Azione 47 del 17 novembre 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 17 novembre 2014

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Società e Territorio Hollaback, un movimento internazionale contro le molestie di strada

Politica e Economia Il mondo ha celebrato il 25.mo anniversario del crollo del Muro

Ambiente e Benessere Che cosa c’è di etico nella sperimentazione dei farmaci sull’uomo? Secondo e ultimo articolo dedicato al tema

Cultura e Spettacoli A Berlino oltre a Beckett soggiornò anche Thomas Wolfe

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Un accordo storico ma non basta ancora

Stati Uniti e Cina insieme per il clima

di Peter Schiesser

di Federico Rampini

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AFP

Dopo averla attesa a lungo – speriamo non troppo a lungo –, ecco la svolta epocale: i presidenti di Stati Uniti e Cina hanno annunciato un accordo sulla protezione del clima (v. Federico Rampini a pagina 27). I due maggiori «produttori» di CO2 – va sul loro conto quasi la metà delle emissioni di gas a effetto serra – assumono infine in prima persona la responsabilità di affrontare una delle maggiori sfide che attendono l’umanità nei prossimi decenni e secoli. Con questa stretta di mano, Barack Obama e Xi Jinping sigillano il superamento di uno stallo culminato nei Protocolli di Kyoto del 1997 e della filosofia su cui si basavano: unicamente le nazioni sviluppate erano chiamate a tagliare le emissioni di CO2, quelle emergenti, come Cina e India, ne erano esentate in virtù dell’esigenza di traghettare dalla povertà alla modernità le proprie popolazioni – motivo per cui Washington non li ratificò. Ora Stati Uniti e Cina, le due maggiori economie del pianeta, hanno convenuto che tutti devono fare la propria parte, i sacrifici vanno condivisi. Non deve sorprendere che questo accordo sia sopraggiunto, dopo nove mesi di trattative segrete, nel momento di massima debolezza del presidente americano Obama e di grande potenza di quello cinese Xi Jinping. Ora che la Cina ha statura di potenza economica, che va costruendo quella di potenza militare, ha raggiunto lo status che impone ad ogni «attore globale» di assumere un ruolo stabilizzante. Per la sua stessa sicurezza. Siccome Xi Jinping si sta dando poteri assoluti come un tempo gli imperatori, per lui sarà forse meno difficile, rispetto ad Obama, dirigere l’economia e la società verso obiettivi consoni alla protezione del clima. Barack Obama, invece, lascia sostanzialmente il compito di concretizzare la svolta di politica energetica al prossimo presidente degli Stati Uniti, mentre gli obiettivi a breve termine sono raggiungibili con gli attuali strumenti e poteri presidenziali, ciò che evita confronti con un Congresso ora pienamente nelle mani dei repubblicani, poco inclini ad accettare sacrifici in nome della lotta ai mutamenti climatici (della cui esistenza dubitano). Ma anche per Obama questo era il momento giusto: vari sondaggi suggeriscono che l’elettorato americano oggi è molto sensibile al tema del surriscaldamento del clima, riconosce che si tratta di un enorme problema anche per gli Stati Uniti. Il tema diventa ora automaticamente dominante per la campagna delle presidenziali americane del 2016. Gli obiettivi annunciati da Barack Obama e Xi Jinping comportano per gli Stati Uniti, rispetto ad oggi, il raddoppio degli sforzi (–28% di CO2 nel 2025 rispetto al 2005), dal canto suo la Cina esprime per la prima volta la volontà di porsi un obiettivo temporale per la riduzione delle sue emissioni (al più tardi dopo il 2030, quando le energie rinnovabili dovrebbero aver raggiunto il 20 per cento del fabbisogno totale). A essere sinceri e concreti, l’accordo rappresenta il minimo comun denominatore, sia Stati Uniti che Cina non dovrebbero faticare molto a raggiungere gli obiettivi dichiarati. Tuttavia, non sarebbero sufficienti ad evitare un surriscaldamento dell’atmosfera superiore alla soglia dei 2 gradi celsius, il limite oltre il quale i mutamenti climatici diverrebbero irreversibili, secondo i calcoli degli esperti dell’ONU. Per cui ci si augura che l’accordo fra Stati Uniti e Cina rappresenti non il tetto massimo da raggiungere, bensì una base su cui costruire al più presto una politica più solida e incisiva. Può sorgere una spirale virtuosa, se ogni Paese si convince della serietà dell’impegno delle due maggiori potenze economiche mondiali. Non va dimenticato che anche l’Unione europea ha da poco annunciato obiettivi ambiziosi: taglio di almeno il 40% delle emissioni di CO2 rispetto al 1990 entro il 2030, 27% di energie rinnovabili entro il 2030, consumo di energia da ridurre del 27% entro il 2030. A questo punto, dopo troppi anni inconcludenti, diventa possibile che l’anno prossimo alla Conferenza sul clima di Parigi si possa trovare un accordo cui aderiscano molti altri importanti generatori di CO2. La Cina e gli Stati Uniti, e forse anche l’Unione europea, fungeranno da traino, ma non per tutti. L’India per esempio – terzo produttore di CO2 al mondo – non ha intenzione di mutare rotta, per ora. Molto dipenderà dalla volontà o meno dell’Occidente di aiutare i Paesi emergenti nello sforzo di adattamento, sia tecnologico, sia alle mutate condizioni climatiche (siccità, alluvioni, fenomeni naturali estremi). In particolare, il 20 novembre a Berlino si terrà la prima riunione di capitalizzazione del «Fondo verde per il clima»; dei 10 miliardi di dollari che dovrà avere inizialmente in dotazione ne sono stati raccolti solo 3. La chiave di volta potrebbe essere questa: la solidarietà internazionale.

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Attualità Migros

M La prima volta in Ticino FCM Un vero avvenimento storico, l’Assemblea dei delegati della Federazione

delle Cooperative Migros a Lugano, il 7 e 8 novembre Per la prima volta nella storia della Migros, il Ticino – in particolare Migros Ticino – ha ospitato l’Assemblea dei delegati della Federazione delle cooperative Migros. E lo ha fatto offrendo una tregua di sole che ha contribuito a creare un’atmosfera piacevole fra i 100 delegati e la trentina di ospiti giunti a Lugano per l’occasione, venerdì 7 e sabato 8 novembre. Oltre al programma ufficiale della 176.esima assemblea in scaletta sabato mattina, il soggiorno in Ticino è stato arricchito da una visita, venerdì pomeriggio, all’Accademia di architettura di Mendrisio e dall’appassionante conferenza dell’architetto Mario Botta, seguita da una conviviale cena al Grotto Loverciano di Castel San Pietro. Migros Ticino riveste un ruolo particolare nella storia della Migros, come ha ricordato la presidente dell’Assemblea dei delegati Ursula Nold: è qui, in Ticino, che Gottlieb Duttweiler decise di dare vita alla prima cooperativa regionale Migros, una forma che poi venne adottata in tutto il resto della Svizzera. Per Migros Ticino, la visita dei delegati FCM a Lugano, è stata quindi l’occasione giusta per descrivere in dettaglio la realtà della Cooperativa – come ha fatto nel suo discorso di benvenuto venerdì all’Accademia di architettura la presidente del Consiglio d’Amministrazione di Migros Ticino, Monica Duca Widmer – e per sottolineare la specificità non solo della cooperativa ma anche della situazione in cui si trova il cantone, confrontato fra le altre cose con un marcato turismo degli acquisti oltre frontiera. In questo contesto – di voler mostrare un Ticino diverso dai cliché che spesso ancora condizionano la percezione che di noi hanno molti confederati – ben si è inserita la con-

ferenza di Mario Botta: un’occasione per mostrare un Ticino che eccelle. Molta attenzione è stata dedicata alla presentazione della nuova struttura turistica che fra qualche anno verrà edificata sul Monte Generoso al posto del vetusto edificio attuale, una costruzione a forma di gemma che spicca nel paesaggio ma al tempo stesso vi si inserisce perfettamente. Un progetto il cui finanziamento ha recentemente ottenuto l’avallo della direzione generale della Federazione delle cooperative Migros, proprietaria della Ferrovia Monte Generoso (salvata dal fallimento nel 1941 proprio da Gottlieb Duttweiler). Ma appassionanti sono state anche le descrizioni di sei dei recenti 19 progetti di Mario Botta e del suo studio di architettura, fra cui il Campus Lafa della Luxun Academy of Fine Arts a Shenyang in Cina (progetto che si estende su una superficie di 490 mila mq!), il Museo della Tsinghua University a Pechino, la Cappella Granato a Penkenjoch nel Zillertal in Austria. La presentazione del progetto del nuovo ristorante in vetta al Generoso è stata anche l’occasione per ringraziare il direttore uscente della Ferrovia Monte Generoso Marco Bronzini (vedi notizia in basso) che con molta energia e passione ha portato avanti il progetto della nuova struttura ideata da Mario Botta. Un ringraziamento che il capo del Dipartimento risorse umane, affari culturali e sociali della FCM Fabrice Zumbrunnen ha simbolizzato regalando a Marco Bronzini un badile decorato di fiori. L’Assemblea dei delegati vera e propria, svoltasi sabato mattina al Palazzo dei Congressi di Lugano, presente anche Laura Sadis che si è rallegrata della venuta in Ticino dei delegati della

Da sinistra, Fabrice Zumbrunnen, Ursula Nold, Mario Botta, Monica Duca Widmer e Marco Bronzini, all’Accademia di architettura di Mendrisio. (Severin Nowacki)

federazione delle cooperative Migros, non aveva in programma votazioni di alcuna sorta, è stata quindi soprattutto l’occasione per dare ai delegati nuove informazioni sulla Comunità Migros. Il presidente del Consiglio d’Amministrazione della FCM Andrea Broggini ha illustrato il Code of conduct che la Comunità Migros si è dato quest’anno (un codice di comportamento etico all’insegna della responsabilità e dell’onestà) e ha specificato che, nello spirito della Corporate Governance, d’ora in poi le remunerazioni dei membri del Consiglio d’Amministrazione

della FCM (in passato decise dal CdA stesso) saranno decise dalla indipendente Fondazione Gottlieb e Adele Duttweiler. Dal canto suo, il presidente della direzione generale della FCM Herbert Bolliger ha illustrato lo stato finanziario della comunità e delle singole cooperative, che mostrano una crescita solida. Molto seguito anche l’intervento del CEO di Hotelplan Group Thomas Stirnimann, che ha messo l’accento sulle difficoltà e sulle potenzialità del settore del turismo, fortemente sottoposto alle turbolenze politiche interna-

La struttura della Comunità Migros FCM Il ruolo dell’Assemblea dei delegati Migros è una confederazione di cooperative che collaborano per essere più efficienti. Nel suo insieme la Comunità Migros raggruppa oltre 50 aziende, che occupano 94’000 persone e generano un fatturato di 26,7 miliardi di franchi. Alla testa della Comunità, gli oltre 2 milioni di soci delle 10 cooperative regionali Migros (poco meno di 90’000 quelli di Migros Ticino). Le cooperative regionali sono aziende autonome e ognuna di loro ha un proprio Consiglio di cooperativa, un Consiglio di amministrazione e un Comitato di direzione composti da persone residenti nella regione di attività. Le 10 cooperative regionali collaborano tra loro e sono le proprietarie della Federazione delle cooperative Migros (FCM). La FCM è una società che funge da centrale per gli acquisti e fornisce servizi comuni alle cooperative regionali, da Holding per le imprese di produzione della Comunità (Jowa, Chocolat Frey, Mibelle,…), le aziende commerciali non a marchio Migros (Denner, Globus, …), la Banca Migros e Hotelplan. Nel Consiglio di amministrazione della FCM siedono tra gli altri 10 rappresentanti delle cooperative

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

zionali e alle calamità naturali, sottolineando gli sforzi profusi da Hotelplan nel mettersi al passo con i tempi, concretizzati in un sito online che offre innumerevoli scelte ai suoi clienti. Ha concluso i lavori dell’Assemblea l’intervento di Fabrice Zumbrunnen, che ha sottolineato una volta di più l’importanza del Percento culturale Migros, presentando la pubblicazione Migros-Kulturprozent – Eine Kultur des Kulturförderns. I delegati si ritroveranno in Assemblea il 28 marzo 2015, di nuovo a Zurigo. / Red.

Migros News Nuovo direttore per la Ferrovia Monte Generoso SA

Le 10 cooperative Migros: Svizzera orientale, Zurigo, Lucerna, Aare, Basilea, NeuchâtelFriburgo, Ginevra, Vaud, Vallese, Ticino.

regionali; compito del CdA (composta da 21-23 membri) è definire la strategia globale della Comunità, controllare la gestione della FCM e delle società a lei affiliate e assicurare che le decisioni dell’Assemblea dei delegati vengano messe in pratica. L’Assemblea dei delegati rappresenta infatti l’organo supremo della FCM ed è costituita da 100 delegati scelti tra i membri dei Consigli di

cooperativa regionali ed eletti in votazione generale. L’elezione avviene con una chiave di ripartizione definita, che tiene conto anche del numero di iscritti al registro dei soci delle singole cooperative regionali (per Migros Ticino un totale di 7 delegati). Ad essi si aggiungono i 10 rappresentanti dei consigli di amministrazione delle cooperative regionali e il presidente. L’assemblea

dei delegati è quindi una vera e propria assemblea generale e corrisponde al parlamento della Comunità Migros, un organo responsabile tra gli altri della discussione delle questioni relative ai principi delle politiche commerciali e delle relazioni con le cooperative regionali Migros, alla modifica degli statuti, così come dell’approvazione dei conti della FCM.

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

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La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

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Negli scorsi giorni la FCM ha reso nota la nomina del nuovo responsabile della società che gestisce la linea ferroviaria e gli impianti turistici sulla vetta. Francesco Isgrò prenderà il posto di Marco Bronzini, giunto alla soglia del pensionamento. Isgrò (42 anni) lavora alle dipendenze della Ferrovia Monte Generoso SA da 10 anni, prima come responsabile dell’amministrazione, poi nel reparto Marketing e vendita e nella direzione aziendale. Nel 2010 ha assunto anche la responsabilità gastronomica dell’hotel-ristorante panoramico sulla vetta del Generoso. Marco Bronzini (63 anni) ha diretto brillantemente l’azienda per 10 anni. Sotto di lui il numero di viaggiatori ha registrato un netto incremento e la ferrovia è stata integrata nella rete dei trasporti pubblici, con la possibilità di utilizzare l’abbonamento metà-prezzo delle FFS. Bronzini ha inoltre fornito un contributo determinante alla decisione di realizzare la nuova futuristica struttura sulla vetta, progettata da Mario Botta.

Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Società e Territorio Giovani tra reale e virtuale Una nuova campagna di sensibilizzazione di Pro Juventute

Orientamento al passo coi tempi L’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale adegua costantemente la sua offerta ai bisogni della società pagina 6

Un Natale in musica Una squadra di artisti svizzeri propone un brano musicale la cui vendita servirà a finanziare opere di beneficienza pagina 8

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Le attenzioni indesiderate Molestie di strada Hollaback

è un movimento di attiviste di 26 Paesi del mondo che rivendica il diritto delle persone, in particolare delle donne, di potersi muovere liberamente e in sicurezza nello spazio pubblico

Stefania Prandi «Basta molestie di strada». Si può riassumere con questo slogan l’obiettivo di Hollaback, movimento internazionale nato nel 2005 a New York, basato sull’idea che le persone devono avere il diritto di muoversi liberamente nello spazio pubblico. Hollaback è un’associazione no profit in espansione, sostenuta da attiviste e attivisti di 79 città (in 26 diversi Paesi nel mondo), che si impegnano a denunciare e a combattere lo street harassment. Con questo termine si intendono gesti e atteggiamenti prevaricatori o violenti che includono sguardi insistenti, insulti, apprezzamenti non richiesti, fischi, palpeggiamenti, minacce, inseguimenti. Il nome deriva da Holla, che in slang americano è un modo per chiamare o per salutare qualcuno, e che è anche un’espressione usata dagli uomini per attirare l’attenzione di una passante. Hollaback significa quindi rispondere, ribattere, reagire alle attenzioni indesiderate. In Ticino e nel resto della Svizzera Hollaback non è presente. «Abbiamo gruppi in Italia, Francia e Germania ma in Svizzera non ci sono referenti» spiega la direttrice esecutiva Emily May che opera dalla sede centrale di Brooklyn, a New York. «Questo però non significa che non ci siano molestie in strada e nei luoghi pubblici. Semplicemente nessuno ci ha ancora contattate per aprire un sito locale e noi operiamo soltanto su richiesta volontaria dei territori». Il fenomeno che Hollaback intende contrastare, combattendo la credenza che non ci sia nulla di male in un complimento oppure in un’avance, è diffuso dappertutto. Mancano dati specifici e omogenei dei diversi Stati anche perché non tutte le molestie vengono riconosciute come reato. In Ticino, secondo i dati raccolti dalla Polizia cantonale, tra

il 2009 e il 2014 sono state 172 le donne vittime dei reati di minaccia, coazione, esibizionismo, molestie sessuali in luogo pubblico. Non si tratta comunque di reati che riguardano solo le donne ma anche gli uomini, 75 negli ultimi 5 anni. Attraverso i gruppi locali Hollaback raccoglie segnalazioni che vengono pubblicate online in forma anonima e che contribuiscono a creare una mappatura, anche se parziale, dello street harassment. Per quanto riguarda la Svizzera, al momento, ci sono 13 storie in italiano, francese, tedesco e inglese inserite dalle attiviste di Stati confinanti. Tra queste: Alessia segnala di essere stata invitata a baciare le parti intime di uno sconosciuto mentre era in coda per il bagno, a una festa di Carnevale vicino a Biasca; Elisa racconta di essere intervenuta per fermare un’aggressione fisica a una ragazza fuori da una discoteca nella zona del Lago di Costanza; una donna che si firma «L» descrive un episodio avvenuto su un tram affollato a Zurigo in cui un uomo le si è stretto e strusciato addosso senza che lei sia riuscita a protestare per la vergogna. Il fastidio e il senso di insicurezza che si provano ad essere oggetto di attenzioni non desiderate sono emerse, nei giorni scorsi, dal video – diventato in breve tempo virale – messo in rete da Shoshana Roberts, attivista americana di 24 anni. Roberts si è fatta filmare dal fidanzato, con una telecamera nascosta, mentre passeggiava per New York con jeans e maglietta. In una decina di ore ha ricevuto complimenti inopportuni, fischi e apprezzamenti di vario genere da 108 uomini di diverse età ed estrazione sociale. Un esperimento simile è stato fatto al Cairo, lo scorso settembre, dalla documentarista belga Tinne Van Loon che ha chiesto a una sua amica egiziana di attraversare il ponte che unisce piazza Tahrir a Zamalek

Per mappare il fenomeno fino al 15 dicembre è online un questionario ideato dalla Cornell University di New York. (AFP)

con una telecamera nascosta. Anche in questo caso risulta evidente l’impossibilità di camminare indisturbate. Una costante che non varia in base al vestito che si indossa, come sottolineano spesso le attiviste, che rivendicano il diritto di potere indossare quello che si vuole senza sentirsi in colpa. E invitano a reagire: «secondo noi non bisogna far finta di niente, prendendosela con sé stesse, provando rabbia in silenzio. Pensiamo che affrontare chi molesta sia il modo migliore per riprendere il controllo della situazione e mostrare che la strada appartiene a tutti». Non ci sono consigli standard per ribellarsi alle molestie perché tutto dipende dalla situazione che si sta vivendo. Online si possono trovare esempi di come ci si può comportare. Si va dal-

la battuta ironica, al rifiuto secco, al tirare fuori il cellulare per filmare la scena, al coinvolgere le persone intorno mostrando sdegno, al gridare «basta». La raccomandazione è di farlo sempre in sicurezza, senza rischiare che la situazione degeneri. Per analizzare l’impatto che le molestie di strada hanno sulla vita delle persone la Cornell University di New York, in collaborazione con Hollaback, ha ideato un questionario online che si può compilare in forma anonima, scegliendo la lingua che si preferisce. L’indagine, alla quale si può partecipare fino al 15 dicembre 2014, sta girando sui social network e ha già ottenuto un buon numero di partecipazioni. I risultati verranno diffusi all’inizio del 2015 e serviranno a fornire una fotografia dettaglia-

ta del fenomeno nei Paesi coinvolti. Un’altra iniziativa che le attiviste, questa volta italiane, stanno portando avanti è quella di chiedere ad Atm, Azienda trasporti milanesi, di affiggere sui mezzi pubblici dei cartelloni per sensibilizzare i passeggeri. Un progetto che è già stato fatto da Hollaback a Boston e in altre città americane. Come ha detto in più di un’occasione May, la direttrice esecutiva di Hollaback, ci sono solo una decina di anni prima che le bambine di oggi si trovino a dovere affrontare le molestie in strada. Per cambiare la situazione, l’invito è quello di unirsi al movimento. Informazioni

www.ihollaback.org.


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Tavolo da pranso HANSEN

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Tavolo da pranzo ALEXIS

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Sedia SOLEO

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Sedia AMATO

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Sedia a slitta VERDI

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Tavolo da pranzo AGOSTI

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Sedia SILANI

Sedia SANNA

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1 Tavolo da pranzo HANSEN, piano in MDF, impiallacciato in quercia, oliato, struttura in acciaio inox spazzolato, 185 x 90 x 75 cm, 719.10 invece di 799.– 2 Sedia SOLEO, tessuto resistente alle macchie, impilabile, diversi colori, per es. verde, 179.10 invece di 199.– 3 Tavolo da pranzo ALEXIS, piano in abete massiccio, spazzolato e verniciato, struttura in metallo laccato color antracite, diverse misure, per es. 180 x 90 x 75 cm, 791.10 invece di 879.– 4 Tavolo da pranzo AGOSTI, quercia massiccia nodata, oliata, allungabile, incl. 1 prolunga ribaltabile, diverse misure, per es. 140 / 190 x 85 x 76 cm, 1259.10 invece di 1399.– 5 Sedia AMATO, scocca in materia sintetica imbottita, similpelle nera, struttura in quercia massiccia verniciata, 143.10 invece di 159.– 6 Sedia a slitta VERDI, tessuto, struttura in acciaio inox spazzolato, diversi colori, per es. marrone, 179.10 invece di 199.– 7 Sedia SILANI, faggio verniciato, adatta per uso commerciale, 125.10 invece di 139.– 8 Sedia SANNA, pelle di bufalo con cuciture a contrasto, struttura in acciaio inox spazzolato, nera o marrone, senza o con braccioli, 269.10 invece di 299.–

micasa.ch

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Società e Territorio

Giovani destabilizzati dal virtuale Vita reale Secondo Pro Juventute un quinto degli adolescenti svizzeri si sente insicuro a causa del confronto

con le immagini dei nuovi media e di Internet. La fondazione lancia una nuova campagna di sensibilizzazione

Fabio Dozio Il vocabolario ci insegna che il termine virtuale è il contrario di reale. In sostanza, virtuale significa: «potenziale, possibile, quasi effettivo», ma anche «simulato» (Zingarelli). Quest’ultima definizione è quella che meglio si attaglia all’uso smodato che oggi si fa del termine «virtuale», in Internet o nei videogiochi. E ciò che fa riflettere, è la definizione di «realtà virtuale», che è un ossimoro, vale a dire una contraddizione in termini. Una contraddizione che può creare confusione, soprattutto fra i giovanissimi. Confusione tra ciò che propongono i media, Internet e i videogiochi e ciò che veramente accade nella realtà. Per esempio, nel mondo virtuale, per quanto riguarda l’apparenza fisica, le donne e le ragazze sono tutte bellissime, i maschi attraenti e muscolosi. Pro Juventute ha lanciato una campagna all’insegna della «Vita reale», con lo slogan: «Molti ideali non hanno nulla a che vedere con la vita reale». In altre parole, molti giovani adolescenti sono continuamente confrontati, nei media e nei social, con le immagini delle vite apparentemente perfette dei coetanei e delle celebrità. Il confronto con queste immagini estremamente idealizzate esercita una grande pressione psicologica sui giovani. Il numero telefonico 147 è il centralino di Pro Juventute che offre consulenza e aiuto ai giovani sette giorni su sette, 24 ore al giorno (vedi anche a p. 8 di questo numero). Un’antenna molto importante per soccorrere prima di tutto, ma anche per capire che cosa sta accadendo e come sta cambiando il pianeta giovani. Al 147 gestito dalla sezione ticinese di Pro Juventute arriva una trentina di telefonate al giorno. In Svizzera i contatti giornalieri sono 400, divisi tra telefonate, SMS, contatti web e chat. Valutando le segnalazioni raccolte dal centralino 147, Pro Juventute ha ritenuto importante lanciare questa campagna, che ha l’obiettivo di «mostrare che la vita degli altri, apparentemente perfetta, non corrisponde alla realtà, e incoraggia i giovani a non farsi mettere sotto pressione dalle immagini idealizzate». A questo scopo vengono diffusi uno spot rivolto ai giovani, dei manifesti, opuscoli a fumetti, interventi su Facebook e una serie di materiali informativi all’indirizzo dei giovani, delle famiglie e degli insegnanti. «È meglio precisare che il 90 per cento delle politiche giovanili sono indirizzate agli adulti – ci dice il direttore di Pro Juventute Ilario Lodi – Il nostro obiettivo

Molti ideali non hanno nulla a che vedere con la vita reale. (Pro Juventute)

è stimolare gli adulti a riprendersi la responsabilità della relazione con i ragazzi; bisogna recuperare tempo e passione per relazionare con i giovani». Moana Crescionini, da molti anni consulente presso il numero di emergenza, afferma: «La forte pressione alla quale i giovani sono sottoposti è palpabile durante le consultazioni. Per esempio c’è una ragazza di 13 anni che da mesi si autolesiona per disperazione, perché si sente brutta e insignificante se guarda le foto perfette degli altri su Facebook. Oppure un ragazzo quindicenne che a furia di andare in palestra non trova più il tempo di coltivare le sue amicizie. Ma la sua paura di non trovare una ragazza se non ha abbastanza muscoli è troppo grande». Espressioni esagerate? Eccezioni? Niente affatto. Il disagio dei giovani è

palpabile e riguarda un quinto degli adolescenti svizzeri, ma troppo spesso la famiglia è l’ultima ad accorgersene. «Ci chiamano – ci dice ancora il direttore Lodi – per esempio perché hanno ricevuto una nota non soddisfacente a scuola e una cosa del genere diventa subito una tragedia incandescente. Vi è uno scollamento tra reale e virtuale, anche perché gli adulti sono incapaci di svolgere un’opera educativa fondata sulla trasmissione dei saperi, delle passioni, delle emozioni». Pro Juventute invita i giovani a rafforzare la loro autostima, ad accettarsi per quello che sono, senza rincorrere falsi modelli e, soprattutto, senza rivestire un ruolo soltanto per piacere agli altri. E propone ai genitori di incoraggiare i figli ad avere autostima e a discutere con loro sull’immagine del ruolo della donna e dell’uomo.

I nuovi media, la pubblicità e le riviste «vogliono suggerirci che soltanto le persone di bell’aspetto meritano il successo e l’amore. In realtà nessuno è perfetto. Dietro il successo c’è spesso anche il talento, e fascino e carisma non dipendono solo dalla bellezza». Alle famiglie il direttore di Pro Juventute consiglia «di provare a immaginare come vorreste vivere con i vostri figli nei prossimi sei mesi. Riprendetevi il tempo con i vostri figli che sono schiacciati dal presente. Bisogna recuperare il tempo, ora tutto è definito dall’immediatezza degli SMS. Una volta la domenica si aspettava la telefonata dell’amico o della fidanzatina. Il tempo permetteva di coltivare la passione, di immaginare, di sognare e, magari, di arrabbiarsi o frustrarsi». Internet sta influenzando notevolmente i giovani

«nativi digitali». La rete e le sue innumerevoli applicazioni offrono un’enorme possibilità di comunicazione e d’informazione, che tende a frammentare l’attenzione dei giovani e a saturarli di messaggi virtuali. A questo proposito è importante il ruolo della scuola. Pro Juventute si rivolge anche agli insegnanti con una serie di consigli atti a promuovere l’individualità dei ragazzi, a spiegare il funzionamento dei media e a sollecitare i giovani a guardare dietro la facciata, ovvero a ricercare «la realtà» dietro al «virtuale». «È tutto focalizzato sulle necessità materiali – dice ancora Ilario Lodi – leggere, scrivere, imparare l’inglese. Tutto esasperato per raggiungere benessere e felicità, ma tutto ciò è inutile se mancano i fondamenti educativi che fanno riferimento alle emozioni, al piacere, al senso della vita. Non si tratta di demonizzare il mondo virtuale, ma di prenderne le distanze». La campagna di Pro Juventute tocca un tasto delicato, il rapporto tra immagini idealizzate diffuse dai nuovi media e l’identità dei giovanissimi, ma più in generale, come abbiamo visto, denuncia le conseguenze preoccupanti dello scarto fra reale e virtuale. Un tema affrontato anche in altri Paesi. In Italia, per esempio, Telefono Azzurro ha promosso un’indagine conoscitiva sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza che mette in luce le conseguenze «dei nuovi strumenti tecnologici e di comunicazione, che hanno in buona parte ridefinito i concetti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il discorso sui pericoli di Internet – si legge nel rapporto – continua a essere centrato su pedopornografia e rischi di adescamento, mentre si sottovalutano le questioni relative alla salute mentale, allo sviluppo cognitivo, emozionale e relazionale, dimenticando quanto questi aspetti siano strettamente correlati con lo sviluppo fisico». L’attività di Pro Juventute, fondazione ultracentenaria che si preoccupa dell’educazione e del benessere dell’infanzia, si declina in numerosi progetti: educazione al denaro, gestione dei valori, relazioni interpersonali, corsi per insegnare a studiare. Tutto ciò all’insegna di un monito, espresso lapidariamente dal direttore Ilario Lodi: «Che paese è quello che non si prende cura dei propri giovani, che saranno gli adulti di domani?». Informazioni

www.projuventute.ch/vitareale

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Elizabeth Laban, Io sono la neve, Rizzoli. Da 13 anni

Il titolo italiano è molto bello, ma quello originale inglese va dritto al punto: The tragedy paper. Perché qui siamo dentro la tragedia nel senso aristotelico del termine, sebbene con tutti gli alleggerimenti del caso, in quanto si tratta pur sempre di una storia adolescenziale, di primi amori e di vita comunitaria dentro un’High School americana. La Irving è una di quelle scuole prestigiose e dalla forte tradizione, fatte però anche di riti e regole goliardiche, spesso al limite del bullismo. Duncan sta per iniziare l’ultimo anno, ed è tradizione che trovi nella nuova stanza un dono lasciato dal precedente occupante. Con suo grande stupore, il «dono» non consiste, come magari sperava, in una bottiglia di bourbon o in un biglietto per una partita degli Yankees, ma in una pila di CD. Chi li ascolta più, i CD, si chiede sgomento. Ma quando Duncan co-

mincerà ad ascoltarli, non riuscirà più a smettere. E il lettore con lui, perché quello che essi contengono non è musica, ma una storia, registrata dalla viva voce del suo protagonista. La storia – tragica, appunto – dell’ultimo anno alla Irving del precedente occupante: Tim, «il ragazzo albino». Duncan, sempre più coinvolto, ne ascolta le vi-

cende, rendendosi conto che Tim non è riducibile a quei capelli candidi e quella pelle bianchissima, ma è molto di più. Solo che non era facile capirlo, perché lui per primo si vergognava del suo aspetto, finendo per trincerarsi dietro la sua diversità. Ed è per questa insicurezza che Tim commette degli errori fatali. Fatali, nel senso «tragico» del termine, e tali da trascinarlo «dall’ordine al caos». Ma la messa in scena della tragedia serve a ripristinare l’ordine nell’animo dello spettatore, ed è quello che accade a Duncan, spettatore/ascoltatore privilegiato di quell’eroe tragico che è Tim, nei cui errori egli può infine rispecchiarsi, traendone insegnamento. Così Duncan è pronto a voltare pagina, e a mettere per iscritto la doppia storia. Dove un ruolo importante è giocato ovviamente anche dagli altri studenti (e da un professore). E dalla neve, abbagliante e bianca come Tim, che è un’ulteriore, fondamentale, protagonista del romanzo.

Patrick Modiano, Caterina Certezza, Donzelli. Da 9 anni

Il Premio Nobel Patrick Modiano ha scritto anche qualche storia per bambini, tra cui, nel 1988, Catherine Certitude, ora appena pubblicato in italiano da Donzelli. È un racconto immerso in un’atmosfera trasognata e mite, in cui si parla di occhiali, di danza, e soprattutto del legame di una bambina con il suo papà. Caterina vive a Parigi con il papà, mentre la mamma ballerina ha avuto

nostalgia del suo paese ed è tornata in America. Alla fine i due la raggiungeranno, ma la storia è tutta occupata dal periodo parigino di padre e figlia, ed è anzi il ritratto di un papà attraverso la voce, e lo sguardo, della sua bambina. Uno sguardo dolcemente appannato quando Caterina si toglie gli occhiali (ad esempio per danzare, o per staccare dalla realtà quando si fa troppo greve). Anche il papà porta gli occhiali, e anche lui a volte ama vivere in una dimensione svagatamente vaporosa (anche senza togliere gli occhiali). In questo territorio, poetico e un po’ «fuorifuoco», si incontrano padre e figlia, uniti da una fiducia reciproca descritta efficacemente e in pochi tratti, che colpisce, soprattutto conoscendo il rapporto tragico dell’autore con il suo, di padre. Le illustrazioni di Jean-Jacques Sempé, il quale dà vita a Catherine con lo humour che contraddistingue anche il suo più noto Petit Nicolas, forniscono un essenziale completamento al racconto.


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Società e Territorio

Un servizio per tutti

I sassi di Taverne

Orientamento L’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale

sul Dosso di Taverne, dove riaffiorano elementi del Castello distrutto nel 1517

adegua costantemente la propria offerta ai bisogni della società e si occupa di circa 6500 consulenze all’anno

Stefania Hubmann Da servizio prettamente scolastico a vero e proprio punto di riferimento per l’orientamento a livello cantonale. In trent’anni l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale ha costantemente adeguato la sua offerta ai bisogni della società, arrivando a circa 6500 casi trattati ogni anno. Di questi, la metà è ancora oggi rappresentata dagli allievi di scuola media, ma il resto si suddivide a metà fra giovani tra i 16 e i 20 anni iscritti nelle scuole medie superiori, in possesso di un diploma professionale o ancora in formazione e adulti sopra i 20 anni. Oltre alla sede di Bellinzona, che ospita anche il servizio documentazione, sono a disposizione di tutti gli interessati altri cinque uffici regionali, a Biasca, Breganzona, Locarno, Manno e Mendrisio.

In Ticino aumenta il numero di adulti che si rivolgono agli orientatori, complici la crisi economica e i cambiamenti sociali Da sei anni l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale è diretto da Rita Beltrami che in precedenza ha maturato una lunga esperienza sul territorio quale orientatrice. «Mai fermarsi» è il suo motto e lo spirito con il quale guida il team composto da 25 orientatrici e orientatori. La incontriamo nella sede di Breganzona, dove ha appena concluso una conversazione telefonica con un genitore preoccupato per la figlia adolescente rimasta senza posto di tirocinio. «Seguiamo, in collaborazione con altri servizi, anche questi casi, per trovare una soluzione pur di evitare a questi giovani di rimanere senza prospettive e soprattutto senza un’occupazione quotidiana». Di fronte a una realtà economica e sociale in veloce evoluzione, rimanere aggiornati è un imperativo. Cambiano le esigenze dei giovani in formazione e degli adulti già inseriti nel mondo del lavoro, così come le professioni e le possibilità di riqualificazione e aggiornamento. Il tutto in un sistema di comunicazione completamente rivoluzionato dall’era digitale. «Il nostro sito

– www.ti.ch/orientamento – è la fonte d’informazioni più diretta. È sempre aggiornato e attraverso le due bacheche, over 15 e over 18, comunichiamo date d’iscrizione a scuole e esami attitudinali, posti liberi per stage e tirocinio, incontri informativi o ancora proposte per l’estate. Il sito svizzero www. orientamento.ch offre un’ampia documentazione sulle professioni, scuole e tante altre utili informazioni e mettiamo inoltre a disposizione documentazione più tradizionale, come opuscoli e volantini, tenendo in considerazione anche quanto avviene nel resto della Svizzera. Il CSFO (Centro svizzero di servizio Formazione professionale/ Orientamento professionale, universitario e di carriera) assicura un coordinamento dell’attività attraverso prestazioni di servizio per tutte le regioni linguistiche». Uno stretto legame va mantenuto anche con il mondo del lavoro, segnatamente con le associazioni professionali e le aziende. Grazie alla loro collaborazione, Rita Beltrami e la sua équipe possono organizzare giornate di porte aperte in grandi strutture di solito poco accessibili al pubblico. «Anche le scuole aprono le loro porte ai potenziali studenti in occasione di particolari momenti informativi», precisa la direttrice, segnalando altri due eventi importanti a livello cantonale: Espoprofessioni, la finestra sul mondo del lavoro che si svolge ogni due anni in primavera a Lugano, e OrientaTi, il Salone delle università dedicato alle terze del medio superiore, liceo e Scuola cantonale di commercio. Momenti che fanno parte di un percorso articolato attraverso il quale il giovane matura le proprie scelte scolastiche e professionali. «Si tratta di un vero e proprio percorso pedagogico, promosso in collaborazione con l’Ufficio dell’insegnamento medio sin dall’inizio della scuola media. Il progetto coinvolge al momento 24 sedi su 35. In 24 siamo al primo anno, in 16 a livello di prime e seconde classi e in 8 al terzo anno. L’implementazione del programma sperimentale di educazione alle scelte è infatti partita nell’anno scolastico 2012-13». In questa fase, come nelle consulenze individuali (orientatrici e orientatori sono presenti nelle scuole medie e nelle medie superiori) un punto imprescindibile è il confronto fra gli interessi e le attitudini personali

da un lato e dall’altro la realtà scolastica e professionale. Pure fondamentale la rete che si deve creare attorno all’allievo. Scuola, famiglia, amici, e orientatrice/orientatore contribuiscono tutti alla buona riuscita di questo percorso che richiede tempo e conoscenze. Le scelte giuste non sono comunque più sinonimo di scelte per la vita. La crisi economica e i cambiamenti sociali condizionano la situazione professionale di un numero crescente di adulti. Rita Beltrami evidenzia l’aumento delle richieste da parte di questa fascia d’età. «Gli adulti si rivolgono al nostro Ufficio per desiderio o per necessità. C’è chi desidera cercare nuovi percorsi professionali o perfezionare le conoscenze nel proprio ambito di formazione e chi è costretto a farlo, perché ha perso il posto di lavoro o – è il caso soprattutto delle donne – deve ritrovare un’attività lavorativa dopo una separazione o un divorzio. Nel caso dell’adulto le variabili da valutare sono diverse e più complesse. La responsabilità di una famiglia, la necessità di un’indipendenza economica, l’investimento in tempo, denaro ed energia richiesto da una nuova formazione, sono realtà con le quali bisogna confrontarsi». Rivolgersi agli specialisti dell’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale è quindi un’opportunità, oggi peraltro ben conosciuta e sfruttata, come dimostrano le cifre dell’utenza. Le consulenze per le persone adulte che hanno concluso una prima formazione di base e che sono attive professionalmente (anche a tempo parziale) sono a pagamento (tariffa di 80 franchi all’ora introdotta il 1. gennaio 2013). Per gli studenti e gli adulti senza lavoro o senza una formazione il servizio è invece gratuito. Mentre l’Ufficio, seguendo il credo della direttrice, non si ferma mai e sta progettando una app per essere sempre più vicino ai giovani, scopriamo che l’impegno del Cantone nel campo dell’orientamento ha una lunga tradizione. In un libretto di scuola maggiore del 1932 figura infatti un avviso che sprona i genitori ad accompagnare i figli all’«Ufficio Cantonale d’Orientamento Professionale e di collocamento dei minorenni» per garantire il loro avvenire. In oltre ottant’anni temi, tempi e modi della consulenza sono radicalmente cambiati, ma di sicuro è sempre valido il principio secondo cui la scelta non va affidata al caso.

L’orientatore informa e accompagna il giovane: un percorso educativo nel quale maturare le proprie scelte scolastiche e professionali. (Keystone)

Monte Bario Un sentiero conduce

Del castello di Taverne rimangono chiare tracce di una torre, della cintura muraria e di una cisterna. (Elia Stampanoni)

Elia Stampanoni Ci vuole tanta immaginazione, ma arrivati in cima, sul Dosso di Taverne, i sassi presenti sul terreno indicano che lì, fino a circa cinquecento anni fa (1517), esisteva un castello. Era una fortificazione di cui si hanno poche notizie, ma che è citata in un documento del 1354 e la cui nascita si fa quindi risalire tra il 1300 e il 1400, probabilmente per mano dei Rusca (o Rusconi), una famiglia originaria di Como che nella regione possedeva diverse proprietà. Oggi, come detto, restano pochi resti, molti sassi, sufficienti però per intravvedere le tracce di una torre, della cinta muraria, di una cisterna e, meno facilmente, anche di altre strutture. L’intera collina, nota anche con il nome di Monte Bario, è inoltre stata invasa dal bosco che ha preso il sopravvento di questa superficie, circondata dalle case e soprattutto dal frastuono dell’autostrada. Proprio sotto il Dosso, automobili, motociclette e autocarri sfrecciano a oltre cento chilometri orari, prima di scomparire in galleria. Un rumore che accompagna purtroppo tutta la visita.

L’Associazione Castrum Tabernarum ha da poco inaugurato il sentiero che conduce ai resti del castello Accedere alla zona non è impresa difficile, bastano una decina di minuti di cammino lungo il sentiero, una via inaugurata recentemente (estate 2014) dall’Associazione Castrum Tabernarum, costituita nella primavera del 2014 proprio con lo scopo di ricordare, recuperare e valorizzare i resti del maniero. L’intento del sodalizio è anche quello di sensibilizzare la popolazione sull’esistenza di questo bene culturale, di cui pochi sono a conoscenza. Si auspica anche di proseguire il progetto con degli studi archeologici e, magari, pure di restaurarne delle parti, in modo che sia possibile vedere e immaginarsi come il castello fosse strutturato nel passato. Esso dominava un tempo la valle e si estendeva su una superficie di circa 1400 metri quadri, a cui si aggiungevano le scoscese terre circostanti. La struttura era collegata ad altre opere di fortificazione esistenti nell’Alto Ve-

deggio (una volta chiamato Terre della Carvina), come per esempio le roccaforti di Bironico o Mezzovico. In seguito alla conquista della Svizzera italiana da parte dei Confederati nel 1512, agli svizzeri fu riconosciuto il dominio sul Sottoceneri, sancito nel trattato di Friborgo del 1516, dove il re di Francia (Francesco I) riconobbe alla Confederazione non solo Bellinzona e la valle del Ticino, ma anche Locarno, Maggia, Lugano e Mendrisio, oltre che alla Valtellina con Bormio e Chiavenna. In un contesto politico di certo né definitivo né stabile, gli svizzeri vollero tutelarsi e, per il timore che la fortezza finisse nelle mani di un esercito invasore, nel 1517 iniziarono a smantellare diverse opere di difesa, distruggendole. In questa campagna rientrò anche la costruzione di Taverne che, formata da torri quadrate, era ormai vetusta e superata dal punto di vista difensivo. La storia del castello è ormai molto lontana, ma salendo il sentiero che porta in vetta al Dosso (437 metri di altitudine), possiamo intuire che fino a pochi decenni fa la zona era ancora sfruttata per scopi diversi. Ce lo consigliano anche i cartelli didattici che accompagnano la breve gita, per esempio segnalando il terrapieno del vecchio stand di tiro (fuori uso dal 1970 con la realizzazione dell’autostrada), i fortini edificati durante la seconda Guerra mondiale, oppure il «Pian da la Scursa». Si tratta di uno spiazzo dove, secondo alcune testimonianze, i bambini si radunavano a correre e a giocare quando salivano nella zona per accudire gli animali al pascolo. Il toponimo dialettale (e locale) scursa, significa di fatto corsa e si presume che il comparto, oggi in parte invaso dal bosco, sia stato una palestra all’aria aperta per molti ragazzi dell’epoca rurale. Si possono ancora vedere gli indizi di una selva castanile, con gli alberi da frutto ben distanti tra di loro, che lasciavano penetrare la luce permettendo all’erba di crescere al suolo. Questo pianoro, anni prima, poteva anche fungere da punto di raccolta per chi accedeva al castello sovrastante e si presume che qui si lasciassero gli animali, soprattutto i cavalli, a riposare durante la permanenza nella fortezza di Taverne. I lavori di ripristino e la costruzione del sentiero hanno in parte riaperto la zona. Del passato recente rimangono solo ricordi e testimonianze, in cima al Dosso, invece, i sassi rimandano a un tempo ben più lontano.


PUNTI. RISPARMIO. EMOZIONI.

LOS VIVANCOS

ELIANE & BAND

Dopo aver portato il loro primo spettacolo in 30 paesi e ballato di fronte a un milione di spettatori, Los Vivancos tornano per presentare la loro seconda produzione, Aeternum, uno spettacolo che fonde il flamenco con il balletto, le arti marziali, il claqué e la magia unendo a tanta arte e a tanto virtuosismo grandi effetti visivi e scenici.

In seguito al successo del «Venus & Mars Tour» della primavera passata, questo dicembre Eliane e la sua band di sei musicisti partiranno per una grande tournée di Natale. Ti aspettano canzoni famose come «Tik Tok», «Like The Water», «Venus & Mars» e «Together Forever», ma anche qualche sorpresa natalizia.

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GALA GIUSEPPE VERDI

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HC LUGANO

© Felix Eicher

Nell’ambito del tradizionale Gala Giuseppe Verdi, l’Opera Polska mette in scena i passaggi più amati tratti da Nabucco, Aida, Rigoletto, Il trovatore, Don Carlos, Otello e La traviata. Per questa produzione sono stati selezionati i pezzi più belli della scelta pressoché infinita di magnifiche ouverture, arie e duetti. Quando: 30 dicembre 2014, Lugano Prezzo: da fr. 30.– a fr. 60.– invece che da fr. 40.– a fr. 80.– Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

Per alcuni l’hockey su ghiaccio è il re degli sport! L’entrata in pista alla Resega dei bianconeri davanti ai tifosi vocianti fa venire i brividi. Anche quest’anno l’Hockey Club Lugano lotterà strenuamente per aggiudicarsi un altro titolo nazionale. Goditi l’azione sul ghiaccio ai massimi livelli a Lugano con Cumulus. Quando: partite in casa selezionate fino al termine delle qualificazioni, Lugano Prezzo: fr. 36.– invece di fr. 45.– / fr. 44.– invece di fr. 55.– Informazioni e prenotazione: www.cumulus-ticketshop.ch

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Società e Territorio

«Un aiuto che va oltre il tempo d’Avvento» Natale 2014 Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della FCM, ci parla della nuova iniziativa benefica

lanciata da Migros: una campagna legata a una canzone natalizia davvero speciale Seduto in una stanza dalle pareti rivestite di pannelli di legno, Gilbert Gress sta preparando la festa di Natale. Fuori dalla finestra i fiocchi di neve svolazzano, l’atmosfera è accogliente. Eppure sul volto del celebre allenatore c’è tristezza. Gli manca infatti tutto ciò di cui avrebbe bisogno in quel momento: non ha abbastanza carta per i regali, nessuna candela né decorazioni per l’albero di Natale. Poi qualcuno bussa alla porta ed entra in casa alla spicciolata un gruppo di ospiti illustri, tra cui Sebalter, Pippo Pollina, Luca Hänni, Francine Jordi. Ogni celebrità porta con sé uno degli oggetti necessari. Con questo spot pubblicitario Migros lancia la sua raccolta fondi natalizia a favore di alcuni progetti mirati di Caritas, Aiuto delle Chiese evangeliche (ACES), Pro Juventute e Soccorso d’inverno. Le celebrità del video hanno registrato assieme una canzone di Natale intitolata Ensemble, composta appositamente per l’occasione. Chi desidera scaricare la canzone dagli shop online di Ex Libris, iTunes o Google Play, pagherà una piccola quota che sarà versata interamente ai progetti d’aiuto. Maggiori dettagli su questa iniziativa ce li fornisce nell’intervista qui sotto il presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros, Herbert Bolliger. Signor Bolliger, su Internet ci sono un’infinità di canzoni di Natale; perché la gente dovrebbe scaricare proprio quella della Migros?

Perché con la sua melodia orecchiabile, questa canzone non diffonde solo lo spirito natalizio ma rappresenta anche qualcosa di concreto. Gente come la leggendaria orchestra di Pepe Lienhard o la giovane cantante Lina Button, hanno rinunciato al loro ingaggio perché vogliono essere d’aiuto alle persone che hanno bisogno di sostegno in Svizzera. Perché si destina denaro a progetti d’aiuto in Svizzera quando in altre regioni del mondo ce ne sarebbe maggiore necessità?

Migros non trascura di certo le catastrofi e la povertà in altri paesi. Continua a inviare aiuti anche all’estero. L’ultima volta è stato in occasione delle inondazioni nei Balcani della scorsa primavera: in quel caso Migros aveva aiutato le popolazioni colpite donando

ad alleviare il disagio sociale esistente anche da noi e che spesso passa sotto silenzio. Quali sono le situazioni di disagio a cui si riferisce questa campagna?

Herbert Bolliger.

mezzo milione di franchi alla Croce Rossa Svizzera. La somma è stata usata per provvedimenti d’emergenza, come ad esempio la fornitura di acqua potabile. Ora, però, con la nostra raccolta fondi natalizia intendiamo contribuire

Come si fa una donazione Chi scarica la canzone natalizia della Migros intitolata Ensemble sostiene alcuni progetti mirati di Caritas, Aiuto delle Chiese Evangeliche Svizzere (ACES), Pro Juventute e Soccorso d’inverno. Il download costa 1.20 fr. da ExLibris, 1.10 fr. su iTunes e 99 centesimi su Google Play. L’importo viene versato completamente ai progetti assistenziali. I consumatori, inoltre, possono comprare già dal 22 novembre alle casse della Migros dei «buoni donazione» del valore di 5, 10 o 15 franchi. Infine, si possono versare contributi per la colletta anche sul conto 30-620742-6 oppure inviando un SMS con il testo «MIGROS (offerta)» al numero 455. Dal 12 dicembre su natale.migros.ch si terrà un’asta online: ognuna delle 23 celebrità che hanno partecipato all’iniziativa di Natale della Migros, metterà all’asta un oggetto personale. Naturalmente, la somma incassata sarà devoluta ai progetti d’aiuto. L’importo totale raccolto con tutte queste attività sarà raddoppiato dalla Migros, fino a un massimo di un milione di franchi. La cifra raccolta verrà divisa in parti uguali tra Caritas, ACES, Pro Juventute e Soccorso d’inverno.

Si tratta, per esempio, dei disoccupati di lunga durata, alla ricerca di un’occupazione adeguata. Grazie al progetto «Visite» dell’ACES, queste persone ottengono lavoro a tempo parziale che, seppur a titolo onorifico, fornisce loro una struttura quotidiana, una base solida che ridona loro più fiducia in sé stessi. Oppure pensate alle famiglie di migranti, che non conoscono il nostro sistema di istruzione. Il progetto «Schulstart+» della Caritas assiste i genitori tramite dei corsi durante la fase di scolarizzazione dei loro figli. E sono solo due dei progetti di solidarietà che sosteniamo quest’anno. Migros sta raccogliendo fondi per i progetti di quattro diverse opere assistenziali; non sarebbe stato meglio concentrarsi soltanto su un unico ente?

Questa volta abbiamo puntato coscientemente sulla collaborazione tra più enti assistenziali. Caritas, ACES, Pro Juventute e Soccorso d’inverno sono istituzioni apprezzate, che aiutano ad alleviare il disagio sociale in diversi modi. Ad esempio, il progetto di Soccorso d’inverno che sosteniamo riguarda persone bisognose che forse hanno un tetto sopra la testa ma non un vero letto in cui dormire. E così, Soccorso d’inverno mette loro a

Pronti per un selfie di guppo: ecco le 23 celebrità svizzere che si sono riunite per registrare la canzone di Natale Ensemble.

disposizione dei letti «swiss made». Durante l’Avvento le azioni di beneficenza si moltiplicano. Trascorso il Natale, però, tendiamo a dimenticarci di chi avrebbe bisogno d’aiuto.

Migros non fornisce aiuti solo durante il periodo dell’Avvento. Abbiamo creato anche il nostro Fondo di sostegno, che ogni anno viene alimentato con un milione di franchi. Oppure pensate al Percento culturale, grazie al quale investiamo oltre 120 milioni di franchi all’anno in cultura, formazione e progetti sociali. Questo impegno volontario è unico al mondo. Ma cosa fa Migros per le persone

nei paesi in via di sviluppo, dove maggiore è la povertà?

Vi prestiamo aiuto durante tutto l’anno, puntando in modo significativo su prodotti sostenibili. Uno dei tanti esempi sono le tavolette di cioccolato del nostro marchio Frey. Tutto il loro cacao proviene da produttori certificati UTZ dell’Africa occidentale o dell’America latina. Il simbolo UTZ sulle cioccolate garantisce ai lavoratori delle piantagioni salari maggiori e cure mediche, oltre all’accesso all’istruzione per i loro figli. Anche tutto il nostro assortimento di caffè è certificato UTZ.

Alleviare il disagio che si esprime anche in Svizzera Ognuna della quattro opere assistenziali ha scelto un progetto diverso, al quale saranno versate le donazioni. Nell’insieme, questi progetti sono destinati ad alleviare il disagio e la povertà che spesso si rendono evidenti anche in Svizzera. Per quanto riguarda il progetto di Soccorso d’inverno, si tratta di persone che benché dormano sotto un tetto, non possiedono un vero e proprio letto. A loro l’ente assistenziale mette a disposizione in tutto il paese solidi letti fabbricati in Svizzera, lenzuola e piumoni.

Per quanto riguarda Pro Juventute, le donazioni vanno a favore del numero telefonico 147. Ogni giorno, all’incirca 400 bambini e giovani in difficoltà si rivolgono a questo numero per parlare di problemi come il bullismo o la separazione dei genitori. Le consulenze non si svolgono solo per telefono, ma anche tramite e-mail, SMS e chat. Una parte dei fondi raccolti andrà anche al Fondo vacanze di Pro Juventute, che consente alle famiglie meno abbienti di soggiornare in un albergo dell’Alta Engadina.

Dal canto suo, Caritas ha scelto il progetto «Schulstart+», attivato nella Svizzera centrale. Ma Caritas impiegherà i fondi della colletta anche per altri progetti d’aiuto di diffusione nazionale. Il progetto dell’ACES, infine, non riguarda il Ticino: intende fornire sostegno ai disoccupati di lunga durata del Canton Zurigo, e nel Canton Ginevra una consulenza mirata a lavoratori immigrati con buone qualifiche professionali. Oltre a questi, saranno sostenuti altri progetti. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio

Nasce l’Associazione Economia e Ambiente

Intervista Il suo obiettivo è affrontare le problematiche ambientali in modo costruttivo e propositivo,

tenendo conto delle esigenze di tutti gli attori coinvolti L’ASSEA – Associazione Economia e Ambiente – è un sodalizio che si prefigge di favorire il dialogo e l’implementazione di misure pragmatiche e sostenibili per risolvere le problematiche ambientali che toccano il territorio ticinese. L’associazione vuole fungere da ponte fra gli interessi degli attori economici cantonali e le necessità nel campo della mobilità, dell’energia e dell’ambiente in generale: il suo scopo ultimo è di collaborare al mantenimento di una buona qualità di vita. Abbiamo posto al presidente di ASSEA, Michele Dedini, alcune domande sull’associazione e sui suoi obiettivi.

mento, del Regolamento della Legge sullo sviluppo territoriale che ha delle conseguenze molto gravi sull’offerta di posteggi e sulla mobilità in generale. Queste misure provocheranno una riduzione considerevole del numero di posteggi, con riduzioni fino al 70% per il settore industriale e artigianale. Le modifiche proposte non contribuiranno in alcun modo a risolvere i problemi del traffico e anzi ne creeranno di nuovi. Inoltre la riclassificazione dell’offerta del trasporto pubblico è stata fatta per fare apparire buona l’offerta, allorquando la stessa è invece largamente insufficiente. Vogliono farci credere che sia corretto imporre ai pendolari o ai clienti di aziende e commerci di percorrere a piedi 1.5 km per raggiungere la loro destinazione partendo dalla fermata più vicina. La portata di queste modifiche è stata, a nostro modo di vedere, sottostimata da tutti.

Signor Dedini, perché si è sentita l’esigenza di far nascere questa associazione?

L’impulso principale a serrare i ranghi, nella ricerca di soluzioni sostenibili e condivise, è sorto come reazione dopo la dichiarazione della strategia cantonale volta a ridurre il traffico sulle strade. Questa strategia, secondo diversi operatori attivi nel mondo economico, non risolverà il problema ma andrà unicamente a penalizzare ulteriormente sia le aziende, sia tutti i ticinesi. La Camera di Commercio del Cantone Ticino, la Federcommercio, GastroTicino, la DISTI e HotellerieSuisse, insieme ad alcuni privati e aziende, sono consapevoli del fatto che le conseguenze dei problemi legati al traffico e alla salvaguardia dell’ambiente toccano i singoli cittadini, ma anche le varie attività economiche. Hanno deciso quindi di diventare parte attiva nella ricerca di soluzioni praticabili. Gli interessi dell’economia e dell’ambiente troppo spesso vengono considerati contrastanti e inconciliabili, mentre in realtà gli uni non escludono gli altri. Secondo voi, dunque, il Cantone ha assunto un approccio non corretto rispetto alla problematica?

Direi proprio di sì. Dopo essere stato alla finestra per anni il Consiglio di Stato, per cercare di affrontare il problema del traffico, si è mosso improvvisamente in modo dirigista, non coordinato e poco opportuno. E soprattutto senza cercare il dialogo tra le parti. È necessario invece promuovere un cambiamento di attitu-

Il tema dei parcheggi è uno degli argomenti su cui ASSEA si è attivata. (Ti-Press)

La vostra posizione sembra invece chiara sulla tassa sui posteggi privati.

dine, e ASSEA si prefigge anche questo: sensibilizzare e riunire allo stesso tavolo di discussione imprenditori, aziende e personalità attive nella salvaguardia dell’ambiente.

di soluzioni alternative. Soluzioni che, per poter ambire ad essere realmente efficaci a lungo termine, necessitano la condivisione e il sostegno di tutti gli attori coinvolti.

Quali sono concretamente i vostri obiettivi?

Più nel dettaglio, quali sono le misure proposte dal Consiglio di Stato che ritenete poco oculate?

ASSEA difende un’attitudine premiante, e non penalizzante. Si farà dunque portavoce delle reazioni negative del mondo dell’economia ad alcune recenti decisioni e alcune proposte attualmente in discussione. Decisioni e proposte che verranno avversate, in quanto secondo noi non risolvono i problemi e sono state concepite con altri scopi. Esse penalizzando in maniera ingiustificata l’economia, i consumatori e i cittadini in generale, che l’associazione vuole invece tutelare. L’ASSEA tuttavia non intende bloccare qualsiasi iniziativa praticabile e sensata. Al contrario il suo intento è quello di portare all’attenzione del governo le conseguenze potenzialmente molto gravose di alcune sue decisioni ma, nel contempo, di favorire delle discussioni costruttive, volte alla ricerca

La strategia del Governo ticinese si articola su tre punti: la lotta ai posteggi «abusivi», la modifica del Regolamento cantonale sui posteggi privati (Rcpp) e l’introduzione nel 2015 di una nuova tassa sui posteggi. Tutti questi temi toccano punti critici molto importanti, sui quali il Consiglio di Stato, secondo noi, non si è chinato con la dovuta attenzione, sottostimando la portata delle sue decisioni. Voi ritenete dunque che non sia corretto eliminare i posteggi abusivi?

È giustificato che si vada a eliminare tutti i posteggi che sono realmente abusivi, e in questo il Governo ha il nostro pieno appoggio. Purtroppo in questa crociata si butta via il bambino con l’acqua sporca. Mi spiego meglio. Un posteggio è

considerato abusivo quando non è stata presentata una domanda di costruzione, non distinguendo tra una violazione formale (dove cioè l’intervento avrebbe potuto essere realizzato perché rispettava le disposizioni vigenti) e una violazione materiale, dove è giusto e corretto che ci sia il ripristino della situazione antecedente. L’imposizione cantonale prevede però che tutti i posteggi senza domanda di costruzione vengano da subito eliminati, senza concedere l’effetto sospensivo, fino alla concessione della licenza edilizia in sanatoria, qualora la stessa sia possibile. Questo provoca un danno economico a tutti coloro che avevano magari ricevuto 20 anni fa dal loro Comune il permesso di adibire un sedime a posteggi. Oggi, da subito si vedono bloccati, quando però sono già a conoscenza del fatto che potranno, dopo regolare domanda di costruzione, riottenere i posteggi in uso. La modifica del regolamento cantonale sui posteggi privati è invece una questione abbastanza tecnica...

È una modifica, o meglio un inaspri-

ASSEA è contraria a questa cosiddetta tassa di collegamento, che di fatto non collega assolutamente nulla. Non serve ad aumentare le risorse a disposizione del trasporto pubblico. La tassa colpisce indistintamente cittadini ticinesi e frontalieri, è dannosa per l’economia, comporterà l’introduzione dell’obbligo di pagamento del posteggio quando si va a fare la spesa e porterà i dipendenti a dover pagare per il posteggio sul luogo di lavoro. È una misura finalizzata unicamente a risanare le finanze del Cantone, e non è sicuramente disincentivante per il traffico privato motorizzato. Come intende muoversi in futuro la vostra associazione?

Auspichiamo di riuscire a diventare da subito e durevolmente un interlocutore e un partner, e non un avversario, delle autorità cantonali, collaborando e affiancando nei sui ambiti d’azione, con il supporto di specialisti dell’ambiente, le associazioni economiche esistenti. L’ASSEA si prefigge di cercare di combinare azioni e interventi a favore dell’ambiente in cui viviamo con una sana crescita economica, coniugando la sostenibilità con il mercato. / Red.

«Agiamo insieme» Premi Consegnati i riconoscimenti promossi da Camera di

Commercio e Ufficio AI per i progetti di reinserimento professionale Il reinserimento professionale di persone che hanno subito un danno alla salute è possibile e spesso ha risvolti positivi per le aziende che si impegnano in questa esperienza affiancate dall’Ufficio

dell’assicurazione invalidità. Questa la convinzione alla base di «Agiamo Insieme», un riconoscimento che rende merito pubblicamente ai datori di lavoro ticinesi che si sono distinti in questo

Foto di gruppo: rappresentanti delle aziende premiate e organizzatori. (FotoJob)

ambito. Nato dalla collaborazione tra la Camera di Commercio e l’Ufficio AI, il concorso, giunto alla sua terza edizione, quest’anno ha visto premiate quattro aziende: la SAG Logistics AG di Barbengo, la Sandro Sormani SA di Caslano, l’Ente Ospedaliero Cantonale e la Cooperativa Migros Ticino. La serata di consegna del riconoscimento avvenuta lunedì 10 novembre alla presenza del Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli è stata anche l’occasione per quest’ultimo di sottolineare «quanto sia importante il contributo delle aziende che si prestano a dare dignità a quei collaboratori con problemi, che si impegnano a valorizzare la persona e a sostenere progetti di vita». E spicchi di queste esperienze si sono potuti apprezzare nei quattro filmati realizzati per presentare le realtà premiate, testimonianze sincere e forti di persone in difficoltà che riescono a guardare oltre gli ostacoli che la vita ha loro imposto e lottare e sperare perché «si aprano nuove porte». I protagonisti di queste vicende semplici e toccan-

Lorenzo Emma, direttore di Migros Ticino e il Cons. di Stato Beltraminelli. (FotoJob)

ti sono molti, innanzitutto gli assicurati che si impegnano in una nuova attività, i collaboratori AI che li accompagnano e li sostengono in questo loro percorso e i datori di lavoro che a volte creano veri e propri posti su misura. Tra le esperienze presentate anche quella della Cooperativa Migros Ticino, che da 25 anni collabora con la Fondazione Diamante di cui occupa una decina di utenti attivi nel settore della logistica nella sede centrale di S. Antonino. «Un percorso meno difficile di quel che possa apparire – ha det-

to Lorenzo Emma, direttore di Migros Ticino –, un percorso da intraprendere con convinzione, che porta un contributo positivo non solo al territorio ma anche all’interno dell’azienda stessa, nei rapporti tra collaboratori. Un percorso che ci porta a godere di questa serata nella quale finalmente si può parlare di aziende in modo positivo e costruttivo in un periodo dove i lati negati, dal dumping salariale al troppo traffico, sembrano sempre prevalere e oscurare il lavoro serio di tante aziende ticinesi». / Red.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Estati indiane Indian Summer – estate indiana – è il nome che gli Inglesi danno al periodo, diciamo grossomodo le due settimane a cavallo della Festa di San Martino (11 novembre), che altrove in Europa chiamiamo l’Estate di San Martino. L’espressione inglese sembra derivare dall’usanza di marcare con le iniziali IS gli scafi delle navi da trasporto durante l’estate indiana che permetteva carichi più pesanti del solito date le condizioni favorevoli della navigazione. Sia come sia, il periodo di clima relativamente mite che, a dispetto del cambiamento climatico, continua a caratterizzare queste settimane, è ancora ampiamente conosciuto dal nome della festa del santo vescovo di Tours, centro un tempo di un denso calendario di riti della cultura popolare. La festa di San Martino segna anzitutto un punto di rivolgimento del ciclo agrario. In tutta Europa segnava il giorno in cui scadevano e si rinnovavano i contratti di locazione agricola. Nel Tirolo di lingua tedesca i servi agricoli

ai quali erano scaduti i contratti si recavano alle numerosissime fiere del bestiame con un cucchiaio infilato nella fascia del capello al fine di segnalare la disponibilità a trovare «un nuovo posto a tavola». Qui si vendevano i capi ingrassati nell’annata per comprare capi giovani da ingrassare nell’anno a venire. Parallelamente, le famiglie che avevano concluso il contratto d’affittanza o di mezzadria traslocavano sul nuovo podere: da qui l’espressione «fare San Martino» per l’atto del traslocare. Per inciso e a scanso di equivoci: «far San Michele» si riferisce invece ai traslochi urbani, in quanto i contratti di locazione scadevano il 29 settembre, festa dell’Arcangelo. San Martino marca, nei paesi produttori di vino, anche un altro passaggio importante: quello della spillatura del vino nuovo, oggi esaltata da una miriade di feste commerciali neo-tradizionaliste dove vino e castagne ripropongono improbabili idilli passatisti. Nei paesi slavi si

diceva che il mosto fermentante fosse velenoso fino a quando non fosse stato «battezzato» da San Martino. Altro segnale della natura di San Martino come punto di passaggio cruciale fra un «prima» e un «dopo» calendariali è il fatto che in molte parti d’Europa per San Martino – o meglio alla vigilia – era usanza uccidere e lavorare il maiale secondo procedure nelle quali alcuni studiosi vogliono leggere simbolismi sacrificali. Forse, però, l’usanza più importante e diffusa per celebrare la festa è quella dei fuochi accesi a gara fra paesi vicini accompagnata dalle questue di cibo portate di casa in casa da squadre di bambini e di giovani, spesso mascherati. Di recente, molte di queste celebrazioni sono state fatte oggetto di revival in tutta Europa. A Predazzo, Val di Fiemme, provincia di Trento, la festa di San Martino vede oggi la partecipazione attiva di un numero crescente di paesani di ogni ordine, genere ed età che percorrono le vie del paese agitando

campane e campanacci di ogni sorta: una folla semplicemente impensabile in altri tempi, quando a malapena erano tollerati i ragazzini che mendicavano risorse già scarse. Quest’ultima forma di ritualità è ancora ben viva a Pfunders, una paese dell’Alta Pustertal/Val Pusteria, nel Tirolo Meridionale. Qui gruppi di giovani mascherati, chiamati Krapfenbettler, si recano di maso in maso al seguito di un’orchestrina e mendicano i krapfen, dolci dall’inconfondibile significato festivo e carnevalesco. Benché la Val Pusteria sia nota fra i folcloristi per le sue maschere lignee, questa volta le maschere sono invece cappucci di tela bianca con buchi per gli occhi e un naso rosso lungo e sottile: ovvero esplicitamente fallico. Secondo alcune fonti, un tempo i Krapfenbettler facevano le loro questue la vigilia del 2 novembre, commemorazione dei defunti, e portavano alcuni dei krapfen così raccolti sulle tombe nei cimiteri. La visita delle maschere, va da sé, era con-

siderata beneaugurante per l’annata agricola a venire, il fallo delle maschere garanzia di abbondanza e fertilità. Per varie ragioni l’usanza è stata spostata alla vigilia di San Martino – ma il significato di entrambe non solo non cambia, ma ne esce rafforzato. È infatti tempo di scoprire le carte e chiederci cosa sia, in realtà etnologica, la festa di San Martino. L’abbondanza dei simbolismi legati alla conclusione di un ciclo e all’apertura di uno nuovo la qualifica come Festa di Capodanno. Legata a quell’Halloween/Commemorazione dei Defunti che già ai tempi d’esordio dell’Altropologo mostrammo essere niente altro che Simhain/Semein, ovvero il capodanno celtico, la festa di San Martino prevede anche – come tutti i Capodanni – il ritorno dei morti nella persona dei bambini o dei giovani, che degli antenati sono in qualche modo la reincarnazione. Alla faccia di Halloween: dolcetto o scherzetto? No, grazie: krapfen, per favore.

solo relazionarsi. Nella famiglia non esistono ruoli assoluti: si è genitori nei confronti dei figli e viceversa. Nessuno basta a se stesso ma ognuno ha una zona segreta da cui derivano i propri timori e i propri desideri. Il più grande desiderio di un bambino che, come Maria, è stato strappato alla sua Terra, alla sua cultura, alla sua famiglia, è di veder riconosciuto il trauma che ha vissuto e accolto il suo dolore. Cancellare le origini, far finta che alle sue spalle non ci sia nulla, getta un’ombra sulla sua identità. Meglio colmare quel vuoto con simboli, immagini, ricordi: far conoscere al figlio adottivo la sua terra (per Maria l’Etiopia), aiutarlo a ritrovare le sensazioni (suoni, odori, sapori) che hanno destato per la prima volta i suoi sensi, renderlo protagonista della sua storia raccontandogli la vostra. Solo quando il passato, integrato nella biografia, avrà acquistato senso e significato, si faranno strada i processi di riparazione e Maria si sentirà inserita in un mondo che è anche il suo, integrata in una cultura che le appartiene, in una famiglia che lei stessa ha contribuito a formare.

Ma poiché nel bene e nel male nulla va perduto, nel profondo della sua memoria, permangono i ricordi di un trauma che, a seconda di come verrà elaborato, potrà trasformarsi in carenza o in ricchezza. Questo principio, evidente nell’adozione, vale per tutti nella misura in cui la vita procede attraverso perdite successive, a partire dal distacco dal grembo materno. L’importante è che siate capaci di accettare la complessità del progetto adottivo e di ammettere, nella storia della vostra famiglia, la compresenza di ombre e di luci, di vuoti e di pieni. Nessuno è così onnipotente da poter cancellare per sempre le tracce del passato. Se riuscirete, come credo, a procedere nel segno della verità, Maria potrà dire di se stessa: «io sono ciò che ho perso, io sono ciò che ho ritrovato».

menti di difesa. Firmando l’ennesima polizza, ci si illude di esorcizzare la malasorte, proteggendosi però da rischi minori. Per esempio, ci si può assicurare contro il cattivo tempo guastavacanze, cioè bagnati ma rimborsati. Ed esistono poi forme assicurative persino discutibili, di moda fra le dive hollywoodiane: per evitare il tumore al seno si preferisce eliminare l’organo, esposto a questo pericolo, ricorrendo alla medicina cosiddetta predittiva. Un neologismo dal contenuto persino scaramantico: la predizione, per scongiurare un’eventuale minaccia. Ciò che propone un’altra faccia della previdenza: non più una forma di virtuosa consapevolezza dei propri rischi bensì una smania autoprotettiva, e fondamentalmente presuntuosa: si rifiuta la propria fragilità, si pretende di dominare la natura,

non si sa accettare il mistero. Il discorso, a questo punto, evidentemente si amplia. Da un episodio locale si arriva a un fenomeno generale. Si era partiti dal disastro di Bombinasco che, appunto, aveva fatto emergere le insidie di una natura che si sottrae persino ai controlli scientifici più affidabili. Del resto, con grande professionalità l’aveva ammesso lo stesso geologo cantonale dichiarando che, nel Ticino inzuppato, altre abitazioni potevano essere a rischio. E si giunge così a una conclusione su cui riflettere: al di là dei progressi tecnologici e delle garanzie persino politiche di uno Stato efficiente, si apre lo spazio, ancora tutto da esplorare, dell’imponderabile. Uno spazio libero ed enorme. Mentre, per dirla con Edgar Morin, «La filosofia della sicurezza fa vivere in una specie di gabbia».

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Figli adottivi, le origini non si cancellano Cara Silvia, è passato un anno da quando, Maria, figlia adottiva, è entrata nella nostra casa e nei nostri cuori. Coniugi senza figli, avevamo tentato invano numerosi cicli di fecondazione medicalmente indotta. Ma a un certo punto abbiamo avuto, contemporaneamente, una specie di illuminazione: il bambino tanto atteso non sarebbe venuto da una provetta ma da un’altra parte del mondo, da una famiglia così povera e sventurata che ce lo offriva per salvarlo, perché potesse sopravvivere. Abbiamo «visto», con l’immaginazione, quelle braccia tese e non abbiamo potuto fare altro e spalancare le nostre. Ma non è stata una passeggiata: Maria era così malata che nessuna diagnosi medica sembrava sufficiente, così spaventata da aver paura di noi, così ferita dall’abbandono da aver perso ogni desiderio di crescere. All’inizio ci sentivamo la famiglia positiva che salva quella negativa. Ma ben presto è subentrato un senso d’insufficienza e di impotenza. E solo col tempo siamo riusciti ad andare al di là del sogno di un bambino che ci assomigliasse e ad ammettere: è vero che non ci somiglia, che non ci somiglierà mai. Non

è il nostro sogno di bambino biologico, non è il nostro sogno di bambino adottivo ma è «nostra». Da quel momento, solo da quel momento, siamo diventati genitori e Maria ha smesso di essere orfana. Ciò nonostante ci sentiamo ancora fragili e insicuri. Una domanda ci assilla: che cosa ci riserva il futuro? / I genitori di Maria In linea di massima quello che riserva a tutti i genitori degni di questo nome: che il proprio figlio cresca protetto e sorretto dal loro amore. Non un amore possessivo, invasivo, prevaricante ma un sentimento rispettoso dell’alterità dell’altro, della sua unicità, del suo diritto di diventare sé stesso, magari diverso da come lo avremmo voluto, ma capace di assumersi progressivamente la responsabilità della sua vita. In questo itinerario, i genitori adottivi risultano favoriti perché, come testimonia la vostra bellissima lettera, trasformando un bambino in figlio, hanno già compiuto un profondo lavoro su sé stessi. In questi casi il narcisismo, che spesso inquina l’amore parentale, è stato superato da un travaglio interiore che rende più maturo chi lo compie.

Paradossalmente, non si tratta tanto di trattare i figli adottivi come biologici quanto, al contrario, di trattare i figli biologici come adottivi. Per diventare «figlio» nel senso umano del termine, non basta che un bambino sia stato concepito nella carne, occorre che venga concepito nello spirito, che un gesto simbolico lo inserisca nella storia della famiglia, pur rispettando la sua unicità. La specie umana non conosce copie: siamo tutti opere d’arte non riproducibili. Nella mia ricerca clinica, mi sono impegnata a osservare il primo incontro tra il neonato e la madre e tra entrambi e il padre e ne ho tratto la conclusione che è da quel reciproco riconoscimento che sorge la vita psichica del nuovo nato. Nel momento fondante si «adottano» a vicenda, come esseri che scelgono di appartenersi. In particolare, nell’adozione ognuno trova negli altri la risposta alla sua carenza: al bambino manca una famiglia, alla coppia adottiva un figlio, nel vostro caso un bambino mai nato. Dall’incontro di tre povertà nasce una ricchezza, ma i desideri non devono confondersi né le posizioni sovrapporsi,

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Superassicurati ma sempre vulnerabili Morire intrappolati nella propria casa, sommersa da una valanga di fango: è la fine tragica toccata, in questo bagnatissimo novembre, a una giovane mamma e alla sua bimba di tre anni, vittime di una sorte assurdamente crudele e imprevedibile. Qualcosa che, da noi, non doveva e non poteva verificarsi. Proprio così, fra dolore e sorpresa, il Paese ha reagito a una disgrazia che ha suscitato una spontanea ed efficiente partecipazione collettiva, accompagnata però da sentimenti di sconcerto e di sfiducia. Ci si è sentiti traditi da una natura, bella e accogliente, ma soprattutto protetta da misure di controllo, affidate a servizi pubblici competenti, in grado di sorvegliare il territorio, registrandone punti critici per prevenire frane, valanghe, straripamenti, insomma anomalie. Garantendo, con ciò, quella

condizione di sicurezza diventata un marchio doc dell’identità nazionale e che per gli svizzeri rappresenta ormai un diritto acquisito, e meritato. Se nella Confederazione ci si sente, più che altrove, al riparo dalle incognite del destino, dipende certo dal buon funzionamento delle istituzioni dello Stato, ma non soltanto. Hanno la loro parte, e come, i comportamenti dei singoli cittadini che della sicurezza stanno facendo un oggetto di culto. In altre parole, con più polizze si sottoscrivono e con più si dimostra il proprio senso di responsabilità. Lo confermano, del resto, le statistiche dove la Svizzera si colloca ai vertici nella graduatoria dei Paesi superassicurati. Un primato in più, di cui andar fieri. Come, appunto, avviene. Lo spirito di autodifesa nei confronti dei pericoli che, in tanti modi, ci mi-

nacciano, appartiene al novero delle prerogative, addirittura delle virtù tipicamente elvetiche, e quindi usata anche con intenti nazionalistici. Del genere, da noi certi guai, dovuti all’incuria pubblica e al menefreghismo privato, non possono succedere. Invece, a Bombinasco, è capitato. Spazzando via, con una casa sbriciolata, anche illusioni. Il compatto edificio delle nostre sicurezze, ha mostrato, qui, le sue crepe. E ha denunciato, attraverso l’inesorabilità dei fatti, i suoi limiti. Al di là dei quali ci si scontra con l’impossibilità di garantire una protezione assoluta. Il pericolo, in tutte le sue molteplici fisionomie, malattie, incidenti, crisi, disastri naturali, non si sconfigge mai definitivamente. E si tratta, allora, di arrendersi all’evidenza di una persistente vulnerabilità. Certo, non mancano, oggi gli stru-


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Ambiente e Benessere Gallerie di by-pass Come preservare e costruire nuove gallerie in cui deviare i sedimenti da invasi e turbine idroelettriche pagina 17

I profumi della Corea Tra gli ingredienti fondamentali: i peperoncini, l’aglio, le cipolle, lo zenzero e il pesce sotto sale...

Surf exploration Ultima frontiera: quest’anno il fotografo Chris Burkard ha raggiunto il 68° parallelo approdando sulla spiaggia di Unstad in Norvegia

Linci, orsi e lupi Quando la natura dei grandi predatori è tale da giustificare l’intervento dell’uomo?

Un by-pass per invasi Ricerca Come risanare le gallerie di deviazione costruite nei decenni scorsi per evitare che i sedimenti intasino

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gli invasi delle centrali idroelettriche? Quali nuove gallerie sono immaginabili? Uno studio condotto dal Laboratorio di Idraulica, Idrologia e Glaciologia del Politecnico federale di Zurigo presenta nuove risposte

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Benedikt Vogel*

Quando è corretto sperimentare sull’uomo? Etica medica Solo quando c’è incertezza,

Sergio Sciancalepore Un ammalato che accetta di partecipare alla sperimentazione di un farmaco che potrebbe essere migliore rispetto a quelli già usati contro una certa malattia, compie un atto di altruismo nei confronti di persone che si trovano – o si troveranno – nella sua stessa condizione: senza contare che anche lui potrebbe trarre vantaggio da una nuova, migliore cura. Abbiamo visto nell’articolo precedente (ndr: apparso su «Azione» no. 45 del 3 novembre 2014, pag. 17) come si procede nella sperimentazione sull’uomo di una nuova terapia. Il metodo è quello del confronto tra cura da provare e cura già in uso, utilizzando il cosiddetto Randomized Clinical Trial (RCT), che prevede il criterio della randomizzazione – il malato è assegnato casualmente o al gruppo che riceve la nuova cura (i «trattati») o a quello della cura già in uso (i «controlli») – e del «cieco», cioè il malato non sa a quale delle due cure sarà sottoposto. Un recente documento della Fondazione Umberto Veronesi, pur riconoscendo la validità del metodo dell’RCT, critica proprio questi due criteri, affermando che potrebbero ledere o comunque limitare i diritti fondamentali di chi accetta di partecipare a una sperimentazione clinica: quello di libertà e quello del diritto alla salute o comunque al miglior trattamento possibile. Consideriamo in sintesi e per sommi capi solo alcuni dei rilievi critici. In primo luogo, chi finisce – scelto casualmente – tra i «controlli» rischia di essere considerato un semplice strumento per il confronto con i «trattati» e non come un fine in sé, un obiettivo per l’intervento medico, dal momento che potrebbe non ricevere alcun beneficio rispetto al gruppo dei «trattati». Secondo: chi dà il consenso informato alla sperimentazione – ovvero sa di sottoporsi a una pratica caratterizzata da un certo grado di

incertezza – è giusto che non sappia se riceverà o no il nuovo farmaco che si sperimenta? Non si tratta forse di una «sospensione temporanea» del suo diritto ad essere informato? Terzo rilievo: chi fa parte del gruppo «controllo» rischia – ricevendo cure non innovative – di subire una discriminazione se non addirittura una limitazione del suo diritto alla salute? Quest’ultimo rilievo è evidente – secondo la Fondazione – nel caso in cui lo stato di salute dei «trattati» si rivelasse palesemente migliore rispetto a quello dei «controlli». Allo scopo di minimizzare queste possibili condizioni di svantaggio, la Fondazione avanza alcune proposte di carattere generale e particolare. In generale, si propone di: migliorare l’informazione dei partecipanti alla sperimentazione; di poter interrompere un RCT nel quale si evidenzi una netta superiorità della nuova cura per dare la possibilità anche ai «controlli» di riceverla; di utilizzare maggiormente le banche dati relative ai farmaci innovativi, allo scopo di condurre sperimentazioni più mirate e quindi rispettose dei diritti dei partecipanti. Nel particolare, per quanto riguarda i primi tre punti sopra ricordati, la Fondazione propone che sia data la possibilità ai malati di scegliere a quale dei due gruppi far parte, informandoli circa i possibili rischi e vantaggi nel caso in cui siano sottoposti alla nuova cura o a quella già in uso: in alternativa, la possibilità di sapere a quale dei due gruppi ciascun partecipante sarà assegnato. Al documento della Fondazione Veronesi replica – con un comunicato scientificamente ed eticamente rigoroso – il Network italiano Cochrane, benemerita istituzione attiva in diverse nazioni, che si batte per una ricerca medica a favore dei malati e libera da condizionamenti di tipo economico e di parte. Nel suo documento, dopo aver premesso di essere d’accordo con le osservazioni di carattere generale proposte dalla Fondazione, la Cochra-

Keystone

come afferma il documento del Network Cochrane in risposta ai dubbi etici della Fondazione Veronesi sulla sperimentazione umana – Seconda parte

ne riconosce che nella conduzione di una RCT si possono determinare dubbi di tipo etico, circa i quali occorre un’assidua vigilanza da parte dei comitati etici incaricati di valutare una sperimentazione. Tuttavia, si fa una fondamentale osservazione: non è tanto il metodo in sé (l’RCT) che va criticato, quanto se è giustificato il suo uso per un certo scopo. In altri termini, una sperimentazione secondo le procedure di un RCT è realmente utile per i malati e per il progresso medico solo se rispetta il principio etico dell’incertezza. Se c’è una nuova cura, prima di sperimentarla, la domanda fondamentale – ed eticamente corretta – è: davvero non

sono certo che questa nuova cura sia migliore di quella già in uso? Se veramente c’è questa incertezza, allora condurre un RCT per risolvere questo dilemma è eticamente corretto. Si può discutere circa i dubbi sollevati dalla Fondazione Veronesi, resta il fatto che la procedura dell’RCT – condotta secondo il criterio etico dell’incertezza – rappresenta tuttora il mezzo migliore per introdurre farmaci veramente utili e innovativi evitando che terapie inutili – e costose – vadano ad aggravare la spesa sanitaria del cittadino e dello Stato, come dimostrato dalla recente vicenda dei farmaci antivirali contro possibili pandemie influenzali.

Non è un mistero, sottolinea il Network Cochrane, che vengano condotte RCT al solo scopo di dimostrare che un nuovo farmaco non è inferiore a quelli già in commercio: senza contare che nuovi farmaci si sono dimostrati – secondo RCT ben condotti da un punto di vista etico e scientifico – assolutamente inutili, come è il caso degli antidepressivi per le depressioni lievi o addirittura dannosi, come nel caso della terapia ormonale sostitutiva che aumenta il rischio di danni cardiovascolari. Tutto si può migliorare, anche un RCT. La questione è: vale la pena sperimentare? Sì, ma solo in caso di incertezza.

Le condizioni atmosferiche (ndr: come quelle di questi giorni) mettono a dura prova non solo l’uomo, ma anche le montagne: sotto l’azione degli eventi meteorologici, le Alpi svizzere si ritirano in media di 0,9 mm ogni anno. Sabbia, ghiaia e rocce vengono trasportate a valle da fiumi e ruscelli. Tutto questo materiale detritico rappresenta un grande problema per i gestori di centrali idroelettriche nelle Alpi, perché causa l’interrimento degli invasi e danneggia le turbine delle centrali. Un rimedio è fornito dalle gallerie di by-pass che deviano il trasporto solido e i sedimenti lontano da invasi e turbine. I ricercatori del Politecnico di Zurigo cercano soluzioni per la costruzione di sistemi di by-pass dei sedimenti di lunga durata e a costi contenuti. Tra Erstfeld e Andermatt la valle della Reuss è stretta e incastonata tra pendii ripidi e rocciosi. Quando in questo punto della valle si abbatte una pioggia torrenziale, i ruscelli si gonfiano e trascinano verso valle rocce e detriti con grande violenza. Non capita di rado che vengano danneggiati i binari della ferrovia o l’autostrada. Le masse di roccia, ghiaia e sabbia trascinate sono un problema increscioso anche per i gestori delle centrali idroelettriche a Göschenen, Wassen e Amsteg poiché i detriti, giunti negli invasi, li riempiono riducendo la capacità di stoccaggio. Di conseguenza diminuisce anche il potenziale di produzione di energia elettrica. Un problema che grava in modo particolare su questa valle fortemente soggetta a erosione. A questo problema lavorano generazioni di ingegneri da quasi 100 anni, da quando cioè sono state erette le centrali elettriche lungo il fiume Reuss nel canton Uri. Per tentare una soluzione, nel 1922, per la prima volta in Svizzera è stata costruita sotto Wassen, al cosiddetto Pfaffensprung o «Salto del Monaco», una galleria per deviare i detriti. Il tunnel è lungo 280 metri e passa sottoterra vicino al bacino di compensazione. Viene utilizzato soprattutto durante le piene della Reuss: in questi casi un’opera di difesa devia i detriti nella galleria prima che possano giungere al bacino, proteggendolo in tal modo da un eccessivo accumulo di materiale sedimentato. La galleria nei pressi del Pfaffensprung ha sezione a ferro di cavallo e misura cinque metri in altezza. Durante violenti temporali è invasa dall’acqua che l’attraversa con una potenza di 250 metri cubi al secondo trascinando con sé blocchi di roccia di enormi dimensioni, grandi fino a un metro cubo. Ora il tunnel è asciutto e può essere percorso a piedi. Nei mesi invernali saranno, infatti, effettuati diversi interventi di risanamento. «Quando il fondo della galleria inizia a danneggiarsi – spiega una donna con elmetto e guanti, accovacciata a terra per indicare del materiale staccato dallo spigolo di una lastra di granito – i danni si propagano rapidamente con la violenza dei detriti che vi si abbatteranno». Michelle Hagmann è ingegnere civile e studia, nell’ambito del suo lavoro di dottorato, i danni causati da un temporale nella galleria, ossia l’impatto dei detriti sul fondo della galleria. «Nel

concreto, studio qui la resistenza all’abrasione e la redditività del granito e del calcestruzzo ad alta resistenza con e senza fibre d’acciaio», informa la ricercatrice del Politecnico di Zurigo. Dal 2012 si reca sempre, a febbraio o marzo, a Pfaffensprung e misura con uno strumento laser 3D la progressione dei danni alla struttura della galleria negli ultimi dodici mesi. In base alle sue misurazioni, l’asportazione media di materiale (abrasione) nel primo anno è stata di 0,3 mm per le lastre di granito e di 1,5 mm per il calcestruzzo. Ora vuole scoprire in che modo i danni sono collegati alle quantità di deflusso e di detriti. La Hagmann non effettua ricerche solo nella valle della Reuss (canton Uri) ma anche nel cantone dei Grigioni, dove nel 2012 è entrata in funzione una nuova galleria di by-pass per sedimenti sotto Tiefencastel presso l’invaso di Solis. Oggetto della sua indagine qui non sono solo tre materiali strutturali per il fondo della galleria, come a Pfaffensprung, bensì sette: cinque tipi di calcestruzzo, oltre ad acciaio e basalto. Inoltre, in questo secondo sito di ricerca, Hagmann prova anche a quantificare il trasporto di detriti sulla scorta di misurazioni. Il metodo usato è, nello specifico, il rilevamento mediante geofoni delle vibrazioni prodotte dalle lastre d’acciaio inserite nel fondo per risalire alla quantità di detriti che attraversa la galleria. Il progetto di ricerca di Michelle Hagmann è uno dei tre progetti con impianto simile avviati dal Laboratorio di Idraulica, Idrologia e Glaciologia (VAW) del Politecnico federale di Zurigo. Gli scienziati studiano, con il supporto finanziario di Swisselectric Research, dell’Ufficio federale dell’energia, di CemSuisse, della Società Elettrica della Città di Zurigo (ewz), di Gommerkraftwerke e della Fondazione Lombardi, i danni provocati dai detriti e dai sedimenti fini in prossimità delle centrali idroelettriche. Christian Auel, un collega di ricerca della Hagmann al Politecnico di Zurigo, ha costruito il modello di un sistema di by-pass per sedimenti della lunghezza di 12 metri e in scala 1:15. Il modello dovrebbe servire per delineare un profilo di deflusso e di movimento dei sedimenti trasportati e analizzare l’asportazione di materiale del fondo della galleria prodotta dal loro passaggio. I risultati di Auel serviranno in futuro per pianificare nuovi

In caso di piena, la galleria di by-pass inaugurata nel 2012 devia l’acqua dell’Albula proteggendo l’invaso di Solis (GR) dall’accumulo di detriti. Nell’immagine: la nuova opera di deflusso. (ewz)

sistemi di by-pass per quanto attiene a dimensioni, pendenza e portata massima derivata in modo tale da ridurre al minimo l’asportazione di materiale da un lato e da poter disporre dall’altro lato di una capacità di trasporto dei sedimenti sufficiente per impedire l’interrimento dell’invaso e l’ostruzione della galleria. Un altro ricercatore, David Felix, studia invece i danni provati dai sedimenti fini alle turbine delle centrali idroelettriche e in che modo è possibile ridurre al minimo tali danni grazie alla sospensione mirata dell’attività della centrale in presenza di percentuali elevate di sedimenti, senza rischiare costi eccessivi per perdite di introiti. Tutti e tre i lavori di ricerca sono finalizzati a fornire nel lungo termine un contributo per una produzione di energia idroelettrica ancora più sostenibile ed economica. Queste attività di ricerca non vengono ovviamente dal nulla. «Con il passare degli anni, gli invasi invecchiano ed emerge in modo sempre più evidente il problema dell’interrimento. La problematica potrebbe acutizzarsi in futuro, quando il riscaldamento globa-

Dragare non è la soluzione Le gallerie di deviazione di materiale detritico – chiamate anche by-pass di sedimenti – sono ancora poco diffuse in quanto non rappresentano una soluzione economicamente efficace nel caso di invasi di grandi proporzioni. Gli otto sistemi di by-pass attualmente operativi in altrettante centrali idroelettriche in Svizzera servono per il trasferimento di sedimenti da invasi di piccole e medie dimensioni. Pfaffensprung e Solis, dove Michelle Hagmann sta conducendo le sue ricerche sul campo, sono due di questi. Altre gallerie si trovano a Runcahez (GR), Egschi (GR), Flims (GR), Hintersand

(GL), Rempen (SZ) e Palagnedra (TI). Questo tipo di soluzione è in uso anche in altri Paesi, soprattutto in Giappone, ma anche Taiwan ed Ecuador. In linea di massima, materiale detritico e sedimenti possono essere rimossi dagli invasi anche mediante interventi di dragaggio, tuttavia questa scelta risulta essere in genere troppo complessa e costosa. Un altro modo per almeno ridurre la quantità di materiale sedimentato consiste nello spurgo periodico dei bacini, ad esempio, almeno una volta all’anno. Questa misura è tuttavia adatta solo per serbatoi a bassa capacità. / BV

le, il ritiro del permafrost e dei ghiacciai libereranno una quantità ancora più consistente di sedimenti», afferma Robert Boes, professore di Idraulica al Politecnico federale di Zurigo e direttore del VAW. Circa dieci anni fa, quale conseguenza del progressivo interrimento è stato necessario spostare più in alto la presa d’acqua e lo scarico di fondo per l’opera di sbarramento di Mauvoisin nel Basso Vallese. Per quanto riguarda il bacino di Solis nei Grigioni si è fatto un ulteriore passo avanti a metà 2012 mettendo in funzione una galleria di by-pass della lunghezza di 850 metri. Dal 1986, anno di costruzione della diga che argina il fiume Albula, il bacino artificiale di Solis aveva perso la metà del suo volume utile per la produzione di energia elettrica poiché ogni anno vi sedimentavano in media 80mila mc di detriti. La Società Elettrica della Città di Zurigo (ewz), proprietaria dell’invaso, spera ora di riuscire a prevenire un ulteriore interrimento con la nuova galleria di deviazione. «Ci aspettiamo che in futuro saranno costruite altre gallerie di deviazione per avere ragione del problema dell’interrimento degli invasi», ha dichiarato il professor Boes. «A tale riguardo la nostra ricerca aiuterà a trovare soluzioni efficaci ed economicamente sostenibili». Da quando è stata costruita 92 anni or sono, la galleria di deviazione presso il bacino artificiale di Pfaffensprung (Uri) è stata sottoposta a ripetuti interventi di risanamento. Ogni volta gli ingegneri civili hanno tentato di trovare soluzioni sempre migliori. Si è iniziato con l’applicazione di uno strato d’usura in calcestruzzo e di lastre di basalto sul fondo della galleria. In un secondo momento, si è cercato di limitare l’asportazione di materiale mediante rotaie annegate nel calcestruzzo, lastre d’acciaio e cemento speciale. Ma nessuno di questi rivestimenti ha convinto fino in fondo. «Ora abbiamo deciso di rivestire la galleria con lastre di granito

dello spessore di 30 cm. Solo in alto, in corrispondenza dell’imbocco, useremo ancora calcestruzzo», spiega Martin Walker della Kraftwerk Amsteg AG. La soluzione promette stabilità, ma non è economica. Le lastre di granito, recentemente posate su cinquanta dei 280 metri di lunghezza della galleria, sono costate 500 mila franchi. La Hagmann è favorevole alla soluzione adottata in base ai risultati finora conseguiti con la sua ricerca. «In questa galleria, attraversata da rocce detritiche molto grandi che rotolano o saltano sul fondo, il granito e il calcestruzzo sono una buona scelta. In altre situazioni, nelle quali i detriti sono di piccole dimensioni e fluttuano nella corrente d’acqua, consiglierei di usare lastre di basalto», conviene la Hagmann. Per ora, con le sue misurazioni, la ricercatrice del Politecnico di Zurigo è pervenuta quindi alle stesse conclusioni dei gestori di gallerie di by-pass con decenni di esperienza. Per il risanamento di questa galleria il lavoro che Michelle Hagmann intende concludere alla fine del 2015 arriva troppo tardi. Tali conoscenze potrebbero essere tuttavia applicate per la costruzione e il risanamento di altre gallerie di by-pass in Svizzera e all’estero. La tendenza sembra indicare, infatti, senza dubbio, un aumento nell’impiego di gallerie di deviazione come soluzione per la gestione dei sedimenti. «Globalmente si perde più volume invasato a causa dell’interrimento di quanto ne venga costruito di nuovo», afferma Klaus Jorde, responsabile del programma di ricerca Forza idrica dell’UFE. Informazioni

Per maggiori informazioni è possibile contattare Klaus Jorde (klaus. jorde@kjconsult.net), responsabile del programma di ricerca Forza idrica dell’UFE. *Su incarico dell’Ufficio federale dell’energia (UFE).


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Ambiente e Benessere

Un porcospino tra i fiori che ci viene in aiuto Eliana Bernasconi Il suo nome deriva dal greco echinos, che significa porcospino, come ricordano gli aculei appuntiti del fiore, composto da un nucleo rosso intenso circondato da petali di un delicato rosa violaceo. Gli aculei fortissimi e spinosi che si trovano al centro del fiore parlano della sua grande forza vitale e delle potenti qualità difensive in esso racchiusi.

Oltre all’Echinacea, hanno simili azioni terapeutiche anche altre piante come Uncaria e Tabebuia Originaria delle praterie d’America, l’Echinacea può raggiungere una discreta altezza, da 60 a 150 cm. Arrivata in Europa solo mezzo secolo fa, è diventata un’insostituibile amica che viene in aiuto e infonde sicurezza quando si deve affrontare il freddo e il suo inevitabile ben noto corteo invernale di malattie da raffreddamento, dolori articolari, febbri influenzali e altri disturbi vari. I suoi semi giungono in Europa, quindi, nel 1950, quando il capo dei Sioux, Alce Nero, li mette nelle mani del dottor Alfred Vogel, il famoso pioniere nato nel 1902 nei pressi

di Basilea, precursore della medicina naturale, nutrizionista, naturopata, ricercatore e viaggiatore. Appena ventenne, il dottor Vogel apre un piccolo negozio di erbe e prodotti naturali a Basilea e nel 1950 inizia a viaggiare in tutto il mondo. Percorre il nord, centro e sud America, per comprendere lo stretto legame che le popolazioni indigene intrattengono con la natura. Il suo scopo ultimo è quello di entrare nei segreti della loro medicina. Durante il periodo che trascorre in America fra i nativi americani stringe amicizia con Alce Nero, che lo istruisce nell’arte medica e gli consegna un prezioso dono: una manciata di semi della pianta che le tribù delle grandi pianure degli indiani d’America venerano da tempi antichissimi, ritenendola essenziale per quasi tutte le malattie. Ne usano ogni sua parte, anche il rizoma con il quale guariscono piaghe e ferite, morsi di serpente e punture di insetti. Tornato in Svizzera Vogel inizia a coltivare l’Echinacea su vasta scala. Il prodotto si diffonde, entra nel mercato e, oggi, è un farmaco fitoterapico molto noto. «Oltre 50 anni di ricerche farmacologiche e più di 350 lavori scientifici dimostrano in modo inequivocabile le sue proprietà immunostimolanti» conferma il dottor Gabriele Peroni, chimico e farmacista, docente di Fitoterapia e di Etnofarmacologia, nonché

H. Zell

Fitoterapia Contro i mali di stagione, si consiglia l’americana Echinacea

autore di molti libri e pubblicazioni scientifiche, con più di 30 anni di pratica professionale: «Ci sono persone che non si ammalano mai perché hanno un potente sistema immunitario – continua – altre che sono un tantino più deboli. L’Echinacea è un immunostimolante che agisce in senso generale, non è specifico per un determinato batterio o virus, ma proprio perché

alza tutte le difese immunitarie liberando gli anticorpi è ottimo a questo scopo. Predispone il nostro organismo a far fronte a eventuali attacchi patogeni esterni che possono trovarsi nell’aria che respiriamo e ovunque». Il dottor Peroni spiega anche come usufruire al meglio della azione protettiva di questa pianta: «La dose media è di 30-60 gocce di tintura madre 3 volte

al giorno. Sarebbe buona norma iniziare tra metà settembre e metà ottobre, per dar modo alla pianta di poter lavorare sul nostro sistema immunitario e potenziarlo, ma si può iniziare a farne uso in qualsiasi momento». Ovviamente esistono anche altre piante che esercitano una simile azione: «Non esiste un’erba sola, perché la natura è estremamente generosa. Tra le piante più comuni, oltre all’Echinacea, abbiamo per esempio l’Uncaria e la Tabebuia, provenienti entrambe dalle foreste sudamericane e note agli indigeni» Le domande ricorrenti – o meglio i pregiudizi più diffusi – mettono però spesso in dubbio l’efficacia in termini di tempo e di forza rispetto ai farmaci chimici: «Tutto ciò che può fare il farmaco chimico – chiarisce il dottor Peroni – lo può fare un rimedio naturale, tanto che la stragrande maggioranza dei farmaci che acquistiamo in farmacia o usiamo negli ospedali sono derivati diretti, sintetizzati dalle piante oppure rielaborati in laboratorio. Una risposta assoluta tuttavia non esiste: è un discorso che deve essere fatto di pianta in pianta, di patologia in patologia: tutto dipende dalla dose, dalla conoscenza della persona, dalla giustezza della nostra indicazione. Ci sono rimedi naturali che possono essere più blandi rispetto a un farmaco e altri che possono essere molto potenti… pensiamo a Socrate». Annuncio pubblicitario

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In equilibrio sul mondo Viaggiatori d’Occidente Una piccola storia sul surf

In senso orario le onde californiane di: Ventura; West Marin County; e West Side, Santa Cruz. (Elizabeth Pepin Silva)

Madeira Giacci Esplorare le coste dimenticate di un’isola remota o uscire per surfare le onde di casa sono le due facce di una stessa medaglia: l’esperienza del surf si nutre sempre dell’elemento del viaggio e della ricerca. Del resto nell’attimo stesso in cui si staccano i piedi dalla riva, ci s’immerge in un universo altro, viaggiando sospesi tra le effimere architetture liquide delle onde e le ignote profondità degli oceani. Il surf ha generato uno stile di vita nomade che vede i praticanti di questa disciplina muoversi in flussi migratori intorno al globo o anche, più semplicemente, lungo le coste della propria regione, inseguendo l’orientamento delle mareggiate. L’idea dell’esplorazione surf nasce probabilmente nel 1926 con la costruzione dell’Highway 101, un’arroventata lingua d’asfalto che da Olympia si snoda lungo la costa pacifica degli Stati Uniti fino a Los Angeles. Fu in quegli anni, infatti, che i surfisti cominciarono a esplorare le potenzialità del mainland, il continente, opposto alle isole per eccellenza, le Hawaii, osservando come le mareggiate, impattandosi su fondali e geografie di diversa natura, originassero linee d’onda di svariate

forme e dimensioni. Furono così scoperte le lunghe onde destre di Malibu, le onde tubanti di Steamer Lane o il pointbreak di Rincon, che diedero vita a una mappatura per lungo tempo solo orale, che di voce in voce riecheggiava lungo la costa californiana. Un ulteriore passo avanti fu compiuto da Jack O’Neill (un nome che diventerà un marchio famoso), il quale nei primi anni Sessanta inventò nel suo garage-negozio di San Francisco la prima muta da surf, estendendo i confini geografici e temporali della disciplina: ora si potevano surfare anche le acque gelide della California settentrionale o affrontare le mareggiate invernali. Fu nel 1966, tuttavia, che il nomadismo surf fu ufficializzato con una pellicola destinata a diventare un cult movie, Endless summer di Bruce Brown. Il documentario racconta il viaggio di Mike Hynson e Robert August, due surfisti che decidono d’inseguire l’estate intorno al globo spostandosi tra Africa, Australia, Nuova Zelanda, Tahiti e Hawaii. Il film rappresentò per moltissimi aspetti una pietra miliare. Diede inizio, infatti, all’esplorazione surf di coste lontane e mai surfate prima scoprendo mete oggi di culto, come ad esempio Cape St. Francis in Sudafrica.

Erano gli anni Sessanta e la sottocultura surf, con il suo stile di vita nomade e refrattario alle convenzioni sociali, confluì naturalmente nel movimento di quegli anni. Generazioni di surfisti ispirati dall’estate infinita di Brown e dal desiderio di conoscere culture lontane dal mondo occidentale partirono alla ricerca di onde solitarie e di avventura. In quegli anni furono scoperte le oniriche lineups di Uluwatu in Indonesia, tubi di acqua marina che ancora oggi sono annoverati tra le migliori onde del pianeta, o le meravigliose onde sinistre di Grajagan (isola di Giava), conosciuta nel gergo surfista come G-Land.

Aldilà dell’esotismo dell’esplorazione surf, che cosa significa viaggiare per chi ama la magia delle onde? Oggi, a quasi cinquant’anni da quella pellicola, le traiettorie delle mareggiate del pianeta sono state mappate ed è l’estremo Nord a rappresentare l’ultima frontiera della surf exploration. Nel marzo del 2014, infatti, il fotografo Chris Burkard ha raggiunto con un team di surfisti il 68° parallelo, approdando sulla spiaggia di Unstad in Norvegia. Le immagini di quelle onde perfette tra le fosforescenze delle aurore boreali e le accecanti banchise polari fanno sognare e allo stesso tempo letteralmente raggelare il sangue nelle vene. Aldilà dell’esotismo dell’esplorazione surf, che cosa significa viaggiare per chi ama le onde? Molti vivono in funzione degli annuali pellegrinaggi verso le mecche del surf, contando i giorni che li separano da Bali, le Mentawai, Costa Rica, Cile, Sri Lanka, Brasile, Messico, Australia, California ma anche Francia, Portogallo, Marocco, Canarie. In macchina o in aereo, in tenda, resort di lusso, barca o cam-

per, l’importante è partire. Macchine e furgoni diventano così seconde case, lo sguardo studia compulsivamente bollettini del mare, webcam e siti meteo specializzati e si parte come si può e quanto si può, sperando nella benevolenza di Poseidone. Molti surfisti poi hanno fatto scelte radicali, trasferendosi in località remote pur di stare a contatto con quel break solitario che ha catturato il loro cuore. Per quel che riguarda me, ho scelto Los Angeles come patria adottiva. Non saranno le onde migliori, non saranno quelle più solitarie, ma posso scendere

di casa scalza e avere a portata di mano i picchi disseminati tra Venice e Santa Monica. Per quanto, infatti, nell’immaginario collettivo si identifichi Los Angeles come un’infinita distesa di cemento, urbana, artificiale per eccellenza, in questa «non-città» la natura ha ancora i suoi spazi e delfini, foche, pellicani e talvolta anche squali condividono le onde insieme a noi. Ci s’incontra in acqua, la mattina presto prima di andare al lavoro, in pausa pranzo, la sera, in quella mezz’ora prima del tramonto. Per qualche attimo di gioia infinita, in simbiosi con il respiro del mare.


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L’amore per le spezie e per l’aglio In genere le cucine migrano al seguito degli emigranti e, quindi, quelli che si conoscono all’estero sono piatti semplici della tradizione contadina. Ci sono state finora solo tre eccezioni a questa regola: la cucina francese, che si è imposta nel mondo grazie alla sua forza progettuale e poi quelle di Giappone e Corea, che sono cresciute al di fuori della madrepatria al seguito dei manager di quei paesi attivi nei Paesi esteri e, giustamente, desiderosi di gustare – non certo sempre ma ogni tanto – i sapori di casa. Ovviamente in questo caso sono migrati anche i piatti alti, oltre che quelli popolari. Ma mentre della cucina giapponese si sa tutto o quasi – non è vero, è molto più vasta di quanto conosciamo in Europa… – di quella coreana si sa molto poco. Presentiamola brevemente. Ingredienti fondamentali di questa cucina sono i peperoncini, l’aglio, le cipolle, lo zenzero, il pesce conservato sotto sale, la carne di manzo, il sesamo (semi tostati e olio), l’immancabile riso che tutto accompagna, il tofu e altri derivati della soia come il miso e la relativa salsa. La cosa che colpisce è il loro amore per le spezie, sempre più che abbondanti – meno in Europa dove i patron dei ristoranti coreani hanno giustamente adattato i piatti ai gusti dei locali. E per l’aglio, ne sono i più forti consumatori al mondo. Significativa, in primo luogo, è la cottura rapida delle carni, previa marinatura. In questo caso mi riferisco a un piatto che si chiama bulgoki. In pratica la carne viene marinata in salsa di soia, olio di sesamo e spezie. In un secondo tempo viene poi cotta al tavolo, dopo essere stata tagliata a straccetti. La cottura avviene su una specie di wok elettrico rovesciato, cioè una struttura convessa e non concava che scalda. I tagli della carne sono prevalentemente filetto e controfiletto, ma vanno anche bene quelli meno

nobili perché la marinatura li rende comunque abbastanza teneri da permettere una sufficiente rapidità nella cottura finale. Spesso compare anche il meno costoso maiale. Le carni vengono cotte sempre a tavola, ma a volte può essere scelta la variante del brodo bollente, insieme con verdure, pesci e anche tofu, dando origine alla versione coreana della celeberrima fonduta mongola e del shabu shabu giapponese. D’inverno in Corea fa molto freddo, quindi le zuppe sono ricche e bollenti, a base di verdure o di carni o ancora di pesce bianco e verdure, ma vengono anche arricchite con pasta o ravioli; il tutto servito in recipienti che trattengono il calore. Onnipresenti sono le verdure: i coreani sono maestri riconosciuti del saper coltivare e trattare le verdure. Per questo e in quei Paesi hanno vissuto una diaspora coreana, soprattutto negli Stati Uniti, molti coreani sono verdurai e fruttivendoli. Le consumano fresche, ma le amano anche fermentate. In quest’ultimo caso la preparazione si chiama kimchi, e contiene verdure grattugiate finemente e fermentate con aglio e peperoncino. Il risultato finale potrebbe assomigliare ai crauti, ma più piccanti: gli ortaggi maggiormente utilizzati sono cavoli, rape, cetrioli e frutti come pere, castagne o datteri. In genere vengono consumati come antipasti oppure per accompagnare dei piatti forti. Spesso le varie portate vengono arricchite con il loro mitico ginseng. È una pianta erbacea dalle radici carnose e «antropomorfe» (il nome cinese della pianta, renshēn, significa appunto «pianta dell’uomo»). Dalle radici si estrae un’essenza particolarmente tonica e ricostituente. Si può aggiungere a quasi tutti i loro piatti, anche se costa comunque tanto. Per chiudere, i coreani non amano per nulla i grassi: ne usano sempre pochissimi. Una cosa molto moderna e vincente, oggi.

CSF (come si fa)

Gran Cholent

Allan Bay

Nate Steiner Bulgogi

Gastronomia Alla scoperta della tradizione culinaria coreana

Si avvicina l’inverno, bisogna quindi preparare piatti adatti e quelli dell’Europa Orientale, cioè quelli della terra che va dall’Oder agli Urali, sono adattissimi al grande freddo. Fra i tanti spiccano i piatti della tradizione ebraico askenazita, che sono gli ebrei residenti in quelle terre. Una delle più mitiche preparazioni «da clima freddo» si chiama cholent o tsholnt. Era un piattone che si preparava il venerdì

e che poi cuoceva per tutta una notte almeno, dato che l’ebraismo inibiva e anche oggi inibisce il lavorare, quindi anche il cucinare, di sabato. Le versioni sono ovviamente innumerevoli. Quella che vi offro è una variante attualizzata e alleggerita (immaginate come potrebbe essere quella tradizionale...!) Nell’archetipo della ricetta si impastavano le farine con il grasso d’oca, oggi possiamo sostituirlo tranquillamente con l’olio d’oliva e ottenere un risultato altrettanto soddisfacente. Per 8 persone. Mettete a bagno 600 g di borlotti secchi in abbondante acqua tiepida per una notte. In una grossa pentola, meglio se di coccio, mettete i fagioli, 1 kg di manzo tagliato a grossi pezzi, 300 g di orzo e 1 cipolla sbucciata intera. Coprite con

abbondante acqua fredda, regolate di sale, chiudete il coccio e portate a bollore. Quindi abbassate la fiamma e fate sobbollire per 30’. Preparate il kugel che è un grosso gnoccone: impastate 250 g di farina gialla da polenta e 100 g di farina bianca con 2 uova, olio d’oliva, 1 cucchiaio di zucchero, 1 pizzico di sale e un’abbondante macinata di pepe. L’impasto ottenuto deve avere la consistenza della pasta di pane: lavoratelo bene con le mani e dategli la forma di una pagnotta un po’ allungata. Adagiate lo gnocco delicatamente nel coccio e proseguite la cottura il più a lungo possibile – se volete anche una notte, mai meno di 4 ore – a fuoco stradolce. Il risultato deve essere una zuppa densa, non liquida, da mangiarsi con il cucchiaio ma anche facilmente con la forchetta.

Manuela Vanni

Oggi due preparazioni a base del nobile astice. Se è fresco va bene, ma anche se è decongelato va altrettanto bene: è un ingrediente che regge benissimo la surgelazione.

Manuela Vanni

Ballando coi gusti

Barchette di astice all’americana

Bulgur con astice e gamberi

Ingredienti per 4 persone: 24 barchette di pasta brisée · 2 astici da 400 g l’uno · salsa di pomodoro · prezzemolo · 1 spicchio d’aglio · soffritto di scalogni · Cognac · farina di riso · burro · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 200 g di bulgur (mix di frumento integrale e grano duro

Cuocete gli astici a vapore per 5’, levateli, fateli raffreddare, tagliateli a pezzi e sgusciateli. Scaldate una noce di burro in una casseruola, unite l’aglio schiacciato e gli astici e rosolateli per pochi istanti. Aggiungete 6 cucchiai di soffritto, mescolate e flambate con 1 bicchierino di Cognac. Unite 6 cucchiai di salsa di pomodoro e regolate di sale e di pepe. Levate gli astici e fateli intiepidire. Cuocete il fondo di cottura unendo il prezzemolo e 1 cucchiaio di farina di riso. Quando la salsa sarà densa, aggiungete anche le parti cremose dell’astice (si trovano nella «testa» del carapace) e una noce di burro: spegnete, mescolate e fate intiepidire. Distribuite la salsa nelle barchette, decorate con i pezzetti di astice, cospargete con ancora un po’ di prezzemolo e servite.

germogliato) · 1 astice da g 600 · 200 g di gamberi · 1 limone · 1 mazzetto di erba cipollina · 2 pomodori ramati · 2 cipollotti · 1 cetriolo · chiodi di garofano · brodo vegetale · olio di oliva · sale e pepe. Spremete il succo del limone e filtratelo. Cuocete il bulgur nel brodo vegetale per il tempo indicato sulla confezione (di solito ci vogliono circa 10’), poi scolatelo e versatelo in una terrina. Conditelo con 4 cucchiai di olio, sale, pepe e il succo del limone. Quindi lasciatelo riposare coperto. Aprite l’astice a metà con un coltello affilato. Mondate i gamberi della testa e del carapace, poi private le code del budellino nero aiutandovi con la punta di un coltellino. Mondate e lavate i cipollotti. Cuocete l’astice a vapore per 10’ assieme ai cipollotti, aggiungete le code di gambero e cuocete per 4’ ancora. Nel frattempo mondate e tritate l’erba cipollina, aprite i pomodori a metà, privateli dei semi e tagliateli a cubetti, infine lavate il cetriolo e tagliatelo a cubetti. Unite al bulgur l’erba cipollina, la dadolata di pomodori e quella di cetriolo. Aggiungete la polpa dell’astice sgusciata e tagliata a pezzetti e i gamberi, mescolate delicatamente e servite.


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Ambiente e Benessere

Il pranzo del Thanksgiving Day Bacco a tavola Per il giorno del Ringraziamento non può mancare il tacchino arrosto, perfetto con un Pinot Nero Davide Comoli Il Thanksgiving Day (giorno del Ringraziamento) commemora il primo inverno dei Padri Pellegrini (Pilgrim Fahters) trascorso dopo il loro sbarco sulle coste dell’odierno Massachusetts, vicino a Plymouth nel 1620. L’Inghilterra aveva cercato, come si suol dire, di catturare due piccioni con una fava: da un lato aveva tentato di sbarazzarsi dei dissidenti religiosi puritani e dall’altra di colonizzare il nuovo Paese (America). La leggenda narra che il primo inverno fu particolarmente difficile, soprattutto per la mancanza di cibo. Le scorte alimentari dei Pellegrini si esaurirono in fretta e la poca dimestichezza con la caccia e la pesca fece sì che la metà dei 102 emigranti perissero, molti per scorbuto. La storia vuole che in soccorso degli Inglesi vennero in aiuto degli Squanto, tribù di pellerossa appartenente a una delle famiglie linguistiche dell’America del nord, meglio conosciuti con il nome di Algonchini, ai quali insegnarono il modo di coltivare le zucche (base dell’alimentazione degli indigeni, con i fagioli), a pescare e a cacciare. Dopo il primo abbondante raccolto nell’autunno del 1621, il governatore William Bradford proclamò tre giorni di festa. Compiendo una buona azione per ringraziare chi li aveva aiutati, furono invitati gli indigeni locali con il loro capo Massasoit per condividere il cibo in comune. I pellerossa accolsero l’invito, arricchendo il banchetto con numerosi tacchini selvatici. Nei primi secoli, il Thanksgiving fu piuttosto una cerimonia che i protestan-

ti o puritani celebravano dopo la mietitura o in caso di siccità, un ringraziamento al Signore per aver fatto piovere. Erano giorni di digiuno piuttosto che di pantagrueliche mangiate. La prima proclamazione che fa del Thanksgiving un giorno di festa nazionale si ha il 3 ottobre 1789 e sarà George Washington a fare questo proclama, invitando il popolo a pregare per ringraziare Dio dei numerosi segni ricevuti durante la guerra d’Indipendenza. Nel 1863 durante la sanguinosa guerra di Secessione, Abraham Lincoln, fisserà definitivamente il giorno del Thanksgiving: la giornata dovrà essere celebrata l’ultimo giovedì di novembre. Questo giorno ha un doppio scopo: quello di far rivivere con un copioso pasto a base di cibi e ingredienti tradizionali come il tacchino selvatico, la torta di zucca, il pane di mais (corn bread), le patate dolci e le torte di noce pècan e il calore della famiglia; l’altro, soprattutto tra le comunità protestanti, quello di un giorno di preghiera e di buone azioni. Questa festa ha però un’altro risvolto: ben presto le ottime relazioni tra gli indiani d’America e i coloni s’incrinarono, tra XVII e XVIII secolo: oggi il giorno del Thanksgiving dai pellerossa è celebrato in ricordo della loro disperata lotta contro i coloni americani. Il Thanksgiving ci porta a parlare del tacchino. Questo volatile, detto anche gesuita e coq d’Inde, fu introdotto dai Gesuiti in Spagna e da qui diffuso un po’ dovunque. Troviamo il tacchino in Italia nell’Opera dell’arte di cucinare di Scappi (1570), così come nell’Arte del ben cucinare (1662) di Stefani, cuoco

Il primo Ringraziamento del 1621, olio su tela di Jean Leon Gerome Ferris (1899).

del duca di Mantova, che consiglia per lo spiedo, una cottura alla «svizzera», cioè con vino e cannella, specialmente per i tacchini giovani. L’entrata del tacchino in cucina segna la fine di un’epoca e di un determinato mondo in tavola, facendo uscire definitivamente di scena il pavone, fino ad allora piatto molto importante nei banchetti. Grazie alla versatilità d’impiego e alle sue carni delicate e gustose, il tacchino si diffuse ben presto sulle mense delle classi abbienti di tutta Europa. Lo stesso Re Sole (Luigi XIV) seguiva personalmente un allevamento di tacchini a Versailles, anche perché aveva lanciato la moda dei sanguinacci bianchi. I tacchini venivano allevati con confetti (dragées) al muschio per dare alla carne quel profumo che tanto piaceva alla corte.

Ma all’epoca, il tacchino non era simpatico a tutti, come raccontava Dumas, nel suo Dictionnaire de cuisine: c’era chi addirittura li odiava all’inverosimile. L’illustre Boileau (1636-1711), critico e poeta francese, da fanciullo fu vittima di uno spiacevole incidente: giocando in cortile dove c’erano dei tacchini, li fece infuriare. Attaccato a colpi di becco, il piccolo Nicolas cadde a terra e fu colpito un po’ ovunque, ma soprattutto in un punto che gli impedì di diventare un poeta erotico. Al contrario divenne un satirico che malediva le donne e fu spinto a odiare i Gesuiti, rei di aver portato il tacchino in Europa. La tacchina ha la carne più delicata del maschio, ingrassa più in fretta e non arriva ai 5 kg di peso; mentre il maschio può raggiungere anche i 10-15 kg e la sua carne si adatta alla vendita già sezio-

nata in porzioni. Le razze che vengono allevate con metodi artigianali sono invece di taglia più piccola (gli stessi maschi pesano la metà di quelli allevati in modo intensivo), inoltre hanno carni più saporite e sode. Preferibili intorno a Natale, non necessitano di frollatura perché già conservati dalle macellerie nei grandi frigoriferi per 6-10 giorni, prima di essere messi in vendita. Il tacchino intero può essere cucinato arrosto con il ripieno (ottimo quello di castagne) oppure lessato; ridotto a petti può essere usato per le scaloppine o gli involtini. Grazie alla interessante aromaticità, sapidità e alla morbida grassezza, la tacchinella con salsicce e castagne può trovare l’abbinamento armonico con un Montepulciano d’Abruzzo Riserva. Un nostro Merlot di corpo, caldo di alcool e dai tannini ben presenti (elevato in barrique), ben evoluto, potrà senza dubbio essere il giusto compagno di un tacchino arrosto. Una giovane tacchinella ripiena con carote, sedano, cipolle, spezie ed erbe aromatiche, può sposare benissimo un rosso giovane, ma con una buona morbidezza, una discreta struttura e sapidità, come un Rossese Dolceacqua o una Dôle Vallesana. Ma se volete cucinare la tacchinella arrosto a Natale, magari accompagnandola con purée di zucca, patate dolci, con una salsa ai mirtilli rossi, alla moda degli antichi Padri Pellegrini, non potete farvi mancare un Mercurey rosso (Pinot Nero) dagli intensi profumi di ciliegie griottes, fragole e cassis, con delle nuances di sottobosco e vecchio cuoio. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Ambiente e Benessere

Grandi predatori o prede grandi? Mondoanimale Difficile trovare un approccio nei confronti di alcune specie animali senza cadere

Maria Grazia Buletti «Un tempo, quando si viveva di sussistenza, si andava a cercare ogni ultima risorsa, il metro quadrato di prato, l’alpeggio dalle sembianze di territorio lunare…», così esordisce Joanna Schönenberger, ingegnere forestale ed esperta di grandi predatori, sollecitata dal nostro desiderio di fare il punto della situazione sul tema dei grandi predatori. Lo spunto viene dal parecchio parlare di orsi e lupi degli ultimi tempi, complici i problemi che il loro ritorno sul territorio stanno procurando ad allevatori e popolazione di alcune regioni del nostro Paese. La nostra esperta racconta come l’estinzione dei grandi predatori, compresa quella di cervi e caprioli («tranne i camosci»), si situi attorno alla fine dell’Ottocento, quando il bosco era ridotto ai minimi termini e le alluvioni dovute alle erosioni del territorio erano all’ordine del giorno: «A un certo punto, i grandi predatori si sono estinti, dunque, a causa della mancanza di habitat, della concorrenza con i contadini che vivevano di sussistenza e della loro conseguente uccisione con le armi da fuoco. Queste ultime, proprio in quel periodo, subirono dei netti miglioramenti tecnici e diventarono più efficaci». Oggi, grazie al rimboschimento

favorito dalla legge forestale del 1896, pare che la tendenza si sia invertita, con orsi e lupi che rifanno capolino sul nostro territorio. Di fatto, sempre più persone lavorano a favore di un ambiente montano nel quale trovare lupi, linci e orsi liberi nella natura. D’altra parte, i contadini e i pastori, soprattutto nelle terre alte, rimproverano ai difensori dei grandi predatori di non conoscere la dura vita dell’allevamento e la difficoltà di difendersi dagli attacchi di questi animali che non conoscono nemici naturali (v. «Azione» no. 40 del 29 settembre 2014 pag. 18-19). Così, succede che da una parte troviamo chi è convinto che i grandi predatori siano intoccabili e si collochino almeno al pari dell’uomo, mentre dall’altra parte troviamo coloro i quali considerano le vallate alpine remote come «regioni potenzialmente povere» che in tutti i casi vanno lasciate in balia di sé. Nel frattempo, ci si trova sempre di più a fare i conti con la presenza di lupi e qualche orso che causano danni, fra le preoccupazioni e le proteste di abitanti e contadini delle regioni colpite. Rispondendo alla domanda su come mettere tutti d’accordo, la nostra interlocutrice ammette che «a livello nazionale, il WWF ha favorito incontri ufficiali con cacciatori, allevatori e agricoltori, con l’intento di trovare una

Per un territorio senza grandi predatori Lo scorso 29 marzo, a Le Prese in Val Poschiavo, si è tenuta l’assemblea generale dell’Associazione per un territorio senza grandi predatori (www. atsenzagp.ch), durante la quale sono scaturite le preoccupazioni relative ai grandi predatori nelle regioni alpine, documentate dalle testimonianze dirette da parte di persone venute dal

Vallese, dal Ticino, dai Grigioni e da Italia e Francia. Quest’Associazione, attiva in campo nazionale e internazionale, è stata fondata dagli abitanti della Valposchiavo a seguito delle esperienze avute con l’orso M13, con l’obiettivo di proteggere il territorio e la popolazione dal pericolo rappresentato dal ritorno dei grandi predatori.

Marco Caruso

in simbolismi e paure

comune intesa. E l’auspicata intesa, fra questi rappresentanti, è stata trovata, sebbene se ne parli raramente». Unità di intenti lungi dall’essere ancora realizzata, ci spiega: «L’approccio a questo problema sta alla base dello stesso: è inutile parlare dell’animale, perché bisogna concentrarsi sull’essere umano e su cosa egli vuole o sia disposto a sopportare». Una sorta di onesto compromesso che tenga conto del fatto che l’animale così è e tale rimane: «Dal punto di vista dell’animale stesso, l’intervento dell’uomo non è giustificato a priori: ogni genere, che sia lupo, orso o lince, ha sistemi di autoregolazione talmente geniali e raffinati che passano attraverso una naturale autoregolazione». In poche parole «per l’orso, l’orso stesso non è pericoloso o aggressivo o cattivo: è orso e basta e si comporta come tale. Il discorso cambia dal punto di vista dell’essere umano: quanti danni causati da questi animali, l’uomo è disposto a sopportare? Questo riporta a coscienza ed etica umana», afferma Joanna Schönenberger, pur sottolineando che se la natura

dell’orso viene riconosciuta aggressiva e pericolosa per l’uomo, questi può e deve intervenire perché non ci si può permettere di rischiare vite umane. Schönenberger è però persuasa anche del fatto che non bisognerebbe ragionare in termini di paure, bensì pensare di più in termini di etologia e biologia animale: «Non dobbiamo dire che l’orso è pericoloso anche quando non lo è, solo perché noi uomini non lo conosciamo: non sarebbe realistico e produrrebbe uno spreco di paura. Se la bestia difende i propri cuccioli, allora non possiamo onestamente etichettarla come pericolosa e questo ci fa capire come dovremmo sforzarci di annullare anzitutto le demagogie politiche e gli interessi che determinano i giudizi dell’uomo sull’animale, concentrandoci sul giudizio biologico della specie. È peccato stare lì ad avere paura quando, conoscendo l’animale, si fa in tempo a comportarsi correttamente in modo da evitare situazioni provocatorie». La domanda alla quale pare sia davvero difficile dare una risposta uni-

ORIZZONTALI 1. Lo scrittore Umberto 3. Un atto di riverenza 9. Preposizione 10. Splende in tubi di vetro 11. Preposizione articolata 12. Spostarsi da un luogo all’altro 14. Trasmettono caratteri ereditari 15. I parenti di una volta 16. Frumento 17. Una consonante 18. Relativo alla bocca 19. Parti del fiore 21. È maggiore nel cielo 22. Simbolo chimico del plutonio 23. Articolo francese 24. Unità di misura inglese 25. Distribuite dal sacerdote

Sudoku Livello difficile

voca è invece come affrontare l’annosa questione, mentre i grandi predatori si stanno riappropriando del territorio che un tempo abitavano: «Non disponiamo di una ricetta o della verità assoluta. Possiamo essere d’accordo, ad esempio, sul dire che l’ecosistema sarebbe per lo più intatto con lupi, orsi e linci. Se tutte le popolazioni non fossero più a rischio di estinzione, allora ci si potrebbe anche accordare sul fatto che queste diventino cacciabili in modo da regolarne la popolazione. Com’è successo in Slovenia, dove l’orso è sopravvissuto perché cacciabile in base a una stima del numero di orsi». Difficile trarre conclusioni assolute dal nostro colloquio con l’esperta di grandi predatori, mentre gli elementi salienti stanno forse nel riuscire a valutare meglio l’importanza di queste bestie e la necessità di averle sul nostro territorio che già un tempo le ospitava: «I rapporti in natura tra le specie, il suolo, la meteo, le piante sono complessi e quindi per noi mai del tutto afferrabili». Per rispondere allora alla domanda del perché sia necessario avere anche i grandi predatori, la nostra interlocutrice porta ad esempio il parco di Yellowstone: «Là tutta la vegetazione si è rigenerata parecchio, perché i grandi predatori predavano gli ungulati, responsabili di distruggerla troppo. A dimostrazione che anche i grandi predatori contribuiscono al mantenimento di un equilibrio naturale. Qui da noi, predando sugli ungulati, contribuirebbero a un ringiovanimento del bosco e quindi anche a una maggiore stabilità contro frane, uragani, eccetera». Secondo la nostra interlocutrice le paure andrebbero relativizzate, il simbolismo su orso, lupo e lince ridotto al giusto e il tema affrontato meno politicamente e più biologicamente. Questa la chiave per venirne a capo: «Bisogna lavorare non tanto per la difesa del grande predatore, quanto per l’insieme: l’habitat e la sopravvivenza delle specie tutte».

Giochi Cruciverba Vuoi profumare la biancheria tenendo lontane le tarme? Distribuisci nell’armadio dei sacchetti … Troverai il resto della frase a cruciverba ultimato leggendo nelle caselle evidenziate. (Frase: 3, 6, 2, 8)

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VERTICALI 1. Che consuma e logora 2. Si ripete brindando 3. Domani lo dirò di oggi 4. Il primo navigatore 5. Le iniziali dell’attore Nolan 6. Aspirazioni etiche 7. I sonni dei più piccoli 8. C’è anche quello di gomito 10. Non sta né in cielo né in terra! 13. Consegnar 14. Triste, dolorosa 16. Pingue 18. Morbida borraccia 19. È preso in giro dalla Terra 20. Pende nel pozzo 22. Avverbio di tempo 24. Le iniziali del conduttore televisivo Timperi

Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

Soluzione della settimana precedente

L’inserzione – vendo pianoforte che è come …: Il primo amore, non si scorda mai. B O R A S A C R A

I R I D E G O A L

L E O A C R D E N O L I M I A I O N P G U O G E

P I E D E S E A N

R I M A E A M M A A O A R N O E B E R N U L T A R L A R A A O I L

T O R I A N I M E

O S C A R O D I O


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Preparazione: scaldate il forno a 190 °C. Imburrate gli stampi. Separate i tuorli dagli albumi. Fate fondere il burro. Lavorate a crema i tuorli, il marzapane, lo zucchero a velo e lo zucchero vanigliato. Unite il burro fuso. Montate gli albumi col sale a neve ferma. Incorporate albumi, mandorle e farina all’impasto alternandoli. Versatelo negli stampi. Cuocete al centro del forno per ca. 15 minuti. Fate raffreddare, sformate. Servite le tortine con gli spicchi di clementine mescolati con lo sciroppo e guarnite con la menta. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura ca. 15 minuti

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o tt e z z Ogni pe tentazion e. una


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Politica e Economia Accordo sul clima Finalmente l’asse Usa-Pechino per la riduzione del CO2

La Libia sprofonda nel caos Sta per iniziare la missione dell’inviato dell’Onu, ma il Paese è a pezzi

Gli italiani e la Chiesa Un rapporto conflittuale e contraddittorio quello fra il Belpaese e il Vaticano per il quale non è mai stata applicata la formula del grande statista Cavour

Le donne e la guerra La chiamata alle armi durante la Prima guerra mondiale ha obbligato molte donne a diventare capofamiglia e pilastro dei bisogni della società pagina 32

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Ciò che resta, 25 anni dopo La caduta del Muro Celebrato con toni molto sobri l’anniversario dello storico evento avvenuto un po’ per caso

Lucio Caracciolo Nei giorni scorsi la Germania ha celebrato con sobrietà il venticinquesimo anniversario della caduta del Muro. Nulla di pomposo o trionfalistico. Non trombe ma violini. L’inno nazionale eseguito en plein air, presso la Porta di Brandeburgo, da un’orchestra da camera in presenza della cancelliera Angela Merkel dava il senso di tanta misura. Molto è stato detto su quell’evento davvero storico. Pochi ne hanno però colto il significato profondo, che ci permette di illuminarne l’attualità. E di capire perché l’anniversario abbia coinciso con la fase insieme di maggiore potenza e di minore popolarità della Germania in Europa. Il punto di fondo: quel Muro fu aperto per caso. Ormai è noto che se il bonzo della SED Günter Schabowski non si fosse impappinato davanti alla stampa internazionale, dando la sensazione che la frontiera della DDR fosse aperta a tutti da subito e senza formalità, la sera del 9 novembre 1989 quelle

decine di migliaia di berlinesi che costringeranno i Vopos ad aprire le porte del Muro sarebbero rimaste a casa. La cortina di ferro interna alle due Germanie sarebbe stata dischiusa dal giorno seguente alle condizioni e nei termini voluti dalle autorità tedescoorientali e dalla maggioranza dei cittadini della DDR, che a tutto pensavano fuorché alla riunificazione con l’Ovest. La storia sarebbe andata altrimenti. Forse a Mosca e a Berlino Est avrebbero prevalso i «falchi», decisi a reprimere con la forza le manifestazioni di protesta che rivendicavano democrazia, riforme e libertà («Wir sind das Volk!»), non ancora unità nazionale («Wir sind ein Volk!»), come accadrà qualche giorno dopo la caduta del Muro. Oppure avrebbero vinto i riformatori e il percorso del satellite tedesco dell’Urss e della stessa Unione Sovietica sarebbe stato allungato di qualche anno. Il secondo aspetto cruciale: nemmeno Bonn era pronta né tantomeno intenzionata ad annettersi la DDR. Anzitutto perché la patria, per gran

parte dei tedeschi occidentali e per i loro leader, era la Bundesrepublik. Quella del miracolo economico, del marco e della pace. Punto. I socialdemocratici, principale forza di opposizione, speravano nella capacità dei dirigenti della SED di riverniciare la facciata del loro Paese, non sognavano affatto di promuovere il cambio di regime. Forse alcuni leader della CDU lo speravano, ma per i loro nipoti. Il cancelliere Helmut Kohl quel 9 novembre era a Varsavia e spiegava a Lech Wałesa che prima del crollo del Muro sarebbero cresciuti i cactus sulla sua tomba. Il terzo fattore: nessun leader europeo voleva che il Muro cadesse. Già nelle prime ore di quella fatidica notte, alcuni di loro si adoperavano a impedire che da quell’atto conseguissero il crollo della DDR e l’unificazione della Germania. Fra questi, il premier britannico Margaret Thatcher e il presidente francese François Mitterrand, ma anche il capo del governo italiano, Giulio Andreotti e il suo omologo olandese, Ruud Lubbers.

Risultato: se non fosse stato per la decisione di Mikhail Gorbaciov, indisponibile a un intervento militare tecnicamente possibile, e di George Bush padre, meno preoccupato dei fantasmi della «Grande Germania» che della opportunità di chiudere da vincitore la Guerra fredda (senza però disintegrare l’Urss) la Bundesrepublik sarebbe rimasta per qualche tempo, e forse ancora sarebbe, lo Stato dei tedeschi occidentali. Alle prese con un processo imprevisto, non voluto e rapidissimo – passarono nemmeno undici mesi dal crollo del Muro (9 novembre 1989) all’unificazione della Germania (3 ottobre 1990) – ai leader europei non restava che giocare la carta europea. Furono in particolare francesi e italiani a immaginare il modo di garantirsi una «Germania europea» e di evitare una «Europa tedesca»: l’euro. In sostanza, la Bundesrepublik scambiava marco e Bundesbank, moneta e banca centrale europea di fatto, con la nuova moneta europea, pegno ai francesi e agli italia-

ni del loro rinnovato, permanente europeismo. Venticinque anni dopo, si parla di «Europa tedesca». Qualcuno con soddisfazione (non solo in Germania). Molti, soprattutto in Francia e in Italia – cioè i Paesi che volevano l’euro per ingabbiare gli «spiriti animali» tedeschi – con preoccupazione. La nuova moneta non solo non ha costruito un’Europa politica sufficientemente forte da contenere la potenza tedesca, ma tutto è stato gestito in modo da favorire la crescita della Germania a scapito della «periferia», ridotta a area del debito permanente e della deflazione incombente. Non è qui il caso di distribuire torti e ragioni. Restano i fatti. L’euro non ha accentuato l’integrazione europea, ha semmai contribuito a scatenare i peggiori umori antieuropei e soprattutto la sfiducia reciproca fra i troppo ineguali contraenti del patto che lo ha generato. Questa è oggi la principale conseguenza della caduta del Muro. Almeno per noi europei.


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Politica e Economia

Svolta sul clima Vertice Apec Il vertice bilaterale tra Xi e Obama si è concluso con un importante impegno per la riduzione dei gas

carbonici, ma nessun passo avanti è stato fatto da Pechino sui diritti umani e la libertà di stampa Federico Rampini Cielo azzurro. Aria pulita. Un traffico scorrevole, senza ingorghi. Ristoranti di lusso semivuoti. Internet dimezzato, con i siti della stampa estera spesso inaccessibili. È un riassunto della Pechino che ritrovo cinque anni dopo il mio addio (ci avevo vissuto dal 2004 al 2009) e tre anni dopo la mia ultima visita dall’America. Per averci abitato così a lungo sono iper-sensibile ai cambiamenti. O ai non-cambiamenti. Per cominciare da questi ultimi: la mia Pechino mi appare fin troppo riconoscibile. E questo non è scontato. Nel mio quinquennio in Cina (che comprendeva le Olimpiadi del 2008), il ritmo delle nuove costruzioni e del rinnovamento urbanistico era frenetico, incessante, travolgente. Se lasciavo Pechino per due mesi, e andavo a fare un reportage nel Tibet o nel Szichuan, al mio ritorno a casa alcuni quartieri facevo fatica a riconoscerli, per l’avanzata delle ruspe e il rapido innalzamento di nuovi grattacieli, nuovi shopping mall, nuove linee della metropolitana. Tornandoci oggi in occasione del vertice Apec (l’associazione dei paesi dell’Asia-Pacifico) mi aspettavo di rivivere lo stesso senso di spaesamento e di vertigine. Invece no, il grosso della città è come la ricordavo, senza eccessivi cambiamenti.

L’America ridurrà le sue emissioni entro il 2025, mentre la Cina ne fermerà l’aumento entro il 2030 e poi inizierà ad abbassarle Certo Pechino continua a crescere e dilatarsi, modernissima e piena di grattacieli, ma dal paesaggio urbano ho conferma di quel che dicono le statistiche: la crescita cinese rallenta. Il 2014 è stato l’anno del «sorpasso statistico»: usando le rilevazioni fatte dalla Banca mondiale a parità di potere d’acquisto, la Cina è la prima economia mondiale, davanti agli Stati Uniti. Ma il suo Pil cresceva del 10% all’inizio del decennio scorso, ora «solo» del 7%. Dietro si percepiscono fenomeni strutturali di grande portata: l’invecchiamento demografico, le tensioni sociali, le rivendicazioni salariali, le bolle speculative nella finanza e nell’immobiliare. Più in generale, la necessità per la Cina di progettare una nuova fase, un nuovo modello di sviluppo, non più fondato prevalentemente sui bassi salari e lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali. Al centro di questa transizione c’è l’uomo forte Xi Jinping, un presidente che sta accentrando tutte le leve del potere. Il vertice Apec lo ha messo al centro dell’attenzione mondiale. Anche per i suoi concittadini il vertice è stato un test. Si è potuto assaggiare un modello autoritario alla «transizione verde». Prima ancora che Xi e Barack Obama annunciassero l’accordo sulla riduzione delle

emissioni carboniche, Pechino le aveva ridotte d’autorità, per editto imperiale. Il cielo che mi ha accolto al mio arrivo qui era pulito e azzurro, un evento anomalo per questa metropoli di 22 milioni di abitanti. All’epoca in cui ci abitavo, la puzza di anidride solforosa mi svegliava in piena notte. L’aria era irrespirabile quasi sempre, il cielo di un grigio plumbeo. In questo novembre 2014, al mio arrivo scendendo dall’aereo ho sentito di nuovo quella puzza di zolfo: i camion cinesi usano un diesel scadente, meno raffinato che in Europa. Mi sono sentito a casa. Ma nei giorni successivi all’apertura del summit la puzza si è attenuata, l’aria si è rinfrescata. Xi ha messo al bando i Tir. Le auto circolavano a targhe alterne. Gli ingorghi mostruosi che sono la normalità, stavolta non li ho visti: mi sono spostato da un quartiere all’altro in poco tempo, percorrendo la smisurata ragnatela di autostrade urbane a gran velocità. Mi sono permesso una gita fuori porta, a rivedere la Grande Muraglia: 45 minuti di autostrada, un record impensabile ai miei tempi, quando ci mettevo almeno due ore. Dove sono spariti tutti gli automobilisti pechinesi? Obbligati a stare a casa, o a prendersi una vacanza altrove. Chiuse le scuole e gli uffici pubblici. Chiuse le fabbriche. Proibito accendere il riscaldamento nei palazzi, nonostante le temperature siano già rigide. Il miracolo ambientale ha una spiegazione precisa: Pechino nei giorni del vertice Apec l’ho vista sottoposta ad un gigantesco esperimento autoritario, di razionamento dell’energia, del traffico, dei consumi. Se serve a questo l’autoritarismo di Xi Jinping, potrebbe ricevere perfino la benedizione degli ambientalisti?… Naturalmente è difficile che un esperimento simile possa reggere molto a lungo. Prima o poi le scuole e le fabbriche devono riaprire, come infatti è accaduto alla fine del summit. Il razionamento del traffico si scontra con dei limiti di consenso sociale. Dopo avere dato benessere al vasto ceto medio cinese, dopo avergli consentito il sogno dell’automobile (e anche della seconda o terza vettura per nucleo familiare, nelle fasce di reddito superiori), neanche un uomo forte come Xi può annunciargli di botto: abbiamo scherzato, le macchine non si possono usare. «Un cielo color azzurroApec», lo hanno battezzato ironicamente i pechinesi, a sottolineare l’eccezionalità dell’evento. L’autoritarismo di Xi l’ho visto all’opera in altri campi. I ristoranti di lusso della capitale, ai miei tempi brulicavano di clienti, spesso non riuscivi a trovare un tavolo libero se non prenotavi con settimane d’anticipo. Un segno della «modernità» di Pechino era l’ostentazione di lusso dei nuovi ricchi e i ritrovi identici a tante altre parti del mondo: i locali più alla moda sembravano cloni di New York e Los Angeles, Londra e Parigi. Giovani imprenditori, finanzieri d’assalto, gerarchi di partito, boiardi di Stato, top model e attrici del cinema, si mescolavano nelle cene mondane, nelle discoteche. Di tutto questo non ho tovato traccia. Ho rivisto vecchi amici, che un po’ per nostalgia mi hanno invitato ne-

Una stretta di mano storica, quella fra Obama e Xi. (Keystone)

gli stessi ristoranti di allora: semivuoti, quasi spettrali. In parte anche questo è un’illusione ottica, l’effetto temporaneo del coprifuoco-Apec. Ma gli amici mi raccontano che lo svuotamento dei locali di lusso era cominciato prima. È un effetto della campagna anti-corruzione. Xi ha scatenato indagini e processi per colpire i suoi avversari politici. Attraverso la lotta alle tangenti ha consolidato il suo potere personale. Forse nessun altro leader dai tempi di Deng Xiaoping (il successore di Mao) aveva conquistato un controllo così assoluto sul partito comunista e sul governo. E le spese folli del ceto politico si sono calmate. La movida notturna si è un po’ spostata verso Shanghai, lontano dai palazzi del potere.

Prima di Xi nessun altro leader dai tempi di Deng aveva conquistato un controllo così assoluto sul partito Prima che Xi arrivasse al comando, circolava qui a Pechino un dettagliato tariffario delle promozioni nell’esercito. Per diventare generale bisognava investire qualche centinaio di milioni di renminbi. Che venivano poi recuperati «mangiando» sulle commesse dell’esercito. Questo sistema sembra congelato, almeno momentaneamente. I corrotti hanno paura. Un altro punto a favore dell’autoritarismo di Xi? Che sia in atto una stretta autoritaria, non c’è dubbio. Basta guardare Internet, o quel che accade a Hong Kong. Quando abitavo a Pechino, ho subìto la Muraglia di Fuoco cinese, come i dissidenti chiamano la censura online. Se

andavo a cercare su Google notizie del Dalai Lama mi comparivano solo fonti di regime che lo definiscono un terrorista al servizio dell’Occidente. Se cliccavo su Wikipedia alla voce Tienanmen lo schermo mi appariva bianco, per bloccare l’accesso alla storia del massacro del 1989. Ma riuscivo a leggere il sito del «New York Times», del «Wall Street Journal», della Reuters. Oggi non più. Bloccati, raggiungibili solo con l’uso di proxy e Vpn, cioè sofisticati sistemi che il cinese medio non usa. Il vertice Apec è stato un riassunto del «modello Xi Jinping». Accordo storico sull’ambiente, nessun passo avanti sui diritti umani. Il vertice bilaterale tra Xi e Obama si è concluso con un importante impegno per la riduzione dei gas carbonici; al tempo stesso uno schiaffo ai cittadini di Hong Kong e alla libertà di stampa. L’America ridurrà le sue emissioni carboniche del 26% o 28% entro il 2025, rispetto ai livelli misurati nel 2005, raddoppiando l’attuale velocità di riduzione. La Cina fermerà l’aumento delle emissioni carboniche entro il 2030, poi comincerà ad abbassarle. La sua produzione di energie non fossili salirà fino al 20 per cento del totale entro il 2030. Significa costruire 1000 gigawatt di capacità alternative, più di tutta la potenza installata oggi nelle centrali a carbone, e l’equivalente di tutta l’energia elettrica generata negli Stati Uniti. «Questa è una pietra miliare – ha sostenuto Obama – un punto di svolta nelle nostre relazioni. Questo accordo dimostra che cosa è possibile realizzare, quando decidiamo di collaborare insieme per affrontare un’emergenza comune. Un terzo di tutte le emissioni carboniche nell’atmosfera, le generiamo nelle nostre due economie». Obama si era insediato da soli die-

ci mesi alla Casa Bianca, quando subì uno smacco al vertice di Copenaghen sull’ambiente nel dicembre 2009. All’epoca, il suo tentativo di coinvolgere Cina e India in un nuovo trattato internazionale (la continuazione di Kyoto) fu respinto dalle potenze emergenti. I cinesi e gli indiani opposero un rifiuto di principio: non volevano vincolarsi a impegni internazionali, per risolvere un problema creato prima di tutto dai paesi ricchi, di antica industrializzazione. Rifiutavano di mettersi sullo stesso piano dell’Occidente, dati gli immensi bisogni di sviluppo delle loro popolazioni. Il secco no di Cindia si saldò con il «negazionismo» della destra Usa sul cambiamento climatico, e l’agenda ambientalista di Obama subì una battuta di arresto. Il messaggio lanciato ai cinesi in questi anni alla fine è stato raccolto: fissare degli obiettivi di riduzione di CO2 non è una concessione all’Occidente, è una pressante necessità per la stessa Cina, per la sua sicurezza, per la salute dei suoi abitanti. Molto meno felice è stato il dialogo Usa-Cina sui diritti umani. Nella conferenza stampa finale, Xi ha respinto le osservazioni di Obama sulle proteste democratiche a Hong Kong: «Affari interni, non interferite, noi difendiamo la legge e l’ordine contro i manifestanti di Occupy Central». L’inviato del «New York Times» ha chiesto conto delle numerose vessazioni contro la stampa: visti negati, siti oscurati. Xi ha reagito a muso duro: «Chi è la fonte dei problemi deve risolvere questi problemi». In altri termini, chi è causa del suo male, pianga sé stesso. L’interpretazione è chiara. L’oscuramento dei siti di «New York Times», «Wall Street Journal» e Bloomberg, scattò dopo alcuni reportage sulle ricchezze private della nomenklatura comunista, inclusa la famiglia di Xi. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Politica e Economia

Gli italiani sotto la Chiesa Cattolici Il rapporto fra Belpaese e Vaticano è complesso e contraddittorio: i pontefici e la curia

hanno sempre manifestato la tendenza a trattare la Nazione italiana da colonia

Per Montanelli gli italiani sono i cattolici più trasgressivi del Pianeta. (Keystone)

Alfio Caruso «Libera Chiesa in Libero Stato» era la formula coniata da Charles de Montalembert, che divenne il mantra di Cavour, forse il più brillante statista italiano, la cui morte prematura ha contribuito ad azzoppare il Paese fin dall’inizio. Cavour era di cultura francese – non a caso l’unico al suo livello, cioè De Gasperi, era anch’egli d’importazione essendo di cultura asburgica – quindi si era rivolto a un pensatore contiguo per spiegare quali dovevano essere i rapporti con l’ingombrante vicino, la Chiesa, il cui Stato occupava quasi un quarto del territorio nazionale e fu in grado di ritardare per quasi un decennio l’acquisizione di Roma.

Il pensiero cavouriano costituisce la base dei rapporti fra Nazione e Vaticano. Purtroppo la formula ebbe scarsa attuazione La stella cometa del pensiero cavouriano costituisce, dall’approvazione del Concordato, la base dei rapporti fra la Nazione e il Vaticano, l’erede dello Stato papalino. Purtroppo la formula ha avuto scarsa attuazione: i pontefici succedutisi sul trono di Pietro e la potentissima curia capitolina hanno spesso manifestato la tendenza a trattare l’Italia da colonia. Sul suo capo sono piovuti ammonimenti e intimazioni: è avvenuto il tentativo di trasformare la morale e i precetti cattolici nella morale e nei precetti di tutti gl’italiani. Si ricorda il rifiuto di un parroco di battezzare il figlio di una coppia di conviventi o la negazione della comunione a una «concubina».

La risposta a tanta intolleranza è stata una netta divisione tra la forma e la sostanza, tra l’apparire e l’essere, tra l’andare a messa con la moglie e a teatro con l’amante. Un equivoco al quale hanno continuato a prestarsi le alte gerarchie ecclesiastiche. In tempi recenti hanno accettato che a rappresentare le loro idee fosse Silvio Berlusconi, un collezionista di famiglie e di conquiste femminili, prima ancora di scoprire la sua passione per le giovanissime, la sua propensione a remunerare quante concedevano le proprie grazie. Lo stesso Berlusconi, che, fiutato il vento, apre ora le porte alle unioni gay secondo il modello tedesco. Relegato all’opposizione e con un partito in disfacimento, l’ex mattatore si mette al vento contro gli antichi alleati clericali nella speranza di non essere travolto dall’attuale ondata di tolleranza e permissivismo. A favorirla, i guai pedofili della Chiesa e le inattese aperture di papa Francesco. Malgrado l’ostracismo di una parte del Sinodo, le parole di comprensione sui divorziati, sulle coppie di fatto, sugli omosessuali hanno spezzato l’ipocrisia dominante. Per mezzo secolo gli amanti del compromesso a ogni costo hanno immaginato che le avventure a lieto fine di don Camillo e del sindaco catto-comunista Peppone, inventate dal genio di Giovannino Guareschi, fossero applicabili all’intera Penisola. Gli abitanti del Belpaese entravano in chiesa, onoravano i sacramenti, però coltivavano con passione i vizi privati. Montanelli diceva: «Gli italiani sono i cattolici più trasgressivi del Pianeta». Potremmo aggiungere che credono in Dio, ma soprattutto credono nella propria visione comoda dell’esistenza, alla quale tentano di adattare quella fede religiosa, che viene inculcata loro dal giorno del battesimo. Ma anche l’atto d’inizio della militanza cattolica risulta in crisi: soltanto il 61% dei genitori ha già provveduto,

l’11% afferma che in coerenza con il proprio credo non l’ha fatto, il restante 28% è indeciso. Numeri in forte controtendenza rispetto a pochi anni addietro: nel 2007 erano battezzati oltre 56 milioni d’italiani, quasi il 98% della popolazione. 75 cittadini su 100 si definiscono cattolici, ma fra loro solo 22 si ritengono «decisamente praticanti» e addirittura 36 pensano che «si possa vivere bene anche senza Dio». Tra i 20 milioni, che almeno una volta l’anno vanno a messa, un terzo appartengono ad associazioni legate al clero rappresentato da 227 diocesi, 25’000 parrocchie, 48 cardinali, 500 vescovi, 38’000 sacerdoti, 22’300 religiosi, 16’740 religiose, 102’739 catechisti, 25’000 docenti di religione cattolica. Tuttavia per la prima volta traspaiono i veri sentimenti di larghe fette della popolazione: il dato più rilevante proviene dalla costante diminuzione delle nozze religiose. Nel 2013, per la prima volta il numero dei matrimoni è sceso sotto quota duecentomila. Sono stati infatti celebrati in Italia 194.057 matrimoni (13.081 in meno rispetto al 2012). Ancora un forte calo, dunque, in linea con l’accentuarsi della tendenza alla diminuzione in atto dal 2008: circa 53 mila nozze in meno negli ultimi 5 anni. Di questi le unioni civili oscillano sul 40 per cento: al Nord e al Centro hanno superato i matrimoni religiosi, al 55 e al 51 per cento, mentre nelle Isole è al 31% e al Sud al 24%. In vetta Genova seguita da Livorno, Massa Carrara, Trieste, Bolzano, Ferrara, Grosseto, Udine. Persino a Roma, cioè la capitale mondiale della cattolicità, si registra la prevalenza del matrimonio civile, 55 per cento. Nel 13% degli oltre 80’000 matrimoni civili almeno uno dei contraenti è un divorziato. Ha quindi approfittato della legge introdotta in Italia nel 1975 dopo un referendum per abolirla, che

divise il Paese e accese gli animi. La Dc schierò in prima fila quelli che allora erano definiti i suoi «cavalli di razza», Amintore Fanfani e Aldo Moro. Cardinali, vescovi, parroci spesero ogni energia, l’unico a non eccedere fu il papa Paolo VI. Si prevedeva che i fedeli non avrebbero tradito com’era già avvenuto nel 1948 allorché avevano dovuto scegliere tra il Pci e la Dc. Calcoli completamente sbagliati. Gl’italiani potevano seguire le indicazioni dal pulpito quando c’era in gioco il proprio destino pubblico, tuttavia essendoci quella volta in gioco il proprio destino privato non ebbero dubbi. Ma se il divorzio è ormai una pratica accettata, non così accade con l’aborto, che fin quando non è stato legalizzato ha prodotto morti su morti, soprattutto fra le donne povere costrette a rivolgersi a praticone all’opera dentro ambienti privi dell’igiene più elementare. Per contrastarlo il Vaticano ha molto puntato sull’obiezione di coscienza dei ginecologi: 2 su 3, ai quali vanno aggiunti la metà degli anestesisti e il 45% del personale non medico. In alcune regioni, come Molise e Basilicata, i tassi di obiezione tra i ginecologi raggiungono il 90% e tra gli anestesisti l’80%. In uno degli ospedali più importanti d’Italia, il Gemelli di Roma collegato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, risultano tutti obiettori: medici, anestesisti, infermieri. Pochi giorni addietro due deputate del Pd si sono rivolte all’ambulatorio medico della Camera per avere prescritto la «pillola del giorno dopo». Da quest’anno, però, l’ambulatorio è gestito dal Gemelli, che si è aggiudicato l’appalto per 500 mila euro: la risposta è stata un secco no a entrambe le parlamentari. Un caso limite, che ha avuto il merito di accendere un faro sullo scontro tra la libertà di chi chiede l’applicazione della legge e di chi si rifiuta per motivi religiosi. Situazione appena differente in un altro

dei grandi policlinici romani, il Pertini: soltanto 3 ginecologi accettano di compiere le interruzioni di gravidanza, circa 80 al mese. Nel 2013 gli aborti sono stati 102’644, in calo del 4,2% rispetto al 2012. A questi si sommano quelli clandestini, una piaga che pare impossibile estirpare: circa 20 mila. Paradossalmente se da un lato le scelte della Chiesa combattono la rinuncia volontaria alla vita umana, dall’altro lato combattono pure chi vuol mettere al mondo un bambino attraverso la fecondazione assistita. Sotto la spinta di parecchi settori ecclesiastici il governo Berlusconi approvò nel 2004 la legge 40: oltre a vietare la fecondazione eterologa limitava pesantemente anche quella tra coniugi. Com’era successo con divorzio e aborto, è incominciata una dura contrapposizione capace di superare gli steccati fideistici. Cattolici di ogni tipo – praticanti, tiepidi, indifferenti – ebrei, protestanti si sono trovati accanto ad atei, agnostici, buddisti nel rivolgersi ai tribunali per chiedere il rispetto dei propri diritti senza dover ricorrere al «turismo procreativo» in Europa. Dal 2007 i tribunali hanno smantellato l’impianto della legge. Lo scorso aprile la sentenza della Cassazione l’ha in pratica abolita sancendone l’infondatezza. D’altronde per gl’italiani di ogni credo diventa difficile prendere sul serio le indicazioni che piovono da San Pietro avendo tutti i giorni davanti agli occhi comportamenti assai discutibili degli stessi appartenenti alla Chiesa. L’ultimo esempio proviene dalla diocesi di Albenga, dove per anni il vescovo ha coperto le abitudini alquanto singolari di molti suoi parroci. Alcuni sono accusati di adescamento minorile, altri di essersi impossessati delle offerte e di crocifissi d’argento; uno è stato denunciato dal marito di una parrocchiana sottoposta a corte troppo insistita, un altro ha postato le proprie nudità su Facebook.



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Politica e Economia Notizie dal mondo

Libici con il ritratto del generale Haftar, autore dell’Operazione Dignità voluta per contrastare i terroristi islamici. (AFP)

Missione impossibile? Libia L’inviato speciale dell’Onu Bernardino Leon dovrà tentare di trovare una soluzione,

ma la situazione sta precipitando in un baratro di anarchia e attentati

Marcella Emiliani Nessuno di questi tempi invidia Bernardino Leon, inviato speciale dell’Onu nonché capo in testa dell’Usmil ovvero l’United Nations Support Mission in Libya. La missione che gli è stata affidata, infatti, è davvero molto ardua: dovrebbe tentare di imbastire un dialogo tra le varie fazioni e milizie in lotta nell’ex feudo di Gheddafi al fine di trovare un terreno d’intesa che possa preludere alla pace. La Libia rischia di diventare uno Stato fallito e già ora l’anarchia vi regna sovrana. Dunque è urgente avviare trattative che la salvino dal baratro in cui sta precipitando. Ci ha provato prima lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, senza risultati. Ora è il turno di Leon, reduce da un viaggio in Tripolitania e Cirenaica avvenuto sullo sfondo di una catena di attentati terroristici che non fanno certo ben sperare.

Il fallimento dello Stato avviene non solo a causa della guerra civile, ma anche per la moltiplicazione di istituzioni sempre più deboli Il 9 novembre, quando Leon ha incontrato uno dei quattro primi ministri che si sono avvicendati in carica nel 2014, Abdullah al-Thinni, due bombe sono scoppiate in una cittadina dell’Est del Paese, Shahat. Armi e ordigni hanno taciuto l’11 novembre quando ha incontrato a Tripoli lo speaker del Congresso generale nazionale, il predecessore dell’attuale parlamento (o Camera dei rappresentanti) eletto il 25 giugno scorso. Ma già il 12 novembre la piedigrotta riprendeva in tutto il suo furore: scoppiavano due auto-bomba, una a Tobruk, l’altra all’aeroporto al-Abraq di Bayda, sempre nell’est del Paese, con un bilancio complessivo provvisorio di almeno 10 morti e una trentina di feriti. Le due cittadine non sono state scelte a caso. Tobruk – ritenuta più tranquilla della tormentata Tripoli – da agosto è diventata sede del parlamento eletto il 25 giugno, parlamento che il 6 novembre scorso è stato dichiarato

illegale dalla Corte Suprema di giustizia di stanza a Tripoli con motivazioni assai fumose. A Bayda invece lavora l’Assemblea costituente, incaricata – appunto – di redigere la nuova Costituzione. La doppietta di attentati è stata attribuita dal portavoce dell’esercito libico, Mohammed Hegazi, ai jihadisti di stanza a Derna, sempre in Cirenaica. Jihadisti che hanno apertamente fatto professione di obbedienza al califfo alBaghdadi dell’IS o Isis, lo Stato islamico installatosi in Siria e Iraq, e che dell’Isis hanno fatto proprio il modus operandi e il sistema di propaganda tristemente efficace. Hanno proclamato Derna Califfato islamico e l’11 novembre scorso, sempre a Derna, hanno fatto ritrovare i corpi senza testa di due attivisti dei diritti umani che erano stati sequestrati all’inizio del mese da Ansar al-Sharia che nella cittadina ha la propria roccaforte dalla rivolta contro il regime di Gheddafi del 2011. Ansar al-Sharia di Libia è creatura di Abu Sufian bin Qumu che – come al Baghdadi dell’Isis – è stato «ospite» del carcere di Guantanamo a Cuba. Ansar, che ha propaggini in Tunisia, Algeria e come un ectoplasma crea e disfa cellule in tutto il Maghreb, in Libia è affiliata al fronte Alba libica, la grossa coalizione di milizie islamiste radicali che si è formata per contrastare l’Operazione Dignità, cioè l’offensiva orchestrata dal generale Khalifa Belqasim Haftar fin dal maggio scorso per spazzar via tutte le formazioni terroristiche islamiche. Ma su questa contrapposizione di fronti, torneremo tra breve. Quello che ci interessa sottolineare ora è che in Libia oggi il galoppante fallimento dello Stato avviene non solo con l’incancrenirsi della guerra civile, ma anche attraverso la moltiplicazione di istituzioni sempre più deboli, esattamente come è successo in Somalia. Per riassumere, esistono infatti tre parlamenti e due governi che si delegittimano a vicenda, anche senza l’intervento della Corte suprema di giustizia. A Tripoli è ancora insediato il parlamento più vecchio, il Congresso generale nazionale, eletto il 7 luglio 2012 che avrebbe dovuto sciogliersi dopo l’elezione del nuovo il 25 giugno 2014, ma non l’ha fatto. Nel parlamento del 2012 – quello di Tripoli – la maggioranza è tutt’oggi rappresentata da esponenti islamici; in quello di Tobruk del 2014, invece, la maggioranza dei parlamenta-

ri è laica e gli islamici hanno conquistato solo 30 seggi su 200. Ognuno dei due parlamenti si è dotato di un «proprio» governo. La comunità internazionale, con l’Onu in testa, ha ufficialmente riconosciuto il parlamento di Tobruk ed è rimasta doppiamente spiazzata quando la Corte Suprema lo ha messo fuorilegge. Non dimentichiamo poi il terzo parlamento cioè l’Assemblea costituente che lavora a Bayda.

In questa guerra civile si contrappongono il Fronte del generale Haftar e quello dell’Alba libica, l’insieme delle milizie islamiche radicali La sola contrapposizione islamici-laici o tripolitani-cirenaici non è però sufficiente a spiegare la natura della guerra civile libica perché vi giocano pesantemente anche gli interessi esterni, le affiliazioni tribali locali e gli interessi economici legati all’unica industria produttiva del Paese ovvero l’industria petrolifera. Se la Cirenaica – l’Eldorado petrolifero – si separasse dalla Tripolitania e dal Fezzan, queste rimarrebbero letteralmente senza entrate e – Islam o non Islam – sarebbero spinte a combattere ancora più duramente per avere una fetta di controllo sugli introiti del greggio. In questa situazione estremamente ingarbugliata è evidente che la Libia non riesce più a mediare le proprie spinte contrastanti all’interno delle istituzioni. La contrapposizione ormai è affidata alle armi e allo scontro tra i due fronti in cui si è polarizzata la guerra civile: il fronte dell’Operazione Dignità del generale Haftar che ha aggregato l’Alleanza delle Forze Nazionali e il fronte Alba libica (Fajr Libya) che si è costituito il 13 luglio scorso per contrastare l’offensiva di Haftar. Il 13 luglio gli islamisti di Alba libica hanno assalito l’aeroporto internazionale di Tripoli (caduto nelle loro mani il 23 agosto), aeroporto che fin dalla rivolta contro Gheddafi del 2011 era controllato dalle brigate Qaaqaa e Sawaq legate alla tribù degli al-Zintan della città omonima e alleate di Haftar. Il loro scopo era anche sostenere il vecchio par-

lamento, il Congresso generale nazionale, contro il parlamento eletto in giugno in cui – ripetiamo – la maggioranza non è islamica. Ancora in luglio, il 29, Ansar alSharia ha conquistato la base di Buatni a Bengasi, caduta nelle mani del fronte Dignità, che da allora fatica a contrastare gli attacchi multipli di Alba libica e non riesce nemmeno più a controllare la capitale, Tripoli, dove gli islamisti hanno dalla loro anche la Brigata di Misurata. Particolare non certo secondario nella battaglia di Tripoli, iniziata il 13 luglio, è intervenuta l’aviazione degli Emirati arabi uniti nel tentativo di dar man forte ai cosiddetti moderati dell’Alleanza delle Forze Nazionali di Haftar, senza ottenere risultati apprezzabili. Gli Emirati, l’Arabia Saudita e l’Egitto si sono infatti schierati col generale, mentre Alba libica è sostenuta dal duo Qatar-Turchia che, nello scontro tutto intra-sunnita in corso a livello regionale, non hanno mai mollato la Fratellanza musulmana e gli islamisti radicali. Da Tobruk la Camera dei rappresentanti ha cercato di dare una mano nei limiti delle proprie possibilità. Ha riconfermato in carica il primo ministro al-Thinni che si era dimesso il 29 agosto, mentre a Tripoli il Congresso generale nazionale sta lavorando a un governo di emergenza che – su pressione degli islamisti di Alba libica – dovrebbe avere come premier Omar al-Hasi notoriamente legato alla Fratellanza musulmana. È infatti legata alla Fratellanza la maggior parte delle milizie che hanno aderito ad Alba libica: la Milizia Scudo Libica già alleata della Brigata di Misurata e presente anche a Bengasi, Khoms e Tripoli; il Nucleo operativo dei rivoluzionari libici (meglio noto con la sua dicitura inglese Libya Revolutionaries Operations Room) che dal 2011 al 2013 è stato ambiguamente legato al Ministero della Difesa; la Brigata Tripoli, attiva soprattutto nella Libia occidentale e il Consiglio della Shura dei rivoluzionari di Bengasi che a sua volta include la ben nota Ansar al-Sharia (oggi il gruppo meglio armato e più numeroso che conta anche migliaia di jihadisti stranieri provenienti da tutto il Maghreb) e il Battaglione 17 febbraio, la Brigata Rafallah Sahati e la Brigata Scudo della Libia 1, tutti e tre basati a Bengasi. Come potrà il solo Leon avere ragione di questo covo di vipere? L’Occidente tutto,infatti, si è letteralmente fatto di nebbia.

Obama ammette: sbagliata la strategia in Siria Il presidente americano Obama ha chiesto al team della Sicurezza nazionale di rivedere la politica Usa verso la Siria, dopo aver realizzato che l’Isis potrebbe non essere sconfitto senza una transizione politica nel Paese e la destituzione del presidente Bashar al-Assad. Lo riferisce la Cnn che cita alcuni funzionari. La revisione chiesta da Obama è una tacita ammissione che la strategia iniziale di tentare di contrastare l’Isis senza concentrarsi anche sulla deposizione di Assad è stata errata. «Il problema del lungo regime in Siria è ora aggravato dalla realtà che per sconfiggere davvero l’Isis, abbiamo bisogno non solo di una sconfitta in Iraq, ma di una sconfitta in Siria», hanno spiegato i funzionari della Sicurezza. Ad ottobre, gli Usa hanno sottolineato che la «strategia in Iraq» per contrastare i jihadisti era una priorità e le operazioni in Siria servivano per agevolare questa condizione in Iraq. Washington sperava di avere tempo di addestrare e armare i ribelli siriani moderati per combattere l’Isis e solo dopo il regime di Assad. Ma con l’esercito siriano libero – la forza militare che ha guidato la ribellione contro Damasco, considerata una forza laica – che combatte su due fronti (da una parte le forze di Assad e dall’altra gli estremisti dello Stato islamico e di gruppi come alNusra) i funzionari hanno ammesso che quella strategia non è più sostenibile. Passo avanti fra Cina e Giappone Dopo due anni di forti tensioni per alcune dispute territoriali, lunedì scorso il presidente cinese Xi Jinping e il primo ministro giapponese Shinzo Abe si sono incontrati e si sono stretti la mano (foto) durante l’incontro della Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica (Apec) organizzata dalla Cina a Pechino. Mentre si sono salutati, i due leader sono apparsi visibilmente a disagio, ma l’incontro è comunque un importante passo avanti per migliorare i rapporti tra i due Paesi, storicamente molto complicati a causa di guerre e numerose rivendicazioni. Il disaccordo tra i rappresentanti dei due Paesi resta comunque alto. Mentre lo salutava, Abe ha provato a scambiare qualche parola con Xi, ma il presidente cinese lo ha sostanzialmente ignorato senza dargli molto spazio. Negli ultimi due anni il governo della Cina e quello del Giappone hanno trovato nella contesa territoriale di alcune isole nel mar Cinese Orientale una possibilità di sfogo. Le isole in questione sono chiamate Diaoyu dai cinesi e Senkaku dai giapponesi: sono controllate formalmente dal Giappone, ma la Cina ne rivendica la sovranità. Si trovano in un tratto di mare importante per le rotte commerciali, e intorno a loro ci sono punti molto pescosi e si pensa anche alcune riserve di petrolio. La Cina sostiene che il controllo delle isole dovrebbe spettare al suo governo, perché furono sotto il dominio cinese per lunghissimo tempo prima del loro passaggio al Giappone.


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Keystone

Politica e Economia

Aziende straniere in calo in Svizzera Scenari futuri Ostacoli all’accesso al mercato

europeo e altre incertezze inducono molte imprese estere a lasciare il nostro Paese Ignazio Bonoli

Gli uomini alle armi, le donne capofamiglia Prima guerra mondiale A colloquio con la storica Heidi Witzig

sul ruolo che svolsero madri e figlie per salvaguardare il fronte interno e la sopravvivenza della famiglia. Un compito svolto con molti sacrifici che non valse però alcun riconoscimento o diritto politico Luca Beti Il 28 luglio 1914 le campane suonano a stormo. È scoppiata la guerra in Europa. Pochi giorni dopo, anche la Svizzera chiama alle armi i suoi uomini. Imbracciato il fucile e indossata l’uniforme blu, i mariti, i capifamiglia, gli operai sono ora soldati al servizio della patria. A casa lasciano sorelle, madri, mogli e figli. «Lo scoppio della Prima guerra mondiale è una catastrofe per molte famiglie perché ha inizio per loro un periodo gravido di privazioni, sofferenze e insicurezza», ci illustra la storica Heidi Witzig. «In campagna non mancano solo le braccia, ma anche i cavalli, requisiti dall’esercito. Le contadine si devono occupare da sole dei campi e degli animali. In città, alle famiglie viene improvvisamente a mancare il salario degli uomini che sfama tutti, dai figli ai nonni. Nel 1914 non c’è ancora un’indennità per perdita di guadagno per i militari in servizio». Le autorità svizzere sono impreparate al blocco delle importazioni e a una guerra combattuta sul fronte dell’approvvigionamento. La guerra economica si ripercuote sul prezzo dei beni di prima necessità, costo che subisce un’impennata. Prima dello scoppio del conflitto, un chilo di pane costa 34 centesimi di franco, quattro mesi dopo, nel dicembre 1914, il suo prezzo è già di 46 centesimi, nel 1918 tocca i 75 centesimi. Il Consiglio federale interviene con titubanza, ricorrendo a restrizioni, contingentamenti, provvedimenti agricoli e solo nel 1917 introduce il razionamento su alcuni prodotti. Nel corso del conflitto, oltre ai prezzi, anche i salari aumentano, ma in maniera minore, cosicché l’inflazione comporta una flessione nella busta paga del 25-30 per cento. Il mancato intervento dello Stato getta nella più nera miseria la popolazione dei ceti medio-bassi, favorendo nel contempo gli speculatori e i contadini che approfittano del rincaro. Alla fine del 1918, circa 700’000 persone, ossia il 18,5 per cento della popolazione svizzera, quota che nelle grandi città tocca addirittura il 25 per cento, ricorre a forme di aiuto straordinario, come generi alimentari a prezzo ridotto o pasti nelle mense sociali. «Il divario economico tra gli abitanti della città e quelli della campagna, così come tra l’alta borghesia e il resto della popolazione, si allarga nel corso del conflitto. Le famiglie abbienti conducono una vita normale, senza alcuna privazione. Queste ultime fanno

capo ai loro canali di approvvigionamento eludendo così il razionamento», ricorda Witzig, profonda conoscitrice delle questioni femminili e della vita quotidiana nel secolo scorso. Per limitare le conseguenze sociali della guerra, lo Stato crea mense, distribuisce viveri e combustibili a prezzi ridotti, ma il suo intervento è insufficiente. Le autorità affidano il compito all’opera di associazioni benefiche, quali la Società femminile svizzera di utilità pubblica, che sul piano locale si organizza in centri femminili. «Il loro compito principale consiste nel procacciare lavoro alle donne disoccupate o alle mogli dei soldati in servizio. Le donne lavorano a maglia o cuciono per l’esercito. I centri femminili si occupano di un ampio ventaglio di servizi: organizzano corsi di cucina per insegnare ricette semplici a causa della scarsità dei prodotti, a seccare la frutta, a coltivare la verdura in giardino e collaborano nella distribuzione delle tessere del razionamento o fungono da consulenti in vari ambiti, da quello educativo a quello del buoncostume», spiega la storica di Winterthur. Se a beneficiare del sostegno di queste strutture sono soprattutto persone appartenenti agli strati sociali medio-bassi, a far parte dei centri femminili sono per lo più donne di estrazione alto-borghese, a volte sono figlie o mogli di ricchi banchieri o padroni di fabbrica, che si sentono in obbligo di prendersi cura del fronte interno. Sulla frontiera agisce invece un’altra associazione, la Società femminile per il benessere dei soldati (oggi SVService), fondata nell’autunno del 1914 da Else Spiller, «una donna con un talento organizzativo fuori dal comune», come sottolinea la storica Witzig. Nascono così le Soldatenstuben, le cosiddette case del soldato, in cui, nel tempo libero, i militari trovano cibi e bibite a prezzi modici, possono giocare, cantare, leggere o scrivere a casa, senza essere obbligati a consumare qualcosa. Sono un’alternativa analcolica ed economica alle osterie. Alla fine del conflitto, si contano circa 1000 simili ritrovi per i soldati, gestiti, di regola, da donne attempate e nubili. Tuttavia, a essere ricordata ancora oggi è una giovane donna, la piccola Gilberte, protagonista nel film di propaganda svizzero del 1941, Gilberte de Courgenay, che trasforma questa ragazza del Giura in una figura leggendaria. «Le Soldatenmutter sono proprio il contrario di Gilberte», illu-

stra ancora Heidi Witzig. «Oltre a servire caffè, tè, cioccolata calda, attaccare un bottone ai soldati, offrono loro una spalla su cui piangere o un orecchio a cui confidare le proprie preoccupazioni. Ma sono anche mamme severe che, quando serve, sanno redarguire chi ha dimenticato le buone maniere o il buoncostume». Sul fronte interno, oltre alle già citate società femminili di utilità pubblica, altre organizzazioni operaie e della sinistra, nonché alcune sezioni svizzere della Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà promuovono in varie città azioni contro la fame, il rincaro o in favore della pace. Per esempio, nell’estate del 1918, a Zurigo scendono in piazza 10’000 donne: protestano contro il prezzo del latte davanti alla sede del parlamento cantonale. «Soprattutto le famiglie di città soffrono a causa dell’aumento dei prezzi dei generi alimentari di prima necessità, come il pane, i latticini, la carne, le patate. In collaborazione con le centrali femminili, le donne delle associazioni della sinistra svolgono compiti di controllo dei prezzi della merce venduta nei mercati o verificano che gli operai delle fabbriche ricevano un salario equo», ricorda la storica. Durante la guerra, le donne dimostrano capacità organizzative e abilità imprenditoriali fino ad allora nascoste e inaspettate. Se gli uomini difendono i confini nazionali, le donne gestiscono il fronte interno. «Rimaste da sole a casa, hanno fatto in modo che la famiglia e la società funzionassero come nei periodi di pace. E hanno svolto questo compito in maniera eccellente. Con il ritorno dal fronte dei mariti, dei padri, dei figli, le donne si sono fatte da parte e la suddivisione classica dei ruoli è stata ristabilita», conclude Heidi Witzig. «Chi si aspetta un po’ di rispetto sotto forma di maggiori diritti politici rimane delusa. I riconoscimenti arrivano una ventina d’anni dopo, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale: la patria ha di nuovo bisogno delle donne sul fronte interno. Questa volta però, per evitare che le donne acquistino troppa autonomia, lo Stato mette un uomo a capo delle organizzazioni femminili. Giocare alla Stauffacherin (figura leggendaria e moglie di Werner Stauffacher, uno dei presunti tre confederati del Grütli, ndr.) non è stato pagante per la donna che ha dovuto attendere più di cinquant’anni prima di ottenere il diritto di voto dagli uomini».

Il grafico con il quale la «Neue Zürcher Zeitung» accompagna l’analisi congiunturale del mese di ottobre evidenzia un’evoluzione che comincia a destare qualche preoccupazione: il numero di aziende straniere diminuisce sensibilmente negli anni che vanno dal 2008 al 2013. Ancora più sensibilmente diminuisce il numero di lavoratori occupati da queste aziende. Questi ultimi, dopo aver toccato la punta massima di quasi 2500, sono scesi a 1000 nel 2013. Di questa evoluzione – ma soprattutto delle sue cause – si è occupato anche il direttore della Camera di commercio del canton Ticino, Luca Albertoni, che nel contempo è anche presidente delle Camere di commercio svizzere. Albertoni constata infatti il crescere di un clima poco favorevole alle aziende e all’economia in generale. Questa evoluzione è dovuta in particolare al peggioramento delle condizioniquadro entro cui operano le aziende, che si sentono insicure e quindi rinunciano spesso a nuovi investimenti. Ne soffre la concorrenzialità e per finire anche il numero di posti di lavoro. Tra i fattori che maggiormente influiscono su questa evoluzione vi sono le concessioni unilaterali che la Svizzera fa sempre più spesso ad altri Paesi, talvolta anche senza esserne sollecitata e che sono la causa di strategie a breve scadenza e quindi spesso mutevoli. Frequenti nuove regole sulle condizioni operative ostacolano la strategie di lunga durata, mentre lo Stato tende a comportarsi in modo sempre più dirigistico e antiliberale. Tra gli esempi più recenti Albertoni cita la riforma III della tassazione delle imprese, la revisione della Legge sulla pianificazione del territorio e le molteplici iniziative, tra le quale quella contro l’immigrazione massiccia, quella sulle residenze secondarie, l’iniziativa Minder e quella in votazione il 30 novembre, in particolare Ecopop e l’abolizione dei forfait fiscali. Il direttore della Camera di commercio è preoccupato anche per la situazione particolare del Ticino, caratterizzata da un numero elevato di aziende italiane che vengono nel cantone e dal conseguente numero crescente di frontalieri, situazione che anche il governo cantonale starebbe affrontando in modo poco opportuno per l’economia. Posizioni che però ottengono anche autorevoli conferme sul piano nazionale, non da ultimo con le cifre che concernono le aziende straniere. Nell’analisi citata, all’inizio sono stati interpellati vari promotori delle economie regionali. Il quadro che ne esce non è certo dei più rassicuranti. Nella grande area economica, che fa capo a Zurigo e comprende anche i cantoni di Glarona, Grigioni, Sciaffusa, Svitto, Soletta e Zugo, da gennaio a giugno 2013, si erano installate ben 37 aziende straniere. Nella prima metà del 2014 erano invece soltanto 26. La domanda dall’estero non è quindi più

Luca Albertoni, presidente della Camera di commercio ticinese e di quelle svizzere. (rsi.ch)

intensa come lo scorso anno. Dopo il voto del 9 febbraio, un certo numero di aziende è chiaramente in attesa dell’evoluzione, mentre un’azienda californiana, che voleva insediare in Svizzera il proprio centro decisionale per l’Europa, vi ha rinunciato. Un’evoluzione analoga viene rilevata anche nella regione di Basilea, che finora era molto attraente per aziende ad alta tecnologia. Anche nel canton Zugo si registra una crescente incertezza, mentre nascono preoccupazioni anche per gli effetti della riforma della tassazione delle imprese. La soppressione dei privilegi fiscali concessi da alcuni cantoni potrebbe incidere sensibilmente sulle finanze dei cantoni che maggiormente contribuiscono alla perequazione finanziaria intercantonale. In queste regioni si fa sempre più impellente la necessità di un chiarimento circa la futura applicazione dell’iniziativa sull’immigrazione di massa. Se da un lato non si temono i contingenti eventuali, pur temendo un insufficiente arrivo di personale altamente qualificato, dall’altro si teme invece soprattutto il peggioramento dei rapporti con l’UE. Un accesso privilegiato al mercato europeo viene considerato un fattore determinante per i futuri insediamenti. Si fa anche notare, tra i promotori locali, che la concorrenza da parte dei loro omonimi, soprattutto in Gran Bretagna, Irlanda, Olanda e Singapore, si è parecchio intensificata, sfruttando le difficoltà create in Svizzera per la mano d’opera e per il clima fiscale. Vi sono però regioni, come quella tra Berna e Ginevra, che non risentono ancora di questi effetti. Nel 2013 hanno registrato una cinquantina di nuovi insediamenti già a fine agosto. Si è constatato un minore interesse da parte americana, ma sono arrivate ditte dalla Russia, dalla Cina, dalla Romania e dall’Australia. Secondo la Conferenza dei direttori cantonali dell’economia, questo sviluppo non rientra nel trend nazionale. Nel 2012, i nuovi arrivi sono diminuiti in media del 20 per cento e il numero di posti di lavoro offerti del 45 per cento. Anche nel 2013, la diminuzione è del 5 per cento delle aziende e dell’11 per cento dei posti di lavoro, mentre quest’anno si dovrebbe assistere a una stabilizzazione della tendenza. Accanto a fattori quali la forza del franco, le incertezze congiunturali e la concorrenza internazionale, oltre a decisioni interne al mercato svizzero, preoccupa il fatto che – per esempio – le aziende che hanno o vogliono lasciare la Svizzera producono un volume d’affari maggiore di quelle che arrivano. Così le ditte che si occupano di consulenze si sono viste aumentare le richieste di studi preparatori per l’immediato futuro, spesso a causa dell’accordo OCSE per la tassazione degli utili delle multinazionali. Questo potrebbe provocare concentrazioni che favoriscono i grandi mercati nazionali, rispetto a quelli di Paesi più piccoli e generalmente più costosi.


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Politica e Economia

Eppur conviene! La consulenza della Banca Migros

Albert Steck Con i tassi così bassi il risparmio diventa sempre meno interessante. Che cosa succede, dunque, se per ora interrompo i versamenti nel terzo pilastro?

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Attualmente la Banca Migros paga l’1,25 percento d’interesse sul conto di previdenza. Su una somma di 100 franchi la remunerazione annua è così di appena 1 franco e 25 centesimi. Pensare che di questi interessi si possa anche fare a meno è più che ragionevole a prima vista. Ma è sbagliato per due motivi. Prima di tutto l’effetto degli interessi composti, per quanto attenuato, è ancora presente. Ipotizziamo di versare ogni anno 3000 franchi nel terzo pilastro per i prossimi vent’anni. Gli interessi cumulati sono pur sempre di 8500 franchi (v. grafico). E grazie all’attuale assenza d’inflazione la remunerazione reale è tutt’altro che scarsa in prospettiva storica. All’inizio del 2008, per esempio, l’inflazione era superiore al tasso d’interesse del conto di previdenza. In secondo luogo il pilastro 3a consente di beneficiare di considerevoli agevolazioni fiscali. Come illustra il grafico, il rendimento può essere così incrementato oltre il 3 percento, tra l’altro senza alcun rischio di oscillazione del

capitale. Nel nostro esempio di un versamento annuo di 3000 franchi, dopo vent’anni il patrimonio raggiunge la considerevole somma di 84’200 franchi. L’effetto fiscale è stato calcolato per una persona single che vive a Basilea con un reddito netto di 80’000 franchi.

Rendimento superiore al 3 percento Franchi

–– Versamenti cumulati –– Averi con l’1,25% di interessi –– Patrimonio incl. il risparmio fiscale

Un secondo conto di previdenza consente un risparmio fiscale di 750 franchi Spesso viene dimenticato che nel terzo pilastro la deduzione fiscale vale solo per un anno. Il mancato versamento non può più essere recuperato. Interrompere i versamenti nel pilastro 3a a causa dei tassi bassi significherebbe dunque privarsi di un sicuro vantaggio. Un utile elenco di 33 consigli sul pilastro 3a è pubblicato all’indirizzo blog. bancamigros.ch. Molti dei consigli sono facilissimi da mettere in pratica: per esempio vale la pena di prelevare i capitali del pilastro 3a in modo scaglionato sull’arco di diversi anni prima del pensionamento (si può fare aprendo più conti e chiudendone uno ad ogni prelevamento). Ciò consente di interrompere la progressione fiscale per l’imposta sul prelievo di capitali. Nell’esempio illustrato nel grafico l’imposta si riduce

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0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 1 0 1 1 1 2 1 3 1 4 1 5 16 17 18 1 9 2 0 Anni Crescita del patrimonio con un versamento annuo di 3000 franchi nel 3. pilastro. L’esempio è calcolato per una persona single che vive a Basilea con un reddito netto di 80’000 franchi. Dati: Banca Migros

da 3050 a 2300 franchi semplicemente aprendo un secondo conto di previdenza, un lavoro da poco per un risparmio di 750 franchi. Tra l’altro, chi riduce l’onere fiscale con il pilastro 3a deve avere la coscienza del tutto tranquilla. Il fisco ha concesso queste agevolazioni consapevolmente

per incentivare il risparmio. Infatti, se la previdenza individuale è utilizzata bene, il nostro intero sistema previdenziale è ancora più solido. Attualità su blog.bancamigros.ch: 33 consigli sul pilastro 3a – come ottimizzare la previdenza. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Contraddizioni della scuola ticinese Di recente è stata pubblicata una nuova statistica sulla quota di giovani che hanno raggiunto la maturità, sul totale della popolazione in età di maturità. Riguarda il 2012. Il Ticino che, da decenni è nelle prime posizioni di questa classifica, ora la capeggia con un tasso pari al 48%. Se questi dati sono fondati, quasi la metà dei giovani ticinesi è in grado oggi di conseguire la maturità. Converrà precisare che questo effettivo è formato dai giovani con maturità liceale e da quelli con maturità professionale. Questo dato è di sicuro da considerare come un fiore all’occhiello della scuola ticinese, specie se si considera che vi sono Cantoni che, dal profilo economico vanno per la maggiore, nei quali la quota in questione non raggiunge, ancora oggi, il 30%. Per la scuola ticinese vi sono tuttavia anche indicatori che puntano in un’altra

direzione. I risultati dell’inchiesta PISA per esempio dai quali risulta sempre che gli scolari ticinesi, da qualunque punto di vista li si consideri, conseguono risultati inferiori – anche se di poco – alla media svizzera. Deboli in matematica, deboli nella lettura e deboli nelle scienze. È evidente che se vi fosse una classifica completa per Cantoni dei risultati dell’inchiesta PISA (quella che si trova nel sito dell’Ufficio federale di statistica è solo parziale) la scuola ticinese figurerebbe nell’ultimo terzo. Le informazioni disponibili indicano che i valori medi, in Ticino, sono influenzati negativamente dalla poca consistenza dei gruppi di studenti con livelli di prestazione scolastica elevati e straordinari. Stando a queste indicazioni sembrerebbe quindi che la scuola ticinese dell’obbligo persegua, come fine della formazione, l’aurea medio-

crità. A prima vista, sembra esistere in ogni modo una contraddizione tra il primo posto che il Ticino ottiene nella classifica della quota di giovani portatori di maturità (i diciannovenni) e quello, molto lontano dai primi, che gli tocca nelle inchieste PISA (che concernono gli studenti quindicenni). La contraddizione potrebbe però spiegarsi se, nell’intervallo di studi, tra i quindici e i diciannove anni, intervenisse un forte miglioramento delle prestazioni degli studenti ticinesi. Oppure se, nonostante le commissioni federali di esame, la maturità in Ticino fosse più facile da conseguire che in altri Cantoni. Si tratta di ipotesi che attendono ancora di essere verificate e confermate da studi affidabili. Per il momento la contraddizione esiste ed è difficile da spiegare. Con una quota di portatori di maturità così elevata, ci si aspetterebbe poi che il Ticino posse-

desse una quota di persone con titoli di studio del terzo livello (Politecnico, Università, Scuole tecniche superiori, Scuole universitarie professionali) molto forte. Non solo, ma che anche nella popolazione occupata nell’economia del nostro Cantone la quota di persone con titoli di studio universitari fosse importante. E invece non è così. Da anni i ricercatori del Credito Svizzero ci dicono che una delle maggiori debolezze dell’economia ticinese è data dal fatto che la quota di lavoratori con titoli di studio del terzo livello (il livello universitario) è nettamente inferiore alla media nazionale. Sulla consistenza della popolazione universitaria ticinese in sé e rispetto a quella di altri Cantoni non possiamo purtroppo dire niente perché non disponiamo dei dati di confronto. Esiste comunque una contraddizione tra il valore elevatissi-

mo della quota di portatori di maturità (48%) e il livello relativamente basso della quota di lavoratori dell’economia ticinese che detengono un titolo di studio universitario (30%, inclusi gli stranieri). Per spiegarla, bisognerebbe analizzare due fenomeni che, purtroppo, per il momento, rimangono sconosciuti. Il primo è quello dei portatori di maturità che non proseguono gli studi all’università, o non li portano a termine, e il secondo è quello dell’esportazione dei cervelli. Sul primo fenomeno non si sa molto. Che l’esportazione di cervelli – ossia di giovani con titoli di studio universitari – sia importante non vi è invece ombra di dubbio. La quota degli universitari ticinesi che emigrano per avviare la loro carriera professionale varia a seconda della situazione congiunturale. Di questi tempi, purtroppo, ha ricominciato a crescere.

tra i più deboli, noiosi e finanche retrogradi che si sia mai sentito su quel palco (palco che peraltro dovrebbe essere un trampolino: l’ultima conferenza di partito prima delle elezioni, con la possibilità di vincerle pure!). Da quel momento i laburisti hanno iniziato a preoccuparsi: questo Miliband ci fa perdere. E così sono iniziate le trame interne: due anonimi deputati sono andati alla Bbc a dire che c’è una fronda consistente che chiede le dimissioni di Miliband (sarebbe guidata da Yvette Cooper, ministro dell’Interno ombra, moglie di Ed Balls, cancelliere dello Scacchiere ombra, una donna spietata da tenere d’occhio); Miliband ha detto che non è vero niente, ma nel frattempo ha rifatto da capo il suo staff elettorale, perché evidentemente nella comunicazione qualcosa non sta funzionando. Poi si è affacciata, nel chiacchiericcio da «stress test», l’ipotesi della candidatura di Alan Johnson, ex postino che ha servito in molti governi laburisti, al posto di Miliband: in poche ore però

l’interessato ha smentito, rigettando la palla nel campo dei frondisti. I quali rumoreggiano, parlano ai giornali, fanno sì che il commissariamento di Miliband arrivi a mezzo stampa, che è il modo migliore per far tremare il già tremebondo leader. Non è detto che il golpe poi vada a segno. La storia recente del Labour è costellata di tentativi, di trame, di rivalità insanabili degne di un House of Cards senza omicidi: basti pensare a Gordon Brown e il quadro è chiaro. Ma l’unico golpe riuscito è quello che ha portato a termine Miliband contro suo fratello, e questo lo rende abbastanza forte. In più non c’è un sostituto popolare, in grado di mettere insieme il partito: ci sono molte figure competenti, certo, ma non c’è un leader, e questo continua ad allungare la vita di Miliband. Così come gliel’allunga la debolezza dei conservatori: il governo di Cameron si sta impantanando in un’altra guerra sull’Europa, che spacca i Tory più di quanto spacchi i rapporti con Bruxel-

les. Alle elezioni suppletive previste per la prossima settimana l’Ukip di Nigel Farage potrebbe portare a casa un altro prezioso bottino, e questo non farebbe che indebolire il governo (indebolisce anche i laburisti, ma almeno loro stanno all’opposizione). Come ha scritto il «Wall Street Journal», Miliband è l’ultimo dei problemi del Labour. Il guaio vero è identitario: mentre la sinistra continentale prova a sperimentare nuovamente i fasti della Terza via, Miliband vuole tasse ai ricchi e tasse sulle case, con un tetto che non è così alto da lasciare immune la middle-class. Per questo gli elettori scappano – i sondaggi sono al 30 per cento, Gordon Brown perse nel 2010 con il 29 per cento dei voti – e l’unica fortuna, al momento è che non sanno bene dove andare. Nessuno ha un’agenda pro crescita forte, ma almeno il governo può rivendicare di aver rimesso in piedi l’economia. Quanto basta perché Miliband non sopravviva allo «stress test».

economicamente più fragili. Non sono quindi flussi alimentati dalla miseria, dalle guerre civili o da calamità, ma dal potere di attrazione della macchina produttiva elvetica. Il tema della «sovrappopolazione» è uno degli argomenti portanti dell’iniziativa. Evoca paure antiche, serpeggianti nei gangli della società fin dall’alba del ventesimo secolo, allorché iniziò a circolare il termine di «Ausländerfrage», la questione degli stranieri. Già allora alcune cerchie evocarono il pericolo dell’inforestierimento dei costumi e della lingua. Un’eccessiva presenza di elementi stranieri – questo il timore – avrebbe corroso l’«esprit suisse» tramandato dagli avi, spogliandolo delle sue caratteristiche genuine. L’euforia per il modernismo avrebbe inoltre intaccato il patrimonio naturale: di qui l’esigenza di «proteggere la patria» dalle influenze estere nefaste («Heimatschutz»). Questo filone «eco-politico» riemerse con forza negli anni 60 assumendo varie forme di disagio, una delle quali

prese la strada della reazione xenofoba (iniziative Schwarzenbach). Altre rimasero sotto traccia, latenti, per poi agganciarsi al nascente movimento dei verdi in lotta contro la costruzione di centrali nucleari e di nuove piazze d’armi. Ecco quindi che quest’«anima verde», originariamente di sinistra, potrebbe anche dare una mano ad Ecopop, movimento formalmente «a-partitico» ma radicato in un diffuso sentire ambientalista. In questo campo il padre nobile non è tanto Malthus quanto l’economista bretone Serge Latouche, il teorico della «decrescita» e dell’«abbondanza frugale». I libri di Latouche non mettono l’accento sull’incremento demografico (come fa Ecopop), ma sul modello di sviluppo che le società post-industriali hanno imboccato: un modello incentrato sulla crescita ad oltranza, sui consumi, sugli sprechi, sul saccheggio delle risorse naturali. E tuttavia, di fronte alla dilagante inquietudine, i due filoni potrebbero anche incrociarsi e portare voti ad un’iniziativa che offre risposte sbagliate a problemi reali.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Miliband, il leader contestato Lo chiamano lo «stress test» di Ed Miliband (foto), come se il leader del partito laburista inglese fosse una banca e gli stessero controllando i conti per capire se è abbastanza solido per affrontare le elezioni del prossimo anno. Più che di conti, in questo caso, si tratta di una conta: chi sta con Miliband? Chi lo vuole fare fuori? I numeri non si sanno, ma lo stress è alto, soprattutto dura da tanto tempo, e anche se non sembra precipitare in nulla – a parte il piagnisteo permanente che ormai accompagna ogni dichiarazione laburista, e sì che sono pure in vantaggio nei sondaggi – pesa sulla tenuta del leader. Diciamolo: Ed Miliband non è mai piaciuto granché. Ha vinto la leadership del suo partito ammazzando (politicamente) il fratello David (il quale per il trauma è andato a vivere a New York) e aprendo un conto con i sindacati, che gli hanno dato i loro voti ma poi hanno chiesto in cambio una politica, come dire, simpatetica. Non ha mai scelto, Miliband, da che parte stare: lo chia-

mano «Red Ed» perché naviga nella sinistra del Labour (che ormai non è più «New Labour», sia chiaro: è stato ammazzato anche il «new») ma cerca di corteggiare il mondo dell’impresa e del business con qualche uscita che suona quasi liberale. Questo difetto ideologico non è poi compensato da carisma o simpatia: è burbero, è introverso, è dovuto andare a lezioni di empatia, non è neppure fotogenico. Ma il colpo di grazia se l’è inferto da solo, pronunciando un discorso di chiusura della conferenza di partito, a inizio autunno,

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Le alcinesche seduzioni di Ecopop L’iniziativa Ecopop, in agenda il prossimo 30 novembre, non passerà. Almeno questo dicono i sondaggi. Se così non fosse, sarebbe una iattura. Già il Paese tutto, dal governo centrale ai cantoni, dai partiti alle associazioni di categoria, deve trovare il modo di uscire dal vicolo cieco in cui si è infilato lo scorso 9 febbraio. Figuriamoci se sul tavolo dei negoziati dovesse cadere questa ulteriore tegola: sarebbe la fine, un groviglio inestricabile. L’Ecopop è un’iniziativa insidiosa, a suo modo non priva di elementi di seduzione. Non proviene dalle consuete file della destra nazional-populista, ma da un «Verein», un’associazione indipendente nata nei primissimi anni 70. Negli ultimi tempi queste iniziative, germinate fuori dai partiti, frutto di campagne personali (Minder sulle retribuzioni sproporzionate, Weber sulle residenze secondarie), stanno raccogliendo più consensi di quelle lanciate dai socialisti, puntualmente bocciate. Il declino dei partiti, evidentemente, si traduce in una minor presa

sull’elettorato, una platea sempre più mobile e post-ideologica. Questo spiega perché Ecopop lavori trasversalmente e trovi appoggi sia a destra che a sinistra: non fa leva, infatti, su sentimenti xenofobi (ha anzi un’intonazione terzomondista) ma sulla preservazione delle basi naturali della vita, minacciata dagli sconquassi della ipercrescita. «Non vogliamo una Svizzera che assomigli ad Hong Kong», affermano; «le conseguenze dei crescenti flussi immigratori sono visibili e percepibili: strade intasate, treni sovraffollati, dispersione urbanistica, le selve di gru che spuntano sia nei centri urbani, sia nelle campagne». I promotori possono vantare padri nobili. Uno di questi è sicuramente l’economista e sociologo inglese Thomas Robert Malthus, autore, nel 1798, del Saggio sul principio della popolazione. La sua tesi: i cicli storici provano che la popolazione di un determinato territorio tende a crescere più rapidamente dei mezzi di sussistenza disponibili in assenza di fattori frenanti come guerre,

epidemie, carestie. La popolazione, secondo Ecopop, sta crescendo troppo in fretta, soprattutto a causa dell’immigrazione. Di questo passo la Svizzera raggiungerà presto la soglia dei 10 milioni di abitanti e il Ticino quella delle 400 mila unità: una progressione che, non dovendo più fare i conti con i regolatori indicati da Malthus (fortunatamente non più invocabili né augurabili), finirà per intaccare le risorse naturali e stravolgere il paesaggio elvetico, sommergendolo sotto una colata di cemento. Occorre dunque ritrovare un punto di equilibrio sostenibile rallentando l’incremento demografico mediante un provvedimento politico. Ecopop propone infine di aiutare il terzo mondo, destinando almeno il 10 percento dei mezzi impiegati nella cooperazione alla pianificazione familiare. Postulato lodevole e condivisibile, che però non fa i conti con la natura attuale dei flussi migratori verso la Confederazione. Infatti circa l’80% degli immigrati proviene ora dai Paesi membri dell’Unione europea, specie dalle aree


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Cultura e Spettacoli Le paure di Dario Argento Porta il titolo di Paura l’autobiografia dell’amato maestro del cinema horror

Il talento di Mr. Khadra Lo scrittore algerino è autore di capolavori tradotti in tutto il mondo

Una biennale trasversale Fra le numerose proposte fotografiche presenti sul territorio, anche quella della Galleria Doppia V e della Casa d’Arte Miler

Altalenante Neil Young Storytone, il nuovo album del grande musicista, non brilla su tutta la linea

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La città sfuggente Berlino, porta del mondo L’irlandese

Samuel Beckett ebbe sempre un rapporto controverso con la città tedesca, l’americano Thomas Wolfe invece l’amò dal primo istante

Luigi Forte Nel dicembre del 1936 scendeva alla stazione berlinese di Potsdamer il trentenne Samuel Beckett proveniente da Amburgo, prima tappa del suo viaggio in Germania iniziato alla fine di settembre. Aveva già scritto poesie, racconti e saggi critici, uno dei quali su Proust, e perfino un romanzo che non trovò editori. Dopo aver girato per la Francia e l’Italia negli anni precedenti, ora voleva approfondire la conoscenza di artisti tedeschi contemporanei come, ad esempio, Kokoschka, Nolde, Barlach e tanti altri che il regime proprio in quei mesi mise al bando definendo la loro pittura arte «degenerata». Visitò atelier e gallerie, come quella di Gurlitt ad Amburgo dove vide acqueforti di Otto Dix: «Un talento da incubo – annotò nel diario –, un George Grosz della mutilazione». Conobbe collezionisti che spesso operavano in semiclandestinità e preso dallo sconforto scrisse a un’amica: «Il viaggio è stato un fallimento. La Germania è orribile (…). Tutti i quadri moderni sono nei magazzini». A Berlino Beckett trascorrerà sei settimane, per lo più nella pensione Kempt nella Budapesterstrasse, davanti allo zoo, in una casa dove Theodor Fontane aveva ambientato il suo romanzo Errori, turbamenti. L’atmosfera era gradevole anche se il padrone, con cui ogni tanto s’intrattiene in birreria, non nascondeva le sue simpatie per il regime. Lo scrittore solitario sembra apprezzare l’ambiente casalingo della pensione, dove brinderà al nuovo anno con il proprietario, i suoi familiari e un divertente personaggio che egli chiama Punch, ma è in realtà l’attore Joseph Eichheim, che aveva recitato con il grande comico Karl Valentin. All’irlandese Beckett tutte quelle figure paiono uscite da una saga nordica. Non è il solo a percepire il ristretto entourage della pensione, che nei romanzi e nella letteratura di viaggio anglo-americana divenne un vero e

proprio topos letterario, come una scena teatrale con un bizzarro bestiario umano. Anche la neozelandese Katherine Mansfield diede voce a stravaganti personaggi nel volume di racconti In una pensione tedesca pubblicato nel 1911 dopo un problematico soggiorno a Bad Wörishofen in Baviera. La figura del barone o dell’ipocondriaca Frau Fischer, così come la signora Progredita che ama le iperboli letterarie, sono nelle pagine della scrittrice silhouette deformate da una gioiosa satira sulle convenzioni sociali che regolano i rapporti fra gli ospiti tedeschi. E Isherwood non è meno pungente verso una certa Germania tronfia e solenne quando descrive la stanza del protagonista presso Fräulein Schroeder in Addio a Berlino: «L’alta stufa sgargiatamente colorata fa pensare a un altare. (…) l’armadio è gotico con sportelli simili a finestre di cattedrale: Bismarck e il re di Prussia si guardano su vetri istoriati. La mia poltrona più comoda è un trono vescovile». A Berlino Beckett non si concede pause. Passa senza sosta da un museo all’altro, si sofferma sulla pittura olandese e tedesca, è affascinato dagli italiani, fra cui Masaccio, Botticelli e Domenico Veneziano, e non trascura le collezioni egizie e islamiche. Stila lunghi elenchi di nomi e annota i suoi itinerari pittorici e turistici, così come le letture di classici tedeschi, da Hebbel a Thomas Mann, in un diario di quasi cinquecento pagine a mezza strada fra un Baedeker e la cronaca quasi maniacale dei propri gesti e malesseri quotidiani. Nel frattempo la situazione politica si era fatta pesante e lo scrittore non trovò più quel libero spirito progressista che avevano conosciuto i suoi colleghi omosessuali. «A Berlino sta succedendo il finimondo», scrive nel diario, e si sdegna per le «arringhe interminabili» di Hitler e compagni. Berlino non lo entusiasma come Amburgo, «città superba». Gli sembra comicamente mostruosa anche se è

Un’immagine giovanile di Samuel Beckett. (Cambridge University Press)

attratto dalla natura, dalla luce serale, dal cielo definito «quintessenziale». All’amico libraio Albrecht scrive: «La città mi sembra una loquace sfinge che al di là dell’incoerenza del suo aspetto non ha enigmi da porre». E tuttavia Beckett non si stanca di esplorarla, fino a Potsdam e alla residenza di Sanssouci, anche se le sue condizioni fisiche sono assai precarie. Siede al Romanisches Café, luogo d’incontro di artisti e letterati, «sala d’aspetto del genio», come qualcuno lo definì. Frequenta il teatro entusiasmandosi per l’attore Werner Krauss, assiste a un concerto diretto da Eugen Jochum e va spesso al cinema. Ma ambiguo resta il suo rapporto con la capitale: ne è affascinato culturalmente, ma è altrettanto felice di andarsene a Dresda e a Monaco da cui ripartirà per l’Irlanda nell’aprile del 1937. Tra i tanti ospiti del Romanisches

Café c’era stato nella primavera del 1935 anche il giovane Thomas Wolfe invitato a Berlino dal suo editore tedesco Rowohlt. Era un uomo gigantesco, di pochi anni più vecchio di Beckett. Veniva dalla provincia americana, da Ashville nel North Carolina, e aveva alle spalle il grande successo editoriale del romanzo Angelo, guarda il passato. Era incalzato dall’ansia di conoscere il mondo, ma con la mente e il cuore radicati nel profondo Sud degli States. Grazie anche alla presenza del giovane figlio dell’editore, Heinrich Maria, che di lui ha tracciato un ritratto indimenticabile, Wolfe trova a Berlino un ambiente congeniale e presto anche amici e ammiratori, con i quali festeggia lo splendido successo del suo nuovo romanzo, Il fiume e il tempo, appena uscito in America. Natura errabonda e trasgressiva, gran bevitore, Wolfe ama la Berlino notturna, fa scor-

ribande nei locali del Westen e magari in un attimo di ebbrezza abbraccia gli alberi del Ku’damm invocando una donna adeguata alla sua altezza. E non tralascia nella sua furia autobiografica di annotare gli incontri e i dialoghi della giornata. «Amava Berlino più di ogni altra metropoli europea», scrisse Ledig-Rowohlt. Quest’Omero dell’America moderna sentiva la città come una postazione per osservare e capire meglio, da lontano, la sua stessa patria. Qui, dove imperversava il «messia nero», come egli definì Hitler, apprezzò ancora di più quella libertà assoluta di cui la sua esistenza e scrittura erano l’incarnazione. Ma l’ebbrezza della grande Berlino non sarà che un ricordo di breve durata. Thomas Wolfe, scrittore generoso e vitale, che aveva trasformato la propria vita in un racconto ininterrotto, morirà di lì a poco a trentotto anni.


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Cultura e Spettacoli

Hai paura di te stesso? Autobiografie Dario Argento ha dato alle stampe le proprie memorie, in cui si scorge

l’origine di certe (spaventose) ispirazioni

Visti in tivù La RSI

si adegua al nuovo, ma il nuovo non sostituisce il vecchio, vi si affianca

Mariarosa Mancuso Stephen King raccontava stupitissimo che i suoi tre figli – due di loro fanno i romanzieri, all’ultimo censimento – non avevano paura del buio. Non controllavano bene sotto il letto, prima di andare a dormire, caso mai ci fosse nascosto qualche mostro. Lo scrittore confessa di aver eseguito la bonifica ogni sera fino a un’età più che adulta, convinto com’è che le paure vere siano nella realtà (non nei libri che possiamo smettere di leggere quando vogliamo). Il suo ultimo romanzo – Mr Mercedes, uscito da Sperling & Kupfer lo scorso settembre – racconta un assassino che a bordo di una Mercedes SL 500 travolge i disoccupati in fila per un lavoro. Lascia in giro faccette – insomma, emoticon come lo «smile» – e si autodenuncia a un detective in pensione. Lo spunto sembra una versione hard boiled del neorealista Roma ore 11 di Giuseppe De Santis, ispirato a un fatto di cronaca. Nel 1951, duecento ragazze si erano presentate per il colloquio nell’ufficio di un ragioniere romano che cercava una dattilografa; la ringhiera della scala cedette causando una vittima, e parecchi feriti. (L’inchiesta e le interviste alle sopravvissute erano state condotte dal futuro regista Elio Petri, alla sceneggiatura avevano collaborato Cesare Zavattini e Rodolfo Sonego: quando il cinema italiano era ricco, se non di soldi almeno di talenti). Dario Argento aveva invece paura del corridoio di casa. La sua stanza era in fondo all’appartamento, c’erano molte finestre e molte tende, le luci basse. Non aveva paura di mostri né mani che lo ghermissero. «Una forma di terrore puro e senza condizionamenti», scrive nella sua autobiografia, intitolata appunto Paura. Esce da Einaudi, aperta da una foto del futuro regista a due anni: pagliaccetto, cosciotte, riccioli, fucilino imbracciato in posizione di tiro (la scattò mamma Elda, che di cognome faceva Luxardo ed era figlia del

Il palinsesto lo crei tu, ma anche no

Antonella Rainoldi

Una scena da L’uccello dalle piume di cristallo di Dario Argento (1970). (Keystone)

celebre fotografo: in studio passavano le più belle dive e divette dell’epoca, il ragazzino curiosava). Di paura in paura, passiamo al primo momento di terrore provato a quattro anni, vedendo Amleto a teatro, con i genitori: «Quando apparve il fantasma del padre, io lanciai un urlo così forte che qualcuno tra il pubblico si spaventò. Poi presi a tremare tutto, avevo la bava alla bocca» (che nessuno, per favore, chiami fuori tempo massimo il Telefono Azzurro, così nasce la vocazione di un regista dell’orrore). Fino allo spavento più incredibile di tutti. Dario Argento stava scrivendo il primo film, sarebbe uscito nel 1970 con il titolo L’uccello dalle piume di cristallo. L’idea gli era venuta in vacanza, complice un racconto di Fredric Brown, La statua che urla (lo scrittore di La sentinella: il lettore palpita per il soldatino che sta di guardia e uccide il nemico, alla fine del racconto scopriamo che il nemico siamo noi: «era una creatura orribile, con solo due braccia,

due gambe, e niente squame»). Da qui un precipitoso ritorno a Roma per lavorare alla sceneggiatura e trovare un produttore.

Dario Argento è riuscito a spaventarsi da solo: quale migliore premessa per un regista dell’orrore? Casa Argento, interno giorno (queste le indicazioni di regia, se dovessimo girare la scena come si è svolta). «Casa di non si sa chi, interno notte»: queste invece le indicazioni che Dario Argento aveva appena scritto sul copione. La scena prevedeva infatti un assassino che nel buio attendeva paziente la sua vittima. Lo sceneggiatore e futuro regista – come se quella scena l’avesse scritta un altro, magari l’adorato Edgar Allan Poe – cominciò ad avere i brividi, temendo

di non essere solo in casa. Meglio: temendo di essere solo nell’appartamento – la moglie era uscita per andare al lavoro – con un pericoloso maniaco. Come le biondine che sprangano porte e finestre, mentre il pugnalatore con L’urlo di Munch a nascondere il viso è già dentro. Con sprezzo del ridicolo, Dario Argento decise di scendere dal portiere in pigiama e ciabatte. La tirò tanto in lungo – discorsetto sulla partita, caffè nella guardiola, attesa della posta – che alla fine convinse il portinaio a salire in casa e a guardare con lui in tutte le stanze. Era riuscito a spaventarsi da sé stesso, e capì che era un ottimo segno. Anche noi, che non abbiamo i film di Dario Argento nella lista dei preferiti, dopo aver letto questa autobiografia – giovinezza a Parigi, pellegrinaggi a Vienna nello studio di Sigmund Freud, giornalismo a «Paese Sera», insulti agli studenti del DAMS, Garzantina in regalo letta lettera per lettera, come fosse un romanzo – abbiamo voglia di rivederne almeno qualcuno.

«Da ora in poi il palinsesto lo crei tu». Il promo della tv smontabile, con cui la RSI sta lanciando da giorni la nuova piattaforma Play, testimonia l’evoluzione di una tendenza alla flessibilità e alla personalizzazione della fruizione. Ecco la presentazione sul sito: «Play RSI nasce come app pensata per i tablet e gli smartphone e dunque disponibile gratuitamente sia sull’Apple Store per iOS sia su Android Market. Semplicissima da usare, intuitiva, offre in prima pagina un menu dal quale si può scegliere e accedere alla quasi integralità dell’offerta televisiva di LA1 e LA2, esclusi pochi contenuti per i quali la RSI non ha i diritti di diffusione/ridiffusione online». L’applicazione permette inoltre di seguire le serie tv in una sorta di modalità binge per addizione, senza più rispettare i normali ritmi di programmazione, per la gioia degli appassionati della quality television, incapaci di resistere alla tentazione di una scorpacciata di puntate. Lo ripetiamo da tempo: la convergenza ha generato nuove dinamiche di fruizione e insieme creato nuove forme palinsestuali. Queste ultime, sotto la spinta dell’individualizzazione, tendono a emanciparsi dalla rigida scansione temporale tipica del medium, grazie anche alla catch up tv, la formula della riproposizione «su richiesta» dei contenuti degli ultimi 7 giorni.

Titoli di coda Pubblicazioni La raccolta dei ringraziamenti letterari di Carolina Cutolo e Sergio Garufi,

diligentemente divisi nelle loro numerose categorie Stefano Vassere «Infine, grazie a Domenico (Dolce) e a Stefano (Gabbana) per avermi fatto incontrare Madonna (Ciccone). Non lo dimenticherò». A chi sono rivolti i ringraziamenti che troviamo in appendice ai libri che leggiamo? Che senso hanno? Chi deve sapere? Il lettore, i diretti interessati, enti terzi? La divertente e a suo modo civile ipotesi formulata da Carolina Cutolo e Sergio Garufi in questo definitivo Lui sa perché. Fenomenologia dei ringraziamenti letterari, rassegna ragionata e ordinata di formule di ringraziamento nella letteratura italiana contemporanea, è all’incirca che spesso queste dichiarazioni non siano concretamente indirizzate a niente e a nessuno se non all’alimentazione dell’ego dell’autore. Certo, non saremo così severi con i nostri autori, tanto più che a prenderla bene si potrebbe dire che se un lettore arriva ai ringraziamenti, che di regola stanno ora stabilmente nelle ultime pagine del libro, come titoli di coda, vuol dire che in fondo il libro gli è piaciuto. A meno di fare come i curatori di questo simpatico bestiario, che nei loro rispettivi ringraziamenti finali (degli iper-ringraziamenti), confessano di avere passato ore e ore a «fotografare una dopo l’altra tutte le ultime pagine

dei libri», notando che «poi i librai non si arrabbiavano quando ce ne andavamo senza comprare niente». Siamo ai limiti del testo letterario, quelli di noi che abbiano qualche infarinatura della semiotica à la page degli anni Settanta-Ottanta, avranno certamente sentito parlare delle Soglie di Gérard Genette, oltre le quali un testo diventa un discorso. «Solo dopo la parola “fine”, quando la storia è terminata, il lettore ha modo di sapere qualcosa su chi l’ha scritta». Lasciata la classica terza persona o qualche altro ardito

ambito del paradigma verbale, l’autore passa finalmente a un concreto io e dà sfogo a tutto il suo arsenale di io qua e io là. Ed è lì che forse lo conosciamo nel modo migliore (o peggiore), ed è lì che, forse, andrebbe giudicato, come uomo ancora prima che come scrittore. Secondo quanto detto a pagina 177 (ma questo libro scherza spesso, attenzione), una indagine del Censis del 2012 «sui lettori indecisi non solo individua nella lettura dei ringraziamenti una delle variabili cardine in grado di convincere o meno il potenziale lettore all’acquisto, ma stabilisce con una schiacciante percentuale del’83% che l’apostrofe dei ringraziamenti è il più frequente motivo di acquisto di un libro da parte di una popolazione campione di 5 mila lettori indecisi». Il festival di ringraziamenti-incensamenti è infinito e, diremmo, categorizzabile. I più impertinenti (ci sono, a caso, Biondillo, Walter Siti, Walter Veltroni, Tullio Avoledo, Carmen Covito) sono quelli che non nominano i ringraziati, o se li nominano dichiarano l’esclusivo «perché lui lo sa» o «lui sa perché»: come a dire, come fanno i bambini, che c’è un segreto tra me e quelli là e dovete sapere che – ah ah ah – questo segreto non ve lo dico. Siamo un centimetro prima della maleducazione suprema, che consiste nel rin-

graziare un anonimo pubblicamente per poi dire che però quelli sono affari dell’autore e del ringraziato e il lettore si arrangi: dice Baricco alla fine di Questa storia del 2005 che «in tutto questo tempo alcune persone mi sono vissute vicino e mi hanno difeso dal mondo e da me stesso. Ma i nomi non li faccio! Quella è vita mia, privata». E bravo Baricco! Nella spietata strutturazione a repertorio alfabetico è infine impietoso il raffronto tra un Sandro Veronesi che nel 2007 ringrazia sua moglie per averlo sopportato e nel 2011 dice che ancora ringrazia sua moglie ma non per averlo sopportato «come dicono di solito quelli che ringraziano la moglie». I ringraziamenti letterari di questa piacevole lettura non sono veri e propri ringraziamenti, sono piuttosto una specie di finestra attraverso la quale l’autore di un libro, dopo essersi trattenuto per centinaia di pagine, apre a una dichiarazione di fiducia perlopiù illimitata nella qualità dello sforzo compiuto, dimostrando scarsa cura del suo interlocutore pagante, il lettore. Bibliografia

Carolina Cutolo e Sergio Garufi, Lui sa perché. Fenomenologia dei ringraziamenti letterari, Milano, ISBN, 2014.

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È vero, verissimo, «il palinsesto lo crei tu», ma il nuovo non sostituisce il vecchio, vi si affianca. Nonostante la tv sia molto cambiata, lo schermo casalingo ha ancora il potere di aggregare pubblico e fare ascolti. E il palinsesto tradizionale continua a contribuire non poco al buon funzionamento, se non al successo, di un programma. Prendiamo, per esempio, la bella serie danese Borgen, trasmessa su RSI LA1 la domenica in seconda e terza serata. Se le visioni in diretta superano di gran lunga le registrazioni (6100 contro 300 nel mese di ottobre, per uno share complessivo del 10,6%), se al momento della messa in onda qualche spettatore esigente stigmatizza la collocazione oraria, significa che il palinsesto ha ancora senso. Per dirla con Aldo Grasso, i programmi si possono seguire anche il giorno dopo, «ma la ritualità del palinsesto ha ancora una forza espressiva che non lo riduce a orario ferroviario». (In collaborazione con Lara Moro, RSI, dati Panel TV Mediapulse)


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Cultura e Spettacoli

Trasformazioni tra passato e futuribile Fotografia La Biennale dell’Immagine tocca anche la Casa d’arte Miler a Capolago e la Galleria Doppia V di Lugano

Giovanni Medolago È la prima volta che Milo Miler, con la sua omonima «Casa d’Arte» di Capolago, partecipa alla Biennale dell’Immagine. Lo ha attirato il tema/fil rouge della rassegna (la nona), Trasformazioni, che Miler ha declinato a modo suo, puntando su un argomento che gli sta particolarmente a cuore: il degrado del tessuto urbano e, in generale, del nostro territorio. È andato alla ricerca di foto d’epoca o cartoline d’antan che ritraggono sia ricchezze architettoniche, sia armonie urbanistiche purtroppo andate perse nel tempo e, ormai, fors’anche nella memoria. Poi ha incaricato Enrico Minasso (affermato fotografo piemontese) di scovare gli obbrobrî che hanno sostituito le bellezze architettoniche di cui un tempo il Ticino poteva andar fiero e che sono rimaste vittime dell’euforia (speculazione?) edilizia. Sotto il titolo La grande bruttezza (ironicamente preso a prestito dal recente film di Paolo Sorrentino), ecco dunque eleganti alberghi di Paradiso sostituiti da anonime quanto invadenti strutture; le villette liberty abbattute per far spazio a condomini da cinquanta o più appartamenti; il vecchio Venezia, sacrificato per erigere un grande magazzino nonostante la civile battaglia condotta a suo tempo da Mario Agliati per la sua conservazione. Ecco il pendìo del San Salvatore allora ancora «vergine» e ora assediato da ruspe e gru. Non poteva mancare, in questa galleria degli orrori, il casinò che da Campione riesce a deturpare buona parte della costa

Una recente trasformazione: l’Hôtel Meister di Paradiso, diventato Ibis.

meridionale del Ceresio. È impietoso l’incontro ravvicinato tra quanto c’era prima e cosa siamo riusciti a combinare oggi! «Ci siamo concentrati sul Luganese – spiega Miler – ma purtroppo lo stesso risultato avremmo potuto ottenerlo mandando Minasso a Bellinzona o Locarno». Come detto, il gallerista è particolarmente sensibile al problema del degrado del nostro territorio e non a caso, durante il vernissage della mostra, i visitatori erano gentilmente invitati a firmare le due iniziative lanciate in questi giorni («Spazi verdi per i nostri figli» e «Un futuro per il nostro passato»). «Chiamo tutti a sottoscrivere le due petizioni, sarebbe davvero deludente non riuscire a raccogliere le 7 mila firme necessarie quando i disastri sono davanti

agli occhi di ciascuno di noi», conclude un Milo Miler capace di passare con nonchalance dal ruolo di gallerista a quello di agitprop! Da segnalare l’incontro con l’architetto-scrittore Gianni Biondillo, prevista alla Casa d’Arte di Capolago giovedì prossimo, 20 novembre, alle 18.30. Di tutt’altro genere le Trasformazioni proposte dall’artista argentino Manuel Archain alla Galleria Doppia V di Lugano Besso. Nato a Buenos Aires nel 1983, Manuel è figlio d’arte e ha solo 5 anni quando comincia a giocherellare con la creta e le tempere nell’atelier di sua mamma, Silvina Viaggo. Ne ha 13 quando sceglie la fotografia quale linguaggio per esprimere la propria creatività. Poi arrivano il digitale e il Photo-

shop e Manuel ne approfitta a piene mani per scorrazzare nel surrealismo e proporre immagini che ci portano dritti dritti nella dimensione onirica: passanti che, ridotti a lillipuziani, irrompono su una tavola imbandita; teiere e macchine del caffè viceversa gigantesche sistemate tra i corridoi di una metropolitana; linee d’alta tensione tracciate posando due piloni tra i capelli di un’attonita senorita. Le immagini di Archain alludono a sentimenti dove si combinano supposizioni esistenziali a semplici circostanze quotidiane. Il fotografo argentino gioca nel ritrarre situazioni improbabili al limite della comicità, sforzandosi – ma solo apparentemente – di cercare un improbabile equilibrio tra fantasia e realtà. «Nel mondo creativo di Archain

– osserva Barbara Paltenghi Malacrida, curatrice della mostra – tutto è possibile. La struttura e la costruzione di ogni immagine ricordano la stesura di una favola, dove il fantastico ricalca il reale e ogni personaggio si muove senza strutture preordinate, modellando lo spazio che lo circonda alla magia di un sistema visionario». Dove e quando

La grande bruttezza, Casa d’Arte Miler, Capolago, fino al 13 dicembre (www.miler.ch) Manuel Archain fotografie, Galleria Doppia V, Via Moncucco 3, Lugano-Besso, fino al 28 novembre (www.galleriadoppiav.com) Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Parole come pugni Narrativa Nel suo recente romanzo, edito da Sellerio, lo scrittore algerino Yasmina Khadra

narra l’ascesa e la caduta di Turambo, vittima della propria epoca

Daniele Bernardi Non so bene perché ma credo che scrittura e pugilato siano due arti che hanno molto in comune. È difficile, a mio avviso, non subire il fascino della boxe. Quelli che conoscono la figura di Arthur Cravan o il patto che ci fu tra Ezra Pound ed Ernest Hemingway («Io ti insegno a scrivere e tu invece a fare a cazzotti») non ignorano certo il misterioso legame che unisce due pratiche apparentemente distanti. Personalmente penso che un buon testo sia paragonabile ad un sinistro deciso. Se è vero, come scrisse Daniil Charms, che «Bisogna scrivere versi tali che a gettare una poesia contro la finestra il vetro si deve rompere», possiamo dire che ogni gancio andato a segno sia come un buon pezzo di letteratura. Inoltre, c’è qualcosa di aggraziato e magnetico nella figura del boxeur e nella sua lotta oscura, qualcosa di imponderabile e coinvolgente (agli scettici consiglio di leggere la bellissima poesia Balletto, di Cesare Pavese, o di guardare il famoso film di Clint Eastwood Million Dollar Baby). L’ex-ufficiale dell’esercito algerino Mohamed Moulessehoul, conosciuto al pubblico dei lettori con lo pseudonimo di Yasmina Khadra (nome della moglie dello scrittore), è ben conscio di questi aspetti e col suo ultimo romanzo, pubblicato dalla casa editrice Sellerio, Gli angeli muoiono delle nostre ferite, ci consegna il ritratto indimenticabile di Turambo, della sua ascesa e della sua

Un mercato algerino intorno al 1930. (Keystone)

caduta nell’Algeria degli anni Venti e Trenta. Cominciamo col dire qualcosa rispetto al nome del protagonista: Turambo, ci dice lo scrittore, proviene da Arthur-Rimbaud, nome di un minuscolo paese scomparso (molto probabilmente inventato) che ricorda, naturalmente, la figura del noto poeta francese. Rimbaud, «il poeta dalle suo-

le di vento» come lo chiamò Verlaine, è l’emblema dell’erranza, della sfida all’ignoto e della mutilazione definitiva (morì dopo essere stato amputato). Egli fu l’«angelo in esilio» che rincorse l’essenza del desiderio perdendosi. Il protagonista del romanzo di Khadra è un giovane arabo che, sollevatosi da un mondo di assoluta miseria, diviene un campione non tanto per ambizione ma,

più che altro, per volontà del caso e, soprattutto, per necessità. Turambo è destinato a non poter partecipare ai piaceri della vita degli altri uomini (avere una moglie e dei figli) nonostante lo desideri e si senta esattamente uguale loro. Come Rimbaud durante il suo esilio africano, anche quando lo vorrà con tutte le sue forze, il ragazzo, travolto dai suoi sentimenti e dalla propria epoca,

non potrà mai godere della semplicità di una vita pacificata. La prosa di Yasmina Khadra è nitida e poetica. L’uso delle immagini ed il loro susseguirsi tra gli strati del testo, come carrellate che attraversano centinaia di vicoli, di canali di scolo, di piazzuole su cui si affacciano le finestre dei bordelli, delle case e le soglie dei caffè, sono la carne di questo libro che, trascinandoci lungo il cammino di Turambo, ci regala dei brani appassionanti, lavorati con minuzia certosina. Come Nabokov, Khadra non ama farsi raggirare dalle possibilità confortanti del lieto fine. Non c’è posto per le meraviglie illusorie degli «e vissero tutti felici e contenti» nell’epopea del boxeur che, cercando l’amore, va incontro al succedersi dei trionfi e dei fallimenti e si prepara al lungo sentiero che ogni uomo è costretto a fronteggiare: quello della solitudine. «Che non vengano a parlarmi di miracolo» dirà al lettore, quando la sua esistenza si troverà davanti alla porta del «grande Sonno». Con questo romanzo Yasmina Khadra ci offre una storia avventurosa e lirica, dove le culture si azzannano come cani randagi e gli innamorati hanno il tempo di godere solo di una notte di tregua, prima che la polvere della violenza del mondo li spazzi via. Bibliografia

Yasmina Khadra, Gli angeli muoiono delle nostre ferite, Sellerio, Palermo, 2014, p. 430. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Sperimentazione zoppicante

Nolan grande e ambizioso

Musica Quel che non ti aspetti da una leggenda del folk-rock: Neil Young sbalordisce

Cinemando

i suoi fan con l’inattesa veste orchestrale offerta dal nuovo album Storytone

Interstellar cerca di essere blockbuster e film d’autore

Benedicta Froelich Pur senza volersi arrendere al fascino seducente delle frasi fatte, bisogna ammettere che il luogo comune secondo il quale i «grandi vecchi» della musica internazionale sanno essere ben più prolifici dei loro giovani colleghi sembra avere un qualche fondamento, almeno a giudicare dalle recenti uscite discografiche: in effetti, non in molti si sarebbero aspettati un nuovo album di Neil Young prima ancora dell’arrivo del 2015, soprattutto considerando che sono passati solo pochi mesi dallo stravagante (e vagamente integralista) esperimento lo-fi di A Letter Home. Forse proprio in virtù della natura controversa dell’ultimo exploit, il nuovo lavoro Storytone si presenta, almeno apparentemente, come un ritorno alla classica e personalissima vena cantautorale da sempre tipica di Neil; ma presto si scopre che l’artista ha voluto realizzare ben due versioni distinte del disco, e il motivo dietro a una simile scelta si fa evidente quando si considera il probabile stupore dei fan nell’accorgersi che il nuovo album a firma Neil Young è interamente registrato con l’accompagnamento di un’orchestra

Il nuovo disco di Neil Young presenta risultati altalenanti: si passa da piccoli capolavori a pezzi mielosi

Concorso

e di una big band simil-swing – le quali donano al tutto un anacronistico sapore vintage, a metà strada tra Tony Bennett e la colonna sonora di un film romantico. Ma se, per alcuni, l’idea può suonare inquietante, fortunatamente il CD aggiuntivo contenuto nella versione deluxe di Storytone offre quanto sarebbe forse più legittimo aspettarsi da Neil – ovvero la medesima tracklist, eseguita però in una scarna versione acustica per chitarra

Fabio Fumagalli **(*) Interstellar, di Christopher Nolan, con Matthew McConaughey, Anne Hathaway (GB-USA 2014)

Storytone di Neil Young.

e voce, nel più puro stile minimalista tanto caro all’artista canadese. Ci si trova così nella curiosa condizione di dover valutare separatamente due metà di un unico disco; e bisogna dire che, come prevedibile, il «bonus disc» finisce per diventare, per l’ascoltatore, il centro dell’attenzione, soprattutto in virtù della qualità dei singoli brani: ballate lente e delicate, che sembrano rappresentare la quintessenza della magia interpretativa di Neil Young in tutta la sua struggente nostalgia, e pezzi più uptempo, dalle sfumate atmosfere retrò. In questo senso, si è costretti ad ammettere che il «trattamento orchestrale» comporta qualche effetto collaterale, poiché, malgrado gli arrangiamenti funzionino piuttosto bene su alcuni dei pezzi – come Plastic Flowers, piccolo capolavoro nel miglior stile del menestrello Young, o l’irriverente I Want to Drive My Car – altre tracce assumono invece un gusto un po’ troppo zuccheroso (si vedano Tumbleweed e perfino la toccante Glimmer, assai più efficaci nella loro versione acustica). Ragion per cui l’esperimento funziona soprattutto per quei brani che sono stati riarrangiati

Home Rassegna teatrale Teatro Studio Foce, Lugano 21-22-23 novembre, ore 20.30 Still Leben Di e con Camilla Parini Produzione Collettivo Ingwer www.agendalugano.ch

in maniera delicata, senza troppo enfatizzare la presenza degli orchestrali – come I’m Glad I Found You e When I Watch You Sleeping – o con i pezzi dal sapore blues-jazz, qui rivisitati con l’aiuto della swing band (Like You Used To Do o l’intrigante Say Hello To Chicago, in puro stile anni 30). Ma non è facile riuscire a scrollarsi del tutto di dosso la sensazione che Neil Young e le orchestre non siano esattamente due elementi affini, soprattutto perché la tracklist di Storytone non raggiunge l’invidiabile equilibrio stilistico di precedenti album semi-acustici dell’autore (su tutti, il celeberrimo Harvest, del 1972); tuttavia, il bonus disc risplende comunque della sicurezza di una collaudata quanto amata formula cantautorale tradizionale, che certo rappresenta l’elemento in cui Neil si trova più a suo agio, nonostante un vago senso di déjà vu melodico e qualche carenza nelle liriche. Del resto, pur con tutto il suo talento di cantastorie, Young non ha mai brillato per lo spirito visionario dei suoi testi, a tratti così semplicistici da risultare perfino naif, ma in linea con l’esplicita linearità delle atmosfere folk-country di gran parte della sua pro-

Top10 DVD 1. 22 Jump Street

J. Hill, C. Tatum Novità 2. Mr Peabody e Sherman

Animazione

duzione – una tendenza qui enfatizzata in un brano come Who’s Gonna Stand Up? (lamento ecologista dal ritmo accattivante, ma dalla banalità francamente disarmante) o nel romanticismo adolescenziale di All Those Dreams. Tuttavia, al di là dei sofismi, bisogna dire che Storytone rappresenta per Young un positivo ritorno al folk e all’arte della più pura e fine ballata cantautorale, per come l’artista l’ha sempre concepita; e benché suoni singolare coniugare tali suggestioni con una contaminazione orchestrale irrimediabilmente datata, soltanto il tempo potrà giudicare la lungimiranza di tale scelta. Per il momento, forse dovremmo semplicemente essere grati del fatto che, a 68 anni suonati, il buon vecchio Neil riesca ancora a intessere arabeschi ipnotici e mesmerizzanti del calibro di diversi dei brani di Storytone: la voce tremante del canadese, e il suo innato carisma interpretativo, bastano a far sì che, seppur non particolarmente originali, pezzi come i già citati Plastic Flowers, I’m Glad I Found You e Glimmer sappiano ancora emozionare l’ascoltatore. E in un’epoca di musica preconfezionata come la nostra, non è certo cosa da poco.

Top10 Libri 1. Wilbur Smith

Il Dio del deserto, Longanesi 2. Gianrico Carofoglio

La regola dell’equilibrio, Einaudi / Novità

3. Anarchia - La notte del giudizio

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio Don Bosco, Minusio Domenica 23 nov., ore 17.30 Una bellissima catastrofe Compagnia Teatro Pan, Ticino Spettacolo per famiglie con bambini dai 5 anni. www.minispettacoli.ch

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F. Grillo, C. Ejogo

I giorni dell’eternità, Mondadori 4. 3 Days To Kill

K. Costner, A. Heard 5. Tutte contro di lui

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Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

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Avrò cura di te, Longanesi / Novità

C. Diaz, L. Mann 5. Alessandro D’Avenia 6. Barbie e il regno segreto

Animazione 7. X-Men: Giorni di un futuro passato

H. Jackman, J. Lawrence

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

3. Ken Follett

8. Monster High - Fusioni mostruose

Ciò che inferno non è, Mondadori 6. Jeff Kinney

Diario di una schiappa – Sfortuna nera, Castoro / Novità 7. John Green

Colpa delle stelle, Rizzoli

Animazione 8. Benedetta Parodi

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

9. Brick Mansions

Molto bene, Rizzoli

P. Walker, D. Bell 9. Antonella Clerici 10. Free Birds - Tacchini in fuga

Animazione

La cucina di casa Clerici, Rizzoli 10. Camilla Läckberg

Il guardiano del faro, Marsilio

Ambizioso, sapiente, e troppo lungo; per i più frettolosi, l’atteso Interstellar del genialoide quanto debordante Christopher Nolan può essere riassunto così. In Interstellar il mistero è proiettato verso uno spazio infinito esterno: tre pianeti da esplorare per verificarne l’abitabilità, sui quali trasferire in seguito gli abitanti di una Terra dalle risorse ormai prosciugate. Uno spazio misterioso e utopistico, situato in un’altra galassia, raggiungibile eventualmente attraverso un buco nero, grazie a una falla spazio– temporale (wormhole, la definiscono gli scienziati), sfidando rischi gravitazionali del tutto ignoti…

La locandina del film.

Per motivi non proprio evidenti, come responsabile della roulette russa viene scelto un ex pilota (Matthew McConaughey), spregiudicato collaudatore della NASA, da tempo riciclatosi nell’agricoltura: in un Texas nel quale il film penetra a lungo, segnato da fattorie, armi e bandiere stellate. Per compiere la propria odissea, l’eroe dovrà abbandonare la famiglia, in particolare la figlioletta di dieci anni che rivedremo nelle vesti sempre gradite di Jessica Chastain: l’inconveniente in quei casi è di ritrovarsi adulti all’eventuale ritorno dei viaggiatori dallo spazio. Per risapute che siano, sono proprio queste riflessioni sul tempo e lo spazio, sull’amore e il ricordo che mitigano le condizioni crudeli, alla base delle sequenze più riuscite, toccanti e ispirate di Interstellar. Nolan ha dimostrato fino dal suo primo, amnesiaco e deviante Memento (2000) di sapersi destreggiare con diabolica anche se talora confusa maestria fra quegli elementi: ma qui riesce a tradurre i rapporti intimi e affettivi con genuini accenti di verità. Paradossalmente, in un film che ambisce a confrontarsi ostentatamente con capolavori fantascientifici come 2001: Odissea nello spazio o Solaris, questi si stemperano quando si abbandona la buona vecchia Terra con le sue collaudate emozioni per affrontare l’ignoto e lo smarrimento. Colpa di una sceneggiatura inutilmente allentata (169 minuti), un’invenzione drammaturgica scarna e una pretesa filosofica o metafisica a tratti esasperante. Ciò malgrado alcune immagini affascinano per la loro precisione «scientifica», sconosciuta finora al cinema di finzione e ottenuta grazie alla collaborazione dell’astrofisico statunitense Kip Thorne. Al virtuosismo di Nolan bisogna allora riconoscere la volontà ammirevole di voler fondere il blockbuster popolare con la riflessione del film d’autore.



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Cultura e Spettacoli

Andrea Gabrieli e le lettere che mai t’aspetteresti Cessate Cantus L’epistolario del compositore riscoperto e curato da Giuseppe Clericetti

Zeno Gabaglio «Et la Maddalena in luogo del can, & il sangue dal naso, & gli armati vestiti alla todesca, & il buffone con il pappagallo, & li imbriaghi, & nani, & tutte le scurrilità del mondo: che i vaga in mona, sti vecchi coglioni rinsecchiti & rimbambiti de Inquisitori». Un gondoliere dalla favella colorita? Uno scaricatore del porto di Marghera? Un inviperito lagunare che si aggira per calli e ponti? Niente di tutto ciò: l’autore di queste infuocate righe è uno dei più raffinati musicisti del Cinquecento italiano, quell’Andrea Gabrieli per lunghi secoli avvolto nel mistero e che ora – grazie all’opera del musicologo ticinese Giuseppe Clericetti – potrà essere avvicinato e compreso certamente un po’ di più. «Di Andrea Gabrieli conosciamo la produzione musicale, cospicua e di sommo interesse, ma non ci sono giunte notizie riguardanti la sua esistenza, né documenti, iscrizioni o lapidi; scarse anche le informazioni che desumiamo dalle testimonianze coeve. Anche per questo motivo la scoperta del suo epistolario è da ritenere di particolare importanza». Un epistolario riscoperto che getta nuovissime luci sull’autore veneziano, quindi, e per di più ritrovato nella Svizzera italiana: com’è stato possibile rintracciare un simile tesoro documentario? «Si dice che Ralph Kirkpatrick, il grande specialista di Domenico Scarlatti, abbia iniziato le sue ricerche cercando il cognome «Scarlatti» sull’elenco telefonico di Madrid, dove il compositore aveva vissuto: io ho agito analogamente, cercando le famiglie che, a Gandria, potevano possedere un legame con Alessandro Tadei, impor-

Un entusiasta Giuseppe Clericetti. (© Dániel Vass)

tante compositore che – nato a Graz da emigrati ticinesi – fu allievo a Venezia del nipote di Andrea, Giovanni Gabrieli. La scoperta è stata emozionante, e immediato il desiderio di pubblicare le lettere, rimaste manoscritte e inedite per più di 400 anni». Quattrocento anni che si sentono, perché le lettere di Gabrieli danno

la misura di un tempo, di un gusto e di una cultura per noi perlomeno curiosi, a cominciare dal fatto che le lettere dell’epistolario non furono mai scritte per essere realmente spedite. O che i temi trattati furono in buona parte frutto di riscrittura di opere altrui. «Oggi la chiameremmo plagio: un’appropriazione che era però prassi

comune nella cultura di quei decenni. Così come la compresenza di lingua italiana e veneziana, o l’ironia nel trattare le cose serie e la serietà negli argomenti leggeri». Ma soprattutto è sorprendente in Gabrieli «la coesistenza di argomenti diversissimi tra loro: le puttane, il papa, i topi, il vino, Enrico III, la retorica, la peste, l’olio, la cala-

mita, l’asino, il caviale, le emorroidi, il ghetto, i madrigali, la memoria». Le alte sfere filosofiche, quindi, poste accanto ai bassifondi corporali: segno di grande curiosità e al tempo stesso di indubbio humor da parte dell’autore? «Gabrieli si rifaceva alla tradizione delle selve, altro filone di grande fascino nella cultura del Cinquecento: opere divulgative ma dense di argomenti originali, esposti con varietà e disordine, eruditi ma mai pedanti. Godibilissima ne risulta la lettura, con accostamenti curiosi e dotti: il rimedio contro l’alitosi si accosta agli insulti contro gli inquisitori, una dotta riflessione sull’accordatura degli strumenti musicali viene contrapposta alla ricetta della torta di pane». La musica, appunto: che spazio ha l’arte di cui Gabrieli fu maestro in questa trattazione varia e ondivaga? «L’autore ci regala, per esempio, la descrizione dettagliata (con tanto di organici vocali-strumentali) di alcune esecuzioni musicali delle sue composizioni: si tratta di testimonianze preziosissime per l’epoca. Commovente la cronaca di un concerto tenutosi a Villa Maser, ideata da Palladio e affrescata da Veronese, con tanto di programma delle composizioni eseguite». E i curiosi consigli per la vita pratica? Funzionano davvero? «La ricetta delle uova sode ripiene è buonissima, con l’agrodolce che ben rappresenta lo spirito dell’epistolario. Spero invece di poter ritardare ancora di qualche anno l’uso del rimedio contro la calvizie…». Bibliografia

Andrea Gabrieli, Cessate cantus. A cura di Giuseppe Clericetti. Zecchini Editore 2014.

Il ritorno di Cinecittà Cinema Un grande parco alle porte di Roma ripercorre l’immortale storia del grande schermo

Blanche Greco È un sogno felliniano che si materializza di colpo nell’orizzonte polveroso di campi di stoppie e di alberelli stenti, che costeggiano la strada che da Roma porta a Latina: è una enorme testa di elefante che sembra spuntare dal nulla, stagliarsi sul cielo estivo per un lungo attimo e poi sparire, facendoti venire voglia di uscire magicamente dall’auto, come faceva Marcello Mastroianni in 8 e mezzo e volare sin lì, a «Cinecittà World», quel parco d’attrazioni aperto al pubblico da poche settimane, che

nel nome vuole ricordare tanto il cinema italiano e un passato magnifico che sembra avvolgerlo come una profezia. Lasciamo la Statale e c’inoltriamo, con un lungo serpentone di automobili, in un ghirigoro di strade nuove di zecca, in questa campagna incolta intorno all’outlet di Castel Romano alla ricerca dell’ingresso della nuova città dei sogni e del divertimento nata all’insegna del cinema. Qui, nella metà degli anni 60 sorgeva Dinocittà, creata dai De Laurentiis per girare i propri film, e dalla strada statale, di notte, alla luce della luna

Strada dall’ambientazione anni 20, con ristoranti e pizzerie. (cinecittaworld.it)

lo sguardo captava le ombre magiche delle varie «location», sovrastate dalla grande sagoma di un’Arca, sopravvissuta ad un film su Noè; o degli spettrali villaggi «spaghetti-western» dove aveva girato anche Sergio Leone. Insomma non è qui la mitica «Hollywood sul Tevere» famosa nel mondo. Il Teatro 5, dove sono nati i film di Fellini, e quella Cinecittà che ospitò i set di tanti «colossal», non ultimo Gangs of New York di Martin Scorsese, si trova dall’altra parte di Roma, tuttavia grazie a Dante Ferretti, scenografo italiano insignito di tre Oscar, che ha disegnato la fantasmagorica identità di «Cinecittà World», la ritroviamo anche in questo Parco a tema, in una sintesi geniale tra vero e falso, che combina la copia dell’ingresso anni 50 di quegli Studi, con queste nuove costruzioni che richiamano visioni del cinema italiano e non. Così accoglie i visitatori l’imponente Tempio di Moloch di Cabiria di Giovanni Pastrone, capolavoro del cinema muto italiano del 1914, e al di là della gigantesca bocca del mostro, c’è la «Grande Mela», quella degli albori, raccontata da Martin Scorsese in Gangs of New York con un Drugstore, e il General Store «Five Points», e poi quella del «Ragtime», con la Main Street, la strada principale del Parco, ispirata alla New York degli anni 20, del proibizionismo e dei gangster. L’ambientazione, anche grazie al «Charleston Club» e all’«American Bar» (pizzeria e ristorante) è data dalla musica, dai musicisti, dai cantanti che con alcuni

spettatori e passanti, tutte comparse in costume, animano i luoghi e creano un mix di sollecitazioni cinematografiche e divertimento. Tuttavia per chi volesse far parte del «film», c’è un negozio, che dietro all’insegna «Barber Shop» nasconde un camerino di «trucco e parrucco» che trasforma chiunque in una star, permettendogli di «debuttare» a piacimento su quello, o altri set. Perché a «Cinecittà World» tutto ha una storia, una sceneggiatura e una scenografia che si rifà ad un film specifico, o a un genere cinematografico, così il vagoncino delle montagne russe, qui è l’astronave «Altair» impegnata in un viaggio «inter-astrale» verso la terra, con un percorso mozzafiato; il villaggio west «Ennio’s Creek», dedicato ad Ennio Morricone e visitato da pistoleri di passaggio, è perennemente abitato dalle sue bellissime musiche western; il «Water Ride Super Splash» si fa su barche ispirate all’antica Roma stile «peplum movie»; mentre la «Drop Tower», la torre altissima posta sulla schiena dell’enorme elefante Erawan (dal nome del pachiderma del film Il Barone di Münchausen), offre agli ardimentosi, un volo in caduta libera di sessanta metri con tanto d’imbracatura, perfetto per chi ama l’avventura, cinematografica stile All’inseguimento della pietra verde, o giochi alla Tomb Rider. Anche la zona per bambini, «Sognolabio» è in chiave cinema, con riferimenti ai cartoni animati anche nel disegno delle barche con cannoncini ad acqua della «Splashbattle», saraban-

da acquatica stile Tom e Jerry. E poi ci sono tre Teatri, o forse Studios per restare in tema, uno per la proiezione dei film Enigma, realizzati con tecniche all’avanguardia; mentre nell’altro va in scena DarkMare, attrazione thrillerhorror in bianco e nero che non risparmia batticuori e spaventi; mentre nel terzo teatro s’imbastisce un film, con tanto di casting con il pubblico come protagonista. La piazza centrale di «Cinecittà World», con grande schermo e palcoscenico per film e spettacoli, fontana di novantacinque metri con effetti speciali di spruzzi e di luci, è dedicata a Dino De Laurentiis, produttore italiano, capostipite dell’omonima famiglia che lega il proprio nome al cinema e oggi anche a quest’impresa, con azionisti di tutto rispetto da Aurelio e Luigi De Laurentiis, a Andrea e Diego Della Valle, Luigi Abete, alla famiglia Haggiag. Un progetto ambizioso «Cinecittà World» dove tutto è all’insegna dell’immaginario cinematografico, e che, in caso di successo, ha ancora ben più di cento ettari su cui espandersi e forse un futuro di franchising mondiale. Tuttavia la vera scommessa è se questa città del «sogno ad occhi aperti», riuscirà nel suo intento di rendere concreto e tangibile il fascino del cinema. Perché se, in caso contrario, «la polvere di Peter Pan» finirà, e il sole e la pioggia a poco, a poco, dissolveranno le «atmosfere da film», «Cinecittà World», come succede a certi blockbuster americani, resterà solo un grande Luna Park.


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Una gioia per palato e occhi Freschezza Il formentino è l’insalata perfetta per arricchire i piatti invernali. Scegliendo

quello nostrano fate del bene non solo a voi stessi, ma anche all’agricoltura ticinese. Tanto più che questa settimana lo trovate in offerta speciale nei supermercati di Migros Ticino

Coltivazione di formentino sul Piano di Magadino. (Giovanni Barberis)

Insalata di formentino con champignon, noci e uova per 4 persone Ingredienti 6 uova 100 g di gherigli di noci 4 cucchiai di zucchero 1 cucchiaino di curry Madras 2 cucchiai di maionese 3 cucchiai d’olio di girasole 1 cucchiaio d’aceto di mele 1 spicchio d’aglio sale, pepe, pepe di Caienna 400 g di champignon 2 cucchiai di burro 300 g di formentino

Giovanni Barberis

Bello da vedere e buono da mangiare. Il formentino conquista il palato dei buongustai dapprima grazie alle sue graziose rosette di foglioline e, successivamente, per il suo sapore delicatamente dolce che ricorda quello delle nocciole. Il formentino appartiene alla famiglia delle valerianacee – in Italia infatti è più conosciuto con il nome di valerianella – ed è originario della Sicilia. Nell’antichità era raccolto come pianta selvatica, mentre la sua coltivazione si è diffusa solamente a partire dal diciannovesimo secolo. Tipica insalata invernale, particolarmente resistente alle basse temperature e con un buon contenuto di vitamine e sali minerali, il formentino si consuma principalmente crudo, dopo aver sciacquato le foglie sotto l’acqua corrente e asciugate delicatamente con un panno da cucina. In insalata ha più affinità con il succo di limone piuttosto che con l’aceto. Si abbina bene alle bietole rosse e a qualche gheriglio di noce, oppure ancora condito con olio di noci e lamelle di tartufo nero. Un vera leccornia è poi il formentino con dadini di pancetta affumicati croccanti, uova sode e crostini di pane dorati. Curiosità: il suo nome scientifico latino «Valerianella locusta» vuol dire essere in buona salute.

Preparazione 1. Lessate le uova per ca. 6 minuti. Passatele subito brevemente sotto l’acqua fredda. Tostate le noci in una padella antiaderente senza grassi e fatele scurire leggermente. Aggiungete lo zucchero e il curry e caramellatele. Distribuitele su un foglio di carta da forno e fatele raffreddare. 2. Per il condimento, mescolate la maionese con l’olio e l’aceto. Unite l’aglio schiacciato. Condite con sale, pepe e pepe di Caienna. Sgusciate le uova e dimezzatele. Tagliate gli champignon in quattro e fateli appassire nel burro per ca. 5 minuti. Condite con sale e pepe. Mescolate l’insalata con il condimento e guarnitela con le noci, le mezze uova e gli champignon. Ricetta di


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Idee e acquisti per la settimana

Alla scoperta del formaggio svizzero Eventi Il Centro S. Antonino ospita fino a sabato 22 novembre un’esposizione dedicata

al formaggio svizzero con produzioni dimostrative

Antonino. Ogni giorno alle 9.30 e alle 14.30 (il sabato alle 9.00 e alle 13.30), uno specialista dimostrerà e spiegherà le fasi principali della produzione artigianale di formaggio; un’opportunità

molto interessante per grandi e piccini. Grazie a suggestive immagini video, sono evidenziate le tipicità riguardanti la filiera di questi famosi formaggi conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.

Il Ristorante Migros situato al 1° piano propone per tutta la durata di questa esposizione un piatto di formaggi svizzeri selezionati. Sabato 22 novembre dalle ore 10.00

alle ore 12.00 è prevista l’esibizione dei cornisti del Gruppo Ticinese Corno delle Alpi. Invitiamo tutti gli appassionati della tradizione casearia svizzera a visitare questa esposizione.

Come stupire gli ospiti con sfiziosi aperitivi Novità Grazie al pain surprise già affettato pronto

da farcire nessuno resterà a bocca asciutta

Flavia Leuenberger

In collaborazione con «Switzerland Cheese Marketing» il Centro S. Antonino è lieto di riproporre nella mall al piano terra l’esposizione dedicata ad una delle tradizioni svizzere per eccellenza. Protagonisti sono rinomati formaggi quali: Le Gruyère DOP, Appenzeller, Sbrinz DOP e Tilsiter. La nostra regione a questa rassegna è rappresentata dai formaggi d’Alpe DOP 2014; Gorda (per la Valle di Blenio), mentre per l’alta Leventina e Valle Bedretto: Pesciüm, Fieudo, Crüina e Manegorio. Tutte queste bontà potranno essere degustate e tutti gli interessati riceveranno in omaggio un buono sconto del 10% per l’acquisto di formaggio svizzero valido dal 17 al 29 novembre 2014 presso il «banco formaggio » del supermercato Migros al Centro S.

Salame, prosciutto crudo o cotto, formaggio, carne secca, salmone, verdure, paté, uova e… chi più ne ha più ne metta. Non c’è praticamente limite alla fantasia quando si tratta di scegliere la farcitura per il pain surprise. Questo originale pane non dovrebbe mai mancare in occasione dei vostri apertivi di fine anno, dal momento che con i suoi strati variegati saprà accontentare i gusti di tutti gli invitati. Nei supermercati di Migros Ticino trovate il pain surprise a base di farina bianca bell’e pronto per essere farcito con i companatici più golosi. Morbido e già affettato, può essere preparato in anticipo così da lasciarvi tanto tempo per festeggiare insieme ai vostri ospiti. Un pain surprise farcito è sufficiente per una decina di persone. Consiglio di servizio: una volta pronto, disponete il pain surprise su una griglia per torte rivestita di una graziosa tovaglietta. Estraete qualche panino e sistematelo attorno al pane di modo che ognuno possa scegliere facilmente il ripieno preferito.

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Idee e acquisti per la settimana

Sono arrivate le stelle di Natale ticinesi

Giovanni Barberis

Che sia nel tradizionale colore rosso acceso, oppure anche bianco o rosa, la stella di Natale non può assolutamente mancare nelle nostre case durante il periodo prenatalizio. Correte ad acquistare la vostra pianta colorata nei reparti fiori Migros, giacché attualmente troverete quelle di provenienza locale, coltivate accuratamente a Gordola dall’azienda Rutishauser Fiori SA. La stella di Natale, nota anche con il nome di poinsettia, è una pianta originaria del Messico. Una delle sue particolarità è il fatto che le brattee si colorano quando la luminosità si riduce e le notti si allungano. Con al-

Le nostre scuse

cuni accorgimenti, questa bellissima pianta può sopravvivere ben oltre le festività natalizie. Prestate attenzione a dove la tenete perché soffre il fred-

do, le correnti d’aria, il gelo e l’acqua stagnante. Conservatela al caldo, ma non vicino al radiatore. Tenetela in un luogo chiaro ma non al sole diretto, e

non annaffiatela troppo spesso. Da maggio a ottobre si consiglia di fertilizzare la pianta regolarmente, mentre in inverno si può rinunciare a farlo.

In «Azione 45» del 3 novembre 2014, sotto la rubrica «M-Shopping/ Buon Gusto», è apparsa una foto della famiglia Lo Franco, senza che quest’ultima fosse informata dell’uso di tale immagine. La famiglia Lo Franco gestisce un’azienda agricola biodinamica a Castiglion Fibocchi (Toscana), con il nome di Fattoria La Vialla, dove produce anche pasta venduta in Svizzera, come p.es. Tubettini, Tagliatelle, Linguine e Pappardelle all’uovo (www.lavialla. it). Con l’utilizzo della foto di famiglia per l’articolo sui nostri prodotti Buon Busto è sorta l’impressione che le lasagne raffigurate provenissero dalla Fattoria la Vialla. Questa impressione è sbagliata. La Fattoria la Vialla non fornisce Migros e vende lei stessa la propria pasta in Svizzera. Siamo dispiaciuti per questa svista e ci scusiamo con la famiglia Lo Franco. L’Editore e la Redazione

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Idee e acquisti per la settimana

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Il giudizio di una lettrice Julia Eicher (36 anni), assistente di direzione di Horw LU Prima impressione: la confezione si presenta benissimo. La forma a sfera del cioccolato è molto gradevole. Consistenza: il guscio di cioccolato non è troppo duro e si scioglie perfettamente in bocca. Gusto: una crema così sostanziosa sarebbe certamente squisita anche con un cioccolato scuro.

Un pensierino delizioso Le palline Adoro, nella loro elegante confezione, sono il regalo ideale

L’Avvento è il tempo dell’incontro. Come omaggio a chi ci ospita o gesto di riconoscenza: con la loro confezione particolare, le palline Adoro si prestano perfettamente a trasmettere un senso di stima e considerazione. Molto indicati i nuovi formati stagionali box (248 g) e cuscino (300 g).

Queste delicate delizie della Frey sono state lanciate l’anno scorso all’inizio del periodo prenatalizio e da allora godono di grande popolarità, anche quale opzione per un regalo. Con il nuovo design esclusivo della loro confezione, però, quest’anno si sono fatte ancora più ten-

tatrici. Il grazioso ricamo Adoro, che circonda la parte superiore dell’elegante scatola, si chiude con un festoso fiocco dorato. La superficie della confezione è impreziosita da fregi dorati, laccature e stampe. Naturalmente nulla vieta di gustarsi an-

che personalmente questa creazione a base di cioccolato al latte con un nocciolo morbidamente cremoso. Per l’uso personale si raccomanda la confezione stagionale grande (550 g). Di fronte a una tale leccornia, infatti, i coinquilini faranno presto la coda… / DH

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche le palline Adoro della Frey.


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Idee e acquisti per la settimana

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Benché ogni anno ci si riprometta di fare gli acquisti di Natale già in autunno, di incartare i regali con un certo anticipo e di scrivere le cartoline già all’inizio di dicembre, la maggior parte poi non lo fa e cade in preda allo stress durante il periodo dell’Avvento. Diventa quindi ancora più importante viziarsi e tirare il fiato di tanto in tanto. Una ventina di minuti al giorno bastano già per rallentare il ritmo. Una crema rilassante o un bagnoschiuma fanno miracoli. / SL

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Idee e acquisti per la settimana

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Partecipate al Mega Jackpot e inseguite la fortuna su www.megajackpot.ch o con l’App di Migros. Fino al 29 dicembre sul retro di ogni scontrino di cassa Migros trovate dei Win Codes.

Dopo i primi giorni del gioco a premi Mega Jackpot il Jackpot è stato raggiunto già sei volte. Claudia R. ha vinto 10’819.40 franchi in una carta regalo di Migros. E così può togliersi molti sfizi…

«Voglio comprare tante orchidee per il mio ufficio. Mi piacciono molto i fiori, in particolare in inverno, quando non ci sono nei prati. Spesso mi capita di comprare piante e accessori per la casa e il giardino nei negozi Do it + Garden».

«Mi piacerebbe compiere un viaggio con mio marito nell’Oman. La penisola arabica mi interessa molto, ma non ci sono mai stata».

Congratulazioni a tutti i vincitori…:* Azione si congratula con i primi vincitori. Il jackpot è stato finora* sbancato da: «Un bel sacchetto di bastoncini alle nocciole. Sono semplicemente il migliore spuntino da sgranocchiare durante la giornata. In occasione della spesa del finesettimana finiscono spesso nel carrello, vicino a cioccolata o dolcetti».

i Premalore nv di per u lessivo p com

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e n o mili nchi di fra

Foto Manuel Risi

Claudia R., 51 anni «Ero alla scrivania, a casa mia, e stavo lavorando alla mia contabilità: in un primo momento non ne avevo molta voglia, quando ho preso in mano gli scontrini di cassa della Migros. Non sapevo come funzionasse il gioco e ho semplicemente inserito il Win Code nel sito web, per vedere se c’era qualche piccolo premio da vincere. Lì sono rimasta sorpresa e contentissima. Fino ad oggi non avevo mai vinto niente, se non una treccia di pane in un torneo di calcetto».

Partecipazione gratuita e ulteriori informazioni su www.megajackpot.ch

Ramon I. di Oberönz BE, vincita: 1’037.50 franchi Claudia R. di Trogen AR, vincita: 10’819.40 franchi Sarah L. di Lajoux JU, vincita: 38’222.40 franchi Trudy S. di Zurigo, vincita: 50’000 franchi Thea V. di Gentilino TI, vincita: 17’489.80 franchi Roberto C. di Carouge GE, vincita: 4’351.30 franchi *(situazione aggiornata alla chiusura di questa edizione del giornale).


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Filetto di maiale, TerraSuisse, per 100 g 3.65 invece di 5.25 30% Wienerli M-Classic in conf. da 5, Svizzera, 5 x 4 pezzi, 1 kg 7.10 invece di 14.25 50% Prosciutto cotto al forno, Svizzera, per 100 g 2.65 invece di 3.80 30% Nuggets di pollo Don Pollo in conf. da 2, prodotti in Svizzera con carne del Brasile, 2 x 500 g 10.60 invece di 21.20 50% Filetti di trota affumicati M-Classic in conf. da 3, ASC, d’allevamento, Danimarca, 3 x 125 g 7.– invece di 11.70 40% * Porchetta, prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g 3.20 invece di 4.05 20% Luganighetta, Svizzera, imballata, per 100 g 1.45 invece di 1.85 20% Salametti di cervo, prodotti in Ticino, in conf. da 2 x 90 g, per 100 g 2.65 invece di 3.85 30% Prosciutto crudo ticinese, prodotto in Ticino, affettato in vaschetta, per 100 g 4.60 invece di 6.75 30% Costolette di maiale, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 1.20 invece di 2.– 40% Hamburger di vitello, Svizzera, imballati, in conf. da 4 x 100 g 8.– invece di 13.60 40% Pollo Optigal, Svizzera, in conf. da 2 pezzi, al kg 7.50 invece di 9.50 20% Tartare di manzo, Svizzera (prodotta in filiale), imballata, per 100 g 3.50 invece di 5.– 30% Tutto l’assortimento di salmone fresco norvegese, per es. filetti di salmone senza pelle, d’allevamento, Norvegia, in vaschetta, per 100 g 2.55 invece di 3.70 30% * Fino al 22.11

PANE E LATTICINI Panini mini sandwiches e panini al latte M-Classic confezionati –.40 di riduzione, per es. panini mini sandwiches, 300 g 1.90 invece di 2.30 Tutti i tipi di crème fraîche, per es. al naturale, 200 g 2.10 invece di 2.65 20%

*In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Tutti i drink allo yogurt da 500 ml, per es. alla fragola 1.55 invece di 1.95 20% Fruity SiD’s, per es. alla fragola, 150 g –.90 NOVITÀ *,** 20x Dessert Mixme SiD’s, per es. Vanilla Cream, 20x 170 g 2.10 NOVITÀ *,** Tutte le creme dessert Tradition in conf. da 4, per es. al cioccolato, 4 x 175 g 4.15 invece di 5.20 20% Emmentaler Höhlengold, per 100 g 2.15 invece di 2.70 20% Tilsiter surchoix, per 100 g 1.30 invece di 1.65 20% Raccard Special Edition alle 20x erbe, 200 g 5.20 NOVITÀ *,** Camembert Suisse Crémeux, 300 g 4.40 invece di 5.50 20% Pane Proteico Léger, 400 g 3.15 invece di 3.70 Caseificio Canaria, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.60 invece di 28.10 30%

FIORI E PIANTE Rose dell’altopiano, Fairtrade, in diversi colori, gambo da 50 cm, mazzo da 9 13.50 invece di 16.90 20% Amarilli Rembrandt, al pezzo 15.90 invece di 19.90 20%

ALTRI ALIMENTI Tutte le tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 4, UTZ, per es. cioccolato al latte finissimo, 4 x 100 g 5.70 invece di 7.60 25% Tutte le palline Frey Adoro, UTZ, per es. palline di cioccolato al latte, 200 g 6.30 invece di 7.90 20% Praline Prestige Edition d’or Frey, UTZ, 256 g 17.80 NOVITÀ ** 20x Tartufi Frey, UTZ, 20x 200 g 7.80 NOVITÀ *,** Truffes assortiti Frey in barattolo con motivo di renna, UTZ, 20x 261 g 15.80 NOVITÀ ** Palline Frey al gianduia e al caramello con sale marino, 20x UTZ, 500 g 10.80 NOVITÀ ** Crocchette Spruso Frey, 20x UTZ, 130 g 4.40 NOVITÀ ** Palline natalizie Risoletto Frey, UTZ, 372 g 9.40 NOVITÀ ** 20x Santa Sleigh Frey con cioccolato, UTZ, 20x 165 g 14.80 NOVITÀ ** Piemontesi Créa d’Or, 85 g 20x 2.90 NOVITÀ *,** Cialde finissime ChocMidor Classic, Noir o Diplomat in conf. da 3 (monovarietà), per es. Classic, 3 x 165 g 5.70 invece di 8.55 33% Tutti i biscotti di Natale in sacchetto da 500 g (confezioni miste escluse), 1.– di riduzione, per es. stelle alla cannella 4.90 invece di 5.90 Bevande per la colazione Califora, Eimalzin o Banago in conf. da 2, per es. Banago, Fairtrade, 2 x 600 g 12.60 invece di 15.80 20%

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Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ, per es. Boncampo 5.95 invece di 8.90 33% Tutti gli zwieback, per es. Original, 260 g 2.55 invece di 3.20 20% Nocciole macinate, mandorle macinate, mandorle a bastoncino o mandorle a scaglie M-Classic da 200 g, per es. nocciole macinate 2.45 invece di 3.10 20% Tutti i prodotti a base di patate e patate fritte Denny’s (prodotti bio esclusi), surgelati, per es. patate fritte al forno M-Classic, 500 g 2.05 invece di 2.60 20% Tutti i cannelloni e le lasagne Buon Gusto e tutti i pasti pronti Yummie, surgelati, per es. lasagne alla bolognese, 360 g 2.70 invece di 3.40 20% Filetti dorsali di merluzzo Pelican in conf. da 2, MSC, surgelati, 2 x 400 g 8.80 invece di 12.60 30% Mini Windy’s Classic da 400 g e frittelle alle mele da 500 g M-Classic, surgelati, per es. frittelle alle mele 6.– invece di 8.65 30% Tutti i tipi di Pepsi in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Regular 5.50 invece di 11.– 50% Tutti i succhi Gold da 1 l o 3 x 25 cl, per es. succo multivitaminico, 1 l 1.40 invece di 1.80 20% Tutti i tipi di Aquella in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. verde 1.65 invece di 3.30 50% Magnesio del Mar Morto Actilife, 30 capsule 20x 9.90 NOVITÀ *,** Pastiglie contro raucedine e mal di gola Medisana Actilife, 30 pastiglie da succhiare 20x 7.90 NOVITÀ *,** Calmante per la tosse Medisana Actilife, 200 ml 20x 7.50 NOVITÀ *,** Lady Protein Sponser, 20x 200 g 12.30 NOVITÀ ** Sciroppo al miele, allo zenzero e al limone, 20x 75 cl 3.50 NOVITÀ *,** Rösti Original in conf. da 3, 3 x 500 g 4.30 invece di 6.15 30% Mifloc Instant, 20x 3 x 50 g 3.50 NOVITÀ *,** Tutte le salse Agnesi, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. sugo al basilico Agnesi, 400 g 2.30 invece di 2.80 Tutti i pomodori pelati o tritati Longobardi, per es. pomodori tritati, 280 g –.70 invece di 1.10 20% Pasta assortita in borsa M-Classic, per es. 3,5 kg 7.60 Tutta la pasta Tradition, per es. tagliatelle, 500 g 3.15 invece di 3.95 20% Ketchup Heinz piccante o classico in conf. da 2, per es. classico, 2 x 700 g 4.75 invece di 6.80 30% Pannocchiette di mais M-Classic, a partire dall’acquisto di 2 pezzi, 1.30 di riduzione l’uno, 190 g 1.30 invece di 2.60 Tutto l’assortimento Knorr, per es. brodo di verdure, 10 dadi, 109 g 3.25 invece di 4.10 20% Ripieno per fajita Subito, 20x 420 g 5.50 NOVITÀ *,** Pasti pronti al dente Subito, per es. penne al basilico, 20x 350 g 4.70 NOVITÀ *,** Snacketti Zweifel in conf. da 2, per es. Onion Rings, 2 x 75 g 3.10 invece di 3.90 20%

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Baguette precotta all’aglio Farmland, 175 g 20x 1.35 NOVITÀ *,** Tutti i biscotti M-Classic, per es. discoletti, 400 g 3.90 invece di 4.90 20% Leckerli di Basilea, 1,5 kg 12.– invece di 15.– 20% Ometto di pasta Sélection, 20x 500 g 9.50 NOVITÀ ** Minestra di zucca e di cocco, bio, 500 ml 20x 4.30 NOVITÀ *,** Pizza M-Classic in conf. da 4, per es. pizza del padrone, 4 x 370 g 11.50 invece di 19.20 40% Caffè Chicco d’Oro in conf. da 3, in grani o macinato, 500 g 18.95 Pandorino, 90 g 1.50 invece di 1.90 20% Torta Frolla Savaris, 400 g 3.90 invece di 4.90 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Petto d’anatra Max Light, 20x 100 g 4.90 NOVITÀ *,** Tutti gli alimenti per cani Cesar e gli snack per cani DeliBakie, per es. selezione di classici Cesar, alimenti umidi in vaschetta, 4 x 150 g 3.60 invece di 4.55 20% Tutto l’assortimento I am body, per es. lozione idratante per il corpo, 400 ml 4.90 NOVITÀ ** 20x Tutto l’assortimento Covergirl Face, per es. Trublend Liquid Make-up, Buff Beige L-6 20x 16.90 20x PUNTI ** Prodotti per i capelli Nivea Men in confezioni multiple, per es. shampoo Sport in conf. da 3, 3 x 250 ml 7.90 invece di 11.85 33% ** Tutto l’assortimento I am young (deodoranti e prodotti per la doccia esclusi), per es. Wash Peeling, 20x 75 ml 4.20 NOVITÀ ** Cura per il viso L’Oréal Men Expert e Nivea Men, per es. balsamo dopobarba delicato Nivea Men, 100 ml 6.60 invece di 7.80 15% ** Bic 1 Sensitive, 20 pezzi + 10 in omaggio 5.20 ** Dentifricio Orange & Cinnamon Candida, Limited Edition, 20x 75 ml 3.60 NOVITÀ ** Diversi prodotti per la doccia e deodoranti I am, Nivea, Axe e Rexona in confezioni multiple, per es. deodorante aerosol Africa Axe in conf. da 2, 2 x 150 ml 8.30 invece di 10.40 20% ** I am Soap lovely & delicious, Limited Edition, per es. alla mela e caramello in dispenser, 20x 300 ml 3.20 NOVITÀ *,** Tutto l’intimo Sloggi da uomo e donna, 5.– di riduzione fino a 29.80, 10.– di riduzione a partire da 29.90, per es. Woman Sensual Fresh Tai, 5.– di riduzione 12.90 invece di 17.90 ** Tutto l’intimo Sloggi da uomo e donna, 5.– di riduzione fino a 29.80, 10.– di riduzione a partire da 29.90, per es. boxer da uomo, 10.– di riduzione 19.90 invece di 29.90 ** Pantaloni di velluto da bebè, disponibili in diversi colori, taglie 50–98 19.60 invece di 29.40 3 per 2 ** Tutti i prodotti Migros Plus in conf. da 2, per es. detergente all’aceto di mele, 2 x 1 l 5.20 invece di 6.50 20% ** Candele profumate Migros Fresh in conf. da 2, per es. Winter Vanilla, 2 pezzi 9.90 **


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 17 novembre 2014 ¶ N. 47

Idee e acquisti per la settimana

Su nessun’altra bevanda come attorno al caffè aleggiano così tante leggende e verità. È giunto il momento di far luce

Leggenda o verità?

La cultura del caffè 1a puntata Con una serie di articoli esploriamo l’affascinante mondo del caffè. Dalla coltivazione in Sudamerica allo Swiss Coffee Championship. Oggi Leggenda o verità?

Delizio Hawaii Maui Limited Edition 12 capsule Fr. 9.80

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No. Sarebbe troppo bello: scolarsi qualche birra di troppo alla sera ed eliminare rapidamente l’inabilità alla guida con un paio di tazzine di caffè! Naturalmente non funziona così, dato che il caffè non è in grado di accelerare il metabolismo dell’alcool. Al massimo la caffeina fa in modo che ci si senta più svegli ed in forma di quanto si sia realmente.

No. Un caffè leggero è addirittura un ottimo aiuto per prendere sonno. Infatti, nei primi 30 minuti dall’ingestione, il caffè ha un effetto calmante. Solo in seguito agisce da stimolante e tiene svegli. Perciò: meglio bere il caffè di sera appena prima di andare a letto.

Il caffè aiuta a smaltire la sbornia

2

Il caffè di sera non fa dormire

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Il caffè disidrata il corpo

3

Addio alla cellulite!

Fidatevi! Grassi o magri, la brutta «buccia d’arancia» può colpire chiunque, indipendentemente da statura, corporatura o peso. L’arma segreta nella guerra alla cellulite è proprio il caffè: restituisce alla pelle la sua elasticità ed agisce in combinazione con un massaggio che favorisce la circolazione. Anche l’industria dei cosmetici punta su prodotti che contengono caffeina. Mischiate semplicemente dei fondi di caffè con un po’ d’olio d’oliva e spalmateli sulla pelle. Lasciate agire per qualche minuto, poi massaggiate la pelle.

No. Non corrisponde a verità quanto asserito da uno dei detti più antichi e popolari, secondo il quale il caffè disidrata. Lo stesso caffè, infatti, consiste quasi al 100 percento d’acqua. È invece reale il suo effetto diuretico sulle persone che lo bevono raramente. Il corpo, infatti, compensa da solo il suo tenore di liquidi. Il bicchiere d’acqua che spesso viene servito assieme al caffè serve unicamente a sciacquare le papille gustative, affinché si possa percepire meglio l’aroma del caffè. L’acqua dovrebbe avere sempre la temperatura ambiente ed essere bevuta prima del caffè.

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Caruso Oro Chicchi 500 g Fr. 9.50

Exquisito Macinato 500 g Fr. 7.70

Il caffè non bolle con l’acqua distillata

No. L’acqua distillata è quasi del tutto priva di minerali, pertanto gli aromi del caffè non possono venire trattenuti saldamente. È come se le fragranze scivolassero attraverso l’acqua, proprio come su uno scivolo, invece di essere liberate dalle minuscole sostanze minerali. Il risultato è un caffè insipido. Per contro, la macchina del caffè viene risparmiata dal calcare.

Il caffè rende luminosa la pelle

Fidatevi! Mescolate semplicemente dei fondi di caffè ancora umidi con dell’olio d’oliva e un po’ di miele. Massaggiate la pelle con questo impasto per qualche minuto e risciacquate. Le squame di pelle secca vengono rimosse, mentre la pelle e i tessuti sono stimolati dalla caffeina. Questo peeling al caffè pulisce i pori, lasciando una pelle morbida e luminosa.

4

Sì! I fondi di caffè sono straordinari per le piante, perché rendono acido il terreno. Ortensie, azalee e rododendri preferiscono,

infatti, un suolo acido e traggono beneficio dai fondi di caffè, che su queste piante possono agire come sostituti della torba e

5

Il caffè va conservato in frigorifero

I fondi del caffè fanno bene ai fiori del concime. Mescolate semplicemente i fondi del caffè nel terriccio in modo da dare alle piante una piccola spinta fertilizzante.

No. Il caffè dovrebbe essere conservato al fresco, all’asciutto e al riparo dalla luce. Preferibilmente in un contenitore a tenuta

stagna. Regolarmente, però, si sente dire che va conservato in frigorifero. Tuttavia, il caffè si impregna molto presto degli odori

degli altri alimenti. Inoltre, quando lo si tira fuori dal frigo, l’umidità può provocare una condensa che ne compromette l’aroma.

L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche una grossa parte dell’assortimento di caffè.


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Idee e acquisti per la settimana

Con lo sciroppo limone-zenzeromiele si può preparare un’aromatica bevanda calda o fredda.

Da bere sia freddo che caldo

Foto: Claudia Linsi

Chi su Migipedia ha desiderato uno sciroppo al gusto di limone, zenzero e miele può rallegrarsi: adesso è veramente disponibile!

Sciroppo limonezenzero-miele 75 cl Fr. 3.50 Nelle maggiori filiali. 20x punti Cumulus dal 18.11 al 1.12.

Sulla piattaforma online Migipedia gli utenti potevano votare per una nuova varietà di sciroppo. All’incirca il 30% dei partecipanti hanno espresso la loro preferenza cliccando per la variante al sapore di limone-zenzero-miele. Quest’ultima è disponibile in edizione limitata nelle maggiori filiali Migros. I concorrenti erano le combinazioni di gusto prugna-cannella, mirtillivaniglia, mela-caramello e mandorlalimone. Fresco limone, aromatico zenzero e dolce miele hanno trionfato tra i cinque contendenti. Probabilmente la decisione è stata condizionata dal fattore

stagionale. Infatti i tre gusti sono molto apprezzati durante i mesi più freddi dell’anno. E non solo dai bevitori abituali di tè. Fatto sta che la maggior parte dei fan dello sciroppo tra i clienti Migros desiderava assaggiare questo aroma. Sarebbe inoltre interessante sapere quanti di loro preferiscano gustare la propria bevanda favorita calda, tiepida oppure bollente. Tuttavia lo sciroppo ben si presta anche per la preparazione di dolci, aggiunto ad una tisana di erbe oppure per affinare lo yogurt. In poche parole, la creatività non ha limiti. / JV

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche gli sciroppi di Aproz.


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Idee e acquisti per la settimana

Per un viso luminoso: Zoé Ultra Sensitive si prende cura della pelle sensibile grazie a sostante preziose.

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Sentirsi bene nella propria pelle Foto: istockphoto

La linea curativa Zoé Ultra Sensitive soddisfa le alte aspettative delle pelli sensibili del viso

Zoé Ultra Sensitive Anti-Aging crema da giorno 50 ml Fr. 15.80

Utilizzando prodotti convenzionali per il viso, la pelle secca e sensibile reagisce spesso con delle irritazioni. La linea curativa Ultra Sensitive di Zoé è stata appositamente sviluppata per la pelle delicata e incline alle irritazioni. Essa si compone di prodotti privi di profumo, coloranti o conservanti in grado di

rafforzare le difese naturali della cute. Tutti i prodotti della linea contengono la speciale sostanza Delisens, che è in grado di rafforzare le difese proprie della pelle, di alleviare il prurito e di aumentare il tasso di umidità della pelle del viso. I prodotti Ultra Sensitive di Zoé sono

certificati da aha! Centro Allergie Svizzera e pertanto sono indicati anche per persone con allergie della cute. L’ampio assortimento offre anche tre prodotti Anti-Aging, i quali in aggiunta proteggono dall’invecchiamento della pelle e attenuano la comparsa delle rughe. / NO

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Idee e acquisti per la settimana

Affinché il nero resti nero Yvette Black, grazie alla sua nuova formula per un nero lucente, lava la biancheria nera e scura in modo delicato, proteggendo le fibre e preservando a lungo il colore nero. Il sistema Protect & Care non si prende solo cura dei tessuti neri e scuri, ma fa pure sì che essi restino belli e in forma per molto tempo. Tutti i prodotti Yvette sono testati dermatologicamente. Per un lavaggio ideale dei propri capi preferiti, si consiglia di selezionare dei programmi per delicati.

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Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ per es. Boncampo

Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ per es. Exquisito*

Tutti i tipi di caffè in chicchi da 1 kg, UTZ per es. Gastronome M-Classic*

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.11 AL 24.11.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


L’ITALIA A CASA TUA. BITO U S E E. ZI DELI PRONT

4.70 Piatti pronti con penne Subito per es. penne al basilico, 1 porzione, 350 g

GUSTATI TUTTO IL SAPORE DELLE PRELIBATEZZE ITALIANE. Facili e veloci da preparare in meno di tre minuti, i piatti pronti a base di pasta senza agenti conservanti sono squisiti e perfettamente al dente. Nella pratica vaschetta doppia per la pasta e il sugo. Disponibili nelle varianti al basilico, all’arrabbiata e alla bolognese. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 18.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK

PUNTI

20x


NOVITÀ

PUNTI

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NOVITÀ 15.80 Truffes assortiti Frey in barattolo con motivo di renna, UTZ 261 g

NOVITÀ

NOVITÀ

10.80

17.80

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Palline Frey al gianduia e al caramello con sale marino, UTZ 500 g

Praline Prestige Edition d’or Frey, UTZ 256 g

Tartufi Frey, UTZ* 200 g

NOVITÀ

NOVITÀ

NOVITÀ

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4.40

9.40

14.80

Crocchette Spruso Frey, UTZ 130 g

Palline natalizie Risoletto Frey, UTZ 372 g

Santa Sleigh Frey con cioccolato, UTZ 165 g

* In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.11 ALL’1.12.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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