cumulus fino al 1° dicembre. Fino a esaurimento scorte

I praliné sono un dono sempre molto gradito. Sono perfetti sotto l’albero di Natale e come regalo per ogni eventualità, soprattutto se si tratta di un’occasione di festa. E grazie alle loro eleganti confezioni, i nuovi praliné Prestige Edition d’Or e le truffe assortite di Frey si adattano particolarmente bene ad essere regalate. Volendo, c’è anche la possibilità di avvolgervi attorno un bel nastro per inserirvi una cartolina d’auguri. Il gran gusto che traspare dalla confezione dorata dei praliné Prestige Edition d’or rispecchia il gran gusto del suo contenuto. Infatti, ognuno di

questi cioccolatini è una prelibatezza di per sé, che si tratti del Triangolo d’oro con cioccolato di gianduia, del Circolo Perle con finissimo ripieno di marzapane o del Rêve d’or con cuore di truffe. Per l’occasione è stata aggiunta una varietà alle tradizionali sei: la nuova truffe di delicato cioccolato fondente, che avvolge un ripieno al gusto di Grand Marnier. Chi ama soprattutto le truffe si rallegrerà sicuramente per la bomboniera natalizia con il motivo delle renne. È ricolma di truffe al latte e truffe all’Irish Cream in edizione limitata. / DH

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i praliné Prestige e le truffe di Frey.


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I membri di Famigros usufruiscono del 20% di sconto sui biglietti d’ingresso per famiglie (per 3, 4 o 5 persone) all’Europa-Park. Numero di biglietti limitato. I biglietti possono essere prenotati sul Ticketshop Cumulus. I biglietti sono validi solo per una giornata dal 22.11 al 19.12.2014 oppure dal 7.1 all’11.1.2015 (incl. fine settimana). Trovi tutti i dettagli sull’offerta e per la prenotazione su www.famigros.ch/europa-park

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Idee e acquisti per la settimana

La magia della confezione Un Natale senza regali sotto l’albero è come una Pasqua senza uova. Ben confezionati, addobbati con fiocchi e nastrini, anche i pensierini più semplici fanno una gran bella figura.

Carta da regalo di diversi colori e motivi da Fr. 3.90 Nastri per pacchi regalo di diversi colori da Fr. 2.90

Non sono solo gli occhi dei bimbi a luccicare quando si tratta di scartare i regali di Natale. Che si tratti di un semplice pensierino o di un desiderio a lungo atteso, ogni regalo incartato con amore e creatività diventa una vera e propria attrazione. Considerato l’immenso assortimento a disposizione, scegliere la carta da regalo e i nastri più appropriati non è mai una cosa facile. Si abbinano bene il rosso e il bianco all’argento o all’oro? O è meglio una carta punteggiata di stelline su sfondo azzurro? Comunque i colori non sono importanti: come sempre, più ce ne sono più la festa sotto l’albero è garantita. Alcuni preziosi suggerimenti per il Natale su www.migros. ch/natale


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Idee e acquisti per la settimana

Regali fino a 50 franchi

Regali dai 50 franchi Biancheria intima di classe: Slip Ellen Amber Fr. 14.80 Reggiseno Ellen Amber Fr. 24.80

Elegante e funzionale: Portafoglio di pelle, Ellen Amber Fr. 49.80

Una porta al giorno: Calendario dell’Avvento Frey, diversi soggetti 75 g Fr. 4.20 (fino a esaurimento scorte)

Tutto il necessario a portata di mano: Borsello Nike Fr. 29.90

Massima libertà di scelta: Carta regalo Migros Fr. 50.–

Selezione per palati fini: Cesto regalo Sélection medio Fr. 98.– Nelle maggiori filiali (fino a esaurimento scorte)

Guarnitura da letto in satin grigio chiaro per giacigli accoglienti: JULIA Federa per cuscino 65 x 100 cm Fr. 24.90 JULIA Federa per piumone 160 x 210 cm Fr. 69.90

In pista dopo i giorni di festa: Slitta Davos, 100 cm, di legno svizzero FSC Fr. 129.–


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Idee e acquisti per la settimana

Regali per bambini Per i costruttori dai 10 anni in su: Lego Technic Aereo cargo 42025 Fr. 129.–

Per piccole creatrici di moda dagli 8 anni in su: Ravensburger Lovely Loom Fr. 24.80

Per scienziati e inventori dai 6 mesi in su: Fisher Price Trenino con cagnolini, gioco didattico Fr. 49.80

Per maghi e prestigiatori a partire da 8 anni: Ravensburger Magic Fr. 49.80


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Foto René Ruis, Styling Katja Rey

Idee e acquisti per la settimana

Con Sanissa au beurre il pan di zenzero e gli altri dolcetti riescono come per magia.

Il segreto dei dolci fatti in casa Oltre alla ricetta, per fare un buon prodotto da forno ci vogliono gli ingredienti giusti. Con la margarina Sanissa au beurre ogni impasto è un successo. E non solo i dolci di Natale

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche le margarine Sanissa.

Quando per tutta la cucina si diffonde il profumo del pan di zenzero e dei «Grittibänz» (gli squisiti omini fatti di pasta di treccia) e si riempiono le scatole dei biscotti, vuol dire che il Natale è ormai alle porte. Si trascorrono i pomeriggi in allegra compagnia nell’attesa della «festa delle feste», sfornando prelibatezze fatte in casa, confezionando regali e addobbando gli abeti. Tra le cose da sapere c’è che con la margarina Sanissa au beur-

re ogni dolce è un successo garantito. Sanissa au beurre è prodotta in Svizzera con vero burro svizzero. Ha un impiego molto versatile ed è eccellente non solo per impastare i prodotti da forno, ma anche per preparare ripieni e guarnizioni. Anche l’imballaggio presenta dei vantaggi, dato che la confezione di Sanissa da 500 grammi contiene quattro porzioni da 125 grammi ciascuna. Questa suddivisione facilita il dosaggio

senza bisogno di una bilancia, dato che su ogni imballaggio è possibile marcare un’ulteriore suddivisione in dosi da 25 grammi. I prodotti della linea Sanissa contengono in prevalenza materie prime provenienti da agricoltori e produttori di latte svizzeri. Per esempio l’olio di colza, che affina la struttura di Sanissa au beurre e ottimizza la consistenza dell’impasto da forno. / AW

Cotti al forno Pan di zenzero e tanto altro Sul lato interno di ogni confezione di Sanissa è stampata una ricetta. Tra i suggerimenti da mettere in forno: biscotti di pasta frolla, dolci con frutta candita, Grittibänz e figure di pan di zenzero.

Sanissa au beurre 4 x 125 g Fr. 3.80


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Idee e acquisti per la settimana

Surprise me: i nuovi yogurt SiD’s contengono deliziose sorprese.

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Il bis, per favore! Foto Yves Roth; styling Mira Gisler

I nuovi prodotti di SiD sono proprio fuori dal normale ed entrano in scena con i loro topping alla frutta, ai biscotti e ai confetti di cioccolato

Un piccolo mostro si è insinuato tra gli scaffali dei latticini Migros: il goloso SiD, che con le sue specialità preferite porta gustose variazioni nell’assortimento. I prodotti SiD’s non sono dolciumi nel senso convenzionale del termine. Grazie

alle loro speciali miscele da aggiungere alla base, sono perfetti anche come dessert. I prodotti SiD’s Fruity si compongono di cremoso yogurt coronato da una deliziosa mousse alle fragole o al mango. I vasetti Mix Me recano invece un coper-

chio riempito di delizie da miscelare alla crema. Esistono nella variante alla crema di vaniglia e biscottini al cioccolato oppure in quella alla crema di cioccolato con mini confetti di cioccolato. Gnammy! / NO


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6.20 invece di 12.40

6.85 invece di 11.45

9.10 invece di 11.40

Pasta, bio, in conf. da 3 20% di riduzione, per es. fiori alla ricotta e agli spinaci, 3 x 250 g

Branches Classic Frey in conf. da 50, UTZ 50 x 27 g

Cornetti al prosciutto Happy Hour 24 pezzi surgelati, 1 kg

Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2 surgelato, 2 x 350 g

Tonno in olio o in acqua M-Classic in conf. da 6 6 x 155 g, per es. tonno rosa in olio di soia

2.10 invece di 2.65

8.85 invece di 11.10

8.60 invece di 10.80

1.15 invece di 1.45

3.10 invece di 3.90

1.90 invece di 2.50

Le Gruyère Höhlengold per 100 g, 20% di riduzione

Raccard Surchoix a fette, bio 450 g, 20% di riduzione

Tutti i tipi di caffè Cafino e Cappuccino 20% di riduzione, per es. Cafino Classic in sacchetto, UTZ, 550 g

Tutte le bevande, i succhi, gli Ice Tea, le birre o gli sciroppi Migros bio 20% di riduzione, per es. Ice Tea alle erbe alpine svizzere, 1 l

Tutti i sofficini ripieni M-Classic surgelati, 20% di riduzione, per es. sofficini al formaggio, 6 pezzi

Riso M-Classic da 1 kg a partire dall’acquisto di 2 sacchetti, –.60 di riduzione l’uno, per es. Carolina Parboiled

PUNTI

10x

50%

17.90

22.40 invece di 28.–

19.80

6.90 invece di 13.80

4.70 invece di 5.70

11.– invece di 13.80

Mazzo di amarilli Gloria il mazzo

Fondue Swiss Style moitié-moitié o Tradition in conf. da 2 per es. moitié-moitié, 2 x 800 g

Tutto l’assortimento di capsule Delizio, UTZ per es. Crema, 48 capsule

Succo d’arancia M-Classic in conf. da 12 12 x 1 l

Chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g

Olio di colza Holl M-Classic 3 l, 20% di riduzione

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


o e f f . tr er e t l A

a . z n e i n e v on c a Il bello dell

FRUTTA E VERDURA

Finocchio, Italia, al kg 2.60 invece di 4.40 40% Cachi Persimon, Italia / Spagna, al kg 2.20 invece di 3.70 40% Lattuga iceberg, Spagna, al pezzo 1.– invece di 1.40 Patate raclette, Svizzera, sacchetto da 2,5 kg 2.60 invece di 3.50 25% Pomodori a grappolo, bio, Spagna / Italia, vaschetta da 500 g 1.95 Mango, Brasile / Spagna, al pezzo 1.90 Noci Grenoble, Francia, busta da 500 g 3.30 Clementine a foglia, Spagna, sciolte, al kg 3.20 invece di 4.60 30%

40% 3.55 invece di 5.95

4.55 invece di 5.40

Salviettine cosmetiche e fazzoletti di carta Linsoft e Kleenex in confezioni multiple per es. fazzoletti di carta Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi, offerta valida fino all’8.12

Detersivi per i piatti Handy in conf. da 3 15% di riduzione, per es. Classic, 3 x 750 ml, offerta valida fino all’8.12

PESCE, CARNE E POLLAME

17.80 invece di 22.40

5.75 invece di 7.20

–.95 invece di 1.20

Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 20% di riduzione, per es. Black, 2 x 2 l, offerta valida fino all’8.12

Diversi saponi in conf. multiple per es. sapone in crema Milk & Honey I am, confezione di ricarica da 2, 2 x 500 ml, offerta valida fino all’8.12

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena esclusi), 20% di riduzione, per es. crema per le mani mini I am ad azione intensa, 25 ml, offerta valida fino all’8.12

20% 34.90

3.70 invece di 4.20

6.20 invece di 7.80

Diversi capi di biancheria invernale da uomo per es. set di biancheria invernale nera, offerta valida fino all’8.12

Tutto l’assortimento di prodotti Milette per la cura del bebè a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. bagnoschiuma per bebè, 500 ml, offerta valida fino all’8.12

Salviettine umide Soft in conf. da 3 per es. Sensitive umide, 3 x 50 pezzi, offerta valida fino all’8.12

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Per la tua spesa ritaglia qui.

20%

Prosciutto cotto M-Classic in conf. da 2, affettato finemente, Svizzera, 2 x 147 g 5.90 invece di 8.45 30% Tutti i prodotti di salumeria Gusto del Sol, per es. prosciutto crudo Serrano, Spagna, per 100 g 4.10 invece di 5.15 20% Prosciutto arrotolato di spalla, affumicato, Svizzera, al kg 9.50 invece di 19.– 50% Fettine di pollo M-Classic, Germania / Francia / Ungheria, per 100 g 1.60 invece di 2.– 20% Salmone affumicato, bio, d’allevamento, Scozia, 260 g 15.– invece di 21.55 30% * Bresaola Beretta, Italia, affettata, in vaschetta da 100 g 5.95 invece di 8.60 30% Prosciutto cotto Parmacotto, Italia, affettato in vaschetta, per 100 g 2.95 invece di 4.40 30% Bistecche di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 3.30 invece di 4.80 30% Ossibuchi di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 2.20 invece di 2.80 20% Arrosto collo di maiale, Svizzera, imballato, in conf. da ca. 1 kg, per 100 g 1.45 invece di 2.10 30% Fettine di maiale impanate, TerraSuisse, imballate, per 100 g 1.60 invece di 2.70 40% Cordon-bleu di pollo, prodotti in Svizzera con carne di pollo dal Brasile / Argentina, confezione, 4 x 150 g, 600 g 9.– invece di 13.10 30% Carpaccio di manzo con rucola e Grana, prodotto in filiale con carne Svizzera, imballato, per 100 g 3.30 invece di 5.- 33% Filetto di passera, MSC, Atlantico nordorientale, per 100 g 1.95 invece di 2.60 25% Fino al 29.11

PANE E LATTICINI

Tutto il pane bio, per es. corona del sole, 360 g 2.05 invece di 2.60 20% Panna intera UHT Valflora, in conf. da 2, 2 x 500 ml 5.30 invece di 6.70 20% Tutti gli yogurt bio (esclusi yogurt di latte di pecora), per es. moca, Fairtrade, 180 g –.60 invece di –.75 20% Fondue Swiss Style moitié-moitié o Tradition in conf. da 2, per es. moitié-moitié, 2 x 800 g 22.40 invece di 28.– Le Gruyère Höhlengold, per 100 g 2.10 invece di 2.65 20% Raccard Surchoix a fette, bio, 450 g 8.85 invece di 11.10 20% Panini integrali M-Classic, 270 g 2.– invece di 2.50

FIORI E PIANTE Mazzo di amarilli Gloria, il mazzo 17.90 Phalaenopsis 2 steli, in vaso da 12 cm, la pianta 9.90 invece di 16.90 40% Corona dell’Avvento, al pezzo 14.90 invece di 19.90 25%

ALTRI ALIMENTI Branches Classic Frey in conf. da 50, UTZ, 50 x 27 g 10.30 invece di 20.75 50% Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ (Eimalzin, Bio, M-Classic, Suprême e confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 3 tavolette, –.30 di riduzione l’una, per es. Tourist 1.65 invece di 1.95 ** Tutti gli articoli natalizi Celebrations e M&M’s, per es. bottiglia Celebrations, 320 g 20x 8.40 20x PUNTI Cioccolatini delle feste assortiti Frey, UTZ, 1 kg 13.90 invece di 19.90 30% Biscotti Cremisso e Botton d’oro svizzeri Tradition in conf. da 3, per es. Cremisso, 3 x 175 g 8.10 invece di 10.20 20% Tutte le Doetsch Grether’s Pastilles, per es. pastilles con zucchero, in confezione di ricarica, 20x 100 g 7.30 20x PUNTI ** Tutto l’assortimento di capsule Delizio, UTZ, per es. Crema, 10x 48 capsule 19.80 10x PUNTI Tutti i tipi di caffè Cafino e Cappuccino, per es. Cafino Classic in sacchetto, UTZ, 550 g 8.60 invece di 10.80 20% Tutte le tisane Yogi bio, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, 1.– di riduzione l’una, per es. allo zenzero e al limone, 17 bustine 4.– invece di 5.–

Tutti i tipi di miele Fairtrade, per es. miele di fiori cremoso, 500 g 4.75 invece di 6.20 20% Müesli Farmer in conf. da 2, con vasetto gratuito per il müesli, per es. al naturale, 2 x 500 g 7.60 invece di 9.60 20% Farmer Flakes in conf. da 2, per es. al naturale, 2 x 500 g 7.30 invece di 9.20 20% Mandorle sgusciate o nocciole sgusciate M-Classic, per es. nocciole sgusciate, 200 g 2.45 invece di 3.10 20% Datteri Sun Queen da 300 g o fichi Sun Queen da 500 g, per es. datteri, 300 g 2.15 invece di 2.70 20% Tutti i prodotti Deliziosa o Casa Giuliana, surgelati, per es. pizza Antipasti Casa Giuliana, 350 g 5.35 invece di 6.70 20% Cornetti al prosciutto Happy Hour 24 pezzi, surgelati, 1 kg 6.20 invece di 12.40 50% Tutti i sofficini ripieni M-Classic, surgelati, per es. sofficini al formaggio, 6 pezzi 3.10 invece di 3.90 20% Bastoncini di nasello Pelican, in conf. da 3, MSC, surgelati, 3 x 450 g 8.80 invece di 13.20 33% Sminuzzato di pollo M-Classic in conf. da 2, surgelato, 2 x 350 g 6.85 invece di 11.45 40% Succo d’arancia M-Classic in conf. da 12, 12 x 1 l 6.90 invece di 13.80 50% Miscela di succo d’uva e di sauser senz’alcol, 1 l o 6 x 1 l, per es. 1 l 2.30 invece di 2.90 20% Tutte le bevande, i succhi, gli Ice Tea, le birre o gli sciroppi Migros bio, per es. Ice Tea alle erbe alpine svizzere, 1 l 1.15 invece di 1.45 20% Riso M-Classic da 1 kg, a partire dall’acquisto di 2 sacchetti, –.60 di riduzione l’uno, per es. Carolina Parboiled 1.90 invece di 2.50 Tutti i tipi di cereali in chicchi, di legumi o di quinoa bio, per es. lenticchie rosse, 500 g 2.– invece di 2.50 20% Tutto il riso bio da 1 kg, per es. riso integrale Natura 2.60 invece di 3.30 20% Tutta la pasta, tutte le salse per pasta o tutti i sughi e le conserve di pomodoro bio, per es. spaghetti, 500 g 2.05 invece di 2.60 20% Olio di colza Holl M-Classic, 3 l 11.– invece di 13.80 20% Salse per fondue Thomy in conf. da 4, 4 x 185 ml 9.40 invece di 11.80 20% Tutte le olive Migros bio, per es. olive greche Kalamata, 150 g 1.85 invece di 2.35 20% Tonno in olio o in acqua M-Classic in conf. da 6, 6 x 155 g, per es. tonno rosa in olio di soia 9.10 invece di 11.40 20% Chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g 4.70 invece di 5.70

*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino all’8.12 Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Tutti gli stollen di Natale, per es. stollen di Natale, 720 g 3.35 invece di 4.20 20% Tutta la pasta per biscotti natalizi, per es. pasta per cuori al cioccolato, 500 g 2.45 invece di 3.10 20% Tutti i succhi freschi bio, per es. succo d’arancia, 75 cl 2.80 invece di 3.55 20% Tutti gli antipasti Anna’s Best, per es. olive verdi con formaggio a pasta molle, 150 g 3.90 invece di 4.90 20% Pasta, bio, in conf. da 3, per es. fiori alla ricotta e agli spinaci, 3 x 250 g 11.70 invece di 14.70 20% Focaccia all’alsaziana Anna’s Best in conf. da 2, per es. focaccia all’alsaziana, 2 x 350 g 8.30 invece di 10.40 20% Chicken Satay o Spring Rolls Anna’s Best Thai in conf. da 2, per es. Chicken Satay, 2 x 370 g 11.60 invece di 14.60 20% Uova svizzere, da allevamento al suolo, 15 pezzi da 53 g+ 4.90 invece di 5.90 15% Simmenthal, 3 x 140 g 6.90 Panettone al metro, 440 g 5.20 invece di 6.50 20% Tutto l’assortimento Dimmidisì, per es. minestrone di verdure, 620 g 3.10 invece di 5.30 40%

NEAR FOOD / NON FOOD Tutti gli alimenti umidi Sheba in conf. da 12, in bustina o vaschetta, 10 pezzi + 2 gratis, per es. Découvertes, vaschette, 12 x 100 g 10.25 invece di 12.30 15% Tutti i prodotti di cosmesi decorativa L’Oréal, per es. mascara Volume Million Lashes So Couture 19.10 invece di 23.90 20% ** Prodotti L’Oréal Paris Elseve o Studio Line in conf. da 2, per es. shampoo Elseve Color-Vive, 2 x 250 ml 6.70 invece di 7.90 15% ** Tutti i prodotti per la cura delle mani in confezioni multiple, per es. balsamo per mani e unghie I am, 2 x 100 ml 4.45 invece di 5.60 20% ** Tutti i bagnoschiuma (prodotti Bellena e confezioni multiple esclusi), per es. bagno cremoso Milk & Honey I am, 500 ml 3.10 invece di 3.90 20% Diversi capi di biancheria intima da donna Ellen Amber, per es. slip midi in conf. da 3 9.90 ** Diversi boxer da uomo in conf. da 3, per es. boxer a righe e in tinta unita 14.90 ** Pigiama da uomo, per es. a righe 24.90 ** Tutti i prodotti Huggies Little Swimmers, Pull-Ups e Dry Nites, per es. Huggies Pull-Ups Girl 6, 12 pezzi 8.60 invece di 10.80 20% ** Ammorbidenti Exelia in conf. da 2, per es. Summer Fresh, 2 x 1,5 l 10.40 invece di 13.– 20% **


Foto: www.saison.ch

Un Avvento all’insegna della salute. 30% 15.– invece di 21.55 Salmone affumicato, bio* d’allevamento, Scozia, 260 g

2.05 invece di 2.60 Tutto il pane bio 20% di riduzione, per es. corona del sole, 360 g

8.60 invece di 10.80 2.80 invece di 3.55

1.85

Tutti i succhi freschi bio 20% di riduzione, per es. succo d’arancia, 75 cl

Latte UHT, bio 1l

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Tutti i tipi di caffè Cafino e Cappuccino 20% di riduzione, per es. Cafino Classic in sacchetto, UTZ, 550 g


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Foto: Marvin Zilm; Styling: Esther Egli

Idee e acquisti per la settimana

Pasta, semplicemente…

Subito Penne Bolognese 350 g Fr. 4.90

Subito Penne Basilico 350 g Fr. 4.70

20x punti Cumulus fino al 1.12 sui tre piatti Subito

Subito Penne all’arrabbiata 350 g Fr. 4.70


Da gustare in compagnia. 40% 4.10 invece di 5.15

1.60 invece di 2.70

Tutti i prodotti di salumeria Gusto del Sol 20% di riduzione, per es. prosciutto crudo Serrano, Spagna, per 100 g

Fettine di maiale impanate, TerraSuisse imballate, per 100 g

4.70 invece di 5.70

17.–

Chips Zweifel da 170 g, 280 g o 300 g 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g

Salmone affumicato Symphonie Séléction* Norvegia, 190 g

3.60 3.30

5.30 invece di 6.70

Cioccolato fondente Tradition 2 x 80 g

Panna intera UHT Valflora in conf. da 2, 2 x 500 ml, 20% di riduzione

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

Crème Brûlée Sélection 2 x 100 g


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Idee e acquisti per la settimana

…tipicamente italiana La nuova pasta Subito è talmente autentica che è come se fosse stata fatta in Italia Solo tre minuti nel forno a microonde e la nuova Pasta al dente è pronta per essere gustata. Una vera comodità quando si è in ufficio oppure a casa si è di fretta. Le penne sono disponibili con tre classiche salse: Bolognese, all’arrab-

biata e Basilico. Questo piatto precotto pronto, proposto in una vaschetta doppia con pasta e salsa separate, è come se fosse preparato fresco e non contiene esaltatori di sapidità, né conservanti, né additivi. / JV

Chi non gradisce mangiare dalla vaschetta, può versare la pasta in un piatto.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i piatti di pasta Subito.


AZIONE

3.10 invece di 3.90

3.10 invece di 3.90

3.– invece di 3.80

Tutti i bagnoschiuma (i prodotti Bellena e le confezioni multiple esclusi), 20% di riduzione, per es. bagno cremoso Coconut Dream I am, 500 ml

Tutti i bagnoschiuma (prodotti Bellena e confezioni multiple esclusi), 20% di riduzione, per es. bagno cremoso Relax Aroma Spa I am, 500 ml

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena esclusi), 20% di riduzione, per es. crema per le mani Anti Age Q10 I am, 100 ml

3.10 invece di 3.90

3.10 invece di 3.90

2.55 invece di 3.20

Tutti i bagnoschiuma (prodotti Bellena e confezioni multiple esclusi), 20% di riduzione, per es. bagno cremoso Sensual Moments I am, 500 ml

Tutti i bagnoschiuma (prodotti Bellena e confezioni multiple esclusi), 20% di riduzione, per es. bagno cremoso Milk & Honey I am, 500 ml

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena escluso), 20% di riduzione, per es. crema per le mani I am express, 100 ml

3.65 invece di 4.60

3.– invece di 3.80

2.20 invece di 2.80

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena esclusi), 20% di riduzione, per es. burro per le mani al miele I am, 150 ml

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena esclusi), 20% di riduzione, per es. crema per le mani I am ad azione intensa, 150 ml

Tutto l’assortimento di prodotti per la cura delle mani (prodotti Bellena esclusi), 20% di riduzione, per es. balsamo per mani e unghie I am, 100 ml

OFFERTE VALIDE SOLO DAL 25.11 ALL’8.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Idee e acquisti per la settimana

Che fortuna!

Partecipate al Mega Jackpot e inseguite la fortuna su www.megajackpot.ch o con l’App di Migros. Fino al 29 dicembre sul retro di ogni scontrino di cassa Migros trovate dei Win Codes.

Il gioco a premi Mega Jackpot è in pieno svolgimento. Quasi tutti i giorni il forziere si svuota. Trudy S. di Zurigo è stata baciata dalla fortuna e ha incassato la somma più alta, 50’000 franchi. Quali desideri vorrà realizzare?

«Vorrei comprarmi due belle lampade a stelo. E una scrivania, sulla quale possa anche cucire». «Anche un bel viaggio non sarebbe male, per fare il pieno di cultura e di escursioni, magari in Perù».

Congratulazioni a tutti i vincitori…:*

«Natale è alle porte. Penso che mi regalerò un grande televisore a schermo piatto dalla buona qualità delle immagini e della resa sonora».

i Premalore nv di per u lessivo p com

1

Trudy S. (50 anni), segretaria «Ero a casa, seduta comodamente sul divano, e immettevo i miei Win Codes sul telefonino. Eccezionalmente, quel giorno ero stata nella filiale Migros di Horgen. Altrimenti faccio i miei acquisti sempre a Zurigo. È stato proprio un puro caso. Normalmente non partecipo a questi giochi

a premi, ma questa volta ho proprio voluto provare. La fortuna è stata dalla mia parte. Avevo tre scontrini di cassa da inserire, sull’ultimo c’era il codice vincente. Sulle prime non potevo proprio credere di aver avuto tanta fortuna, e ci ho messo un po’ a realizzare che era vero».

e n o mili nchi a r f i d

Partecipazione gratuita e ulteriori informazioni su www.megajackpot.ch

1. Ramon I. Oberönz BE 1037.50 franchi 2. Claudia R. Trogen AR 10 819.40 franchi 3. Sarah L. Lajoux JU 38 222.40 franchi 4. Trudy S. Zurigo 50 000 franchi 5. Thea V. Gentilino TI 17 489.80 franchi 6. Roberto C. Carouge GE 4351.30 franchi 7. Anita W. Rickenbach BL 50 000 franchi 8. Gilda L. Troistorrents VS 2850.20 franchi 9. Claudia T. Pambio TI 22 375.10 franchi 10. Jean-Marc R. Crans-Montana VS 5746.80 franchi 11. Alison D. Vevey VD 42 412.30 franchi 12. Sandra S., Winterthur ZH 2060 franchi *(situazione aggiornata alla chiusura di questa edizione del giornale.)


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Idee e acquisti per la settimana

Regalare un sorriso Natale è il tempo degli auguri: le eCard musicali di Famigros sono animate, personificabili e dotate di un festoso tocco di umorismo

Quando viene da starnutire c’è qualcuno che ci pensa, si dice. Non sappiamo se questa credenza abbia un fondo di verità. Ma alla fin fine, invece di starnuti continui preferiamo una cartolina personale, che viene dal cuore. Un cielo trapunto di stelle, teso sopra un paesaggio invernale innevato, una banda familiare che canta e balla e una lepre perplessa: la cartolina natalizia elettronica animata di Famigros racconta una storia di Natale che induce al sorriso. Si spedisce in un lampo, senza francobollo ed è tanto divertente in quanto si posso-

Foto ZVG

Nella scelta della foto bisogna badare a caricare immagini nelle quali le persone guardino frontalmente nella camera. In tal modo le figure appaiono più autentiche, il che risulta più divertente. Con la funzione zoom si può adattare e posizionare il volto nella cornice.

no personificare gli attori. Possiamo sostituire i visi dei membri della famiglia illustrati con quelli della nostra famiglia, così da diventare noi stessi i protagonisti dell’animazione. Si fa così: si clicca sul sito www.famigros.ch/biglietto-natalizio, si sceglie la figura alla quale si vuole dare un volto e si carica un fotoritratto. Mamma, papà, bambini e il pupazzo di neve, si possono così personificare fino a cinque figure con una foto. Alla cartolina natalizia animata si aggiunge poi un testo personale e la si spedisce per email e/o la si posta su Facebook. / NO


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Idee e acquisti per la settimana

Tutte star, con Covergirl! Da più di 40 anni Covergirl fa tendenza e abbina tradizione a innovazione. Ora l’assortimento si presenta nel nuovo, modernissimo look

Farsi velocemente un trucco discreto, o infilarsi in un elegantissimo abito da sera che più rosso non si può: Covergirl ha tutto quanto serve per farsi belle in ogni occasione. Le ragazze di oggi acquistano quanto le loro mamme e nonne mettevano nel cestello già più di 40 anni or sono: prodotti per il trucco di Covergirl. La storia del loro successo è iniziata nel 1961 nello stato americano del Maryland con un semplice makeup e una cipria di nome «Cover Girl». Già otto anni più tardi, la marca di cosmetica decorativa giungeva sugli scaffali della Migros, dove si è conquistata un posto in prima linea. Fin dagli inizi, Covergirl è riuscita a captare le ultime tendenze della moda e a interpretarle con un assortimento innovativo. I classici prodotti più che affermati vengono continuamente affiancati da nuovi articoli in voga e dai colori del momento. La gamma proposta è tanto versatile quanto lo sono le donne e le girl svizzere. Anche star internazionali come Pink o Katy Perry si professano fan di Covergirl. Da qualche tempo i prodotti si presentano in una nuova vetrina, ordinata, chiara e luminosa, che dà l’ispirazione e fa venir voglia di provare cose nuove. Così è ancora più facile trovare il prodotto giusto. / JV

Tru blend Concealer Correttore 3,5 g Fr. 11.90

Foto: Stefan Kubli

Tru blend liquid Make-up Golden Beige 30 ml Fr. 16.90

Lip Perfection rossetto crema 256 3,5 g Fr. 12.50

Lash blast fusion Mascara Very Black 13,1 ml Fr. 12.90


Grazie per la fedeltà.

Da subito: gustati il caffè Delizio e moltiplica per 10 i tuoi punti Cumulus. L’incomparabile sapore del caffè e del tè Delizio festeggia 10 anni. In questa ricorrenza desideriamo ringraziarti di cuore per la fedeltà. Affinché ci resti fedele anche in futuro, intendiamo continuare a entusiasmarti con un’ampia scelta di caffè e di tè di esclusiva rarità.

Delizio è in vendita alla tua Migros


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Idee e acquisti per la settimana

Sentirsi bene nella propria pelle Latte doccia, spray, crema: nuovi prodotti completano il programma benessere di I am

Per sentirsi bene nella propria pelle, a volte bastano pochi minuti di cura. Particolarmente efficiente è il nuovo I am Shower Body Milk Caring. Si applica sulla pelle bagnata durante la doccia come un gel. Dopo essersi sciacquati, sembra che ci sia appena spalmati la pelle di crema. La lozione con olio di mandorle e provitamina B5 idrata la pelle a lungo. Altra novità nell’assortimento è I am Body Oil Spray 5 in 1. Il suo effetto si basa su una combinazione di cinque olii naturali. Il Body Oil spray è facile da applicare e si assorbe velocemente. Cura la pelle intensamente evitando che si secchi. Stesso effetto per la crema I am Young Day & Night Anti-Shine Cream, la qua-

le, oltre a possedere proprietà curative, previene l’indesiderato effetto pelle lucida. I pigmenti opacizzanti sono completati da ingredienti quali provitamina B5, vitamina E ed estratto di Maracuja. La crema va applicata mattino e sera dopo la detersione su viso, collo e decolleté. Per la cura quotidiana del viso al mattino, I am ha pronto un altro prodotto: Young BB Cream. Con estratto e profumo del frutto del drago (Pitaya), favorisce la bellezza naturale. I suoi ingredienti con pigmenti di colore purificanti e vitamina E conferiscono alla pelle un aspetto uniforme preservandone l’idratazione. La compatibilità con la pelle di tutte le creme I am è dermatologicamente confermata. /AW

I am Shower Body Milk Caring 250 ml Fr. 4.90

I am Body Oil Spray 5 in 1 150 ml Fr. 5.90

I am Young Day & Night Anti-Shine Cream 50 ml Fr. 5.50

I am Young BB Cream 50 ml Fr. 6.20

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i prodotti per la cura del corpo e del viso di I am.


Un Avvento di delizie. ricco 2.35 invece di 2.95 Mandorle sgusciate o nocciole sgusciate M-Classic 200 g, 20% di riduzione, per es. mandorle sgusciate

2.45 invece di 3.10 Mandorle sgusciate o nocciole sgusciate M-Classic 200 g, 20% di riduzione, per es. nocciole sgusciate

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Noci Grenoble Francia, busta da 500 g

Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g, UTZ (Eimalzin, Bio, M-Classic, Suprême e confezioni multiple escluse), a partire dall’acquisto di 3 tavolette, –.30 di riduzione l’una, per es. Tourist, offerta valida fino all’8.12

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Il ricavato delle donazioni della Migros sarà devoluto tra l’altro al progetto «Schulstart+» della Caritas, che prepara genitori e bambini di età compresa tra zero e sette anni e con un passato migratorio ad affrontare l’inizio della scuola dell’infanzia e della scuola elementare. Durante i corsi i bambini e i genitori che si trovano in condizioni di povertà imparano a conoscere il sistema scolastico del luogo in cui vivono.

HEKS impiega le donazioni della Migros ad esempio nel suo programma «HEKS Visite», che consiste nel garantire a chi è disoccupato da tempo un impiego a tempo parziale nel quadro dell’aiuto sociale. Inoltre, i migranti qualificati ottengono migliori possibilità di integrazione grazie al contatto con i mentori del progetto «Mentorat Emploi Migration».

Pro Juventute investe i fondi raccolti dalla Migros da una parte nel suo progetto «Fondo vacanze», che consente ai bambini poveri di andare in vacanza. Dall’altra Pro Juventute assicura un servizio di prevenzione grazie al suo servizio di consulenza per bambini, ragazzi e genitori, prestando orecchio a chi si trova in difficoltà.

I soldi versati alla Migros per il Soccorso d’inverno andranno a sostegno dell’iniziativa che si occupa della fornitura di letti. In Svizzera vi sono infatti persone che non si possono permettere l’acquisto di letti. In questi casi il Soccorso d’inverno si fa dunque carico della spesa fornendo letti, materassi e lenzuola di produzione svizzera.


Im Dunkle geit es Cherzli a Und es strahlt so häll und warm Äs tönt äs Lied dürs ganze Land Mir fiire Wiehnacht Mitenand Y’a des enfants qui nous font rire E sotto l’albero i regali Äs tönt äs Lied dürs ganze Land Mir fiire Wiehnacht Mitenand Denn dr Mond ghört zu de Sterne Und es Liechtli zur Latärne On passera l’année tous ensemble Mir fiired Wiehnacht mitenand Wiehnacht mitenand O die wo’s nid geng eifach hei Niemmer fühlt sich hüt allei

Risuona la musica nell’aria Mir fiire Wiehnacht mitenand Wiehnacht mitenand Denn dr Mond ghört zu de Sterne Und es Liechtli zur Latärne Au das Jahr simmer alli zäme Mir fiired Wiehnacht mitenand Wiehnacht mitenand Dans les villes Les montagnes Les vallées Les campagnes Vola il ritmo E tutti sanno Che oggi nessuno Sta per sé

Denn z’allerschönschte Gschänk Isch wenn öpper a ein dänkt Comme la lune avec les étoiles Et la chandelle avec la flamme On passera l’année tous ensemble Nous fêtons Noël tous ensemble Noël tous ensemble Denn dr Mond ghört zu de Sterne Und es Liechtli zur Latärne Au das Jahr simmer alli zäme Mir fiired Wiehnacht mitenand Wiehnacht mitenand Wiehnacht mitenand

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