Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVIII 21 dicembre 2015
M sho alle pa pping gine 3 3-43 / 54-6 1
Azione 52
Società e Territorio L’importanza di parlarsi: intervista a Eugenio Borgna
Ambiente e Benessere Lo spirito di Natale? È anche quando lo straniero gentile appare dal nulla nel momento del bisogno, risolleva il viaggiatore sventurato e poi svanisce senza accettare ricompense
Politica e Economia Il 25 dicembre, in un giorno la storia dell’uomo
Cultura e Spettacoli A Firenze Palazzo Strozzi dedica una mostra alla bellezza divina
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Inni sacri nei manoscritti luganesi
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di Giovanni Conti pagina 5
L’editore e la redazione di Azione augurano
Buon Natale alle lettrici e ai lettori, alle socie e ai soci della Cooperativa Migros Ticino
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Speciale Natale
Speciale Natale
Natale con Lucas Cranach Il racconto Quando il sogno irrompe nella realtà per trasformare
il tradizionale pranzo di Natale in un’insolita vicenda di amore
Bruno Gambarotta Incomincio a sognarlo una settimana prima di Natale. Tutte le notti. Da anni non dormo più le mie otto, nove ore di seguito come quand’ero giovane. Una collega s’è accorta che quando entriamo in un locale pubblico la mia prima richiesta è: «Dov’è la toilette?» e ha iniziato a spargere in giro la notizia che io sono socio fondatore dell’Associazione Amici della Prostata. (Non è vero naturalmente, ma se volete iscrivervi ho qui con me per caso dei moduli di adesione). Mi sveglio verso le cinque, vado in bagno, torno a letto e dormo ancora fino alle sette. Dei sogni fatti in quest’ultimo segmento della notte ho un ricordo nitido, completo in tutti i dettagli. Per tutte le notti della settimana precedente il Natale compare lui, prima dell’alba, con poche e insignificanti varianti tra un sogno e l’altro. Ha fra i trenta e quarant’anni, è vestito di grigio, con camicia e cravatta, come gli impiegati di banca di una volta. Mi sorride. In piedi, fermo all’incrocio di due strade, mi aspetta e sorride incrociando il mio sguardo. Sorride con gli occhi, con la bocca, con le rughe della fronte e con le pieghe verticali delle guance. Io sono in bicicletta, lo sorpasso senza salutarlo e proseguo per la mia strada. Lui mi segue, a piedi, senza correre. Non so come faccia a starmi dietro ma sento, senza bisogno di voltarmi, che lui è dietro di me. Arrivato davanti a un bar, mi fermo, scendo dalla bicicletta, l’appoggio al muro, entro e ordino un caffè (nel sogno non chiedo dov’è la toilette). Non distolgo lo sguardo dalla macchina del caffè ma percepisco che lui sosta all’ingresso del locale, entra e si avvicina. È più forte di me, devo voltarmi. Lui è lì e non smette di sorridere: «Non mi offri qualcosa?», domanda. Anch’io gli do del tu: «Io prendo un caffè. E tu?» «Io prendo un cranach, grazie». Specifica: «Con la ci, non con la cappa». La cassiera del bar non fa una piega. Batte sui tasti il prezzo del caffè, un euro e quello del misterioso cranach. Una cifra spropositata, quarantotto euro. Al momento di emettere lo scontrino il registratore di cassa ha un sussulto, si spalanca il cassetto delle banconote e inizia a srotolarsi a grande velocità il nastro di carta che si gonfia fino a coprire tutto il bancone. Il nastro continua a uscire, invade il locale e io mi sveglio. Così fino a ieri, vigilia di Natale. Non sono dotato di uno spirito battagliero e per celebrare il Natale in famiglia senza litigare ho dovuto cedere su molti punti. Su uno ho resistito: i ravioli. Per quanto mi riguarda, un pranzo di Natale non è degno di questo nome se non ci sono i ravioli. Preparati da me, seguendo la ricetta e le modalità che per molti anni ho visto seguire dalla mia povera mamma. Un rito, un vero e proprio rito, ecco cos’erano nella mia famiglia i ravioli di Natale. Rispettare questo rito è il mio modo – laico, terreno, materialista – di ricordare mia madre. Vi risparmio la solfa dei tre arrosti, della verza , della sfoglia. Vi basti sapere che impiego tre giorni a preparare i miei ravioli, più il giorno speso a procurarmi la carne e le verdure. Tre giorni perché non voglio essere aiutato, caccio via
chiunque osi affacciarsi alla porta della cucina. Tre giorni perché devo produrne una quantità industriale, ogni anno maggiore del precedente: la fama dei miei ravioli si è sparsa e me li chiedono non solo parenti e amici ma colleghi, capi, clienti. È anche un modo per sdebitarmi e fare regali che di sicuro saranno graditi. Termino l’impresa la vigilia di Natale, a metà pomeriggio; divido i ravioli una dozzina per volta, confeziono i pacchi mettendo l’etichetta adesiva con i nomi dei destinatari. Come un cuoco professionista, man mano lavo e asciugo pentole, padelle e tutti gli altri attrezzi di cucina, pulisco i ripiani, spazzo i pavimenti; lascio la cucina in perfetto ordine, più pulita e lustra di come l’ho trovata. Di solito, arrivato a questo punto, faccio una doccia e mi preparo per la serata, cena frugale e Messa di mezzanotte. Questa volta introduco una variante: scendo al bar sotto casa per offrirmi un whisky. So di essermelo meritato. In casa non tengo superalcolici, per non essere tentato di farmi un bicchierino quando tutti già dormono e io vado avanti ancora per un paio d’ore per chiudere una pratica senza essere interrotto da telefonate. Il barista mi conosce da trent’anni: figlio del padrone, era un ragazzino quando ha iniziato a servire i clienti. Vedendo che mi avvicino al bancone m’interpella: «Il solito, dottore?» «Sì Carlo, grazie». Sento una voce alle mie spalle: «Non ne offri uno anche a me?». Anche se lo vedo nello specchio mi giro a guardarlo: è lui, l’uomo che da una settimana abita i miei sogni, ogni notte. La mia prima reazione non è d’incredulità ma di sollievo. Penso: meno male che non ha ordinato un cranach da quarantotto euro. Il barista mi guarda con aria interrogativa e io devo stare al gioco: «Carlo, per favore, offrine uno anche al signore». E lui, sulla battuta: «Mi dai del signore, adesso?» Balbetto qualcosa come: «Ma tu sei un signore...» Carlo, posando sul bancone i due bicchieri spessi e quadrati con il whisky e il ghiaccio, indica le mie dita – nello spazio fra le unghie e la pelle a fare da cornice ci sono bianche tracce di pasta – e domanda: «Come è andata la tre giorni dei ravioli?» e prosegue, rivolto al tizio, con l’intento di compiacermi: «Lei che è suo amico conoscerà i ravioli del dottore. La loro fama ha superato i confini». «A Carlo piace scherzare...» minimizzo. Lui, maestro dell’iperbole, prosegue nello scherzo: «Pensi che lo scorso Natale è arrivata qui una troupe della televisione giapponese per girare un servizio sui suoi mitici ravioli. Hanno intervistato anche me, ma io non sapevo cosa dire, non ho mai avuto il bene di assaggiarli. Avrebbero dovuto intervistare lei, chissà quante volte li ha mangiati...» «Le credo sulla parola...» dice l’uomo del sogno. «Purtroppo non ho ancora avuto il piacere di gustarli». L’uomo fa una pausa per permettere a un velo di malinconia di stendersi sul suo viso. Riprende a parlare con un tono di voce accorato, con la perizia di un attore: «Domani sarà il quarto Natale che trascorro
da solo, in questa Torino così difficile, così chiusa...» «Ma com’è possibile?», commenta Carlo. «Quando si ha la fortuna di essere amici del dottore...» Sono in trappola. Per uscirne dico, di slancio: «Rimediamo subito. Domani sei a pranzo da noi. Non puoi rifiutare. Andiamo a tavola all’una precise perché dobbiamo rispettare le esigenze di un’anziana zia di mia moglie che vive sola e trascorre con noi il giorno di Natale». Aggiungo, con una punta di sadismo: «È una simpatica vecchietta, vedrai, ti piacerà». Sono sicuro che la zia vedrà nell’uomo un nuovo ghiotto bersaglio a cui scassare i marroni dall’antipasto al dolce. L’uomo del sogno, prima di congedarsi, ha ancora l’impudenza di dire: «Grazie, sarò puntuale. Ricordami solo il tasto del tuo citofono». «Come sai», dico per reggere la commedia fino in fondo, «abitiamo nel portone qui a fianco, al 104. Per farti aprire devi schiacciare il tasto con il numero 14». Per semplificare ho detto che la nostra ospite nel giorno di Natale è una zia di mia moglie, ma non è esatto. In realtà è una parente acquisita, grazie a un percorso che sarebbe troppo lungo spiegare. Diciamo soltanto che l’origine di questa lontana parentela risiede nel fatto che il nonno paterno di mia moglie si è ritrovato, ancora in giovane età, vedovo con un figlio da allevare e ha sposato in seconde nozze una vedova che a sua volta portava in dote figli di primo letto. Da uno di questi discende questa cosiddetta zia (ho promesso di non dilungarmi in spiegazioni e ho finito col farlo: dopo i ravioli, le genealogie sono la mia passione). Noi piemontesi disponiamo di un termine specifico per una parente di questo genere, la chiamiamo magna. Quella di mia moglie di nome fa Anita e, sempre dalle nostre parti, l’uso ha fatto cadere la lettera A iniziale. Per cui la nostra ospite fissa al pranzo di Natale è diventata Magna Nita. Provo un particolare piacere nel nominarla perché, nel nostro dialetto, la nita è il fango ed è proprio nel fango che Magna Nita va a rovistare per trovare la materia prima per alimentare i suoi devastanti pettegolezzi. Coloro che hanno costruito imperi mediatici sul gossip al suo confronto sono dei dilettanti sprovveduti che da lei avrebbero molto da imparare. Perché la invitate, allora? Chiederete voi. Bella domanda. Per bontà d’animo, perché a Natale siamo tutti più buoni, per cristiana sollecitudine, risponderebbe mia moglie. La nuda verità è che Magna Nita è l’unica proprietaria di un grande e luminoso appartamento che a noi farebbe tanto comodo. Sia pure alla lontana, siamo i suoi unici parenti, perciò in teoria basta avere la pazienza di aspettare che la natura faccia il suo corso (senza, per carità! cercare in qualche modo di accelerarlo). Sennonché Magna Nita, a ogni minima frizione con noi, di fronte a ogni nostro timido tentativo di opporre dei ragionamenti sensati alle sue stravaganti opinioni, annuncia che sta meditando di avviare le pratiche per lasciare l’appartamento in eredità alla Casa della Divina Provvidenza, nobile
Lucas Cranach il Vecchio (1472-1553), Altare di Feilitzsch.
istituzione benefica conosciuta col nome di Cottolengo, dal nome del santo che l’ha fondata. Di conseguenza, l’ordine di scuderia vigente nella nostra famiglia è: invitare la zia in ogni occasione e compiacerla in ogni modo. Ora mi attende il compito più difficile, far digerire a mia moglie la novità sconvolgente: l’invito a prendere parte al nostro pranzo di Natale rivolto a un perfetto sconosciuto. La prendo alla lontana: «Un giorno mi hai raccontato che gli ebrei osservanti, in occasione di una loro festa, mettono sulla tavola preparata per la cena un coperto in più in modo che, se all’ultimo momento bussa alla porta un viandante inatteso, sono in grado di servirlo e nutrirlo senza fare brutta figura». (Per un torinese «fare brutta figura» è il più mortale dei peccati). «Avviene durante la Pasqua ebraica, nel pranzo rituale chiamato seder dove, tra le tante regole da rispettare, c’è anche quella di prevedere un coperto in più, per l’eventuale arrivo del profeta Elia». Fornita la spiegazione, parte l’affondo: «Da quando in qua ti interessano le tradizioni ebraiche?» «Una volta l’hai spiegato a nostra figlia e ieri mi è tornato in mente». «Strano, quando parlo io di solito non mi stai a sentire. Ho idea che tu debba dirmi qualcosa e non sappia come fare». Mia moglie è una strega. Proseguo: «Oggi pomeriggio, quando ho finito di preparare i ravioli e di pulire la cucina, sono sceso al bar». «Scommetto che ti sei fatto un whisky! Tanto varrebbe tenerne in casa una bottiglia. Costerebbe meno e non saresti costretto a uscire di casa ogni volta!» «Sai benissimo che preferisco tenere lontana la tentazione di farmi un cicchetto quando tu sei già a letto. Oggi volevo festeggiare la fine di un lavoro di tre giorni». «Nessuno te l’ha chiesto di sacrificarti per i ravioli. Potremmo benissimo comprarli dal pastaio e nessuno si accorgerebbe della differenza». (È bello avere in famiglia qualcuno che ti capisce e ti incoraggia). «Avanti, sputa il rospo». «Carlo, il barista, prima mi ha domandato se avevo finito di preparare i ravioli e poi si è lanciato in un elogio degli stessi, dicendo cose iperboliche, come la
balla di una troupe della televisione giapponese venuta apposta a filmarli. Carlo scherzava ma un tale presente nel bar, che di sicuro non è torinese, l’ha preso alla lettera». «E allora, sbrigati che ho un sacco di cose da fare». «Allora quel tale ci ha informati con grande mestizia che anche questo Natale, per la quarta volta, l’avrebbe trascorso in totale solitudine. Mi devi credere, anche un sasso si sarebbe commosso». «Ma tu non ti sei lasciato commuovere, vero? Avanti, dimmi che non ti sei lasciato commuovere!» «Invece sì. L’ho invitato a venire domani a pranzo da noi». «Tu sei pazzo! Domani c’è zia Anita che assorbirà tutta la nostra attenzione. Non possiamo occuparci anche del tuo barbone!» «Non è un barbone! È più elegante di me!» «Ci vuol poco. Telefonagli e digli di venire a Santo Stefano e che gli teniamo da parte i ravioli. Spiegagli la situazione». «Non posso farlo, non so neanche come si chiama». «Hai invitato al nostro pranzo di Natale un perfetto sconosciuto! Secondo me devi farti ricoverare alla neuro». «Scusa, ma non sei tu quella che va a Messa e fa la comunione tutte le domeniche? Non sei tu quella che partecipa con ammirevole fervore alle riunioni dei gruppi di aiuto reciproco della parrocchia? Devo essere io a ricordarti cosa dice il Vangelo e quali sono i doveri di un vero cristiano?» Colpita al cuore. Colpita e affondata. Ciò nondimeno non rinuncia al tentativo di una debole difesa: «Le parole del Vangelo si riferiscono alla Palestina dei tempi di Gesù, quando la gente non si chiudeva a chiave in casa per paura dei ladri». «E non esistevano gli antifurto», completo io. «Ma lo spirito è rimasto». Come sempre, è lei ad avere l’ultima parola: «Se mia zia non ci lascerà l’appartamento sapremo a chi dire grazie». La sala da pranzo è usata per non più di tre volte l’anno e il Natale è una di queste. Si stende la tovaglia di lino ricamata a mano, con i relativi tovaglioli anch’essi di lino: due per ogni commensale, si ca-
pirà dopo il perché. I coperti questa volta sono cinque: io, mia moglie, nostra figlia Pierangela di sedici anni, la zia e l’ospite misterioso, ammesso che si presenti. I piatti di porcellana e i bicchieri di cristallo sono del servizio buono e, non essendo stati usati da gran tempo, ancorché puliti, devono essere rilavati e asciugati per l’occasione. Lo confesso, io soffro di avarizie mirate, merceologiche. Non m’importa di spendere in libri, spettacoli e viaggi. Soffro all’idea di buttare denaro in vestiti, telefoni, automobili. E in cibi e vini di fascia alta. Trovo scandaloso (e mai lo farei) buttare cento euro per un vasetto di funghi sottolio o duecento per una bottiglia di Barolo. Però se me li regalano mi fanno felice. Succede con una certa frequenza perché, a causa del mio lavoro, ho l’occasione di fare dei piaceri leciti che a me costano pochissimo e per chi li riceve valgono molto. Metto da parte i regali di alta gastronomia per una grande occasione, che per me è il giorno del mio compleanno e per mia moglie il pranzo di Natale. Vince lei, naturalmente, ma a Natale c’è Magna Nita che rovina tutto. Il prezioso barattolo di funghi, una volta aperto, sarebbe da gustare un pezzettino per volta, in silenzio, per godere di tutte le sfumature del gusto. Magna Nita non mi dà neanche il tempo di svitare il coperchio e, lanciando gridolini di gioia, afferra il barattolo e se ne versa nel piatto una metà abbondante. Poi inizia a mangiarne dei grossi pezzi, come se fossero non funghi ma patate, senza badare a quello che inforna e non smettendo mai di parlare. Per il vino è ancora peggio. Il vino mi piace, mi è sempre piaciuto. Non voglio passare da intenditore, ma ritengo di essere in grado di selezionare il meglio se parliamo di rossi piemontesi. Ebbene, da anni Magna Nita, nonostante il mio parere disinteressato, si fa abbindolare da un tale che, in prossimità delle Feste, inonda i settimanali letti dalla zia di una pubblicità con offerte mirabolanti: dodici bottiglie di un rosso con un nome di fantasia consegnate a domicilio a un prezzo che non ripagherebbe nemmeno i tappi se fossero di sughero. Non basta: c’è anche in regalo un orrendo piatto da portata in ceramica «dipinto a mano», come ci fa notare la zia ogni vol-
ta che ce lo consegna con un gesto solenne, come suo regalo di Natale. Ne avremo almeno una dozzina, di quei piatti schifosi. Li trattiamo male ma non si rompono mai. I piatti del servizio buono si rompono solo a guardarli, quelli della zia sono eterni. Tornando al vino, chi se ne frega se Magna Nita compra ogni anno dodici bottiglie di un ignobile intruglio. Il fatto è che ne porta due al pranzo di Natale e pretende che noi si bevano quelle e non quella magnum di Barolo che ho amorevolmente custodito in cantina, dopo averla ricevuta in dono. Io comunque la magnum di Barolo la stappo, intanto si ossigena. Non si sa mai. Pierangela ha avuto il permesso di dormire a casa di una compagna di scuola; conosciamo i suoi genitori e le mamme si sono parlate al telefono. In cambio del permesso la nostra unica figlia ha preso l’impegno solenne di rientrare a casa entro le undici: guai se la zia, quando arriva, non la trovasse in casa, sarebbe il pretesto per una solfa infinita sui giovani d’oggi e sui genitori moderni che non li sanno educare, roba da dare testate contro il muro, iniettarsi un virus da ricovero d’urgenza, immolarsi a una zanzara tigre. La pendola in stile coloniale inglese dell’ingresso batte undici rintocchi e di Pierangela nessuna traccia. Per calmare l’ansia mia moglie le telefona ma il cellulare risulta spento: «Mi spieghi a cosa è servito regalare l’ultimo modello di cellulare a tua figlia se poi nei momenti in cui servirebbe lo tiene spento? Eh, me lo spieghi?» (Quando combina qualche guaio Pierangela non è più nostra figlia, è soltanto mia). «Prova sul fisso della casa dell’amica». «Già fatto, non risponde». «Staranno ancora dormendo». «Chissà cosa avranno combinato ieri sera». «Avranno giocato a tombola con i loro amici». «Sì, usando le pastiglie di ecstasy al posto dei fagioli». Man mano che scorrono i minuti il nervosismo di mia moglie cresce. In questi casi l’unico rimedio è girare al largo. All’una meno dieci arriva Magna Nita con il nuovo piatto di ceramica e le due bottiglie di vino rosso con l’etichet-
ta di fantasia. Nota subito due cose: l’assenza di Pierangela e il coperto in più. Mia moglie: «Non dovrebbe tardare. Le abbiamo dato il permesso di andare ospite da una sua compagna, una che ha tutti otto sulla pagella. Conosciamo i suoi genitori, due stimati professionisti». Magna Nita non si lascia scappare l’occasione di inzuppare il pane: «Tante volte sono proprio i professionisti che non trovano il tempo di occuparsi dell’educazione dei figli. C’era un articolo su Io Donna che lo spiegava bene, se vuoi te lo presto». Senza attendere risposta prosegue, indicando la tavola apparecchiata: «Abbiamo ospiti?». «Sì», spiega mia moglie senza riuscire a celare un filo d’ansia. «È un amico di Bruno». «Un conoscente», mi affretto a correggere. «Quando ha saputo che avrebbe trascorso il Natale in solitudine si è sentito in dovere di invitarlo». «Hai fatto bene», approva Magna Nita, campionessa mondiale dell’ovvietà, rivolgendosi a me. «A Natale dobbiamo essere tutti più buoni». (Questa me la segno). Evocato dalle nostre parole, sentiamo lo squillo del citofono. L’ospite misterioso indossa un vestito grigio di lana di buona fattura, camicia bianca con i gemelli d’oro, una bellissima cravatta rosso scuro con motivi ispirati ai primi francobolli. Fa persino il baciamano, prima alla zia e poi a mia moglie, roba da circolo ufficiali! Per fortuna si presenta da solo: «Piacere, Lucas Cranach». «Come il pittore», nota subito la zia. «Sì, è un mio lontano antenato». Poi, rivolto a me: «A questo proposito, mi sono permesso di portarti un piccolo dono». Mi porge un pacco che dalla forma non può essere altro che un libro di grande formato. Mormoro un convenzionale: «Grazie, non dovevi disturbarti...» e inizio a spacchettarlo. È una splendida monografia sui due Cranach, padre e figlio, entrambi pittori. Chi ha confezionato il pacco regalo ha dimenticato di staccare il talloncino del prezzo. Non resisto alla tentazione di dargli un’occhiata: quarantotto euro! Come il prezzo del cranach
che nel sogno ero costretto a ordinare al bar! Magna Nita è eccitatissima, se non altro l’arrivo dell’ospite la distoglie dal pensare all’assenza di Mariangela: «Lucas Cranach il vecchio», comincia a dire. «Lo conosco bene, 1472-1553, è suo il famoso ritratto di Lutero.». «Complimenti signora», fa lui, cerimonioso. «Non sono in molti in Italia a conoscere i due Cranach». La guardo sbalordito e non mi trattengo, anche se mia moglie lancia occhiate censorie: «Com’è che sei così informata sulla famiglia Cranach?» E lei, civettuola: «Ho seguito il corso di storia dell’arte all’università della terza età. Dovresti trovare il tempo anche tu di seguire qualche corso. Allarga la mente». Si rivolge all’ospite, con il tono mondano di chi s’informa su una comune conoscenza: «Lucas il vecchio è stato anche tipografo, vero? Se non ricordo male nel 1525 ha aperto una stamperia per pubblicare le opere di Lutero». «Esatto!», s’entusiasma lui. «Altro che allieva, signora. Dovrebbe essere lei a salire in cattedra». «Non è detto che prima o poi non succeda». Roba da matti! Per quattro nozioni in croce! Per tagliare corto dico: «Su, a tavola, i ravioli non possono aspettare». Lui indica il quinto coperto: «Manca ancora un quinto ospite o seguite anche voi la tradizione ebraica del seder?» «È per nostra figlia Pierangela», mi affretto a spiegargli. «È ospite di una sua compagna. Saranno rimaste addormentate». Ci accomodiamo. Inizia il rito dei ravioli. Spiego: «Il primo giro lo facciamo servendoli sul tovagliolo di lino che assorbe il residuo di umidità. Si degustano così, senza condimento, per apprezzarli al meglio. Poi seguiranno nei piatti con i vari condimenti, burro e salvia, pomodoro e basilico, funghi in umido, sugo dei tre arrosti, pesto alla genovese, pesto alla trapanese». L’ospite ne prende uno con la forchetta, lo mette in bocca e inizia a degustarlo lentamente. Lo inghiotte e poi emette il suo giudizio: «Ma sono fantastici, semplicemente paradisiaci. Non ho mai mangiato niente di altrettanto buono. Adesso capisco la televisione giapponese».
La zia, invidiosa: «La televisione giapponese?» «Ma niente», la tranquillizzo. «È uno scherzo di Carlo, il barista qui sotto casa». L’ospite vuole sentire il parere della zia: «Non trova anche lei signora che questi ravioli sono semplicemente divini?» «Be’, divini... non esageriamo. Per essere buoni sono buoni, non dico di no. Ma sono niente in confronto a quelli che faceva la mia povera mamma». «Non diciamo bestialità», si arrabbia lui, sotto lo sguardo terrorizzato di mia moglie che già vede sfumare l’eredità. «È impossibile, ripeto impossibile! trovare dei ravioli non dico più buoni, ma anche solo paragonabili a questi. Forza! Le concedo una prova d’appello! Ne assaggi un altro, lasciando da parte i suoi pregiudizi e poi mi dia il suo parere. Sincero, questa volta!». Incredibile. La zia ubbidisce, docile come un agnellino. Mastica coscienziosamente il suo raviolo e ammette: «Sì, aveva ragione lei, sono divini». Lui trionfa: «Vede? Adesso ci vuole un brindisi». Afferro una delle bottiglie portate dalla zia che avevo nel frattempo stappato, ne verso alla zia e mi accingo a servire Lucas. Lui mi blocca, s’impossessa della bottiglia e la ruota verso di sé per leggere l’etichetta: «Ma che razza di vino è?», esclama. «Scusa, ma vorresti accompagnare i tuoi divini ravioli con questa roba? Non ci posso credere. E dire che voi piemontesi avete fama di intenditori». «Queste bottiglie sono un dono della zia», gli spiego. «E noi le beviamo con lei a Natale. È una tradizione della nostra famiglia». «Saranno anche un dono di Natale, ma questo vino va bene sì e no per cucinare. È un delitto usarlo per accompagnare i tuoi ravioli. Piuttosto dammi dell’acqua». Si guarda attorno in cerca della caraffa e nota la magnum stappata sulla mensola del termosifone: «E quella cos’è, scusa?». Evito di incrociare lo sguardo di mia moglie, sarà furente: «È solo un po’ di barolo, l’ho aperto per ossigenarlo nel caso al termine del pranzo dovesse esserci ancora bisogno di un po’ di vino...» «Dai qui!», ordina lui, con il piglio di uno abituato a comandare. Mi alzo, afferro la bottiglia e gliela porgo con cautela, per evitare di scuotere il vino. Lucas la prende trattandola come una reliquia, la gira per leggere l’etichetta ed esclama: «Ma è un Barolo Cannubi del 2010, il vino dei vini! E tu volevi farmi bere quell’intruglio». Poi, rivolto alla zia: «Scusi, signora, lei non ha colpe, ma non deve più dare retta a questi ciarlatani. Se lei me lo permette, sarò felice di offrirle i miei servizi che le permetteranno in breve di acquisire una competenza invidiabile in campo enologico». Lei cinguetta: «Quando cominciamo le lezioni?» «Anche subito. Metta il naso dentro questo calice, chiuda gli occhi, inspiri e mi dica quali profumi percepisce». Magna Nita esegue come una scolaretta diligente e mentre tira su con il naso squilla il telefono. Ci blocchiamo mentre mia moglie va nell’anticamera a rispondere. Torna subito con una faccia che annuncia tempesta: «Era l’amica di Pierangela, dice se per favore vai a prenderla, non sta tanto bene, non ha digerito qualcosa che hanno mangiato ieri a cena». Mi alzo: «Vado subito, faccio più in fretta che posso ma voi non aspettatemi». Si alza anche Cranach: «Ti accompagno». «No, ti prego, rimani, tieni compagnia alle signore». «Non se ne parla proprio, vengo con te». È impossibile opporsi: «Andiamo allora». Mia moglie, terrea in volto, si alza anche lei: «Aspetta», mi fa. «Ti do l’indirizzo». «Lo so», dico io, sempre lento a rendermi conto delle situazioni. «Ho accompagnato Pierangela dalla sua amica decine di volte». segue a pagina 4
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Speciale Natale
Chiesa di San Gioacchino (costruita tra il 1876 e il 1882), Torino, Corso Giulio Cesare. da pagina 3
È costretta a svelarsi: «Non è più lì, è con la sua amica alla fermata del tram». Magna Nita è pronta ad infilarsi: «Se è già alla fermata perché non prende il tram e ci lascia mangiare in pace». Mia moglie quasi geme: «Te l’ho detto, non sta bene, ha paura che le venga da vomitare mentre è sulla vettura». «Già, perché se vomita sui sedili della macchina di Bruno è meglio, secondo te». Vengo incontro a mia moglie: «Ai
primi conati mi fermo e faccio in modo che non mi sporchi i sedili». Ci muoviamo in tre, Magna Nita resta sola, faccio in tempo a vedere che si scola il calice di barolo. Mia moglie ci viene dietro fino all’ingresso e mentre prendo da un vassoio le chiavi dell’auto mormora: «È in corso Giulio Cesare, all’altezza della vecchia stazione della Torino Ceres...» «Ma la sua amica sta dall’altra parte della città...» «Lo so. Adesso è lì con lei. Dice che Pierangela si è sdraiata sul gradino del-
la chiesa e non vuole più schiodarsi di lì. Meno male che le messe sono finite. Vedete di caricarla in macchina e di portarla a casa più presto che potete...» In auto non parlo, cerco di andare più veloce che posso, per fortuna le strade sono pressoché deserte. Cranach è discreto, non mi chiede niente di Pierangela, mi offre informazioni neutre: «Quella davanti alla vecchia stazione è la chiesa di San Gioachino. Da non confondere con il Gioacchino da Fiore citato da Dante».
«Certo, certo, chi li confonde...» mormoro cercando di immaginare in quale stato troverò mia figlia. Attraverso con l’auto la pedonale piazza della Repubblica ripreso da mille telecamere che m’inonderanno di multe, sperando che per Natale promulghino un’amnistia per i trasgressori. Passo la strettoia di corso Giulio Cesare, infilo il controviale passando davanti alle macellerie arabe e mi fermo davanti alla chiesa. Mia figlia è lì, sdraiata sul primo gradino, con un sorriso beato. L’amica, in piedi accanto a lei, ci accoglie con un: «Finalmente! Ce ne avete messo del tempo ad arrivare!». Non le rispondo, non le chiedo come mai sono finite dall’altra parte della città per non ascoltare o delle bugie o delle verità raccapriccianti. Mi chino su Pierangela e le dico: «Su, alzati, forza, andiamo a casa». «Lasciami stare, io sto bene qui». «Ma è Natale», replico, come se gli altri giorni dell’anno fosse normale starsene sdraiati sui gradini di una chiesa. Cranach non parla, agisce; apre lo sportello posteriore destro della mia auto e mi esorta: «Dai, affermiamola e adagiamola sul sedile». L’afferro dalle spalle e lui dalle ginocchia, la issiamo e la infiliamo nell’auto mentre lei non ha la forza di reagire ma solo di protestare debolmente: «Lasciatemi dormire, buon Natale a tutti». Chiudo lo sportello e chiedo all’amica: «Tu cosa fai? Vieni con noi? Vuoi che ti accompagniamo a casa?». «No, grazie, prendo il tram, tanto a casa mia non c’è nessuno». Non insisto, saliamo a partiamo. Durante il tragitto verso casa, Pierangela apre gli occhi, vede Cranach seduto accanto a me e domanda: «Chi è questo qui?» «È un mio amico». «Impossibile. Tu non hai amici».
Lui si volta: «Invece uno ce l’ha. Piacere Lucas Cranach». «Piacere. Sei più giovane di mio padre. E anche più bello. Sei single?». «Sì», risponde lui. «Dove andiamo?» domanda lei. «Dove vuoi che andiamo? A casa, c’è la zia che ci aspetta per finire il pranzo di Natale. Ci siamo interrotti per venirti a prendere». «Aspetta. Se mi vede in questo stato, col cavolo che ci lascia l’appartamento». «Cosa vuoi fare?» «Fermati a una fontana, mi do una rinfrescata». Eseguo, l’aiutiamo a scendere. Mette la testa sotto il getto di acqua gelata e quando torna a sedersi in auto sembra un’altra. Beata gioventù. «Il tuo amico la sa la storia dell’appartamento?». «No e non mi sembra il caso». «Sì invece. Che razza di amico sarebbe altrimenti?». Si rivolge a Cranach: «Zia Anita è proprietaria di un meraviglioso appartamento. Noi siamo gli unici eredi ma lei minaccia di lasciarlo al Cottolengo per guadagnarsi il paradiso. È per questo che l’invitiamo a Natale e subiamo tutte le sue angherie». Cranach, a Pierangela: «Vuoi che la convinca a lasciartelo?» «Magari». «Bene. Lo farò. Però dopo mi sposi». «D’accordo. Tanto avremo già la casa». «Non sei ancora maggiorenne», è l’unica obiezione che mi viene in mente. Poi taccio. Non voglio più ascoltare. Non voglio sapere come questa storia andrà a finire. Purtroppo le orecchie non hanno palpebre, così sono costretto a sentire Pierangela che dice: «Intanto possiamo convivere e poi, quando avrò diciotto anni, sposarci». Lucas Cranach è d’accordo: «Ci sposeremo nella chiesa di San Gioachino, dove ti ho vista per la prima volta».
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Speciale Natale
I colori della musica sacra Tesori in Biblioteca Il repertorio musicale natalizio antico, negli antifonari di Santa Maria degli Angeli,
conservati alla Cantonale di Lugano e in mostra fino al 16 gennaio Giovanni Conti E pensare che il Natale non è la festa più antica nata nell’ambito del Cristianesimo. Lungo sarebbe il discorso da fare attorno a questa ricorrenza che, lo si voglia o meno, è legata indelebilmente alla nascita di quel Gesù di Nazareth il cui operare ha finito per sconvolgere il mondo. Certo è che le situazioni narrate dalle fonti storiche, quali sono i vangeli, non possono coincidere con abitudini e consuetudini stratificate e per lo più codificate nella tradizione ebraica. Pensare che Cristo sia nato il 25 dicembre è certamente il frutto di una convenzione che di ebraico non ha nulla, ma calza perfettamente con il contesto romano dove nasce nella prima metà del 300 dilagando poi in un susseguirsi di devozioni che investono il Nordafrica, la Penisola iberica, il Nord della Penisola italica giungendo persino ad Antiochia. In un contesto storico e culturale come quello romano, dove il culto agli dei si alternava a quello degli astri, la festa del Sole, ovvero il Natalis solis invicti, occupava un posto di rilievo. La Chiesa di Roma contrappose la luce di Cristo che illumina ogni uomo, alla luce del sole che nel solstizio d’inverno trovava il momento più alto della
celebrazione di una festa di fatto idolatrica. Ma la nascita di una festa e la fissazione di una data per celebrarla non sono bastate a rendere il Natale ciò che oggi intendiamo. I primi secoli dell’esperienza cristiana hanno visto le diverse comunità attribuire importanza diversa al Natale, improntate piuttosto a mirare la propria attenzione verso la festa che costituisce il punto più alto del cristianesimo, ovvero la Pasqua in cui tutti coloro che credono nel messaggio del Nazareno celebrano la morte, ma soprattutto la risurrezione di quell’uomo che in solo tre anni di predicazione ha sconvolto le sorti dapprima della Palestina e poi del mondo intero. Il vissuto delle diverse dimensioni date al Natale, lo si misura non solo attraverso le fonti ufficiali, ma anche analizzando le tracce della devozione popolare. Una devozione che, in casi come questi, lascia più segni di quanto si possa pensare. Ed è in questo contesto che dobbiamo collocare la musica natalizia: un fenomeno che va letto attraverso l’espressione devozionale e della pietà popolare. Se solo ci si vuole basare sui dati in possesso circa la città di Roma, sono proprio le ragioni devozionali a determinare il carattere della tradizione. L’ufficiatura natalizia in origine celebrata in San Pietro vide ben presto una celebrazione a mezzanotte nella basilica di Santa Maria Maggiore (siamo della prima metà del 400) dove era costruita una capanna che riproduceva la capanna di Betlemme…. Da questo punto in poi sarà il Medioevo a costituire, con le sue differenze culturali e integrazioni più o meno forzate, il punto di riferimento per lo sviluppo di repertori musicali. Quelli ufficiali, ossia quelli da utilizzare secondo regole ben fissate all’interno delle celebrazioni religiose e, numericamente ancora più ampi, quelli per vivere la gioia del Natale in dimensione popolare.
Di tutta questa musica è rimasta soprattutto quella liturgica che non porta in sé quell’atmosfera natalizia che solo dal tardo barocco in avanti la nostra cultura ha acquisito in termini estetici e di stile. Se quella popolare, perché affidata quasi unicamente alla trasmissione orale, ha lasciato testimonianze limitate, quella liturgica è stata tramandata di generazione in generazione superando – grazie alla sua ufficialità – mutati gusti musicali, sovrapposizioni di disposizioni normative, situazioni musicali innovative ed altro ancora, ma rimanendo fedele a se stessa a causa del messaggio teologico da essa veicolata. I testi erano esclusivamente tratti dalla Bibbia e mettevano a fuoco il tema della Salvezza attraverso la venuta del Cristo. Naturalmente questo discorso può essere esteso a tutto il repertorio di quel canto che poi, nei secoli, in onore di un grande papa, fu chiamato Canto Gregoriano. Un canto che ha accompagnato la quotidianità della vita liturgica di milioni di cristiani e che ha lasciato testimonianze come quelle che in questo periodo la Biblioteca cantonale di Lugano espone nei suoi locali. Libri di grande pregio artistico e di immenso valore musicale che sono la testimonianza di un vissuto – fatto di
preghiera in musica – che ha avuto nella città sul Ceresio un punto focale. Libri concepiti e utilizzati per il convento luganese di Santa Maria degli Angeli tra il 1585 e il 1687. Dodici volumi, dieci in pergamena e due su carta, divenuti di proprietà dello Stato al momento della soppressione dei conventi nel 1852. Da allora questi straordinari libri mai erano stati esposti al pubblico. Ora, invece, dando avvio ad una vasta operazione di recupero e di restauro, il direttore della biblioteca, Gerardo Rigozzi, ha fatto sì che questi «tesori» possano testimoniare visibilmente il vissuto di una pratica musicale legata alla città. Pratica musicale all’interno della quale il repertorio natalizio ha occupato un posto di primaria importanza, con i canti eseguiti, ad esempio nelle tre messe che caratterizzano la celebrazione del Natale, quelle della Notte, dell’Aurora e del Giorno. Ciascuna con canti propri e diversi tra loro e, data la solennità del giorno, redatti sui grandi libri corali incastonati in miniature di pregevolissima fattura. Canti come il celeberrimo Puer natus il cui testo esprime tutta la dimensione della teologia medievale che lo ha scelto dal libro di Isaia e che parla di «un bambino appena nato che porta sui propri omeri i segni del proprio potestà»: quei segni altro non sono che la prefigurazione della croce che lo condurrà alla morte. Una fotografia di un vissuto distante da noi che mai noi, evidentemente, figli di una cultura filtrata dall’Illuminismo e dal Romanticismo, avremmo scelto per celebrare un momento così alto. Nei libri luganesi l’Avvento e il Natale sono il preludio di una lunga serie di brani musicali in cui si trovano le tracce di melodie originate lungo un asse temporale che è quasi bimillenario in contesti culturali diversi. Brani arcaici, che svelano la loro origine ebraica, nordafricana o del bacino del Mediterraneo.
Ma anche il sapore della Gallia medievale a dimostrazione che il canto gregoriano – anche quello cantato a Lugano dai francescani della Madonna degli Angeli – è un caleidoscopio sonoro che si è arricchito delle peculiarità delle diverse liturgie, le stesse scomparse per far spazio alla tradizione romana. Qualunque sia quindi lo sguardo che gettiamo su queste preziose pagine, non si deve dimenticare che sono tangibile testimonianza di una preghiera complessa ed eminentemente musicale, corale. Lo strumento per cantare le lodi a quel Dio al quale l’uomo desidera giungano le proprie preghiere. Un Dio che va al di là delle appartenenze religiose e che la musica aiuta a cogliere nella sua dimensione più alta. Forse il Natale di quest’anno, a Lugano, può servirci anche a questo. Dove e quando
Il Suono della Parola. I libri corali della Biblioteca cantonale di Lugano. Lugano, Biblioteca cantonale. Fino al 16.01.2016. Entrata gratuita. I manoscritti sono pubblicati online in forma completa all’indirizzo web: www.sbt.ti.ch (voce del menu «offerta digitale»).
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Attualità Migros
M Nuove prospettive per i piccoli produttori Commercio equo Migros acquista il suo succo d’arancia da due cooperative di contadini nel sud del Brasile
Con mani agili, una dozzina di uomini e donne colgono le arance dai rami, le mettono nelle borse di stoffa che hanno legate alla vita e le svuotano in grandi ceste che vengono poi trasportate da un trattore. Appena prima di mezzogiorno il sole batte con tutta la sua forza sulle piantagioni di Paranavaì, circa un’ora e mezza di volo a sud di São Paulo. Solo il bus che alla mattina ha portato i lavoratori sul posto offre un po’ d’ombra. Neuza, una raccoglitrice, si siede davanti, su uno dei sedili di plastica. Con un coltellino toglie in un attimo la buccia di un’arancia, addenta la polpa succosa. È ora di fare una pausa. Da dietro arriva Gricele, che ha il compito del controllo: sull’appezzamento di sua competenza verifica scrupolosamente quante ceste di arance sono state colte da ognuno, ma ora mette da parte carta e penna, si siede al tavolino pieghevole, scarta il suo pranzo. Anche Fabio e Cristina, due lavoratori più giovani, prendono posto. I due sono sposati. Lei coglie arance da più di dieci anni, è fra le più veloci. A lui manca ancora un po’ di pratica: in realtà Fabio è un operaio e solo da poco tempo lavora qui. Nelle piantagioni della cooperativa di contadini Coacipar guadagna di più che in cantiere, dice. Le condizioni di lavoro sono migliori che altrove, spiega un altro raccoglitore. Inoltre si riceve un salario
minimo garantito. Cristina aggiunge: «Alla Coacipar guadagno in cinque giorni quanto guadagnerei in sei nelle piantagioni dei grandi produttori». Anche i suoi due figli ne beneficiano: Coacipar sostiene un programma di tempo libero e formazione per ragazzi dai 6 ai 14 anni. In effetti Coacipar è una cooperativa di circa 50 contadini, un esempio di produzione equa e sostenibile di succo d’arance. Lo svizzero medio consuma circa sette litri all’anno dell’apprezzata bevanda; buona parte di questa deriva da concentrato fabbricato in Brasile. Lì il mercato è dominato da tre grandi gruppi che soffocano i piccoli produttori: facendo pressione sui prezzi causano condizioni di lavoro in parte miserabili per raccoglitori e contadini, che spesso rinunciano e emigrano in città alla ricerca di una vita migliore. L’Industria Migros Bischofszell Nahrungsmittel AG (Bina) ha quindi deciso nel 2015 di utilizzare succo d’arancia Fairtrade Max Havelaar per i suoi succhi delle linee Gold e M-Classic, e di acquistare il concentrato necessario dalla cooperativa Coacipar e da una piccola associazione di contadini, non ancora così organizzata, di Liberato Salzano. Vanusa Toledo è la direttrice di Coacipar. Spiega il sistema in vigore: «Nel 2011 ci siamo fatti certificare Fairtrade, così generiamo quasi il 40 per cento di denaro in più rispetto alla produzione convenzionale». Le maggiori
entrate vengono per lo più investite: in nuove macchine e attrezzi, nella formazione continua e in progetti sociali. Una sfida era la tracciabilità al cento per cento, che bisogna garantire per Migros. Citri, la ditta locale che trasforma le arance, ha dovuto accettare di pulire
e spremere i frutti Fairtrade in giorni separati e inoltre registrare quale carico proviene da quale contadino. Gli operai della fabbrica sono pronti a produrre i succhi Fairtrade di Coacipar, parecchi autocarri con il nome del contadino corrispondente
aspettano di essere scaricati. Si compilano formulari, poi le sfere arancioni rotolano sui nastri trasportatori, i frutti difettosi vengono eliminati, gli altri lavati e spremuti: il succo è poi fatto evaporare fino a ottenere un denso concentrato. Nel laboratorio si misurano i valori zuccherini e si esamina la qualità. Una collaboratrice controlla che nel concentrato non siano presenti impurità. Alla fine il concentrato è versato in fusti su cui si appongono scritte dalle quali risulta esattamente da quale contadino provengono le arance: poi il tutto si surgela. Segue un viaggio in nave fino in Olanda, nei depositi della Fruitag, dove si mescolano concentrati più dolci e più aspri per ottenere il gusto perfetto. Si prosegue poi per la Svizzera verso Bischofszell nel canton Turgovia, dove la Bina imbottiglia il succo d’arancia e lo indirizza alle filiali Migros.
Hércules Edemir Cetaro, il presidente di Coacipar. (V. Hoegger)
Le arance raccolte vengono poste su un nastro trasportatore. (V. Hoegger)
I frutti non conformi sono eliminati manualmente. (V. Hoegger)
La sezione del controllo di qualità. (V. Hoegger)
* Redattrice di Migros Magazin
Nina Siegrist *
La Cooperativa Coacipar sostiene anche un programma di formazione. (Véronique Hoegger)
Dove nasce «Azione»
Migros News Solidarietà natalizia La raccolta di fondi 2015 di Migros vuole ricordarci che un bambino su 10 in Svizzera è colpito da povertà: è destinata alle associazioni Caritas, Pro Juventute, Soccorso d’inverno e HEKS Aiuto delle chiese protestanti. Si può partecipare caricando una foto su www.mostracuore.ch: Migros donerà cinque franchi per ogni foto inviata. I clienti potranno inoltre acquistare cuoricini di cioccolata esposti alle casse delle filiali. A fine anno Migros raddoppierà l’importo, fino a un massimo di 1 milione di fr. Si può donare con SMS, parola chiave «Stella» (es.: «stella 20»), al numero 455 oppure tramite versamento sul conto postale 30620742-6. La canzone Ensemble, infine, può essere scaricata anche quest’anno su ExLibris, iTunes o GooglePlay.
Forum Elle Una visita al centro
Stampa di Muzzano
Nelle scorse settimane un folto gruppo di socie della sezione ticinese di Forum Elle, l’associazione femminile di Migros, ha partecipato a una vista al Centro Stampa di Muzzano, la tipografia ticinese nelle cui rotative viene stampato settimanalmente il periodico di Migros Ticino. Le visitatrici, guidate dalla presidente della sezione ticinese Gaby Malacrida, sono state accompagnate da Stefano Soldati, direttore del Centro Stampa, e dal Redattore capo di «Azione» Peter Schiesser.
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
Il programma dei prossimi incontri è pubblicato su www.forum-elle. ch. (CdT - Maffi) Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11 Stampa Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
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Società e Territorio Mistero e avventura con Ildeprando Torna in un nuovo volume l’immaginario studioso del Settecento che invita i bambini ad esplorare il nostro territorio pagina 8
Ritorniamo a parlarci Intervista Lo psichiatra Eugenio Borgna
propone una riflessione sulla comunicazione e il dialogo
Laura Di Corcia Pare venire da lontano la voce di Eugenio Borgna, uno degli esponenti di punta della psichiatria fenomenologica in Italia (è stato a lungo primario emerito di psichiatria presso l’Ospedale Maggiore di Novara) e autore di libri in cui racconta, utilizzando spesso le immagini fornite dalla grande letteratura, del complesso viaggio alla scoperta dell’interiorità e del male che spesso si annida nell’animo umano e tace. Parlarsi. La comunicazione perduta, il titolo del libro recentemente edito da Einaudi, si riferisce ad una dimensione duplice: quella del dialogo con l’altro, ma anche quella del confronto con se stessi, conditio sine qua non per ascoltare e accogliere chi ci sta di fronte. Professor Borgna, questi sono tempi segnati dall’ossessione per la comunicazione. Ma parlarsi è diventato più semplice o più difficile?
È diventato sempre più complicato e infrequente, divorato da altri mezzi di comunicazione, come la tv, internet, i cellulari. Il linguaggio in questo modo diventa povero e perde l’intimità che ha quando ci si guarda negli occhi. Se per parlarsi intendiamo scambiarsi parole vuote, chiacchiere, allora sì, ci si parla senza fine; ma se con il termine parlarsi intendiamo entrare in relazione con gli altri, dobbiamo ammettere che oggi come oggi ci parliamo ben poco. Una domanda provocatoria: non è che nascondendosi dietro uno schermo, come può essere il caso di chi comunica attraverso le chat e i telefonini, si riescono a dire cose che di fronte alla presenza enigmatica di un altro corpo non si sarebbe in grado di esprimere?
Guardarsi, vedersi, implica un parlarsi con le parole ma anche con il linguaggio del silenzio e con quello del corpo. Le espressioni dei volti, i gesti, l’abbracciarsi, questi sono i modi che entrano in gioco nella dimensione più profonda della comunicazione. Abissali sono le differenze tra le parole che vengono dette guardandosi in faccia e quelle che vengono passate attraverso quei modi cui faceva riferimento con la sua domanda. Non si parla solo con gli altri, ma anche con se stessi: ebbene, questo oggi è diventato straordinariamente difficile. Il timore è quello di scoprire abissi, come diceva Nietzsche, nei quali
potremmo forse sprofondare. Quando è un fenomeno non solo intersoggettivo, ma anche intrasoggettivo, «parlarsi», il titolo del libro, assume quella completezza dialogica che si oppone alle forme comunicative attuali e che crea la relazione. Si riesce ad ascoltare solo quando si è capaci di interiorità, quando siamo capaci di trasformare le parole che udiamo in qualcosa che vive dentro di noi. Nel libro spiega che per aprirsi all’altro, quindi al significato della sua esistenza che spesso passa attraverso il dolore, è necessario dialogare con se stessi, ritagliandosi uno spazio di silenzio. Come è possibile, questo, in una società dominata dal mito della velocità?
Tutta questa corsa che non dà un attimo di tregua si ferma solo se diventa acquatica, quando accade qualcosa dentro di noi. Quello che dolorosamente ci salva è il sentimento della tristezza – non intendo quella patologia, ma la malinconia leopardiana, che ci consente di cogliere il senso della vita. Quando – o per carattere o per destino – siamo portati a vivere insieme a qualche squarcio di questa tristezza che a volte nasce proprio dentro la gioia, indipendentemente dalla cultura che abbiamo, siamo incredibilmente al riparo da quella frenesia. Il nostro è un mondo de-emozionalizzato: è questo che ci porta a correre disperatamente alla ricerca di successo, apparenze, apparizioni, televisione, radio, ecc. Eppure, più che da parole, siamo circondati da immagini.
Anche questo è un discorso di grande importanza. La parola implica una distanza totale fra chi parla e chi ascolta: nelle immagini sprofondiamo, non ci consentono una presa di distanza. La maggior parte delle immagini sono flash che finiscono solo con l’accrescere il bisogno di cambiarle: un’immagine dura un secondo e siamo subito alla ricerca di un’altra raffigurazione. Anche questo ci porta sempre più fuori di noi. La new age e le dottrine ad essa affini dicono che bisogna pensare positivo, quindi lasciare da parte la sofferenza e i vissuti più difficili. E soprattutto non comunicarli agli altri, altrimenti si passa loro energia negativa.
Questa tesi è priva di ogni fondamento psicologico: non sono certo le direttive o le proposte teoriche che riescono a
Parlarsi guardandosi negli occhi vuol dire comunicare oltre che con le parole anche con il linguaggio del corpo. (Keystone)
dare senso alla propria vita. Se seguissimo questi consigli diventeremmo più o meno dei robot. I sentimenti e le emozioni vengono quando vogliono e seguono i loro cammini, che possono essere quelli della gioia, della passione e della speranza, ma anche quelli del dolore. Le emozioni vere non subiscono imposizioni. Si tratta di tesi fantasmatiche che creano illusioni e speranze inutili; quando scompaiono, inoltre, generano disperazione e una sofferenza che francamente si potrebbe evitare. Chi parla con l’altro, si libera di un peso. E chi ascolta, cosa ci guadagna?
Dare qualcosa di noi agli altri ha un enorme significato terapeutico e psicologico. La riconoscenza che devo ai pazienti e alle pazienti che vedo e continuo a vedere non è una forma retorica: spesso chi ascolta riceve più aiuto di chi viene ascoltato. Sono cose che sono scritte nei grandi testi di psichiatria.
Importante anche la questione del tempo: se si conta il tempo di ascolto, si passa il senso di una freddezza di cuore. Il tempo di chi ascolta dovrebbe essere sintonizzato col tempo di chi parla, che non è mai quello dell’orologio. Non ha mai cronometrato le sedute con i pazienti?
Mai. Come psichiatra ho avuto a che fare con le grandi sofferenze umane. Se con un paziente può bastare scambiarsi una stretta di mano e guardarsi negli occhi (cosa apparentemente banale e invece spesso decisiva per creare un clima di fiducia), con un altro può servire un’ora e anche di più; l’importante è sentire quale sia il suo bisogno. Che spesso è il bisogno disperato di chi sta annegando. Nella sofferenza più profonda si agonizza, capisce? Si agonizza. Ai genitori che si trovano alle prese con un figlio o una figlia adolescente si fa sempre presente l’importan-
za del dialogo. Eppure a volte niente è più difficile di questo, perché i ragazzi a quell’età tendono a erigere barriere e a escludere le proprie madri e i propri padri. Come fare?
Apparire agli occhi dei propri figli come quelli che abbattono le loro mura significa dimostrare di non capire le ragioni che inducono al silenzio e alla solitudine. La sola cosa concreta che si può dire è che quanto più una madre, un padre ma anche uno psichiatra sa rivivere quello che è stata per lui o per lei l’adolescenza, quanto più ha memoria per ricordare quali emozioni e sentimenti ha provato in quel periodo, tanto più troverà delle sonde terapeutiche per avvicinarsi ai ragazzi e alle ragazze, scoprendo gesti, parole, silenzi che riescano a costruire delle passerelle in grado di aprire brecce in queste monadi dalle finestre chiuse quali sono i giovani di oggi, colpiti dal bombardamento mediatico di cui dicevamo prima.
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Società e Territorio
Il viaggio di Ildeprando Bambini Un nuovo volume arricchisce il progetto
della Biblioteca cantonale di Lugano
Gli albori della Natività Iconografia Le levatrici e il rito
della Lavanda del Bimbo Letizia Bolzani «Ho deciso di mettermi in viaggio per raggiungere i baliaggi italiani salendo lungo la sponda destra del Lago Maggiore. Sono partito quasi di corsa, lasciando il mio castello come se dovessi fuggire da un nemico. Infatti stavo scappando: dal dubbio, dalla paura, dal desiderio di abbandonare questa avventura alla mia età non più giovane». Con queste parole, coraggiosamente «alte» e letterarie in un libro rivolto in modo particolare ai bambini, si apre la prima avventura di lldeprando di Monforte, immaginario erudito del Settecento che in giovinezza aveva incontrato e studiato le magiche creature del Piccolo Popolo, attendendole per lunghe notti all’addiaccio, vegliando al freddo delle foreste, sfidando ogni avversità grazie alla passione per la conoscenza. Studioso e avventuriero, ha frequentato le corti di mezza Europa e ora scalpita per rimettersi in viaggio, come quando era un ragazzo, animato dalla curiosità per ciò che esiste di là del confine tra il «nostro» mondo e il mondo «altro». Ossia quel mondo al quale si accede se si è ancora in grado, proprio come i bambini, di provare il senso di meraviglia. Così Ildeprando dal Lago Maggiore arriva in Malcantone, e percorre per una decina d’anni quello che oggi è il Canton Ticino, incontrando molte creature del folclore tradizionale: dallo spettrale Conte Ruggero delle terre di Sessa; al serpente di Stabio; al vecchio Céreso, spirito dell’acqua del Ceresio; al folletto della Capriasca, e tante altre ancora. Esseri fatati, buoni o malvagi, di cui nel libro Dalla bisaccia di Ildeprando, pubblicato l’anno scorso dalla Biblioteca Cantonale di Lugano, per iniziativa del direttore Gerardo Ri-
gozzi, nell’ambito del progetto Aria di Fiaba, si raccontano le storie. A far da cornice e da filo conduttore tra una e l’altra, ci sono appunto i brani del diario di Ildeprando, nati dalla penna di Luca Saltini, collaboratore scientifico della Biblioteca e autore dell’intero volume. Saltini si avvale con ammirevole grazia dell’artificio del «manoscritto ritrovato», di cui tanti autorevoli esempi – da Cervantes a Manzoni – possiamo ritrovare nella tradizione letteraria. Il «diario ritrovato» di Ildeprando ha permesso dunque non solo di collegare tra loro vari racconti della tradizione folclorica della Svizzera italiana (pure essi adattati e riscritti da Saltini), ma anche di agganciare l’interesse dei bambini nei confronti di un istituto come una biblioteca, e di un oggetto come il libro antico. Un documento evocativo quale è un fantastico diario settecentesco legato a un preciso personaggio va dritto alle emozioni e risveglia il desiderio di approfondire. In tal modo, sollecitati da una comunicazione di tipo narrativo, i bambini hanno intrapreso con entusiasmo sia i vari percorsi didattici proposti dai loro insegnanti (le vicende di Ildeprando si prestano ottimamente all’interdisciplinarietà, tra italiano, storia, geografia, scienze, ecc.), sia i percorsi proposti dalla Biblioteca cantonale. «È stato bellissimo vedere come i bambini, anche piccoli, si appassionavano ai libri antichi» ci racconta Luca Saltini. «Arrivavano in Biblioteca, li conducevo nel magazzino dei libri antichi, proprio quelli dell’epoca di Ildeprando, e domandavo a ciascuno di loro: “Quale vuoi?”. Prendevo quelli che li colpivano di più, portavo bambini e libri in Sala Tami, e lì aveva inizio il laboratorio vero e proprio. Gli facevo vedere pergamene, incunaboli, antifonari. C’erano silenzio, interesse, concentrazione».
Ildeprando eploratore del tempo di Luca Saltini è illustrato da Simona Meisser.
Bambini piccoli e libri antichi? Nessun problema di... diciamo, eccessiva irruenza? «Nessuno. Lo so, sembra incredibile, ma i bambini erano così coinvolti emotivamente che si sentivano responsabili del libro a loro affidato. Sapevano che erano pezzi unici, non prodotti in serie. Se li trattate male sono persi per sempre, dicevo. E loro stavano attentissimi. Erano incuriositi dall’odore, dalle macchie, dalle scritte; facevano un sacco di osservazioni e di domande. Il laboratorio praticamente lo conducevano loro. Poi gli facevamo mettere guanti e mascherina e iniziava l’operazione di pulitura, con apposite spugnette». Un modo meraviglioso per far conoscere ai bambini una realtà come una biblioteca. Il progetto didattico, promosso dalla Biblioteca cantonale e dall’Istituto Scolastico di Lugano, verrà raccontato in un volume che uscirà a primavera, e che raccoglierà anche i lavori fatti nelle classi, venendo insomma a costituire, nel suo insieme e nella sua ricchezza, una sorta di «metodo Ildeprando», nel quale anche i futuri docenti potranno trovare preziosi spunti. Ma la notizia attuale è che esce ora il secondo volume della storia di Ildeprando, Ildeprando esploratore del tempo, anch’esso illustrato ottimamente da Simona Meisser. Avevamo lasciato il nostro erudito nel 1759, in Val di Blenio. L’ultima pagina del suo diario ce lo dava intento ad esplorare alcune grotte nei pressi di Olivone, sulle tracce dei Cröisc, nanetti magici e un po’ dispettosi, in grado anche di trasportare nel tempo le persone, come accade alla guaritrice di una fiaba bleniese, che si risveglia dopo cent’anni. Ed ora, nel secondo volume, ecco che ritroviamo il suo diario: Ildeprando ha trascorso solo tre giorni nelle grotte dei Cröisc, ma quando ne esce sono trascorsi tre secoli! È il maggio del 2015, un mondo stranissimo e ignoto gli si para davanti. Questo secondo volume, che si presenta come un romanzo organico e a sé stante, sempre scritto da Luca Saltini, è dunque la storia delle avventure di Ildeprando nella Svizzera italiana contemporanea: un’occasione divertente e appassionante, per i giovani lettori, di esplorare il nostro territorio attraverso lo sguardo curioso e pieno di stupore di un uomo del passato. E, se tante cose sono vertiginosamente cambiate, non sono tuttavia sparite le magiche creature. Il popolo sottile esiste ancora, basta saperlo vedere. Come osserva Saltini, «in fondo non serve la magia, perché Ildeprando non è un mago. Basta un’intelligenza fantasiosa. E non c’è neanche bisogno di essere dei bambini. Basta avere il coraggio di rimettersi in gioco, e di uscire dalle gabbie mentali che ci imponiamo e che ci autolimitano. Il bello di Ildeprando è che rimane un uomo libero e capace di seguire le sue passioni».
Quando e in quali forme si è cominciato a rievocare la nascita di Gesù? La ricorrenza non figura nei primi elenchi delle festività cristiane. Il filosofo e teologo Origene di Alessandria vissuto tra la fine del II e la prima metà del III secolo ricorda che solo i peccatori festeggiavano la data del compleanno. La prima menzione della ricorrenza della Natività si riscontra nel Chronographus redatto nel 354 a Roma in cui si colloca la festa del Natale il 25 dicembre, separandola dall’Epifania. La più antica rappresentazione che allude alla Natività, è un affresco delle catacombe di Priscilla, che risale alla prima metà del III secolo e rappresenta la Vergine con il bambino e un personaggio che indica una stella posta in alto. Si tratta probabilmente del profeta Balaam che predisse: «Una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele» (Nm 24, 17). La raffigurazione della natività di Cristo trae origine, oltre che dai Vangeli di Luca e Matteo, dalle descrizioni dei Vangeli apocrifi. Nelle più antiche rappresentazioni sul coperchio di alcuni sarcofagi del IV secolo appare lo schema semplice di una capanna o di una grotta, dove la figura di Gesù che giace al centro fra il bue e l’asinello può essere affiancata da uno o due pastori, il capo scoperto e il bastone curvo in cima, o anche da un profeta con un rotolo di pergamena. Maria, seduta su una pietra in disparte, appare nella scena unita a quella dell’adorazione dei Magi e così pure la stella. Dal V secolo il profeta, e spesso anche il pastore, scompaiono per lasciare posto a Giuseppe seduto su un sasso accanto a Maria. Il bue e l’asino, pur non essendo menzionati né da Luca, né da Matteo, sono sempre rappresentati nelle scene della natività in riferimento ai testi apocrifi e a un trattato scritto da Origene intorno al 220 che ricorda la profezia di Isaia (1,3): «Il bue conosce il proprietario e l’asino la greppia del padrone, ma Israele non conosce e il mio popolo non comprende». Origene ricollega questo brano alla nascita di Cristo, perché interpreta il bue, animale ritenuto puro, come simbolo degli ebrei e l’asino, ritenuto impuro, come simbolo dei pagani. A partire dal V secolo, l’iconografia dell’evento attinge a un repertorio vasto e articolato, frutto di consuetudini e tradizioni differenti che vanno dalle sacre rappresentazioni alla diffusione di avvenimenti narrati nei Vangeli apocrifi. In queste Natività emergono diversi influssi stilistici e
tuale: i calendari digitali dell’avvento già ci sono, l’albero stampiamolo in 3D, oppure rispolveriamo quello in soffitta e stampiamo in 3D gli addobbi. Se poi l’atmosfera natalizia in casa è un po’ freddina colleghiamoci con qualche webcam sparsa nelle grandi città, tipo New York, e sentiamoci parte del mondo, guai a sentirci soli. E, naturalmente, qui arriva la parte più importante, compriamo i regali online. Prima di entrare nel cuore delle infinite e fantasmagoriche opportunità vorrei dire due cose, personalissime: la prima, non è vero che online si risparmia tempo per gli acquisti; la seconda, va tutto bene finché non sbagli niente ma se fai un acquisto sbagliato sono cavoli. Ho impiegato 30 minuti su un sito per fare una stampa su tela. Scelta la foto,
il formato, il prezzo ho compilato il form con i miei dati per il pagamento, premuto invio e il sistema mi ha buttata fuori. Mi son detta «lo sapevo che andava a finire così» ma velocissima ho ripetuto l’operazione, guai mollare proprio adesso. Questa volta l’acquisto sembra riuscito. Fino a quando non vado a controllare le mail e vedo due ordini identici confermati. Vado sul sito e cerco un numero di telefono: scopro che l’azienda è in Germania, a Colonia, e gli orari per chiamare sono dal lunedì al venerdì… naturalmente è sabato sera. Certo non va sempre così. Basta digitare in Google «app natalizie» e troverete quello che fa per voi: le app con le ricette per fare i biscotti, quelle con la radio natalizia, con il villaggio di Babbo Natale, i consigli per addob-
Laura Patocchi-Zweifel
La Natività di Antonio da Tradate nella Chiesa di S. Michele di Arosio. (L.P.-Z.)
iconografici che assorbono e uniscono schemi orientali, bizantini, greci e propriamente locali. Diversi episodi vengono raffigurati in maniera simultanea: la natività vera e propria, con la Madonna puerpera sdraiata sul letto, il Bambino nella culla, il bue e l’asino e Giuseppe seduto accanto. Inoltre appaiono la Lavanda del Bimbo con due levatrici, il miracolo della levatrice incredula e l’Annuncio ai pastori. Questo schema lo troviamo nel magnifico ciclo di affreschi di Santa Maria foris portas a Castelseprio vicino a Varese databile fra il VII-IX secolo e in parte anche nel battistero di Riva San Vitale del XII-XIII secolo. Il rito della Lavanda, richiamo all’antico uso di lavare il bambino immergendolo nell’acqua per scongiurare infezioni è anche una prefigurazione del battesimo vero e proprio. La scena della levatrice incredula, abbastanza presente nell’iconografia medievale, trae spunto dal racconto della natività del Protovangelo di Giacomo. Per aiutare Maria nel parto, Giuseppe va a cercare una levatrice che giunge quando Gesù è già nato avvolto da una nube luminosa. La levatrice Zelomi esclama «è nata la salvezza di Israele» e innalza una lode all’evento prodigioso. Corre poi a chiamare l’amica Salomè che, non credendo al parto verginale di Maria decide di esaminarla personalmente. Ma ecco che la sua mano si secca e paralizza. Salomè cade urlando sulle ginocchia e mentre implora disperatamente il perdono sopraggiunge un angelo che le dice incoraggiandola: «Salomè, Salomè: il Signore t’ha esaudita. Accosta la tua mano al bambino; prendilo su e sarà per te salvezza e gioia». L’incredula pentita compie il gesto suggeritole dall’angelo e viene immediatamente risanata.
La società connessa di Natascha Fioretti Lo spirito del Natale chiuso in un’app
La prima cosa che ho imparato, quando da ragazzina inviavo letterine e pacchetti natalizi in Germania, è stata la tempestività: mai inviare la tua lettera o il tuo pacco dopo il 10 dicembre, potrebbe non arrivare mai. La leggerezza: scegli oggetti piccoli, vaporosi perché oltre la normale busta di auguri, qualsiasi pacchetto inviato all’estero costa e anche parecchio. Il piacere che si prova nel regalare un sorriso: il solo pensiero alla felicità dei nonni nel ricevere il pacchetto valeva tutti i franchi, il tempo e l’impegno spesi. Erano bei tempi e sono bellissimi ricordi indelebili ora che non ci sono più e non corro più in posta a Natale. Ora che siamo rimasti in pochi a scrivere lettere di auguri a mano e a inviarle con il francobollo,
ora che grazie a internet possiamo fare lo stesso con minor fatica, costi e al doppio della velocità. Non so se capita anche a voi di ricevere email con gli auguri di Natale dieci, a volte persino 20 giorni in anticipo. Ne ho ricevuta una il sette di dicembre. Poi, per qualche inspiegabile motivo, dal 20 di dicembre in avanti si crea una sorta di vuoto pneumatico, c’è un fuggi-fuggi generale, alle diverse email inviate arrivano le risposte automatiche «Sono in vacanza dal… ci sentiamo al mio ritorno». Come se il Natale fosse qualcosa da evitare come la peste, leggere i messaggi di auguri una seccatura. Sembra sia un peso dover scegliere la cartolina digitale o il menù o decidere dove andare a comprare i regali. Forse dovremmo provare con un Natale vir-
bare l’albero o fare la corona dell’avvento. «Focus» stila una classifica delle 10 migliori. Io smanetto volentieri in Rete, faccio qualche acquisto, anche più fortunato dell’ultimo, ma per quanto riguarda il Natale sono allergica a tutto ciò che non profuma di cannella e di cioccolato, non trasmette sorrisi e calore umano, non riflette la fiammella viva dell’albero o di cui non posso sentire il peso o toccare la carta. Camminare al buio sotto le stelle, sentire il freddo pizzicare le guance, fermarsi per strada a bere un bicchiere di vin brulé, incontrare per caso amici a passeggio che non vedi da una vita, non ha prezzo. Al diavolo per una volta la tecnologia e viva lo spirito di Charles Dickens «Onorerò il Natale nel mio cuore e cercherò di tenerlo con me tutto l’anno».
Foto: saison.ch
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Società e Territorio Rubriche
Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Corpi da celare, corpi da esibire Tornano a riaccendersi le polemiche intorno al quesito se vietare oppure no l’uso del burqa nei luoghi pubblici. Nel 2010 la Francia è stata il primo Paese europeo a bandire il velo integrale islamico; nel 2014 la Corte europea dei diritti umani le ha dato ragione, confermando che il divieto di nascondere integralmente il viso non viola il diritto alla libertà di religione né quello al rispetto della vita privata. Ora la strategia del terrore attivata dall’Isis sta verosimilmente avviando la generalizzazione del divieto in tutta Europa. Indipendentemente dalla questione della sicurezza pubblica, è indubbio che il tanto auspicato dialogo e incontro tra le due culture trova nell’uso del burqa un fossato che divide. La severa censura che alcune frange islamiche impongono al corpo femminile costituisce, appunto, uno dei fossati che separano maggiormente la nostra
cultura dalla loro. Più in generale, è la concezione della donna e della sua sottomissione al maschio che ora ci distanzia; dico «ora», perché è ben noto che la piena subordinazione della donna all’uomo è stata una convinzione profonda anche della cultura del Cristianesimo per la maggior parte della sua storia. In fondo, per molti versi l’Islam più radicale è rimasto fermo, nel suo percorso storico, a posizioni che hanno caratterizzato il Cristianesimo fino al XX secolo. Anche la concezione del corpo e della sua gestione rientra in questa stasi o evoluzione. Ogni religione ha le sue norme disciplinari, e il corpo è sempre stato l’oggetto primario delle discipline fideistiche: si pensi ai digiuni, alle veglie, al cilicio, alle autoflagellazioni che hanno accompagnato la storia del Cristianesimo. E si pensi alle pratiche di occultamento del corpo – quello femminile soprattutto – che hanno
distintivo che valorizzi l’individuo agli occhi del pubblico e che lo renda oggetto di ammirazione. Quando Mary Quant lanciò la moda della minigonna negli anni Sessanta ci fu chi gridò allo scandalo; ma le grida si assopirono presto e se oggi la moda rilancia le gonne lunghe è perché le gambe femminili scoperte non costituiscono più una fonte di sorpresa. In anni recenti dilagano i tatuaggi: corpi arabescati campeggiano nelle strade e nelle piazze durante l’estate. Eppure, anche per questo c’è un’interdizione biblica. Così dice il Signore: «Non vi farete incisioni sul corpo per un defunto, né vi farete segni di tatuaggio». (Levitico, 19.28). Quel divieto non lo ricorda più nessuno, la secolarizzazione l’ha spazzato via facilmente: tant’è vero che ogni anno, alla fine di agosto, Lugano diventa la capitale dei tatuaggi ospitando al Centro Esposizioni la TI-Tattoo Convention, una fiera inte-
ramente dedicata al mondo della body art; anche se quest’anno, all’inizio di agosto, l’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV) ha messo in guardia avvisando che ogni intervento di grafica sul corpo espone al rischio di contrarre malattie infettive o di venire a contatto con sostanze cancerogene. Ma l’esigenza di apparire e di esaltare il proprio ego nella vistosa esteriorità del corpo prevale spesso sull’accortezza preventiva. Così la pratica religiosa della penitenza corporale viene oggi sostituita con le leggere lesioni del tattoo e del piercing. Siamo dunque giunti, come dice un sociologo italiano, alla «vetrinizzazione» del corpo, al corpo messo in vetrina. D’altra parte, chi non ci tiene a fare «bella figura»? Ma è pur sempre legittimo il sospetto che chi punta troppo sull’esteriorità del corpo sia piuttosto vuoto di dentro.
cio. Entro e la scena se la prende tutta un piccolo bancone da favola. Zinco epico e legno di ciliegio. Intarsiato, al centro, c’è un setter. Mentre inciso, sul ripiano di zinco, il nome dell’autore: Violini Arturo, Milano. In un angolo ci sono le bottiglie tradizionali del «premiato e brevettato Elixir al Borducan», oltre a quelle un po’ più moderne, serigrafate, per il mercato americano. Divertente il formato da sei centilitri di quelle bottigliette aeronautiche o da frigobar chiamate cordialini. Ordino un caffè al borducan e passo nella sala circolare, pareti tutte di legno con in cima ancora affreschi floreali: rose gialle e bianche. Mi siedo un primo pomeriggio di metà dicembre a uno degli otto tavolini in ferro battuto e marmo Verde Alpi. In mezzo, su un tavolino rotondo di legno, un pungitopo. Sopra, pende un lampadario con tre pigne zigrinate di cristallo. Dalle finestre ad arco la vista abbraccia due laghi: il lago di Varese e quello di Comabbio. «Il terzo lago, di
Monate, lo si vede su dal Santuario» mi dice il barman. Non male l’elisir. Il caffè corretto borducan è il grande classico che va per la maggiore, ma qui fanno anche il Bordukini. Martini extra dry shakerato con ghiaccio e borducan. C’è poi la Bordukinha, variante varesina della caipirinha: al posto della cachaça brasiliana c’è il nostro liquore prodotto oggi non più nelle stanze qui sopra ma da una distilleria di grappe in Piemonte. La formula si basa sull’infusione delle scorze e le erbe in soluzione idroalcolica. L’ultimo depositario della ricetta originale è stato Bruno Bregonzio – classe 1911, nipote dell’inventore – la cui splendida foto di Franco Pontiggia è incorniciata dietro al bancone. Un gagliardo vecchietto con baffi, giacchetta bianca da farmacista sopra il pullover e camicia, due bottiglie di Borducan in mano. Fino agli anni Novanta lo serviva lui da una ammaliante bottiglia-carrillon. Il segreto della ricetta se l’è portato fiero nella tomba, così hanno dovuto
analizzare il contenuto di alcune vecchie bottiglie in cantina per risalire all’elisir del Sacro Monte. Lassù si vede appollaiato il Grand Hotel Campo dei Fiori: capolavoro liberty del 1908 di Giuseppe Sommaruga chiuso nel 1968 e oggi tristemente nido per le tremende antenne delle emittenti radio-televisive private. Questo locale è invece rinato e mantenuto ora con grande cura da Armando Bianchi, pronipote da parte di madre dell’erborista garibaldino, e sua moglie Mirella. La sala deserta è invasa dal sole, esco fuori in terrazza a prendere una boccata d’aria balsamica. Tre pini, un picchio. La scritta Caffè del Borducan è ripetuta alle mie spalle, sotto si notano, attorno alle finestre, dei finti mattoni di cotto dipinti. Rientro e sbircio nella saletta da pranzo per gli ospiti dell’hotel: sopra il camino vigila la testa tizianesca dell’inventore del Borducan. Ai suoi piedi le poltrone di pelle color verde Veronese sono una tentazione assoluta, l’assecondo subito.
Dal Natale non si sfugge. Qualcuno, tuttavia, ci ha provato. Almeno, virtualmente, attraverso un’invenzione letteraria. S’intitola Fuga dal Natale (Skipping Christmas nell’originale inglese) il romanzo di un insolito John Grisham: qui non più, in veste di giurista che denuncia le pecche della giustizia americana, bensì di osservatore smaliziato del costume contemporaneo. Di cui le feste di fine anno rappresentano un’esasperazione grottesca. Tanto da indurre il protagonista del romanzo, Luther Krank, tipico cittadino medio, residente in un tipico quartiere medio, a progettare, proprio per quei giorni, un viaggio: che, in realtà, equivale a una diserzione, addirittura un tradimento. Si tratta, infatti, di partire per sottrarsi alle fatiche materiali e soprattutto psicologiche di abitudini forzate: il tacchino, da ordinare con il dovuto anticipo al rosticciere, che sembra farti un favore, il party con i vicini di casa che non contraccambiano mai. Ma il fattore determinante,
per Mister Krank, è la possibilità, una volta tanto, di sottrarsi alla gara per il più bel frosty, il pupazzo di neve da sistemare sul tetto delle abitazioni del quartiere, tutte impegnate nella competizione. Con ciò, malgrado tante buone ragioni, quest’intenzionale ribelle non riesce a realizzare i suoi propositi. Insomma, anche dalle pagine di Grisham affiora una vena di moralismo: il suo eroe Luther rimanda «la ridicola idea di saltare il Natale, all’anno prossimo». Come dire che questa festività si associa, inevitabilmente, al ravvedimento. Succede anche, citando un personaggio, creato dal genio di Charles Dickens, nella tetra Londra del 1843 e ormai simbolo del tirchio per eccellenza: Ebenezer Scrooge, protagonista di uno dei Canti di Natale. E, che, fra altro, doveva ispirare Disney, diventando Scrooge McDuck, cioè Paperon de’ Paperoni. Scrooge, Dickens lo descrive come l’uomo d’affari senza scrupoli, che odia il 25 dicembre: perché nei giorni di festa non si può
guadagnare e, anzi, è costretto a pagare il suo contabile, il sottomesso Bob Cratchit. Il quale, però, il 24 sera, trova il coraggio di chiedere un congedo per l’indomani: «Una volta sola, in un anno».Al che, Scrooge replica con un’ormai storica battuta: «Sì, una volta all’anno, ma che si ripete tutti gli anni». Anche questo campione della grettezza, infine, sarà costretto a ravvedersi. Tormentato dalla visione di folletti e mostri notturni, anche la coscienza di Scrooge si risveglia. Il Natale è anche questo: una tregua passeggera, da godere concedendosi quel che, ormai, rappresenta un lusso, sorridere e ridere, anche delle derive di una festività, che a volte sollecita il kitsch. Ne ho proprio un esemplare, sotto casa: sul tetto di un garage, hanno issato un frosty, solitario, spazzato dal vento. Fa quasi tenerezza. Presta a un benevolo sorriso augurale. Del resto, si legge che, il 2015 è stato l’anno delle «faccine», gli «emoji», che compaiono nei nostri sms. E, a quanto pare, prevalgono quelle sorridenti.
fissato per secoli e secoli i dettami del pudore e della castità. È significativo, ad esempio, che san Paolo nella Prima lettera ai Corinzi scriva così: «Giudicate voi stessi: è decoroso che una donna preghi Dio senza avere il capo coperto? Non vi insegna la stessa natura che se l’uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore?»: dove già solo la lunghezza dei capelli e lo svelamento o l’occultamento della chioma corrispondono non solo a un corretto rituale religioso, ma anche a una netta distinzione dei sessi. Di tutto questo, in Occidente, è rimasto ben poco. La secolarizzazione, da noi, ha portato non solo all’eguaglianza tra i sessi, ma a una riduzione della differenziazione: nell’abbigliamento e nel contegno. Il corpo ha smesso di essere disciplinato dalle regole della comunità e della fede: col prevalere dell’individualismo, ogni corpo tende a differenziarsi con qualche segno
A due passi di Oliver Scharpf Il Caffè del Borducan al Sacro Monte di Varese Su al Sacro Monte di Varese c’è una palazzina liberty che porta il nome di un elisir inventato nel 1872 da Davide Bregonzio, erborista garibaldino tra i Mille sbarcati a Marsala. Lo si legge bene in grande, sulla facciata, dipinto al centro di uno dei due fascioni verdi foglia fregiati da fiori bianchi: Caffè del Borducan. Borducan deriva dal vocabolo arabo burtuqual: arance dolci. Infatti questo cordiale è a base di scorze d’arance e una miscela di erbe officinali montane. Se l’idea del nome felicemente manomesso è legata alle arance algerine provate da Bregonzio – descritto all’epoca sul quindicinale «Natura ed Arte» con «una bella testa tizianesca e un bel cuor d’oro» – ritroviamo lo stesso etimo arabo anche nelle arance di quasi tutti i dialetti italiani. Dal Canton Ticino alla Basilicata, passando per l’Emilia Romagna, per esempio: portugai, partgall, portügal. Da queste parti c’ero già stato tempo fa, alla ricerca del leggendario biscione di Breno portato qui in veste
di ex voto e rivelatosi un coccodrillo del Nilo; un tempo appeso nel Santuario di Santa Maria del Monte, oggi conservato in una teca del museo Baroffio. Vi risparmio la cronaca di sei mezzi pubblici diversi per arrivare fin qui a piedi, così ecco i primi passi sull’acciottolato in salita di via Beata Caterina Moriggi. A quanto pare, il Borducan, riaperto l’anno scorso dopo un restauro e di proprietà della famiglia BianchiBregonzio, era il posto preferito per le bigiate dei liceali varesini in motorino. Da sempre è noto anche come rifugio romantico per amanti, visto che al contempo è un grazioso hotel discosto. Ci siamo: le decorazioni floreali del Caffè del Borducan (879 m) catturano subito lo sguardo. L’edificio è un liberty prealpino con rustici sassi a vista e risale al 1924. È opera del capomastro Francesco Piccoli, commissionata dalla vedova del figlio di Davide Bregonzio. I fiori affrescati, guardandoli adesso con attenzione, mi sa che sono proprio fiori d’aran-
Mode e modi di Luciana Caglio Le feste con il broncio In verità, con i tempi che corrono c’è poco da ridere. Del resto, è la sorte che ormai spetta, generalmente, alle ricorrenze, scritte nel calendario, accolte con malumore, alla stregua di un dovere sociale o patriottico o religioso: e quindi considerate un intralcio alla libertà di festeggiare quando e come si vuole. Da qui, la tentazione, sempre più diffusa in quel popolo di cittadini insofferenti che siamo diventati, di contestarle e rifiutarle in nome dell’anticonsumismo, dell’ecologia, della lotta agli sprechi, e buone cause affini. È uno stato d’animo che non risparmia neppure il
Natale, la festa delle feste per definizione, di cui si percepisce soprattutto l’aspetto costrittivo. E non a torto. Si assiste, infatti, a un paradosso fuorviante. Più la ricorrenza si dilata nel tempo, diventa vistosa, in una cornice di addobbi, luminarie, mercatini stile bio-multietnico, e meno se ne colgono i veri significati. Che sono quelli di una festa, nel senso completo della parola: uno stacco dalla quotidianità, un incontro fra sacro e profano, una pausa per riflettere e ricaricarsi. E, non da ultimo, anche per sorridere e ridere, osservando le incongruenze di questo rito, comunque, inevitabile.
Competizione natalizia: il più bel frosty sul tetto.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Ambiente e Benessere Lungo sentieri sconosciuti A volte lo straniero gentile incarna la figura evangelica del buon samaritano
Torta esotica all’ananas Ricoperta da un impasto di burro, zucchero, quark e uova, con sciroppo di frutto della passione. Una Tarte Tatin diversa dal solito pagina 14
Uno sport riabilitante L’handbike, ovvero il ciclismo praticato con bici per para e tetraplegici, oltre a servire come terapia di recupero, è anche un toccasana molto amato pagina 15
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Abete bianco e abete rosso Fitoterapia Non solo ambasciatore del
Eliana Bernasconi Il legno di abete, sensibile e sottile, possiede proprietà uniche di amplificazione del suono: è usato per questo nella fabbricazione delle casse armoniche degli strumenti musicali a corda e ad arco. Si racconta che Antonio Stradivari, il liutaio inventore del celebre violino, tra il 1700 e il 1720 costruisse i suoi strumenti esclusivamente con legno di abeti rossi della Val di Fiemme, nelle Dolomiti del Trentino, che dovevano però essere cresciuti lentamente e in condizioni difficili. Lui stesso li sceglieva e li raccoglieva nei boschi. Della famiglia della Pinaceae, raggruppati in una cinquantina di specie, come tutte le conifere gli abeti sono antenne vitali, sentinelle che irradiano energia tra terra e cielo: possono avere tronchi enormi, raggiungere altezze considerevoli, da 10 a 80 metri, possono vivere secoli. Una cosa è certa, è sempre benefico averli come vicini. L’abete bianco e l’abete rosso caratterizzano da sempre il paesaggio dell’alta Valle Onsernone. Il selvaggio territorio di questa splendida riserva forestale è un terreno ideale per la loro crescita: si chiama «Pescia» l’alpe che collega Onsernone e Centovalli: «Peccio» (Picea abiens) è anche il nome dell’abete rosso. Il longevo e maestoso abete bianco è anche chiamato principe dei boschi. Il suo regno di provenienza è la Norvegia. Pigne erette e rami orizzontali lo differenziano dall’abete rosso che ha invece caratteristici rami rivolti verso l’alto, tronco diritto, chioma conica, stretta e scura, pigne pendule (strobili) verdi, rossicce e poi marroni. Nei racconti mitologici di molte culture l’abete è una presenza costante. Presso i greci era sacro ad Artemide, dea della luna e protettrice delle nascite. I popoli guerrieri dell’Europa antica lo ponevano a guardia del solstizio d’inverno nel giorno in cui le tenebre sembravano vincere la luce. Il sempreverde rappresentava infatti la certezza del ritorno del sole, il ciclo ininterrotto
di morte e rinascita della natura. È sempre un abete l’albero che giunge a noi attraverso i secoli, portatore di festa e di doni, oggi purtroppo divenuto anche oggetto commerciale e consumistico. Infinite storie e leggende si intrecciano sulla sua origine germanica e scandinava, prima pagana e poi cristiana. Con certezza sappiamo solo che dai paesi nordici di religione protestante nei primi decenni dell’800 si diffuse ovunque l’usanza del meraviglioso abete illuminato, e nel Natale del 2007 per la prima volta un grande abete illumina il centro di piazza San Pietro. Per i tibetani, simboleggia gli uomini giusti che vivono in stato di grazia, per i cinesi infine è simbolo di pazienza. E antica è anche la sua storia fitoterapica: nel Rinascimento gli abeti sono molto conosciuti e apprezzati come piante medicinali, la scorza e le foglie sono ritenute disseccative. Un autore medico di nome Durante così consigliava: «La polvere delle foglie bevuta con vino rosso o con acqua ferrata (al peso di una dramma) restringe i flussi e la dissenteria; bevuta con uova fresche ferma la “scolation delle reni”; l’acqua che dalle frondi tenere si distilla è valorosissima». Anche la resina, chiamata «lagrimo d’avezzo» o «olio d’abezzo» era ritenuta «rimedio incarnativo, modificativo e risolutivo che cura l’uomo da infiniti mali. Preso per bocca al peso di mezza oncia (ovvero due dramme del balsamo che se ne stilla) è medicina sicurissima per i dolori colici, muove piacevolmente il corpo, provoca l’orina, conferisce a dolori di nervi e delle giunture». E anche ai nostri giorni dell’abete bianco si impiegano le foglie, la resina e le gemme. Preparazioni di aghi di abete bianco trattano le infezioni dell’apparato respiratorio e i dolori articolari e muscolari, le gemme che si raccolgono in marzo contengono preziose sostanze come resina, olio essenziale (particolarmente ricco di pinene e limonene) e hanno proprietà balsamiche, stimolanti e diuretiche; preparati di gemme sono impiegati per il trattamento della tosse, delle affezioni catarrali e dell’apparato
Wonderlane
Natale nelle nostre case, ma anche un toccasana naturale
respiratorio, per tonificare e attivare la circolazione. Nelle aree alpine e prealpine l’infuso delle gemme si beveva contro il catarro e come disinfettante urinario. Dalla resina di abete rosso, che fuoriesce dal tronco e dai grossi rami dopo averli incisi, purificata dopo la raccolta per fusione nell’acqua, si ricava la «Trementina d’Alsazia», o «Trementina di Strasburgo». Ovvero un liquido di consistenza sciropposa dal gradevole odore che ricorda quello della melissa e del cedro e contiene olio essenziale. A questa trementina è riconosciuta la proprietà di espellere i calcoli epatici; con la resina di abete bianco e rosso, di-
spersa in acqua calda, si eseguono anche fomenti contro la bronchite. Il Macerato glicerico di abete bianco è usato in alcune problematiche pediatriche come il ritardo della crescita staturo-ponderale, le tonsilliti e le adenoidi. Per bambini e adulti è utile nel consolidamento delle fratture, nel trattamento della carie, della paradentosi e dell’osteoporosi e nei disturbi neuromuscolari per carenze del metabolismo del calcio. Il decotto di aghi o di gemme, nella dose di 2-4 bicchieri al dì, si usa invece per affezioni catarrali e tosse. Preparazioni in crema di olio essenziale – ricavato per distillazione in cor-
rente di vapore degli aghi e dei giovani rametti di abete bianco – sono indicate per reumatismi, artrite, dolori articolari e muscolari. Questo olio essenziale ha proprietà antisettiche, balsamiche e antipiretiche (cioè per abbassare la febbre). Infine le giovani gemme sono ingredienti importanti di straordinari liquori digestivi prodotti ancora oggi in alcuni monasteri. Bibliografia
Trattato di Fitoterapia – Driope, ovvero il patto tra l’ uomo e la natura di Gabriele Peroni, Nuova Ipsa Editore.
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Ambiente e Benessere
Lo straniero gentile Viaggiatori d’Occidente Quando, durante un viaggio, scopriamo di aver bisogno del prossimo
Claudio Visentin (immagini e didascalie di Stefano Faravelli) Quando viaggiamo appena un poco fuori rotta, senza la sicurezza di un albergo o di un villaggio turistico, è inevitabile trovarsi prima o poi in difficoltà. Tutto è diverso, tutto ci è estraneo, tutto dev’essere imparato; le più banali occupazioni quotidiane, come trovare un indirizzo o prendere un autobus, possono rivelarsi ostacoli quasi insormontabili. In quei frangenti avremmo bisogno di aiuto, ma lontano da casa siamo spesso diffidenti. Dopo tutto il viaggiatore non ha il tempo né gli strumenti per distinguere buoni e cattivi: quella persona dall’aspetto così gentile e premuroso potrebbe essere un truffatore o un rapinatore ben noto ai suoi concittadini… Eppure tutte le volte che ho toccato il fondo, che mi sono perduto lungo un sentiero sconosciuto, che mi sono trovato senza riparo, senza cibo o denaro, è spuntato fuori qualcuno che si è preso cura di me, che mi ha aiutato, ospitato, sfamato, trasportato al sicuro: uno straniero gentile. Con notevole senso teatrale, lo straniero gentile appare dal nulla nel momento di massimo bisogno, senza farsi annunciare, risolleva lo sventurato e poi svanisce senza chiedere o accettare ricompense. Lo straniero gentile incarna la figura evangelica del buon samaritano. Conoscete la storia. Un viaggiatore diretto a Gerico cade nelle mani dei briganti, che lo spogliano di tutto e lo lasciano mezzo morto. Un sacerdote di passaggio finge di non vederlo e tira dritto, così come poco dopo un servitore del tempio. Ma in suo soccorso giunge un samaritano, cioè uno straniero mal visto dagli Ebrei; solo il samaritano lo soccorre premurosamente e rimane con lui, sino a quando non è certo che sarà curato adeguatamente. Lo straniero gentile esprime nei suoi gesti la fondamentale verità della comune appartenenza al genere umano, nella sua forma più elevata. Dopotutto ci aspettiamo che i nostri amici e familiari siano gentili, così come mettiamo in conto la brutalità dei nostri nemici. Ma la gentilezza degli sconosciuti ci sorprende sempre con la sua purezza e il suo disinteresse. Lo straniero gentile appartiene a tutti i popoli e lo si incontra in ogni Paese, anche in quelli economicamente più arretrati, dove la società tradizionale custodisce le regole dell’ospitalità. È indifferentemente maschio o femmina, giovane o vecchio, ricco o povero, una persona importante o uno degli ultimi. Aiuta per quel che può, ma sempre con lo stesso spirito. Con l’aiuto del pittore e viaggiatore Stefano Faravelli, collaboratore regolare di questa rubrica, abbiamo voluto raccogliere storie di stranieri gentili nei più diversi Paesi del mondo. Lo straniero gentile è spesso anonimo: pochi nomi restano impigliati nel ricordo, perché magari nella concitazione non c’è stata neppure la possibilità di presentarsi. A volte si trova solo il tempo per un «What’s your name?», strappato in extremis. Ecco alcuni nomi che ho affidato al mio
➋
➊ taccuino per far sapere al samaritano che non sarà dimenticato: moneta di gratitudine nella banca della memoria. 1. Ecco Yogeshvar il sorridente, incontrato nella bolgia da The Day After della New Delhi Railway Station. Non ero riuscito a trovare neppure la banchina e mi sentivo come una formica in quella città di ponti sospesi, di traversine di acciaio, di treni sferraglianti. Lui con il garbo di un gentleman mi ha avvicinato e mi ha chiesto se ero in difficoltà. Gli ho mostrato il biglietto con tanto di prenotazione: l’ultimo disperato tentativo per non perdere il mio treno, il 2903 diretto ad Amritsar. Prendendomi per mano si è tuffato nella moltitudine compatta e vociante, tra facchini a piedi nudi e carretti carichi di masserizie. «Chalo! Chalo!», «Via! Via!» gridava. Mi ritrovai con i vestiti appiccicati alla pelle, zuppi di sudore, depositato al sicuro sulla carrozza giusta. 2. Ecco Lynette di Boston, conosciuta al gate dell’Aeroporto di Pechino. Dopo un’estenuante giornata di attesa, alla ferale notizia – quando ormai è notte! – che il nostro volo per Dunhuang è stato «cancellato!», Lynette si arma della Carta dei Diritti del passeggero
(che io ignoravo) e ottiene dalle autorità aeroportuali di aggregarmi al gruppo americano. Mi sarà concesso anche il pernottamento nello strepitoso Long Guan Hotel, dove il tempo si è fermato agli anni di Mao. Nel mio taccuino resta solo l’immagine delle sue mani, mentre mi mostra un paio di scarpine tradizionali femminili, souvenir del suo viaggio cinese. 3. Ecco la materna Kyoko, una sera di novembre a Osaka. Kyoko mi vede in evidente difficoltà mentre armeggio con un bancomat, da straniero doppiamente analfabeta, sia per quanto riguarda la tecnologia sia per il giapponese. Mi accompagna in un negozio della catena 7-Eleven dove troverò bancomat abilitati al prelievo internazionale, a quel tempo rari in Giappone. 4. Ecco Mohammed il bello, sotto il sole a picco del Sahara, nel Sud
➍
➌ marocchino, in un paesuccio a pochi chilometri da Goulmima. Mohammed mi incontra mentre cerco inutilmente cibo per la mia famiglia affamata: non ci sono ristoranti, non ci sono negozi di alimentari, neppure un banchetto, e men che meno un suk! Mohammed risponde alla nostra richiesta di informazioni con un laconico «Suivezmoi». Ci conduce a casa sua e nel «salotto-stanza da letto», distesi
su cuscini kitsch in compagnia della nonna sdentata, ci offre il più meraviglioso dei pasti, che la madre velata e sorridente ha cucinato per noi. Mai dimenticheremo quei batbout caldi all’olio di oliva con il tè alla menta! Quella volta fui in grado di risarcire per il beneficio ricevuto. Citai a memoria il celebre Hadith Qudsi, eco islamica al noto versetto del Vangelo di Matteo: «Allâh, il Giorno della Resurrezione dirà: “O figlio di Adamo: ti ho chiesto da mangiare e non mi hai dato da mangiare”. L’uomo dirà: “O Signore, e come avrei potuto darti da mangiare quando tu sei il Signore delle creature?” Egli dirà: “Il tale ti ha chiesto da mangiare, e non gli hai dato da mangiare. Non sapevi che se tu gli avessi dato da mangiare avresti trovato che ciò era per me?”». Gli occhi di Mohammed da grandi si fecero grandissimi, il sorriso se possibile ancora più sfolgorante. Così accade quando ci si incontra lungo le carovaniere invisibili dello spirito. La pagina di un libro diventa un ponte tra mondi lontani e svela un segreto che entrambe le sponde hanno bisogno di ricordare. Penso spesso a quel ragazzo quando incontro altri Mohammed ai semafori delle nostre città, a vendere accendini o pulire vetri nel traffico. Quanti europei oserebbero un «Suivezmoi» portandosi a casa lo straniero? Cosa risponderanno il Giorno della Resurrezione?
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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana
Tarte Tatin all’ananas Dessert Ingredienti per 8 fette (equivalente di una teglia a cerniera di 26 cm Ø): 500 g d’ananas, pesato mondato · burro e zucchero per la teglia · 1 baccello di vaniglia · 130 g di burro · 100 g di zucchero · 250 g di quark semigrasso · 3 uova · 180 g di farina · 1 presa di sale · 1½ cucchiaini di lievito in polvere · 2 frutti della passione · 2 cucchiai di zucchero greggio.
Preparazione da eseguire al massimo un giorno in anticipo: scaldate il forno a 180 °C. Tagliate l’ananas in quattro, eliminate il cuore legnoso. Tagliate gli spicchi d’ananas a fettine di circa 2 mm. Imburrate la teglia e cospargetela di zucchero. Partendo dal centro della teglia, disponete le fette d’ananas a rosetta leggermente sovrapposte l’una all’altra. Dimezzate il baccello di vaniglia per il lungo ed estraete i semini raschiandoli. Lavorate a spuma il burro con lo zucchero e i semini di vaniglia. Incorporate il quark. Unite le uova una dopo l’altra. Mescolate la farina con il sale e il lievito e incorporate la miscela alla massa di uova. Distribuite con cautela l’impasto sulle fette d’ananas. Cuocete nella scanalatura bassa del forno per circa 35 minuti. Sfornate la torta. Lasciatela raffreddare e capovolgetela su un piatto. Nel frattempo tagliate a metà i frutti della passione ed estraete la polpa con un cucchiaio. Fatela sobbollire con lo zucchero greggio a fuoco basso per circa 10 minuti. Coprite la torta e lo sciroppo e mettete in frigo.
Un esemplare gratuito si può richiedere a: telefono 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.
Finitura: togliete la torta dal frigo un’ora prima di servirla. Irroratela con lo sciroppo e servitela. Preparazione: circa 60 minuti. Finitura: circa 5 minuti. Una fetta: circa 9 g di proteine, 19 g di grassi, 42 g di carboidrati, 1500 kJ/380
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Ambiente e Benessere
Pedalare a forza di braccia Sport L’handbike come terapia, come mezzo sportivo e come opportunità agonistica
Davide Bogiani Percorrendo alcune strade, capita di incrociarle, di superarle lungo le tratte fra Biasca e Bellinzona, sul piano di Magadino oppure nel reticolato stradale del Mendrisiotto. Sono contraddistinte da una bandierina legata a un’asticella verticale e agitata al vento dalla velocità. Non è immediato identificarle, ma poi si capisce che si tratta di biciclette o quantomeno di parenti delle due ruote. Una volta superate, incrociate, o viste sfrecciare, rimane il dubbio sulla vera identità, e succede, a volte, di lasciarsi andare a commenti critici sulla sicurezza. Fra gli sportivi amanti dell’handbike, ovvero la bicicletta a tre ruote per persone con para o tetraplegia, vi è Gian Paolo Donghi, il quale è responsabile dell’Associazione paraplegici svizzeri per il Ticino. Donghi in passato ha subito un grave incidente che lo ha privato dell’uso delle gambe. «Il periodo di riabilitazione in seguito a un incidente è molto duro e impegnativo», spiega Donghi. «Oltre alle difficoltà oggettive di tipo fisico, subentrano una serie di problematiche di carattere psicologico. Anche i gesti più semplici cambiano forma e occorre iniziare un percorso che prevede l’apprendimento di nuovi movimenti. Occorre riadattarsi a ogni attività».
degenti per illustrare loro gli strumenti per il reinserimento nella società in seguito al rientro al proprio domicilio. Oltre alla valutazione dell’abitazione e alle modifiche architettoniche da apportare per facilitarne la vivibilità, vi sono una serie di altre misure, tra cui il sostegno psicologico e l’accompagnamento alla pratica sportiva. «L’handbike, in molti casi, diventa il primo sport ad essere praticato con regolarità dopo la fase di riabilitazione», spiega Donghi. È uno strumento molto importante e utile per accelerare la fase di reinserimento sociale, per sperimentare e vivere il nuovo corpo, e per acquisire nuove esperienze e ritrovarne altre che nel frattempo erano state impolverate dall’infortunio. «L’handbike è un toccasana per la salute – aggiunge il nostro interlocutore –, attiva il siste-
Il 2016 sarà l’anno delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro che avranno luogo dal 7 al 18 settembre Il compito di Gian Paolo Donghi è quello di recarsi regolarmente a Nottwil, nel canton Lucerna, che ospita l’ospedale specializzato per lesioni al midollo spinale, e incontrare i nuovi
ma circolatorio e l’intestino, riduce il gonfiore ai piedi e permette di uscire di casa e incontrare altra gente». Spesso questo sport non è solo il primo ad essere praticato dopo l’incidente, ma è anche il precursore di altre discipline quali il tennis, il basket, la vela, lo sci, il nuoto e altri ancora, tutti adattati alla para/tetraplegia. Tali offerte sportive sono state promosse dal Gruppo paraplegici Ticino (GPT) attivo sin dal 1979, il quale per molti anni ha messo l’accento proprio sull’handbike. Handbike che oggi è il fiore all’occhiello del gruppo Insuperabili, formalmente costituitosi nel 2012 e guidato da Walter Lisetto, che pure punta al reinserimento delle persone con para e tetraplegia attraverso lo sport. L’associazione è recentemente balzata agli
onori della cronaca in occasione della gara podistica StraLugano. Un evento, questo, fra i più importanti in Ticino, che ospita oltre 4000 partecipanti. «L’inserimento nella manifestazione, già nel 2011, di una categoria dedicata all’handbike – spiega Lisetto – ha permesso di creare una vetrina importante su questa disciplina, dando a sua volta un forte messaggio di inclusione nella società attraverso lo sport». Una vetrina che si è arricchita nel 2014, quando – sempre nell’ambito della StraLugano – la professionalità dei gruppi organizzatori ticinesi ha reso possibile l’assegnazione della tappa finale del giro d’Italia. E quando handbike fa rima con agonismo, si entra in un altro mondo ancora. Un mondo nel mondo con una sua storia, una sua evoluzione.
«A partire dal 2000 sono stati fatti passi significativi nel paraciclismo e gli atleti hanno iniziato a produrre risultati e tempi in forte progresso» spiega Lisetto. «Un sorprendente aumento degli standard competitivi e la dedizione degli atleti ha accompagnato un eccezionale aumento della professionalità del team degli addetti ai lavori, che da un impegno volontario si è via via trasformato in professionistico. I miglioramenti più significativi sono arrivati da quelle nazioni dove i para-ciclisti avevano forti legami con la propria federazione nazionale di ciclismo beneficiando così di coaching di qualità e migliori strutture e attrezzature adatte per lo sport d’élite». Il paraciclismo è oggi un settore completamente integrato nel ciclismo professionistico con numeri in forte crescita. Negli ultimi anni, come risultato naturale della sua evoluzione e progressione, sempre più atleti disabili sono professionisti che tendono a specializzarsi in una delle varie categorie. Come parte del processo di integrazione e con il fine di portare il paraciclismo su un piano più paritario con le altre discipline, dal 2007 l’UCI ha voluto introdurre il World Championships e la Coppa del Mondo. I Campionati del Mondo per nazioni si svolgono annualmente (tranne l’anno delle Olimpiadi) e quest’anno si sono svolte in Svizzera dal 29 luglio al 2 agosto a Nottwil. Ricordiamo inoltre che l’anno che sta per cominciare, il 2016, sarà l’anno delle Paralimpiadi di Rio (dal 7 al 18 settembre) che potrebbero addirittura superare i grandi numeri di Londra 2012 anche grazie al contributo d’immagine generato dal fenomeno Alex Zanardi, il quale ha saputo catalizzare l’attenzione di milioni di persone che prima di allora non sapevano cosa fosse una handbike. Buona preparazione e buona trasferta, quindi, agli atleti ticinesi: che sia un anno pieno di soddisfazioni sportive!
Giochi Cruciverba Babbo Natale quest’anno porterà regali per grandi e piccini! Li troverete a soluzione ultimata leggendo, per gli adulti nelle caselle gialle, verdi e rosa, e per i piccini nelle caselle arancio, azzurre e viola (Frase: 5, 4, 5 – 7, 7, 5)
ORIZZONTALI 1. Avanti negli anni 9. Preposizione 10. Storico fiume veneto 11. Le iniziali dell’attrice Autieri 12. Sudafricani di origine olandese 13. Questo a Parigi 14. Stato europeo 16. Procedure liturgiche 17. Tessuto per sacchi 18. Albero tropicale 20. La Negri scrittrice 21. Fianchi 22. Nota musicale 23. Pronome dimostrativo 24. Quarantanove romani 25. Giudiziosi
Sudoku Natalizio Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
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VERTICALI 1. Deporre con cura 2. Sigla del Canton Ticino 3. Periodo storico 4. Mi appartengono 5. Le raccontava Gesù 6. Lontani predecessori 7. Fuma in salotto 8. Strumenti di morte per condannati 11. Tessuto leggero 12. Lettera dell’alfabeto greco 13. Alimenti 15. Tutt’altro che raffinato 16. L’attore Williams 19. Chiude l’orazione 21. Articolo spagnolo 23. Le iniziali dell’attore Slater 24. Centro della capitale
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Soluzione della settimana precedente
TRA LE PIRAMIDI – Cleopatra: DIVENTÓ REGINA A DICIASSETTE ANNI. D O R M I T O R I
I V E R S P E N T E S G I R R A M P I R A O R T E S E A S E T S E E N N I
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I Ò N I D C I E T T A O
I T A C A
O N T A D C I L A
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Politica e Economia A Parigi clima più sereno Grande passo in avanti alla conferenza COP21, dove è stato raggiunto uno storico accordo sulla politica climatica che impegna tutti gli Stati ad arrivare a contenere il riscaldamento globale a meno di due gradi e a proseguire gli sforzi per limitare l’aumento massimo della temperatura a 1,5 gradi. India e Cina sul banco degli imputati
Libia, avamposto dell’Isis Nord Africa I vari servizi di intelligence del mondo hanno riferito dell’arrivo a Sirte dei jihadisti provenienti
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dalla Siria per pianificare l’avanzata nel Continente e il controllo delle risorse petrolifere, vero motore del Califfato
Marcella Emiliani «La Libia è l’avamposto dell’Isis che ci preoccupa di più. È la base da cui il Califfato sta pianificando di arrivare a controllare l’intero Nord Africa», parola di Patrick Prior, analista della Defense Intelligence Agency, alias il cuore dell’anti-terrorismo americano. La previsione semi-apocalittica è arrivata nel corso di una conferenza stampa a Washington alla fine di novembre e non riassume completamente i timori che l’avanzata dell’Isis in Libia suscita nelle cancellerie occidentali. Risulta infatti che molti combattenti dell’organizzazione terroristica di Abu Bakr al-Baghdadi stiano fuggendo da Raqqa in Siria per installarsi proprio in quello che fu il regno di Gheddafi per farne – se necessario – la nuova capitale del Califfato. E questa diaspora è uno degli effetti negativi della pioggia di bombe americane, inglesi, russe, francesi e siriane (ovvero targate Bashar al-Assad) che si sta riversando su Raqqa, la capitale storica del Siriaq, l’abbozzo di Stato che l’Isis ha conquistato a macchia di leopardo tra la Siria e l’Iraq. Proprio per sfuggire ai bombardamenti intensivi su Raqqa si sarebbe rifugiato a Sirte anche il Califfo in persona, al-Baghdadi, reduce da cure in Turchia dopo essere rimasto ferito in un raid americano in Iraq nel mese di ottobre.
AFP
La diaspora dei combattenti dell’organizzazione terroristica di Al-Baghdadi è uno degli effetti della pioggia di bombe russe, americane, inglesi, francesi e siriane
Un giorno diverso di speranza Natale Riflessioni attorno al 25 dicembre che non è solo l’emblema dell’Occidente ma riassume la storia dell’uomo Giorgio Bernardelli Ritorna tutti gli anni, il Natale. Però mai quanto questa volta sta facendo notizia. Tra polemiche su simboli e tradizioni ostentate o negate, leader politici italiani vestiti da remagi più o meno improbabili, persino spot pubblicitari che per promuovere la loro strenna ammiccano alle difficoltà del momento presente. Viene allora da chiedersi: al di là del suo significato per chi è credente, da un punto di vista puramente laico, che cosa può rappresentare il Natale 2015 in un Occidente impaurito e scosso dalle notizie terribili che continuano a rimbalzare nei nostri tg? La risposta più semplice è quella identitaria: il 25 dicembre come punto fermo per segnare i confini in un mondo sempre più liquido. Chi siamo noi e chi sono gli altri. Ecco allora il revival delle tradizioni natalizie: se qualche decennio fa andavano di moda le rivisitazioni in chiave contemporanea del presepe, oggi guai se manca lo zampognaro. Qualcuno arriva addirittura a
scambiare i cori del Natale per inni da Curva Nord contro Curva Sud. Ma, in fondo, lo stesso rassicurante binomio «Natale uguale generosità», non è solo la variante più politicamente corretta dello stesso schema? Noi occidentali siamo quelli che almeno una volta all’anno – intorno al 25 dicembre – tendiamo a convincerci che bisogna fare qualcosa di buono per chi sta peggio di noi. Il che – evidentemente – è un fatto positivo. Se non fosse che chi ci sta accanto avrebbe bisogno di noi anche negli altri 364 giorni dell’anno, ma rischia di trovarci molto meno natalizi... Ecco allora che la domanda iniziale diventa: bastano le tradizioni e la generosità a dare un senso al Natale di un mondo nel quale si combatte la «guerra mondiale a pezzi»? Basta la retorica dei buoni sentimenti quando oggi c’è chi uccide chiamando in causa come giustificazione un’appartenenza religiosa? E basta riaccendere le luci della Ville Lumière anche in tutte le altre città per convincerci che la generazione Bataclan è più forte del terrore?
Non basta e ce ne accorgiamo bene tutti: c’è poco da farsi illusioni. Eppure Natale mantiene lo stesso intatta la sua forza anche nei frangenti più difficili. Lo sa bene chi si appresta a vivere questo 25 dicembre in situazioni dolorose: dietro le sbarre o sotto le bombe, lontano dai propri affetti o nel turbine di una malattia. Natale è lo stesso il giorno diverso da tutti gli altri al quale chi è cresciuto in un Paese di tradizione cristiana cerca almeno di aggrapparsi. La novità che viene a riaccendere una speranza: questo – alla fine – è il vero segreto di ogni Natale, laico o credente che sia. Ma allora occorre andare all’origine di questa forza, che sta nel suo fondarsi su una narrazione: tutte le grandi tradizioni hanno al centro delle storie tramandate. E la loro grandezza non nel ripeterle sempre uguali, ma nel coglierne volti sempre nuovi ogni volta che le riascolti. Ecco, forse sta proprio qui la sfida di questo strano Natale 2015. Nell’era in cui la comunicazione decanta le meraviglie dello story-telling,
in cui persino le esperienze più banali ci vengono narrate come grandi avventure, non potremmo ripartire da quella storia? Non importa se tu creda oppure no che quel bambino di cui parlano i Vangeli è il figlio di Dio. Non importa nemmeno se la tua religione si fonda su un’altra storia. È un racconto che ti dice comunque qualcosa. Riascoltarlo sul serio – ad esempio – rivela tutta l’assurdità della pretesa di farne un emblema dell’Occidente: l’unico punto cardinale menzionato sta esattamente dalla parte opposta. È la cronaca della nascita del fondatore di una religione, sì; eppure ha tra i suoi personaggi anche dei magi, che professavano un altro credo e con ogni probabilità sono tranquillamente andati avanti a farlo anche dopo quel misterioso viaggio fino a Betlemme. È una storia di un mondo in cui non va affatto tutto bene; c’è un imperatore che per compiere un censimento costringe pure le donne incinte a farsi più di cento chilometri a piedi. E il protagonista fa giusto in tempo a venire al mondo per
diventare poi con i suoi genitori profugo in fuga da milizie che in quanto a crudeltà non avevano proprio niente da invidiare a quelle odierne dell’Isis. Tra l’altro su una rotta dei migranti che per raggiungere l’Egitto passa proprio attraverso un deserto. Insomma, bastano pochi tratti per capirlo: la forza del Natale sta nel fatto che la sua storia parla di noi. Riassume in poche scene le grandi costanti della storia dell’uomo; ricordandoci che i soprusi del potere, le porte chiuse in faccia, le stragi compiute dai violenti, non sono affatto una novità di oggi. Però aggiunge un messaggio: dice che anche dentro a tutto questo ci può essere una speranza. Succede quando scopri che persino gente all’apparenza poco raccomandabile – come erano considerati i pastori a quell’epoca – può diventare una presenza amica. Sì, ci sono persone che accettano di incontrarsi nel racconto della notte di Natale. Superando le loro paure. Perché non provarci anche in questa lunga notte alla fine dell’anno 2015?
Al momento l’Isis controlla direttamente 250 chilometri di costa libica, da Abu Grein a Nawfaliya, che hanno il proprio epicentro a Sirte. Conquistata a metà del febbraio scorso, la città natale di Gheddafi nel giro di appena dieci mesi, da avamposto periferico del Califfato si è trasformata in una sua roccaforte strategica in cui vengono addestrati tutti i nuovi foreign fighters provenienti dal Maghreb e dall’Egitto e in cui confluiscono i fuggitivi dal Siriaq. Il 28 novembre scorso il «New York Times» ha rivelato che nel mese di novembre avrebbero raggiunto la Libia anche un ex generale dell’esercito di Saddam Hussein, arruolato nel Califfato, che oggi si fa chiamare Abu Ali al-Anbari e un leader iracheno dell’Isis della prim’ora, Wissam Najm Abd Zayd al Zubaydi, nome di battaglia Abu Nabil, ucciso il 13 novembre da un raid americano vicino a Derna. Con l’ormai sperimentata maestria comunicativa, poi, il 4 dicembre scorso l’Isis ha reso noto che per le strade di Sirte stavano sfilando i «cuccioli del Califfato», 85 ragazzini e adolescenti ammaestrati a diventare kamikaze. E sempre da Sirte vengono eterodiretti i vari «Stati islamici» libici che nel giro di un anno hanno fatto atto di sottomissione ad Abu Bakr al-Baghdadi, da quello di Derna in Cirenaica che fu il primo, a quelli di el Merj (nota anche come Barqa, sempre in Cirenaica), di Tripoli
e del Fezzan. Nel Golfo della Sirte a far da barriera all’avanzata dei jihadisti sono rimasti solo i militari del Fronte Dignità creato fin dal maggio 2014 dal generale Khalifa Belqasim Haftar proprio per combattere tutte le formazioni islamiste, libiche e non. Dalla sua il generale Haftar, oltre a varie milizie locali, può contare su quanto resta dell’esercito libico, aviazione compresa, dunque su una forza d’urto notevole se paragonata alle forze in campo dell’Isis. La conquista di Sirte, infatti, è stata opera di appena 300 «ritornati», cioè 300 foreign fighters libici che, dopo aver trascorso mesi di addestramento in Siria, erano tornati appunto in patria per prendere direttamente il controllo del territorio. Ricordiamo che il generale Haftar è il braccio armato di uno dei due governi e dei due parlamenti che si contendono la guida di quel che resta della Libia, il governo per così dire «laico» di Tobruk, ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale ed appoggiato militarmente dall’Egitto e dagli Emirati arabi, opposto a quello di Tripoli legato agli interessi islamici locali coalizzati nel fronte Alba libica. L’offensiva del Fronte Dignità negli ultimi mesi si è concentrata ovviamente su Sirte, con bombardamenti sistematici dell’aviazione libica, di quella degli Emirati arabi e sporadicamente di quella americana. L’Isis invece agisce preferibilmente con la tipica tattica della guerriglia e degli attentati kamikaze, che fanno numerose vittime tra i civili e i militari del generale Haftar (37 nel solo mese di novembre), quando non è impegnato – come lo è da tempo – in scontri diretti con organizzazioni islamiste radicali rivali, come la Shura (Consiglio) dei Mujaheddin di Abu Salim a Derna in Cirenaica. Non sempre infatti le formazioni islamiste radicali libiche compiono l’atto di baya, ovvero di adesione-sottomissione al Califfato; rimangono cioè fortemente legate agli interessi nazionali, locali o tribali. Un caso a parte è rappresentato proprio da Derna, (roccaforte di Ansar al-Sharia, il più agguerrito dei movimenti terroristi islamici in Libia e il primo ad allearsi con l’Isis), dove dietro la Shura dei Mujaheddin c’è alQaeda nel Magreb che ancora contende ad Abu Bakr al-Baghdadi l’ambizione di creare un califfato. Stando a fonti di intelligence inglesi e italiane, l’offensiva dell’Isis da ultimo sta puntando sulla direttrice Sirte-Bengasi per rafforzare il proprio controllo sulla linea costiera orientale della Libia, sulla stessa Bengasi, di cui ha conquistato solo una parte, e su una località strategica in particolare, Agedabia. Agedabia è situata al centro dei ricchi campi petroliferi della Cirenaica ed è uno snodo strategico non solo verso Bengasi ma verso il sud del Paese e gli Stati saheliani. È ormai noto che il petrolio è il vero faro che guida le offensive dell’Isis. Se con proventi degli anemici giacimenti di greggio della Siria è riuscito a finanziare un’avanzata travolgente tanto in Siria quanto in Iraq, cosa potrebbe fare se mettesse le mani sull’Eldorado libico? Attualmente, stando a un rapporto delle Nazioni Unite, i jihadisti dell’Isis presenti a Sirte non sono più di 2-3000 (altre fonti parlano di un massimo di 5000 effettivi), ma l’esodo di combattenti, capi militari e leader politici del Califfato continuerebbe ininterrotto via mare. A fronte di questo caos, fino a dicembre la diplomazia ha arrancato. Ber-
nardino Leon che per conto della Missione Onu in Libia (Unsmil) lavorava da più di un anno sul nodo gordiano libico, il 16 novembre si è dimesso dopo che la sua bozza di accordo tra governo di Tripoli e il governo di Tobruk, annunciata l’8 ottobre, è rimasta lettera morta. Sul suo arenarsi, oltre all’anarchia che regna nel Paese, ha pesato non poco lo scandalo sollevato dal quotidiano inglese «The Guardian» che, spulciando piratescamente tra le email del suddetto Leon, ha scoperto che in pratica lavo-
po l’Italia con un’iniziativa diplomatica che ha coinvolto 17 paesi e le grandi organizzazioni internazionali, Onu, Unione europea e Lega araba comprese, per la proclamazione immediata del cessate il fuoco e la creazione entro 40 giorni di un governo di unità nazionale. In pratica si tratta della sostanza del piano di pace presentato da Bernardino Leon, riproposta a Roma dal suo successore, il tedesco Martin Kobler. Entro la fine di gennaio 2016 perciò le parti libiche dovrebbero dar vita ad un
Ma – come ha sottolineato il segretario di Stato Usa John Kerry – gli Stati Uniti non potevano più «stare a guardare un vuoto che rischiava di essere riempito dai terroristi». Non è detto però che l’accordo di Roma in sé garantisca il ritorno alla pace e alla normalità. Non è infatti condiviso da tutti i membri di entrambi i parlamenti libici, ma soprattutto dalla miriade di milizie, islamiste e non, che funestano la Libia e che non hanno aderito alle trattative e non sono state consultate, Isis in testa ovviamen-
Libici in preghiera fra le rovine di Sirte. (AFP)
rava nell’interesse degli Emirati arabi, schierati col governo di Tobruk. Già da giugno poi l’inviato speciale Onu trattava con gli Emirati la sua nomina a capo della loro scuola di formazione diplomatica, per un compenso di 1540 dollari al giorno. Leon ha confermato l’esistenza delle email senza porsi minimamente il problema di quale danno stesse causando alla Libia e all’Onu. La situazione era dunque in forte impasse quando il 13 dicembre è scesa in cam-
consiglio presidenziale che a sua volta dovrebbe nominare non solo i membri del governo (che tornerebbe di stanza a Tripoli, sicurezza permettendo), ma anche i vertici della Banca centrale libica e dell’ente petrolifero nazionale. Lo scatto impresso alla diplomazia internazionale a Roma è stato reso possibile dalla discesa in campo a fianco dell’Italia degli Stati Uniti fino ad oggi concentrati soprattutto sul quadrante mediorientale più critico, la Siria e l’Iraq.
te. L’accordo è stato sottoscritto dalla maggioranza dei rappresentati dei due parlamenti e dalle milizie al-Zintan e Brigata di Misurata il 16 novembre a Skirhat in Marocco. Ha apposto la sua firma anche il generale Haftar, la cui posizione, con i nuovi equilibri (o squilibri) che si verranno a creare, è tutta da definire. L’accordo è stato salutato come un «avvenimento» storico, ma nessuno si illude che il costituendo nuovo governo possa fare miracoli
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Politica e Economia
Il 2015 si tinge di verde Accordo sul clima Il documento di Parigi ha fissato l’obiettivo di stare ben al di sotto dei 2 gradi
rispetto ai livelli pre-industriali e possibilmente limitare l’aumento di temperatura a 1,5. È l’inizio della fine dei combustibili fossili
Il 7 dicembre a Pechino è stato dichiarato l’allarme rosso per l’ambiente. (AFP)
Beniamino Natale Ciren Pingcuo, studioso dei problemi dell’ambiente presso l’Accademia Cinese delle Scienze Sociali nella Regione Autonoma del Tibet, riceve a Lhasa, a fine novembre, un gruppo di giornalisti stranieri. Quando qualcuno gli chiede dei ghiacciai dai quali nascono dieci dei grandi fiumi dell’Asia, allarga le braccia. «I ghiacciai? Rappresentano un problema drammatico, sul quale ci sono una serie di segnali contraddittori. Certo, si stanno sciogliendo rapidamente. In alcuni casi l’acqua dei fiumi è aumentata, in alcune zone si sono prodotte delle macchie di verde che prima non esistevano, abbiamo ancora bisogno di studiare e di analizzare…».
India e Cina si sono trovate al centro delle discussioni proprio mentre le loro capitali erano avvolte da una fitta cortina di smog grigio-giallastro Chissà se il professor Pingcuo si è sentito rincuorato dalle conclusioni del cosiddetto COP21 (la 21/ma riunione del gruppo di 196 Paesi chiamato Conference of Participants), che dopo due settimane di discussioni a Parigi ha prodotto un documento di impegni per la lotta ai cambiamenti climatici che il dirigente di Greenpeace International
Kumi Naidoo ha definito «un primo passo su una lunga strada». Tutti i partecipanti si sono impegnati a raggiungere rapidamente il picco delle emissioni di anidride carbonica nell’aria e hanno espresso la volontà a contenere entro gli 1,5 gradi la crescita media della temperatura. Però, come ha scritto il quotidiano «The Guardian» commentando la «dichiarazione di Parigi», il documento «non è perfetto». «I tetti delle emissioni sono troppo vaghi e probabilmente porteranno ad un aumento della temperatura di 2,7-3 gradi rispetto ai livelli pre-industriali superando la soglia di 2 gradi considerata dagli scienziati il limite di sicurezza oltre il quale gli effetti – siccità, alluvioni, ondate di caldo e innalzamento del livello dei mari – diventeranno probabilmente catastrofici e irreversibili…», ha scritto il quotidiano. I più tenaci oppositori di un documento che fissasse obiettivi e obblighi precisi nella progressiva riduzione delle emissioni, sono stati i Paesi emergenti dell’Asia, l’India e la Cina. L’una e l’altra si sono trovate al centro delle discussioni di Parigi proprio mentre le loro capitali, New Delhi e Pechino, erano avvolte da una fitta cortina di smog grigio-giallastro. A Pechino, per la prima volta nella storia, è stato dichiarato il 7 dicembre l’allarme rosso per l’ambiente. Si tratta del livello più alto della scala di quattro colori (blu, giallo, arancio e rosso) usata dalle autorità cinesi. Per tre giorni le scuole sono rimaste chiuse, fabbriche e cantieri edili sono stati bloccati, il nu-
mero dei veicoli a motore in circolazione è stato ridotto a meno della metà con il sistema delle targhe alterne e fermando buona parte delle «macchine blu» governative. Nessun allarme speciale a New Delhi, dove le targhe alterne verranno introdotte nel gennaio 2016. Ma le immagini della capitale dell’India invasa dalla smog sono comparse spesso accanto a quelle di Pechino. È la prima volta che accade. Per uno strano fenomeno mediatico, negli anni scorsi lo smog di Pechino è diventato proverbiale, mentre la capitale dell’India era sempre sfuggita alla luce dei riflettori degli ambientalisti. Eppure, la classifica stilata nel 2014 dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) è chiara: delle venti città più inquinate del mondo, 13 sono in India, le altre si trovano in Pakistan, Iran, Turchia e Bangladesh. Delhi occupa il poco invidiabile primo posto. La Cina, con Pechino e gran parte del nordest del Paese, viene dopo. Brian Soden, professore di Scienza del mare e dell’atmosfera all’Università di Miami, ha spiegato che la classifica si basa sulla diffusione media di particelle inquinanti e non sul livello delle emissioni di diossido di carbonio (CO2), vera causa del surriscaldamento. Se si tenesse conto di questo – o, si può aggiungere, dei picchi di inquinamento dell’aria dovuto alle particelle PM2,5 – molte metropoli cinesi si troverebbero ai primi posti. Il livello di PM2,5 tollerabile dall’organismo umano è considerato dall’OMS quello di 25 particelle per metro cubo di aria. A Shenyang,
nel nordest della Cina, all’inizio di dicembre ha superato le mille particelle per metro cubo! Qualsiasi criterio si voglia usare, ci sono pochi dubbi sul fatto che i due grandi Paesi emergenti dell’Asia sono tra i peggiori inquinatori, e tra i più inquinati, del mondo. La Cina è, con gli Stati Uniti, al primo posto tra i responsabili delle emissioni di diossido di carbonio, principalmente per l’uso smodato del carbone, proveniente dalle ricche miniere sparse per il Paese ma con una forte concentrazione nel nordest. I dati sulla quota del carbone sul totale dei consumi di energia in Cina, come molte altre informazioni cruciali che riguardano questo Paese, sono incerti: le valutazioni oscillano tra il 60 e l’80%. In ogni caso una percentuale che indica che una riduzione significativa delle emissioni è lontana nel tempo e difficile da realizzare a meno di un improbabile scelta di contenimento dei consumi e l’accettazione di tassi di crescita più bassi di quelli degli ultimi mesi, che hanno oscillato tra il 6,8 e il 7% e sono considerati i minimi tollerabili dal regime di Pechino. Nonostante questo, la Cina è stata ampiamente lodata per i crescenti investimenti nell’energia pulita (in particolare solare), per le sue promesse di raggiungere nel 2030 il picco delle emissioni e di fornire 3,1 miliardi di dollari di aiuti ai Paesi più poveri per far fronte alle conseguenze del surriscaldamento. La stessa credibilità non sembra essere stata accordata dalla comunità internazionale all’India di Narendra
Modi, il primo ministro al potere da poco più di un anno ed esponente del Bharatiya Janata Party (BJP, partito del popolo indiano), che si ispira più ai dettami dei testi sacri dell’hinduismo che a quelli della scienza moderna. L’atteggiamento dello stesso Modi verso i cambiamenti climatici è stato criticato in seguito ad una dichiarazione fatta nel corso di sessione di domande e risposte con un gruppo di studenti organizzata dalla rivista «India Today». «Il clima non è cambiato. Noi siamo cambiati. Le nostre abitudini sono cambiate. Le nostre abitudini sono peggiorate. A causa di questo, abbiamo distrutto l’ambiente», ha sostenuto Modi in quell’occasione. Secondo Soutik Biswas, corrispondente della BBC da New Delhi, la capitale dell’India ha raggiunto in circa otto anni la vetta della classifica delle città più inquinate del mondo. «Tutti – ha scritto – sappiamo cosa ha portato all’avvelenamento dell’aria di Delhi: le emissioni di diesel, la polvere dei cantieri edili, i mattonifici, l’abitudine dei coltivatori di bruciare la stoppia nei pressi della città». A Delhi oggi circolano 8,5 milioni di veicoli – contro i 5,5 dichiarati di Pechino – e si ritiene che la qualità del carburante usato sia mediamente bassa e altamente inquinante. Perché la situazione migliori Modi, che presta grande attenzione alla sua immagine di leader «pro-business», dovrebbe essere pronto a contrastare la potente lobby degli industriali dell’automobile, cosa che pochi pensano abbia intenzione di fare.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Un utile sguardo alla storia Del Centro di ricerca coordinato di Storia della Svizzera «Bruno Caizzi» dell’Università degli Studi di Milano si sente poco parlare. Eppure regolarmente i collaboratori del Centro propongono, alternativamente a Milano o in Ticino, giornate di studio su interessanti temi di storia contemporanea. La caratteristica forse principale dell’approccio privilegiato dal Centro è che i temi in discussione vengono presentati sia da esperti italiani che da esperti svizzeri. Il caso vuole che, quest’autunno, siano usciti due volumi con le relazioni degli ultimi due congressi organizzati dal Centro. Il primo è un volume in ricordo di Bruno Caizzi a venti anni dalla morte. Ne ha parlato anche Orazio Martinetti, in questa pagina, la scorsa settimana. I saggi di quel convegno rappresentano buona parte del fascicolo I/2014 del «Bollettino storico della Svizzera italiana».
Gli stessi trattano dei temi sui quali si è concentrato Caizzi nella sua attività di ricerca come pure nel suo impegno di intellettuale. Per quel che riguarda la ricerca si parla dell’economia lombarda come di quella ticinese, della storia dell’industria italiana, dello sviluppo del Mezzogiorno nonché dei trasporti e delle comunicazioni. L’impegno civile e culturale viene messo in particolare rilievo da due contributi che chiudono il volume. Remigio Ratti, nel suo intervento, avvia una storia, che varrebbe la pena di continuare, sull’attività svolta dalla Commissione – di cui Caizzi fece parte – e dall’Ufficio delle ricerche economiche. Fabrizio Panzera, invece, con un saggio Gli anni di Caizzi, presenta una sintesi della vita politica e culturale del Cantone dalla metà degli anni Trenta alla fine degli anni Sessanta dello scorso secolo che è, nello stesso tempo, una lucida te-
stimonianza di quanto Caizzi ha potuto e saputo fare e non solo per il nostro Cantone. Altre finalità persegue invece il secondo volume appena pubblicato dal Centro di ricerca milanese presso la «Mimesis edizioni» di Milano. In un anno come quello che sta per finire in cui si è molto discusso del futuro dell’economia cantonale, può essere interessante tornare alle origini del discorso sulla politica di sviluppo del Cantone. È quanto viene fatto nei saggi del questo volume. In effetti lo stesso raccoglie i contributi che furono presentati al convegno sulle vicende della programmazione economica in Ticino e in Italia. L’esperimento di programmazione economica ticinese prese sicuramente le sue origini nella discussione sulla programmazione economica sviluppatasi in Italia all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso. Come in Italia, anche in Ticino,
la programmazione economica ebbe una stagione relativamente breve e si spense verso la fine della medesima decade. In seno all’amministrazione cantonale si continuò però a portare avanti il discorso pianificatorio come esigenza per lo Stato di fissare obiettivi almeno a medio termine in settori in cui era difficile agire con interventi immediati. Alla domanda degli organizzatori sull’utilità di riprendere oggi il tema della programmazione economica gli interventi del convegno non hanno dato una risposta diretta. La storia recente della politica di sviluppo ci suggerisce però che mentre in Italia lo Stato sembra aver abbandonato qualsiasi intenzione di voler guidare l’economia, in Ticino con strumenti di pianificazione che sono abbastanza efficaci come il piano direttore, per quel che riguarda lo sviluppo del territorio, la politica regionale e la pia-
nificazione finanziaria, in particolare quella degli investimenti, per quanto concerne il possibile contributo dello Stato allo sviluppo economico, si continua a operare anche oggi almeno con obiettivi di sviluppo di medio termine. Purtroppo dalla cassa degli attrezzi pianificatori del Cantone è scomparso quello che avrebbe potuto essere l’elemento centrale ossia il cosiddetto «rapporto sugli indirizzi». Sembra sia stato sacrificato ad esigenze di intervento più immediate che, forse, faranno la loro apparizione, tra poco, sul «tavolo di lavoro sull’economia ticinese» appena creato. Al contrario del periodo della crescita accelerata della seconda metà dello scorso secolo, oggi governare non è dunque più prevedere. Governare sembra sia diventato correre immediatamente ai ripari. Forse perché, come diceva il poeta: di doman non v’è certezza!
inquietanti: ce l’aveva con il premier Valls, che ha evocato il rischio di guerra civile. Marine ha denunciato «un’indecente campagna di calunnie, concepita nelle stanze del potere ed eseguita servilmente». E ha spiegato quale sarà la tattica dei prossimi diciotto mesi: il Front National sarà l’unica opposizione; la partita alle presidenziali non sarà tra destra e sinistra, ma «tra mondialisti e patrioti», tra coloro che intendono sciogliere la Francia «nel grande magma globale» e coloro che vogliono difendere la nazione come «spazio protettivo per i francesi». Da una parte «la Francia eterna e fraterna», dall’altra un’alleanza mostruosa tra vecchio establishment, politici ladri, banchieri usurai, imprenditori che delocalizzano, migranti di ogni fede ma soprattutto musulmani. È un’immagine ingannatrice, il «sussulto repubblicano» è stato chiesto da personalità del mondo cattolico, da industriali che investono il patrimonio personale nell’azienda; ma la folla ha risposto con un ruggito e si è impegnata a creare «migliaia di
comitati Bleu Marine, sino alla vittoria finale». Grida al vento? Non proprio. Il clan Le Pen può rivendicare di aver «sradicato i socialisti» da una regione dove governavano da sempre. Detto questo, il «sussulto repubblicano» di domenica scorsa ha mostrato che chiunque arrivi al ballottaggio ha ottime chances di battere Marine Le Pen. Il problema per Hollande è passare il primo turno, superando il vincitore delle primarie della destra gollista: Alain Juppé o il fedele nemico Nicolas Sarkozy (foto). Ma per riuscirci ha bisogno che si realizzino due condizioni. La prima: deve essere il candidato unico della Gauche. La seconda: ha bisogno di drammatizzare la situazione, di additare i nemici della Repubblica alle porte, di invitare i francesi a stringersi attorno a una leadership sperimentata e condivisa. La seconda condizione non dovrebbe essere un problema. La situazione è già abbastanza drammatica. Il risultato del secondo turno delle Regionali non deve far dimenticare quello del
primo: il Front National prospera non solo nella paura per gli immigrati e il terrorismo ma soprattutto nell’angoscia delle periferie del Paese, ormai in aperta ribellione contro le élites parigine in cui Hollande, enarca e quadro di partito, è nato e cresciuto. Anche Marine Le Pen terrà alta la tensione: i suoi interessi coincidono con quelli del presidente, perché la sua unica, remota chance di entrare all’Eliseo è affrontare al ballottaggio proprio Hollande. E la minaccia dell’Isis accompagnerà tutti i 17 mesi da qui alle presidenziali. L’equilibrio tra retorica e decisione con cui Hollande ha reagito alle stragi del 13 novembre l’hanno fatto risalire nei sondaggi. Ma nessuno è in grado di prevedere come reagirebbero i francesi a un nuovo attacco. E fino a quando la coalizione internazionale non entrerà a Raqqa, capitale dello Stato islamico, la Francia non potrà dire di aver vinto la guerra. Senza considerare che quella in cui siamo entrati non è una guerra tradizionale, con un inizio e una fine; è un’epoca.
demografico della Germania: nel 2060 i tedeschi saranno scesi di un quinto, visto che Berlino prevede che la sua popolazione, oggi di 81 milioni, scenderà a 65-70 milioni. Tanto per non limitarci a pochi paesi, grazie ai dati del prezioso sito knoema.com, posso aggiungere che il tasso della Svizzera riguardante la fertilità risulta di 1,52 figli per donna: davanti ci sono Francia (2,01), Svezia e Gran Bretagna (1,92), mentre dietro figurano Italia (1,43), Germania (1,38) e il terzetto Spagna, Grecia e Portogallo (attorno a 1,30). Il quadro non muta se in esame vengono presi i dati della crescita demografica, dove la Svizzera con un +1,24 figura al 100. posto di una classifica dove fanno sensazione le crescite minime di Germania (+0,30) e Russia (+0,22) e, proprio in fondo al tunnel, una quindicina di paesi europei o confinanti con l’area Ue che presentano addirittura tassi negativi e rubano al Giappone il triste primato della minore crescita demografica in tutto il mondo.
La remissività con cui governi e popolazioni continuano a gestire questo problema che mina e minaccia la crescita economica e sociale di un intero continente, mi suggerisce di terminare evocando la malinconia, frammista comunque a speranza, con cui Giovanni Guareschi chiudeva il suo Don Camillo: «Il fiume scorreva placido e lento (…) e per arrotondare e levigare il più piccolo dei miliardi di sassi in fondo c’eran voluti mille anni. E soltanto fra venti generazioni l’acqua avrà levigato un nuovo sassetto. E fra mille anni la gente correrà a seimila chilometri l’ora su macchine a razzo superatomico e per far cosa? Per arrivare in fondo all’anno e rimanere a bocca aperta davanti allo stesso Bambinello di gesso che, una di queste sere, il compagno Peppone ha ripitturato col pennellino». Ecco: la demografia è il fiume che scorre placido e lento, mentre la culla vuota raffigura la tristezza. Ci vorranno venti generazioni per levigare speranze e soluzioni?
In&outlet di Aldo Cazzullo «Sussulto repubblicano» Appariva furiosa dietro al sorriso di sfida, domenica sera, Marine Le Pen. Ha ringraziato «i patrioti coraggiosi che hanno resistito alle manipolazioni di un regime in agonia». Ha parlato di deriva, di pericolo, di prospettive
AFP
Non era difficile prevedere che Marine Le Pen non avrebbe vinto. Perché nei ballottaggi non può vincere. Il Front National è forte, ma non abbastanza da raggiungere il 51%. E il sistema francese ha ancora i suoi anticorpi.
Zig-Zag di Ovidio Biffi Guardando la culla vuota del presepe Al mio paese, e credo in tanti altri, chi preparava in chiesa il presepe prima di Natale evitava di esporre nella culla il Bambino Gesù. Così durante la novena, che era un po’ un «conto alla rovescia» prima della magica notte, ai piedi dell’altare o nel presepe noi bambini vedevamo una culla vuota, con linde stoffe ricamate d’argento o d’oro o grossi batuffoli di ovatta. Il bambinello «arrivava» con la messa di mezzanotte a completare il quadro di una Sacra Famiglia, rappresentazione della nascita di Gesù. (Sto attento a non evocare la tradizione, d’accordo con il collega Camillo Langone che, stigmatizzando certi e sempre più numerosi divieti di allestire presepi, ha sentenziato: «Quando qualcuno definisce il tuo presepe “tradizione” significa che al tuo presepe non crede più»). Io, forse perché istintivamente refrattario al politically correct, al presepe credo ancora. Tanto da arrivare a pensare ai presepi leggendo alcune notizie giunte di recente a confermare
il drammatico declino demografico dell’Occidente. In altre parole: ho collegato i deprimenti tassi di crescita demografica dell’Europa con le tristi culle vuote dei presepi sino alla vigilia di Natale. Parlare di demografia non è cosa semplice. L’unico dato affidabile mi sembra questo: per avere una popolazione stabile sul piano demografico occorre un tasso di fertilità superiore a 2 figli per donna. Nella giungla della statistica una selva di varianti apportano correzioni e modifiche, per eccesso o per difetto, rendendo i dati difficili da interpretare. Ma il quadro demografico attuale dell’Europa è di facile lettura: l’Unione europea è la regione del mondo con il più basso tasso di fecondità (1,55 figli per donna) e al tempo stesso la più alta percentuale di popolazione ultrasessantacinquenne (16,4 per cento degli abitanti nell’Europa dei dodici). E le cose non tendono a migliorare: secondo il maggior demografo del Max Planck Institute,
James Vaupel, «la distribuzione per età della popolazione si sposterà da orde di bambini a folle di persone anziane. Note per essere orizzontali, le famiglie in futuro saranno verticali, con quattro o addirittura cinque generazioni che vivono contemporaneamente». Inoltre c’è un elemento che contribuisce a complicare le cose: a livello mediatico l’invecchiamento della popolazione più che un problema per la crescita viene usato come alibi/causa delle ingenti spese in ambito sanitario e soprattutto pensionistico. Un illuminante «flash» sulle conseguenze di questa situazione lo ha recato di recente un autorevole studio della Brookings Institution: «I paesi baltici e la Bulgaria hanno già visto le loro popolazioni ridursi di oltre il quindici per cento a partire dal 1990, la Croazia del dieci per cento, Romania e Ungheria di oltre il cinque per cento». La drammaticità della situazione è invece accertata dal dato che emerge da un servizio del settimanale «Economist» sul crollo
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Cultura e Spettacoli A Sarmede trentatré anni di illustrazioni Nell’anno di Expo, protagonista indiscusso dell’edizione 2015 della fiera dell’illustrazione di Sarmede, è stato il cibo... ovviamente disegnato pagina 29
I Natali del laboratorio di Giuliano Parenti Il Natale era ogni anno una festa per lo scrittore Giuliano Parenti, perché era il momento in cui piccoli preziosi testi trovavano la strada verso un pubblico curioso pagina 30
La spiritualità dei Maestri Mostre Esposta a Palazzo Strozzi di Firenze
una serie di opere che ruotano intorno a divinità, bellezza, spiritualità e fede
Blanche Greco «L’Angelus è un quadro che ho dipinto ricordando i tempi in cui lavoravamo nei campi, e mia nonna, ogni volta che sentiva il rintocco della campana, ci faceva smettere per recitare l’Angelus in memoria dei poveri defunti» scrisse il pittore Jean-François Millet nel 1865, e il suo dipinto, un uomo e una donna raccolti in preghiera nella quiete della campagna, immersi nella luce dorata del pomeriggio, semplici e solenni, fu subito famoso. Di solito esposto al Musée d’Orsay attualmente è tra le opere della mostra: Bellezza Divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana, aperta sino al 24 gennaio a Palazzo Strozzi, a Firenze. Ideata in previsione del V Convegno Ecclesiale Nazionale e della presenza di Papa Francesco, Bellezza Divina è una riflessione tra arte e sacro, un importante e intrigante viaggio nella spiritualità di artisti famosi, che riunisce più di cento capolavori provenienti da tutto il mondo e mette a confronto un secolo di arte sacra moderna, dalla metà dell’Ottocento sino a metà del Novecento, attraverso dipinti, sculture, mosaici, bozzetti, procedendo in ordine cronologico.
Bellezza Divina si apre, con la sezione: Dal Salon all’altare, quasi una premessa, con opere che mostrano il travaglio, le incertezze degli artisti di fine Ottocento e la molteplicità di pensiero e di realizzazioni sul tema sacro. Ci accoglie il grande dipinto: I Maccabei 1863, di Antonio Ciseri, «un quadro di venerazione» come lo definì lo stesso pittore ticinese, realizzato per l’altare della Chiesa fiorentina di Santa Felicita, e che, fresco di un lungo restauro, si presenta oggi nei suoi colori originali e in tutta la sua emozionante spettacolarità, accostato ad un altro capolavoro: Flagellazione di Cristo, 1880, del francese William Bouguereau, dove emerge un più crudo realismo; sino all’onirico San Sebastiano, 1890, di Gustave Moreau, e al meno noto e sorprendente Il Redentore, 1900, di Giuseppe Catani Chiti, che ben rappresenta gli estetismi di fine secolo. Benché la mostra sia divisa in sette sezioni, presto ogni visitatore crea un proprio percorso tra le innumerevoli opere, alcune delle quali appartenenti a collezioni private, spesso famose e raramente esposte, ognuna con una sua storia, come Crocifissione bianca di Marc Chagall, (The Art Institute of Chicago), la prima, la più
Fuga in Egitto di Odilon Redon, 1903.
grande e la più significativa di una serie di opere di Chagall sul tema della crocifissione, nonché uno dei quadri più dibattuti del pittore russo, che lo eseguì tra il 9 e il 10 novembre del 1938 e che della «Notte dei Cristalli» ha gli echi e i presagi. Il dipinto mostra un paesaggio sconvolto dove vediamo soldati, sinagoghe in fiamme, ebrei in fuga, i rotoli della Torah che bruciano, oltre a un Cristo sofferente in croce, che invece del tradizionale perizoma ha un tallit, lo scialle da preghiera ebraico. «Non hanno mai capito chi sia veramente questo Gesù» – scrisse Chagall – «Uno dei nostri rabbini più amorevoli (...). Per me è l’archetipo del martire ebreo di tutti i tempi». A lungo considerato un dipinto scandaloso da cattolici ed ebrei, Crocifissione bianca è uno dei preferiti di Papa Francesco, raccontano i curatori della mostra, Lucia Mannini, Anna Mazzanti, Ludovica Sebregondi e Carlo Sisi. Dai Musei Vaticani arriva invece Pietà di Vincent Van Gogh, un piccolo quadro luminoso e affa-
scinante, sia nelle vicissitudini della sua creazione (ispirato all’omonimo quadro di Delacroix), sia nei colori e nella realizzazione. Il Cristo morto, dal corpo pesante, che sembra faticosamente issato dalla Madre sulle sue ginocchia, ha i capelli rossi, le fattezze del viso e il dolore del pittore stesso, che si suicidò pochi mesi dopo. Anche del francese Odilon Redon, c’è uno dei rari dipinti di soggetto sacro: Fuga in Egitto, un’esplosione di colori in una notte blu, una visione, quasi un sogno infantile di natalità. L’universo affollato e solare della Crocifissione di Renato Guttuso, campeggia accanto ai molteplici capolavori sullo stesso tema realizzati da Max Ernst, Picasso, Primo Conti. Pervaso di un rosso luciferino colpisce Il cardinale decano (Ritratto del Cardinal Vanvitelli 1930) opera di grande forza e dalla storia complicata, sulfurea parabola sul potere ecclesiastico e decadenza di Roma che, con le grandi sculture Pio XI di Wildt e il Grande cardinale di Manzù e la Casula verde in seta, di
Henry Matisse, rappresentano un’idea di Chiesa. Una sezione della mostra è interamente dedicata a Gino Severini «tra spiritualità e poesia», con bozzetti, studi per affreschi e mosaici, che raccontano l’attività dell’artista nella decorazione delle chiese svizzere e nel rinnovamento dell’arte sacra, con il fondamentale apporto spirituale e teorico di Jacques Maritain. La mostra Bellezza Divina conclude il suo percorso e il dialogo tra arte e sacro, con una sala dedicata alla Preghiera e il grande dipinto dal titolo omonimo di Felice Casorati, raffinata ed evocativa rappresentazione della Vergine, su uno sfondo che ricorda l’elegante universo klimtiano. Dove e quando
Bellezza divina tra Van Gogh, Chagall e Fontana. Firenze, Palazzo Strozzi. Orari: tutti i giorni 10.00-20.00; gio 10.00-23.00. Fino al 24 gennaio 2016. www.palazzostrozzi.org
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Cultura e Spettacoli
La fiaba è servita
Illustrazioni Nell’anno di Expo anche la 33ma mostra di Sarmede
si è occupata di cibo attraverso oltre 30 illustratori
Non solo thriller e spionaggio Filmselezione Grande umanità nel nuovo
film di Spielberg, grazie anche a Tom Hanks Piero Zanotto Per una volta Sarmede, il paese della Marca trevigiana noto in tutto il mondo come il luogo principe della «fantasia illustrata», non dedica il consueto suo spazio agli artisti di un paese ospite. Sempre pensata scritta disegnata per il fruitore dell’età verdissima, la 33a Mostra internazionale d’illustrazione per l’infanzia, ancora organizzata e coordinata col proprio affiatato staff da Leo Pizzol, si offre invece eccezionalmente in ideale liaison con l’Expo. Parla infatti di cibo, in tutte le salse, finalizzando le ricette in un ventaglio di invenzioni le cui composizioni grafiche, miscelandosi con la parola scritta, creano ambivalenze di significato. Quindi portando il piccolo fruitore a soluzioni finali diversamente logiche. Un excursus divertente anche per l’adulto. Si direbbe magari accompagnato, nel giro di visita (fino al 24 gennaio 2016) dentro la «casa» che si erge accanto al Municipio, dall’imberbe figlioletto. La fiaba è servita!, dice uno degli slogan, divenuto anche disegno di copertina del libro che affianca il tradizionale illustratissimo catalogo. Sottotitolo: Cibi incantati dall’Italia. Testi dello specialista nell’indagine dei significati nascosti delle fiabe del mondo Luigi Dal Cin. Vi vediamo un bimbo con abiti da contadinello che sta raccogliendo con la forchetta dalla pentola gli spaghetti appena cotti. È di Giulia Orecchia, l’ospite d’onore di questa edizione che inonda di suoi pannelli un’intera sala. «Streghetta dei colori – si legge nel di lei divertente ritratto di presentazione – che più ha i capelli bianchi meno invecchia». Dopo il liceo artistico di Brera, Giulia ha studiato Visual Design alla Scuola Politecnica di Design. La sua prerogativa, passando attraverso gli stili grafici più diversi, è di progettare libri pieni di sorprese cartotecniche, poesie disegnate e giochi da risolvere. Committente esclusivo il bambino. Sua, a Sarmede, tanto per citare, la «tombola della fiaba». Ma, attenzione, il giocatore estrae dal sacchetto tre numeri sovrimpressi a delle figurette. Esempio: il 3, il 27, il 18. Posti sopra al
Fabio Fumagalli ***(*) Il ponte delle spie (Bridge of Spies), di Steven Spielberg, con Tom
Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Sebastian Koch (USA 2015)
L’albero delle fiabe di Giulia Orecchia, collage digitale. (www. sarmedemostra.it)
disegno di una carota, di una torta, di una zucca. Il piccolo giocatore da queste tre figure dovrà trovare stimolo per l’invenzione di un raccontino. Con loro protagoniste. Ancora: L’alfabeto delle figure. Tavole che mettono in fila ortaggi, animali e frutta. Leggendo le iniziali dei nomi di ogni soggetto deve uscire una parola. Ne scegliamo uno, il più semplice e breve: carota, hotel, imbuto. Per dire «chi». La didascalizzazione dei disegni figurali di Giulia Orecchia e di altri autori sono ovvio continuum del tema cibo: da Sale in zucca a Filastrocche saporite per immagini imbandite. Ci sono le illustrazioni di cibi d’altre culture. Da citare Le ricette delle Mille e una notte, ovvero a tavola con Sharhazad, Entrate nel libro di Anne-Luise Boutin, sfogliabile all’istante Una parete è riservata a Stepan Zavrel, il maestro boemo scomparso nel 1999 che inventò trentatré anni fa la mostra di Sarmede, portandola nelle diverse edizioni in giro per il mondo. Si ammirano alcune immagini in acquerello abbinato al pastello ad olio che sono nel suo libro, uscito nel 1968, racconto di una fiaba tradizionale céca: Il sale vale più dell’oro, ora ristampato da Bohem Press Italia. Ancora ambivalenze di significato
sull’importanza di nutrirsi nel modo giusto. Con Giulia Orecchia e Stepan Zavrel, altri 30 illustratori dal mondo hanno portato loro lavori a Sarmede. Tra i vari saporiti temi: La più buona colazione del mondo (Massimo Caccia), Ah, quelle soupes, les amis! (Judith Gueyfier), Senza ricetta (Giuseppe Braghiotti), Benvenuto Pomodoro! (Alessandra Cimatoribus), Non piangere cipolla (Gaia Stella). Un omaggio è riservato a Leo Lionni, altro grande comunicatore con testi e disegni porti ai lettori delle prime età (Amsterdam 1910 – Radda in Chianti 1999). Autore dei celebri Topi di campagna, protagonista il previdente sorcetto Federico nella scorta di cibo per l’inverno. Vi sono poi le figure di un realismo visivo agghiacciante di Federico Maggioni per il suo libro La grande guerra raccontata ai ragazzi. Quasi un sèguito della mostra fotografica e di oggetti ospitata alla Casa della Fantasia (qui nel suo nome amaramente smentita) a seguito di un convegno il 24 maggio dal titolo Cucina e fame nella Grande Guerra. Realizzata in collaborazione con l’Accademia Italiana della Cucina. Mostra testimoniata da un illustrato volume scritto a più mani.
Bastano dieci minuti, quelli del prologo di questo presunto thriller di spionaggio, per ricordarci quanto Steven Spielberg sia non solo uno dei più celebri, ma anche fra i più grandi cineasti americani del dopoguerra. Thriller presunto: poiché la vicenda è autentica, nota, e di conseguenza prevedibile, visto che narra dello scambio fra la spia russa Rudolf Abel arrestata a New York dall’FBI, e l’americano Francis Powell, pilota dell’U2 di ricognizione abbattuto sopra il territorio sovietico, il tutto in piena paranoica Guerra Fredda (anni 50). Al centro vi è il ruolo avuto nella scottante faccenda dalla figura di James B. Donovan, l’avvocato assicurativo incaricato di difendere un impopolare candidato alla pena di morte e organizzare il pragmatico baratto. È la grigia normalità del professionista, dell’americano medio che muta in eroe, lucido e commovente; la faticosa ragione umanistica che viene a confrontarsi con il cinismo di quella di Stato. Tom Hanks, che interpreta Donovan, è al solito immenso. Ma è nell’incontro tra la sua arguta, paradossale ironia (co-sceneggiatori sono certi fratelli Coen…) e l’ermetico, ma vieppiù
La locandina del film.
eloquente mutismo dell’ufficiale del KGB – interpretato dall’attore di teatro inglese Mark Rylance – che si esalta la forza espressiva di Spielberg. «Ma lei non s’inquieta mai?» chiederà l’avvocato. «Perché, servirebbe?», ribatterà a più riprese il suo assistito. È la stessa, umanistica duplicità che il regista riesce a infondere nelle immagini, a partire da quelle di un prologo memorabile: la cinepresa lentamente si avvicina alle spalle della spia infiltrata: ci mostra il suo viso, dapprima riflesso da uno specchio, poi è la volta del medesimo profilo in un autoritratto che il protagonista sta dipingendo. Si creano così tre dimensioni, tre interpretazioni della stessa realtà: come nelle interrogazioni etiche e civili che seguiranno nel film. Quando Il ponte delle spie verrà poi al dunque, trasferendosi nella Berlino del Checkpoint Charlie e del ponte di Glienicke (teatro di alcune sequenze padroneggiate anch’esse in modo sovrano) il film si farà più esplicito, assumendo maggiormente l’aspetto tradizionale delle pellicole di spionaggio. Ma a imporsi definitivamente sulle regole del genere, sugli intrighi e le ipocrisie che continuano a costituire la tela di fondo di molta Realpolitik internazionale e che il regista dipinge con splendida disinvoltura, ad elevare la riflessione contribuisce sempre la qualità, mai di maniera, dello sguardo. Confermandosi maestro nella facoltà di fondere cinema e storia, dopo la sorprendente capacità di abbandonare certe tradizionali meccaniche spielberghiane nel precedente Lincoln, lo Spielberg della maturità riesce a interiorizzare ulteriormente i propri temi. Dalla banale gravità iniziale, i due protagonisti scivolano armoniosamente negli impacci benevoli e quasi comici dell’uno, come nell’umanità sempre più trasparente dell’altro. Da affresco etico e politico, da perorazione encomiabile sulla presunzione d’innocenza, Il ponte delle spie mette gradualmente in luce le proprie esigenze morali, in una commovente dichiarazione d’amicizia, e infine di amore che va tutta a onore di un inventore di Squali e Extraterresti che consideravamo unicamente geniale. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il laboratorio delle meraviglie In memoriam L’opera letteraria e didattica di Giuliano Parenti
Daniele Bernardi Durante una piacevole conversazione, Giorgio Orelli, comodamente seduto sul suo divano e con le mani giunte dietro la nuca, riferendosi alla figura di Giovanni Pascoli usò, in mia presenza, queste parole scherzose: «quello faceva poesia anche se sputava per terra». Gli stessi termini mi sovvengono nel parlare di Giuliano Parenti (Firenze, 1928 – Lucca, 2010), «artista totale» come lo ebbe a definire Mario Artioli. Fu drammaturgo, scrittore, poeta visivo e didatta forse troppo poco noto e, adesso, meriterebbe una corretta collocazione all’interno della storia della cultura italiana del dopoguerra. Il suo nome, nel Canton Ticino, per qualcuno non suonerà nuovo; infatti, nel 1998, Parenti, con il suo A memoria d’uomo, vinse il «Premio amici del Teatro di Locarno 1998». La pièce, una delle tante che ha scritto e pubblicato (tra quelli che si occuparono delle messe in scena dei suoi testi spicca il nome di Andrea Camilleri), venne definita dalla giuria «un provocatorio sberleffo sui rapporti sociali». Sabrina Faller, in un articolo apparso allora su «La Regione», ritraeva lo scrittore come «un signore sessantenne che ha lavorato per anni in ambito scolastico, scrivendo e rappresentando commedie e pubblicando una dozzina di libri sul teatro e sulle tecniche della comunicazione. Coinvolto in numerose iniziative di carattere educativo e sociale, ha messo la sua esperienza al servizio di una comunità di tossicodipendenti». Infatti, una delle peculiarità che caratterizza fortemente l’operato di Giuliano Parenti è l’incondizionato impegno ad innervare il discorso culturale, specie se volto alla poesia o al teatro, nei contesti più disparati (scuole, carceri, comunità e cliniche). Parenti, scrisse Antonio Mariotti sul «Corriere del Ticino», ha lottato «perché il teatro diventasse uno strumento didattico ed educativo di uso quotidiano e non solo la scusa per organizzare in fretta e furia una recita di fine anno». In questo senso, la testimonianza migliore di tale pratica è stata affidata al volume Giochiamo davvero (pubblicato nel 1976 dalle Emme Edizioni e scritto assieme a Patrizio Roversi) e al bellissimo Facciamo teatro (Paravia, 1971). Quest’ultimo, che dimostra un audace anticipo sui tempi (non so quanti altri, negli stessi anni, azzardassero simili imprese), si avvale dell’entusiasta nota introduttiva di Gianni Rodari – il qua-
Giuliano Parenti ha sempre coltivato il suo grande amore per la poesia.
le, nel riferire la sua visione del lavoro di Parenti, parla di teatro come «strumento di conoscenza, strumento di trasformazione della realtà. E, insieme, momento di poesia». E di poesia, nell’opera di Parenti, non ne manca. Chi ha avuto la fortuna di avere accesso a quella sorta di laboratorio delle meraviglie che fu, a lungo, la sua abitazione in Toscana, non si stupirà se, nel descriverne gli spazi labirintici, accarezzati da figure intagliate nel legno, userò le stesse parole con cui Rodari ritrae la mansarda dove Parenti lavorava assieme ai suoi alunni: «un ambiente avventuroso, pieno di sorprese, proprio come certi vecchi bauli che si conservano nelle soffitte (...). La differenza tra le soffitte tradizionali e quella di cui parlo è, tuttavia, grandissima: confusione, sì, ma non la confusione creata dal tempo
che accatasta senz’ordine relitti di ogni genere, bensì lieta, stimolante confusione della vita e delle cose vive». Ed è tra scaffali, scatolette, opere di poesia fatte con carta, colla e forbice, sculture tempestate di cassetti e vani contenenti letterine ritagliate che, su una mensola, una serie di volumetti colorati attira l’occhio del visitatore. Si tratta delle artigianali Edizioni del Trito & Ritrito, iniziativa dalle fattezze «scheiwilleriane» che, dal 1993, impegnò lo scrittore nella costruzione di un singolare catalogo. Tanto per cominciare i volumetti del Trito & Ritrito, come recita la nota posta sopra ogni colophon, «non hanno prezzo perché non sono in vendita da nessuna parte. Vengono regalati per simpatia verso chi li riceve e per antipatia verso il mercato con dispetto par-
lando». Si tratta «di minuscoli libretti di versi (non solo di amici ma anche di nomi importanti come Giorgio Barberi Squarotti e Giampiero Neri) e di brevi racconti» che l’autore usava regalare ai conoscenti come dono natalizio. Per questo, tra le abitudini di Giuliano Parenti, c’era anche quella di scrivere, ogni anno, una novella destinata ad essere divulgata in una piccola comunità di lettori. Le storie, quasi sempre, erano divertenti e scritte in una lingua giocosa ma, al contempo, raffinata. Come è ad esempio il caso di Babbo letale – quarantesimo volume delle «ignobili edizioni» inserito, poi, nella bella antologia Racconti col fiato corto (Tre Lune Edizioni, 2007). La narrazione, sospesa tra un racconto calviniano e uno, più demenziale, di Stefano Benni, si svolge nell’ufficio postale del «poco decente» quartiere «di San Lazzaro Resuscitato» – dove le impiegate hanno «l’aria perdente del capitano di una nave inclinata sul fianco». Siamo a dicembre e mentre la fila dei clienti avanza verso lo sportello, la porta si apre e fa la sua comparsa un Babbo Natale malconcio. Supera la fila e, poggiando una busta all’imboccatura del piatto girevole, dice di essere «venuto a ritirare la sua posta». A questo punto esplode il panico: l’impiegata, nello scorgerne il braccio ingessato, pensa che il tale sia armato e che la formula usata sia solo un modo di dire «questa è una rapina». Immediatamente, la clientela si getta sul pavimento, certa di essere sotto lo schiaffo di una minaccia balistica. Negli interminabili secondi che seguono l’equivoco, l’autore, leggendo nelle menti dei presenti, ci fa udire i pensieri di una popolazione che anche quando teme di morire, tanto è avvezza a tutto, non riesce a non pensare cose come «deve essere tardi chi me l’ha fatto fare di venire a ritirare i soldi». La vasta produzione letteraria di Giuliano Parenti comprende anche romanzi, come Uliess, lettore di immondizie (Jaca Book, 2001), Per amore o per finta (Mauro Pagliai Editore, 2008) e Il piccolo audace Frrr (La Meridiana, 2011). Le Edizioni del Trito & Ritrito, con la scomparsa del loro creatore, non hanno cessato di vivere: la moglie Liliana Di Ponte e la figlia Martina, ancora oggi, portano avanti la tradizione. Ci auguriamo, con l’arrivo di queste festività, che tale usanza continui a lungo e che le opere del loro fondatore abbiano, presto, una più accessibile collocazione editoriale.
Agenda dal 21 al 27 dicembre 2015 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino Leggere! Leggere! Leggere! Libri, giornali, lettere nella pittura dell’Ottocento Rancate, Pinacoteca cantonale Giovanni Züst Fino al 24 gennaio 2016 www4.ti.ch Una serie di ritratti di grande valore che mettono in luce una rivoluzione silenziosa ma travolgente che ha cambiato le sorti dell’umanità: la lettura.
La grafica per l’aperitivo Trasformazioni del brindisi Chiasso, m.a.x. museo Fino al 17 gennaio 2016 www.centroculturalechiasso.ch Visto il grande successo, è stato deciso di prolungare la mostra dedicata alla grafica pubblicitaria dei prodotti da aperitivo dal sapore altamente vintage. Un’imperdibile occasione per confrontarsi con un pezzo di storia e di cultura . Roberta Donetta Una retrospettiva Lugano, MASI, Sede di Palazzo Reali Fino al 20 marzo 2016 www.masilugano.ch Al bleniese Roberto Donetta, venditore ambulante nonché fotografo autodidatta, dobbiamo tutti molto, poiché nei suoi scatti ritroviamo la nostra storia e il nostro passato. Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook
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Cultura e Spettacoli Rubriche
In fin della fiera di Bruno Gambarotta Un metro di libri L’acquisto della galassia di case editrici facenti capo al gruppo RCS (Rizzoli Corriere della Sera) da parte della Mondadori è stata la novità più importante sul fronte culturale di questo 2015 che si chiude. Le reazioni degli autori interessati in prima persona sono state tutto sommato caute e attendiste. A metà degli anni Settanta c’era già stata un’altra concentrazione, molto più limitata dell’attuale, voluta dalla Rizzoli che aveva acquisito un gruppo di marchi minori e la reazione degli scrittori era stata molto più forte. Da un discreto numero di militanti nel Gruppo ’63 nacque l’iniziativa di dare vita alla Cooperativa Scrittori. La notizia venne data con grande enfasi dall’«Espresso». I promotori erano quasi tutti residenti a Roma e fra loro c’era anche Angelo Guglielmi, della direzione programmi televisivi della Rai. Nei corridoi e negli uffici del quinto piano del palazzo di viale Mazzini avevo frequenti occasioni di incontrarlo; gli dissi che mi sarebbe piaciuto collaborare alla nascente casa
editrice, dando sfogo finalmente a una vocazione coltivata fin da ragazzo e mai realizzata: fare l’editore. Angelo Guglielmi mi arruolò su due piedi, assegnandomi il ruolo di segretario aggiunto. C’era già un segretario in carica, era Nico Garrone, anche lui programmista Rai, critico teatrale di «Repubblica» dalla fondazione, prematuramente scomparso e padre di Matteo, il regista di Gomorra. Eravamo due sergenti in un esercito composto tutto da generali. Le riunioni serali si tenevano in due case ospitali, quella di Luigi Malerba, dietro piazza Navona e quella di Cesare Zavattini, in via Sant’Angela Merici. Zavattini, già anziano, aveva aderito con giovanile entusiasmo all’iniziativa ed era un vulcano di proposte. Una in particolare innescò infuocate discussioni, mentre il padrone di casa ci esortava: «Parlate piano, di là c’è mia mamma che dorme». La neonata Cooperativa Scrittori aveva aderito alla Lega delle Cooperative, in altre parole alle «Coop rosse» e non poteva essere altrimenti, dato il nostro comune
Bibbia da introdurre o da escludere dal catalogo di un editore non confessionale anni dopo durante la realizzazione di un programma per la Terza Rete della Rai, in occasione dei 50 anni della casa editrice Einaudi: «Biografia di un catalogo» era il titolo. Nelle numerose interviste ai vari responsabili nessuno aveva parlato di una Bibbia; l’argomento saltò fuori incidentalmente durante l’intervista alla coppia formata da Carlo Fruttero e Franco Lucentini che avevano lavorato a lungo in casa editrice prima di andare a dirigere Urania. A un certo punto chiesi a Lucentini: «Come mai ha sentito il bisogno di padroneggiare 17 lingue?». Lui mi spiegò che il difficile era stato imparare le prime dieci, per le altre era stato uno scherzo. Le imparava man mano che sentiva il bisogno di controllare una traduzione, come quella volta che in casa editrice, dopo infinite discussioni, avevano accettato la proposta di un tale che sosteneva di essere in grado di tradurre da capo la Bibbia. Erano bastate poche settimane di studio dell’ebraico per
smascherarlo. Ecco perché nel catalogo Einaudi non c’è una Bibbia. Quanto al metro di libri, l’idea di metterci la Bibbia fu accantonata e si passò alla narrativa; tutti d’accordo, un romanzo sarebbe stato troppo impegnativo, ci voleva un racconto lungo. «Per me», dichiarai, «il più bel racconto italiano del Novecento è Il taglio del bosco di Carlo Cassola». Zavattini reagì come punto da una vespa: «No! Cassola no!». Intimorito dalla reazione, tacqui. Da bravo piemontese arrivavo puntuale agli appuntamenti e perciò in grande anticipo sugli altri. La volta dopo, trovandomi da solo con Zavattini, osai chiedergli le ragioni del suo no a Cassola. «Qualche anno fa», mi spiegò, «c’era stato a Parigi un grande convegno di scrittori e cineasti di sinistra. Non potendo essere presente avevo mandato un telegramma di adesione. Cassola, che dirigeva la sessione di quel giorno disse in apertura: c’è qui un telegramma di Cesare Zavattini ma, siccome è troppo lungo, lo diamo per letto e lo alleghiamo agli atti».
l’Europa aveva conosciuto la fame, e non in fotografia. Le donne e gli uomini sovrappeso erano considerati benestanti, non costretti alla magrezza della miseria, così come il pallore indicava maggiore agiatezza delle abbronzature prese lavorando nei campi o nei cantieri. A poco a poco, grazie al benedetto welfare, finalmente suddiviso in tutti i luoghi della nuova società, a poco a poco tutto si è capovolto, come la storia insegna. Il lavoro in fabbrica e in ufficio non rende brunita la pelle, la sedentarietà e la bassa qualità del cibo fanno lievitare pance meno nobili di quelle dei nonni. Ora si deve essere magri e abbronzati. Magri perché si mangia sano, si paga un nutrizionista, si va in palestra. Abbronzati perché si fanno spesso vacanze dove il sole splende. Con variazioni, però: da quando le lampade solari sono così diffuse e così a buon prezzo, non va bene essere molto abbronzati sempre, è diventato un po’ volgare. Si deve
quindi essere o pallidi, con adeguato trucco per le signore. O lievemente rosei, quella spruzzata di sole preso domenica in barca, un segno di salute, non di eccessi. Anche perché non si può negare il tragico effetto sulla pelle delle signore non più giovanissime prodotto dalle abbronzature degli anni Ottanta. Torniamo alla magrezza e arriviamo alla moda del «levare», proprio il contrario dell’abbuffata anni Sessanta. Chi è il magro? Difficilmente sarà uomo o donna che svolge lavori pesanti, perché i muscoli fanno massa e perché chi svolge lavori fisici deve poter contare su riserve di energia. Non che il magro sia pigro, svolge attività fisica, ma solo mirata al mantenimento della magrezza. Il magro poi mangia poco e bene, quindi spende per mangiare. Spende anche, spesso, per creme e massaggi. Il magro di solito si può permettere di essere magro. E in una sorta di gioco a chi fugge meglio le tentazioni della gola, i magri si sfidano,
senza dirselo, a levare tutto il possibile. Attenzione, non stiamo parlando di disturbi alimentari, problema serio. Stiamo trattando di adulti sani e responsabili, che compiono pratiche ascetiche, lottando contro i peccati del terzo millennio: il caffè, i grassi, lo zucchero, la carne, poi le uova, il latte (lattosio, il nuovo volto del killer), i formaggi, il glutine, l’alcol, i surgelati, frutta e verdura non bio, gallette non bio, acqua non depurata dalla apposita brocca. No, costoro non rischiano di morire di fame, perché possono trovare sempre qualcosa di alternativo a ciò che scartano, carni di soia, formaggi di riso, gallette senza sale senza lievito senza quasi tutto. Qualcosa però sta per sconvolgere la vita difficile di questi nuovi asceti. Ricompaiono persone affamate, sbarcano, camminano nelle nostre belle città. Ci guardano nei locali eleganti, mentre rimandiamo in cucina cibi con troppo glutine, troppo unti, poco solidali col pianeta.
il nonno diverte il bambino. Non a caso canticchia, Orelli: «Son solo pensierini / da prima elementare, / sono fragili cachinni / di un povero giullare». Da non prendere alla lettera, ovviamente, perché Giovanni, che appunto ama cachinnare, filastroccare, mirabolare con le parole, con sé e con il lettore, insinua quasi subito, nel suo specularsi nella vita del bambino che cresce, il senso della dolorosa (forse angosciante) irrimediabile distanza tra infanzia e vecchiaia: «Nonno, per fare il dieci, vien prima l’uno o lo zero? / Non ho più certezze ma di questo son sicuro: / vien prima l’uno! Ma mi cala la vista tra chiaro e oscuro. / Non troppo tardi, spero, sarà festa per me, sarà tutto nero». Il calcolo dei dadi che più non torna, direbbe Montale. Tant’è che il verbo «vivere» viene declinato più spesso alla seconda persona, così come i possessivi di «vita» e gli aggettivi attigui: «E a me, sulle scale, uno spicchio / di sguardo, a cercarmi, mi dai, caro specchio / perché di te il più vivo, in te vivo, è il tuo occhio».
L’alterità dentro il gioco speculare: un’alterità che solo la poesia, in virtù di quello stupore comune, riesce a superare mettendo in fuga le ombre e puntando sul futuro che comunque sarà: «Hai dieci anni, un decimo di tua vita, se il destino / mi ascolterà. Dove, nel 2020, a vent’anni, dove andrai? / In Brasile, su un dromedario al Cairo, o studierai / alla Columbia, alla Sorbona, con cinesi a Shanghai?». Andrai: studierai: Shanghai: non c’è rima più divertente. Sembra sporgersi sull’orlo della vita, Giovanni, per usare un sintagma dantesco caro a suo cugino Giorgio. Giovanni Orelli è stato il mio professore di italiano al liceo e a lui devo la passione per la letteratura (e per la scrittura) e se la passione, in una vita, è quasi tutto si può immaginare quanto gli sia riconoscente: era formidabile il suo modo di avvicinarci alla poesia e di trasmettere e contagiare l’entusiasmo (suo) attraverso la voce, la lettura, il commento rapido, puntellato di accensioni e collegamenti, di occhi vispi, di sguardi contadineschi, di mani che si muovevano per aria, di
erre rotanti che si avvolgevano sulle frasi. Moltissime poesie che non avrei mai dimenticato vengono dalle sue lezioni: A Liuba che parte, Gli orecchini, la Genova di Caproni e la Milano di Sereni e di Erba. Idem il nome di Leo Spitzer, di cui è uscito per la prima volta in italiano un libretto di saggi linguistici: Piccolo Puxi, sulla lingua della madre, la lingua-madre (Il Saggiatore). «I nostri sentimenti agiscono sulla lingua come la linfa in fermento sugli alberi a primavera. Per cogliere questo succo fermentante e germinante dell’animo, dobbiamo osservare i bocci e i germogli della lingua». È un libro che piacerà molto a Giovanni e credo abbia a che fare con le quartine che ha dedicato a Francesco. E ritengo che anche questa capacità di far germinare in poesia il suono dei sospiri infantili accomuni Giovanni a Giorgio. A proposito, non so se da bambini i due cugini abbiano mai giocato insieme, ma avrebbero tranquillamente potuto fare carezze comuni alle vacche di razza svittese o bedrettese, non importa.
orientamento politico. In quel salotto accogliente con le pareti interamente ricoperte da quadri in formato cartolina commissionati ai più importanti pittori italiani, Zavattini lanciò la sua proposta battezzandola «Un metro di libri». Poiché il maggior numero di cooperative aderenti alla Lega operavano nel settore dell’edilizia, avremmo potuto suggerire agli architetti l’inserimento nel progetto della stanza di soggiorno di uno scaffale lungo un metro che noi avremmo provveduto a riempire di libri, pubblicati appositamente, come strumenti fondamentali per una cultura di base. Tutti entusiasti della brillante idea. Sì, ma quali libri? Iniziò un gioco che ci appassionò per settimane. D’accordo tutti su una grammatica della lingua italiana, su una storia dell’Italia moderna e su una storia dell’arte italiana. La prima discussione si scatenò sulla Bibbia. Inserirla oppure no nel nostro scaffale? Antico e Nuovo Testamento erano o non erano a fondamento della nostra civiltà? Ho ritrovato questo scoglio della
Postille filosofiche di Maria Bettetini Ci guardano dalle vetrine Postilla forse poco filosofica, ma molto sentita, e buone feste. Aperitivo di fine anno per le «ragazze» di un gruppo di lavoro, auguri auguri e cose così. Vicino all’università, un inaspettato elegante locale, il vino va bene a tutte. Ma il cameriere si permette di portare piatti di golosi stuzzichini già preparati. Sguardi di panico. Una afferra il coraggio a due mani, prendo solo le verdure, se qualcuno vuole il mio prosciutto e la mia polpettina al sugo… Domanda: mangi però il formaggio? Sei solo vegetariana? Risposta: nooo, sono stata a lungo vegana, ma per amore della vita sociale, per non disturbare, a volte torno solo vegetariana. È una cascata inarrestabile: io vegana, non sopporto il lattosio, tra l’altro; io senza glutine, non è celiachia, mi sento meglio senza. Io vegetariana da sempre, è una scelta di pensiero. Un buon pensiero, penso io: meno sofferenze animali, meno gotta, meno spreco di acqua. Bisognerebbe
anche evitare l’aereo, le scarpe di pelle, i mobili di legno, per il bene del pianeta. E l’automobile. E gli sprechi alimentari. La mamma diceva che non sta bene rifiutare qualcosa che ti viene offerto. Peggio ancora farlo tornare indietro, dove la cucina dovrebbe buttare tutto ciò che è stato in un piatto. Dovrebbe: il mistero delle attività delle cucine è l’incubo del mangiare e bere fuori casa, perché ciascuno di noi pensa alla propria di cucina, dove tutto si ricicla, ma siamo tra noi, non con estranei, meglio non pensarci proprio. Dunque non si rifiuta e non si butta, pensate ai bambini poveri. Ci dicevano così. Suonava e suona un po’ ipocrita, pensa a chi muore di fame e intanto mangia anche se non ne hai, di fame. Però, a ben pensarci, più che a bambini di altri continenti, le donne e gli uomini nati nella prima metà del Novecento non andavano tanto lontano con la mente. Guerre, migrazioni, carestie, prima degli anni del boom economico
Voti d’aria di Paolo Di Stefano Le carezze poetiche Se potessi, regalerei a Natale dei versi poetici lasciandoli svolazzare nell’aria come bolle di sapone o facendoli planare in casa come fossero fiocchi di neve. Versi dolci e allegri, all’insegna dell’infanzia e del «cerchio famigliare». Per esempio certi componimenti di Giorgio Orelli scelti tra tutte le Poesie pubblicate di recente nel prezioso volume degli Oscar Mondadori. Ma anche le «nonnesche scintille metriche» di Giovanni Orelli, appena uscite per Interlinea (titolo: Accanto a te sul pavimento). Versi dedicati al nipote bambino, cui piace scherzare con il cranio pelato del nonno (oltre che, come a tutti i marmocchi, ripetere le parolacce degli adulti). Non si riesce però a dire chi dei due, nipote o nonno, ami di più il gioco: si sa che nei casi più fortunati si realizza una sorta di coincidenza, tra un’estremità e l’altra della vita, nella sorpresa che abbaglia e smuove. Il mondo (come la letteratura) non finisce mai di sorprendere, potrebbe dire Giovanni Orelli: però è anche vero che Orelli non finisce di lasciarsi sorprendere, a diffe-
renza dei tanti (dei più) che giunti alla sua età hanno smesso da un lungo pezzo di curiosare, incuriosire, incuriosirsi. La disponibilità alla sorpresa è la condizione irrinunciabile del poeta: sorpresa verso la vita, verso il mondo, e verso le infinite risorse che ha il linguaggio per narrare o cantare la vita, il mondo. «È del poeta il fin la meraviglia», scrisse Giambattista Marino, ma dire che la meraviglia è un obiettivo poetico dà l’idea di qualcosa di forzoso che tende alla maniera. No, «è del poeta il quid la meraviglia» potrebbe andare meglio per Orelli. La meraviglia è la sua «adrenalina» come la parolaccia per il nipotino. E così la meraviglia, dopo, arriva anche per il lettore, quando legge, per esempio: «Abbiamo fatto carezze a vacche di razza svittese, / molte con corna ignobilmente mozzate». Curiosità e sorpresa che accomunano nel «noi» il nonno-poeta e il bambino. E divertimento, in senso etimologico, spiazzamento vertiginoso, allegro ma non troppo: il bambino diverte il nonno,
Ricetta e foto: saison.ch
Mai prima d’ora una raclette così buona!
–––––––––––––––––––––––––––––––––––– Crostoni con formaggio e funghi Piatto principale per 4 persone
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1.75 invece di 2.20 Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10 per 100 g, 20% di riduzione, per es. in blocco maxi
OFFERTA VALIDA SOLO DAL 22.12.2015 AL 4.1.2016, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK
Ingredienti 8 fette di pane bigio o bianco, 1 spicchio d’aglio, 1 dl di vino bianco, 8 fette di Raccard aglio, pepe, 300 g di funghi misti, ad es. champignon, gallinacci, 2 rametti di prezzemolo, 60 g di cipolline, sgocciolate, 1 cucchiaio di burro per arrostire Preparazione Scaldate il forno a 200°C. Disponete le fette di pane su una teglia foderata con carta da forno. Dimezzate l’aglio e strofinate la superficie del pane. Poi tritate l’aglio finemente e distribuitelo sul pane. Bagnate con il vino. Accomodate il formaggio sul pane e date un giro di pepe. Mondate i funghi e, secondo la grandezza, lasciateli interi o tagliateli a fette. Tritate il prezzemolo. Dimezzate le cipolline. Gratinate i crostoni di formaggio nel forno per circa 8 minuti. Nel frattempo rosolate i funghi con le cipolline nel burro per ca. 3 minuti. Cospargete di prezzemolo. Sfornate i crostoni, ricopriteli con i funghi misti e servite subito. Tempo di preparazione ca. 20 minuti
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shopping Pesce fresco: gusto e leggerezza Attualità Grazie alle pregiate proposte fresche delle pescherie Migros i menu delle Feste
si trasformano in un tripudio di sapori Tra le specie ittiche che vanno per la maggiore durante le festività non possiamo certo non citare l’orata, la rana pescatrice, la sogliola e l’astice. Apprezzati per la delicatezza delle loro carni, questi pesci permettono in poco tempo di approntare dei piatti ricchi di gusto e colore. Della rana pescatrice è soprattutto apprezzata la coda, la quale, per la sua carne soda e squisita, da molti buongustai è considerata affine all’aragosta. Altro pesce molto delicato e saporito, è l’orata. Questo pesce si può pre-
parare in molti modi, particolarmente appetitoso risulta cotto al forno o alla griglia. Nelle nostre pescherie trovate anche la coda d’astice congelata, una vera delicatezza dalla carne solida, apprezzata in abbinamento a sapori pronunciati. Inoltre consigliamo ancora la sogliola intera, che conquista i palati in ricette semplici grazie alla sua carne compatta e piacevolmente succosa. Infine, i nostri specialisti del pesce fresco vi segnalano ancora la fondue di pesce, la carpa, i gamberi interi e gli scampi.
Nelle pescherie di Migros Ticino trovate freschissime bontà per le vostre ricette. Come le orate da fare in crosta di sale. (Flavia Leuenberger)
Orata in crosta di sale con salsa al limone Piatto principale per 4 persone Ingredienti 4 orate intere di ca. 300 g 2 mazzetti d’erbe fresche, ad es. aneto, prezzemolo 80 g di lemongrass 2 limoni bio 4 kg di sale marino 1,5 dl d’albumi 1 scalogno 1 cucchiaio di burro 1 cucchiaino di farina 1,5 dl di panna 1 dl di brodo di verdura 2 cucchiai di crème fraîche sale, pepe, curcuma Preparazione 1. Scaldate il forno ad aria calda a 180°C. Sciacquate i pesci sotto l’acqua fredda e asciugateli. Tritate le erbe. Tagliate il lemongrass ad anelli sottili. Mescolate entrambi e sistemateli nelle cavità ventrali dei pesci. Tagliate la metà dei limoni a fette. Mescolate bene il sale con gli albumi e versatelo in una teglia formando uno strato alto ca. 1 cm, della grandezza dei pesci. Accomodate le orate sul sale. Distribuite le fette
di limone sui pesci e ricoprite il tutto di sale. I pesci devono essere sigillati in una crosta di sale. Cuocete al centro del forno per ca. 25 minuti. 2. Per la salsa, grattugiate la scorza del limone rimasto e spremete il succo. Tritate lo scalogno e fatelo appassire nel burro. Aggiungete la farina e mescolate bene. Incorporate la scorza e il succo di limone, la panna, il brodo e la crème fraîche. Fate sobbollire la salsa per alcuni minuti a fuoco basso. Regolate di sale, pepe e curcuma. Rompete la crosta di sale. Liberate i pesci dal sale e serviteli con la salsa. Suggerimento Accompagnate con pasta alle verdure. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura ca. 25 minuti
Ricetta di
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La nostra competenza al vostro servizio Attualità I mastri macellai Migros, grazie alla loro esperienza consolidata, vi aiutano a trovare il taglio
di carne migliore per i vostri pranzi e cenoni natalizi. Inoltre sono a vostra disposizione per consigli personalizzati. E cosa ne direste di provare una delle nostre specialità più pregiate?
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Entrecôte d’alce
La carne d’alce si distingue per il suo gusto pronunciato, il basso tenore di grassi e l’elevata tenerezza. In cucina si utilizza come la carne di cervo. 2
Entrecôte di Wagyu
Il manzo Wagyu è originario del Giappone e la sua carne marmorizzata è considerata da buongustai la più prelibata al mondo. Ciò è dovuto alla particolare struttura muscolare degli animali nonché a condizioni di allevamento uniche ed a un’alimentazione a base di grano e mais. La carne di Wagyu si scioglie in bocca e non necessita di troppi condimenti. 3
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Filetto di bisonte
Il bisonte possiede una carne magra, di colore rosso intenso e dalle delicate sfumature di gusto. Rispetto alla carne di manzo, quella di bisonte ha tempi di cottura più corti e va gustata al sangue. Inoltre è particolarmente facile da digerire.
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Costata Dry Aged Beef
La carne di manzo Dry Aged Beef viene frollata all’osso per sei settimane su ripiani di abete. Questo metodo conferisce alla carne una maggiore friabilità e un’eccezionale tenerezza, come pure un sapore intenso e un aroma nocciolato.
Grebic Milenko, capo macellaio presso Migros Agno. (Flavia Leuenberger)
Entrecôte* con salsa al vino rosso e alla senape Piatto principale per 4 persone *Tagli indicati: manzo, Wagyu o alce Ingredienti 800 g di entrecôte in un pezzo 1 cucchiaino di fleur de sel 1 cucchiaino di pepe 3 cucchiai d’olio d’oliva 1 scalogno 1 cucchiaino di pepe misto in grani 1 dl di vino rosso 2 dl di salsa per arrosto 1 cucchiaio di senape in grani
Preparazione Scaldate il forno e una teglia a 80 °C. Salate e pepate la carne. Rosolatela in una padella a fuoco forte, nella metà dell’olio per ca. 5 minuti. Trasferite la carne nella teglia e cuocete in forno per ca. 2 ore. La carne è rosa quando raggiunge la temperatura interna di 55 °C. Avvolgete la carne in carta alu e fatela riposare nel forno spento per 10 minuti. Tritate lo scalogno. Pestate il pepe. Fate appassire entrambi nell’olio rimasto. Unite il vino, la salsa
per arrosto e fate ridurre un poco. Aggiungete la senape e aggiustate di sale e pepe. Tagliate la carne e servitela con la salsa. Tempo di preparazione ca. 30 minuti, cottura ca 2 ore
Ricetta di
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Formaggi dal gusto inimitabile Attualità Le specialità di Beppino Occelli diventano protagoniste nei banchetti di fine anno
Attiva nel cuore delle Langhe piemontesi sin dal 1976, quando il prodotto principe era il burro, l’azienda Occelli negli anni si è specializzata nella produzione di formaggi dal forte carattere distintivo grazie all’intraprendenza e alla creatività del suo fondatore, Beppino Occelli. Alla base di tutta la produzione Occelli vi è solo latte di animali che pascolano in Langa e sugli alpeggi dell’arco alpino cuneese. Tra i più rinomati prodotti Occelli disponibili anche nei negozi di Migros Ticino possiamo citare il Crutin e gli Occelli al Barolo e foglie di Castagno.
Il Crutin è un profumatissimo formaggio a pasta rotta fatto con latte vaccino e arricchito con pregiate scaglie di tartufo estivo. Un tempo il «crutin» era una piccola cantina scavata nel tufo dove i contadini conservavano i generi alimentari. Il sapore accentuato di questo formaggio si accosta alla perfezione ai ripieni ed è ottimo anche grattugiato come condimento su risotti, paste e gnocchi. Un’altra prelibatezza è l’Occelli al Barolo. Questo formaggio di latte di vacca a pasta dura si caratterizza per la lunga stagionatura e l’affinamento in vere vinacce
di Langa con vino Barolo. È considerato uno dei migliori formaggi «ubriachi». Il suo sapore sorprendente e l’aspetto inusuale lo rendono a tutti gli effetti un formaggio da meditazione. Altro formaggio a pasta dura, a base di latte vaccino e caprino, è l’Occelli in foglie di Castagno. Questa specialità matura per oltre un anno e mezzo in cantine naturali per poi essere affinato ulteriormente avvolto in foglie di castagno. Tutte queste premure garantiscono al formaggio un gusto inimitabile che conquisterà ogni buongustaio.
Crutin al tartufo nero al kg Fr. 64.– Occelli al Barolo al kg Fr. 39.60 Occelli in foglie di Castagno al kg Fr. 54.– In vendita nei maggiori supermercati Migros
Ecco l’aperitivo che mette tutti d’accordo, grandi e piccini, vegetariani e carnivori, astemi e non, da consumare aspettando il menu principale: soffici tramezzini farciti con salmone, prosciutto crudo, salsa tonnata, formaggio fresco e verdure, accompagnati naturalmente da bibite aperitive assortite analcoliche. Tutti gli ingredienti per preparare il ricco buffet li trovate ovviamente nei supermercati Migros Ticino, a cominciare dalle bevande, che sono di produzione ticinese. È infatti la Sicas di Chiasso a imbottigliarle: accanto alle già affermate gazose nostrane nei più svariati gusti, l’azienda propone i suoi aperitivi a base di ingredienti naturali e senza conservanti nei sapori rabarbaro, dry, bitter e ticinés. Quest’ultimo sfoggia il marchio dei Nostrani del Ticino: ciò significa che viene prodotto esclusivamente con ingredienti del nostro territorio.
Aperitív Ticinés 6 x 10 cl Fr. 4.20 Apéritiv Rabarbaro 6 x 10 cl Fr. 3.50 Apéritiv Dry 6 x 10 cl Fr. 3.50 Apéritiv Bitter 6 x 10 cl Fr. 3.50 Tramezzino lungo 250 g Fr. 2.80
Falvia Leuenberger
L’aperitivo per tutti
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Un piacere diverso da regalare Attualità Nelle maggiori filiali Migros trovate graziose composizioni di frutta secca
Marka
La frutta secca, oltre ad essere buona e bella da vedere con i suoi sgargianti colori, è anche particolarmente sana, dal momento che calma la voglia di altri zuccheri ed è ricca di sali minerali e vitamine. La frutta a guscio ha inoltre un alto tenore di acidi grassi insaturi, sostante benefiche il nostro sistema cardiocircolatorio e per il cervello. La disidratazione è uno dei più antichi metodi di conservazione: i frutti freschi vengono fatti seccare lentamente all’aria oppure per mezzo di una leggera fonte di calore. La frutta secca è consumata spesso sotto forma di spuntino energetico, ma trova spazio anche in cucina per arricchire moltissime ricette, mentre quella a guscio non manca in occasione degli aperitivi. Inoltre, grazie ai suoi colori variegati, la frutta secca permette di creare originali composizioni.
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Cestino assortito 810 g Fr. 28.–
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Misto a foglia 530 g Fr. 23.–
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Carrè 335 g Fr. 19.–
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Datteri con noci 200 g Fr. 19.–
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Che la festa abbia inizio Gli invitati sono ormai arrivati tutti. È tempo di dare il via alla festa, stappare le bottiglie e stuzzicare l’appetito con qualcosa di particolarmente sfizioso, come per esempio dei mini sandwich assortiti Pain Surprise. Questa pagnottella di soffice pane bianco riempita, fatta a mano con ingredienti selezionati e senza l’utilizzo di conservanti, è composta da 32 mini sandwich riccamente farciti con prosciutto cotto, prosciutto di tacchino, carne secca e formaggio. Con Pain Surprise non c’è proprio pericolo che qualcuno resti a mani vuote.
Pain Surprise Rapelli 430 g Fr. 15.60* invece di 19.50 In vendita al reparto refrigerati delle maggiori filiali Migros. *Azione dal 22.12 al 04.01
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Premi per le feste! Concorsi Assegnati ben 7000 franchi in occasione delle recenti premiazioni
Premiazione concorso “Jackpot dei Formaggi” al Centro Migros S. Antonino, Alessandro Pestoni (a sinistra) vincitore del premio principale e Floriano Torino (Responsabile marketing prodotti caseari di Migros Ticino). (Vincenzo Camarrata)
Negli scorsi giorni sono stati premiati 41 fortunati clienti Migros. Andando con ordine, il concorso indetto lo scorso 6 e 7 novembre per festeggiare il completo rinnovamento del supermercato Migros Agno ha assegnato una carta regalo Migros del valore di 100 franchi a: Waltraud B., Sessa – Marisa A., Grancia – Luca B., Caslano – Pia G., Porza – Mi-
riam N., Lavorgo – Nadine M., Maroggia – Margherita W., Caslano – Hans S., Caslano – Annamaria H., Breganzona – Claudine C., Sorengo – David F., Miglieglia – Silvano G., Barbengo – Shifu L., Nivo – Giancarlo R., Origlio – Marco F., Cassina d’Agno – Carla D. e Nives B., Agno – Angelica J., Bedano – Irene R., Caslano – Maria L., Vernate.
In occasione dell’inaugurazione della rinnovata filiale Migros di Molino Nuovo svoltasi a fine novembre, si sono aggiudicati l’analogo premio: Annamaria A., Pregassona – Rosy C. e Marinella A., Canobbio – Luigi B., Comano – Roberta B., Andrea G., Alberta D., Anne-Marie R., Noemio G. e Fancesca T. tutti residenti a Lugano.
Il concorso online denominato «Jackpot dei Formaggi» organizzato lo scorso autunno al Centro Migros S. Antonino, fra le migliaia di partecipanti, la dea bendata ha sorteggiato Alessandro Pestoni di Bellinzona quale vincitore del premio principale costituito da 2000 franchi in carte regalo Migros. Le altre 10 carte regalo da 200 franchi
sono state vinte da: Carmela N., Bellinzona – Mattia G. e Luigi S., Giubiasco – Fiorenza M., Camorino – Maurizio P., Roveredo (GR) – Antonella F., Grono – Doris P., Soazza – Cristina G., Losone – Daniela G., Lavertezzo – Giovanni K., Minusio. A tutti i fortunati vincitori vanno i complimenti della nostra redazione.
Specialità al tartufo
Gli amanti del tartufo a Migros Ticino possono trovare alcuni tipici prodotti delle Langhe firmati «Ori di Langa», una selezione di pregiate specialità per condividere l’amore per il buon cibo e le eccellenze di questa regione italiana. I Tajarin artigianali al tartufo sono fatti con il 30% di uova e il 3% di tartufo nero d’estate. Questo formato di pasta tipico delle Langhe è ottenuto da una sfoglia di pasta molto sottile e non necessita di sughi per esaltarne tutto il sapore, ma
viene semplicemente condito con una noce di burro e olio di oliva. La Crema di Parmigiano Reggiano 36 mesi e tartufo estivo è ideale con paste corte, ravioli, tortelli e gnocchi, ma è ottima anche fredda su crostini di pane. Un condimento perfetto per carpacci di pesce o carne, tartare, filetti, uova, paste e risotti è il Sale al tartufo bianco d’Alba, mentre il Miele di acacia con tartufo bianco accompagna meravigliosamente formaggi stagionati ed erborinati.
Tajarin artigianali al tartufo 250 g Fr. 9.80 Crema di Parmigiano Reggiano e tartufo 90 g Fr. 9.30 Sale al tartufo bianco 30 g Fr. 7.90 Miele con tartufo bianco 50 g Fr. 7.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros
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Nevicate in arrivo?
Attualità Da SportXX due proposte imperdibili per discese dalle forti emozioni
Set di sci da uomo Salomon 24 Hours Max incl. attacchi KZ12 Fr. 479.–* invece di 799.– Set di sci da donna Rossignol Temptation 77 incl. attacchi Xelium 110 Fr. 379.–* invece di 548.– *Azione valida fino al 04.01
Lanciarsi sulle piste non è mai stato così vantaggioso grazie a queste due offerte sensazionali proposte presso gli SportXX di S. Antonino e Serfontana. Il nuovo set da sci da donna Rossignol Temptation 77 (comprensivo di attacchi Xelium 110) regala nuovi parametri di versatilità e prestazioni. È ideale
per sciatrici esperte o principianti. È dotato della tecnologia Air Tip, un rocker progressivo per una spinta migliore e un controllo perfetto che consente agli sci di solcare la neve nelle più diverse condizioni di innevamento, con rapido ingresso in curva su sfondo duro senza scivolare.
Gioco educativo Masha e Orso
Per gli uomini ecco invece tutta la tecnologia del polivalente Salomon 24 Hours Max. Questo sci stabile, solido e preciso è adatto all’alta velocità. Il nuovo Carve Rocker lo rende incredibilmente divertente e facile da utilizzare anche nelle entrate in curva. È stato progettato per l’utilizzo in qualsiasi condizione di
neve. Tenuta e resistenza sorprendenti anche su neve dura e ghiaccio con pochissime vibrazioni. Gli sci includono pure gli attacchi KZ12. Infine, con l’acquisto di un paio di sci o di uno snowboard, SportXX regala un anno di assicurazione contro danni e rottura.
Per gli amanti del fai da te Trapano avvitatore Bosch PSR 14,4 LI con valigetta accessori di alta qualità Fr. 179.– invece di 249.– Azione valida fino al 31.12
Divertimento assicurato con la nuovissima base touch educativa e parlante dei mitici protagonisti della serie animata più amata del momento, Masha e Orso. Questo tablet per bambini dai 3 ai 6 anni permette di seguire la voce
originale di Masha e imparare l’alfabeto, le parole, l’inglese, i colori, i numeri e tanto altro ancora. Il gioco contiene 20 schede didattiche progressive con oltre 200 frasi, suoni e rumori ed un pratico vano porta-schede.
Masha e Orso Mio Tab Toccaimpara Fr. 23.80 In vendita al reparto giocattoli delle maggiori filiali Migros
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te con indicazione del livello di carica in tre stadi e caricabatteria rapido da 1 ora. Silenziosissimo, possiede una minitorcia integrata per illuminare alla perfezione l’area di lavoro. Infine, il mandrino autoserrante con sistema Auto-Lock Bosch permette un facile cambio degli accessori senza l’utilizzo di attrezzi.
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Idee e acquisti per la settimana
A corto di idee? Natale Alcune proposte per regali last minute dai negozi specializzati Migros
Per un’esperienza unica Con l’Apple Watch Sport potrai fare tutto quello che fai di solito ma in modo più pratico e veloce, senza dimenticare tutte quelle funzioni che prima non erano neppure immaginabili. L’Apple Watch Sport, in sincronia con il tuo iPhone, mantiene uno scarto non superiore a 50 millesimi di secondo rispetto al tempo universale standard. Il quadrante può essere personalizzato come vuoi tu affinché tu possa accedere in un baleno alle funzioni più utilizzate. Esso ti offre funzioni quali frequenza cardiaca, contapassi, distanza, calorie bruciate, accelerometro, schermo touch ed è resistente agli spruzzi. Apple Watch Sport 42 mm Gold Fr. 449.–
Per gli ospiti Ospiti a casa durante il periodo delle festività natalizie? Nessun problema con il materasso pieghevole Delon in vendita da Micasa. Una volta piegato, questo comodo e leggero materasso occupa pochissimo spazio è può essere riposto in qualsiasi angolo della casa o nel guardaroba. È realizzato in materiale espanso standard, con rivestimento in cotone 50% e poliestere 50%. È disponibile nei colori blu, antracite oppure a quadretti. Misure: larghezza 70 cm, profondità 190 cm, altezza 9 cm. Inoltre da domani esso è offerto ad un prezzo incredibilmente vantaggioso. Materasso pieghevole Delon Fr. 39.95 invece di 79.90 Offerta speciale 50% di sconto dal 22.12 al 09.01
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Aproz e Farm Chips
Un aperitivo spumeggiante Tonic Water, Ginger Ale e Bitter Lemon di Aproz sono già da sole un piacere. Esse però permettono pure di preparare in men che non si dica degli spumeggianti drink senz’alcol. Ovviamente l’accompagnamento ideale è rappresentato dalle croccanti Farm Chips a base di patate svizzere, tutte aromatizzate con erbe indigene.
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Le Farm Chips sono delle patatine un po’ più spesse rispetto a quelle convenzionali e sorprendono grazie al loro sapore particolarmente intenso. La scelta include la varianti nature, origano, rosmarino e erbette svizzere. Aggiungendo un dip fatto in casa a base di formaggio fresco, l’aperitivo si trasforma in una mega festa.
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Dip di formaggio fresco alle pere
Aperitivo per 4 persone Ingredienti 150 g di formaggio fresco, ad es. Tartar Fleur de Sel 100 g di yogurt al naturale 1 pera di ca. 160 g 3 cucchiai di zucchero 1 cucchiaio d’acqua 1 rametto di timo Farm Chips alle erbe svizzere Preparazione Mescolate il formaggio fresco con lo yogurt. Dimezzate la pera con la buccia e privatela del torsolo. Tagliate la pera
a dadini piccoli. Versate lo zucchero e l’acqua in un pentolino. Fate bollire a fuoco alto finché lo zucchero inizia a caramellare. Unite i dadini di pera e fateli caramellare per ca. 2 minuti mescolando continuamente. Togliete la padella dal fuoco e lasciate intiepidire. Mescolate i dadini di pera con il formaggio fresco e lo yogurt. Unite le foglioline di timo e servite il dip di formaggio alle pere con le Farm Chips. Suggerimento Irrorate il tutto con olio di semi di zucca.
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Acqua tonica all’arancia sanguigna e al rosmarino 2
Per 4 bicchieri da ca. 2 dl Ingredienti 2 arance sanguigne 4 rametti di rosmarino diversi cubetti di ghiaccio 6 dl di Aproz Tonic Water Preparazione Dimezzate le arance e spremetele. Versate il succo nei bicchieri e distribuite i rametti di rosmarino e i cubetti di ghiaccio. Riempite i bicchieri con l’acqua tonica e servite.
1 Ricette di
** nelle maggiori filiali
Farm Chips alle erbe svizzere 150 g** Fr. 2.80
Farm Chips nature 150 g** Fr. 2.70
Farm Chips origano 150 g** Fr. 2.90
Farm Chips rosmarino 150 g** Fr. 2.80
Tonic water 50 cl Fr. –.80* invece di Fr. 1.05
Bitter Lemon 50 cl Fr. –.80* invece di Fr. 1.05
Ginger Ale 50 cl Fr. –.80* invece di Fr. 1.05
Ginger Ale 1,5 l Fr. 1.40* invece di Fr. 1.80 nelle maggiori filiali
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra cui anche Aproz e Farm Chips.
Foto e Styling Claudia Linsi
www.saison.ch
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Idee e acquisti per la settimana
Insalata con salmone e cachi
Famigros
Una cenetta in tutta fretta Coloro che il 24 dicembre devono recarsi al lavoro, ma la sera della Vigilia di Natale desiderano comunque viziare i propri cari con qualcosa di buono, possono organizzare una bella cenetta anche avendo poco tempo a disposizione. La fondue chinoise si presta alla perfezione. Alle fette di carne bollite nel brodo si abbinano riso e
Antipasto per 4 persone Preparazione Tagliate 2 cachi a polpa soda sbucciati e ritagliate delle stelle. Per la salsa dell’insalata frullate la polpa dei cachi rimasta con 3 cucchiai d’aceto balsamico bianco, 3 cucchiai d’olio d’oliva, 3 cucchiai di bollito e 1 cucchiaio di senape. Regolate di sale e pepe. Servite con 150 g d’insalata invernale a foglia guarnita con le stelle di cachi, il salmone affumicato e la salsa.
patate, mentre per antipasto un’insalata mista che si può comprare già bell’e pronta con il condimento a scelta. E chi lo desidera, intinge la carne nella propria salsa preferita, fatta in casa o comperata: l’importante è che sia saporita. E per concludere in bellezza c’è un tortino di cioccolato dal cuore liquido con una pallina di gelato.
Tempo di preparazione ca. 20 minuti
Moelleux al cioccolato con gelato Dessert per 4 persone Preparazione Con un po’ di cioccolato liquido (o della glassa) disegnate una stella su 4 piatti. Accomodate in ogni piatto un moelleux al cioccolato con 1 pallina di gelato di vostro gusto. Guarnite con stelle di frutta e menta. A piacere, servite il cioccolato liquido rimasto con il dessert. Tempo di preparazione ca. 20 minuti
Altre ricette veloci da abbinare alla fondue chinoise su www.famigros.ch/ ricette-natalizie
Riso pilaw alle stelle Foto e Styling Veronika Studer; Ricette Katrin Klaus
Contorno per 4-6 persone Preparazione Soffriggete 1 cipolla sminuzzata finemente e 200 g di verdura tagliata a stella (carote, carote gialle, sedano rapa) in 2 cucchiai di burro. Aggiungete 320 g di riso a chicco lungo e 100 g di piselli surgelati e continuate la cottura finché il riso diventa traslucido. Aggiungete 5 dl di brodo di verdura bello saporito e portate a ebollizione. Coprite il riso e terminate la cottura nel forno preriscaldato a 150° C per ca. 20 minuti. Ricette di
Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 20 minuti
Il tuo mastro macellaio consiglia: «scamone di manzo in tutte le sue preparazioni»
Una festa per buongustai. Al banco con servizio, il tuo mastro macellaio della Migros ti propone una grande varietà di pregiate specialità. Su richiesta puoi ottenere la carne in tutti i tagli che desideri: per la preparazione al forno, sul grill da tavolo, in pentola o per la fondue. La nostra maestria è al servizio del piacere gastronomico.
Alberto Lucca Filiale Serfontana Morbio Inferiore
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Un classico reinventato: cosce di pollo al miele con patate e mele. Trovi la ricetta su www.saison.ch/it/consigliamo e tutti gli ingredienti freschi alla tua Migros.
Patate Amandine Svizzera, busta da 1,5 kg
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Wienerli M-Classic in conf. da 5 Svizzera, 5 x 4 pezzi
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Furmagèla (formaggella della Leventina) prodotta in Ticino, al libero servizio, per 100 g
Entrecôte di manzo TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Filetti di salmone senza pelle in vaschetta d’allevamento, Norvegia, per 100 g
Salmone affumicato dell’Atlantico ASC d’allevamento, Norvegia, 330 g
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Clementine a foglia Spagna, sciolte, al kg
Pomodori Cherry extra Italia, imballati, 300 g
Cavolfiori Italia, al kg
Arrosto spalla di vitello TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g
Carne secca dei Grigioni, affettata Svizzera, 114 g
Salame Strolghino di culatello Italia, pezzo da ca. 250 g, per 100 g
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Lattughini misti Ticino, in conf. da 100 g
Litchi Madagascar, vaschetta da 500 g
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Selezione di carne per grill da tavolo Svizzera, per 100 g, 20% di riduzione
Bresaola Beretta Italia, affettata in vaschetta, per 100 g
Filetti di agnello Australia / Nuova Zelanda, imballati, per 100 g
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Fondue Swiss-Style moitié-moitié o Tradition in conf. da 2 2 x 800 g, 20% di riduzione, per es. moitié-moitié
Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10 per 100 g, 20% di riduzione, per es. in blocco maxi
Cioccolatini Selection Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ assortiti
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ disponibili in diverse varietà, per es. fondente al 72%, 10 x 100 g
Tutte le stecche Blévita 20% di riduzione, per es. al sesamo, 295 g
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Tutti gli yogurt Excellence 20% di riduzione, per es. al lampone, 150 g
Prosciutto cotto Puccini Rapelli, aha!, affettato finemente o normalmente Svizzera, per es. affettato normalmente, per 100 g
Focaccia all’alsaziana Tradition in conf. da 2 20% di riduzione, per es. 2 x 350 g
Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo PIC o Party, a partire da 2 confezioni –.30 di riduzione l’una, per es. cracker alla pizza Party, 150 g
Tutta la carne per fondue chinoise Finest surgelata, 20% di riduzione, per es. manzo, 450 g
Tutto l’assortimento di patate Delicious prodotti surgelati, 20% di riduzione, per es. Pommes Duchesse, 600 g
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Lattuga rossa Anna’s Best 150 g + 20% di contenuto in più, 180 g
Piatto di snack Asia 640 g, 20% di riduzione
Tortellini Armando de Angelis vaschetta da 1 kg, per es. al prosciutto
Tutte le noci per l’aperitivo Sun Queen Premium Nuts 20% di riduzione, per es. miscela di noci, 170 g
Tutti i caffè Cafino o Noblesse, UTZ per es. Cafino, in sacchetto, 550 g
Tutte le bevande per aperitivo (spumanti e birre senza alcol esclusi), 20% di riduzione, per es. Tonic Water Apéritiv, 6 x 50 cl
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FRUTTA E VERDURA
Lattuga rossa Anna’s Best, 150 g + 20% di contenuto in più, 180 g 2.80 Patate Amandine, Svizzera, busta da 1,5 kg 3.20 invece di 4.80 33% Arance bionde, Spagna, retina da 2 kg 2.25 invece di 3.80 40%
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Capesante crude Pelican, MSC, in conf. da 2 surgelate, 2 x 200 g
Pentola a pressione Duromatic Ergo Kuhn Rikon 3,5 o 5 litri, per es. 5 litri, il pezzo
Pomodori Cherry extra, Italia, imballati, 300 g 2.55 invece di 3.40 25% Cavolfiori, Italia, al kg 2.30 Ananas, Costa Rica, il pezzo 2.40 Melograno, Israele / Turchia, al pezzo 2.– invece di 2.50 20% Litchi, Madagascar, vaschetta da 500 g 3.50 Clementine a foglia, Spagna, sciolte, al kg 2.95 invece di 4.50 33%
PESCE, CARNE E POLLAME
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Selezione di carne per grill da tavolo, Svizzera, per 100 g 3.10 invece di 3.90 20%
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Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6, 6 x 1,5 l per es. Classic
Deodoranti e docciaschiuma Axe o Rexona in confezioni multiple per es. deodorante aerosol Axe Africa in conf. da 2, 2 x 150 ml
Shampoo Nivea Care in conf. da 3 per es. Repair & Targeted Care, 3 x 250 ml
Wienerli M-Classic in conf. da 5, Svizzera, 5 x 4 pezzi 7.10 invece di 14.25 50% Prosciutto cotto Puccini Rapelli, aha!, affettato finemente o normalmente, Svizzera, per es. affettato normalmente, per 100 g 2.30 invece di 3.30 30% Carne secca dei Grigioni, affettata, Svizzera, 114 g 6.95 invece di 9.95 30%
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Tutti i tipi di acqua minerale San Pellegrino in conf. da 6, 6 x 1,5 l
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Fettine di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.80 invece di 3.30
Entrecôte di manzo TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 5.45 invece di 7.30 25%
Tutti i caffè Cafino o Noblesse, UTZ, per es. Cafino, in sacchetto, 550 g 7.55 invece di 10.80 30% Tutto l’assortimento di patate Delicious, prodotti surgelati, per es. Pommes Duchesse, 600 g 3.65 invece di 4.60 20%
Filetti di agnello, Australia / Nuova Zelanda, imballati, per 100 g 3.55 invece di 5.10 30%
Gamberetti crudi Pelican, sgusciati, surgelati, 750 g 13.20 invece di 18.90 30%
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PANE E LATTICINI Panna intera UHT Valflora in conf. da 2, 2 x 500 ml 3.25 invece di 6.50 50% Offerta valida solo il 23.12.2015 Tutti gli yogurt Excellence, per es. al lampone, 150 g –.75 invece di –.95 20% Fondue Swiss-Style moitié-moitié o Tradition in conf. da 2, 2 x 800 g, per es. moitié-moitié 22.40 invece di 28.– 20% Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10, per 100 g, per es. in blocco maxi 1.75 invece di 2.20 20% Caprice des Dieux, 330 g 3.95 invece di 5.65 30% Pane per tramezzino Arte Bianca, 250 g e 300 g, per es. 250 g 2.20 invece di 2.80 20% Pane Val Morobbia, 320 g e 550 g, per es. 550 g 2.85 invece di 3.40 15% Furmagèla (formaggella della Leventina), prodotta in Ticino, al libero servizio, per 100 g 2.– invece di 2.50 20%
FIORI E PIANTE Bouquet di rose Fairtrade, lunghezza dello stelo 40 cm, in diversi colori, mazzo da 30 13.50
Cotechini, prodotti in Ticino, imballati, per 100 g 1.30 invece di 1.75 25%
Quadrifoglio Oxalis, in vaso di terracotta, la pianta 3.90
Roastbeef cotto, Svizzera / Germania, affettato in vaschetta, per 100 g 4.85 invece di 6.95 30%
Tutte le stecche Blévita, per es. al sesamo, 295 g 2.60 invece di 3.30 20%
Arrosto spalla di vitello TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 3.50 invece di 4.40 20%
Salmone affumicato dell’Atlantico ASC, d’allevamento, Norvegia, 330 g 9.90 invece di 19.80 50%
Bresaola Beretta, Italia, affettata in vaschetta, per 100 g 5.60 invece di 8.– 30%
Tavolette di cioccolato Frey da 100 g in conf. da 10, UTZ, disponibili in diverse varietà, per es. fondente al 72%, 10 x 100 g 14.70 invece di 21.– 30%
ALTRI ALIMENTI
GIOVEDÌ 24.12.2015
Gamberetti canadesi Pelican, cotti, sgusciati, MSC, surgelati, 300 g 6.– invece di 7.50 20% Capesante alla bretone Pelican, surgelate, 2 x 110 g 5.– invece di 6.30 20% * Capesante crude Pelican, MSC, in conf. da 2, surgelate, 2 x 200 g 12.85 invece di 18.40 30% Tutta la carne per fondue chinoise Finest, surgelata, per es. manzo, 450 g 24.80 invece di 31.– 20% Tutti i tipi di Coca-Cola in conf. da 6, 6 x 1,5 l, per es. Classic 7.80 invece di 11.70 33% Tutte le bevande per aperitivo (spumanti e birre senza alcol esclusi), per es. Tonic Water Apéritiv, 6 x 50 cl 4.80 invece di 6.– 20% Tutti i tipi di acqua minerale San Pellegrino in conf. da 6, 6 x 1,5 l 3.80 invece di 5.70 33% Tutte le noci per l’aperitivo Sun Queen Premium Nuts, per es. miscela di noci, 170 g 3.65 invece di 4.60 20% Chips Zweifel XXL alla paprica da 380 g, al naturale da 400 g, per es. alla paprica, 380 g 4.55 invece di 7.75 40% Offerta valida solo il 24.12.2015 Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo PIC o Party, a partire da 2 confezioni, –.30 di riduzione l’una, per es. cracker alla pizza Party, 150 g 2.10 invece di 2.40 Tortellini Armando de Angelis, vaschetta da 1 kg, per es. al prosciutto 12.90 invece di 21.60 40% Piatto di snack Asia, 640 g 11.90 invece di 14.90 20%
Cioccolatini Selection Frey in sacchetto da 1 kg, UTZ, assortiti 15.– invece di 30.10 50%
Salame Strolghino di culatello, Italia, pezzo da ca. 250 g, per 100 g 3.50 invece di 5.– 30%
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Focaccia all’alsaziana Tradition in conf. da 2, per es. 2 x 350 g 7.80 invece di 9.80 20% Pandoro Jowa, in scatola, 800 g 9.20 invece di 11.50 20%
NEAR FOOD / NON FOOD Shampoo Nivea Care in conf. da 3, per es. Repair & Targeted Care, 3 x 250 ml 7.– invece di 10.50 33% Deodoranti e docciaschiuma Axe o Rexona in confezioni multiple, per es. deodorante aerosol Axe Africa in conf. da 2, 2 x 150 ml 6.50 invece di 9.30 33% Prodotti per l’igiene intima Molfina e o.b. in conf. da 2, per es. salvaslip Bodyform Air Molfina, 2 x 36 pezzi 2.20 invece di 2.60 15% Offerta valida fino al 28.12.2015 Pentola a pressione Duromatic Ergo Kuhn Rikon, 3,5 o 5 litri, per es. 5 litri, il pezzo 72.50 invece di 145.– 50% Assortimento di coltelli da cucina e forbici Cucina & Tavola o Victorinox, per es. coltello per il pane Victorinox, il pezzo 11.10 invece di 22.20 50% Offerta valida solo il 22.12.2015 Rasoio Philips PT919, il pezzo 129.– invece di 239.– 45% Offerta valida fino al 28.12.2015
Grigliata da tavolo natalizia. 1.75 invece di 2.20 Raccard Tradition in blocco o a fette in conf. da 10 per 100 g, 20% di riduzione, per es. in blocco maxi
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3.10 invece di 3.90
Piatto di pollame per grill da tavolo* Svizzera, per 100 g
Selezione di carne per grill da tavolo Svizzera, per 100 g, 20% di riduzione
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Raccard assortito a fette, 350 g
Cetriolini mini Condy 125 g
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Idee e acquisti per la settimana
Pranzo di Natale
Il Natale è servito Eleganti porcellane, decorazioni raffinate e uno speciale menù natalizio: una festa del gusto per occhi e palati Testo Sonja Leissing; Foto Jorma Müller, Daniel Aeschlimann; Styling Monika Hansen
Chi si organizza bene non è costretto ad affaccendarsi in cucina fino all’ultimo momento. Con pochi sforzi e qualche buon consiglio si possono preparare delle vere e proprie preliba-
tezze gastronomiche. E rimane anche del tempo per apparecchiare la tavola con luccicanti decorazioni dalle classiche tonalità bianco ed oro. In attesa di Gesù Bambino!
Splendore da appendere Appendete un ramo sopra il tavolo con un filo di nylon. Verniciate con lo spray alcune pigne di diversa grandezza e fissatele al ramo con la colla. Poi appendete anche delle palline brillanti usando dei nastrini da regalo.
1
Decorazioni sotto vetro Un cervo, una renna o un angioletto: posati sul muschio sotto vetro, i classici soggetti natalizi fanno un figurone! Bellissime da vedere in un vaso di vetro anche le palline di Natale, che creano una magica atmosfera sulla tavola imbandita.
2
Tovaglioli al rosmarino
La sera di Natale è la festa dell’amore. Con l’atmosfera giusta, la cena della Vigilia diventa un’esperienza davvero speciale.
3
Fate delle coroncine con dei ramoscelli di rosmarino. Emaneranno un delicato profumo e si abbinano particolarmente bene ai tovaglioli bianchi. Poi, con dei nastrini, fissateci alcune palline di Natale del colore giusto. Che sensuale eleganza!
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Antipasto
Piatto principale
Blini alle barbabietole con salmone affumicato
Scaloppine di vitello ripiene con purea di patate e zucca e salsa al succo d’uva
Antipasto per 4 persone
Suggerimento
Ingredienti 50 g di farina ½ cucchiaino di lievito secco 2 prese di sale 75 g di barbabietole cotte 1 uovo 0,5 dl di latte burro per arrostire 50 g di crème fraîche 200 g di salmone affumicato germogli per guarnire, ad es. germogli di barbabietola o di rafano fleur de sel, pepe
Montate il burro con fior di sale e pepe di Cayenna fino a farne una schiuma. Appoggiateci sopra le stelline e mettetelo in frigo fino al momento di servirlo.
Preparazione 1. Per i blini, mescolate la farina con il lievito e il sale. Grattugiate finemente le barbabietole, mescolatele con l’uovo e il latte e unite. Lavorate il tutto fino a ottenere una pastella densa. Lasciate riposare coperto per ca. 30 minuti.
Piatto principale per 4 persone Ingredienti 100 g di noci miste tostate salate, ad es. Sun Queen 1 cipolla rossa 4 cucchiai d’olio d’oliva 8 scaloppine di vitello di 70 g l’una, battute dal macellaio sale, pepe 8 fette di prosciutto crudo Purea di patate e zucca 50 g di burro, morbido ½ cucchiaino di fleur de sel ¼ di cucchiaino di peperoncino di Caienna 600 g di patate farinose sale 600 g di zucca, ad es. butternut Salsa al succo d’uva 2 dl di succo d’uva rosso 1 dl di brodo di verdura 1 cucchiaio d’amido di mais 2 rametti di rosmarino ½ melagrana sale, pepe
2. Scaldate un po’ di burro per arrostire in una padella antiaderente. Versate ca. 2 cucchiai per ogni blini formando dei tortini grandi ca. 6 cm. Cuocete i blini a fuoco medio per 2-3, girandoli una volta. Estraeteli e teneteli in caldo. Distribuite 1 cucchiaino di crème fraîche su ogni blini. Tagliate il salmone a listarelle lunghe, larghe ca. 2 cm. Arrotolatele a rosette e accomodatele sulla crème fraîche. Guarnite con i germogli. Cospargete i blini con poco fleur de sel e pepe.
Preparazione 1. Scaldate il forno a 220 °C. Tritate finemente le noci miste e la cipolla. Versate 2 cucchiai d’olio e mescolate. Stendete le scaloppine sul piano di lavoro. Condite con sale e pepe. Adagiate 1 fetta di prosciutto crudo su ogni scaloppina. Distribuite le noci e la cipolla. Ripiegate le scaloppine e fissate con stuzzicadenti. Accomodate le scaloppine ripiene su una teglia foderata con carta da forno. Irroratele con l’olio restante e rosolatele nella metà superiore del forno per ca. 15 minuti. 2. Per la purea di patate e zucca, lavorate a spuma il burro con il fleur de sel e il peperoncino di Caienna per alcuni minuti. Stendete il burro in uno strato alto ca. 1 cm e mettete in frigo per ca. 1 ora. Pelate le patate e tagliatele a dadi. Lessatele in acqua salata bollente per ca. 10 minuti. Sbucciate la zucca e tagliatela a dadi. Uniteli alle patate e lessate per ca. 15 minuti. Scolate le patate e la zucca, sgocciolate bene e lasciate svaporare per ca. 5 minuti. Passatele nel passaverdura. Tenete in caldo la purea. Ritagliate delle stelline di burro e tenetele in frigo fino al momento di servire.
Tempo di preparazione ca. 35 minuti + riposo ca. 30 minuti Per persona ca. 16 g di proteine, 16 g di grassi, 13 g di carboidrati, 1100 kJ/260 kcal
3. Per la salsa al succo d’uva, mescolate bene il succo d’uva con il brodo e l’amido di mais in una pentola. Unite il rosmarino. Mescolando, portate a ebollizione la salsa e lasciatela sobbollire per ca. 10 minuti finché s’addensa. Nel frattempo, sgranate i chicchi di melagrana. Mescolate la salsa con 6 cucchiai di chicchi. Impiattate le scaloppine con la purea di patate e zucca. Decorate la purea con le stelline di burro. Accompagnate con la salsa. Tempo di preparazione ca. 1 ora + refrigerazione ca. 1 ora + cottura in forno ca. 15 minuti Per persona ca. 45 g di proteine, 33 g di grassi, 45 g di carboidrati, 2750 kJ/660 kcal
Suggerimento Tagliate il salmone affumicato a strisce di circa 2 cm di larghezza. Arrotolatele a rosetta e posatele sulla crème fraîche.
Ricette di
www.saison.ch
Piatto principale per vegetariani
Tofu in crosta di noci miste Piatto principale per 4 persone Ingredienti 100 g di noci miste tostate salate, ad es. Sun Queen 1 cipolla rossa 4 cucchiai d’olio d’oliva sale, pepe 400 g di tofu 4 rametti di timo Preparazione 1. Tritate molto finemente le noci miste e la cipolla, incorporate 2 cucchiai d’olio e condite con sale e pepe. Tagliate il tofu in 8 fette. Staccate le foglioline dai rametti di timo e mescolatele con l’olio restante. Spalmate le fette di tofu con l’olio al timo e condite con sale e pepe. Lasciate marinare per ca. 1 ora.
2. Scaldate il forno a 220 °C. Accomodate le fette di tofu su una teglia foderata con carta da forno. Distribuite il composto di noci miste. Rosolate il tofu nella metà superiore del forno per ca. 10 minuti. Sfornate e servite con la purea di patate e zucca e la salsa al succo d’uva. Tempo di preparazione ca. 10 minuti + marinatura 1 ora + cottura in forno ca. 10 minuti Per persona ca. 16 g di proteine, 34 g di grassi, 8 g di carboidrati, 1600 kJ/390 kcal
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 21 dicembre 2015 ¶ N. 52
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Idee e acquisti per la settimana
Prodotti
Per momenti di gusto
Dessert
Per far felici i palati degli ospiti durante le Feste è sufficiente qualche prelibato ingrediente, come un gustoso salmone affumicato, dell’ananas fresco o un succulento prosciutto.
Crostata di frutta esotica Per ca. 12 fette Per 1 tortiera di ca. 26 cm Ingredienti 1 arancia ca. 1 dl di granatina 4 fogli di gelatina 2,5 dl di latte di cocco 50 g di miele d’acacia 2 dl di panna semigrassa 1 mango alcuni alchechengi Pasta frolla 225 g di farina 25 g di cacao 100 g di zucchero 1 presa di sale 125 g di burro 1 uovo legumi per appesantire Preparazione 1. Pelate l’arancia al vivo, eliminando anche la pellicina bianca. Trasferite l’agrume in un contenitore alto e stretto. Versate la granatina. Mettete in frigo coperto per almeno 5 ore.
Chop Stick Bio Max Havelaar Latte di cocco 400 ml Fr. 2.80
Suggerimento Guarnite la torta con bacche di Physalis e cospargete il tutto con una spruzzata di sciroppo di granatina.
Sun Queen Miscela di noci 170 g Fr. 3.65 invece di 4.60 Offerta speciale 20% dal 22.12 al 04.01
ASC Salmone affumicato dell’Atlantico 330 g* Fr. 9.90 invece di 19.80 Offerta speciale 50% fino al 04.01
Prosciutto crudo dei Grigioni tagliato fine vaschetta midi da 97 g* Fr. 4.45
2. Per la pasta frolla, mescolate la farina con il cacao, lo zucchero e il sale. Unite il burro a fiocchi. Sfregate il tutto tra le mani fino a ottenere un composto grumoso. Unite l’uovo. Impastate velocemente fino a ottenere una pasta. Mettete in frigo coperto per ca. 30 minuti.
Ananas al pezzo prezzo del giorno
3. Scaldate il forno a 200 °C. Spianate la pasta su poca farina a uno spessore di ca. 5 mm. Stendetela nella tortiera. Formate un bordo alto ca. 3 cm e premete bene. Bucherellate il fondo di pasta. Coprite con carta da forno e appesantite con legumi secchi. Cuocete alla cieca al centro del forno per ca. 25 minuti. Dopo 20 minuti eliminate la carta da forno e i legumi e terminate la cottura del fondo di pasta. Lasciate raffreddare.
Melograno al pezzo prezzo del giorno
4. Ammollate la gelatina in acqua fredda. Scaldate poco latte di cocco. Estraete la gelatina dall’acqua, spremetela bene e immergetela nel latte di cocco caldo. Mescolando, fatela sciogliere. Incorporate il latte di cocco restante e il miele. Mettete la crema in frigo finché inizia a consolidarsi lungo il bordo. Montate la panna ben ferma e incorporatela. Distribuite la massa sul fondo di pasta e lasciate consolidare in frigo per ca. 2 ore. 5. Sbucciate il mango. Staccate la polpa dal nocciolo e tagliatela a listarelle sottili. Estraete l’arancia dallo sciroppo e lasciatela sgocciolare. Tagliatela a fettine sottili e distribuitele sulla torta assieme alla frutta restante. Irrorate a piacere con poca granatina.
Terrasuisse Scaloppine di vitello per 100 g* prezzo del giorno
Mango al pezzo prezzo del giorno
Tempo di preparazione ca. 45 minuti + cottura in forno ca. 25 minuti + refrigerazione ca. 9 ore e 30 minuti Una fetta ca. 5 g di proteine, 14 g di grassi, 39 g di carboidrati, 1250 kJ/300 kcal
Gold Succo d’uva rossa 1l Fr. 1.80
* nelle maggiori filiali
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Idee e acquisti per la settimana
Candida
Per denti naturalmente bianchi Vino, caffè, tè e tabacco causano lo scolorimento dei denti Ma così non dev’essere: come rimedio Candida propone due dentifrici sbiancanti da abbinare a un collutorio. Questi prodotti fanno riemergere il bianco naturale dei denti, proteggendo al contempo la dentina. Il dentifricio White Diamond sviluppa un effetto lucidante grazie alle sue minuscole particelle di diamante e rimuove delicatamente il tartaro prima che si indurisca. Il Candida White MicroCrystals si basa invece su micro-cristalli. Dal momento che ha solo un lieve effetto abrasivo e dispone di una buonissima protezione anticarie, è adatto all’igiene orale quotidiana.
Il Prof. Ulrich P. Saxer è docente di Parodontologia e Odontoiatria preventiva al Centro di profilassi di Zurigo.
Lo dice l’esperto
«Bassissimo valore abrasivo» Professor Saxer, come si verifica lo scolorimento dei denti? Ad esso contribuiscono diversi fattori, come i coloranti naturali o artificiali contenuti degli alimenti oppure le sostanze tanniche che servono alla loro conservazione. Il grado di scolorimento dei denti dipende anche dalla ruvidità della loro superficie.
Foto Lucas Peters; Styling Mirjam Käser
Candida Dentifricio White Diamond 75 ml Fr. 4.90
Candida White Dental Fluid 400 ml* Fr. 5.–
Candida Spazzolino White Brilliant 1 pezzo* Fr. 3.80
Candida Dentifricio White Micro-Crystals 75 ml Fr. 3.90
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Cosa hanno di speciale i prodotti sbiancanti di Candida? Il dentifricio White Diamond pulisce e lucida allo stesso tempo, senza scalfire la dentina. Ha in assoluto uno dei valori abrasivi più bassi tra tutti i dentifrici sul mercato ed è adatto anche alle persone con denti sensibili. Esso non rende più bianchi i denti, ma rimuove le macchie di colore e ne previene la formazione. Al contrario, White Micro-Crystals è un vero e proprio sbiancante, che schiarisce notevolmente i denti. È adatto a tutti coloro che non hanno i colletti dentali scoperti. Il collutorio, infine, neutralizza i depositi di cibo immediatamente dopo i pasti; soprattutto se si consumano alimenti contenenti tannino e altre sostanze tanniche.
L’Industria Migros produce numerosi prodotti, tra i quali anche i dentifrici e i collutori Candida.
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Yvette White in conf. di ricarica* 1,5 l, 20% di riduzione
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Tutte le offerte sono valide dal 22.12.2015 al 4.1.2016, fino a esaurimento dello stock.
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Aperture e v i t s Fe Domenica 27 dicembre dalle 10.00 alle 18.00 dei negozi e ristoranti Migros: Centro Agno - Parco Commerciale Grancia Lugano-Centro (Via Pretorio 15) - Centro S. Antonino Centro Shopping Serfontana - Arbedo-Castione Bellinzona - Biasca - Locarno (Via S. Franscini 31) Pregassona - Taverne e Do it + Garden
MercoledĂŹ 23 dicembre apertura serale prolungata GiovedĂŹ 24 dicembre tutti* i supermercati Migros saranno aperti dalle 7.30 alle 17.00 * Esclusi i negozi specializzati