Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 30 novembre 2015
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Società e Territorio Bambini e parità di genere: l’esperienza dell’associazione Scosse
Ambiente e Benessere Gli amanti dell’idea del turismo spaziale hanno ricominciato a investire nel loro sogno
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Politica e Economia La jihad è figlia delle ingiustizie sociali in Occidente?
Cultura e Spettacoli Herta Müller, le sofferenze di un perenne esilio dell’anima
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di Venturi e Beti pagine 25-27
Keystone
Clima, ultima chiamata
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L’Idra del ventunesimo secolo di Peter Schiesser È lecito crederlo: il fondamentalismo islamico e jihadista rappresenta l’Idra della modernità – ma non si può propriamente dire che François Hollande sia il novello Eracle (o Ercole, per i romani). Come il mitologico serpente marino a nove teste dell’antichità greca, ne tagli una, ne nascono due, e quella centrale è immortale. Decapitata al Qaeda, altre forme di jihadismo l’hanno sostituita, in Medio Oriente, nel Maghreb, nell’Africa subsahariana, in casa nostra. E la risposta dell’Occidente è ancora soltanto: bombe. Che, uccidendo anche civili innocenti, preparano la crescita di nuove teste. Ma Eracle, pur con la sua possente forza, non avrebbe potuto sconfiggere Idra senza l’aiuto di suo nipote Iolao che si affrettava a cauterizzare ogni testa mozzata per impedire che ne ricrescessero due. E così dobbiamo constatare che la campagna di bombardamenti iniziata l’anno scorso dagli Stati Uniti contro lo Stato islamico non ha cambiato molto. Altrettanto, è prevedibile che le strabiche bombe russe, lanciate sugli avversari del rais siriano Assad più che sulle truppe del califfo al-Baghdadi, e le più mirate bombe francesi e britanniche
non dissolveranno le minacce terroristiche che incombono su di noi occidentali, tantomeno sulle teste di tanti correligionari musulmani, che stanno pagando il più alto tributo di sangue. Se è ovvio che in casa propria va fatto il massimo per impedire attentati, in termini di misure di sicurezza, è chiaro che la risposta internazionale non può limitarsi ad affollare ancor di più, militarmente, i cieli siriani e aggiungere distruzione in una nazione nel quinto anno di guerra civile. Tanto più che abbiamo visto, con l’abbattimento di un cacciabombardiere russo da parte di caccia turchi, quanto potenziale esplosivo ancora è in grado di liberare il conflitto in Siria. Ferita nell’anima Parigi e offesa nella sua grandeur la Francia, il presidente Hollande doveva mostrare i muscoli. Se è facile sganciare bombe, non lo è forgiare alleanze militari. E così il presidente americano Obama abbraccia Hollande per le vittime di Parigi, ma non cambia di una virgola la sua strategia attuale, la cancelleria tedesca Merkel posa un fiore sulle ferite della città dei Lumi, ma si limita a mettere a disposizione degli aerei di ricognizione e invia 650 soldati nel Mali per il mantenimento della pace, mentre Putin vorrebbe come Hollande una coalizione contro il terrorismo, dopo la bomba
a bordo dell’aereo russo nel Sinai, ma da intendere a vantaggio di Assad, secondo il quale tutti i suoi avversari sono terroristi, anche quelli aiutati dall’Occidente. A rendere ancora un po’ più complicata la faccenda, ci si mette la Turchia, che abbatte (in territorio siriano, ammettono anche gli americani) un cacciabombardiere russo per aver attraversato in 10-17 secondi da 4 a 6 chilometri di spazio aereo turco; tre piccioni con una fava perAnkara: ha dato uno schiaffo a Mosca, reso più difficile una possibile alleanza fra occidentali e russi in Siria, segnalato la ferma intenzione della Turchia di difendere i 200 mila turkmeni siriani. Ce n’è abbastanza per decidere di fare un passo indietro per evitare di trovarsi a guerreggiare direttamente con Mosca, che dopo l’abbattimento del cacciabombardiere ha deciso di dispiegare in Siria, vicino al confine con la Turchia, i suoi più moderni sistemi di difesa missilistica. Poco prima dei massacri a Parigi, il segretario di Stato americano Kerry era molto fiducioso di trovare in poche settimane con Russia e Iran un accordo per un cessate il fuoco in Siria. Ora è calato il silenzio, ma forse, una volta affievolitosi il richiamo alle armi, si potrà tornare a ragionare su come farle tacere definitivamente.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
Attualità Migros
Molti piccoli contributi possono avere un grande impatto Solidarietà Migros organizza una grande raccolta di fondi in favore dei bambini svizzeri in difficoltà
Herbert Bolliger, presidente della direzione generale della FCM, ci dice perché per finanziare differenti progetti come l’acquisto di nuove cartelle o vacanze gratuite in Engadina. Questa forma di sostegno è sufficiente per cambiare la situazione di una famiglia?
Michael West Herbert Bolliger, quest’anno Migros raccoglie denaro per i bambini in situazione di difficoltà in Svizzera. Eppure da noi molti giovani hanno tutto quello che desiderano. La povertà dei bambini è veramente un tema d’attualità?
Purtroppo sì. Naturalmente questa povertà dei bambini non è così visibile come nei Paesi poveri. Per questo il rapporto dell’Unicef, che indica come la povertà tocchi un bambino su dieci in Svizzera (vedi riquadro), ha sorpreso tutti. Questa situazione non è tollerabile. La sorte dei bambini dovrebbe infatti essere una delle nostre preoccupazioni principali. Ciò significa che il nostro Stato sociale qui mostra i suoi limiti?
Nel nostro Paese siamo confrontati con una «povertà relativa»: il problema non è qui di sopravvivenza, ma piuttosto di ineguaglianza sociale. I bambini colpiti
Bolliger: «Dobbiamo imparare a condividere». (Daniel Winkler)
sono spesso quelli i cui genitori faticano a integrarsi nella società. Meno incoraggiati, sono penalizzati a scuola e più tardi avranno un livello di formazione inferiore, minori possibilità di accedere al mercato del lavoro e maggiori rischi di ritrovarsi in disoccupazione. Bisogna
spezzare questo circolo vizioso. Non fosse che per impedire che questi bambini diventino adulti dipendenti dall’aiuto sociale. Migros versa tutto il denaro raccolto a quattro associazioni di soccorso che lo utilizzeranno per esempio
Per partecipare alla campagna 2015 Con il suo appello «Mostra cuore» Migros invita le persone di tutta la Svizzera a condividere tra loro un momento di gioia della propria infanzia. La raccolta di fondi, destinati a quattro associazioni attive nel campo sociale (Caritas, Pro Juventute e Soccorso d’inverno, HEKS Aiuto delle chiese protestanti), vuole ricordarci che un bambino su dieci in Svizzera è colpito da povertà ed emarginazione sociale e intende contribuire ad alleviare la condizione di disagio. Per ogni fotografia caricata su www. mostracuore.ch che immortala un momento particolare della propria vita, ad esempio il primo giorno di scuola o la gioia per un regalo desiderato da tempo, Migros donerà cinque franchi. La somma complessiva rac-
colta confluirà in progetti speciali a sostegno di bambini in situazione di difficoltà, tutte iniziative promosse dagli enti sopraccitati. Dal 21 novembre la raccolta fondi natalizia è passata a una seconda fase: i clienti possono donare direttamente nelle filiali Migros. Il ricavato delle donazioni sarà devoluto completamente ai quattro enti caritatevoli. Alla fine dell’anno Migros raddoppierà l’importo totale, impegnandosi da parte sua a donare fino a un massimo di 1 milione di franchi. Chi desidera donare può farlo anche tramite SMS con la parola chiave «Insieme» al numero 455 oppure tramite versamento sul conto postale per le donazioni 30-620742-6. Sul sito web www.migros. ch/natale vi sono anche
altre possibilità di donazione online (Paypal, ecc.). Con l’inizio della raccolta fondi nelle filiali Migros, la televisione svizzera manderà di nuovo in onda la ben nota canzone di Natale Ensemble, brano che l’anno scorso ha riscosso così tanto successo da conquistare due dischi di platino. Il nuovo spot racconta la storia di un ragazzino che insieme ad artisti svizzeri e con il sostegno della popolazione svizzera raccoglie regali da distribuire ai bambini bisognosi. La canzone Ensemble può di nuovo essere scaricata su ExLibris, iTunes o GooglePlay. Il ricavato andrà direttamente nel fondo di beneficenza. Il nuovo spot TV è già disponibile al seguente link https:// youtu.be/xSU2S-LZ3UQ.
Contributi anche piccoli possono avere un impatto importante. Tuttavia sono indispensabili anche dei cambiamenti strutturali. Bisogna assolutamente mettere a disposizione delle famiglie modeste più alloggi a prezzo ragionevole e rafforzare le misure di sostegno. La palla è nel campo dei politici. Non è curioso che lanciate una raccolta di fondi per i bambini poveri in Svizzera proprio nel momento in cui tutti i giorni ci giungono le immagini insostenibili dei disperati che fuggono dagli assassini dell’ISIS e dalle bombe di Assad?
Tutti gli individui aspirano a condurre una vita dignitosa. Il problema è che non sempre possono farlo. Per questo dobbiamo contribuire a lottare contro la miseria ovunque possiamo. Quindi non possiamo chiudere gli occhi e restare inattivi di fronte alla povertà di taluni concittadini. Nel periodo di Natale si organizzano numerose raccolte di fondi. Cosa fa Migros il resto dell’anno per aiutare le persone bisognose e lottare contro la povertà?
Il Fondo di soccorso della Migros dedica ogni anno un milione di franchi a progetti di pubblica utilità. D’altra parte, il Percento culturale Migros, che dispone di più di 120 milioni di franchi all’anno, ne utilizza una parte per sostenere dei progetti sociali. Infine, la Scuola club Migros propone una vastissima gamma di formazioni continue a prezzi preferenziali. Che ricordo ha della sua infanzia? È stato confrontato anche lei con la povertà?
Benché nato in una famiglia modesta, ho avuto l’immensa fortuna di avere genitori che si sono presi cura di me e ho avuto il grande privilegio di poter
studiare. Mio padre esercitava il mestiere di macellaio e a volte mi portava con sé nelle fattorie. Mi è quindi capitato di incontrare famiglie numerose che avevano appena di che nutrirsi. Queste esperienze l’hanno segnata?
Sì. Mi aiutano a non dimenticare mai che il benessere materiale non è scontato e che dobbiamo imparare a condividere.
Un bambino su 10 La povertà dei bambini non è un problema che riguarda solo i Paesi in via di sviluppo ma è un tema che tocca anche le nazioni ricche, come la Svizzera. Secondo un rapporto dell’Unicef, infatti, la povertà colpisce il 9,4 per cento delle bambine e dei bambini del nostro Paese. Per arrivare a calcolare questo dato l’Unicef ha tenuto conto di numerosi fattori. In primo luogo naturalmente il benessere materiale: oltre a questo anche l’accesso alla formazione, il tasso di vaccinazione o l’esposizione alla violenza o al mobbing. Un confronto che prende in considerazione la povertà dei bambini in ventinove nazioni industrializzate classifica la Svizzera al 9° posto dei Paesi meno toccati. I migliori classificati sono i Paesi Bassi, la Norvegia e l’Islanda, mentre la Romania chiude la classifica. Il rapporto stabilisce che anche in un Paese ricco la povertà può ridurre le prospettive per il futuro dei giovani. Così i bambini meno dotati sul piano materiale sono sfavoriti fin dalla nascita e continuano a soffrire di questa situazione durante tutta la vita. Ciò significa che la povertà dev’essere combattuta al più presto affinché non diventi uno stato permanente.
Come nascono gli alimenti? Ricerca Il Politecnico di Zurigo crea una nuova cattedra dedicata allo studio della produzione sostenibile
di alimentari. La finanziano le industrie della comunità Migros
Azione
Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Chi sta gustando un buon pranzo difficilmente pensa al modo con cui sono stati prodotti gli ingredienti che compongono il suo piatto. E se quegli stessi cibi potessero essere creati anche in altro modo? Potrebbe essere possibile, ad esempio, risparmiare energia nella loro elaborazione? Di queste e altre domande, legate alla sostenibilità nella preparazione degli alimenti, si occuperà una nuova cattedra istituita dal Politecnico di Zurigo. Il campo di ricerca si chiamerà Sustainable Food Processing (produzione sostenibile di cibi). La cattedra sarà affidata a Alexander Mathys, 36 anni, attualmente Responsabile di istituto del Deutschen Institut für Lebensmitteltechnik di Niedersachsen. A
Zurigo Mathys si occuperà ad esempio del modo con cui, partendo da un’uguale quantità di materie prime, sarà possibile nutrire un maggior numero di persone. Le industrie della comunità Migros e l’azienda Bühler metteranno a disposizione complessivamente 5 milioni di franchi per finanziare la cattedra. L’impegno andrà allo studio di nuovi metodi per impedire gli sprechi alimentari e all’ottimizzazione delle risorse, tutti elementi che potranno essere molto utili nella produzione industriale. La ricerca potrà occuparsi, ad esempio, di far luce in modo scientifico sulle modalità di elaborazione che trasformano le materie prime in alimenti. Ci si chiede ad esempio se esistano ma-
terie prime che fino ad oggi sono state troppo poco utilizzate: un caso potrebbe essere la coltivazione delle alghe, una fonte di proteine non ancora sfruttata. Se si riuscissero a trattare in modo migliore le materie prime, si potrebbero risparmiare risorse ambientali e combattere la fame. La nuova cattedra potrà fornire molte proposte concrete. Christophe Lacroix (57 anni), docente di biotecnologia alimentare al Poli di Zurigo (nella foto), ha commentato: «Trovo molto positivo l’impegno di Migros e dell’azienda Bühler. La libertà della ricerca sarà in ogni modo garantita. Non si tratta di fornire alle aziende coinvolte un vantaggio sulla concorrenza ma di offrire un vantaggio a tutta la società».
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Società e Territorio Leggere in carcere La psicologa Barbara Rossi ci parla di «Leggere libera-mente», un progetto di biblioterapia che coinvolge i detenuti pagina 5
Infinito Pinocchio A Milano Palazzo Sormani ospita una mostra scenografica che celebra il burattino creato dalla fantasia di Carlo Collodi pagina 6
La parità di genere si impara da piccoli La scuola fa differenza Il progetto promosso dall’associazione Scosse si occupa di formare gli insegnanti, l’obiettivo
Keystone
è crescere bambini e bambine in grado di esprimere le proprie potenzialità evitando modelli preconcetti
Stefania Prandi «È compito della scuola crescere bambini e bambine in grado di esprimere le proprie potenzialità, indipendentemente dal loro essere maschi o femmine, senza costringerli a seguire percorsi già tracciati». Così Sara Marini spiega l’obiettivo dei training formativi di educazione alla parità di genere, che porta avanti con l’associazione Scosse (acronimo di Soluzioni comunicative, studi, servizi editoriali), di cui è la vicepresidente. Tra le iniziative, promosse in diverse città d’Italia, che includono seminari di un giorno, laboratori, corsi di lungo termine, c’è «La scuola fa differenza». Si tratta di un progetto triennale che prevede la formazione e l’aggiornamento di 200 insegnanti dell’infanzia e degli asili nido pubblici, in 17 istituti, dalla periferia al centro di Roma. «Attraverso cicli di incontri nell’arco dell’anno scolastico, che in tutto durano 22 ore, spieghiamo alle maestre e ai maestri che lavorano con i bambini fino a sei anni, che è a quest’età che vengono introiettati i meccanismi di disparità di genere – racconta Marini. – Veniamo al mondo e abbiamo già un fiocco
celeste o rosa sopra al portone di casa e un corredo di abitini del colore corrispondente; cresciamo e un cesto di bambole o macchinine diventa la reggia dei nostri giochi preferiti. Se siamo femmine, veniamo educate a dedicarci alla cura degli altri, a essere docili, a credere di non essere portate per i giochi meccanici e il calcolo, mentre se siamo maschi impariamo a non esprimere certe emozioni, a non mostrarci deboli, e a esasperarne altre, come l’aggressività. I modelli che influenzano lo sviluppo sono onnipresenti, attecchiscono anche nelle personalità apparentemente più autonome e “ribelli” o nelle famiglie più libere e anticonformiste, condizionando la fantasia dei più piccoli, la capacità di immaginare e di costruire la realtà». Per scardinare questi schemi è necessario, prima di tutto, che gli insegnanti si mettano in discussione e si rendano conto dei condizionamenti che hanno fatto propri. «È un processo lungo, che richiede tempo – osserva la vicepresidente di Scosse. – Noi partiamo dall’osservazione di sé e poi arriviamo a quella dei comportamenti che si mettono in atto con i bambini e con le bambine. Da questo doppio la-
voro emerge una convinzione diffusa da parte dei docenti che riguarda, ad esempio, la propensione maschile all’irruenza e alla mancanza di controllo e quella femminile alla dolcezza e alla posatezza. Cerchiamo di fare capire che certi comportamenti non sono naturali, cioè non sono dovuti a questioni biologiche, ma sono il risultato di condizionamenti sociali e culturali e vengono reiterati ogni volta che si dice a un bambino di non fare la femminuccia, quando piange, ad esempio, e a una bambina di non fare il maschiaccio, se si dimostra troppo energica oppure manesca». I risultati del primo anno di incontri nelle scuole romane sono stati raccontati, con riferimenti teorici, bibliografici e con l’impiego di numeri e grafici, in un ebook scaricabile gratuitamente sul sito dell’associazione (il link è www.scosse.org/ebook – scuola – fa – differenza). Scosse, nata da una start up universitaria nel 2011, include un numero variabile di educatrici, tra le 8 e le 12, in base ai periodi, ed è diventata un punto di riferimento per tutto il territorio italiano. Da due anni, in collaborazione con Stonewall di Siracusa e
Progetto Alice di Bologna, organizza un meeting nazionale per chi si occupa di educazione di genere nelle scuole, dai nidi all’università. Nell’edizione dello scorso settembre, una parte importante del convegno è stata dedicata all’autoformazione, con laboratori, scambio di buone pratiche e condivisione di metodologie e strumenti didattici, con il contributo di esperte ed esperti da diversi Paesi europei (Gran Bretagna, Spagna, Portogallo, Francia). Uno dei nuovi progetti avviati dall’associazione è «Costruisci il futuro, combatti il bullismo», con il quale è appena stato vinto un bando europeo. Si tratta di un’iniziativa coordinata dalla presidente di Scosse, Monica Pasquino, che sarà sviluppata in Italia e in altri cinque Paesi europei: attraverso l’educazione del personale scolastico, dei genitori e degli studenti delle scuole medie, mira a creare un clima di inclusione e apertura alle differenze per tutti, con particolare attenzione per i giovani più vulnerabili. Prevede seminari, lezioni e l’uso dell’«Antibullying radar», un sistema di analisi tecnologica che permette di identificare i primi segnali di allarme di bullismo nelle
classi, in modo da prevenire episodi di violenza e sofferenza degli studenti e delle studentesse. Un altro settore sul quale si concentra l’attività di Scosse è quello dei libri, che passa dall’osservatorio online «Leggere senza stereotipi». Obiettivo della piattaforma è l’analisi del panorama editoriale, alla ricerca di rappresentazioni che stimolino bambini e bambine a compiere scelte, fare esperienze, avere sogni e ambizioni, leggere il mondo in modo libero, a prescindere dal proprio sesso biologico. Dall’esperienza è nato un manuale, appena pubblicato con la casa editrice Settenove, fondata e gestita da Monica Martinelli. Il testo, intitolato appunto Leggere senza stereotipi, si rivolge a insegnanti, genitori, educatori che operano con i bambini fino a 6 anni, e si articola in vari percorsi, ciascuno legato a un tema chiave per la costruzione dell’identità di genere. Una breve introduzione teorica precede le schede dedicate agli albi italiani ed esteri, le proposte di attività, gli approfondimenti e i suggerimenti bibliografici, per offrire un agile strumento di lavoro anche a chi si avvicina per la prima volta a questi argomenti.
Un bambino su dieci in Svizzera è colpito dalla povertà. La Migros raccoglie fondi per i bambini bisognosi in Svizzera e raddoppia l’importo totale della donazione fino a raggiungere 1 milione di franchi. Contribuisci anche tu ad aiutarli con una donazione acquistando un cuore di cioccolato alla tua Migros. Un’iniziativa della Migros a favore di:
migros.ch/natale
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Società e Territorio
I libri nel carcere Biblioterapia La psicologa e psicoterapeuta Barbara Rossi parla del progetto «Leggere libera-mente»,
un laboratorio di lettura per i detenuti
Laura Di Corcia La parola. Questa cosa che può distruggere ma anche sanare. Principio alchemico di mutazione e cambiamento, essa è al centro di molti percorsi di guarigione che vedono nella narrazione la strada per rielaborare i traumi e tornare ad essere individui in grado di muoversi e agire nella società. Uno fra questi è la biblioterapia. In cosa consiste, precisamente? «L’approccio non è da vedere in questo senso: leggo il libro per risolvere il tal problema», spiega Barbara Rossi, psicologa e psicoterapeuta, la quale ha fondato insieme ad un gruppo di persone il progetto «Leggere liberamente», nato nella casa di reclusione di Milano Opera nel 2008. «Quello che facciamo è seguire il piacere della lettura. Attraverso i libri possiamo identificarci con personaggi e situazioni, far emergere alcuni vissuti spiacevoli e le emozioni ad essi legate». Il progetto portato avanti nel carcere milanese vede nel libro una vera e propria occasione di crescita, che permette a chi ci si accosta di sperimentare diversi canali espressivi, dalla lettura allo studio (i detenuti acquisiscono un metodo che molti di loro non hanno), passando anche per la scrittura, da quella giornalistica a quella autobiografica, non disdegnando nemmeno la poesia che anzi è un canale molto fecondo per portare a galla emozioni e rabbie sopite. Una strada, questa, che in un contesto come quello del carcere ha anche
Il libro è un’occasione di crescita che aiuta a vivere meglio il periodo di reclusione e a prepararsi al futuro reinserimento nella società un’ambizione: aiutare chi la percorre non solo a vivere meglio il periodo di reclusione, ma anche a prepararsi a
«La lettura aiuta a riconciliarsi con la società e a vederla con altri occhi. Essa non è più un nemico da combattere». (Keystone)
un futuro reinserimento nella società. «In tanti anni ho avuto sempre questo genere di feedback: le persone che seguivano i nostri laboratori ci hanno confermato di riuscire a esprimere meglio le emozioni che hanno dentro, sentendo quindi meno bisogno di buttare fuori la rabbia attraverso l’aggressività fisica e verbale», spiega la psicoterapeuta, autrice anche di un libro sul tema intitolato Biblioterapia (Edizioni la Meridiana). «Se pensiamo che le persone riescono a tradurre con le parole quello che prima esprimevano magari con i pugni, ebbene, vuol dire che la lettura le aiuta a riconciliarsi con la società e a vederla con altri occhi. Essa non è più un nemico da combattere». Chi commette un reato, in fondo, pensa di riparare a un’ingiustizia subita, si sente in credito rispetto alla società. «Tempo fa abbiamo lavorato sul tema del perdono – specifica la psicoterapeuta – A noi che stiamo fuori,
viene da pensare ai torti che loro, i detenuti, han fatto agli altri. Invece loro si sono focalizzati sui torti che loro stessi hanno subito. Riconoscere i propri errori e sbagli, anche se grossi, è un percorso lungo e difficile». Ma che tipo di letture si affrontano in un percorso di biblioterapia? Chi decide cosa leggere? «I libri li proponiamo insieme. Non sempre la scelta ricade sulla lettura più semplice. Una volta, per esempio, con un gruppo abbiamo portato una serie di testi e dovevamo decidere quale fra quelli approfondire insieme. Sul tavolo c’erano libri che andavano da Zanna bianca a Io e Dio di Vito Mancuso: insomma, da letture più accessibili a testi davvero complessi. Ho aperto la votazione, abbiamo fatto anche lo spareggio e sorpresa: ha vinto il libro di Mancuso. Un testo non proprio semplice da approcciare, anzi. Per loro si trattava di una sfida. Si sentivano riconosciuti in quanto capaci di affrontare pagine
così complesse che portavano a maturare riflessioni di un certo valore. Alla fine di questa lettura abbiamo anche incontrato Vito Mancuso e ci siamo confrontati con lui. Un’esperienza arricchente per tutti». Non è ovviamente tutto così semplice: non tutti i corsisti si presentano alle ore di laboratorio con la voglia di mettere a parte gli altri detenuti dei loro vissuti. Non sempre si leggono due righe ed ecco, la magia: ci si sente meglio e si diventa più disponibili. «Mi è capitato di lavorare con un ragazzo molto giovane, sui vent’anni circa, finito in carcere per omicidio, per aver ecceduto nel difendere una sua amica. Si sentiva terribilmente in colpa per quello che era successo e per la sua famiglia che soffriva terribilmente. Nel gruppo era come un’ombra, si nascondeva dietro gli altri, non leggeva, non parlava: si trattava di una presenza un po’ assente. Finché a un certo
punto abbiamo iniziato a lavorare su un libro, Positive, Yes I am (di Marzia Caminer, ndr): raccontava il calvario di una ragazza che è stata fra le prime ad ammalarsi di AIDS quando ancora non si sapeva che cosa fosse. Ebbene, lui che non leggeva, ha divorato il libro in due giorni: quando è tornato si vedeva che era cambiato qualcosa. Ha voluto mettere a parte anche noi di questa sua esperienza, raccontando che uno dei suoi amici aveva deciso di vivere una storia d’amore con una ragazza sieropositiva, nonostante i rischi che questo implicava. Un tempo questa malattia era mortale e lui non capiva la scelta dell’amico: la lettura gli ha aperto gli occhi sul significato di questa scelta, sul fatto che senza amore la vita non ha senso, portandolo anche a capire più a fondo il suo gesto protettivo nei confronti dell’amica aggredita. È cambiato, ha iniziato a partecipare al laboratorio e a superare il suo dolore. Chiaramente non è stato solo il libro a far scattare la molla per la rielaborazione del trauma: il fatto di poterne parlare con il gruppo, con i propri compagni, tutto questo contribuisce alla “guarigione”». La lettura permette di tornare sui propri vissuti, ristrutturarli attraverso la condivisione della propria esperienza con persone anch’esse alla ricerca di una chiave di volta. Un percorso che, anche al di fuori del carcere, ha ovviamente il suo senso: per questo da alcuni anni Barbara Rossi tiene un corso di biblioterapia presso il Centro Alchemilla di Balerna. «Si tratta di un percorso adatto a tutti, perché tutti abbiamo bisogno di lavorare sulle emozioni. Sarebbe importante anche portare nelle scuole un lavoro di questo genere, per poter affinare questa competenza anche nei giovani. In carcere ogni tanto facciamo degli incontri con le classi: ebbene, è capitato anche che gli studenti abbiano chiesto alla professoressa di ripetere l’esperienza anche a scuola. E l’hanno fatto!». Rimane una curiosità: qual è il libro del cuore di Barbara Rossi? Non ci pensa nemmeno un secondo: «Amore senza vocabolario di Luigi Pagliarani». Annuncio pubblicitario
Fare la cosa giusta
Quando la povertà mostra il suo volto Per saperne di più sulla famiglia di Silvana: www.farelacosagiusta.caritas.ch
Silvana Suter (32 anni), madre di tre bambini, Svizzera
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Società e Territorio Illustrazioni, libri rari, animazione cinematografica, marionette: la mostra mette in luce tutta la vitalità di Pinocchio.
Non si trovano giornaliste esperte Media al femminile In Svizzera è nata
una piattaforma web per professioniste dell’informazione e della comunicazione Natascha Fioretti
Il burattino più amato Mostre Palazzo Sormani a Milano ospita Infinito Pinocchio
Piero Zanotto Il legno in cui è intagliato Pinocchio è l’umanità. Con questa limpida affermazione il filosofo Benedetto Croce riassunse ciò che la saggistica europea sta dicendo da oltre mezzo secolo del capolavoro narrativo di Carlo Lorenzini che scelse di firmarsi Collodi. Essere cioè Le avventure di Pinocchio un libro a diversi livelli di lettura: per i bambini, certo, ai quali egli lo indirizzò con le puntate apparse tra il 1881 e il 1883 nel neonato settimanale, in uscita il giovedì, intestato proprio così: Giornale per i bambini (del quale in seguito assunse la direzione), ma soprattutto per l’adulto di ogni età capace di godere dei suoi significati insieme psicologici e sociali distribuiti nei trentasei capitoli con sorniona surreale imprevedibilità fiabesca. Ora, a confermare tutto questo, arriva in vastissimo riassunto visivo della straordinaria vitalità del Burattino, definito con bello spirito da qualcuno l’italiano più conosciuto nel mondo, la mostra milanese ad esso dedicata con amorevole consapevole cura da Matteo Luteriani e Luigi Sansone. Allestita nella Sala del Grecchetto di Palazzo Sormani in Via Francesco Sforza. Mostra chiamata Infinito Pinocchio, col sottotitolo Nel legno l’anima viva del burattino senza fili. Sappiamo infatti come iniziano le pagine del Collodi, pseudonimo ch’egli assunse in affetto della madre, lui, rimasto scapolo, dal paese toscano in cui era nata. A mo’ di fiaba tradizionale dalla quale subito, sorpresa!, si discosta per imboccare un sentiero di casareccio sapore, ambientata nella Toscana di
fine Ottocento: «C’era una volta... – un re! – diranno subito i miei piccoli lettori. No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un pezzo di legno di catasta». Si legge con riassuntiva puntualità nel ricchissimo catalogo in cui sono raccolte, scorrevolmente impaginate, testimonianze editoriali «storiche» delle moltissime differenti versioni cui diedero il loro apporto, dopo Mazzanti che illustrò la prima edizione del 1883, una foltissima pattuglia di eccellenti figurinai, trattarsi di un legno duro e resistente. In contrasto con i buoni sentimenti di cui Pinocchio dà prova per rivelarsi invece strumento di sopravvivenza e dignità che garantirà al burattino senza fili la metamorfosi finale. In un ragazzino per bene, obbediente consapevole alle regole della società del suo tempo. La mostra (e così il catalogo) apre con la rara, introvabile?, edizione de La Poupée parlante edita a Parigi nel 1862 coi disegni litografati a firma di JanetLange e Gustave Janet. Subito seguita dalla prima edizione (1876, cinque anni prima che Collodi accettasse l’invito di Guido Biagi a scrivere, com’egli la chiamò, la sua «banbinata») de I racconti delle fate, traducendo testi dal francese ma addomesticandone i contenuti ricorrendo al lessico toscano col quale avvolse pure la descrizione dei personaggi. Da qui, lo scorrere dell’imaginifico resto editoriale. Pinocchio disegnato secondo le ottiche creative che si allargano dal citato Mazzanti, a Chiostri, allo straordinario Mussino cui si deve la base del fiume iconografico,
pur con tutte le infinite varianti, venute dopo. Lui stesso prolificissimo esecutore per varie iniziative editoriali, comprese le copertine e i fogli-teatrino per i 18 dischi Durium degli anni Trenta. Imbarazzante il limite di spazio imposto per questi appunti alle citazioni. Quasi pescando a caso, con dentro pure la versione di Walt Disney, troviamo il Sergio Tofano (Sto) di Sor Bonaventura, Beppe Porcheddu, Aurelio Galleppini (come Galep inventore di Tex Willer), Jacovitti, il russo Vsevolod Nicouline, pittori e grafici da Alberto Longoni a Fabio Sironi, quindi Roberto Innocenti, Lorenzo Mattotti, Ferenc Pinter. Ancora: Accornero, Bernardini, Cavalieri, Mosca. Un panorama espositivo che si allunga e si allarga ai libri con immagini movibili (ancora Mussino e tanti altri, tra cui Rino Albertarelli), al cinema di animazione e non, alle marionette del Teatro di Mangiafuoco della Compagnia Marionettistica Carlo Colla & Figli, e ancora tanto altro. Una vertigine, volendo estremizzare, da sindrome di Stendhal. S’aggiungono infine le nuovissime Avventure di Pinocchio tradotte in scrupoloso idioma meneghino da Alfredo Ferri, con approvazione del Circolo Filologico Milanese, offerto in elegante veste illustrata con copertina di Giulia Rossena (testo originale a fronte): Pinocchio in primo piano e l’abecedario tenuto stretto, intimorito dalla presenza alle sue spalle della insidiosa coppia Gatto e Volpe. Sul fondo, sfumato, il Duomo. Pubblicato, analogamente al catalgo, da Luni Editrice, ideatrice della Mostra aperta fino al prossimo 30 dicembre.
È una frase che in Svizzera non si potrà più pronunciare. È nata, infatti, una nuova Rete al femminile con l’ambizione di unire e mettere in contatto tra loro le professioniste dei media e della comunicazione in Svizzera. Il progetto, che si avvale di una piattaforma Web dal nome Medienfrauen.ch (www.medienfrauen.ch), nasce dall’idea di una giovanissima giornalista, Luzia Tschirky, 24 anni, attualmente corrispondente da Mosca per «SRF News», in passato già collaboratrice di «Spiegel Online», dal 2010 membro del comitato dell’associazione Junge Journalisten. Come lei stessa ci dice, a dare lo spunto e a fare da motore al progetto sono state in particolare due esigenze che ha riscontrato tra le sue colleghe: creare un Network di giornaliste ed esperte e mettere fine alla leggenda metropolitana per cui nei dibattiti pubblici e televisivi non si trovano mai rappresentanti femminili preparate o disposte a partecipare. Una lacuna di cui nella Svizzera tedesca nei mesi scorsi si è già ampiamente parlato sia sui media di servizio pubblico sia sulla carta stampata, ma che di fatto non è ancora stata colmata «l’anno scorso la rivista “Schweizer Monat” ha organizzato un dibattito sulle prospettive della Svizzera nel XXI secolo. Tra i relatori non c’era neanche una donna, tutti uomini». «Irritata – dice Luzia Tschirky – ho chiesto spiegazioni agli organizzatori: “Non ne abbiamo trovate”, mi hanno risposto». Da qui, l’idea, concretizzatasi prima con una pagina Facebook (Medienfrauen Schweiz), poi con un progetto di crowdfunding tramite la piattaforma Wemakeit.com, che ha permesso di raccogliere un budget di partenza per il lancio del sito e l’organizzazione dei primi eventi. «L’o-
La giornalista Luzia Tschirky.
biettivo era raccogliere 4900 franchi, siamo arrivati oltre i 5000». Questo ha permesso al progetto di prendere forma attraverso il sito e di partire con un’inaugurazione a Zurigo e un primo incontro questa estate. Ma il cuore di tutto, ci racconta la giovane giornalista, è la banca dati pubblica «per mettere in luce e rendere disponibile a tutti gli utenti del sito i profili e le competenze di chi fa parte della nostra Rete». Per iscriversi basta andare sul sito, lasciare una breve biografia e la foto. Dopo essere stata controllata, se è tutto in ordine la scheda viene pubblicata sul Web. Per ora le donne iscritte, in maggioranza giovanissime, sono 91 e quasi tutte attive nella Svizzera tedesca. «Per il momento questo è un po’ il nostro limite – ci dice la fondatrice – la nostra sede è a Zurigo e siamo più concentrate sul nostro territorio linguistico» ma si augura che presto la Rete possa estendersi e, non esclude, che il sito possa ospitare le altre lingue nazionali. Per quanto riguarda, invece, il numero delle iscritte «più che la quantità mi sta a cuore la qualità e la varietà di competenze, così come le esperienze dei profili che partecipano e la disponibilità di ognuna a mettersi in gioco». L’idea della banca dati non è nuova, a livello europeo sia in Austria, sia in Germania esistono piattaforme analoghe. Quella tedesca Speakerinnen.org, viaggia secondo il motto «organizzatori trovate le vostre relatrici – In futuro non ci sono più scuse per dibattiti senza donne». Per facilitare la ricerca sul sito, i profili sono organizzati secondo categorie per i diversi settori di competenza: educazione, internet e media, arte e cultura, politica e società; Medienfrauen.ch funzionerà allo stesso modo. Poste dunque le prime basi, il prossimo passo sono gli eventi: parte del budget raccolto è stato investito per la serata di lancio e per un dibattito sulla rappresentazione nei media del calcio femminile mentre un terzo si è tenuto a fine settembre, sempre a Zurigo. Relatrice d’onore Anita Zielina, la nuova responsabile dei prodotti digitali della «Neue Zürcher Zeitung». Medienfrauen.ch è un’iniziativa giovane, fresca, in tendenza con i tempi che promette bene e di cui il paesaggio mediatico svizzero evidentemente sentiva la necessità e l’urgenza. Ora speriamo che il Network possa crescere e arrivare anche in Ticino e, che da oggi in poi, le donne che in Svizzera hanno qualcosa da dire si facciano largo nei dibattiti.
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Marta Altés, Nonno, Emme Edizioni. Da 3 anni Nonno: solo con questa parola si intitola l’albo illustrato della giovane e già molto affermata illustratrice catalana Marta Altés. Ma quest’unica parola, messa com’è nella bella e sobria copertina con due orsi, un vecchio e un cucciolo, comunica tanto e commuove. Sin dal titolo si è immersi nello stile del libro: pochissime parole pregnanti e grandi immagini che dicono tutto. Si parla di un nonno, di un nonno orso, che come tutti i nonni sta invecchiando. A volte fa cose un po’strane, magari si perde, o non riconosce orsetto, o si comporta come un bambino. Tutto questo è raccontato dal punto di vista del nipotino orsetto, con semplicità e rispetto, constatando e accettando pacatamente le cose, senza edulcorarle ma anche senza drammi, perché ad esempio se «certi giorni io sono i suoi occhi» (e nell’illustrazione vediamo orsetto che conduce per mano
il nonno), in altri giorni però «lui è i miei» (e vediamo il nonno che nota e indica a orsetto un nido con un uccellino tra gli alberi). Certi giorni, ogni tanto, a volte: sono tutte espressioni che ricorrono nel libro, a significare che il nonno a volte è presente altre meno, ma che ha ancora tanto da dare al suo orsetto: lo sguardo pieno di stupore su un nido, un abbraccio, un sorriso. Le illustrazioni accostano i toni del beige, per il nonno, a
quelli del rosso, per il nipotino: due colori che stanno bene insieme, così come stanno bene insieme i vecchi e i bambini, nel loro aprire magici portali nel tempo, per cogliere le piccole cose, e magici portali nel reale, per compiere indimenticabili viaggi con la fantasia. Elisabetta Gnone, Olga di carta, Salani. Illustrazioni paper cut di Linda Toigo. Da 8 anni Un viaggio di formazione, come lo è ogni fiaba: una protagonista apparentemente fragile ma in fondo molto forte sceglie di lasciare la casa e gli affetti per compiere un lungo e periglioso percorso che la porterà a trovare se stessa. Sul percorso, come in ogni fiaba che si rispetti, incontrerà aiutanti e antagonisti, e dovrà superare delle prove. A più di dieci anni dal primo libro della fortunatissima saga di Fairy Oak, Elisabetta Gnone torna alla letteratura per l’infanzia con un nuovo romanzo, Olga
di carta. Olga Papel è una bambina che ama raccontare storie e che vive nella fiabesca contea di Balicò (nello stile di Fairy Oak, i toponimi e nomi di persona sono immaginifici e come sospesi fuori dal tempo, ma i sentimenti che animano i personaggi, e così pure i loro dialoghi, sono realistici, contemporanei e immediati): la storia che Olga racconta ai suoi amici e a chiunque, incantato, si fermi
ad ascoltarla, parla di una bambina che si chiamava anche lei Olga, ma che era una bambina di carta. Per diventare una bambina “normale” («Ma normale come?», come chi?, le chiederanno i personaggi che incontrerà) Olga di carta decide di andare a cercare una maga che abita molto lontano. È una storia nella storia, questo Olga di carta, la storia di Olga che racconta la storia di Olga; ed è la storia di tutti i personaggi, realistici o surreali, che fanno il loro ingresso nell’avventura. Una narrazione fiabesca e al contempo simbolica che, su un registro a volte comico, a volte onirico, a volte drammatico, parla ai bambini – e agli adulti che si lasceranno conquistare – di sentimenti profondi, tra cui il senso di inadeguatezza, le paure, il bisogno di guarire le proprie ferite: «Quando ti tagliano in due ci vuole qualcosa di forte per tenerti insieme». A volte anche una storia può essere in grado di riattaccarci, quando ci sentiamo a pezzettini.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Le sirene, i capelloni ed Il Codice da Vinci Chi ricorda le polemiche sui «capelloni» che hanno infiammato gli anni della Contestazione in tutta Europa? Dai Beatles in poi farsi crescere i capelli equivaleva ad una presa di posizione contro quello che si chiamava «il Sistema» per posizionarsi in opposizione ad usi, costumi e convenzioni «borghesi». O così in molti ritenevano. Bene: quando il Re Clotario morì a Compiègne il 29 novembre del 561 – ovvero 1464 anni ed un giorno orsono – portare i capelli lunghi era simbolo e prerogativa della nobiltà regale della dinastia franca merovingia, la stessa che governò la Francia fino alla presa del potere dei Pipinidi nell’VIII secolo (Pipino il Breve era padre di Carlo Magno) e poi dei Carolingi. Le origini della dinastia merovingia sono da subito ammantate di leggenda – e complicate da un groviglio tricologico (relativo ovvero a questioni di capelli) praticamente inestricabile. Vuole infatti La
Grande Cronaca di Francia di Gregorio di Tours (e siamo nel VI secolo) che il fondatore della dinastia fosse stato Faramondo, alla morte del quale nel 428 sarebbe succeduto il figlio Clodione detto «Il Capellone» (Clodion le Chevelu). E qui cominciano i guai. Morto Clodione nel 448 gli succedette il figlio Meroveo. Due secoli più tardi, La Cronaca di Fredegario sostiene che Meroveo era figlio del Quinotauro, o meglio, di qualcosa del genere essendo il Quinotauro «una bestia di Nettuno» («bestea Neptuni Quinotaurii similis»). Concorderanno i lettori che vi è da aver simpatia per il povero Meroveo, figlio di un mostro marino che manco bene si sa che cosa fosse in quanto assomigliava ad un altro del quale ancor meno si sa – e di madre ignota. Insomma: origini sovra-, ultra-, extra-, iper-naturali (ognuno si faccia la sua opinione) per una storia dinastica alquanto complicata che continua con improvvisi cam-
discendenza con Miriam Migdal – al secolo Maria Maddalena – in linea diretta coi capelloni merovingi a venire. Se questo già vi sembra complicato abbiate un minimo di pazienza che arriva «Part Two: la vendetta». Già non bastava che ai Re Merovingi fossero attribuiti poteri magici e taumaturgici (potevano guarire la scrofola con la semplice imposizione delle mani) in virtù della nazarena discendenza che – e siamo già nel secolo XI – a Goffredo di Buglione, Re crociato di Gerusalemme, vengono di nuovo attribuite ascendenze marine coi lunghi capelli. E qui entrano in scena le sirene. Altra storia, altra leggenda: Folco il Nero, di dinastia angiovina, sposa Melusine, figlia di Goffredo e sottoscrive una clausola secondo la quale non la vedrà mai fare il bagno nuda. Il patto regge fino a quando Folco si fa vincere dalla curiosità e spia la moglie fare il bagno dal buco della serratura. Orrore degli
orrori: la bella Melusine è serpente – o pesce a seconda delle innumerevoli resoconti della vicenda che vorrete sms-are – che voluttuosamente pettina i lunghi capelli ancora ignara del tradimento del patto. Accortasi che la sua intimità è stata violata a seconda dei resoconti Melusine cade morta stecchita oppure abbandona per sempre il tetto/ letto coniugale lasciando in eredità una maledizione che perseguita la linea di discendenza merovingia fino ai nostri giorni. Sembra all’Altropologo di ricordare che anche non molto tempo fa qualcuno (senza dubbio un buontempone) abbia rivendicato per sé e discendenza il casato merovingio. Morale altropologica: a – controllare bene la propria genealogia, soprattutto in caso di disgrazie ricorrenti; b – prendersi cura dei capelli – ma non quando cadono (saremmo salvi), ma quando crescono troppo sani e lunghi.
suo figlio una casa che non sia quella dei nonni ma la vostra. Comprendo che, in un primo momento, colpito da un fulmine a ciel sereno, lei abbia sentito il bisogno di regredire alla posizione di figlio. Ma Eugenio deve crescere accanto a una figura paterna, non filiale. Altrimenti si considererà per tutta la vita suo fratello minore. Come non mi stanco di raccomandare, la geometria della famiglia è determinante per definire le posizioni da cui dipende la nostra identità. Il ritorno alla casa paterna può risultare di aiuto in un primo momento, purché sia una soluzione a termine e non divenga permanente. Quanto al pranzo di Natale, spero che le sue sorelle siano così sensibili da non far pesare al nipote l’assenza della mamma, anzi, che cerchino di compensarla trattando tutti i ragazzi allo stesso modo, affettuosamente ma senza smancerie. E che i nonni non si lascino andare a recriminazioni con-
tro la nuora, nonostante quest’ultima si sia resa colpevole di un abbandono difficile da giustificare. Forse, per evitare di cedere al rancore e al rimpianto, sarebbe opportuno tenere occupato Eugenio, durante le vacanze di Natale, con un viaggio o una vacanza sportiva. Le festività, in quanto recano con sé una promessa di felicità, tendono ad aggravare il disagio di chi sta attraversando un periodo difficile della vita. Ma non abbia paura, i ragazzi possiedono risorse segrete per procedere, nonostante tutto, verso la maturità. L’importante è che non si sentano compatiti, che non leggano negli occhi di chi gli sta accanto una visione triste e rassegnata del futuro. Le difficoltà inattese, gli ostacoli imprevisti, se affrontati con coraggio, considerandoli non tragedie ma sfide, aiutano i ragazzi ad attivare le potenzialità dell’età e le risorse della personalità. Leggendo centinaia di biografie di
figli di genitori separati (Quando i genitori si dividono. Le emozioni dei figli, Oscar Mondadori) ho constatato che chi attraversa il tunnel del dolore senza abbandonarsi allo sconforto o alla rabbia ne esce migliorato: più capace di introspezione, più empatico e attento alle esigenze degli altri, più maturo. Chiamo questo risultato un «plusvalore d’anima». Ringraziandola per la fiducia che ci dimostra, le auguro, caro amico che stando accanto a suo figlio e facendo il padre, non l’amico, riuscirete entrambi a superare quello che non esito a definire un «trauma». E ad approdare a una nuova, conquistata serenità.
Paese come il nostro, dove la scarsità e la carenza del territorio hanno determinato un nuovo indirizzo in materia urbanistica: puntare sulle costruzioni in altezza collettive rinunciando al sogno della casetta in proprio, che mangia spazio. L’intervento ha coinvolto, in particolare, i sobborghi delle maggiori città, Zurigo, Ginevra, Basilea, dove «il rammendo» avviene, diciamo, alla svizzera, cioè in forme più morbide, rispetto ad altri Paesi. Tuttavia, in questi quartieri, abitati prevalentemente da stranieri di etnie diverse, la convivenza si rivela difficile. Dietro la facciata della pulizia e dell’ordine, emerge il clima problematico della periferia che non è fatta soltanto di muri, di strade, di servizi ma anche di persone. Spesso il proposito di creare i famosi spazi d’aggregazione, dove conoscersi e fare amicizia, rimane illusorio. Insomma, al di là dei buoni intenti dei promotori, il filo del rammendo periferia-centro s’ingarbuglia, creando soluzioni persino ambigue. In proposito, come si leggeva su «La lettura»,
supplemento culturale del «Corriere della Sera», quest’operazione di riqualifica ha provocato un’ondata di proteste popolari. Gli incidenti più rilevanti sono avvenuti nel quartiere londinese di Shoreditch: «Gruppi di attivisti, punk e non solo, hanno infranto le vetrine del Cereal Cafe, accusato di praticare prezzi che sono un insulto alla povertà». In effetti, il rilancio dei sobborghi si è tradotto, a Londra come in altre metropoli, in una vera e propria metamorfosi: quartieri dove fioriscono boutiques artigianali e bio, gallerie d’arte, teatrini sperimentali, e naturalmente case ristrutturate, inaccessibili ai residenti di un tempo. È il cosiddetto fenomeno di gentifrication, che produce luoghi destinati alla gente bene, la gentry, e, per forza di cose, scaccia gli altri. Infine, per tornare al punto di partenza, c’è un aspetto, oggi rilevante, nella realtà delle periferie: il loro influsso su chi le abita, attraverso un rapporto tutto ancora da decifrare. La bruttezza degli edifici, tipici di un’edilizia affrettata e deperibile, lo squallore di strade e
piazze anonime, negozi e bar dozzinali, un’atmosfera da non-luogo: ebbene tutto ciò spiega, o addirittura giustifica, comportamenti efferati e autolesionisti di giovani sbandati? È la domanda del giorno che imbarazza e si presta alle interpretazioni più svariate e contrastanti. Senza dubbio, la fisionomia dei luoghi incide sugli umori degli abitanti. Da questo punto di vista, come svizzeri dovremmo sentirci protetti da paesaggi ameni e città ben curate. A Winterthur, però, giovani cresciuti lì sono partiti alla volta della Siria. Certo è che la banlieu di Bruxelles, sotto la pioggia di novembre, non rappresenta il massimo in quanto fascino e bellezza. Tuttavia migliaia di cittadini ci vivono, normalmente. Forse le radici del male stanno altrove. Forse, ambiente squallido=devianza non è un’equazione automatica. Luoghi funesti, pericolosi, addirittura complici di comportamenti aberranti da cui potrebbe scaturire una guerra mondiale: fino a che punto si giustifica la condanna che grava sulle periferie contemporanee?
biamenti di passo sempre più sorprendenti. Torneremo al tema marinaro dei lunghi capelli dei merovingi fra un attimo, ma intanto dobbiamo perseguirne le origini su di un altro e parallelo binario. Fonti letterarie del primo Medioevo basate sulla tradizione orale ci dicono che i lunghi capelli dei merovingi erano radicati (di nome e di fatto, converrete) nella discendenza dei re merovingi dai Nazareni. I Nazareni erano a loro volta una setta ascetica del Giudaismo che si distingueva per portare i capelli lunghi spartiti a metà della fronte – proprio com e i Re Merovingi ed i loro ignari successori hippy. Per farla breve: secondo il copia-e-incolla di fonti disparate ed eterogenee che ha dato origine a quel pasticcio in salsa piccante che è Il Codice da Vinci, Dan Brown dava supporto alla tesi di fonti apocrife secondo la quale Yeshua Bar Yoshef’s (al secolo Gesù), egli stesso un Nazareno, avrebbe concepito una
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Un Natale senza la mamma Cara Silvia, il prossimo sarà il primo Natale che, con mio figlio Eugenio, di 13 anni, passerò con la mia famiglia, dopo l’inaspettato abbandono di mia moglie. Per famiglia intendo ormai quella di origine, composta dai genitori, dai quali sono tornato dopo la separazione, e dalle mie sorelle che ci hanno invitato a casa loro per un pranzo con rispettivi figli e mariti. Sarà un po’ triste per Eugenio confrontarsi con i cugini, amati e coccolati, che si rivolgono alla mamma per qualsiasi cosa. La sua è tornata in Venezuela, dove è nata e cresciuta, e non si sa se e quando la rivedremo. È vero che c’è la nonna, ma è troppo anziana per sostituirla. Ora mi pento di non aver ascoltato i consigli che mi mettevano in guardia contro un matrimonio dapprima entusiasmante e poi, come si è visto, destinato alla rovina. Ma è troppo tardi per piangermi addosso. Il problema non sono io: è mio figlio che mi preoccupa. Mi dica lei, che cosa posso fare perché non si senta orfano? / Carlo
Caro Carlo, comprendo il dolore che prova pensando a una festa che non è più tale dopo l’abbandono improvviso di una moglie e madre che, evidentemente, si sentiva a disagio in una situazione che non corrispondeva più alla sua identità e ai suoi desideri. Conosco altri casi in cui una persona immigrata è stata colta da una insuperabile nostalgia per la terra natia e per la lingua materna e, obbedendo a un impulso irrazionale, ha abbandonato tutto e tutti. Se la sua ex moglie non è riuscita sinora a mettersi in contatto con voi è perché si sente in colpa, soprattutto verso il figlio che, nonostante tutto, probabilmente ama. Non è impossibile che, tra poco, si rifaccia viva e, da quel momento, non le resta che impegnarsi per trovare un accordo sulla gestione di Eugenio bisognoso, come tutti i ragazzi, di fare riferimento a entrambi i genitori. Nel frattempo lei dovrebbe offrire a
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Riabilitare le periferie: ma come? Hanno rivelato un’altra faccia, inquietante, minacciosa, persino misteriosa le periferie, protagoniste delle cronache degli ultimi giorni. Sinora, infatti, questi luoghi avevano preoccupato soprattutto urbanisti e architetti, allarmati dalla loro crescita smisurata e incontrollata tanto da meritare la definizione di «non luoghi». Un guaio a cui rimediare restituendo alle periferie degradate a suburbio (cioè, letteralmente sotto-città) ordine, funzionalità, persino piacevolezza. L’obiettivo ha mobilitato a livello mondiale i guru più
quotati. In prima fila, Renzo Piano che, da autentico «figlio della periferia», ha investito professionalità e cuore in un’operazione di «rammendo». Lo dice la parola: si tratta di ricucire un quartiere marginale sfilacciato, esposto al rischio d’isolamento, per inserirlo nel tessuto della città e della sua vitalità. Proprio qui si è assistito a un’inversione di rotta che ormai fa stato: non più costruire edifici speculativi ma riqualificare il già esistente. Fermare il fanatismo distruttivo è la nuova ricetta. A cui ci s’ispira anche, e a maggior ragione, in un
Shoreditch High Street a Londra. (Wikimedia)
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Ambiente e Benessere Dove riposa Hugo Pratt Reportage dal Lavaux sulle orme di Corto Maltese in un mare di vigne
Pronti al cambiamento climatico In linea con la conferenza internazionale Cop21 di Parigi, l’alleanza RenaultNissan ha incrementato la presenza delle colonnine di ricarica di veicoli elettrici in tutta la città
La bontà dei cavoli In forte diminuzione il consumo di questo ortaggio a fiore, solo perché è poco moderno
Non solo cure mediche Le società di protezione animali intervengono molto spesso anche per recuperi e salvataggi
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SpaceShipOne volo finale, settembre 2004. (WPPilot D. Ramey Logan)
Pronti per le vacanze in assenza di peso Turismo spaziale Il volo della prima missione statunitense è previsto per la seconda metà del 2017
Loris Fedele Circa un anno fa, il sogno della gente comune di vedere la Terra dallo spazio sembrò vacillare. Fu quando la navicella privata SpaceShipTwo, della compagnia americana Virgin Galactic, si schiantò sul suolo di un deserto californiano durante una prova. È noto che, da quando morì la famosa maestrina Christa McAuliffe in uno dei pochi incidenti capitati allo Shuttle americano, la NASA ha proibito l’accesso allo spazio ai non professionisti e ha sempre ostacolato i russi che, invece, per denaro, hanno portato con le Soyuz sulla Stazione Spaziale Internazionale (ISS) quelli che la stampa mondiale ha da sempre definito i turisti dello spazio. Ma la NASA oggi non ha più le navette e, con contratti miliardari, ha affidato ai privati la costruzione dei nuovi mezzi nazionali per raggiungere lo spazio. Le due compagnie che hanno ricevuto questo mandato sono la Boeing (con il veicolo CST-100) e la SpaceX (con il Dragon). Essendo private avranno la possibilità di impiegare i propri mezzi di trasporto anche per portare la gente a fare voli extraterrestri. Per ora la corsa allo spazio da parte dei privati riguarda solo i voli suborbitali, che non portano in orbita attorno alla Terra. Si
tratta comunque di lanci oltre i 100 km di quota. Lo SpaceShipTwo, gestito dalla Virgin Galactic del miliardario Richard Branson, è appunto uno dei veicoli destinati a questa impresa. Fortunatamente il guasto dell’ottobre 2014 è stato subito trovato e la compagnia sta proseguendo il suo programma e ha riaperto le prenotazioni per far salire la gente sui suoi aerorazzi tra qualche anno. La sola prenotazione parte da 250mila dollari e alla fine il prezzo del biglietto supererà largamente il milione. Pare comunque che i VIP e i danarosi candidati all’emozionante viaggio spaziale non manchino. Tuttavia in un prossimo futuro forse non ci sarà bisogno di essere straricchi per permettersi questo tipo di turismo. Un turismo del quale finora, pagando i russi, hanno approfittato solo sette persone. Forte della propria navetta Soyuz, l’unica attualmente in grado di portare passeggeri sulla ISS, e del fatto di avere l’esclusiva proprietà di alcuni moduli abitativi della Stazione ISS, l’agenzia spaziale russa ha potuto per l’appunto vendere voli ai privati. Il primo a concedersi una vacanza cosmica fu lo statunitense Dennis Tito, nel 2001, che pagò venti milioni di dollari. Nel 2002 toccò al sudafricano-inglese
Mark Shuttleworth, poi nel 2005 a Gregory Olsen, statunitense. Nel 2006, una grande copertura mediatica fu concessa alla ottenne Anousheh Ansari, bella signora statunitense di origine iraniana, appartenente alla famiglia che mise in palio l’Ansari X Price, un premio di 10 milioni di dollari destinato al primo veicolo spaziale, privato e pilotato, in grado di realizzare e replicare un volo suborbitale superando i 100 km di quota. Il premio se lo aggiudicò proprio lo SpaceShipOne, il primo modello di astronave commerciale della Virgin Galactic, progettato dal geniale ingegnere Burt Rutan. Nel giugno 2004 il pilota collaudatore Mike Melvill, di 62 anni, decollò invece con lo SpaceShipOne agganciato sotto la pancia di uno speciale aereo, battezzato «Il cavaliere bianco», che lo portò a 15 km di altezza. Poi la capsula alata si sganciò e accese il suo motore a razzo. Assunta una posizione verticale in un minuto raggiunse i confini dell’atmosfera, alle soglie dello spazio, oltre i fatidici 100 km di quota. L’accelerazione della salita schiaccia il corpo contro il sedile: in questo caso l’accelerazione raggiunta fu di 3 g, cioè il triplo della gravità terrestre, per cui il pilota ebbe l’impressione di pesare il triplo del suo peso terrestre. All’apogeo della parabola
di lancio il pilota rimase per tre minuti e mezzo in assenza di peso per poi rituffarsi verso terra con una traiettoria a spirale. La parte posteriore delle ali fu tirata in su per stabilizzare la posizione e rallentare la discesa. Un’ora e mezzo dopo il decollo, l’aerorazzo atterrò, planando con successo, nel deserto californiano. Nel 2007, e poi ancora nel 2009, fu la volta dello statunitense-ungherese Charles Simonyi a provare l’ebbrezza del volo spaziale sulla ISS: l’unico ad aver pagato ai russi un doppio volo. Poi nel 2008 toccò a un figlio d’arte, Richard Garriott, britannico-statunitense, il cui padre Owen era stato astronauta sulla prima stazione spaziale statunitense, lo Skylab. Infine prese il volo il canadese Guy Laliberté, nel 2009. Il prezzo del suo biglietto aveva raggiunto i 40 milioni di dollari. Proprio quest’anno, 2015, e precisamente lo scorso settembre, sarebbe toccato a un nuovo turista dello spazio: la cantante britannica Sarah Brightman. La famosa soprano – che i non esperti nel repertorio lirico e classico conoscono per un bellissimo duetto bilingue con Andrea Bocelli della canzone Con te partirò – si era accordata con l’agenzia spaziale russa Roscosmos, pare per 52 milioni di dollari, per un volo sulla ISS. Aveva cominciato l’addestramento
a Mosca nel gennaio di quest’anno ma poi, in maggio, ha annunciato la sua rinuncia per motivi famigliari e personali. Pare tuttavia che le sia rimasta la voglia di spazio e abbia già sottoscritto con Virgin Galactic il contratto per un futuro volo suborbitale. Così, il 2 settembre 2015, sulla navicella Soyuz TMA-18 M, invece di Sarah è salito l’astronauta kazaco Aimbetov. Gli amanti dell’idea del turismo spaziale non si scoraggino. Lo scorso maggio la NASA ha formalmente ordinato alla Boeing, con la sua capsula CST-100, la prima missione statunitense per la rotazione degli equipaggi sulla ISS. Il volo è previsto per la seconda metà del 2017 per dare il tempo al fornitore di completare la messa a punto e la certificazione del nuovo veicolo. Una seconda missione, con la capsula Crew Dragon di SpaceX, dovrebbe seguirla a breve scadenza. Sono già stati scelti gli equipaggi. La missione-tipo trasporterà quattro astronauti e 100 kg di carico. SpaceX iniziò lo sviluppo della propria capsula nel 2006, Boeing – forte di una esperienza decennale nel settore – nel 2010. In ogni caso, come detto, essendo ditte private potranno mettere i loro veicoli non solo al servizio dei programmi NASA ma anche per una vacanza spaziale a chi vorrà o potrà permettersela.
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Ambiente e Benessere
E il naufragar m’è dolce in questo lago Reportage A vent’anni dalla scomparsa del Maestro di Malamocco, Corto Maltese
naviga in un mare di vigne Amanda Ronzoni, testo e foto Vaga lo sguardo di Corto Maltese, per una volta non su oceani lontani, ma sul mare di vigne che si arrampicano lungo le coste soleggiate del Lago Lemano. Le mani dietro la schiena, la giacca mossa dal vento, il viso sollevato come a saggiare la brezza e l’ebbrezza che sale da questo paradiso d’uva. Chissà se con gli occhi sta cercando il suo creatore Hugo Pratt, che riposa da 20 anni, a poca distanza, nel cimitero di Grandvaux. Non a caso in più di un’intervista, Pratt, raccontando come nascono le sue storie, spiegava: «La prima cosa che disegno generalmente di Corto Maltese, che mi nasce dal foglio in bianco, sono gli occhi. La prima cosa che mi succede è quella di misurarmi con il suo sguardo. E là è come se già mi dicesse «ma… che intenzioni hai, tu, adesso?» […] In questo momento, Corto Maltese ed io siamo assieme, ci guardiamo, l’un l’altro, e qua comincio a pensare a cosa potrò raccontare». Da Grandvaux Corto si gode i benefici dei «tre soli» che rendono tanto fecondi i terrazzamenti del Lavaux, ovvero l’energia dell’astro solare dal cielo, il riverbero di luce dal lago, il calore accumulato durante il giorno e rilasciato di notte dai muretti a secco che cingono le vigne. La vendemmia è in corso e il marinaio sembra compiacersi qui, non dell’odore salmastro del mare, ma del profumo dei vini che esce dai caveau che hanno reso celebre il Lemano. Nonostante l’ardita pendenza del terreno, già nell’XI secolo alcuni monaci cominciarono a coltivare con metodo, fiutando le potenzialità di un microclima unico. Risultato: 74 vigneti locali che, sparsi su ben 898 ettari di terreno, formano una delle più prestigiose aree
vinicole elvetiche. Un esempio eccezionale dell’interazione plurisecolare tra uomo e ambiente, che nel 2007 è valso ai vigneti terrazzati del Lavaux la classificazione dell’UNESCO come Patrimonio mondiale dell’umanità. Per mantenere il più possibile intatto il paesaggio gran parte delle strade che racchiudono le vigne sono visitabili solo a piedi o in bicicletta, e si predilige un turismo non di massa, votato alla mobilità dolce, attento alla valorizzazione dei prodotti e delle tradizioni locali. Del resto girare tra le vigne è una festa per gli occhi in qualsiasi stagione. Filari d’uva ordinati, disposti seguendo linee precise, organizzati in appezzamenti regolari. Un pachwork geometrico pulito, un gioco di colori che sembra tutt’altro che casuale. Bere bene (quindi degustare) è un vanto da queste parti e nei caveau si cerca di educare le persone ad apprezzare il vino in maniera responsabile (www.lavaux-vinorama.ch). Il Caveau Corto (www.caveaucorto.ch), tra gli altri, sarebbe piaciuto a Pratt, che era un buongustaio e formidabile commensale. Le nebbie del lago sono particolarmente suggestive e le sue rive si sono arricchite con il tempo di gioielli di architettura, come il castello di Chillon, o il villaggio medievale di Lutry. La Corniche, con le sue pieghe sinuose e la strada panoramica che collega i borghi più elevati della zona (tra i 300 e i 500 metri s.l.m.), è un vero gioiello che negli ultimi due secoli ha richiamato turisti, letterati e pensatori, musicisti e artisti. Celebre il Montreux Jazz Festival (www.montreuxjazz.com), fortissimo il richiamo che la cittadina ha sempre esercitato su pezzi da novanta del calibro di Freddy Mercury. Mentre non era nebbia quella che avvolse il locale casinò, ma fuoco devastante, celebrato
in Smoke on the water dai Deep Purple, per l’incendio che distrusse il Casinò. Le sponde del Lemano hanno catalizzato talenti svizzeri, ma anche internazionali, nutrito l’ispirazione e sciolto la fantasia, alla faccia dei dubbi proprio di Corto Maltese il quale nel racconto Le elvetiche – Rosa alchemica (1987), punzecchia un Hermann Hesse tornato bambino che lo invita a entrare nel mondo delle fiabe. Sarà l’effige di Ulrich von Zatzikhofen, autore del Lanzelet, a redarguire Corto, sfidandolo ad abbandonarsi alla lettura nel cuore della notte, quando «il sonno è un grande ladro», e a «rivisitare la stessa riga finché non si capisce più il senso», entrando così «nella leggenda per risvegliarsi in un sogno fatato». Comincia così per il nostro marinaio in terra elvetica un’avventura onirica, in un mare metaforico di misticismo e misteri esoterici, personaggi fantastici, miti pagani ed eroi cristiani. La Svizzera diventa un portale verso il mondo della fantasia. A Casa Camuzzi, a Montagnola, dimora di Hermann Hesse, Corto Maltese trova un libro che gli servirà per intraprendere un viaggio incredibile, scivolando tra gli «spazi non scritti che il poeta ha lasciato tra riga e riga», perché «è in quell’attimo che si può intuire cosa poteva scrivere». Scopre che proprio in Svizzera, a Sion, sarebbe nato Percival, cavaliere legato alla saga del Santo Graal, e che i due castelli cittadini ospitavano, in origine, uno proprio il calice miracoloso e l’altro la rosa del peccato. Sconfiggerà la morte, berrà dalla sorgente della vita eterna e per questo verrà sottoposto a un processo mistico presieduto da Belzebù in persona. Nel corso del dibattito, il difensore di Corto, messer Klingsor, perorerà le libertà pubbliche del mondo terreno, «che dovrebbero essere consi-
derate diritti naturali indipendenti dalla volontà del potere». Alla faccia di chi accusava Pratt di disimpegno politico e fuga nel fumetto e nelle storie d’avven-
tura, ecco lapidario, un proclama che attesta la sua vena di uomo libero, «la persona più libera che io abbia mai conosciuto», dice di lui Milo Manara.
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Perle in giardino Mondoverde Rustiche e molto robuste,
le Callicarpe hanno un grande impatto estetico soprattutto in autunno Anita Negretti L’autunno si sa, solitamente si veste di colori caldi, tra il rosso e il giallo oro, ma vi sono piante che stupiscono per il colore delle bacche: si tratta delle Callicarpe, con frutticini viola metallico o bianco latte. Rustiche e molto robuste, hanno un grande impatto estetico soprattutto quando la pianta perde le foglie e sui rami spogli rimangono decine e decine di piccole bacche colorate in grado di mantenersi a lungo durante la stagione fredda. In primavera e in estate, questi cespugli rimangono invece rinchiusi nel loro anonimato, ricoprendosi di foglie allungate e appuntite, con margini seghettati, e di piccoli fiori poco appariscenti, solitamente dal color rosa e dall’aspetto molto delicato. Alcune varietà, come la famosa Callicarpa bodinieri giraldii (nota un tempo come C. giraldiana) raggiunge i due metri d’altezza, ha piccoli fiori rosa e un portamento disordinato, in grado di creare una sorta di riparo per le altre essenze piantate accanto ad essa, magari con fioriture primaverili, cosicché non entrino in competizione. Di origine cinese, appartengono alla famiglia delle Verbenaceae e amano posizioni soleggiate e terreni tendenzialmente argillosi, ma fertili e ben drenati, possono esser coltivate anche in vaso, purché capiente e con un’irrigazione costante, specie in primavera, mentre in piena terra, riescono a sopravvivere bene in maniera autonoma. Per una buona fruttificazione è necessario che avvenga la fecondazione incrociata, ovvero che vi siano almeno due esemplari piantati vicini. Tuttavia esiste anche un ibrido in grado di autoimpollinarsi: si tratta della Callicarpa bodinieri var. giraldii «Profusion», dalle giovani foglie color bronzo. Se opterete per lei in giardino, non sarà fondamentale avere più di un esemplare, anche se è sempre consigliabile.
Se oltre alla bellezza decorativa desiderate creare un angolo nel giardino dove gli uccelli possono sfamarsi, allora vi consiglio Callicarpa cathayana, con drupe che compaiono all’ascella delle foglie, in gruppi numerosi, molto attrattive e nutrienti per i volatili di passaggio. Per valorizzarla al meglio vi consiglio di abbinarla a dei Pyracantha o a un bell’esemplare di Ilex verticillata. Tutte le Callicarpe necessitano di potature vigorose nei primi anni, per ottenere un buon accestimento delle piante, mentre una volta divenute adulte, si esegue solo una leggera potatura di pulizia e di contenimento. Per quanto riguarda la potatura, dev’essere vigorosa in febbraio accorciando tutti i rami della metà della loro lunghezza ed eliminando alla base quelli secchi, deboli o che crescono scomposti; durante l’estate si interviene nuovamente accorciando le punte, ovvero le crescite dell’anno, così da favorire la ramificazione e l’esposizione al sole anche della parte centrale della pianta. In primavera e al termine dell’estate è consigliabile intervenire con un concime organico o con uno chimico a lenta cessione, mentre all’inizio dell’inverno, per evitare danni da gelo, è bene coprire il colletto delle piante con dell’humus di lombrico. Se lo spazio che potete riservare a un esemplare di Callicarpa è ridotto, potete indirizzarvi su C. dichotoma «Issai», un piccolo arbusto deciduo, non troppo vigoroso, ma sorprendentemente decorativo per via delle bacche numerosissime, anch’esse di color viola. Non supera il metro e mezzo di altezza negli esemplari adulti. Per creare un angolo dai colori più candidi, vi consiglio invece di optare per Callicarpa Dichotoma «Shirobana», un bel arbusto deciduo, con fiori e bacche bianco latte molto appariscenti soprattutto in zone marginali del giardino.
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Libri per giocare e giochi da leggere Editoria Nuovi consigli biblio-ludici
Gli enigmi di Mosca, Boris A. Kordemsky (Vallardi, pp. 352, € 18,00 ) Una corposa raccolta di matematica ricreativa, comprensibile e coinvolgente, che propone ben 359 giochi, di varia natura, suddivisi essenzialmente per meccanismo di risoluzione. Pubblicata per la prima volta nel 1954, quest’opera costituisce da decenni un tenace best seller internazionale, avendo venduto più di due milioni di copie, in tutto il mondo. La prima edizione in lingua inglese fu curata, nel 1972, dal celebre divulgatore scientifico statunitense, Martin Gardner. Matematica in pausa caffè, Maurizio Codogno (Codice Edizioni, pp. 158, € 13,00) Uno stimolante saggio in cui l’autore, matematico, informatico, popolare blogger e traduttore, sostiene che la matematica, pur essendo una delle materie più odiate a scuola, offre innumerevoli giochi e curiosità, ma soprattutto è presente, ovunque, nella nostra vita. Quindi, parlando di code nel traffico, di ascensori, di Google, di fogli di carta, di carte da gioco, di dadi e di file compressi, dimostra che questa autorevole disciplina può risultare anche divertente, a patto di prenderla nel modo giusto. Quando il gioco si fa duro, Nadia Toffa (Rizzoli, pp. 250, € 17,00) L’autrice, con lo stile inconfondibile che l’ha resa una delle Iene più ap-
prezzate dell’omonima trasmissione televisiva, conduce un’indagine serrata che svela come la dipendenza dal gioco sia diventata un’autentica piaga sociale. Per analizzare il fenomeno a fondo e senza preconcetti, non si è limitata a ricostruire l’evoluzione del business dell’azzardo in Italia o i recenti provvedimenti (non) presi dallo Stato, ma ha raccolto testimonianze sul campo e ha raccontato storie esemplari al limite del surreale. Binario 95, Daniele Poto (Edizioni Abao Aqu, pp. 176, € 10,00) Il titolo del nuovo romanzo di Daniele Poto – giornalista e scrittore scomodo, noto per le sue inchieste sulle mafie nel calcio, sul gioco d’azzardo e sui compro-oro – è ripreso dal nome di un centro di accoglienza per i senza fissa dimora, posto vicino alla stazione Termini di Roma (in via Marsala 95). In questa opera, l’autore miscela i propri scritti degli ultimi dieci anni, in uno stimolante cocktail di proposte, racconti, invettive, favole, consigli per l’uso dell’esistenza. Il libro può essere richiesto direttamente all’autore, all’indirizzo: da.poto@tiscali.it Cuore di Drago, Andrea Angiolino (Homo Scrivens, pp. 162, € 14,00) Una raccolta di racconti scritti da uno dei massimi esperti italiani in materia di giochi, sebbene in questo caso il libro non parli di passatempi linguistici o matematici. I generi esplorati vanno dal fantasy alla fantascienza, dall’hor-
Fir 0002
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ror al giallo. Non sempre l’autore ne rispetta i canoni tradizionali, ma ne ricostruisce le atmosfere e i temi, con una spiccata dose di ironia. La lettura di questo libro, in definitiva, permette di effettuare un’immaginaria fuga in mondi alternativi, concedendo una piacevole pausa dalla vita quotidiana.
Un po’ come accade quando si sfoglia La maledizione, a cura di Rill – Riflessi di Luce Lunare (Wild Boar, pp. 176, € 9,50). Una nuova raccolta della fortunata collana Mondi incantati, che raccoglie tredici racconti di genere fantastico, premiati in alcuni dei più importanti concorsi letterari organiz-
zati in Europa: il Trofeo Rill e Sfida (Italia), il Premio Nova (Finlandia), il James White Award (Gran Bretagna), l’Aeon Award Contest (Irlanda) e il Premio Domingo Santos (Spagna). Un viaggio nell’immaginario fantastico di autori italiani e stranieri, con tante storie al di là del reale. Annuncio pubblicitario
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Zero emissioni al vertice sul clima Motori In occasione della Conferenza ONU, Renault e Nissan installano 90 nuove colonnine
di ricarica di veicoli elettrici nella città di Parigi e nei dintorni Mario Alberto Cucchi A Parigi dal 30 novembre all’11 dicembre si riuniscono 20mila esperti, accreditati dalle Nazioni Unite, provenienti da 195 Paesi per parlare dei cambiamenti climatici. Tutti assieme per dare il proprio apporto a COP 21, la XXI Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. «COP 21 ci esorta ad agire per limitare le conseguenze del cambiamento climatico, in particolare il riscaldamento del pianeta dovuto ai mezzi di trasporto individuale», ha dichiarato Carlos Ghosn, presidente e direttore generale dell’Alleanza Renault-Nissan. «I veicoli elettrici rappresentano l’unica soluzione di trasporto esistente, pratica e accessibile, che consente di raccogliere le sfide ambientali cui è confrontato il mondo. Qualunque città o Stato che consideri con serietà il problema della protezione ambientale, deve sviluppare l’infrastruttura necessaria ai veicoli elettrici», ha aggiunto. Parole che seguono ai fatti: l’Alleanza Renault-Nissan ha installato 90 nuove colonnine di ricarica di veicoli elettrici nella città di Parigi e nei dintorni, per far fronte all’occasione data da COP21. L’infrastruttura si è resa infatti necessaria per ricaricare i 200 veicoli a zero emissioni, suddivisi tra Renault Zoe, Nissan Leaf e Nissan e-NV200 in variante a sette posti messi a disposizione per il
summit ambientale dall’alleanza Renault-Nissan. Si tratta probabilmente della più grande flotta al mondo di vetture elettriche destinata ad effettuare un servizio di navetta per negoziatori, delegati e giornalisti che assisteranno e parteciperanno a COP21. Si stima che i 200 mezzi ecologici percorreranno in totale durante le due settimane dei lavori almeno 400mila chilometri senza consumare neppure una goccia di carburante. Basteranno infatti circa 30 minuti per ricaricare i veicoli elettrici da 0 all’80 per cento della loro capacità. Quest’operazione è realizzata in collaborazione con EDF (Electricité de France), Schneider Electric, Aéroports de Paris, il Comune di Parigi e la SNCF (Ferrovie dello Stato francesi). Le colonnine di ricarica rapida e standard saranno alimentate da un’elettricità rinnovabile, a bassissime emissioni di carbonio, fornita dalla Società EDF. «EDF supporta lo sviluppo della mobilità elettrica, vettore essenziale di diminuzione dell’inquinamento urbano. EDF produce in Francia un’elettricità ampiamente decarbonizzata, che consente una forte riduzione delle emissioni di gas effetto serra, potenziando così il bilancio ecologico favorevole di tali mezzi di trasporto di nuova generazione», come ha spiegato JeanBernard Lévy, presidente e direttore generale di EDF. Molte delle colonnine di ricarica rapida resteranno installate dopo la
ZOE e LEAF di fronte al Grand Palais di Parigi.
conferenza sul cambiamento climatico e saranno messe a disposizione del pubblico. Tra queste, due presso l’aeroporto Roissy Charles de Gaulle, due sul boulevard périphérique parigino e un’altra presso l’aeroporto di Orly. Va ricordato che la Francia dispone già di circa 10mila colonnine di ricarica ra-
pida e standard. La regione parigina ne conta da sola oltre 4mila, che rendono Parigi una delle città più «elettrificate» d’Europa. Intanto dall’altra parte del canale della Manica i ricercatori dell’Università di Cambridge hanno sviluppato un nuovo prototipo di batteria litio-aria
che potrebbe eventualmente sostituire quella agli ioni di litio, oggi la più gettonata per elettriche e plug-in. Promette una densità energetica fino a dieci volte superiore e soprattutto un’autonomia da modelli diesel, addirittura fino a 650 km con una ricarica. Difficile però un suo debutto prima di dieci anni. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
Ambiente e Benessere
Cavoli a rischio di estinzione? Poco tempo fa, durante una visita ai Mercati generali ortofrutticoli di Milano, a un’ora impossibile del mattino, vidi caricare su un camioncino una quantità cospicua di cavolini di Bruxelles. Chiesi per chi fossero e mi risposero che erano per un grande e rinomato ristorante d’albergo di Milano, aggiungendo però subito che era «uno dei pochi che li ordina ancora: i cavoli non li vuole più nessuno, gli unici che si vendono sono i broccoletti pugliesi, quelli che si servono con le orecchiette. E basta».
Sono tanti i membri di questa famiglia, fanno molto bene, si mangiano crudi o cotti e si possono sposare con un’infinità di ingredienti Questa è proprio una brutta notizia. No, non credo che i cavoli siano una verdura a rischio di estinzione – però il consumo continua a decrescere, tanto da essersi più che dimezzato negli ultimi dieci anni. D’accordo, in parte è stato sostituito dal consumo dei prodotti surgelati, e la famiglia dei cavoli regge benissimo la surgelazione. Ma in gran parte questo alimento è proprio sparito dalle nostre tavole, specialmente da quelle dei ristoranti. E sono i giovani a essersene allontanati di più. I cavoli fanno bene, sono ricchi di vitamine A, C, PP, calcio, ferro, fosforo e potassio, aiutano il funzionamento dell’intestino e il consumo regolare è un toccasana contro parecchie malattie tanto che sarebbe più corretto dire che «un cavolo al giorno leva il medico di torno», altro che una mela! Giusto per darvi un’idea, lo sapevate che all’epoca dei velieri, gli equipaggi che si nutrivano con crauti,
quindi cavoli fermentati, conservabilissimi durante le lunghe navigazioni, non si ammalavano di scorbuto? Comunque sia, tutti questi motivi nutrizional-sanitari, per quanto cospicui, diventano secondari rispetto a un fatto primario: la bontà dei cavoli. Perciò io dico: non bisogna mangiare i cavoli perché fanno benissimo, ma perché sono buoni. Sono tanti i membri di questa famiglia. C’è il cavolo cappuccio, anzi i cavolo cappuccio: bianchi, rossi o verdi, raccolti in tutte le stagioni dell’anno. Il cavolo verza, quello della cassoeula lombarda e della choucroute francese. Il cavolo nero, diffuso in tutta Italia ma coltivato soprattutto in Toscana. Il cavolo cinese, ora coltivato anche da noi, onnipresente nella cucina del Regno di Mezzo. I cavolini di Bruxelles coltivati da Belgio e Paesi Bassi e che sono uno dei più classici contorni della cucina internazionale; e che sono quelli che stanno reagendo meglio alla crisi del consumo e che oggi sono gli assoluti leader di mercato. Broccoli, broccoletti e cime di rape, che in parte sono cavoli e in parte no – li confondo sempre uno con l’altro. Il cavolo rapa, ben più delicato della rapa, purtroppo poco diffuso. I cavolfiori, che sono dei cugini primi. E tanti altri. Si mangiano crudi o cotti e si possono sposare con un’infinità di ingredienti. Fra i tanti piatti permettetemi di ricordarne uno: la zuppa toscana di cavolo nero. Fate un soffritto (le dosi sono libere, dipende dai vostri gusti) con olio d’oliva, cipolla, sedano, carota, rosolate e poi aggiungete patate, tante foglie di cavolo nero tagliate a listarelle, fagioli borlotti messi a bagno la sera prima, basilico, timo e una punta di conserva di pomodoro. Coprite con acqua e cuocete per tre ore. Salate e pepate. Alla fine servite la zuppa in una terrina dove avrete messo una fetta di pane nero: un piatto semplice e perfetto. Con l’augurio che questo mio piccolo contributo possa spingere qualcuno ad avvicinarsi ai cavoli.
CSF (come si fa)
Scott Bauer
Allan Bay
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Gastronomia Di certo il consumo di questa verdura è più che dimezzato negli ultimi dieci anni
Pochi consigli su come si fanno le patate. 1. Fritte. La cottura è difficile, le ricette canoniche giustamente prevedono una doppia frittura, la prima a 140° e la seconda a 180°. Quindi? Meglio comprare quelle a bastoncino surgelate e precotte e poi seguire alla lettera le indicazioni fornite sulla confezione. Piaceranno, piaceranno. 2. Purè. Amato da tutti. Il mio sugge-
rimento è di cuocere le patate al vapore, se non sono troppo grosse bastano 35/40’. Scolatele e passatele allo schiacciapatate. Mettetele poi in una pentola di teflon a fuoco dolce e cominciate a girarle con un cucchiaio di legno, aggiungendo burro. Dopo pochi minuti sostituite il cucchiaio con una frusta e incorporate il latte bollente. Le dosi: per 1 kg di patate, 50 g di burro e 6/700 g di latte, dipende dal tipo di patate e da quanto il puré vi piace cremoso. Salate, pepate e servite. 3. Saltate, ma suona meglio in francese, sautées. Cuocete anche queste al vapore e poi scolatele al dente. Lasciatele raffreddare. Quindi sbucciatele, tagliatele a fette alte 1 cm e saltatele in una padella con abbondante burro spumeggiante, profumando con 1 spicchio d’aglio, prezzemolo o altre
erbe aromatiche a piacere. Salatele e pepatele soltanto alla fine. Arricchire il burro con midollo o grasso di rognone non è molto canonico, ma aiuta a farle diventare buonissime. 4. Alla panna, burro e formaggi: mirabili. Pelatele a crudo e tagliatele a fette alte mezzo centimetro. Saltate le fette per pochi minuti in burro. Deponetele poi in una pirofila e copritele con panna, fiocchetti di burro e formaggio grattugiato, salando e profumando con noce moscata, pepe o le spezie che volete. Cuocetele in forno a 180°, coperte per 15’ circa e scoperte per 5 minuti. 5. Al vapore. Niente da dire ma se sono buone il risultato è eccellente. Meglio cuocerle e mangiarle con la buccia. Se vi capita, utilizzate le ratte nere che sono ottime patate e che al vapore vincono sulle altre.
Ballando coi gusti Oggi due torte. Sono ghiotte di certo, anche se un po’ laboriose da preparare… Ma ogni tanto vale la pena, no?
Torta al cocco
Torta di cioccolato ai frutti di bosco
Ingredienti per 10 persone: Per la pasta: 500 g di farina · 2 uova · 205 g di zucchero
Ingredienti per 10 persone: 300 g di cioccolato fondente · 150 g di burro · 150 g
· 50 g di burro · 1 bustina di vanillina · 2 cucchiai di rum · 1 bustina di lievito · latte ml 350 · sale. Per la farcia: 250 g di cioccolato fondente · 90 g di cocco grattugiato · 50 g di burro · 100 ml di latte · 2 cucchiai di rum. Per guarnire: cocco grattugiato · scaglie di cioccolato.
di zucchero a velo · 4 uova · 200 g di farina · 1/2 bustina di lievito · 250 g di crema pasticciera · 2 vaschette di frutti di bosco · 1 cucchiaio di cacao.
Lavorate i tuorli con lo zucchero; aggiungete il burro fuso fatto parzialmente raffreddare, la vanillina, poco sale e il rum. Setacciate farina e lievito e aggiungeteli al composto, quindi versate il latte mescolando. Montate gli albumi a neve e uniteli all’impasto. Versatelo in uno stampo rivestito con carta da forno e cuocete per 45’ in forno a 180°. Sfornate e fate raffreddare. Per la farcia, sciogliete a bagnomaria il cioccolato e il burro a pezzi. Togliete dal fuoco e, mescolando, aggiungete il latte, il rum e il cocco. Lasciate raffreddare. Tagliate a metà la torta, farcitela con una parte della crema e ricomponetela. Spalmate la crema rimasta sulla superficie e sui bordi, poi spolverizzate con il cocco e le scaglie di cioccolato.
Fate fondere a bagnomaria il cioccolato, poi lasciatelo raffreddare. Montate il burro ammorbidito con lo zucchero a velo; unite le uova, una per volta, sempre sbattendo. Aggiungete il cioccolato fuso freddo e, a pioggia, la farina e il lievito setacciati insieme. Rivestite con carta da forno uno stampo a bordi alti e versatevi il composto. Cuocetelo in forno a 150° per 35-40’. Sfornate la torta, fatela raffreddare poi tagliatela a metà in orizzontale. Spalmate il disco inferiore con una parte della crema pasticciera e distribuitevi metà dei frutti di bosco. Coprite con l’altro disco, distribuitevi la restante crema e, in superficie, i frutti rimasti. Prima di servire, spolverizzate di cacao.
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Ambiente e Benessere
La resurrezione del vigneto del Libano Bacco Giramondo Dalla storia ai giorni nostri, un tour nella valle della Bekaa Davide Comoli Il Paese dei cedri è in perpetuo mutamento, tra periodi di guerra, di crisi ed effervescenze economiche, ma anche in condizioni di lavoro drammatiche, la tenacità dei vigneron libanesi, merita di essere sottolineata. Il Libano è una delle regioni viticole più vecchie del mondo. Scavi effettuati nella città di Byblos, comprovano che la vigna in quei luoghi esisteva già 5000 anni or sono. Le prime vigne e il primo vino furono molto probabilmente introdotte dai mercanti Fenici, stabilitisi in quei luoghi tra il 1400 e il 300 a.C. Oggi l’industria vitivinicola è concentrata nei dintorni della città di Baalbek, città particolarmente fiorente nell’antichità ai tempi della dominazione di Roma. Un tempio dedicato a Bacco, costruito circa nel II sec. d.C., testimonia l’importanza della viticoltura a quell’epoca. Anche nel Medioevo, i vini provenienti da Tiro e Sidone, erano particolarmente apprezzati sulle tavole di nobili e prelati europei, molto probabilmente importati dai mercanti veneziani; infatti il territorio dell’attuale Libano fu per lungo periodo dominio della Serenissima. Il vigneto libanese si trova nella valle della Bekaa, la città di Baalbek come detto è il centro della viticoltura di questo Paese. Nella zona pianeggiante si coltiva parecchia uva da tavola, ma i fianchi della vallata sino alla sommità del monte Barouk (1000 m d’altitudine
circa) sono coperti da vigne, godendo di condizioni climatiche ideali. Il sole qui brilla e riscalda per quasi 300 giorni l’anno e il mar Mediterraneo, non troppo lontano, agisce come regolatore termico. Nelle zone più alte, ci sono precipitazioni abbondanti e le notti sono fresche, dando modo alla uve di arrivare alla completa maturazione prima della vendemmia. Le viti non necessitano di palinatura (pochi casi) perché crescono a forma d’alberello e non richiedono molte cure. Oggi il vigneto libanese ha una superficie di circa 15mila ettari (approssimativamente come la nostra Svizzera). Una volta, la domanda di vino libanese era molto forte, anche all’interno del Paese, sino all’inizio degli anni Ottanta. Lo scatenarsi della guerra civile in Libano ha tuttavia trascinato in una brutale caduta il consumo. Molte vigne furono rase al suolo dal passaggio dei carri armati e molte proprietà furono saccheggiate. Oggi ci troviamo purtroppo in un Paese devastato. I vitigni dominanti sono principalmente gli stessi che troviamo nelle zone più prestigiose francesi. Il Libano è stato, infatti, un protettorato francese dal 1920 al 1946. Molti ceppi piantati all’inizio degli anni 30-40, danno ancora dei frutti. I vitigni rossi sono in maggioranza: Cinsault, Carignan, Grenache, Mourvèdre, Alicante, CabernetSauvignon e Syraz. Questi vitigni danno dei vini potenti, morbidi, dai sentori di frutta matura e spezie. Molto spesso vengono definiti come una via di mezzo tra i vini di Bordeaux e della Côte du
La città di Zahle nella valle della Bekaa in Libano. (Nassif Seif)
Rhone, con un finale esotico, da bere (a parer nostro) dopo qualche anno d’invecchiamento. A tal proposito il generale De Gaulle soleva dire: «Il cuore del Libano, batte al ritmo di quello francese». Degustando questi vini, anche noi siamo stati sedotti dalle loro caratteristiche e ci siamo innamorati del loro equilibrio. Tra i vitigni bianchi segnaliamo: Sauvignon Blanc, Ugni Blanc, Semillon, Chardonnay sono i preferiti, ma vicino a questi ci sono anche gli autoctoni Merwech e il Meroué. Il vigneto di Château Musar, di circa 120 ettari, situato a nord di Beirut e non lontano dal confine fra Siria e Israele, fu creato nel 1930 da Gaston Hochar. Acquisì nel lontano 1979 una grande notorietà dopo una memorabile degustazione di vini a Parigi. Oggi l’azienda è gestita dal figlio Serge, Musar,
dall’arabo «m’zar» che significa «luogo di una rimarchevole bellezza» e il suo vino entra tra i più celebrati «crus» del mondo. Si racconta che durante la guerra, (durante questo periodo tutte le cantine rinunciarono alla produzione, mentre Musar rinunciò solo a due vendemmie, quella del 1976 e quella del 1984), Serge, indifferente alla caduta degli obici, ogni giorno in cantina aprisse un millesimo diverso, versandolo tutto in un grande bicchiere di cristallo e che a tutte le ore, andasse a tastare il vino controllando la sua evoluzione all’aria. Era forse un modo d’allenarsi alla resistenza che non ha niente di passivo, ma al contrario: grazie alla passione per l’eccellenza alle volte si riesce anche a sorridere delle turbolenze esterne che ogni tanto troviamo sulla nostra strada. Château Kefraya, con i suoi 300
ettari, è considerato per importanza il secondo produttore del Paese. Nato nel 1979 nel cuore della guerra civile, i suoi vigneti si estendono a quasi 1000 m d’altitudine sulle pendici del monte Barouk. Kefraya è stata la prima località libanese a creare una cantina di vinificazione sul proprio terreno, in modo che le uve non debbano essere trasportate in altri luoghi per essere vinificate. Oggi nella Cave Kouroum, con mezzi ultramoderni si producono degli ottimi rossi, soprattutto con il vitigno Cinsault, vinificato anche in rosato e in bianco. Ksara è invece la più vecchia cantina del Libano. Fu creata dai Gesuiti nel 1857, ma il suo primo vino fu prodotto nel 1918. I religiosi furono alla testa della proprietà sino al 1973, data che segnò su ordine del Vaticano, la vendita della proprietà al presidente della Camera di commercio del Libano Adnan Kassar. La cantina si trova presso la città di Chtauradas e i vini sono invecchiati in magnifiche grotte sotterranee. Queste ultime furono scavate dagli antichi romani e ricordano molto le cantine dello Champagne. Accanto ai tre grandi domaines, Clos St. Thomas, Château Fakra, Massaya, Domaine Wardy e Château Ka, sono sicuramente sulla giusta strada per far conoscere i loro vini a livello internazionale. Su questo territorio la vite cresce molto bene, le malattie che normalmente attaccano i vigneti sono pressoché inesistenti, per cui se si potesse sradicare la malattia dalla mente umana, questo sarebbe un paradiso. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Animali nei guai Mondoanimale A venir soccorso è prima di tutto l’essere umano in difficoltà, ma laddove possibile
e ragionevole si corre in aiuto anche degli animali
Maria Grazia Buletti Un ariete avvistato in mezzo alla strada, uno sparviero che urta il vetro di uno stabile, un cigno denutrito che va recuperato per evitare che muoia: sono situazioni di animali che in qualche modo si cacciano in guai dai quali non riescono a uscire da soli. L’ariete che da qualche giorno vagava nei dintorni della zona Piodella nel Luganese ha potuto essere rinchiuso nel giardino di un’abitazione, messo gentilmente a disposizione dal proprietario, in attesa di essere recuperato. Lo sparviero è stato trasportato repentinamente al Centro rapaci del Rifugio SPAB di GordunoGnosca, dove un veterinario lo ha visitato e da cui ha ritrovato la libertà qualche giorno dopo, quando il suo stato di salute non destava più preoccupazione. Il cigno è stato portato anch’esso a Gorduno; curato e rifocillato si è ripreso in poco tempo ed è potuto ritornare alle acque a lui conosciute. Queste sono storie a lieto fine di soccorso di animali in difficoltà che hanno come comun denominatore l’intervento degli ispettori della Società Protezione Animali di Bellinzona (una delle sei esistenti in Ticino). Sono storie di persone che, sebbene coscienti del fatto che al mondo la vita dell’essere umano sia prioritaria, non lesinano a intervenire in soccorso degli animali in difficoltà, laddove questo è possibile e ragionevole. «L’animale per il quale in assoluto è richiesto il maggior numero di interventi da parte nostra è il gatto: d’altronde in Ticino vivono all’incirca 55mila gatti, a fronte di 32mila cani, al secondo posto nella casistica dei nostri interventi di salvataggio», così esordisce il presidente della SPAB Emanuele Besomi, al quale abbiamo chiesto di spiegarci quali animali finiti in situazioni difficili da gestire richiedono l’intervento dell’uomo.
Un salvataggio tra i più frequenti. (Spab Bellinzona)
Il gatto è parecchio curioso e cacciatore e non sempre questo gioca a suo favore: «Sa arrampicarsi e scendere dagli alberi, ma quelli che restano bloccati, per cui si richiede il nostro aiuto, sono gatti che hanno sempre vissuto in casa. Mamma gatta non ha avuto la possibilità di insegnare loro alcune cose basilari e istintive: poi si trovano in libertà e la prima cosa che fanno è salire su piante dalle quali non sapranno scendere». Per non parlare di quelli che s’infilano in improbabili buchi: «Griglie, camini, ventilazioni, scarichi, tombini e motori delle automobili». Besomi si immerge in qualche riflessione a favore dei nostri amici cani: «Ricordiamoci il buonsenso che spetta al proprietario, di non lasciare ad esempio libero nel bosco un cane, soprattutto se anziano, un po’ sordo e un po’ cieco:
da predatore, anch’esso segue l’istinto, rincorrendo magari un selvatico che sa come scappare e salvarsi, mentre il nostro ingenuo amico a quattro zampe rischia di perdersi, finire magari in un crepaccio o cose del genere. Perciò teniamolo al guinzaglio, anche se è comprensibile la voglia di lasciarlo libero nella natura». Non solo cani e gatti richiedono l’aiuto dell’uomo, ma l’esperienza di Besomi e dei suoi ispettori vanta una varietà di salvataggi incredibile: «Tartarughe che s’infilano dovunque: ad esempio l’ultima l’abbiamo tratta in salvo dalla canna fumaria di un camino, non con poca difficoltà. Animali selvatici che si incastrano più che altro nelle costruzioni umane, qualche cavallo e qualche mucca che cadono in qualche vasca di contenimento o piscina non
recintata; serpenti che si infilano dove possono (la stragrande maggioranza nelle cantine e nei pozzi luce…)». E nel salvataggio, la stazza dell’animale fa la differenza per strategia, messa in sicurezza e mezzi da impiegare: «Per poter trarre d’impaccio cervi, cavalli, mucche è necessaria una sedazione, senza la quale è pericoloso avvicinarli e imbragarli per il recupero». Così si fanno pure i conti con animali spaventati, la cui adrenalina talvolta impedisce l’assorbimento della sedazione, con le complicazioni del caso che si aggiungono alle difficoltà di recupero dovute alle contingenze. Tanti sono gli esempi che Besomi ripesca dalla grande esperienza sul campo, senza dimenticare di puntualizzare la necessaria preparazione delle persone chiamate a soccorrere animali in difficoltà: «C’è un tempo per
ogni cosa e un animale ferito merita aiuto. Certo, l’essere umano e il suo benessere restano prioritari, ma ciò non giustifica l’indifferenza nei confronti di un animale in difficoltà, per salvare il quale si prende sempre in considerazione la sicurezza degli uomini chiamati in azione e i nostri ispettori sono adeguatamente orientati e preparati per questa valutazione». In merito all’organizzazione: «Disponiamo di mezzi ordinari e mezzi straordinari, per due livelli di intervento. Per i primi, i volontari con istruzione di base sono in grado di risolvere la questione del cane smarrito o del gatto investito. Per il secondo livello abbiamo un servizio di picchetto che risponde: se la questione è complessa e richiede particolari attrezzature (autogru, elicottero e quant’altro), si attiva un livello superiore che comprende tre o quattro persone con formazione specializzata ed esperienza in tecniche d’alpinismo, sedazione, uso della telecamera per esplorare buchi e via discorrendo». Il «fai da te» è assolutamente sconsigliato: «Il normale cittadino non ha mezzi, capacità specifiche e nemmeno sufficienza esperienza». Ad ogni modo, chi dovesse trovarsi di fronte a un animale in difficoltà e non sa come agire, può rivolgersi alla polizia che valuterà il caso e lo metterà in contatto con la SPAB o la Protezione animali che sarà in grado di intervenire. Talvolta, più che in soccorso dell’animale stesso, ci si trova a sostenere la persona che ha sollecitato l’intervento: «Sollecitati da una signora spaventatissima dall’idea che una lucertola fosse entrata in casa, abbiamo deciso di intervenire comunque: abbiamo smontato il mobile di sala dimostrandole che l’animale non c’era, e la signora si è calmata, rientrando finalmente in casa sua». Potremmo chiamarle storie di solidarietà di animale... e di umanità.
Giochi Cruciverba Sapresti dire fino a che lunghezza possono arrivare le aste del salto in alto? Scoprilo risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere evidenziate (Frase: 6, 5, 1, 6)
ORIZZONTALI 1. Prende in giro la vita 7. La vita nei prefissi 9. Se è buono … si rifiuta 10. Indica qualcosa di indefinibile 12. Scopo, obiettivo 13. Parte dell’uovo 15. Unità del consumo energetico umano in stato di riposo 16. Nome femminile 17. Identici 18. Nelle torte e nel timballo 19. Malvagie d’altri tempi 20. Un ufficiale abbreviato 21. Di nove... vocali 22. Condotti dell’organismo umano 23. L’idolo di Toro Seduto 24. Utensile usato fin dall’età della pietra VERTICALI 1. Paragrafo di articolo di legge 2. Nascono in un attimo 3. Una consigliera proverbiale 4. Sta in mezzo 5. Le hanno tutte e due 6. Hanno la vista acuta 7. Mucchio di covoni di grano 8. Cadevano a metà mese 11. Porte 13. Una sezione delle Alpi 14. Ha lo stesso nome 16. È considerata un continente 18. Tirate nel cappello... 20. Accudisce i bambini 22. Il gruppo che ti comprende 23. Le iniziali del giornalista Capuozzo
Sudoku Livello medio Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
Soluzione della settimana precedente
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Politica e Economia Clima, la voce della scienza Intervista a Thomas Stocker, fisico del clima e membro dell’IPCC dell’ONU
Jihadismo in Africa occidentale Lo sviluppo del terrorismo in Mali è dovuto in parte a cause interne irrisolte, in particolare alla questione Tuareg che è andata ad intrecciarsi con la guerra in Libia
Stesso modello di terrore Il manifesto della LiT pakistana pubblicato negli anni Novanta descrive una jihad globale e un modello di califfato uguale a quello di Daesh
Zero interessi, poca rendita Numerose casse pensioni soffrono per il perdurare di bassi tassi d’interesse sui capitali
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«Earth Crisis» è il nome dell’installazione dell’artsita americano Shepard Fairey: un globo enorme dal peso di più di due tonnellate e otto metri di diametro, sospeso fra il primo e il secondo piano della torre Eiffel. (AFP)
Parigi salverà il mondo? Conferenza sul clima Dal 30 novembre all’11 dicembre più di 190 leader dei Paesi del mondo si riuniranno
nella capitale francese per decidere come rallentare l’aumento della temperatura a livello globale
Alfredo Venturi Nonostante i lutti e i timori per il futuro, non sarà il brutale assalto jihadista a chiudere l’agenda di Parigi. Mentre piange i suoi morti e cura le sue ferite, la capitale francese prova a mettere da parte l’emergenza terroristica per dedicarsi a una normalità che del resto è anch’essa un’emergenza. Ospita infatti in questi giorni a Le Bourget la conferenza mondiale sul cambiamento climatico. È l’undicesima dopo l’entrata in vigore del protocollo di Kyoto, che fu la prima intesa sulla riduzione delle emissioni nocive. Il momento storico che stiamo vivendo ha suggerito un limite: vietate le manifestazioni che di solito accompagnano questi eventi internazionali. Se l’attualità imposta dai terroristi sembra mettere in gioco il nostro sistema di valori, quella di cui si discute al Bourget vede in ballo la stessa sopravvivenza del pianeta. La scommessa è ambiziosa: si tratta di rilanciare il processo di controllo del clima che naufragò a Copenaghen nel 2009. Arrivare dunque a un patto vincolante fra tutti i Paesi, destinato ad andare a regime nel 2020, che riduca a tal
punto le emissioni di gas a effetto serra da contenere entro i due gradi centigradi rispetto al livello preindustriale, di qui alla fine del secolo, l’aumento della temperatura media. Non è cosa da poco, perché se quella soglia verrà superata (e lo sarà, in tempi drammaticamente rapidi, se l’attuale tendenza non sarà stata invertita) il nostro caro vecchio mondo sprofonderà nella catastrofe. Il meccanismo è noto: troppi gas immessi nell’atmosfera comportano riscaldamento eccessivo, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello dei mari, riduzione delle terre emerse, vaste aree abitate e centinaia di città costiere che diventano fondale marino. E poi cicloni, alluvioni, siccità, acidificazione delle acque oceaniche. Dunque i disastri, la carestia, la fame. I segni premonitori ci sono tutti, come gli eventi meteorologici estremi, la riduzione dei ghiacciai montani e delle calotte polari. Il campanello d’allarme risuona ormai da decenni. Nel 1972 le Nazioni Unite convocarono a Stoccolma la conferenza sull’ambiente umano, vent’anni dopo a Rio de Janeiro la prima specificamente dedicata al clima. Cinque anni
più tardi si arrivò al protocollo. Prevedeva l’impegno a ridurre le emissioni di anidride carbonica e altri gas a effetto serra, e la possibilità per i Paesi capaci di superare un certo livello di riduzione (fra il 6 e l’8 per cento rispetto al 1990) di cedere crediti di emissione a quelli che non ce l’avessero fatta. Con questo sistema si cercava di togliere di mezzo il principale ostacolo a un efficace accordo mondiale, lo squilibrio fra i Paesi economicamente sviluppati, e proprio per questo maggiormente responsabili dell’accumularsi dei gas a partire dalla rivoluzione industriale, e i cosiddetti emergenti, che dovendo procedere sulla strada dello sviluppo verrebbero sacrificati da restrizioni troppo severe nel consumo dei combustibili fossili, i principali responsabili delle emissioni nocive. Il protocollo non ha dato gli effetti sperati, mentre la situazione analizzata dai climatologi è andata costantemente peggiorando, al punto che alcuni stati insulari del Pacifico devono ormai convivere con la prospettiva realistica di essere gradualmente sommersi, fino a scomparire. Dunque si è cercato di perfezionare il sistema, di fat-
to i governi hanno scelto di agire in ordine sparso, alcuni si sono svincolati dagli impegni sottoscritti a Kyoto. Si è giunti così al fiasco di Copenhagen. Le resistenze sono accanite. In uno dei suoi saggi sul deterioramento ambientale (in traduzione italiana Una rivoluzione ci salverà, editore Rizzoli) la giornalista canadese Naomi Klein racconta l’azione frenante che la lobby petrolifera americana esercita sull’amministrazione di Washington, arrivando a contestare i dati forniti dalla scienza a supporto delle politiche in difesa dell’ambiente. Chi si oppone a queste politiche evoca spesso il danno che provocherebbero in termini di occupazione. Sharan Burrow, la sindacalista australiana che presiede all’ITUC, la confederazione internazionale delle unions, risponde con un’amara battuta: «Non ci sono posti di lavoro in un pianeta morto». Purtroppo di fronte al succedersi di vertici privi di reali sviluppi un po’ di scetticismo è d’obbligo: come fa notare la stessa Klein «la sola cosa che cresce più in fretta delle emissioni è il profluvio di parole che ne promettono la riduzione».
A recuperare un po’ di ottimismo è intervenuto uno sviluppo impensabile fino a qualche tempo fa: l’intesa fra Stati Uniti e Cina, il loro impegno a ridurre davvero le emissioni. Sono i due Paesi maggiormente inquinanti e rappresentano al tempo stesso i mondi alternativi che si sono finora vanamente confrontati sul tema: da una parte la matura superpotenza americana, dall’altra il gigante asiatico impegnato in uno sviluppo a ritmi impetuosi. L’intesa è dunque di buon auspicio perché il vertice di Parigi possa incamminarsi verso il successo. Si tratta non soltanto d’impegnarsi a bloccare il riscaldamento globale al di sotto dei due gradi ma anche di destinare cento miliardi di dollari l’anno, a partire dal 2020, al «fondo verde per il clima». Servirà per aiutare i Paesi emergenti a investire nelle energie rinnovabili, quelle che non mandano gas ad avvelenare l’atmosfera. Facendo partire dalla metropoli violata il salvataggio del pianeta la comunità internazionale lancerebbe, fra l’altro, un segnale di civile concretezza a chi la vorrebbe inchiodare alla tirannia del terrore.
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Politica e Economia
Due gradi per evitare l’Apocalisse Mutamenti climatici A colloquio con il fisico del clima Thomas Stocker sulla Conferenza di Parigi
e sulle conseguenze dell’aumento delle temperature a livello globale
Luca Beti «Dobbiamo abbandonare le fonti energetiche fossili e dare inizio alla quarta rivoluzione industriale», sostiene Thomas Stocker, fisico del clima presso l’Università di Berna e membro dell’Intergovernmental Panel on Climate Change dell’ONU. In vista della Conferenza sul clima delle Nazioni Unite, che si tiene dal 30 novembre all’11 dicembre 2015 a Parigi, il professore in fisica climatica e ambientale invita i capi di Stato a non lasciarsi sfuggire l’occasione di limitare il surriscaldamento terrestre. «Mancare l’obiettivo dei 2° C potrebbe comportare un aumento dei conflitti locali a causa della migrazione», illustra Stocker nell’intervista. A Parigi si deciderà il futuro climatico delle prossime generazioni: dei nostri figli e nipoti?
No, è solo il primo passo. A Parigi, la speranza è che si trovi un accordo su un documento vincolante che obblighi le nazioni a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Gli obiettivi dovranno considerare lo stato di sviluppo dei vari Paesi. Gli Stati industrializzati, per esempio, dovranno ridurre più in fretta le loro emissioni rispetto ai Paesi del Sud. Questi ultimi devono avere la possibilità di lottare contro la povertà e sviluppare le infrastrutture. Non tutte le nazioni del mondo hanno le stesse capacità per investire nelle nuove tecnologie mediante le quali limitare il surriscaldamento terrestre. L’accordo di Parigi è il primo passo, ma è un passo importantissimo. Lo scopo è di giungere alla prima intesa universale sul clima per ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento terrestre globale di 2° C rispetto alla media preindustriale. I capi di Stato sono pronti a fare questo storico passo?
Io me lo auguro. La mia speranza è sorretta da tre elementi. Adesso i capi di Stato sono informati in maniera molto dettagliata su ciò che significa il cambiamento climatico a livello globale, sulle cause e sulle scelte a nostra disposizione per ridurre gli effetti del surriscaldamento terrestre e, infine, su che cosa vuole dire limitare l’innalzamento della temperatura di 2° C. Per la prima volta nella storia dell’umanità anche chi è alla testa delle istituzioni morali ha fatto dichiarazioni molto importanti sui rischi del cambiamento climatico provocato dall’uomo. Per esempio, nell’enciclica di quest’anno papa Francesco presenta il mutamento del clima come un pericolo per l’uomo e la natura. Anche i leader delle multinazionali, delle imprese attive a livello mondiale dichiarano che il surriscaldamento terrestre
«Stiamo mancando l’obiettivo dei 2° C e gettando alle ortiche la possibilità di limitare il riscaldamento terrestre e le sue conseguenze». (Adrian Moser-Uni Bern)
avrà delle ripercussioni negative sul loro modello economico. E il terzo elemento da cui nasce questa speranza qual è?
La discussione sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra a livello nazionale si è finalmente sbloccata grazie al nuovo approccio basato sugli obblighi concreti per tutti gli Stati, il cosiddetto Intended Nationally Determined Contributions (INDC). Il mio ottimismo sul vertice di Parigi nasce anche da questo rallegrante sviluppo dei negoziati. Sono quindi speranzoso che i capi di Stato sapranno accordarsi su un documento vincolante e valido giuridicamente. È assolutamente necessario invertire la rotta per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. Se i capi di Stato, i vertici delle istituzioni morali e il settore privato hanno capito che è necessario diminuire le emissioni di CO2, il merito è anche della comunità scientifica, di cui lei fa parte, che rispetto al passato ha informato in maniera migliore chi ora è chiamato a prendere delle decisioni.
Noi abbiamo informato continuamente dal 1990, anno in cui il gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (IPCC) ha pubblicato il suo primo rapporto. Questo documento è uscito per preparare la prima Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite a Rio de Janeiro, tenuta nel 1992. Da allora al
2015, l’IPCC ha pubblicato cinque rapporti. Ma queste valutazioni non sono purtroppo le uniche fonti di informazione a cui possono attingere i politici. In questo momento penso anche ai laboratori di idee, i Think Tank, ai lobbisti e a tutti coloro che hanno continuamente negato e messo in dubbio il metodo scientifico e il lavoro del IPCC. I responsabili delle decisioni politiche hanno a disposizione una quantità enorme di informazioni. Ma è solo la scienza che offre un’evidenza precisa e innegabile. Dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 se vogliamo evitare il peggio. Che cosa significa il peggio? Lei fa parte dell’IPCC che regolarmente valuta, raccoglie e trasmette le informazioni e i risultati ai politici e all’opinione pubblica. Quali sarebbero le conseguenze se non si dovesse trovare un accordo a Parigi?
La conseguenza è molto semplice, ma anche spaventosa: stiamo mancando l’obiettivo dei 2° C e gettando alle ortiche la possibilità di limitare il riscaldamento terrestre e le sue conseguenze. Ricordo, per esempio, la variazione delle precipitazioni, l’impossibilità di accedere all’acqua come risorsa naturale, ma anche lo scioglimento delle calotte polari o dei ghiacciai, che provocherà l’innalzamento del livello del mare con ripercussioni per le regioni costiere di tutto il pianeta. Se manchiamo l’obiettivo dei 2° C, ci saranno delle zone in cui non sarà più possi-
bile adattarsi alle mutate condizioni climatiche. Ciò potrebbe comportare un aumento dei conflitti a livello locale perché, per esempio, le persone devono abbandonare le coste a causa dell’innalzamento degli oceani o per l’assenza di fonti d’acqua. La conseguenza sarà la migrazione di intere popolazioni e oggi sappiamo molto bene quali sono le sfide per l’umanità derivanti da questo fenomeno. Lei finora ha parlato soprattutto dell’impatto negativo del cambiamento climatico. Ma l’innalzamento della temperatura globale potrebbe favorire alcuni Paesi che in futuro potrebbero, per esempio, aumentare la loro produzione agricola?
Prendiamo l’esempio della cintura del grano nel Nordamerica. Si sa che con il cambiamento climatico questa fascia si sposterà verso settentrione. Alcune regioni del Canada potrebbero quindi iniziare a coltivare il grano, ma per ora sono ancora sprovviste delle infrastrutture necessarie. Per approfittare del cambiamento climatico, il Canada dovrebbe quindi investire enormi quantità di denaro per costruire nuovi impianti e installazioni. Mentre gli USA dovrebbero inventarsi un’altra attività economica. Se tiriamo le somme, alla fine nessuno ci guadagna. La soluzione è l’abbandono delle fonti energetiche fossili?
Di primo acchito sembra una soluzione semplice, ma questa rinuncia potrebbe
essere la più grande sfida per l’umanità. Spesso parlo della quarta rivoluzione industriale, della «decarbonizzazione» o della «sostenibilizzazione», in riferimento all’abbandono delle fonti energetiche fossili. La storia ci insegna che le tre rivoluzioni industriali precedenti, ossia la meccanizzazione, l’elettrificazione e la digitalizzazione, hanno creato grandissime opportunità, generando enormi profitti per tante persone, modificando relazioni di potere a livello globale, e hanno sempre migliorato la qualità della vita. Io sono convinto che anche la quarta rivoluzione industriale produrrà effetti positivi per tutta l’umanità, ed è l’unica possibilità per limitare i preoccupanti effetti del riscaldamento continuo. Ora è importante dare avvio a questa nuova era priva di energie fossili. Il primo passo importante lo dobbiamo compiere a Parigi. Thomas Stocker
Thomas Stocker è professore presso l’Istituto di fisica dell’Università di Berna, dove dirige la divisione di fisica climatica e ambientale. Nato a Zurigo nel 1959, studia fisica ambientale al Politecnico federale di Zurigo dove consegue nel 1987 il dottorato. Dal 1998 fa parte del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico dell’ONU (IPCC). Dal 2008 al 2015 è copresidente di uno dei tre gruppi di lavoro del IPCC. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
La cultura del terrore Belgio e dintorni I fondamentalisti che fanno attentati in Occidente in nome della jihad sono immigrati
di seconda generazione e non hanno subito in realtà ingiustizie sociali e economiche
Federico Rampini Ci ho vissuto 15 anni – infanzia e adolescenza – in quella Bruxelles che oggi è il covo dei jihadisti d’Europa. Non ho mai smesso di frequentarla visto che ci sono rimasti sempre i miei genitori, ora mia mamma da sola. A Parigi frequentai, ventenne, i seminari di Raymond Aron; lì cominciai il mestiere di corrispondente estero 30 anni fa; ci tornò mio figlio Jacopo a fare la Sorbona. Per anni la nostra famiglia sparpagliata tra la California e la Cina o tra l’Europa e New York, si riuniva a Parigi per Natale. Quando conosci così le città, quando sono i luoghi dove vivono i tuoi migliori amici, e pezzi della tua vita sono incollati al paesaggio locale, diventi allergico alle superficialità. A tutte le semplificazioni che vengono usate in queste settimane da chi cerca una spiegazione facile alle tragedie. Per esempio, per non stancare il cervello di fronte a fatti terribili, angosciosi e complessi, molti si scoprono di colpo marxisti. Nella versione caricaturale del pensiero di Karl Marx (ma senza Lenin né Antonio Gramsci), quella per cui ogni cosa deve spiegarsi con la realtà economica sottostante, i rapporti sociali, le classi, lo sfruttamento capitalistico. Ecco che la jihad penetra perché i giovani di origini arabe o nordafricane sarebbero prigionieri di ghetti, marginalizzati, intrappolati in condizioni economiche disagiate. Ma davvero? I ghetti per immigrati a Bruxelles io li ricordo bene. Ci vivevano gli italiani. Anni Cinquanta, anni Sessanta: allora sì, il Belgio era un paese razzista. I nostri immigrati andavano a morire per estrarre il carbone nelle miniere della Vallonia. I figli non riuscivano a finire la scuola dell’obbligo. Nessuno di loro imbracciò mai un kalashnikov per farsi giustizia contro i belgi. Non c’erano in circolazione fra loro ideologie di vendetta e di morte. Un sacerdote a cui sono rimasto legato, Bruno Ducoli, portava qualche liceale come me a lavorare nelle scuole serali. Si discuteva di politica, con chi ne aveva voglia. I coraggiosi osavano iscriversi alle Acli, cattolicesimo di sinistra; i comunisti, se c’erano, non si dichiaravano facilmente per paura di ritorsioni sui luoghi di lavoro. Quando arrivò in Italia e in Francia il terrorismo rosso, i nostri immigrati diffidarono subito; era roba per giovani borghesi, universitari, figli di papà.
È fra il Medio Oriente e l’Africa settentrionale che le classi dirigenti non sono riuscite ad agganciare la modernizzazione generando una cultura del vittimismo Oggi, la jihad nascerebbe dalle ingiustizie sociali? Non certo quella di Abdelhamid Abaaoud, 28 anni, uno dei capi della strage a Parigi. Cittadino belga, di origine marocchina. Suo padre era benestante, aveva fatto ottimi affari in Belgio come commerciante. Mise il figlio in una delle migliori scuole private di Bruxelles, un liceo per ricchi. Sfruttamento, emarginazione, disagio sociale? I guru dei talkshow usano queste formule, i jihadisti no. Di quei problemi, loro non parlano mai. Eppure non mancano i loro proclami ideologici, i documenti di propaganda dello Stato Islamico dilagano «virali» nei social media. Mai che trattino della disoccupazione tra giovani immigrati; mai che denuncino qualche proble-
La Grand Place centrale di Bruxelles. (AFP)
ma sociale nelle banlieues. Sono temi estranei al loro orizzonte ideologico. Quel che odiano dell’Occidente non è lo sfruttamento capitalistico né le diseguaglianze sociali; ciò che denunciano è lo Stato laico che mette tutte le religioni sullo stesso piano; la libertà di espressione; la libertà dei costumi; l’emancipazione femminile; il fatto che le donne possano studiare e lavorare, vestirsi come preferiscono, sposare chi vogliono. Se fosse vero che le nostre ingiustizie sociali generano malessere e ribellione violenta, il brigatismo rosso dovrebbe esistere nell’Italia di oggi, dove gli indicatori della disoccupazione giovanile e del precariato sono decisamente peggiori rispetto agli anni Settanta. Le ideologie di terrore, di sopraffazione e di morte, hanno vita autonoma come i virus. È sul piano delle idee che vanno analizzate, contrastate e sconfitte. Non servono i guru che usano etichette a vanvera, per le banlieues sfoderano termini come apartheid, intifada. È meglio leggersi i (pochi) veri specialisti dell’Islam. Uno in particolare ha scritto cose illuminanti sulle giovani reclute della jihad. Si tratta di Olivier Roy, grande islamista, docente all’Istituto universitario europeo di Firenze. Roy ha analizzato le caratteristiche comuni a quasi tutti i terroristi che hanno effettuato attentati in Occidente in nome della jihad, o che sono andati ad arruolarsi nei ranghi dei «combattenti stranieri» in Siria o in Iraq. Si tratta di immigrati di seconda generazione, che non hanno subito razzismo, e che hanno all’origine pochissima educazione religiosa. La loro scoperta dell’Islam, in età adolescente o adulta, avviene nel segno della ricerca di un nichilismo che giustifichi la violenza e la vendetta. C’è
nelle loro storie quasi sempre una rottura generazionale, un conflitto contro i genitori. Il problema dunque è nella cultura del terrore, non nelle condizioni socio-economiche. In Europa dopo gli attentati di Parigi diverse comunità islamiche sono scese in piazza per manifestare contro il terrorismo. Il loro ruolo sarà cruciale in questa sfida. È giusto, in prima istanza, lo slogan «Not in my name» già usato anche in Francia e altrove. «Non in nome mio», significa che i terroristi non devono appropriarsi dell’Islam, uccidere nel nome di una religione che non li giustifica affatto, una religione praticata peraltro da una maggioranza di non violenti. Ma dopo i cortei, una volta che si torna a casa, in famiglia e nelle moschee, il passaggio successivo esige che le comunità islamiche aprano una discussione su un altro tema: «Why in my name?» Perché nel mio nome? Perché i terroristi si chiamano Stato Islamico, perché il loro richiamo è proprio a quella religione? Rispondere a questo non chiama in causa solo gli esegeti, le autorità religiose, o gli storici. Chiedersi «perché nel mio nome», significa affrontare le zone di contiguità fra i jihadisti e una parte dell’Islam moderato, non violento e pacifico. Anche tra i musulmani moderati, infatti, può fare presa quella cultura del vittimismo permanente, della recriminazione, dell’attesa di un risarcimento, che individua nell’Occidente la causa principale di tutte le tragedie che colpiscono il Medio Oriente o il Nord Africa. È una cultura de-responsabilizzante, che imputa i fallimenti di intere classi dirigenti maghrebine o arabe ad una causa sempre esterna. Cioè l’Occidente che prima li ha colonizzati, poi anche dopo la decolonizzazione ha interferito nelle loro storie nazionali, per
via del petrolio. Ma questo è accaduto in altre parti del mondo, senza partorire guerre civili e terrorismo. C’è tanto petrolio in Messico, Venezuela e Brasile. Anche lì in passato l’imperialismo Usa fece un bel po’ di porcherie. Non esiste tuttavia un’ideologia del terrorismo, non abbiamo kamikaze venezuelani che si fanno esplodere a New York. L’Indonesia, la più grande nazione del mondo con una maggioranza islamica tra i suoi abitanti, e tanto petrolio, fu anch’essa vittima di intrighi americani fino a qualche decennio fa. Oggi è una grande democrazia, e non esporta attentati terroristici a Washington. È tra il Medio Oriente e l’Africa settentrionale che l’incapacità delle classi dirigenti locali ad agganciare una modernizzazione riuscita, ha generato una rappresentazione del mondo in cui la colpa è sempre di qualcun altro. Questo vittimismo non sfocia necessariamente nel culto della violenza; però è il terreno ideale su cui possono attecchire le ideologie dei terroristi, che portano fino alle conseguenze estreme la narrazione del vittimismo: con la vendetta finale. Perciò l’ideologia jihadista può far presa su giovani che vi sono stati culturalmente «preparati». In questo il ruolo delle comunità islamiche diventa cruciale e prezioso: per cambiare la narrazione generale. Un paragone ancora una volta possiamo farlo noi italiani col terrorismo rosso. I nostri anni di piombo volsero al termine quando funzionarono insieme la risposta dello Stato – polizia e magistratura – e quella della società civile. Fu decisiva la scelta del Partito comunista italiano di cui era segretario Enrico Berlinguer. Bisognava portare la base operaia e tutto il popolo della sinistra in piazza, e fu fatto. Bisognava negare ogni legittimità alle Brigate Rosse, e an-
che questo fu fatto. Al prezzo di scontri duri con chi definiva i terroristi come dei «compagni che sbagliano»: cioè persone animate da nobili ideali, indignate per le stesse ingiustizie sociali contro cui lottavamo noi. I «compagni che sbagliano», in quella accezione, sbagliavano soltanto con il ricorso a metodi violenti. Non fu facile il lavoro del Pci per fare pulizia di tutte le ambiguità ideologiche. E qualcuno lo pagò con la vita. Fatte tutte le distinzioni, un cantiere altrettanto impegnativo è quello che oggi attende il mondo dell’Islam moderato. Un ultimo alibi che va tolto di mezzo è quello della causa palestinese. Quante volte in passato abbiamo sentito ripetere, sempre ad opera dei «grandi semplificatori», che il terrorismo non cesserà finché non si risolve il dramma dei palestinesi. Di recente questo argomento viene usato meno. Per forza. Nei documenti dei jihadisti è assente qualsiasi riferimento alla causa palestinese. Lo Stato Islamico non perdona ai palestinesi di avere l’appoggio dell’Iran, nemico giurato in quanto sciita. Più in generale, voler ricondurre tutto ciò che accade alle responsabilità storiche dell’Occidente, è semplicemente anacronistico. Per le stragi di Parigi come per gli attacchi alle Torri Gemelle, c’è sempre chi si chiede «cos’abbiamo fatto noi» per provocare questi attentati. Quasi che ce li fossimo un po’ «meritati». Questi argomenti sono una forma di Occidento-centrismo: tutto si riconduce sempre a noi, siamo l’ombelico del mondo. Nel mio ultimo libro, L’Età del Caos, spiego che non è più così. Il baricentro della storia si sta spostando altrove. E questo significa che sono in campo forze e dinamiche non necessariamente riconducibili all’Occidente.
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Politica e Economia Fra i libri di Paolo A. Dossena
AFP
Angelo Del Boca, Gheddafi, Laterza, quarta riedizione aggiornata (2014)
Perché il Mali Jihadismo in Africa occidentale L’attentato terroristico avvenuto la settimana scorsa
nel Paese – che in epoca coloniale prima dell’indipendenza del 1969 era chiamato Sudan francese – è avvenuto in un contesto altamente instabile
Pietro Veronese Più di una settimana è passata dall’attacco terroristico all’hotel Radisson Blu di Bamako, la capitale dello Stato africano del Mali. L’attentato ha lasciato sul terreno i corpi di un numero ancora imprecisato di vittime, tra le venti e le trenta, 27 secondo il bilancio più accreditato. Ma insieme a tutti questi morti si è lasciato dietro anche molte domande che restano in attesa di risposta. Non è solo il numero delle vittime a permanere avvolto nel dubbio; anche la rivendicazione non è del tutto chiara, visto che ce ne sono almeno due. Lo stesso vale per il numero, tuttora indefinito, degli assalitori, per la loro identità e la loro provenienza, come pure il loro possibile legame con gli attentatori di Parigi del venerdì precedente, il 13 novembre.
Il Mali si trova al margine della grande orbita dei movimenti fondamentalisti dell’Africa occidentale Nell’attesa che questi interrogativi trovino una risposta, se mai l’avranno, resto il fatto certo che Bamako era un bersaglio prevedibile, quasi scontato verrebbe da dire con il senno di poi. Molte delle motivazioni che animano le imprese terroristiche dei jihadisti africani trovano qui un pretesto, un magnete che le attira irresistibilmente. Il Mali si trova da numerosi anni al margine occidentale della grande orbita dei movimenti fondamentalisti dell’Africa occidentale, i quali spaziano su un vastissimo e malamente controllato territorio desertico che va dal sud dell’Algeria al nord della Nigeria, coinvolgendo la Libia e lambendo anche il Camerun. Al centro di questo minaccioso spazio geopolitico c’è il Niger, Paese nel quale non a caso gli Stati Uniti e l’Unione Eu-
ropea hanno collocato i loro osservatori di intelligence elettronica per monitorare il teatro africano della guerra globale contro il terrorismo islamico. Il Mali, Paese musulmano ancorché laico e legato allo spazio culturale europeo da infiniti legami creativi, rientra dunque suo malgrado, a causa della collocazione geografica, nel teatro d’azione delle numerose sigle terroristiche del «Maghreb islamico». Ma ci sono poi fattori legati alla sua stessa storia, alle irrisolte questioni interne, e alle recenti vicende nordafricane a farne un terreno non generico, bensì elettivo, per l’azione jihadista. Prima fra queste la «questione Tuareg», cioè i rapporti dello Stato maliano con la popolazione nomade e transnazionale che occupa il nord di questo Paese e del Niger e il sud dell’Algeria. In Mali il potere politico, lo sviluppo economico, la vita culturale sono sempre stati, salvo eccezioni, sudisti. E la «questione Tuareg» si è trascinata per decenni, tra ultimatum, rivolte, accordi più volte calpestati. L’ultima fase di questa vicenda, che ancora dura, iniziò dopo l’abbattimento del regime di Gheddafi in Libia, sul finire del 2011. Le milizie Tuareg che fiancheggiavano il potere del Rais libico ripresero la strada di casa, rientrando in territorio maliano in pieno assetto di guerra. La rivolta da qualche anno sopita si riaccese, ma le novità furono molte. Almeno tre. Primo, la nuova ribellione issò la bandiera dell’indipendenza. Secondo, la sua ideologia – in un contesto regionale profondamente modificato, con Al Qaeda all’epoca ancora operativa e diffusa – si rivelò fin da subito jihadista. Terzo, lo Stato maliano, profondamente diviso e indebolito da svariati fattori interni, fu incapace di opporsi. In poche settimane nel 2012 il vastissimo nord del Mali, dal confine libico fino a Timbuktu, cadde nelle mani delle formazioni jihadiste e divenne una specie di prefigurazione di quello che sarebbe stato, due anni dopo in Mesopotamia, lo Stato islamico. Seguirono mesi di caos. I militari presero il potere a Bamako per poi,
incapaci di tutto, restituirlo ai civili. Il Nord restava totalmente fuori controllo, il Mali rischiava l’implosione. In questo clima maturò, sul finire dell’anno, l’intervento armato francese di inizio 2013. In breve tempo il corpo inviato da Parigi riprese il controllo del Nord, poi cedette il ruolo militare a una forza Onu mantenendo però in Mali un migliaio di soldati. Da allora sono passati quasi tre anni ma il tentativo di stabilizzare il Paese, infondendo tra l’altro miliardi di dollari nella sua economia, ha dato scarsissimi frutti. Con le milizie nordiste ci sono state tregue e patti poi violati, sporadici attacchi, attentati e rappresaglie. Una vera pace non è stata ristabilita. Nel frattempo le formazioni jihadiste operanti nel Nord del Mali si sono rivelate entità perennemente mutevoli, inafferrabili, che si scompongono e ricompongono a piacimento in funzione di alleanze spesso inconfessabili tra i loro capi. Talora decadono e scompaiono, talora gemmano nuove sigle, tutte accomunate da proclami ultraislamici e antioccidentali e da comportamenti sanguinari, ma maggiormente dedite a ogni sorta di illeciti piuttosto che alla guerra santa. Il deserto del nord è uno spazio immenso, sottratto da lunghi anni a qualsiasi controllo statale, dove si trafficano armi, droga, persone e ogni altra merce che sia illegale e redditizia. Una specie di pianeta Tatooine di Guerre Stellari, dove è impossibile avventurarsi.
Ci sono anche questioni interne a farne un terreno elettivo per l’azione jihadista, come quella dei Tuareg È questo il contesto, altamente instabile, altamente insicuro, nel quale alle prime luci di venerdì 20 novembre un veicolo con la targa diplomatica si è
presentato ai controlli di sicurezza del Radisson Blu Hotel di Bamako, un albergo di lusso, controllato da guardie armate e frequentato da viaggiatori di ogni parte del mondo, dagli equipaggi delle compagnie aeree, dai turisti che hanno comprato i migliori pacchetti, da uomini d’affari, diplomatici, funzionari internazionali. Un posto considerato ragionevolmente sicuro. Chi fossero i terroristi, quanti esattamente, da dove venissero, ancora non si sa con certezza. Il loro non è stato un assalto sconsiderato, ma un’operazione accurata, come dimostra il modo in cui sono arrivati sul posto. Anche il tempismo è stato perfetto: al momento del cambio di turno, quando le guardie avevano momentaneamente deposto le armi. Non c’è maggiore certezza sulla rivendicazione. Ne è stata fatta una, congiunta, dalla nota sigla Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQIM) e dalla sua affiliata Al Murabitun, guidata dal famigerato jihadista algerino Mokhtar Belmokhtar. Qualcosa non quadra però, perché i servizi d’intelligence ritenevano che le due sigle fossero ora in conflitto e non più alleate. Per accrescere la confusione, in un secondo tempo si è fatta viva una nuova sigla islamista, l’MLF, sedicente movimento di liberazione che recluta non tra i Tuareg bensì tra i Fulani, un’etnia del centro del Paese. Un testimone che era tra gli ospiti dell’hotel, il noto cantante guineano Sekouba «Bambino» Diabate, ha detto che i killer parlavano in inglese con accento nigeriano, evocando così la possibilità che fossero militanti del famigerato gruppo terroristico Boko Haram. Ugualmente ipotetico il legame con gli attentati di Parigi, che appare probabile, ma non è dimostrato. Come a Parigi, le vittime sono delle più diverse nazionalità: maliani, russi, cinesi, belgi, un’americana, un israeliano, un libanese, un senegalese, un burkinabe, oltre che maliane. Nessun francese. Come sempre, i terroristi colpiscono indiscriminatamente tutti noi.
«Un assassinio di stato». Così s’intitola l’ultimo capitolo della biografia che Angelo Del Boca dedica a Muammar Gheddafi. Secondo una prima versione, il dittatore libico è stato ucciso il 20 ottobre 2011 a Surt, nel corso di uno scontro tra la sua fazione e quella dei ribelli. In realtà, secondo le fonti di Del Boca, il colonnello «fu ucciso per ordine di un’entità straniera, perché non si voleva che i suoi segreti fossero rivelati. Nel corso dell’autopsia, eseguita a Misurata, venivano estratti due proiettili, uno dal cervello, l’altro dall’addome. Un’esecuzione in piena regola. Un assassinio di stato». Quando nel 1951 la Libia diventa uno stato indipendente sotto re Idris, il piccolo beduino Muammar ha circa nove anni. È nato in un giorno imprecisato in una tenda di pelli di capra in mezzo al deserto. Odia gli italiani, che nella guerra del 1911 hanno ucciso suo nonno, e che durante il periodo fascista hanno cacciato nove proiettili nel corpo del padre, senza riuscire ad ucciderlo. Lo stesso Muammar rimane colpito da una mina italiana (nel Dopoguerra il Paese è disseminato di bombe) che esplodendo uccide due bambini, suoi cugini. Gheddafi disprezza re Idris, considerato «un fantoccio manovrato dalle potenze imperialistiche», ovvero Stati Uniti e Gran Bretagna e «un collaborazionista» degli italiani. Giovanissimo, Gheddafi, ufficiale dell’esercito libico dal 1965, organizza un colpo di stato che nel 1969 lo porta al potere. Il suo vangelo è il pan-arabismo, che lo infiamma fin dal 1956, anno in cui l’egiziano Nasser è aggredito da Israele, Francia e Gran Bretagna per aver nazionalizzato il Canale di Suez. Gheddafi racconterà un giorno: «Faccio parte di una generazione che ha aperto gli occhi sulla politica con Nasser». Come Nasser, il colonnello libico sogna l’unione politica araba dall’Oceano Atlantico al golfo di Oman. Fin dal periodo cospirativo, Gheddafi non ha mai nascosto ai compagni del suo movimento rivoluzionario segreto le prerogative che intendeva riservarsi: leader indiscusso. E tale sarà dal 1969 al 2011. Il suo temperamento è quello di un «giocatore d’azzardo», che usa «l’astuzia, l’inganno e la violenza». Col tempo, Gheddafi passa dalla vasta popolarità, dalla sobrietà e dal rigore puritano del 1969, a vestiti pacchiani e chiassosi e ad atteggiamenti vanitosi e da palcoscenico che gli alienano il favore della popolazione e degli alleati. Finirà perfino risucchiato in una guerra con l’amico Egitto, con la Tanzania e con il Ciad. Sperpera i giganteschi proventi del petrolio per finanziare movimenti terroristici e criminali di tutti i continenti. Diventa sempre più violento ed estremista: più che aiutare gli arabi a rientrare nelle case da cui sono stati brutalmente cacciati, gli interessa distruggere Israele. Nel 2011 la rivolta araba mette a soqquadro i Paesi del Maghreb e del Medio Oriente, provocando in Libia una sanguinosa guerra civile. Gheddafi impiega i suoi carri armati e cacciabombardieri, già fornitigli da Mosca, Parigi e Londra. L’Onu autorizza una coalizione internazionale, capeggiata da Gran Bretagna e Francia, ad intervenire in Libia. Catturato, Gheddafi viene linciato e «lo scempio del suo cadavere, trascinato nelle strade, ricorda quello di Mussolini».
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Politica e Economia
La jihad è globale
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Parigi-Mumbai Il modello di terrorismo
della LiT in Pakistan è identico a quello dell’Isis che ha appena colpito in Francia Francesca Marino Sono stati in molti, incluso David Cameron, a sottolineare le forti analogie tra l’attacco di Mumbai del 26 novembre 2008 e il recente attacco a Parigi a opera dell’Isis. Li definiscono tecnicamente attacchi «a basso costo e alto impatto» contro quelli che vengono definiti «soft targets»: bersagli facili, in sostanza. Che è un modo appena meno cruento per descrivere una indiscriminata e apparentemente casuale strage di civili. Apparentemente, perché si tratta invece di vere e proprie operazioni militari ben coordinate e programmate nei minimi particolari. A Mumbai, in quello che viene ricordato come il più lungo attacco terroristico della storia recente, dopo tre giorni si contavano 166 morti e diverse centinaia di feriti. L’attacco, esattamente come a Parigi, era stato compiuto da diversi gruppi ben coordinati, che più o meno nello stesso momento avevano attaccato i loro obiettivi adoperando armi non difficili da reperire, come fucili, pistole o bombe di fabbricazione più o meno casalinga. Si tratta di attacchi difficili da sventare e abbastanza semplici da organizzare aggirando ogni genere di sorveglianza. A compiere la strage di Mumbai sono stati gli appartenenti alla Lashkar-i-Toiba, gruppo fondato da Mohammed Hafiz Saeed e addestrato dall’intelligence pakistana per compiere attacchi terroristici in India o contro obiettivi indiani in Afghanistan, come l’ambasciata indiana a Kabul. Più o meno tutti sono concordi nel sostenere che l’attacco di Parigi trae diretta ispirazione da Mumbai marcando una differenza ideologica notevole con gli attacchi compiuti da altri gruppi jihadi. Si tratta di azioni di guerriglia strettamente osservante dei precetti religiosi, che prevede l’auto-immolazione soltanto come ultima ratio per non essere catturati vivi. Secondo l’Islam più osservante difatti, il suicidio, e quindi farsi saltare in aria, è contrario ai precetti religiosi. Quasi tutti, però, sostengono che Daesh abbia tratto soltanto ispirazione dalle brillanti strategie della LiT e che tra i due gruppi non esista alcun genere di collegamento: soprattutto considerato che, come sostengono in Pakistan, la LiT opera soltanto contro obiettivi indiani. Niente di più falso. Gli obiettivi dell’organizzazione sono difatti esposti in un libretto, pubblicato nel 1999, dal titolo: Why are we waging jihad (perché combattiamo la jihad), da cui cito letteralmente. E, come si vede, vanno ben oltre la liberazione del Kashmir indiano. Nel libro, vero e proprio manifesto della LiT, si legge: «I musulmani hanno dominato l’Andalusia per ottocento anni, ma sono stati sterminati dalla dominazione cristiana. Adesso sono i cristiani a dominare la Spagna, e noi dovremmo lottare per riprender-
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cela. Tutta l’India, incluso il Kashmir, Hyderabad, l’Assam, il Nepal, la Birmania, il Bihar e Junagarh erano parti dell’impero musulmano, perduto perché i musulmani hanno abbandonato la jihad. La Palestina è occupata dagli ebrei. La santa Qibla-e-Awwal di Gerusalemme è dominata dagli ebrei. Molti paesi come la Bulgaria, l’Ungheria, Cipro, la Sicilia, l’Etiopia e il Turkistan russo e cinese erano musulmani, ed è nostro dovere riprendercele». In sostanza, non si tratta affatto di un’organizzazione, una delle tante, che ha come scopo la liberazione del Kashmir, ma che si è data un obiettivo ben più ampio: la lotta per l’eliminazione delle «forze del male» occidentali e il «piantare la bandiera dell’Islam su Washington, Delhi e Tel Aviv» sconfiggendo quelli che considera i suoi principali nemici: l’India, Israele e gli Stati Uniti. Curiosamente, l’agenda coincide alla perfezione con quella di Daesh, dell’Isis pakistana e della creazione del famoso «califfato islamico» che apra la strada al Pakistan verso il Medio Oriente. Non solo: i membri dell’organizzazione sono ormai da molti anni attivi a livello internazionale, come sanno le intelligence di mezzo mondo. Attivi come combattenti, ma soprattutto come addestratori di jihadi in erba. A confermare la presenza della LiT, accertata dal Portogallo fino ai Paesi dell’Est e ovviamente al Medio Oriente, basta un piccolo particolare che ci riguarda molto da vicino: alcuni dei movimenti di denaro tracciati in relazione all’attacco di Mumbai provenivano da Brescia, Italia. Il flusso di jihadi funziona inoltre nei due sensi, visto che i combattenti tornano poi in patria per arruolare nuove reclute: in Afghanistan, in Bangladesh, in India e in Pakistan. Dove però il governo si ostina a negare la presenza di appartenenti a Daesh sul proprio territorio, e a rifiutarsi di mettere fuorilegge Mohammed Hafiz Saeed, su cui pende una taglia della Cia, e i suoi compagni di merende. E mentre la posizione nei confronti della LiT vera e propria è quantomeno ambigua, visto che secondo Islamabad l’organizzazione è già fuorilegge, è invece chiarissimo l’atteggiamento verso la Jamaat-u-Dawa, capeggiata e fondata dallo stesso Saeed, inserita di recente dalle Nazioni Unite nella lista dei gruppi terroristici internazionali. La Jamaat-u-Dawa, ufficialmente organizzazione umanitaria, è nata nel 2002 dalle ceneri del Markaz Dawatul-Irshad (Centro per la propaganda e l’insegnamento della fede), fondato nel 1985 da Mohammed Hafiz Saeed e da Abdullah Azzam, un professore palestinese che insegnava Studi Islamici ad Amman e a Ryad, assurto anni dopo all’onore delle cronache per essere stato l’ideologo e l’insegnante di Osama Bin Laden. Forse non sarebbe male investigare più a est del Medio Oriente.
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Politica e Economia
Gli interessi a zero o negativi penalizzano le casse pensioni Secondo pilastro È sempre più difficile ottenere rendimenti sufficienti per mantenere un buon grado di copertura
degli impegni futuri delle varie assicurazioni di previdenza
Ignazio Bonoli Il periodo di bassi tassi di interesse, nel mondo occidentale, nonostante qualche accenno che proviene dagli Stati Uniti, sembra prolungarsi. La Banca Centrale Europea è intenzionata a proseguire la sua politica di espansione monetaria e perfino l’Italia è riuscita a emettere un prestito pubblico con interesse sotto lo zero per cento. La speranza del presidente della BCE di rilanciare l’inflazione – e con essa la tendenza all’aumento dei tassi di interesse – non mostra alcun sintomo positivo in questo senso, mentre l’Europa fatica a uscire da una crisi caratterizzata da bassi tassi di crescita del prodotto interno lordo. La Svizzera, dove l’economia sembra avere prospettive un po’ migliori, è alle prese con le pressioni al rialzo sul franco e usa lo stesso strumento delle basse rimunerazioni per attuare parte della sua politica. L’opera è completata perfino da parte della Banca Nazionale con interessi negativi sui depositi in franchi svizzeri. Anche questa – che di regola è un’operazione di breve durata – sembra doversi prolungare nel tempo. Cominciano però a manifestarsi effetti collaterali non previsti che mettono in difficoltà parecchi settori economici, a cominciare da quelli finanziari. Tra questi figurano le casse pensioni che
sono obbligate a far rendere i loro investimenti per poter garantire nel tempo il pagamento delle rendite di vecchiaia. Secondo «Swisscanto», la società delle banche cantonali che riunisce circa il 70% dei patrimoni amministrati dalle casse pensioni svizzere, quest’anno può già essere contenta quella cassa che riesce a realizzare un rendimento tra l’1 e l’1,5% dei suoi capitali. In base alla sua esperienza, Swisscanto può stimare l’evoluzione di questo rendimento, sulla base dei tipi di investimenti effettuati. A fine settembre la «performance» delle casse considerate era ancora negativa nella misura del 2%. Di conseguenza, anche il grado di copertura delle future rendite da pagare era sceso dal 113,6% nel 2014 al 108,9% per le casse di tipo privato e dal 103,5% al 98,9% per le casse pubbliche. Dal momento di questi rilevamenti (fine ottobre) la situazione è leggermente migliorata, ma non in modo da superare le previsioni citate sopra. Le preoccupazioni delle casse pensioni continuano perciò a mantenersi a un livello elevato. A media scadenza sembra, infatti, sempre meno possibile raggiungere il cosiddetto «tasso tecnico». Tasso determinante per calcolare il grado di copertura. Esso viene, infatti, utilizzato per calcolare, al valore odierno, gli impegni futuri delle casse. Ora, con questi rendimenti è molto probabile
I futuri pensionati dovranno accontentarsi di rendite inferiori a quelle del passato. (Keystone)
che questo tasso tecnico, oggi al 2,75%, debba essere ulteriormente ridotto. Per calcolarlo si tiene, infatti, conto del rendimento delle obbligazioni della Confederazione a 10 anni, che attualmente è negativo. La formula tiene però conto per due terzi dell’evoluzione dei rendimenti di un portafoglio modello negli ultimi 20 anni. Qui nasce il grosso problema. Nei prossimi anni usciranno dal portafoglio anni di forti rendimenti: 11% nel 1966, perfino 16% nel 1977. Si può quindi prevedere un tasso tec-
nico del 2,5% il prossimo anno e sotto il 2% nel 2017. Anche il Consiglio federale ha deciso, il 28 ottobre, di ridurre il tasso minimo della parte obbligatoria dall’1,75% all’1,25 a partire dal 1. gennaio 2016. La riduzione di questo tasso sarà probabilmente accompagnata da una riduzione del grado di copertura. Ovviamente vi sono molte differenze da cassa a cassa. I tecnici del settore calcolano che per una cassa con una proporzione di pensionati del 50%, la diminuzione
di 1% del tasso tecnico può comportare una riduzione del grado di copertura del 5%. Si può quindi ritenere solida una cassa con un alto grado di copertura se, però, il tasso tecnico utilizzato è basso, se la proporzione di pensionati è bassa e il tasso di conversione del capitale di vecchiaia in rendite è inferiore al 6%. L’esempio classico è quello di un capitale di vecchiaia di 100’000 franchi, con un tasso di conversione del 6,8%, che dà una rendita pensionistica di 6’800 franchi annui. Le casse pensioni usano però un calcolo misto tra la parte obbligatoria (prevista dalla legge) e la parte sovraobbligatoria del capitale, per cui riescono a determinare liberamente il tasso di conversione. Di conseguenza, sia il tasso di conversione del 6,8%, sia il tasso minimo dell’1,75% non sono sempre determinanti. Chi decidesse, per esempio, di aumentare volontariamente il proprio capitale di vecchiaia oppure dovesse cambiare cassa, dovrebbe considerare quattro fattori: il grado di copertura ufficiale della cassa, il tasso tecnico, la proporzione fra pensionati e attivi, il tasso di conversione applicato dalla cassa. La situazione odierna sul mercato dei capitali induce alcune casse ad applicare un tasso tecnico troppo elevato, ovviamente in attesa che i rendimenti migliorino, prima di dover adottare pesanti misure di risanamento. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Il piccolo azionista – una perla rara La consulenza della Banca Migros
Albert Steck
Evoluzione cumulata del valore in CHF
Performance annue delle azioni in %
80 CHF 245 000 60 100 000 40 10 000 20
0
1000 CHF 1000
–20
abbiano voltato le spalle alla borsa: le righe verticali nel grafico dimostrano inequivocabilmente i vertiginosi saliscendi subiti dai rendimenti. Ma molti investitori hanno perso di vista la prospettiva di lungo periodo, raffigurata nel grafico dalla linea rossa, che nonostante le flessioni continua a muoversi costantemente al rialzo. Negli ultimi decenni la borsa svizzera
ha registrato un andamento impressionante: un portafoglio azionario, il cui valore nel 1950 ammontava a 1000 franchi, oggi raggiunge un controvalore di 245’000 franchi con un reinvestimento costante dei dividendi. Considerando l’inflazione, il valore reale di questo portafoglio scende a circa 52’000 franchi, che rappresenta comunque un rendimento annuo di
20 15
–40 20 00
Questo è l’andamento della borsa svizzera nel breve e lungo termine: le righe verticali indicano il rendimento annuo (scala destra). La linea trasversale corrisponde all’evoluzione del valore dell’investimento dal 1950 con i dividendi reinvestiti (scala sinistra).
19 75
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
In meno di dieci anni i mercati azionari hanno subito due tracolli. Si parla spesso del «decennio perduto». In realtà si sono persi soprattutto i piccoli azionisti: in base alle statistiche della Banca nazionale gli investitori privati svizzeri detenevano il 26 percento circa del patrimonio finanziario netto in azioni nel 2000. Nel frattempo la loro quota è scesa al 18 percento, poiché privilegiano i contanti e i depositi sui conti, passati dal 31 al 49 percento del patrimonio (la parte rimanente è composta soprattutto di obbligazioni e investimenti in fondi). Ma se guardiamo ai rendimenti delle azioni, il periodo dalla fine del 2000 è da considerare tutt’altro che «perduto»: lo Swiss Performance Index (SPI) ha guadagnato un considerevole 62 percento. Nonostante i due scivoloni, un investimento in azioni è dunque stato senz’altro vincente. O meglio, lo sarebbe stato, dal momento che i piccoli investitori hanno progressivamente ridotto la loro esposizione. In un’ottica di breve termine è senz’altro comprensibile che molti
Rischiose a breve termine, ma molto redditizie a lungo termine
19 50
Le azioni continuano a essere poco amate. Fate una prova nella vostra sfera privata: che voi sappiate, chi possiede azioni? Probabilmente sono ben pochi. Eppure le azioni sono di gran lunga migliori della loro fama, come emerge dalla nostra analisi.
tutto rispetto, pari al 6,3 percento. Mentre i piccoli investitori si ritirano, la borsa è più che mai dominata dai grandi investitori istituzionali, di cui i quattro quinti provengono dall’estero. Sarebbe dunque molto auspicabile che i privati tornassero a dimostrare una maggiore propensione per le azioni dopo il «decennio perduto», tra l’altro nel loro interesse. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Si torna ad essere moderatamente pessimisti Per i vaticinatori della nostra economia il 2015 è stato un anno difficile. A guardarle, le loro previsioni, revisionate da un trimestre all’altro, sembrano descrivere l’andamento della febbre di un paziente afflitto da un’infezione che causa frequenti sbalzi di febbre (si veda il grafico allegato). Prima della decisione della Banca nazionale, le previsioni di crescita per il 2015 erano abbastanza ottimistiche. A seconda degli istituti si anticipava un tasso di crescita del prodotto interno lordo (Pil) variante tra
l’1,5 e il 2%. Questa prestazione sarebbe stata più o meno in linea con il tasso di crescita annuale medio di lungo periodo della nostra economia. Anzi, se la crescita effettiva fosse stata vicina al 2%, il 2015 avrebbe potuto essere classificato tra gli anni grassi. Immediatamente dopo il ritorno al cambio flessibile le previsioni congiunturali per il 2015 mutano. Tutti gli istituti anticipano un colpo di freno. Le previsioni toccano allora il loro livello più basso. A fine gennaio un istituto anticipava addirit-
Tasso di variazione del Pil per il 2015, previsioni a varie date
Nel grafico si nota quanto è costata in termini di crescita la decisione della BNS di abbandonare il tasso minimo di cambio francoeuro.
è diminuito dello 0,2%, nel secondo è aumentato della stessa percentuale. Questo significa che, a fine giugno, vale a dire a metà anno, il tasso di crescita del Pil era nullo. E significa anche che, per ottenere un tasso annuale di variazione pari allo 0,5%, corrispondente al minimo dei tassi attualmente previsti, il Pil dovrà crescere dello 0,25% nel terzo e nel quarto trimestre. Per arrivare a una crescita dell’1%, il tasso di crescita degli ultimi due trimestri dovrebbe essere uguale a 0,5%. Gli indicatori a disposizione suggeriscono che la prestazione effettiva dell’economia svizzera, in materia di crescita, sarà nel 2015 più vicina allo 0,5% che all’1%. Quali sono questi indicatori? Cominciamo dagli investimenti. Nelle costruzioni l’investimento ristagna. Per quel che riguarda invece il capitale fisso delle aziende, dopo una forte riduzione nel primo trimestre c’è stata una ripresa nel secondo. Le inchieste condotte nelle aziende, nel corso degli ultimi tre mesi, sembrano però indicare che nella seconda metà dell’anno gli
investimenti in capitale fisso ristagneranno. E i consumi privati? L’indice del clima di consumo, dopo aver segnato un aumento nel corso del primo semestre è diminuito nel terzo trimestre. Ma ha ripreso a ottobre. Come si sa, a livello di consumi, è però il mese di dicembre, con le vendite natalizie, che decide dell’andamento per l’insieme dell’anno. Anche i consumi del settore pubblico, in un anno caratterizzato da risparmi e tagli, non potranno far molto per rilanciare l’economia. Restano le esportazioni. Ma questo è l’aggregato che è stato maggiormente colpito dall’abbandono del cambio minimo. In materia di andamento congiunturale si torna quindi ad essere moderatamente pessimisti. E per il 2016? Tutti gli istituti si attendono una ripresa dell’economia svizzera con tassi di crescita oscillanti tra l’1 e l’1,5%. Date le incertezze che pesano sull’evoluzione economica della seconda metà del 2015 pensiamo sia meglio attendere la fine dell’anno prima di formulare un giudizio su quello che potrebbe succedere nel 2016.
in giorno. Il califfato sposta il suo fronte sempre più in là, nel cuore dell’Europa e pure nella sua periferia, orchestrando la sua feroce offensiva da Raqqa, la «capitale» siriana. I russi, arrivati in Siria a difendere il regime di Damasco alla fine di settembre, bombardano postazioni dell’opposizione al regime e ogni tanto anche i bastioni dello Stato islamico, scatendando l’ira di tutti, tranne che dei loro alleati, soprattutto quell’Iran che combatte a terra da molto tempo con evidenti aspirazioni espansionistiche. Il presidente francese, François Hollande, sta cercando di costruire una coalizione internazionale contro il califfo sullo spirito già sbiadito di «Je suis Paris», ma la sua missione si complica sempre più: la memoria è cortissima, gli interessi divergenti. I Paesi sunniti, che fanno parte della coalizione già esistente a guida americana, sono agitati e belligeranti: i turchi hanno abbattuto un jet russo
che aveva sconfinato – per pochissimo tempo, ma la provocazione c’era – dalla Siria in territorio turco, dimostrando, se ancora ce n’era bisogno, l’inconciliabilità tra gli obiettivi del blocco russo-iraniano e quelli di tutti gli altri. Più che raggiungere l’unità, come si augura Parigi, si rischia di accentuare il conflitto nel conflitto: quello tra sciiti e sunniti, che sarà determinante per il futuro assetto del Medio Oriente, quando e se la minaccia dello Stato islamico sarà contenuta. Il rais siriano Assad è il simbolo di questo scontro. I Paesi sciiti, con il sostegno decisivo dei russi, lo vogliono tenere al potere, lo finanziano, lo armano, gli mandano uomini addestrati a mantenere gli assedi, a morire per lui (è in corso una strage di generali iraniani dai contorni inquietanti): forse Assad non è per sempre nemmeno per i suoi sponsor, ma oggi è di certo inamovibile. I Paesi
sunniti, capitanati dall’irosa Turchia, lo vogliono destituire, subito, in ogni modo. Il resto del mondo cerca di prendere tempo, nessuno vuole ammettere pubblicamente che Assad può rimanere ma allo stesso tempo nessuno vuole cacciarlo. In questo limbo tattico, e forse inevitabile, vince l’oblio. Dobbiamo dimenticare le stragi perpetrate dal rais siriano, le uccisioni di massa, l’assedio a Homs con l’obiettivo preciso di far morire di fame la popolazione al suo interno, le bombe chiodate lanciate senza sosta dal cielo, spietatissime, l’utilizzo di armi chimiche, non soltanto il sarin, ma anche altre sostanze che magari non ammazzano sul colpo, ma debilitano i corpi, spesso corpi di bambini, condannandoli a una morte prematura. Dobbiamo dimenticare le questioni umanitarie, i popoli non contano, contano soltanto i confini e le aree di influenza. Realismo e impunità, che prezzo alto per la nostra coscienza.
carica dal 1848 al 1857; Giuseppe Motta (1911-1940), Enrico Celio (1940-1950); Nello Celio (1966-1973). In questa classifica la valle ambrosiana stacca nettamente il Locarnese (Giovan Battista Pioda e Flavio Cotti) e ancora di più il Luganese (Giuseppe Lepori). Motta giunse in governo nel dicembre del 1911 dopo una «vacanza» che si era protratta per quasi mezzo secolo (47 anni dopo le dimissioni, nel 1864, di Pioda). In compenso il politico airolese rimase in carica a lungo, fino al 1940, anno della sua morte (in proposito gli storici parlano di «era Motta»). Le esigenze interne (preservazione della coesione di fronte alle minacce belliche) imposero di non mutare la composizione linguistica del governo centrale (l’elezione di Enrico Celio). La «linea leventinese» prese avvio già nel basso Medioevo. La valle fu progressivamente strappata ai milanesi già nel corso del Quattrocento. Fu quindi il
primo territorio cisalpino a finire nella sfera d’influenza dei confederati, in particolare dei signori di Uri. E urana la Leventina rimase fino al termine dell’«ancien régime». Il governo di «Altorfo» fu complessivamente ben accetto (entrambe le comunità erano cattoliche e rispettose delle consuetudini locali), fatta eccezione per la rivolta, repressa nel sangue, del 1755. Contingenti leventinesi parteciparono alla battaglia di Marignano nelle file delle milizie elvetiche. Anche le economie erano affini, fondate sull’allevamento, la produzione casearia, lo sfruttamento degli alpeggi e dei boschi, e il trasporto di merci attraverso l’asse del San Gottardo (quella dei Motta era una famiglia attiva in questo settore). La continuità delle relazioni tra i due versanti è testimoniata dalla presenza, nella parlata altoleventinese, di un gran numero di vocaboli e locuzioni provenienti dal ceppo alemanno. L’arrivo della ferrovia («Got-
thardbahn») rese queste relazioni ancor più intense e regolari, soprattutto tra il personale viaggiante. Il treno permetteva di accedere più velocemente ai mercati d’oltralpe; anche nel campo della difesa militare (fortificazioni, caserme, arsenali, aerodromi, accantonamenti) i contatti erano continui e fonte di guadagno per fornitori di beni e servizi, ristoratori e affittacamere. E infine la formazione: non era infrequente, per le famiglie con disponibilità finanziarie, far studiare un rampollo promettente nei collegi religiosi del canton Svitto. Tutto questo e altro ancora (aggiungiamoci l’hockey con i suoi club di tifosi) hanno reso la Leventina molto più «tedesca» di altre vallate e regioni ticinesi, favorendo un attaccamento alle istituzioni federali e un senso civico più robusto che altrove. «Berna» in valle ha sempre ispirato rispetto. Almeno finché la Confederazione non ha iniziato a smantellare le sue aziende.
tura una recessione, ossia una diminuzione del Pil per un periodo di almeno tre trimestri. Poi, passato il primo spavento, è tornato l’ottimismo. Per tutto il resto dell’anno, il tasso di crescita previsto per il 2015 è variato tra lo 0,5 e l’1% restando quindi sotto di circa un punto ai valori di previsioni di prima del 15 gennaio. La modifica nel cambio con l’euro costerà dunque all’economia svizzera un 1% di crescita. Non si tratta di una bazzecola ma non è neanche la catastrofe che ci si poteva attendere nelle prime settimane successive alla decisione della BNS. Occorre tuttavia precisare che, fin qui, le nostre considerazioni sono state fatte partendo dalle previsioni e dalle previsioni revisionate per il 2015. Questo significa che la crescita reale, alla fine dell’anno, quando cioè si tireranno le somme di quello che è effettivamente accaduto nella nostra economia potrebbero essere diverse. Per intanto, per quel che riguarda l’andamento effettivo della congiuntura, conosciamo solo le stime dei primi due trimestri. Nel primo, il Pil svizzero
Affari Esteri di Paola Peduzzi Il filo rosso tra Assad e il jet russo abbattuto Quando alcuni commentatori dicevano, già nel 2012, che l’inerzia nei confronti della crisi siriana avrebbe determinato la necessità di una reazione molto più grande e più grave e più urgente in seguito, la risposta era sempre la stessa: i soliti gufi. Da un anno la forza aerea del regime di Damasco bombardava i siriani, si stavano affacciando golosi gli estremisti islamici pronti ad avventarsi sul failed state siriano – non bisogna dimenticare che è stato il vuoto creato dalla guerra di Damasco contro il suo popolo a fornire l’occasione allo Stato islamico di conquistare i primi territori del suo califfato – ma il coro restava unanime: toccare la Siria è impossibile, si rischiano conseguenze imprevedibili, facciamo lavorare la diplomazia. A più di quattro anni e mezzo dall’inizio del confronto tra Bashar al-Assad e il suo popolo, accadeva nel marzo del 2011, tutto quel che di imprevedibile poteva accadere
è accaduto, la diplomazia ha a stento aperto un paio di corridoi umanitari prontamente ostacolati dal regime, ma il potere centrale di Damasco in effetti non è stato toccato: Assad è lì al suo posto, e i giornalisti che lo hanno incontrato, simpatetici, lo raccontano tranquillo, convinto che l’isolamento è finito, sicuro di non dover lasciare il suo palazzo, sfrontato nel dichiararsi un grande combattente contro il terrorismo e ancora più sfrontato nel dire che i francesi, con la loro politica estera dissennata, si sono andati a cercare l’attacco nel cuore della loro amata Parigi. Dei duecentocinquantamila e più siriani uccisi dal regime di Damasco non si parla quasi più, dell’utilizzo delle armi chimiche nemmeno, perché ora è importante combattere lo Stato islamico tutti uniti, al futuro di Assad ci si penserà in un secondo tempo. Il prezzo da pagare per la sciagurata inerzia iniziale sale di giorno
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Quattro su sette Il Ticino, dal 1848 ad oggi, ha avuto sette Consiglieri federali, quattro dei quali provenienti dalla val Leventina. Un contributo al collegio governativo lusinghiero, che sorprende. Ci si può naturalmente chiedere se queste carriere politiche siano state frutto del caso, di una predisposizione genetica, oppure di una speciale familiarità con l’universo culturale d’oltralpe. Varcare la soglia dell’esecutivo centrale, com’è noto, è anche il risultato di mosse, accordi e tattiche del momento; Machiavelli avrebbe detto di «congiure» (l’ultima a danno di Blocher). Ma non tutto è riducibile a un lancio di dadi. La storia conosce lunghe fasi di equilibrio (la «formula magica» dal 1959 al 2003), ma anche improvvise accelerazioni, sulla spinta di vigorose ascese elettorali, com’è stato il caso, dagli anni 90 in poi, per l’Unione democratica di centro (a livello nazionale) e per la Lega dei ticinesi (a livello cantonale).
Che sulla cupola del Palazzo federale la banderuola abbia virato verso destra, è evidente. Le minacce provenienti dall’esterno (migrazioni, guerre, attentati terroristici, erosione della sovranità, allentamento del segreto bancario, instabilità monetaria) hanno determinato un riflesso difensivo all’ombra della bandiera rossocrociata, molto raffigurata e sventolata durante le ultime campagne elettorali. È come se il disordine mondiale avesse risuscitato la mentalità della «difesa spirituale» messa in atto nel periodo tra le due guerre mondiali e poi rialimentata durante la guerra fredda fino al crollo del muro di Berlino. Questo per dire che quanto fino a ieri appariva irraggiungibile, addirittura chimerico, domani potrebbe cambiar verso e rientrare nel novero del possibile. Finora, si è detto, la Leventina ha dato a Berna quattro magistrati su sette. Ricordiamoli: Stefano Franscini, in
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Cultura e Spettacoli Kaufmann e il letto Il sociologo francese ficca con grazia il naso nelle camere da letto, per raccontarci in un libro chi siamo davvero
Rossana Campo e il padre Ponte alle Grazie pubblica un romanzo molto bello su una figura di padre
La Commedia di Nattini In mostra ad Ascona le litografie del pittore Amos Nattini, celebre per le sue rappresentazioni della Divina Commedia
Auguri Woody Allen In occasione degli 80 anni di un genio, vi proponiamo una hit parade di grandi battute
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La patria, un seme di mela Pubblicazioni Esce per Feltrinelli
una lunga intervista-confessione del Premio Nobel Herta Müller
Luigi Forte L’intera narrativa del premio Nobel Herta Müller è un corpo a corpo con il potere e le sue più infami degenerazioni. Fino all’ossessione, che impregna ogni angolo della memoria, ogni attimo del passato e del presente. È nella provincia rumena del Banato, estrema regione danubiana, tra la minoranza di lingua tedesca da cui la scrittrice proviene, che si sedimentano le sue angosce. Vessata dai servizi segreti, la terribile Securitate con cui non volle collaborare, la scrittrice rivisita una realtà preda di prevaricazioni e violenze: un universo di soffocante corruzione appena scalfito dalle sue parole che sillabano dolenti l’alfabeto del potere. Fin dal suo primo libro di racconti, Bassure (1982), storie di provincia, di isolamento e alienazione in cui è arduo distinguere lo squallore del villaggio da quello del sistema politico, Herta Müller ha fatto del proprio destino l’oggetto della sua scrittura. Non a caso ammise senza esitazioni: «Io non devo una sola frase alla letteratura, bensì all’esperienza vissuta. A me stessa e soltanto a me, perché voglio poter dire quello che mi circonda». E anche i romanzi seguono, pur tra molte variazioni, un percorso autobiografico fra nostalgia di libertà e disincanto, speranze e delusioni, alla ricerca di una patria immaginata e sfuggente. A cominciare da L’uomo è un grande fagiano nel mondo (1986) dove nel ritmo spezzato di frasi ballerine, in un’incalzante paratassi il mondo resta inafferrabile e minaccioso. Nella storia della famiglia del mugnaio Windisch che aspetta il passaporto per emigrare in Germania si riflettono le ansie della stessa Müller che sogna un futuro senza angherie e umiliazioni. In quel mondo contadino la vita ristagna in eterna attesa, il tempo non ha lancette e perfino animali e cose sembrano pervase da una magica, perversa inquietu-
dine. Come il gufo il cui volo «è pieno di notte» o il melo che apre le sue fauci per inghiottire i propri frutti e che verrà bruciato perché nasconde il diavolo; e le ombre inquietanti che ghermiscono quel paesucolo così arcaico e remoto, dove anche l’amore è solo fregola e possesso. Qualche speranza già si riaccende nel romanzo pubblicato in Germania nel 1989 dopo il congedo dalla madrepatria, In viaggio su una gamba sola, mentre ne Il paese delle prugne verdi il ricordo di un gruppo di amici finiti nel mirino dei servizi segreti riporta ai chiaroscuri del passato. Herta Müller annota instancabile l’indifferenza di un mondo contagiato dall’imbarbarimento, e la tensione delle sue pagine, dove nemmeno la natura offre sollievo, nasce proprio dall’impotenza che trasforma i soccombenti in vittime dolenti e silenziose. Lei però non ha mai smesso di parlare e ora più che mai ritorna con commossa distanza al proprio vissuto, nella lunga e bella intervista rilasciata ad Angelica Klammer dal curioso titolo La mia patria era un seme di mela, che Feltrinelli pubblica nell’ottima versione di Margherita Carbonaro. È un vero e proprio itinerario attraverso la sua vita nel segno della costante e coraggiosa opposizione al regime che dapprima voleva trasformarla in una spia, poi, dopo il suo totale rifiuto, cercò con tutti i mezzi, perfino nella Repubblica federale tedesca, di screditarla con calunnie e disinformazione. È un’esistenza all’insegna della solitudine e del disagio, estranea a ogni gioia fin dall’infanzia in uno sperduto villaggio di provincia. Quella bambina senza alleati conosce solo percosse e quasi si sorprende per una tenerezza. Del resto in famiglia ognuno – come lei dice – aveva le sue lesioni. Il padre, giovanissimo, era finito in guerra con le SS; la madre invece aveva languito per cinque anni in un lager staliniano: una famiglia che alla scrittrice appare come
La scrittrice Herta Müller in una foto scattata nel 2011 al Literaturhaus di Berlino. (Keystone)
la decalcomania della storia contemporanea. Certo, opera e vita della Müller sono inscindibili dai più gravi eventi del secolo e il suo stesso rapporto con la letteratura mostra talvolta singolari forme di disagio. «Ci sono dei momenti – ella confessa – in cui i miei nervi non tollerano la scrittura. Non riesco a sopportare quello che decidono le frasi…». Eppure la memoria del passato resta lucida, non senza commozione, come quando pensa alla sua unica amica Jenny, che la Securitate indurrà, sia pure per un brevissimo periodo, alla delazione, e soprattutto al grande amico, il poeta Oskar Pastior, che conobbe il gulag e cedette alle vessazioni della polizia. Herta Müller ci offre in quest’intervista uno spaccato drammatico della dittatura, il ritratto di un intero paese, le tipologie dei funzionari del regime – servili verso l’alto, brutali verso il basso –, la lenta e inesorabile distruzione del-
la persona. «L’intimità era stata statalizzata», si legge, perfino nell’amore si finiva per portare il modello della dittatura dentro di sé. Per non parlare dei vari aspetti della paura: liscia, agitata, paurosa, equilibrata. E lei deve averla sentita a fondo quando veniva convocata o addirittura prelevata senza avviso per un interrogatorio. Salvo poi – ecco il volto surreale del regime – essere accolti con un baciamano dal funzionario di turno. Paura di tutto – confessa Herta –, a cui si aggiunge anche una strana forma di spaesamento, «perché niente è più naturale». Per questa vita rubata, in uno stato dove la gente non vale nulla e il socialismo di stampo staliniano degenera in forme di nazionalismo e di perbenismo goffo e inibito, l’unico conforto resta quel piccolo gruppo di amici di cui ancora (ma fino a quando?) ci si poteva fidare. Erano molto importanti perché – come si legge – «attraverso una vicinanza naturale l’uno induce l’altro ad abbandonare la paura».
Esperienze che non l’abbandoneranno mai, anche dopo il crollo del Muro di Berlino e la fine del socialismo reale. Come ha ben descritto nel breve resoconto Cristina e il suo doppio (2008), sarà tallonata dal fascicolo che la Securitate aveva costruito ai suoi danni: novecento pagine di dossier che i nuovi servizi rumeni si erano tempestivamente premuniti di «ripulire». Eppure in questa incessante lotta fra Davide e Golia non venne mai meno il bisogno, l’utopia della libertà. Per Herta Müller era la conferma che il regime con tutto il suo apparato non era riuscito a cancellare la parte migliore di sé stessa. Fedele all’attesa di un mondo dal volto umano e di parole amiche che lei stessa ritagliava dai giornali e incollava in surreali collage, immagini ricavate nello spazio della costrizione, rime che l’hanno accompagnata nel tempo, fin sulle strade di Berlino come «la mia patria era / un seme di mela e tra / stella e falce / tu volgi la vela».
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Cultura e Spettacoli
Storie di letto Pubblicazioni In Un letto per due il sociologo francese Jean-Claude Kaufmann analizza tutte le implicazioni
previste (e non previste) dalla condivisione del talamo Mariarosa Mancuso Un catalogo di orrori. O un catalogo di tenerezze. Sta al pessimismo, all’ottimismo, al romanticismo, al cinismo del lettore scegliere quel che fa al caso suo. Certo è che Jean-Claude Kaufmann ha azzeccato un’altra volta l’argomento di studio, gettando luce su aspetti della vita quotidiana a cui raramente prestiamo attenzione. Nel caso in cui prestiamo attenzione, le trattiamo come faccende private che riguardano solo noi, buone al massimo per una chiacchierata tra amiche (i maschi, si sa, di queste cose non conversano). Ricordiamo ancora il primo incontro e il primo saggio, una ventina di anni fa. Titolo: Trame coniugali – Panni sporchi e rapporto di coppia. Panni sporchi da lavarsi in casa nel senso stretto della parola. Il fondatore – e primo praticante – della «microsociologia» sosteneva che la famiglia si forma con l’acquisto di una lavatrice. Non importa se la coppia sia sposata o convivente: è la decisione di lavare i panni in comune, e non più singolarmente, che fa la differenza. Quando l’unione è ancora incerta, ognuno lava la roba sua (i maschi, perlopiù, la portano dalla mamma, che riconsegna panni lavati e stirati; le femmine appendono calze e biancheria nel bagno, dopo il bucatino a mano). Altro titolo – un po’ più generico: Quando l’amore comincia – e altro mondo che si spalanca. La prima notte passata insieme a colui che potrebbe
diventare il fidanzato, il marito, l’uomo della vita, o invece restare al palo come uomo di un solo incontro. Vale anche a sessi scambiati, lavorate un po’ di fantasia (non possiamo scrivere tutto l’articolo punteggiandolo con le varianti e/o, e nemmeno vogliamo scrivere partner, che fa tanto socio d’affari). Chi chiede all’altro di restare, chi si sveglia prima, chi si sveglia dopo, chi prepara la colazione, chi si abbuffa e chi digiuna, chi segue per tenerezza, per amore o per educazione le abitudini altrui (che poi ti verranno attribuite, quando dopo mesi di costante frequentazione vorresti tornare alle tue abitudini, mica immaginavi che sarebbe durata tanto). Succede che qualche maschio, in queste circostanze, esca a comprare i croissant per la colazione (lo faceva anche il presidente Hollande per l’amante Julie Gayet, invece del cavallo bianco il motorino della scorta). L’abbiamo sempre considerata una gentile romanticheria, prima di leggere la pagina 67 dell’ultimo saggio di Jean-Claude Kaufmann. Intitolato Un letto per due, appena uscito da Raffaello Cortina Editore, racconta la tenera guerra che si scatena intorno al talamo. E a pagina 67, appunto, scopriamo che il gentile acquisto dei croissant non è così gentile come sembra, almeno in certi casi. Mentre lei pensa «Mio eroe, è uscito al freddo per sfamare la sua bella», lui confessa di essere uscito per un insopprimibile bisogno di libertà. Testuale: «Si era svegliato prima di
A letto: meglio soli che mal accompagnati? (Keystone)
lei e dopo un po’ era stato preso dalla noia; l’umidità del letto diventava appiccicosa, aveva voglia di sgranchirsi le gambe, e anche di snebbiarsi la testa. Aveva sentito il bisogno impellente di una fuga momentanea, per ritrovarsi solo con sé stesso, a riflettere su quel che stava succedendo». Questa è la situazione riportata dal microsociologo.
La testimonianza diretta peggiora le cose: «Come un bisogno d’aria. Fuori, non è così male, puoi respirare a pieni polmoni. E intanto fai il punto della situazione». Oltre ai croissant come presa di distanza – se non proprio come dichiarazione di guerra, è però sconsigliabile tirarli addosso a chi ve li offre nel sac-
chettino, magari aveva intenzioni serie o voleva davvero essere gentile – Un letto per due esamina tutti i modi di russare, di infastidirsi perché l’altro occupa entrambe le piazze, di reagire prendendo un cuscino e occupando la camera degli ospiti o il divano del salotto. Certifica tutte le posizioni che le coppie assumono quando dormono abbracciate, e anche tutti i modi di darsi la schiena: dal più innocuo al più bellicoso, da assumersi dopo un litigio. Registra la lotta per i cuscini e per le coperte, le donne che hanno sempre freddo e gli uomini che hanno sempre caldo. Jean-Claude Kaufmann non dà una spiegazione: prendetelo come articolo di fede. E aggiunge, perché lo hanno detto le signore intervistate, che gli uomini hanno un modo tutto particolare di creare un turbine gelido quando si infilano nel letto dopo di noi. Una volta c’era la tv, il miglior sonnifero mai inventato. Ora ci sono i computer e i tablet, che invece ci tengono svegli, e la negoziazione sul quando spegnere la luce prende strade inedite (il kindle, per esempio, disturba molto meno di uno schermo). Su una cosa tutti sembrano essere d’accordo. E sono le complicazioni del piumino, rispetto alle tradizionali lenzuola e coperte. Averne uno ciascuno pare brutto – quasi come dormire in camere separate. Potrebbe essere la soluzione, specialmente quando i coniugi non hanno più vent’anni. Eppure molti temono che sia l’inizio della fine, e che il divorzio attenda dietro l’angolo. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Magistrale ritratto di padre Meridiani e paralleli È uscito Dove troverete un altro padre come il mio della scrittrice italiana Rossana Campo Giovanni Orelli Normalmente, un titolo di libro come quello che fa da titolo qui sopra (Ponte alle Grazie, 2015, 13 euro), fa pensare a un libro di memorie. Generalmente questi libri sono fatti da persone che cominciano a invecchiare o che vecchie sono, irrimediabilmente. Sono, in genere, libri sui quali c’è poco da fidarsi: la bellezza dell’infanzia, i genitori a dir poco divini, e chi più balle ha più ne metta. Io, se posso fare un esempio mio, ho avuto genitori migliori di me: è una delle poche certezze che ho nel mezzo delle centinaia o migliaia di incertezze e insicurezze, dubbi che ho. E sono tra i fortunati! Raccomando di leggere il libro di Rossana Campo, intenso fin dalla prima pagina, poi cala forse un po’, molto bello nella seconda parte: libro da leggere per aprire un tantino gli occhi in più su cose che ci toccano da vicino. E da qui via cercherò di non dire la mia (come normalmente fa un recensore), ma citerò alcune frasi del libro della ammirevole Rossana Campo (e il brutto, per me, è che dovrei citare i nove decimi del libro). Proviamo. E sono alla prima pagina, la 9. Renato (il padre di Rossana) «un tipo sballato, inaffidabile, sicuramente simpatico, un grande narratore di storie e avventure (…) lo abbiamo sempre visto per quello che era, un essere tremendamente fragile, uno sbandato, iperemotivo, schizzato, a tratti anche matto (…) in fondo l’unica vera autentica passione della sua vita, l’unico punto
fermo quello a cui veramente ha tenuto fede fino all’ultimo è stata la bottiglia». Riduttivo? Peggio, ma giudichi il lettore pensando a come i figli giudichino, spesso, i genitori. Il libro, soprattutto nella sua parte migliore, correggerà, senza tradire la verità, senza incoraggiare l’inventiva, il ritratto iniziale, con la un po’ troppo disinvolta riduzione alla bottiglia. Continua la Campo (pp. 11 e 12) dopo che il padre è morto: «E anche la funzione funebre mi è sembrato che risentisse di quello che era successo prima davanti alla chiesa, tutto era un po’ anarchico e da ridere, il prete che doveva dire qualcosa su Renato, come si usa nelle messe funebri, e si capiva che non sapeva che pesci pigliare, e io mi dicevo, voglio vedere cosa dirà di un parrocchiano che non ha messo piede in chiesa neppure una volta in vita sua, voglio vedere cosa si inventa il prete. (…) Io mi ero detta – continua la Campo – che le cose vanno così, che la verità delle persone viene sempre abbellita, edulcorata, tenuta nascosta, che nessuno in fondo ha il coraggio di guardare le cose per quello che sono» (11 e 12). Il libro di Rossana Campo ha il coraggio di dire, tranquillamente ma coraggiosamente, come stanno le cose. Sulle cose di religione, per esempio. Se un tizio ammette che in lui sono l’attrazione per la bottiglia e la libido, come la mettiamo con la sentenza indiscutibile insegnata attraverso il catechismo: che Dio ci ha fatti a sua immagine e somiglianza?? Due punti almeno di do-
Rossana Campo regala ai lettori una indimenticabile figura di padre.
manda. O è questo un errore, una falsa deduzione? Ma lasciamo la questione religiosa. Il romanzo della Campo risponde a domande che si fanno sull’invecchiare. La narratrice dirà verso la fine del romanzo: «In pochi momenti, ho rivissuto tutto, ho risentito tutto quello che
ha significato per me e mio padre come padre. L’allegria, l’apertura, l’anarchia, la tenerezza, la forza di essere diversi, e mescolato a tutto questo, il suo rovescio, la paura, l’angoscia profonda di essere quello che eravamo, e di non essere come gli altri, di non stare dalla parte dei normali. Di quelli che hanno un
vero lavoro e non lo perdono, di quelli che non fanno debiti coi negozianti. Che non portano i figli nelle bettole che odorano di fumo, di vecchi e di piscio (pp. 142-143)». Per tornare alle prime pagine, per es. alla 17: «Concetta (la moglie del protagonista Renato) è in ansia, vorrebbe vedermi inserita nel paese, vorrebbe sentirmi parlare con la lingua dei visi pallidi, vorrebbe che ci tramutassimo in settentrionali anche noi (…) quando stiamo arrivando noi meridionali quelli della Bassa Italia; (…) i terroni». A p. 64 dice la narratrice, alludendo al padre: «A me piacerebbe seguirlo ma quando la mamma è incazzata mi dice che non ho il permesso, che tanto mi porta solo per bettole dove ci stanno i suoi compagni debosciati, le zoccole (= le puttane) e compagnia bella. Un giorno dico a mia madre: Ma’, ma perché non fai pure tu la zoccola (…)». La storia (l’unione eccetera) di Concetta e Renato si fa molto viva nella seconda parte del romanzo. Come avrà fatto Renato, il bevitore, a capirsi subito con Concetta? Della vita di uno al quale tantissimi darebbero un tre in condotta vengono anche risposte come questa «E imparate a godervela un po’ sta cazzo di vita! (106)». Dirà la figlia: «nei racconti che mi faceva della sua infanzia, non ho mai saputo quanto ci fosse di verità e quanto d’invenzione, sicuramente erano buoni racconti, che mi accendevano l’immaginazione e piazzavano lui e tutto il suo popolo di amici e compari di avventure in una luce di leggenda (117)».
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Alvi, il riscrittore Editoria Nuova (ma solo in minima parte) serie di profili di uomini
Un Olocausto inedito
illustri dell’economista e scrittore Geminello Alvi
Filmselezione Il Gran Premio di Cannes
che molti avrebbero voluto Palma d’Oro Stefano Vassere «Mentre l’attrice, nordica ma avvinazzata, urlava offesa dalle luci insufficienti, un macchinista solenne le reggeva sulla testa l’asta di una lampada. Finché non le bastò solo d’urlare; si girò furiosa, urtando il reggitore d’asta che rovinò addosso a un reclutatore di comparse. Ne seguì un ondeggiare generale: e quel set di un film parve zattera ricolma di pazzi al culmine di un’onda». Geminello Alvi è economista ma è anche scrittore dallo stile molto ricercato, specializzato in fulminee e stupende schede-ritratto biografiche. Come in questo nuovo Eccentrici appena pubblicato nella Piccola biblioteca Adelphi, dove vent’anni fa era uscito il fratello Uomini del Novecento. Una quarantina di testi dedicati ad attori, ciclisti, lottatori, uomini di lettere, pugili, vari temerari: da Carlo Lorenzini. Il Collodi a Geronimo. Capo indiano; da Pancho Villa. Generale poligamo a Hans Christian Andersen. Ispirato; da Oliver Hardy. Socio di Stanlio a Emilio Salgari. Orientale. Le immagini sono, detto, vivide e rese con imperiale padronanza di lingua, più da scrittore che da economista. Come nel caso esemplare della fine della scheda su Zeppelin: «Non gli restò che il dovere di morire, gesto compiuto nel ’17 quando un altro sogno folle, quello della guerra sottomarina, rovinò la Germania. I tedeschi abbisognano del sogno sensorio e dell’abisso, forse altrimenti avrebbero vinto tutte le guerre». O come con l’attore Cary Grant, che stabilisce
un età massima del personaggio Cary Grant e decide, a cinquant’anni, che non era il caso di invecchiare sullo schermo. Oppure ancora la rassegna degli avversari del lottatore italiano Giovanni Raicevich: «Mustapha Kara, terrifico lottatore del sultano turco», «il bulgaro Petroff», il francese Paul Pons che, pur combattendo con altrimenti ridicoli pantaloni alla zuava, «emanava una brutalità congenita che non aveva bisogno di essere eccitata», o «il gigante nero della Martinica Anglio Anastase». Il Carlo Lorenzini, Collodi, di Alvi fatica a dormire, la sera in cui, bambino,
la madre lo ha rimproverato. E scivola involontariamente in un sogno dove alla fatina turchese che è morta e che «aspetta la bara che venga a portarmi via» viene il viso della madre stessa, sul quale il poverino appoggia i palmi delle mani e piange e chiede che non muoia così, la mamma e fatina. E la contentezza del figlio-burattino è tale e tanta nell’accorgersi che no, lei rimarrà ancora con lui; la scena sarà reiterata più e più volte, nella vita del figlio con la madre; e le parole di quella morte e rinascita ancora risuonano nelle camerette, accanto ai letti di bambini felici. Alla fine di questo bel libro, può capitare di essere assaliti da un sospetto fastidioso, volare tra i cari scaffali della libreria di casa e sfilare, dello stesso Geminello, il caro Vite fuori dal mondo, editore Mondadori, quindici anni fa. E lì accorgersi tosto che dei quarantadue ritratti di questi Eccentrici vicino a quaranta stanno già pari pari in quell’antico Vite e che anche i testi di risvolti e copertine paiono echeggiarsi paurosamente. Là muoveva a commozione un Primo Carnera. Gigante buono, qui rimosso; e qui, a occhio, sembrano inediti Ferdinand von Zeppelin. Navigatore e il testo su Pellegrino Artusi. Editorialmente, l’operazione non è dichiarata e quindi è discutibile. L’essere arrivati fino in fondo a questa ripresa e non essersene accorti parla comunque bene per la freschezza di questi testi; ma chi ama lo stile di Geminello Alvi non può che riconoscerne il giochino e rimpiangere i tredici euri investiti.
Fabio Fumagalli ***(*) Il figlio di Saul, di Lazlo Nemes,
con Géza Röhrig, Levente Molnar, Urs Rechn (Ungheria 2015) Protagonista sensazionale all’ultimo festival di Cannes, Il figlio di Saul è uno dei film più necessari e originali dell’anno. Al suo primo lungometraggio, l’ungherese Laszlo Nemes non solo si assume i rischi della difficilissima e spesso contestata rappresentazione in fiction dell’orrore, ritenuto infilmabile, della «Soluzione Finale». Ma riesce a portare innovazione all’interno di quel cerchio delicato che ha «romanzato» il genocidio (La lista di Schindler di Spielberg, Kapo, di Pontecorvo o La vita è bella di Benigni), esaltandolo con una scelta di linguaggio per molti aspetti straordinaria. Nessuno aveva finora ricostruito la Shoah in questo modo. Ebreo ungherese, Saul appartiene al Sonderkommando di Auschwitz, il gruppo di prigionieri costretti a collaborare con i nazisti al funzionamento dell’indicibile operazione di sterminio, prima di essere a loro volta eliminati. Per sopravvivere, a Saul non rimane che non vedere, non udire, non percepire. Fino al giorno in cui in un bambino scoprirà ancora un respiro: lo prenderà per suo figlio, per salvarlo non fosse che dalle fiamme, grazie a una sepoltura decente. Come ogni rappresentazione del male assoluto, Il figlio di Saul richiede allo spettatore lo sforzo di rinunciare per
un attimo alla propria confortevole quotidianità. E proprio il primo pregio del film consiste nel sollecitare la consapevolezza dello spettatore, mai la sua paura, forse nemmeno il suo fastidio. Ed ecco dunque un film al tempo stesso etico ed estetico. Nemes non ricorre mai alle sollecitazioni formali, alla brutalità dello spettacolo, ma alla coscienza. Sebbene inserito in un contesto storico rispettato e noto, il protagonista sembra galleggiare in un oceano di follia. Una disumanità immediata, poiché fisicamente percepibile, alimentata dal ricorso alla finzione, alla progressione di una «storia»; e quindi sempre debitrice del realismo insito nel fotogramma cinematografico. La disumanità è però anche eterna, in quanto resa quasi astratta e soprannaturale. L’ungherese allievo di Bela Tarr si è occupato dapprima della costruzione degli sfondi, per lasciarli poi nel non-detto di una zona d’ombra, costantemente sfocata, o fuori campo, appena intuibile. Si è quindi incollato con la cinepresa a spalla al protagonista, in piani sequenza e un unico obiettivo, all’interno del formato storico 1.33. Alla fine lascia finalmente ai suoni d’ambiente e alle urla il compito di trattenerci all’interno del girone infernale. Nella sua progressione non più soltanto iperrealista, prima di un bellissimo finale liberatorio, il film cade forse in qualche stasi narrativa; ma il lavoro nella memoria degli spettatori si è ormai compiuto per sempre. Annuncio pubblicitario
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Immagini divine Mostre In mostra ad Ascona il capolavoro dantesco illustrato da Amos Nattini Alessia Brughera Dante Alighieri nacque 750 anni fa. Il suo genio letterario lo ha destinato a imperitura memoria dando vita a quella Comedìa (l’aggettivo «divina» le venne accostato in seguito da Giovanni Boccaccio) che è una delle espressioni più alte della cultura mondiale. Un’opera che non ha mai smesso di ammaliare e coinvolgere, perché sintesi e apoteosi del cammino dell’animo umano. Da secoli questo poema esercita una profonda influenza sugli artisti, desiderosi di tradurre in immagini visive le potenti scene che vi sono descritte. Ed è soprattutto tra Ottocento e Novecento che si assiste a un revival dantesco, momento in cui la Divina Commedia diventa prediletta fonte di ispirazione per molti di loro. Il Museo Comunale d’Arte Moderna di Ascona, proprio in occasione delle celebrazioni per l’anniversario della nascita del «Sommo Poeta», ripercorre con una mostra il ritorno in auge del culto di Dante tra la fine del XIX e gli anni Quaranta del XX secolo. Lo fa attraverso alcune opere che hanno reso omaggio al grande scrittore interpretando con moderna sensibilità il suo capolavoro letterario. Fulcro della rassegna sono le litografie a colori dell’edizione della Divina Commedia illustrata dal pittore genovese Amos Nattini, un’impresa titanica che lo occupò dal 1912 al 1941 e che andò a incarnare il sogno di realizzare un monumento ideale all’Alighieri. Le tavole che troviamo esposte (presentate qui per la prima volta al pubblico) appartengono alla collezione Pancaldi di Ascona e sono affiancate da acquarelli e disegni preparatori originali, di fondamentale importanza per capire meglio l’evolversi stilistico dell’opera – che proprio per la sua lunga ed elaborata esecuzione si presenta piuttosto eclettica – e per seguire il metodo di lavoro dell’artista fino al graduale definirsi della pubblicazione in tre grandi tomi, uno per ogni cantica. Una pubblicazione che andava a concretizzare quello che già dal principio
dell’impresa era l’obiettivo di Nattini e dei suoi collaboratori (primo fra tutti il giornalista Francesco Maria Zandrino da cui l’idea era partita): un’edizione a stampa che fosse preziosa e, soprattutto, imponente. Non a caso vengono realizzati anche diversi modelli di contenitore con leggìo, concepiti come parte integrante del progetto editoriale per sostenere i volumi di quasi trenta chili l’uno e affidati alla creatività di abili artigiani e di celebri architetti (bello, in mostra, quello dell’ebanista Eugenio Quarti). Assiduo frequentatore dei salotti culturali e amico di molti scrittori, Nattini si avvicina con la sua arte alla letteratura già nel 1911, quando, appena diciannovenne, esegue in un elegante stile liberty le illustrazioni per le Canzoni delle Gesta d’Oltremare di Gabriele D’Annunzio. E proprio «il Vate» sarà uno dei suoi più tenaci sostenitori nell’eroico impegno di dar vita alle cento raffigurazioni della Divina Commedia. Il confronto poi con altri artisti permette a Nattini di maturare il suo linguaggio, da una parte rivolto ai nomi eccellenti del passato, dall’altra attento alle modalità espressive del Simbolismo e del Divisionismo. Un duplice sguardo, questo, che si sviluppa nello stimolante clima della sua formazione agli inizi del Novecento, e che nell’esposizione di Ascona ben si coglie nella sezione che raduna alcune opere di maestri con cui Nattini entrò in contatto, come ad esempio Giulio Aristide Sartorio o Guido Marussig. Le litografie dantesche sono ognuna ispirata a un canto del poema, interpretato dall’artista senza farsicondizionaredaiconografieconvenzionali, lasciando invece che a guidarne la realizzazione fosse un pensiero libero e fantasioso. Ne nascono immagini dalle ambientazioni oniriche e dai paesaggi rarefatti, popolate da personaggi dalla marcata fisicità che denotano la propensione di Nattini per una resa anatomica accentuata, di matrice michelangiolesca, unita alla ricerca dell’armonia e della perfezione di stampo classico.
rasserenanti del viaggio ultraterreno di Dante. Altre opere ci aiutano poi ad avere un panoramica più completa del contesto culturale caratterizzato dall’interesse per la Divina Commedia. Tra queste ci sono le tavole originali del celebre progetto del Danteum, edificio commissionato nel 1938 a Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni dallo stesso finanziatore delle illustrazioni di Nattini per essere eretto lungo Via dei Fori Imperiali a Roma. La struttura aveva l’ambizione di tradurre in una forma architettonica dalle linee razionaliste il significato dei versi del poema, con una disposizione degli ambienti lungo un percorso ascendente in cui la luce giocava un ruolo fondamentale. Anche se il progetto non trovò compimento, rimane una testimonianza importante di un momento storico che, seppur intaccato dalle strumentalizzazioni del fascismo, aveva ritrovato in Dante un modello da riproporre con rinnovata energia. Da segnalare l’allestimento, molto riuscito, elaborato dagli studenti dell’Accademia di architettura di Mendrisio: fatto di soluzioni originali all’insegna della leggerezza, crea un percorso fluido capace di raccordare bene tra loro le varie sezioni e di valorizzare le opere. Dove e quando
Amos Nattini, Inferno, Canto XVII, 1931-41, litografia. (Eredi Guido Pancaldi, Ascona)
Personaggi che sono in continuo movimento, con i loro corpi atletici e ben proporzionati raffigurati nelle posizioni più disparate, soprattutto nella cantica infernale, dove un uso sapiente della prospettiva ci porta a osservare dall’alto la miserabile condizione dei dannati. Li vediamo ripresi da uno scorcio ardito, come nella litografia che illustra la scena del canto XXII dell’Inferno, in cui i peccatori vengono gher-
miti dal diavolo Graffiacane, oppure colti in posture che distendono la loro corporeità, come nella tavola che descrive gli atterriti colpevoli nel girone dei «violenti contro Dio» mentre tentano di schermarsi dalle fiamme e dalla sabbia. Un immaginifico repertorio di visioni suggestive quello di Nattini, capace di trasportarci nelle atmosfere ora grevi e spaventose, ora mistiche e
Amos Nattini e la Divina Commedia figurata tra le due guerre. Arte, architettura e lettere in dialogo. Museo Comunale d’Arte Moderna, Ascona. Fino al 30 dicembre 2015. A cura di Mara Folini Ceccarelli, Carla Mazzarelli, Irina Emelianova. Orari: ma-sa 10.00-12.00/15.00-18.00, do e festivi 10.30-12.30, lu chiuso. www. museoascona.ch In collaborazione con
Cambiare per lasciare le cose come sono Trasposizioni La cura dei dettagli. Si potrebbe riassumere in questo concetto il lavoro di Luchino Visconti
ne Il gattopardo (1963) tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1958)
Nicola Mazzi Siamo in Sicilia (verso il 1860), c’è fermento sull’isola, i garibaldini stanno sbarcando. La nobiltà, che fino ad allora aveva regnato rappresentata dal Principe Fabrizio di Salina, sente che qualcosa sta cambiando. Un cambiamento portato da don Calogero Sedara, un intraprendente borghese che si sta arricchendo, e dalla figlia Angelica. La rivoluzione sarà suggellata dal matrimonio della stessa ragazza con il nipote di don Fabrizio: Tancredi. Ma veniamo al confronto tra film e romanzo. In molte sue pellicole, ma in particolare in questa (palma d’oro a Cannes), Visconti ebbe un’attenzione al limite (e forse anche oltre) del maniacale, per tutto ciò che c’era all’interno della scena, ma anche per quello che invece non c’era. Per esempio, tra i suoi vezzi, in molti si ricordano che era solito riempire cassetti e armadi di autentici oggetti d’epoca. Cassetti e armadi che non sarebbero mai stati aperti, ma che gli attori e gli spettatori avrebbero recepito come vuoti se davvero lo fossero stati, spiegava a chi gliene chiedesse il motivo. E i dettagli vanno a braccetto con
Claudia Cardinale e Burt Lancaster nella famosa scena del ballo. (Wikimedia)
l’originalità. Perciò non è assolutamente strano che in una delle prime scene del film la camera riesca a filmare il vento. Uno dei pochi (con Michelangelo Antonioni) che sia riuscito a imprimere sulla pellicola la forza e la fragilità di un elemento naturale e invisibile come il vento. Infatti, dopo
essere entrata nella villa del Principe di Salina attraverso le finestre; dopo aver filmato la famiglia intenta a recitare il rosario e aver ricevuto la notizia dello sbarco di Garibaldi in Sicilia, la stessa camera se ne torna fuori dalle grandi vetrate del palazzo, passando tra le immense tende bianche mosse dall’aria e soprattutto tornando a ossigenarsi con il vento caldo della campagna sicula. L’importanza dei dettagli non è tipica solo del regista. Anche Tomasi di Lampedusa (Premio Strega nel 1959 per quest’opera e più di un milione di copie vendute) fu un autore preciso, attento e sensibile, dallo stile raffinato e scorrevole. Lo scrittore nascose l’opera sotto uno strato di apparente storicità, ma in realtà era molto più interessato alla psicologia dei personaggi, all’introspezione. E in questo senso il Risorgimento italiano è lo sfondo ideale per analizzare un cambiamento epocale rappresentato da un uomo – come il Principe di Salina – ancorato saldamente alle tradizioni, ma che allo stesso tempo intuisce l’arrivo del cambiamento. La psicologia dei personaggi narrati nel libro si esplicita bene nella stessa cura dei dettagli che ebbe Visconti nel film. Ed emerge in alcune
descrizioni molto particolareggiate. Per esempio all’inizio del romanzo quando Don Fabrizio viene disegnato in questo modo: «le dita che sanno accartocciare come carta velina le monete di un ducato; e fra villa Salina e la bottega di un orefice era un frequente andirivieni per la riparazione di forchette e cucchiai che la sua contenuta ira, a tavola, gli faceva spesso piegare in cerchio. Quelle dita, d’altronde, sapevano anche essere di tocco delicatissimo nel carezzare e maneggiare». Un ritratto di un uomo forte, vigoroso, ma all’occorrenza anche sensibile. Un carattere trasportato sullo schermo molto bene da Burt Lancaster. Tra le varie scene, in cui emerge questa sua ambivalenza, ci piace ricordare quella dove il principe e la principessa si coricano. Lui, dopo un violento attacco d’ira, si accorge di aver esagerato e, prima di addormentarsi, dà un tenero bacio sulla fronte alla consorte. Piccoli ma significativi gesti che caratterizzano il suo comportamento, la sua psicologia. A livello generale Visconti restò piuttosto fedele al racconto. Anche se, come fece Kubrick con Lolita, ne utilizzò solo una parte. Il regista si concentrò su un lasso di tempo più breve
del libro (e cioè dal 1860 al 1862) tralasciando le vicende conclusive che sono ambientate negli anni seguenti e si concludono nel 1910. Soprattutto non viene descritta – come invece fece Tomasi di Lampedusa – la morte del Principe. Il regista si concentrò su alcuni eventi come il famoso ballo conclusivo. In quella lunga sequenza, tra le più note della storia del cinema e che occupa quasi un terzo della pellicola, c’è tutta la poetica viscontiana e soprattutto il tema dell’invecchiamento. Visconti, infatti, non seguì il declino del Principe né lo guardò morire, preferendo suggerire gli eventi futuri. E allora si fermò appunto a quel ballo che racchiude in sé la vita, l’amore e la morte. Una scena, tra le mille, ci sembra significativa. A un certo punto e dopo diverse danze con la bellissima Angelica-Claudia Cardinale, il principe si riposa stanco. Si guarda in uno specchio, si vede triste e sul suo viso si disegna una lacrima. In quel preciso istante capisce che la sua fine, ma non solo, non è lontana. E ciò nonostante la celebre frase pronunciata dal nipote Tancredi qualche tempo prima: «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi».
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Lugano e ritorno Il sole radente del mattino, si scende dal postale, il martellare sonoro che viene dalla stazione vicinissima. Il ragazzo che mi sbirciava ad ogni curva sta allontanandosi a malincuore. Ho un sospiro. – Cos’hai? – Niente! Ho intanto incurvato un po’ le spalle, per non fare «la sfacciata». Lei non vuole che mostri troppo i miei seni promettenti. Il ragazzo è scomparso. Mi soffermo accanto al parafango impolverato, lo sguardo sul grosso faro ritto accanto alle fessure che emanano il caldo del motore. – Cos’hai ? – Niente ! Già si dirige verso la biglietteria. Dentro c’è la fila. Mi metto vicino allo sportello e c’è già chi crede voglia barare. Una vecchia fatica a contare gli spiccioli e sono già ventate d’impazienza. L’ impiegato è un giovane dai capelli ricci, troppo grasso per la sua età. Sudaticcio già a quest’ora, le unghie tagliate cortissime. Chissà cosa ci fa se no, di quei polpastrelli… Toglie man mano i cartoncini prestampati dalle caselle e ci imprime la data. Finalmente il suo turno. Mi accosto a lei. – Lugano, andata e ritorno. Una piazza e mezza! Non ha più biglietti da mezza piazza e ne taglia uno intero con le forbici. Ai binari ci tengono indietro perché sta per passare il merci. Da lontano la Coccodrillo sembra arrancare.
Si va a comprarmi le scarpe. Comprerà quelle che vuole lei. Ho un sospiro. – Cos’hai? – Niente. Avevi poi davvero comprato quelle che avevi voluto tu, vesciche comprese… Non te ne voglio, però. Altre cose mi sono state ben più dolorose, nella mia vita… Hai fatto tanto, per noi… Hai fatto tutto… Anche la puttana? Una parola dai contorni sfocati, come «amore»… Cosa dire… Dove comincia, dove finisce l’arcobaleno… Non hai più voluto legarti e ti capisco. E poi, non sono stati così tanti, i tuoi uomini, ma abbastanza perché ci fosse qualcuno che non ti voleva più in processione. Prevalse l’amore cristiano, quello vero. Cosa ricordo, dei tuoi uomini… C’era Matteo, sempre distinto, quasi signorile… Luciano era bello. Tanto che con lui feci la villana. Afferrasti il perché e non venne più. Poi smettemmo di badarci, Nicla e io, perché cominciammo ad avere i nostri. Lei ha sempre saputo ciò che voleva. Stamattina è venuta con la Maserati. Il mio primo vero grande, eterno Amore fu Silvio. Ti avevo dato un dispiacere, per causa sua… Rivivo come allora il tuo addolorato risentimento. Mi pare ancora di vederti, di sentirti…
– Ti vergogni della nostra casa! Il peggio è che è vero. – No, mamma, è solo che… che lui abita in città… – E allora? Sotto la stizza, la pena. – È… È solo che… – Cosa ha lui, che non abbiamo? Il cesso, l’acqua calda, la luce dappertutto… Povero Gino! – Vedi… lui abita in appartamento a centro città… – E allora? Solo la televisione non ce l’abbiamo ancora, ma abbiamo la presa! – Sì, mamma… Ho abbassato lo sguardo sulle mattonelle in cotto della cucina, proprio dove sono più consunte… – Perché lo fai venire, allora? Dio sa quanto ho tentato di tenerlo lontano. – È lui, che vuole vedere dove vivo, conoscerti… – Dimmelo, che non sono bella abbastanza ! – Non dire scemate, mamma. È solo che potresti essere ancora più bella! – Non mi farai mai mettere addosso quello straccetto, non mi lascerò mai impiastrare la faccia! Indossasti lo straccetto, ti lasciasti impiastrare il volto da me. Ebbi ragione. Più della casa, fosti tu ad attirare gli sguardi di Silvio. – Vedere lei è una garanzia per il tuo avvenire – mi disse poi. Non aspettammo tanto… Meno di un anno. – Colpa del destino – convenimmo per non litigare.
Il fallimento del mio primo amore mi rese comprensiva verso i tuoi, ma fu anche perché ero ormai matura per partire. – Era ora che ti decidevi! Ferita nel mio amore di figlia. Ora so però che avevi il cuore pesante. Solo che ti piaceva fare la dura. Nicla, invece, dura lo è davvero. Hai anche sempre cercato di vivere come se la morte non esistesse. Troppo occupata a tener dietro alla vita. Ora però ti senti indifesa di fronte all’evidenza. Quella che mi hai offerto è molto più di una mano e mi accorgo di aver cercato l’intreccio delle dita. Si è mossa, apre d’improvviso gli occhi. Mi guarda come se non avesse mai smesso di farlo. Si volge verso di me, mi sorride. Ora sembra quella di sempre, cavetti e tubicini che paion di troppo. Fino a quando? – Sono così contenta che ci sei Roberta! Tu sei la più buona di tutte! – Non mi fai di sicuro un complimento, mamma! – Perché? – Perché! Guardaci! Nicla e me! Guardaci! Chi è la cogliona? – Siete solo diverse. – Diverse! Perché non hai mai voluto dirmi che sono la figlia del cuculo? Ha un sospiro. C’è voluto tutto questo, per cavarle almeno quello. – È stato per il tuo bene! – Non è stato affatto, il mio bene! Mi sono sempre sentita mezza a sbalzo! – Non hai mai immaginato di come sarebbe davvero stato se no? A sbalzo tutta… Detta così, suona brutale.
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Il racconto Nei meandri di una storia famigliare – Parte seconda
Ho chinato il capo senza volerlo, ma lei ha già capito di aver vinto. – L’ho conosciuto, almeno? Socchiude le labbra, poi le serra. – Matteo? Un po’ di speranza. Lei assorta, per dare un viso a Matteo, ma intanto scuote il capo. – Gino. Mi sento cadere sul duro. – Dovevo immaginarmelo! Ora capisco molte cose! – Perché dici così, Roberta? – Perché dovevi lasciar stare Gino e farmi come Nicla, ecco il perché! – Cosa ne sai? Hai già provato a essere lei? Cosa ne so! Davvero, cosa ne so… La guardo. Ha le lacrime agli occhi… Le prime che le vedo in vita sua. Me la trovo d’improvviso stretta tra le braccia. Cavetti o no, tubicini o no. Ho le lacrime anch’io, ma le mie sono le solite. / © Romano Lorini Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Woody e la comica irriverenza Anniversari Woody Allen compirà presto 80 anni, ma la vera notizia è che ha trascorso
più della metà della sua vita a fare ridere il mondo intero Giovanni Medolago Il prossimo sabato, 5 dicembre, Woody Allen compie 80 anni. Quale regalo scegliere? Il solito ricordo – più o meno agiografico – di una carriera? No, troppo lunga, variegata, ricca di capolavori ma anche di tonfi, artistici e privati, per essere riassunta qui. Siamo poi certi che il vecchio Woody preferisca festeggiare con un sorriso, e dunque gustatevi questa mini antologia delle sue battute. Quelle più celebri? No, quelle le conoscete già! Dovrei sposare R.? No, se non mi dirà le altre lettere del suo nome. E la sua carriera? Come potrei chiedere a una persona così squisita di rinunciare al campionato di lotta libera nel fango? No, meglio una bella rottura. Anche perché lei non capisce i miei scritti: ieri sera ha detto che la mia Critica della realtà metafisica le ricordava Grand Hotel. Abbiamo litigato e lei ha di nuovo tirato in ballo l’argomento bambini, ma io l’ho convinta che sarebbero troppo giovani. Sono stato espulso dalla Facoltà di Filosofia. M’hanno beccato che sbirciavo nell’anima del mio vicino di banco svolgendo il tema Metafisica & Realtà. Quando sono stato fulminato dalla filosofia? Leggendo Kant e la sua Critica della Ragion Pura. Ho subito sentito, d’istinto, d’aver nella testa quello che sarebbe diventato il mio primo bestseller: Critica del torto marcio.
Il frean è un mostro marino col corpo di un granchio e la testa di un ragioniere. Mentre lo snoll è una lucertola con 400 occhi: 200 per vedere da lontano e 200 per leggere. Infine il roe, animale mitologico con la testa di un leone e il corpo di un leone, ma non necessariamente dello stesso leone. L’apparizione di un roe porta sfiga: di solito precede una carestia o l’invito a un cocktailparty.
Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino LuganoInScena Molière: la recita di Versailles con Paolo Rossi Lugano, LAC 1° dicembre 2015, ore 20.30 www.luganolac.ch
Da bambino volevo un cane, ma i miei erano poveri. Sicché mi regalarono una formica. Quand’ero piccolo, i miei genitori hanno cambiato casa una decina di volte. Ma io sono sempre riuscito a trovarli. Boris Grouchenko sta seppellendo una fila di cadaveri, dopo che la sua Russia è stata sconfitta dai Francesi. Passa un pope: «Coraggio Boris, Dio è dalla nostra parte per fortuna, sennò poteva finire molto peggio». «Sì, poteva piovere». «Boris Grouchenko, sei il migliore amante che abbia mai incontrato…» «Davvero… beh ecco… io… io mi esercito molto da solo». Ringrazio Dio di non avermi creato femmina: avrei passato tutto il giorno a toccarmi le tette. Il sesso è come il bridge: se non hai un buon partner, devi avere una buona mano.
Agenda dal30 novembre al 6 dicembre 2015
«Credo di essere metà santa e metà vacca». «Scelgo la metà che dà il latte». Stavamo facendo l’amore quando si è verificata una strana illusione ottica: sembrava quasi che lei si fosse mossa. Lei: «Lo sai cos’è l’invidia del pene?» «Se lo so?!? Sono uno dei pochissimi uomini che ne soffre». Parità fra i sessi significa che ce l’avremo lungo tutti uguale? Il sesso è la cosa più divertente che ho fatto senza ridere. Non è la quantità dei vostri atti sessuali che conta, ma la qualità. D’altra parte, se la quantità è meno di una volta in 6 o 7 mesi… io una guardata me la farei dare.
Avevo una ragazza e dovevamo sposarci, ma c’era un conflitto religioso. Lei era atea e io agnostico: non sapevamo senza quale religione educare i figli. Dio ha detto agli Ebrei: Voi siete il popolo eletto. Mmh, a mio parere, oggi, c’è bisogno di un ballottaggio. Una volta un tizio mi scagliò una Bibbia sul cuore. Per fortuna avevo nel taschino una pallottola d’oro, regalo di mamma, e così ebbi salva la vita. Camminavo attraverso i boschi pensando a Gesù. Se era falegname, mi chiedevo, a quanto metteva gli scaffali? Non sono quei sei milioni di morti che mi preoccupano, sapete… Il fatto è che i record sono fatti per essere migliorati.
Mostre Cluster Lugano, Sonnenstube 4 dicembre 2015 – 14 gennaio 2016 www.diesonnenstube.ch Tra Jazz e nuove musiche Anouar Brahem / Souvenance Lugano Besso, Auditorio RSI 4 dicembre 2015, ore 20.30 www.rsi.ch Rassegna Raclette Larytta (band CH) Lugano , Studio Foce 4 dicembre 2015, ore 21.30 www.foce.ch
Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Panettone e gianduia, per caso un’accoppiata vincente Gianduia (anche gianduja) è il nome di un impasto nato in Piemonte attorno al 1800, ma anche una maschera popolare torinese. Il gianduia forse più noto, quello che si mangia, è stato creato dai pasticceri torinesi per sostituire una parte del costosissimo cacao con la più economica nocciola, di cui la regione poteva disporre in grandi quantità. Napoleone, con il blocco economico dell’industria britannica e delle sue colonie in vigore fino al 1813, aveva infatti trasformato il cacao in un alimento prezioso. Per la produzione del gianduia si utilizzano quindi anche le nocciole (originariamente della varietà Tonda gentile delle Langhe), che rimpiazzano in parte (in alcuni casi completamente) il cacao e che vengono macinate finemente e poi tostate, ottenendo un impasto soffice. Famoso è il gianduiotto, il primo cioccolatino incartato, presentato in occasione del carnevale del 1865 e distribuito dalla maschera popolare di Torino, Gianduja, da cui deriva il nome dell’impasto. Oggi il gianduia si gusta anche in tavolette, in crema e come ripieno di altre preparazioni dolciarie, tra cui anche il Panettone della pasticceria Dolce Monaco di Losone. Per la sua produzione l’azienda ticinese utilizza ingredienti selezionati e di qualità, che conferiscono al dolce di Natale per eccellenza un gusto particolarmente apprezzabile, con un mix di sapori in perfetta armonia. Farina bianca, burro d’alpe, lievito madre, tuorlo d’uovo, zucchero, miele, sale, vaniglia, mandorle e naturalmente il gianduia, ossia nocciole e zucchero tostati a una temperatura di 180°, sono gli artefici del successo, a cui si aggiunge la mano dei pasticceri. «Questo panettone rappresenta più o meno un sesto della nostra produzione, ossia circa 800 chilogrammi all’anno», racconta Marzio Monaco, fondatore nel 2000 dell’azienda locarnese e ideatore della ricetta. Fu infatti lui che, durante un corso di pasticceria, lo inventò: «È nato quasi per errore: la ricetta è frutto del caso, quando, durante la preparazione di cioccolatini, mi ritrovai con un gianduia indurito, quindi non più adatto allo scopo». Per poterlo utilizzare Marzio Monaco escogitò un impasto nuovo e, dopo i dovuti perfezionamenti, il panettone prese forme e contenuti attuali, con la presenza di pezzetti di gianduia nell’impasto. Oggi è un prodotto confermato e apprezzato, presente anche nelle filiali di Migros Ticino e per il quale il titolare tiene a ringraziare il suo team che, con impegno, contribuisce all’ottima riuscita. / Elia Stampanoni
Flavia Leuenberger
Natale Migros Ticino propone un dolce festivo originale prodotto dalla pasticceria Dolce Monaco di Losone
Dolce Monaco Panettone Gianduja 500 g Fr. 19.50
Le altre specialità natalizie regionali:
Buletti Pandoro 500 g Fr. 18.–
Buletti Panettone 500 g Fr. 16.90 / 1 kg Fr. 29.90
Piffaretti Panettone 500 g Fr. 16.–
Poncini Triestina al cioccolato 500 g Fr. 19.50
Cuoco Panettone ai marroni 500 g Fr. 19.–
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Idee e acquisti per la settimana
Magnifici alberi di Natale da addobbare a piacere Attualità Nei Do it + Garden e nei maggiori reparti
fiori Migros trovate abeti Nordmann di diverse grandezze in vaso o recisi
Un albero di Natale addobbato in modo scintillante non può mancare nel periodo delle festività. A questo scopo l’abete Nordmann rimane il preferito in Svizzera, albero che è apprezzato per i suoi begli aghi verdi densi, regolari e setosi, nonché per il fatto che non li perde. L’albero prende il nome dal botanico finlandese Alexander von Nordmann (1803-1866), il quale lo scoprì durante una spedizione nel Caucaso. Con le giuste cure l’abete Nordmann potrà durare particolarmente a lungo. Se acquistato reciso, tenetelo in un secchio riempito d’acqua e portatelo all’interno solamente poco prima di decorarlo. Affinché rimanga fresco per più settimane, è bene utilizzare l’apposito piedistallo provvisto di serbatoio d’acqua, da rabboccare regolarmente quando il livello scende. Se invece l’albero è stato acquistato in vaso con le proprie radici, accertarsi che la
terra rimanga umida, ma evitare i ristagni nel sottovaso. Al termine del periodo natalizio, se è rimasto in buone condizioni, può essere trapiantato in giardino. È importante anche prestare attenzione alle decorazioni per non rovinare l’abete: preferire ghirlande di luci LED a bassa produzione di calore ed evitare gli addobbi troppo pesanti che potrebbero spezzarne i rami. Alcuni consigli per gli addobbi: collocare le bocce più grandi vicino al tronco e le più piccole all’esterno. Le bocce più eleganti attirano subito l’attenzione se posizionate all’altezza dello sguardo. Particolarmente graziosi sono gli abbinamenti tra bocce luccicanti e pigne naturali, oppure bocce di vetro piccole e grandi riunite a grappolo. Decorazioni della stessa tonalità creano un effetto molto suggestivo, per esempio diverse tonalità di rosso regalano un’atmosfera calda e seducente che fa subito «Natale».
Un pane del mese sostanzioso Il panettone della Jowa da acquistare appena sfornato
Treccia al burro ai 3 cereali 500 g Fr. 3.70
Flavia Leuenberger
La treccia al burro ai 3 cereali è il pane protagonista durante il mese di dicembre presso i reparti panetteria di Migros Ticino. La rustica specialità è preparata dagli esperti panettieri della Jowa di S. Antonino con l’utilizzo di farina scura di frumento, segale e spelta. Intrecciata delicatamente a mano, contiene altresì ben il 9% di burro, aspetto che le conferisce un aroma e una morbidezza inconfondibili. Grazie alle sue caratteristiche, questa specialità si sposa a meraviglia fresca con burro e confettura oppure, leggermente tostata, non disdegna nemmeno gli accompagnamenti salati più raffinati, come salmone affumicato, foie gras o caviale.
I prossimi 3, 8, 10 e 17 dicembre presso la panetteria della casa Migros di S. Antonino potrete portarvi a casa l’apprezzato panettone Jowa preparato freschissimo in loco il giorno stesso. Il dolce natalizio viene infatti cotto sul mezzogiorno e, una volta raffreddato, può essere acquistato a partire dalle ore 15.00 direttamente davanti alla panetteria situata all’interno del su-
permercato. Più fresco di così non si può. I panettoni della Jowa si caratterizzano per la lavorazione artigianale e l’utilizzo di ingredienti accuratamente selezionati. L’impiego di lievito madre nell’impasto conferisce al prodotto finale un’inconfondibile morbidezza e un’ottima digeribilità.
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Idee e acquisti per la settimana
L’oro verde della Calabria
Novità Nei maggiori supermercati Migros trovate l’agrume simbolo della terra calabra: il bergamotto
Il bergamotto è un agrume ibrido, risultato dall’incrocio dell’arancio amaro con il limone. Come gli altri agrumi, è una pianta legnosa perenne, sempreverde, con fiori bianchi profumatissimi, che può raggiungere 4 metri d’altezza. I suoi frutti hanno forma sferica con colore giallo alla maturazione. Esige un clima mite, come quello caratteristico delle regioni meridionali d’Italia. La Calabria è il maggior produttore mondiale di bergamotto, dove la sua coltivazione è molto diffusa nelle zone costiere della regione. Del frutto viene soprattutto utilizzata la scorza, la cui fragrante essenza è alla base di moltissimi oli eterici e profumi: è usata tra l’altro per aromatizzare il tè Earl-Grey. Ovviamente anche il succo ottenuto dalla polpa di bergamotto trova largo uso in cucina dove conferisce una nota speciale a molti piatti dolci e salati. Una vera bontà è per esempio il risotto al profumo di bergamotto, il cui succo viene utilizzato per tostare il riso. Il succo puro è simile a quello dei lime ed è ideale per preparare cocktails, liquori, limonate e altre bevande rinfrescanti. Trasformato in marmellata, il bergamotto delizia il palato grazie al suo gradevole sapore agro-amarognolo. L’essenza di bergamotto è pure impiegata in farmaceutica grazie alle sue proprietà antibatteriche e antisettiche.
Specialità dedicate al Natale Il barometro
dei prezzi
Informazioni sui cambiamenti di prezzo Migros riduce i prezzi di molti prodotti per il corpo e per le labbra, mediamente e permanentemente del 12 percento. Più convenienti saranno per esempio le bodylotion delle marche proprie Zoé e I am, come anche la marca Nivea. Inoltre i clienti Migros pagheranno meno anche per i prodotti per la cura delle labbra, tra cui quelli della marca Labello.
Alcuni esempi:
Come trasformare le festività in qualcosa di indimenticabile dal profilo gastronomico senza doversi preoccupare dei preparativi? Facile, basta rivolgersi al Party Service di Migros Ticino. An-
che quest’anno gli specialisti del nostro servizio catering hanno allestito una proposta culinaria ricchissima, capace di accontentare ogni ospite, anche i più difficili. Tutte le pietanze sono pronte da servire e vengono preparate con cura e passione con ingredienti di prima scelta. Dagli antipasti sfiziosi composti da salumi del Ticino, formaggi misti, fingerfood, specialità asiatiche, di pesce e sushi, passando per il pain surprise con differenti farciture, fino alla delicata pasticce-
ria artigianale quali torte natalizie e mini pasticcini… sapremo soddisfare ogni vostro desiderio. Metteteci alla prova. Nell’opuscolo «Questo Natale…più tempo per i tuoi ospiti», disponibile nei nostri supermercati, potete visionare alcune delle nostre suggestioni, oppure anche andando su www.migrosticino.ch/ party-service. Per qualsiasi domanda o richiesta siamo a vostra completa disposizione al numero 0848 848 018 o e-mail: party-service@migrosticino.ch.
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Pane di patate con noci, 350 g M-Classic panini Sils Terrasuisse, 300 g Nivea Body Milk, 400 ml Nivea MEN Creme, 150 ml Esthetic Body Lotion Vanilla Almondmilk, 250 ml Garnier Body Intensive Lotion 7Days Karite, 400 ml L’Oréal Sihlouette Incroyable Anti-Cellulite Creme, 200 ml Kneipp latte per il corpo fiori di mandorlo, 200 ml pH Balance leggera lozione per il corpo, 400 ml Zoé Perfect Age Body Milk, 250 ml I am Body Lotion Hydratante, 400 ml I am Natural Cosmetics Body Milk Sanddorn & Ingwer, 200 ml I am face burro cacao stick Duo, 2 pz. Carmex balsamo labbra stick, 1 pz. Labello Classic Duo, 2 pz. Maybelline Baby Lips Dr. Rescue Coral, 1 pz.
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Idee e acquisti per la settimana
Frey
Dorati fuori, deliziosi dentro Anche quest’anno per Natale i Pralinés della Frey si presentano in una confezione festiva. Chi desidera fare un regalo particolarmente raffinato sceglierà i Pralinés Prestige d’or con la possibilità di scegliere tra una confezione grande e una piccola. Infatti l’elegante scatola dorata con il contenuto altrettanto prezioso esiste ora nella versione da 110 grammi. Essa contiene sei finissime creazioni: Perle Blanche (con ripieno alle mandorle); Triangolo d’or (con gianduia alla nocciola), Calice (con crema e schegge di nocciola), Rêve d’or (con ripieno tartufato), Quadretta d’or (con croccante alle nocciole), come pure le Grand Marnier Truffes.
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20% su tutti i Pralinés Frey in scatola o Adoro (senza confezioni multiple) dal 1. al 14.12 Frey Pralinés Prestige Edition d’or 256 g Fr. 14.80* invece di Fr. 18.50 Fino esaurimento scorte
Nuovo Frey Pralinés Prestige Edition d’or 110 g Fr. 7.50* invece di Fr. 9.40 Fino esaurimento scorte
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche i Pralinés Prestige della Frey.
Anno dopo anno i Pralinés della linea Prestige della Frey sorprendono con un’attraente confezione e un irresistibile contenuto.
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Filastrocca
Natale: San Nicolao
San Nicolao
Il sacco è pieno
San Nicolao vien di notte viene in silenzio a mezzanotte, dormono tutti i bimbi buoni e nei lettini sognano i doni. San Nicolao vien fra la neve porta i suoi doni là dove deve non sbaglia certo, conosce i nomi di tutti quanti i bimbi buoni.
La sera del 6 dicembre San Nicolao e l’Uomo Nero escono dal profondo del bosco. I bambini che hanno fatto i bravi e recitano una filastrocca vengono ricompensati con un bel po’ di complimenti e sacco di noccioline, mandarini e cioccolatini Testo Sonja Leissing; Foto Daniel Aeschlimann; Styling Monika Hansen Lecca lecca alla menta 28 g Fr. 2.10 fino ad esaurimento scorte
Grand-Mère Stelline alla cannella 230 g Fr. 4.50
Grand-Mère Milanesini 200 g Fr. 4.– Kinder Babbo Natale 110 g Fr. 3.70 Fino ad esaurimento scorte
Grand-Mère Brunsli di Basilea 230 g Fr. 4.60
Bio Arance bionde al kg prezzo del giorno
Grand-Mère Creste di gallo 200 g Fr. 4.–
M-Classic Spagnolette 400 g Fr. 2.50 Fino ad esaurimento scorte
Frey Santa Moments Miscela festiva 1 kg Fr. 19.90 Fino ad esaurimento scorte
La campanella risuona di casa in casa, oggi viene San Nicolao. Chi la sera prima del 6 dicembre lascia gli stivali o le pantofole davanti alla porta oppure appende un calzettone alla maniglia, durante la notte riceverà un sacco di regali. San Nicolao o l’Uomo Nero fanno i loro giri e riempiono le calzature di talleri di cioccolato, noccioline, pan di zenzero e mandarini. E chi ha fortuna riceverà perfino una visita personale della coppia.
Frey Croccanti al latte finissimi in retina 115 g Fr. 3.80 Fino ad esaurimento scorte
Frey Mini soggetti da appendere all’albero, ripieni 290 g Fr. 8.90 Offerta speciale 10 x Punti Cumulus dal 1° al 7 dicembre Fino ad esaurimento scorte
Errata Corrige
Grand-Mère Miscela di Natale 380 g Fr. 6.–
Frey Mahony Chlaus da appendere all’albero 215 g Fr. 6.90 Offerta speciale 10 x Punti Cumulus dal 1° al 7 dicembre. Nelle maggiori filiali, fino ad esaurimento scorte
Errore di prezzo nel fornello a legna per fondue (Fr. 199.– e non 119.–) Nello scorso numero di Azione del 23 novembre 2015, a pagina 55, nelle pagine di Natale è stato erroneamente pubblicato un prezzo non esatto per il fornello a legna da fondue. Il prezzo corretto del prodotto è di Fr. 199.– e non 119.– come riportato. Una svista di copiatura ha purtroppo generato questo errore. Ci scusiamo per l’inconveniente.
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Optigal
Pollo all’arancia con mandorle
Pollo squisito
Piatto principale per 4 persone Ingredienti 2 arance 4 cosce di pollo sale, pepe pepe di Caienna, granulato 2 cucchiai d’olio d’oliva 2 cipolle rosse 4 spicchi d’aglio 100 g di mandorle spellate 1 dl di sidro menta o prezzemolo a piacere
La tenera e leggera carne di pollo svizzero è tra le preferite nel nostro paese, piazzandosi al secondo posto subito dopo la carne di maiale. Non c’è da sorprendersi, grazie ad essa si possono infatti preparare un’infinità di antipasti e piatti forti, come per esempio dagli spiedini Satay di mini filetti alle cosce di pollo all’arancia. Il marchio Optigal è sinonimo di pollame svizzero in grado di soddisfare ogni criterio di qualità e fiducia. I polli crescono in stallaggi conformi alle loro esigenze con la possibilità di uscire all’aperto in uno spazio coperto. Semplicemente qualità svizzera.
Optigal pollo intero speziato nel sacchetto di cottura al kg Fr. 10.40
Preparazione 1. Prelevate la scorza d’arancia con un rigalimoni e spremete il succo. Marinate il pollo nella metà del succo d’arancia per ca. 30 minuti. Togliete il pollo dalla marinata, asciugatelo e conditelo con sale, pepe e pepe di Caienna. Rosolate le cosce in una brasiera nell’olio.
2. Scaldate il forno a 180 °C. Tagliate le cipolle a spicchi e l’aglio a fette. Aggiungete entrambi alle cosce di pollo, insieme con le mandorle e la scorza d’arancia. Fate rosolare brevemente gli ingredienti. Sfumate con il sidro. Terminate la cottura in forno per ca. 45 minuti, bagnando il pollo con il succo d’arancia rimasto a intervalli regolari. Sfornate. Guarnite le cosce di pollo con la menta o il prezzemolo, a piacere. Servite subito. Potete accompagnare con cuscus o riso. Optigal fettine di pollo per 100 g Fr. 3.30
Tempo di preparazione ca. 35 minuti + marinatura ca. 30 minuti + cottura ca. 45 minuti Per persona ca. 45 g di proteine, 45 g di grassi, 14 g di carboidrati, 2750 kJ/650 kcal
Optigal pollo intero al kg Fr. 9.50
Optigal minifiletti di pollo per 100 g Fr. 3.65
Optigal alette di pollo speziate per 100 g Fr. –.80* invece di 1.45 *Azione dal 1. al 7.12. Maggiori filiali
Optigal cosce di pollo per 100 g Fr. 1.30
Pollo satay con salsa di arachidi Antipasto per 4 persone
Salsa 1 dl di latte di cocco 4 cucchiai di burro d’arachidi Crunchy 3 cucchiai di salsa Sweet Chili 1 cucchiaio di salsa di soia ca. 1 cucchiaio di succo di limetta sale, pepe L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui quelli di Optigal.
Preparazione Per la salsa, scaldate leggermente il latte di cocco. Unite il burro d’arachidi, la salsa Sweet Chili e quella di soia. Condite con il succo di limetta, sale e pepe e lasciate raffreddare. Infilzate un filettino di pollo su ogni spiedino. Condite con sale, pepe e la salsa Sweet Chili. Rosolate gli spiedini nell’olio, a fuoco medio, per ca. 8 minuti. Servite gli spiedini di pollo con la salsa. Potete accompagnare con un’insalata di cavolo cinese tagliato fine, carote e cavolo bianco.
Tempo di preparazione ca. 25 minuti + raffreddamento Per persona ca. 24 g di proteine, 17 g di grassi, 6 g di carboidrati, 1150 kJ/270 kcal
Foto e Styling Veronika Studer; Ricette Katrin Klaus
Optigal cosce inferiori di pollo per 100 g Fr. 1.50
Ingredienti 8 mini filetti di pollo 8 spiedini di legno sale, pepe 1 cucchiaio di salsa Sweet Chili 1 cucchiaio d’olio di arachidi
Ricette di
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Optigal sminuzzato di pollo per 100 g Fr. 3.40
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Frullatore Blend-X Classic BLP600WH
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Macinacaffè conico a 13 livelli, erogatore del caffè ad altezza regolabile, programma di risciacquo e di decalcificazione automatico, serbatoio dell’acqua estraibile frontalmente da 1,8 l, recipiente per chicchi da 250 g, dimensioni (A x L x P): 35,1 x 23,8 x 43 cm / 7174.486
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Robot da cucina KSM 150 red, set per l’anniversario dei 95 anni Incl. 2 ciotole in acciaio inox (3 l e 4,8 l), frusta, spirali impastatrici, impastatrice piatta, protezione antispruzzo, tritaverdura, tritacarne, accessori per ridurre in purea e buono per libro di cucina / 7174.317 Disponibile online: nero / 7174.336, crème / 7174.338
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FCM
Con riserva di errori di stampa e di altro tipo.
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699.– Co n acc essori
Robot da cucina Chef KM 336 Capacità di 4,6 l per 2,2 kg di impasto, 800 W, con ciotola in acciaio inox, frullatore da 1,5 l, frusta a filo grosso, gancio a K e spirali impastatrici, dimensioni (A x L x P): 29 x 39 x 23,3 cm / 7173.449
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Idee e acquisti per la settimana
Burro per arrostire
Uno per tutto Il burro chiarificato è prodotto con puro burro svizzero. Ha un punto di fusione molto più alto del normale burro da cucina ed è adatto sia per friggere ed arrostire sia per la cottura al vapore o al forno. Questo pregiato prodotto naturale fornisce un gusto burroso a dolci, salse e a tutti i piatti a base di carne e verdura. Diversamente dal normale burro, quello chiarificato viene prodotto eliminando acqua, proteine del latte e lattosio. Questo procedimento fa in modo che si conservi anche senza venir raffreddato e sia ben tollerato.
Con il burro per arrostire è più buono: il cosciotto d’agnello all’aglio è pronto per il pranzo di Natale
Foto e Styling Ruth Küng
Burro per arrostire Gourmet 450 g Fr. 7.70
Burro per arrostire Gourmet 250g Fr. 4.85 *Nelle maggiori filiali
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche il burro per arrostire.
LA NATURA SA COSA FA BENE.
1.50 Broccoli bio Italia, 400 g
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Salmone affumicato alla limetta bio d’allevamento, Irlanda, 100 g
Tilsiter alla panna bio per 100 g, 20% di riduzione
Entrecôte di manzo bio Svizzera, per 100 g
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Succo di frutta mista bio 75 cl
Tutte le confetture o le varietà di miele Migros Bio 20% di riduzione, per es. confettura di mirtilli Extra, 350 g
Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.12 AL 7.12.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Fagottini alle pere, bio 2 x 75 g
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CONSIGLIAMO Un piatto sostanzioso per l’inverno: rösti di verza e patate con saucisson. Trovi la ricetta su www.saison.ch/it/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.
30% 1.25 invece di 1.80 Saucisson Tradition TerraSuisse per 100 g
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Pizza M-Classic in conf. da 4 per es. pizza del padrone, 4 x 370 g
Clementine Spagna, retina da 2 kg
Da tutte le offerte sono esclusi gli articoli M-Budget e quelli già ridotti. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.12 AL 7.12.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Paté di San Nicolao con carne di vitello Rapelli Svizzera, 500 g
Mele Pink Lady, dolci Svizzera, al kg, 25% di riduzione
Lingua di vitello Quick, cotta* Svizzera, per 100 g
Petto di pollo arrotolato Quick M-Classic, cotto* Francia / Brasile, per 100 g
Carne macinata di manzo Svizzera / Germania, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg
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Arachidi extra Israele, imballati, 500 g
Cachi Italia, in conf. da 4 pezzi
Formaggio per raclette Marenda Gourmet a libero servizio, al kg
Salametti a pasta grossa prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g
Prosciuttino dalla noce in crosta Tradition* Svizzera, 1,2 kg
Costolette magre di maiale TerraSuisse Svizzera, imballate, per 100 g
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Indivia Anna’s Best in conf. da 2 2 x 220 g
Pomodori Datterino Italia, in conf. da 250 g
Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 3 3 x 400 g, 20% di riduzione
Arrosto di punta di vitello arrotolato Svizzera, in conf. da ca. 800 g, per 100 g
Roastbeef cotto Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g
Prosciuttino di coscia arrotolato mini TerraSuisse, affumicato* per 100 g
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.12 AL 7.12.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
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Gnocchi M-Classic in conf. da 2 o ravioli in conf. da 3 per es. ravioli al formaggio e al pesto, 3 x 250 g
Tutti i Blévita –.60 di riduzione l’una, per es. ai 5 cereali con sesamo, 295 g
Tutto l’assortimento Kellogg’s 20% di riduzione, per es. Choco Tresor, 600 g
Minestre in bustina Knorr in conf. da 3 20% di riduzione, per es. minestra di vermicelli, 3 x 78 g
Pommes Chips M-Classic in sacchetto XL al naturale o alla paprica, per es. alla paprica, 400 g
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Creme dessert Tradition in conf. da 4, 4 x 175 g 20% di riduzione, per es. crema al cioccolato
Cake tirolese o alla finanziera 20% di riduzione, per es. cake alla finanziera, 330 g
Tutte le tisane Klostergarten, a partire da 2 pezzi –.40 di riduzione l’uno, per es. finocchio Migros Bio, 20 bustine
Tutte le spezie bio (prodotti Alnatura esclusi), 20% di riduzione, per es. erbette per insalata Migros Bio, 58 g
Tutto l’assortimento Subito Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6, 6 x 1,5 l 20% di riduzione, per es. pasta all’arrabbiata, 160 g per es. Classic
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Stella di Natale in vaso da 17 cm, la pianta
Tutte le torte in conf. da 2 Tutti i caffè istantanei in bustina, UTZ 1.– di riduzione, per es. torta svedese/torta svedese 20% di riduzione, per es. Exquisito Oro Noblesse, ai lamponi, 2 x 115,5 g 200 g
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Tutti i tipi di senape, maionese o ketchup bio (prodotti Alnatura esclusi), 20% di riduzione, per es. maionese Migros Bio, 265 g
Tutti gli alimenti umidi Gourmet Gold o Perle in conf. da 8 6 + 2 gratis, 25% di riduzione, per es. paté delicato Gold, assortito, 8 x 85 g
Lasagne alla bolognese o cannelloni alla fiorentina Buon Gusto in conf. da 2 surgelati, per es. cannelloni alla fiorentina, 2 x 360 g
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a . z n e i n e v on c a Il bello dell
FRUTTA E VERDURA
Clementine, Spagna, retina da 2 kg 2.70 invece di 4.50 40% Lattuga Iceberg, Spagna, il pezzo –.70 invece di 1.20 40% Indivia Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 220 g 3.35 invece di 4.80 30% Pomodori Datterino, Italia, in conf. da 250 g 1.95 invece di 2.60 25% Patate resistenti alla cottura bio, Svizzera, busta da 1 kg 1.90 Broccoli bio, Italia, 400 g 1.50 Zucca a fette, Francia, al kg 4.60 Mele Pink Lady, dolci, Svizzera, al kg 3.65 invece di 4.90 25% Cachi, Italia, in conf. da 4 pezzi 2.55 invece di 3.40 25% Arachidi extra, Israele, imballati, 500 g 3.95 invece di 5.80 30% Cachi Persimon bio, Spagna, vaschetta da 4 pezzi 3.90 invece di 5.60 30%
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Batterie di pentole delle linee Titan o Antares per es. padella Titan, Ø 28 cm, bassa, in acciaio inox, indicata anche per i fornelli a induzione, il pezzo, offerta valida fino al 14.12.2015
Dischetti di ovatta o bastoncini ovattati Primella in conf. da 2 20% di riduzione, per es. dischetti di ovatta, 2 x 80 pezzi, offerta valida fino al 14.12.2015
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Carta igienica Wintertime Soft FSC in conf. da 24 Tutto l’assortimento di prodotti Milette per la cura del bebè, a partire da 2 pezzi offerta valida fino al 14.12.2015 –.50 di riduzione l’uno, per es. shampoo per bebè, 300 ml, offerta valida fino al 14.12.2015
9.90 Biancheria intima da bambina e bambino in confezioni multiple disponibili in diversi colori e misure, per es. boxer da bambino in conf. da 3, col. petrolio, tg. 134/140, offerta valida fino al 14.12.2015
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Tutto l’assortimento di biancheria intima da donna o di reggiseni (articoli Mey esclusi), per es. slip midi Soft Lace Ellen Amber, Bio Cotton, bianco, tg. S, il pezzo
Calze al ginocchio o calzini antiscivolo da uomo John Adams in conf. da 2 disponibili in diversi colori e misure, per es. calzini antiscivolo, antracite, tg. 43–46, offerta valida fino al 14.12.2015
Racchette da neve Alpin Alu Weissberg* (con custodia), offerta valida fino al 14.12.2015
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Carne di manzo macinata bio, Svizzera, per 100 g 1.80 invece di 2.30 20% Petto di pollo arrotolato Quick M-Classic, cotto, Francia / Brasile, per 100 g 2.40 invece di 3.45 30% * Prosciuttino dalla noce in crosta Tradition, Svizzera, 1,2 kg 2.15 invece di 3.10 30% * Lingua di vitello Quick, cotta, Svizzera, per 100 g 2.45 invece di 3.50 30% * Paté di San Nicolao con carne di vitello Rapelli, Svizzera, 500 g 9.90 invece di 19.80 50% Prosciuttino di coscia arrotolato mini TerraSuisse, affumicato, per 100 g 1.95 invece di 2.95 33% * Prosciuttino di coscia arrotolato mini Quick TerraSuisse, affumicato, cotto, per 100 g 2.10 invece di 3.20 33% Prosciuttino dalla noce mini Quick TerraSuisse, affumicato, cotto, per 100 g 2.20 invece di 3.30 33% * Prosciuttino dalla noce Quick TerraSuisse, affumicato, cotto, per 100 g 1.90 invece di 3.20 40% Saucisson Tradition TerraSuisse, per 100 g 1.25 invece di 1.80 30% Saucisson vaudois, Svizzera, per 100 g 1.55 invece di 1.95 20% Medaglioni di filetto di manzo, Sudamerica, per 100 g 5.40 invece di 9.– 40% Offerta valida solo il 4.12.2015 Ali di pollo Optigal, al naturale o speziate, Svizzera, per es. al naturale, al kg 8.– invece di 13.50 40% Salmone selvatico Sockeye MSC, pesca, Alaska, 280 g 11.50 invece di 19.30 40% Luganighe, prodotte in Ticino, imballate, per 100 g 1.35 invece di 1.70 20%
Roastbeef cotto, Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g 4.85 invece di 6.95 30% Salametti a pasta grossa, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.50 invece di 3.60 30% Costolette magre di maiale TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 1.25 invece di 2.10 40% Carne macinata di manzo, Svizzera / Germania, in conf. da 2 x 500 g, 1 kg 9.– invece di 18.– 50% Arrosto di punta di vitello arrotolato, Svizzera, in conf. da ca. 800 g, per 100 g 2.– invece di 2.90 30% Tutto l’assortimento di sushi fresco, per es. sushi nigiri classic, prodotto in Svizzera, in conf. da 180 g 9.50 invece di 11.90 20% Filetti dorsali di merluzzo MSC, pesca, Atlantico nord-orientale, per 100 g 3.05 invece di 4.40 30% Fino al 5.12
PANE E LATTICINI Panna intera Valflora UHT, 2 x 500 ml 3.90 invece di 6.50 40% Creme dessert Tradition in conf. da 4, 4 x 175 g, per es. crema al cioccolato 4.15 invece di 5.20 20% Emmentaler Höhlengold, per 100 g 2.15 invece di 2.70 20% Tutto l’assortimento Sélection (cesti regalo esclusi), per es. Brie de Meaux, 200 g 4.70 invece di 5.90 20% ** Tilsiter alla panna bio, per 100 g 1.50 invece di 1.90 20% Fondue fresca moitié-moitié in conf. da 3, 3 x 400 g 19.65 invece di 24.60 20% Rustichella, 280 g 2.25 invece di 2.70 15% Treccina TerraSuisse, 80 g 1.15 invece di 1.40 15% Formaggio per raclette Marenda Gourmet, a libero servizio, al kg 18.– invece di 25.80 30%
FIORI E PIANTE Mazzo di amarillidi, il mazzo 12.50 Stella di Natale, in vaso da 17 cm, la pianta 14.90
ALTRI ALIMENTI Tutti i praliné in scatola o le palline Adoro Frey, UTZ (confezioni multiple escluse), per es. praliné Prestige, 250 g 12.60 invece di 15.80 20% ** Tutte le palline di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ, per es. palline assortite Freylini 8.60 invece di 10.80 20% Tutto l’assortimento di decorazioni per l’albero Frey, UTZ, per es. topolini di zucchero fondente con cioccolato per l’albero assortiti, 10x 506 g 8.70 10x PUNTI
Tutti i Blévita, a partire da 2 confezioni, –.60 di riduzione l’una, per es. ai 5 cereali con sesamo, 295 g 2.70 invece di 3.30 Miscele natalizie con o senza creste di gallo all’anice in conf. da 500 g, per es. senza creste di gallo all’anice, 500 g 2.75 invece di 5.50 50% Offerta valida solo l’1.12.2015 Caffè Exquisito e Espresso M-Classic, 500 g, in chicchi e macinato, per es. caffè Exquisito in chicchi, 500 g 3.45 invece di 6.90 50% Offerta valida solo il 3.12.2015 Tutti i caffè istantanei in bustina, UTZ, per es. Exquisito Oro Noblesse, 200 g 7.80 invece di 9.80 20% Tutte le tisane Klostergarten, a partire da 2 pezzi, –.40 di riduzione l’uno, per es. finocchio Migros Bio, 20 bustine 1.15 invece di 1.55 Tutte le confetture o le varietà di miele Migros Bio, per es. confettura di mirtilli Extra, 350 g 2.35 invece di 2.95 20% Tutto l’assortimento Kellogg’s, per es. Choco Tresor, 600 g 5.10 invece di 6.40 20% Tutte le miscele per dolci o i dessert in polvere (prodotti Alnatura esclusi), per es. miscela per brownies Midor, 490 g 4.25 invece di 6.10 30% Pommes Duchesse Delicious, 1 kg surgelate 5.35 invece di 7.65 30% Lasagne alla bolognese o cannelloni alla fiorentina Buon Gusto in conf. da 2, surgelati, per es. cannelloni alla fiorentina, 2 x 360 g 4.75 invece di 6.80 30% Tutto l’assortimento Glacetta, per es. alla vaniglia, 800 ml 3.35 invece di 4.20 20% Manzo per fondue chinoise M-Classic, surgelato, 600 g 18.65 invece di 37.30 50% Offerta valida solo il 2.12.2015 Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Classic 7.80 invece di 11.70 33% Tutte le 7UP in conf. da 6 x 1,5 l o le 7UP H2Oh! in conf. da 6 x 1 l, per es. 7up Regular, 6 x 1,5 l 7.– invece di 11.70 40% Ice Tea alla prugna e cannella Migros Bio, 1 l o 6 x 1 l, 20x per es. 1 l 1.70 NOVITÀ ** Ice Tea in polvere Alpine Herbes, Winter Edition, 70 g 1.20 20x NOVITÀ ** Tutti i tipi di riso M-Classic, per es. riso parboiled Carolina, 1 kg 1.25 invece di 2.50 50% Rösti Original in conf. da 3, 3 x 500 g 4.05 invece di 5.85 30% Tutti i funghi secchi in bustina, per es. funghi porcini secchi, 30 g 2.85 invece di 3.60 20% Tutti gli aceti o gli oli Migros Bio, per es. aceto di mele, 500 ml 1.75 invece di 2.20 20% French Dressing Migros Bio, 450 ml 2.80 invece di 3.55 20% Burro per arrostire o olio di cocco Fairtrade, Migros Bio, per es. olio di cocco, 200 g 5.50 invece di 6.90 20%
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 14.12 Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.12 AL 7.12.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Maionese al tonno rosa 20x Thomy, 170 g 3.95 NOVITÀ ** Tutti i tipi di senape, maionese o ketchup bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. maionese Migros Bio, 265 g 1.75 invece di 2.20 20% Tutte le spezie bio (prodotti Alnatura esclusi), per es. erbette per insalata Migros Bio, 58 g 1.80 invece di 2.25 20% Minestre in bustina Knorr in conf. da 3, per es. minestra di vermicelli, 3 x 78 g 4.90 invece di 6.30 20% Tutti i brodi Bon Chef o Bon Chef Premium, per es. brodo di verdure, 5 x 20 g 2.– invece di 2.50 20% Tutto l’assortimento Subito, per es. pasta all’arrabbiata, 160 g 2.15 invece di 2.70 20% Pommes Chips M-Classic in sacchetto XL, al naturale o alla paprica, per es. alla paprica, 400 g 3.– invece di 6.– 50% Michette in conf. da 1 kg o panini al latte in conf. da 600 g M-Classic, precotti, per es. michette, 1 kg 4.30 invece di 5.70 25% Tutti gli antipasti Anna’s Best o bio, per es. olive con formaggio a pasta molle Anna’s Best, 150 g 3.40 invece di 4.30 20% Pizza M-Classic in conf. da 4, per es. pizza del padrone, 4 x 370 g 11.50 invece di 19.20 40% Snack Asia Anna’s Best in conf. da 2, per es. Spring Rolls, 2 x 210 g 6.80 invece di 8.60 20% Zatterine e Sfogliatine Sfoglia d’Oro, 220 g e 230 g 3.70
NEAR FOOD / NON FOOD Tutti i balsami e gli shampoo Fructis in conf. da 2 o 3, per es. shampoo Nutri-Repair in conf. da 3, 3 x 300 ml 9.– invece di 12.90 30% ** Prodotti Nivea Hair Styling in conf. da 2, per es. Diamond Volume Spray, 2 x 150 ml 7.90 invece di 9.90 20% ** Prodotti per la cura del viso o del corpo I am in conf. da 2, per es. salviettine detergenti per il viso ultradelicate, 2 x 25 pezzi 6.20 invece di 7.80 20% ** Tutte le creme per le mani (confezioni multiple e Bellena escluse), per es. balsamo per mani e unghie I am, 100 ml 2.20 invece di 2.80 20% ** Tutto l’assortimento di abbigliamento da bebè e da bambini, incluse le scarpe, per es. pigiama da bambino con pantaloni di flanella 11.40 invece di 19.– 40% Offerta valida solo il 5.12.2015 Detersivo per i piatti Manella in conf. da 3, per es. al limone, 3 x 500 ml 7.40 invece di 9.30 20% ** Spugnette Miobrill in confezioni multiple, per es. sintetiche Strong, 3 x 3 pezzi 3.35 invece di 4.50 25% ** Cartucce Cucina & Tavola, Brita, M-Classic o BWT in conf. da 3, per es. filtri Duomax Cucina & Tavola, 3 x 2 pezzi 29.60 invece di 44.40 3 per 2 **
I dolci classici.
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San Nicolao con crispies Santa Moments Frey, UTZ 300 g
Tutti i praliné in scatola o le palline Adoro Frey, UTZ (confezioni multiple escluse), 20% di riduzione, per es. praliné Prestige Edition d’Or, 110 g, offerta valida fino al 14.12.2015
Tutte le miscele per dolci o i dessert in polvere (prodotti Alnatura esclusi), per es. miscela per brownies Midor, 490 g
3.35 invece di 4.20 Tutto l’assortimento Glacetta 20% di riduzione, per es. alla vaniglia, 800 ml
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Sacchettini di San Nicolao Santa Moments Frey, UTZ 500 g
Tutte le palline di cioccolato Frey in sacchetto da 500 g, UTZ 20% di riduzione, per es. palline assortite Freylini
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Idee e acquisti per la settimana
Blévita
Stuzzichini per l’aperitivo
Blévita Mini Paprika 130 g Fr. 2.75
Blévita è ben più di un semplice e apprezzato snack. I croccanti cracker possono infatti trasformarsi in un attimo in gustosi stuzzichini per l’aperitivo. La variertà Sesamo, ad esempio, si sposa alla perfezione con salmone affumicato, mentre i cracker Nature si accompagnano benissimo a un gustoso gorgonzola. I Mini-Blévita Paprika si abbinano perfettamente a salsette di ogni tipo.
I Blévita si trasformano velocemente in gustosi stuzzichini da portare in tavola.
Blévita 5 cereali Sesamo con acido folico 295 g Fr. 3.30
Blévita Sandwich Nature 4 porzioni 216 g Fr. 5.30
Blévita 5 cereali con acido folico 6 porzioni 228 g Fr. 3.35
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros, tra cui anche Blévita.
AZIONE
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10x 4.–
Tutto l’assortimento di decorazioni per l’albero Frey, UTZ per es. Babbo Natale massiccio, 130 g
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Idee e acquisti per la settimana
Bon Chef
Nient’altro che ingredienti naturali * Offerta speciale 20 % di sconto su tutti i brodi Bon Chef dal 1. al 7 dicembre.
I brodi Bon Chef stabiliscono nuovi parametri per il mercato svizzero. Infatti, tutte le varietà del marchio non contengono più né esaltatori di sapidità né conservanti chimici. Inoltre, i prodotti della nuova linea Premium sono preparati con olio d’oliva e sale marino puri. E affinché il gusto genuino possa risaltare ancora di più, la percentuale di carne e verdura è stata aumentata in tutto l’assortimento. In forma di dadi, pasta o granulato: tutti i brodi Bon Chef sono prodotti in Svizzera.
Bon Chef Brodo di manzo, senza grassi 225 g Fr. 5.–* invece di 6.30
Bon Chef Premium Brodo di manzo 8 x 10 g, Fr. 2.40* invece di 3.–
Il gusto intenso del brodo di manzo Bon Chef è adatto alla fondue chinoise.
Bon Chef Premium Brodo di verdure 205 g Fr. 4.95* invece di 6.20
Bon Chef Premium Brodo di gallina 8 x 10 g Fr. 2.40* invece di 3.–
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
Idee e acquisti per la settimana
Mega-Jackpot
Congratulazioni! Questi vincitori* hanno sbancato il Jackpot:
Quattro fortunelli Heidi A. (39 anni)
Romeo O. (58 anni)
Assistente coiffeur di Uster (ZH) ha vinto Fr. 22’537.80 «Ho ricevuto lo scontrino di cassa col codice vincente da mia suocera. A casa ho subito immesso il codice nel computer e mi aspettavo di leggervi: Purtroppo nessuna vincita. Non credevo alla mia fortuna quando ho visto che non era così! Ho chiamato subito mio marito per raccontarglielo. Ora i nostri figli riceveranno fantastici regali di Natale e a mia suocera andrà naturalmente una parte della vincita».
Panettiere-pasticcere di Niederlenz (AG) ha vinto Fr. 50’000.«Solo quando mi ha chiamato la Migros ho creduto di aver vinto davvero. Lo scontrino di cassa l’ho ricevuto a Lenzburg, dove mia moglie ed io facciamo regolarmente la spesa. Non sappiamo ancora quale desiderio concreto esaudiremo con questa vincita. Una cosa è sicura: saranno vacanze da sub, in quanto io sono un appassionato subacqueo. Naturalmente con questi soldi soddisferò anche i desideri di altre persone e regalerò a mia figlia una parte della vincita».
Claudia A., Le Lignon GE: Fr. 1002.30 Sylvette E., Ittigen BE: Fr. 1027.50 Sonja M., Dintikon AG: Fr. 1009.80 Suzanne F., Opfikon ZH: Fr. 2033.20 Vanessa B., Bernex GE: Fr. 3718.30 Giosué P., Losanna VD: Fr. 6589.20 Drago B., Kriens LU: Fr. 50 000.– Christele N., Cheseaux VD: Fr. 1043.50 Martha F., Oberriet SG: Fr. 34 582.30 Sebastian S., San Gallo: Fr. 1003.70 Jennifer G., Landquart GR: Fr. 1045.70
Tentate la fortuna
Magbule A. (43 anni) Addetta alle pulizie di Köniz (BE) ha vinto Fr. 50’000.«Al giovedì facciamo sempre la spesa grossa al centro commerciale Westside, dove abbiamo ricevuto il nostro buono fortunato. Dopo aver immesso il codice, in un primo momento non ho affatto capito cosa fosse successo. Da due anni non facciamo più vacanze. Ora possiamo permetterci un viaggio, forse in Grecia, in Turchia, o una crociera. Inoltre stiamo pianificando di traslocare in un nuovo appartamento e potrebbe farci comodo un nuovo arredamento. Faremo una bella sorpresa anche ai nostri due figli».
… su www.megajackpot.ch o sull’app Migros e immettete i Win-Codes. Fino al 28 dicembre ogni scontrino di cassa reca sul retro i Win-Codes.
Thilde I., San Gallo: Fr. 1253.10 Antoine M. (45 anni) Commerciante di Ginevra ha vinto Fr. 50.000.– «Mia moglie Déolinda ha dovuto convincermi a partecipare. Lo scontrino di cassa l’ho ricevuto alla filiale di Chêne-Bourg. Ho inserito il codice tramite l’app Migros sul mio smartphone e naturalmente all’inizio sono rimasto basito. In effetti non partecipo quasi mai a questi concorsi, così finora non avevo mai avuto molta fortuna in questo ambito. Ora tutta la mia famiglia riceverà fantastici regali di Natale. Verseremo un importo anche a un’organizzazione di beneficenza in favore di bambini sfavoriti».
Philippe S., Altdorf: Fr. 5429.80 Viviane P., Yverdon VD: Fr. 12 259.20 Constantin K., Dübendorf ZH: Fr. 8764.80
*fino alla chiusura redazionale di questa edizione
Partecipate ora! Fino al 28 dicembre ogni scontrino di cassa Migros reca sul retro i Win-Codes. Si possono vincere carte regalo per un valore totale di 1 milione di franchi. Il Jackpot inizia a 1000 franchi e sale fino a un massimo di 50’000 franchi. Ogni volta che inserendo il Win-Codes non scatta il Jackpot, questo aumenta di 10 centesimi.
Win-Codes gratuiti e altre info si possono ottenere su www.megajackpot.ch
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 novembre 2015 ¶ N. 49
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Idee e acquisti per la settimana
Potz e Migros Plus
Adesso sì che è pulito!
Le superfici lisce brillano come nuove se vengono pulite e curate con gli appropriati detergenti universali.
Foto Getty Images
I detergenti universali di Potz e Migros Plus garantiscono un’igiene accurata su tutte le superfici lavabili dell’intera abitazione. E chi vuol evitare che lo sporco si riformi in breve tempo, utilizza i prodotti con la potente formula protettiva Power Protect. Con i detergenti multiuso come il «Potz 1 for all» non è più necessario mettersi a strofinare come forsennati. Tutti questi efficienti aiutanti domestici dell’assortimento Migros sono quasi completamente biodegradabili, in una percentuale che raggiunge addirittura il 99% per i prodotti Migros Plus.
Rimuove senza sforzo anche lo sporco più ostinato, comprese le incrostazioni di grasso: Potz Xpert Detergente universale e per pavimenti 1l Fr. 4.40
Grazie alla formula Quick Dry non c’è più bisogno di strofinare e lucidare. Al fresco profumo di limone: Potz 1 for all Detergente universale 1l Fr. 3.50
Pratico ed ecologico: Potz 1 for all Detergente universale, confezione di ricarica 1l Fr. 3.25
Per una pulizia a fondo dal fresco e duraturo profumo di fiori: Potz Fresh Flower Detergente universale 1l Fr. 3.20
Scioglie grasso e sporcizia senza strofinare e diffonde un delizioso profumo di fresco: Potz Fresh Aloe Vera Detergente universale 1l Fr. 3.20
La formula Power Protect facilita la pulizia e ritarda la formazione dello sporco: Potz 1 for Detergente universale, confezione spray 500 ml Fr. 3.50
Scoglie efficacemente grasso e sporcizia. Con sostanze naturali rinnovabili, biodegradabile al 99% e testato dermatologicamente: Migros Plus Detergente universale 1l Fr. 3.05
Già la nonna ne apprezzava le proprietà come solvente di sporco e grasso: Migros Plus Sapone potassico liquido 1l Fr. 3.25
L’Industria Migros produce numerosi apprezzati prodotti, tra cui Potz.
La colazione dell’Avvento. 40% 11.50 invece di 19.30 Salmone selvatico Sockeye MSC pesca, Alaska, 280 g
4.30 invece di 5.70
2.15 invece di 2.70
Michette in conf. da 1 kg o panini al latte in conf. da 600 g M-Classic, precotti 25% di riduzione, per es. michette, 1 kg
Emmentaler Höhlengold per 100 g, 20% di riduzione
40% 30% 12.50
3.90 invece di 5.60
Mazzo di amarillidi il mazzo
Cachi Persimon bio Spagna, vaschetta da 4 pezzi
Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DALL’1.12 AL 7.12.2015, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
3.90 invece di 6.50 Panna intera Valflora UHT 2 x 500 ml
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Idee e acquisti per la settimana
Aproz
Per sciropparsi l’inverno Su Migipedia, la piattaforma Internet della Migros, gli utenti potevano esprimersi su una nuova varietà di sciroppo. Con il 37 percento dei voti, la gara è stata vinta dal gusto Chai che ha sbaragliato la concorrenza di vaniglia-lampone, mandorla e ciliegiacioccolato. Estratto di tè nero e aromi naturali danno a questo sciroppo il tipico sapore speziato del Chai, lo speciale tè aromatizzato indiano. Diluito semplicemente in acqua calda o fredda, diventa una deliziosa bevanda rinfrescante o riscaldante.
Edizione speciale per l’inverno 2015/16
Foto e Styling Ruth Küng
Caldo o freddo: lo sciroppo Chai ha un intenso sapore di spezie.
Sciroppo Chai 75 cl Fr. 3.50 Nelle maggiori filiali
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche gli sciroppi Aproz.
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Idee e acquisti per la settimana
M-Classic
Un piacere per i denti Al lavoro, durante lo studio o nel tempo libero: le gomme da masticare M-Classic sono le compagne ideali per ogni momento della vita. Con le loro pratiche bustine richiudibili, queste piccole distributrici di freschezza non promettono solo piacere di masticare, ma è stato dimostrato che proteggono anche i denti perché contengono oltre il 24 percento di xilitolo. Questo sostituto dello zucchero, infatti, non è una fonte di nutrimento per i batteri delle carie e di conseguenza preserva i denti.
Quando a lezione si ha la bocca asciutta: M-Classic Spearmint Gomma da masticare 80 g Fr. 2.70 Stile perfetto, alito perfetto, denti perfetti: M-Classic Dental Peppermint Gomma da masticare 80 g Fr. 3.20
In rosso è bello: M-Classic Strawberry Gomma da masticare 80 g Fr. 2.70
Per rilassarsi prima di una riunione impegnativa: M-Classic Menthol Extra Strong Gomma da masticare 80 g Fr. 2.70
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche le gomme da masticare M-Classic.
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Idee e acquisti per la settimana
Tradizione
Per tutti i golosoni Qui siamo quasi tutti d’accordo: il dessert è tra le più irresistibili scoperte dell’umanità. Affinché ogni golosone possa soddisfare la sua voglia di dolce, Migros offre uno straordinario assortimento di dessert. Tra questi troviamo pure le delicate creme e flan della linea Tradition, come il flan alla vaniglia con salsa caramello, la crema al cioccolato al latte oppure ancora la crème brûlée. Sono tutti prodotti con ingredienti genuini e gustosi come se fatti in casa.
Azione 20% su tutte le creme dessert Tradition nella confezione da 4 pezzi, 4 x 175 g Fr. 4.15 invece di 5.20 Dal 1. al 7.12
Tradition flan alla vaniglia 125 g Fr. –.80 Tradition Crème Chocolat au lait 175 g Fr. 1.30 Tradition Crème Brûlée 2 x 100 g Fr. 2.85 Nelle maggiori filiali.
L’Industria Migros produce numerosi apprezzati prodotti, tra cui anche i dessert Tradition. Annuncio pubblicitario
30% sui libri
Offerta valida dall’1.12 al 14.12.2015 in tutti i reparti libri di Migros Ticino.
Aperture e v i t s Fe MartedĂŹ 8 dicembre dalle 10 alle 18 dei negozi e ristoranti Migros: Centro Agno - Parco Commerciale Grancia Lugano-Centro (Via Pretorio 15) - Centro S. Antonino Centro Shopping Serfontana - Arbedo-Castione Bellinzona - Biasca - Giubiasco Locarno (Via S. Franscini 31) - Losone Do it + Garden Pregassona - Taverne e Do it + Garden
Prossime aperture festive: domenica 13, 20 e 27 dicembre