Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 16 novembre 2015
Azione 47
Società e Territorio Bambini in movimento con il progetto OpenSunday
Ambiente e Benessere Le malattie da mismatch evolutivo in un interessante studio del paleoantropologo professore di Harvard Daniel E. Lieberman
Politica e Economia Cina-Taiwan, storica stretta di mano
Cultura e Spettacoli Grandi nomi per una città viva: una bella mostra d’arte a Villa Olmo a Como
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Stefano Spinelli
Studenti in onda
di Guido Grilli pagina 5
L’abbraccio di Toni Brunner di Peter Schiesser Si può essere lusingati dal fatto che il presidente dell’UDC pensi al Ticino e proponga il consigliere di Stato Norman Gobbi per la carica di consigliere federale. E si può ben comprendere che UDC e Lega non vogliano farsi sfuggire l’occasione di dimostrare di avere un formato nazionale, cercando di coagulare un consenso cantonale, facendo di Gobbi il candidato di tutto il Ticino. Ma che cosa significa e comporta questa candidatura calata dall’alto? Norman Gobbi ha concrete possibilità di essere eletto? Lo deciderà prima di tutto il gruppo parlamentare dell’UDC alle Camere, che stabilirà se candidare una, due o tre persone, quindi di seguire o meno l’invito di Toni Brunner. Probabilmente, i parlamentari UDC non vorranno smentire il loro presidente, visto che anche Blocher sostiene apertamente un ticket a tre. Poi ci sarà l’esame da parte degli altri partiti e il 9 dicembre l’elezione. La battaglia sarà aspra, sia i concorrenti interni, sia gli avversari esterni daranno del filo da torcere a Gobbi, anche la stampa (nazionale) gli farà le pulci, come ha già cominciato a fare il «Blick» ricordando quando Gobbi
sbeffeggiò un giocatore di colore dell’Hockey Club Lugano. Ma per la sua eleggibilità conterà soprattutto come gli esponenti degli altri partiti giudicheranno le sue posizioni e le sue azioni politiche, in particolare nei rapporti con l’Italia, importante partner della Svizzera. Il blocco dei ristorni fiscali dei frontalieri, gli ostacoli frapposti a un’intesa con Roma nei negoziati in corso, ma anche la sua posizione sugli Accordi bilaterali con l’UE e sulla partecipazione allo Spazio di Schengen, saranno valutati criticamente. Norman Gobbi ha la stoffa per occupare il massimo ruolo istituzionale svizzero? Una risposta certa la si potrebbe avere solo osservandone l’operato una volta in carica, ma è utile ricordare quanto dichiarato da Blocher (CdT, 11.11.2015): serve una persona solida, perché dovrà far fronte a un’opposizione forte, in governo e nel dipartimento. La Berna federale può soffocare le migliori intenzioni ed energie, se n’è accorto anche Blocher. Al di là delle possibilità di Gobbi, la Lega dei Ticinesi dovrebbe comunque porsi qualche interrogativo sul significato e le conseguenze di questo abbraccio dell’UDC nazionale. La mossa di Toni Brunner è perfetta: l’UDC dimostra, a chi l’accusa di essere
sostanzialmente svizzero-tedesca, di essere radicata in tutte le regioni linguistiche e ai ticinesi di essere l’unico partito nazionale che tiene in considerazione i problemi del Ticino, non più rappresentato in Consiglio federale da 16 anni e vittima di una crisi economica acuita (nella percezione popolare) dalla libera circolazione. Lega e UDC non considerano una contraddizione o un problema che Gobbi in Ticino sia un ministro leghista e a Berna un consigliere federale UDC, e questo indica che le posizioni fondamentali dei due partiti sono molto simili. Tant’è vero che Toni Brunner immagina a lungo termine una fusione dei due partiti in Ticino. Per la Lega, per la sua identità, questo abbraccio potrebbe quindi rivelarsi problematico, visto che l’UDC anche in Ticino riscontra crescenti consensi e potrebbe togliere voti alla Lega. E per il Ticino la candidatura Gobbi che cosa comporta? Se venisse eletto dovremmo ammettere di aver ottenuto un consigliere federale per grazia ricevuta, senza aver costruito una candidatura in casa propria. Se non venisse eletto, ciò potrebbe indirettamente favorire Filippo Lombardi alla prossima occasione: se l’UDC proporrà un ticket a tre, difficilmente il PPD potrà non fare altrettanto.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Attualità Migros
M Premiato lo studio sulle Confraternite
L’agenzia postale di Migros Boffalora
Ricerca Assegnato a Davide Adamoli il Premio di Migros Ticino
offre ora un nuovo servizio al suo quartiere
2015 per ricerche di storia della Svizzera italiana È stata presentata mercoledì 11 novembre al Liceo diocesano di Breganzona l’opera storica di Davide Adamoli Le Confraternite della Svizzera italiana, edizioni Ritter di Lugano. La ricerca traccia la storia delle oltre 1155 confraternite ticinesi, ripercorrendone lo sviluppo sull’arco di sette-otto secoli, dal Medioevo fino al presente. Ne emerge una realtà assai composita, il cui elemento centrale è costituito dal fine religioso. L’autore inserisce la tematica nel più ampio complesso delle relazioni umane e sociali, evidenziando le implicazioni e le ricadute, a volte importanti, che queste istituzioni hanno avuto sulla
vita civile, e soffermandosi inoltre sulle differenze fra le realtà urbane e le campagne. Il lavoro, corposo e dettagliato, è frutto di una ricerca molto approfondita e minuziosa ed è corredato da un notevole apporto iconografico, raccolto in centinaia di archivi privati e pubblici. Grazie all’ampiezza dei materiali indagati, la ricerca ha il pregio di valorizzare un’imponente massa di documenti conservati negli archivi ticinesi, che fino ad oggi aveva raramente suscitato un vero interesse, se non per ricerche di storia dell’arte locale, o nell’ambito di studi su singole realtà locali. Oltre all’attenzione che non
Da sin.: l’editore Aristide Cavaliere, la Vicepresidente del Consiglio di amministrazione di Migros Ticino, Francesca Lepori Colombo, il Vescovo Valerio Lazzeri, lo studioso Davide Adamoli, il moderatore della serata Giuseppe Zois.
mancherà di sollecitare presso il pubblico, l’opera potrà quindi costituire una solida base per ulteriori ricerche, aprendo nuovi campi di interesse storico e culturale. Relatori dell’incontro di presentazione del lungo e documentato lavoro sono stati il vescovo Valerio Lazzeri, il prof. Danilo Zardin dell’Università Cattolica di Milano, la vice-presidente del Consiglio di amministrazione di Migros Ticino, Francesca Lepori Colombo, il prof. Carlo Agliati per la giuria, e l’editore Aristide Cavaliere. Il Fondo per ricerche di storia locale e regionale della Svizzera italiana è stato istituito dalla Cooperativa Migros Ticino nel 1983, in occasione del suo 50mo anniversario. Mediante l’attribuzione, biennale, del Premio l’azienda vuole favorire la ricerca e la pubblicazione di opere su argomenti di carattere storico, artistico o etnografico relativi a una località o a una regione della Svizzera italiana. I lavori in concorso per questa sedicesima edizione sono stati più di trenta, mentre sono una ventina i ricercatori premiati fino ad oggi. La giuria di valutazione è formata dal Dr. Carlo Agliati (presidente), dal Dr. Giuseppe Chiesi, dal Dr. Franco Lurà, dalla Dr. Lucia Pedrini Stanga, dalla Dr. Yvonne Pesenti Salazar e dal Prof. Dr. Angelo Rossi. Nelle prossime settimane altre presentazioni del libro sono previste: il 17/11 alle 20.00 nella Sala della Nunziatura di Balerna; il 19/11 alle 21.30 nell’Oratorio di Lamone; il 24/11 alle 20.15 nella casa S. Giuseppe di Biasca; il 26/11 alle 20.00 nella Sala parrocchiale di Giubiasco; il 2/12 alle 20.00 nell’Oratorio di Minusio.
Filiali Il supermercato di Chiasso
Dopo le positive esperienze di Melano e Mendrisio, inaugurate rispettivamente in maggio ed ottobre 2015, la Posta e Migros Ticino rinnovano la collaborazione per offrire una interessante soluzione, grazie alla quale i clienti possono beneficiare di una prestazione competente per i molteplici prodotti e servizi proposti dai due partner. L’agenzia postale trova spazio all’entrata della filiale Migros del quartiere di Boffalora e si avvale della collaborazione con il personale del supermercato, che conta 13 collaboratori sotto la guida del gerente Paolo Calatti. Il team Migros di Boffalora, appositamente formato nonché soggetto al segreto postale, accoglierà i clienti dell’agenzia postale presso un bancone di servizio dedicato e li accompagnerà nelle loro operazioni postali quotidiane, che ricoprono la gamma delle principali prestazioni d’utilizzo quotidiano, quali: l’invio di lettere e pacchi in Svizzera e all’estero, il ritiro di invii avvisati (eccezion fatta per atti esecutivi, pagamenti e rimborsi, o invii soggetti a tasse, che potranno essere ritirati all’ufficio postale di Chiasso 1) e l’acquisto di francobolli. Con la PostFinance Card e le carte Maestro è inoltre possibile effettuare pagamenti del servizio interno, mentre con la PostFinance Card – come peraltro già è fattibile in tutte le filiali Migros – sono possibili prelievi in contanti in franchi. L’offerta postale va così ad aggiungersi all’ampia selezione di prodotti presente nel supermercato Migros Boffalora, che propone un assortimento alimentare e non, orientato alle necessità quotidiane e focalizzato sui prodot-
L’agenzia postale con bancone di servizio. (Posta CH SA )
ti freschi. Grazie a questa collaborazione la clientela potrà inoltre beneficiare degli orari d’apertura particolarmente attraenti della filiale Migros (lunedì-sabato dalle 8.00 alle 19.00), di un accesso agli spazi abilitato anche a persone con difficoltà motorie, continuando a contare su una presenza fisica della Posta nel quartiere di Boffalora. Qui, come a Mendrisio, l’agenzia sarà organizzata secondo una formula commisurata al contesto cittadino. La Posta ritiene che la nuova organizzazione dei servizi a Chiasso risponderà in modo ottimale alle necessità dei clienti e della popolazione della regione; non da ultimo, l’ufficio postale di Chiasso 1 conta da inizio novembre di due ulteriori sportelli a disposizione. Grazie alla nuova agenzia, inoltre, l’accessibilità ai servizi postali a Boffalora passa da 45 a 66 ore settimanali.
Quando il docente è di casa Scuola Club Migros Ticino Conversazione con Maria Luisa De Paris, da 27 anni insegnante
di Ginnastica dolce e Ginnastica per la schiena Nicoletta Mongini «Sono sempre arrivata per caso agli appuntamenti della vita e così mi è successo con la mia prima supplenza alla Scuola Club». Esordisce così Maria Luisa De Paris, un’affascinante e atletica signora che, dal 1988, insegna ginnastica dolce e ginnastica per la schiena alla Scuola Club Migros Ticino. «Il mio sogno giovanile era il ballo ma, poiché la famiglia non condivideva questi obiettivi, ho ripiegato sull’aerobica che mi sembrava un buon compromesso. Ero sempre stata attratta anche dalla ginnastica dolce e per la schiena, ma ne avevo la percezione sbagliata, mi sembrava una disciplina per chi non è più giovane o ha problemi fisici. Poi la prima formazione della Scuola Club con la collega Rosa Minotti mi ha aperto un mondo: ho compreso la differenza di essere docente di allievi che desiderano prendersi cura di sé, non per l’età avanzata o per malattia, ma semplicemente per volersi bene. Il pubblico stesso è cambiato. Se in passato la ginnastica per la schie-
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
na si faceva per l’ernia al disco, spesso provocata dal peso del lavoro fisico, oggi ci si avvicina per lo stress, l’ansia o la tensione dei nuovi stili di vita e ritmi di lavoro, che non sempre sono di facile gestione». Ma, guardando la sua esperienza dalla cattedra dell’insegnante, cos’è per Maria Luisa de Paris la Scuola Club? «Sono quei posti di lavoro che viaggiano paralleli alla tua vita, la accompagnano. C’è un continuo scambio tra quello che hai fuori e quello che trovi lì, ogni giorno». In 27 anni di lavoro alla Scuola Club i cambiamenti sono stati molti: «Innanzi tutto, la percezione della Scuola Club in Ticino» afferma la docente. «C’è voluto un po’ di tempo per acquisire la credibilità che oggi ci distingue e che ci fa essere il primo ente di formazione per adulti. Anche i cambiamenti organizzativi sono stati significativi: quando sono arrivata, il personale gestiva i corsi al telefono. Con i primi computer le mie allieve temevano si perdesse il contatto umano e il senso di appartenenza tanto caro a Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
tutte. Ora, anche con le lavagne multimediali, la scuola è ultra moderna ma conserva la sua anima». Va considerato, tra l’altro, che la Scuola ricopre per lei anche un ruolo molto particolare: «La Scuola Club mi ha permesso di imparare tanto, sia da un punto di vista tecnico, offrendomi opportunità di formazione e di aggiornamento continuo, sia per la mia vita,
per la ricchezza che vi ho trovato e per il costante e continuo scambio con allievi e docenti. Oggi mi offre dunque l’opportunità di mostrare il risultato di quanto ho ricevuto». Questo è un punto molto interessante della nostra conversazione, che chiarisce in che modo la Scuola abbia influito sulla vita della docente: «Grazie a mio figlio Jean Luc e alla mia espe-
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
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rienza è nato il progetto PsicoArmonia, destinato alle persone che non riescono a muovere il proprio corpo in modo naturale perché frenate da motivi psicologici o da cure che ne rallentano i movimenti. Ho voluto mantenere la promessa fatta a mio figlio di condividere questa nostra esperienza con altri: da qui il progetto che viene già applicato alla Scuola specializzata per le professioni sanitarie e sociali di Giubiasco e che verrà inserito in alcune formazioni professionali che la Scuola Club destina a operatori del settore sanitario e del settore benessere». Avendo vissuto l’esperienza di insegnamento anche in altri contesti, Maria Luisa De Paris può spiegare con chiarezza cosa distingua la Scuola Club da altre strutture. «Ho allievi che mi seguono da 27 anni, siamo cresciuti insieme: noi, i corsi, le tecniche, la didattica e i bisogni del pubblico. Alla Scuola Club ti chiamano per nome. Stai in classe un’ora alla volta e ognuno si porta a casa la sua esperienza ma ti lascia una parte di sé». Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Le radio studentesche Nel web i ragazzi dei licei di Mendrisio e Lugano sono speaker, redattori e animatori di tre reti radiofoniche
Agiamo Insieme La quarta edizione del progetto creato dalla Camera di Commercio ticinese in collaborazione con l’Ufficio AI ha premiato quattro aziende attente al reinserimento professionale
I giovani e la rivoluzione touch Intervista all’antropologo Fabrizio Sabelli sui cambiamenti che l’era digitale ha portato nelle nostre menti e nel contesto educativo pagina 8
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L’appuntamento è la domenica pomeriggio in palestra per praticare attività motorie, socializzare e divertirsi insieme. (IdéeSport)
Dalla piazza alla palestra Bambini in movimento OpenSunday è un progetto della fondazione IdéeSport in collaborazione con i Comuni Paola Bernasconi La palestra come spazio per giocare, socializzare o semplicemente trascorrere la domenica pomeriggio con gli amichetti. OpenSunday è un progetto di IdéeSport, gratuito e rivolto ai bambini dai 6 agli 11 anni. Perché in molti pensano agli adolescenti, a come far fare loro moto e a dar loro un luogo di aggregazione, ma la necessità si avverte anche per i bambini. «Tutti concordano sul fatto che si deve fare qualcosa per i giovani, però in pochi pensano che la problematica tocca anche i più piccoli», ci spiega Raffaella Solari, responsabile del programma OpenSunday per la Svizzera italiana. «C’è l’idea che i bambini, che durante la settimana svolgono già molte attività extrascolastiche, almeno la domenica debbano rimanere con i genitori. Ci si dimentica del fatto, però, che spesso adulti e figli svolgono ognuno le proprie attività. OpenSunday è quello che 20 anni fa era la piazza del paese, dove i bambini si incontravano, si muovevano, giocavano: è qualcosa di naturale e integrato nella vita di una comunità». In Ticino sono attivi tre progetti e l’iniziativa coinvolge Lamone, Cadempino, Gravesano, Manno, TorricellaTaverne, Locarno e Lugano. «Abbiamo
avuto sei progetti, di cui tre poi hanno chiuso. I problemi sono di tipo economico, prima di tutto. Nella fase pilota la Fondazione IdéeSport si assume buona parte dei costi attraverso la ricerca fondi, in seguito, dalla terza stagione, i costi sono a carico dei comuni coinvolti. E poi, come detto, manca la visione. Si pensa che i bambini facciano già sport, invece molte famiglie non possono permetterselo o, per i motivi più svariati, non sono propense a incoraggiare i loro figli a praticare attività motorie», prosegue Solari. Come viene organizzato un pomeriggio in palestra? Per ogni OpenSunday c’è un team, composto da due responsabili di pomeriggio, da due senior coach e da 8-10 junior coach, ragazzi e ragazze che hanno voglia di dare una mano. Fra loro c’è Dragana, 17 anni, che ormai da quattro stagioni svolge questo ruolo ed ora è a Lamone-Cadempino. «Un domani mi piacerebbe fare l’operatrice sanitaria, e presentarsi alla scuola con degli attestati che dicono che ho già avuto esperienza è positivo. Inoltre mi piace molto stare con i bambini, mi rigenera, in un certo senso mi fa tornare bambina». Il loro compito è «avere la massima sorveglianza sui bambini, farli divertire il più possibile, sedare eventuali litigi, preparare dei
giochi che li entusiasmino. Per esempio, per i maschietti lasciamo sempre la metà campo dedicata al calcio, senza quello non vivono…». Reclutare il personale, racconta Raffaella Solari, non è difficile. «Per trovare i capo progetto si fanno delle inserzioni: si richiedono competenze pedagogiche, sportive o nel sociale. I senior coach vengono contattati di solito attraverso le associazioni sportive, mentre i junior coach, una volta iniziato, spesso da molto giovani, continuano l’esperienza nel tempo, segno che a loro piace. Vengono condotti anche dei corsi di formazione, con cinque moduli: tra cui uno per mostrare al team come funziona il lavoro pratico in palestra, poi altri con formatori che conoscono bene la nostra realtà, spesso orientati su problematiche specifiche al gruppo. Moduli specifici per i responsabili di pomeriggio e per i senior coach sono poi organizzati annualmente». A Molino Nuovo la capo progetto è Emanuela Faedo. «È il quarto anno in cui lavoro per OpenSunday. Il mio compito è mantenere i rapporti con IdéeSport e con il custode della scuola, dunque aspetti organizzativi che si sommano a quelli in palestra». La domenica, solitamente i bambini che si recano in palestra sono dai 30 ai
40, ma vi sono stati picchi anche di 50 presenze. L’incognita, ammette Emanuela, è di non sapere sino all’ultimo quanti saranno i bambini che si presenteranno. Chi sono i piccoli che scelgono OpenSunday? «Non per forza hanno genitori che lavorano, ma piuttosto che rimanere a casa preferiscono venire in palestra, è un po’ come andare al parco, avere un luogo dove incontrare gli amici». Molteplici sono sempre le attività proposte, ma raramente mirano alla competitività. Curiosa è l’area definita tranquilla, ovvero una parte dello spazio dove non si fa sport, bensì «si possono fare due chiacchiere con i coach, si gioca a carte, si disegna. Soprattutto i più piccoli cercano una pausa». Insomma, non per forza la palestra deve essere movimento: si può stare anche seduti, basta condividere ed essere insieme. «Solitamente sono sempre i soliti che vengono, anche se non tutti sono assidui», continua Emanuela Faedo. «Trovo che sia un’esperienza interessante anche per i junior coach, ho la fortuna di avere un gruppo molto interessato e abile con i bambini. Magari alcuni lavorano con me per alcuni anni, e li vedo crescere. È bello che qualcosa di pensato per i più piccoli possa essere utile anche a degli adolescenti».
Muoversi con i bambini insegna molto, e Dragana ce lo conferma, raccontando alcuni episodi, qualcuno piacevole, qualcuno meno, successi durante i suoi anni da junior coach. «Una grande soddisfazione è stata riuscire a far integrare una bambina down. Vedevo che stava sempre per conto suo, e allora ho chiesto ad un mio docente come fare per aiutarla. Con pazienza le ho fatto capire che può giocare tranquillamente con gli altri bambini, i quali l’hanno accettata». Un momento difficile è stato causato dal razzismo: «Nel gruppo c’era un bambino di colore, che per farsi notare commetteva sciocchezze. Un compagno lo ha insultato pesantemente. Abbiamo spiegato loro che non si può essere amici di tutti, ma che la base di OpenSunday è il rispetto verso gli altri». Episodi, per fortuna, rari. Emanuela Faedo di Molino Nuovo afferma di apprezzare «l’ambiente multiculturale, dove nonostante vi siano ragazzini di provenienze diverse collaborano bene fra loro». Di solito, si gioca e ci si diverte insieme. Se una volta il luogo per gli incontri domenicali era la piazza, ora ci si ritrova tutti in palestra, con la speranza di IdéeSport e della sua responsabile Raffaella Solari che presto altri comuni decidano di aderire.
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Società e Territorio
Le radio dei licei Nel web Hanno iniziato i ragazzi del liceo di Mendrisio ora la passione ha contagiato anche gli studenti di Lugano.
Ecco la storia e i protagonisti di Radio LiMe, Radio JungleCiani e Radio Cassìs Guido Grilli Cuffie, microfono, mixer, server e un pc. Così dall’aula di un liceo gli studenti diventano redattori, speaker e animatori di una radio digitale trasmessa sul web. Il loro linguaggio è spontaneo, informale, eppure non manca la cura per tempi, spazio, formato, secondo l’arte richiesta dall’antico mezzo di comunicazione che diffonde la creatività degli aspiranti giornalisti under 19 non più via etere bensì attraverso Internet. Come ascoltare gli studenti? Basta digitare sul proprio computer l’indirizzo www.nettune.ch e si approda nel sorprendente network chiamato Nettune e patrocinato da Radio Gwendalyn che raccoglie ben tre radio studentesche appartenenti ad altrettanti licei cantonali. Prima nata, tra frequenze online e streaming, è Radio LiMe, acronimo di Liceo Mendrisio ma che si pronuncia «laim», all’inglese. E da pochi mesi l’esperienza si è diffusa alle latitudini del Ceresio, conquistando il Liceo Lugano 1 che ha dato vita a Radio JungleCiani e il Liceo Lugano 2 a Savosa, che da qualche mese ha risposto presente fondando Radio Cassìs (già Radio Rock’o’Lin).
Nettune è il network patrocinato da Radio Gwendalyn che accoglie le tre reti studentesche: ogni prima domenica del mese realizzano insieme una «Puntatona» Le tre radio hanno soppiantato il classico giornalino studentesco? Nient’affatto. A questa tradizionale realtà cartacea si è affiancato un mezzo tecnologico più moderno che amplifica e nutre il desiderio e l’esigenza di comunicare, trasformandosi in una puntuale finestra sul e dall’universo giovanile. I temi in scaletta? Da quelli propri della fantastica giovinezza, tra difficoltà e incredibili risorse creative, a problematiche offerte dall’attualità, come le ultime elezioni federali o tematiche di più ampio respiro, quali le proposte per un mondo sostenibile, fino a rubriche decisamente più «leggere» sui giochi, la cucina, le proposte musicali e culturali. Parola ai protagonisti. Ed Hrabi, 18 anni, terza liceo, linguistico, uno dei tre caporedattori di Radio LiMe che conta la redazione più numerosa, formata da 25 studenti, ci dice: «Questo è
I ragazzi di Radio LiMe sono in onda tutti i giovedì alle 16.30. (Stefano Spinelli)
il mio quarto anno in cui partecipo a Radio LiMe, è un grosso impegno ma di grande interesse. Trasmettiamo la nostra diretta di mezz’ora da un’aula del liceo tutti i giovedì alle 16.30. Ogni prima domenica del mese da Radio Gwendalyn a Chiasso realizziamo la Puntatona di due, anche tre ore, che coinvolge i redattori di tutt’e tre le radio studentesche. In tutto siamo una cinquantina. Il tema dell’ultima puntata è stato lo sviluppo sostenibile». Ma come avviene la scelta dei contenuti delle puntate? «C’è un lavoro di redazione, ognuno svolge propri compiti, chi va al microfono, chi realizza rubriche, chi cura la cronaca sui giornali e propone di sviluppare un tema d’attualità. Affrontiamo anche temi riguardanti il nostro liceo, come è stato ad esempio un sondaggio sulla mensa scolastica. Radio LiMe ha assicurato la propria presenza anche alle giornate autogestite del nostro liceo». Lhayla Blendinger, 19 anni, quarta liceo, linguistico a Savosa è invece una delle caporedattrici sia di Radio Cassìs sia dell’associazione Analfabeti che raccoglie il network Nettune. «Sono
entrata a far parte del gruppo lo scorso febbraio, – racconta entusiasta – andiamo in onda ogni due lunedì, dalle 12.45 alle 13.30 con delle emissioni nelle quali parliamo spesso e volentieri a ruota libera o di temi di attualità. La mia redazione è composta da cinque ragazze, ognuna di noi ha il compito di produrre la propria rubrica che viene trasmessa durante la Puntatona mensile in comune con le altre radio. A Savosa esiste anche un giornalino, si chiama “Roccolino”, ma a differenza della radio è gestito interamente e risponde alla direzione, mentre noi, come radio, rispondiamo al network Nettune, quindi facciamo sì parte del liceo ma siamo più indipendenti». Con quale riscontro? «Radio Cassìs non è ancora molto conosciuta al liceo, essendo un progetto relativamente nuovo non ha ancora preso piede. Gli amici la conoscono ma pochi la seguono». Come è nato il nome della radio? «Prima ci chiamavamo Radio Rock’o’lin’. Nella redazione non eravamo tuttavia contente di questo nome e abbiamo deciso di cambiarlo in Radio Cassìs per un richiamo alle bacche e alle caramelle “Cassis” che aiutano la
gola, che è lo strumento della comunicazione radiofonica». Al liceo cittadino va invece in onda ogni due settimane, il venerdì, dalle 17.30 alle 18, Radio Jungle Ciani. Sabrina Scoletta è una delle caporedattrici di una redazione formata da dodici studenti. «Tutti noi abbiamo una rubrica, chi individuale chi a coppie, – spiega la portavoce – in totale vi sono otto rubriche mensili. Non ci limitiamo però a realizzare soltanto rubriche radiofoniche, bensì scriviamo anche recensioni su spettacoli ai quali partecipiamo, festival, album, singoli e molto altro». Tra le iniziative in cantiere, c’è l’idea di creare una collaborazione tra il giornalino del liceo cittadino, «Agorà» e la radio studentesca. Ma qual è il seguito del pubblico? «Direi che il riscontro è abbastanza buono, anche se sicuramente dovremmo farci un po’ più di pubblicità», risponde Sabrina, che osserva: «Raggiungere molti ascoltatori è qualcosa che dà molta soddisfazione. Come è nato il nome della radio? La storia è un po’ buffa. Cercavamo un nome nel quale vi fosse riportata una particolarità presente solo al nostro liceo, ma manca-
vamo un po’ di fantasia. Così abbiamo provato con diversi nomi, come “RadioDante”, dal busto del poeta presente nel corridoio principale, dove la maggioranza degli studenti si dà appuntamento la mattina e a mezzogiorno. O “RadioManzoni”, dato che fu studente al Lugano 1. Alla fine abbiamo pensato a quella “giungla” adiacente il nostro liceo, che durante i pranzi, le ore buche e il dopo scuola ci allieta e ci fa sentire liberi. Da qui quindi, Radio JungleCiani». Le tre radio studentesche fanno capo a Radio Gwendalyn, la nota webradio non-profit nata nel 2008. Il suo fondatore, Alan Alpenfelt, è lo stesso promotore, insieme a Herbert Pacton, di questi nuovi media liceali, che beneficiano del sostegno finanziario della Fondazione svizzera per la radio e la cultura, del Cantone e delle città di Mendrisio e Lugano. Per i giovani redattori, Alan Alpenfelt, rappresenta una «scuola» dal momento che in occasione delle Puntatone mensili impartisce loro i rudimenti della diretta. Tanto che alcuni di loro svelano un sogno per l’avvenire, uno fra i tanti: «Fare radio, come mestiere». Annuncio pubblicitario
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Società e Territorio
A favore del reinserimento Agiamo Insieme Sono stati consegnati la scorsa settimana i riconoscimenti assegnati dalla Camera di Commercio
e dall’Ufficio AI per i progetti di reintegrazione professionale
Barbara Manzoni «È il momento più intenso e bello della nostra attività annuale perché è quello che più scatena le emozioni», ha esordito così Luca Albertoni, direttore della Camera di Commercio dell’industria, dell’artigianato e dei servizi del Canton Ticino durante la quarta edizione di «Agiamo Insieme» svoltasi lo scorso 10 novembre. Il progetto creato in collaborazione con l’Ufficio Assicurazione Invalidità rende merito pubblicamente ai datori di lavoro che si sono distinti a favore della reintegrazione professionale di persone che hanno subito un danno alla salute. Aziende che si sono impegnate ad assumere persone al beneficio dell’assicurazione AI oppure che hanno saputo e soprattutto voluto mantenere il posto di lavoro di collaboratori che, a causa di una malattia, hanno dovuto rivedere le loro funzioni all’interno dell’azienda. «Un riconoscimento che mette in luce il volto bello della nostra imprenditoria e che racconta storie di grande umanità. Agiamo Insieme è un modo di valorizzare quei datori di lavoro attenti alla società ed è anche l’occasione di parlare di impresa in modo costruttivo e positivo in un periodo dove le critiche sembrano prevalere e oscurare il lavoro serio e responsabile di tanti imprenditori», ha concluso Albertoni. E di storie emozionanti chi segue Agiamo Insieme fin dall’inizio ne ha viste e sentite molte. Sono storie che
arricchiscono e che fanno onore alle persone che con il loro lavoro e la loro forza d’animo le hanno rese possibili. Nel corso degli anni il riconoscimento è così andato a tante aziende, da quelle grandi come Migros Ticino o l’Ente Ospedaliero a quelle più piccole ma non per questo meno convinte nel sostenere i propri dipendenti in difficoltà. Quest’anno Agiamo Insieme ha premiato l’Azienda Trasporti Ticinese SA, la Tipografia Poncioni SA, l’Azienda Elettrica Ticinese e la Elettro-Materiale SA. Come ogni anno durante la premiazione le esperienze toccanti dei protagonisti sono state presentate in quattro filmati curati da Julie Arlin. Testimonianze sincere e forti di persone che sono riuscite a guardare oltre gli ostacoli che la vita ha loro imposto, ritrovando, grazie alla caparbietà e alla tenacia, un equilibrio personale oltre che professionale. Perché compilare il modulo di assistenza AI per alcuni è stato davvero uno shock, ma «potrebbe accadere a chiunque – ha ricordato ai presenti Marco Zorzi della Elettro-Materiali SA –, un giorno ti alzi e sei malato, una malattia grave, invalidante, non te l’aspettavi. Aver vissuto questa esperienza mi rende un uomo fortunato perché ora comprendo molto meglio le difficoltà degli altri e sono felice di essere qui per poter testimoniare che con l’aiuto e la collaborazione di tutti ce la si può fare».
I premiati insieme al Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli (da sin.): Marco Balerna dell’AET, Luca Laffranchini dell’ATT, Bixio Giovannari della Tipografia Poncioni e Marco Zorzi della Elettro-Materiale SA. (Fotogonnella)
In Ticino, ha spiegato l’avv. Monica Magistri capo Ufficio AI, solo lo scorso anno un migliaio di persone sono state reintegrate o integrate in un’azienda. Un risultato non scontato che implica una buona collaborazione fra assicurazioni sociali ed economia,
frutto di un modello basato sull’investimento sociale e non più solo sul «consumo di prestazioni erogate dallo Stato». E anche il Consigliere di Stato Paolo Beltraminelli nel suo intervento ha ribadito che «l’economia funziona se la socialità funziona» e ha
poi sottolineato come «troppo spesso si dimentica il ruolo fondamentale delle aziende non solo nel creare posti di lavoro e ricchezza ma anche nel fungere da vera e propria cinghia di collegamento tra i cittadini e le istituzioni». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Società e Territorio
I giovani nell’era touch Nuove tecnologie A colloquio con l’antropologo Fabrizio Sabelli sui cambiamenti che la rivoluzione digitale
ha portato nelle nostre menti e nel contesto educativo maniera dipendente; il primo lavoro, quindi, consiste nello spingere il ragazzo o la ragazza a disintossicarsi, passando il messaggio che ci sono altre cose che creano piacere e soddisfazione. Poi è fondamentale accompagnare i giovani nello strumento, mostrando loro che la tecnologia possiede anche delle potenzialità interessantissime per potersi sviluppare intellettualmente e culturalmente e pensare con la propria testa. Ma questo implica che i genitori e gli insegnanti posseggano una conoscenza della tecnica tale che permetta loro di mostrare ai giovani il percorso giusto.
Laura Di Corcia Già Pasolini parlava di mutazione antropologica riferendosi agli effetti della tv di massa sulla forma mentis degli utenti; cosa direbbe oggi, nel bel mezzo della digital era? La rivoluzione touch agisce davvero sulle nostre strutture mentali cambiandole radicalmente? Se sì, in che modo? E come agire quindi in un contesto educativo? Di questi temi si è discusso in occasione di un interessante e fecondo dibattito organizzato dalla Corsi e svoltosi presso l’aula magna delle scuole commerciali di Bellinzona lo scorso ottobre. Abbiamo deciso di approfondire l’argomento con Fabrizio Sabelli: il suo punto di vista da antropologo illumina i cambiamenti che l’utilizzo costante delle tecnologie attuano su di noi, aiutandoci a capire fino a che punto la rete ci aiuti a migliorare la nostra vita e a partire da quando, invece, Internet diventi più che altro un mezzo di distrazione di massa.
Lei accompagna i giovani universitari lungo un percorso di scoperta di sé stessi e delle loro potenzialità. Su cosa puntare soprattutto?
Professor Sabelli, che cosa si intende per «ecosistema digitale»?
Utilizzo spesso questo concetto che non è mio, ma della letteratura specialistica, per indicare che negli ultimi anni c’è stato un cambiamento profondo nelle tecnologie: siamo passati da uno strumento (qualcosa espleta una funzione) a un sistema. Questo sistema non serve solo a fornire informazioni, ma a utilizzarle e a coinvolgere l’utenza in un mondo che non è più il suo, trasmettendo dei messaggi. «Eco» vuol dire spazio: ecco, in questo luogo avviene tutta una serie di fatti che non riusciamo a capire fino in fondo. L’interazione è fra l’utente e degli attori sconosciuti e invisibili le cui finalità sfuggono ai più. Queste finalità sarebbero la raccolta dei dati e il loro utilizzo per scopi commerciali?
Non c’è solo questo in ballo: l’utente, quando entra nel gioco del sistema, subisce cambiamenti profondi a livello culturale. Durante la conferenza a Bellinzona si parlava di scuola: ebbene l’ecosistema è sostitutivo di molte pratiche educative. Qui non si tratta di dare solo informazioni, è fare molto di più: formare. Io personalmente detesto il termine «formazione»: lo scopo dell’educazione le cui radici risalgono ai Greci e a Socrate, non è quello di formare l’individuo, ma di accompagnarlo nella sua maturazione culturale. Criticare l’idea di formazione ha senso
Secondo Sabelli i ragazzi dovrebbero ricevere un’educazione alla relazione umana. (Keystone)
ancora di più oggi, perché l’ecosistema vuole proprio formarci per raggiungere i propri scopi.
ad ogni modo esiste: non sono il solo a dirlo, la pensano come me anche Umberto Eco e altri intellettuali di peso.
che queste proposte tecnologiche vanno utilizzate con cognizione di causa?
Verso quali forme stiamo andando?
Fra gli anticorpi a nostra disposizione può anche figurare la paura, spesso bollata come un atteggiamento retrogrado e reazionario?
Una legione di storici. Per definizione queste nuove tecnologie eliminano il passato, sono tutte proiettate sul futuro. Solo la memoria – quella storica e quella personale – ci aiuterà ad evitare il peggio. L’esperienza di vita del passato deve diventare la maestra del nostro modo di vivere. Questi mezzi possono essere utilizzati in maniera intelligente, ma solo se abbiamo dei punti di riferimento di contenuti e di piaceri sostitutivi dei piaceri che l’ecosistema propone.
Non dispongo di tutte le conoscenze necessarie per prevedere quello che avverrà. Il processo è in atto, ma non conosciamo la sua evoluzione, perché dipenderà in gran parte dall’evoluzione tecnologica. Quindici anni fa nessuno (a parte gli esperti del settore) avrebbe mai immaginato che sarebbe nato un oggetto come l’iPad, che praticamente rende il pc una macchina in disuso e fondamentalmente destinata a morire. Se non puntiamo su sistemi di rieducazione alla relazione con la scrittura, la lettura, le arti e le scienze, se non torniamo ai classici dell’apprendimento, diventeremo molto presto tutti deficienti, mi permetta di esagerare un po’. In verità non credo, onestamente, che questo avverrà: l’essere umano riesce sempre a cavarsela con anticorpi che fanno parte del suo bagaglio. Il pericolo
Si prova paura se si identifica l’aggressore in maniera chiara. Ho paura quando vedo un signore che mi sta davanti con un coltello in mano, ma in questo caso il signore davanti a me non ha una configurazione minacciosa, anzi, il contrario. Sembra un benefattore, un elargitore di doni, mi facilita a tal punto la vita che non dico che lo amo, ma quasi; mi asseconda nella mia passività. L’anticorpo che serve è la presa di coscienza di come funziona il sistema.
Cosa consiglierebbe a un genitore che si trovasse confrontato con un figlio o una figlia che passa gran parte del suo tempo su Internet?
A livello educativo, quali persone dovrebbero agire per aiutare i giovani ad orientarsi in un mondo che non possiamo più immaginare senza rete? Come aiutarli a capire
Prima di tutto bisogna puntare su un tipo di comunicazione diretta e affettiva, per far capire che esiste un mondo là fuori. I nativi digitali sono purtroppo legati a questi strumenti in
Qui ad esempio «il cavaliere ingurgita una colazione frugale» ma sul vassoio c’è ogni ben di Dio, che Panciaterra assapora comodamente a letto; «fa una toeletta veloce», e se la spassa a mollo nella vasca; «la strada del ritorno è rapida e senza avvenimenti» e invece vediamo che si ferma ad affrontare un drago, a nutrire un unicorno (naturalmente un unicorno-lumaca!), a mangiarsi un panino. E se le illustrazioni a volte contraddicono con ironia, altre volte invece aggiungono deliziosi dettagli, come il gattino-lumachino che dorme acciambellato in fondo al letto coniugale, o gli «emoticon» ante litteram che il cavaliere aggiunge con una penna d’oca ai suoi messaggi, o il titolo del giornale, intraducibile, «Le Figargot» (contrazione efficacissima di Figaro e escargot). O come le raffinate citazioni di altri classici per l’infanzia (dalla tartarughina a quadretti colorati modello Elmer, ai tre briganti di Ungerer). E come anche tutti i
fantasiosi elmi disegnati nei risguardi di copertina: davvero, in questo libro, ogni particolare ci strappa un sorriso.
Si può iniziare dalla riscoperta dell’altruismo. Viviamo in una cultura globale incentrata sul motto «ognuno per sé». Un genitore o un insegnante in questo momento ha il compito di far assaporare ai suoi allievi o figli il piacere di dare e del ricevere, il piacere di essere confrontati con le difficoltà degli altri e aiutarli a risolverle, o semplicemente il piacere di fare qualcosa che possa gratificare chi sta loro vicino. Si tratta di un’educazione alla relazione umana, ciò che non esiste quasi più nell’ecosistema. Le emozioni fanno parte integrante del nostro essere umano e solo per il loro tramite troviamo qualcosa che dia senso alla nostra personalità: solo così nutriamo la nostra autostima, emozionandoci e aprendoci all’altro. Lo strumento ci aiuta a rendere tutto più efficiente ed efficace. Un esempio?
Ho seguito recentemente un giovane ragazzo che cercava senza successo lavoro nel campo dell’informatica. Ho cercato di capire quali fossero le sue passioni: alla fine è emerso che sin da piccolo amava i fumetti. Era davvero bravo a disegnare ma aveva dimenticato questo suo talento. L’abbiamo riscoperto insieme e da allora ha iniziato a inventarsi storie raccontate attraverso immagini, mentre io l’ho aiutato a dare un contenuto originale ai suoi lavori, trovando in un secondo momento altri fumettisti sulla rete con cui ha instaurato un dialogo fecondo per affinare la tecnica e trovare nuovi spunti. Ecco la strada da seguire: bisogna uscire per entrare, capire i propri obiettivi in un percorso di scoperta autonomo e tornare alla rete quando si ha ben in chiaro il proprio progetto di vita.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Gilles Bachelet, Il cavaliere Panciaterra, Il Castoro. Da 4 anni Il cavaliere Panciaterra è una lumaca (una chiocciola) che un mattino si sveglia e decide di andare in guerra contro il cavaliere Cornomolle, il quale ha invaso la sua aiuola di fragole. Ma ci sono un sacco di cose a cui non si può rinunciare prima di andare in guerra: una bella colazione, un saluto come si deve ai bambini, un bacio alla moglie... così, quando si troverà davanti all’esercito nemico, si è fatta ora di pranzo e non si può certo combattere a pancia vuota. Un buon pranzo è quel che ci vuole, magari scambiando qualche specialità con i «nemici». E dopo mangiato non si può combattere a pancia piena, bisogna fare un pisolino... Queste poche righe per darvi un’idea della storia: un gaudente inno pacifista, un allegro richiamo a prendersi tutto il tempo – non a caso è una lumaca! – per gioire degli affetti e
di ogni istante della vita. Però queste poche righe non bastano a darvi il senso del libro, così sapientemente giocato sul rapporto illustrazioni/testo, perché Gilles Bachelet, autore e illustratore francese, è geniale a creare, con le sue potenti immagini, effetti di contrasto, ironia, sottolineature, discordanze, che molto aggiungono alle mere parole della storia (così come aveva fatto nel suo albo di successo Il mio gatto è proprio matto, e nei due albi successivi, in cui il testo parlava di un gatto, ma le immagini raffiguravano un elefante, con risultati evidentemente comici).
Mario Lodi e i suoi ragazzi, Cipì, Einaudi Ragazzi. Da 7 anni L’edizione deluxe, in grande formato e a un prezzo abbastanza contenuto (15 euro) di un classico italiano che ancora vale la pena di far conoscere ai bambini. Perché, anche se gli scolari di quella prima elementare oggi possono essere nonni, non è certo cambiata l’attitudine infantile a osservare le piccole cose vicine e a trasformarle in storie. Erano bambini di una prima elementare, infatti, gli alunni del 1961 del maestro Mario Lodi, pedagogista innovatore, che ha contribuito a ridisegnare il ruolo della scuola come dispensatrice non soltanto di nozioni, ma di tutti quei valori fondamentali per abitare con consapevolezza e senso etico la società civile. Il romanzo nasce da un moto di «disubbidienza» degli alunni, che
«a uno a uno uscirono dal banco per andare a guardare che cosa succedeva sui tetti di fronte» e da una felice intuizione antirepressiva di Lodi: «mi alzai e andai in mezzo a loro a guardare il mondo dalla finestra». Incoraggiati dal loro maestro, quei bambini hanno spinto lo sguardo oltre la finestra della loro aula e hanno raccontato il mondo dalla loro prospettiva: un mondo brulicante di vita e di piccole creature: felici, in pena, intente a realizzare i loro sogni. Desiderose di crescere, di volare nel mondo. Come Cipì, come i bambini.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Vampiri veri, vampiri presunti Com’è noto, una delle regole auree del giornalismo recita: «Cane morde uomo» non è una notizia. «Uomo morde cane» invece lo è. E fin qui ci siamo. Se però il dilemma fosse fra «Vampiro morde uomo» e «Uomo morde vampiro» come la metteremmo invece? La domanda non è oziosa. Stando ad un recente dossier elaborato nientemeno che dalla BBC, un numero crescente di persone beve regolarmente sangue umano. Come spesso succede quando si tratta di pratiche stravaganti, borderline fra ciò che non è punito per legge e quanto ai più fa orrore al solo pensiero, il centro epidemico sono ancora una volta gli States. Quanto sappiamo lo dobbiamo in buona parte ad un sociologo inglese che ha già pubblicato un volume – serio – dal titolo Mummie, Cannibali e Vampiri: cadaveri e medicina dal Rinascimento all’Età Vittoriana. Ove si traccia la storia di quanto in termini di medicina e rimedi più o meno improba-
bili derivati dal corpo umano sia stato impiegato negli ultimi cinque secoli per guarire le malattie. I lettori più attenti dell’Altropologo certo ricorderanno le considerazioni fatte a suo tempo su preparati come la Mumia, ottenuta riducendo in polvere le mummie egiziane (e non: la mancanza del marchio DOP presto fece fiorire un’industria di falsi) e somministrata come rimedio a tutti i mali. Elemento chiave di quel preparato micidiale che fu la Teriaca, panacea a base di veleno di vipera e chi più ne ha più ne metta preparata nelle università di Bologna, Padova e Venezia fino alle soglie dell’800, la Mumia era – a buon diritto – una medicina omeopatica ante litteram: prodotta da un cadavere imputrescibile (si fa per dire) procurava imputrescibilità. Ovvero, come commentò a suo tempo un amico di quassù, «quel che non ammazza ingrassa». E via. Stavolta però, da moderni quali siamo, ci siamo fatti
sofisticati. Stavolta non ci si accontenta più del prodotto liofilizzato in polvere, ma si vuole quello fresco: anzi, tiepido di prima spremitura. Ed ecco allora che amanti, amici o semplici benefattori un po’ eccentrici, si offrono per il salasso salutista. Questo può avvenire per suzione diretta, qualora l’intimità lo permetta, oppure con la mediazione di recipienti ben sterilizzati e riservati alla bisogna. A detta dei beneficiari – negli States si conterebbero ormai a migliaia – la materia ematica aiuterebbe a curare sindromi da affaticamento, emicranie croniche e cronici mal di pancia. E tuttavia nihil sub sole novi: la pratica era diffusa già in epoca premoderna quando agli epilettici si somministrava il sangue dei giustiziati ritenendo che ne curasse gli accessi spasmodici, o quando i medici di Papa Innocenzo VIII somministrarono al pontefice morente il sangue ancor tiepido di tre giovani secondo il principio che avrebbe infuso
energie giovanili all’augusto infermo. Non si salvò nessuno, ahinoi. Ma perché tutta questa ossessione con la materia ematica? Beh, da un lato vi è l’idea – non poi così strampalata – che «sangue», «vita» e «salute» siano quasi sinonimi. E dall’altro vi è l’idea mimetica e omeopatica che sostituendo al sangue malato un sangue giovane e vigoroso vada tutto a posto. Questione di buon senso, vedete? Solo che il buon senso spesso non aiuta. E non aiuta specialmente quando c’è il sangue di mezzo. O così rimuginava il vostro Altropologo preferito quando leggeva l’altro giorno che il 16 novembre del 1491, dunque poco meno di un anno prima della scoperta delle Americhe esattamente 524 anni fa, si teneva ad Avila, in Spagna, un Auto da Fè indetto dall’Inquisizione che vide coinvolti molti Ebrei costretti ad abiurare la fede dei padri. Alla fine della pubblica cerimonia Benito Garcia ed un numero oggi controverso di altri Ebrei e
Convertiti furono giustiziati. Garcia era un ebreo convertito che aveva ammesso di aver partecipato all’assassinio rituale di un bambino cristiano al fine di prelevarne il sangue per preparare certi dolci rituali della Pasqua ebraica. Era questa una credenza diffusa in tutta Europa che portò sugli altari, a furor di popolo nel corso dei secoli, parecchi infanti trovati morti in circostanze poco chiare. Il cosiddetto Santo Bambino de La Guardia, dal nome della città in provincia di Toledo dove si dice successe il fatto, è ancor oggi oggetto di culto anche se – ironia della sorte – il suo cadavere non fu mai trovato. E questo nonostante il fatto che l’Enciclopedia Cattolica, edizione 1912, abbia descritto l’accusa come «una delle più notevoli e disastrose menzogne della storia». Per quanto riguarda il vampirismo contemporaneo, tuttavia, possiamo star su di morale: è legale (ovvero: non è illegale) e succede veramente. Lo dice la BBC.
primo caso, attraverso il confronto e lo scontro, si apre la possibilità di un dialogo, mentre il silenzio inerte provoca una solitudine dolorosa. Dopo tanti anni in cui ha accudito i suoi cari, trova ora insopportabile svolgere i consueti lavori domestici e, un domani, occuparsi, eventualmente, di suo marito invalido. Evidentemente qualche cosa è cambiato, in lei e fuori di lei. Cerchi di riflettere sugli accadimenti, anche piccoli, avvenuti negli ultimi tempi. Certe volte basta poco, come l’incontro con qualcuno che incarna la realizzazione delle nostre aspirazioni, per renderci conto degli obiettivi che dobbiamo ancora raggiungere. In questi casi occorre fermarsi e riflettere, interrogarsi, confidandosi con una persona amica che aiuti a districare il groviglio delle emozioni. È vero che, con l’età, noi donne siamo meno guardate ma, in compenso, siamo più ascoltate. Prima di prendere una decisione di cui potrebbe pentirsi, cerchi di parlare con suo marito, di dirgli la sua infelicità, il suo dolore. Gli
ricordi i momenti belli della vostra storia, i progetti realizzati insieme, i figli che avete cresciuto con amore, le persone che hanno fiducia in voi, i nipoti che verranno, e confidi sinceramente le delusioni e i desideri che la turbano. Sino all’ultimo abbiamo diritto di valutare, di cambiare, di sperare. Cercando però di far soffrire il meno possibile chi ci sta accanto. Forse suo marito è stato colpito da una forma di depressione e, in questo caso, potrebbe essere curato e ritornare com’era. Proceda quindi con cautela: i suoi familiari possono accettare una decisione così repentina solo se comprendono che non è rivolta contro di loro ma per il suo bene, per ritrovare la serenità e realizzare aspirazioni compromesse dall’indifferenza e dal disamore.
un’invasione di campo considerata una conquista educativa e sociale. Frutto di buone intenzioni ma, a ben guardare, anche illusoria. In altre parole, la congenita vulnerabilità dell’infanzia e dell’adolescenza non è stata sconfitta. Ha assunto forme e definizioni diverse. Il trovatello classico appartiene, ovviamente a un passato concluso. Anche se, qua e là, persino in Svizzera, sono tornate le «ruote degli esposti», che adesso si chiamano «Finestra baby». Complessivamente sei, di cui una al San Giovanni di Bellinzona, hanno accolto, in oltre dieci anni, una dozzina di neonati. Come dire, sono rare eccezioni le mamme che si vergognano di avere un figlio. Con ciò, alle nostre latitudini, in una società che si vuole antiautoritaria, la condizione di minorenne rimane sempre a rischio, esposta alle dipendenze create da strumenti, paradossalmente utili e liberatori. Ecco,
invece, le schiere di ragazzi rintronati dalle cosiddette connessioni, dal fragore delle discoteche, dal consumo di alcol. Un disagio che può degenerare in comportamenti delinquenziali. A Londra, si parla di 250 gang che insidiano le notti della capitale dove 72’000 minori di 18 anni appartengono alla categoria dei senza tetto, chiamati anche gli «invisibili». Com’è risaputo, la presenza di questi sbandati è strettamente legata alle condizioni economiche, al grado di sviluppo del Paese, alla mancata scolarizzazione. Campione della categoria, secondo dati dell’Unicef, in Europa è la Romania, mentre in Africa, Asia, Sudamerica, il primato è condiviso fra Brasile, Burkina Faso, Pakistan, e altri ancora. Luoghi dove ci si trova alle prese con i «figli di nessuno», gli «invisibili», i «ragazzi di strada». Sono i trovatelli che hanno cambiato nome.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Separarsi dopo 40 anni di matrimonio Cara Silvia, ho 65 anni, sposata da 40 con un uomo che di anni ne ha 72, due figli maschi sposati e lontani da casa, mi sono svegliata qualche mattina fa con un’idea precisa: devo separarmi. Motivi veri e propri non ce ne sono ma mi sono stancata di vivere accanto a un uomo che non mi vede neanche. Al mattino va da un amico per aiutarlo nel lavoro di amministratore di condomini, tornato a casa mangia, poi dorme, cena, guarda un po’ di tv e va a dormire. Perché devo continuare a fargli da cameriera come ho sempre fatto? E perché un domani dovrei fargli da badante? Io sono convinta ad andarmene ma non so come potrei fare per spiegarlo agli altri, ai figli in primis. Ci hanno sempre considerato una coppia felice e ben assortita e all’improvviso… Ma sono stata io a sopportare tutto per il bene dei figli. A questo punto direbbero che sono matta a buttare tutto all’aria alla mia età. Eppure non è un capriccio ma una necessità. Me lo spieghi lei che cosa mi sta succedendo, grazie. / Livia
Cara Livia, sarei davvero presuntuosa se pretendessi di spiegarle la sua vita, tanto più che le vite non si spiegano ma al massimo si comprendono, cioè se ne condividono le emozioni e i sentimenti. Nessuno si conosce sino in fondo e, anche quando cerchiamo di farlo, ci imbattiamo prima o poi in una zona d’ombra che non ci fa procedere oltre. Freud la chiama «inconscio» e si sforza di interrogarla indirettamente, attraverso l’interpretazione dei sogni. Sarebbe bello se lei riuscisse a ricordare che cosa ha sognato la notte precedente il risveglio, quale rivelazione l’ha indotta a pensare: «devo separarmi». Strano evocare un dovere, «devo separarmi», là dove ci si aspetterebbe di trovare un desiderio: «voglio separarmi». Chi ha parlato? Suppongo il Super-io, l’istanza morale che rappresenta l’educazione che abbiamo ricevuto dai genitori, le norme di comportamento apprese a casa, in chiesa, a scuola, sul luogo di lavoro, dalla società in cui viviamo. Nessuno le avrà mai insegnato che
porre fine a un matrimonio, distruggere una famiglia, abbandonare il partner sia una cosa giusta. La si giustifica solo in caso di gravi conflitti, di intolleranze acute, di danni evidenti. Eppure in questi anni, silenziosamente, in modo quasi incredulo, si fa strada nelle coscienze, soprattutto delle donne, la convinzione che è giusto e legittimo recuperare la propria autonomia quando il matrimonio minaccia il senso della propria dignità e del proprio valore. Da quanto scrive, suo marito non la offende, non la maltratta, non la picchia: semplicemente «non la vede», la ignora. Ma l’indifferenza può ferire come un’arma perché ci riduce a cosa, a materia inerte, misconoscendo la nostra umanità, il nostro essere soggetti e non semplici oggetti tra gli oggetti. In ogni momento abbiamo bisogno di sentirci confermati dall’assenso degli altri, soprattutto del partner. Esponiamo la nostra identità con trepidazione restando in attesa di riconoscimento e nulla è peggio dell’indifferenza. Meglio essere criticate, contestate, accusate, piuttosto che ignorate. Nel
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Il trovatello: scomparso o sostituito? A Londra, le scoperte non finiscono mai. Ecco che, nel quartiere di Bloomsbury, che fu quello degli scrittori (ci visse Dickens), sbucando da un parco ci s’imbatte nella palazzina primo ’700, ben restaurata, che ospita il Foundling Museum. Ed è un piccolo inatteso, e prezioso, museo, dedicato al trovatello: una figura che, ormai, sembra scomparsa persino come denominazione. Proprio in quest’edificio, il 17 ottobre 1739 prese avvio un’esperienza, giustamente passata alla storia, come pietra miliare della socialità. Termine di là da venire, in un’epoca in cui gli interventi umanitari recavano generalmente un’impronta individuale, caritatevole e religiosa. E racconta una bella vicenda: Thomas Coram, costruttore di navi inglese, che aveva fatto fortuna a Boston, tornando a Londra rimase colpito dalle condizioni di sofferenza e sfruttamento di cui erano vittime
i bambini, i trovatelli appunto. Con lungimiranza, chiese a Giorgio II, l’autorizzazione per creare un ospizio destinato all’infanzia abbandonata, diventato in seguito un ospedale e un collegio. Alla fama e al prestigio dell’istituzione contribuì, non da ultimo, il sostegno di artisti quali il compositore Georg Friedrich Händel e il pittore-incisore William Hogarth che, in opere come Gin Lane (Il vicolo del gin) denunciava le conseguenze dell’abuso di alcolici, propinati anche ai bambini. Con effetti devastanti: nella Londra dell’800, due terzi dei neonati non raggiungevano i 5 anni. Il Foundling Hospital chiuse i battenti nel 1954, quando ormai il concetto stesso di istituto aveva fatto il suo tempo. Le ragazze madri non erano più oggetto di scandalo e gli orfani o gli abbandonati potevano trovare affetto e protezione nelle famiglie adottive.
Insomma, ed è del resto l’immagine che proprio Londra offre ai visitatori, la metropoli sembra più che mai disponibile alle esigenze di bambini e adolescenti. Qui, come in generale nei Paesi nordeuropei, la natalità cresce, favorita da una politica sociale che assicura sgravi fiscali, congedi parentali, asili nido. Tanto da creare, semmai, problemi di segno opposto. Gravidanze precoci e matrimoni allietati dalla prole, ma spesso fragili. E si tocca, allora, l’altra faccia della medaglia. Certo, mette allegria la Londra, popolata da tanti giovani, e giovani in libertà, e da bimbi, ormai sottratti all’autorità di padri e madri che, visibilmente, si compiacciono della loro esuberanza. Se li portano dietro dappertutto, in musei e gallerie d’arte, dove magari scorrazzano col monopattino. Come avviene persino nel magnifico atrio del British Museum. Si assiste, insomma, a
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Attualità Migros
M «Mostra il cuore», per aiutare i più piccoli Solidarietà Quest’anno la raccolta fondi natalizia di Migros è devoluta ai bambini bisognosi in Svizzera
e ha inizio con una straordinaria azione fotografica Anche per il 2015 Migros ha deciso di proporre ai suoi clienti una riflessione importante e socialmente utile legata al periodo natalizio. Con il suo appello «Mostra il cuore» l’azienda invita infatti le persone di tutta la Svizzera a condividere tra loro un momento di gioia della propria infanzia. L’obiettivo dell’azione è attirare l’attenzione sul tema della povertà infantile. La raccolta di fondi vuole ricordarci, infatti, che un bambino su dieci in Svizzera è colpito da povertà ed emarginazione sociale. Migros, in collaborazione con le quattro associazioni attive nel campo sociale (Caritas, Pro Juventute e Soccorso d’inverno, HEKS Aiuto delle chiese protestanti) desidera sensibilizzare il pubblico a questo problema e contribuire ad alleviare la condizione di disagio. Per ogni fotografia caricata su www.mostracuore.ch che immortala un momento particolare della propria vita, ad esempio il primo giorno di scuola o la gioia per un regalo desiderato da tempo, Migros donerà cinque franchi. La somma complessiva raccolta confluirà in progetti speciali a sostegno di bambini in situazione di difficoltà, tutte iniziative promosse dagli enti sopraccitati. Non appena la foto sarà stata inserita nell’apposito cuore, si potrà condividere il momento di gioia anche su diverse piattaforme sociali. L’immagine verrà completata con il nome del bambino raffigurato e chi lo desidera può anche aggiungere quale ricordo è legato alla fotografia. Dal 21 novembre la raccolta fon-
Per ogni foto caricata Migros offrirà 5 franchi in beneficenza.
di natalizia passerà poi a una seconda fase. Da tale data i clienti potranno donare direttamente nelle filiali Migros. Il ricavato delle donazioni sarà devoluto completamente ai quattro enti
caritatevoli summenzionati. Alla fine dell’anno Migros raddoppierà l’importo totale, impegnandosi da parte sua a donare fino a un massimo di 1 milione di franchi.
Quattro associazioni a sostegno dell’infanzia Caritas Svizzera. Le donazioni vengono utilizzate in numerosi progetti (inizio della scuola, progetti per il tempo libero, affidamento in famiglia, ecc.) a sostegno dei bambini bisognosi e svantaggiati. Pro Juventute. Organizza periodi di
vacanza per bambini di famiglie in difficoltà, offre sostegno ad entrare nel mondo del lavoro oppure è a disposizione dei bambini tramite il numero di emergenza «147». Soccorso d’inverno. Con le donazioni viene lanciata l’azione «Una cartel-
la per tutti» affinché tutti i bambini inizino la scuola nel modo migliore. HEKS Aiuto delle chiese protestanti. L’ente si adopera a favore dei bambini bisognosi e svantaggiati e dei loro genitori in tre diversi ambiti: salute, sostegno linguistico e aiuto all’educazione.
Ma chi desidera donare già adesso può farlo, ad esempio tramite SMS con la parola chiave «Insieme» al numero 455 oppure tramite versamento sul conto postale per le donazioni 30-620742-6. Sul sito web www.migros. ch/natale vi sono anche altre possibilità di donazione online (Paypal, ecc.). Con l’inizio della raccolta fondi nelle filiali Migros, la televisione svizzera manderà di nuovo in onda la ben nota canzone di Natale Ensemble, brano che l’anno scorso ha riscosso così tanto successo da conquistare due dischi di platino. Il nuovo spot racconta la storia di un ragazzino che insieme ad artisti svizzeri e con il sostegno della popolazione svizzera raccoglie rega-
li da distribuire ai bambini bisognosi. Anche in questo spot parteciperanno di nuovo volti noti della raccolta fondi Migros dello scorso anno quali Francine Jordi, Sebalter, Luca Hänni, Gilbert Gress o Pepe Lienhard, giusto per citarne alcuni. Quest’anno saranno presenti anche Chris von Rohr e il cantante vallesano Marc Aymon. Tutti recitano con passione un ruolo nella nuova storia di Natale. Lo spot invita a donare e anche la canzone Ensemble può di nuovo essere scaricata su ExLibris, iTunes o GooglePlay. Il ricavato andrà direttamente nel fondo di beneficenza. Il nuovo spot TV è già disponibile al seguente link https://youtu.be/xSU2S-LZ3UQ.
Un riscaldamento intelligente
Nuovi specialisti del commercio al dettaglio
Premio ecologico Migros Assegnati a
Diplomi Quattro collaboratori di Migros Ticino hanno conseguito
Rüschlikon i riconoscimenti 2015 per progetti l’attestato proposto dalla Società degli impiegati di commercio innovativi e rispettosi dell’ambiente Migros è molto impegnata nella protezione dell’ambiente e del clima e si distingue sempre per le sue prestazioni pionieristiche. All’inizio dell’anno ha lanciato il «Premio ecologico Migros», allo scopo di individuare idee innovative per la protezione del clima e dell’ambiente a livello aziendale. Con il premio ecologico, l’azienda desidera promuovere la collaborazione con le università e le scuole universitarie professionali. I migliori tra gli oltre 40 eccellenti lavori pervenuti sono stati premiati il 6 novembre a Rüschlikon nell’ambito dei «Migros Career Days». Sarina Vetter, ingegnere meccanico dell’ETH, e Philipp Bühler, designer industriale della Scuola universitaria d’arte di Zurigo, hanno ricevuto un premio in denaro di 10’000 franchi per il loro sistema di riscaldamento a basso consumo energetico. I due hanno sviluppato
un adattatore per termosifoni, che ne incrementa il rendimento e l’efficienza. Con il suo lavoro di Bachelor presso la hepia (Haute école du paysage, d’ingénierie et d’architecture de Genève), l’agronomo diplomato Gaëtan Jaccard di Apples si è aggiudicato il secondo posto e un premio di 3000 franchi. Con l’impiego di piante supplementari, cosiddette piante trappola, si proteggono in modo naturale le fragole contro i parassiti e l’impiego di insetticidi può essere ridotto. Il terzo posto, dotato di un premio in denaro del valore di 1000 franchi, è stato assegnato a Laura Germann, in possesso di un Bachelor dell’ETH. Ha effettuato un’analisi approfondita sul tema dello spreco alimentare in un panificio e ha illustrato provvedimenti pratici volti a ridurre il bilancio di CO2 e gli sprechi alimentari.
Migros Ticino promuove lo sviluppo continuo dei propri collaboratori tramite corsi di formazione a tutti i livelli, utili per sviluppare le competenze necessarie a ricoprire nuovi ruoli secondo piani di carriera individuali. In questo contesto, nelle scorse settima-
ne quattro suoi collaboratori hanno preso parte all’esame professionale di certificazione a conclusione del corso di «Specialista del commercio al dettaglio». La formazione, della durata di quattro semestri, è organizzata dalla Società degli impiegati del commer-
cio. Il 30 ottobre scorso, quindi, si è quindi tenuta a Bellinzona la cerimonia di consegna degli attestati legati a questa particolare specializzazione, un attestato professionale federale proposto dalla Commissione per la garanzia di qualità. All’incontro hanno partecipato Vittorio Silacci, direttore dell’Istituto della formazione continua, Michele Bertossa, responsabile dell’organizzazione degli esami in Ticino e Mario Colatrella per la Disti (Distributori ticinesi). Quattro i collaboratori di Migros Ticino che hanno conseguito l’attestato, nella foto in seconda fila, da sinistra: Sinisa Metikos, gerente di Migros Biasca e miglior media all’esame; Vincenzo Petillo, gerente Serfontana; Cristina Mazzardis, gerente Massagno e Stefano Aili gerente Solduno. Nella prima fila Michele Bertossa, Rosy Croce, Responsabile dipartimento risorse umane di Migros Ticino, e Sergio Recupero, Responsabile di zona di Migros Ticino.
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Ambiente e Benessere L’importanza del bosco Ben il 52 per cento del territorio ticinese è caratterizzato da aree boschive
Il salice e le sue proprietà Quest’antica pianta diede l’avvio alla chimica farmaceutica moderna pagina 17
pagina 16
Lungo i sentieri di Malta La fase storica più affascinante dell’isola mediterranea risale a un’epoca antica, di cui oggi restano ancora i segni
Accomiatarsi da Fido Per molti la morte del proprio animale è un lutto che va elaborato con un degno funerale pagina 23
pagine 18-19
Malati perché evoluti per un altro ambiente Antropologia Secondo il paleoantropologo
Daniel E. Lieberman il nostro corpo si è evoluto per abitudini di vita completamente diverse da quelle odierne
Lorenzo De Carli La nostra sottospecie – siamo Homo sapiens – discende dagli Australopitechi, che apparvero circa 4,2 milioni di anni or sono, vale a dire poco dopo il punto di separazione che ha condotto ai nostri parenti più prossimi, le scimmie antropomorfe africane. Pur molto diversi da noi, sono insomma gli Australopitechi ad aver detto per primi «bye bye scimmie», evolvendo caratteristiche che ci contraddistinguono tuttora. Per tracciare la sua un po’ speciale Storia del corpo umano, il paleoantropologo dell’Università di Harvard Daniel E. Lieberman si è mosso proprio da questo punto di vista, talvolta restringendolo alla specie Homo – che ha 2,5 milioni di anni –, talvolta riducendo ulteriormente la prospettiva alla sottospecie Homo sapiens – che ha 200mila anni. La domanda che si pone Lieberman è questa: dopo la rivoluzione agricola (10mila anni or sono) e, soprattutto, dopo la rivoluzione industriale (300 anni or sono) l’ambiente nel quale si muovono i nostri corpi è radicalmente cambiato rispetto a quello che ne aveva selezionato le caratteristiche principali; è sensato presumere che l’evoluzione abbia avuto il tempo di renderci adatti al nuovo ambiente? Fino a diecimila anni or sono eravamo tutti cacciatori raccoglitori. Per consentirci di svolgere al meglio questa attività, l’evoluzione selezionò caratteristiche che ci permisero di correre una decina di chilometri il giorno, scavare, lanciare fecce e lance, risparmiare energia, accumularla in tessuti adiposi ottimizzati a questo scopo, mangiare una gran varietà di cibi (frutta, vegetali, carne, pesci, uova, semi, noci, tuberi, ecc.) perché spesso di scarsa e imprevedibile disponibilità. Un corpo selezionato per far tutto ciò, come funziona
se messo davanti al computer tutto il giorno e fatto sdraiare davanti alla TV la sera? È ipotizzabile che manifesti problemi di salute e si ammali? Sì, è ipotizzabile; infatti, il sottotitolo del ricco studio di Lieberman sulla storia del corpo umano dichiara bene gli interessi dell’autore: «Evoluzione, salute e malattia». Secondo Lieberman, attualmente, soffriamo di malattie non trasmissibili specifiche da maladattamento. Sono le cosiddette malattie da mismatch evolutivo. «L’idea che sta dietro il mismatch evolutivo è molto semplice: nel tempo, la selezione naturale adatta gli organismi a condizioni ambientali particolari… con l’accelerazione delle innovazioni, soprattutto dopo la nascita dell’agricoltura, abbiamo ideato o adottato una lista crescente di pratiche culturali nuove di zecca che hanno sul nostro corpo effetti conflittuali». Prendiamo il caso di quel graduale irrigidimento delle arterie, che chiamiamo arteriosclerosi. Si tratta di un’infiammazione cronica delle pareti delle arterie, che deriva dal modo in cui il colesterolo e i trigliceridi sono trasportati in tutto il corpo. In maniera molto semplificata, possiamo dire che il colesterolo «cattivo» (LDL) porta colesterolo e trigliceridi dal fegato ad altri organi, mentre quello «buono» (HDL), li riporta al fegato. L’arteriosclerosi inizia quando le molecole LDL restano bloccate su una parete arteriosa e reagiscono all’ossigeno in transito. Alla fine di un processo nel quale intervengono anche i globuli bianchi, si forma una rigida placca che ostruisce il passaggio del sangue, creando le condizioni perché si verifichi un ictus o un infarto. Perché le popolazioni di cacciatori raccoglitori non soffrono di arteriosclerosi e di altre malattie del sistema cardiocircolatorio tipiche della nostra
Daniel E. Lieberman, insegnante di Paleoantropologia all’Università di Harvard. (Kris Snibbe / Harvard Public Affairs and Communications)
civiltà? La risposta che fornisce Lieberman è chiara: se il livello di HDL è sufficientemente elevato per «ripulire» le arterie del colesterolo cattivo, il processo che porta all’arteriosclerosi è molto più lento. Il problema è che il colesterolo «buono» è prodotto dal fegato soprattutto quando siamo sottoposti a una prolungata attività fisica d’intensità medio-alta, il tipo di attività che svolgono correntemente le popolazioni di cacciatori raccoglitori. Ciò significa che, nel corso dell’evoluzione, l’equilibrio tra LDL e HDL presupponeva la tipica attività fisica dei cacciatori raccoglitori, quali eravamo tutti fino a 300 generazioni or sono. Secondo Lieberman, lo stesso tipo di riflessioni è applicabile per il diabete di tipo 2. Per milioni d’anni il nostro corpo si è evoluto in un ambiente, nel quale l’unico alimento dolce era la frutta. A prescindere dal fatto che la frutta non domesticata è meno dolce di quella
selezionata per essere coltivata, la presenza di acqua e fibre nella frutta rende sufficientemente lenta la disponibilità del fruttosio contenutovi da non richiedere l’elevata produzione di insulina da parte del pancreas per tenere nei giusti livelli il glucosio in circolazione. Siccome l’evoluzione ci ha lasciato in eredità un sistema digerente non adatto per gestire dosi troppo alte e troppo rapide di glucosio e fruttosio, si comprende perché il diabete di tipo 2 sta diventando epidemico in una popolazione mondiale che ha un facile accesso a cibi e bevande zuccherate. L’elenco delle malattie da mismatch evolutivo è lungo: si va dalla carie all’osteoporosi, dal mal di schiena a vari tipi di tumore; ma le considerazioni di Lieberman sono sempre simili: per tutto il tempo della nostra evoluzione siamo stati cacciatori raccoglitori, godendo della salute di chi è sempre in movimento, alimentandoci con una gran varietà di cibo. Con la rivoluzione
agricola abbiamo ridotto la varietà di cibo e quindi la nostra salute (Lieberman la determina in base all’altezza dei bambini); ci siamo esposti alle zoonosi a causa della vicinanza agli allevamenti di animali dopo la loro domesticazione; abbiamo sofferto di malattie virali trasmissibili solo in presenza di grandi comunità; e più recentemente abbiamo sviluppato malattie tipiche da disuso del nostro corpo. Che fare? C’è una sola via praticabile, secondo Lieberman: la nostra specie si caratterizza per un formidabile e davvero peculiare adattamento: la cultura. Se siamo l’unica specie di ominidi ad essere sopravvissuta è perché la cultura ci ha reso capaci di modificare l’ambiente, producendo indirettamente effetti anche sui nostri geni. Sta quindi a noi comprendere come si è evoluto l’equilibrio del nostro corpo e compiere le scelte giuste per conservarlo, anche quando vuol dire opporre resistenza a tendenze innate.
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Ambiente e Benessere
Da protetto a protettore Editoria La ricerca di Mark Bertogliati
sull’evoluzione del bosco nella Svizzera italiana premiata anche da Migros Ticino
Ma.Ma.
Elia Stampanoni
La salute dei nostri boschi Rapporto forestale 2015 Da fonte di energia rinnovabile
a protezione naturale, da spazio per lo svago nel tempo libero a riserva indispensabile per l’ecosistema
Roberto Porta Il Ticino è ricoperto dalla maggiore superficie boschiva della Svizzera. Nel nostro cantone il bosco occupa il 52 per cento del territorio, a livello nazionale invece solo un terzo del suolo è ricoperto dalla foresta. Il Ticino è così in linea con quanto succede su tutto l’arco alpino europeo, dove si assiste anche a un aumento – non solo in estensione ma anche in volume – della presenza del bosco. «Una crescita che annualmente si aggira attorno al mezzo milione di metri cubi di nuovo legno ogni anno – ci dice Roland David, responsabile della Sezione forestale del canton Ticino – mentre, e faccio l’esempio del 2014, gli alberi tagliati hanno raggiunto un totale di soli centomila metri cubi». Il primato ticinese non è però facile da valorizzare anche perché tra Airolo e Chiasso il bosco si trova spesso su pendii scoscesi, difficili da raggiungere per la popolazione ma anche da sfruttare per chi invece mira ad accrescere il valore produttivo del legno. In questo ambito negli ultimi anni diversi comuni ticinesi si sono dotati di un impianto di teleriscaldamento che produce calore attraverso l’uso del legname tagliato dai boschi del cantone. E proprio di recente a Losone è entrata in funzione la centrale di teleriscaldamento più grande del Ticino. «Siamo già operativi al cento per cento per i nostri primi utenti – ci fa notare Alberto Colombi, presidente della “Energie rinnovabili Losone ” –, verso la fine del 2016, quando saremo a pieno regime, raggiungeremo una sessantina di clienti e potremo con il nostro teleriscaldamento produrre lo stesso calore fornito da un milione di litri di olio combustibile». In altri termini il nuovo impianto permetterà di riscaldare il 15 per cento delle abitazioni di Losone e lo farà bruciando legno che possiamo definire «a chilometro zero». «Il nostro legname arriva tutto dal Sopraceneri – fa notare Alberto Colombi – la nostra energia è prodotta interamente a livello locale. L’impianto di Losone permette dunque di valorizzare una materia prima di casa nostra». E questo aiuta finanziariamente i proprietari di bosco svizzeri, che possono contare, in misura maggiore rispetto al passato, su questo valore aggiunto del loro legname. La funzione produttiva del bosco svizzero, e anche ticinese, è uno dei
tanti argomenti toccati dal Rapporto forestale 2015, pubblicato nei mesi scorsi dall’Ufficio federale dell’ambiente. Un’analisi che viene pubblicata ogni dieci anni e che si pone una domanda principale: come sta oggi il bosco svizzero? Interrogativo che giriamo a Roland David, il quale dirige la sezione forestale ticinese: «In generale le nostre foreste stanno bene, questo vale per il Ticino e complessivamente per tutta la Svizzera. Non mancano però le sfide per il futuro, sfide che sono già ben chiare e definite». La difesa e la salvaguardia del bosco di protezione è il compito prioritario di chi si occupa oggi di questo settore nel nostro Paese, visto che la foresta svolge un ruolo essenziale nel garantire l’integrità del territorio e nel ridurre il rischio di frane. Spesso non ci pensiamo ma, come spiega il rapporto forestale 2015, «la vita in montagna è possibile solo grazie al bosco di protezione», e questo in un Paese in cui un quarto della popolazione abita proprio in zone di montagna. Non bisogna però dimenticare che, malgrado gli interventi e gli investimenti degli ultimi decenni, più del 50 per cento della foresta svizzera si trova in una condizione definita di «stabilità critica o ridotta». La salvaguardia del bosco di protezione rimane pertanto una sfida praticamente quotidiana. Il bosco si trova confrontato con una pressione sempre maggiore anche da parte della società, visto che le costruzioni abitative ma anche infrastrutturali si avvicinano sempre di più e minacciano qua e là l’abbattimento di superfici boschive. La foresta dispone però da oltre cento anni di una legge che la protegge e che è considerata la legge più efficace tra tutte le normative svizzere. Soltanto di recente c’è stato un lieve allentamento in questa legislazione, il Parlamento svizzero ha autorizzato la costruzione di centrali eoliche anche nei boschi, questo per accrescere l’apporto di energie rinnovabili nel nostro Paese. Il rischio di ruspe e cemento è molto marcato nelle regioni di pianura, meno in quelle di montagna; questo vale per il Ticino ma anche per il resto del Paese. Non si tratta però dell’unico pericolo con cui il bosco deve fare i conti. «C’è anche la sfida degli organismi nocivi» ci dice ancora Roland David. «Viviamo in un mondo ormai sempre più globale e l’arrivo da noi di orga-
nismi che normalmente si trovano in altre parti del pianeta rischia di essere sempre più frequente. Ne sappiamo qualcosa con il cinipide del castagno arrivato dalla Cina e dal Giappone». Il cinipide («Azione» del 25.11.2013) ha per anni messo a dura prova i nostri castagneti, ora c’è però la speranza di riuscire a debellarlo attraverso l’azione di un micro-organismo rivale. Questi insetti arrivano da noi soprattutto attraverso l’acquisto – sempre più facile in un mercato internazionale – di piante esotiche in arrivo da ogni parte del mondo. «Il forte incremento del commercio globale di merci ha determinato una maggiore introduzione di organismi nocivi esotici», si legge a questo proposito nel rapporto forestale 2015. Legato a questo problema c’è anche quello delle cosiddette «specie neofite». «Si tratta di piante che colonizzano la nostra foresta – sottolinea Roland David – sono molto forti, occupano grandi spazi e non permettono più ai nostri alberi di riprodursi. È un fenomeno già in corso, ricordo ad esempio i danni provocati dalla specie chiamata Poligono del Giappone» («Azione» del 31.05.2010). Più globalmente il bosco ticinese e svizzero deve confrontarsi con la sfida dei cambiamenti climatici, l’estate appena trascorsa ne è un esempio. «Quest’anno il bosco ha sofferto – ci dice ancora Roland David – Devo dire però che l’estate del 2003 era stata ancora più pesante. Ricordo che a causa di queste ondate di caldo un albero può impiegare anni interi per recuperare la sua vitalità». Per la foresta, però, non ci sono solo problemi. «Non dobbiamo dimenticare che in questi ultimi anni c’è stata un’evoluzione molto positiva – continua ancora David – il bosco riesce a rinnovarsi naturalmente e a crescere spontaneamente, non c’è più così tanto bisogno di piantagioni. E questo è un aspetto molto importante anche perché permette una maggiore biodiversità delle nostre foreste». In ogni caso la foresta è un luogo sempre più apprezzato dalla popolazione, per un’altra delle sue tante funzioni, quella di svago. Anche per questa preziosa possibilità di contatto con la natura il bosco dovrà continuare pure in futuro a rimanere un luogo protetto. A garantirlo ci pensa una legge federale da più di cento anni e un po’ ci dobbiamo pensare anche noi, singoli cittadini.
Il bosco copre oggi oltre la metà del territorio elvetico e negli ultimi 150 anni questa superficie è più che raddoppiata. Un’evoluzione importante, frutto di cambiamenti che hanno coinvolto tutta la società. Mutamenti non solo a livello ambientale, ma pure sociale ed economico che hanno modificato la funzione e la percezione del bosco nel corso degli anni.
In Ticino la crescita corrisponde a circa mezzo milione di metri cubi di nuovo legno ogni anno Il volume Dai boschi protetti alle foreste di protezione indaga proprio sull’importanza e sull’evoluzione delle risorse forestali nella Svizzera italiana. L’opera, pubblicata nel dicembre 2014 da Casagrande, è il frutto di un minuzioso lavoro di ricerca di Mark Bertogliati, ingegnere forestale e storico. Il trentacinquenne di Osogna, che si occupa di ecologia storica, dendrocronologia, storia forestale e del territorio nel contesto alpino, con questa pubblicazione si è pure aggiudicato il prestigioso Premio Migros Ticino per ricerche di storia della Svizzera italiana (a pagina 2 di Azione riferiamo del Premio 2015). Elaborato sulla base del lavoro di dottorato in storia svolto presso l’Università di Lucerna, il volume ricostruisce il ruolo del bosco sul versante meridionale delle Alpi tra il 1700 e il 1950, con particolare riferimento alle località di Broglio, Soazza e Sobrio. In questi luoghi, seppur in linea con le dinamiche regionali, si sono avuti degli sviluppi eterogenei, causati dalle diverse condizioni sociali, economiche ed ecologiche. A Sobrio, per esempio, le dinamiche forestali coincidono con le fasi di sviluppo demografico, a dimostrazione dell’importanza di tale settore. Nel paese leventinese, a partire dalla fine del 18° secolo si è assistito a una crescente pressione sui boschi, accentuata ulteriormente dal grave incendio del 1759 che distrusse gran parte dell’abitato e costrinse a sfruttare ulteriori superfici per i bisogni della ricostruzione. Nell’opera si citano anche altri importanti e spesso curiosi avvenimenti che hanno contribuito all’evoluzione delle foreste nel corso di questi 150 anni oggetto d’analisi: tagli clandestini, prezzo del legname, difficoltà e limita-
Il paese di Rasa, nelle Centovalli. (Ma.Ma.)
zioni di trasporto, richiesta e disponibilità di manodopera. Anche l’agricoltura ha di certo avuto un ruolo importante nei mutamenti avvenuti. I contadini attingevano di fatto al bosco principalmente per la raccolta di strame oppure per il pascolo dei propri animali. Anche qui l’autore ha voluto indagare per meglio cercare e poi spiegare i reciproci influssi. Per il suo lavoro Bertogliati ha combinato ricerche d’archivio, indagini sul terreno e analisi dendrocronologiche su alberi vivi (lo studio degli anelli del legno). Ne è scaturita un’analisi approfondita e documentata che spazia su tre principali livelli: la tutela dei boschi, la gestione delle risorse e delle dinamiche forestali e l’importanza in seno alla società. Come suggerito dal titolo (Dai boschi protetti alle foreste di protezione), la pubblicazione richiama l’attenzione sulla transizione da una gestione locale dei boschi, esplicitata attraverso provvedimenti di tutela, a un controllo più diretto esercitato dalle autorità centrali. Dalla ricerca, corredata da tabelle, grafici e numerosi dati, emergono interessanti aspetti relativi al bosco e alla società. Il differente approccio umano, gli interessi personali e della comunità, lo sviluppo dell’agricoltura e i cambiamenti dello stile di vita sono solamente alcune delle cause citate nell’analisi. Bertogliati cita poi come anche gli interessi personali, gli interventi politici e l’andamento economico hanno contraddistinto e influenzato lo sfruttamento delle foreste. Uno sfruttamento che ha definito la forma dei nostri boschi dal 1700 ad oggi, ma che ha le sue radici ben prima, come descritto dall’autore. Già verso il 1500 la gestione era dominata da usanze locali, come concessioni gratuite di legname d’opera, incanti di alberi oppure anche accessi vincolati (nel caso della raccolta di strame o il pascolo delle capre). La metà dell’Ottocento è invece ritenuta la data di svolta nell’evoluzione del rapporto tra bosco e società, cambiamento che portò a un certo allentamento della pressione dell’uomo in concomitanza con le ondate migratorie, la diminuzione del patrimonio zootecnico e l’intervento delle autorità nella gestione e regolamentazione. Avvenimenti che, nelle aree studiate, sono emersi dalle analisi dendrocronologiche e poi confermati a livello generale anche da fonti storiche. Evoluzione che Mark Bertogliati ha potuto approfondire nella sua ricerca, sfociata in queste 234 pagine che si sono meritate, oltre al Premio Migros Ticino, le attenzioni di molte persone interessate a questo vasto settore.
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Ambiente e Benessere
Il millenario antenato dell’aspirina Fitoterapia L’antichissimo salice è dotato di proprietà medicinali note sin dal V secolo a.C.
Eliana Bernasconi Ama l’acqua, i terreni più o meno umidi, le rive dei laghi e il greto dei fiumi, cresce spontaneo, può raggiungere i venti metri di altezza o essere potato e rimanere arbusto. È l’antichissimo salice, nome scientifico Salix, della famiglia delle Salicaceae che include numerose specie, compreso il maestoso salice piangente, tutte dotate di proprietà medicinali.
I suoi boccioli appaiono a primavera – prima delle foglie – e attraggono le api che iniziano il ciclo dell’impollinazione. La terapia con preparati di salice seguiva anticamente la «dottrina dei segni»: questa pianta, a volte con le radici parzialmente immerse nell’acqua, serviva per curare le malattie provocate dall’umidità stessa. Erodoto nelle Storie narra di un popolo più resistente alle malattie che usava mangiare le foglie di salice. Nel V secolo a.C. Ippocrate, il padre della medicina, descrive una polvere amara estratta dalla corteccia di salice che allieva il dolore e calma la febbre. Anche i nativi americani lo usavano già per curare mal di testa, febbre e dolori muscolari. Il nome ha origini celtiche e significa «presso l’acqua». Per questo antico popolo era l’albero sacro legato alla «Bianca Signora», la Dea Madre. Il salice era quindi simbolicamente e fisicamente connesso alla magia delle acque, ai cicli lunari e alla luna piena dispensatrice d’umidità e rugiada. Anche per questo i sacerdoti Druidi celebravano sacrifici rituali deponendo le offerte in ceste di salice. Un culto ancora presente in Lituania cento anni or sono, vedeva le contadine offrire fiori alla Dea madre del salice chiedendo fecondità. Per i popoli britannici era l’albero degli in-
Honza Groh
Anche i nativi americani lo usavano già per curare mal di testa, febbre e dolori muscolari
cantesimi, legato alle streghe; di fatto la radice inglese di «salice» (willow) e di «strega» (witch) è la stessa. Nel poema irlandese Canzone degli alberi della foresta è scritto di «non bruciare il salice, albero sacro ai poeti». Nel mondo greco le nutrici, che nascondono e allevano Zeus sul monte Ida per evitare che il padre Cronos lo divori, appendono la sua culla a un salice. Orfeo per riportare Euridice dal regno dei morti alla vita stringe fra le mani un ramo di salice. «Come un salice presso acque vaste, lo piantò come un salice» dice la Bibbia (Ezechiele 17:5), era propiziatore di pioggia presso gli ebrei. «Arpa d’or dei fatidici vati, perché muta dal salice pendi?» cantano nell’atto terzo del Nabucco. Una leggenda lega il salice anche allo Ju Jitso, l’antica arte marziale giapponese che letteralmente significa «arte della cedevolezza», da Ju, cedevole e jitsu, arte. In epoca feudale molti samurai, cessate
le violente battaglie, iniziarono a perfezionare le loro tecniche di combattimento: Shirobei Akiyama, un giovane medico insoddisfatto dei risultati si era ritirato a meditare in un monastero in montagna; al centesimo giorno osservando la neve scendere copiosa notò i potenti rami dei pini spezzarsi sotto il peso e quelli flessuosi e leggeri del salice piegarsi con eleganza per poi liberarsi della neve e riprendere la posizione iniziale; comprese così il principio della non resistenza e lo applicò alle tecniche che stava studiando. «Il morbido vince il duro» ancora oggi nello Ju jitsu, che anima la «Scuola dello spirito del salice». A Roma era chiamato solo vimen, come il nome dei suoi rami decorticati e usati per lavori d’intreccio, l’immortale giunco ricercato anche oggi. Per Plinio il Vecchio il salice calmava l’intemperanza sessuale e «i bollenti spiriti», soprattutto femminili e, come
sempre, secoli dopo la scienza confermò le sue proprietà sedative. Nel 1200 Ildegarda di Bingen utilizzava fiori e foglie per combattere l’insonnia e regolarizzare il ciclo mestruale. Nominano foglie e cortecce del salice gli antichi papiri medici egizi del II millennio av. Cristo, in Mesopotamia si usava curare la febbre e le malattie reumatiche osservando questa pianta che prosperava indenne nell’acqua. Millenni dopo, nel XIX secolo, si scoprì nella corteccia del salice un glucoside che per idrolisi enzimatica e poi per ossidazione si trasforma in Acido salicidico: la Salicina. L’acetilazione di questo composto, poi riprodotto in sintesi, diede luogo all’onnipresente celebre Aspirina, essenziale nella cura degli stati reumatici, febbrili, infiammatori. Va quindi reso omaggio a questa antica pianta, la medicina più diffusa nel mondo, perché a fine 800 le sue componenti riprodotte in farmaco di
sintesi diedero l’avvio alla chimica farmaceutica moderna e alla produzione industriale. Del Salice si usano la corteccia dei rami giovani, le foglie e la linfa: la corteccia si raccoglie a primavera, si essicca rapidamente al sole e si conserva in scatole; ha proprietà antireumatiche, febbrifughe e astringenti, mentre le foglie, raccolte da aprile e in tutta estate, essiccate rapidamente all’ombra e conservate in sacchetti sono astringenti, cicatrizzanti e sedative. Anticamente un uso popolare curava con risultati brillanti la psoriasi applicando sulla pelle una poltiglia di foglie fresche. La Tintura madre ha proprietà antiinfiammatorie, antipiretiche e antidolorifiche. I Macerati glicerici si preparano partendo da tessuti diversi; le gemme fresche hanno proprietà sedative e riequilibranti del sistema nervoso centrale; gli amenti stimolano l’asse ipotalamo-ipofiso-surrenalico; la scorza dei rami giovani ha proprietà antiinfiammatorie, antipiretiche, antidolorifiche; la linfa esercita un particolare tropismo per l’occhio. Oltre al salice altre piante sono ricche di derivati salicilici e hanno effetti antiinfiammatori e antireumatici generali; ne citiamo alcune: l’Olmaria o Regina dei prati (Spiraea ulmaria) in decotto di radici o infuso delle sommità fiorite; l’Artiglio del diavolo (Harpagophytum procumbes) in gocce o compresse; la Betulla (Betula pendula) in gocce; il Bosso (Buxus sempervirens) in gocce; l’Elicriso (Helicrhrysum italicum) infuso delle sommità fiorite, estratto secco; il Pino (Pinus montana) in gocce; il Ribes nero (Ribes Nigrum) in gocce; la Primula (Primula vulgaris) in gocce; la Saponaria (Saponaria officinalis) decotto delle radici o gocce; la Vite del Canada (Ampelopsis quinquefolia) in gocce. Tassativo comunque attenersi sempre alle prescrizioni degli esperti: anche le piante non sono prive di rischi e controindicazioni quando se ne fa un uso sconsiderato. Bibliografia
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
Camminando nella preistoria Viaggiatori d’Occidente Nuove scoperte archeologiche lungo i sentieri di Malta
Fabrizio Ardito, testo e foto Al centro del Mediterraneo, Malta è sempre stata frequentata da navigatori, mercanti e guerrieri. A partire dai punici, che qui ebbero i loro porti e la chiamarono Mlt (cioè rifugio), passando per i romani, gli arabi, gli aragonesi e i Cavalieri di San Giovanni, tutti hanno lasciato le loro costruzioni, gl’ipogei e le fortezze. La fase storica forse più affascinante dell’isola risale però a un’epoca decisamente più antica, compresa tra il 5000 e il 2500 prima di Cristo; di quel tempo sono rimasti segni imponenti, che gli archeologi si sforzano di interpretare. Templi megalitici e ipogei silenziosi si nascondono tra le pieghe dell’isola, quasi sempre un po’ fuori mano nel dedalo di case, stradine secondarie e muretti a secco che rendono difficile orientarsi anche su una terra così piccola. Piuttosto che salire e scendere dai minibus dotati di gelida aria condizionata che conducono i visitatori verso i siti più importanti, vale la pena di seguire le orme degli archeologi ottocenteschi e provare a percorrere a piedi gli itinerari più appartati, che riservano spesso sorprese e indicano la via per risalire alle origini della presenza dell’uomo nell’arcipelago. Il punto di partenza ideale è Rabat – che nacque romana con il nome di Melita – e che dall’epoca del dominio arabo in avanti divenne un sobborgo esterno alle mura della rocciosa Mdi-
Dingli Cliffs.
na, nel centro di Malta. Tra le silenziose vie del centro della cittadina non mancano monumenti antichi – come la domus romana degli Howard Gardens o le tentacolari catacombe cristiane del II secolo di Saint Paul – ma il nostro cammino conduce verso sud, in direzione della costa.
Il paesaggio è molto simile a quello siciliano, con strade secondarie che s’inoltrano tra i fichi d’India, pochi campi coltivati e il sole che, fino alla fine di ottobre, consiglia una buona provvista d’acqua e un cappello a larghe falde. Ed ecco che la storia inizia a scorrere all’indietro… La prima tappa
sono le rovine di Dar L Isqof, residenza di un vescovo seicentesco che giace abbandonata nella macchia. Una serie di salite permettono di superare il Verdala Palace, attuale residenza della Presidenza della repubblica, nato però alla fine del ’500 come palazzo fortificato del Gran Maestro dell’Ordine di
Malta Hugues Loubenx de Verdalle. Dopo più di un’ora di cammino assolato fa molto piacere raggiungere l’area dei Buskett Gardens, piccola foresta di pini marittimi, cipressi, aranci e lecci piantata dai cavalieri dell’Ordine di Malta che, in una terra tanto arida, avevano voluto ricreare un «boschet-
to» (da qui deriva il nome attuale) dove poter andare a caccia. Tra un muretto e l’altro si raggiungono finalmente le aree aperte di alcune grandi cave romane, con i segni evidenti del distacco dei blocchi dagli strati di calcare chiaro. Poi, di colpo, si entra in un paesaggio impressionante, dove coppie di solchi scavati nella roccia segnano l’altopiano e s’intersecano tra loro come binari ferroviari; tanto che la zona di Misrah Ghar il-Kbir, dove siamo appena giunti, è nota come Clapham Junction, dal nome di una grande stazione ferroviaria londinese. I solchi, conosciuti con il nome di cart ruts, sono profondi da un minimo di dieci centimetri fino a un massimo di mezzo metro, e distano fra loro tra i 110 e i 140 centimetri. Nella luce del sole radente, tutto il plateau è segnato da scambi e incroci scolpiti nella roccia che, secondo Themistocles Zammit, il padre fondatore dell’archeologia maltese, risalgono proprio a un periodo compreso tra il 4000 e il 2500 prima della nostra era. Queste «rotaie» sarebbero tracce lasciate da slitte con pattini di legno, poi approfondite dal passaggio di migliaia di convogli carichi di pietre da costruzione, oppure destinati al trasporto di terra coltivabile da utilizzare per nuovi campi realizzati dal nulla sopra la nuda roccia. Tra una coppia di solchi e l’altra, degli scavi rettangolari indicano la presenza di una serie di tombe puniche, scavate per il riposo di uomini e donne defunti almeno tre millenni dopo lo scavo del gigantesco dedalo di preistorici binari. Il sentiero, dopo aver oltrepassato la grande depressione della grotta di Ghar il-Kbir, abitata in tempi preistorici ma popolata da trogloditi fino all’Ottocento, di colpo smette di salire e si affaccia sul bordo delle vertiginose Dingli Cliffs, il punto più alto dell’isola. Le pareti precipitano verso il mare
Rabat, catacombe di Saint Paul.
Isola di Filfla.
per 250 metri e sono divise a metà da un ampio ripiano su cui sopravvivono ancora oggi piccoli campi coltivati. Il panorama si apre verso il mare e schiude la vista di Filfla, l’isola più piccola dell’arcipelago, che conservava anch’essa i suoi solchi preistorici, poi cancellati dalla brutale abitudine della Royal Navy di utilizzare l’isolotto come bersaglio per l’artiglieria. La camminata prosegue verso est e ci conduce, oltre le rocce di Fawwara e le case di Lapsi, ai tre templi affiancati di Mnajdra, dove sono state ritrovate statuette che assomigliano ad antichissimi ex voto e che, secondo gli studi più
recenti, potevano essere un sofisticato osservatorio solare per calcolare con precisione solstizi ed equinozi, in funzione tra il 3600 e il 2500 a.C. Poco lontano, al termine dell’ultima salita di queste quattro ore di cammino, le pietre del tempio di Hagar Qim sono state esplorate a partire dal 1910, portando alla luce numerose divinità grasse, le cosiddette Veneri di Malta, e la più grande pietra unica mai usata in un tempio maltese, alta sette metri e pesante venti tonnellate. Imponente e degna conclusione di una passeggiata solitaria dedicata alle pietre antichissime di un’isola senza tempo.
Cart Ruts a Clapham Junction.
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E bevevano i nostri padri Il vino nella storia I vini di Roma – Prima parte
Davide Comoli Le abitudini enologiche nell’antica Roma furono dapprima ispirate a una rude semplicità. Se la repubblica fu austera, l’età imperiale fu improntata a uno stile di vita lussuoso e gaudente. Nel periodo di maggior splendore anche le matrone (un tempo escluse dalle libagioni) amavano apparire come delle vere esperte di vino. Il mutamento dei costumi si manifestò soprattutto a tavola. I cibi frugali, consumati per lo più davanti al focolare domestico, cedettero il passo a sontuose cene innaffiate da colossali libagioni. La cena era considerata l’unico momento della giornata in cui si poteva far baldoria in compagnia. La giornata tipo incominciava presto, con la consumazione dell’ jentaculum (ndr: la colazione degli antichi Romani), a base di pane, formaggio, carne e frutta. Spesso, come racconta Marziale, erano gli avanzi della cena a cui si era stati invitati la sera precedente. Agli ospiti era, infatti, consentito portarsi via ciò che era rimasto avvolgendolo in un panno portato per tale scopo. La cena dei Romani iniziava dopo il tonificante bagno nelle terme, dove veniva consumato uno spuntino chiamato prandium, in pratica la cena vera e propria iniziava verso le quattro-cinque del pomeriggio. Non stiamo a descrivere il lusso delle sale da pranzo, ma se vi capita di passare per Roma, non mancate di visitare la «Domus Aurea», sul Colle
Oppio, dove Nerone intratteneva i suoi ospiti, ve ne farete un’idea. Ma se gli occhi volevano la loro parte, la gola non aveva di che lamentarsi. In una cena venivano servite almeno sei ferculum (portate) e ognuna di esse prevedeva più portate. Si iniziava dalla gustatio (l’antipasto) chiamato anche promulsis con la quale si beveva il mulsum, il vino mielato a cui il centenario Romilio Pollione attribuiva la sua longevità. Era questo vino, una miscela energetica, composto secondo una ricetta di Columella, da un chilo e mezzo di miele e sei litri di vino, con spezie varie lasciate in infusione per almeno tre giorni. Seguiva una breve, dove tra versi greci e musica, si faceva circolare un piccolo scheletro d’argento sulla cui base si leggeva «Memento mori» il macabro avvertimento stava a dire: «Divertiti finché sei in tempo?» E forse per accrescere i piaceri materiali si riprendeva a mangiare il tutto impreziosito da condimenti in cui non mancava il vino, e dove il mosto si sposa con la menta e con il miele tanto apprezzato da Catone oppure ancora con l’oenogarum. Si tratta di una variante del mitico garum versione Apicio, il quale diluiva il garum (intestini di pesce, preferibilmente sgombri, fatti macerare nel sale e fermentati) con il vino e lo addolciva con il miele. Curiosa e ricca di vino è pure la salsa di Catio, un gastronomo dell’epoca che abbiamo trovato sfogliando le Satire di Orazio, ecco la ricetta: vino puro, erbe aromatiche, olio del Venafro (il
Thomas Couture (1815-1879), olio su tela, Romani durante la decadenza, 1847. Attualmente esposto al Musée d’Orsay di Parigi.
più rinomato dell’epoca) e zafferano di Corycos. Tuttavia il bello doveva ancora venire. Tra saltimbanchi, acrobati e giocolieri, la cena a Roma come in Grecia e in Etruria, non era altro che il prologo della serata. La cena, infatti, non era nient’altro che l’introduzione di quel momento tanto atteso dai crapuloni, la comissatio, una bevuta generale con tanto di regole, molte delle quali sono elencate da Plutarco, Catullo e Marziale. «Simposio» per i Greci aveva un significato culturale, almeno nelle intenzioni, la comissatio dei Romani divenne da subito una gara per sbronzarsi. Ma quanto vino bevevano gli antichi Romani? Da un’iscrizione giunta sino a
noi datata 153 d.C., possiamo sapere l’assegnazione di vino a un collegio di medici sulla via Appia. A ogni membro anziano erano concessi nove sextarii di vino al giorno, l’equivalente di 178 litri all’anno, mentre ai giovani colleghi ne spettavano solo due sextarii. Con precisione non conosciamo il reale consumo di vino a quell’epoca, ma è stato stimato che nell’Urbe, all’inizio del II secolo d.C, compresi donne e adolescenti, si bevessero dai 104 ai 182 litri di vino all’anno! Le statistiche odierne inerenti alla Francia e l’Italia, indicano dai 50-55 litri di consumo pro capite. Di solito il vino puro (merum) veniva lasciato ai viziosi o a chi era considerato un barbaro, ma persino diluito, il vino veniva considerato pericoloso,
perché poteva portare alla pazzia. Questo era il pensiero di Ateneo, il quale sosteneva che la persona misurata beveva soltanto tre coppe annacquate: la prima per il brindisi, la seconda per l’amore e la terza per dormire. Le misure di mescita con l’acqua erano comunque variabili, la scelta spettava di volta in volta, al magister bibendi, l’antenato del moderno sommelier, eletto dagli stessi commensali, il quale fissava anche il numero e i temi dei brindisi. Esisteva pure l’usanza di adulterare i vini con spezie, profumi e ingredienti vari. L’operazione in verità celava scopi truffaldini, come quella di aggiungere il miele per aumentare il tasso alcolico, o quello di tagliare un vino buono con uno di pessima qualità (nil sub sole novum). Le tecniche di vinificazione presso i Romani erano abbastanza rudimentali, con il tempo le cose non migliorarono di molto, invecchiando il vino inacidiva e diventava amarognolo. A poco e nulla serviva aggiungere miele, cannella, petali di fiori o per schiarirlo albume o gesso. Leggendo la descrizione di certe ricette per fare vini, si possono capire certe gastralgie rimaste storiche. Ad esempio Giulio Cesare, pur assai sobrio, dopo cena soffriva sempre di mal di stomaco, Augusto ancor più debole di stomaco, durante il pasto beveva solo tre sorsi di vino, raramente sei, altrimenti vomitava. Per fortuna non mancarono eccellenti vini, volutamente lasciati genuini. Ma di questo parleremo nella prossima puntata. Annuncio pubblicitario
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Le mille sfumature dell’aceto L’aceto esiste da migliaia di anni. È stato sempre amato e rispettato, in quanto ha una caratteristica vincente: è uno straordinario conservante, basti pensare ai mille sott’aceti, più che mai indispensabili prima dell’invenzione dei frigoriferi.
Esiste anche l’aceto di miele, ricavato dalla fermentazione dell’idromele: è molto profumato Ma anche oggi resta un ingrediente amato. Non solo: l’offerta di tipologie diverse di aceti è letteralmente esplosa negli ultimi anni. Tant’è che molti aceti delle più diverse tradizioni sono disponibili un po’ ovunque. Quindi una cosa dobbiamo fare: assaggiarli per scegliere poi non un solo aceto da utilizzare su tutto, ma una serie di aceti – io, come sempre esagerato, ne ho nove diversi in casa – che vanno incontro alle nostre esigenze. Vediamo di saperne di più. I metodi per la produzione di aceto sono tre. Orleanese o casalingo: il vino viene versato in un’apposita botte, detta «tinello», riempita per metà in modo da lasciare l’aria per avviare il processo di trasformazione. Lussemburghese: il vino è versato in una botte girevole riempita di trucioli (l’ambiente ideale per la proliferazione dei batteri) che viene ruotata per rendere più rapido il processo di acidificazione. Rapido o tedesco: simile al precedente, è il più diffuso per la produzione di aceto a livello industriale. Il vino viene fatto scendere dall’alto sopra strati di trucioli, tutoli (è la parte della spiga del mais dove sono fissate le cariossidi) di granoturco e vinacce. Alla fine della discesa il vino si è trasformato in aceto. L’aceto può essere:
■ di vino bianco o rosso, ricavato dal vino comune. È l’aceto più diffuso in Europa, quello archetipico. Le qualità migliori sono fatte maturare in tini di legno per almeno due anni; ■ balsamico, ricavato dal mosto cotto di uve di trebbiano e lambrusco. Quello D.O.P. è invecchiato per un periodo che va dai 12 ai 25 anni; ■ di mele, ricavato dalla fermentazione del sidro, dal colore ambrato, da qualche tempo di gran moda dato che è meno intrusivo dell’aceto di vino; ■ di birra. Ricavato dalla fermentazione dell’omonima bevanda, ha un gusto maltato. Questo tipo di aceto sta scalando il mercato, sono pronto a scommettere che in breve tempo sarà di moda; ■ di miele, ricavato dalla fermentazione dell’idromele: è molto profumato; ■ bianco, ricavato dall’ossidazione di alcool puro o da un distillato; ■ di malto, ricavato dall’orzo. L’amido si trasforma in zucchero, lo zucchero in alcool e poi intervengono gli acetobatteri a fare tutto il resto; ■ di riso, ricavato dal sake, il famoso vino di riso giapponese, segue la stessa procedura dell’orzo; ■ di palma, ricavato dalla fermentazione del toddy, un vino prodotto con la linfa di alcuni tipi di palme tra cui anche quella da cocco. È molto diffuso nella cucina asiatica e africana; ■ di canna, ricavato dalla fermentazione del succo di palma da zucchero. Molto comune nelle Filippine, è facile da reperire in Francia e negli Stati Uniti, un po’ più raro nel resto d’Europa. ■ di pomodoro, ricavato dal succo filtrato e fermentato di pomodoro fresco, ha un colore rosso rubino e un profumo che ricorda i pomodori secchi. ■ di uva passa, una specialità turca e diffuso nella cucina del Medio Oriente, è ricavato dal succo dell’uva passa. ■ aromatizzato, a base di aceto bianco di vino in cui vengono lasciati in infusione per un certo periodo di tempo diversi tipi di frutta (frutti di bosco, arance o pere) o di erbe (timo, origano). E altri ancora.
CSF (come si fa)
Bernd Gross
Allan Bay
Cristiano Carli
Gastronomia Da conservante a ingrediente amato per i suoi aromi
Le palatsinca – ma si trovano scritte anche palatsinka, palacinca e… palacinque – sono un dolce balcanico. Hanno origine bizantina e a Costantinopoli erano note con il nome di palakountas. Poi, in seguito alla conquista turca di Bisanzio prima e dei Balcani poi, trasmigrarono a nord per insediarsi prima a Budapest, dove hanno prosperato – in molti pensano che abbiano un’origine ungherese – e poi a Vienna e anche a Trieste, ennesimo
arricchimento dato dai popoli soggetti al multietnico e multiculturale impero asburgico. Assomigliano un po’ alle crêpe, ma crêpe non sono. Ecco come si fanno. Le versioni sono tantissime, questa, come sempre, è solo una mia proposta. Per 4 palatsinca. Rompete in una ciotola 2 uova e incominciate a sbatterle. Unite 4 cucchiaiate di farina 00 setacciata e continuate a sbatterle. Aggiungete 1 pizzico di sale fino, 1 cucchiaio di zucchero semolato, la scorza grattugiata di un limone non trattato e poca acqua, continuando a sbattere. Unite a filo del latte intero fino ad avere una pastella non troppo densa. Sciogliete in una padellina una noce di burro o scaldate un filo di olio di semi, mettete un quarto del composto, livellatelo e fatelo cuocere come se fosse una frit-
tata. Quando i bordi della palatsinca si staccheranno dai bordi della padella, giratela e completate la cottura. Fate lo stesso col resto della pastella. Mettete ogni palatsinca su un piatto e spalmatevi sopra abbondante confettura a piacere. Arrotolatele su se stesse e servitele tiepide spolverizzandole con zucchero a velo e nappandole con panna montata. La confettura dovrebbe essere poco dolce, diciamo 3 parti di frutta mondata, 1 di mele, ricca di pectina che addensa, e 1 di zucchero. Esiste una variante che prevede che vengano farcite con una crema di cioccolato: anche lei non troppo dolce. Sono senza dubbio belle nutrienti ma appunto vengono dai Balcani, il cui clima è senza dubbio tendente al freddo…
Ballando coi gusti Oggi due proposte di pasta, o meglio due modi senza dubbio un po’ barocchi di presentare questo ingrediente. Sono entrambi di grande effetto visivo. Pasticcio di maccheroni
Penne e gamberetti al cartoccio
Ingredienti per 6 persone: 500 g di pasta frolla · 300 g di pasta corta a piacere · 300
Ingredienti per 4 persone: 320 g di pasta tipo penne · 150 g di code di gamberetti
g di ragù classico o meno · 2,5 dl di besciamella · 1 tuorlo · olio di oliva · sale e pepe.
· 150 g di pisellini sgranati · 1 cipollotto · vino bianco secco · olio di oliva · sale · pepe bianco in grani.
Cuocete la pasta in abbondante acqua salata al bollore, scolatela al dente e trasferitela in una zuppiera; conditela con il ragù caldo, unite la besciamella e poco pepe. Mescolate e lasciate intiepidire. Stendete la pasta frolla in 2 dischi del diametro di 30 cm ciascuno. Distribuite la farcia di maccheroni al centro di uno dei 2 dischi, modellandola a forma di cupola. Coprite con l’altro disco, sigillate i bordi e ritagliate la pasta in eccedenza con la rotella dentata. Con i ritagli preparate delle decorazioni, usando stampini sagomati, e disponetele sulla superficie della cupola. Spennellate il pasticcio con il tuorlo sbattuto e cuocetelo per 25’ nel forno a 175°.
Private i gamberetti del budellino nero, sciacquateli e asciugateli. Scaldate un po’ di olio in un tegame e saltate per 30 secondi i gamberetti, mescolando. Sfumate con 1 bicchierino di vino, quindi togliete il tegame dal fuoco e insaporite con sale e pepe. In un tegamino fate ammorbidire nell’olio il cipollotto tritato; unite i pisellini, salate, pepate e fate cuocere, allungando eventualmente con acqua calda salata, ma il sugo deve essere morbido. Negli ultimi istanti di cottura unite i gamberetti con il loro condimento e lasciate insaporire. Cuocete la pasta in abbondante acqua salata, scolatela al dente, conditela con un filo di olio e il sugo di gamberetti e pisellini. Mescolate, trasferite su un foglio di carta da forno, chiudete con cura i bordi del cartoccio e passate in forno già caldo a 220°C per 5’ circa.
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Ambiente e Benessere
La preferita di 007 Motori Anche nel nuovo Spectre, James Bond non tradisce i suoi gusti e si mette alla guida
di una Aston Martin, la DB10 Mario Alberto Cucchi Molti attori hanno vestito i panni dell’agente segreto 007. Da Roger Moore a Sean Connery, da Pierce Brosnan a Daniel Craig. Correva l’anno 1962 quando fu proiettato il primo 007: Licenza di uccidere. Mentre proprio in questi giorni sta arrivando nelle sale cinematografiche di tutto il mondo Spectre, l’ultimo episodio della saga creata da Ian Fleming (vedi a pag. 40). Quasi tutti i trenta film dedicati all’agente speciale di Sua Maestà hanno un comune denominatore oltre alle pistole e alle bond girl: gli inseguimenti in auto. Potenti vetture sportive sempre in primo piano che rombano sulle strade di tutto il mondo. Salvo rarissime eccezioni è presente una Aston Martin, la preferita di 007. Nel 1964 Sean Connery nel film 007 Goldfinger guidò un’affascinante Aston Martin DB5 che è stata recentemente venduta all’asta da Sotheby per 3’328’000 euro. Nel 2015, invece, l’attore Daniel Craig protagonista di Spectre guida una stupenda DB10. Si tratta di una Aston Martin creata appositamente dalla Casa automobilistica britannica per il film e disegnata da Marek Reichman seguendo le indicazioni del regista Sam Mendes. Le caratteristiche sono quasi tutte top secret. Tuttavia sembra che la DB10 possa raggiungere i 305 chilometri orari di velocità massima. Monta pneumatici Pirelli di ultima generazione e adotta freni a disco molto grandi per permettere frenate brusche
L’Aston Martin DB10 è nelle mani di Daniel Craig.
e manovre ad angolo tipiche della guida «sportiva» di James Bond. Sotto il cofano si trova un propulsore benzina 8 cilindri a V da 4.700 cc. L’agente 007, la bond girl Monica Bellucci, la Aston Martin DB10… insomma Spectre sta mietendo successi sin dalla «prima» londinese del 27 ottobre scorso. Gli addetti ai lavori continuano però a porsi una domanda: sarebbe disposto il pubblico a rinunciare al rumore del motore che sale di giri durante un inseguimento o una fuga precipitosa di
007? Il futuro a quattroruote di Bond potrebbe, infatti, essere al volante di un silenzioso veicolo a emissioni zero dotato di motore elettrico. Aston Martin sta accelerando sullo sviluppo di quella che sarà la sua prima auto elettrica di sempre. Recentemente in occasione di un incontro alla Lancaster House di Londra tra il Principe William e il Premier cinese Xi Jinping, la Casa britannica ha infatti svelato a sorpresa il prototipo RapideE. Una supercar a zero emissioni su base Rapide S.
Il Presidente di Aston Martin, Andy Palmer, ha anticipato che il modello di serie potrebbe essere commercializzato «entro due anni». Si tratta di una concept sviluppata in collaborazione con la Williams Advanced Engineering di Grove e con il supporto finanziario del fondo cinese ChinaEquity. Proprio quest’ultimo sarà fondamentale nella successiva fase che porterà alla vettura da produzione. Non ci sono ancora dettagli motoristici, ma la Aston Martin RapideE
potrebbe adottare due soluzioni, una standard da 550 cavalli e una decisamente più estrema da oltre 800 cavalli. Secondo alcune indiscrezioni pare si possa arrivare anche a mille cavalli di potenza massima. L’autonomia della vettura potrebbe raggiungere i 350 km mentre le batterie saranno fornite da LG o da Samsung. «La concept – ha chiosato Palmer – dimostra la capacità e l’ambizione di Aston Martin di sviluppare sportive a basse se non a zero emissioni». Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Da oggi di più Mondoanimale Una nuova consapevolezza accompagna la scelta di conservare le ceneri
del proprio animale domestico Maria Grazia Buletti «La piccola urna di Blacky mi accompagna da ben sette anni e ogni volta che la vedo mi rattrista sapere che il mio cagnolino è lì dentro», malgrado ciò, alla morte di Black, Alessandra ha deciso di farlo cremare per conservarne le ceneri. E così ha fatto per il suo gatto, Nero: «Ho ricevuto la sua urna il giorno del mio compleanno. Credo di aver versato tutte le lacrime che avevo, ma ora sono lì entrambi che mi guardano dall’alto dello scaffale dove li ho riposti: Nero con la sua solita posa da altezzoso che aveva quando era in vita». Come tante altre persone con cui abbiamo avuto modo di parlare, Alessandra vive come qualcosa di consolatorio la presenza di questi due piccoli contenitori: «So che, nonostante le ceneri appoggiate sopra l’armadio della sala, loro camminano ogni giorno con me e sono sempre nel mio cuore». Anni fa in Ticino ci si poteva imbattere in un cartellone raffigurante un cane e la scritta «Da oggi di più». Di più che cosa? È quanto veniva subito da chiedersi. «Più informazione, più etica, la possibilità di scegliere, per chi lo ritenesse opportuno, come accomiatarsi dal proprio animale domestico: avere le sue ceneri da conservare, un trattamento dignitoso dei suoi resti, scegliere di non lasciarlo mischiare a scarti di origine animale, se questo fosse stato ciò che avrebbe potuto far stare meglio il proprietario», così Renzo Viganò e Alessandro Pianari spiegano qual è stata l’idea che ha dato vita ai primi passi mossi, una decina d’anni or sono, da Fenice, unico servizio di cremazione degli animali domestici su territorio ticinese. «Parliamo di ogni genere di animale che in vita ci ha fatto compagnia»,
spiega Pianari che porta ad esempio persone che hanno consegnato loro, per la cremazione, lucertole, carpe, gechi, pappagallini o uccellini vissuti insieme in voliera, oltre che, naturalmente, cani e gatti che la fanno da padroni. «Non importa a quale genere appartengano gli animali domestici che ci hanno lasciato, perché se li amiamo da vivi, il contesto del lutto è uguale per tutti e un essere umano che decide di vivere ad esempio con un cane, vi incapperà due-quattro volte nella sua vita, dato che la speranza di vita dell’animale è in genere molto più ridotta di quella dell’uomo», affermano i due soci che hanno iniziato la loro attività a marzo 2005 e da allora hanno fatto fronte a un notevole incremento di richieste di cremazione: «Per portare un esempio, sono oltre 25mila i cani censiti ogni anno in Ticino, dove la loro mortalità del dieci per cento porta alla conclusione che ne muoiano circa 2500 all’anno. Noi ci occupiamo della cremazione di 600-700 di questi cani». Dati alla mano, Viganò e Pianari hanno visto cambiare in questo decennio il concetto di commiato dal proprio animale domestico. «Inizialmente ci siamo resi conto che all’incirca il 70 per cento di persone non sapeva dove sarebbe andato a finire il proprio animale domestico dopo la sua dipartita e non si erano neppure posti la domanda; oggi i veterinari informano sulla possibilità di cremarlo». Alessandra ce lo conferma: «Sia per Blacky che per Nero il veterinario mi ha chiesto se volessi usufruire del normale servizio offerto dal Cantone per lo smaltimento dei loro resti, o se desiderassi farlo cremare; ho scelto questa seconda possibilità anche se costa di più, ma perlomeno i miei due amici a quattro zampe non sono finiti in discarica».
Borgo San Lorenzo, monumento al cane Fido. (Sailko)
Anche il fattore economico è stato dettagliatamente valutato dai due imprenditori del servizio di cremazione per animali domestici che offre la possibilità di una cremazione cosiddetta collettiva, dunque meno cara, e una cremazione individuale alla quale il proprietario dell’animale può assistere e terminata la quale potrà già portarsi a casa le ceneri del suo beneamato: «Nella cremazione collettiva, meno cara dell’individuale per ovvie
ragioni, prevediamo la stessa modalità e la medesima cura di quella individuale, con la differenza che il corpo viene accolto insieme a quello di altri animali domestici e le ceneri non vengono ritornate al proprietario, ma ne viene assicurata una dignitosa deposizione negli spazi appositi messi a disposizione dalle Società di Protezione degli animali di Lugano, Bellinzona e Locarno», precisa Viganò. Luogo che i proprietari potranno andare a visita-
re, passando accanto ai box che accolgono gli animali in attesa di adozione: «E chissà, che dalle ceneri non nasca la voglia di portarsene a casa uno? Fenice nasce proprio da questo concetto: la vita che rinasce dalle ceneri». Che si scelga quella individuale o quella collettiva, la cremazione del proprio animale domestico è oggi una realtà diffusa anche alle nostre latitudini: «Nei Paesi nordici si tratta di una pratica usuale e consolidata. Noi siamo onorati di poter offrire sul territorio quest’opportunità a chi volesse sceglierla, senza che debba recarsi oltre Gottardo, con relativo disagio e costi aggiuntivi». Ecco che con il motto «Da oggi di più» non ci si limita a offrire un servizio di cremazione rispettoso della dignità dell’animale e del lutto del suo proprietario, ma si funge da vero e proprio cambiamento nell’elaborazione di un distacco, come spiega Viganò: «Oggi l’animale domestico rappresenta una sorta di boa di attracco alla felicità: alla televisione vedo cose brutte, i giornali ne riportano altrettante, a casa guardo il mio animale e lo vivo come un’isola di serenità, con l’amore incondizionato che da vivo sa regalarci». È per questo che parecchie persone scelgono di dargli dignitosa sepoltura collettiva o di conservare le sue ceneri, e così termina il racconto di Alessandra: «…e quando mi rattristo penso alle parole della veterinaria quando mi ha detto che loro, i nostri animali, non hanno paura della morte: smettono solamente di esistere». Il grande vuoto che lasciano è spesso impressionante, per usare una sua sensazione: «Forse è anche per questo che ho deciso di avere qui con me un poco di quel che ne rimane, anche se si tratta solamente di una piccola statua che ne contiene le ceneri».
Giochi Cruciverba Qual è l’animale con gli occhi più grandi del mondo e quanti centimetri di diametro misurano? Troverai le risposte leggendo a cruciverba ultimato, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 7–11)
ORIZZONTALI 1. Arrampicata 7. Il mio francese 8. Lo era Pietro il Grande 9. Acceso a Londra 10. Si organizza per diporto 11. Pianta con foglie carnose usata in erboristeria 12. Battenti 15. Dio egizio 17. «Oppure» latino 18. Costituente proteico del sangue 20. Le iniziali della Tatangelo 21. I fiori della purezza 22. Le iniziali del noto Carrisi 23. Valle del Canton Vallese 24. Lì in poesia 25. Formata da due atomi di idrogeno e uno di ossigeno 26. Il sistema ... dello scheletro VERTICALI 1. È presente nelle grandi città industriali 2. La preposizione che accompagna 3. Un anno a Parigi 4. Ci sono anche quelle giudiziarie 5. Si occupano di bambini 6. Pappagallo americano 10. Corpi sferici 11. Isolotto tipico dell’Oceano Pacifico e Indiano 12. Una stretta … di mano 13. Termine da tennista 14. Simbolo chimico del tallio 15. Vive nei fondali marini 16. Una dimostrazione di affetto 18. La Lollobrigida 19. Non sta né in cielo né in terra 21. In basso 23. Prime in zero e quattro 24. In lista dopo la prima
Sudoku Livello per geni Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
Soluzione della settimana precedente
TRA AMICI – «Carlo com’è tua moglie in cucina?» Risposta risultante: «BRUTTA COME IN TUTTE LE ALTRE STANZE».
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Tempo di preparazione ca. 20 minuti, cottura in forno ca. 40 minuti
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Politica e Economia Passaggio di consegne Comizio della destra a Bologna compatto contro Renzi. Ma è Silvio Berlusconi il vero perdente, perché deve cedere lo scettro a Salvini
Politica vaticana Papa Francesco alle prese con un periodo difficile: dalla fuga di notizie riguardanti documenti riservati della Santa Sede alla difficile riforma della Curia romana
Usa-Cuba: 5. parte La diplomazia dei piccoli passi è la strategia per trattare con il Lider maximo Fidel Castro
Cambio di rotta Recenti decisioni in campo finanziario e fiscale indicano che il Consiglio federale prende atto della svolta a destra
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Svolta diplomatica Cina-Taiwan Prima storica stretta
di mano fra i due leader Xi e Ma dopo la divisione avvenuta nel 1949
Beniamino Natale Sembra incredibile, eppure è successo. Il presidente cinese Xi Jinping e quello taiwanese Ma Ying-jeou si sono incontrati e si sono scambiati sorrisi e strette di mano. Il protocollo è stato leggermente semplificato dal fatto che il vertice si è svolto in campo neutro, nella città-Stato di Singapore, il cui governo ha buone relazioni sia con Pechino che Taipei. Nello Shangri-la, l’albergo di lusso che ha ospitato l’incontro, Xi e Ma si sono rivolti l’uno all’altro chiamandosi «signore». Il termine «presidente» è stato accuratamente evitato per non far sorgere il sospetto che l’uno avesse riconosciuto la legittimità dell’altro. Nel dare a sorpresa l’annuncio del vertice tra «le due sponde dello Stretto di Taiwan» – altra espressione usata per evitare fraintendimeni diplomatici e politici – sia l’ufficio di Ma Ying-jeou che l’agenzia Nuova Cina hanno usato il termine «leader». I due «signori» si sono stretti a lungo la mano (ottanta-novanta secondi, secondo i cronisti), e hanno sorriso davanti alle telecamere. Poi hanno parlato, sempre stando attenti a non dare adito a interpretazioni troppo ardite. Xi Jinping ha detto che «nessuna forza potrà separare» le «due sponde», che sono «una sola famiglia», unita dallo stesso sangue che «è più denso dell’acqua» (secondo il resoconto di Nuova Cina). Ma ha risposto, come ha raccontato lui stesso in una conferenza stampa al termine dell’incontro, «sollevando» i problemi dei missili cinesi puntati contro Taiwan e dell’«isolamento diplomatico» dell’isola – perseguito con ostinazione e con successo da Pechino. Nessun accordo, nessuna firma, ma è «l’incontro stesso il messaggio», ha sottolineato uno dei tanti esperti che hanno seguito lo storico vertice. Molto significativo anche il fatto che mentre Ma Ying-jeou ha tenuto una lunga conferenza stampa rispondendo a decine di domande, Xi Jinping sia sparito subito dopo il meeting.
Riassumendo: il nome ufficiale di Taiwan è «Repubblica di Cina». Si tratta di uno Stato nato nel 1949 quando il leader del Partito Nazionalista (Guomindang), Chai Kai-shek vi si rifugiò dopo essere stato sconfitto nella guerra civile dai comunisti guidati da Mao Zedong, che fondarono la Repubblica Popolare Cinese. Nessuna delle «due Cine» ha mai riconosciuto l’altra. Il Partito Comunista Cinese e il Guomindang ritengono entrambi di essere il legittimo governo di tutta la Cina, nella quale Taiwan è compresa. Però Taiwan, al contrario della Cina, è una democrazia. Dal 2000 il Guamindang, del quale Ma Ying-jeou è il leader, si alterna al potere con il Partito Democratico Progressista (DPP), che al contrario ritiene che Taiwan sia un Paese indipendente. Gli indipendentisti ricordano che nei secoli scorsi solo per brevi periodi Taiwan è stata governata da dinastie al potere a Pechino, che dal 1895 al 1945 è stata una colonia del Giappone e che dal 1949 – cioè da 66 anni – è indipendente di fatto. Col passare delle generazioni l’identità taiwanese separata da quella cinese – esistono milioni di taiwanesi che sono «figli della terra», cioè che non sono venuti dalla Cina continentale – si è rafforzata. In gennaio gli elettori andranno alle urne per eleggere il nuovo presidente e il nuovo Parlamento. La candidata del DPP Tsai Ing-wen è data per vincente da tutti i sondaggi, secondo i quali il DPP otterrà anche la grande maggioranza dei deputati. Il Guomindang potrebbe avere un colpo mortale. Ha scritto il «New York Times»: «per gli ultimi otto anni (cioè da quando è al potere Ma Ying-jeou) il governo cinese ha ricoperto di regali i suoi exnemici taiwanesi: voli diretti, accordi commerciali, anche un oleodotto sottomarino. Il commercio è aumentato del 50% e i turisti del continente, ai quali una volta era proibito visitare l’isola, arrivano a frotte, circa quattro milioni solo nell’anno in corso». «Ma – prosegue il giornale – Pechino scopre che il denaro non può comprare l’amore…»
I due leader a Singapore per lo storico incontro: da sinistra, il taiwanese Ma e il cinese Xi. (AFP)
Andrew Nathan, uno dei sinologi più apprezzati al mondo, sostiene che tra i due leader, chi ha rischiato di più col vertice è stato Xi Jinping. Il fatto di rivolgersi l’uno all’altro come «mister», ha scritto, «rischia infatti di creare un’ ottica che qualcuno potrebbe chiamare di “non subordinazione reciproca”, una cosa che Pechino non aveva mai ammesso in precedenza». Inoltre, prosegue il sinologo, Xi ha accettato di definire i colloqui «politici», anche se il significato del termine non è stato specificato e rimane vago. «Forse, al contrario di Ma, pensa che il vertice possa influire sulle elezioni… ma più probabilmente gioca su un periodo più lungo, sperando di fermare la rapida crescita dei sentimenti anti-cinesi a Taiwan e di poter influenzare il comportamento del nuovo governo di Taiwan».
Prima di recarsi a Singapore per la storica stretta di mano con Ma Yingjeou, il leader cinese ha visitato il Vietnam, uno dei Paesi più attivi nel contestare le rivendicazioni di Pechino sul Mar della Cina Meridionale. Anche qui, ha elargito promesse di aiuti economici e distensione politica. Pochi giorni prima il numero due cinese, il primo ministro Li Keqiang, aveva incontrato a Seul il capo del governo giapponese Shinzo Abe. Nel corso dell’incontro, Li ha affermato che le relazioni tra Cina e Giappone «si stanno normalizzando» nonostante le opposte rivendicazioni sulle isole Senkaku/ Diaoyu, nel Mar della Cina Orientale, e l’ondata di nazionalismo anti-giapponese in Cina, una corrente di opinione creata dal Partito Comunista negli ultimi decenni che ha avuto un forte im-
pulso da quando Xi Jinping è salito al potere, nel 2012. Fino ad oggi la politica estera cinese è stata guidata dalla convinzione che massicci investimenti e la cosiddetta «non interferenza negli affari interni» degli altri Paesi – una sorta di agnosticismo politico – fossero sufficienti a garantire la salvaguardia dei propri interessi. Una politica che sembra sempre meno utile, considerata anche la recente prova di forza della settima flotta americana proprio nel Mar della Cina Meridionale, dove la nave da guerra US Lassen ha sfidato apertamente le rivendicazioni territoriali di Pechino. Ora invece molte delle recenti iniziative diplomatiche fanno invece pensare che Pechino stia elaborando una nuova politica estera, più adeguata alla nuova situazione della Cina e dell’Asia.
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Un passato che non ritorna Comizio Doveva essere la grande riconferma di Silvio Berlusconi protagonista, in realtà
a Bologna si è celebrata la successione di Matteo Salvini e della Lega Nord come asse portante del centrodestra Alfredo Venturi
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AFP
Il capo di Forza Italia è troppo smaliziato per non avere previsto, alla vigilia della manifestazione, che avrebbe corso qualche rischio. Non a caso i più moderati fra i fedelissimi avevano cercato di dissuaderlo: non avvicinarti alle fauci del leone! Fra coloro che da tempo lo hanno abbandonato qualcuno è andato oltre: il cavaliere disarcionato va a fare la mascotte dei leghisti! Ma lui è convinto che con il partito attraversato da profonde lacerazioni e i sondaggi che lo vedono arrancare alle spalle della Lega, la sola ancora di salvezza sia l’unione del centrodestra. Poiché si tratta di fare i conti con l’aggressivo radicalismo di Salvini, questo comporta il rischio di perdere la parte più moderata del tradizionale elettorato berlusconiano. Facendo così un favore proprio a Renzi, che con le sue posizioni non esattamente collocabili a sinistra e la sua ecumenica visione di un «partito della nazione» cerca consensi nell’area centrista. Dunque il bilancio della giornata è incerto: Berlusconi confida che in fondo «poteva andare peggio», ma l’ala moderata del partito teme una disastrosa deriva. Del resto con ogni probabilità c’è dell’altro, nella decisione di partecipare alla manifestazione. Berlusconi è sempre stato affascinato dalla piazza e la nostalgia del passato, quando stregava folle entusiaste con la sua stringente abilità comunicativa, deve avergli instillato la speranza che forse, una volta salito alla tribuna fra i solenni palazzi della storia bolognese, avrebbe potuto compiere il miracolo. Occupare una volta ancora il centro della scena, conquistare quella folla non sua, allargare la presa oltre quei gruppi sparuti che in un mare di bandiere leghiste facevano ondeggiare i colori di Forza Italia. Come aveva detto con un pizzico di cinismo un esponente della Lega alla vigilia della manifestazione, dopo anni di forzata astinenza la piazza lo porterà all’orgasmo, e così ci consegnerà le chiavi del centrodestra.
È impossibile sapere se l’esperienza di quella domenica abbia avuto su Berlusconi effetti personali così coinvolgenti, ma è certo che la consegna è puntualmente avvenuta. Eppure il capo di Forza Italia non si è preoccupato di calibrare con i due alleati, in particolare con il segretario della Lega, i punti programmatici che ha esposto sul palco. Si verifica un singolare fenomeno: mentre Berlusconi cerca di radicalizzare le sue proposte per rendersi gradito ai leghisti, il leader del popolo padano prova a rendersi presentabile attenuando i furori che gli sono consueti, dunque procedendo nella direzione opposta, sia pure senza risparmiare insulti pesantissimi per Renzi e per il ministro dell’Interno Angelino Alfano, colpevoli soprattutto di non sapere arginare l’invasione dei clandestini. Ma i due alleati parlano su registri diversi: Berlusconi prende le distanze dall’Europa mentre Salvini, tradizionalmente anti-europeista, ora dice che non vuole uscire dall’Unione ma soltanto migliorarla. Berlusconi parla di Beppe Grillo come di una sorta di Hitler a capo di una «banda di balordi» e Salvini dice che le proposte della Lega sono aperte anche al Movimento cinque stelle. E così l’autunno del patriarca risuona di musiche dolcissime all’orecchio di Matteo Renzi. Con un centrodestra così, commentano gli addetti ai lavori della politica romana, il presidente del consiglio può dormire sonni tranquilli. Anche perché Salvini ha rinunciato al bellicoso proposito di qualche tempo fa, quando annunciò che in concomitanza con la manifestazione di Bologna avrebbe promosso uno sciopero tale da paralizzare il Paese. Lo sciopero non c’è stato e la resa di Berlusconi alla Lega caratterizza l’opposizione di destra con una connotazione talmente radicale da aprire al centro vasti terreni di caccia. Un altro regalo lo ha fatto a Renzi la minoranza di sinistra interna al
Partito democratico. Dopo che non è riuscita a condizionare la legge di riforma del senato, che è passata grazie a sostegni esterni, una parte di questa minoranza è uscita dal partito fondando una nuova formazione politica, Sinistra d’Italia. Ma uno dei dirigenti, Stefano Fassina, ha esordito con un passo falso, dicendosi pronto ad appoggiare il candidato grillino alle prossime elezioni nel comune di Roma, dove il Pd è uscito con le ossa rotte dalla tragicomica vicenda del sindaco dimissionario Ignazio Marino. A cose fatte, e fermo restando che il voto di primavera in alcune grandi città (oltre a Roma sono in ballo Milano e Napoli) metterà duramente alla prova il suo Pd, Renzi può proclamare a buon diritto di avere ben resistito alle spallate da destra e da sinistra. Per Berlusconi l’abdicazione forzata è resa ancora più amara dal dover constatare che proprio Renzi, l’uomo con il quale aveva stretto un patto politico, il giovane presidente nel quale si riconosceva (al punto che qualcuno non ha esitato a qualificarlo senz’altro come «clone di Berlusconi») è il beneficiario del suo declino. Né dovrebbe particolarmente consolarlo il fatto che in molti campi, dalla legislazione sul lavoro alle politiche fiscali, realizza programmi molto simili a quelli che per vent’anni lui stesso ha proposto agli italiani. E che ancora una volta ha provato a rilanciare, con la voce stanca dei suoi settantanove anni, a una piazza non più amica, non più disposta a rispondere con entusiastici «sì» alle sue domande retoriche: Volete voi...? Una piazza che preme e grida perché l’uomo del passato si levi di torno, offra il dovuto omaggio al giovane leghista che si è impadronito del diritto di rappresentare una destra smarrita, al successore di Bossi che non esita a cavalcare le ansie di una società spaventata da troppe incertezze, al rude tribuno che sa parlare così bene, come si dice, alla «pancia della gente».
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Incurante degli imbarazzanti precedenti storici, Silvio Berlusconi è rimasto fedele fino all’ultimo al suo rito prediletto: dialogare con la piazza, invitarla a rispondere alle sue domande. Volete voi...? Ma la piazza che l’altra domenica ha celebrato a Bologna l’investitura della Lega Nord (foto) come asse portante del centrodestra non aveva nessuna voglia di dialogare con lui. Berlusconi ha atteso invano i cori di «sì» del passato, quando la folla ratificava a gran voce i suoi programmi. Solo qualche debole cenno di approvazione, almeno fino a quando l’oratore ha chiesto alla platea se fosse d’accordo con l’intenzione di abolire l’Imu sulla prima casa, l’impopolare tassa sulle abitazioni. A questo punto la folla comincia a rumoreggiare infastidita: anche perché l’Imu sulla prima casa l’ha già abolita il governo di Matteo Renzi, e Berlusconi non avrebbe potuto sottolineare meglio la sua distanza dalla contingenza politica, il suo essere ormai fuori dall’attualità. Inoltre il vecchio leader sta sforando i tempi, doveva parlare quindici minuti ma è arrivato ai trenta dilungandosi sul programma che si è appuntato su alcuni fogli sgualciti. È quello di sempre: meno tasse, meno Europa, meno strapotere giudiziario... E così partono i primi fischi e le invocazioni: Matteo, Matteo! Non è ovviamente Renzi che la piazza chiama ma l’omonimo Salvini, l’arrembante segretario che ha traghettato la Lega dal secessionismo padano di Umberto Bossi a un inedito nazionalismo lepenista. La Lega che cerca, addirittura, di sfondare al Sud. Anche Salvini è visibilmente irritato con l’oratore che non vuol concludere, ma cerca di proteggerlo da un’ostilità popolare sempre più manifesta mettendoglisi accanto con una mano sul leggio. Finalmente Berlusconi arriva all’epilogo, che è una mirabolante previsione: uniti vinceremo! Coalizzando Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia (la formazione post-fascista guidata da Giorgia Meloni, che ha parlato poco prima) arriveremo al quaranta per cento! E così raggiungeremo il nostro obiettivo, mandare a casa Renzi! Finalmente il capo di Forza Italia lascia il microfono e se ne impadronisce Salvini. Indossa nel sole di una luminosa giornata una camicia bianca, che contrapponendosi al completo nero dell’alleato sembra sottolineare i quasi quarant’anni d’età che li separano. Anche i loro tempi si contrappongono: parlerò meno del previsto, esordisce il capo leghista con un’implicita nota a carico di chi ha parlato troppo, così potremo andare a vedere la gara motociclistica di Valencia, dove Valentino Rossi tenterà la sua disperata rimonta. Berlusconi ascolta corrucciato, chiaramente a disagio. Con questo alternarsi alla tribuna di Bologna si è celebrata una successione umana e politica: l’uomo che per vent’anni ha dominato la scena italiana, il controverso imprenditore prestato all’arte di governo, il protagonista di tante vicende giudiziarie, ha ceduto lo scettro. Non si è fatto da parte, resta in lizza con il suo partito, ma non domina come ai bei tempi la prospettiva politica. Berlusconi non è più protagonista, deve accontentarsi del ruolo di comprimario. Come il suo vecchio amico Bossi, che in un angolo del palco osserva impietrito la caduta del mito, il trionfo del giovane delfino.
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Politica e Economia
L’autunno del Papa Vaticano Bergoglio è alle prese con un periodo segnato da scandali nell’ambito dell’inchiesta vaticana
Giorgio Bernardelli Parla in continuazione della misericordia, il tema a cui dedicherà il Giubileo che si apre ormai tra una manciata di giorni. Per lui, però, adesso è il tempo della trincea. Impegnato a denunciare manovre più o meno chiare e a trovare il bandolo per non vedere affondata nella palude vaticana la riforma della Chiesa che in questi primi due anni di Pontificato ha sì evocato, ma non è ancora riuscito a mettere in moto del tutto. È la fotografia di questo autunno 2015 di papa Francesco, segnato duramente dalle resistenze e dai nuovi complotti in Vaticano. Si è cominciato a inizio ottobre con il caso Charamsa, il teologo polacco del clamoroso coming out sulla sua omosessualità: annunciata in quel modo e proprio alla vigilia dell’inizio del Sinodo sulla famiglia è stato senza dubbio un colpo assestato anche alla credibilità di Bergoglio. Poi è esploso il giallo della lettera di tredici cardinali che contestavano il metodo di lavoro scelto dal Papa per il Sinodo. Un testo più o meno sconfessato da molti dei firmatari, non appena quella lettera – originariamente pensata come un messaggio riservato al Pontefice – è stata divulgata da un sito cattolico molto vicino alla vecchia guardia vaticana. A inizio novembre – infine – sono
arrivati i due libri di Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi, basati in buona parte sulle stesse carte fornite loro da due figure interne al Vaticano: l’ex segretario della prefettura per gli Affari economici, mons. Lucio Vallejo Balda, e l’improbabile Francesca Immacolata Chaouqi, che proprio papa Francesco aveva nominato all’interno della delicatissima commissione per la riforma dello Ior. I due libri ripropongono proprio l’eterna questione irrisolta della banca vaticana e – più in generale – del rapporto della Chiesa con i soldi; con una «macchina vaticana» che appare in contraddizione con il Papa che predica il ritorno a «una Chiesa povera per i poveri». Tra i nuovi particolari sconcertanti a colpire sono state soprattutto le spese pazze per la ristrutturazione dell’appartamento dell’ex potentissimo segretario di Stato di papa Ratzinger, il cardinale Tarcisio Bertone, pagate parzialmente da un’istituzione come l’Ospedale pediatrico Bambin Gesù di Roma. Per non parlare, poi, di altri scandali venuti alla luce in maniera autonoma negli ultimi giorni, come quello finanziario che ha visto coinvolto l’ex abate di Montecassino, Pietro Vittorelli. Come ne esce papa Francesco da tutto questo? La sua risposta è stata quella di saltare ogni mediazione per appellarsi alla gente, che continua a sostenerlo con indici di popolarità al-
Keystone
sulla fuga di documenti riservati della Santa Sede e dai ritardi nell’annunciata riforma della Curia Romana
tissimi. Con un gesto senza precedenti domenica 8 novembre nel tradizionale appuntamento domenicale dell’Angelus ha parlato direttamente di questi scandali che coinvolgono il Vaticano. Mettendo i puntini sulle i riguardo alle responsabilità – «le cose pubblicate nei libri le abbiamo scoperte noi e le stiamo correggendo», ha detto in sostanza – ma anche riaffermando a uso degli alti prelati tutta la sua determinazione ad andare avanti nella lotta alla corruzione. È stata la risposta di un uomo di
governo. E in questo il Papa venuto dalla fine del mondo sta dimostrando quella decisione che l’intellettuale Benedetto XVI non era stato capace di trovare in circostanze analoghe. Ma un’azione ancora più forte di governo Francesco la sta esercitando attraverso le nomine dei nuovi vescovi: nelle ultime settimane ne sono arrivate una serie legate a città molto significative; da Palermo a Bologna, da Barcellona a Bruxelles. Tutti vescovi accomunati da un profilo ben preciso: preti che frequentano le periferie anziché manager
o custodi della dottrina. Pastori «con l’odore delle pecore» come li chiama Bergoglio. Questo però da solo non basta a risolvere il nodo più difficile, quello del Vaticano. L’annunciata riforma della Curia Romana – affidata a una commissione di studio formata da nove cardinali di tutto il mondo – tarda a prendere forma. E una macchina cresciuta a dismisura negli ultimi decenni denuncia impietosamente tutti i suoi limiti. Uno sopra a tutti: il metodo della cooptazione per qualsiasi incarico, fatalmente esposto alla deriva di giochi e cordate. Il caso di Francesca Chaouqi è emblematico da questo punto di vista: è ovvio che il Papa non può conoscere chiunque nomina. Ma in quale organizzazione sana una consulenza delicata verrebbe data con tanta leggerezza a una PR che è anche la moglie del responsabile dei sistemi di sicurezza informatici? E, più in generale, affidarsi alla «persona di fiducia» – più o meno bene riposta – è ancora lo strumento migliore per selezionare i quadri di un’organizzazione a cui guardano nel mondo oltre un miliardo di persone? Sono problemi laicissimi quelli con cui è alle prese oggi Bergoglio. Ma è sulla risposta a queste domande che si gioca la possibilità o meno per lui di segnare una svolta per la Chiesa che resti anche oltre il suo effervescente Pontificato. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
La lezione di Moratinos Usa-Cuba – 5. parte La politica dei piccoli passi sembra l’unica a funzionare nelle relazioni diplomatiche con Cuba
dove non c’è decisione che Fidel Castro non voglia. Lo dimostra il paziente lavoro del mediatore spagnolo Angela Nocioni Come sta Fidel? E quanto contano le sue opinioni a Cuba? Il suo stato di salute è top secret, segreto di Stato. Ma quanto conti ancora il suo parere non è un mistero: conta tanto, tantissimo, non si muove paglia nel governo dell’isola che Fidel non voglia. Lo confermano gli emissari che da Caracas volano spesso all’Avana per trattare per conto del governo venezuelano sui tanti affari che i due governi-fratelli (così quanto meno li definiva il defunto presidente Hugo Chávez) hanno in sospeso. «Que hace Fidel? Manda» assicurano ridendo. «Cosa fa Fidel? Comanda». Il 18 febbraio 2008, dopo quasi mezzo secolo di presidenza, Fidel Castro fece sapere che non sarebbe stato disponibile per essere nominato alla Presidenza del Consiglio di Stato e del consiglio dei Ministri, a causa di problemi di salute complicati, ma non gravi. Si tratta di una diverticolite curata probabilmente male che gli è costata più di un’operazione chirurgica. Se oltre ai diverticoli c’era dell’altro, non si sa. Tutta la vita privata di Fidel Castro è stata sempre protetta dal segreto, tanto più le sue condizioni di salute. I suoi scrupoli per mantenere totale la segretezza sulla sua persona è tale che, fino a qualche anno fa, l’accesso alla sua residenza di Punto Cero, la fattoria dove vive all’Avana con la moglie Dalia, era vietato sia a Raúl e alla sua famiglia che a Ramon, il fratello più grande.
Con Cuba la linea dura non funziona. Obama ha capito che se vuole trattare con Castro deve fare il primo passo Il 19 aprile 2011, Fidel Castro si dimise anche dalla carica di primo segretario del Partito Comunista di Cuba, consegnando i suoi poteri nelle mani di Raúl. Da allora, nonostante Fidel formalmente non sia a capo di nulla, non c’è capo di Stato straniero in visita all’Avana che non chieda di incontrare Fidel. Pura cortesia? È solo l’effetto inevitabile del suo essere una icona vivente del secolo scorso? No. È che conta ancora tantissimo. E chi vuole parlare di politica all’Avana, pragmaticamente, deve parlare con lui. Sempre che il Comandante en jefe ne abbia voglia. Fidel resiste, eterno come l’aria
e l’acqua. Con il potere (formale) affidato a suo fratello, osserva il mondo sprofondato nella sua poltrona vista Caribe. Telefona, riceve, briga, riflette. Un rapporto da romanzo psicologico con Raúl, brutto, piccolo, silenzioso, l’eterno secondo. Bisogna non conoscere Cuba per pensare che, con Fidel in vita e lucido, ci sia una sola decisione di strategia politica internazionale presa all’Avana senza il suo assenso. È lui il comandante in capo di qualsiasi trattativa possibile. Fa così da sessant’anni. Ma come si tratta con Fidel? Prima regola: i problemi cubani si trattano tra cubani. Quindi, nel caso del disgelo Usa-Cuba, far muovere formalmente l’arcivescovado dell’Avana, se a dare i passi concreti è l’America. Perché non Papa Francesco? Perché Bergoglio è argentino. Che si muova sulla scena il cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino, se a tendere la mano è il presidente degli Stati Uniti d’accordo con il Vaticano. E così è stato. La prassi è stata seguita alla lettera tanto dalla Santa Sede quanto dalla Casa Bianca. Seconda regola: mai irrigidirsi su questioni di principio, la controparte cubana deve sembrare regista della trattativa. Quindi accettare impuntature, vanità e capricci pur di non far saltare il tavolo. Quindi sorridere, ammettere di aver sbagliato politica d’avvicinamento per sessant’anni come ha tatticamente fatto Barack Obama il 17 dicembre scorso quando sorprese il mondo con l’avvio del disgelo con Cuba. Dichiarare disponibilità a quasi tutto senza avere in cambio niente. Assolutamente niente. Obama è stato bravissimo a fare la parte di quello che si fida, che è pronto a fare il primo passo e anche il secondo e il terzo senza valutare la trappola che ha di fronte. Gli tocca passare per scemo, se vuole trattare con il comandante in capo. È necessario per sedersi al tavolo. È la regola aurea della diplomazia con l’isola dei Castro. In Vaticano la conoscono benissimo e infatti con il regime la Chiesa cattolica sa trattare. Ma come tutelarsi? Come fare per ottenere qualcosa senza prima concedere tutto e restare irrimediabilmente fregati? Finora c’è riuscita solo la Spagna. Mediatori e cubanologi, d’Oltreoceano e d’oltre Tevere, sanno che la scuola d’arte diplomatica per spuntarla con Fidel ha un solo maestro: Miguel Angel Moratinos, ex ministro degli Esteri dell’ex governo di José Luis Zapatero (dal 2004 al 2011). Per fatti suoi Moratinos conosce bene l’isola. È stato l’unico ad aver ot-
L’allora ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos a Cuba con Raul Castro. (AFP)
tenuto qualcosa da Fidel Castro senza essere stato prima da lui spremuto e poi buttato in soffitta insieme alla lunga schiera degli emissari, messaggeri, arcangeli diplomatici, tutti invariabilmente finiti naufragati sul grande scoglio dell’Avana. Fottuti e contenti. Miguel Angel Moratinos è stato l’artista della diplomazia con Cuba. Discreto e concreto, molto abile nel rispettare i tic dell’isolazionismo cubano. Per questo motivo – sei, sette anni fa – a chi gli chiedeva perché lui, che andava a Cuba a trattare di diritti umani, non si avvicinasse mai ai dissidenti liberi, ogni volta rispondeva: «Non sono venuto a riunirmi con un settore della società cubana, ma a rafforzare le relazioni bilaterali». Allora la Spagna voleva mollare la linea dura con Cuba scelta dall’ex premier Aznar e tentare di ricucire i rapporti economici con i Castro. Le relazioni con l’Avana erano costrette alla semi-clandestinità da una posizione comune decisa dall’Unione europea dopo la Primavera nera del 2003. Era successo che in una stretta cupa del regime, 73 persone erano state incarcerate per reati d’opinione. Tre cubani (neri, perché nella società degli Uomi-
ni Nuovi dell’egualitarismo cubano, i neri valgono meno dei bianchi, buttare un’occhiata all’organigramma del governo rivoluzionario per credere) tre cubani neri, dicevamo, colpevoli di aver sequestrato il traghetto che fa la spola tra l’Avana e un altro porto cubano lì vicino nel tentativo maldestro di arrivare così a Miami, furono condannati a morte e fucilati. La Ue aveva risposto con la frusta chiudendo tutti i rubinetti di denaro liquido. Castro scrollò le spalle e tirò dritto, facendo finta che della cooperazione economica in euro sonanti poteva fare anche a meno. Moratinos voleva rimediare allo strappo. Sembrava matto. Ci riuscì. A mediare con i Castro fu allora formalmente il cardinale dell’Avana Jaime Ortega, ma a tessere la tela, a mantenere in piedi giorno dopo giorno il difficilissimo equilibrio delle relazioni con il regime, fu Moratinos. Consapevole che i Castro, provocati, anche quando sono alla fame, si chiudono a riccio, si impermeabilizzano, sono capaci di portarsi nella tomba 11 milioni di cubani pur di non abbassare la testa, Moratinos si presentò all’Avana col cappello in mano. Umilmente chiese udienza, pazientemente attese, fece in-
tendere che, fosse stato per lui, da decenni l’Europa avrebbe abbandonato la politica del bastone e la carota con Cuba, ma che purtroppo, aveva impiegato anni per riuscire a ritagliarsi quel piccolo minuscolo strapuntino di potere personale che gli permetteva ora, finalmente, di poter scegliere, almeno per conto della Spagna, il tono da mantenere con la Rivoluzione. Riuscì, in pochi mesi, a far ammettere a Raúl Castro l’esistenza di detenuti politici sull’isola, segnale diplomatico esplicito. L’Avana parla sempre dei suoi prigionieri politici o come detenuti comuni o come terroristi. Poiché una legge formale che vieti la libertà d’espressione non esiste, non esistono in teoria nemmeno detenuti politici sull’isola. Che invece esistono e sono stati uno dei nodi principali di ogni trattativa diplomatica negli ultimi anni tra l’Unione europea e Cuba. Moratinos lavorò da esorcista. Con quell’operazione i detenuti della Primavera nera furono liberati. Moratinos dimostrò al mondo che la politica dei piccoli passi con Cuba è l’unica che funziona. Qualcuno, tra Washington e il Vaticano, deve aver tenuto a mente la lezione. Annuncio pubblicitario
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La melagrana La melagrana – conosciuta anche come la mela dell’amore – è consi- derato il frutto di Afrodite, dea dell’ amore, e quindi simbolo di bellezza e di fecondità. Il suo albero può raggiungere i sette metri d’altezza e i 100 anni di età. Questo frutto rosso e pregiato è apprezzato non solo per il gusto delizioso, ma anche e soprattutto per le sostanze vegetali secondarie che contiene. Non a caso la melagrana era apprezzata già nei tempi antichi e la sua popolarità è fino a oggi invariata.
Il piccolo segreto di Afrodite
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Alla manifattura dei succhi Biotta di Tägerwilen sul lago di Costanza, il succo della melagrana viene sposato a tè bianco bio, succo di aronia bio e purea di pere bio, quindi raffinato con un tocco di succo d’agave sempre rigorosamente bio. Ed è proprio l’abbinamento dei singoli ingredienti a conferire al succo Biotta il gusto inconfondibile. Questo succo è un campione di versatilità: puro, mixato in un cocktail o quale ingrediente di diverse ricette in cucina, è sempre un garante di gusto. Il succo di melograno M-BIO è ora disponibile nella sua succursale Migros.
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Politica e Economia
La solidarietà del Ticino Fotoreportage In tempo record sono stati raccolti 80 metri cubi di materiale destinato ai rifugiati giunti in Europa
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segnante di arabo di scuole medie fuggito da Raqqa. Ma non c’è nessuno fra questi disperati, pieni di speranza e in cerca di futuro, che non si rivolga ai volontari, ai giornalisti, ai fotografi e alle persone di passaggio con un thank you Sir, in segno di gratitudine.
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un gesto di pace per essere sopravvissuti e giunti finalmente in Europa. Altri invece preferiscono coprire il volto perché temono ripercussioni per la mia famiglia che ancora è nel Paese d’origine. Sanno benissimo che chi non si conforma alla legge della sharia, l’Isis taglia testa e mani. Così dichiara un in-
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sono le difficoltà più grandi da superare: scarpe, coperte, giacconi, maglie vengono distribuiti all’interno del tendaggio che incanala il flusso di migranti, prevalentemente siriani, afghani e iracheni, verso la frontiera croata. Molti di loro sono orgogliosi di farsi immortalare sorridenti o mentre fanno
© Ti-Press / Pablo Gianinazzi
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Terre des Hommes e Unicef, prestano i primi soccorsi psicologici e sanitari, accogliendo ogni arrivo con un tè caldo, una mela e dando la possibilità di mettersi in contatto con parenti e amici tramite un furgone adibito ad internetpoint. Il freddo della notte e il forte vento
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Tre giorni. Tre giorni sono bastati per avere un’idea e metterla in pratica. E non è cosa da poco, anche per una giusta causa: quella cioè di mobilitare la popolazione ticinese per la raccolta di vestiti e altro da spedire ai profughi giunti in vari campi dei Balcani e organizzarne il trasporto. Ma grazie alla determinazione dei promotori, in primis Lisa Bosia Mirra deputata al Gran Consiglio, e ai social network, utilizzati come mezzi di mobilitazione, è stato possibile in brevissimo tempo raccogliere 80 metri cubi di materiale fra giacche, maglioni, sciarpe, scarpe e coperte in tre punti di consegna (Bellinzona, Lugano, Novazzano) e, cosa più difficile trovare un tir per il trasporto. Il viaggio del camion è iniziato mercoledì 28 ottobre e si è concluso a Belgrado – passando attraverso il Montenegro – dove si trova la sede generale dei volontari che si occupano di smistare la merce nei vari campi rifugiati lungo la tratta Balcanica che passa da Grecia, Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia. Le fotografie proposte in questo servizio documentano la situazione nei campi profughi in Slovenia e nel corridoio fra Serbia e Croazia. Uno di quelli visitati, presso Dobova, su suolo Sloveno al confine con la Croazia, versa in condizioni igieniche precarie, fango e sporcizia ovunque. Sotto la sorveglianza di militari in divisa antisommossa bambini e anziani sono accalcati lungo cancelli e transenne in attesa di essere trasferiti; accendono dei fuochi per tenere a bada il freddo di un inverno che sta per arrivare. Oltre la sponda opposta del Paese croato, il valico di frontiera serbo di Berkasovo, è situato sopra una collinetta lungo un tragitto di due-quattro chilometri che duemila rifugiati percorrono a piedi senza sosta giorno e notte. Fra i 30 e 70 volontari, in maggioranza cechi e slovacchi delle associazioni umanitarie UNHCR, Croce Rossa,
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che stazionano nei campi profughi dei Balcani
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Politica e Economia
Stesso stipendio, ma il 50 percento di rendita in più La consulenza della Banca Migros
Albert Steck La generosità del vostro datore di lavoro non è solo una questione di busta paga. Numerose aziende versano molto di più nella cassa pensioni di quanto stabilito per legge. Già con uno stipendio medio la differenza può arrivare fino a 150’000 franchi.
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Recentemente mio nipote mi ha chiesto consiglio per la scelta di un nuovo posto di lavoro. C’erano in ballo due offerte, che riteneva molto simili. Tuttavia non aveva pensato a confrontare le prestazioni delle due casse pensioni. In realtà molte persone credono erroneamente che l’ammontare della rendita sia definito in modo automatico sulla base dello stipendio. Ma le differenze sono enormi. Nel caso di mio nipote un’azienda pagava il 3,5 percento dello stipendio assicurato nella cassa pensioni. L’altra, invece, versava il doppio, ossia il 7 percento, nella previdenza per la vecchiaia. Questa differenza potrebbe sembrare di poco conto, ma proiettata sull’intera vita professionale genera 150’000 franchi in più di capitale di vecchiaia, da notare a parità di stipendio. Il grafico illustra come si arriva a una somma così ingente. Il calcolo si basa su uno stipendio medio di 6250 franchi al mese. I dati considerano anche
A seconda della cassa pensioni, il capitale di vecchiaia aumenta a 300’000 o 450’000 franchi. Il calcolo si basa su uno stipendio medio attuale di 6250 franchi. I dati considerano anche l’evoluzione effettiva degli stipendi negli ultimi 40 anni e del tasso minimo LPP dal 1985.
Un bonus di 150’000 franchi Evoluzione del capitale di vecchiaia in franchi
Contributo doppio del datore di lavoro
Prestazione previdenziale (minimo legale)
l’effettiva evoluzione dello stipendio negli ultimi 40 anni. Di conseguenza, chi va in pensione oggi ottiene un capitale di vecchiaia di 300’000 franchi con uno stipendio medio, se il datore di lavoro si è sempre attenuto al minimo legale nella previdenza professionale. Tuttavia numerose aziende versano spontaneamente di più nella cassa pensioni, in diversi casi il doppio, quindi il capitale di risparmio sale a 450’000 franchi. Con l’aliquota di conversione in vigore del 6,8 percento ciò significa
che, solo sulla scorta di questo fattore, la rendita annua aumenta da 20’400 a 30’600 franchi. Il grafico rivela anche che circa la metà del capitale è accumulata nei dieci anni precedenti il pensionamento. Con l’età aumenta infatti anche il contributo alla previdenza professionale. Dai 55 anni il versamento minimo da parte del datore di lavoro è pari al 9 percento dello stipendio assicurato. In questa fase della vita è dunque possibile trarre il massimo vantaggio da una genero-
sa cassa pensioni. Per sapere dove si colloca la vostra cassa pensioni, basta procedere alla valutazione sulla base della nostra checklist all’indirizzo www.blog.bancamigros.ch. Vale la pena di consultarla: nella previdenza professionale, infatti, anche piccole differenze percentuali producono importi di considerevole entità. Attualità su blog.bancamigros.ch: ■ Cinque criteri per valutare la vostra cassa pensioni. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Il Dipartimento delle finanze cambia rotta Politica federale Tre decisioni del Consiglio federale indicano la direzione che verrà presa dopo la svolta a destra
alle elezioni federali e le dimissioni di Widmer-Schlumpf
Ignazio Bonoli Il Consiglio federale ha preso tre decisioni che significano un cambiamento di rotta su temi importanti quali il segreto bancario, con annesso il tema della riforma dell’imposta preventiva, la revisione del diritto penale fiscale e la vigilanza sugli intermediari finanziari. Vediamo dapprima il tema del segreto bancario. Secondo un progetto del 2013 di Eveline Widmer-Schlumpf, quanto avviene circa lo scambio di informazioni fiscali con autorità estere dovrebbe poter avvenire anche all’interno dei confini svizzeri. È questo del resto una precisa rivendicazione delle autorità fiscali cantonali, che si sentono discriminate dagli accordi conclusi con Paesi esteri. Va forse precisato che questa decisione è ampiamente condizionata dal voto sull’iniziativa «Sì alla protezione della sfera privata», che verrà posta in votazione il prossimo anno. Non si vede bene, infatti, come il governo possa ora allentare i vincoli del segreto bancario, quando tra meno di un anno il popolo e i cantoni potrebbero decidere di ancorarlo nella Costituzione federale. Il risultato dello scrutinio federale lascia infatti pensare che i difensori del segreto bancario possano ottenere un’ampia maggioranza in votazione. Parallelamente è stata bloccata la revisione del diritto penale fiscale federale, che Widmer-Schlumpf aveva pure pre-
sentato nel 2013. Questa revisione prevedeva infatti che, in caso di concreti indizi di evasione fiscale, le autorità cantonali avrebbero potuto avere accesso ai dati bancari delle persone sospettate. Anche in questi casi, come avviene con gli accordi internazionali, verrebbe a cadere la distinzione fra evasione e frode fiscale. Cosa che – secondo i promotori dell’iniziativa citata – avrebbe notevolmente compromesso il rapporto di fiducia tra Stato e contribuenti e avrebbe fatto delle autorità fiscali una specie di autorità di polizia. Il governo aveva però già corretto in parte il progetto originale limitando l’accesso ai dati bancari solo in caso di indizi di evasione fiscale grave e con il benestare di un’istanza giudiziaria. Avrebbe però mantenuto una definizione meno rigida dell’attuale frode fiscale, considerando frode non più un reato a sé stante, ma una forma aggravata di evasione. A questo punto, la riforma avrebbe coinvolto anche la legge federale sul diritto penale amministrativo, di cui si sta però studiando una revisione totale. Considerati questi aspetti, il Consiglio federale ha maturato l’opinione secondo cui la riforma avrebbe potuto incontrare una maggioranza di oppositori già in Parlamento, per cui ha deciso di attendere. D’altro canto, da parte degli oppositori è giunto anche qualche segnale di distensione, per esempio sulla necessità di far intervenire un’autorità
Il mutamento del vento politico ha spinto il Consiglio federale a rivedere certe decisioni ancora prima della partenza del ministro delle finanze. (Keystone)
giudiziaria a livello cantonale. È forse opportuno ricordare che, in Svizzera, la tassazione per le imposte dirette è di competenza dei cantoni, che lavorano anche per conto dell’imposta federale diretta, il che può rendere la Confederazione molto prudente in questo campo. Esclusivamente di competenza federale è però quella dell’imposta preventiva, che tassa in particolare i redditi dei patrimoni mobiliari e anche da vincite alle lotterie, con possibilità di restituzione quando il reddito venga dichiarato. Sospeso in giugno, l’esame di questo terzo progetto di riforma è ora ri-
lanciato. Evidentemente questa riforma è strettamente legata a quella del segreto bancario. Il Consiglio federale vorrebbe ora introdurre la possibilità di scelta fra la deduzione dell’imposta alla fonte (oggi 35%) e la dichiarazione al fisco. Oggi infatti la deduzione alla fonte non sopprime l’obbligo della dichiarazione fiscale. Un gruppo di esperti è incaricato di valutare i progetti in modo che il governo possa decidere subito dopo il voto sull’iniziativa per la protezione della sfera privata. Il governo ha invece approvato la nuova legge sui servizi finanziari, ma
rendendola molto meno drastica. Il progetto era uno dei tanti che caratterizzano oggi un eccesso di regole e leggi che la popolazione e l’economia sopportano sempre meno volentieri. Nel caso specifico – come spesso avviene – l’intenzione di proteggere i risparmiatori era in sé lodevole. Esso avrebbe però comportato molti doveri di diligenza e di documentazione in più e avrebbe favorito i reclami della clientela. I critici l’avevano definito un «mostro regolatorio» e già le risposte ricevute nella procedura di consultazione avevano lasciato capire che questa riforma non sarebbe passata. Il testo sottoposto ora al Parlamento è ridimensionato. Lo scopo rimane sempre quello di proteggere il risparmiatore, ma non c’è più il rovesciamento dell’onere della prova, che non è più a carico degli istituti finanziari (presunzione di innocenza invece di colpevolezza, senza prova del contrario). Soppressa anche l’idea di un «fondo processi» finanziato dagli istituti, nonché la costituzione di tribunali arbitrali paritetici. Resta però a carico degli istituti il costo delle procedure fino a un valore di 250’000 franchi, anche se la decisione è di un «ombudsman». I clienti privati non dovranno anticipare spese processuali. Cade pure la possibilità delle denunce di gruppo. Le esigenze della legge restano però alte, per cui una sua approvazione potrebbe incontrare qualche difficoltà. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Verso un turismo senza alberghi Per il turismo alberghiero ticinese il 2015 è senz’altro un anno da dimenticare. Ormai siamo giunti a fine stagione e le perdite in termini di pernottamenti si ripetono da un mese all’altro, con un tonfo assoluto in agosto. Ora che la stagione turistica è ormai terminata, per l’intero 2015 non è difficile anticipare una riduzione dei pernottamenti dell’ordine di almeno il 6%. Nei commenti che, mese per mese, all’arrivo delle cattive notizie, si ripetevano nei nostri quotidiani, si è fatto spesso ricorso a uno strano tipo di argomento. Dopo aver riportato la perdita di pernottamenti del mese appena trascorso il commentatore si affrettava ad aggiungere, forse per colorare leggermente di rosa una realtà sempre più triste, che la caduta dei pernottamenti in Ticino dura oramai da decenni. È quasi come se esistesse una legge che affermasse che quando le cose comin-
ciano ad andare male non possono che andar peggio. Per quel che concerne il turismo alberghiero ticinese è invece importante precisare che il 2015 è un anno speciale e che quel che è successo quest’anno non è detto, per fortuna, che si ripeta l’anno prossimo. La caduta nei pernottamenti di quest’anno è infatti da attribuire a circostanze poco prevedibili, in particolare all’abbandono da parte della Banca Nazionale Svizzera del cambio minimo con l’euro che ha fatto salire i prezzi del soggiorno per gli ospiti stranieri. L’anno prossimo l’effetto rincaro del franco si sarà attenuato e si aprirà al traffico la galleria ferroviaria di base del Gottardo ragione per cui possiamo sperare in una ripresa dei pernottamenti. Allora, i commentatori inneggeranno certamente al superamento della crisi. Purtroppo però la tendenza di sviluppo di lungo termine del turismo alber-
ghiero ticinese resterà negativa. Non consideriamola però alla stregua di una legge della natura alla quale ci si può, col tempo, abituare. Cerchiamo invece di analizzarla per capire il perché di questo deterioramento. Le sorti del turismo alberghiero, da noi come altrove, possono essere definite con due equazioni. La prima afferma che il volume dei pernottamenti in albergo è uguale al prodotto del numero degli arrivi di turisti moltiplicato per la durata media del soggiorno. La seconda equazione dimostra invece che il tasso di occupazione dei letti di albergo è una funzione diretta del numero dei pernottamenti e della lunghezza della stagione turistica, ossia del numero dei giorni nei quali l’albergo è aperto nel corso dell’anno. Queste due definizioni spiegano perché operatori del settore alberghiero e commentatori del turismo si concentrano sempre e quasi solamente sull’evolu-
zione dei pernottamenti. Dai pernottamenti dipende il grado di occupazione dei letti di albergo e la sopravvivenza dell’albergo. Di fatto però, la variabile chiave per comprendere l’evoluzione del turismo alberghiero ticinese è la durata media del soggiorno. Se il turista passa cinque notti in Ticino, come lo faceva negli anni Cinquanta dello scorso secolo, per ottenere mezzo milione di pernottamenti basteranno centomila arrivi. Se, invece passa solo 2 notti, come è il caso oggi, per ottenere il medesimo numero di pernottamenti occorreranno duecentocinquantamila turisti. Se, infine, la durata media del soggiorno dovesse, tra qualche anno, scendere a una notte, occorreranno mezzo milione di arrivi per mezzo milione di pernottamenti. Il lettore capirà che, per quel che riguarda la pressione che i flussi turistici esercitano sul territorio e la qualità dello stesso
turismo, la continua diminuzione della durata media del soggiorno è un fatto tragico. Se la stessa dovesse scendere sotto a una notte, gli alberghi ticinesi potrebbero chiudere le loro porte anche se, allora, i flussi di turisti avrebbero raggiunto il loro apice. L’evoluzione in atto da quasi cinquant’anni ci dice che la natura del turismo ticinese è cambiata profondamente. Quando per arrivare a Lugano, da Zurigo ci volevano cinque ore, in Ticino si andava, con la famiglia, per passare le vacanze. Dall’anno prossimo, i turisti di quel tempo, oramai diventati pensionati, scenderanno in Ticino in poco più di due ore e decideranno magari solo a Biasca se vorranno passare la giornata a Bellinzona, Locarno o Lugano. Dell’albergo non avranno bisogno: il pranzo se lo porteranno seco. Importante per loro sarà solamente di non mancare, in serata, il treno del rientro.
del trend negativo è inequivocabile, ma il tasso di disoccupazione è comunque al 21,2 per cento, e il numero assoluto di lavoratori è leggermente diminuito negli ultimi quattro anni: la popolazione invecchia, i cervelli e i migranti fuggono. I giovani poi hanno altri motivi per essere insofferenti: Rajoy ha investito sui pensionati, che non sono stati «lasciati indietro» nemmeno quando il Paese era allo stremo, e così a pagare quella stabilità sono state le altre fasce della popolazione, in particolare i più giovani che hanno
patito tagli all’istruzione pesantissimi. Soprattutto a fomentare il risentimento dei più giovani è la corruzione: da anni ormai il Partito popolare è scosso da una specie di Tangentopoli senza fine, che ha fatto terra bruciata anche attorno al premier, rovinando non soltanto la capacità del partito di rinnovarsi, ma anche la possibilità di unire alla promessa ottimista una maggiore credibilità. Poi c’è il problema della Catalogna, un altro guaio che va e torna senza sosta. Per Rajoy si tratta più di una questione simbolica – non vuole passare alla storia come il premier che ha lasciato che la Spagna si spezzasse – che concreta. È vero che la regione, che contribuisce per il 19 per cento al Pil spagnolo, è molto ricca, ma ha anche un deficit enorme, il 32,8 per cento del Pil, dieci per cento in più rispetto alla media delle comunità autonome. Artur Mas, il leader indipendentista di formazione liberale, ha dovuto piegarsi alle istanze della sinistra comunista del Cup, che fa da ago della bilancia nelle decisioni del Parlamento catalano (ed è per uscire dall’Unione europea e dalla Nato), aumentando ancora di più le spese. La sostenibilità economica della Catalo-
gna è in grande crisi, insomma, anche perché il ministero delle Finanze di Madrid ha bloccato alcuni prestiti al grido «non finanziamo velleità indipendentiste»: come insegna il precedente scozzese, il cuore può essere fortemente indipendentista, ma il portafoglio poi si fa spesso conquistare dal realismo. Ora Rajoy deve decidere come gestire la questione catalana per evitare che diventi predominante, oscurando i successi economici. L’indipendentismo fa anche ricordare che negli ultimi appuntamenti elettorali il Partito popolare non è andato bene: è vero che il tanto strombazzato «fenomeno Podemos» non è così scintillante come sembrava, ma è anche vero che la battaglia di Rajoy non è affatto facile, se si pensa che il consenso non supera la soglia del 30 per cento. E come tutte le elezioni europee di questi anni, Rajoy è l’ultimo bersaglio di un referendum permanente: funziona davvero l’austerità? Le piazze hanno da tempo la risposta (ma non la disoccupazione in calo), anche in Spagna: ma il premier ha l’ottimismo dalla sua parte, e per un leader che è sempre stato considerato troppo grigio per farcela, non è poco.
prima meta di questo deflusso, con le conseguenze che ben sappiamo. Finché l’economia dell’Italia settentrionale non si solleverà, la pressione sui confini persisterà. Questo clima di decadenza ha finito per alimentare in ampi settori dell’opinione pubblica ticinese l’impressione che il cantone potesse fare da sé, vivere nell’autarchia culturale, dimenticare i secoli in cui le reciproche influenze fecondavano la ricerca intellettuale al di sopra della frontiera. Il Ticino dunque non come pollone della «gran madre» italiana, ma come bulbo autonomo, slegato dal tronco originario, da quel grembo che in passato forniva generosamente ogni genere di stimoli. L’atteggiamento nei confronti dell’Expo milanese ha segnato il punto più basso. In primavera gli uccelli del malaugurio erano stormi, tanto da
augurare alla manifestazione una morte prematura negli scandali e nell’inefficienza. Invece l’Expo è stata un successo, mentre il Ticino è rimasto a bocca asciutta, e perfino isolato nel contesto elvetico. Doveva rappresentare l’avanguardia italo-elvetica in Lombardia e da qui al resto d’Italia, e invece è rimasto nelle retrovie, imbronciato e a rimorchio della Confederazione. Non sappiamo se nei prossimi anni ci sarà spazio e volontà per avviare una riflessione su questa nefasta dissociazione che si è creata tra la piccola e la grande repubblica. Speriamo che il LAC (Lugano Arte e Cultura), con il suo ricco cartellone, sappia rimettere ordine nelle caselle della scacchiera culturale e ristabilire le giuste proporzioni e gerarchie. Perché l’identità senza italianità è un guscio vuoto.
Affari Esteri di Paola Peduzzi La Catalogna rovina la festa La storia che Mariano Rajoy, premier spagnolo, racconta ai suoi elettori, nella speranza di essere riconfermato al voto del 20 dicembre, è cristallina: eravamo tecnicamente falliti e ora guardateci, siamo sempre qui, con tanto ancora da fare, certo, ma orgogliosamente in piedi. Alla conferenza stampa con cui ha annunciato lo scioglimento del Parlamento e la data ufficiale delle elezioni, Rajoy ha dato sfogo al suo ottimismo, sciorinando una quantità di dati enorme, stordendo i giornalisti presenti con anche un pizzico di ironia inedito (a chi gli chiedeva se gli altri partiti chiederanno la sua testa, ha risposto: «La mia testa è al posto giusto e non permetterò che qualcuno la sposti da dov’è»). I sondaggi danno il suo Partito popolare in testa con circa il 27 per cento, i socialisti seguono ravvicinati al 25 e i due outsider, i centristi di Ciudadanos e i syriziani di Podemos si contendono il terzo posto al 15 per cento. Ma come dimostra il caso portoghese, in cui il primo partito conservatore è stato messo per ora in un angolo dall’alleanza delle sinistre anti austerità, Rajoy non può stare affatto tranquillo – pure se lui il Portogallo tende a non citarlo mai, semmai
l’esempio è l’Inghilterra: dicevate che i Tory avrebbero pareggiato, e invece eccoli lì, con la loro maggioranza assoluta che dettano ordini anche all’Europa. L’ottimismo del premier spagnolo non è un’improvvisazione elettorale: i dati, almeno quelli relativi, gli danno ragione. La disoccupazione, piaga della Spagna, è diminuita: quello che era considerato un paese-ammazzaoccupazione, con mille e quattrocento posti di lavoro persi al giorno, nel 2011, ora ne produce altrettanti. L’inversione
Il premier spagnolo Mariano Rajoy spera di essere riconfermato il 20 dicembre. (Keystone)
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti L’identità ha bisogno di terra e di luce Negli ultimi anni e mesi, le ricerche, le indagini, le radiografie riguardanti l’economia cantonale, in particolare le dinamiche in atto nel mercato del lavoro, si sono infittite. La questione è delicata, perché non rimane confinata all’accademia. Qui siamo in presenza di un prisma che manda lampi intermittenti in tutte le direzioni, dalla politica alla società. Da un lato ci sono le finalità dello studio e la definizione dei metodi di analisi; dall’altro la percezione del fenomeno, che non sempre coincide con i risultati degli studi empirici. Tra i due poli (la scienza da una parte, gli umori individuali e collettivi dall’altra) s’incunea la politica, con i suoi interessi e le relative campagne a favore di tale o tal altra opzione. L’anno che stiamo per archiviare, con il doppio appuntamento elettorale (cantonali e federali), ha certamente
contribuito ad eccitare gli animi. Non solo: ha anche lasciato fuori dall’angolo visuale tematiche che pure sono da considerare strategiche per il futuro della regione, come la riorganizzazione del territorio (agglomerati, vie di comunicazione, traffico), la sanità pubblica, la formazione, la salvaguardia dell’ambiente, la demografia, le relazioni con i vicini, a Nord e a Sud… E a proposito di vicini, che ne è dell’identità lombarda e quindi in senso lato italiana dell’Insubria elvetica? Da tempo si sta accreditando l’idea che il cantone possa vivere nell’autosufficienza, diventare una sorta di biotopo racchiuso tra Airolo e Chiasso. Ma l’identità non è una pianta idroponica, come si vorrebbe far credere: un vegetale senza terra galleggiante sul pelo dell’acqua. L’identità ha bisogno di un grasso humus in cui affondare
le radici, e questo humus non può che essere il patrimonio letterario, artistico, architettonico, teatrale, musicale, cinematografico italiano. Senza questo apporto energetico continuo, senza questa «linfa», la cultura svizzeroitaliana è destinata ad accasciarsi per mancanza di ossigeno. L’Italia, è vero, non sta attraversando il suo momento migliore. Fino al 2008 la Lombardia esibiva un tasso di disoccupazione inferiore a quello ticinese e simile a quello svizzero (v. il periodico «Dati-Statistiche e Società», Disoccupazione: Ticino e Lombardia si allineano, maggio 2013). Poi la locomotiva lombarda ha iniziato ad ansimare e a perdere velocità, costringendo la manodopera a cercare sbocchi occupazionali nelle regioni confinanti. Il Ticino, la prima porta a settentrione, è stato – ed è tuttora – la
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Cultura e Spettacoli Un po’ come sentirsi a casa David Gilmour dei Pink Floyd pubblica un nuovo album da solista... e ci si sente subito a casa
Una religione che imprigiona Il regista Paul Haggis è stato per 35 anni adepto di Scientology: il giornalista Lawrence Wright ha raccontato la storia
Tranquilla casa inglese Esce da Adelphi il testo della dissacrante commedia Gente, di Alan Bennet
pagina 43
Camilleri e la scrittura Sellerio pubblica una raccolta di saggi che ruotano intorno alla figura dello scrittore siciliano pagina 47
pagina 41
pagina 45
Massimo Campigli (18951971). Omaggio a Seurat, 1954. Collezione privata.
Il cuore pulsante della città Mostre Villa Olmo a Como espone diverse anime metropolitane Alessia Brughera La città è per sua natura un organismo vitale, un luogo delle persone e dell’agire condiviso. È la gente con le sue molteplici attività a renderla vivace ed energica, a definirne il vissuto attraverso tutte quelle relazioni sociali che ogni giorno mette in atto nell’ossatura fatta di strade, di piazze, di edifici pubblici e privati, di spazi intimi e comunitari. La città si identifica così con le storie degli uomini, ed è solo guardandola attraverso i cittadini che si può andare al di là del suo aspetto tangibile per coglierne il dinamismo interno, i fermenti che la animano e che la rendono il luogo vivo per eccellenza. Proprio da questa prospettiva prende avvio la mostra organizzata a Villa Olmo a Como – ultima di una trilogia dedicata al contesto urbano nell’arte – che si concentra su come la città è fatta davvero, superando una visione di facciata per entrare nelle trame narrative degli accadimenti metropolitani. Nella città la gente lavora, si rilassa, si aggrega, si muove, esprime le proprie idee. Ecco allora che nell’esposizione
comasca le opere seguono un percorso che si sviluppa per temi, identificati in base alla loro capacità di rappresentare gli spazi del tessuto urbano dove si svolgono le attività più significative del vivere quotidiano. Sono i luoghi di passaggio che percorriamo freneticamente per recarci da un posto all’altro, quelli dove acquistiamo e scambiamo merci, quelli dove trascorriamo il tempo libero in compagnia, quelli privati dove restiamo soli con noi stessi, quelli dove facciamo sport o quelli dove ci scontriamo e commettiamo i nostri errori. Territori fisici, ma che l’uomo carica di senso, facendoli diventare ciascuno un episodio del racconto umano con i suoi intrecci e le sue contraddizioni. Tra le prime opere che troviamo in mostra c’è la grande tela del pittore e architetto italiano naturalizzato svizzero Arduino Cantafora, dal titolo La città banale, del 1980. Qui l’interno vuoto della sala d’attesa di una stazione dei treni diventa, nella sua alienante immobilità, una sorta di fermo immagine del momento precedente allo scatenarsi del dinamico crocevia metropolitano fatto di arrivi, di passaggi, di soste e di partenze. Non vi compare nessuna perso-
na, ma la presenza umana sembra evocata dalle panchine in legno in procinto di essere occupate e dal grande dipinto appeso alla parete dove compaiono edifici storici di varie epoche. Proseguendo nel percorso, l’esposizione si focalizza sui luoghi del tempo libero, inteso come pausa di svago ma anche come occasione di formazione e di socializzazione. Ci sono le feste esclusive parigine immortalate dalle fotografie di Helmut Newton e il caffè quale ritrovo di intellettuali e sede di dibattito culturale dipinto dall’artista fiorentino Sandro Chia nel suo Bar Tintoretto, del 1981. E poi il parco – polmone verde che nell’urbe non può mancare – raffigurato nella tela di Massimo Campigli, a reinterpretare l’emblematica opera Un dimanche après-midi à l’Île de la Grande Jatte di Georges Seurat; e ancora gli spazi per lo sport, quelli istituzionali e quelli estemporanei, siano essi anche solo un vicolo o uno spiazzo libero dove improvvisare un incontro di calcio, come avviene nel dipinto di Mario Radice La partita di pallone del 1933. Il vissuto della città passa però soprattutto dalle sue strade, immagine del movimento, della velocità e della
fluidità umana, e da tutto ciò che accade lungo queste arterie pulsanti di energia: dalle manifestazioni di protesta, rappresentate ad esempio nel grande comizio astratto di Giulio Turcato, ai mercati dove la gente scambia merci di ogni tipo, come nelle istantanee di Vanessa Beecroft che documentano la sua provocatoria performance del 2007 al mercato del pesce di Rialto, a Venezia. Le strade sono anche teatro di atti di terrore e di distruzione che mirano a indebolire la città quale emblema di potere, di libertà e di civiltà. Significativo in questo senso è il dittico fotografico della bosniaca Maja Bajevic, in cui le torri gemelle di New York, in fiamme dopo l’attentato, vengono ricucite con punti di ricamo, quasi a voler curare l’enorme ferita aperta da questo dramma. Ogni città ha luoghi rappresentativi e simbolici attraverso cui ne riconosciamo l’unicità, e gli artisti spesso lavorano proprio su questi emblemi urbani. Possono essere edifici e architetture create dall’uomo, come i monumenti scelti da Christo per i suoi impacchettamenti – di cui la mostra espone alcuni schizzi preparatori relativi al Pont Neuf di Parigi, al Reichstag
di Berlino e al Central Park di New York – oppure espressioni della natura, come il Vesuvio in piena attività, icona della città partenopea, raffigurato da Andy Warhol in una serigrafia degli anni Ottanta. Dopo averci trasportato nei palpitanti spazi aperti, l’esposizione comasca, nel finale, ci riporta in una dimensione più intimistica, ossia negli interni delle nostre case, palcoscenici privati in cui l’individuo continua la sua esistenza lontano dagli strepiti metropolitani. Sfilano le solitarie stanze di Felice Casorati, gli appartamenti borghesi di Roy Lichtenstein, tutti design e modernità, e le stranianti sale di Thorsten Kirchhoff dove l’uomo non c’è, sostituito dagli oggetti che gli appartengono immersi in un’atmosfera fredda e surreale che sembra sospendere il racconto della sua vita. Dove e quando
Com’è viva la città – Art & the City 1913-2014. Villa Olmo, Como. Fino al 29 novembre 2015. Orari: da ma a ve 10.00-20.00; sa e do 10.00-22.00; lunedì chiuso. www.mostrevillaolmocomo.com
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Cultura e Spettacoli
CD Pubblicato l’ultimo album del chitarrista ticinese Marco Cortesi,
Uno 007 facile facile
un disco maturo, intenso e pieno di idee
Cinemando Più azione e meno traumi
Disco di primavera
per l’ultimo James Bond Alessandro Zanoli Dove comincia l’esecutore, dove finisce il compositore, nel jazz? La questione amletica è ormai più che superflua: i due ruoli si sovrappongono da tempo in quasi tutti i grandi (e meno grandi) musicisti che animano la scena contemporanea. Con una piccola annotazione: spesso il compositore è più esigente o, meglio, vorrebbe prendere il sopravvento sull’esecutore. Questo perché la pagina scritta è una tentazione creativa molto forte. Viene in mente ad esempio il gusto pressoché sadico di un certo Frank Zappa, il quale aveva incluso nella sua band un chitarrista acrobatico (il giovanissimo Steve Vai) per eseguire «impossible guitar parts» che lui stesso non avrebbe saputo padroneggiare. Nel caso del nostro Marco Cortesi, raffinato compositore che già in passato aveva dato prova di essere molto affascinato dalla scrittura musicale (a nostro giudizio il suo Why not del 2000 è uno tra i migliori dischi in assoluto del jazz svizzero) l’incontro tra la sua vena compositiva e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie ha dato luogo da tempo a brani di grande complessità e spessore (si ascolti l’album Falzer del 2006). Anche in questo caso il collegamento zappiano è largamente praticabile: il musicista americano aveva affidato al diabolico Synclavier, sintetizzatore polifonico dalle potenzialità infinite, alcune sue intricatissime partiture, finite poi in un album intitolato (non a caso) Jazz from Hell.
Fabio Fumagalli ** Spectre, di Sam Mendes, con Daniel Craig, Christoph Waltz, Léa Seydoux, Ralph Fennes, Monica Bellucci, Ben Wishaw (Gran Bretagna – Stati Uniti 2015)
Spring Thing è il suo sesto lavoro discografico.
In questo ultimo Spring Thing (pubblicato da PBR Jazz) Marco Cortesi ammette candidamente già dalle note di copertina di aver ritenuto difficilmente eseguibili dal vivo gli otto brani «computer born». Grazie ad una band assolutamente formidabile, però, il miracolo è stato compiuto. Onore dunque a lui e a Gianluca di Ienno (tastiere), Yuri Golubev (contrabbasso) e all’ottimo batterista Asaf Sirkis. Occorre puntualizzare: il gruppo riunito da Cortesi non è, comunque, un’occasionale squadra di virtuosi radunata per un mordi e fuggi. Durante diversi mesi il chitarrista locarnese ha girato con loro le scene insubriche per mettere a punto il repertorio. La registrazione (effettuata nello studio Canaa di Losone da Mauro Fiero) non
è dunque un exploit funambolico una tantum, ma una tappa in un progetto di lavoro articolato e maturato nel tempo. Il disco non è facile, ad ogni modo, e questa è l’avvertenza per l’ascoltatore. Avvicinare un progetto di questo tipo richiede umiltà e coraggio. Eppure il suono di Cortesi è sempre gradevole, nuovo: come se si fosse allontanato dalla sua antica passione, Metheny, per approdare a sponde rosenwinkeliane (si può dire?) più coraggiose, pretenziose anche, ma perfettamente nelle sue corde (è il caso di dirlo...). Spring Thing è un disco da maestro e il bellissimo, complicatissimo brano 2015 ne è, a nostro sindacabile giudizio, il suggello. Un disco di testa, cuore e sudore, con una forza rara, fuori dai cliché.
Spectre parte con tante carte a favore: un mito alle spalle da 24mo episodio di una saga epocale, 250 milioni a disposizione (spesi in buona parte in buoni viaggio, ma fa parte del gioco da sempre), la mano di un regista, Sam Mendes, niente male anche per quel genere di cose. Parte anche con una palla al piede: segue Skyfall, riconosciuto nel 2012 come il più coinvolgente, oltre che formalmente riattualizzato James Bond da molti anni. Da Sean Connery («come lui non c’è più stato nessuno») al putiniano Daniel Craig di Casino Royale («finalmente un duro, un giustiziere brutale non ancora teleguidato dalla flemma londinese») l’eroe glamour era già stato sottoposto dagli sceneggiatori a un bel lavaggio di cervello. Nel nuovo Spectre, forse per non rischiare centinaia di milioni, non si è abbandonata l’apparentemente benvenuta parabola psicologica: orfano di entrambi i genitori, 007 continua a porsi molti interrogativi sui suoi traumi giovanili. Ma si è anche deciso che non fosse il caso di esagerare con l’ammosciamento fisico; così, il nostro è tornato a fare a cazzotti, fra esplosioni
e forsennati inseguimenti. Tanto meglio, forse: in un filone che deve conservare il fascino dell’azione e degli intrighi tradizionali, senza ricorrere più di tanto alle ormai risapute elucubrazioni digitali. Dall’incipit a Città del Messico, con la lotta sull’elicottero traballante che minaccia di cadere sull’immensa folla intenta a festeggiare la festa dei morti, Spectre è cosi ritornato ad essere innanzitutto un film d’azione. Nelle location più spettacolari, dal Lungotevere ad andatura folle con la Jaguar che sostituisce provvisoriamente la mitica Aston Martin, al deserto marocchino in treno a vapore, o le Alpi tirolesi di un improbabile centro fitness su una vetta a tremila metri. Viene però da chiedersi fino a che punto a Sam Mendes, raffinato autore di American Beauty, Road to Perdition o Revolutionary Road interessasse abbandonare i sontuosi toni shakespeariani della precedente tragedia bondiana. Poiché privo, rispetto a Skyfall, della sublime fotografia di Roger Deakins e del magnetismo di Judi Dench, le cose gli riescono infatti meno bene. Il ritmo non è che sia sempre travolgente e le trovate inedite: il cattivo Christoph Waltz gira più a vuoto di quando lo utilizza Tarantino, la coppia di dark ladies Bellucci – Seydoux è decorativa ma non proprio destabilizzante. Accontentiamoci: ché decidere come risolvere nel prossimo episodio i dilemmi edipici di 007 rappresenta un fastidio grasso.
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Cultura e Spettacoli
Gilmour, ritorno a casa Musica Rinnovato incanto: il ritorno sulle scene dell’ex Pink Floyd David Gilmour
non delude e, anzi, riporta l’ascoltatore a sonorità e suggestioni familiari quanto amate
Benedicta Froelich Se mai ci fosse stato bisogno di ulteriori conferme sulle tendenze musicali del momento, ecco che anche stavolta ci troviamo a parlare di un disco che, come accade con la più parte delle uscite di quest’autunno 2015, dimostra come il grande rock sia tutt’altro che «roba da ragazzi». Del resto, il ritorno sulle scene di un membro dei leggendari Pink Floyd fa sempre notizia – forse ancor più se il membro in questione è David Gilmour, acclamato co-vocalist della storica formazione, il cui ultimo lavoro solista risale ormai a ben nove anni fa. Differentemente dal nervoso e viscerale Roger Waters, che ha sempre privilegiato la musica di stampo «catartico» ad alto voltaggio emotivo – al punto da riversare in modo quasi soverchiante la propria autobiografia negli ultimi due album che firmò come membro dei Pink Floyd, The Wall (1979) e The Final Cut (1983) – Gilmour ha invece tradizionalmente rappresentato il versante più misurato e razionale della leadership creativa di questa leggendaria formazione, facendo della grazia e disinvoltura stilistica i suoi fondamenti e obiettivi principali. Caratteristiche che ha mantenuto anche nelle sue opere soliste, contraddistinte da piacevolezza e misura: un esempio su tutti è il roboante successo di pubblico e critica riscontrato dalla sua ultima fatica, l’intrigante On an Island (2006), intriso di puro gusto cantautorale nella sua accezione migliore. Lo stesso sguardo introspettivo impiegato in questo nuovo e attesissimo Rattle That Lock, che, proprio come il suo predecessore, si dimostra in grado di coniugare i gusti del pubblico (si veda il sapore radiofonico di alcune tracce) alla particolare sensibilità compositiva di Gilmour, il quale, con il passare degli anni, sembra farsi sempre più intimista e riflessivo. Ciò si avver-
te fin dall’apertura del CD, affidata al suggestivo 5 A.M., introdotto da uno splendido ricamo a due voci tra la chitarra di David e l’orchestra – un dialogo che richiama direttamente il meglio della produzione solista dell’autore, e non manca di riecheggiare atmosfere squisitamente «floydiane». Simili suggestioni sognanti si ritrovano anche in A Boat Lies Waiting, brano che addirittura riprende la vecchia abitudine dei Pink Floyd di inserire frammenti di dialogo all’interno delle tracce; e d’altronde, la stessa title track del CD conferma l’attrazione che Gilmour ancora prova verso la tecnica del cosiddetto «sound sampling», ovvero l’inclusione di suoni tratti da differenti contesti a formare parte integrante della linea melodica dei brani. Una tecnica, in fondo, inventata negli anni 60 proprio da band sperimentali quali la sua, e che in Rattle That Lock raggiunge picchi di vero genio, poiché l’accordo su cui l’intero pezzo si basa è semplicemente il celebre jingle che, negli altoparlanti delle stazioni ferroviarie francesi, precede l’annuncio dell’arrivo di un treno. Su un piano più tradizionale, anche Today è un brano per certi versi legato alle classiche sonorità dei Pink Floyd, al punto che potrebbe tranquillamente apparire come tratto da un album tardivo della formazione quale The Division Bell (1994), riconducendoci a quei ben noti «marchi di fabbrica» che da sempre ritroviamo anche in Gilmour – i vocals suadenti ed evocativi, le atmosfere elettro-ambient e l’incredibile freschezza degli assoli di chitarra (si vedano brani malinconici e allo stesso tempo inquietanti come Dancing Right in Front of Me e And Then…). Ma c’è di più, dietro alla creazione di questo disco: infatti, la deluxe edition del CD racchiude quattro bonus track di grande valore per qualsiasi estimatore – ovvero, le suggestive Barn Jam, sorta di improvvisate jam session in
Rattle That Lock, l’album di David Gilmour.
studio che vedono Gilmour riunito al compianto Richard Wright. E parlando di contributi, all’ascoltatore attento non sfuggirà come l’impianto stilistico di quest’album riveli la scelta di David di rinnovare la collaborazione con la moglie Polly Samson, autrice delle liriche di quasi tutti i brani; la cosa si nota soprattutto in esperimenti intriganti quali la seducente The Girl in the Yellow Dress, che combina la peculiare cifra stilistica di Gilmour a sonorità jazzate in stile da club americano anni 40, con tanto di avvolgenti assoli di sassofono. Dopotutto, non è un caso che il co-produttore dell’album sia nientemeno che Phil Manzanera, storico chitarrista dei
Roxy Music: lo spirito allo stesso tempo retrò e sperimentale che da sempre ha contraddistinto questa formazione si fonde perfettamente con la sensibilità di Gilmour, e l’intera track-list, dotata di raro e finissimo equilibrio stilistico, ne è la dimostrazione. Perché se è vero che, da un lato, Rattle That Lock non riserva reali sorprese all’ascoltatore, è altrettanto vero che il CD rappresenta tutto quanto abbiamo imparato ad amare e ad aspettarci da quest’artista; in un certo senso, è come un «ritorno a casa», accompagnato dalla costante gioia della rinnovata familiarità con qualcosa che non si può non amare. E scusate se è poco.
Musica Torna su disco l’arte di Julia Holter e al cinema la vicenda di Brian Wilson Beach Boys – Love & Mercy
Zeno Gabaglio
La cantante di Los Angeles è al suo secondo album. Julia Holter – Have You In My Wilderness
Julia Holter è una giovane songwriter che in sé incarna – senza farsi schiacciare dal terribile peso – la migliore tradizione del cantautorato americano. Nata e cresciuta a Los Angeles si è formata sin da giovane in ambito musicale, contraddicendo in questo lo stereotipo – spesso purtroppo veritiero – per cui chi entra nelle accademie musicali ne esce con una grande tecnica ma con assai poco di originale da dire. Julia Holter conosce perciò bene la musica, e questo lo si sente appena le ci si avvicina. Tale ricchezza potrebbe anche essere un problema soprattutto in un clima come quello losangelino, dove ci si dimentica in fretta chi si è stati – da tanto che si è presi dall’ansiosa ricerca del nuovo successo – e dove tutto ciò che
Personaggi Il
grande regista iraniano dal set al click Giovanni Medolago
L’oro musicale della California che non t’aspetti Tecnicamente fu l’esploratore e imprenditore svizzero Johan Sutter, nel 1848, a cominciare tutto quello che poi passò sotto il nome di Corsa all’oro. La sua scoperta di una vena d’oro nell’American River vicino a Sacramento diede infatti inizio a quello che, probabilmente, è uno dei miti culturali e imprenditoriali più celebri di sempre: la California. Passata l’era delle ricerche minerarie tra le praterie desertiche la terra californiana è infatti rimasta meta privilegiata del sogno – e della conseguente corsa – di chi ha voluto fare dello show business la propria ragione di vita: che si tratti di cinema o di musica, Los Angeles è ormai da quasi un secolo la città che più di tutte sembra garantire la realizzazione delle ambizioni artistiche. Una lecita domanda – che nulla ha a che vedere con dinamiche populiste o sciovinistiche – rispetto a quell’eldorado globalizzato della cultura potrebbe però essere quella relativa alla natura della cultura locale: al di là di tutti quelli che ci arrivano da fuori in cerca di fortuna e successo, cosa pensano e cosa fanno gli artisti che – di qualsiasi origine – a Los Angeles si son trovati a nascere e a crescere? Qualche risposta – tra le molte altre possibili – è suggerita da due recenti pubblicazioni.
Kiarostami a caccia di muri e alberi
sa di cultura viene trattato con grande diffidenza. L’ulteriore problema è dato dal fatto che un’intelligenza musicale colta, nell’ambito della canzone popular, può costituire un impedimento (un intralcio tecnico e formale) alla necessaria immediatezza espressiva. Julia Holter tutto questo l’ha sorpassato, e già il precedente disco Loud City Song del 2013 – con il commovente gioiello He’s Running Through My Eyes – lo aveva dimostrato. Il nuovo Have You In My Wilderness ribadisce la meraviglia di un’artista e di una visione musicale nate e cresciute a Los Angeles, ma che sembrano contraddire tutte le principali e spietate regole che il music business internazionale – installato proprio in quella città – da svariati decenni ribadisce e impone a destra e a manca.
I Beach Boys non sono gli autori quanto piuttosto il soggetto del recente biopic – ovvero film biografico – di Bill Pohlad. Anzi, i Beach Boys sono i comprimari, dal momento che il protagonista della narrazione è Brian Wilson, il cantante che della celebre band californiana fu artefice e factotum. L’epoca più famosa del gruppo – quella coincidente con i primi singoli da spiaggia – viene peraltro liquidata piuttosto in fretta nella pellicola (pochissimi minuti di canzoni, concerti e registrazioni in un montaggio-collage che sembra voler dire «tanto li conoscete già») per poi concentrarsi su un altro aspetto, forse più profondo, senz’altro più dolente: il degrado psicofisico del leader. Nella convincente interpretazione di John Cusack rivive infatti la fase più tragica della vita di Wilson, che dopo aver smesso di andare in tournée ingrassò fino a 160 chili, trascorse quasi tre anni a letto e si rivolse – in un salto dalla padella alla brace – allo psicologo-manipolatore Eugene Landy. Una storia già nota, anche se mai raccontata così bene, che riporta sotto le dovute attenzioni un altro genio della musica californiana. Quel Brian Wilson che – dopo aver accontentato l’industria discografica con canzoncine di grande successo – si isolò nel proprio relativo ordine mentale per concepire capolavori come Pet Sounds o SMiLE.
«Credo che l’immagine sia, in qualche modo, la madre di tutte le arti. Devo ammettere che, se sono stato attirato dal cinema, è perché intellettualmente l’immagine mi ha sempre sedotto. Molto spesso ho scritto sceneggiature a partire da un’immagine mentale. La scena-chiave di Dov’è la casa del mio amico (un bambino corre verso un albero collocato alla fine di una strada che si addentra nella collina) nasce da un’immagine che conservavo nella mia mente da molti anni, molto prima della realizzazione del film». È conosciuto soprattutto come regista cinematografico, pioniere della nouvelle vague iraniana (accanto a Jafar Panahi e Mohsen Makhmalbaf). Ma Abbas Kiarostami è un’artista potremmo dire rinascimentale, poiché si esprime anche attraverso la pittura, la poesia, la scultura e la fotografia. La sua serie «The Wall» é adesso in mostra alla Photographica Fine Art di Lugano. Si tratta di foto in grande formato, immagini scattate a distanza ravvicinata dai muri, sì da escludere quasi sempre la profondità di campo. Sovente viceversa le fotografie contemplano anche quegli alberi che Kiarostami confessa di amare. Ecco il bianco delle betulle in fila davanti a una parete lattescente; ecco l’ulivo che dalle radici nella terra nera si staglia su policrome incrostazioni; o ancora rami sottili che sembrano voler entrare in una crepa. E quando gli alberi sono fuori campo, Kiarostami si serve dell’ombra di tronchi e fronde per giocare con i chiaro-scuri. «Pareti e divisori di case in Iran sono strutture che Kiarostami sembra trattare come dipinti trovati»: l’annotazione di Clelia Belgrado ci sembra pertinente soprattutto nell’immagine di una finestrella che fa capolino nel mezzo di un muro dalle diverse tonalità di ruggine e nel muro verdognolo/biancastro dove il rosso di un rubinetto diventa il «punctum» caro a Roland Barthes. La presenza umana si manifesta solo attraverso i graffiti o in quel camion blu cobalto che richiama il colore della striscia di cielo sopra una massicciata quasi immacolata. Sono immagini da apprezzare con quella calma indispensabile per scovare dettagli a prima vista sfuggenti. Dove e quando
Abbas Kiarostami, The Wall. Fino al 27 novembre. Photographica Fineart Gallery. Via Cantonale 9, Lugano. Orari: da ma a ve 09.00-12.30; 14.0018.00. Sabato su appuntamento. Tel. +41 91 923 96 57 mail@photographicafineart.com
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La fede che imprigiona Editoria Nel libro di Lawrence Wright una documentata storia che racconta i retroscena
di Scientology e dei suoi metodi di proselitismo Mariarosa Mancuso «Coltivare i famosi». Era la strategia di Ron Hubbard, fondatore di Scientology, fin dagli inizi. Siccome i famosi stavano a Hollywood, arruolò come assistente personale Richard de Mille, figlio di Cecil B. de Mille, il regista di I dieci comandamenti con Charlton Heston e Yul Brynner (era quel che allora passava il convento, in materia di polpettone bliblico, oggi lo stesso film lo gira Ridley Scott con il titolo Exodus – Dei e re).
Lo scrittore ha raccolto la testimonianza di Paul Haggis, regista di Hollywood, che è stato adepto per 35 anni Compilò anche una bella lista di persone da coinvolgere, senza farsi mancare nulla: Marlene Dietrich, Walt Disney, Jackie Gleason, John Ford, Bob Hope, Howard Hughes. Jackie Gleason era il campione di biliardo Minnesota Fats, accanto a Paul Newman nel film Lo spaccone, e gli altri non abbisognano di didascalie. Preda ancora più ambita, la Gloria Swanson di Viale del Tramonto (tutti resistettero eroicamente, va detto a loro merito). Correva l’anno 1955, il regime era di caccia libera. Come stava scritto su un giornaletto affiliato alla setta: «Se
desiderate dare la caccia a una di queste celebrità, scriveteci subito e l’insigne preda sarà lasciata a voi, senza alcuna interferenza. Se riuscirete a portarne a casa una, riceverete in premio una targa». Oggi tra gli hollywoodiani della setta – che ha inaugurato qualche giorno fa una nuova gigantesca sede milanese alta cinque piani, per un totale di 9000 metri quadrati, rischiarati oltre che dalla fede nel guru fondatore anche dalla bellezza di 258 finestre – si contano John Travolta e Tom Cruise. C’era anche Paul Haggis, regista di Crash – Contatto fisico: film assai sopravvalutato, era un girotondo ideologico ambientato a Los Angeles, puntualmente ogni personaggio riceve la sua lezioncina morale nel giro di 24 ore. Nonché sceneggiatore per Clint Eastwood di Million Dollar Baby: altro film che ha fan sfegatati, e non abbiamo ancora capito esattamente perché: la rara volta che vediamo sul ring una ragazza boxeur, ecco che arriva la sfortuna più tremenda, un incidente con un sgabello che la lascia paralizzata. A prescindere dalla sua bravura nel cinema, Haggis era entrato in Scientology assieme alla moglie, correva l’anno 1973, non aveva né arte né parte, e ancora nelle orecchie le parole del nonno sul letto di morte: «Ho sprecato la mia via, tu non fare altrettanto». Da Scientology è uscito 35 anni dopo, non senza problemi. La chiesa – così vorrebbero essere chiamati, sguinzagliano avvocati contro chi non ottempera, dopo una grande battaglia
Haggis ha sceneggiato Million Dollar Baby, il film di Clint Eastwood. (Wikipedia)
condotta contro il fisco americano che per sfinimento ha concesso lo statuto di religione esentasse – scatena pattuglie di volontari e investigatori contro gli ex adepti. Finalmente libero, Paul Haggis racconta tutto a Lawrence Wright, premio Pulitzer e giornalista del «New Yorker» che si appassiona, investiga, fa seguire all’articolo un libro di oltre 500 pagine. Da qualche giorno è in libreria, edito da Adelphi, con il titolo La prigione della fede. Paul Haggis era anche nel docu-
mentario Going Clear – Scientology e la prigione della fede, diretto da Alex Gibney. Una sfilata di materiali d’archivio e di testimonianze che seguivano otto malcapitati, nei loro tentativi riprendersi la libertà. John Travolta si riferiva alla setta come a «uno sballo senza droghe», ed erano minuziosamente illustrati i tentativi di scegliere una moglie adatta per Tom Cruise (abbiamo la certezza: non fu per una questione di tacchi che si lasciarono). L’erede di Ron Hubbard – che è morto nel 1986 – ha lo stesso giubbotto
e gli stessi occhiali scuri di Tom Cruise (facciamoli contenti). Si chiama David Miscavige, ostenta un eterno sorriso – anche per distogliere l’attenzione dalle orecchie a sventola – e ha una decisa inclinazione per le parate naziste, a cui ruba la scenografia ogni volta che raduna i suoi fedeli (continuiamo a farli contenti). Da fuori, basterebbero le deliranti teorie cosmogoniche propugnate per tenersi a debita distanza. Il regista Paul Thomas Anderson – nel film The Master, presentato alla Mostra di Venezia – aveva ricostruito gli inizi di Scientology. Il padre fondatore (che vantava un gran passato militare, ma era tutto finto, in realtà lasciò l’esercito con ignominia), la moglie, i primi adepti a bordo della nave Apollo, le sedute con l’infernale macchinetta – un poligrafo, o macchina della verità – che serviva per curare (in realtà, per sorvegliare e punire). Con bella precisione, lo avevamo capito vedendo il documentario, e lo conferma la lettura del libro, appassionante e agghiacciante nello stesso tempo. Laurence Wright come scrittore è molto più bravo di quanto lo sia Alex Gibney come documentarista. «Going Clear» è appunto il procedimento: chiedono all’adepto di confessarsi, quando la lancetta del macchinario vibra chiedono di andare più a fondo. Poi ancora più a fondo, onde compilare un minuzioso dossier a scopo di ricatto. Utile quando il poveretto rinsavisce, e decide di lasciare il gruppo e i suoi riti. Annuncio pubblicitario
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Tre donne e una cadente dimora di campagna Teatro in poltrona Tradotta in italiano una caustica commedia dello scrittore e attore inglese Alan Bennet Giovanni Fattorini Protagonista di Gente (People) – la commedia di Alan Bennet rappresentata per la prima volta a Londra nel 2012 e pubblicata in Italia da Adelphi nella traduzione di Mariagrazia Gini – a me pare che sia la malandata Stacpole House, una dimora nobiliare che risale al 1465 e che abbisogna urgentemente di riparazioni e restauri. Dopo la guerra, il parco dell’antica country house fu requisito e trasformato in una miniera a cielo aperto. Gli scavi arrivarono fino alla scalinata di accesso. Ora l’edificio poggia su una colonna di carbone – che ogni tanto emette un sinistro brontolio – ed è in palese stato di degrado: nessuno ci ha messo mano da anni. Non lo ha fatto Arthur Stacpole, morto eroicamente in guerra. Non lo ha fatto suo fratello Henry, morto per consumo eccessivo di alcolici e camionisti. Dovrebbe farlo l’ultrasettantenne Dorothy, sua sorella ed erede, che in tempi remoti è stata una modella (conserva ancora degli abiti firmati Balenciaga) e ora vive nella vasta e gelida magione con la sorellastra Iris, ultrasettantenne anche lei, che si autoqualifica «dama di compagnia». C’è un’altra sorella, June, la più giovane: è arcidiacono di Huddersfield, e a quanto si arguisce da alcune frasi pronunciate da Iris ha una relazione lesbica con una certa Guthrie, un tipo atletico che ha traversato a nuoto la Manica.
Poiché mancano i soldi per riparazioni e restauri, la miglior soluzione, per June (che dovrebbe pagare le tasse di successione se Dorothy morisse) è quella di donare la casa e gli arredi in essa contenuti (ci sono anche delle sale e dei mobili disegnati da Robert Adam) al National Trust for Places of Historic Interest, che dopo aver riparato i guasti prodotti dal tempo e dall’incuria aprirebbe l’antica e nobile dimora a gruppi di visitatori paganti. Una prospettiva che a Dorothy non piace. Ragion per cui, all’insaputa di June, si è rivolta a una casa d’aste che ha prontamente inviato un perito, Mr Bevan, in vista di una prima, eventuale vendita di suppellettili che avrebbe come titolo: «Un pezzo d’Inghilterra». A un certo punto, considerate le precarie condizioni statiche dell’edificio, Mr Bevan propone di spostarlo dal South Yorkshire «al pittoresco Dorset o all’aristocratico Wiltshire». Le due sorelle potrebbero abitare in una dépendance. In tal modo, Dorothy otterrebbe le due cose che più desidera: una stanza da bagno riscaldata e non avere gente tra i piedi. Della «ricollocazione» si occuperebbe l’Opera, «un’associazione di filantropi, dalle risorse finanziarie illimitate», che Bevan rappresenta e che potrebbe fare di Stacpole House «un centro di studio, un laboratorio, un vivaio dell’eccellenza inglese», frequentato solo da «gente che la pensa come noi, gente ricca quanto noi», gente che non intende «condividere» un
È nato a Leeds nel 1934. (Youtube.com)
luogo d’interesse storico con la gente comune. Dopo Mr Bevan arriva Mr Lumsden, inviato dal National Trust per una ricognizione preventiva. Ai suoi occhi, Stacpole House e la famiglia che la abita da sempre sono un’esaltante metafora dell’Inghilterra. Trova di grande interesse alcune particolarità della casa: le due o tre stanze della soffitta contenenti pile di giornali vecchi di trenta o quarant’anni (che Dorothy legge uno al giorno), e l’armadio del salone Adam (che nell’Ottocento era
stato adibito a sala da biliardo) in cui stanno allineate due dozzine di vasi da notte contenenti le residue minzioni di personaggi illustri: Rudyard Kipling, G.B. Shaw, Thomas Hardy, Evelyn Waugh, T.E. Lawrence, e altri ancora. Mentre si discorre del futuro di Stacpole House, in alcune stanze della casa una troupe cinematografica sta girando un film pornografico in cui Dorothy farà una comparsata indossando un abito firmato Hardy Amies. Produttore e regista del film è Mr Theodore, che Dorothy ha conosciuto quand’era
un ragazzo e lei faceva la modella. Terminate le riprese, Mr Theodore se ne va con la sua troupe senza pagare le 5000 sterline promesse per la location. Con soddisfazione di June (la quale pensa che sia anche necessario farsi perdonare, in qualche modo, il fatto che Stacpole House è costata secoli di sfruttamento e schiavitù), è il National Trust a vincere la partita. La casa viene restaurata. Al posto dei vecchi giornali che l’attrezzista della troupe cinematografica ha ridotto in cenere nel locale della caldaia, ci sono pile di giornali nuovi. E i pitali che il giovanotto ha vuotato delle antiche urine ora sono colmi del liquido emesso dalle vesciche di un gruppo di volontari. Il brontolio sotterraneo del carbone è stato registrato e viene trasmesso a intervalli nelle ore di apertura al pubblico. Quanto a lady Dorothy, di quando in quando attraversa la casa come «un oggetto d’interesse» per i visitatori che vengono ragguagliati – al fine di integrare la storia della dimora – anche su vicende familiari non sempre commendevoli. Come dice Mr Lumsden, «in fin dei conti non c’è nulla che non possa essere detto; non esiste un luogo non visitabile. Questo, almeno, ci ha insegnato l’Olocausto». Bibliografia
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Cultura e Spettacoli
Memorie di Camilleri Pubblicazioni Una serie di studi-omaggio dedicati al narratore
Andrea Camilleri con incursioni nelle sue svariate modalità di espressione artistica e letteraria
L’epica indiana e la città inquietante In scena Ricca offerta teatrale in Ticino,
con spettacoli di diversi stili e ispirazioni
Stefano Vassere
Giorgio Thoeni
«Montalbano non ha la sottigliezza analitica tipica dei grandi maestri del raziocinio indagativo. La sua ansia di verità poggia sul fervore dell’intuito, maturato nelle soste solitariamente pensose. È la coscienza del cuore umano a guidarlo, più che la scientificità delle procedure di pedinamento di tutte le orme del malfattore. Astuto ma non miracolistico, il commissario si mantiene sempre a livello di una medietà umana che non ha nulla a che fare con il superomismo». Sono due, principalmente, gli aspetti dello scrittore Andrea Camilleri che lo promuovono a fenomeno: l’accompagnarsi di un indubbio e misurabile successo di pubblico con un certo favore della critica da una parte, una percepibile complessità del personaggio e delle sue attività dall’altra. Per queste ultime, basterà scorrere un po’ l’indice di questo nuovo Gran Teatro Camilleri, serie di quasi venti saggi raggruppati in un elegante Sellerio vecchio stile, con la vecchia e cara carta Grifo blu, «vergata e prodotta dalle Cartiere di Fabriano con materie prime provenienti da gestione forestale sostenibile». Basta, appunto, scorrere un po’ l’indice per percepire la ricchezza del fenomeno Camilleri, il quale, può piacere o anche rispettosamente non piacere, ha cammini di approfondimento in innumerevoli direzioni: la particola-
In queste ultime settimane assistiamo a un appassionante susseguirsi di debutti teatrali. Per noi è anche l’occasione per ridisegnare o correggere la mappatura di un’offerta che ha fatto passi da gigante sia per qualità sia per numero di proposte sulle quali non è sempre possibile (o corretto) applicare un unico paradigma di giudizio. È una realtà che corre su due binari dove si inseguono, senza mai incontrarsi, diverse tipologie teatrali, diversi linguaggi. Come nel caso degli spettacoli a cui abbiamo appena assistito che, in un certo senso, rappresentano l’esempio di due formulazioni creative. Il primo riguarda Patrizia Barbuiani, vista al Teatro Foce di Lugano con la nuova produzione #Gilgamesh, la ricerca dell’immortalità di cui è autrice e regista: ruoli che le si addicono particolarmente. Questa volta Patrizia dirige Kevin Blaser e Tommaso Giacopini, freschi diplomati dall’Accademia di Verscio, in una produzione che si inserisce nel filone da lei prediletto: quello della narrazione che prende spunto dalla grande tradizione orale. Con Gilgamesh rivisita infatti l’antica epopea mitologica del re sumero alla ricerca delle risposte sulla vita e, soprattutto, sulla morte. La Barbuiani pesca dal vivaio dimitriano affidandosi alla bravura dei due giovani attori
Concorsi
La raccolta di saggi dedicati a Camilleri edita da Sellerio.
091/821 71 62 Orario per le telefonate: dalle 11.00 alle 12.00
Andrea Camilleri (classe 1925) in un’immagine del 2010. (Keystone)
re lingua che mette in bocca a narratori e personaggi, un percorso biografico che svaria su gran parte del Novecento con la possibilità di attingere a episodi e avvenimenti e stagioni ormai lontane, una certa dimestichezza «sociale» che dà del tu a parecchie stratificazioni della società italiana contemporanea, fino a temi, per lui, di minore clamore come la morte, la chiesa, le esperienze teatrali, poetiche, televisive, le donne. Le donne. C’è in questa raccolta di omaggi un articolo dedicato alla donna del commissario Montalbano. Che si chiama Livia (che è un nome bello e triste), che non è necessaria nelle trame della saga montalbaniana e che appunto per questo diventa figura trattata con grazia e riguardo dallo scrittore siciliano. «Livia ha un valore ambivalente. È amata e, insieme, rifiutata. È vicina ma è anche lontana. È complice e nello stesso tempo giudice. Ha il suo ruolo stabile della moglie e contemporaneamente un’esistenza fuggevole, dolente e imprescindibile». La linguistica è rappresentata in questo Teatro dal maggiore di tutti i linguisti italiani e da un linguista palermitano. Tullio De Mauro si occupa di L’«àccipe» e il colibrì: linguaggio ed ethos, Franco Lo Piparo di La lunga durata della lingua di Camilleri. De Mauro ha una significativa serie di aneddoti. L’àccipe del titolo è un bastoncino che toccava, in quelle antiche e fascistissime classi elementari del piccolo Andrea, a chi si lasciava scappare una parola dialettale e che il pic-
colo Camilleri riceveva per falsi dialettalismi bluff. I militari americani che sbarcano in Sicilia nel 1943 portano qua e là un siciliano arcaico importato o reimportato in quelle terre. La madre dell’adolescente Camilleri, che esce di casa la sera ricevendone le chiavi, ha preoccupazioni corali in dialetto e finisce il discorso in lingua, quando le raccomandazioni si fanno minacciose, fiscali, decretali. Alla fine della raccolta, un articolo di Stefano Salis si intitola Figurarsi Camilleri. Iconografia delle copertine dei romanzi, grafica editoriale e stili di narrazione. È una bella e sorprendente trattazione sulla scelta delle immagini di copertina («la copertina non è mai una funzione neutrale in un libro»), a partire da come queste immagini stanno sul formato piccolo e quadrato, oltre che blu, della collana «La memoria» di Sellerio. Immagini che devono essere individuabili, personali e non didascaliche. Immagini che si ritrovano o non si ritrovano nelle edizioni straniere dei libri di Camilleri. «Pensate di vedere una donna alla finestra, o un saltimbanco, o una bambina o delle donne sulle scale: ma cosa si cela dietro quegli sguardi fissi, quell’immobilità ieratica, quel “gelo” che vi sta comunicando l’immagine?».
Home Rassegna teatrale Teatro Foce, Lugano Inizio, ore 20.30
Raclette Rassegna di concerti Teatro Foce, Lugano Inizio ore 21.30
900 presente Rassegna di contemporanea Auditorio RSI, Lugano Domenica 29, ore 17.30
Venerdi 27 – Sabato 28 novembre: Petali
Venerdì 27 novembre: Appaloosa
Ligeti
Rock Strumentale (IT)
Musiche di György Ligeti, Béla Bartók
Teatro delle radici Drammaturgia e regia: Cristina Castrillo
Bibliografia
Gran Teatro Camilleri, a cura di Salvatore Silvano Nigro, Palermo, Sellerio editore, 2015.
Venerdì 4 dicembre: Larytta Sinth Pop (CH)
Venerdì 18 – Sabato 19 dicembre: Odissea, un racconto che ritorna
Ledwina Costantini e Daniele Bernardi in Kösgek.
Ensemble 900 del Conservatorio della Svizzera Italiana, diretto da Arturo Tamayo
Sabato 12 dicembre: Fedora Saura + Forse
Teatro Pan Parole: Daniela Almansi. Regia: Luca Chieregato
Pop eclettico (CH)
www.foce.ch
www.raclette.foce.ch
www.conservatorio.ch
Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.
Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare mercoledì 18 novembre al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
che mettono a frutto le loro capacità coreografiche nello spirito del «teatromovimento», una studiata coreografia per guidarci lungo un racconto a viva voce e svolto all’unisono: un esercizio tutt’altro che semplice e realizzato con l’ausilio di microfoni, una selva di microfoni. Suddiviso in due parti (la seconda più efficace e spedita), lo spettacolo ha riempito la sala alla prima e raccolto molti applausi. Il secondo esempio è rappresentato dall’Opera retablO con Ledwina Costantini e Daniele Bernardi visti al Teatro Sociale in Kösgek, uno spettacolo liberamente ispirato all’opera di Àgota Kristóf, la scrittrice ungherese naturalizzata svizzera (1935-2011). Il nucleo della rappresentazione (un atto unico) è tratto dalla Trilogia della città di K. (Il grande quaderno, La prova, La terza menzogna), una grande favola nera che vede protagonisti due gemelli affidati da una madre disperata alla nonna che vive «lontano da una città dove cadono le bombe e manca il cibo». La scorsa estate avevamo assistito a una suggestiva anteprima a Bellinzona nell’ambito di «Territori» e realizzata all’interno della villa Bonetti. Un luogo per molti versi ideale per questa messa in scena. L’ingresso in uno spazio istituzionale come un vero teatro va dunque considerato come una sfida che i due promettenti artisti hanno affrontato con grande misura e capacità interpretativa. Kösgek è un’azione scenica dove le uniche parole sono stralci registrati della Trilogia, letti da una voce impersonale, inquietantemente fanciullesca, che cadenza le azioni orchestrate dai due protagonisti, monelli disperati e maledetti immersi in uno scenario terrigno, immerso nella fame, nella miseria, con una guerra che incombe senza mai irrompere. Spettacolo intenso, emozionante, Kösgek rimane a lungo nella memoria. La regia della Costantini ci trasporta con immagini «forti», quasi provocatorie, fra le pagine della Kristóf ma anche nel complesso immaginario di Giona Bernardi, il giovane artista scomparso prematuramente a cui è dedicato il lavoro e di cui restano tracce proiettate sullo sfondo della scena con l’emozione dei canti della sua grande balena.
Agenda dal 16 al 22 novembre 2015 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Rassegna Raclette Colapesce & Alessandro Baronciani Lugano, Studio Foce 19 novembre 2015, ore 21.30 www.foce.ch Rassegna Home Köszeg, Opera RetablO Lugano, Teatro Foce 20-21 novembre 2015, ore 21.00 Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook
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NOVITÀ
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Idee e acquisti per la settimana
shopping
Settant’anni di passione per il panettone Natale Dal 1944 Vergani produce il dolce milanese. Un prodotto che potete trovare nei supermercati di Migros Ticino Vi immaginereste un Natale senza il classico profumo di panettone? Una tristezza. Ecco perché anche quest’anno abbiamo selezionato per voi una vasta gamma di tradizionali dolci in grado di venire incontro alle esigenze e ai gusti di ognuno, tra cui naturalmente alcuni prestigiosi marchi della vicina Penisola. Come quello dell’azienda Vergani, un nome che da settant’anni ben rappresenta il dolce simbolo della tradizione di Milano. Oggi come un tempo, «il Vergani» viene prodotto con perizia artigianale dalla quarta gene-
razione seguendo la ricetta originale tramandata dal bisnonno Angelo, che nel 1944 iniziò a confezionarli nella sua pasticceria in viale Monza. La genuinità degli ingredienti – in primis il lievito madre naturale ancora creato da Angelo Vergani nel 1944 e rinfrescato tre volte al giorno –, la lunga lievitazione e il lento raffreddamento hanno reso famoso il panettone Vergani ben oltre i confini della città della Madonnina. Il Panettone Excellence Vergani sposa l’antica ricetta del Panettone con ingredienti d’eccellenza: la farina con germe
di grano è macinata a pietra, la vaniglia in bacche è della qualità Bourbon del Madagascar, le scorze d’arancia della Sicilia sono candite fresche con zucchero di canna, mentre il pregiato miele d’acacia proviene dalla Toscana. Benché milanese DOC, Vergani propone tuttavia anche il Pandoro. Irresistibilmente soffice e delicato, si produce con burro di alta qualità e tuorli d’uovo freschissimi. Il risultato è un prodotto d’eccellenza in grado di soddisfare anche il palato di quanti amano questo dolce tipico della tradizione veronese.
Vergani Panettone Excellence 1 kg Fr. 16.50 Vergani Pandoro Classico 1 kg Fr. 15.70
In vendita nelle maggiori filiali Migros Ticino
Il torrone artigianale ticinese Oltre al prelibato panettone e al pandoro al burro d’alpeggio – prodotti da alcuni anni presenti anche sugli scaffali di Migros Ticino - i Fratelli Buletti nel loro laboratorio di Airolo hanno pure avviato una produzione artigianale di torrone. Per realizzare questa specialità consumata prevalentemente nel periodo natalizio, i Buletti amalgamano fra di loro ingredienti semplici e genuini quali miele, zucchero, albume e, per conferire al prodotto quel tocco di sapore supplementare, oltre alle tradizionali mandorle aggiungono anche nocciole e pistacchi. Altra particolarità del torrone Buletti è il fatto che è morbido: ciò significa che subisce una cottura più breve rispetto a quello convenzionale, di consistenza dura.
Flavia Leuenberger
Torrone morbido Buletti 100g Fr 5.90
Torroncini morbidi Buletti 200g Fr 11.90
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Idee e acquisti per la settimana
Pan del Pepp: i sapori genuini di una volta Pane Migros Frumento, segale, semi misti
e avena per un pane decisamente autunnale Un tagliere che porta i segni del tempo, un coltello seghettato. La lama affonda nel pane scuro e profumato, le briciole della crosta croccante come una pioggerella ricoprono la tovaglia. Ci vuole poco per essere felici, per portare un po’ di calore nel freddo autunnale. Il pane da sempre è protagonista sulle nostre tavole, unisce le persone e soddisfa gli appetiti più voraci. In una vita sempre di corsa ci si può fermare al tavolo, prendersi il proprio tempo e gustare un pane speciale come il Pan dal Pepp. La pagnotta dall’aspetto rustico è una promessa di sapore antico e genuino. I denti affondano nella mollica soffice, compatta. La crosta è scura e croccante, i semi di zucca, girasole, lino e sesamo fanno da contraltare arricchendo di sapore l’impasto di frumento e segale. Proprio la presenza di segale nell’impasto conferisce al Pan dal Pepp note aromatiche più intense del normale frumento. Un pane piacevole al palato, dalla personalità spiccata e dal gusto intenso. La copertura di fiocchi d’avena dà un aspetto rustico, quasi contadino, che riporta al passato. Fortunatamente il pane di oggi è più soffice e leggero! Ottimo appena tagliato, il pan dal Pepp viene reso ancora più speciale dalla tostatura, che ne esalta il sapore. Per ac-
cogliere i vostri ospiti potete preparare un delizioso tagliere di crostini con fegatini di pollo, un antipasto autunnale molto saporito. Per circa 5-6 persone vi servono 300 g fegatini di pollo puliti, 1/2 cipolla, 1 bicchiere di vino rosso, qualche cucchiaio di olio, sale e pepe quanto basta. Soffriggete la cipolla nell’olio, poi aggiungete i fegatini e fate cuocere su tutti i lati. Quando avranno preso colore aggiungete il vino. Fate cuocere il tutto per circa 10’-15’, dopodiché frullate in una crema liscia. Salate e pepate a piacere. Tostate le fette di pan dal Pepp e spalmate con la crema di fegatini. Versate un filo d’olio e decorate con delle foglie di salvia, meglio se fritte qualche minuto in una padella antiaderente con del burro caldo. / Luisa Jane Rusconi Pan del Pepp 400 g Fr. 2.90
Pomeriggi in panetteria con i bambini Le panetterie della casa Migros di Serfontana e S. Antonino accoglieranno dieci bimbi ciascuna tra i 7 e 14 anni il prossimo mercoledì 25 novembre dalle 14.00 alle 16.30. Durante il pomeriggio i piccoli partecipanti potranno
creare simpatiche figure natalizie con la pasta della treccia. Per partecipare è necessario iscriversi telefonando al numero 091 840 12 61, mercoledì 18 novembre a partire dalle ore 10.30. Valido per chi non ha partecipato agli ultimi due pomeriggi. Una delizia: crostini di Pan del Pepp con fegatini di pollo. (Flavia Leuenberger)
Alla scoperta del formaggio svizzero Eventi Il Centro S. Antonino ospita fino a sabato 21 novembre un’esposizione
dedicata al formaggio svizzero, con produzioni dimostrative
In collaborazione con «Switzerland Cheese Marketing», il Centro S. Antonino è lieto di riproporre nella mall al pianterreno l’esposizione dedicata ad una delle tradizioni svizzere per eccellenza. Protagonisti principali sono rinomati formaggi nazionali quali Gruyère DOP, Appenzeller DOP e Sbrinz DOP. La nostra regione a questa rassegna è rappresentata dai formaggi d’Alpe DOP 2015; Gorda, Predasca, Pian Segn Lucomagno, Croce Lucomagno per la Valle di Blenio; Vallemaggia e Vegorness per il Locarnese; Rompiago per il Luganese, mentre per l’alta Leventina e Valle Bedretto: Ravina, Pontino, Pesciüm, Fieudo, Fortunei, Pian Laghett, Camadra, Prato, Crüina, Cioss Prato e Manegorio. Tutte queste bontà potranno essere degustate e tutti gli interessati potran-
no richiedere in omaggio un buono sconto del 10 per cento per l’acquisto di formaggio svizzero valido fino al prossimo 28 novembre presso il «banco formaggio» del supermercato Migros del Centro S. Antonino. Ogni giorno alle 9.30 e alle 14.30 (il sabato alle 9.00 e alle 13.30), uno specialista dimostrerà e spiegherà le fasi principali della produzione artigianale di formaggio; un’opportunità molto interessante per grandi e piccini. Grazie a suggestive immagini video, sono evidenziate le tipicità riguardanti la filiera di questi famosi formaggi conosciuti e apprezzati in tutto il mondo. Il Ristorante Migros situato al 1° piano propone per tutta la durata di questa esposizione un piatto di formaggi svizzeri selezionati. Sabato 22 novembre dalle ore 10.00 alle ore 12.00 è prevista l’esibizione dei cornisti del Gruppo Ticinese Corno delle Alpi. Invitiamo tutti gli appassionati della tradizione casearia svizzera a visitare questa esposizione.
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Idee e acquisti per la settimana
Bellissime con Deborah Milano
Il barometro dei prezzi
Cosmetica Sabato 21 a S. Antonino e sabato 28 novembre a Locarno
Informazioni sui cambiamenti di prezzo
sono previste due make-up session del noto marchio Deborah Milano
Migros riduce i prezzi di diversi prodotti Alnatura. A causa della forte domanda, aumentano invece i prezzi dell’ananas a pezzi e del succo di pere Alnatura. In diverse varietà di lentic-
Alcuni esempi:
Vuoi imparare i trucchi del mestiere e ricevere consigli personalizzati per avere un make up impeccabile? In tal caso ti aspettiamo i prossimi due sabati allo stand Deborah Milano (vedi filiali Migros sopra), dove una makeup artist del marchio leader italiano nel settore della cosmesi sarà a tua disposizione per aiutarti ad essere sem-
pre bella. Durante l’evento potrai altresì scoprire la nuova Perfect Smokey Eyes Palette per uno sguardo intenso e magnetico assicurato. Questo prodotto innovativo racchiude in un’unica palette cinque tonalità di ombretto tra loro coordinate ed è disponibile in otto diverse armonie di colore, dal nero must-have al blu, passando per
colori più in linea con i trend di stagione, come lo zafferano o il kaki. Un trucco per tutte le donne che ricercano un risultato accurato e professionale in pochi e semplici steps. Infine, segnaliamo che in occasione dell’evento all’acquisto di un prodotto da Fr. 10.– riceverai in omaggio una bellissima e pratica trousse.
chie i controlli di qualità supplementari causano prezzi di vendita più alti. Infine, nel brodo di verdure bio del marchio è stato aumentato il contenuto di verdure, ciò che influisce sul prezzo.
Prezzo vecchio in Fr.
Alnatura drink Spelta al naturale, 1l Alnatura gallette di mais con sale, 110g Alnatura cubos di zenzero, 100g Alnatura Tofu affumic., 200g Alnatura Ananas a pezzi, 100g Alnatura Succo di pera, 1l Alnatura Lenticchie montagna, 500g Alnatura Lenticchie gialle, 500g Alnatura Lenticchie rosse, 500g Alnatura Brodo vegetal chiaro, 290g La Pizza Prosciutto e Mascarpone, 510g Bellena Classic White Sapone, 500 ml M-Budget Sapone, 500 ml Spugnetta per make-up, 1 pz.
2.60 1.— 2.40 2.10 2.90 3.20 2.30 2.60 2.30 3.50 7.40 1.20 1.20 1.60
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2.30 0.90 2.30 2.— 3.10 3.70 2.50 3.10 2.40 3.90 7.80 1.15 1.15 1.10
–11,5 –10,0 –4,2 –4,8 6,9 15,6 8,7 19,2 4,3 11,4 5,4 –4,2 –4,2 –31,3
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10.05 invece di 12.60
Palline al latte Adoro Frey, UTZ 200 g, 20% di riduzione
Truffes assortiti Frey, UTZ con motivo di renna, 198 g, 20% di riduzione
12.60 invece di 15.80 Truffes assortiti Frey in barattolo, UTZ con motivo di renna, 261 g, 20% di riduzione
7.80 invece di 9.80 Palline al latte Adoro Frey, UTZ 248 g, 20% di riduzione
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Idee e acquisti per la settimana
Natale: calendario dell’Avvento
Per pregustare l’attesa Con una piccola sorpresa al giorno, il calendario dell’Avvento anticipa la gioia dell’arrivo di Gesù Bambino. Che meraviglia se ciascun membro della famiglia dispone di un suo esemplare personale! I calendari fatti da sé, poi, procurano un piacere tutto particolare Testo Sonja Leissing; Foto Jorma Müller; Styling Monika Hansen
Dal 19. secolo il calendario dell’Avvento fa parte della nostra cultura natalizia. In fin dei conti fa in modo che i bambini in attesa dell’albero e relativi doni, per la troppa emozione non si sbaglino a contare fino a 25. Ma il modo in cui giorno dopo giorno, coi suoi piccoli doni, il calendario introduce alla più gioiosa attesa dell’anno incanta non solo i più piccini. Anche mamma e papà sono in preda alla curiosità: che cosa si nasconderà dietro la prossima porticina? Cosa ci sarà nel pacchetto per domani? Qui di seguito trovate la soluzione.
Uno per la mamma, uno per il papà, uno per il bimbo: questi calendari dell’Avvento fatti in casa sono una gioia per tutta la famiglia.
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Idee e acquisti per la settimana
Si fa così
Per la mamma Perché non regalare una volta anche alla mamma 24 sorpresine? Si fa in fretta a riempire le vaschette di alu,ornarle con un nastro e chiuderle. Di idee per riempirle ce ne sono a iosa: rossetto o bagnoschiuma, un’affettuosa letterina o il cioccolatino preferito dalla mamma. E poi: dopo essere servite per il calendario dell’Avvento, le vaschette possono essere benissimo usate per congelare resti di cibo.
Frey bottigliette di liquore 145 g Fr. 7.50 fino esaurimento scorte
Vaschette di alu diverse grandezze da Fr. 3.50
I am men Dry Formula Deo Spray 150 ml Fr. 2.90
Covergirl Outlast Stay Briliant lacca per unghie 180 Red Revenge Fr. 8.90
Set di timbri ABC con cuscinetto Fr. 5.90 fino esaurimento scorte
Nastri regalo 4 colori su rullo Fr. 4.90
Carta regalo set da 3 diversi colori e soggetti da Fr. 3.90
I am men After Shave Lotion 125 ml Fr. 4.60 Covergirl Colorlicious Lip Color 295 Succulent Cherry Fr. 12.50 Carte da jass francese o tedesco Fr. 1.50
Frey Pralinés Prestige 37 g Fr. 4.20 fino esaurimento scorte
Kneipp perle per il bagno Regina della notte 80 g Fr. 1.70* invece di 2.10 Azione *20% più convenienti dal 17 al 23.11
Si fa così
Candele nella stella di vetro set da 2 in rosso o argento Fr. 4.90
Per il papà Coltellino sportivo Fr. 15.50
La cosa migliore è acquistare 24 scatole della stessa grandezza e riempirle con molte cosette che fanno piacere al papà. Oltre a un coltellino militare o a un deodorante potrebbe anche essere un buono per lavare la macchina o un’allegra e giocosa serata. Si avvolge poi ogni scatola in una bella carta natalizia, la si orna con un nastrino e naturalmente si numera il tutto.
Elisen panpepato Mini ricoperto di cioccolato 50 g Fr. 1.95 Elisen panpepato Mini assortito 50 g Fr. 1.95
Swiss Beef Chips 85 g Fr. 5.70
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Idee e acquisti per la settimana
Si fa così
Per il bimbo Con borse e sacchetti di carta si può creare senza difficoltà un bel calendario dell’Avvento. Si scrivono i numeri direttamente su centrini di carta oppure si timbrano; si possono anche creare apposite etichette di cartone. Un’idea: tendete un filo in una cornice vuota e appendetevi con delle mollette i sacchetti riempiti. Fa un figurone!
Sacchetti di carta A x B x P: 18 x 8 x 21 cm 8 pezzi* Fr. 6.90
Smarties Pinguin Pete 100 g** Fr. 2.85* invece di 3.60 Azione *20% più conveniente dal 17 al 23.11. Nelle maggiori filiali Gomme per cancellare 12 pezzi** Fr. 2.50
Bloc notes A5 quadrettato FSC** Fr. 5.50
Frey Choco Lolly 30 g** Fr. 2.50 Nelle maggiori filiali
**Fino esaurimento scorte
Penna a sfera di peluche diversi soggetti** Fr. 3.20
Set di timbri Fingerprint** Fr. 6.50
Rotoli di Smarties 5 x 38 g Fr. 2.60* invece di 3.30 Azione *20% più conveniente dal 17 al 23.11
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Idee e acquisti per la settimana
Anna’s Best Pasta e salsa le trovate già nel kit di Anna’s Best, così non vi resta che aggiungere altri ingredienti di vostro gusto. Per esempio, potete guarnire la pizza con bocconcini di mozzarella e pomodorini.
La pizza perfetta dal forno di casa
Foto e styling Claudia Linsi; Illustrazione Mira Gisler
Chi vuole divertirsi a fare il pizzaiolo in casa? Nessun problema grazie ad Anna’s Best! Questo marchio della Migros propone, infatti, il pratico kit da pizza che, oltre alla pasta già pronta e spianata, contiene una deliziosa salsa di pomodoro confezionata in due por-
Anna’s Best Pizza Kit, incl. 2 confezioni di salsa di pomodoro 550 g Fr. 4.–
zioni per un dosaggio personalizzato. Un altro vantaggio è rappresentato dal formato della pasta (40 x 25 cm), ideale per una teglia grande. E così avete già a disposizione la base per sbizzarrirvi con altri ingredienti. Per una pizza che soddisfi ogni gusto!
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche il kit per la pizza di Anna’s Best.
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Regalate attimi di gusto
A corto di idee regalo? Ecco fatto: con le loro eleganti confezioni le praline Adoro sono predestinate a ricreare un’atmosfera di gioia tra amici e conoscenti nel periodo prenatalizio. Queste palline dal cuore morbido e cremoso garantiscono, infatti, intensi momenti di vero gusto. Perfette per l’imminente periodo dell’Avvento, le rinomate praline Adoro sono disponibili in due nuove seducenti
confezioni regalo da 74 e 400 grammi. Inoltre, i piccoli e grandi appassionati di cioccolato, che hanno fantasia e un debole per le decorazioni di Natale dal tocco originale, si rallegreranno per Reni, Roni e Runi. Sono tre simpatiche renne di cioccolato al latte la cui custodia di PET, una volta mangiato il contenuto, si può usare come divertente decorazione colorata. / Dora Horwath
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Arrosto spalla di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Salame Milano M-Classic, affettato Svizzera, 187 g
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PANE E LATTICINI Happy bread bianco o integrale TerraSuisse, per es. bianco, 20x 350 g 2.40 NOVITÀ ** Panini mini sandwiches o panini al latte M-Classic confezionati –.40 di riduzione, per es. panini mini sandwiches, 300 g 1.90 invece di 2.30 Il Burro, panetto da 250 g, –.20 di riduzione 2.85 invece di 3.05 Latte intero bio in conf. da 4, 20x 4 x 1 l 7.20 NOVITÀ ** Tutti gli yogurt Excellence, per es. alle fragoline di bosco, 150 g –.65 invece di –.95 30% Yogurt Passion alle noci o ai fichi, Special Edition per es. alle 20x noci, 180 g 1.– NOVITÀ ** Snack al latte o fette al latte Kinder del reparto frigo –.20 di riduzione, per es. fette al latte, 5 x 28 g 1.50 invece di 1.70 Appenzeller surchoix, per 100 g 1.40 invece di 1.80 20% Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 2, per es. in blocco maxi, per 100 g 1.75 invece di 2.20 20% Gala chili delle Alpi, 80 g 20x 2.– NOVITÀ ** Leerdammer a fette in conf. da 2, 2 x 200 g 5.50 invece di 6.90 20% Pane rustico, 400 g 3.20 invece di 3.80 15% Ciabatta croccante, 400 g 3.10 invece di 3.70 15% Le Baluchon bianco, 340 g 3.30 invece di 3.90 15% Caseificio Canaria, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 21.– invece di 28.10 25%
FIORI E PIANTE Rose dell’altopiano Fairtrade, disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, mazzo da 9 13.50 invece di 16.90 20% Rosa di Natale decorata in coprivaso, la pianta 13.90 Tutti i bulbi di fiori Amaryllis, per es. in vaso d’oro, la pianta 15.10 invece di 18.90 20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Idee e acquisti per la settimana
Crème d’or
Un gusto ineguagliabile Sorpresona per tutti i fan del gelato: come Limited Edition, per quest’autunno e inverno Crème d’or propone una nuova varietà che in Svizzera non si era ancora mai vista. Il nuovo gusto abbina l’aroma fruttato e deciso del Grand Marnier a una raffinata nota di arancia pienamente ma-
tura e cioccolato amaro. Come tutti i gelati Crème d’or, anche questa nuova delizia, dalla consistenza particolarmente cremosa, è a base di panna e latte svizzeri. Proprio come la Limited Edition Menthe & Chocolat dell’anno scorso, che vista la forte richiesta è ora disponibile tutto l’anno.
Foto e Styling Ruth Küng
Il gelato Crème d’or Grand Marnier Orange & Chocolat (a destra) è disponibile solo stagionalmente, mentre la Limited Edtion Menthe & Chocolat dell’anno scorso (a sinistra) si è conquistata un posto fisso nell’assortimento.
Crème d’or Menthe & Chocolat 750 ml Fr. 7.30
Crème d’or Grand Marnier Orange & Chocolat Limited Edition 750 ml Fr. 8.60
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche i gelati Crème d’or.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 16 novembre 2015 ¶ N. 47
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic Latticini
Pochi grassi molte proteine Con l’avvertimento «Ricco di proteine», la Migros contrassegna ora una selezione di prodotti lattiero-caseari, apportando così il suo contributo ad una dieta equilibrata. Ad esempio, il cottage cheese al naturale e all’erba cipollina, come pure il quark magro della linea M-Classic, sono importanti fonti di proteine. Inoltre, forniscono prezioso calcio, contengono pochi grassi, ma comunque posseggono un elevato effetto di saturazione. Si tratta di prodotti molto versatili in cucina. Il cottage cheese, in particolare, è una specie di jolly, straordinariamente adatto per farcire i wrap, i deliziosi involtini di tortilla.
I rotolini di wrap con vari tipi di ripieni a base di cottage cheese sono perfetti per aperitivo.
Wrap al cottage cheese Ricetta base per 4 persone 400 g di cottage cheese con sale e pepe. Tagliate una tortilla di frumento in quattro parti uguali. Tagliate 120 g di lattuga a strisce sottili e distribuitele. Rivoltate due bordi contrapposti sulla farcitura e arrotolare bene.
Suggerimento 1 Tritate finemente due mazzetti di aromi misti (es. erba cipollina e basilico) e mescolate con il cottage cheese.
Suggerimento 2 Mischiate al cottage cheese 120 g di brunoise di verdure, 1 cucchiaio di pepe di Cayenna granulato e 2 mazzetti di coriandolo tritato. Distribuite sulla salsa due petti di pollo fritti sminuzzati.
M-Classic Cottage Cheese Nature 200 g Fr. 1.35
M-Classic Cottage Cheese Erba cipollina 200 g Fr. 1.85
Suggerimento 3
M-Classic Quark magro 250 g Fr. –.75
Il nuovo logo contraddistingue i prodotti con un alto contenuto di proteine.
Foto Martina Meier; Styling Thierry Fuchs; Ricette Annina Ciocco
Aggiungete al cottage cheese 4 g di rafano e la scorza di un limone. Farcite con circa 230 g di salmone affumicato.
Suggerimento 4 Spremete 2 spicchi d’aglio nel cottage cheese e mischiatelo con 120 g di olive verdi tritate e 100 g di pomodori secchi macinati.
Per un dolce risveglio. 30%
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Confetture Extra in conf. da 2 per es. alle arance amare, 2 x 500 g
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Pane rustico Pain Création 400 g
Rosette di formaggio Tête de Moine 120 g
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Rose dell’altopiano Fairtrade disponibili in diversi colori, lunghezza dello stelo 50 cm, mazzo da 9, 20% di riduzione
Caffè Espresso Classico macinato, UTZ 250 g
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Idee e acquisti per la settimana
Extra Fit & Well
Fruttata leggerezza Su una fetta di pane, nel quark o in una torta: le leggere creme di frutta Extra Fit & Well sono avare di zucchero ma non certo di gusto e perciò sono adatte anche ai diabetici. Infatti, non sono dolcificate con zucchero semolato ma con fruttosio puro e contengono il 40 percento di calorie in meno delle comuni confetture. E per aprire il nuovo vasetto non c’è più bisogno di una forza erculea: il coperchio con sistema a doppio scatto rende l’apertura un gioco da ragazzi.
Muffin alle carote e alle albicocche Per ca. 8 muffin di 7 cm Ingredienti 200 g di farina di spelta integrale 100 g di mandorle macinate 3 cucchiaini di lievito in polvere, ca. 2,5 g l’uno 4 cucchiai di dolcificante con stevia, ca. 5 g o 8 cucchiai di zucchero, ca. 10 g 4 prese di sale 250 g di carote ½ limone 2 uova 120 g di marmellata di albicocche Fit & Well
Extra Fit & Well Albicocche 365 g Fr. 2.10
Preparazione Mescolate tutti gli ingredienti fino al sale. Grattugiateci le carote e la buccia di limone. Spremete il limone e aggiungete il succo. Incorporate le uova. Scaldate il forno a 180 °C. Distribuite una buona metà della massa in formine per muffin. Con un cucchiaino bagnato formate un incavo al centro di ogni impasto. Mettete in ogni incavo ca. 1 cucchiaino di marmellata di albicocche. Coprite con l’impasto restante. Cuocete in forno per ca. 30 minuti. Spalmate il resto della marmellata di albicocche sui muffin. Tempo di preparazione ca. 25 minuti + cottura in forno ca. 30 minuti Ogni muffin dolcificato con stevia ca. 8 g di proteine, 9 g di grassi, 23 g di carboidrati, 850 kJ/200 kcal
Ricette di
Il particolare di questi muffin alle carote sta nel ripieno di confettura di albicocca.
Extra Fit & Well Fragole 365 g Fr. 2.10
Foto e Styling Christine Benz
www.saison.ch
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche le creme di frutta Extra Fit & Well.
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Idee e acquisti per la settimana
Tradition TerraSuisse Pappardelle Più la tagliatella è larga, più trattiene il sugo. Per questo motivo le pappardelle sono ideali come contorno, specialmente per saporiti spezzatini.
Tagliatelle come fatte in casa Il nome parla da sé: le paste del marchio Tradition vengono prodotte secondo le ricette originali e hanno esattamente lo stesso sapore di quelle fatte in casa. L’assortimento va dalle classiche tagliatelle a specialità come le pappardelle allo
Tradition Pappardelle TerraSuisse 500 g Fr. 3.95
Taglierini Essendo molto sottili, i taglierini sono consigliati per abbinamenti delicati, ad esempio con una deliziosa salsa alla panna o ai tartufi. I puristi li mangiano conditi unicamente con burro, parmigiano e rosmarino. Tradition Taglierini TerraSuisse 500 g* Fr. 3.95
zafferano. Una grande novità: adesso le paste Tradition sono disponibili in qualità TerraSuisse. Ciò significa che per produrle viene utilizzata unicamente semola di grano duro proveniente da agricoltura svizzera sostenibile.
Pappardelle allo zafferano Grazie al loro aroma leggermente speziato, le pappardelle allo zafferano sono l’accompagnamento ideale per pesce e frutti di mare. Si combinano perfettamente con un sugo alla panna con salmone o spinaci.
Suggerimento Al posto dello Schabziger si possono condire le tagliatelle con una doppia razione di formaggio d’alpe.
Tradition Pappardelle Zafferano TerraSuisse 500 g* Fr. 4.95
Tagliatelle Tricolore Le tagliatelle tricolori piacciono molto ai bambini, e non solo perché sono colorate di rosso, verde e giallo. Sono buonissime con un sugo di verdure. Tradition Tagliatelle Tricolore TerraSuisse 500 g* Fr. 3.95 *nelle maggiori filiali
TerraSuisse rappresenta il meglio dell’agricoltura svizzera, rispettosa della natura e degli animali e in linea con le direttive di IP-Suisse.
Foto e Styling Claudia Linsi
Tagliatelle allo Schabziger con cipolle e pancetta
Ricette di
www.saison.ch
Parte di
Per 4 persone Ingredienti 2 cipolle sale 1 cucchiaio di farina 1 cucchiaio di burro per arrostire 100 g di pancetta da arrostire a fette 500 g di tagliatelle Tradition 2,5 dl di panna semigrassa 60 g di Schabziger noce moscata grattugiata, pepe ¼ di mazzetto di prezzemolo
Preparazione 1. Dimezzate le cipolle e tagliatele a fette sottili. Salate e cospargete di farina. Scaldate il burro in una padella antiaderente e fate appassire le cipolle per ca. 25 minuti a fuoco a medio-basso, finché si dorano. Toglietele dalla padella. Rosolate le fette di pancetta finché diventano croccanti nella stessa padella. Toglietele dalla padella e fatele sgocciolare su carta da cucina.
2. Lessate le tagliatelle al dente in abbondante acqua salata. Nel frattempo, scaldate la panna. Grattugiatevi finemente lo Schabziger. Condite la salsa con la noce moscata, pepe e sale. Tritate finemente il prezzemolo. Scolate la pasta e rimettetela in pentola ancora gocciolante. Aggiungete la salsa alla panna e la metà delle cipolle, e mescolate bene. Cospargete le tagliatelle
allo Schabziger con le cipolle restanti e il prezzemolo e guarnite con le fette di pancetta. Servite subito. Tempo di preparazione ca. 40 minuti Per persona ca. 33 g di proteine, 24 g di grassi, 88 g di carboidrati, 3200 kJ/760 kcal
Tagliatelle Le tagliatelle classiche sono un vero e proprio jolly. Si abbinano a delicate salse alla panna così come a fruttati sughi al pomodoro o a saporite miscele di formaggi. Tradition Tagliatelle TerraSuisse 500 g Fr. 3.95
L’Industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra i quali le paste Tradition.
LIMITED EDITION
Per chi sa cos’è la bontà. ww w.migros.ch/selection
6.50 Sale persiano e fiori Sélection 55 g
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Sale e zafferano Sélection 110 g
Sale e curry Sélection 100 g
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Sale e aglio Sélection 100 g
Sale e pepe Sélection 100 g
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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Idee e acquisti per la settimana
Mega-Jackpot
Fortunati vincitori
Congratulazioni! Azione si congratula coi primi vincitori. Finora* hanno vinto il Jackpot: Heinz W., Kloten (ZH) Vincita: 1013.80 franchi Corinne C., La Ferrière (BE) Vincita: 2562.90 franchi Heinz W. (66)
Tentate la fortuna su www.megajackpot.ch o sull’app Migros. Fino al 28 dicembre ogni scontrino di cassa reca sul retro i Win-Codes.
Pensionato di Kloten (ZH) ha vinto Fr. 1013.80 «Già il secondo codice sul nostro buono indicava una vincita. Dapprima ho pensato che si trattasse di un errore, perché non ho mai vinto niente di un certo valore. Sono felicissimo. Mia moglie ed io ci dividiamo la vincita e utilizzeremo le carte regalo per i nostri acquisti quotidiani. Mia moglie ama moltissimo i fiori, così potrà anche esaudire qualche suo desiderio particolare. Quel che resta lo investiremo forse più tardi in un bel viaggetto.»
Annaliese W., Thônex (GE) Vincita: 3249.20 franchi Martin K., Flumserberg (SG) Vincita: 17’328.60 franchi Magbule A., Köniz (BE) Vincita: 50’000 franchi Melanie B., Zurigo (ZH) Vincita: 1845.20 franchi Vreni H., Zurigo (ZH) Vincita: 1139.20 franchi Heidi A., Uster (ZH) Vincita: 22’537.80 franchi *fino alla chiusura redazionale di questa edizione
Partecipate ora! Fino al 28 dicembre ogni scontrino di cassa Migros reca sul retro i Win-Codes. Si possono vincere carte regalo per un valore totale di 1 milione di franchi. Il Jackpot inizia a 1000 franchi e sale fino a un massimo di 50’000 franchi. Ogni volta che inserendo il Win-Codes non scatta il Jackpot, questo aumenta di 10 centesimi.
Annaliese W. (80) Pensionata di Thônex (GE) ha vinto Fr. 3249.20 «Dopo l’acquisto ho immesso il mio Win-Code sull’app Migros del tablet. È molto più pratico che col computer. È stata una grande gioia, perché la vincita giunge proprio al momento giusto. Due giorni or sono ho saputo che la mia nipote che sta in Australia aspetta un bambino. Investirò la vincita per andare a trovare il bisnipotino, e mi concederò un posto in business class, un lusso che alla mia età ci si prende volentieri.»
Le pile usate devono essere riconsegnate al punto di vendita!
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