Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 31 agosto 2015
Azione 36 ping 71 M shop ne 41-51 / 61i alle pag
Società e Territorio I segreti della felicità secondo il filosofo francese Frédéric Lenoir
Ambiente e Benessere A colloquio con la terapista complementare Stefania Piacquadio per conoscere il drenaggio linfatico e i suoi effetti sul corpo
Politica e Economia Borse in picchiata dall’Asia agli Stati Uniti
Cultura e Spettacoli Il trionfale ritorno dello scrittore Don Winslow con un nuovo romanzo sul narcotraffico
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Keystone
Le Alpi si fanno macroregione
di Roberto Porta pagina 6
Le armi non sconfiggono le ideologie di Peter Schiesser È l’eterna lotta di Davide contro Golia. Trasposta nell’età moderna, del Golia (americano) contro il Davide (arabo). Come George W. Bush non è infine riuscito a vincere in Afghanistan e in Iraq e tantomeno a sconfiggere al Qaeda, così Barack Obama non riesce a battere lo Stato Islamico guidato dal sedicente califfo al-Baghdadi: un anno dopo l’inizio della campagna militare aerea contro l’ISIS e 5000 missioni aeree più tardi, i generali americani devono riconoscere che, al di là di qualche battaglia vinta e dei guadagni territoriali in Iraq, non c’è stata una vera svolta. Per intanto, la campagna contro l’ISIS gode ancora del sostegno della maggioranza degli americani. Secondo il PEW Review Center, i favorevoli sono persino aumentati dal 54 al 63 per cento ed è cresciuta anche la percentuale di chi vedrebbe di buon occhio l’impiego di truppe di terra (44% contro il 49%), tuttavia, due terzi degli intervistati sono del parere che la campagna non stia andando per nulla bene (percentuale in crescita). Il presidente americano era stato cauto, l’anno scorso, sottolineando che sarebbe stata una campagna
lunga, ma si dichiarava convinto che alla fine lo Stato Islamico sarebbe stato sconfitto e cancellato. Oggi il suo giudizio è più sfumato e riconosce che non basterà una schiacciante superiorità militare per vincere questa guerra: «Le ideologie non vengono sconfitte dalle armi, sono sconfitte da idee migliori, da una visione più attraente e convincente», ha dichiarato. A dire il vero, anche dal punto di vista militare le difficoltà sono notevoli, principalmente a causa di un equivoco gioco di alleanze: in Siria gli Stati Uniti non sono riusciti a formare i previsti 15mila combattenti «moderati» (non si è andati più in là di un manipolo di 60 combattenti che in un primo combattimento nel luglio di quest’anno contro un gruppo islamico sono stati quasi del tutto eliminati) e devono limitarsi ai bombardamenti aerei contro lo Stato Islamico in coalizione con le monarchie sunnite del Golfo arabico, le quali sostengono però sul terreno una pletora di milizie islamiche più o meno vicine ad al Qaeda e più interessate a veder crollare il regime di Assad, sostenuto dall’Iran; per contro, in Iraq, nella lotta contro l’ISIS gli Stati Uniti sono alleati dell’Iran, che istruisce le milizie sciite e combatte più efficacemente dell’esercito iracheno l’armata
di al-Baghdadi. Inoltre, si osserva una modifica delle alleanze in Medio Oriente che in seguito all’accordo sul nucleare fra Stati Uniti e Iran: l’Arabia Saudita sta tendendo la mano alla Fratellanza Musulmana, in passato acerrima nemica, e sta rinsaldando i legami con i palestinesi di Hamas, ideologicamente vicini ai Fratelli musulmani; parallelamente, i palestinesi di al Fatah si stanno avvicinando a Teheran, nonostante i primi siano sunniti e i secondi sciiti. Tuttavia, è vero che la sfida maggiore è data dall’attrattività dell’ideologia del califfato non solo nei Paesi arabi, ma anche nelle comunità musulmane in Europa. Per noi è incomprensibile che persino gli stupri di donne yazide, trasformate in schiave sessuali, vengano incoraggiati con dubbie interpretazioni del Corano. Ed è altrettanto incomprensibile che l’ideologia di morte del califfato entusiasmi non solo giovani mulsulmani europei, ma persino brillanti ragazzine (il caso di tre adolescenti britanniche ha generato un ampio dibattito in Inghilterra). Per non parlare della facilità con cui si trovano in Europa giovani pronti a farsi esplodere per la gloria dello Stato Islamico. Eppure è così. E finché queste e altre assurdità non troveranno risposte convincenti, Golia risulterà perdente.
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Società e Territorio Un videogioco per famiglie Yoshi, il dinosauro verde amico di Super Mario, è finalmente diventato protagonista di un’avventura... tutta di lana
Al via la Macro Regione alpina È nato il piano Eusalp, una strategia europea che coinvolge le zone alpine di sette Stati tra i quali anche la Svizzera pagina 6
La montagna diventata isola Oliver Scharpf nelle sue passeggiate svizzere ci porta sull’arcipelago detritico Lorelei di Flüelen pagina 8
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La sfida economica dell’innovazione Ticino Sostenere e promuovere l’innovazione economica è uno degli obiettivi del Governo cantonale
Fabio Dozio
Alla ricerca della felicità Intervista Il filosofo francese Frédéric Lenoir
ci svela i segreti per essere più felici
Stefania Prandi Scrivere un libro sulla ricerca della felicità non è un’impresa semplice. Si rischiano banalità e noia. Frédéric Lenoir, sociologo e filosofo francese, autore di bestseller tradotti in trenta lingue, ha deciso comunque di provarci, partendo da una premessa: non c’è una ricetta valida per tutti, ma esistono saperi e pratiche che possono aiutarci. Il risultato della sua ricerca, dopo anni di preparazione e di rinvii, è La felicità, un viaggio filosofico (Bompiani), un pamphlet agile, che nelle ultime settimane è stato particolarmente apprezzato in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Attraverso rigorosi rimandi al pensiero di filosofi come Aristotele, Spinoza, Montaigne, Zhuangzi che, nonostante appartengano al passato, continuano a indicarci la via, Lenoir spiega, con semplicità, come imparare a essere più felici. Consigli che abbiamo raccolto in quest’intervista. Professor Lenoir, gli esseri umani sono da sempre alla ricerca della felicità. La filosofia e gli insegnamenti dei saggi ci possono davvero aiutare?
La filosofia ci permette di pensare meglio e perciò può aiutarci a vivere meglio. È per questa ragione che i filosofi greci come Aristotele, Epicuro o Epitteto, pensavano che la filosofia potesse condurre alla felicità. Ma questo implica anche un lavoro rigoroso su noi stessi. La lucidità e la ragione non bastano: bisogna anche imparare a moderare o ri-orientare i nostri desideri e a diventare virtuosi, il che richiede un grande sforzo e un vero impegno nella vita di tutti giorni. Se lei dovesse scegliere due filosofi in particolare, quali ci indicherebbe?
Direi Spinoza e Zhuangzi. Spinoza è il grande filosofo della felicità e della gioia. Il suo libro principale, l’Etica, ci dice che la gioia è dentro di noi e che dobbiamo imparare a rimuovere gli ostacoli interni che impediscono alla gioia di emergere. Per questo ci dà una descrizione molto precisa di tutte le nostre emozioni, dei nostri desideri e delle
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
nostre passioni e spiega come convertire le passioni tristi in emozioni gioiose. È un notevole psicologo. Zhuangzi è il principale filosofo taoista con Lao Tzu. Nel libro che porta il suo nome, spiega che la felicità è il risultato del lasciar andare: per essere felici, non bisogna sedersi su certezze e principi rigidi. Occorre, invece, essere flessibili, adattabili, per accompagnare il flusso permanente e a volte contraddittorio della vita. Lei scrive anche che la felicità è dovuta in parte alle condizioni esterne, cioè al posto dove si vive, alla propria famiglia, alle buone occasioni che si presentano sul lavoro e ad altri fattori che non possiamo controllare. Un’altra parte, la metà circa, è invece dovuta alla decisione di essere felici. Quindi, possiamo dire che la felicità è anche una scelta?
La professoressa Sonja Lyubomirsky, dell’Università della California, nel saggio Pursuing Happiness: The Architecture of Sustainable Change (In cerca della felicità: l’architettura di un cambiamento sostenibile), spiega che la felicità dipende per circa il 10 per cento dalle condizioni esterne, per il 50 per cento dalle tendenze genetiche e familiari e per il 40 per cento dalle nostre attività volontarie. Dato che non possiamo intervenire sui due primi punti, i filosofi che si concentrano sulla necessità di essere felici, hanno focalizzato la loro attenzione su «ciò che dipende da noi», per usare la celebre massima di Epitteto. Si tratta in sostanza di decidere di essere felici e di prendere le misure adatte per riuscirci. Dal suo libro emerge che la felicità è uno stato dell’essere. Si è felici perché si ama la vita. Può spiegarci questo concetto?
Amare la vita significa accettare le sue diverse stagioni, i suoi alti e bassi, i momenti di gioia e di tristezza. Non possiamo amare la vita soltanto quando tutto va bene, dobbiamo amarla sempre. È così che possiamo veramente essere felici, in modo duraturo: imparando ad amare la vita così com’è e non solo come si vorrebbe che fosse. Lei sostiene che con il tempo e con Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
«Per essere felici bisogna imparare ad amare la vita così com’è e non solo come si vorrebbe che fosse». (Keystone)
Questo è ciò che lo psicologo Jung chiama il processo di individuazione: diventare pienamente noi stessi al di là di tutto quello che ci ha condizionati e influenzati fin dall’infanzia. Con il tempo e l’esperienza, se stiamo attenti e lucidi, impariamo a conoscere meglio la nostra sensibilità, i nostri gusti, i nostri desideri più profondi. Possiamo quindi rinnovare la nostra vita per essere più pienamente noi stessi.
La nostra natura è quando siamo pieni di gioia! Spinoza e Montaigne ci dicono che la gioia è il criterio del vero. Ogni volta che facciamo qualcosa che ci rallegra, significa che è una buona cosa per noi e se facciamo qualcosa che ci immerge nella tristezza, significa che ciò non corrisponde alla nostra natura profonda. E questo vale anche per le nostre relazioni amichevoli e affettive: una relazione che ci rattrista, ci avvelena e ci diminuisce, mentre un rapporto che ci rende lieti, ci fa crescere e quindi è adatto a ciò che siamo.
Montaigne e Spinoza sostengono che bisogna conoscere la propria «natura» per soddisfarla. Ma come facciamo a capire qual è la nostra natura?
Lei crede che le persone con una grande passione, che magari riescono anche a trasformare in un lavoro, hanno più opportunità di essere felici?
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le esperienze impariamo a conoscerci meglio e questo ci guida verso la felicità.
Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Certamente, avere un lavoro che amiamo è una delle principali cause della felicità. Ma anche l’amore è importante, così come la salute. Ci dà qualche suggerimento per essere più felici?
Credo sia fondamentale avere una qualità di presenza a noi stessi, agli altri e al mondo. Vivere nel momento e godere di ogni piccolo piacere della vita: un bel paesaggio, una musica che amiamo, il sorriso di un bambino, un incontro amichevole, il caffè del mattino. Per essere felici dobbiamo non solo volerlo, ma anche essere consapevoli della nostra felicità. Prévert diceva: «ho riconosciuto la felicità dal rumore che ha fatto andandosene». Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
Dal 2016 al 2019 il Ticino intende rilanciare la propria economia, dotandosi di una nuova politica industriale e non solo. A metà luglio è stato presentato il programma d’attuazione della politica economica regionale che prevede investimenti complessivi per circa 100 milioni di franchi, di cui 58 dovrebbero provenire dalla Confederazione. Un progetto ambizioso e strutturato, che si fonda su tre capisaldi: l’aumento delle capacità di innovazione e della competitività delle piccole e medie imprese (PMI) con particolare attenzione alla formazione della manodopera, alle reti interaziendali e allo sviluppo delle specializzazioni intelligenti, l’incremento dell’attrattiva delle destinazioni turistiche ticinesi e il riposizionamento delle regioni periferiche. Il Consiglio di Stato sottolinea che «si tratta di un importante documento strategico, che considera anche gli obiettivi della recente revisione della legge sul turismo e della proposta di nuova legge per l’innovazione economica». L’innovazione economica non è una novità. Una prima legge entrò in vigore nel 1997, ma, dopo quattordici anni, il Dipartimento delle finanze e dell’economia ha ritenuto necessario pensare a qualcosa di nuovo, che permetta di consolidare un vero e proprio «sistema regionale dell’innovazione», volto a promuovere – scrive il Governo – «progetti innovativi da parte di aziende presenti sul nostro territorio grazie a un migliore coordinamento tra sistema formativo, economico, finanziario e istituzionale e porre nel contempo le premesse per l’attrazione di centri di ricerca e sviluppo di gruppi internazionali in grado di rafforzare il tessuto economico cantonale». Lo Stato intende dunque assumere un ruolo significativo nello stimolare l’innovazione, assicurando condizioni quadro ideali per la nascita di idee e di imprese innovative. La nuova legge per l’innovazione dovrebbe dedicare un’attenzione maggiore ad alcuni settori chiave. Sono quelli individuati dallo studio dell’Istituto BAK Basel dopo aver analizzato in dettaglio l’economia ticinese. Da questa ricerca emergono quattro ambiti trainanti: le scienze della vita, ovvero l’industria chimico farmaceutica e la relativa ricerca, l’industria della moda, l’industria meccanica ed elettronica e il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT). Questi quattro
settori – sottolinea il BAK – «contribuiscono complessivamente a circa due terzi delle esportazioni complessive e rappresentano quindi il fulcro della base d’esportazione e sono un motore fondamentale per altri rami tra cui il commercio all’ingrosso e la ricerca». Raffaele De Rosa, deputato PPD, coordinatore della commissione che sta valutando il nuovo progetto di legge precisa: «Ritengo che sia importante allargare lo spettro dei possibili interventi di aiuto, la legge deve essere elastica, se vi è innovazione l’azienda va sostenuta indipendentemente dall’ambito in cui opera. Per esempio, nel campo delle successioni aziendali c’è molto da fare, soprattutto nelle zone periferiche. Se la successione prevede innovazione, va sostenuta». Un aspetto non marginale della nuova legge sull’innovazione economica è l’attenzione alla qualità degli investimenti, che devono sempre essere considerati in funzione delle ricadute sul territorio. «Il sostegno diretto cantonale – indica il Consiglio di Stato – risulterà molto mirato, con l’obiettivo di massimizzare le ricadute economiche positive – tramite, ad esempio, l’impiego di manodopera residente, la diversificazione delle attività, il rafforzamento del tessuto imprenditoriale o la qualificazione della forza lavoro – e minimizzare, nel contempo, gli effetti negativi – quali l’inquinamento, il traffico o il consumo estensivo del suolo». L’articolo 2 è chiaro in proposito: «La legge si ispira ai principi dello sviluppo sostenibile, dell’uso parsimonioso del suolo e della responsabilità sociale delle imprese». Un altro aspetto significativo è l’attenzione del Consiglio di Stato alle retribuzioni. Per beneficiare degli aiuti le aziende devono rispettare i minimi salariali che il governo definirà. «Uno dei punti più delicati della legge sull’innovazione sono i criteri di ammissione agli aiuti. – sottolinea il deputato PLR Nicola Pini – È giusto mettere dei paletti quando si stanziano dei fondi pubblici (salari, percentuale di manodopera residente, ricadute sul territorio, gettito fiscale, responsabilità sociale delle imprese) ma questi criteri devono essere definiti con equilibrio, perché si tratta di una legge per promuovere l’innovazione economica e non per tutelare il mercato del lavoro». La capogruppo socialista in parlamento Pelin Kandemir afferma senza mezzi termini che «se lo Stato si impegna a sostenere le aziende, deve pretendere condizioni salariali adeguate,
Entro la fine dell’anno il Gran Consiglio dovrebbe esprimersi sulla nuova Legge per l’innovazione economica. (CdT - Scolari)
questa è una condizione essenziale. La responsabilità sociale è un punto qualificante e irrinunciabile della legge, vanno sostenute le imprese virtuose». Ma quanti soldi verranno investiti in questo progetto? Il credito quadro che il Gran Consiglio dovrebbe approvare assieme alla nuova legge è di 20 milioni di franchi sull’arco di quattro anni. Viene fissato un limite massimo di un milione di franchi per aiuto, così che si possano sostenere più progetti. Se 20 milioni possono sembrare pochi, è utile ricordare che nel quadriennio passato, con la precedente legge sull’innovazione, sono stati stanziati solo 6,5 milioni di aiuti, il 25% del credito quadro, che hanno sostenuto 21 aziende, di cui solo due di nuova costituzione. Alla fine dello scorso anno sono rimasti nella casse della legge per l’innovazione circa 24 milioni. Obiettivo fallito? Come mai? «L’utilizzo solo parziale dell’attuale credito quadro – spiega Nicola Pini – è a mio avviso da ricondurre da una parte al periodo economico difficile, dove
le aziende hanno difficoltà a investire, dall’altra a un progressivo inasprimento dei criteri di accesso agli aiuti. Senza dimenticare che la legge aveva i suoi anni, quindi è giusto rivalutare gli strumenti». Le intenzioni del progetto complessivo della politica d’innovazione sono ottime, ma la messa in atto non sarà facile. In passato ci sono state difficoltà, come abbiamo visto, che in futuro andranno superate. Per scegliere i progetti meritevoli di sostegno il Consiglio di Stato potrà avvalersi di una Commissione consultiva, ma bisognerà vedere quante aziende riusciranno ad adempiere le condizioni di ammissibilità. L’economia ticinese esprime non pochi aspetti problematici, primo fra tutti la pressione della manodopera che proviene dall’Italia, la quale – sottolinea il Governo – «accresce la pressione sugli stipendi e sulle condizioni di lavoro causando, in taluni casi, situazioni di dumping salariale, così come l’insediamento spontaneo di numerose aziende estere, non voluto né sostenuto dalle autorità, con effetti negativi sul
La parola a Christian Vitta, direttore del Dipartimento delle finanze e dell’economia L’art. 2 recita «la legge si ispira ai principi dello sviluppo sostenibile, dell’uso parsimonioso del suolo e della responsabilità sociale delle imprese». Come valuta questi principi?
Sono principi importanti, che ben s’inseriscono all’interno della più ampia strategia di sviluppo economico che il DFE, sulla base di solide basi scientifiche e conoscitive, ha sviluppato nel corso degli ultimi anni. Sarebbe, tuttavia, riduttivo ed errato ridurre quest’ultima alla sola proposta di nuova Legge per l’innovazione economica (nLInn). La concessione di aiuti mirati costituisce, infatti, uno dei tasselli che andranno a consolidare il «sistema regionale dell’innovazione», assieme a un rafforzamento delle condizioni
quadro (promosso nell’ambito del programma d’attuazione 2016-2019 della politica economica regionale, recentemente approvato dal Consiglio di Stato) e a misure specifiche di marketing territoriale. Secondo quali criteri verranno fissate le soglie salariali, previste dall’art. 6?
È prematuro rispondere a questa domanda, in quanto sono in corso valutazioni politiche tra la Commissione della gestione e delle finanze del Gran Consiglio e il Consiglio di Stato. Se le condizioni di ammissibilità sono troppo severe non si corre il rischio di non poter concedere gli aiuti?
Con la nLInn si propone un chiaro
cambiamento di paradigma, passando da una logica «premiante» a una «incentivante». L’accento sarà posto sul carattere innovativo dei progetti, che potranno essere sostenuti durante le loro diverse fasi grazie all’introduzione del contributo per l’innovazione, previsto dal nuovo e importante articolo 7. Nel messaggio il CDS sottolinea che «inequivocabilmente l’impatto delle sovvenzioni sulla creazione e/o sviluppo delle aziende è marginale» e ancora «che i sussidi – certo interessanti e meritevoli di attenzione – non indirizzano in modo determinante l’evoluzione dello sviluppo economico cantonale». Insomma, 20 milioni in quattro anni,
sono una goccia nel mare dell’economia ticinese?
Come già ribadito, la nLInn rappresenta uno dei tasselli della più ampia strategia di sviluppo economico adottata dal nostro Cantone. Quest’ultima combina, in maniera sinergica e strutturata, un sostegno alle condizioni precompetitive – stimolo all’innovazione, trasferimento del sapere e della tecnologia, messa in rete, miglioramento delle condizioni quadro –, la concessione di aiuti mirati alle iniziative imprenditoriali e azioni mirate di marketing territoriale. Nel corso del prossimo quadriennio, questi elementi andranno a consolidarsi all’interno del «sistema regionale dell’innovazione».
mercato del lavoro e sulla mobilità, che ha comportato anche un uso estensivo e orientato al profitto di corto termine del territorio». La politica dell’innovazione potrebbe perdersi nel mare dell’economia a basso valore aggiunto che la fa da padrone nella nostra regione. In Ticino dal 2001 al 2012 sono state create 8600 nuove imprese private attive nel secondario e nel terziario. Grazie alla precedente legge per l’innovazione economica, dal 1997 al 2014 sono stati sostenuti poco più di 250 investimenti innovativi. Ciò fa dire al Consiglio di Stato che: «questo dato dimostra inequivocabilmente che l’impatto delle sovvenzioni sulla creazione e/o lo sviluppo delle aziende è marginale». E ancora: «questi dati rendono di palmare evidenza il concetto che i sussidi – certo interessanti e meritevoli di attenzione – non indirizzano in modo determinante l’evoluzione dello sviluppo economico cantonale». Insomma, «il Cantone non dispone della facoltà di selezionare le attività economiche che desiderano insediarsi o svilupparsi in Ticino». «Certo – afferma Pelin Kandemir – presa da sola la legge può apparire insufficiente. È però fondamentale inserirla nel progetto più generale del sistema regionale dell’innovazione. Il nostro cantone in passato non ha avuto una politica industriale degna di questo nome, ci si è limitati a concedere facilitazioni fiscali senza preoccuparsi della qualità delle aziende che si insediavano. Ora si sta facendo chiarezza sugli obiettivi complessivi della politica economica e si chiede responsabilità sociale alle aziende». Come verrà definita questa responsabilità sociale? Sarà questo uno degli interrogativi a cui dovrà rispondere il Gran Consiglio quando discuterà la nuova legge per l’innovazione. Se non ci sono intoppi, Raffaele de Rosa prevede il dibattito parlamentare entro fine anno, in modo da permettere alla riforma di entrare in vigore il primo gennaio dell’anno prossimo.
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Società e Territorio
Un dinosauro verde finalmente emancipato
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Videogiochi Yoshi’s Woolly World
è la prima vera avventura che vede il dinosauro di Nintendo protagonista
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Da mezzo di trasporto per Super Mario a eroe a sé stante estremamente popolare e riconoscibile. Yoshi, il dinosauro verde di Nintendo, ne ha veramente fatta di strada ma c’è voluto molto tempo. Considerabile alla stregua di ciò che è Pluto per Disney (e Topolino), il tondeggiante e linguacciuto rettile è apparso per la prima volta in quello che da molti è considerato il migliore Mario di tutti i tempi: Super Mario World uscito più di 20 anni fa (nel 1992) per l’ormai mesozoico Super Nintendo. L’idraulico più famoso del videoludere utilizzava il dinosauro come cavalcatura per sfrecciare attraverso i livelli.
Nato nel 1992 come amico e cavalcatura di Super Mario, il piccolo dinosauro Yoshi ha acquisito la sua autonomia in un tenero mondo di lana Negli anni successivi la sua popolarità, come gregario con carattere piuttosto che come semplice veicolo, è andata ad accrescersi. Complice perlopiù la lunga serie di titoli collaterali alla serie come Mario Kart, Mario Tennis, Mario Party e Super Smash Bros. In realtà una prima possibilità per emanciparsi Yoshi ce l’ha avuta nel 1995 con Yoshi’s Island. Un titolo per più di un verso memorabile ma che comunque non lo consacrava a vera e propria mascotte. Nel gioco, caratterizzato da una strepitosa grafica tratteggiata in stile «neocolor» (che cozzava nettamente con i poligoni spaziali della Playstation, atterrata proprio quell’anno) il dinosauro faceva da bàlia e si portava sulle spalle un Mario ringiovanito a causa di un sortilegio.
Un po’ più di un passeggino, diciamo, ma non ancora un’entità autonoma. Un passo avanti si farà con Yoshi’s Story per Nintendo 64 (uscito nel 1998) un game che però non inciderà poi molto sulla storia del videoludere. Per avere un’occasione ufficiale degna di tal nome, quindi, si è dovuto aspettare fino al 2015 che è l’anno di Yoshi’s Woolly World per WiiU. Sviluppato non da Nintendo ma dal partner (sempre nipponico) Good-Feel è un lavoro molto interessante e incredibilmente divertente. La parola d’ordine alla base del titolo è una sola: l’aggettivo giapponese «kawaii» (che potremmo tradurre in italiano più o meno con un «cariiinooo!»). Se nell’opera d’esordio Yoshi’s Island per ottenere questo «effetto tenerone» si era puntato tutto sulla resa grafica infantile e naïf, in questa nuova iterazione il passo è ulteriore: si punta alla semplicità quasi tattile delle linee della lana. «Woolly World», appunto «Mondo di Lana», vede non solo il «Mariosauro» in guisa di pupazzo ma tutto il mondo di gioco pare uscito da una sferruzzante matrice e ben imbottito. L’effetto è particolarmente piacevole, assolutamente adorabile e indiscutibilmente tenero. Ma il tutto non si esaurisce all’estetica: diverse meccaniche di gioco vedono il giocatore utilizzare dei mini-gomitoli per costruire piattaforme, imbrigliare mostri e chi più ne ha più ne metta. Anche il target di riferimento è chiaro: si tratta di un gioco per famiglie adatto soprattutto ai più piccini (e ai grandi che piccini ancora un po’ si sentono). Ciò non toglie che per completarlo al 100 per cento, sbloccando magari tutti i variopinti Yoshi nascosti, sia necessaria una grande abilità. Nota assolutamente di pregio, e non trascurabile nello scenario attuale in cui il videogioco si fa online, la possibilità di divertirsi in compagnia, condividendo lo schermo (e le sghignazzate) sulla rete. Per noi è promosso a pieni voti.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Società e Territorio
Una strategia per sette Stati Macro Regione alpina È nata a Bruxelles lo scorso 28 luglio e coinvolge le zone alpine di Italia, Francia, Austria,
Germania, Slovenia, Liechtenstein e Svizzera
Roberto Porta Sarà stato il clima rovente, ma in questa estate 2015 un fatto è passato decisamente inosservato. Eppure questo fatto interessa da vicino tutta la Svizzera e con essa anche il canton Ticino. Lo scorso 28 luglio la commissione europea ha dato il suo via libera alla creazione della cosiddetta «Macro Regione alpina», di cui fa parte anche il nostro Paese. Ne aveva fatto rumorosamente accenno il presidente della regione Lombardia, Roberto Maroni, nella sua polemica con il consigliere di Stato ticinese Norman Gobbi sulla questione del casellario giudiziale, richiesto ai frontalieri e ai dimoranti che vogliono lavorare in Ticino. Il numero uno lombardo non si era limitato a chiedere agli oltre 60mila frontalieri attivi in Ticino di autosospendersi dal lavoro per un mese, tanto per vedere l’effetto che fa: «se i frontalieri non andassero più a lavorare, che cosa succederebbe all’economia ticinese?», questi i toni della sua provocazione. Maroni aveva pure ventilato cupi scenari per il Ticino in vista della creazione di questa Macro Regione alpina. «Mi auguro che le autorità ticinesi si rendano conto che si deve collaborare – aveva affermato il presidente lombardo – anche perché sta per essere varata la Macro Regione e questo richiederà di far gruppo rispetto ai membri di lingua tedesca, altrimenti ci mangeranno e i fondi dell’Unione europea andranno altrove». La vicenda è poi sfociata nella convocazione presso il ministero degli esteri italiano a Roma dell’ambasciatore svizzero in Italia, Giancarlo Kessler.
Un aspetto interno ancora da chiarire è il ruolo che giocheranno metropoli come Milano, Monaco e Zurigo rispetto alle zone di montagna E, ironia del caso, questo proprio nel giorno – il 28 luglio appunto – in cui a Bruxelles la Commissione europea adottava il piano d’azione per la nuova strategia della regione alpina, anche chiamata «Eusalp». Si tratta del documento programmatico che sancisce la nascita della nuova Macro Regione alpina. Il varo di questa nuova normativa è avvenuto nell’anonimato quasi assoluto, con pochi riferimenti sui mass media europei, svizzeri e ticinesi com-
Le Alpi viste dal tetto del Duomo di Milano. (Keystone)
presi. Eppure varrebbe la pena soffermarsi su quanto sta per accadere nelle regioni alpine europee. Questo perché almeno su un punto Roberto Maroni ha ragione: Bruxelles è pronta a sostenere le Alpi e con esse i sette Paesi che possono avvalersi del titolo di «alpini»: Italia, Francia, Austria, Germania e Slovenia, a cui vanno aggiunti due Stati extracomunitari, la Svizzera e il Liechtenstein. Il nuovo soggetto istituzionale comprende ben 46 regioni europee, compresi i 26 cantoni svizzeri al gran completo. Nel territorio della Macro Regione vivono oggi quasi 80 milioni di persone, di cui una buona parte abita in città importanti, come Milano, Monaco di Baviera, Zurigo, Vienna e Lione. Le statistiche dicono che questa area alpina, metropoli comprese, è la più ricca e più produttiva di tutto il Vecchio Continente. L’iniziativa della Commissione in favore delle regioni alpine va ad inserirsi in un progetto più ampio che riguarda anche altre regioni europee, quella del mar Baltico, quella Adriatico-Ionica e quella del Danubio, inaugurata ufficialmente lo scorso 15 luglio. Il piano d’azione europeo che si concentra sulle Alpi ha individuato alcuni ambiti principali in cui operare. Primo tra tutti quello dell’innovazione tecnologica e della competitività. In secondo luogo Bruxelles sa che nelle Alpi – anche quelle ticinesi – c’è da vincere la sfida della demografia. Con una popolazione residente sempre più anziana
e con poche possibilità di lavoro per i giovani, le valli alpine sono destinate a ulteriormente spopolarsi nei prossimi anni. C’è quindi in questo ambito la necessità di intervenire con urgenza. Attenzione particolare verrà data anche ai cambiamenti climatici e alla protezione dell’ambiente, come pure alla ricerca e allo sviluppo di fonti di energia rinnovabile. Altri ambiti di intervento ritenuti prioritari sono quelli del turismo e dei trasporti. Argomenti e problemi con cui la Svizzera – e il Ticino – sono confrontati quotidianamente, per questo motivo i cantoni svizzeri si stanno muovendo per cercare di giocare al meglio le loro carte su questa nuova scacchiera. Il piano d’azione si basa su un concetto che viene ritenuto innovativo e basilare per il buon funzionamento dell’intera iniziativa. Le 46 regioni europee che compongono l’area alpina potranno contrattare direttamente con le istituzioni europee per richiedere i fondi UE destinati ai loro progetti di sviluppo. Non dovranno cioè prima chiedere ai loro governi centrali. Un meccanismo istituzionale delicato che dovrà superare la prova dei fatti, perché le regioni in questo modo si inseriscono nella dinamica e nel dialogo, a volte non facili, tra le singole capitali e Bruxelles. Questo tipo di procedura diretta dovrebbe però snellire la presa di decisioni e portare maggiore attenzione al territorio nella realizzazione dei progetti che le regioni saranno in grado
di proporre. La Macro Regione europea non comporta comunque la creazione di nuove istituzioni, la formulazione di nuove leggi o lo stanziamento di fondi che vanno al di là di quanto prevede il budget comunitario. Le singole regioni sono per così dire messe in concorrenza tra loro così da poter ambire ad ottenere i finanziamenti di Bruxelles. Questo vale anche per la Svizzera e per il Liechtenstein, Paesi non membri dell’UE che però potranno ricevere i fondi messi a disposizione della politica regionale europea. Proprio in questa ottica va interpretato l’appello al Ticino di Roberto Maroni, per una maggiore unità di intenti con la Lombardia, altrimenti gli altri – parole sue – «ci mangeranno». E per «gli altri» il presidente lombardo intende in particolare le regioni di lingua tedesca, anche elvetiche, che rappresentano la maggioranza della Macro Regione e che non staranno certo a guardare, nella corsa ai fondi dell’Unione europea. È indubbio poi che lo stesso Maroni miri a fare di Milano e della Lombardia una sorta di capitale ufficiosa della Macro Regione, con lui stesso in prima persona a dirigerne le operazioni. Ma al di là delle ambizioni personali del presidente lombardo, il ruolo del Ticino potrebbe essere interessante, anche se non mancano, pure nel nostro cantone, opinioni scettiche e critiche nei confronti di un’operazione tutta da definire e che deve ancora essere concretizzata in progetti e iniziative di for-
te affidabilità. La Macro regione alpina in ogni caso prenderà il via il prossimo primo gennaio, dopo un’ultima riunione di coordinamento che si terrà, guarda caso, proprio a Milano. Due in particolare i problemi da risolvere. Il primo riguarda le relazioni tra questa nuova entità istituzionale e le singole capitali dei sette Paesi che la compongono. Questo perché il livello istituzionale «regione» viene a intromettersi, con sue possibilità di intervento diretto, nel dialogo tra i singoli Stati e Bruxelles. Il secondo problema è invece di natura interna alla stessa Macro Regione, che è composta anche da diverse metropoli – come Milano, Vienna o Monaco di Baviera – che poco hanno a che vedere con le aree più propriamente alpine. Questo è un punto su cui insiste molto anche la Conferenza dei governi dei cantoni alpini svizzeri, di cui fa parte pure il Ticino. La Conferenza mira a un trattamento alla pari tra metropoli e zone di montagna, con queste ultime che in caso di contenzioso dovranno però avere la priorità rispetto alle grandi città. Un aspetto comunque ancora tutto da chiarire, da cui di certo dipende il possibile successo di questo piano di azione comunitario. Al centro delle Alpi, la Svizzera sarà, attraverso questa Macro Regione, anche al centro dell’Europa, in attesa di risolvere tutti i problemi che abbiamo per definire gli accordi bilaterali del futuro. Ma questa, si sa, è tutta un’altra storia.
La società connessa di Natascha Fioretti Nuove modalità di viaggio corrono nella Rete
Metti una serata in un luogo sperduto, o quasi, tra le colline toscane, dove lo sguardo si perde tra vigneti, ruscelli, più in su boschi di castagni e più in giù il mare. Una serata nella quale tutto ti aspetti fuorché incontrare così tanti inglesi, tedeschi, svizzeri… Ursula di Basilea, Sarah di San Gallo, Felicity di Londra, Esther di un paesino della contea di Hempshire, Norah di New York, Heidi e Horst di Monaco e poi, sì, anche qualche italiano, Francesca di Milano, Roberta di Siena… Così una serata che avresti pensato sarebbe trascorsa a parlare di piatti tipici toscani e luoghi nei dintorni da visitare, spazia ben oltre e ti porta in giro per il mondo dal Brasile, all’India fino in Africa, raccontandoti storie di viaggi, incontri, amori e sogni di persone che non avevi mai visto prima. E che tornando qui rincontrerai
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Fiori e frutti di una vita Era l’anno 1980 quando una cinquantina di volontari decise di dar vita, qui nel Ticino, a una nuova associazione: quella della Terza Età, che avrebbe rapidamente visto crescere le adesioni, fino alla cifra attuale di circa 12’000 soci. Due giorni or sono l’ATTE ha appunto festeggiato i suoi primi trentacinque anni d’esistenza, e l’affluenza alla manifestazione bellinzonese lascia prevedere un lungo futuro. Due cose mi colpiscono in questa comunità di anziani: la notevole serenità di una condizione senile che, pur in età avanzata e tra crescenti acciacchi, mostra ancora vitalità e voglia di vivere, di fare e di gioire; e l’intraprendenza di un volontariato che ha voluto affrontare direttamente alcuni aspetti problematici della condizione senile: l’isolamento, il ripiegamento su sé stessi, il progressivo spegnersi di ogni interesse. Questo secondo fattore è particolar-
mente degno di nota. In un’epoca nella quale cresce costantemente la tendenza a fare ricorso all’intervento amministrativo dei servizi sociali, gli anziani dell’ATTE hanno compreso che la vita sociale, della quale ognuno ha bisogno, è fatta di relazioni personali, di contatti umani diretti e assidui, di attività comuni. Certo, anche la badante dell’aiuto domiciliare può fare molto: ma impersona pur sempre un servizio burocratico, e ben difficilmente una figura d’amicizia. Ben altra cosa sono i luoghi d’incontro dell’associazione, i viaggi organizzati, i cicli di conferenze: tutte occasioni, oltre che di approfondimento e di svago, anche di scambi amichevoli, di confidenze reciproche, e anche, perché no?, di qualche pettegolezzo – cosa che è pur sempre indice di una comunità. Può capitare, magari, che certe conversazioni assomiglino, in parte, allo scambio reciproco di bollettini medici: come va con il
colesterolo? E il diabete? E la pressione, e l’artrosi?... Ma anche in questo non c’è nulla di male: anche questo scambio d’informazioni cliniche è un segno di confidenza raggiunta, di solidarietà reciproca; e poi il mutuo incoraggiamento fa bene all’anima, come scriveva Carlo Dossi: «...egli sospira “Ah! noi siamo vecchi!” (solita frase di chi desidera di udire l’opposta)». Chi ha confidenza con le filosofie del passato – dall’antichità fino al Novecento – sa quanti filosofi si sono dati da fare a scrivere elogi della vecchiaia. Penso a Cicerone, a Seneca, a Montaigne, a Schopenhauer e ad altri recenti. Ci sono considerazioni che rimbalzano quasi come una costante da un filosofo all’altro: perché la vecchiaia è bella? Perché sostituisce la giovanile irrazionale irruenza dei desideri con la saggezza della moderazione; perché libera dalla schiavitù delle passioni e dilata così lo spazio di libertà della
persona. Bella saggezza; solo che quasi tutti questi filosofi, quando scrissero il loro elogio della vecchiaia, non erano ancora giunti alla terza età o vi si stavano solo avvicinando. Ma bisogna anche considerare che in quei secoli lontani non si viveva quanto ora: Montaigne, nel Cinquecento, osservava che Catone, suicidandosi a quarantotto anni, riteneva d’essere in età già molto avanzata; e aggiungeva che ben pochi uomini arrivano a quell’età. Con l’attuale prolungamento della vita, anche la prospettiva dalla quale si guarda alla vecchiaia cambia necessariamente; e le mutate condizioni di vita fanno sì che spesso si possano vivere giovanilmente anche anni che in passato erano segnati dalla decrepitezza. Ho parlato di filosofi che hanno elogiato la vecchiaia, ma vorrei ora segnalare un curioso contrasto: la condizione senile è invece detestata dai poeti! Il poeta esalta la giovinezza. Il greco
Mimnermo ne lamentava il rapido trascorrere: «quando il suo tempo è dileguato / è meglio la morte che la vita». Pico della Mirandola paragonava la giovinezza al mattino della vita e cantava: «compire allora la giornata nostra / è meglio che aspettare insin a sera». E Leopardi sperava di evitare «di vecchiezza la detestata soglia». Come spiegare questo curioso contrasto tra filosofi e poeti a proposito della vecchiaia? Una risposta forse la dà Kant quando scrive che «la bellezza è un fiore, ma la scienza è un frutto»: i giovani dalla vita in fiore aspirano alla bellezza e dunque amano la poesia; gli anziani, avendo accumulato negli anni un sapere che ai giovani manca, sono giunti al frutto di una migliore conoscenza. A giudicare dal successo dei corsi istituiti dall’ATTE come «università della terza età», frequentati da migliaia di anziani, direi che Kant ha ragione.
terza isola dell’arcipelago detritico Lorelei a Flüelen (417 m), sulla Lorelei di mezzo partono i gabbiani e il loro stridio s’intreccia con il loop autostradale. Nessun endemismo, solo ghiaia sabbiosa, qualche cespuglio, resti di fuochi. C’è un menhir moderno: gneiss di Erstfeld con tanto di targhetta che parla del tunnel di base del San Gottardo ad Amsteg. Ha dei buchi: qualcuno ci ha infilato dei legnetti. Raggiungo la punta ovest di questo atollo simbolo di mutamento totale. Da detriti inutili montagnosi a spiaggia niente male dove mi sdraio al sole ad asciugare. Perdipiù odio i tunnel e amo da matti le isole, anche tre sputi da niente come questi. All’orizzonte alcuni windsurf, c’è vento. Tornando a riva, la regola dell’acqua che ti rende partecipe del paesaggio funziona ancora. Faccio il morto e tutto attorno – cielo nuvole montagne boschi prati – si armonizza e mi diventa familiare. Un vecchietto seduto sul pontile si vede da qui che è solo, basterebbe un
tuffo e la storia cambia. Ma sorseggia la sua Rivella alla pesca e rimane lì, solo, a guardare quest’angolo di lago dei Quattro Cantoni che chiamano lago di Uri. Qui accanto c’è la torre di avvistamento in legno dell’architetto grigionese Gion A. Caminada: noto per aver dato un’impronta discreta e unitaria al paesino di Vrin, in cima alla Val Lumnezia. Sobria e arcaica svetta senza dare nell’occhio; salgo i trentotto scalini a chiocciola ed esco su uno dei quattro balconcini in vimini. Vista sulle Nettuno, una delle quali è a forma di ciambella. Lì è vietato fare il bagno, servono per far nidificare gli uccelli, alcuni molto rari, pare. Ce ne sono duecentoventicinque specie qui, anche se io ho visto, oltre ai gabbiani, solo anitre e cigni. A ogni modo questa torre ariosa di legno è il posto ideale per gli amanti del birdwatching. Il mio trofeo di caccia con lo sguardo comunque è quel conoide di deiezione lassù, diventato prato da favola.
tare, meteorologico, e via enumerando minacce verosimili o immaginarie: da cui è possibile o impossibile proteggersi? La distinzione si è rivelata difficile e mette in imbarazzo personaggi che, spesso, giocano, su questo terreno, la carta del successo. Con risultati alterni. Si ritiene che il tornado Katrina fosse stato fatale per Bush, il quale aveva sottovalutato la portata di una catastrofe reale. Mentre, in altri casi, governi e organizzazioni internazionali si sono mobilitati contro una minaccia fantasma. Con il rischio di cadere nell’allarmismo, divulgando informazioni che erano bufale. Anche la seriosa Svizzera, conformandosi alle dichiarazioni dell’OMS e dell’industria farmaceutica, lanciò un’operazione preventiva in grande stile nei confronti della suina, influenza che avrebbe bloccato l’intera vita del paese. Contando sul sostegno dei media, spesso inclini all’allarmismo, e affidandosi a spot in TV dagli effetti esilaranti. Ascoltando un tizio
che raccomandava: «Se non vi sentite bene, non andate a lavorare, state a casa», era proprio il caso di metterla sul ridere. Come, poi, è successo anche dopo quel famigerato sabato, in cui i fans basilesi si sono trovati, ospiti sgraditi in una città blindata. E, hanno reagito, appunto, da basilesi, servendosi dall’arma dell’ironia: e promettendo, ai luganesi costretti a tapparsi in casa, una lettera di scuse e un «läkerli». Certo, l’«humour» aiuta, serve da scappatoia. Con ciò l’episodio, se ha il merito di rilanciare sul piano politico il problema delle tifoserie violente, comunque irrisolto, presenta aspetti ancora da valutare. Domanda inevitabile: si è, insomma, tenuto conto della libertà individuale di cittadini intruppati e impediti di farsi i fatti propri? Come scegliere un proprio itinerario, scendere in città, dopo la partita, per una pizza e una birra, e via dicendo. Nei loro confronti ha prevalso il principio di precauzione. Comunemente chiamato processo alle intenzioni.
Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf L’arcipelago detritico Lorelei a Flüelen Una montagna che diventa isola è già una storia. Se poi questa montagna è il San Gottardo, dal cui cuore hanno ricavato un paio di tonnellate di detriti declinati in tre isolette chiamate come una famosa sirena fluviale, allora magari vale la pena farci un salto per raccontarvi meglio. Chissà quante volte sono passato via da Flüelen in treno, catturato da quel particolare color smeraldo del lago, quasi più inaspettatamente esotico del Ceresio o del Verbano. Alle 11.41 scendo così alla stazione di Flüelen. Nel porto lì in faccia, il tipico battello da crociera bianco aspetta di accogliere a bordo una truppa di pensionati. Per le isole il percorso non è evidentissimo, bisogna dribblare la zona industriale e poi inoltrarsi lungo i sentieri nella zona protetta del delta della Reuss. Uno stand di tiro novecentesco convive con il rosa tenue della saponaria officinalis. Sorpresa: su una cartina scopro che ci sono altre tre isole chiamate banalmente Nettuno. Di buon passo, in mezzora
arrivo alla prima isola: un punto ghiaioso a sinistra della foce. Un po’ una delusione, tirando su i pantaloni ci si arriva a piedi. Perciò proseguo deviando per un ponticello che supera un riale tra canneti e bacche rosse dei sorbi degli uccellatori. Qui un’insenatura offre una prospettiva già più d’evasione: due atolli a forma di virgolette, l’acqua color pavone, e tutto intorno le montagne. Rocce in alto, poi pendii boschivi interrotti qua e là da quei classici prati iperverdi con qualche baita. Laggiù l’a-due scorre sulle campate in beton sotto le quali ondeggiano gli alberi delle barche. Originale come panorama per un luogo balneabile; del resto il rumore del traffico è ovattato e non guasta, anzi. Invece alla foce quel marchingegno della ditta Arnold & Co che tira su la sabbia o cos’altro, snerva un po’. La Lorelei di mezzo sembra colonizzata dai gabbiani. In realtà la vera Lorelei non c’entra poi molto con queste isole bambine ottenute una decina d’anni
fa con materiale di scavo dell’Alptransit. Questa bellissima sirena d’acqua dolce protagonista di diverse leggende germaniche e cantata nel 1815 dal poeta Joseph von Eichendorff nonché titolo di una canzone del 1984 degli scozzesi Cocteau Twins, vive nel Reno. Ed è forse anche questo il bello, oltre al nome di per sé che suona bene. Se c’è invece una leggenda radicata in questo paesaggio urano, è quella di Tell. Proprio al porto di Flüelen s’imbarca prigioniero di Gessler per poi saltar giù dietro l’angolo, nel mezzo di una tempesta improvvisa; all’altezza di Sisikon che da qui non si vede ma è vicino. Tra l’altro, quel salto leggendario dalla barca è finito in un’espressione dialettale usata dal papà di una mia ex per dire di uno che ne ha viste di tutti i colori: «quel lì l’ha vist ul Tell daag na pesciada alla barca». Ma come dicono a Roma, le chiacchiere stanno a zero, dunque in acqua. Alla mezza di fine agosto raggiungo il terzo atollo a crawl. Appena approdo sulla
Mode e modi di Luciana Caglio Allarmare, dovere politico anche malinteso Parliamone ancora. Perché, questa volta, l’attualità non ha bruciato la notizia che continua, meritatamente, a fare notizia. L’accoglienza che Lugano ha riservato, sabato 22 agosto, ai circa 500 fans del Basilea, non appartiene, infatti, alla cronaca di ordinaria amministrazione. Ha lasciato il segno di una primizia: un episodio tanto insolito da sembrare inventato, sfiorando l’assurdo e infine il ridicolo. Che, subdolamente, sta sempre dietro l’angolo, per tutti e, in particolare per i politici, più esposti al rischio. A loro spettano anche decisioni cosiddette sofferte e innovative come quelle messe in atto nei confronti di una tifoseria, di cui erano ben note le imprese teppistiche. E così, hanno voluto farsi sentire, sfatando il cliché di un Ticino, tutto sole e buon umore. Questa volta, invece, i sostenitori della squadra renana hanno dovuto vedersela, sotto un cielo nuvoloso, con l’inattesa compagnia di 170 poliziotti, in tenuta antisommossa, che li hanno guidati, dal momento dell’arrivo a quello della
partenza, alla stregua di sorvegliati, lungo un percorso periferico, in stato di allerta. Nei giorni precedenti, gli abitanti della zona erano stati avvertiti del possibile pericolo, con un comunicato ufficiale inquietante: «Chiudete
Forze di Polizia schierate a Cornaredo. (CdT - Crinari)
in modo sicuro i vostri accessi (portoni, cancelli, garage). Non abbandonare materiale pericoloso sul percorso. Non lasciare parcheggiati veicoli sull’area pubblica e privata». Insomma, una sorta d’invito a barricarsi, per difendersi un’eventualità negativa. C’è, sempre, da aspettarsi il peggio: è l’ atteggiamento che ormai fa tendenza e opinione. Ovviamente, al di là della vicenda luganese, che ne è un indizio. Qui, allora, si tocca un nuovo aspetto, che sta caratterizzando il nostro vivere in comune, e fa capo al «principio di precauzione». Neppure del tutto nuovo: si ricollega al tradizionale «meglio prevenire che curare», ispirato a un’incontestabile saggezza e che ognuno di noi cerca di praticare, per proprio conto. Ma, dall’ambito privato, il principio di precauzione ha allargato influsso e credibilità, diventando uno strumento istituzionalizzato , sempre più a disposizione dei politici. Che, in tal modo, si fanno paladini delle misure di protezione da pericoli d’ogni genere: sanitario, ambientale, alimen-
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Ambiente e Benessere Carne Migros in rassegna Otto ristoranti ticinesi per un programma di menu speciali, nei primi weekend di settembre
Mete storiche da sballo Destinazioni che si contendono il primato nell’origine del turismo di massa: alcune chiedono persino il riconoscimento dell’Unesco
In marcia per beneficenza A Biasca la decima edizione di marCHethon, manifestazione nazionale in sostegno della ricerca contro la fibrosi cistica
Un’epica avventura Le vicende di un coleottero e di un minuscolo fungo ingordi della pianta di patate
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Vincenzo Cammarata
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I benefici di un tocco leggero Terapia Il lento ritmo di manipolazioni delicate del drenaggio linfatico manuale favorisce il percorso
dei liquidi in eccesso, ma non solo Maria Grazia Buletti Tutti conoscono il sistema circolatorio sanguigno con i suoi elementi figurati e la relativa funzione fisiologica. È meno chiaro invece il funzionamento di un altro apparato di cui tutti i mammiferi, dunque anche l’essere umano, sono muniti: il sistema circolatorio linfatico o, più semplicemente, sistema linfatico. «È un sistema di drenaggio a una via, che trasporta i fluidi dallo spazio interstiziale dei tessuti al torrente circolatorio. Presente in tutti i mammiferi, la sua principale funzione si può riassumere nel trasporto di proteine, liquidi e lipidi (questo se pensiamo principalmente ai vasi drenanti intestinali) dall’intestino al sistema circolatorio
sanguigno. Non dimentichiamo che esso presenta anche ruoli di filtraggio e di risposta immunitaria, favorendo l’invio di antigeni agli organi linfoidi periferici, i quali hanno lo scopo di innescare i meccanismi di difesa». La spiegazione di cosa sia il nostro sistema linfatico ci è stata data dalla terapista complementare Stefania Piacquadio. L’abbiamo incontrata nel suo studio di Bellinzona dove, oltre ad accompagnarci alla scoperta dei benefici (non solo estetici, come spesso ed erroneamente si pensa) della tecnica di drenaggio linfatico manuale, ci ha permesso di saggiare su noi stessi questo massaggio tanto delicato (come una piuma) quanto di provata efficacia. Ideato negli anni venti dal medico danese
Emil Vodder, il metodo agisce dunque sui vasi linfatici, attivandone l’automatismo e aiutando l’eliminazione del liquido interstiziale (ndr: fra le cellule dei nostri tessuti) e della linfa. Infatti, la nostra interlocutrice ci spiega che: «Il concetto di drenaggio si riferisce alla messa in moto del liquido, da una zona dove si è accumulato verso un punto di sbocco e attraverso il naturale sistema di conduzione linfatico. Questo avviene mediante un appropriato sistema di manovre opportunamente studiate e codificate». Per intenderci: così come l’agricoltore elimina l’acqua stagnante da un campo inondato mediante una rete di canali, nel nostro organismo esiste proprio un sistema di canali, formato dai vasi linfatici, che rende possibile l’uscita del liquido
interstiziale e della linfa che, per vari motivi patologici, si sono accumulati in diverse parti del corpo. «L’accumulo è apprezzabile specialmente nella pelle o giusto sotto, fra questa e il rivestimento muscolare» racconta la terapista che così dà un significato alla tecnica stessa: «Le manipolazioni che eseguiamo devono essere delicate, lente e ripetitive. In questo modo esse esercitano un piacevole effetto antistress perché attivano il nostro sistema nervoso vegetativo parasimpatico (ndr: preposto al rilassamento)». Scopriamo, e proviamo su di noi, che questi delicati e ripetuti movimenti esercitano una debolissima e piacevole pressione sulla nostra pelle, con una direzione centripeta: «Questa pratica non deve mai arrossare la pelle
e non deve provocare dolore, perché in tal caso i vasi linfatici smetterebbero di funzionare correttamente, collassando per via riflessa». Il ritmo del massaggio è davvero lento, a differenza di un massaggio manuale tradizionale: «Le mie mani devono lavorare con buona aderenza alla pelle, per questo non utilizzo oli o creme che non favorirebbero l’attivazione della linfa e il convogliamento delle scorie e dei liquidi ristagnanti». Le pressioni del massaggio che stiamo provando sono impercettibili: «Sono eseguite tangenzialmente alla superficie cutanea e risultano più deboli e delicate di un massaggio manuale tradizionale: ciò è molto importante perché il liquido interstiziale e la linfa si spostano lentamente».
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Ambiente e Benessere
M Carne Migros: la scelta degli chef
Il grande Jackpot dei formaggi
Gastronomia Nei primi tre fine settimana
di settembre otto ristoranti ticinesi proporranno una originale rassegna dedicata alla carne svizzera Migros Ticino ama le eccellenze del territorio. Qualità, gusto e genuinità sono le caratteristiche che rendono speciale la nostra carne. E la fanno apprezzare dagli chef ticinesi, che interpreteranno la carne Migros in una serie di squisite serate a tema. La rassegna culinaria, proposta da Migros Ticino in collaborazione con otto ristoranti del Cantone, è patrocinata da GastroTicino. Nei primi tre fine settimana di settembre gli chef presenteranno delle creazioni a tema: venerdì 4 e sabato 5 settembre sarà protagonista la carne di vitello, l’11 e 12 la carne di manzo e, infine, il 18 e 19 settembre sarà la volta della carne di maiale. Nell’ambito della rassegna i ristoranti proporranno la carne Migros interpretata attraverso piatti che esprimeranno tutta la creatività e la fantasia degli chef, a partire dalla scelta dei tagli, fino alla mise en place. Oltre alla riconosciuta qualità dell’offerta gastronomica proposta, i ristoranti selezionati presentano tutti delle specificità che li caratterizzano, che si tratti della loro storia o della loro
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tradizione, come il Grotto Ticinese, il Montalbano e La Perla, della collocazione particolarmente accattivante del Grottino di Orselina, del Ristorante Turisti e del Grotto Loverciano, o ancora della particolare filosofia che li caratterizza, come per il Canvetto Luganese, gestito dalla Fondazione Diamante, o il Ristorante Cereda che, in collaborazione con GastroTicino, svolge attività di reinserimento professionale. La carne Migros alla base dei menu della rassegna è al 100 per cento di origine svizzera e proviene da allevamenti che seguono le normative della produzione integrata (marchio TerraSuisse). Fattorie nelle quali si tiene conto delle esigenze degli animali a tutto vantaggio del loro benessere, per esempio grazie alla possibilità loro offerta di trascorrere tempo all’aperto, o ancora con un allevamento in gruppo dei vitelli, che vengono alimentati con latte vaccino e fieno, secondo le loro specifiche necessità. In tali aziende vengono inoltre creati spazi vitali per piante e animali rari, dando così un importante contributo alla biodiversità.
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Nella foto, da destra: Lorenzo Emma, Direttore di Migros Ticino; Massimo Suter, Presidente di Gastroticino; Fabio Rossinelli, Responsabile marketing di Migros Ticino e Gabriele Beltrami, Direttore di Gastroticino. (Flavia Leuenberger)
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Grotto Loverciano
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Via ai Grotti, 6874 Castel San Pietro, Tel. 091 646 16 08 www.grottoloverciano.ch
Via Locarno 10, 6514 Sementina Tel. 091 851 80 80 www.hotelcereda.ch
Canvetto Luganese
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Via R. Simen 14b, 6904 Lugano, Tel. 091 910 18 92 www.f-diamante.ch
via al Calvario 6, 6644 Orselina Tel. 091 743 44 08 www.grottino-orselina.ch
Grotto Ticinese
Ristorante Turisti
Via ai Grotti 2, 6944 Cureglia, Tel. 091 967 12 26 www.grottoticinese.ch
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Ambiente e Benessere
In movimento gambe e pensieri
Gli eccessi di Magaluf Viaggiatori d’Occidente Quando il declino di una località turistica inizia
dalla vita notturna tra sesso, alcol e balconing
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letture per viaggiare Claudio Visentin Magaluf è una piccola cittadina spagnola sull’isola di Maiorca, a pochi chilometri da Palma. È l’esempio perfetto del turismo di massa perché ogni estate la sua popolazione cresce a dismisura con l’arrivo di decine di migliaia di turisti inglesi. Negli ultimi mesi Magaluf ha riempito le pagine dei giornali con gli eccessi alcolici e sessuali compiuti da turisti senza freni. Per esempio, dieci anni fa qui è stata inventata la moda del balconing (ovvero gettarsi in una piscina dal balcone di un piano elevato), che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di morti quando qualcosa è andato storto. In un ultimo tentativo di ristabilire l’ordine, dei poliziotti inglesi sono stati trasferiti a Magaluf durante la stagione estiva per occuparsi dei loro sfrenati connazionali; ma non è facile invertire la tendenza, considerato l’interesse dei gestori di locali lungo Magaluf Strip, il centro della vita notturna.
Maiorca può essere considerata la culla natale del viaggio «tutto compreso» che ha inventato un nuovo modo di vivere l’estate È l’ultima tappa del declino di una località turistica che aveva esordito oltre mezzo secolo fa con le migliori aspettative. All’inizio degli anni Cinquanta un’economia in rapida ascesa e lo sviluppo del trasporto aereo portarono sulle spiagge delle Baleari milioni di turisti del nord Europa. Per molti di loro era il primo viaggio all’estero, nessuno conosceva la lingua o le abitudini dei paesi mediterranei, quindi tutto doveva essere facile e a portata di mano: per esempio, giganteschi alberghi furono costruiti direttamente sulla riva del mare. Ma non era solo un problema di strutture; la vacanza estiva era un’esperienza completamente nuova le cui regole dovevano essere scritte da zero. E proprio qui furono definiti i fondamenti del «viaggio tutto compreso»: la
«Se questa è una tela, allora il ragno non può che essere la stazione ferroviaria, palazzo magnifico e a suo modo inquietante, palazzo che sembra un gigantesco equivoco, certo più adatto a sovrani che a treni. È acquattato ai margini, il ragno, attento al più impercettibile dei movimenti. Basterà un fruscio, un agitarsi d’ali e scatterà. Furia omicida e precisione da chirurgo».
Si candida come patrimonio dell’umanità: Benidorm, in Spagna. (Wikipedia)
partenza e il ritorno sempre di sabato, la vita di spiaggia, gli animatori, la serata nel «ristorante tipico» con flamenco, paella e sangria… Oggi tutto sembra ovvio, scontato, ma in quegli anni fu inventato un nuovo modo di vivere l’estate. Questo modello fu poi trasferito, con minimi adattamenti, sulle sponde del Mediterraneo e in altri mari lontani, sino alla Thailandia e alle Hawaii. Ma proprio la disponibilità di nuove mete più alla moda ha reso meno attraenti destinazioni come Magaluf. Nel tempo il numero di visitatori è rimasto sempre elevato, ma a scapito della qualità; e intanto gli alberghi sono invecchiati, l’ambiente è soffocato dal cemento, la comunità locale è relegata nell’angolo. Come uscire da questo circolo vizioso? Dall’altra parte del mare, sulla costa spagnola, Benidorm ha avuto in passato uno sviluppo simile a Magaluf e fronteggia ora gli stessi problemi. Ma per contrastare il declino a Benidorm si cerca di attirare una clientela migliore proponendo una diversa immagine di sé. L’idea, forse volutamente provocatoria, è stata quella di candidarsi per la lista del Patrimonio dell’umanità Unesco, sottolineando come Benidorm sia
stata teatro di una delle grandi trasformazioni sociali del nostro tempo: la nascita del turismo di massa. Dopo tutto il turismo, per quanto possa sembrare leggero e frivolo nelle sue manifestazioni esteriori, è una delle principali attività economiche del XX secolo su scala globale, poco o nulla toccato dalla crisi nella sua crescita continua, che lo ha portato di recente a superare un miliardo di arrivi internazionali all’anno. Ancora prima di Benidorm, si è messa sulla stessa via anche la cittadina balneare inglese di Blackpool, che nell’Ottocento offrì la prima opportunità di vacanza agli operai dell’industria tessile del Lancashire. Può far sorridere l’idea che Benidorm, con i suoi enormi alberghi, voglia stare a fianco dell’Alhambra di Granada o della Sagrada Família di Barcellona. Ma questi paragoni sono fuorvianti. In fondo, nella lista Unesco abbiamo anche dei villaggi operai, come Crespi d’Adda, vicino a Milano, e altri siti di archeologia industriale e quindi, si potrebbe argomentare, se si celebra il lavoro degli operai perché non dare spazio anche al tempo libero? È un cambio di prospettiva interessante. Di solito il turismo è conside-
rato l’insieme dei servizi che permette di apprezzare le attrattive di una destinazione. In questo caso invece sono le stesse strutture turistiche – ferrovie storiche, vecchi alberghi, passeggiate panoramiche, parchi di divertimento – che diventano un’attrazione. E invece di essere rimodernate, vengono tutelate come testimonianza del passato. In una situazione tanto diversa come la nostra, possiamo comunque imparare qualcosa dalle vicende di Magaluf, Benidorm e Blackpool? Mi sembra che alcuni punti abbiano un valore generale. Per cominciare il turismo non è solo fatto di numeri, arrivi, percentuali, quantità insomma; è anche qualità dell’esperienza e dei visitatori. Magaluf e Benidorm accetterebbero volentieri di avere meno turisti se questi fossero più presentabili e con una migliore capacità di spesa. Anche in Ticino abbiamo una storia turistica lunga ormai oltre un secolo e mezzo, ben rappresentata dagli spazi del nuovo Lac, cresciuto sulle rovine del primo albergo moderno del cantone, l’Hotel du Parc (1855, dal 1903 Grand Hotel Palace). Forse non basterà per una candidatura Unesco, ma potrebbe incuriosire più di un turista…
Un battello e due biciclette; un padre e un figlio; e tanti pittori. Sono gli elementi che si combinano in questo viaggio. Come spesso accade, lontano da casa e dai riferimenti consueti nulla è come pare. La bicicletta per esempio. Da noi sinonimo di viaggio fuori rotta, ecologico, anticonformista; in Olanda mezzo di trasporto quotidiano, con diciotto milioni di biciclette per sedici milioni di abitanti e trentamila chilometri di piste ciclabili che s’irraggiano per il paese, alternandosi ai canali navigabili. Anche il dialogo tra padre e figlio quasi adolescente lontano da casa è più facile e naturale, anche quando le parole restano comunque poche, a contarle. Ma si costruisce per il futuro. Infine i quadri, sottratti alla celebrazione dei musei e delle storie dell’arte e trasformati piuttosto in finestre spalancate su altre Olande di secoli passati. Il racconto di Paolo Ciampi è a tratti dimesso, quotidiano, prosaico, ma è anche il paese che è così, attento ai bisogni quotidiani, comodo e confortevole quanto il tempo fuori può essere inclemente; e poi un paesaggio piatto, senza elevazioni, dove un’altura a diciotto metri sul livello del mare dà quasi un senso di vertigine. E tutto sarebbe immobile, se non fosse per la bicicletta, che mette in movimento gambe e pensieri e apre punti di vista diversi sulla vita e sulla strada. Biografia
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Arrosto di maiale croccante con marinata alla birra Piatto principale Ingredienti per 6 porzioni: 1,4 kg d’arrosto di spalla di maiale con cotenna, da ordinare in macelleria · 1 cucchiaino di miscela per grigliate · 4 cucchiai di ketchup, ad esempio quello piccante · 1 dl di birra · 4 spicchi d’aglio. 1. Con un coltello affilato incidete a croce in modo non troppo profondo la cotenna dell’arrosto. Mescolate la miscela per grigliate con il ketchup e la birra. Unite l’aglio schiacciato. Spalmate bene la carne con un po’ di marinata e fatela marinare in frigo per circa 2 ore. 2. Scaldate il grill a sfera a circa 200 °C. Adagiate l’arrosto in una vaschetta per grigliate con la cotenna rivolta verso l’alto. Abbassate il coperchio e grigliate la carne per circa 90 minuti finché questa raggiunge una temperatura interna di circa 70 °C. Durante la cottura, spalmate di nuovo l’arrosto con la marinata. Prima di affettarlo, lasciatelo riposare per circa 10 minuti avvolto nella carta alu. Quindi tagliatelo a fette spesse, di traverso rispetto al senso delle fibre.
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Ambiente e Benessere
Biasca in marcia con marCHethon Solidarietà Il 12 settembre si terrà la tradizione manifestazione popolare che raccoglie fondi
per la ricerca contro la fibrosi cistica Ritorna a Biasca marchethon CF della Svizzera Italiana, un classico appuntamento di fine estate che richiama centinaia di persone e si è affermato negli anni come un evento importante per sportivi e famiglie. L’11ma edizione è in programma sabato 12 settembre. Oltre alle tradizionali gare podistiche e al walking (con partenza alle ore 11 per gli adulti e alle 14.30 per i bambini) saranno presenti numerose animazioni e intrattenimenti: area giochi per bambini e ragazzi con parete d’arrampicata, gonfiabili, truccabimbi, concorso di disegno, caccia al tesoro, merenda pane e cioccolato offerta e... altro ancora. A pranzo, maccheronata e fornitissima grigliata, preparate dai cuochi della DERO & Co. Durante la giornata sono previste esibizioni di magia con il Mago Renato; esibizioni di Hip-Hop con la Fit&Gim di Roveredo; Zumbabiasca; ginnastica; tango con la VA Academy; le fisarmoniche del Conservatorio della Svizzera Italiana dirette dal maestro Peter Vanzella e un saggio di danza del ventre con le allieve di Francesca Gigante. Madrine della manifestazione saranno Alessandra Ferrarini e Nicole Bullo. La giornata si concluderà con una grigliata in musica, fino alle 22.00. Chiusura della manifestazione a mezzanotte. marCHethon CF non è solamente sport e divertimento ma, soprattutto, solidarietà. I proventi della manifestazione saranno infatti interamente de-
Sarà una festa anche per i più piccoli.
voluti alla Società Svizzera Fibrosi Cistica (CFCH). La CFCH ha lo scopo di promuovere e attuare ogni forma di assistenza ai soggetti affetti dalla malattia, favorendo altresì tutte le iniziative di carattere sociale tendenti a garantire la tutela del diritto alla salute e il superamento dell’emarginazione dei malati. La CFCH, inoltre, insieme al Swiss Working Group for Cystic Fibrosis, sostiene progetti di ricerca, indispensabili per realizzare i progressi scientifici di
cui beneficiano le persone che ne sono affette. La fibrosi cistica è una malattia genetica che viene ereditata dai genitori portatori sani: colpisce i polmoni e il sistema digerente. La mutazione di un gene determina la produzione di una proteina difettosa o addirittura ne impedisce la sintesi. Ciò induce l’organismo a produrre in modo insolito un muco denso e appiccicoso che ostruisce i polmoni, comportando infezioni
polmonari molto pericolose. Interessa anche il pancreas, il fegato e l’intestino, impedendo la secrezione delle sostanze necessarie per l’assorbimento del cibo. Negli ultimi decenni, l’aspettativa di vita per le persone affette da fibrosi cistica è aumentata considerevolmente grazie ai progressi medici che hanno permesso di sviluppare nuove terapie. Il passo decisivo verso una guarigione definitiva non è stato ancora fatto,
ma molti piccoli passi hanno permesso di migliorare la qualità di vita delle persone colpite. Resta quindi il bisogno di diffondere informazioni perché sempre meno persone si sentano sole e discriminate e perché gli sforzi di tutti vengano indirizzati a rafforzare la ricerca scientifica e il sostegno diretto al malato. marCHethon, 12 settembre, Biasca Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Un bel coleottero può insidiare gnocchi e patatine fritte Entomologia E un micro-fungo può essere all’origine di un’epica avventura
Alessandro Focarile È una lunga e permanente lotta quella dell’uomo contro gli insetti. Una battaglia che ha avuto inizio alcune migliaia di anni or sono, da quando il nostro antenato aveva cominciato a seminare e a raccogliere cereali e legumi vicino casa. Nel corso di diverse ricerche archeologiche svolte in Mesopotamia (la culla dell’agricoltura nel mondo occidentale) sono stati raccolti anche dei semi, chiaramente rosicchiati da alcuni insetti che se ne cibano: i granivori. Un’eloquente testimonianza dell’avvenuta convivenza tra l’uomo e gli insetti. Tale convivenza, che deve aver avuto anche tragiche conseguenze per la storia dell’uomo, è stata messa in luce e documentata con i successivi e sempre più perfezionati metodi di indagine: la datazione con il C14 e l’identificazione botanica dei reperti. Tra le piaghe che hanno accompagnato ovunque la presenza umana nel territorio e la sua agricoltura, va annoverata la distruzione della patata (Solanum tuberosum) da parte di un insetto coleottero (la Dorifora) e un micro-fungo (l’Oidio). La patata, un tubero di sicure origini andine e incaiche (Ande e Incas), fu scoperta dagli spagnoli conquistatori alla fine del Cinquecento. Questo vegetale doveva rivoluzionare l’alimentazione europea e soppiantare in parte l’aleatorio binomio cereali-legumi. La Dorifora della patata (Leptinotarsa decemlineata) è un coleottero appartenente alla famiglia Chrysomelidae, della quale sono conosciute attualmente quasi 40mila specie. Sono insetti che si cibano esclusivamente di vegetali, particolarmente del loro fogliame. Le Dorifore attaccano solo le Solanacee, una famiglia di vegetali erbacei ricca di 2600 specie a livello mondiale, soprattutto nelle regioni tropicali. Le specie più note sono: la patata, la melanzana, il pomodoro, i peperoni, tutti vegetali prede della Dorifora. La quale, poiché non fuma, si astiene invece dal consumare un’altra solanacea: il tabacco (Nicotiana tabacum) ulteriore regalo degli spagnoli conquistatori. Tutte queste piante contengono, in misura più o meno elevata, degli alcaloidi. Basta ricordare la belladonna, lo stramonio, l’acònito e che le foglie della patata, del pomodoro, del peperone e della melanzana sono velenose per l’uomo, mentre le foglie della Nicotiana non fanno bene alla salute. La Dorifora fu descritta nel 1824 da Say, uno dei primi entomologi nordamericani, grazie a degli esemplari raccolti nel Colorado su una solanacea selvatica. Durante molto tempo, questo vistoso (e anche bello) coleottero fu
Fiori di patata. (Konrad Lauber & Gerhard Wagner)
considerato una rarità, nota soltanto agli entomologi dei primi Musei e dei laboratori governativi. Successivamente, nel corso dell’Ottocento, e grazie alle sempre più diffuse colture di patate negli USA, l’insetto si estese con tale rapidità che in 50 anni, a partire dal 1874, tutto il Nord-America ne fu invaso: dalle coste del Pacifico (California) a quelle atlantiche. Un po’ alla volta inevitabilmente la Dorifora giunse in Europa, favorita dagli intensi traffici marittimi. In Germania nel 1877, in Gran Bretagna nel 1901, in Francia nel 1922.
L’adulto della Dorifora della patata (10 millimetri). (Alessandro Focarile)
Grazie all’enorme prolificità delle femmine (possono produrre da 400 a 800 uova!), da allora non fu più possibile arginare l’invasione, che copriva tutta l’Europa occidentale: dalla Spagna alla Svizzera e all’Austria, fino in Polonia (1946). In Italia comparve nel 1944 (in Piemonte, per la prima volta) trasportata accidentalmente con i traffici militari: «…e ora si può dire che questo parassita si trova in tutta Italia, sia in pianura che in montagna». (Della Beffa, 1961). La Dorifora, come tutti i coleotteri, ha una metamorfosi completa: dall’uovo fecondato all’adulto attraverso gli stadi di larva e ninfa. Il ciclo completo dura in media un paio di mesi: dalle uova deposte ai primi di maggio i nuovi adulti sono formati ai primi di luglio. Se le condizioni climatiche sono favorevoli, si possono produrre anche due generazioni e in Nord America fino a tre. Della pianta di patata, la Dorifora divora voracemente le foglie e gli steli, impedendo la formazione del tubero. Quest’ultimo sarà attaccato da un micro-fungo (l’oidio) che provocherà la marcescenza, come vedremo. Com’è facile immaginare, la Dorifora è stata oggetto di un’accanita lotta fin dagli inizi delle sue infestazioni,
Un gruppo di uova (7 millimetri) che sono spesso divorate dalle larve (18 millimetri). (Alessandro Focarile)
considerato l’elevato valore economico delle colture di patate. E ha preso piede una lotta sempre più perfezionata e sofisticata. Nel 1915 fu utilizzato in Germania persino l’esercito: furono comandati 200 soldati per raccogliere «manualmente» larve e adulti dell’insetto in un privilegiato terreno di tre ettari! Successivamente si passò a metodi meno artigianali con l’avvento della fitochimica, insetticidi organici come il DDT, e infine agli OGM (Organismi geneticamente modificati) che dovrebbero fornire alle piante i mezzi per difendersi dagli attacchi dell’insetto.
Della pianta di patata, la Dorifora divora voracemente le foglie e gli steli, impedendo la formazione del tubero La Dorifora è resistente a quasi tutti gli insetticidi di sintesi attualmente (2014) disponibili. Questa resistenza è il risultato della selezione di una parte degli individui che compongono la popolazione infestante e geneticamente predisposta a sopravvivere all’azione dell’insetticida. Ciò può avvenire grazie alla de-tossificazione bio-chimica attuata dall’insetto. Nonostante più di cinquant’anni di sforzi intermittenti, finora non è stata prodotta alcuna varietà (cultivar) di patata resistente alle proliferazioni della Dorifora. Un’altra forma di lotta, che conobbe un boom verso gli anni Sessanta, fu la lotta biologica, quale proposta alternativa al massiccio impiego – allora in auge – degli insetticidi disponibili, usati nel corso anche di 12 trattamenti durante l’anno. «Più ne mettiamo, migliori sono i risultati». Dal 1950, quando si trattava di poche entità, al 1980 (nell’arco di soli trent’anni), il numero delle specie di artropodi, specialmente insetti e acari, rivelatisi resistenti agli insetticidi di sintesi, è aumentato fino a 500 specie. È presumibile che negli ultimi 35 anni la
situazione, e cioè la resistenza biologica, sia ulteriormente aumentata. Inoltre si sono rivelati alcuni effetti collaterali altamente negativi. Come ad esempio, una selezione di organismi resistenti ai prodotti chimici di sintesi proposti da alcune multinazionali in regime di monopolio. Prodotti chimici rivelatisi più o meno allergogeni e cancerogeni per l’uomo e per gli animali di allevamento, attraverso l’alimentazione con mangimi trattati con diserbanti e contaminati con insetticidi di varia origine chimica. Verso la metà dell’Ottocento, l’Irlanda conosceva una massiccia monocoltura agricola a base di patate. Le continue e forti precipitazioni in questo periodo, non facevano che peggiorare il suo clima particolarmente umido. Molti corsi d’acqua esondarono, le campagne furono allagate e ammorbate dal fetore delle patate marcescenti a causa dell’Oidio. Masse di irlandesi disperati vagavano cenciose e affamate. In quei frangenti, le autorità furono prese alla sprovvista e non seppero affrontare gli eventi con energia e razionalità. (Fagan 2007). Chi poteva si imbarcava ed emigrava verso il Nord America, la meta più vicina alla Patria matrigna. Tra questi irlandesi disperati, ci fu anche una certa famiglia di nome Kennedy. Non è azzardato affermare che, se gli Stati Uniti hanno avuto un grande Presidente, John Fitzgerald Kennedy, l’epica avventura ha avuto inizio a causa di un minuscolo fungo: l’Oidio. Bibliografia
Giovanni Della Beffa, 1961, Gli insetti dannosi all’agricoltura e i moderni mezzi e metodi di lotta, Ulrico Hoepli Editore (Milano), 1106 pp. P.J. Gullan & P.S. Craston, 1996, Insects. An Outline of Entomology, Chapman & Hall (London, New York, Tokyo, Melbourne), 491 pp. Brian Fagan, 2006, La rivoluzione del clima. Come le variazioni climatiche hanno influenzato la storia, Sperling & Kupfer (Milano), 386 pp. Salvatore Marchese, 1999, Benedetta patata, Franco Muzzio Editore (Milano), 212 pp.
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Ambiente e Benessere
Da Gugliemo a Roger, calma e precisione Sportivamente Al torneo di tennis di Cincinnati, Federer è stato magnifico. Ora è atteso al varco a New York,
soprattutto dal serbo Djokovic che ha battuto in finale Alcide Bernasconi Alla televisione trasmettono solo brutte notizie. Notizie tragiche. Racconti orribili che non è il caso di ripetere qui. Sappiamo come vanno le cose e per ora la speranza di un rapido cambiamento appare remota. Lo sport, che con una parafrasi potremmo definire «l’oppio dei popoli», poiché impedisce di riflettere su cose più importanti, sarebbe invece ora un rifugio necessario per alleviare l’ansia che pervade un po’ tutti: da chi ha comunque la fortuna di possedere un patrimonio invidiabile e pensa ai suoi… soldini, a chi invece è sempre alla disperata ricerca di un posto di lavoro, oppure teme di perderlo visto che le molte fabbriche e imprese che nel passato offrivano una certa sicurezza ora chiudono una dopo l’altra, poiché l’attività è in perdita e le cose vanno di male in peggio. Eppure gran parte del pubblico dello sport – ma in particolare chi segue il calcio – sembra insensibile all’annuncio di trasferimenti milionari e stipendi da capogiro che ancora alcune società sportive, grazie alla grande disponibilità finanziaria dei loro dirigenti e sponsor, dichiarano con l’ingaggio di giocatori che si affidano a manager con molto pelo sullo stomaco (anche sulla schiena…) per mettere in tasca cifre esagerate, al punto da far gridare vendetta al cielo. La giustificazione, ormai abusata, è che la carriera di uno sportivo dura poco e quindi ecco le richieste di milioni da mettere i brividi soprattutto quando a ottenerli sono talvolta pedatori (così li chiamava talvolta il maestro dei giornalisti sportivi Gianni Brera) di modesta levatura. Nelle altre discipline sportive i casi di stipendi che lasciano a bocca aperta
sono più rari. Vuoi perché quegli sport non godono di una grandissima popolarità e perché a elargire certe somme sono le federazioni, oppure club nei quali le ambizioni del presidente di turno, sostenute anche da patrimoni non da ridere, non hanno quel séguito dello sport numero uno al mondo, ossia quello del pallone. Però si può vivere bene, nel lusso, anche con palle assai più piccole, come quelle da tennis, tanto per farla breve. Qui, un atleta la carriera se la costruisce per così dire da solo. Certo, deve poter contare su una piccola cerchia – parenti, amici fidati, allenatori che sanno dare giusti consigli al momento giusto – che gli permetta di giocare senza preoccuparsi di altre cose al di fuori del gioco. I tennisti e le tenniste sono l’esempio classico. Forse in nessun’altra disciplina sportiva il campione può girare il mondo accompagnato da moglie e figlioletti e ragazze che si occupano della figliolanza, svolgendo tutte quelle cose che permettono alla compagna del campione di dedicarsi anche lei alle partite, sostenendo dalla tribuna il consorte rassicurato da uno sguardo e da un applauso affettuoso. E poi spesso ci sono mamma e papà oltre che l’allenatore e il preparatore fisico. Insomma una bella, piccola corte. Roger Federer, il «nostro» Roger, sembra essere quello che ha saputo organizzarsi meglio anche sotto questo aspetto. Nell’Ohio, dove si è imposto per la settima volta, Federer ha affittato una villa per assicurare la propria tranquillità. Questo campione piace non solo ai tifosi svizzeri. Anzi, egli può contare fans in tutto il mondo. Grazie al suo modo di comportarsi, in campo e fuori, il basilese si è meritato il rispetto (spes-
sposta dell’avversario…». Eh sì, è quello che ci siamo chiesti pure noi, ammirandone il gioco d’attacco, aggressivo come non mai, con due passi all’interno del campo prima della risposta dell’avversario per puntare poi a rete destabilizzando un avversario come Djokovic. La determinazione e la calma che non la abbandonato mai, visto che il suo avversario serbo, almeno fino al tie-break vinto 7-1 riteneva di aver giocato discretamente. Un Federer ritrovato, dunque? Difficile dare una risposta che valga per tutti i tornei. Le cose potrebbero cambiare già a New York, visto che Roger dovrà mantenersi anche alla distanza ai migliori livelli. A interrompere il flusso continuo di brutte notizie ci ha pensato finora, in questa calda estate, il tennista elvetico. Nel passato ormai lontanissimo, il pubblico svizzero doveva accontentarsi (si fa per dire) di ammirare – chi ne aveva la possibilità – l’urano Guglielmo Tell, spezzare, in allenamento, con tiri della sua magica balestra, mele svizzere doc, piccole (o grandi?) ma gustose. La più gustosa fu sicuramente quella che il balivo austriaco Gessler gli intimò di colpire sulla testa del suo figlioletto Gualtiero. Guglielmo fece centro (lì non era prevista una seconda mela di… servizio) e diventò il leggendario eroe della nostra nazione. Forse anche per questo motivo non manca quasi mai una bandiera del cantone di Uri che sventola tra il pubblico. Nel tennis, grazie a Roger, come in molti altri sport, dallo sci al calcio per altri atleti che si danno il cambio stagione dopo stagione. Mentre Federer è sempre lì, da anni, accanto al trono che occupò per molto tempo da re assoluto della racchetta.
Parata di stelle in margine all’Open di Cincinnati. (Keystone)
so anche l’amicizia) di quasi tutti gli avversari. Il che non è poco se vediamo ciò che succede in altri sport, a cominciare dal calcio. Chi conosce il mondo del tennis e dello sport in generale, afferma che i soldi guadagnati da Roger a colpi di racchetta, servizi, diritti, rovesci, smorzate, sono semplicemente un premio per i suoi meriti. Qualche giorno fa a Cincinnati, nell’Ohio, ecco il nostro tennista ultratrentenne sollevare un altro trofeo, intascare un altro consistente assegno (731mila dollari), dopo aver lanciato i suoi polsini e la fascia che gli cinge i capelli durante le partite, un po’ come faceva Elvis Presley nei suoi concerti regalando alle fans fazzoletti intrisi di sudore. Sul fondo velocissimo di Cincinnati, nessuno ha trovato il modo di strappargli neppure un game. Neppure Novak Djokovic c’è riuscito, impegnandolo una sola volta a difendere il
proprio servizio. Il serbo sa comunque che avrà modo di riscattarsi, ma su fondi un po’ più lenti, come sarà il caso a New York. Il numero uno della classifica mondiale punta ai trofei dello slam e può permettersi in queste occasioni di accettare la sconfitta con una battuta di spirito: «Credo che dovrò attendere fino al ritiro di Federer per vincere qui a Cincinnati» ha detto Novak strappando una bella risata al pubblico, tutta dalla parte dell’elvetico, salvo al massimo un centinaio di tifosi del serbo, anche loro però pronti a riconoscere la classe del basilese. Al responsabile del tennis della rosea «Gazzetta dello sport», un cronista della nostra radio RSI, ha suscitato una battuta del suo interlocutore in una breve ma interessante intervista. Credo che dicesse pressappoco così: «Ho un figlio ammiratore di Roger, il quale mi ha chiesto come faccia lo svizzero a essere sempre al posto giusto sulla ri-
ORIZZONTALI 1. Operare 4. Sgradevoli, malfatti 9. Rosso a Londra 10. Qualità caratteriali 11. In centro e in periferia 12. D’attacco in guerra 13. Le iniziali di Arbore 14. Lo lascia la macchia 15. Lo frequentano i passanti 16. Lo sono i nemici 18. Si guardano allo specchio 19. Dentro un baccello 21. L’attore Insegno 22. Termine di paragone 23. Dieci inglesi 24. Propri dei quartieri
Sudoku Livello medio
Giochi Cruciverba Forse non tutti sanno che la pomologia è la scienza che studia i … Termina la frase risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate. (Frase: 6, 2, 1, 4, 6)
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Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
VERTICALI 1. Modera l’andatura 2. Atmosfera poetica 3. Le iniziali dell’inventore del diesel 4. Parti di opere musicali 5. Ha un compagno gemello 6. Nome maschile 7. Posti alla fine 8. Tutt’altro che mesti 10. Elementi trasversali della scala 12. Busta sigillata contenente documenti 13. Nobili etiopi 14. Università 15. Un gruppo di vitamine 17. In mezzo alla fascina 20. Indispensabili quelli di prima necessità 21. Produce prodotti vari... 22. Preposizione articolata 23. Metà della metà
Soluzione della settimana precedente
Paese che vai usanze che trovi – Nel Regno Unito non esiste: … LA CARTA D’IDENTITÀ.
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Politica e Economia Seul, intelligence in crisi La Corea del Sud ha un problema con le sue spie e l’America trema
Presidenziali in Guatemala Forte tensione nel Paese che si appresta a votare il 6 settembre: il governo dell’ex generale Perez Molina è travolto da uno scandalo corruzione che ha coinvolto il suo vice e altri ministri
Guardia di finanza Dovrebbe dare la caccia ai contrabbandieri ma spesso i suoi generali gestiscono traffici peggiori
Un mediatore per l’Europa Jacques de Watteville nominato ufficialmente per occuparsi delle questioni tra Svizzera e UE pagina 27
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AFP
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Finanza sotto i cieli mandarini La bolla di Shanghai Il lato più interessante di questa crisi economica che ha contagiato le borse di tutto il mondo
è la dimensione politica: rimanda alla furiosa battaglia fra il presidente Xi e l’oligarchia delle imprese di stato Lucio Caracciolo I crolli a ripetizione della Borsa di Shanghai hanno gettato quest’estate una luce sinistra sull’economia cinese e per conseguenza mondiale. Dopo mesi di crescita smodata, tra luglio e agosto il tonfo dei mercati azionari cinesi ha rianimato il fantasma di Lehman Brothers e della grande crisi maturata nel 2007-8 nella pancia della finanza privata americana, diventata poi nel giro di poche settimane un’emergenza globale. Il paragone è improprio. Sulle origini e sulle cause economico-finanziarie della débâcle di Shanghai e dintorni molto si è scritto e dibattuto, mettendo in evidenza l’inevitabilità dell’esplosione di una bolla a lungo maturata, rimarcando l’immaturità anche tecnica dei giovani mercati azionari della Repubblica Popolare, segnalando gli errori e le reazioni talvolta irrazionali delle autorità politiche. Meno si è insistito sulla più intrigante peculiarità di quel mercato, l’essere per la grandissima parte (almeno il 90%) movimentato dalle speculazioni
delle aziende di Stato e dei loro corrotti capi, i cosiddetti «principi». Figure che appartengono da sempre all’establishment politico locale, note per la mancanza di scrupoli e per la vocazione corruttiva, interessate soprattutto alla conservazione del proprio potere, molto meno al bene pubblico. Qui emerge il lato più interessante e di maggiore spessore della crisi in corso: quello politico. Essa va quindi inquadrata nel contesto della furiosa battaglia che il presidente Xi Jinping sta conducendo contro il potere delle imprese di Stato, che continuano, malgrado tutto, a dare il tono all’economia e soprattutto alla politica cinese. Una oligarchia estremamente radicata e invasiva, dotata grazie al proprio rango politico e sociale di un accesso privilegiato al credito, poi redistribuito alle aziende private a tassi nettamente più alti, senza che, fino all’avvento di Xi, le istituzioni politiche, a cominciare dallo stesso Partito comunista, potessero o volessero far nulla. Sono stati questi soggetti a produrre la bolla sui mercati
azionari e a favorirne l’implosione con le loro azioni irresponsabili, totalmente autoreferenziali. Da quando è salito al vertice del Partito e del Paese, il nuovo gruppo dirigente radunato attorno a Xi Jinping ha fatto della lotta alla corruzione, ovvero del ridimensionamento del potere di prìncipi e principini, la sua priorità strategica. Consapevole che in ultima analisi è su questo fronte che si gioca il futuro della Cina. Tradotto in termini di politica economica, si tratta quindi di rafforzare le imprese private in un quadro di relativa legalità, colpire la corruzione dovunque si annidi – dunque anzitutto nelle imprese di Stato e nelle loro diramazioni nel Partito e nelle amministrazioni centrali e regionali. Obiettivo: stimolare una nuova modalità di crescita – certamente più moderata – meno fondata sugli investimenti infrastrutturali e sulle esportazioni, molto più orientata verso i consumi domestici. Una partita di dimensioni epocali. In caso di successo, misurabile solo nel medio periodo, il sistema economico,
sociale e politico ne verrebbe riformato e rafforzato, producendo insieme maggiore benessere diffuso, più legalità e forse un abbozzo di graduale, controllata apertura verso forme di competizione democratica. Centrali, in questo contesto, la costruzione di un sistema di welfare – basato su un meccanismo fiscale finalmente agibile – che la Repubblica Popolare Cinese non ha mai saputo allestire per carenza di risorse, idee e adeguate pressioni politico-sociali. Ancora oggi i cinesi sono costretti a mettere da parte una buona quota di reddito per sostenere gli alti costi dei servizi sanitari e scolastici, nel contesto del crescente invecchiamento della popolazione, che mette in tensione le legature sociali del Paese. Xi Jinping sta sviluppando questo progetto con grande vigore e con piglio autoritario, avendo stretto la censura sui media e serrato le righe nel Partito contro le forze della conservazione. È perfettamente consapevole che su questa visione si gioca il posto e forse la vita. Perché le resistenze, anche ai vertici del
Partito, sono formidabili. Lo ha ammesso qualche giorno lo stesso organo ufficiale, il «Quotidiano del popolo», quando ha affermato che «le straordinarie, complesse, agguerrite e determinate forze avverse alle riforme sono forse più forti di quanto si immaginasse». In Cina è dunque in corso una guerra solo parzialmente visibile fra i riformatori attorno a Xi e i conservatori incistati nelle grandi imprese di Stato e nelle loro ramificazioni nell’economia privata, finanziaria e reale. L’andamento della borsa di Shanghai è anche un riflesso di tale competizione, che potrebbe slittare verso una crisi politica, o addirittura un colpo di Stato ordito dalla fazione anti-Xi. È dunque giusto seguire con interessata preoccupazione le curve degli indici azionari, ma attenzione a non scambiare dito e Luna. Primo, perché il rapporto fra economia finanziaria ed economia reale è ancora molto debole sotto i cieli mandarini. Secondo, perché la vera partita concerne il futuro politico della Cina. Quindi anche il nostro.
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Politica e Economia A Seul una protesta contro lo spionaggio verso i privati cittadini. (AFP)
Febbre verde La seta indiana L’ecologismo contagia
la borghesia ma non solo
Seul, il lavoro politico degli 007 Spionaggio Grave crisi dei servizi segreti sudcoreani che vengono
utilizzati non tanto per spiare la Corea del Nord ma i propri cittadini Giulia Pompili Una via di montagna silenziosa e isolata. Un’auto parcheggiata sul ciglio della strada. Dentro, il cadavere di un uomo. Sul sedile del passeggero, tre pagine fitte, scritte a mano, su fogli da appunti. Lui è una spia, e questa l’ennesima puntata del grande romanzo che sembra uscito dalla penna di Ian Fleming. Ma è la realtà dei fatti che spesso supera l’immaginazione. In Corea del Sud i servizi segreti vivono uno dei peggiori momenti della loro storia. E la faccenda è tutt’altro che marginale, perché l’intelligence di Seul è la principale alleata di Washington nel controllo di una delle minacce più sottovalutate, imprevedibili e atomiche del mondo: la Corea del Nord. Nelle ultime settimane la tensione tra le due Coree è salita ai massimi livelli: una mina piazzata probabilmente da soldati nordcoreani nella striscia di confine ha ferito due militari del Sud; Seul, per rappresaglia, ha riattivato gli altoparlanti di propaganda spenti dal 2004. Pyongyang ha tentato di abbattere gli altoparlanti con dei missili, Seul ha risposto al fuoco. Non c’è stato nessun danno a persone o cose, ma l’escalation militare è stata inevitabile: i due Paesi in assetto di guerra conducono a oltranza dei colloqui sul confine, che probabilmente si risolveranno con un accordo di ritorno allo status quo ante. Ma torniamo a quell’auto abbandonata. Mister Lim – che probabilmente è un nome di fantasia diffuso dagli inquirenti per proteggere la famiglia – ha quarantacinque anni ed è un agente di lunga data del NIS, il National Intelligence Service, i servizi segreti sudcoreani. Lim vive a Yongin, una zona molto popolosa nella provincia di Gyeonggi, poco a sud della capitale Seul. Alle cinque del mattino di sabato 18 luglio Lim esce di casa con la sua auto rossa. Cinque ore dopo, intorno alle dieci, la moglie telefona al numero d’emergenza, che in Corea è il 119. Crede che suo marito abbia avuto un incidente, perché non riesce a trovarlo. La polizia si mette subito alla ricerca dell’uomo, e tracciando il telefonino in due ore lo trova, a soli tredici chilometri da casa. È chiuso nella sua auto, senza segni sul corpo. Probabilmente è morto per asfissia, e nel sedile posteriore ha bruciato qualcosa. I finestrini sono chiusi. L’ipotesi del suicidio si fa strada quando gli agenti rivelano di aver ritrovato sul sedile del passeggero le tre pagine di appunti. La successiva perizia calligrafica chiarirà che la mano con cui sono state vergate è proprio quella di mister Lim, e l’autopsia confermerà che la spia è morta per intossicazione da monossido di carbonio. Ma che cosa
scrive l’agente dei servizi segreti nel suo addio? «Mi scuso con i miei colleghi e il pubblico per questa enorme controversia. Ho lavorato sempre con grande fervore, e anche duramente, con senso del dovere, come un servitore. Sembra però che l’eccesso di zelo che ho messo nel mio lavoro abbia portato alla situazione in cui siamo adesso». C’è la premeditazione, dicono gli inquirenti, il gesto è stato a lungo ponderato perché alcune parti della lettera sono cancellate, e in altri passaggi Lim ha inserito delle parole dopo la prima stesura: «Non c’è stato nessun monitoraggio dei nostri cittadini o coinvolgimento con le elezioni politiche. Ho cancellato quei documenti perché preservare le attività del NIS è molto più importante di ogni impatto esterno, e ho distrutto il materiale che sarebbe potuto essere frainteso riguardo alle operazioni di controspionaggio e sulla Corea del Nord. È stato tutto un errore dovuto alla mia mancanza di giudizio. Tuttavia non c’è nulla di cui preoccuparsi nelle mie azioni, nemmeno per questa». Già, i documenti distrutti. Ma a cosa si riferisce? Per capirlo, bisogna tornare indietro, all’inizio di luglio. E soprattutto lasciare Seul per volare fino a Milano, nella sede di una società piuttosto famosa tra i governi di mezzo mondo: la Hacking Team. Qualche settimana fa l’azienda – leader nel campo dei software spia utilizzati per mettere sotto controllo praticamente chiunque – ha subìto un attacco hacker. La nemesi dello spione, si dirà. Ma quando Wikileaks ha pubblicato circa un milione di email transitate nei computer dell’Hacking Team, i servizi segreti di tutto il mondo hanno tremato. Perché nelle corrispondenze ci sono le prove del fatto che decine di governi utilizzavano i sistemi venduti da Hacking Team o collaboravano attivamente con l’azienda milanese. Ci sono Italia, Svizzera, Israele, Spagna, Russia, Thailandia, Singapore, Mongolia, Bangladesh. E, naturalmente, la Corea del Sud. In patria la notizia è finita immediatamente sulle aperture di tutti i media. Secondo le rivelazioni, dal gennaio del 2012 al gennaio di quest’anno la divisione numero 5163 dell’Esercito sudcoreano avrebbe acquistato da Hacking Team uno spyware chiamato Remote Control System (RCS), un sistema che riesce a monitorare tutti i supporti elettronici che possiede una persona, compresi gli smartphone, e registra chiamate, messaggi, monitora le applicazioni di messaggistica e la posizione del soggetto. La Divisione 5163 è nota per essere il braccio armato del NIS, ed è per questo che l’agenzia d’intelligence sudcoreana è stata subito accusata di fare dello
spionaggio un po’ troppo invasivo. Il Capo del NIS, Lee Byung-ho, che è stato nominato soltanto quattro mesi fa, ha detto che tutti gli sforzi dell’agenzia sono finalizzati alla sicurezza dei sudcoreani e soprattutto al controllo di possibili spie che vengono dalla Corea del Nord. Eppure, qualcuno si è posto un problema: perché, se si vogliono spiare davvero solo i nordcoreani, i servizi cercano un sistema per entrare in una delle applicazioni più usate dai cittadini della Corea del Sud, Kakao Talk? E perché l’agente Lim avrebbe distrutto quei documenti, che guarda caso erano proprio i file archiviati dal NIS attraverso il Remote Control System? Non è la prima volta che l’agenzia d’intelligence sudcoreana viene beccata a fare lavoro «politico», piuttosto che controllare la Corea del Nord. Le prime speculazioni sulla necessità di una riforma dei servizi ci furono dopo il celebre «buco» nel 2011 sulla morte del leader Kim Jong-il (i servizi coreani lo seppero insieme ai nordcoreani: alla televisione). Ma c’è dell’altro. I due capi del NIS che si succedettero dal 1999 al 2003 sono stati condannati dalle autorità per aver monitorato illegalmente almeno 1800 politici sudcoreani ed esponenti di grandi compagnie di business. La Corte suprema di Seul la scorsa settimana ha deciso per un nuovo processo nei confronti di Won Sei-hoon, capo del NIS dal 2009 al 2013, inizialmente condannato a tre anni di prigione. Nel 2012, nel pieno della campagna elettorale per le elezioni presidenziali, Won avrebbe organizzato un sofisticatissimo sistema di pseudonimi sui social network per screditare il candidato dell’opposizione, il democratico Moon Jae-In, a favore del leader del partito conservatore Saenury e attuale presidente Park Geun-hye (che peraltro vinse per solo 3,6 per cento di voti). Anche per questo la Corte costituzionale di Seul ha deciso lunedì scorso che durante le campagne elettorali gli utenti di internet saranno obbligati a mantenere il proprio nome e cognome reale. Nel 2013 l’agenzia dovette scusarsi ufficialmente di nuovo per avere costruito di sana pianta le prove per l’incriminazione di un profugo nordcoreano, sospettato di essere una spia. La prima agenzia di spionaggio in Corea del Sud fu istituita nel 1961 con il nome di Korea Central Intelligence Agency. Furono gli uomini della KCIA ad aiutare il padre dell’attuale presidente, Park Chung-hee, a condurre il colpo di stato militare che lo portò al potere per diciotto anni. Diciotto anni in cui i servizi segreti furono al servizio del governo autoritario di Park. Spesso, buon sangue non mente.
Ci si è messo anche papa Francesco a benedire ufficialmente quello che noi, tra Calcutta e Delhi, stavamo facendo già da un pezzo: darci all’ecologia, all’ambientalismo, al riciclo, al verde. Per dirla con il motto locale: going green. Niente a che vedere con i patetici cartelli che dieci anni fa hanno cominciato a punteggiare le prime strade a scorrimento veloce e ring roads di Delhi: «Clean Delhi, green Delhi» dicevano, possibilmente incoronati alla base da cumuli di cartacce e monnezza assortita. D’altra parte, quello sui cartelli stradali indiani e sul poeta (o i poeti, chissà) assunti dalla pubblica amministrazione per scriverli, è un capitolo a parte che merita una riflessione ad hoc. Chiunque sia capace di scrivere roba come «drinking whisky, driving risky» piazzandolo su una strada di montagna per essere letto da autisti per la maggior parte analfabeti, è un genio assoluto. Per tornare a noi, da un paio d’anni la febbre verde ha preso il posto dell’interior design e delle opere di carità tra le signore della buona borghesia e non solo. Con alcuni risultati lodevoli e, come sempre accade in India, risvolti decisamente comici. Come quando, sempre alcuni anni fa, l’allora sindaco di Delhi era stato preso da sacro furore ecologista e per allinearsi al resto del mondo evoluto aveva ordinato la raccolta differenziata. Dopo qualche settimana di grande trambusto e di felicità assoluta per i venditori di pattumiere rosse (per l’umido) e blu (per il resto), l’ora X era scoccata. Peccato che l’operatore ecologico fosse sempre il solito Pratap con il suo buon vecchio carretto in cui svuotava allegramente tutto il contenuto dei bidoni, tutto assieme. E quando una mia amica dopo qualche giorno gli aveva strillato contro facendogli una lezioncina sulla raccolta differenziata, il povero diavolo l’aveva guardata come si guarda un alieno. Il concetto di raccolta differenziata, in India, è difatti in vigore da decenni ma in modo diverso: la spazzatura si porta nei depositi (leggi: nel primo campo disponibile fuori dalla vista di ricchi e turisti) e là donne e bambini con la faccia coperta da uno straccio separano la roba riciclabile, che potrà essere quindi ripulita e rivenduta, dai rifiuti organici che saranno abbandonati a corvi, mucche, cani randagi e scimmie. Il salto di qualità, come sempre avviene in questi casi, è arrivato dall’alto. E adesso è tutto un fiorire di gruppi che si formano e si disfano su Facebook per scambiare informazioni e indire riunioni a base di tè e biscotti sul modo migliore per creare un composto organico e coltivare così l’orto sul terrazzo. Si scambiano semi di specie vegetali autoctone e in via di estinzione, indirizzi di giardinieri specializzati, coordinate geografiche dei migliori vivai. Avere un cottage nei dintorni di Delhi con cam-
picello coltivato con metodi tradizionali è ormai un must per ogni signora radical-chic degna di questo nome, e trovare un vecchio contadino che si occupi del campicello di cui sopra adoperando zappa e vanga d’antan perché adoperate da suo padre e suo nonno prima di lui è quasi obbligatorio. Prima si corteggiavano le cuoche altrui, adesso i giardinieri. Le più intraprendenti fondano Ong a sfondo ecologista, riciclando ad esempio i fiori adoperati per funerali e cerimonie che vengono raccolti e usati per fare le polveri colorate da usare a Holi. Peccato che poi le polveri siano sì organiche e politically correct, ma talmente scialbe e tristi che tutti noi, pur con i nostri bravi sensi di colpa e attribuendone la responsabilità a tate, vecchi e bambini, corriamo a comprare e adoperare gli scintillanti, tossici ma bellissimi colori sintetici. Anche gli stilisti si sono allineati al nuovo trend e le fiere organizzate da nobili patronesse nei giardini della magione avita non si contano più. Si vendono a prezzi incredibili kurta, sari, gonne e pantaloni fatti di cotone organico e tessuti e filati a mano. Gli stessi capi d’abbigliamento da sempre confezionati con le tecniche di cui sopra e per anni snobbati dalle ricche e famose a favore del crêpe-de-chine d’importazione, ovviamente. Ma adesso il gandhiano khadi tessuto e filato a mano, e possibilmente tinto con l’indigo che ti lascia sulla pelle una bella tinta blu ogni volta che lo indossi nonostante il tradizionale prescritto lavaggio con acqua e sale o acqua e aceto, è quasi obbligatorio per ogni dama al passo coi tempi. Il cotone di Phulia, in West Bengal, nei mercatini di cui sopra e nelle boutique di Khan Market è più caro della seta purissima e frutta ottimi guadagni agli intraprendenti e spesso improvvisati sarti e stilisti. Non frutta un accidente ai tessitori che continuano da secoli a fare quel mestiere e che, nei villaggi di provenienza, vendono lo stesso sari o lo stesso kurta per qualche centinaio di rupie. Certo, gli ordini che piovono dalle città e la febbre del recupero delle tecniche tradizionali stanno evitando a molti di loro di morire di fame o di essere costretti a chiudere per cercare lavoro in fabbrica, ma una qualche forma di giustizia sociale è ancora molto di là da venire. E si perpetua ancora una volta la divisione tra due volti dell’India: chi può permettersi di comprare vegetali organici, di indossare cotone o seta, di adoperare vernici senza piombo e materiali atossici sono soltanto i ricchi. Gli altri, quelli che la mercanzia di cui sopra la producono, continuano a consumare verdure a buon mercato piene di pesticidi, indossano sari sintetici perché non si sciupano e non devono essere stirati, continuano a coprire di eternit le loro baracche. Per loro, l’unico verde possibile è quello delle tasche vuote.
Keystone
Francesca Marino
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Politica e Economia
Tensioni prima del voto Guatemala Il presidente Otto Perez Molina
AFP
è stato messo sotto accusa perché ritenuto coinvolto insieme alla sua vice in una rete di corruzione nel settore doganale
Angela Nocioni Il governo del presidente Otto Perez Molina ha perso cinque ministri in pochi giorni ed è assediato da manifestazioni di piazza che chiedono a Perez, ex generale già sospettato di violenze e abusi durante la guerra civile (1960-1996), un passo indietro indipendentemente dall’esito del voto. La protesta si è estesa negli ul-
timi giorni alla Chiesa. L’arcivescovo dell’arcidiocesi del Guatemala, Oscar Julio Vian Morales, il più alto prelato della Chiesa cattolica nel paese centroamericano, sta chiedendo pubblicamente da giorni le dimissioni di Perez Molina. All’origine della protesta c’è uno scandalo per corruzione nel settore doganale, conosciuto nell’opinione pubblica come «il caso della Linea», in
allusione al numero di telefono a disposizione di aspiranti evasori fiscali del settore per cancellare e riscrivere alcuni documenti e pagare così meno tasse. Un’inchiesta della magistratura accusa il presidente e la sua ex vice, Roxana Baldetti, di essere «i vertici supremi di quest’organizzazione a delinquere» e ha dato il suo nulla osta alla sospensione dell’immunità del presidente.
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Appena diffusa la notizia il presidente ha convocato d’urgenza un consiglio dei ministri dal quale tutti si aspettavano la decisione di sciogliere il governo, invece l’ha chiuso con un intervento televisivo a reti unificate in cui s’è detto innocente e ha ribadito l’intenzione di continuare a governare. Gli inquirenti hanno formalmente accusato di corruzione l’ex vicepresidente Baldetti, arrestata in settimana perché non protetta dall’immunità. I magistrati hanno sostenuto in tribunale che la Baldetti avrebbe incassato una tangente del 50 per cento su tutti i dazi doganali, per un totale di 3,8 milioni di dollari tra il maggio del 2014 e lo scorso aprile, quando è emerso lo scandalo. Una commissione delle Nazioni Unite, incaricata di combattere la corruzione in Guatemala, ha sollevato le accuse contro uno dei principali collaboratori di Baldetti, Juan Carlos Monzón, accusato di avere organizzato il sistema. La vicepresidente, che aveva rassegnato le dimissioni l’8 maggio, è stata arrestata in un ospedale privato, dove era ricoverata per problemi gastrointestinali e cardiaci. Lei è detenuta in una base militare, mentre Monzón, il suo ex segretario privato, è latitante. Fra coloro che chiedono a gran voce le dimissioni di Pérez Molina c’è anche il premio Nobel per la pace, Rigoberta Menchu, che ha invitato i cittadini «a continuare a difendere la dignità e la giustizia rimanendo uniti nella lotta contro la corruzione e l’impunità». Il favorito alle elezioni del 6 settembre è Manuel Baldizón, populista del Partito libertà democratica, che aveva perso le precedenti presidenziali contro Pérez Molina. Il Tribunale supremo elettorale (Tse) del Guatemala ha rifiutato la candidatura presidenziale dell’ex presidente Portillo, sostenuta dal partito Todos. La decisione, firmata dai cinque magistrati del Tse, si avvale dell’articolo 113 della Costituzione, che stabilisce che tutti i candidati devono possedere i meriti di idoneità e onestà. Il rifiuto era già stato espresso anche dal Registro de Ciudadanos. Portillo, che dopo aver scontato una condanna di 71 mesi negli Stati Uniti per riciclaggio di denaro, è tornato in Guatemala, secondo le leggi vigenti aveva la possibilità di presentare un ricorso, appellarsi alla Corte Suprema de Justicia e, in ultima istanza, alla Corte de Constitucionalidad. Anche Zury Rios Sosa, figlia dell’ex dittatore Rios Montt, era stata inizialmente esclusa dal Tse sulla base dell’articolo
186 della Costituzione, che proibisce la partecipazione elettorale ai familiari di ex dittatori fino al quarto grado di consanguineità (successivamente la Corte Suprema di Giustizia ha autorizzato la sua partecipazione). Recentemente la Comision Internacional contra la Impunidad en Guatemala, organo delle Nazioni Unite, ha pubblicato un report relativo al finanziamento illecito dei partiti, dichiarando che il Guatemala è un paese «propizio» alla commissione di reati elettorali, senza che ciò abbia alcuna conseguenza. Secondo la Cicig, il finanziamento dei partiti è «poco regolato e poco trasparente». Ivan Velasquez, responsabile della Commissione sostiene che «il crimine organizzato ne sia direttamente legato» e che il Paese manca di una «cultura della denuncia», situazione che determina alti livelli di impunità. La Cicig, con questo rapporto, ha espressamente esortato le autorità parlamentari e di governo e la società civile a promuovere la riforma della legge elettorale e dei partiti politici. Il ritorno, anche se frenato dai divieti, di Portillo ha sconvolto la corsa elettorale. Condannato per corruzione negli Stati Uniti, pena ormai scontata, l’ex presidente Alfonso Portillo, 63 anni, ha deciso a sorpresa a ridosso delle elezioni di irrompere sulla scena politica nazionale da protagonista e si è imposto capolista di Todos, la formazione di destra. Il ritorno in pompa magna di Portillo è avvenuta nel pieno dello scandalo «La Linea». Nel terremoto politico in corso è rispuntato anche il vecchio dittatore Rios Montt. Con la diagnosi di «demenza vascolare mista» Montt dovrebbe riuscire a sfuggire al processo per genocidio durante la guerra civile (1960-1996). Il rapporto psichiatrico presentato ai giudici descrive un «quadro demenziale non reversibile». «La demenza è dovuta ad un’aritmia cardiaca, il paziente non ha l’uso delle sue facoltà mentali, non può concentrarsi e soffre problemi cardiovascolari» sta scritto nel testo depositato in tribunale. Ríos Montt, che non ha preso parte all’udienza, è stato internato all’ospedale privato Los Pinos per ordine dei giudici stessi ed esaminato da psichiatri in prestito dall’ospedale statale Federico Mora. Il generale golpista era già stato condannato il 10 maggio 2013 a 80 anni di carcere, per i crimini per cui si vuole riportare alla sbarra. Tutto cancellato, dieci giorni dopo, dalla Corte Costituzionale per supposte irregolarità nel corso del dibattimento.
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Politica e Economia
Guardie e ladri
Notizie dal mondo
Gdf Da mezzo secolo il corpo di polizia militare dovrebbe dare la caccia a contrabbandieri
e evasori ma spesso confonde i ruoli e spesso i suoi generali gestiscono i peggiori traffici Alfio Caruso La verità più amara sulla Guardia di Finanza la scrisse in un saggio il primo presidente della Repubblica, Luigi Einaudi quando faceva il professore universitario di economia: «Il contrabbando, la grassazione e l’abuso di potere erano attività abituali dei militari, che avrebbero dovuto estirparli». Einaudi si esprimeva al passato, purtroppo le cronache del Malpaese raccontano ancor’oggi di una corruzione diffusa, di un corpo nel quale accanto a magnifici esemplari d’incorruttibili tutori della legge – come quelli che nel 2014 hanno recuperato oltre un miliardo di euro sporchi – prosperano tristi figuri disponibili a ogni mascalzonata pur di arraffare. Sullo sfondo spregiudicati accordi con la politica, maleodoranti vicende di spionaggio e d’intercettazioni a uso interno, ricatti incrociati, indagini aperte e chiuse a secondo degli interessi in ballo, improvvisi trasferimenti, carriere segate nel volgere di poche ore. L’ultimo episodio imbarazzante sono le trascrizioni dei colloqui di un anno addietro fra il numero 2 del corpo, il generale Michele Adinolfi, e il presidente del consiglio, Renzi. Più pettegolezzi che intrighi: nella sostanza il tentativo del militare, già coinvolto in storiacce, da cui è uscito immacolato, di trovare orecchie attente nella sua campagna contro il numero 1, il generale Saverio Capolupo. Nec recisa recedit (Non arretra neppure tagliata) recita il motto dei finanzieri e molti di essi l’hanno onorato e l’onorano al meglio delle proprie forze. Ma che la Gdf non fosse al di sopra di ogni sospetto l’Italia lo scoprì nel 1958: uno spregiudicato bancario romagnolo, Giovanbattista Giuffrè, con la copertura della curia vescovile locale si mise a raccogliere i risparmi delle famiglie contadine e piccole borghesi. Prometteva interessi altissimi secondo il collaudato «schema Ponzi», lo si trovava ogni domenica a messa, veniva coccolato da prelati e monsignori: come non fidarsi di chi era già stato soprannominato il «banchiere di Dio»? A trasformarlo nel «banchiere del Diavolo» bastò un aumento improvviso delle richieste di rimborso. Giuffrè non riuscì a farvi fronte, l’imbroglio venne scoperto e con esso la lunga lista dei protettori, dove accanto a diversi onorevoli governativi figuravano numerosi ufficiali della Gdf, che avevano preferito volgersi dall’altro lato.
Lo scandalo più eclatante di questo secolo ha riguardato il Mose finalizzato alla difesa di Venezia Sciocchezzuole in confronto allo scandalo petroli del 1980. Quattro anni prima il colonnello Aldo Vitali aveva compilato una nota interna di dieci cartelle e 186 allegati. La nota riprendeva, in gran parte, informazioni raccolte dal capitano Antonio Ibba dell’ufficio I, il servizio segreto interno. Immediatamente erano intervenuti il comandante generale Raffaele Giudice e il capo di stato maggiore Donato Lo Prete: al pari di Ibba anche il colonnello Vitali era stato trasferito e sottoposto a un procedimento disciplinare, ma ormai aveva preso le mosse l’indagine della procura di Treviso. Per anni l’inchiesta proseguì tra difficoltà, tentativi di insabbiamento, magistrati che non si davano da fare. Una pioggia di lettere e di documenti anonimi sommerse il Consiglio superiore della magistratura, i segretari dei partiti, i ministri.
Le origini del corpo risalgono al 1. ottobre 1774 per volere del Re di Sardegna, Vittorio Amedeo III. (Marka)
Furono intessute manovre per sviare, insabbiare, bloccare, svuotare ogni atto: i generali considerati avversari vennero ricoperti d’insulti e accusati di percepire enormi tangenti all’estero. L’obiettivo era difendere il buon nome dei generali Giudice e Lo Prete. Risultarono i due principali imputati di uno scandalo da oltre 2000 miliardi di lire sottratti allo Stato: il 20 per cento dei prodotti raffinati ogni anno in Italia, per almeno sette anni, non aveva pagato le imposte. Più che truffa era un sistema, attraverso il quale i petrolieri evadevano il fisco e finanziavano sottobanco i partiti di governo. Il tutto con il beneplacito di coloro che avrebbero dovuto vigilare e proteggere l’erario. Nel corso delle indagini fu accertato che la stupefacente ascesa di Giudice era stata pagata dalle «collette» dei petrolieri. Volevano al vertice un amico, che poi avrebbe saputo ricambiarli. Quando scandalo e polemiche ancora ribollivano, la pubblicazione delle liste degli affiliati alla loggia massonica segreta P2, primavera ’81, rivelò che vi figuravano Giudice (tessera numero 1634) e Lo Prete (1600), ma anche il nuovo comandante, il generale Orazio Giannini (2116) oltre a 37 ufficiali. Tuttavia altri finanzieri, inviati dai giudici istruttori Giuliano Turone e Gherardo Colombo, sequestrarono le carte del maestro venerabile Gelli, il gran burattinaio della P2, scoprirono gli elenchi, indagarono. E nel ’94 fu il giovane brigadiere Pietro Di Giovanni a denunciare che un suo superiore gli aveva dato una busta con 2 milioni e mezzo di lire. Rappresentava la parte personale del «premio» complessivo alla sua squadra per non vedere le irregolarità fiscali nella compravendita di un palazzo in via Senato a Milano. Incominciò così un’altra eclatante indagine sulle Fiamme Gialle, l’emblema della Gdf. Furono coinvolti la Edilnord di Paolo Berlusconi e il fondo pensioni di un gigante bancario come la Cariplo.
Le manette riguardarono oltre 100 finanzieri, vi finì impigliato l’ennesimo generale, Giuseppe Cerciello, per cinque anni comandante del nucleo regionale della Lombardia. La sola procura di Milano recuperò 8 miliardi e 600 milioni di lire. Si ruppe però la fiducia con i militari, che da due anni l’assistevano nella lotta alle tangenti e al finanziamento illecito della politica. In alcuni settori del corpo rimasero ruggine e voglia di rivalsa contro i magistrati meneghini. Fu individuata una squadretta di finanzieri («legati da solidarietà massonica», si legge negli atti), che compilavano falsi dossier allo scopo d’infangare Di Pietro, Colombo e gli altri componenti del pool di Milano. Nel ’95 la struttura fiorentina del reparto d’elite – Gico (Gruppo d’investigazione sulla criminalità organizzata) – produsse un altro dossier: stavolta erano presi di mira i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Milano. La manovra venne sventata, ma il materiale fu poi rimesso in circolazione, nell’autunno ’96, dalla procura di La Spezia. Si giunse all’arresto di un famoso banchiere, Pierfrancesco Pacini Battaglia, legato ai socialisti e del manager delle Ferrovie dello Stato, Lorenzo Necci, ma il vero obiettivo erano le presunte irregolarità e i presunti abusi commessi dal pool di Milano. Il più bersagliato fu Di Pietro, accusato di aver coperto e salvato alcuni imputati di Mani pulite. Finì con una serie di archiviazioni, ma Di Pietro aveva intanto lasciato la magistratura e i suoi colleghi erano stati costretti a sopportare quintali d’insinuazioni. Dinanzi a simili comportamenti sono stati ritenuti episodi minori il comportamento dell’ex braccio destro di Giulio Tremonti, Marco Milanese, ex ufficiale della Gdf, o del colonnello Fabio Mendella, accusato da un imprenditore napoletano di pretendere il pizzo per ammorbidire gli accertamenti. Un’inchiesta, che ha toccato pure il generale Vito Bardi, all’epoca numero
2 del corpo, proclamatosi innocente. E che dire delle mazzette da 3000 euro per partecipare al concorso da maresciallo e dei 30 mila necessari per vincerlo? Malgrado le mille turbolenze, il legame della Gdf con i vertici delle istituzioni si è rivelato nei decenni indissolubile. Rolando Mosca Moschini è asceso a capo di stato maggiore della Difesa, Nicolò Pollari a direttore del Servizio segreto militare (Sismi). Di lui si ricordano il ruolo ambiguo nel sequestro Cia dell’imam Abu Omar e nella raccolta illegale d’informazioni da parte del suo enigmatico vice, Pio Pompa. Al solito il ridicolo ha prevalso sulle deviazioni. Sulla stessa stregua le critiche rivolte alla conduzione del generale Roberto Speciale, che si faceva portare le spigole in montagna da un aereo in dotazione al corpo. D’altronde nella lista delle marachelle delle gestioni successive è rientrato anche l’uso per diletto degli alti gradi di uno yacht sequestrato ai contrabbandieri. Lo scandalo più eclatante di questo scorcio di secolo ha riguardato il Mose (Modulo Sperimentale Elettromeccanico) finalizzato alla difesa di Venezia e della sua laguna dalle acque alte. Ha sforato tutti i tempi di previsione e prodotto tangenti per un centinaio di milioni di euro. Ad avviare le indagini è stato il colonnello Renzo Nisi. Il giorno prima dell’immancabile trasferimento profetizzò: «La pietra ha cominciato a rotolare e presto diventerà una valanga». Ha avuto perfettamente ragione e chissà se aveva previsto che tra i numerosi ammanettati potesse starci pure il suo ex superiore Emilio Spaziante. Accusato di aver fornito dietro compenso ad altri indagati «informazioni riservate sulle indagini in corso e su alcune verifiche fiscali operate dalle Fiamme gialle sulle attività del Consorzio Nuova Venezia, sfruttando le sue conoscenze e il suo potere all’interno del corpo», l’ex generale ha poi patteggiato la pena a 4 anni di carcere con una confisca di 500 mila euro.
L’Arabia Saudita giustizia una persona ogni due giorni La pena di morte in Arabia Saudita uccide una persona ogni due giorni, secondo quanto denuncia un report pubblicato dall’ong Amnesty International. A partire dal 2014 è stato registrato un aumento considerevole delle condanne a morte, e nulla è cambiato con l’arrivo del re Salman, salito al potere nel gennaio del 2015, in seguito alla morte del fratello ed ex monarca Abdullah bin Abdulaziz. Nei primi sei mesi del 2015, il Paese ha giustiziato complessivamente 102 persone, tra cui anche disabili e minorenni.Lo stesso report dichiara che da gennaio 1985 a giugno 2015 almeno 2208 persone sono state vittime della pena di morte nel Paese, il che rende l’Arabia Saudita una fra le nazioni in cui si compie il maggior numero di esecuzioni capitali. L’Arabia Saudita è stata preceduta solamente da Cina e Iran in un rapporto globale sulla pena di morte di Amnesty International relativo al 2014. Il 48,8 per cento dei morti sarebbe cittadino straniero. Il dato risulta particolarmente rilevante se confrontato con la percentuale di stranieri presenti nel Paese, pari al 33 per cento della popolazione totale. La legge saudita punisce con la pena di morte anche crimini come l’adulterio, la rapina a mano armata, la stregoneria, l’apostasia e i crimini legati all’uso e al traffico di droga. Questi ultimi in particolare sono aumentati esponenzialmente: nel 2010 erano il 4 per cento del totale, mentre nel 2015 hanno toccato il 47 per cento. Salvataggio record di migranti effettuato nel Mediterraneo Tra il 21 e il 23 agosto più di 5300 migranti, principalmente provenienti dall’Africa subsahariana, sono stati soccorsi nel mar Mediterraneo al largo delle coste libiche, secondo quanto annunciato da Frontex, l’agenzia europea che coordina il pattugliamento delle frontiere esterne degli stati membri dell’Ue. Sabato 22 agosto è stata la giornata in cui si è registrato il più alto numero di migranti salvati negli ultimi anni: la Marina militare italiana ha infatti tratto in salvo 4400 migranti grazie al supporto di imbarcazioni britanniche, irlandesi e norvegesi. Le navi sono messe a disposizione da quindici Paesi europei nell’ambito dell’operazione dell’Ue Triton, che presidia i flussi di migranti alle frontiere dell’Unione europea. Triton è stata lanciata a novembre del 2014. Il flusso è incrementato considerevolmente lo scorso fine settimana grazie alle condizioni climatiche favorevoli che hanno spinto i migranti a intraprendere il viaggio della speranza nel Mediterraneo. Dei 5300 migranti totali arrivati nella terza settimana di agosto 2015, la missione Frontex ha contribuito a trarne in salvo circa 3400 a bordo delle navi che partecipano all’operazione Triton. L’agenzia europea ha dichiarato che più di 95mila persone sono state soccorse nelle acque del Mediterraneo nei primi sette mesi del 2015. Secondo quanto riportano le Nazioni Unite, circa 264mila migranti hanno intrapreso il viaggio nel Mediterraneo nei primi sei mesi del 2015. Di questi, 104mila sono giunti in Italia. Gli altri 160mila sarebbero arrivati in Grecia.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Politica e Economia
Serve un buon coordinatore Dossier CH-UE La nomina di Jacques De Watteville sembra una mossa utile per favorire
un’evoluzione positiva nei complicati rapporti tra Svizzera e Comunità europea Marzio Rigonalli La scelta di Jacques de Watteville, come negoziatore capo della difficile trattativa con l’Unione europea, è stata per lo più ben accolta sia negli ambienti politici che in quelli economici elvetici. Alcuni vi hanno visto la possibile nascita di un’azione diplomatica più coordinata e più incisiva. Altri non hanno nascosto la speranza che l’ambasciatore sessantaquattrenne riesca a trovare la tanto attesa soluzione allo stallo politico e diplomatico che si è creato dopo l’accettazione, da parte del popolo e dei cantoni, dell’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa, il 9 febbraio 2014. Una soluzione che riesca ad accontentare tutte le parti coinvolte sia a livello europeo, sia sul piano interno svizzero, dove è in corso lo scontro tra chi mette in primo piano il controllo dell’immigrazione e chi dà la precedenza ai buoni rapporti con l’UE ed alla salvaguardia degli accordi bilaterali.
Quattro i temi aperti: libera circolazione, diritto comunitario, accordo sull’energia, mobilità degli studenti Ricordiamo che dopo il 9 febbraio dell’anno scorso sono stati bloccati i più importanti dossier in sospeso tra Berna e Bruxelles. Spinto dalla decisione popolare, il Consiglio federale non ha esteso la libera circolazione delle persone alla Croazia e l’Ue ha subito replicato, congelando le discussioni bilaterali in corso ed anche alcuni accordi quasi perfezionati. Oggi, i grandi dossier bloccati sono almeno quattro. Il primo riguarda la libera circolazione delle persone. È uno dei pilastri del progetto d’integrazione europea. L’Ue non accetta di discuterlo. Berna spera di poter negoziare non il principio, ma le sue modalità di applicazione, per esempio concordando eccezioni o limiti fissati da una clausola di salvaguardia. Il secondo dossier include la questione istituzionale. L’Unione vuole essere in chiaro sia sulla ripresa del diritto comunitario da parte della Svizzera sia sulle istanze chiamate a risolvere eventuali conflitti d’interpretazione e d’applicazione. Il Consiglio federale frena, perché rischia di dover rinunciare ad una parte della sovranità nazionale e, così, di esporsi alla critica
di aver accettato giudici stranieri. Il terzo dossier tocca la partecipazione della Svizzera al mercato europeo dell’elettricità. Ci vuole un’intesa sul transito dell’energia e sulle regole commerciali di questo mercato. L’accordo bilaterale è praticamente pronto, ma è stato riposto in un cassetto. L’ultimo dossier, infine, concerne la ricerca e la mobilità degli studenti universitari. La Svizzera non fa più parte né di Horizon 2020, il Programma europeo per la ricerca e l’innovazione, né di Erasmus, il programma di mobilità studentesca della Comunità europea. Per la ricerca si è trovata una soluzione provvisoria fino alla fine del 2016, ma non si sa che cosa succederà nel 2017. Per la mobilità studentesca, ogni ateneo svizzero agisce autonomamente. I tavoli negoziali sono legati l’un l’altro. Il più importante è sicuramente la libera circolazione. Senza una soluzione al problema creato con la votazione popolare dell’anno scorso, non si apriranno le porte ad un’intesa sulla questione istituzionale e senza un accordo sulla ripresa del diritto europeo e sul tribunale che dovrà risolvere i conflitti che riguardano l’applicazione dei trattati bilaterali, i progressi attesi nei vari settori, come per esempio in quello dell’elettricità, rimarranno lettera morta. La Svizzera è in una situazione che esclude la possibilità di concludere nuovi singoli accordi bilaterali e che richiede una soluzione globale alle principali questioni in sospeso. In questo contesto, il compito del nuovo negoziatore capo si annuncia particolarmente difficile. Jacques de Watteville può vantare una lunga esperienza diplomatica, conosce bene i meccanismi interni dell’Unione europea, perché è stato per quattro anni alla guida della missione svizzera a Bruxelles, e vien lodato da più parti per la sue ottime qualità di negoziatore. Due almeno, però, sono gli handicap maggiori con i quali dovrà confrontarsi. Il primo riguarda i poteri che gli sono stati conferiti. Più che un negoziatore capo, de Watteville sembra essere un coordinatore, chiamato ad interagire tra i vari dossier, a dare impulsi al negoziato ed a mediare tra i vari dipartimenti coinvolti. Ogni consigliere federale resta responsabile dei suoi dossier e continuerà a voler ottenere progressi nella trattativa con l’Ue. Simonetta Sommaruga sull’immigrazione, Didier Burkhalter con le questioni istituzionali, Doris Leuthard sull’energia elettrica.
È stato capo della missione elvetica a Bruxelles dal 2007 al 2012. (Keystone)
I consiglieri federali che hanno dossier aperti con Bruxelles sono sei. Un negoziatore capo dovrebbe ritrovarsi con maggiori poteri e dovrebbe avere alle spalle una strategia ben chiara, definita dal governo e condivisa dalle maggiori forze politiche. Una strategia che finora sembra mancare e che non può ridursi soltanto a due concetti, anche se fondamentali, come l’esigenza di controllare l’immigrazione e la volontà di salvare gli accordi bilaterali. Il secondo handicap è il clima che regna sia all’interno dell’Unione europea che in Svizzera. I 28 paesi membri dell’Unione e le istituzioni comunitarie coinvolte non sembrano essere molto disponibili al compromesso. La loro posizione è abbastanza monolitica e lascia poco spazio a Berna per cercare potenziali alleati. Anche i paesi confinanti con la Svizzera, ossia gli stati che hanno importanti interessi con la Svizzera, in particolare attraverso i frontalieri e gli scambi commerciali e di frontie-
ra, non lesinano sulle dichiarazioni di amicizia, ma tacciono sulla possibilità concreta di trovare un compromesso. L’ha dimostrato il ministro degli esteri tedesco Walter Steinmeier, nella sua recente visita a Berna e, con ogni probabilità, lo dimostreranno anche la cancelliera tedesca Angela Merkel quando verrà nella capitale elvetica all’inizio di settembre, ed il primo ministro francese Manuel Valls, quando effettuerà lo stesso viaggio in ottobre. Anche sul piano interno il clima non è favorevole. Siamo a metà strada tra il 2014 ed il 2017, anno in cui bisognerà applicare la nuova norma costituzionale sull’immigrazione. Durante gli ultimi 18 mesi si è realizzato ben poco. Per di più siamo in piena campagna elettorale. Il Consiglio federale non dà segni di chiarezza ed i partiti politici sono concentrati sull’appuntamento elettorale e difendono posizioni diverse. L’UDC è pronta a sacrificare gli accordi bilaterali; gli altri partiti di governo, invece, li difen-
dono e vogliono salvarli, ma non sono d’accordo sulla strada che converrebbe intraprendere. La questione europea costituirà il primo grande dossier della prossima legislatura. Jacques de Watteville non riuscirà a smuovere le acque a Bruxelles, per lo meno in un primo tempo, ma potrebbe lo stesso rivelarsi di grande aiuto per il Consiglio federale. In particolare, quando bisognerà definire la domanda che, con ogni probabilità, verrà sottoposta in votazione popolare nel 2016 e nella quale dovranno confrontarsi l’immigrazione e gli accordi bilaterali. Un passo che sembra ormai inevitabile, nonostante il successo annunciato, per quanto riguarda la raccolta delle firme, dell’iniziativa popolare «Rasa», che vuol cancellare l’articolo costituzionale approvato il 9 febbraio 2014. Una nuova decisione popolare è la via d’uscita che può sbloccare la situazione e convincere l’Ue a dialogare ed a cercare un compromesso. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Fine del segreto bancario anche per i clienti svizzeri? Fiscalità Toccherà al popolo decidere sull’iniziativa «Sì alla protezione della sfera privata»
che sembra raccogliere un buon numero di consensi, contro il parere delle autorità Ignazio Bonoli L’iniziativa «Per la protezione della sfera privata», che in pratica chiede l’introduzione nella Costituzione federale del segreto bancario, andrà in votazione popolare a fine 2016 o inizio 2017. Se accettata, la Svizzera verrà a trovarsi nella particolare situazione in cui sarà costretta a comunicare dati bancari al fisco degli altri Stati, ma non potrà farlo al fisco nazionale o cantonale. Gli iniziativisti vogliono così porre un freno alle tendenze in atto sul piano internazionale che vogliono conferire allo Stato un totale controllo sui cittadini. A questo tentativo si oppongono le sinistre, ma anche parti importanti del PPD e del PLR, nonché il DFF, della ministra Widmer-Schlumpf, che vuole portare a termine la ristrutturazione della piazza finanziaria svizzera con la totale abolizione del segreto bancario come finora applicato. Il segreto bancario è una delle caratteristiche della piazza finanziaria svizzera e dura da ormai oltre 80 anni. La situazione in cui Berna si viene a trovare, dopo la firma degli accordi sulla trasmissione di dati bancari con molti paesi è perlomeno paradossale. Non a caso i responsabili delle finanze cantonali chiedono perlomeno una parità di trattamento con le autorità fiscali di questi paesi. Ma le resistenze sono ancora for-
ti. L’ex-consigliere federale Kaspar Villiger ebbe a dire a proposito del segreto bancario che ormai «fa parte del nostro patrimonio genetico» e il promotore dell’iniziativa citata Thomas Matter che è uno «dei pilastri della libertà». Oggi però, alla luce dell’evoluzione internazionale, non si può sperare di mantenere a lungo il segreto bancario a livello nazionale. Eminenti giuristi aggiungono che il passaggio, anche in Svizzera, al sistema di scambio internazionale di dati bancari è cosa molto semplice. Ma la popolazione è disposta a rinunciare a questa importante prerogativa nella protezione della sfera privata? La risposta a questa domanda verrà data dalla votazione popolare tra qualche mese. Per il momento, si constata una maggioranza di politici contrari all’iniziativa, poiché la ritengono fuori tempo e dannosa per l’immagine della Svizzera. Ma questo non basta per considerare morto il segreto bancario. Un’inchiesta condotta dalla «Handelszeitung» fra i suoi lettori ha rivelato che i due terzi dei lettori contattati «online» vorrebbero mantenere il segreto bancario nella sua forma attuale. Solo un quinto dei lettori vorrebbe che si applicassero gli accordi per lo scambio di informazioni fiscali anche in Svizzera, sul piano interno. I risultati dell’indagine riflettono molto da
vicino quelli di un’inchiesta condotta dall’Associazione svizzera dei banchieri lo scorso febbraio, nella quale solo un terzo degli interpellati si è dichiarato favorevole allo scambio di informazioni anche sul piano interno. Dal canto loro, invece, i banchieri considerano il segreto bancario già morto e sepolto. Del resto il 54 per cento delle banche svizzere dà per scontata la soppressione del segreto bancario sul piano interno a media scadenza. La stessa Associazione dei banchieri svizzeri consiglia di opporsi all’iniziativa. Essa considera infatti che il segreto bancario potrebbe essere un incentivo alla frode fiscale e d’altro canto potrebbe provocare grossi rischi di responsabilità per le banche stesse. Qualche giurista pensa perfino che un’accettazione dell’iniziativa potrebbe costringere le banche ad accelerare i tempi e i modi della cosiddetta «strategia del denaro pulito». Si tratta invece di un notevole cambiamento di mentalità. Solo pochi anni fa banchieri e magistrati difendevano a spada tratta il segreto bancario, definendolo «indiscutibile», non negoziabile e «ben protetto». Nel frattempo però le multe salate comminate alle banche hanno fiaccato la volontà di resistere. I giuristi pongono oggi le banche di fronte al dilemma di diventare poliziotti fiscali o accettare un al-
La responsabile delle Finanze federali Eveline Widmer-Schlumpf. (Wikimedia)
lentamento del segreto. Molte banche scelgono il male minore della seconda variante. Del resto il passaggio al nuovo sistema non sarà difficile, poiché i sistemi informatici delle banche sono già pronti. Una grossa incognita è però costituita dalla valutazione di quanto il nuovo sistema frutterà al fisco. Molti esperti dicono di non sperare in grosse somme, poiché la morale fiscale in Svizzera è buona e molti ricchi regolano le loro posizioni con metodi legali. Comunque la piccola amnistia praticata negli ultimi anni ha fatto venire alla luce 13,5 miliardi di franchi, che
però sono meno dell’1 per cento della sostanza imponibile. Altri conoscitori del ramo stimano però cifre vicine ai 50 miliardi e c’è chi arriva perfino ai 200 depositati presso le banche. In ogni caso un simile cambiamento di sistema giustificherebbe un’amnistia fiscale generale. La stessa ministra delle finanze lo ha ricordato. Quindi c’è anche chi si chiede se il santo valga la candela, dal momento che la Svizzera dovrà rinunciare all’imposta preventiva (5,6 miliardi di entrate) e la scomparsa del segreto bancario interno potrebbe avere effetti dannosi sull’intera piazza finanziaria.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi L’enigma dell’evoluzione della durata del lavoro In una conferenza tenuta agli studenti dell’università di Cambridge, alla fine degli anni venti, John Maynard Keynes si era lanciato in speculazioni sull’evoluzione secolare del benessere materiale e della durata del lavoro in Gran Bretagna. Proprio alla vigilia di quella che doveva essere la maggior crisi economica conosciuta dal sistema capitalista, Keynes prevedeva che in un secolo, ossia entro il 2030, il prodotto lordo pro-capite si sarebbe quintuplicato, mentre la durata settimanale del lavoro si sarebbe ridotta da 48 a 15 ore. Nel 2030, quindi, stando a Keynes, i Indice di evoluzione del prodotto interno lordo reale pro-capite (1930=100)
britannici non avrebbero dovuto lavorare più di 3 ore al giorno per conseguire il reddito che avrebbe soddisfatto le loro necessità. Robert e Edward Skidelsky, due studiosi di scienze sociali inglesi, hanno ripescato il testo di questa conferenza per verificare che cosa sia successo effettivamente, in questi ultimi ottant’anni, in materia di evoluzione del benessere e del tempo libero. Nel loro volume Quanto è abbastanza, uscito da Mondadori nel 2013, i due autori fanno delle previsioni di Keynes il punto di partenza di una lunga e argomentata analisi di che cosa Indice di evoluzione della durata settimanale del lavoro (1930=100)
700 600 Pil reale procapite in Ticino
500 400 300
Previsione di evoluzione di Keynes
200 100 0 1930 1950 1970 1990 2010
120 100 80 60 40 20 0
Durata se manale del lavoro in Ticino in ore Previsione di evoluzione di Keynes 1930 1950 1970 1990 2010
sia la qualità della vita e di quali possono essere i limiti della crescita economica. Si tratta sicuramente di uno dei libri più stimolanti contro la perennità della crescita economica uscito in questi ultimi anni. Non mancheranno le occasioni per ritornare sulle tesi di questi due autori. Possiamo comunque affermare che quello che hanno verificato nel caso della Gran Bretagna vale anche per il Ticino. Nei due grafici riprodotti in questo articolo vengono confrontate, da un lato, l’evoluzione del prodotto lordo pro-capite prevista da Keynes con quella del prodotto interno lordo pro-capite del Ticino, dal 1930 al 2010 e, dall’altro, l’evoluzione della durata settimanale del lavoro, prevista da Keynes, e quella manifestatasi nell’economia ticinese sempre nel medesimo periodo. Possiamo rilevare che nel caso di entrambe le variabili considerate, l’evoluzione reale è stata meno brillante di quanto aveva previsto Keynes. Mentre però nel caso dell’indicatore del benessere materiale (Pil reale pro-capite)
l’andamento reale ha seguito da vicino quello della previsione, con uno scollamento solamente a partire dalla fine del secolo ventesimo, nel caso della durata settimanale del lavoro la riduzione realizzatasi nella realtà economica ticinese è stata molto più contenuta di quella anticipata da Keynes. Nella sua previsione infatti, la durata settimanale del lavoro avrebbe dovuto aggirarsi oggi sulle venti ore lavorative. Di fatto, invece, la stessa non si è ridotta, dal 1930 ad oggi, che di circa 6 ore e mezza. La prima consistente riduzione si è manifestata all’inizio degli anni sessanta con la creazione del sabato libero (4 ore in meno di lavoro). In seguito, dal 1970 al 1990, si è verificata un’ulteriore riduzione di 2 ore, mentre, nel corso degli ultimi venti anni, la durata settimanale del lavoro è restata costante attorno alle 41 ore e mezza. Pur tenendo conto che, dal 1930 ad oggi, il numero delle settimane di vacanza concesse ai lavoratori che operano nell’economia ticinese si è probabilmente triplicato, l’aumento del
tempo libero, realizzatosi nel corso di questo lungo periodo, non ha seguito, in nessun modo le anticipazioni fatte da Keynes. Ci sono almeno due argomenti che devono essere ricordati per spiegare l’enigma della mancata riduzione della durata del lavoro in un’economia nella quale la produttività del lavoro ha continuato a crescere. Il primo è quello conosciuto dai più, stando al quale i lavoratori, appoggiati dai loro sindacati, hanno preferito approfittare dei frutti della crescita chiedendo salari sempre più alti, invece di insistere su una diminuzione del tempo di lavoro. L’altro, invece, esaminato a lungo nel lavoro dei due Skidelsky, sta nel fatto che molti gruppi di lavoratori hanno paura di una riduzione del tempo di lavoro o, se volete, di un aumento del tempo libero, perché, di fatto, non saprebbero come occupare le loro giornate o perché temono di non guadagnare abbastanza, soprattutto rispetto ai ceti sociali con i quali si confrontano. Di qui l’interrogativo: «Quanto è abbastanza?»
Miranda l’anima hip hop di Hamilton è palpabile, al punto che ha deciso di scrivere lui ora una biografia del padre fondatore, che raccoglie anche le musiche e gli aneddoti della creazione dello show, e che sarà pubblicato nel 2016. Ma quest’anno Hamilton è tornato nelle cronache per un altro motivo: l’Amministrazione Obama ha proposto di togliere la sua immagine dalla banconota di 10 dollari, sostituendolo con «una donna». Naturalmente «la donna» non è ancora stata scelta, si tratta di una di quelle manovre molto popolari e molto politicamente corrette che sviliscono le figure femminili, perché una signora non finisce su una banconota per suoi meriti, ma per il semplice fatto di essere una donna. I sostenitori delle quote rosa, ovunque esse si applichino, non colgono mai questa contraddizione, e così anche l’attuale ministro del Tesoro ameri-
cano, Jack Lew, che lavora sotto un grande ritratto di Hamilton (non l’ha scelto lui, è che il quadro è in quell’ufficio da sempre), si è trovato a dover giustificare la decisione, quando anche l’ex governatore della Federal Reserve, il silenzioso Ben Bernanke, si è spinto a dire che levare Hamilton dai 10 dollari significa un po’ tradire una visione dell’America che ora, in tempi in cui l’identità è diventata sempre più negoziabile, dovrebbe essere ribadita. Quando Bernanke ha detto che tutti – leggi: soprattutto Lew – dovrebbero leggere almeno una biografia di Hamilton nella vita per comprenderne la grandezza, Lew ha spiegato che di biografie del padre fondatore lui ne ha lette tante, che Hamilton è il suo eroe, che non si può nemmeno immaginare di diventare segretario al Tesoro senza nutrire ammirazione per Hamilton, ma i tempi sono cambiati, e nel frattempo l’America ha prodot-
to altri grandi eroi che meritano di essere celebrati (soprattutto se sono donne). Il risultato è che, pure durante la pausa estiva del Congresso, 64 deputati hanno deciso di manifestare in sostegno di Hamilton sulla banconota da 10 dollari, soprattutto fintanto che Andrew Jackson sta su quella da 20. Sempre proni al compromesso, gli obamiani stanno ora pensando di mettere una donna assieme a Hamilton per sintetizzare l’evoluzione della storia americana. Ma non sarà facile, perché il padre fondatore che più si è battuto contro la schiavitù e che ha inventato quel sistema di tariffe e di regole che hanno fatto prosperare gli Stati Uniti nel mondo (prima nei mari e nel mondo commerciale, poi ovunque) è quanto mai popolare, non soltanto per l’hip hop, ma perché da un’isola delle Virgin Islands a Washington Hamilton ha creato il sogno americano.
rea agli Stati Uniti, storico alleato del governo thailandese sin dalla guerra in Vietnam, il governo di Pechino offre i suoi sottomarini a prezzi stracciati. Ho citato il Vietnam non a caso, perché anche qui c’è una lotta di influenze. I governanti di Hanoi hanno chiesto nuovi sottomarini alla Russia proprio per «difendersi» dal riarmo navale che la Cina sta attuando e pubblicizzando con chiare dimostrazioni: pochi mesi fa un sottomarino d’attacco cinese si è immerso in acque vietnamite, è passato sotto lo stretto di Malacca ed è riemerso al largo dello Sri Lanka e poi nel golfo Persico. Una spettacolare esibizione collegata dagli esperti con la progettata vendita di otto sommergibili cinesi al Pakistan che, come noto, è potenza nucleare. Insomma, come avverte il rapporto «A Cooperative Strategy for 21st Century Seapower» elaborato dalla U. S. Navy, nella macroregione «Indo-Asia-Pacifico» lo scenario è reso sempre più insicuro e delicato dalla compravendita di sommergibili dotati
di tecnologie e armamenti sofisticati. L’unico ostacolo che ancora frena allarmi e tensioni è che quasi tutte le nazioni interessate sono praticamente prive di strutture, e soprattutto di tecnici e marinai, in grado di gestire una flotta di sottomarini. Intanto però anche gli Stati Uniti hanno ripreso il potenziamento dell’arsenale costituito dai sommergibili (quelli operativi dovrebbero essere una settantina). Il 1. agosto è stato varato il John Warner Fast Attack, sottomarino nucleare della classe Virginia, dotato oltre che di un notevole arsenale missilistico, anche di un nuovissimo sistema di rilevamento che sostituisce gli obsoleti sonar, e di droni sottomarini utilissimi in operazioni di sminamento, controlli nei porti ecc. Il varo viene interpretato come una risposta a quanto accade nell’area del Pacifico e dell’Oceano Indiano dove Cina e Russia sono antagoniste, ma non troppo: in barba alle dispute sulle forniture di materiale bellico e sottomarini le due potenze
continuano a compiere manovre navali congiunte. Le ultime, iniziate il 20 agosto e terminate proprio nei giorni scorsi, si sono svolte nel golfo su cui si affaccia Vladivostock e nelle acque del Mare del Giappone, e hanno rinnovato le tensioni con Tokio che negli ultimi mesi aveva già dovuto «digerire» nuove prove di forza militari: alle provocazioni della Corea del nord, si è aggiunta la Cina che continua a costruire porti e aeroporti su isole artificiali, nonché piattaforme per la ricerca di gas e petrolio al confine di zone marittime rivendicate dai giapponesi. Come risposta a queste provocazioni il governo nipponico ha deciso di non stare più a guardare ed è entrato in lizza nelle forniture di sommergibili, sfidando indirettamente anche gli Stati Uniti: i suoi sottomarini classe Soryu, considerati i più avanzati non nucleari, potrebbero presto armare anche la flotta di Taiwan, India e Australia. Il puzzle, come si vede, è ormai completo. L’irrequietezza può proseguire.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Dalla banconota a Broadway Quando il compositore Lin-Manuel Miranda iniziò a leggere Alexander Hamilton, quasi ottocento pagine di biografia del padre fondatore degli Stati Uniti scritte da Ron Chernow, subito si chiese se qualcuno avesse già pensato di farne un musical. Quando scoprì che nessuno l’aveva fatto, se ne occupò lui e così è nato Hamilton, il musical hip hop che ha sbancato Broadway (tra gli spettatori c’è stato anche il presidente, Barack Obama, con la sua famiglia, e pure Madonna ha elogiato lo show). Hamilton forse non avrebbe amato questa trasposizione, ha scritto l’«Economist», ma la sua vita, terminata sulla riva dell’Hudson, in New Jersey, nel 1804, in un duello con Aaron Burr, allora vicepresidente d’America, sembra fatta apposta per trasformarsi in un’opera teatrale, che racconta non soltanto la storia di Hamilton, ma anche quella dell’America.
Nato a metà del Settecento in un’isola dei Caraibi (e Miranda è un portoricano, deve aver sentito qualche affinità quando ha scritto la canzone che apre il musical: «Come ha fatto un bastardo, orfano, figlio di una puttana e di uno scozzese, lasciato nel mezzo di un angolo dimenticato dei Caraibi da una provvidenza impoverita dallo squallore, a diventare un eroe e un maestro?»), Hamilton è stato il coautore dei Federalist Papers, il primo segretario al Tesoro degli Stati Uniti d’America, il creatore di una banca centrale e del sistema finanziario statunitense, e uno dei principali ispiratori della Costituzione americana. Credeva nella forza di un governo centrale in grado di relazionarsi con gli altri paesi, soprattutto con i britannici, e di tenere sotto controllo gli stati federali, e per tutta la vita si scontrò con un altro padre della nazione statunitense, Thomas Jefferson. Per
Zig-Zag di Ovidio Biffi Andar per mare. Anzi: sotto i mari Joseph Conrad, uno che di mare se ne intendeva, ha scritto: «Il mare non è mai stato amico dell’uomo. Tutt’al più è stato complice della sua irrequietezza». E di irrequietezza, in questi momenti, ce n’è tanta in giro nel mondo, dall’estremo est con le due Coree e il Giappone, sorvolando le martoriate terre d’Africa e Medio Oriente, fino all’ovest che ci comprende. Non sto pensando alle guerre più o meno dichiarate, più o meno globali, che continuano a produrre barbarie, disumanità, genocidi ed esodi biblici. Per quelle ci dovrebbe essere paura, ma c’è chi si prodiga nel dipingere queste realtà come se fossero non nostre, lontane, virtuali addirittura. Tanto per non andare troppo lontano: due giorni dopo l’attentato sventato su un TGV francese, sul portale Rsi news il terrorista islamico bloccato dai tre amici «yankees» era già retrocesso (visto il fallimento) a «presunto attentatore». Per l’irrequietezza invece non c’è (ancora) un «politicamente corretto»
che la diluisce o la dissolve. I dizionari ci parlano di «accresciuto senso di ansietà», proprio quello che avvertiamo scoprendo che, un po’ ovunque nel mondo, ma in prevalenza nel mari del sud-est asiatico, è in atto una spettacolare corsa al potenziamento delle flotte sottomarine. Non meraviglia trovare implicate Russia e Cina. La sorpresa invece è totale prendendo nota che anche le due Coree, il Vietnam, le Filippine, l’India, e addirittura Bangladesh e Myamar sono pronte a svenarsi pur di avere sottomarini nelle loro flotte. Il colmo di questa irrequietezza dei mari lo si è già raggiunto in Thailandia. Innanzitutto perché, prima ancora di avere dei sottomarini nella sua flotta militare, il governo di Bangkok ha fatto costruire una gigantesca e ultramoderna base per sommergibili; poi perché di recente il ministro della Difesa thailandese, Prawit Wongsuwan, ha chiesto al Parlamento l’acquisto di tre unità cinesi della classe Yuan. Ciò significa che, pur di riuscire a subentrare nell’a-
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Cultura e Spettacoli Novità e restauri a Venezia È l’ora del conto alla rovescia per la Mostra del cinema: accanto alle novità anche omaggi a Welles e Monicelli pagina 34
Benvenuti nella costernazione Banksy ha allestito insieme ad amici artisti un parco del (non) divertimento che ci obbliga a guardarci allo specchio con irriverenza e ironia
La storia e la scrittura L’autore svizzero Alain Claude Sulzer sarà ospite di Piazzaparola a Lugano
Addio al guardiano Per Khaled al Asaad Palmira era una seconda casa; purtroppo l’IS è riuscito a eliminare anche lui
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Il potere del male Narrativa Don Winslow dà un seguito
a Il potere del cane con The Cartel, libro sconvolgente sui cartelli dei narcotrafficanti
Simona Sala Deboli di stomaco astenersi. Si astenga anche chi al crimine duro, ispirato a una realtà come quella dei narcotrafficanti messicani preferisce qualcosa come una partita di calcio o MasterChef. Anche perché in The Cartel, ultimo romanzo di Don Winslow (in uscita per Einaudi in dicembre) il lungo braccio dei narcos che avevamo lasciato in Il potere del cane attraversa l’Oceano Atlantico, e nel tentativo di accaparrarsi anche il mercato europeo – si dice che in Spagna vi siano i maggiori consumatori di cocaina del vecchio continente – si fa amico degli omologhi della ’ndrangheta. Luoghi d’incontro per le trattative, delicate e top secret: lo stadio di San Siro durante una partita da 30’000 spettatori (la bolgia fa da paradossale silenziatore naturale) seguito dalla calma patinata e raffinata di un privé da Cracco (due stelle Michelin, sottolinea con ironia malcelata Winslow). Ma questa non è che la punta dell’iceberg. Dieci anni dopo Il potere del cane, libro la cui stesura – come ha ammesso – ha destabilizzato l’autore, che aveva giurato di non volersi più occupare di un argomento così crudo, la violenza dei cartelli ritorna in tutto il suo splendore. Anzi, con un’aggravante non trascurabile, e che rappresenta in qualche modo la ragione di esistere di un tomo di oltre 600 pagine: nel frattempo le faide che ruotano intorno ai cartelli si sono estese ai civili innocenti, e in particolare hanno chiesto un «piso» (pedaggio) letale a coloro che la droga la volevano raccontare, ossia i 131 giornalisti trucidati dal 2004 e ricordati per nome all’inizio del libro. Ma andiamo per ordine: si riparte là dove Winslow ci aveva lasciati. Il patrón Adàn Barrera, ossia «El Señor de los Cielos» è in un carcere di massima sicurezza negli Stati Uniti, il suo arresto è il frutto di un’estenuante caccia all’uomo portata a termine a costo di perdere famiglia e amici da Art Keller, investigatore anticonvenzionale, davanti ai cui metodi spesso poco ortodossi le autorità americane hanno l’abitudine di chiudere un occhio. Art
Keller è molto più del solito detective che alla fine la fa franca, poiché anche se alla fine effettivamente la fa franca – lasciandosi alle spalle una scia di morti – è anche uno che parla lo spagnolo e l’americano, poiché «meticcio», conosce perfettamente la cultura messicana (in un passaggio afferma di amare la letteratura di Roberto Bolaño e Luis Urrea), e sa entrare nella testa dei narcos, anticipandone mosse e addirittura pensieri. Una sorta di alter ego del male. E dunque di Barrera che, lo ricordiamo, nel Potere del cane tortura e uccide il suo più caro amico. Gli americani nella loro ingenuità, che Keller tenta di arginare, accettano di trasferire Barrera a Puente Grande, carcere di massima sicurezza messicano, dove quest’ultimo in un batter d’occhio ripristinerà il vecchio modus operandi (ricordando al lettore un certo Escobar, e in tempi recentissimi «el chapo» Joáquin Guzmán) con tanto di suite, cuoco personale, abiti su misura, internet, e la splendida ex-miss-qualcosa Magda, in carcere per traffico internazionale di stupefacenti. Facile prevedere come al ripristino dei grossi traffici seguirà anche un’evasione con i fiocchi, coreografata nei minimi dettagli, con conseguente ritorno dell’undercover Keller sulla scena messicana. Fin qui tutto bene, si fa per dire. Se non che i cartelli insediatisi durante l’assenza di Barrera non sono del tutto d’accordo con l’effettivo ritorno sulla scena del patrón. I boss cominciano a passare alle vie di fatto, circondandosi di veri e propri eserciti (il più temuto è quello dei Los Zetas), spietati e determinati a difendere territori ancora grondanti di sangue, per la difficoltà con cui sono stati conquistati. La situazione sfugge presto di mano a tutti, poiché torture e uccisioni non si limitano più alle bande rivali, ma cominciano a coinvolgere sempre più spesso cittadini esasperati ed esausti dal fatto di non potere trascorrere più un giorno senza vedersi confrontati con l’impietoso e drammatico bollettino dei morti ammazzati. I cronisti, e il co-protagonista Pablo è uno di loro, passano il tempo a correre da un luogo del delitto all’altro,
La polizia schierata pochi giorni dopo l’evasione di «el Chapo» Guzmán. (Keystone)
in una Juárez ormai diventata città fantasma, dove gli attivisti panettieri sono nel mirino dei narcos tanto quanto i rappresentanti delle forze dell’ordine non corrotti. Uno scenario quasi post atomico, che portetà Juárez a detenere a lungo il triste record di città più violenta al mondo, con i suoi 8,5 morti ammazzati al giorno. Per pochi spiccioli e molto idealismo, i cronisti non cedono, desiderosi per dovere di coscienza, di raccontare il senso di impotenza di fronte a un nemico che si muove invisibile, per poi presentarsi quando meno ce lo si aspetta con un’arma automatica nella migliore delle ipotesi, e con un’intenzione di sequestro, tortura e sezionamento del cadavere nella peggiore. E se dalla parte dei cittadini la quotidianità si trasforma in giornate sezionate in ore e minuti in cui a dominare è la
speranza che la mattanza si arresti e si possa sopravvivere senza essere colpiti, dalla parte dei narcos essa è contraddistinta da violenza spesso obnubilata da stupefacenti o dal macabro culto nero della Santa Muerte e da festini al limite dell’oltraggio, allietati da ex-miss convertite alla prostituzione e da armi automatiche tempestate di diamanti e ori. Alla fine tutti cederanno, o per violenza inflitta (gli uccisi) o per realismo (Keller): per mantenere la pace, che in questo caso corrisponde all’impunità dei civili innocenti, occorre scendere a patti con l’opzione meno grave in campo, alias quella più potente, alias quella più pericolosa, alias Barrera. Un deal inaccettabile in tempi cosiddetti normali, indispensabile nella situazione surreale e quasi apocalittica in cui il Messico, anche per la crescente richie-
sta di stupefacenti da parte degli USA, uno dei maggiori mercati del mondo, è venuto a trovarsi. Nonostante la ricchezza del plot, Winslow non ha dovuto compiere alcuno sforzo d’immaginazione, poiché la realtà di quanto accaduto in Messico era ben nota. Quello che a Winslow è riuscito in modo magistrale – e come poteva essere altrimenti? – è stato tracciare la psiche di personaggi complessi, non perdere il filo di una trama estremamente intricata ma mai sfilacciata, tenere il lettore attaccato alla pagina, procurargli batticuori e stati d’ansia, e anche qualche vago dubbio sulle convinzioni che si credevano inossidabili a pagina uno del libro. Non a caso Ellroy, sì, proprio lui, l’ha definito il Guerra e pace della nostra era, senza esagerare nemmeno un po’.
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In nome di Orson Mostra del cinema Mancano pochi giorni all’inizio del festival cinematografico della Laguna:
oltre a nomi di richiamo internazionale, si celebrano anche Mario Monicelli e Orson Welles Piero Zanotto Ci sarà un’anteprima di squisita sostanza cinefila per la 72esima Mostra internazionale d’arte cinematografica (questa la denominazione ufficiale della più anziana assise filmica mondiale, rimasta a lungo unica dal 1932, quando nacque in seno alla Biennale di Venezia, al 1946, allorchè si svegliò la agguerrita e determinata concorrenza francese col festival di Cannes). In verità un’esistenza segnata durante il fascismo da pesanti condizionamenti politici che si prolungarono nel dopoguerra «democratico» con le contestazioni Sessantottine. Il come sempre foltissimo calendario di proiezioni (corsa di 21 film per la conquista del Leone d’oro e più sezioni parallele con particolare distinguo per la Settimana della Critica alla sua trentesima edizione, e le molte, troppe?, opere fuori concorso) messo in piedi dal direttore Alberto Barbera – «Vi stupiremo!» ha detto alla conferenza stampa – si snoderà dal 2 al 12 settembre. Ma lo schermo della immensa Sala Darsena attigua al Palazzo del Cinema si illuminerà la sera prima con un eccezionale e fortemente simbolico omaggio a Orson Welles nel centenario della nascita. Saranno presentate in assoluta anteprima due sue opere «veneziane» di ispirazione shakespeariana, ricostruite col recupero insperato di parti d’esse che si credevano perdute e soggette a restauro seguendo i criteri del geniale Maestro affidate alle sceneggiature originali
uscite dalla collezione di documenti della sua compagna Oja Kolar. Insieme alla versione lunga definitiva e inedita di Otello (quella ancora non ultimata mancò per un soffio alla Mostra di Venezia del 1951), si vedrà anche The Merchant of Venice, datato 1969, considerato totalmente svanito, rimasto incompiuto per la sospensione dei finanziamenti della BBC, e montato nelle sue parti miracolosamente salvate. Con le colonne sonore inedite di Angelo Francesco Lavagnino. Chicca d’arte legata al doppio evento filmico sarà la singolare esposizione denominata Shakespeare & sigari, cioè 12 dipinti su tavolette di legno (il retro delle scatole dei sigari preferiti da Orson Welles) eseguiti da Welles, aspirante pittore non troppo segreto, raffiguranti tra gli altri in coerente serie Otello e Shylock. Liason ideale e di sostanza con l’altro omaggio della Mostra a Mario Monicelli, anche questo a cento anni dalla nascita. Chiara Rapaccini in arte RAP, compagna di una vita del regista, ha realizzato una installazione denominata Fantasmi, composta di 20 leggeri oscillanti teli di lino tra le colonne all’interno del Casinò, sui quali ha fatto riprodurre foto inedite del suo archivio privato scattate dai più grandi fotografi di scena dagli anni Sessanta ai Novanta sui set di molti capolavori di Monicelli. Altra liason di sapore nostalgicamente retrò ma culturalmente solida sta nella sezione Venezia Classici, che vede coinvolto il regista francese Bertrand Tavernier cui andrà nel corso
Venezia, una lunga storia d’amore: Orson Welles nei panni di Otello (1952). (Keystone)
della Mostra il Leone d’oro alla carriera. Film cioè di varia epoca e di differente sostanza (taluni sono delle vere eccellenze, come Scala al paradiso, 1946, degli inglesi Powell e Pressburger), che saranno soggetti al giudizio di una Giuria Studenti per la scelta, con premio, del miglior restauro. Cosa questa tirata un po’ per i capelli, sulla quale ci si potrebbe soffermare a lungo per dimostrarne l’assoluta gratuità. Dicevamo di Barbera. Il suo assioma per questa 72esima Mostra, pronunciato con convinto sorriso, sta nell’avere voluto «riscoprire l’antico sotto nuove vesti ed esplorare l’inedito». Cosa vuol dire? Che da maestri collaudatissimi quali Sokurov, Gitai, Skolimovski, per esempio, attraverso il
loro ritorno sullo schermo del Lido veneziano si attendono insieme conferme e ulteriori audacie «linguistiche». L’ossatura del concorso resta numericamente nelle mani di autori da scoprire, che hanno affrontato temi attuali e scomodi. Se ne cita uno per tutti, Spotlight, dell’americano Thomas McCarthy con Michael Keaton sul tema da graticola infuocata per la Chiesa cattolica a proposito delle reticenze nel portare allo scoperto gli abusi sessuali dei religiosi sui minori. Giuria internazionale di grande prestigio formata in prevalenza da registi (anche se ciò non dà garanzia di verdetti giusti) e guidata dal messicano Alfonso Cuaron che due anni fa tagliò il nastro inaugurale con Gravity. Questa volta toccherà inaugu-
rare il 2 settembre, fuori concorso, a Balthazar Kormakur col drammatico alpinistico film in 3D Everest che ricostruisce, si dice anche con dolente dolcezza, la famosa tragica scalata del 1996 che portò alla morte cinque alpinisti compresa la guida Scott Fisher. Qui interpretata da Jake Gyllenhaal, che dieci anni or sono vinse il Leone d’oro con I segreti di Brokeback mountain. Con qualche scettico stupore s’è visto mettere in gara ben quattro film italiani. Uno in più delle presenze di tutto rispetto, ma uscite a mani vuote, all’ultimo Cannes. Il poker d’oggi si apre con Bellocchio e si completa con Guadagnino, Guadino e l’esordiente Messina. Raccontano storie diverse, anche ai limiti del tabù sessuofobicoreligioso d’antan e dell’anti camorrismo napoletano, avvolte da tentazioni d’estetismo. A forte rischio noia, titolava un giornale italiano. Col contrappunto da cardiopalma della pressante presenza americana, ad iniziare da Johnny Depp che rivive Jimmy «Whitney» Bulget, lo spietato gangster irlandese nella Boston degli anni Settanta «arruolato» illusoriamente dall’FBI per potere eliminare il loro nemico comune: la mafia italiana. Novità: il Cinema nel Giardino (del Casinò): ovvero la possibilità di incontrare e magari dialogare con personaggi di spessore. In primis, Vasco Rossi, tanto atteso dal mancato suo appuntamento veneziano del 2011. Porterà sottobraccio il film Il decalogo di Vasco, costruito su di lui da Fabio Masi. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Così brutto da essere bello Arte Banksy colpisce ancora, e il mondo
abbocca alla sua più recente provocazione, accorrendo in massa a Dismaland Simona Sala
Sebalter
Destinazioni musicali Nonostante il successo e le belle esperienze,
il musicista ticinese ha deciso di tornare a fare il giurista a tempo pieno A cura di Zeno Gabaglio Sebastiano Paù-Lessi, in arte Sebalter, suona il violino, la chitarra e canta. Ha studiato diritto a Zurigo, Rotterdam e il Cairo ed è diventato avvocato nel 2013. Per dieci anni ha suonato il violino nei Vad Vuc e, nel 2012, dopo quattro album e più di 300 concerti con la band ha deciso di intraprendere la via artistica da solista. Con la canzone Hunter of Stars ha rappresentato la Svizzera all’Eurovision Song Contest 2014 conquistando il 13° posto (il miglior piazzamento di uno svizzero da una ventina di anni) e raggiungendo un’ampia popolarità presso il pubblico: sesto posto nelle charts in Svizzera e Polonia, 77esimo in Germania, 84esimo in Inghilterra e piazzamenti anche in una trentina di altri paesi. Il 9 gennaio 2015 ha pubblicato il suo primo album, intitolato Day of Glory, che si è posizionato al 9. posto della hitparade Svizzera. Ha all’attivo numerosi concerti, che lo hanno portato in giro per l’Europa (Germania, Inghilterra, Olanda, Lituania, Malta). 1. Lenzerheide-Valbella (Grigioni)
Quando ero bambino, e poi anche da ragazzo fin verso i quindici anni, trascorrevo in agosto una settimana a Valbella, per un campo musicale estivo organizzato dalla Scuola d’Archi Vivaldi. Quelle settimane sono state la mia vera e propria palestra musicale, dove ho imparato a conoscere il valore di condivisione, di dialogo e di comunicazione della musica. Le intense prove quotidiane (mattino, pomeriggio e sera), lo spirito di gruppo, la genuina partecipazione dei ragazzi, le bravate e le spedizioni notturne fuori dalla camera, la sensazione di libertà: tutti elementi che in me hanno fatto sbocciare la musica, e ancora oggi così la vivo. 2. Bellinzona, Liceo cantonale
Qui le scoperte musicali attraverso vari generi sono state un’esigenza di cre-
scita. Avevo iniziato a suonare il basso elettrico – in una cover band degli Uriah Heep – e ascoltavo tanto heavy metal, ma anche cantautorato italiano e americano. Sentivo anche l’esigenza di provare a inserire il violino nei generi che amavo, che però sembravano non molto inclini a strumenti come il mio. Finché un giorno – in un disco metal – non ho sentito un intermezzo di musica tradizionale irlandese, eseguito con il violino: era quello che stavo cercando, un nuovo modo di suonare il mio strumento. 3. Salt Lake City
Salt Lake City non è propriamente una città musicale. Non è neppure una meta particolarmente ambita da turisti e vacanzieri, ma per il mio viaggio musicale ha rappresentato un crocevia inaspettato e determinante. Adagiato su un’arida pianura circondata da montagne color del deserto, quello è stato il luogo dove per la prima volta sono vibrate le note di Hunter of stars: non potevo certo immaginare che quella canzone avrebbe portato le mie esperienze musicali ben oltre l’orizzonte regionale che fino a quel momento mi immaginavo. Ero arrivato a Salt Lake City dopo il primo mese di quel viaggio che, iniziato a Montreal, mi avrebbe poi portato in vari luoghi dell’America del Nord. Una notte, tra Kansas City e Denver, ho scarabocchiato qualche verso e registrato sul cellulare qualche melodia. Il ragazzo che mi ospitava a Salt Lake City era un grande amante del rock e collezionista di chitarre, così ho finalmente potuto suonare per lui – e per la prima volta – Hunter of stars.
penhagen è una bellissima città, con persone cordiali che cercano sempre il contatto visivo e che sembra davvero ti ascoltino con estremo interesse. Copenhagen per me è stato anche l’incontro con il business della musica, quello vero che vedi alla tv o nei film. E tra il divano di casa mia, dove mesi prima suonavo pacifico e libero, e questo mondo c’è stato un grande salto nel vuoto, senza gradini da salire con calma passo dopo passo, magari imparando dagli scivoloni. Forse per questo Copenhagen è stata un’esperienza soprattutto umana; un insegnamento che non a caso mi è stato dato attraverso la musica, ma che ha un valore più ampio. Perché questo salto nel vuoto ho dovuto farlo, cercando di atterrare in equilibrio. 5. Giubiasco
È casa, il punto di tante partenze e di tanti arrivi, e dove proprio ora mi trovo. Da qui sono partito per le mie esperienze musicali e qui infine sono stabilmente tornato, scegliendo di riabbracciare a tempo pieno la mia professione di giurista. Non ho però smesso di suonare, e in uno scantinato sporco sotto le scuole elementari di Giubiasco sempre più spesso mi trovo a suonare da solo o con amici, cercando nuovi modi di proporre la mia musica, nuovi modi per esprimerla. Per condividerla e star bene, come un tempo a Valbella. La musica in definitiva è questo: una compagna, presente ma non invadente, attenta ma non ossessiva, che sta accanto a me, a volte trascinandomi e a volte aspettandomi.
Banksy ce l’ha fatta di nuovo. Verrebbe da dire. Anzi, viene da dire, perché l’hanno detto tutti. Grandi erano le aspettative e la curiosità intorno ai lavori in corso a Weston-super-Mare (Somerset, Inghilterra) in quello che era stato il sedime di Tropicana, nato per ospitare la più grande piscina d’Europa, ma che con il tempo si era trasformato nel triste ultimo alloggio di rottami un tempo divertenti. Forse la curiosità derivava soprattutto dal fatto che si era fatta circolare la voce di un fantomatico allestimento scenografico per un thriller hollywoodiano. Poi però si è saputo che dietro all’operazione c’era nientemeno che Banksy, l’anonimo graffitaro e writer inglese assurto agli onori della cronaca a) per i suoi tratti geniali b) per la sua imprevedibilità c) per il desiderio, finora onorato, di non entrare a fare a parte di un blasonato quanto ormai scontato jet set artistico. Banksy in qualche modo passava all’azione, e con un pizzico di lungimiranza e fantasia, si poteva anche immaginare che non si sarebbe affidato a nulla che avesse anche lontanamente il sapore della convenzionalità. A partire dal sito. Nel momento in cui il sito web di Dismaland (sul nome torneremo più tardi) è diventato operativo lo scorso 21 agosto le migliaia di curiosi di cui sopra si sono fiondati sull’opzione dell’acquisto dei biglietti (prezzo: 3 sterline)… Prenotare? Impossibile. Acquistare? Ancora meno. Il sito non permetteva alcuna operazione. In un batter d’occhio, per scaricare la tensione, gli utenti del web si sono scatenati, e fra i messaggi corsi lungo le invisibili vie della rete vi era anche chi tradiva un certo spirito profetico, chiedendo(si) se la «miserabile frustrazione» legata all’impossibilità di prenotare, facesse in qualche modo parte dell’imminente esperienza artistica. Ovviamente faceva parte dell’esperienza, siamo ora in grado di affermare. Poiché di Dismaland si dice peste e corna, ma in modo compiaciuto, quasi ammirato. Eravamo rimasti
al web inceppato. Passiamo al nome. Dismaland (dove «dismay» in inglese sta per costernazione) rifà il verso a una concezione di parco divertimenti globalmente conosciuta (gli avvocati di quei parchi divertimento hanno addirittura il divieto d’ingresso, come recita un cartello all’entrata), in cui a farla da padrone sono uomini vestiti da enormi topi o cani che saltellano elargendo palloncini, dove i bambini sono le regine e i re e possono solo fare una cosa, divertirsi. A Dismaland le cose vanno in un modo un poco diverso: anzitutto l’ingresso è vietato ai bambini. Il tour si trasforma ben presto in un tour de force capace di sbattere in faccia al visitatore tutto quello che non va nella nostra epoca. Si sono visti piccoli stagni con barchette piene di profughi, attorniati da altri profughi tristemente galleggianti, ragazzi-mascotte molto brutti e demotivati (addestrati da Banksy) che si portano appresso mazzi di palloncini con la scritta «sono un imbecille» e una carrozza rovesciata con tanto di principessa morta circondata da paparazzi. Roba da fare venire i brividi, poiché forse si ha l’impressione di essere di fronte a un telegiornale in 3D. A ben guardare però c’è anche un cartello in bella vista, che riporta una frase che Banksy, in una recente intervista (ma non era anonimo?) ha citato a mo’ di proprio manifesto: «Non è arte a meno che non sia un disastro». E sempre durante quell’intervista si è scagliato contro coloro che staccano e vendono le sue opere di street art, contro un’eccessiva politica sussidiaria nel campo dell’arte e contro chi ancora non conosce il valore del graffitismo. Banksy, con la sua arte ha davvero creato un disastro. Lo squallore, l’apparente volgarità e la sciatteria sono talmente estremi, ma soprattutto inconcepibili in un mondo illusoriamente teso al bello come il nostro, da risultare splendidi per quello che contengono. Da svelare a colpo d’occhio cosa si intenda per «disastro», e di conseguenza per arte, ossia lo stupore, il pensiero, il piacere.
Destinazioni musicali 4. Copenhagen
A Copenhagen ho rappresentato la Svizzera all’Eurovision Song Contest 2014, passando alle finali e ottenendo un piazzamento che la nostra nazione da tanto tempo non raggiungeva. Co-
1. Giubiasco 2. Copenhagen 3. Salt Lake City 4. Bellinzona 5. Lenzerheide-Valbella The birds 2.0: una donna attaccata da voraci gabbiani a Dismaland. (Keystone) Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
I valzer di Sulzer Incontri A colloquio con lo scrittore svizzero Alain Claude Sulzer,
che sarà prossimamente ospite di Piazzaparola a Lugano
Natascha Fioretti Nato a Riehen nel 1953, Alain Claude Sulzer vive tra Basilea e Berlino. Bibliotecario di formazione, giornalista, nel panorama letterario germanofono è uno scrittore affermato e apprezzato, in particolare per l’eleganza, la precisione e l’ironia sottile della sua penna. I suoi romanzi sono costellati di personaggi che, come in un valzer, con grazia ed erotismo danzano e volteggiano tra un capitolo e l’altro, compaiono e scompaiono senza mai allontanarsi dal centro, senza mai perdere di vista il cuore della storia ma anche il vero protagonista, quel personaggio che, alla fine, più degli altri, determinerà il destino di tutti. Così è stato per Il concerto, il suo romanzo uscito per Sellerio qualche anno fa, nel quale Sulzer racconta di una Berlino mondana e contemporanea. Ora, in Postscriptum, da pochi giorni nelle librerie in lingua tedesca (uscirà l’anno prossimo la versione italiana per Sellerio), ci riporta indietro nel tempo, nella triste e ostile Germania degli anni 30. Da qui il protagonista Lionel Kupfer, un famoso attore del cinema tedesco di origini ebraiche, costretto ad interrompere bruscamente la sua carriera, emigrerà negli Stati Uniti per poi fare ritorno alla fine della guerra. Troverà un’Europa fredda, poco empatica e sensibile nei confronti di chi, come lui, ha vissuto il dramma dell’esilio ed è scampato alla morte per un soffio. Disilluso e ferito si ritirerà in Svizzera, tra le montagne dell’Engadina. Un giornalista lo incontrerà all’Hotel
Waldhaus di Sils Maria, luogo che ha dato ospitalità ad altri grandi in esilio tra i quali Thomas Mann, Theodor Adorno e Otto Klemperer. Anche lo scrittore tedesco Hermann Hesse abitò qui per un lungo periodo di 365 giorni. Tra gli ospiti della quinta edizione di Piazzaparola, ad Alain Claude Sulzer abbiamo chiesto qualche anticipazione del suo ultimo romanzo Postscriptum, già definito un’opera d’arte dalla Basler Zeitung e in generale ben accolto dalla critica della stampa svizzera di lingua tedesca, dal quale leggerà durante il festival letterario luganese. È vero che per scrivere il suo romanzo ha cercato ispirazione tra le montagne dell’Engadina?
Ho scritto solo un capitolo in Engadina, in un momento in cui il romanzo era in una fase già abbastanza avanzata. In verità ho iniziato a scriverlo nella cocente calura di Lanzarote, ben lontano dal freddo e dalla neve con i quali apro il romanzo. Perché il titolo Postscritto?
Perché il protagonista Lionel Kupfer in una lettera scrive per davvero un importante postscritto, che però non raggiungerà mai il suo destinatario, un uomo al quale in passato era stato molto vicino per un breve periodo. Lui naturalmente non lo sa, lo scrive sperando che possa giungere a destinazione. Postscritto può però essere inteso anche come una metafora per quelle cose che nella vita realizziamo o pensiamo postume.
Protagonista del suo romanzo Il concerto era un famoso pianista. Chi veste i panni principali ora?
A dire il vero sono diversi i personaggi che giocano un ruolo importante. Al centro del romanzo però c’è la storia di Lionel Kupfer, una star del cinema tedesco che nel 1933 all’improvviso si trova di fronte alla fine della sua carriera. È un ebreo e tutto a un tratto diventa un personaggio scomodo e indesiderato. È vero che si è ispirato alla storia dell’attore Alexander Granach?
Granach è stato uno dei tanti a condividere le sorti di Lionel Kupfer ma di lui, più che di altri, conoscevo bene la storia. Kupfer, il mio personaggio, è però totalmente diverso, Granach ad esempio non era una vera star del cinema ma un attore di teatro molto famoso in Germania. La storia è ambientata negli anni 30. Perché questo salto nel tempo?
Perché la mia immaginazione non mi ha dato scelta, non mi ha permesso di avere altre idee se non questa. Quando scrivo non perseguo alcuna intenzione ma seguo il filo di una possibile storia. Nel suo romanzo si parla di ebrei perseguitati costretti ad emigrare ma anche di arte rubata, un tema di cui proprio in Svizzera si è tornati a parlare di recente grazie al caso Gurlitt. È stato per lei uno spunto?
Non tanto Gurlitt quanto la storia, le dinamiche che in passato hanno giocato a favore della famiglia Gurlitt. Ero a conoscenza, infatti, di tutta un’altra
Lo scrittore Alain Claude Sulzer. (Gunter Glücklich/ Galliani)
vicenda, quella di Unity Mitford, così venerata e corteggiata da Hitler che decise di trasferirsi in Germania. È confermato come questa donna inglese girasse per Berlino in cerca di appartamenti che da lì a poco sarebbero stati arianizzati, sottratti e confiscati agli ebrei. Unity Mitford dunque visionava e ispezionava appartamenti nei quali ancora vivevano i legittimi proprietari e gli inquilini perché sapeva che gli stessi, poco tempo dopo, sarebbero stati cacciati, costretti ad emigrare o, peggio, deportati. Volevo rappresentare una situazione simile quando ho scritto della visita in una casa di Vienna. Si immagini: ispezionare stanze di persone che da lì a poco saranno cacciate via con la forza, costrette ad andarsene! Quello dell’emigrazione è un grosso tema oggi come allora. Se un tempo dall’Europa si fuggiva, oggi il vecchio continente è il porto di approdo per migliaia di profughi e di emigranti. Lionel Kupfer rimane colpito al suo ritorno a casa dalla
scarsa empatia nei suoi confronti e di chi, come lui, è scampato alla morte con la fuga. Oggi siamo abbastanza solidali?
Non ho una risposta univoca a una domanda che quotidianamente si ripropone in dozzine di luoghi diversi. Ognuno di noi può essere solidale. Passare all’azione è qualcosa di diverso. Dove e quando
Piazzaparola 2015 avrà luogo dal 2 al 5 settembre 2015. Per maggiori informazioni: www.lugano.ch/culturatempo-libero/manifestazioni. Alain Claude Sulzer leggerà a Lugano (Patio del Municipio) martedì 4 settembre alle ore 18.50. In collaborazione con
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Cultura e Spettacoli
Guardiani del tempo
Al «ticinese» Pietro Gibellini
e del suo anziano custode Khaled al Asaad, ucciso barbaramente per averla amata troppo
Meridiani e paralleli Pubblicate anche
le poesie di Liaty Pisani e Susi Rotto
Maria Bettetini
Giovanni Orelli
Occasioni migliori, sarebbero state desiderabili, per raccontare della «sposa del deserto», di Tadmor che il re Salomone ricostruì. Di Palmira, la città che prende il nome da tadmor, la palma in aramaico, traslitterato nel greco palmyra. Una meraviglia di sito archeologico distante almeno duecento chilometri dalle più vicine città. Una sorpresa per chi ama visitare gli scavi, ma anche solo per chi ama le cose belle; un luogo di ristoro assicurato per le carovane che attraversavano il deserto della Siria portando spezie e tessuti pregiati in cambio di oro e manufatti. Un’oasi alimentata da fonti sulfuree, oggi quasi morte ma sostituite da sistemi di irrigazione. Perché Palmira era già morta almeno due volte, nella storia che conosciamo, ed era poi risorta, come sul finire dell’Ottocento, quando iniziarono i primi scavi, interrotti solo quest’anno con la caduta del sito in mano allo «Stato Islamico», l’IS. Abbiamo già trattato della gravità degli assalti alle pietre che sono memoria da parte di soldati che usano tritolo e martelli pneumatici in nome di Allah («Azione» del 23 marzo 2015, pagg. 50-51, con anche l’intervista all’archeologo Luca Peyronel). La cronaca però costringe a occuparsi ancora di Palmira, recepita come sito di particolare valore, quindi da sfruttare più degli altri, come Mosul e Nimrud, di questi abbiamo infatti solo visto l’opera di distruzione. La «sposa del deserto», come veniva chiamata dai carovanieri, assume il ruolo di scenografia spettacolare. Allora diremo solo brevemente di lugubri messe in scena, per poi raccontare qualcosa delle vite della città di Palmira, che così bene sarebbe entrata, con quel nome, quella posizione, tra le città invisibili di Calvino. Ed ecco, dopo averlo tenuto prigioniero più di un mese, l’anziano Khaled al Asaad, ottantaduenne custode degli scavi è stato decapitato, il corpo appeso a una colonna, a segnalare che al posto di ogni civiltà ora governa l’orrore. Governa con tutti i tratti del regime. Non solo per quello che sappiamo di rapimenti, schiavismo, violenza sulle donne. Anche per il cerimoniale. Per uccidere venticinque soldati siriani hanno inscenato una coreografia
Sottoscrivo, senza i meriti per farlo, sottroscrivo l’affettuoso e preciso ritratto che Matteo Vercesi fa di Pietro Gibellini in un libro a più mani, con un titolo che un poco intimorisce, ma che poi si dimostra libro cordiale e istruttivo: Filologia ed ermeneutica. Studi di letteratura italiana offerti dagli allievi a Pietro Gibellini, a.c. di Marialuigia Scipione e Matteo Vercesi, Morcelliana, Brescia, giugno 2015, pp.351, euro 30. Gibellini è un po’ tanto svizzero e svizzero-italiano. Ha cominciato a fare 25 anni all’Università di Ginevra in qualità di docente, e capovolgo le ultime parole in docente di qualità... «Pietro Gibellini ha concentrato in poche righe il senso dell’impronta etica che dovrebbe disciplinare il rapporto tra il docente, condensatore e orientatore di conoscenze ed esperienze, e l’allievo, colui il quale aspira a seguirne l’esempio nell’intento di tracciare un proprio personale percorso di ricerca». Meglio di così non si può definire il rapporto maestro-allievo. «Onestà intellettuale e ricchezza affettiva». «Tensione conoscitiva e statura morale». «Il dato linguistico letto e interpretato nelle sue varie diramazioni come base di partenza all’analisi dell’espressione e del pensiero». Così, benissimo, Matteo Vercesi. Per scendere, se così si può dire, a mito e Bibbia nella letteratura italiana, siamo ancora a titoli generali; e le opinioni varie degli allievi del Gibellini moltiplicano quei temi generali. Si aggiunga poi il fecondo filone della letteratura dialettale. Manzoni, Carducci, Belli, Pascoli e altri ottocenteschi e del Novecento sono l’oggetto di letture acute. Non è possibile riassumere le mille occasioni da cui gli autori partono per dare un loro ritratto di cose varie dalla Bella Italia. Si potrebbe fare l’esempio, quasi d’obbligo, di Roma, già iniziato nel 1923 da Giorgio Virgolo con La città dell’anima. Il lettore potrà anche trascurare (per così dire) le bellezze di Roma per indugiare su De Sica visto attraverso una scena di Ladri di biciclette. «È interessante notare come nei film neorealisti gli squilibri di classe siano spesso rappresentati attraverso gli occhi dei bambini, simbolo di quel-
Archeologia La storia della meravigliosa città di Palmira,
Mohammad al Asaad accanto alla foto del padre ucciso dall’IS. (Keystone)
da tragedia antica, nell’anfiteatro. Il pubblico era costituito da civili, anche molto giovani, che capiscano subito chi è il più forte. In fila, da un’entrata laterale, hanno fatto ingresso i prigionieri, ciascuno scortato da un milite dell’IS: le due file con abiti mimetici uguali tranne che per la sfumatura dello sfondo, più chiaro quello dei siriani. Questi sono stati fatti inginocchiare, e lasciati a una terza macabra fila composta di ragazzini, alcuni nemmeno adolescenti. Come in uno spettacolo di fine anno, a scuola, dove avrebbero dovuto trovarsi questi bambini, hanno preso posizione e, tutti insieme e con calma, hanno sparato alla nuca del prigioniero che spettava a ciascuno. Poi, il ritiro dei bambini, fine dello show. Le pietre del teatro avevano già visto versare sangue, certo, con i combattimenti tra gladiatori, con le esecuzioni capitali. Ma ci volevano due millenni di progresso e civiltà per allestire così barbara performance, con venticinque ragazzini. Forse, Palmira, avresti preferito non essere scoperta nel 1751 da un gruppo di pittori-archeologi, resa di nuovo di pubblico dominio, ripulita e dal secolo scorso diventata meta di un turismo che aveva addirittura fatto rinascere una piccola città accanto alle rovine. Abbiamo molto ancora da apprendere, sulla Palmira antica. Le prime notizie vengono dagli archivi assiri in Cappadocia e da quelli della città di
Mari, in Mesopotamia, si parla del secondo millennio a.C., quasi quattromila anni fa. Poi si perdono le notizie di Tadmor, tranne quelle rinvenute nelle citazioni bibliche. Col nome di Palmira torna ad affacciarsi alla storia con i Seleucidi, eredi del satrapo babilonese Seleuco, subito dopo la morte di Alessandro Magno. Palmira tornò a essere un importante centro carovaniero, inventò anche un suo alfabeto e un suo dialetto semitico. I Romani non ebbero vita facile con la cittadina nel deserto, che li sconfisse più volte e che poi fu proclamata libera da Adriano, favorendo quell’unicum storico del Regno indipendente di Palmira, che durò dal 268 al 272, solo quattro anni, al comando di una donna forte e crudele, Zenobia. Nei pochi mesi di regno, Zenobia si proclamò Augusta, conquistò Cappadocia ed Egitto, si circondò di intellettuali, come il filosofo Longino, che poi non esitò a consegnare ai Romani per salvarsi la vita. Trionfarono i Romani, poi con gli arabi nel settimo secolo Palmira tornò ad assopirsi nella sabbia calda. Ma non tutti ti hanno abbandonata, sposa del deserto. Il tuo custode ti ha reso invisibile ai saccheggiatori e ai violenti, ha preferito morire piuttosto che rivelare ai commercianti di schiavi e antichità dove aveva nascosto i tuoi tesori. Palmira, la città che si potrà salvare solo rimanendo invisibile agli occhi dei ladri e dei violenti.
Una quotidianità astratta Fotografia Al cinema Lux di Massagno in mostra gli scatti di Fabiana Bassetti Giovanni Medolago Quando nacque, nella metà dell’800, la fotografia fu subito definita come un marchingegno in grado di riprodurre la realtà. È una definizione che ha accompagnato per decenni la nuova scoperta, un equivoco storico subito ben radicatosi e che forse, ahinoi, sopravvive ancora oggi. All’epoca si ottenevano solo immagini in bianco e nero, mentre la realtà è a colori; le fotografie sono bidimensionali; mentre la realtà è tridimensionale. Sarebbe dunque meglio definire la fotografia una traduzione delle realtà, un insieme di segni che significano qualcosa, dove questo qualcosa non è il soggetto vero e proprio, bensì il rapporto che il fotografo ha saputo instaurare con esso. Può rientrare in queste norme, in questo concetto la ricerca di Fabiana Bassetti, che ha da sempre un’attrazione molto forte per l’astrattismo. Anche quando era incaricata di sviluppare un tema ben preciso – ricordo i suoi lavori sull’acqua oppure quello sul Memoriale della Shoah di Berlino, dunque soggetti
Una delle immagini realizzate da Fabiana Bassetti.
precisi e concreti, la Bassetti ci ha dato col suo stile un’interpretazione astratta di tali soggetti. Con questo nuovo lavoro che ha voluto intitolare Viaggio nelle emozioni della realtà, la fotografa va oltre e rinuncia addirittura al suo stile. Le sue sono immagini dovute al caso perché le ha realizzate semplicemente («semplicemente» si fa per dire) puntando il suo obiettivo sul finestrino del-
la posta che da Cademario la conduce al lavoro a Lugano. Si è limitata a scegliere, col suo gusto e con il suo occhio da fotografa, quelle che – tra le immagini così raccolte – le sembravano le migliori, e immagino che ne abbia scartate a centinaia prima di giungere alla scelta che ora ci sottopone. La Bassetti ha poi il grande merito di proporcele telles quelles, rinunciando cioè a quello strumen-
to diabolico che sta snaturando la fotografia come l’abbiamo intesa per quasi due secoli, il Photoshop, marchingegno che secondo il grande fotografo Gianni Berengo Gardin andrebbe proibito per legge! La mostra è un tassello di un’iniziativa più ampia (sostenuta anche dall’Associazione Amici del Cinema Lux), volta a raccogliere fondi a favore della Ricerca sul cancro nel Ticino e che prevede anche una serata (il 24 settembre, alle ore 18 al Lux la Dr.ssa Guenda Bernegger e il Dr. Graziano Martignoni presentati dal Prof. Fabrizio Panzera parleranno delle «Parole che curano»). Come sovente capita durante i vernissage, mi è stato chiesto, da chi stava di fronte a un’opera astratta: ma che significa? Me la sono cavata richiamando il neopittorialismo, pensando al pittorialismo fotografico (in auge alla fine del XIX secolo, quando gli adepti a questo movimento facevano capo a tecniche e processi di stampa pensati per rendere una foto molto simile a un disegno). Ho ricordato la stagio-
la generazione nata durante la guerra che si stava formando e che avrebbe dovuto costruire il futuro della nuova Italia. Non farò, per carità!, l’elogio di Pietro Gibellini dal momento che abbiamo davanti i ritratti di quelli che meglio l’hanno conosciuto: i suoi allievi. Ritratti che portano nel vivo di autori anche «nostri», di maestri anche nostri, come Dante Isella, Maria Corti, Cesare Segre e Gianfranco Contini. Altre letture
1. Poesie di Liaty Pisani Liaty Pisani nasce a Milano negli Anni Cinquanta. Non lo sapevo fino a poco fa... Ma qualche sua poesia (L.P. Anche per i tuoi occhi; La Vita Felice, Milano, 2014) merita l’attenta lettura. Per esempio quella che apre il volumetto: Il ragno. Il piccolo ragno / dalle zampe trasparenti / salvato dall’acqua / non sa di destino, / eppure adesso arrampica altrove, / ignaro di pensieri buddisti, / retaggio giovanile / della sua salvatrice. Benedetti i pensieri buddisti. Ma veda il lettore anche altro. Li chiami pure «disegnini», come questo Oleandro: L’oleandro d’inverno muta i suoi fiori / in fiocchi leggeri, / per salvare le sue gemme future, / ma anche i piccoli uccelli / e i loro nidi, / aggrediti dal gelo. E tu non fai così? 2. Susi Rotto: chi era costei? L’autore di Poesie in dialetto etnico e altri samizdat ama scherzare, con dubbioso gusto, fin dalla copertina. Non è vero che sia femmina, che si chiami Susi Rotto. Si chiama Tuto Rossi. Su certe cose non è bene scherzare. Non ho voglia, alla mia età, di continuare a dar la caccia alle bugie. Soprattutto di quelle sceme come «uscito da una Unione Russo Adriatica nel 2643», si dica Tipografia Fontana Print, 2015. All’interno dite poi quel che volete. Perché continuare a depistare. Lo faccia il lettore giovane, con il presupposto che la letteratura vive anche di bugie, non solo di verità. Ma c’è bugia e bugia, intelligentina o sciocca. ne dell’Informale e quella dell’Action Painting (il secondo Dopoguerra, per intenderci). Ma soprattutto ho sottolineato il fatto che ognuno è libero di vedere quello che vuole, di vivere l’emozione che la visione suscita. Ci saranno certo dei rimandi cui l’opera astratta ci conduce. Un percorso che Fabiana Bassetti ha intrapreso per prima, affrontandolo pensando a un aforisma di Andrej Tarkovskij: «Tutto quello che siamo lo portiamo noi nel viaggio». Dove e quando
Viaggio nelle emozioni delle irrealtà. Fotografie di Fabiana Bassetti. Massagno, Cinema Lux, Via Giuseppe Motta. 6900 Lugano. Fino al 24 settembre 2015. In collaborazione con
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Professione: ospite dei festival È nata una nuova professione, l’Ospite da festival della letteratura. A imitazione di quello di Mantova, giunto alla XIX edizione, ne sono nati 1200 in giro per l’Italia. Poiché la parola «letteratura» era già occupata, è stato tutto un fiorire di sinonimi: festival della scrittura, della narrazione, delle parole, dei fogli sparsi, del racconto breve, di quello brevissimo, di quello né troppo breve né troppo lungo, delle libere associazioni, del racconto di miniera, di collina, del latifondo, dei racconti scritti dai carcerati, dai secondini, dai fantini del palio di Siena, dai trapezisti, dagli analfabeti. È tutto merito della mancanza di fondi nei Comuni a vocazione turistica, posti di fronte ogni anno al problema di inventarsi qualcosa per intrattenere gli ospiti in vacanza. Il più bollito dei comici televisivi, per il solo fatto di essere passato per qualche minuto dopo la mezzanotte su uno dei tanti canali, per stare un’ora in piedi davanti a un microfono a dire battute sceme su una pubblica piazza pretende un compenso di 10 mila euro. Con la
stessa cifra le aziende di soggiorno sono in grado di allestire un intero festival. L’Ospite, se gli proponi di presentare il suo ultimo libro, viene gratis, chiede solo l’ospitalità e il rimborso delle spese di viaggio, ti mangia in mano, sta dove lo metti e ti dice anche grazie. Per la verità anche il comico televisivo accetta di venire in cambio della sola ospitalità, se ha pubblicato un libro. Perché il suo è ancora l’unico libro che si vende, il pubblico lo compra per farsi fare l’autografo con la dedica. Negli ultimi anni è nata una Nazionale degli Ospiti dei Festival, composta dai nomi dei personaggi più disponibili, coloro che esercitano un maggiore appeal presso il pubblico. Sono nomi di sicura garanzia, si ritrovano in un cospicuo numero di manifestazioni. Ricordiamo fra i tanti Vito Mancuso, Corrado Augias, Piergiorgio Odifreddi, padre Enzo Bianchi, Paolo Crepet. Chi scrive appartiene alla serie B degli ospiti, quelli di rincalzo, invitati per tappare un buco nel programma. Lo scopro fin dalla prima telefonata: «Stiamo organiz-
mia natura passiva; mi trovo in una situazione perfetta quando sono gli altri a decidere per conto mio. Grazie ai festival non devo scegliere i luoghi, le date, i posti dove dormire e quelli dove mangiare; quando mi muovevo da turista, all’ora del pranzo si vagava da un locale all’altro controllando i menù appesi sulla vetrina per decidere dove sedersi a mangiare, salvo pentirsi subito dopo. Infine, ultimo ma decisivo vantaggio, si scoprono luoghi meravigliosi. Quando sono stato invitato al «Premio Letterario Caccuri», ignoravo che esistesse una località con quel nome. È un minuscolo paese in provincia di Crotone, all’inizio della Sila, bello da togliere il fiato, sorto in cima a uno sperone, a difesa della valle del Neto, con un castello, antiche mura, chiese. È poi c’è l’impagabile ospitalità calabrese che ti prende in ostaggio e non ti molla più. Il premio è stato creato quattro anni or sono da tre persone nate a Caccuri emigrate altrove per cercare fortuna e che hanno voluto restituire in parte alla patria d’origine quei doni
di carattere e perseveranza ricevuti nei primi anni di vita. Sono Adolfo Barone, Roberto de Candia e Olimpio Talarico. Viene premiata un’opera di saggistica, votata su una terna di titoli, sia dai soci dell’Accademia dei Caccuriani che dalla giuria di esperti. Quest’anno il vincitore è stato Claudio Martelli con la sua autobiografia Ricordati di vivere. L’aspetto più innovativo del premio Caccuri consiste nello sforzo riuscito di capovolgere, con l’aiuto della cultura, gli stereotipi correnti sulla Calabria, una regione che si affaccia sui grandi organi d’informazione solo a proposito di criminalità organizzata o di catastrofici eventi naturali. Dieci scrittori calabresi, fra cui Carmine Abate e Gioacchino Criaco, hanno scritto altrettanti racconti per il volume La Calabria si racconta, pubblicato dall’editore Rubbettino. Nei tre giorni di manifestazioni durante i quali si è sviluppata la quarta edizione del premio, abbiamo avuto la sensazione che nascesse qualcosa di nuovo in questa bella e sfortunata regione.
una nazione intera e non piccola, dove tutti gli abitanti sono uomini e donne già sposati in cerca di avventure senza conseguenze, quel tradimento leggero e veloce che secondo alcuni mantiene vivo un matrimonio. Che gesto da buon samaritano, offrire tale possibilità. Siccome però la frequentazione dei filosofi ci ha reso diffidenti, preferiamo lasciare la scommessa di Pascal ad altri temi, per esempio l’esistenza di Dio, e andare invece a vedere cosa dicono e fanno gli adepti di Ashley Madison. Senza fatica troviamo chat, solo di maschi, per ora. Apriti cielo, nessuno di loro sembra sposato, tantomeno in cerca di un brivido per mantenere viva la fiamma dell’amore coniugale. Sono infuriati, ma non per via degli hacker, di cui non si interessano proprio. Sono infuriati perché sono caduti in trappola. Raccontano di essersi iscritti e aver ricevuto subito post di signore disponibili. Per leggerli, però, nonché per vederne le foto, hanno dovuto subire il primo esborso, 49 euro. Pro-
cede dunque il racconto degli uomini: pagano, leggono i post, rispondono alle prescelte. Poi il silenzio, le donne tacciono. L’iscrizione sta per scadere, l’uomo sta per rinunciare. Ed ecco all’improvviso la risposta di una, due, molte signore, che costringono quindi il tapino a un altro esborso. Più di uno viene preso dai dubbi, anche perché i messaggi e le foto delle donne non corrispondono esattamente al brio di una signora un poco annoiata in cerca della scappatella per rinnovare etc. etc. Quando trovano le stesse donne sul sito in altri paesi, un dubbio attraversa la chat: che siano professioniste? E se lo meritano, questi uomini, perché nel loro sfogo appare l’intento, tutti speravano di trovare gratis e in abbondanza quello che di solito si paga, una attività meramente sessuale. Si devono essere sbagliati, altrimenti dove finisce l’attività da buon samaritano di Noel Biderman? Finisce quando non è nemmeno incominciata, perché lo scopo di Biderman è chiaramente solo
quello di raccogliere milioni di contatti, al fine di ingolosire addetti marketing, nonché di riuscire a quotarsi in borsa, come prima di lui hanno ottenuto Mark Zuckerberg per Facebook e Larry Page per Google e altri. Già di suo un sito per avventure extraconiugali fa pensare. Ma quello che proprio era difficile immaginare è la quantità esorbitante non solo di iscritti, ma di persone coinvolte nell’affair (il motto di Biderman è: la vita è breve, concediti un affair, un tradimento). Chi segue i post, chi organizza le foto e le risposte, chi controlla le entrate. Con una malafede esplicita dalle due parti: io non ti offro ciò che prometto, ma tanto tu non cerchi quello che ti avrei promesso. Non si può nemmeno parlare di menzogna e inganno, perché nessuno dei partecipanti al gioco viene ingannato, tutti sanno cosa cercano e offrono. Infine, gli unici a trarne frutto saranno i colleghi dell’avvocato Felder, che ignorano il settimo comandamento lucrando sul decimo.
Dunque, la poesia è morta? Nonostante gli sforzi di molti tra i maggiori editori per annientarla, dei critici per seppellirla e di migliaia di poetastri a pagamento per sfigurarla, la poesia non è affatto morta. È vero che «Lo Specchio» (5½ alla quasi memoria) ha ridotto le pubblicazioni, è vero che la «Bianca» di Einaudi (5+ ai suoi cinquant’anni) ha cambiato fisionomia rispetto alle origini, è vero che non c’è più traccia della collana gloriosa di Garzanti (6 collettivo ai Luzi, Caproni, Giudici, Orelli…) e che la Scheiwiller (6 al coraggio) non è sopravvissuta ai suoi fondatori. È anche vero che la Feltrinelli ha cancellato da tempo la sua collana poetica, dove tra gli altri erano usciti Sanguineti e Antonio Porta; ed è vero che la Marsilio ha chiuso da diversi anni una bella serie poetica curata da Giovanni Raboni. Dunque? La poesia è morta? No. Perché ci sono luoghi e spazi residuali dove ancora si combatte una strenua battaglia contro il conformismo del supermercato
internazionale dei megaseller: battaglia impari, anacronistica e forse perdente, ma utile. Anzi, indispensabile, perché solo il linguaggio poetico, l’invenzione e il ritmo della poesia sono un lumicino acceso di resistenza nel grigiore dilagante dell’omologazione linguistica: quella che fa sembrare pressoché uguali, sul piano dello stile, un romanzo giallo, un romanzo sentimentale e un romanzo storico da milioni di copie, un discorso politico, un saggio economico e un articolo di giornale. Tutto uguale, tutto uniformemente privo di stile, di originalità, di tensione. Se, come sosteneva Andrea Zanzotto, la poesia è «il rigore di un sentimento che tende a farsi forma, espressione», in molti libri che circolano non c’è né rigore di sentimento, né tensione verso una forma, tanto meno un’espressione che li distingua. Può darsi, come diceva Montale, che tutti siamo già morti senza saperlo (per lui era una speranza), ma prima di rassegnarci proviamo a snobbare Fred
Vargas e Giorgio Faletti, i maestri svedesi del poliziesco, i giallisti e i noiristi di ogni latitudine, tutti così bravi e così uguali tra loro. E andiamo a cercare i librini della Vita Felice, di Marco Saya, di Sossella, dell’Obliquo, del Ponte di Sale: è quasi impossibile trovarli in una Feltrinelli, dove sarà molto probabile invece venire travolti, all’ingresso, dagli ultimi dieci titoli di Bruno Vespa o dagli ultimi cento di Camilleri. Per avere una raccoltina poetica dovrete pazientare, chiedere, ordinarla, aspettare, oppure potreste procurarvela in pochi giorni via internet, ma vi accorgerete che laddove non arrivano i noiosissimi tomi delle Sfumature, un grande poeta riesce in un solo verso, forse due, forse tre o quattro. Pensate agli occhi sempre ardenti del superdotato protagonista di E.L. James e confrontateli con questi versi: «Vacilla il cuore e sbanda / se di lei solo gli occhi hanno vivanda / e palpitando a sapere m’invita / che questa poca vita è la mia vita». Altro che morte.
zando il nostro festival e abbiamo subito pensato a te, il tuo è uno dei primi nomi nella lista degli invitati». Sapendo che amo viaggiare in treno si affrettano a specificare: «Ti veniamo a prendere alla stazione più vicina, all’uscita troverai un autista con la maglietta del festival e un cartello con il tuo nome». È buona regola non mostrarsi troppo disponibili, perciò rispondo: «Non so, fatemi riflettere, devo consultare la mia agenda, sono pieno di impegni. Quando sarebbe prevista la mia presenza?». Conoscono il mio lato debole: «Pensavamo di farti presentare il tuo ultimo libro la sera del giorno in cui c’è la gara per la migliore porchetta arrosto, potresti presiedere la giuria di esperti...». Insisto: «Sì, ma la data?» «Be’, oggi è giovedì, sarebbe per sabato prossimo...». «Cioè dopodomani». Fingo di sfogliare l’agenda: «Siete fortunati, è uno pochi giorni che mi restano liberi». Mi piace fare il salvatore della patria perché così facendo mi guadagno la gratitudine degli organizzatori. Inoltre questa modalità di vivere i mesi estivi asseconda la
Postille filosofiche di Maria Bettetini Il buon samaritano Ashley. Dolce nome inglese, da maschio e da femmina. Ashley come Ashley Wilkies, l’uomo buono e inarrivabile, il marito di Melania, la fissazione di Rossella in Via col vento. Ashley come Laura Ashley, il brand delle gonne a fiori, delle tappezzerie a roselline, delle stoffe dai colori pastello. Era tanto di moda negli anni Ottanta, poi è un po’ decaduta. Ashley, che bel nome. Piacque anche a Noel Biderman, che con questo e un altro nome di donna diffuso chiamò la sua impresa, la Ashley Madison. Un buon padre di famiglia, Noel, che una quindicina di anni fa ebbe l’idea per un nuovo sito di appuntamenti. I suoi clienti sarebbero stati uomini e donne già in coppia, in cerca solo di una prestazione sessuale senza impegno. L’iscrizione al sito che si chiama Ashley Madison è gratuita, poi per strane perversioni gli uomini per vedere i messaggi e le foto che ricevono devono pagare qualche dollaro per ogni connessione. Cancellarsi costa 19 dollari a uomini e donne, ma pare che
non sia tanto facile cancellarsi proprio del tutto. Lo sa bene qualche milione di persone, vittime in questi giorni di una imprevedibile gogna. Alcuni hacker hanno infatti spezzato le barriere tecnologiche del sito di Biderman e hanno reso pubblici i dati degli iscritti, con tanto di indirizzo email e numeri delle carte di credito. Più di una pace familiare è esplosa, da qui il commento di Roul Felder, avvocato divorzista di New York: «è la cosa migliore mai accaduta nella mia professione dal Settimo Comandamento della Bibbia». Molto spiritoso, anche se la sua battuta diventa una gaffe, forse un lapsus: il settimo comandamento dice infatti di non rubare, è il decimo che chiede di non desiderare la donna o l’uomo altrui. Non male, per un avvocato che certo non concede minuti del suo tempo se non in cambio di lauta, lautissima parcella. Iniziano le prime class-action, bazzecole in confronto alle prossime sortite, gli iscritti sono infatti decine di milioni. Insomma
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il funerale della poesia La questione della poesia è eterna, si ripropone a intervalli pressoché regolari con toni ultimativi se non apocalittici. Di solito c’è qualcuno – in veste di esecutore testamentario o di becchino – pronto a dichiararne la avvenuta morte. In genere si tratta di un ex poeta mediocre e deluso o da un critico in crisi di identità. L’anno dopo qualcun altro dichiara deceduto il romanzo, poi si passa al teatro (defunto anche quello), alla critica letteraria (morta e sepolta); per non dire del giornalismo (esaurito), della politica (agonizzante), dell’intellettuale (decrepito), e così via con simpatici annunci di decesso imminente o di esequie stagionali a cui siamo tutti allegramente chiamati a partecipare. Accade soprattutto con il caldo torrido, d’estate, che come si sa accelera il trapasso degli anziani malati. È comunque un paradosso degno di nota che solo gli annunci mortuari riescano a vivacizzare il dibattito culturale. La discussione sulla fine della poesia è
stata riaperta di recente da un articolo di Alessandro Zaccuri (5+) sull’«Avvenire» (ottima pagina culturale: 5½). Zaccuri informava dell’uscita (precoce) del direttore letterario Antonio Riccardi dalla Mondadori. Trattandosi del responsabile della famosa collana di poesia «Lo Specchio», il sospetto è che il suo licenziamento possa preludere alla chiusura della collezione storica fondata nel 1940 da Alberto Mondadori e poi curata da Vittorio Sereni. È legittimo pensare che la collana non chiuderà ma che piuttosto verrà notevolmente ridotta, sia pure in sordina. E questo non per la sensibilità poetica o per lo scrupolo culturale della casa editrice di Segrate, ma per evitare ulteriori polemiche in una fase molto delicata: in vista dell’acquisizione del gruppo Rizzoli, di cui si parla da mesi e che porterebbe la Mondadori a detenere una quota impressionante (attorno al 40 per cento) del mercato librario italiano. Figurarsi quanto può contare la poesia in questo maremagnum economico…
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Idee e acquisti per la settimana
shopping A lezione da Mister Alloro Evento Intervista a Sergio Barzetti, noto chef della trasmissione «La Prova del cuoco» di RAI 1, che sabato
5 settembre a partire dalle 15.00 sarà ospite del Centro Shopping Serfontana per regalare ai visitatori un’originale lezione di cucina incentrata sulla preparazione dei risotti Signor Barzetti, come e quando è nata la passione per la cucina?
Fin da bambino trascorrevo ore e ore, insieme ai miei fratelli, intorno al tavolo della cucina, osservando e partecipando con mamma Franca alle preparazioni dei dolci, dei pranzi e delle cene che lei portava in tavola con entusiasmo ed amore. Il piatto preferito di noi fratelli? Gli gnocchi di patate, per i quali non avevamo pazienza di aspettare che finissero in pentola e ce ne riempivamo le bocche ancora crudi… C’è stato qualcuno che l’ha ispirata in modo particolare?
Più che di ispirazioni, mi piace parlare di «esempi». Ho avuto la fortuna di lavorare al fianco di numerosi maestri di alto livello, dei quali ho potuto ammirare ed apprezzare doti importantissime nel mio mestiere: serietà, forza di volontà, curiosità, passione, caparbietà e tante altre. Cosa non bisognerebbe mai fare in cucina e cosa invece sì?
Io credo che in cucina non si debba mai «eccedere», in tutti i sensi! Né credendosi troppo saccenti, né esagerando nella pratica. Sono a favore di una cucina semplice, ma allo stesso tempo pensata e ben bilanciata, affinché nel risultato possa trasparire un’armonia tra la scelta degli ingredienti e la loro elaborazione. E poi credo che la miglior cosa che un cuoco possa fare in cucina sia coltivare la sua curiosità sperimentando a 360° le bellezze e le bontà che il mondo ci offre. Qual è l’ingrediente che preferisce in assoluto e perché?
Adoro le erbe aromatiche, tutte (o quasi!). Le considero una «coccola» per i piatti e per il palato. Mi stupisce sempre come il loro aroma e profumo sia in grado di personalizzare e diversificare ogni piatto, rendendolo unico e sempre nuovo! Il piatto che meglio rispecchia la sua personalità?
Sarà una risposta un po’ scontata per chi mi conosce, ma vado sereno e senza pensarci più di tanto: IL RISOTTO! Non per niente è il mio cavallo di battaglia! In esso intravedo alcune caratteristiche che mi si addicono e che descriverei simpaticamente con questi aggettivi: preciso, coinvolgente e coccolone! Cinque trucchetti fondamentali per rendere un piatto indimenticabile?
Lasciandosi guidare dai 5 sensi, il piatto indimenticabile è quello che: si presenta bene , profuma di buono, ha diverse consistenze tattili e gustative, è equilibrato nei sapori ed ha alle sue spalle una storia od una tradizione che possa essere raccontata. Una ricettina sfiziosa pronta in quindici minuti?
Mi viene in mente un pesto fatto con mandorle con la pelle, olio extravergine ed un pizzico di sale, aggiungo poi delle foglie di sedano fresche lavate ed asciugate. Lesso della pasta in acqua, sale ed alloro. A cottura ultimata condisco la pasta con il pesto fresco ed aggiungo cucchiaiate di ricotta fresca precedentemente lavorata con scorza di limone grattugiata ed una macinata di pepe. Buon appetito!
Sergio Barzetti, il Mister Alloro della «Prova del cuoco» di RAI 1, il prossimo sabato pomeriggio terrà una frizzante lezione di cucina presso il Centro Shopping Serfontana.
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Idee e acquisti per la settimana
Sono arrivati i primi formaggi d’alpe ticinesi DOP
Giovanni Barberis
Gli amanti dei più genuini sapori del nostro territorio hanno di che rallegrarsi: ai banchi formaggio di Migros Ticino sono giunte le prime specialità prodotte quest’estate sui nostri alpeggi. Lasciatevi allora conquistare dalle delicate note aromatiche di erbe alpine delle varietà Prato, Camadra, Fortunei (nella foto), Fieudo e Manegorio. Tutte queste prelibatezze, per potersi fregiare del marchio a Denominazione di Origine Protetta, sono state prodotte sull’alpe da appassionati casari con l’impiego di latte crudo munto sul posto e, successivamente, lasciate stagionare per un periodo di almeno 60 giorni in quota. Nei prossimi giorni la gamma si arricchirà di una decina di altre tipicità delle nostre montagne e ve ne presenteremo alcune più dettagliatamente. Curiosità e consiglio d’assaggio: si ritiene che la flora alpina dei nostri alpeggi sia costituita da oltre cinquanta erbe aromatiche. Prima di gustare il formaggio d’alpe, il consiglio è di toglierlo dal frigorifero almeno mezzora prima di consumarlo affinché possa sviluppare al meglio tutte le sue sfumature aromatiche.
Il pane del campo di mais Pane del mese Durante tutto settembre
Il pane del mese del vostro reparto pane Migros di fiducia non poteva che essere un pane contenente granoturco, visto che il Ticino può vantare una lunga tradizione nella coltivazione di mais ed è proprio in questo periodo dell’anno che avviene il raccolto. Il pane campo di mais è un pane di frumento chiaro con granoturco e semi di girasole. Particolarmente aromatico, dalla forma allungata e con un taglio a strappo sulla sua lunghezza, sulla parte superiore è cosparso di invitanti granelli di mais. La crosta risulta di un bel colore dorato, mentre la mollica contiene anche semi di girasole che gli conferiscono un sa-
pore ancora più delicato. Grazie alle sue caratteristiche, il pane campo di mais è l’ideale accompagnamento a piatti salati a base di formaggi, affettati, salmone o insalate, come pure a colazione in abbinamento a burro e marmellata casalinga. Delle fettine leggermente tostate di pane campo di mais sono la base perfetta per la preparazione di fantastici stuzzichini da aperitivo o bruschette. Il pane campo di mais si conserva bene per più giorni se tenuto in un luogo asciutto in un sacchetto di lino o di cotone. Se conservato in un sacchetto di plastica, il pane perde le sue tipiche caratteristiche in breve tempo.
Pane Campo di Mais 300 g Fr. 2.30
Flavia Leuenberger
i nostri panettieri vi invitano ad assaggiare una bontà arricchita con granoturco
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Idee e acquisti per la settimana
Navigare gratis alla Migros Attualità Fare la spesa in modo facile e veloce grazie al WiFi gratuito
disponibile in tutti i negozi Migros «Utilizzo l’app della Migros già da tempo. È facile da utilizzare ed è molto utile per organizzare gli acquisti, visto che posso fare in anticipo la mia lista della spesa, vedere le azioni della settimana, le novità e, comodissimo, approfittare della carta Cumulus digitale e dei rispettivi buoni, nonché visionare gli scontrini di cassa e il totale dei miei punti. Se poi qualcosa non mi è chiaro chiedo a mia figlia Ludmilla, visto che è più ferrata di me con le nuove tecnologie (ride)» Chantal (42) e Ludmilla Cattani (9) di Quartino, presso la Migros di S. Antonino.
Giovanni Barberis
Visionare tutte le offerte del momento, beneficiare dei propri buoni Cumulus digitali, allestire la lista della spesa mentre si sorseggia un caffè al Ristorante Migros, oppure, come novità, pagare gli acquisti con il cellulare grazie alla nuova funzione «pagare con lo smartphone»: la dinamica ed efficiente app della Migros offre questo e molto di più. E se vi trovate in un nostro negozio potete usufruire di tutti questi servizi online gratuitamente e velocemente grazie alla connessione Migros WiFi. Il login va effettuato solo alla prima connessione seguendo le semplici istruzioni, successivamente il collegamento si attiva automaticamente in qualsiasi negozio Migros della Svizzera. Il servizio è offerto, oltre che nei supermercati Migros, anche nei negozi specializzati SportXX, Micasa, Do it + Garden, melectronics, come pure presso gli Activ Fitness. Al momento è esclusa la filiale di Migros Lugano causa ristrutturazione.
Top10 CD
Top10 DVD
Top10 Libri
1. The Kolors
1. Cattivissimo me 1+2+Stressball
1. E. L. James
Out
Grey, Mondadori
Animazione 2. Jovanotti
Lorenzo 2015 CC
2. Anna Todd 2. Fast & Furious 7
After, Sperling
V. Diesel, P. Walker / Novità 3. J-AX
Il bello d’esser brutti
La ragazza del treno, Piemme 4. Andrea Camilleri
4. Ligabue
5. Tiziano Ferro
Informazioni sui cambiamenti di prezzo
3. Paula Hawkins 3. Cenerentola
L. James, R. Madden / Novità Giro del mondo (2 CD+DVD)
Il barometro dei prezzi
4. Insurgent – The Divergent Series
S. Woodley, T. James
La giostra degli scambi, Sellerio 5. Giorgio Faletti
Migros riduce il prezzo di diversi oli d’oliva. A causa del cattivo raccolto, dallo scorso mese di gennaio diversi oli d’oliva erano rincarati. Grazie alla situazione favorevole sul mercato valutario ora la clientela può nuova-
mente approfittare di prezzi più vantaggiosi per l’olio d’oliva bio e altri articoli delle marche M-Classic, Sélection, Monini, Don Pablo e Alexis. Mediamente, la riduzione è nell’ordine dell’11 per cento.
La piuma, Baldini
Best of 5. Home – A Casa 6. Marco Mengoni
Animazione
6. John Green
La citta di carta, Rizzoli / Novità
Parole in circolo 6. Focus – Niente è come sembra 7. Il Volo
W. Smith, M. Robbie
Sanremo grande amore 7. Ma che bella sorpresa 8. Eros Ramazzotti
8. Marcello Simoni 8. Cinquanta sfumature di grigio
L’abbazia dei cento delitti, Newton
D. Johnson, J. Dornan
V (nuova edizione)
9. Sveva Casati Modignani 9. Dracula Untold
10. Muse
Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi
C. Bisio, F. Matano
Perfetto 9. Maroon 5
7. Carlo Rovelli
La vigna di Angelica, Sperling
L. Evans, S. Gadon
Drones
Alcuni esempi:
Prezzo vecchio in Fr.
Nuovo in Fr.
in %
10. Glenn Cooper 10. Guardiani della galassia
B. Cooper, V. Diesel
La porta delle tenebre, Nord
Don Pablo Olio d’oliva Extra, 500 ml M-Classic Olio d’oliva, 1l Alexis Olio d’oliva greco, 750 ml Sélection Olio d’oliva ita. extrav., 250 ml Monini Olio Toscano I.G.P., 500 ml Bio Olio d’oliva italiano, 500 ml
6.20 8.90 10.50 12.80 17.50 9.50
5.60 7.20 9.50 10.40 13.50 8.90
–9,7 –19,1 –9,5 –18,8 –22,9 –6,3
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Tutti i prodotti Handymatic, a partire dall’acquisto di 2 prodotti (sale rigeneratore escluso), 1.20 di riduzione l’uno, per es. curalavastoviglie Supreme, 250 ml
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Idee e acquisti per la settimana
Oh!
Un gusto rinfrescante in più La linea di yogurt Oh! Yogurt Greek Style si arricchisce del nuovo aroma pesca-maracuja. Nonostante tutti gli yogurt di questo assortimento abbiano un contenuto di grassi di solo 0,1 percento, il loro gusto è particolarmente cremoso. Inoltre, sono una preziosa e cospicua fonte di proteine. Esse, infatti, si attestano all’8 percento nelle varietà alla frut-
ta e addirittura al 10 percento nel gusto Nature, vale a dire circa il doppio delle proteine contenute nei comuni yogurt. Il gusto Nature non è zuccherato. Le varietà fragola, mirtillo-vaniglia e pesca-maracuja sono composte da yogurt al naturale leggermente dolcificato, versato su una rifrescante massa fruttata da mescolare a piacimento prima di consumare.
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Idee e acquisti per la settimana
Prodotti lattieri
Il latte e la Migros stanno alla Svizzera come il campanaccio alla mucca. È ovvio, allora, che la Migros sostenga i contadini svizzeri e realizzi oltre il 99% dei suoi prodotti caseari con latte svizzero, praticamente imbattibile per qualità e sapore. Con i suoi alpeggi, la Svizzera è la terra da latte perfetta. Infatti, gran
Il miglior latte svizzero
parte delle superfici agricole sono costituite da prati e pascoli, che sono una fonte di cibo ideale per il bestiame. In questo modo le mucche svizzere assumono un’alimentazione meno energetica delle loro omologhe straniere, ma ciò si ripercuote positivamente sul sapore e sulla composizione del latte.
420’000
1
litri di latte venduti ogni giorno Una mucca fornisce circa 25 litri di latte al giorno Con essi si possono produrre 1,4 chili di burro oppure 2 litri di panna, 2,1 chili di formaggio Gruyère, 5,5 chili di quark o 25 chilogrammi di yogurt.
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Latte 1 aha! Latte 1l Fr. 1.90 2 Bio Latte intero UHT 1l Fr. 1.80 3 M-Budget Latte semi-scremato UHT 2l Fr. 1.95
1 milione di yogurt prodotti ogni giorno
Quark/Cottage Cheese 4 M-Budget Quark magro 500 g Fr. 1.25 5 M-Classic Cottage Cheese Nature 200 g Fr. 1.35
11
Dessert 6 M-Classic Quark lampone 125 g Fr. –.60 7 Farmer Yogurt cioccolato 225 g Fr. 2.– 8 Crema semolino classica 150 g Fr.1.10
9
3
Yogurt 9 M-Classic Yogurt Mocca 180 g Fr. –.55 10 Léger Yogurt Mirtillo 180 g Fr. –.60 11 Passion Yogurt Stracciatella 180 g Fr. –.90
2
14 4 5
45’000
6
litri di panna prodotti ogni giorno
8
La Migros sostiene il mercato del latte svizzero Essendo il maggior rivenditore al dettaglio della Svizzera, Migros ha anche il più ampio assortimento di prodotti lattiero-caseari elvetici: dai marchi M-Budget e M-Classic, alle gamme regionali come i Nostrani del Ticino, fino alla linea di fascia alta Sélection.
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Una piccola scelta dei 667 prodotti lattiero-caseari che gli stabilimenti Elsa della Migros realizzano con latte svizzero.
Bevande 12 Grande Caffè Macchiato 210 ml Fr. 1.50 13 Heidi Drink Cioccolato 330 ml Fr. 1.65 Panna 14 Valflora Panna intera UHT 500 ml Fr. 3.25
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Idee e acquisti per la settimana
Uva Bio
Appena colta Il caldo sole dell’estate li ha fatti crescere e maturare. Adesso è giunta l’ora di raccoglierli e di assaporarli subito. Appena colti, infatti, i grappoli d’uva sprigionano tutta la loro dolcezza Testo Jacqueline Vinzelberg; Foto e Styling Ruth Küng; Ricetta Lina Projer
La raccolta dell’uva da tavola si effettua a mano, in modo da non danneggiare la patina cerosa che la ricopre.
Assieme agli agrumi, l’uva è la frutta più richiesta. Essendo un puro prodotto della natura, la sua qualità dipende da diversi fattori, come le condizioni climatiche e la composizione del suolo. I chicchi dell’uva da tavola sono più grossi e più dolci di quelli ad uso enologico, ossia che vengono trasformati
in vino. I grappoli d’uva fresca hanno raspi verdi, cui sono appesi acini paffuti e dai colori vivaci. La loro buccia è ricoperta da una patina cerosa, la «pruina». Questo strato biancastro è il risultato dall’alternanza dell’aria fresca e umida della notte con quella più calda e secca
del giorno. Se questa patina si presenta intatta, significa che si è proceduto alla raccolta con delicatezza ed attenzione. La Migros propone diverse uve di produzione biologica. La qualità Uva Italia e quella bio senza semi provengono dalla Puglia. Altre varietà d’uva biologica sono proposte a livello regionale.
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Idee e acquisti per la settimana
Dolce, fragrante e amata da tempo immemorabile L’uva è un frutto molto antico. Alcune ricerche hanno dimostrato che circa 130 milioni di anni fa vitigni primordiali prosperavano addirittura in Groenlandia.
Torta all’uva e alla vaniglia Dessert per 8 persone Per 1 tortiera di ca. 24 cm Ø
I nostri antenati coltivavano la vite già oltre 5000 anni fa in Egitto. Si tratta di una delle piante domestiche più antiche dell’umanità.
Ingredienti Burro e farina per la tortiera e per spianare* 1 pasta sfoglia di 250 g* 1 baccello di vaniglia 1 dl di latte* 120 g di crème fraîche* 2 cucchiai di budino in polvere alla vaniglia da cuocere 2 uova piccole* 60 g di zucchero* 350 g di uva senza semi* 1 cucchiaio di mandorle a scaglie
Ogni anno vengono raccolte fino a 60 milioni di tonnellate di grappoli. Il 10 percento è costituito da uva da tavola, mentre il 5 percento va nella produzione di uva passa e l’85 percento viene trasformato in vini e liquori.
Preparazione 1. Spennellate la tortiera con il burro e spolveratela di farina. Spianate la pasta su poca farina in un tondo un po’ più grande della tortiera. Accomodate la sfoglia nella tortiera. Bucherellate il fondo con una forchetta e mettete in fresco.
L’uva è una dolce fonte energetica, poiché contiene preziose sostanze minerali e vitamine.
2. Scaldate il forno a 200 °C. Incidete il baccello di vaniglia per lungo e raschiate via i semini. Sbatteteli con il latte, la crème fraîche, il budino in polvere, le uova e lo zucchero. Distribuite l’uva sul fondo di pasta. Copritela con la crema. Cuocete la torta nella scanalatura più bassa del forno per 35-45 minuti. Sfornate la torta e lasciatela raffreddare. Dorate le scaglie di mandorle senza grassi e cospargetele sulla torta. Potete accompagnare la torta all’uva e alla vaniglia con panna montata alla vaniglia.
Fresca alla Migros
L’uva va colta matura, perché dopo la raccolta non matura più. Solo a quel punto gli acini sono dolci e aromatici. Se hanno un gusto acidulo significa che non sono completamente maturi.
Uve bio di diverse qualità
Tempo di preparazione ca. 15 minuti + cottura in forno 35-45 minuti + raffreddamento Per fetta ca. 5 g di proteine, 16 g di grassi, 29 g di carboidrati, 1200 kJ/280 kcal * Disponibili in qualità Bio.
Migros Bio è sinonimo di un’agricoltura in armonia con la natura. L’assortimento Bio annovera circa 1600 prodotti.
Parte di
Uva Italia
Le uve senza semi
È la varietà più comune di uva da tavola italiana. Tipico dei grossi acini compatti, di color verdognolo e giallo-oro, è il lieve sapore di moscato. La raccolta avviene da settembre ed ottobre.
Hanno acini più piccoli di quelle con i semi e una buccia più sottile. Sono inoltre più dolci, poiché contengono meno sostanze amare. In Italia la stagione della raccolta va da agosto ad ottobre.
Bio Uva Italia vaschetta da 500 g al prezzo del giorno
Bio Uva bianca senza semi in vaschetta da 500 g al prezzo del giorno
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Approfittatene!
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Carne secca dei Grigioni, affettata finemente Svizzera, 97 g
Gruyère piccante ca. 450 g, per 100 g
Farina bianca da 1 kg o da 4 x 1 kg, TerraSuisse per es. farina bianca, 1 kg
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Tutto il caffè in chicchi, 1 kg, UTZ per es. Boncampo
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Ali di pollo Optigal Svizzera, al kg, per es. al naturale
Crème dessert Tradition in conf. da 4, 4 x 175 g 20% di riduzione, per es. al caramello
Mini filetti di pollo Optigal Svizzera, imballati, per 100 g
Racks d’agnello Nuova Zelanda / Australia, imballati, per 100 g
Prosciutto cotto M-Classic, affettato finemente, in conf. da 2 Svizzera, 2 x 172 g
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3.60 invece di 4.90
3.90 invece di 4.90
8.30 invece di 10.40
2.– invece di 2.70
5.20 invece di 7.45
1.10 invece di 1.70
Prugne Svizzera, sciolte, al kg
Barbabietole intere cotte al vapore Anna’s Best o bio 20% di riduzione, per es. barbabietole, bio, al kg
Tutti i dolci e le torte nella varietà Foresta nera 20% di riduzione, per es. torta Foresta nera, 440 g
Filetto di pangasius, ASC Vietnam, per 100 g, fino al 5.9
Prosciutto crudo di Parma 20 mesi Alta Salumeria Italia, affettato in vaschetta, per 100 g
Spezzatino e arrosto spalla di maiale, TerraSuisse Svizzera, imballati, per 100 g
25%
20%
33%
33%
2.90 invece di 3.90
3.50 invece di 4.40
4.10 invece di 6.20
3.20 invece di 3.70
2.30 invece di 3.50
Pesche Percoche Italia, sciolte, al kg
Mele Gala Svizzera, nuovo raccolto, sciolte, al kg
Biscotti freschi nidi alle nocciole, amaretti alle nocciole o discoletti in conf. da 2 per es. nidi alle nocciole, 2 x 216 g
Burro bio o burro allo yogurt bio vaschetta o panetto da 200 g, –.50 di riduzione, per es. burro, panetto, 200 g
Aletta di manzo Svizzera, in conf. da ca. 800 g, per 100 g
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Tutti i biscotti Midor in sacchetto (prodotti Tradition esclusi), 20% di riduzione, per es. zampe d’orso, 380 g
Tutte le olive Migros Bio 20% di riduzione, per es. Kalamata, 150 g
Magdalenas al limone o marmorizzate M-Classic in conf. da 2 20% di riduzione, per es. marmorizzate, 2 x 225 g
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Idee e acquisti per la settimana
Extra Fit e Well
Frutta da spalmare, gustosa e leggera Se a colazione o per il brunch vi piace gustarvi una bella fetta di pane fresco spalmata di frutta, e per farlo preferite utilizzare la variante a contenuto ridotto di calorie, alla Migros scoprite la nuova marca Extra Fit & Well. Essa comprende quei prodotti che finora erano proposti sotto la linea Léger. Mentre la ricetta è rimasta immutata, quindi anche la qualità, la novità è costituita dal pratico coperchio «Easy open». Il nuovo vasetto si può così aprire senza nessuna fatica.
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L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche le confetture di frutta di Extra Fit & Well.
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Idee e acquisti per la settimana
Agnello d’Alpe
Costolette d’agnello alle erbe con insalata di fagiolini
Tenero come il burro
Piatto principale per 4 persone
La pregiata carne d’agnello d’alpe è una vera prelibatezza, il cui gusto incomparabile non è apprezzato solo dai palati fini. In queste settimane la Migros propone la migliore carne d’agnello, mentre noi vi proponiamo tre modi per cucinarla Testo Sonja Leissing; Foto e Styling Veronika Studer; Ricette Katrin Klaus
Ingredienti 100 g di nocciole 800 g di fagiolini verdi 1 cipolla grossa 2 spicchi d’aglio 6 cucchiai d’olio di girasole 2 cucchiai d’aceto alle erbe sale, pepe 1 mazzetto d’erbe miste, ad es. prezzemolo, basilico, erba cipollina alcuni fiori di lavanda 16 costolette d’agnello Preparazione 1. Tostate le nocciole in una padella senza aggiungere grassi. Estraetele e tritatele grossolanamente. Lessate i fagiolini in acqua bollente per ca. 15 minuti. Scolateli, tuffateli in acqua ghiacciata e fateli sgocciolare bene.
Pasticcio d’agnello con mirtilli Piatto principale per 4 persone Per 4 pirofiline da 4 dl Ingredienti 900 g di spezzatino d’agnello sale, pepe 4 cucchiai d’olio di colza HOLL 1 cipolla 2 spicchi d’aglio 2 cucchiai di concentrato di pomodoro ca. 5 dl di brodo di verdura 1 mazzetto d’erbe, ad es. rosmarino, timo 1 pasta sfoglia rettangolare già spianata di 320 g 150 g di mirtilli Preparazione 1. Condite la carne con sale e pepe e rosolatela, poco per volta, in poco olio per ca. 6 minuti. Tritate finemente la cipolla e l’aglio e aggiungeteli con il concentrato di pomodoro alla carne. Mescolate finché il concentrato diventa marroncino. Sfumate con il brodo. Aggiungete le foglie delle erbe aromatiche, mettete il coperchio e fate stufare la carne per ca. 70 minuti a fuoco medio-basso. Condite con sale e pepe. Lasciate raffreddare.
Tritate finemente la cipolla e l’aglio. Soffriggeteli in 2/3 dell’olio. Unite l’aceto e versate tutto sui fagiolini. Condite con sale e pepe. Cospargete le nocciole sui fagiolini. 2. Tritate finemente le erbe e mescolatele con i fiori di lavanda in un piatto piano. Condite la carne con sale e pepe. Rosolatela nell’olio rimasto, poco per volta, ca. 3 minuti per lato. Estraete le costolette dalla padella e passatele nel trito d’erbe. Servite la carne con l’insalata di fagiolini. Tempo di preparazione ca. 45 minuti. Per persona ca. 47 g di proteine, 63 g di grassi, 11 g di carboidrati, 3350 kJ/800 kcal.
Qualche notizia sulla carne d’agnello Estate sull’alpe Gli agnelli degli alpeggi hanno tra i 6 e i 7 mesi e trascorrono l’estate con le loro madri. La carne degli animali che superano questa età non ha più la denominazione di agnello, ma di pecora. Scetticismo fuori luogo Un tempo – per motivi finanziari – si preferiva la carne di animali più vecchi, dato che quella d’agnello era in genere più cara. Tuttavia, poiché la carne di pecora ha un sapore piuttosto pronunciato, che non tutti sopportano, in alcuni consumatori permane ancora dello scetticismo anche nei confronti dell’agnello. Un pregiudizio infondato, visto che questo «sapore di montone» si sviluppa solo negli animali molto vecchi, prevalentemente di sesso maschile. Raccomandata La carne d’agnello contiene molte pregiate proteine, vitamine e oligoelementi. Si può preparare in molti modi ed è consigliata per una dieta equilibrata.
2. Scaldate il forno a 200 °C. Tagliate la pasta sfoglia in quattro. Mescolate la carne con i mirtilli. Distribuite il composto nelle pirofiline. Inumidite il bordo con poca acqua. Accomodate 1 pezzo di sfoglia su ogni pirofilina e premetelo sul bordo. Cuocete i pasticci al centro del forno per 20-25 minuti. Sfornateli e serviteli subito. Accompagnateli con un’insalata. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + cottura ca. 70 minuti. Per persona ca. 57 g di proteine, 38 g di grassi, 37 g di carboidrati, 2300 kJ/710 kcal.
Gli agnelli d’alpe TerraSuisse provengono da fattorie IP-Suisse e trascorrono l’estate sugli alpeggi svizzeri.
Parte di
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Idee e acquisti per la settimana
Gigot glassato al miele Piatto principale per 4 persone Ingredienti 4 spicchi d’aglio 1 cosciotto d’agnello (gigot) di ca. 900 g sale, pepe 2 cucchiai d’olio d’oliva 1 cipolla 3 carote 1 gambo di sedano, ca. 450 g 2 dl di brodo di verdura 4 cucchiai di miele, ad es. miele di rosmarino 1 cucchiaio di salsa di soia Preparazione 1. Dividete ogni spicchio d’aglio in quattro. Praticate sul cosciotto dei tagli a distanza regolare e in ognuno inserite un pezzetto d’aglio. Condite la carne con sale e pepe. Rosolatela bene nell’olio per ca. 10 minuti. Trasferite la carne in una teglia da forno. Scaldate il forno a 180 °C. Tagliate a pezzettini la cipolla, le carote e il gambo di sedano e fate soffriggere il tutto per ca. 5 minuti. Sfumate con poco brodo e versate sulla carne. Cuocete il cosciotto
in forno per ca. 40 minuti, bagnandolo regolarmente con il brodo rimasto e il sughetto formatosi nella teglia. 2. Mescolate il miele con la salsa di soia. Alzate la temperatura del forno a 220 °C. Spennellate il cosciotto più volte con la salsa di soia e miele. Proseguite la cottura per ca. 15-20 minuti. Sfornate il cosciotto e lasciatelo riposare per ca. 5 minuti. Tagliate la carne e servitela con le verdure e il sughetto. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + cottura in forno ca. 40 minuti Per persona ca. 47 g di proteine, 29 g di grassi, 19 g di carboidrati, 2200 kJ/520 kcal
TerraSuisse Agnello d’alpe Spezzatino con l’osso* 100 g Fr. 2.–
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TerraSuisse Agnello d’alpe Arrosto di spalla* 100 g Fr. 3.20
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Idee e acquisti per la settimana
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 31 agosto 2015 ¶ N. 36
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Idee e acquisti per la settimana
aha!
Naturalmente senza glutine Gli alimenti senza glutine esigono standard molto severi in fase di lavorazione. Come dimostra l’esempio del pane aha!
aha! Spaghetti 500g Fr. 3.90
aha! Penne 500g Fr. 3.90
aha! Fior di pane, surgelato 400g Fr. 5.90
aha! Weggli, surgelati 4 x 75 g Fr. 6.90
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aha! Mini-Cake Citron 200g Fr. 4.50
Testo Claudia Schmidt; Illustrazioni Larissa Bertonasco
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3 1 Nel campo Mais e riso, principali ingredienti di molti prodotti privi di glutine, vengono seminati e coltivati in terreni isolati. Infatti, non possono entrare in contatto con cereali contenenti il glutine. La stessa cosa vale per i macchinari impiegati per il raccolto. E anche il trasporto al mulino avviene in speciali contenitori.
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2 Al mulino Mais e riso vengono macinati in appositi mulini, in modo da evitare qualsiasi contaminazione con granaglie contenenti glutine. 3 Nel centro senza glutine La ricetta del pane senza glutine richiede una lavorazione complicata. Si tratta di sostituire con ingredienti alternativi il glutine, che fornisce la tipica struttura del pane prodotto in modo convenzionale. 4 Nel panificio senza glutine La forma del Fior di pane viene precotta e congelata nel panificio di Huttwil (BE), in cui è completamente assente il glutine. La completa tracciabilità di tutti gli ingredienti è garantita. Il Fior di pane è certificato con il sigillo di qualità aha! ed è raccomandato dal Centro Allergie Svizzera. 5 A casa Affinché il pane non venga mai a contatto con del glutine, bisogna cuocerlo nel forno di casa avvolto nell’apposita carta. Si ottiene così un pane soffice all’interno e croccante all’esterno proprio come quello convenzionale.
L’etichetta aha! certifica prodotti particolarmente indicati anche per soggetti che soffrono di intolleranze e allergie. Parte di aha! Pane Rustico 300g Fr. 3.50
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Idee e acquisti per la settimana
Offerta speciale 20X Punti Cumulus dal 1° al 14 settembre Freylini Classic 180 g Fr. 5.50
Freylini Special 180 g Fr. 5.50
Quale colore mangiamo? I sopraffini Freylini addolciscono la serata in compagnia davanti alla TV.
Freylini
Per dolci momenti in compagnia Alcune prelibatezze di stagione come gli ovetti e le palline stellate non si vorrebbero assaporare solo a Pasqua o a Natale. I due classici di Frey sono proposti ora nel nuovo formato della linea Freylini. Le varietà Hazelnut Crunch,
Mocca, Praline & Nuts come pure Hazelnut Cream sono confezionate nello stesso imballaggio dai colori vivaci dei cioccolatini a cui si ispirano. Inoltre, l’assortimento è stato completato con la confezione Special Mix contenente
le varietà Brownie, Milk & Crunchy Nuts, Nougat Crisp e Vanilla Crunchy Almond. E siccome le cose buone sono ancora più buone se si mangiano in compagnia, i Freylini sono proposti nella pratica sharing-box.
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i Freylini.
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Idee e acquisti per la settimana
Candida
L’efficacia del risciacquo «Lavare, strofinare, sciacquare»: sono le tre regole d’oro dell’igiene orale quotidiana. Tra queste, il regolare risciacquo della bocca con il collutorio è particolarmente importante per coloro che hanno difficoltà con il filo interdentale.
Un collutorio con l’estratto di curcuma, particolarmente delicato e rigenerante per le gengive infiammate. Questo fluido privo di alcool e coloranti non scolora i denti, poiché non contiene clorexidina. Candida Parodin Professional Dental Fluid 400 ml Fr. 5.–
I fluidi dentali di Candida apportano un importante contributo all’igiene della bocca e dei denti. Tutti i prodotti contengono fluoruri che rafforzano lo smalto dentale e inibiscono la formazione della placca.
Un fluido tuttofare è raccomandato per una prevenzione dentale di lunga durata per tutta la famiglia. Inibisce la formazione della placca durante tutto il giorno, protegge dalla carie, previene la formazione del tartaro, rafforza lo smalto, è privo di alcool e coloranti ed assicura un alito fresco.
Il collutorio extra forte con fluoro non assicura solo un alito fresco, ma protegge anche i denti e le gengive, rafforzando nel contempo lo smalto. Candida Ultra Strong Dental Fluid 500 ml Fr. 4.80
Il fluido per l’igiene orale particolarmente delicato è concepito per denti e colletti sensibili. Usandolo regolarmente, le speciali sostanze riducono la sensibilità dei denti. Il collutorio è privo di alcool e coloranti. Candida Sensitive Plus Dental Fluid 400 ml Fr. 5.–
Candida Multicare 7 in 1 Dental Fluid 500 ml Fr. 5.–
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali anche i collutori Candida.