Azione 32 del 4 agosto 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 4 agosto 2014

M sh alle p opping agine 35-3 8/

Azione 32

Società e Territorio Lo scienziato nasce giocando, lo dimostra l’ultimo libro di Davide Coero Borga

Ambiente e Benessere I piccoli abitanti del bosco: è incalcolabile il numero di insetti che vivono su querce, salici, betulle e conifere

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Politica e Economia La Cina alla ricerca di stabilità e di affermazione nel mondo

Cultura e Spettacoli L’opera grafica di Heinz Waibl al m.a.x. Museo di Chiasso

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di Fabio Fumagalli pagina 31

Ti-Press

Tempo di Pardo

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Nulla di nuovo a Gaza? di Peter Schiesser Esiste assuefazione peggiore, più disumana di quella alla guerra? La domanda è provocatoria. Ma vicina alla realtà, se pensiamo a Gaza, quel pezzetto di terra palestinese, poco meno di un ottavo del Ticino, con i suoi 1,8 milioni di abitanti (due terzi profughi fuggiti dalle loro terre 65 anni fa alla nascita di Israele), di cui l’80 per cento vive in stato di povertà e sopravvive solo grazie all’ONU. Chi non ha perso il conto delle guerre che dal 2000 (seconda Intifada palestinese) e ancora più intensamente dal 2008 (oltre mille morti fra i palestinesi) hanno avvelenato i rapporti fra la Striscia di Gaza e Israele? Eppure questa volta potrebbe essere diverso. Questa volta Israele, con il suo governo di destra puro e duro, potrebbe mirare a distruggere Hamas. Come nel 2008, anche oggi l’obiettivo iniziale conclamato del governo israeliano è di garantire la sicurezza dei suoi abitanti. Ossia di distruggere le postazioni di missili di Hamas che nel corso degli anni hanno raggiunto una gittata sempre maggiore, fino a Haifa. Ma alcuni attacchi di militanti palestinesi oltre frontiera hanno portato alla scoperta di un ramificato sistema di

gallerie sotterranee da Gaza verso Israele. Erano note quelle scavate per eludere il blocco alla frontiera con l’Egitto, per contrabbandare armi, persone, merci, ma l’eventualità di improvvisi attacchi terroristici «davanti al giardino di casa» ha scosso la psiche degli israeliani, che fino a ieri si sentivano relativamente al sicuro, poiché la maggior parte dei razzi veniva intercettata dal sistema Iron Dome. Hamas è diventata più imprevedibile e pericolosa: se nelle prime tre settimane, come nel 2008, il numero di morti fra i palestinesi supera di poco i 1000, fra i soldati israeliani sale da 6 a quasi 60. L’idea di accettare un cessate il fuoco duraturo solo al prezzo di un disarmo totale di Hamas, ciò che equivarrebbe a spogliarla di ogni autorità davanti ai palestinesi, si sta facendo largo in Israele. Il premier Netanyahu deve considerarla un’opzione se ha avvertito di prepararsi ad un lungo conflitto. Strategicamente, sarebbe il momento migliore, poiché Hamas oggi è più debole e isolata rispetto a 5 anni fa: le sue simpatie per l’opposizione sunnita in Siria le sono costate l’appoggio di Assad, dell’Iran e degli hezbollah in Libano; ispirandosi ai Fratelli musulmani, è considerata un nemico dall’Egitto del generale al Sisi e dall’Arabia Saudita; prima di questa guerra aveva

perso simpatie fra la popolazione palestinese, desiderosa di pace e con nostalgia del vecchio al Fatah, che governa in Cisgiordania. Ma la soppressione di Hamas ha senso solo se subentra la pace. E questa deve permettere una prospettiva di futuro a una Striscia che da oltre un decennio è soffocata da un blocco economico, una chiusura delle frontiere, anche marittime, senza più possibilità per i suoi abitanti di trovare lavoro, di studiare, di farsi curare altrove. Una pace vera può esistere solo se Israele riconosce dignità istituzionale a Gaza, come pure alla Cisgiordania, dunque ad uno Stato palestinese. E se pur è legittima la volontà di Israele di difendere la sua popolazione attaccando Hamas, ed è perversa la tattica di Hamas di celare le sue batterie missilistiche in scuole, moschee, fra la popolazione civile facendone un involontario scudo umano, i governi israeliani degli ultimi dieci anni devono rispondere del fatto che non hanno mai voluto negoziare seriamente una pace con il presidente dell’Autorità palestinese, il moderato Mahmoud Abbas. Oggi, visto l’isolamento di Hamas, le condizioni ci sarebbero. Se l’occasione non verrà colta, non dovremo stupirci se, distrutta Hamas, si ripresenti un giorno qualcuno a nome del Califfo siro-iracheno dell’Isis.


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Società e Territorio L’Ombudsman dei bambini Intervista a Reto Medici, Magistrato dei minorenni da otto anni, che l’anno scorso ha proposto di creare in Ticino una figura che agisse da garante tra lo Stato e i minorenni

Simboli nazionali e messaggi promozionali Dalle previsioni meteo di Martin Horat ai vecchietti barbuti che esaltano gli orologi made in Swiss: la pubblicità conquista l’immaginario collettivo nazionale

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Chiedo asilo

Nidi d’infanzia Per le famiglie non è sempre facile trovare posto, i costi sono elevati e i salari

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a rischio dumping: in attesa di nuove misure cantonali Fabio Dozio Le donne oggi studiano e scelgono una professione che intendono esercitare. Fanno meno figli ma, anche se diventano madri, non rinunciano alla loro carriera. Malgrado queste trasformazioni radicali, le donne continuano a essere discriminate sul lavoro, in barba all’articolo costituzionale che sancisce la parità fra i sessi. E di questo cambiamento epocale la Costituzione svizzera non si è ancora accorta. L’art. 116 recita che «la Confederazione può sostenere provvedimenti a tutela della famiglia». Forse sarebbe ora che al concetto di «famiglia» che, appunto, è molto cambiato, venisse affiancato quello di «madre lavoratrice». E sarebbe anche ora che, invece di dare allo Stato un vago potere, la Confederazione si assumesse la responsabilità di dover sostenere le famiglie e i genitori. In Ticino ci sono 53 asili nido che offrono 1528 posti per bambini in età prescolastica. Secondo il Consiglio di Stato il fabbisogno cantonale è di 1750 posti. Il problema non sta solo nella disponibilità, anche il finanziamento di queste strutture va migliorato, per permettere di assicurare condizioni di lavoro dignitose e, soprattutto, salari equi. «La situazione in Ticino oggi è soddisfacente – ci dice la presidente dell’Associazione ticinese strutture per l’infanzia (Atan), Jacqueline Ribi Favero – siamo a buon punto, ci sono ancora alcune nicchie scoperte, nelle valli e in periferia, ma i bambini in lista d’attesa sono pochi». In questo campo si può fare di più. Confederazione, Cantoni e Comuni devono garantire alle famiglie servizi al passo con i tempi. La Confederazione ha lanciato, nel febbraio del 2003, un «programma d’incentivazione» per sostenere finanziariamente la creazione di nuovi posti di custodia di bambini, complementare alla famiglia, con «l’obiettivo primario di migliorare la conciliabilità tra famiglia e lavoro». In questi anni, con un investimento di circa 270 milioni di franchi, la Confederazione ha promosso la realizzazione di oltre 43 mila nuovi posti di custodia. Questo programma è unanimamente considerato un successo. I sussidi federali vengono elargiti in genere per due anni, per permettere alle strutture di iniziare la propria attività, poi devono consolidarsi e mantenersi grazie al sostegno dei Cantoni e dei Comuni.

Scienziati per gioco Piccolo chimico L’indagine di Davide Coero

Borga nel mondo ludico: quanta scienza apprendiamo giocando?

Lorenzo De Carli Si dice che il premio Nobel per la fisica Richard Feynmann abbia cominciato la sua attività di ricerca fin da bambino, usando il Piccolo chimico. Forse il giocattolo più ritirato dal mercato perché le prime versioni portavano in casa sostanze capaci di causare gravi danni, ma pressoché innocuo se paragonato ad un altro gioco in circolazione nei primi anni Cinquanta del secolo scorso: l’Atomic Energy Lab. Questa sorta di Piccolo atomo – destinato, certo, ai rampolli delle famiglie più benestanti – portava nelle case dei privilegiati «campioni di piombo 210 (radiazioni alfa e beta), rutenio 106 (beta), zinco 65 (gamma) e plutonio 210 (alfa), oltre ad una serie di provette riempite di polvere di uranio e altri ammennicoli» – scrive Davide Coero Borga in un libro (La scienza dal giocattolo) che raccoglie i tanti suoi interventi a GEO, la trasmissione televisiva di Rai 3. Il rapporto tra scienza e gioco è strettissimo e la ricerca fatta da Coero Borga è davvero molto utile, sia per apprendere qual è la scienza dietro i giocattoli anche più banali, come il Frisbee, sia per studiare l’evoluzione dei giocattoli scientifici, dal classico Meccano al LEGO Mindstorms. A questa sorta di enciclopedia si potrebbero aggiungere altri capitoli (come per esempio Life Science sempre di LEGO, strumento davvero efficace per apprendere com’è fatta la doppia elica del DNA e come si duplica, o Renovable Energy, con cui si possono costruire giocattoli mossi da energie rinnovabili), ma il lavoro d’indagine compiuto da Coero Borga non ha una finalità enciclopedica bensì quella di attirare la nostra attenzione su come, giocando, facciamo costantemente uso dei principi della fisica o di formule matematiche. Quando giochiamo con l’Hula hoop ai fianchi – inventato circa nel 500 a.C. – ne diventiamo nello stesso tempo l’asse, il centro di gravitazione e la propulsione; e quando «spostiamo il corpo per spingere l’anello intorno alla nostra vita, in realtà stiamo esercitando una forza di rotazione

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

nota come momento torcente, necessaria per mantenere la forza centripeta che tiene l’anello sull’asse». E la Barbie? È impossibile che possa reggersi su una superficie d’appoggio così piccola, come sono i suoi piedi, sostegno di gambe smisurate. Nata nel 1959, nel corso degli anni ha conosciuto qualche aggiustamento anatomico, in particolare nel 1997, quando il seno le venne «ridotto di alcune misure, il punto vita ampliato e i fianchi snelliti, perché la bambola possa rispecchiare con maggiore fedeltà la donna di oggi» – ciò nondimeno, continua tuttora a caracollare, sfidando le leggi della fisica. Anche i ragazzini sfidano costantemente le stesse leggi. Come fa, per esempio, una Hot Wheels a fare il giro della morte? Un’auto in corsa tende a seguire un moto rettilineo uniforme. Le piste delle Hot Wheels (rivali di Matchbox) hanno delle curve paraboliche, che contrastano la forza centrifuga, tenendole in pista. Ma il caso del giro della morte è un altro, perché in questa circonvoluzione l’auto non corre lungo la curva bensì sulla curva, e pertanto non c’è una forza che la faccia uscire – basta solo abbia la velocità sufficiente per consentirle di fare il giro senza precipitare in basso. Così, giocando, si apprendono intuitivamente principi fisici che, poi, a scuola si possono anche esprimere in formule. Ma ci sono anche scienziati che, letteralmente, hanno giocato per imparare. Per esempio, l’aquilone, noto già nell’VIII secondo a.C. è il gioco con cui Benjamin Franklin si dilettò il 15 giugno 1752, quando riuscì a portarne uno ad un’altezza tale, da trasformarlo in parafulmine. Franklin ne dedusse che i lampi erano fatti della stessa elettricità che era possibile produrre in laboratori. Viceversa, ci sono stati strumenti scientifici che hanno lasciato i laboratori per entrare nelle case dei ragazzini, come per esempio il microscopio e il telescopio; oppure strumenti tecnici convertiti in gioco – come il Meccano, a sua volta ispiratore di strutture architettoniche. Il passaggio dal laboratorio alla stanza dei bambini

è quindi frequente, così come l’applicazione delle leggi fisiche per ottimizzare il funzionamento di giochi usati sulla spiaggia o sotto casa, come la molla Slinky o il Frisbee. Un gioco interessante che Coero Borga avrebbe potuto prendere in esame sono i modellini d’auto con motore a idrogeno, ormai disponibili da una decina d’anni. Gli elementi di base sono tre: l’automobilina, un pannello solare per la produzione di energia elettrica e la stazione di rifornimento. Le molecole d’acqua del serbatoio esterno

sono scomposte dall’elettrolisi in molecole di ossigeno e molecole di idrogeno. Queste ultime sono inviate al motore dell’auto, dove – entrando in contatto con l’ossigeno presente nell’atmosfera – producono il flusso di elettroni necessario per far correre l’automobilina. Coero Borga, invece, finisce con l’ultima versione di LEGO Mindstorms, con il quale non ci sono limiti allo sviluppo dell’intelligenza artificiale casalinga. Nel cuore del sistema, un mattoncino, cui si possono collegare sensori e motori, è installato un sistema operativo per

il quale si possono preparare infiniti programmi. Il bello di un gioco che può stare a casa, così come nei laboratori del liceo o del Politecnico, ma poi anche diventare una competizione che da anni affascina ragazzi e ragazze di tutto il mondo – First Lego League – è che fa toccare con mano come non vi sia soluzione di continuità tra gioco e scienza perché il vero scienziato è quello che ha conservato la passione per l’osservazione e la sorpresa che aveva quando giocava da bambino, senza sapere che già stava comportandosi da scienziato.

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In Ticino si è passati da 29 asili nido nel 2009 a 53 nel 2014, rispettivamente da 608 a 1528 posti. (Ti-Press)

Il Ticino è uno dei Cantoni in cui si sono fatti molti passi avanti negli ultimi anni. Dai 29 asili nido del 2009, 608 posti, siamo passati oggi a 53 che offrono 1528 posti. «Nel cantone l’offerta è buona – afferma Marco Galli, capoufficio sostegno a enti e attività per le famiglie e i giovani – potrebbero essere una sessantina, ma l’offerta è soddisfacente su quasi tutto il territorio». «Penso sia utile – aggiunge Galli – citare anche il dato sulle famiglie diurne. Lo scorso anno più di 1200 bambini, da zero a tredici anni sono stati affidati a 254 famiglie diurne». Malgrado questi dati positivi, va detto che il settore degli asili nido non è un eldorado. A più riprese dal mondo sindacale e dal parlamento cantonale si sono levate voci critiche, soprattutto in merito alla qualità del servizio e alle condizioni di lavoro negli asili. Nel 2008 la sindacalista Rezia Boggia consegnò una petizione, con oltre 5 mila firme, per chiedere più posti negli asili nido in Ticino e la fine del dumping salariale. Il sindacato Vpod, nel maggio dello scorso anno, ha inoltrato una nuova iniziativa popolare legislativa, «Asili nido di qualità per le famiglie», che ha raccolto più di 9 mila

firme. Si chiede «di assicurare subito condizioni di lavoro dignitose al personale e contratti di prestazione tra Cantone e nidi che diano stabilità alle strutture». Il Governo ha annunciato di voler proporre una regolamentazione del settore, ma il tempo passa e l’attesa si prolunga. Il Cantone finanzia il 40% delle spese educative, dagli stipendi degli operatori, al materiale didattico, alla formazione. Un contributo che, per le associazioni private che gestiscono un nido senza scopo di lucro, non è sufficiente a garantire salari sempre adeguati. Ci risulta che esistono situazioni in cui i dipendenti, per lo più personale femminile, viene pagato venti franchi l’ora. Con queste paghe è difficile che un giovane residente possa scegliere di lavorare in questo settore. Diversa la situazione per gli asili comunali (quattro a Lugano, uno a Mendrisio, uno a Locarno), per quello dell’amministrazione cantonale a Bellinzona e per alcuni asili nido di grandi aziende che partecipano ai costi (come Rsi e Supsi). «Chi lavora nel pubblico – ci dice ancora la presidente dell’Atan – guadagna il doppio di chi è attivo negli asili privati. L’asilo nido è impegnativo dal profilo del personale: ci sono regole

precise da rispettare per quanto concerne il numero di educatori, il tutto per garantire la qualità. Il finanziamento è quello che è, e non si può chiedere di più alle famiglie. Siamo in un circolo vizioso». Le rette a carico delle famiglie vanno da circa 850 a 1300 franchi al mese. Ma, visto che la maggioranza delle famiglie porta i figli al nido a tempo parziale, è meglio indicare la tariffa giornaliera, da 40 a 70 franchi. «Certo, se le rette venissero ridotte – sottolinea Marco Galli – la domanda aumenterebbe senza dubbio». Pochissimi nidi prevedono di definire la partecipazione delle famiglie a seconda del reddito. Va detto però che in Ticino le famiglie meno abbienti possono beneficiare degli assegni di prima infanzia. Secondo il Consiglio di Stato «il finanziamento attuale non è sufficiente né per garantire un miglioramento delle condizioni salariali del personale da una parte, né per diminuire il costo delle rette a carico delle famiglie dall’altra». Per il calcolo del sussidio cantonale, «attualmente le direttive del Dss indicano unicamente i salari massimi riconosciuti e non quelli minimi». Una norma che sfiora il ridicolo. Anche per questo motivo è attualmente

stione di attualità, fa cinque like e tre condivisioni, mentre Snoopy e Linus, in un grigio lunedì mattina di luglio, riescono a strappare like a decine di persone e di amici? Forse perché sono le cose semplici a muovere le masse, quelle nelle quali un po’ tutti ci riconosciamo e ci identifichiamo. Quelle immediate, che non richiedono grandi ragionamenti e riflessioni. E, soprattutto, trasmettono messaggi positivi e simpatici. E allora via, al mattino ci si trova tutti lì, come al bar a bere il cappuccino, scambiare due sorrisi e due saluti, per ricordare a noi stessi e al mondo che esistiamo, abbiamo delle preferenze, dei gusti personali da mettere in evidenza e da condividere. E se un post, con una nostra foto in piena forma, un sorriso smagliante e l’augurio di una buona giornata macina like,

subito ci sentiamo gratificati e contenti, e iniziamo la giornata con una marcia in più. Qualcuno potrà pensare «tutta colpa di Facebook e dei suoi meccanismi malsani». Ma il discorso, a ben guardare, è un po’ più profondo, non si riduce alla semplice e spietata legge dei like, non si ferma agli utenti di Facebook e non si limita ad un click del mouse. In realtà porta con sé tutto un modo di relazionarsi con gli altri, di intendere il rapporto con altri esseri umani. Mettere il like, in fondo, è molto semplice, richiede pochissimo sforzo, attenzione, investimento personale, è questione di un secondo. Mentre pubblicare un post richiede qualche attimo in più e gratifica la nostra voglia di apparire, di metterci in mostra. Che cosa c’è di tanto diverso dalla vita

in corso un’inchiesta per verificare se nel settore degli asili nido si configura dumping salariale, ossia salari troppo bassi rispetto alle medie del settore. L’Ispettorato del lavoro sta indagando, poi informerà la Commissione tripartita. Il settore non è dotato di un contratto collettivo di lavoro, ma se il Cantone dovesse ravvisare l’esistenza di dumping, dovrà imporre un contratto normale che fissi i minimi salariali. Attendiamo presto novità. Quale futuro, dunque, per gli asili nido del Cantone? Per Marco Galli, responsabile del settore, «ideale sarebbe aumentare i sussidi statali, poniamo dal 40 al 50%, ma le attuali condizioni finanziarie del Cantone non lo permettono. Stiamo preparando un messaggio con nuove proposte, probabilmente si fisserà un minimo salariale». Ma anche i Comuni possono avere un ruolo maggiore. Promuovendo, per esempio, soluzioni miste e di integrazione tra case per anziani e servizi di accoglienza della prima infanzia. «Sarebbe una bella proposta per il futuro, afferma Galli – anche perché i Comuni che offrono strutture di accoglienza per i bambini attraggono famiglie, che, domiciliandosi, portano soldi nel Paese».

Quando giochiamo con l’Hula hoop ne diventiamo l’asse, il centro di gravitazione e la propulsione. (Keystone)

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La società connessa di Natascha Fioretti Il buongiorno si vede dal mattino, anche su Facebook Alzi la mano, chi prima di andare al lavoro, magari mentre fa colazione, non dà una sbirciatina veloce al suo profilo in cerca di una bella frase, una citazione importante, un’immagine, catturata all’altro capo del mondo, da pubblicare, condividere o sottoscrivere con un bel «mi piace». Soprattutto ora, in tempo di vacanza e di leggerezza. Il popolo dei social ama sentirsi coinvolto, ma ancora di più ama coinvolgere e sentirsi gratificato dai like. Un tempo la preghiera del mattino era il giornale, oggi, sempre di più, la timeline di Facebook con gli ultimi aggiornamenti che, evidentemente, possono anche contenere le notizie dei quotidiani, dipende dalle impostazioni. Ma a catturare per primi l’attenzione dell’u-

tente semisveglio, in preda ancora agli sbadigli, sono i post del mattino, tutti diversi, ma con il medesimo intento: augurare una buona giornata. Ce n’è per tutti i gusti, dalle classiche vignette di Snoopy e di Mafalda, ai messaggi sul caffè «Per iniziare bene la giornata, scelgo un caffè, per continuarla un sorriso». Lo hanno capito anche i grandi editori, le radio, i promotori di iniziative culturali che questi post piacciono. «La Repubblica», quotidiano italiano, lo fa da un po’ di tempo, l’ultimo buongiorno quello di Saramago «Amo le cose belle, le belle storie che dicono qualcosa. È bello aver la pelle d’oca, significa che stai vivendo». Lo stesso vale per Lifegate Radio, Caffeina Magazine e tanti altri. Dove sta il segreto? Perché un post serio, magari di commento su una que-

reale? Non viviamo forse in una società, in cui i rapporti umani, sempre di più, sono guidati da interessi personali, ciò che conta è l’apparenza, il tempo da dedicare all’amicizia scarseggia, siamo sempre meno disposti a fare delle rinunce per star bene con gli altri? Non tendiamo forse a percorrere la via del tutto facile e del tutto subito nei rapporti umani, rinunciando alla prima difficoltà? Se Facebook ha così tanto successo, nel bene e nel male, non è forse perché riesce a rispecchiare e a ricreare delle dinamiche, dei modi di pensare radicati profondamente in noi, nel nostro modo di vedere gli altri? Che cosa c’è di più bello di sentirci augurare una buona giornata o un bel weekend? Se ci manca nella vita reale, corriamo su Facebook, è lì che ci aspetta!


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Società e Territorio

«Un garante tra lo Stato e i minorenni» Intervista Da otto anni Magistrato dei minorenni in Ticino, l’anno scorso ha proposto

l’Ombudsman dei bambini: un bilancio con Reto Medici

Incontriamo Reto Medici nel suo ufficio, al quinto piano di via Bossi a Lugano. L’occasione ci è data per tracciare un bilancio della sua attività come Magistrato dei minorenni e per saperne di più sulla sua proposta di creare in Ticino la figura dell’Ombudsman dei bambini, una sorta di garante indipendente dei minorenni tra il cittadino e l’autorità pubblica. Magistrato Medici, lei è in carica dal 2006. Dal suo osservatorio ha notato dei cambiamenti in questi anni nella devianza minorile?

I reati principali sono gli stessi da decenni: furti e danneggiamenti, infrazioni alla legge sulla circolazione stradale e a quella sugli stupefacenti. Con gli accordi sulla libera circolazione delle persone e l’abolizione dello statuto di stagionale nel 2002 sono arrivati dei giovani dal Centro America, dall’ex Jugoslavia e da altri Paesi per il ricongiungimento famigliare, una misura che io approvo, ma alcuni hanno fatto fatica ad inserirsi a causa dello «choc culturale». I loro genitori erano molto impegnati, magari avevano anche un doppio lavoro, non comprendevano o non si facevano coinvolgere dalla scuola e dalle società del tempo libero. Questi giovani, più di altri, tendevano a cadere in comportamenti devianti. Oggi questa tipologia di ragazzi non l’abbiamo più. Forse anche la società ticinese non li ha accolti sempre nel modo giusto?

Come sempre in questi casi si tratta di fenomeni multifattoriali. Specialmente all’inizio è necessario un lavoro di mediazione culturale. La prima volta che anni fa andai a stringere la mano a una madre musulmana, il marito mi spiegò che l’unica mano che potevo stringere era la sua. Sono cose che bisogna imparare. Anche le persone che vengono da noi devono seguire un percorso di integrazione. È pur vero che in certe situazioni socioeconomiche il grado di accettazione e di sopportazione è variabile, e l’incontro con culture diverse va dosato. Quali sono le nuove sfide?

Le nuove tecnologie. Ci troviamo di fronte a dei ragazzi di scuola elementare, o anche più giovani, che hanno accesso alla vasta rete di internet dove, accanto a tutte le cose positive, vi sono pure delle insidie. È necessario che si insegni loro a difendersi da certi contenuti. Poi siamo confrontati, in maniera ancora ridotta ma crescente, al cyberbullismo: con le nuove tecnologie si denigra e si «distrugge» moralmente, ma anche fisicamente, un compagno che magari fino a poco

più adeguata, col lavoro del garante la si può riesaminare arrivando ad una pratica migliore, più conforme al desiderio della popolazione e dell’amministrazione, quindi si arriverebbe più in fretta al risultato e con minori costi e stress.

tempo prima faceva parte della cerchia degli amici. Anche qui ci sono delle tecniche educative che permettono di intervenire, sia per sostenere le vittime, sia per far comprendere agli autori che quel comportamento è inaccettabile e viene punito.

Dovrebbe però essere una figura esterna allo Stato.

Da ex tutore e pensando alle vittime minorenni, quando lei ha iniziato l’attuale attività i dati ufficiali del cantone indicavano ad esempio circa 2400 «misure di protezione». Come considera questo dato?

Si tratta di misure in ambito civile, soprattutto curatele educative, che si affiancano, e in pochi casi si sostituiscono, ai genitori che non sono in grado di fare l’interesse dei propri figli per motivi di inesperienza, di deficit nelle competenze genitoriali, di malattia, di assenza, ecc. In questi casi l’Autorità regionale di protezione deve intervenire. Oggi i dati non mi sembrano mutati, anche se in Ticino c’è un numero relativamente importante di queste misure (nel 2012 erano 2353 , ndr.). L’intervento a favore dei minori deve incentrarsi maggiormente sulla promozione dei diritti dell’infanzia, in modo da rafforzarne le loro competenze che li aiuteranno a gestire meglio le situazioni di disagio. Per i minori autori di reati da anni si parla della mancanza o dell’inadeguatezza delle strutture di accoglienza in Ticino. E oggi?

Circa 50 milioni di franchi all’anno della Confederazione vanno soprattutto a beneficio dei centri educativi, tra cui quelli ticinesi (una decina, ndr.). Il lavoro di presa a carico è articolato e mira a prevenire i comportamenti devianti. Una decina di minorenni all’anno ha poi bisogno di una misura di protezione penale, perché altri interventi non sono stati sufficienti. Sono certo dieci casi di troppo ma rappresentano una piccolissima percentuale. In che senso gli interventi non sono stati sufficienti?

Magari la prima volta hanno commesso un reato per il quale sono stati puniti con un’ammonizione o con delle giornate di lavoro, che però non hanno portato alla rinuncia a commettere ulteriori reati. Si tratta di giovani con problematiche personali e famigliari importanti. Se le identifichiamo subito interveniamo fin dall’inizio con una misura di protezione penale, affiancando al giovane e alla sua famiglia un educatore del Servizio educativo minorile. Sono pochi i casi dove anche questo tipo di intervento non è sufficiente, rendendo necessario un collocamento combinato contemporaneamente con pene e misure di protezione. C’è un caso che in questi otto anni umanamente l’ha molto colpita?

La persona che mi ha sorpreso di più è

Ti-Press

Marco Jeitziner

un giovane che a circa sedici anni mi disse che non vedeva un futuro nella vita. Con lui abbiamo fatto un lavoro interdisciplinare e ottenuto dei buoni risultati. Cioè?

Quando abbiamo revocato la misura, stava bene. Oggi è maggiorenne, ha un lavoro e non ha commesso nuovi reati. Sta dicendo che di questi giovani poi non sapete più nulla?

Noi possiamo seguirli fino ai ventidue anni. Personalmente in questo caso specifico non ho ricevuto ulteriori feedback, però succede che i nostri quattro educatori mantengano dei contatti. Ma quattro educatori per tutto il cantone sono sufficienti?

In questo momento sì. Avremmo bisogno piuttosto di quel posto di giurista che abbiamo perso nel 2006 e che sarebbe utile per pronunciare più celermente i decreti. È vero ad esempio che il canton San Gallo, che ha una popolazione superiore del Ticino ma non di tantissimo (483 mila abitanti, ndr.), è dotato di trentotto collaboratori, mentre noi di nove. Forse in Ticino c’è questa sotto-dotazione perché si ritiene più importante tutelare il nucleo famigliare che non il minorenne?

È molto corretto e giusto che si dia priorità a ciò, promuovendo una politica familiare di sostegno attenta anche ai nuovi modelli di famiglia. Veniamo allora alla figura dell’Ombudsman dei bambini, che in Svizzera non esiste e che lei ha proposto. Ci ricorda di cosa si tratterebbe?

Tutto parte dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia votata il 20 novembre 1989 e ratificata dalla Svizzera nel 1997 e da altri 193 Stati (su 195) del mondo. È lo strumento normativo internazionale più importante e completo in materia di

promozione e tutela dei diritti dell’infanzia. Si basa sulla protezione, la partecipazione e le prestazioni a favore dei minori, inoltre promuove la creazione della figura dell’Ombudsman nei Paesi aderenti. Il «Gruppo 20 novembre», che riunisce 18 enti attivi nel nostro cantone a favore dell’infanzia, aveva da tempo pensato di impegnarsi a favore di questo tema e mi aveva chiesto, in qualità di presidente dell’associazione Demetra e di membro del consiglio di fondazione di Pro Juventute, di preparare una relazione in occasione del convegno internazionale del 15 marzo 2013 a Bellinzona. Qualcosa di simile venne già proposto nel 2005 in Ticino ma venne bocciato dal Governo e dai politici, temendo doppioni, conflitti di competenze, costi ulteriori. Oggi non sono certo tempi migliori, almeno finanziariamente parlando.

In questo momento di crisi finanziaria bisogna fare attenzione a come si spendono i soldi dei contribuenti, ma credo che oggi più di ieri sia importante il rapporto tra le istituzioni ed i cittadini, e soprattutto con quelli che hanno in parte l’impressione che l’amministrazione si sia allontanata da loro. L’Ombudsman dei bambini deve promuovere i loro diritti, vigilare affinché le opinioni dei minori siano ascoltate e che se ne tenga conto, esaminare le direttive, le procedure, le leggi e i regolamenti in modo che siano conformi alla Convenzione, fornire informazioni e consigli agli uffici pubblici e mediare tra le istituzioni dello Stato e i giovani cittadini che saranno soprattutto attivi domani. Concretamente come interverrebbe l’Ombudsman?

Deve poter avere un ruolo attivo ed essere reperibile facilmente. Se ci si rende conto che una procedura non è stata la

Sì, come in Belgio, in Francia, in Canada e in certe regioni d’Italia (Marche). Se viene riscontrata una procedura migliorabile, l’amministrazione non lo può immediatamente ammettere davanti a quel cittadino, ma il garante, che non è coinvolto emotivamente nella questione, ha la possibilità di portare a delle riforme. Per questo deve essere una persona indipendente, anche coraggiosa, con degli strumenti di conoscenza e di accesso adeguati per svolgere il suo lavoro. Quindi anche in questo ambito così delicato si prendono decisioni sbagliate?

Questo fa parte della natura delle cose. Il fatto di avere alcuni ricorsi permette di avere delle sentenze da parte delle autorità superiori e di consolidare la giurisprudenza, ma pure di condividere le responsabilità con queste istanze. È chiaro che se la quantità di ricorsi è importante, uno dovrebbe interrogarsi sui motivi. L’Ombudsman per i bambini non potrà intervenire quando un’autorità giudiziaria, civile o penale, è già stata investita di un procedimento, altrimenti si creerebbe una confusione e una situazione di insicurezza per il diritto. In Svizzera cosa esiste per ora?

Non ci sono Ombudsman per i bambini. Ne abbiamo invece per altri settori e sono molto apprezzati da tutte le parti coinvolte. Il diritto penale minorile conosce l’istituto della mediazione penale per aprire una finestra di dialogo tra l’autore del reato e l’accusatore privato, ma questo servizio non ha tutte le altre importanti competenze che dovrebbero essere attribuite al garante dei diritti dei bambini. Così non si rischia di ingigantire ulteriormente la protezione dei minori a scapito di una loro maggiore responsabilizzazione, come si fa soprattutto nei Paesi del nord?

Capisco, anche perché ho in parte delle origini svizzero tedesche, ma credo che ogni comunità debba seguire il suo percorso. È importante sia promuovere i diritti dei minori, affinché possano essere più tranquilli quando saranno eventualmente esposti a una situazione di rischio; sia accettare certi rischi, perché è quando ci spostiamo verso i nostri limiti che impariamo molto. Ma se si oltrepassano i limiti fissati dal diritto penale ci deve essere una sanzione, da cui l’importanza di fissare già dei limiti in famiglia. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Scritto negli astri – oppure nei geni La scienza e la tecnologia costruiscono il nostro spazio di vita, dominano il nostro ambiente, determinano i nostri giorni: siamo nell’epoca più razionale della storia, dove quasi tutto – dall’organizzazione del lavoro, alla comunicazione interpersonale, alle pratiche igieniche e alimentari – sembra governato dalle conoscenze razionali e dal sapere scientifico. Eppure… Eppure, a quel che leggo, risulta che la rubrica degli oroscopi è ancora tra le più seguite nelle riviste; gli astrologi sono molto apprezzati; indovini, chiromanti e cartomanti godono di una reputazione che non declina; gli amuleti si moltiplicano, pur cambiando di aspetto, magari nella forma del tatuaggio o del piercing; i riti superstiziosi e propiziatori non sembrano avviati a declinare. La razionalità costituisce solo la crosta relativamente recente del nostro modo d’essere, e ricerche biologiche recen-

ti mostrano che anche gli animali sviluppano spontaneamente forme rituali e pratiche che noi definiremmo «superstiziose». C’è un fondo oscuro, la più antica parte di noi, che permane imperturbabile malgrado la ragione la smentisca: le coincidenze, ad esempio, sono lette come «segni» di un disegno più vasto di noi e scritto altrove, magari negli astri. Noi non facciamo caso alle tante associazioni insignificanti che si verificano quotidianamente; ma se per caso pensiamo ad una persona che non vediamo da anni e quella poco dopo ci telefona, la coincidenza casuale assume un significato premonitore. Le previsioni degli astrologi alla vigilia di ogni nuovo anno sono per la maggior parte smentite (oppure sono così generiche che possono andar bene per qualsiasi evento); ma se una sola per caso si avvera, la fama del profeta è consolidata. Ben gli sta, dunque, a quell’astrologo di un giornale londi-

nese che ricevette dal direttore una lettera di licenziamento che cominciava così: «Come lei avrà senza dubbio previsto…». Ma, al di là di ogni ironia, si comprende bene il persistere di questo fondo oscuro che ci portiamo dentro: è la fragilità umana che lo esalta, è l’inevitabile convinzione che «del doman non v’è certezza». L’antica saggezza di Orazio, che esortava a non chiedere mai, a non tentare di sapere la sorte che attende dietro l’angolo della notte, non ha valore consolatorio. E, del resto, non c’è alcuna certezza che l’esistenza individuale non segua un disegno preordinato, non obbedisca a un destino. Piuttosto, l’età nostra tende a trasferire l’idea di destino dal cielo in terra. Uno dei padri della genetica, James Watson, ha affermato: «Noi eravamo abituati a pensare che il destino dell’uomo fosse scritto nelle stelle. Ora sappiamo che, in larga mi-

sura, è scritto nei nostri geni». Poiché negli ultimi decenni nuove ricerche sono andate scoprendo che anche il carattere è in parte geneticamente determinato, la tesi di Watson risulta ancora più vera. In questo senso si può ragionevolmente credere al destino. Cinque secoli prima di Cristo il filosofo Eraclito scrisse: «Il carattere di un uomo è il suo destino». Questa sua affermazione è ancora attuale, anzi, trova oggi delle interessanti nuove formulazioni. La frase di Eraclito non parla, propriamente di destino, ma del demone: il carattere dell’uomo è il suo demone. Questo «demone» (in greco, dàimon) non ha nulla di diabolico, anzi, è per molti versi simile all’angelo custode della tradizione cristiana: è una voce interiore che funge da guida, che induce alla fedeltà a sé stessi. «Segui il tuo demone» – ammoniva Socrate; ed è sorprendente che già gli antichi Egizi credessero ad una sorta di seconda

personalità dell’individuo, che chiamavano ka, che anticipa le scelte e orienta le decisioni per la parte restante della persona. Più interessante ancora è che la credenza in questa sorte di «nume tutelare» sia stata ripresa, in questi ultimi anni, dallo psicanalista e filosofo James Hillman nel suo libro Il codice dell’anima: «Tutti, presto o tardi,» … scrive Hillman – «abbiamo avuto la sensazione che qualcosa ci chiamasse a percorrere una certa strada»; e nel corso del testo sviluppa una versione attuale e convincente del demone degli antichi. Così quell’enigma al quale da sempre attribuiamo il ruolo del destino trova forse una collocazione dentro di noi, nel nostro carattere: e forse è vero, come scrive Gesualdo Bufalino, «che ciascun uomo porta scritta nel proprio sangue la fedeltà d’una voce e non fa che obbedirvi, per quante deroghe l’occasione gli suggerisca».

A proposito di nuvole a Sils Maria, proprio un film intitolato Clouds of Sils Maria è stato girato qui l’anno scorso (sarà a Locarno, ndr.). Sopra la porta, una targhetta di granito: In questa casa abitò Friedrich Nietzsche durante i proficui mesi estivi 1881-1888. Entro così un pomeriggio ai primi di agosto, nella casa di Nietzsche a Sils Maria (1806 m). Aperta la seconda porta, a vetri, cigolante, subito m’investe l’odore penetrante e dolciastro del cembro. Su una parete a sinistra, c’è una cartina dove spicca la posizione di Sils Maria tra il suo lago e quello di Silvaplana e dove sono segnati i sentieri per arrivare alle due rocce di Nietzsche. Una, quella piramidale dell’eterno ritorno, verso Silvaplana; l’altra, tipo Denkmal, sulla punta della penisola di Chasté, dove sono scolpiti alcuni versi dello Zarathustra. Incontro il custode Peter Villwock, che vive qui otto mesi nella pace di Sils e l’altro terzo dell’anno lo passa nel caos di Berlino. «Geniale»

autodefinisce bene lui questo ritmo di vita, seduto al tavolo del bookshop, dove alle sue spalle, risalta il giallo canarino delle edizioni Adelphi curate da Giorgio Colli che mi riportano ai tempi del liceo e di furiose letture notturne. Sbircio la Basler Stube con cimeli vari, poi salgo le scale, buttando l’occhio en passant nella fornitissima biblioteca. Qui, al secondo piano, c’è la stanza spartana di Nietzsche. A fianco della soglia, in una bacheca, alcuni taccuini di schizzi di Segantini dove prende le misure del paesaggio. In fondo al corridoio, tavolino verde da giardino di Villa Laret, con due sedie. In faccia, una foto della piccola Anna Frank seduta sorridente nel 1935 a questo stesso tavolino. Alle pareti, incorniciate, alcune testimonianze di Thomas Mann, Adorno, eccetera. A volte, devo dirlo, l’atmosfera venerativa post-mortem mi dà il voltastomaco: via, aria, fuori, a fare una passeggiata, scacciapensieri se possibile.

campagna promozionale destinata a offrire un’altra immagine del Paese. Non più grandi alberghi, impianti sportivi, musei, edifici firmati da architetti-star o concerti in piazza, bensì fattorie, pascoli, torrenti e laghetti, come pure cibi locali e poi le persone stesse che ancora abitano regioni dove si resiste, puntigliosamente, all’urto delle trasformazioni. E così, guarda un po’, contadini, allevatori, apicoltori, artigiani, affrontando le telecamere, dovevano persino rivelare i tratti di personaggi capaci, come si dice in gergo, di bucare lo schermo. Primo fra tutti, è stato il caso di Martin Horat, l’ormai famoso profeta del meteo, che, osservando le cosce delle formiche nel Moutathal, formula le sue previsioni per il prossimo inverno, esprimendosi in uno Schwiizerdütsch , per noi e per molti altri suoi concittadini, incomprensibile. Ciò che, del resto, accresce la spontaneità di quest’insolito testimonial e, di conseguenza, le simpatie popolari che lo circondano,

e, infine, la credibilità del suo messaggio, che è rassicurante. È come se dicesse: ci sono sempre anch’io, ci sono ancora quelli come me. Siamo un punto di riferimento, una bussola per non perdersi nella confusione globalizzata. In ogni caso, sia Martin con le formiche, sia i vecchietti, saggi e barbuti, che esaltano la precisione degli orologi «swissmade», sia l’intramontabile Heidi che, negli spot della Migros, elogia i sapori di formaggi e salumi dell’alpe, hanno conquistato, nell’immaginario collettivo nazionale, un posto che va ben oltre l’obiettivo commerciale e ben oltre l’aspetto folcloristico. Si tratta di figure cresciute, ormai, a simboli nazionali. E simboli che piacciono. Svolgono amabilmente una funzione, quanto mai necessaria. Ci aiutano a trovare, un punto fermo. Per dirla con lo studioso del fenomeno viaggi, Eric Leed: «È il ritorno verso l’interno, verso le origini, verso ciò che si è lasciato alle spalle».

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf La casa di Nietzsche a Sils Maria Sils Maria e Nietzsche, si sa, sono molto legati. È passeggiando tra i boschi di questo luogo in alta Engadina, che al grande filosofo tedesco, ai primi di agosto del 1881, balena l’idea dell’eterno ritorno, espressa per la prima volta in Così parlò Zarathustra (1885). Perciò da quando Friedrich Nietzsche (18441900) ci ha messo piede, un alone mistico circonda questo posto «a 6000 piedi al di là dell’uomo e del tempo» dove ho sempre sognato di andare. D’altro canto, Così parlò Zarathustra, per me, ha sempre goduto di una specie di garanzia attraverso questo retroscena autobiografico svelato in Ecce Homo (1888): «Camminavo un giorno lungo il lago di Silvaplana attraverso i boschi; presso una potente roccia che si levava a figura di piramide, vicino a Surlej, mi arrestai. Ed ecco giunse a me quel pensiero». È come se l’aria pura dei boschi engadinesi in altitu-dine, garantisse una certa qualità di pensiero. Un po’ come il marchio bio con la gemma. Del

resto, illuminazione a piedi a parte, Nietzsche trascorre in questa «natura consanguinea» ben sette estati, dal 1881 al 1888, tranne quella del 1882, alloggiando e lavorando duro in una stanza della casa della famiglia Durisch. Questa casa dal 1960 via, diventa la Nietzsche-Haus. Infatti, all’epoca, la casa dove l’inquieto pensatore baffuto dormiva per un franco al giorno, invece di essere trasformata in un negozio, viene comprata da una fondazione privata. Si crea un piccolo museo e una pensione aperta da metà giugno a metà ottobre. Quattro stanze, più un appartamento nell’ex cantina, sono affittate a «studenti, insegnanti, giornalisti, scrittori e, in generale, a chiunque abbia interessi filosofico-letterari o artistici», diventando così un luogo d’incontro di nietzscheani. Già avvicinandoci a Sils Maria, dal finestrino del palm express si percepisce qualcosa dell’aura folgorante di questi luoghi: la luce, la piana erbosa in contrasto con

le montagne, la comunanza tra pinete e lago, l’ampiezza del cielo. E poi ecco il tocco di classe: lassù troneggia il Waldhaus, mitico hotel a conduzione familiare dal 1908, come un castello fiabesco nel bel mezzo del bosco-promontorio di conifere. Infatti, sull’onda dell’entusiasmo di Nietzsche per Sils Maria, molti ospiti cosiddetti illustri vengono qui sulle sue tracce e il Waldhaus è lì ad accoglierli in grande stile. Thomas Bernhard, Jung, Einstein, per esempio. Appena sceso, pochi passi lungo la strada principale, accanto alla quale il torrente Fedacla scorre motivato dalle piogge di questi giorni d’estate autunnale, ed eccola. È proprio dietro l’angolo dell’hotel Edelweiss, un po’ defilata rispetto alle case sulla via, a ridosso dei boschi. Semplice, lineare, tetto in piode, due camini, nove finestre dove sotto sette delle quali ci sono dei gerani rossi. Alle spalle, conifere miste: larici, abeti, cembri. Dietro, un cumulonembo cresce nel cielo azzurro.

Mode e modi di Luciana Caglio Quei simboli svizzeri che piacciono Fuochi d’artificio, cortei, riunioni in luoghi storici, dal Grütli al San Gottardo, bandiere esposte negli edifici pubblici, distintivi appuntati all’occhiello, e, soprattutto, discorsi pronunciati da politici in carica o da personalità in vista: così, anche quest’anno, si è celebrato il 1. Agosto, nella sua versione ufficiale. E proprio perché tale, la ricorrenza si presenta in termini prevedibili, esposti persino al rischio della retorica e dell’autocompiacimento, tanto da provocare, come sempre avviene, critiche, insofferenza, rifiuto. Reazioni, cioè, di segno opposto rispetto a quelle che sarebbe logico, e oggi persino necessario, attendersi dalla rievocazione di una data che si chiama «natale della patria»: e quindi sarebbe destinata a rinvigorire, precisandolo nei suoi giusti attributi, un sentimento, più che mai vittima di equivoci contrapposti. Stiamo, infatti, parlando del patriottismo che, al di là delle strumentalizzazioni di parte, esprime un bisogno primordiale di appartenen-

za a un territorio, di identificazione umana, di condivisione di abitudini quotidiane. Si tratta. insomma, di quel sentirsi a casa propria. Anche se questa casa sta cambiando i suoi connotati, a ritmi vertiginosi e con effetti psicologicamente sconcertanti.

Martin Horat, un meterologo speciale.

Come, appunto, avviene proprio in Svizzera. Il Paese, orgogliosamente in testa alle classifiche mondiali per efficienza innovativa, per urbanizzazione e, non da ultimo, per presenza di stranieri, sembra, però, mettere in imbarazzo i suoi cittadini. Al punto di provocare derive politiche del tipo 9 febbraio, ma non soltanto. Il patriottismo si manifesta anche in forme positive, attraverso la riscoperta e la salvaguardia di luoghi simbolo del nostro paesaggio e dei suoi abitanti, e che ormai sono nicchie preziose. Tanto da rappresentare un valore aggiunto in quanto a potere d’attrazione sul piano turistico e commerciale. Ecco, allora, l’intervento della pubblicità che, quando è ben gestita, sa alzare le sue antenne per captare gli umori che sono nell’aria: e quindi ha percepito il bisogno e il piacere di recuperare quel che resta di una Svizzera alpina, rurale, genuina. Qualcosa che l’Ente nazionale del turismo ha voluto tradurre in una



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Ambiente e Benessere Un mostro sinuoso Mondo sommerso: il brivido di fotografare e nuotare al fianco di un’anaconda gigante

Lunghe spiagge e mare da favola Hotelplan organizza per i lettori di «Azione» una vacanza balneare sulla costa del Mar Rosso, a Berenice

Partenze consapevoli Voltare pagina e lasciarsi alle spalle lavoro e routine per ritemprarsi e lenire lo stress

Giochi di… palla Per completare la buona stagione, si attendono fra i migliori i bianconeri del calcio pagina 18

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Alessandro Focarile

Tetropium castaneum. (Alessandro Focarile)

Gaurotes virginea. (Alessandro Focarile)

Il bosco nutre anche gli insetti mangia-zucchero Biodiversità Grazie a complessi processi chimici, la cellulosa che costituisce gli alberi si trasforma – Seconda parte Alessandro Focarile Il bosco è un consorzio di esseri viventi, tra i quali gli alberi. Come avviene nelle società umane, anche tra questi vi sono i forti e i deboli, i sani e i malati, i tolleranti e i prepotenti. Tutti in permanente lotta per il nutrimento, l’acqua, la luce e il calore. In un bosco è sempre presente una percentuale di alberi deperienti, la cui fine ultima è accelerata da molti insetti detti xilòfagi, dal greco xỳlon, legno + phaghèin, mangiare. Questi si cibano della materia legnosa (cellulosa) potenzialmente ricca anche di zuccheri, grazie alla presenza di enzimi (fermenti) contenuti nell’apparato digerente delle loro larve. In un bosco avente una superficie nota è facile conoscere il numero di alberi che lo popolano, il loro volume espresso in metri cubi, lo stato di salute e la loro età. Molto meno agevole è il conoscere il numero di insetti che lo colonizzano, in quanto si tratta di comunità (cenosi) presenti con un numero astronomico (con parecchi zeri!) di individui. Querce, salici, betulle sono popolati da un contingente ricco di 250 fino

a 500 specie differenti, e che trovano la loro ragione di vita nell’utilizzo delle foglie e del legno per il loro nutrimento. È stato rilevato che le latifoglie ospitano eserciti di insetti molto più numerosi (come numero di specie e di individui) di quelli presenti sulle conifere. Il motivo essenziale di questa differenza numerica risale al fatto che queste ultime sono comparse, per costruire il mondo vegetale sulla Terra, molti milioni di anni prima rispetto alle latifoglie. Durante questo lunghissimo periodo di tempo, le conifere sono state in grado di elaborare perfezionati meccanismi fisiologici di auto-difesa contro gli attacchi degli insetti. Tra questi meccanismi, vi è la produzione di resina, un composto chimico il cui significato e la cui funzione per la vita dell’albero sono tuttora poco conosciuti. La complessa presenza della resina nelle parti esterne delle conifere (corteccia, cambio, libro) ha comportato l’instaurarsi di questi meccanismi. Essi hanno avuto, quale risultato finalizzato, la formazione di barriere: un’azione «filtro» che si è concretizzata con la presenza di insetti molto specializzati, i quali, grazie al loro metabolismo, sono stati

in grado di superare la barriera nell’assunzione del cibo. Tra questi, i coleotteri cerambicidi detti longicorni, grazie alle loro lunghe antenne, e presenti in Svizzera con 156 specie, quasi tutte legate agli alberi per la loro nutrizione allo stadio larvale. Le loro larve, appiattite per potersi agevolmente spostare sotto le cortecce, sono conosciute con il nome di «gamole» molto ricercate dai pescatori come esca. Questi organismi elaborano nel loro apparato digerente particolari enzimi (fermenti) che rendono possibile la trasformazione della cellulosa in zuccheri, quali il glucosio e il saccarosio. Le larve si cibano dunque di sostanze zuccherine con elevato potere energetico. Esse non sempre hanno vita facile. Molto spesso sono vittime di predatori e insetti imenotteri parassitoidi. Questi ultimi depongono le proprie uova nel corpo delle malcapitate, che verranno divorate. E poiché i parassitoidi possono essere parassitizzati a loro volta, ne risulta alla fine un quadro biologico alquanto complesso e articolato. Gli adulti dei longicorni xilofagi sono ornati spesso con vivaci colori. Si nutrono di pollini e di nettare, frequen-

tando i fiori nel bosco. Oppure della linfa trasudante da eventuali ferite sui tronchi. Tipico è il caso del cerambice eroe (Cerambyx cerdo) uno dei più grandi coleotteri europei potendo raggiungere cinque centimetri di lunghezza e che frequenta le querce e i castagni, ma la cui presenza va sempre più rarefacendosi. La cellulosa è il principale elemento costitutivo delle parti delle cellule delle piante legnose e forma, dal punto di vista meccanico, l’elemento portante del tronco di un albero. Elaborata grazie alla fotosintesi (la trasformazione dell’energia solare in energia chimica), la cellulosa viene assunta in abbondanti quantità da tutti gli animali vertebrati erbivori, e dagli invertebrati, tra i quali gli insetti xilofagi che si cibano della materia vegetale: dall’erba agli alberi. Va ricordato, inoltre, che grazie ai processi di fermentazione batterica, deriva la capacità dei ruminanti di utilizzare i foraggi, nei quali la cellulosa è presente dal 25 al 45 per cento del peso dei vegetali ingeriti. Anche il legno in opera e il mobilio interessano ad alcuni coleotteri xilofagi. Il cerambicide Hylotrupes bajulus, la cui larva attacca il legno secco nei

boschi e le travature portanti dei tetti. E il ben noto «tarlo» (Anobium punctatum) provoca gravi danni ai mobili non trattati con specifici prodotti. Le larve di entrambe le specie hanno a che fare con un materiale che dà ben poco nutrimento. Questa circostanza è all’origine di lunghi cicli di vita: il baiulo necessita di ben cinque anni per completare l’intero sviluppo dall’uovo all’adulto. Anche il tarlo non è da meno. Nel frattempo, la sua presenza è testimoniata da una finissima polverina colore avorio, che fuoriesce dalle minuscole gallerie (due millimetri) di scavo. Molto prima dell’utilizzo della canna e della barbabietola da parte dell’uomo, numerosi insetti xilofagi hanno elaborato un sofisticato sistema per ottenere lo zucchero dagli alberi e dai mobili. Bibliografia

G. Chararas, Ecophysiologie des insectes parasites des forêts, edito dall’autore (Paris), 1986, 382 pp. Roger Dajoz, Ecologie des insectes forestiers, Gauthier-Villars (Paris), 1980, 487 pp.


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Ambiente e Benessere

Incontro con l’Anaconda verde Mondo sommerso È il serpente più grande del mondo. Anche se famoso, si sa molto poco di questo rettile

Sabrina Belloni; foto, Franco Banfi La prima parte del viaggio è iniziata a Bonito, in Brasile, nel Mato Grosso del Sud. Abbiamo avviato le ricerche degli anaconda con l’accompagnamento di due esperte guide locali. Abbiamo avuto subito la certezza che si sarebbe trattato di un’avventura: discese di cascate con una piccola barca carica di attrezzature pesanti e costose, la fitta vegetazione penetrata facendoci largo a fatica, camminate attraverso l’erba-sega (Cladium jamaicense), la sopportazione delle mosche nere, fastidiose e fameliche, ma soprattutto insensibili ad ogni repellente a nostra portata.

A causa del commercio della pelle e del degrado dei suoi habitat, il numero di esemplari è diminuito anche dove è protetto Gli anaconda si trovano in tutte le terre basse tropicali del Sud America, sempre associate ad ambienti acquatici con precipitazioni superiori ai 1500 mm l’anno. Abita le zone umide, laghi, fiumi e paludi. Predilige acque stagnanti con piccole profondità e con copertura vegetale. Ama vivere in pozze dove può attendere in agguato le sue prede e trascorre la maggior parte della sua vita sotto l’acqua, o in grotte presso le rive dei fiumi. Si trovano raramente in acque chiare o dove c’è corrente, perché preferisce acque calme con vegetazione galleggiante adatta al suo mimetismo.

Nella stagione secca è anche possibile trovarli sepolti sotto il fango dopo che l’acqua della pozza dove vivono si asciuga. Gli anaconda possono rimanere settimane, anche mesi sotto il fango fino a quando la stagione umida riprende. Tuttavia, già dalle prime ore delle ricerche abbiamo avuto incontri soddisfacenti. Il primo giorno abbiamo trovato due enormi anaconda in condizioni perfette per il nostro lavoro. L’incontro iniziale è avvenuto con un anaconda verde (Eunectes murinus) di otto metri che riposava tranquillo sul ciglio del fiume Formoso. Dopo l’immersione nel fiume, con l’attrezzatura fotografica subacquea pronta all’uso, è iniziata l’attesa che questo gigante entrasse in acqua e si lasciasse fotografare da vicino. Le ore trascorse in acqua hanno concesso la possibilità di scoprire il lato

più gentile dei serpenti in natura. Tra le esperienze più dirette, il bellissimo ricordo del vis-à-vis con un anaconda che superava otto metri di lunghezza: nei tentativi di ridurre lo spazio dall’animale, l’anaconda si allontanava solo di poco, tenendo la distanza di sicurezza, senza fuggire, lasciando l’opportunità di fotografarlo in diverse situazioni. In realtà, questi serpenti sono molto intimiditi dagli esseri umani; probabilmente si sentono vulnerabili nei nostri confronti.

Gli anaconda, per loro natura, non aggrediscono gli uomini e non se ne nutrono. Si cibano di prede anche di grandi dimensioni, purché riescano ad averne la meglio e a ingoiarle. L’unica reazione di forza e intolleranza verso gli uomini da noi documentata è stata provocata da un compagno di viaggio. Mentre il serpente nuotava tranquillamente contro corrente a un tratto il sommozzatore ha pensato di rallentarne l’andatura afferrandone il corpo con una mano; il grosso serpente si è girato di colpo verso di lui con la bocca aperta a 180 gradi in segno di difesa. Trascorsi alcuni giorni, consapevoli di aver portato a termine la parte principale dell’impegno fotografico, abbiamo affinato le nostre ricerche, nel tentativo di ottenere immagini migliori, con altre tecniche e con diverse prospettive. Siamo perciò ritornati nello stesso luogo per ben cinque volte e abbiamo ripetutamente incontrato questi serpenti. In seguito all’incontro con il sesto anaconda abbiamo iniziato a valorizzare il nostro successo sommando i metri lineari di anaconda visti: ben 57 metri in totale! Sono seguite alcune notti molto fredde. Tanto che alle prime luci dell’alba il termometro indicava 12° C. Durante il giorno invece il sole ha continuato a splendere con forza riscaldando la terra: condizioni perfette per tornare al fiume e focalizzarsi sugli anaconda che si crogiolavano al sole, adagiati sulle rive; mai ci saremmo aspettati di avvicinare alcuni anaconda di così grandi dimensioni. Il corpo arrotolato di un anaconda che giace nel letto del fiume, ricorda per dimensione il copertone di una

grossa automobile, se non fosse che il colore del serpente è marrone con macchie nere per tutta la sua lunghezza. Normalmente il suo normale colore è verde oliva, con alcune macchie, ma probabilmente gli esemplari di grandi dimensioni mutano colore, sostituendo progressivamente il verde con diverse sfumature di marrone. Guardando un serpente arrotolato non si percepisce la sua dimensione: si vede solamente una minima parte del corpo, una parte che si restringe verso la coda e l’altro capo che va fino alla superficie dell’acqua, dove c’è la testa. L’ultimo giorno la permanenza in acqua, dove nuotare a fianco di un anaconda gigante, è stata di quasi due ore. In nessun momento l’animale si è comportato in modo aggressivo. Nonostante la sua fama e la notorietà prodotta dal film horror Anaconda, uscito nelle sale cinematografiche nel 1997, si conosce molto poco di questi serpenti. Tuttavia, anche se possono essere molto meno minacciosi di quanto si possa pensare, è comunque importante trattarli con rispetto.

Riproduzione La stagione riproduttiva dell’anaconda si estende fra aprile e maggio. In questo periodo le femmine liberano feromoni che attraggono i maschi stanziati nei dintorni, alcuni dei quali percorrono anche grandi distanze per accoppiarsi. Di solito, una sola femmina in calore attrae un grande numero di maschi, che sfregano la loro regione cloacale sul corpo della femmina e contemporaneamente se ne contendono il possesso. Quando infine è pronta per accoppiarsi, la femmina solleva la coda e permette al maschio dominante di unirsi a lei. Questa particolare riunione – così come l’accoppiamento vero e proprio – ha luogo in acqua. La femmina inizia poi un periodo di gestazione che dura circa sei mesi, alla fine dei quali partorisce un numero di piccoli che varia da 20 a 40, anche se in alcuni casi si possono verificare parti che arrivano al centinaio di piccoli. Questi ultimi alla nascita misurano dagli 80 ai 100 cm di lunghezza e abbandonano velocemente il territorio della madre per vivere in autonomia.


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Ambiente e Benessere

Il sogno di Emily

Campi incolti case, stalle laboratori, botteghe,…

Viaggiatori d’Occidente Un tour tra gli Stati più piccoli del mondo

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Claudio Visentin «Sei la mia principessa» diceva sempre papà Jeremiah alla piccola Emily di sette anni. Un titolo di puro affetto che un giorno però non è più bastato. Il padre, impiegato in una compagnia mineraria di Abington, Virginia, ha pensato che una principessa senza regno non è nulla. Per questo ha cominciato a frugare tra le carte geografiche fino a quando ha scovato una striscia di deserto tra Egitto e Sudan: duemila chilometri quadrati, una terra di nessuno scaturita da una disputa tra i due Paesi.

«Ci fu un’estate, una ventina d’anni fa, in cui realizzai che mia nonna se ne sarebbe andata. Stava benino, intendiamoci, e neppure era vecchia. Ma se ne sarebbe andata di lì a poco. Lo sapevo punto e basta. Fu in quell’estate che passai interi pomeriggi a intervistarla. Faceva un caldo bestiale quell’anno…»

Il Principato di Sealand è stato fondato su una piattaforma militare della II guerra mondiale nel Mare del Nord La descrizione non è proprio da promozione turistica, ma a Jeremiah la zona è piaciuta («È bellissimo laggiù, un deserto arido nell’Africa nordorientale. Ci sono volute quattordici ore di viaggio, i beduini circondano la zona, la popolazione è zero») e vi ha fondato il Regno del Nord Sudan (!), all’ombra (si fa per dire, viste le temperature) di una bella bandiera azzurra con stelle (dove l’ho già vista?). Se tutto questo vi sembra folle, rassicuratevi: lo è. Ma è una pazzia più frequente di quanto si creda, tanto che si potrebbe fare un giro del mondo attraverso i microstati. Anzi, perché non considerate la possibilità di fondarne uno voi stessi? Il musicista Frank Zappa sosteneva che «non puoi essere un vero Stato se non hai una birra e una compagnia aerea – una squadra di calcio o qualche bomba nucleare non guastano, ma l’essenziale è una birra». È ovvio, che la sua era solo una battuta. Più seriamente, invece, potremmo dire che i requisiti abituali sono la proprietà di un territorio definito, che vanti l’esistenza di una popolazione stabile e di un governo, e che abbia la capacità di intrattenere relazioni con gli altri Stati. Per prima cosa vi serve dunque un territorio, e la soluzione più sicura, come nel caso di Emily, è cercare qualche angolo di terra restato fuori dai trattati internazionali. Il caso più noto vicino a noi è quello di Seborga, nella provincia di Imperia, che

Il progetto di città su piattaforma marina The Swimming City, del pittore ungherese Andras Gyorfi. (Joepnl)

ha messo in discussione la storica annessione al regno di Sardegna rivendicando la propria autonomia. Altrimenti potremmo ricordare il Principato di Sealand, fondato su una piattaforma militare della Seconda guerra mondiale abbandonata nel Mare del Nord, al di fuori delle acque territoriali britanniche. Dal 1967 il piccolo Stato è governato in forme costituzionali (e non peggio di altri, va detto) dalla famiglia Bates, che volentieri accetterà le vostre congratulazioni per la recente nascita del principino Freddy Michael Roy Bates (candidato un giorno a sposare la nostra Emily?). Potete anche acquistare un titolo nobiliare (www.sealandgov.org), se la democrazia svizzera vi annoia un poco. In mancanza di un territorio tutto vostro, potete sempre proclamare la secessione e l’indipendenza: non sono nati così anche gli Stati Uniti? Un ragionevole modello potrebbe essere Lovely, «il primo Stato interamente con doppi vetri», creato a Londra nel 2005 dall’attore Danny Wallace nel suo appartamento. Risolto questo problema fondamentale, comincia la parte più piacevole, ovvero la creazione di tutto quell’armamentario simbolico del quale nessuno Stato degno di que-

sto nome può fare a meno. Vi serve dunque una costituzione, una bandiera, un inno nazionale, monete, francobolli, passaporti e visti... tutte attività dalle quali potreste anche ricavare qualche risorsa, se riuscite a incuriosire i collezionisti; e mal che vada l’elaborazione terrà impegnati i bambini in qualche pomeriggio di pioggia. Se scarseggiano le idee, potete ispirarvi a John Lennon e Yoko Ono, che il 1 aprile (!) del 1973 fondarono Nutopia, per protestare contro l’ufficio immigrazione che voleva allontanare il cantante dagli Stati Uniti: Nutopia non aveva territorio, né confini, né passaporti, solo cittadini, ognuno dei quali però nelle intenzioni della coppia avrebbe potuto fregiarsi del titolo di ambasciatore con i relativi privilegi diplomatici. La bandiera era rigorosamente bianca, e l’inno nazionale consisteva in alcuni minuti di silenzio, durante i quali ciascuno poteva canticchiare mentalmente la canzone preferita (anche se Imagine, dello stesso Lennon, fu sempre il testo d’ispirazione). In questi tempi tanto tormentati evitate – almeno voi – di creare complicazioni internazionali e state buoni, se potete, o al limite fate come la Conch Republic (Florida) che nel

1982 ha dichiarato guerra agli Stati Uniti per poi arrendersi immediatamente e chiedere aiuti per la ricostruzione… È tutto così facile dunque? Ahimé, no. Al vostro orgoglioso Stato manca, infatti, il riconoscimento internazionale, e non a caso il padre di Emily sta cercando di intavolare trattative con i Paesi confinanti, con le Nazioni Unite e con l’Unione Africana, attività alla quale dedicherà probabilmente le ferie dei prossimi anni, dato che quelle del 2014 se ne sono andate nella fondazione dello Stato. Eppure anche la Svizzera non fu creata in un giorno e potete consolarvi pensando che Taiwan è riconosciuta da pochi Stati, per timore della Cina, e che il Nagorno Karabakh è tuttora privo di riconoscimento da parte di membri delle Nazioni Unite, nonostante abbia una superficie di quasi 11’500 chilometri quadrati, un paio di città e circa 150 mila abitanti. Di certo aggirandosi tra questi minuscoli Stati si finisce per pensare alla piccola, familiare Svizzera come a un colosso, esteso a dismisura nello spazio e quasi minaccioso. Ma forse, per reazione, potremmo fondare un microstato anche qui in redazione, sarebbe una nuova… n-Azione.

M In pescheria la prima trota ASC Sostenibilità Migros è il primo dettagliante al mondo a offrire filetti di trota certificati Migros amplia la propria offerta ed è il primo dettagliante al mondo a offrire filetti di trota certificati ASC. Il pesce certificato dal marchio ASC proviene da allevamenti gestiti in modo responsabile. Migros ha già in offerta specie ittiche certificate ASC, ad esempio tilapia e pangasius. Il marchio internazionale ASC certifica pesce e frutti di mare provenienti da allevamenti sostenibili. Ora l’organizzazione indipendente Aquaculture Stewardship Council (ASC) ha elaborato uno standard anche per le trote. Migros è il primo dettagliante al mondo a offrire nei propri reparti di prodotti ittici filetti di trota affumicati certificati dal marchio di qualità ASC. I primi prodotti ittici sono in vendita a partire da oggi.

Gli allevamenti ittici certificati ASC (vedi foto) devono rispettare chiare direttive. Il foraggiamento delle trote, ad esempio, deve consistere in farina e olio di pesce da fonti sostenibili e la qualità dell’acqua deve essere sottoposta a costanti controlli. Il WWF apprezza gli sforzi di Migros: «Ci rallegra molto che la Migros punti sul marchio ASC e offra ora trote provenienti da allevamenti certificati», dichiara Damian Oettli, responsabile del settore Consumo e economia di WWF Svizzera. «Questo approccio garantisce foraggi sostenibili e il contenimento dell’inquinamento ambientale entro i limiti del possibile». Questa novità rappresenta un passo importante verso la realizzazione della promessa fatta a Generazione M: entro il 2020 tutto

l’assortimento di pesce e frutti di mare offerti da Migros dovrà provenire da fonti sostenibili. Con il proprio assortimento Migros ha già raggiunto questo obiettivo nella misura del 94 per cento. Dato che il consumo di pesce è in aumento, la crescente domanda non può essere coperta esclusivamente con pesce di cattura. È quindi importante ampliare l’offerta di pesce da allevamento. Ma anche l’acquacoltura può creare problemi: densità di avannotti eccessive mettono a repentaglio la salute dei pesci e l’impiego di sostanze chimiche inquina le acque. Per questa ragione nel 2009 è stato creato, su iniziativa del WWF, il marchio ASC. I prodotti ittici provenienti da allevamenti bio non basterebbero a soddisfare la crescente domanda.

C’era una volta l’Appennino, spina dorsale d’Italia. Poi sono venute le guerre mondiali, le emigrazioni per lavoro o scelta di vita, che hanno lasciato in eredità ai figli dei figli dei figli una vecchia casa in qualche paesino, da passarci le estati al fresco, in mancanza di meglio. Uno di loro, Riccardo Finelli, ha cercato di riannodare i fili del suo passato e al tempo stesso ha provato a capire cosa è rimasto di quello che un tempo era un vitale tessuto di boschi, campi, case, laboratori, botteghe, stalle, strade, sentieri… Per farlo nel 2013 ha infilato 2300 chilometri in scooter attraverso 195 comuni, lo spartiacque appenninico per intero: da Passo Giovi, alle spalle di Genova, a Melito di Porto Salvo, in Calabria, esattamente la punta dello Stivale. Il primo verdetto è stato poco confortante: non ha trovato molto che avesse ancora voglia di stare al mondo, tra paesi svuotati e divorati dal bosco, vallate che galleggiano su frane inarrestabili, campi incolti, orizzonti annichiliti da pale eoliche e viadotti. Un Appennino post-agricolo, post-armentizio, post-industriale, post-turistico, e anche post-abitato da quando i suoi abitanti si sono dimezzati (a essere ottimisti). Ma l’Appennino è da sempre terra di resistenze, e anche quando tutto sembra finito resta comunque la voglia di nuovi inizi, che guardano però al futuro più che al passato. Un Appennino laboratorio di diversi stili di vita, più sobri e solidali, di nuove convivenze, di un diverso rapporto con la natura. Bibliografia

Riccardo Finelli, Appeninia. Viaggio nella terra di domani, Neo, 2014, pp. 304, €15,00.



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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

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Cinque deliziosi sughi per intenditori

Dolce frutta Prugne & Co. come piacciono a noi

Arte e cibo

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A Graz la modernità si fonde con la tradizione

A tavola con polpo, seppie e calamari

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Ambiente e Benessere

E… state in salute

Prima di partire Consigli pratici da

chi affronta le vacanze con le idee molto chiare su come stemperare lo stress e ritornare a casa ritemprati

Marka

«È tutto l’anno che sto aspettando queste vacanze, queste meritate vacanze!». E ora, per Stefania, come per tante altre persone, è giunto il momento di partire per l’agognato relax estivo: chi al mare, chi in montagna, chi a visitare città e chi impegnato in qualche giro turistico in una regione del mondo che durante tutto l’inverno ha sognato di visitare e scoprire. Inutile negare che molti di noi investono tempo e denaro per pianificare la vacanza estiva tanto attesa. Perciò l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è che qualcosa non vada per il verso giusto. L’obiettivo è quello di voltare pagina e lasciarsi alle spalle lavoro e routine per un tempo relativamente sufficiente a ritemprarsi e a lenire lo stress accumulato durante i mesi invernali, per poi riprendere la propria vita con rinnovata energia e motivati da nuovi stimoli. Abbiamo chiesto ad alcune persone che si apprestano a partire per le proprie vacanze qualche consiglio su come organizzarsi per ritornare a casa dalle ferie riposati e rinfrescati, piuttosto che stressati, malati o, peggio, feriti. «Ogni anno cerco di considerare il tempo impiegato per il viaggio come un evento sportivo, già parte integrante della vacanza vera e propria», racconta Daniele, impiegato di mezz’età con tanta voglia di scordare, almeno per un paio di settimane, la sedentarietà che la sua professione parecchio legata alla scrivania gli impone durante l’anno. Egli trasforma il viaggio per raggiungere il luogo prescelto in una vera e propria passeggiata: «Mi fermo ogni paio d’ore, magari facendo sosta nelle zone circostanti al mio tragitto e scoprendo qualche paesino che altrimenti non avrei visitato. Questo dà la sensazione di non sprecare il mio tempo in un semplice spostamento per arrivare alla mia meta e così mi sento in vacanza già dal primo istante del viaggio». Il nostro interlocutore si sposta con la famiglia: moglie e un figlio di sei anni, coi quali cura in modo accurato anche l’alimentazione: «Durante il tragitto cerchiamo di non fermarci ai fast food, ma organizziamo i nostri spuntini con cibi sani: verdure in pinzimonio e qualche panino, di pollo grigliato e insalata, portato da casa. In alternativa: una bella trattoria in qualche tappa del viaggio, dove il cibo sia genuino e dove possiamo fermarci a gustarlo con calma». In questo modo, ci spiega, durante il viaggio si evitano gli effetti dei disturbi di digestione come stress, stanchezza e sonno alla guida. «Non dimentichiamo mai una buona scorta d’acqua e di succo d’arancia per mio figlio».

Per le sue vacanze, invece, Gianna ha scelto una meta lontana, per la quale è necessario prendere il volo: «In aereo non è semplice divertirsi durante il viaggio che può sembrare anche particolarmente noioso, secondo la sua durata. Per raggiungere mete lontane, però, questo mezzo di trasporto ha il vantaggio di essere molto veloce e spesso più conveniente». Con lo scopo di limitare i disagi che il volo infligge all’organismo, Gianna ci confida qualche trucco da lei messo in atto sistematicamente: «Distribuisco i bagagli in due piccole valigie, invece di una grande, in modo da poterle trasportare con maggiore agio e i miei bagagli hanno rigorosamente le rotelle. Questo mi permette di trasportarle agevolmente senza alzare pesi inutili». La nostra previdente interlocutrice, prima di fissare la cintura di sicurezza, consiglia di mettere un piccolo cuscino o un altro supporto nella zona lombare: «Tra la schiena e il sedile metto un piccolo spessore, un cuscino che riduca il rischio di mal di schiena, visto che dovrò stare seduta al mio posto per qualche ora». Inoltre, Gianna avrà cura di non incrociare le gambe: «Per non ridurre la circolazione! Infatti, accavallarle può sembrare comodo all’inizio, ma con il passare del tempo crea un peso disuguale nelle anche e nel bacino, che a sua volta può generare un fastidiosissimo mal di schiena». Un occhio accurato anche all’alimentazione durante il volo è la «ciliegina sulla torta» per un viaggio confortevole e riposante: «Quest’anno vado in Thailandia e il volo sarà molto lungo. Avrò cura di avere sempre acqua da bere a disposizione, perché l’aria secca dell’aereo provoca disidratazione e mal di testa, per non parlare del peggioramento dei sintomi del jet lag!». Gianna porterà con sé anche qualche sano snack ammazza-fame e berrà rigorosamente acqua naturale: «L’alcol contribuisce soltanto a disidratarmi maggiormente e perciò in volo evito sempre con cura ogni bevanda alcolica». Infine, ancora qualche dritta per chi, come Maria, parte in auto con la famiglia, verso un albergo in riva al mare nella vicina Penisola: «Con tre bimbi piccoli ho avuto cura di preparare una mini farmacia ben fornita: insieme alle creme solari ad alta protezione e al balsamo per le labbra, ho preparato il materiale per piccoli incidenti o ferite, come bende, pomate antisettiche e rimedi freddi. Il pediatra mi ha prescritto i farmaci per la dissenteria e per la nausea o il vomito, e io ho aggiunto l’aspirina, un lassativo naturale e un termometro». Maria ci racconta pure che suo marito non ha lasciato a casa il proprio cuscino: «Lui dorme bene soltanto con il suo cuscino e perché privarsene durante le vacanze?». Tutti i nostri interlocutori che si sono adoperati per raccontarci i loro piccoli ma efficaci trucchi perché le loro vacanze siano davvero felici e riposanti sono concordi su un ultimo consiglio che Daniele riassume anche per Gianna e Maria: «Non importa quale sia la destinazione o il mezzo scelto per arrivarci, l’obiettivo è quello di divertirsi e di rimanere attivi, perché l’attività fisica, le camminate, le nuotate e tutto quanto assomiglia al movimento ci mantengono in salute, aiutano a diminuire lo stress accumulato e a ritemprarci in vista del rientro a casa». Che cosa aggiungere se non l’augurio di una buona e bellissima vacanza a tutti?

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Ambiente e Benessere

Attesi con la palla tra i piedi Sportivamente Lugano ha dominato il 2014 con la pallavolo, la pallacanestro e la pallanuoto,

conquistando i titoli nazionali. Manca solo il calcio Alcide Bernasconi Non saprei dirvi in che misura cambiano gli usi e i costumi nel mondo dello sport e del giornalismo sportivo. Da quando sono stato messo al beneficio della pensione, pur continuando a frequentare gli stadi, ho perso il contatto con i protagonisti, rafforzando per contro i legami con i vecchi tifosi. Quelli che un tempo dicevano, spesso con un po’ di rabbia in corpo, «scriiv!», ossia «scrivi!». Ciò che significava: riferisci, nero su bianco, della sciagurata conduzione arbitrale, dei fallacci degli avversari rimasti impuniti e via con tutto il lungo elenco delle solite accuse che si fanno, soprattutto in caso di sconfitta della squadra del cuore. Nel frattempo, il linguaggio sportivo giornalistico e radio-televisivo è cambiato parecchio, ma in un certo senso si continua a navigare nella stessa direzione. Parole nuove, che dovrebbero contribuire alla scorrevolezza del… comunicare, sono però spesso lo sfoggio di una fantasia con la quale si cercano nuovi modi di «vendere» il prodotto, cronaca o documentario sportivo, a seconda delle circostanze. Gli ultimi mondiali di calcio ce ne hanno offerto un ampio esempio. La vetrina era di quelle da sfruttare al massimo e al meglio delle possibilità, come in parte è stato ribadito più volte. Spesso la carta stampata, oltre ad avere il compito di valutare la qualità del gioco e dei suoi protagonisti, ha anche quello di criticare – non poche volte con una certa gratuita cattiveria – pregi e difetti di una cronaca e le discussioni dell’ampio, e talvolta autorevole, parterre. Poi, a un tratto, tutto finisce. Eccoci qui ora con un po’ di nostalgia dei Mondiali in Brasile. Soli e abbandonati a noi stessi, senza la possibilità di scuotere almeno il capo per certe affermazioni che non ci trovano d’accordo.

Un momento di gioia durante la partita LuganoWinterthur, vinta dai ticinesi 2-1. (CdT - Maffi)

Penso che avremmo desiderato rivedere alcune partite, sperando che nella ripetizione potessero concludersi diversamente. Una per tutte: Argentina-Svizzera. È stata anche quella una conferma del fatto che i rossocrociati ne avevano ormai abbastanza delle sconfitte onorevoli, con le quali un tempo ci si accontentava non ritenendo possibile andare oltre. Certo è che, se la Svizzera si mettesse a giocare come l’altra sera ha fatto il Grasshopper (GC) contro il Lilla al Letzigrund, torneremmo a essere una piccola squadra che non spaventa nessuno. Errori d’impostazione, tentennamenti, quasi nessun tiro indirizzato nello specchio della porta avversaria, davanti a uno stadio semivuoto. Zurigo, certo, non è Basilea. Un buon numero dei nostri migliori giocatori è stato ingaggiato all’estero e la qualità del campionato svizzero indubbiamente ne soffre, come ha dimostrato il GC. Eppure il calcio mantiene intatto

il suo fascino, anche in Challenge League, dove è bastato un buon avvio del Lugano (e del Chiasso) per guardare al futuro con un po’ di ottimismo in più rispetto alle precedenti stagioni. Siamo però solo all’inizio. L’AC Bellinzona ha svenduto a un’asta, deludente, quelli che sono stati definiti pomposamente i gioielli di famiglia (vecchie maglie, un paio anche gloriose) più altre cianfrusaglie. Al triste mercatino si sono presentati un paio di acquirenti o poco più. Anche perché coloro cui sta a cuore il rilancio del club hanno altre cose a cui pensare. Il Locarno, retrocesso dalla Challenge League, ha fatto bella mostra di sé alla presentazione davanti al solito Casinò; la speranza è di fare un en plein il più presto possibile. In Ticino però lo sport non è soltanto il calcio. Lo sanno tutti. Alcuni club luganesi, ad esempio, si sono tolti belle soddisfazioni. A cominciare dal Ladies Team dell’hockey su ghiaccio, tornato a laurearsi meritatamente cam-

pione svizzero, quasi a voler vendicare la squadra maschile, uscita troppo velocemente ai playoff. Negli sport con la palla sono stati poi colti tre titoli, il più prestigioso dei quali è quello della pallacanestro, con una vittoria per 92-88 nella finale giocata per la prima volta al meglio di sette partite contro l’Olympic Friburgo. Il pubblico luganese è buon intenditore di basket e ha apprezzato lo sforzo della società guidata dal presidente Alessandro Cedraschi, che il basket lo mastica non soltanto quando è dolce. Servono aiuti per portare la squadra più lontano e vedere che cosa si può fare contro avversari stranieri. È indubbio però che la presenza ticinese, sul campo, è ridotta all’osso, così come succede un po’ in tutte le discipline di squadra. Come sembrano lontani i vecchi tempi con la Federale, il Molino Nuovo, il Pregassona, il Viganello, senza dimenticare né il passato del Cassarate, né il presente della Sam Massagno.

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Sudoku Livello facile

E poi c’è la pallavolo con i luganesi campioni in aprile, vincitori del primo titolo della loro storia ad Amriswil. Infine, ultima ma non ultima, la Pallanuoto Lugano, vittoriosa a Kreuzlingen per 10-9 in gara-5 della finale, cogliendo il 14. titolo della sua bella storia. Insomma, con la palla e con le mani, i luganesi ci sanno fare. Imporsi nella pallacanestro, nella pallavolo e nella pallanuoto (soltanto nella pallamano non ci sono prospettive per il Ticino, visto che Oltralpe il dominio è paragonabile a quello della… lotta svizzera) è un’impresa che merita il giusto rilievo. Ora si spera a Lugano che pure con la palla tra i piedi i bianconeri tornino a essere degni di un glorioso, ma lontano passato. Per chiudere, ci sia permesso di applaudire Vincenzo Nibali, il messinese che abita a Lugano («A Viganello» specifica qualcuno; «Macché a Pregassona, in via Fola!» aggiunge un altro) e che dai suoi tifosi siculi è stato soprannominato «lo squalo dello stretto», credo per la sua impresa al Tour che si aggiunge ai trionfi nella Vuelta e nel Giro. In Francia il «siciliano di Lugano» (ormai nel ciclismo si dice così) ha dominato gli avversari rimasti dopo gli abbandoni per cadute di Chris Froome e di Alberto Contador, i due favoriti che Nibali avrebbe avuto il piacere di battere in corsa. La sua impresa non è stata salutata con gli entusiasmi di un tempo come quella di Marco Pantani: il peso che i ciclisti si portano sulle spalle, dopo le brutte storie di doping, condiziona in modo deleterio questo bellissimo sport. E a Nibali noi guardiamo ora come a una promessa per uno sport pulito, nonostante la presenza nel circo delle due ruote di ancora troppi personaggi legati alle tristi vicende di doping, a cominciare dal suo direttore sportivo kazako, Alexander Vinokourov.

Giochi Cruciverba Un negoziante, dovendo uscire per una piccola commissione, lascia un avviso per i clienti sulla porta del negozio: «Torno tra 10 minuti…» Scopri il resto dell’avviso risolvendo il cruciverba e leggendo le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 2, 2, 7, 7, 9, 2, 9) ORIZZONTALI 1. Macigni 5. Allegra in un’operetta di Franz Lehar 10. Loro 11. Il monte della trasfigurazione di Gesù 12. Le iniziali dell’attrice Moore 13. Solcare col vomere 15. Scorre... perfido 17. Lo scrittore Fleming 19. Infossatura del polmone 20. Fondò Filadelfia 21. Il domani di ieri 23. Il cantautore Paoli 24. Pronome 25. La capitale dell’Arabia Saudita 27. La chiesa non li approva 28. Il letto dei wagons

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Scopo del gioco 12

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29. Dei ganci sinistri 31. Fiume polacco 32. Celebre scultore francese 34. Bocca in latino 35. Identifica il veicolo 37. Un anagramma di riso 39. Componimento poetico in distici 40. Schermo VERTICALI 1. Un dito 2. Disturbo della respirazione 3. Le iniziali del giornalista Sottile 4. Esprime concessione 5. Il «battesimo» della nave 6. La coppiera degli dei 7. Nota musicale 8. Spaventevole, disgustosa

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Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contengano tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

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9. Fiume dell’Australia e della Gran Bretagna 11. Siffatti 14. Asticciola millimetrata 16. La moglie di Atamante 18. In contrapposizione con Volente 20. Molto religiosa 22. Articolo per studenti 23. Breve viaggio di piacere 24. La misura della vita 25. Crescono nell’allegria 26. Un Claudio attore e conduttore Tv 27. Frequentate da audaci acquirenti 28. Coalizione 30. Un capolavoro di Michelangelo 32. Croce Rossa Italiana 33. Re di Francia 36. Le iniziali dell’attore Gassman 38. Le iniziali dell’inventore del diesel

Soluzione della settimana precedente

Il proverbio nascosto – Proverbio risultante: La pentola guardata non bolle mai.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Politica e Economia Quadro politico confuso In Francia i partiti si stanno già preparando alle presidenziali del 2017, in un mare di incertezze

Shopping cinese in Sudamerica Secondo viaggio ufficiale del presidente cinese Xi Jinping in un anno nel continente latinoamericano, dove la Cina sta acquistando in gran quantità imprese e infrastrutture, oltre che materie prime pagina 22

Gli effetti della crisi sulle banche Dal 2008 gli istituti bancari svizzeri hanno dovuto ridimensionarsi, numerose banche straniere hanno lasciato la piazza, guadagnano invece terreno Raiffeisen e le banche cantonali

La rincorsa all’Eliseo

Francia Mancano tre anni alle prossime elezioni presidenziali francesi, ma si respira già aria di campagna, con

le lotte intestine nel centro-destra, diviso sull’opportunità di ricandidare Sarkozy, e con il socialista Hollande che cerca di ritrovare un consenso popolare. L’unico partito compatto risulta essere il Fronte nazionale di Marine Le Pen

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La Cina di Xi Jinping intende mostrarsi forte verso l’esterno e stabile al suo interno. (Keystone)

Il vento rosso del sogno cinese

Geopolitica Il gigante asiatico cerca una propria «via del risorgimento». Lo fa mettendo l’accento sulla politica

di sicurezza e sviluppando la rete di infrastrutture che dovranno collegare il Paese con il resto del mondo

Lucio Caracciolo La Cina sta mutando pelle. Non ha ancora fissato una rotta geopolitica. Ma il tempo del «basso profilo» è scaduto. Il cantiere del protagonismo cooperativo o assertivo è avviato. Manca una mappatura codificata degli obiettivi strategici e dei mezzi per avvicinarli, pur se sfrondando la giungla degli ideogrammi ufficiali e ufficiosi ne emerge più d’una traccia. Nel Partito comunista cinese è in corso un confronto aspro, talvolta drammatico, fra orientamenti e interessi molto diversi, ricomposti dalla leadership al prezzo di qualche ambiguità sugli obiettivi strategici di un colosso ormai in grado di orientare il futuro dell’intero pianeta. Tutti gli attori mondiali, a partire dalle potenze impegnate nella partita eurasiatica, sanno che se per avventura la Repubblica Popolare – un quinto dell’umanità, un terzo della crescita globale – sprofondasse in un buco nero, l’effetto sarebbe paragonabile all’impatto di un gigantesco meteorite sulla superficie della Terra.

Non è ipotesi di scuola. La stabilità domestica è la premessa da cui muove la leadership nel tratteggiare le priorità geopolitiche. Primum vivere. Le fragilità intrinseche alle dinamiche territoriali, sociali e culturali che scuotono un colosso dalle periferie instabili e contestate (Taiwan, Hong Kong, Tibet, Xinjiang) circondato da altri Stati-civiltà non esattamente sinofili (Russia, Giappone, India), con i peggiori «alleati» regionali possibili (Corea del Nord, Pakistan) e sotto costante, non benevola osservazione da parte americana, impongono ai mandarini rossi di dormire sempre con un occhio solo. Xi Jinping intende volgere tali rischi in opportunità. In nemmeno due anni ha riorientato l’approccio alla sicurezza interna e al resto del mondo secondo linee attive, non solo difensive. Appena eletto, si è rivolto alla nazione con temi e toni ottimistici proiettati al futuro, citando Mao ma anche il celebre poeta dell’età d’oro, Li Bai: «Cavalcherò un grande vento un giorno e romperò le onde pesanti». La sua retorica del «sogno cinese» (Zhōngguó

mèng), che tanto stona ad orecchie educate all’American dream, indica la «via del risorgimento» (fùxing zhī lù), ovvero il ritorno al rango di grande potenza, naturalmente «di nuovo tipo» (xīnxíng). Sul fronte eurasiatico, «via del risorgimento» è sinonimo di «nuove vie della seta». Xi intende riconnettere la Cina all’Europa e al Mediterraneo attraverso due reti infrastrutturali integrate (ferrovie, strade, porti e interporti, condotte energetiche, eccetera). La prima si snoda via terra da Xi’an a Venezia e di qui all’Europa centro-occidentale, a evocare gli antichi percorsi che connettevano l’impero Han allo spazio di Roma. La seconda converge anch’essa su Venezia, ma via Oceano Indiano-Suez-Mediterraneo. Così marcando la peculiare attrazione dei leader cinesi per l’Italia, regolarmente snobbata dai nostri governanti. Il tutto a formare la «cintura economica delle vie della seta», dai confini ancora vaghi ma di certo tricontinentali. Lo stesso Xi ne ha identificato le cinque nazioni/macroregioni prioritarie: Russia,

cui la leadership cinese assegna in tale contesto il ruolo di connettore infrastrutturale fra Asia ed Europa, insieme al riconoscimento che l’Unione Eurasiatica sognata da Putin e seriamente danneggiata dalla crisi ucraina non è alternativa alla «cintura» cinese; Asia centrale post-sovietica (Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Kazakistan); Asia occidentale (Iran, Iraq, Giordania, Siria, Arabia Saudita e Turchia); Caucaso (Azerbaigian, Georgia, Armenia); Europa orientale (Ucraina, Bielorussia, Moldova). Verso Afghanistan, Pakistan e India sono previste diramazioni importanti - tra cui i collegamenti con il porto pakistano (cinese) di Gwadar – ma su basi bilaterali. Come interpretare questo grande disegno? Anzitutto, non è solo economia, ma anche geopolitica. La ratio di fondo resta la sicurezza, dunque la sovranità nazionale. Nella pianificazione già avanzata e nelle prime realizzazioni della «cintura» si identificano infatti il Xinjiang e in specie la sua capitale

Ürümqi come centri del sistema. Dal 1992 si tiene annualmente a Ürümqi la più grande fiera commerciale dell’Asia centrale, ribattezzata nel 2011 Fiera Cina-Eurasia. Trasformare la periferia più instabile del Paese, epicentro del «terrorismo» uiguro – espressione estrema della refrattarietà dell’etnia autoctona, musulmana e turchesca, alla colonizzazione han – in perno delle nuove vie della seta indica l’obiettivo domestico: accelerare lo sviluppo del Nord-Ovest e ridurre così il fossato che lo separa dal ricco Sud-Est, sedando la linea di faglia più invitante per chi volesse spaccare la Cina. Di più. Volgendosi all’Asia profonda, Pechino intende affermarsi come potenza continentale, a smentire la visione occidentale che la vorrebbe ancorata all’Estremo Oriente e all’oceano cui si affaccia. Un ribilanciamento interno, dopo che i colonialisti europei basarono la penetrazione dei mercati cinesi sullo sviluppo dei porti e del loro immediato retroterra, ad accentuare la frattura che oggi Xi tenta di sanare.

Le temperature e le vacanze estive hanno intorpidito la scena politica francese e le hanno lasciato poco spazio sulle prime pagine dei quotidiani e nei titoli dei radiogiornali e dei telegiornali. È una tregua, però, che sarà di breve durata. Fra alcune settimane, i due principali temi, ossia i risultati della politica orchestrata dal presidente Hollande e il futuro del centro destra, con Sarkozy e l’UMP (Union pour un Mouvement Populaire), torneranno al centro dell’attenzione politica. Sul primo tema non sono attese molte novità. Hollande continuerà a battersi per risalire nei sondaggi, che gli danno poco credito tra i francesi, e il primo ministro Manuel Valls si sforzerà di ottenere qualche risultato positivo sul fronte della crescita economica e della disoccupazione, e cercherà di rafforzare il percorso delle riforme interne, di cui la Francia ha urgentemente bisogno. Sul secondo tema, invece, possono arrivare cambiamenti non trascurabili sia per la guida dell’UMP che per la candidatura del centro destra alle presidenziali del 2017. Cambiamenti che, in buona parte, saranno la diretta conseguenza delle vicende giudiziarie che, nelle ultime settimane, hanno colpito sia Nicolas Sarkozy che l’UMP. L’ex presidente ha svariati conti aperti con la giustizia. L’ultima accusa formulata nei suoi confronti in luglio, è sbocciata in un fermo giudiziario, con un interrogatorio durato ben quindici ore. Un fatto nuovo nella storia della repubblica francese. Si parla di corruzione attiva, di traffico di influenze e di violazione del segreto istruttorio. Quando era presidente, Sarkozy avrebbe ottenuto informazioni da un magistrato, su inchieste in corso che lo riguardavano almeno indirettamente. In cambio, avrebbe promesso al magistrato di intervenire per consentirgli di ottenere un posto importante a Monte

Carlo. A questa inchiesta, che potrebbe protrarsi fin nel 2015, se ne aggiungono altre. Una riguarda presunti finanziamenti provenienti dalla Libia di Gheddafi per la campagna presidenziale del 2007. Un’altra concerne i presunti favori concessi all’uomo d’affari Bernard Tapie. Un’altra ancora è centrata sul finanziamento, ritenuto irregolare, con mazzette e false fatture, della campagna presidenziale del 2012. Sono tutte inchieste che lasciano intravedere un uso spregiudicato del potere durante i cinque anni della presidenza Sarkozy. L’ex presidente si è difeso pubblicamente in una lunga intervista concessa all’emittente TF1. Si è dichiarato innocente ed ha parlato di accanimento giudiziario messo in atto nei suoi confronti, imitando un po’ Silvio Berlusconi che, per anni, ha sostenuto la stessa cosa nei confronti della giustizia italiana. Sarkozy, inoltre, non ha esitato a definire le intercettazioni telefoniche di cui è stato vittima, un metodo tipico della Stasi, la polizia politica dell’allora Germania dell’Est. Gli argomenti al centro della difesa dell’ex presidente sono poi stati ripresi da molti militanti dell’UMP, che non gli hanno tolto la fiducia e che sperano sempre in un suo ritorno sulla scena politica, come protagonista e come presidente nel 2017. Anche l’UMP è finita nel vortice di una tempesta. Le accuse ruotano intorno all’uso che è stato fatto dei soldi pubblici, destinati a finanziare i partiti, i gruppi parlamentari e le campagne elettorali. Le irregolarità commesse durante la campagna presidenziale del 2012, con fatture false e con il superamento del limite massimo concesso, hanno avuto come conseguenza le dimissioni del presidente dell’UMP, Jean-François Copé. Al suo posto è stato insediato un triumvirato di tre ex primi ministri, Alain Juppé, JeanPierre Raffarin e François Fillon. Una misura temporanea, in attesa del pros-

Che cosa succederà nei prossimi mesi? La battaglia si svolgerà dapprima all’interno dell’UMP. Sarà una lotta senza quartiere tra Nicolas Sarkozy, non appena verrà confermato il suo ritorno sulla scena politica, il sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, e l’ex primo ministro François Fillon. Ci saranno anche altri pretendenti, ma sono nomi senza grandi possibilità di successo. Nicolas Sarkozy raccoglie ancora molti consensi nella base del partito. Tenterà probabilmente di conquistare la presidenza dell’UMP, che ha già detenuto tra il 2004 ed il 2007. Se dovesse venir eletto al congresso di novembre, con un’alta percentuale di voti, potrebbe considerarsi il candidato naturale del partito all’elezione presidenziale del 2017 e, quindi, potrebbe essere tentato di rinunciare ad indire le primarie del partito per la scelta del candidato all’Eliseo. La sua strategia ed i tempi d’applicazione saranno in buona parte, però, determinati dalle inchieste giudiziarie in corso. Juppé e Fillon vantano

più consensi di Sarkozy nell’opinione pubblica al di fuori dell’UMP e mirano entrambi all’Eliseo. Cercano di bloccare il ritorno dell’ex presidente e puntano alle primarie, che vorrebbero veder organizzate nel 2016. È un appuntamento che offrirebbe loro la possibilità di confrontarsi direttamente con l’ex presidente sul programma e, soprattutto, che consentirebbe loro di esprimersi finalmente in termini critici sulla presidenza di Sarkozy. È difficile pronosticare l’esito di questa battaglia, sia per quanto concerne il nome del futuro candidato dell’UMP alle elezioni presidenziali del 2017, sia per quanto riguarda il modo in cui questo partito uscirà dalla crisi che l’ha travolto. Per tornare all’Eliseo, Sarkozy dovrà uscire pulito dalle inchieste giudiziarie e dovrà ottenere, oltre i voti del suo partito, anche quelli del centro. I sondaggi indicano che gli elettori non UMP su cui egli può contare non sono entusiasti di fronte all’ipotesi di un suo ritorno. Più lineare e con più possibilità di vittoria, invece, appare il percorso degli altri due pretendenti, in particolare quello del sindaco di Bordeaux, che è apprezzato in tutta l’ampia schiera dei moderati. Intanto, il Fronte Nazionale di Marine Le Pen approfitta della crisi del centro-destra e delle difficoltà che i socialisti al governo incontrano da due anni. Uscita vittoriosa alle ultime elezioni europee, l’estrema destra rappresenta l’unico partito che ha un capo incontestato e che presenta un programma in vista delle presidenziali del 2017. Nessun altro schieramento vanta, per ora, un rappresentante indiscusso, un progetto riconoscibile ed una strategia di alleanze, senza la quale non si entra all’Eliseo e non si ottiene una maggioranza all’Assemblea nazionale. Il centro destra ed il centro sinistra si trovano ancora davanti ad un lungo percorso.

Fosse arrivato in tempo, il Mectizan avrebbe forse impedito che l’oncocercosi distruggesse un intera famiglia, accecando marito e moglie e i loro tre figli, come avvenuto a Garbari, passato dantescamente alla storia come il «girone degli orbi». Muni Karfi, una signora di sessant’anni, candida come i suoi capelli, sta seduta in cortile accanto a Rakye, la figlia cieca, e racconta di aver perso dieci anni or sono il marito e tre dei loro figli: e non c’è commozione nei suoi occhi quando ammette di essere sempre vissuta, fin da allora, «nel buio più completo». Nessuna intenzione, da parte sua, di far ricorso al farmaco miracoloso o alle cliniche destinate al ricovero e

al recupero dei malati della «Cecità del Fiume», che sono legioni. A Kanu, la capitale del Nord, l’ospedale per gli occhi straripa di pazienti: «Un flusso che continua ad aumentare di anno in anno – dice la dottoressa Gisellew. Vengono qui da ogni parte del Paese, ma anche dalle nazioni vicine, come il Camerun o il Niger». Le condizioni igieniche dei villaggi sono catastrofiche. Ci si aggira tra pozzanghere, liquami, rifiuti, cani affamati e rognosi. Stuoli di ragazzini sono in attesa di interventi chirurgici, senza i quali saranno costretti a strisciare come rettili per tutta la vita, in una regione che resta nella memoria come un immenso cimitero senza croci.

Sarkozy e Hollande al momento del passaggio delle consegne nel 2012: saranno ancora loro a contendersi la poltrona di presidente nel 2017? (Keystone)

simo congresso del partito, previsto in novembre e chiamato a scegliere un nuovo presidente. La tempesta, però, non si è fermata a questo caso. A più riprese, negli ultimi mesi sono uscite notizie di sperperi, di finanziamenti ingiustificati, destinati, per esempio, a coprire le spese di viaggi in elicottero di alcuni politici, o gli stipendi di familiari assunti nella segreteria del partito. Rivelazioni che sono state accolte con sdegno e rabbia dall’opinione pubblica francese, confrontata con le difficoltà quotidiane della crisi economica. Creata nel 2002, per riunire una destra moderna e repubblicana, l’UMP presenta oggi un’immagine deplorevole ed ha un debito di 74,5 milioni di euro. E con la rivelazione delle irregolarità finanziarie, sono esplose le rivalità, le ambizioni ed i conflitti personali tra i leader e le correnti del partito. Una guerra fratricida, che è sempre stata presente dietro le quinte, ma che adesso è finita sulla piazza pubblica e che rischia di trascinarsi per lungo tempo.

Nel paese dei ciechi Storie di viaggio Un parassita depositato da una mosca nera che

vive sui fiumi dell’Africa toglie la vista a decine di milioni di persone Ettore Mo, foto Luigi Baldelli Stato di Taraba, Nigeria – sulla crosta della terra – stabilisce una agghiacciante statistica: i ciechi sono quarantacinque milioni; una turba immensa in continua espansione che sottopone a dura prova la scienza medica e le grandi organizzazioni umanitarie. Questa l’amara constatazione al termine di un viaggio a Garbari, villaggio di circa mille abitanti nella Regione sud-orientale della Nigeria, dove i non vedenti sono novanta, tutti vittime della oncocercosi, meglio nota come la «Cecità del Fiume». Li abbiamo visti brancolare nei vicoletti di terra rossa di Garbari, minuscola rappresentanza dei diciotto milioni di persone infettate in trentasette Paesi del mondo già colpiti dal male, mentre ammontano a 350mila coloro che hanno perso irrimediabilmente la vista. Similium damnosum è il nome latino che gli scienziati hanno affibbiato alla piccola mosca nera che si riproduce nei torrenti africani e punge l’uomo

e deposita nella pelle un parassita che si espande fino a danneggiare il nervo ottico. Raggiungiamo in barca il villaggio di Ganqumi, dove l’oncocercosi ha accecato trentasette persone su una popolazione di ottocento abitanti, pescatori, barcaioli, contadini, allevatori di bestiame. Scambio due chiacchiere con Adamu Rubu, sui cinquant’anni, cieco da venti. «Una vita da galera, la mia – dice rassegnato –, i granai sono vuoti. Che fare? Il governo non ci da un centesimo». Ha avuto due mogli che hanno partorito 14 figli. E non c’è futuro neanche per loro, taglia corto Adamu. Non si è arresa invece la nonna di Ganqumi, Hauwa Tansa, ottant’anni, ostetrica del villaggio, rimasta cieca una ventina di anni fa, dopo aver perso il marito che l’ha lasciata con nove figli. «Facevo anche altre cose – confida con orgoglio –, ero una brava parrucchiera e molte belle testoline sono uscite dalle mie mani. Le partorienti mi chiamano tutt’ora al capezzale, anche di notte... È un mestiere che faccio ad occhi chiusi».

Il ricordo più struggente di quelle giornate è legato all’apparizione di una bambina di neanche dieci anni che, non avendo perso la vista, aveva assunto il ruolo di guida per i suoi famigliari – tutti e dieci immersi perennemente nel buio – e adesso se li trascinava dietro per strada, avvinghiati ad un bastone. Generosità che le è costata cara, perché costretta a rinunciare agli studi superiori cui sembrava fatalmente destinata grazie alla straordinaria vivacità dell’intelligenza. Non sembra per nulla turbata dalla presenza di Luigi che ne cattura la grazia e la spontaneità. Frattanto a Guanqumi, come a Garbari, continua la polemica fra chi sostiene che la sciagura avrebbe potuto essere debellata se fosse stato somministrato per tempo il Mactizan, la pillola miracolosa che blocca il proliferare delle microfilarie distruggendo i vermi parassiti annidati nei tessuti. Ma ci sono voluti più di dieci anni per stabilire se l’antidoto, sperimentato efficacemente sugli animali, potesse essere somministrato senza rischi agli esseri umani.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Politica e Economia

Campagna acquisti Geopolitica Il secondo viaggio del presidente cinese

in un anno in America latina rispecchia e approfondisce la strategia di colonizzazione economica nel continente

Angela Nocioni Tour d’affari cinese in America latina, il secondo del presidente Xi in un anno, preparato da un via vai di sherpa e ministri degli esteri che fanno la spola tra Pechino e il continente sudamericano, che interessa i cinesi per le risorse naturali da comperare e per il mercato interno a cui vendere prodotti cinesi di bassa qualità e basso costo. L’America Latina ha convogliato l’anno scorso il 13% degli investimenti esteri di Pechino. Nonostante le misure protezionistiche di alcuni Paesi, Argentina e Brasile soprattutto, il volume di importazione di prodotti cinesi nella regione negli ultimi dieci anni si è triplicato. Solo nel primo trimestre di quest’anno è aumentato del 95%, rispetto all’anno scorso, l’acciaio cinese importato nel continente, 1,9 milioni di tonnellate. In Venezuela, principale destinazione degli investimenti cinesi nella regione, Pechino finanzia il debito pubblico e si fa ripagare in petrolio. Caracas spedisce ogni giorno in Cina 460 mila barili per pagare un prestito, già evaporato, di 20 miliardi di dollari. Ne deve restituire altri 30. La Eximbank e la Banca per lo sviluppo di Cina hanno finanziato gli investimenti nella regione più della Banca mondiale. Secondo l’Università di Boston, la Cina ha speso oltre 102 miliardi di dollari in prestiti in America Latina tra il 2005 e il 2013. Fitto il rapporto della Cina con il Cile, da cui Pechino compra soprattutto rame. Un accordo bilaterale prevede di arrivare ai 60 miliardi di dollari di interscambio entro il 2015. Una norma prevista dal trattato di libero commercio tra i due Paesi consente agli investitori cinesi di ricorrere all’arbitrato internazionale in caso sorgano conflitti sull’interpretazione dei contratti siglati.

Il rame la Cina se lo procura anche in Perù, che ne è il secondo produttore al mondo dopo il Cile. La compagnia di Stato China Minmetals, ha comprato per 5,8 miliardi di dollari «Las Bambas», il giacimento di rame più grande del Perù, in grado di soddisfare il 13% di fabbisogno cinese. La Cina si sta comprando le miniere peruviane all’ingrosso, è già di Pechino il 33% delle risorse minerarie peruviane. Anche nel controllatissimo mercato cubano Pechino fa affari. Nell’ultimo viaggio il presidente Xi si è accordato con Raùl Castro per rafforzare la presenza cinese sull’isola, approfittando della nuova legge cubana che apre agli investimenti esteri. Il principale interesse a Cuba è il Mariel, il grande porto dell’Avana e l’ampliamento dell’industria cinese del fotovoltaico nella provincia di Pinar del Rio. La Cina è già il secondo partner commerciale di Cuba, dopo il Venezuela, con 1,4 miliardi di dollari di interscambio. Grandi acquisti cinesi anche in Bolivia, dove Pechino si occupa di estrarre e lavorare il litio, tesoro nascosto sotto le saline di Uyuni. La Export Import Bank of China finanzia la produzione di gas della Bolivia, fino a sei anni fa controllata dal Brasile. Ha recentemente prestato 60 milioni di dollari per l’acquisto di trivelle per l’industria degli indrocarburi e 108 milioni di dollari per comprare elicotteri H-425. Gli investimenti principali cinesi nel continente latinoamericano rimangono comunque quelli venezuelani, soprattutto quelli fatti per impadronirsi, di fatto, degli impianti per l’estrazione del greggio nel Bacino del Orinoco, l’Eldorado del petrolio venezuelano. A marzo la China National Petroleum Corporation (CNPC) ha firmato un accordo per investire 28 miliardi di dollari che si sommano ai 14 miliardi di dol-

lari già investiti dalla China Petroleum & Chemical Corporation (Sinopec). Anche in Brasile l’affare più interessante per Pechino è lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio scoperti al largo di Rio de Janeiro. La Sinopec ha in mano il 40% della RepsolBrasil (comprata per 7,1 miliardi di dollari) e il 30% dell’olandese Galp (pagata 5 miliardi di dollari) che già hanno in mano i contratti necessari a sfruttare gli idrocarburi brasiliani. Un discorso a parte, per l’urgenza della cronaca di questi giorni, merita l’Argentina. Xi Ping, che si è appena costruito due centrali elettriche nello stato patagonico di Santa Cruz, in Argentina compra di tutto: banche (l’ultima è la Standard Bank) petrolio, grano e riserve minerarie. La Cina è il secondo partner commerciale, dopo il confinante Brasile. È cinese ormai la seconda impresa di idrocarburi del Paese, la China National Offshore Oil Company (Cnocc). Ultimo investimento è la ferrovia Belgrano-Cargas, anche i vagoni dei treni sono cinesi. Centosessanta, appena consegnati. Il rapporto con l’Argentina è delicatissimo e privilegiato per la Cina in questo momento perché Buenos Aires, se non paga i creditori internazionali non avendo trovato con loro un accordo entro il 30 luglio - entra in default, dichiara cioè il fatale «non pagherò» (dal 31.7 è formalmente in «default selettivo»). E si tratterebbe della seconda volta in dodici anni (già lo dichiarò nel 2002, subito dopo la tragica crisi economica del Natale 2001). Buenos Aires ha perciò fame di valuta pregiata perché le sue casse statali non hanno abbastanza dollari in riserva per poter far fronte ai debiti. La Cina, ha invece una gigantesca liquidità da investire, e ha appena aperto una linea di credito all’Argentina per 11 miliardi di dollari. La politica adottata dai cinesi è simile a quella usa-

Anche Cuba sta diventando un importante partner commerciale per la Cina. Nella foto i due presidenti, Xi Jinping e Raùl Castro, il 22 luglio all’Avana. (Keystone)

ta in Venezuela: arriva il pronto soccorso bancomat da Pechino, ma non arriva gratis, in cambio i creditori mettono mano alle leve economiche del Paese infilandosi in settori strategici (dal petrolio alle vecchie fabbriche nazionali). Ma l’urgenza per Buenos Aires è tale che Xi Jiping è stato accolto come un salvatore della patria. Cosa sta succedendo a Buenos Aires, in realtà? Il governo ha depositato in tempo in una banca di New York a fine giugno i 539 milioni di dollari dovuti come prima rata ai creditori privati che, comprate quote del debito argentino prima del default del 2002, dopo un decennio di trattativa avevano accettato le condizioni di risarcimento. Avevano cioè rinunciato al 70% dei crediti, per evitare di non avere nulla. L’1% dei creditori – per lo più grandi fondi speculativi che negli anni scorsi hanno fatto razzia di «tango bond» tra piccoli risparmiatori ricomprandoglieli per un prezzo bassissimo visto che la speranza di farseli rimborsare era molto bassa – è ricorso invece alle vie legali e un giudice federale di New York, Thomas Griesa, gli ha dato ragione. E ha deciso che l’Argentina non può pagare nemmeno un centesimo agli altri creditori, finché non paga i 1,3 miliardi di dollari (ossia il totale tondo del debito) ai fondi speculativi che hanno rifiutato l’accordo. Il

governo di Buenos Aires ritiene che se pagasse quei soldi e se, soprattutto, reclamassero lo stesso trattamento tutti gli altri che hanno accettato finora la ristrutturazione del debito, si troverebbe a dover sborsare 124 miliardi di dollari, cifra esorbitante di cui non dispone. Le riserve internazionali di valuta infatti sono quasi prosciugate. Come mai? Non era resuscitata l’Argentina dopo il tonfo catastrofico della crisi economica del Natale 2001? Sulla resurrezione, si può discutere. C’è chi considera che si trattò di un abbaglio, di una rinascita di cartapesta, basata su una politica pubblica di redistribuzione possibile solo grazie ai profitti dell’export di prodotti agricoli, benedetti dall’impennata dei prezzi del mercato internazionale. L’industria è in caduta libera da anni. C’è chi invece sostiene che senza quella politica redistributiva di taglio peronista non solo non si sarebbero riavviati i consumi interni, ma una buona parte della popolazione sarebbe stata sepolta nella miseria. Le ristrutturazioni del debito furono due: una fatta nel 2005 e guidata da Roberto Lavagna, poi dimessosi per contrasti con l’allora presidente Nestor Kirchner, e una seconda affidata nel 2010 a una agenzia di consulenza. Ora il tempo è agli sgoccioli. Il default è alle porte.

Ritorno alla eterna Benares Seta indiana La città sacra sul Gange assiste immutabile allo scorrere del tempo, con i suoi pellegrini che si bagnano

nelle acque del fiume, i suoi vicoli tortuosi, le vecchie case, le sue contraddizioni e la sua umanità Francesca Marino Confesso di non avere la minima idea di chi diavolo fosse Lal Bahadur Shastri, e di non essere mai stata minimamente interessata a indagare. Il nome però lo conosco, perché è quello che ti accoglie all’arrivo sulla pista dell’aeroporto di Benares (che io, come tutti i suoi abitanti, mi rifiuterò per sempre di chiamare Varanasi) dove, oltre al suddetto nome, non si trova indicazione alcuna del nome della città in cui si è at-

terrati. Neanche adesso che il familiare piccolo e semi-diroccato aeroporto da cui i bagagli si gettavano sul nastro trasportatore da un opportuno buco nel muro è diventato un enorme quanto semi-vuoto trionfo di vetro e acciaio pomposamente ribattezzato «aeroporto internazionale». Sono tre anni che non torno, e l’upgrade in prima classe gentilmente fornito da Air India, che ha venduto più biglietti di quanto non siano i posti disponibili, mi sembra un segno del destino. Un «bentornata a

Benares, l’antica Kashi, resta immutabile. (Keystone)

casa» che comincia all’aereoporto di Delhi e mi fa sorridere anche all’anziano «Benares babu» (traducibile come ricco signore portatore di vizi e virtù tipicamente locali, probabilmente un deputato o simili) seduto accanto a me, che indossa un tradizionale, elegantissimo kurta-pijama di seta cruda nei toni del beige e passa i cinquanta minuti di volo successivi a stuzzicarsi i piedi nudi. Mi metto quasi a correre sulla pista per la fretta di ritrovarmi dall’altra parte, dove Rajiv, il mio fratello-dirakhi (il rakhi è un cordino che si lega al polso dei fratelli veri o adottivi durante una festa annuale che si chiama Rakhsha Bandan) mi sta aspettando con la più scassata delle macchine in circolazione e uno degli autisti di Asi Ghat. Il più stordito, ma va bene lo stesso. La strada è la strada, in fondo, ed è sempre lunga, trafficata, polverosa e caotica. Le prime avvisaglie di Varanasi ti accolgono in un inferno di calore, polvere, traffico e rumore: rickshaw, motorickshaw, biciclette, motociclette, tonga a cavalli che arrivano dai paesi, autobus, pulmini, macchine. Esseri umani, cani e mucche che riempiono gli spazi vuoti. Quando sento qualcuno dire che detesta Benares, domando sempre dove ha alloggiato: e quasi sempre è stato in uno dei lussuosi alberghi a cinque stelle del Cantonment, bellissimi e pulitis-

simi, nel bel mezzo di un inferno che neanche Dante potrebbe descrivere efficacemente. Quella è Varanasi. Per arrivare a Benares, anzi, a Kashi, bisogna attraversare ancora una lunga serie di shopping malls e nuovi Mac Donalds e nuove, enormi sale cinematografiche multiplex che sorgono come funghi assieme ai primi negozi di catene di abbigliamento occidentali e non. Il mio personale punto di svolta è un vecchio tempietto semidiroccato all’ombra di un albero di pipal, che resiste ancora testardo all’assalto del vetro e del cemento. Da lì comincia Benares, per me. Un inferno più esotico e a misura d’uomo, dove mancano gli autobus e aumentano i rickshaw e dove la confusione generale è arricchita da occasionali cortei matrimoniali quando è stagione, non occasionali cortei funebri, qualche elefante di passaggio, scimmie e rari tori assisi nel bel mezzo della carreggiata. Quando cominci a sentire rumore di campanelle e preghiere, risate e grida dei venditori di strada sei vicino ai ghat. Ad Asi ghat, a casa. Comincio a sorridere e poi a ridere nel rivedere la strada sterrata e accidentata, i visi familiari nei negozi e agli angoli della strada. I bufali, la strada cosparsa di escrementi di mucca. I chaiwallah, i mendicanti. Scendo dal taxi e corro dritta sul ghat, lascio le ciabatte e corro verso l’acqua

per ringraziare madre Gange di avermi permesso di tornare. Quando torno su, un coro di «Namaskar Didi-ji» mi accoglie: il barbiere, il chaiwallah, la fioraia, la venditrice di noccioline, il tabaccaio, il mendicante all’angolo, la bambina che vende lumini da far galleggiare nell’acqua. Salgo le scale familiari del Ganges View e vado dritta a toccare i piedi e invocare la benedizione dell’anziana madre di Sheshank, il proprietario di quello che in teoria è un albergo ma che per me è come fosse casa. Prendiamo il chai e ci raccontiamo gli avvenimenti degli ultimi tre anni, senza fretta. Qualcuno è nato, altri sono morti, qualcuno è andato via dopo anni di permanenza. Hanno costruito nuove stanze, aperto un nuovo ristorante. Ma Kashi, la città di luce, è ancora e sempre là. Nelle vecchie case, nelle nuove insegne, nelle sue contraddizioni, nella sua bellezza nascosta e nelle sue devastazioni palesi. Nel cuore della gente, che ti saluta come se non fossi mai partita. Se non vivete sui ghat, non potete dire di essere stati a Benares. Varanasi cambia e spesso non in meglio, come tutte le città del mondo. Ma Benares o meglio, Kashi, non cambiano mai e sono sempre pronte ad accoglierti. Senza giudizi, senza commenti. Basta soltanto allargare le braccia e lasciarsi andare.


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Politica e Economia

Banche svizzere, gli effetti della crisi Finanza I grandi istituti hanno dovuto

ridimensionarsi e molte banche estere hanno lasciato la piazza. Ne traggono vantaggi Raiffeisen e le banche cantonali. Intanto arriva Postfinance

Ignazio Bonoli

Un marchio vale quando può contare su una forte relazione con i propri consumatori. (Keystone)

Decommodizzare Dietro il marchio Come «nobilitare» un prodotto «normale»

Mirko Nesurini In economia, una commodity è una merce richiesta dal mercato che viene fornita senza una particolare differenziazione rispetto alla concorrenza. Facciamo alcuni esempi, di facile comprensione: il grano, il petrolio, il rame. Si tratta di prodotti di «base», non elaborati, semplici nella loro specificità. Decommodizzare, nel linguaggio del marketing, fortemente influenzato dalla lingua inglese, significa allontanare un prodotto normale dalla normalità, dalla basicità. Decommodizzare è eleggere un brand al ruolo di elemento differenziale rispetto alla banalità.

Chi riesce a differenziare prodotti simili può trovare la chiave per il successo di un brand Il caffè (Illy) è stato decommodizzato, così come il Lavazza o il Chicco d’Oro. Le banane (Chiquita) sono state decommodizzate. Differenziare è un esercizio ovvio nella dinamica commerciale quotidiana. Lo fanno gli strilloni al mercato rionale e i grandi marchi in televisione. Nel mercato competitivo è utile essere diversi per spuntare una vittoria sul competitore. La differenziazione non è solo sul prodotto. Prendiamo a prestito, per un esempio, il caso del petrolio. Un litro di petrolio è un litro di petrolio. A generare differenza è il prezzo di vendita, le riserve che il produttore può garantire, la continuità di fornitura: insomma, una serie di elementi che hanno poco a che vedere con il prodotto. Quando ci occupiamo di prodotti della terra la questione assume un ruolo di maggiore interesse. Assumono importanza gli elementi caratteristici del territorio: lo sanno tutti che l’uva del Bordeaux è migliore di quella che cresce in India e di conseguenza tutti possono intuire che il vino francese è meglio del vino indiano. Ma proviamo a ragionare sulle banane, sul caffè, sugli ananas che vengono più o meno dalle stesse regioni della terra e sono più o meno uguali. Qui a contare è il trattamento del trasformatore. C’è differenza tra un caffè raccolto

al momento giusto, lavorato in una certa maniera rispetto a un caffè tardivo, tostato male, forse bruciato. Esiste una differenza tra un bene coltivato impiegando mano d’opera da lavoro minorile, piuttosto che una coltivazione in cui vige un trattamento rispettoso delle persone. Esiste una differenza sostanziale tra una piantagione riguardosa dei tempi della terra rispetto ad una piantagione estensiva. Esistono dunque alcuni elementi del processo produttivo che sono amici della decommodizzazione. Per riconoscere un prodotto buono da uno cattivo serve una garanzia. Sulle garanzie possiamo discutere, senza voler polemizzare. Esistono marchi di origine dei prodotti gestiti in modo serio, come il Marchio Ticino. Ne esistono altri che sono delle operazioni di immagine in cui risulta difficile vedere la sostanza e l’originalità del progetto. I consumatori, in genere, si fidano dei marchi di origine se sono vicini alla loro abitazione oppure molto conosciuti. Per vari motivi, se sullo scaffale ci sono le fragole prodotto dal signor Mario di Preonzo, vengono giudicate migliori di quelle del signor Pedro di Siviglia. Se il signor Pedro le vende a metà prezzo e più o meno il look è simile rispetto a quelle di Mario, la signora Maria qualche domanda se la fa. Il signor Mario di Preonzo a quel punto avrà poco da fare. Deve abbassare il prezzo delle fragole oppure trovare il modo di decommodizzarle. Per decommodizzare le fragole di Preonzo, il marchio (di qualità o di altro genere) è un ottimo strumento. Il marchio è uno strumento molto competitivo. Non bastano grandi fondi economici per costruirlo. Un marchio vale quando può contare su una forte relazione con i propri consumatori, quando detiene un’ottima reputazione. Per costruire una relazione con il consumatore, servono anni e anni di coerenza. Proviamo a vedere assieme cosa non è un marchio. Un marchio non è un vostro amico, non vi consola quando siete tristi, non è fedele come il vostro cane o simpatico come il vostro gatto, non vi viene a trovare quando siete malati (… se non si tratta di un brand farmaceutico). Proviamo a vedere cosa è un marchio. Un marchio vi segue ovunque («Corriere del Ticino»), si poggia sulle vostre parti intime e voi non reclamate

(Cotonella), è dentro di voi (Marlboro), lo indossate (Armani), gli affidate tutti i vostri dati personali e anche le vostre password (Visa). Da parte sua il brand conosce voi e tanti altri come voi e fa delle sintesi. Vi suggerisce le migliori letture per mantenervi informati sull’attualità, per mantenere morbido il vostro fondo schiena, per bruciare i vostri polmoni, per farvi apparire belli e alla moda, per gestire meglio i vostri soldi. La relazione tra voi e i brand è molto chiara. Avere un rapporto intimo legato ad un bisogno reciproco. Il vostro è un bisogno di beni di consumo, quello del brand è un bisogno di conoscenza. Voi avete il beneficio di poter scegliere il meglio. Il brand vi conosce, conosce molte persone come voi ed è in stato di concorrenza con altri brand, perciò, probabilmente farà il possibile per prevedere cosa è il meglio per voi. I catastrofisti e quelli che non hanno di meglio da fare che vedere il mondo al negativo vi diranno che i brand sono tutti d’accordo per fregare la gente per accumulare quattrini facili. Da parte mia, in modo genuino, e dopo tanti anni passati a fare da consulente a grandi marchi, non ci credo. Altrettanto genuinamente credo che i brand facciano di tutto per migliorarsi, in un contesto di mercato cinico e assai competitivo. Alcuni ci riescono mantenendo una linea coerente, altri fanno i furbi ma poi vengono puniti e quindi smettono di essere brand credibili. Il valore di onestà del brand è il vero elemento di decommodizzazione, ma anche il più fragile. Decommodizzare è un esercizio difficile e spesso tirato per i capelli. Alla fin della fiera, le fragole di Mario saranno pure ticinesi, saranno genuine, saranno coltivate con tutti i crismi di questo mondo, ma se costano il doppio, la signora Maria si farà delle domande. E a queste domande è utile rispondere in modo coerente e tenendo ben presente che la gente è pronta a fare follie, ma per una buona ragione. Per riuscirci è necessario essere davvero i migliori. Per questo, personalmente, ammiro quelle aziende e associazioni di produttori che sono riuscite a costruire un brand per rappresentare i prodotti più banali. Queste aziende sono i veri campioni della materia. Provate voi a costruire un brand di grande successo per vendere un pomodoro, o una mela o una castagna...

Dopo quelli sulle maggiori aziende svizzere (vedi «Azione» 21.7.14), la «Handelszeitung» ha pubblicato i risultati dell’indagine 2013 sulle maggiori banche svizzere. Il settimanale contiene anche un ricco opuscolo che analizza i molteplici aspetti del settore finanziario e fa il punto della situazione sul settore e sulle prospettive di sviluppo a breve e medio termine. Il settore bancario svizzero ha da qualche tempo un ruolo molto importante nella creazione di ricchezza del Paese. Il suo contributo al prodotto interno lordo è pari al 15%. Gli allarmi che l’accompagnano oggi si estendono subito ad altri settori, compresa l’edilizia e il suo finanziamento, ma anche ad altre attività. Basti ricordare qui le grandi preoccupazioni dei gestori di capitali, soprattutto di quelli che hanno vissuto all’ombra del segreto bancario, che ormai sta scomparendo. Quindi se anche le banche attueranno con successo la loro riconversione, le conseguenze per alcune attività in Svizzera si faranno sentire pesantemente per qualche tempo. Ma vediamo quali sono i risultati principali per il settore finanziario nel 2013. In generale, le banche stanno subendo una fase importante di ridimensionamento. L’UBS, che rimane la maggiore banca svizzera, ha visto ridursi il proprio bilancio di quasi il 20%. La segue il Credit Suisse, che riduce il bilancio del 5,6%. In contro-tendenza si muove il gruppo delle banche Raiffeisen che aumenta invece il proprio bilancio del 5% (177 miliardi) e si installa solidamente al terzo posto della graduatoria nazionale, precedendo la Banca cantonale di Zurigo, da tempo ormai considerata alla stregua di una grande banca, con un bilancio di quasi 150 miliardi di franchi. La nuova entrata in questo campo dei grandi istituti bancari è Postfinance, con un bilancio di 115,2 miliardi di franchi. Un’altra classifica – che considera la gestione patrimoniale – pone l’UBS ai vertici mondiali con un totale di 1’967 miliardi di dollari di capitali amministrati. Segue l’americana Bank of America, mentre il Credit Suisse è al quarto posto con 888 miliardi di dollari. Altre quattro banche svizzere figurano tra i 25 maggiori istituti in questo settore, secondo la statistica allestita dalla londinese Scorpio Partnership.

UBS resta la principale banca, nonostante il bilancio sia diminuito di un quinto. (Keystone)

Nella classifica per cifra di bilancio, la Banca Migros figura al nono posto con 38,9 miliardi, in aumento del 2,9%. Tra le banche presenti in Ticino, la Banca della Svizzera italiana, la cui maggioranza del capitale è recentemente passata da Generali alla brasiliana BTG Pactual, figura al 17esimo posto, con 24,9 miliardi, in aumento del 2,4%. Grosso calo – tra le banche estere – della BNP Paribas (Suisse), che perde il 20,2% della cifra di bilancio e scende dal decimo al diciottesimo posto. Analoga sorte per la HSBC Private Bank (Suisse) che scende dal quinto al decimo posto, con un calo della cifra di bilancio del 51,2%. Tra le dieci maggiori società d’assicurazione – che sono l’altra componente maggiore del mondo finanziario svizzero – il gruppo Zurigo si mantiene nettamente in testa con un incasso lordo di premi di 57,2 miliardi, seppure in calo dell’8,6% rispetto al 2012. Seguono la Swiss Re con 25,4 miliardi (+8,6%), la Swiss Life con 18,0 miliardi (+5,4%) e la Axa Versicherung (ex-Winterthur) con 13,0 miliardi (+0,4%). Riguardo al numero di personale occupato troviamo sempre al primo posto l’UBS con oltre 60’000 dipendenti, seguita da Credit Suisse (46’000), dal Gruppo Raiffeisen (8887) e dalla Banca cantonale di Zurigo (4818), superata però da Julius Baer (5090), mentre Postfinance dava lavoro nel 2013 a 3432 dipendenti. Nelle assicurazioni sempre la Zurigo occupava 55’102 dipendenti, seguita da Swiss Re (11’574) e da Swiss Life (6992). Questa statistica conferma in sostanza quanto già fatto notare dalla Banca Nazionale Svizzera. Escludendo l’arrivo fra le banche di Postfinance, la somma totale di bilancio di tutte le banche sarebbe diminuita dell’1,7%. Questo calo sarebbe ben superiore se non si fosse verificato un forte aumento dei bilanci delle banche orientate soprattutto al mercato interno: Raiffeisen, banche cantonali e banche regionali. La crisi non ha comunque finito di avere effetti soprattutto sulle due grandi banche UBS e CS che – a causa delle maggiori esigenze delle regolamentazioni nazionali e internazionali – devono ridurre la cifra di bilancio e nel contempo aumentare il capitale proprio. La crisi ha colpito severamente anche le banche estere. Undici di queste hanno abbandonato la Svizzera, tra cui le grandi ABN Amro e Merrill Lynch, mentre altre stanno per fare altrettanto. In totale, 16 banche hanno cessato l’attività in Svizzera nel 2013. Otto a seguito di fusioni, e cinque chiudendo l’attività. Sempre secondo la BNS, erano attive in Svizzera 283 banche, cioè circa la metà di quelle in attività nel 1989. Nel solo 2013 sono scomparsi oltre 21’000 posti di lavoro (–4%), la maggior parte dei quali però all’estero. Più stabile è invece rimasto il settore assicurativo, il cui numero di compagnie è sceso da 261 nel 2007 a 223 (–15%) nel 2013. Il ridimensionamento è però dovuto in massima parte alla scomparsa di casse malati (da 47 a 16), nonché ad alcune fusioni. Il settore finanziario, ridimensionato, si è anche rinforzato e sta per affrontare altre importanti sfide, sia sul piano interno sia su quello internazionale, che non escludono anche qualche colpo di scena clamoroso.


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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la piazza di Angelo Rossi Le ragioni del benessere elvetico Estate, tempo di vacanze; l’attenzione verso l’attualità diminuisce, si accresce invece la riflessione. Uno dei temi che viene discusso da almeno 50 anni, ossia da quando la Svizzera occupa una delle prime posizioni della classifica dei Paesi in materia di benessere, è quello concernente i fattori responsabili dello stesso. I critici della Svizzera tendono ad attribuire i suoi successi economici al segreto bancario e alla sua neutralità che ha risparmiato al Paese di essere coinvolto nelle due guerre mondiali del secolo scorso. I sostenitori del modello elvetico attribuiscono invece il suo successo all’operosità dei suoi lavoratori e alla creatività dei suoi imprenditori. Il lettore avrà rilevato che il propendere per l’una o per l’altra spiegazione coinvolge un giudizio morale. Se si pensa che la neutralità e il segreto bancario siano i fattori del successo economico elvetico si tende anche a pensare che lo

stesso non sia meritato. Meritatissimo invece sarebbe il successo economico se dipendesse dall’impegno dei lavoratori e dal genio degli imprenditori. La questione sui determinanti del successo economico della Svizzera non è quindi una questione sul sesso degli angeli. Recentemente Tobias Straumann, professore di storia economica all’Università di Zurigo, ha sviluppato una tesi per relativizzare l’importanza della neutralità in guerra e del segreto bancario nella determinazione della crescita dell’economia elvetica. Ridotta all’osso la tesi di Straumann sarebbe la seguente. Se i due fattori citati dai critici hanno avuto un’influenza positiva sulla crescita l’ hanno avuta nel Ventesimo secolo, il secolo delle due guerre mondiali e dell’introduzione del segreto bancario. Ma l’economia svizzera era già in testa alle classifiche alla fine del Diciannovesimo

secolo. Di conseguenza, se vogliamo spiegare il perché di questa permanente presenza nel gruppo di testa delle economie mondiali, dobbiamo rifare la storia dello sviluppo del nostro Paese, risalendo non solo all’Ottocento, ma addirittura fino al Medioevo. È in quell’epoca, infatti, che si è formato il vantaggio economico della Svizzera sulle altre nazioni, quando città come Zurigo, S. Gallo, Basilea e Ginevra cominciarono ad affermarsi come centri commerciali e di produzione di importanza europea. Poi, secondo Straumann venne la Riforma e con essa, da un lato, l’alfabetizzazione della popolazione, premessa indispensabile per la diffusione delle idee, e, dall’altro, l’immigrazione dei riformati perseguitati, fattore determinante per lo sviluppo dell’industria orologiera. E già siamo alla rivoluzione industriale che, come si sa, non è nata in Svizzera, ma in

Inghilterra alla fine del Settecento. Ma già 30 anni dopo, grazie anche ai sette anni di protezionismo delle industrie europee nascenti, garantiti dal blocco napoleonico, gli imprenditori svizzeri riescono a sviluppare le prime filande meccanizzate. Poco più tardi, dagli atelier di riparazione delle macchine tessili, nasce l’industria delle macchine e, verso la fine dell’Ottocento, fanno la loro apparizione l’elettrotecnica e la chimica. Alla fine di quel secolo, come si è già ricordato, la Svizzera era uno dei Paesi più ricchi del mondo. Neutralità e segreto bancario non sono quindi i fattori all’origine del benessere materiale degli svizzeri. Nel perseguimento di questo obiettivo siamo stati aiutati dalla storia: con la Riforma, con l’immigrazione dei perseguitati religiosi, con il blocco napoleonico. E con la storia, di sicuro anche dalla geografia. La Svizzera si trova nel bel

mezzo di uno degli archi di sviluppo più importanti del mondo: quello che va dal sud dell’Inghilterra al nord dell’Italia. Siamo stati commercianti accorti prima di diventare industriali geniali e, infine, banchieri criticati dal resto del mondo. Rispetto a molti altri Paesi siamo stati, sin dal Medioevo, almeno nelle nostre maggiori città, più aperti alle persone e alle idee che venivano da fuori, meno intolleranti in materia religiosa. Intendiamoci, il più e il meno non sono valutazioni assolute: si misurano in riferimento a quanto purtroppo è accaduto in altri Paesi europei a noi vicini. In definitiva, la Svizzera si è sviluppata perché per la sua economia – al contrario di quanto è invece capitato nel caso ticinese – le Alpi non sono mai state una barriera, ma un elemento di congiunzione tra sistemi economici obbligati a commerciare tra di loro.

concerto, i tassisti anziché farsi trovare sul posto cercheranno molto spesso di girare al largo. Questo perché il taxi non è considerato un servizio, ma una rendita. È il cliente che deve andare incontro al tassista, non il tassista che deve andare incontro al cliente. A ben vedere, la mentalità è la stessa nella pubblica amministrazione. Lo Stato non si considera al servizio dei cittadini; pensa che i cittadini siano al suo servizio. A maggior ragione lo pensano i burocrati. In Italia chiunque eserciti una funzione pubblica ha in mano un tassello di potere; e lo esercita nei confronti delle persone di cui dovrebbe essere al servizio, e che oltretutto gli pagano lo stipendio. Questo vale per gli uffici pubblici, per i vertici dell’amministrazione, dai ministeri al Parlamento: gli scandalosi privilegi che i politici italiani si sono assegnati in questi anni si spiegano proprio con questa mentalità, che si potrebbe definire borbonica. Renzi sostiene di volere scardinare questa cultura. Essendosi costruito contro la vecchia classe politica, il premier tenta in ogni modo di crearsi nuovi obiettivi

polemici: i prefetti, i segretari comunali, e in genere tutto quello che sa di burocrazia; i sindacati, la Rai, e in genere tutto quello che sa di vecchia sinistra. E poi ovviamente le banche, i mercati, l’Europa intesa come rigore e austerity. Fin qui i suoi calcoli si sono rivelati giusti, le reazioni degli italiani l’hanno premiato. Ma quando le riforme e i cambiamenti che Renzi chiede arriveranno a toccare la vita quotidiana dell’italiano medio, siamo certi che il premier godrà ancora dello stesso consenso di oggi? In una parola: davvero gli italiani sono pronti a cambiare? Desiderano sul serio il mutamento di cui parlano? Oggi Renzi sa di valere il 40 per cento, e oltre. Tra tre anni e mezzo, quando scadrà la legislatura, chissà. È possibile che il presidente del Consigli acceleri i tempi. Tanto più che il suo ormai unico alleato, Angelino Alfano, non può pensare di governare per cinque anni con il Pd per poi tornare a destra all’ombra di Berlusconi. Alfano chiederà a Renzi un patto di governo e un’alleanza elettorale; altrimenti l’esecutivo comincerà a vacillare. Non è affatto escluso quindi

che si vada a votare nel 2015, a maggior ragione se nel frattempo sarà stata approvata la riforma elettorale. Renzi può davvero aprire un ciclo politico, e non solo per mancanza di alternative. Grillo si sta sgonfiando, anche se non sparirà del tutto. Berlusconi tenterà di mantenere un potere di veto e di interdizione, se non altro per presidiare il campo del centrodestra in modo da lasciare il partito a uno dei suoi figli e da salvare le aziende di famiglia. Ma le carte le ha in mano Renzi. Se chiederà al Quirinale di portare l’Italia alle urne, alla fine del semestre di presidenza europea, subito dopo Giorgio Napolitano potrebbe dimettersi; a questo punto un Renzi trionfatore alle elezioni anticipate potrà scegliere un nuovo capo dello Stato che non gli faccia ombra, magari una donna non di primissimo piano. Se invece sarà questo Parlamento a eleggere il successore di Napolitano, per Renzi si aprirebbe un altro rebus difficile da risolvere. Una ragione in più per spingere in vista di un voto prima del tempo. Che non è affatto una certezza, ma rappresenta una ragionevole possibilità.

stra a trovare il coraggio per liberare il nostro futuro dai vincoli, lacci e legacci della politica, così da creare un nuovo consenso popolare. A un simile gesto stavo pensando da mesi, più precisamente dalla lettura dell’intervista rilasciata al «Corriere del Ticino» per Capodanno dall’allora presidente del Gran Consiglio Alessandro Del Bufalo. Dal suo osservatorio privilegiato il «presidente di tutti i cittadini del cantone» si era sentito in dovere di esternare queste apprensioni: «Quello che a me preoccupa maggiormente è che si perda tempo a discutere sulla modalità di contenere il disavanzo, senza che nessuno abbia dimostrato la reale volontà di contenere la spesa, che è sempre e solamente cresciuta. Il freno ai disavanzi non va confuso con una riduzione della spesa: non è altro che uno strumento che permette al Parlamento di aumentare le imposte. Il fatto che si dica che tanto non aumenteranno, perché vincolato a una maggio-

ranza dei 2/3 dei deputati, significa che i tre partiti stanno discutendo intorno ad una misura che loro stessi ammettono che non verrà mai attuata. Personalmente la ritengo una presa in giro». Blocco qui il mio «liberi tutti», in modo da ricordare ai tre partiti che hanno trascorso altri duecento giorni «intorno ad una misura che loro stessi ammettono che non verrà mai attuata» e che ora ne hanno a disposizione assai meno per dimostrare che la loro non è «una presa in giro». Missione impossibile? Qualche speranza, soprattutto in politica, c’è sempre. Di recente in uno dei mirabili articoli, dedicato alla mancanza di vocazione politica (recava il significativo titolo «Giovani, meno giovani e padreterni»), l’ex capo dell’Ispettorato dei Comuni Eros Ratti suggeriva una triade di consigli per chi intende debuttare nelle istituzioni e impegnarsi al servizio del bene comune. A una solida preparazione e allo spirito di iniziativa (nel senso nobile

del «darsi da fare») abbinava anche questa esortazione: «Che si eviti il più possibile di fare il “diverso” e, sull’altro lato, di vivere nell’ombra dei colleghi o dei compagni di banco. La regola di battersi in prima persona, scevri da condizionamenti di ogni tipo ma sempre nel rispetto e nella considerazione delle opinioni altrui, è indice di mentalità superiore, di spirito di sacrificio e di esatta conoscenza del significato del vivere in comunità». Eccolo il «liberi tutti» più adatto per il nostro cantone: l’impegno corale per recuperare il senso dello Stato. Ratti lo evidenziava concludendo che «quella indicata è la strada più giusta da seguire in quanto ti permette di lavorare anche per gli altri più che per te stesso, di lavorare per il futuro più che per il presente e di avere a fondamento della vita il senso dello Stato». Qualche partito è disposto a proporre questa regola nel suo programma elettorale per i candidati che eleggeremo la primavera prossima?

In&outlet di Aldo Cazzullo L’Italia è disposta a cambiare? Com’è noto, l’anno non finisce il 31 dicembre, ma il 31 luglio. Dopo la pausa estiva, si ricomincia. E quindi questi giorni, più ancora di quelli attorno a Capodanno, sono i migliori non soltanto per tracciare un bilancio del passato, ma per cercare di antevedere il futuro. Forse anche nella politica italiana, per quanto sia tradizionalmente esposta all’alea e all’instabilità. Non era difficile prevedere che Matteo Renzi sarebbe stato giudicato dagli italiani non per com’era andato al governo, ma per come avrebbe governato. Alla luce del 40 e passa per cento raggiunto alle elezioni europee, bisogna riconoscere che l’ex sindaco di Firenze ha fatto bene a reclamare il posto di Enrico Letta a Palazzo Chigi. Con il vecchio governo, lo scontro con Beppe Grillo sarebbe stato molto più difficile per il partito democratico. Renzi più che governare finora ha fatto campagna elettorale. Ha detto più o meno le cose che la gente voleva sentirsi dire, e in parte ha iniziato a farle. Il punto-chiave del suo discorso è più o meno questo: bisogna restituire agli italiani autostima, quindi fiducia

in sé stessi e nel futuro; ma nello stesso tempo bisogna convincere gli italiani che è necessario cambiare. Non cambiare tutto; ma cambiare tutti, almeno un poco. Renzi ha sempre detto di amare gli italiani così come sono, e di voler cambiare il Paese, non loro. Però adesso si è reso conto che senza un mutamento profondo delle abitudini, della mentalità, delle regole, la ripresa economica non è possibile. Da qui la domanda: gli italiani sono davvero disponibili a cambiare? O sono rassegnati a un declino neppure così lento? Prendiamo un aspetto all’apparenza marginale della vita pubblica, in realtà non così trascurabile: i taxi. Per uno straniero qualsiasi Paese comincia con un taxi. Purtroppo, per molti di loro l’Italia comincia male. Da decenni si tenta di liberalizzare il servizio, e non ci si riesce. Non è solo una questione di regole, ma di mentalità. Non soltanto è quasi impossibile fermare un taxi per strada; a volte non ci sono neppure i taxi in stazione. Se poi c’è un evento importante, ad esempio un torneo di tennis, una partita di calcio, un convegno, un

Zig-Zag di Ovidio Biffi Sul tender di uno yacht di lusso Con la festa nazionale ormai alle spalle, ogni riferimento al patriottismo, oltre che tardivo, rischia di essere stantio. Soprattutto quest’anno, con quel lungo aperitivo dell’inno patrio da rinnovare (non lo ha chiesto nessuno, ma qualcuno si dice convinto che prima o poi lo si chiederà e allora ecco il «concorsone»; così, «tanto pe’ cantà» diceva una canzone di Petrolini). Perciò provo a girarci attorno e parlo soprattutto del dopo. Di solito archivio il 1. Agosto indirizzando un personale ringraziamento al magico meccanismo di ingranaggi delle nostre strutture democratiche, ancora in grado di adattare la realtà politica a un consenso popolare sempre più difficile da interpretare. Ne abbiamo un esempio sotto gli occhi, quello del voto popolare del 9 febbraio che fatica a passare attraverso le macine dei mulini federali come popolo comanda, oltre che ad assorbire critiche e ostracismi dell’Ue e dai soliti «vicini amici».

Da queste situazioni disegno con la mente una Svizzera geografica che, vista da dietro e invidiata da tutti, solca le procellose acque dell’Unione europea simile a uno yacht di gran lusso. La rappresentazione marinara deve avere «drogato» la mia fantasia: prima l’ha spinta a immaginare il Ticino come un tender, cioè la barchetta trainata da questo yacht (a rimorchio, come diceva un Angelo Rossi tanti anni fa e come tranquillamente si può dire e dimostrare ancora oggi); poi il sottoscritto a bordo che, spaparanzato, passava in rassegna i falò del 1. Agosto e diffondeva un «liberi tutti» da Basilea a Pedrinate. A dirla tutta, un «liberi tutti» l’ho indirizzato anche oltre confine, ai sempre più numerosi cittadini che contestano l’ideale burocratico di un’Unione europea sempre più centralizzata. Ma il mio «liberi tutti» più accorato è per il nostro cantone, proclamato da Airolo (anzi: da Bedretto!) in giù nella speranza di convincere chi ci governa e ci ammini-


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Cultura e Spettacoli Un pianoforte da leggere Esce da Adelphi l’abbecedario musicale del pianista austriaco Alfred Brendel

Il viaggio creativo del grafico Al m.a.x. Museo di Chiasso fino al 21 settembre una retrospettiva dedicata a Heinz Waibl

Festival di Locarno 2014 Anteprima sul programma e sui personaggi che calcheranno il tappeto leopardato

Un Boss d’annata Ripubblicato il mitico concerto di Bruce Springsteen tenuto a Passaic, nel 1978 pagina 32

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Veronese, chiaro e solare Mostre L’anno di Paolo Caliari in Veneto

a Verona, Vicenza, Padova, Castelfranco e Bassano

Gianluigi Bellei Tiziano, Tintoretto, Veronese: una triade di artisti operanti in Veneto nel Cinquecento. Uno più importante dell’altro, uno più influente dell’altro, uno più amato dell’altro. Una storia di rivalità, contrapposizioni, sia fra loro stessi che con gli artisti delle altre regioni: e subito si pensa al disegno fiorentino caldeggiato dal Vasari che si contrappone al colorito veneto amato dal Pino e dal Dolce. Il Musée du Louvre nel 2009 ha organizzato una mostra proprio per mettere a confronto queste teorie, questi colori, queste storie, tra Concilio di Trento e Controriforma (vedi «Azione» del 7 dicembre 2009). Detto questo, appare subito chiara la superiorità estetica del vecchio Tiziano e del rutilante Tintoretto nei confronti del pacato e scialbo Veronese. Così almeno nel comune sentire partecipativo dell’amatore e del critico. Una palpitante tela del Tintoretto ci regala infatti emozioni forti al contrario di un dipinto del Veronese molto più manierato e compassato. Da una parte, la forza dionisiaca dell’irrazionale e, dall’altra, il raziocinio freddo e a tratti distante. Quest’anno è comunque dedicato a Paolo Caliari detto il Veronese, anche se non c’è nessun anniversario: dopo l’esposizione alla National Gallery di Londra, terminata il 15 giugno, ora è la volta di una serie di iniziative e itinerari veneti alla scoperta del suo lavoro. Fino al 5 ottobre Verona è la sede della manifestazione più importante a Palazzo della Gran Guardia; sempre fino al 5 ottobre a Vicenza al Palladio Museum troviamo Le allegorie ritrovate; a

Padova dal 7 settembre all’11 gennaio i Musei civici degli Eremitani presentano L’artista, la committenza e la sua fortuna; a Castelfranco Veneto, dal 12 settembre all’11 gennaio al Museo casa Giorgione verrà presentato Veronese nella terra di Giorgione e infine a Bassano del Grappa dal 14 settembre al 19 gennaio al Museo della stampa Remondini andrà in scena Veronese inciso. In tutto 5 mostre contornate da 32 itinerari fra ville, chiese e palazzi della regione. Due le notizie di maggior interesse: il ritrovamento e la recente attribuzione da parte della studentessa Cristina Moro, impegnata in una tesi di laurea guidata da Giovanni Agosti, di due Allegorie della Villa San Remigio a Verbania Pallanza esposte a Vicenza per la prima volta accanto alle due del Los Angeles County Museum of Art. Si tratta di quattro dipinti di grandi dimensioni (200 centimetri per 110) raffiguranti, quelli di Los Angeles, le allegorie della navigazione con i ritratti di Tolomeo e Averroè e, quelli della Villa San Remigio, le allegorie della scultura e dell’astronomia. L’altra notizia riguarda il restauro della grande tela Convito in casa di Levi in mostra a Verona. Attenzione, non si tratta della Cena a casa di Levi della Galleria dell’Accademia di Venezia dipinta da Paolo e datata 1573 e famosa per l’interrogatorio dell’artista da parte del tribunale dell’Inquisizione, ma di un’opera degli Haeredes Pauli datata 1588-1590. Il Veronese, muore infatti a Venezia nel 1588. Le riprese riflettografiche del Convito hanno riscontrato differenze qualitative notevoli fra una parte e l’altra del dipinto anche grazie

Marco Curzio. (Kunsthistorisches Museum, Vienna)

alla visione del disegno preparatorio sottostante. Si possono così riconoscere almeno tre mani diverse e nella parte centrale una certa disarmonia stilistica mentre in quella di destra una sicurezza maggiore, segno, forse, della guida del vecchio Paolo. Centosette le opere esposte a Palazzo della Gran Guardia, 61 dipinti e 46 disegni, con prestiti da importanti musei internazionali come, tra gli altri, il British Museum e la National Gallery di Londra, il Museo Nacionàl del Prado di Madrid o il Metropolitan Museum of Art di New York. Il percorso si articola in sei sezioni con altrettante aree tematiche: la giovinezza; architettura e decorazione; la committenza; mito e sensualità; la religiosità e infine il disegno e l’officina. Al centro di ogni sala sono collocati dei padiglioni aperti con le opere grafiche. Molti i dipinti da segnalare. Le tribolazioni di sant’Antonio Abate, opera giovanile del 1552 proveniente dal Musée des Beaux-Arts di Caen, con tre gigantesche figure che si stagliano dallo sfondo oscuro di una caverna dove «il santo sembra ormai sopraffatto dalle forze del male» in un’audacia compositiva di prim’ordine. Le Quattro allegorie dell’amore del 1565-1570, provenienti dalla National Gallery di Londra, tutte dipinte di scorcio tanto da far supporre il loro posizionamento su di un soffitto. Storie di amori, seduzioni, passio-

ni, ricche di pathos e fascino. In ambito religioso segnaliamo la splendida Crocifissione del 1575 proveniente dal Musée du Louvre. Il dipinto presenta una composizione diagonale tutta sbilanciata a sinistra di grande effetto con le tre croci in alto sopra la folla. Una mostra con tanti disegni, dicevamo, perché questi erano la base «per raggiungere uno standard qualitativamente omogeneo» del lavoro che poteva essere proposto e riproposto dai collaboratori in varie occasioni e in diverse opere, dato che un artista così prolifico ovviamente non poteva dipingere da solo. L’organizzazione del lavoro nella sua bottega era di stampo famigliare, attivi i figli Carlo e Gabriele e il fratello Benedetto, ma poteva contare a seconda dell’importanza della commissione su di un vasto numero di collaboratori i quali, sotto la sua direzione, eseguivano materialmente le opere. Thomas Dalla Costa in catalogo rileva appunto che Paolo nei primi anni eseguiva ogni passaggio dell’opera dal disegno alla pittura, ma che in seguito «diverse opere cominciarono a essere realizzate in toto dagli assistenti che le ricavavano direttamente dai disegni preparatori, le trasferivano sulla tela e ne dipingevano la maggior parte». Veronese manteneva una supervisione generale e si occupava prevalentemente dell’aspetto progettuale. La mostra mette l’accento sul ca-

rattere religioso della sua pittura e sul costante dialogo con gli architetti, in particolare con il Palladio: le sue forme assolute e classiche ben si sposano con l’intensità luminosa e la luce sempre chiara e pulita del pittore. Se nel Tintoretto prevale infatti la notte, con i suoi bagliori allucinati, nel Veronese domina la luce diurna e solare che riflette bene l’immagine che i patrizi della Serenissima vogliono dare della loro città. L’illuminazione dei dipinti comunque non è delle migliori, probabilmente perché si è optato per mantenere sostanzialmente quella preesistente; buono il catalogo che ha anche l’indice dei nomi, cosa rara nella frettolosità superficiale odierna. Dove e quando

Paolo Veronese. L’illusione della realtà. A cura di Paola Marini e Bernard Aikema. Palazzo della Gran Guardia, Verona. Fino al 5 ottobre. Orari: 10.00-21.00, ve 10.00-22.00. Catalogo Electa, euro 30. Le allegorie ritrovate. A cura di Giovanni Agosti, Guido Beltramini e Vittoria Romani. Palladio Museum, Vicenza. Orari: ma-do 10.00-18.00. Catalogo Officina Libraria, euro 15.90. www.mostraveronese.it www.palladiomuseum.org www.scopriveronese.it


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Cultura e Spettacoli

Anna Darani

Compagni di viaggio Dal rigore europeo delle composizioni di Bach alla vivacità sudamericana del tango,

le corde del violino risuonano della sua passione per la musica A cura di Zeno Gabaglio Nata in Ticino nel 1980, è violinista, violista insegnante e ballerina di tango argentino. All’età di otto anni, dopo aver partecipato ad una cena da amici dei genitori e aver visto le figlie suonare il violino, è stato colpo di fulmine: la settimana successiva stava già suonando lo strumento. Ha studiato alla Musikhochschule di Lucerna con Gunars Larsens proseguendo con lo studio della viola alla Zürcher Hochschule der Künste, ottenendo diplomi d’insegnamento e d’orchestra. Ha suonato, tra le altre, nell’orchestra dell’Opera di Zurigo, nei Lucerne Festival Strings, nella Sinfonieorchester St. Gallen, nella Britten Pears Orchestra in Inghilterra, nell’Orquestra USP in Brasile e nella 21st Century Symphony Orchestra; esperienze musicali con cui ha girato l’Europa, il Giappone, il Brasile e l’Argentina. Nell’ambito del tango si esibisce con il duo La Penultima ed il quartetto El Viadukto, balla e insegna la danza del tango argentino alla scuola El Social di Zurigo. Isabel Charisius

Isabel Charisius, già membro del Quartetto Alban Berg, è stata la mia professoressa di viola al conservatorio e la persona che mi ha influenzata più positivamente nella crescita musicale ma anche nel percorso di maturazione personale, perché le due cose sono intimamente legate. È una persona incredibilmente ricca di esperienze musicali, dotata di uno spirito d’osservazione e

prima che questa passione sbocciasse in qualcosa di concreto, ossia il ballare e il suonare, quel momento è rimasto indicativo. La naturalezza e la semplicità del cantare di Gardel mi piacciono tantissimo, e mi diverto un sacco ad ascoltarlo soprattutto nei tanghi dedicati ai momenti pittoreschi delle corse dei cavalli nella Buenos Aires degli anni 30.

una curiosità finissimi, capace di ferrea disciplina ma senza perdere un certo sguardo rilassato sulle cose. Mi ha ispirata in quanto esempio e mi ha insegnato, oltre ai trucchi tecnici e pedagogici, a credere in me stessa. Il Signor Oertle

Una giornata d’estate stavo suonando con la finestra aperta quando il mio vicino d’appartamento chiamò perché c’era un vecchiettino di ottant’anni che quel giorno passeggiava sotto il nostro balcone e voleva sapere chi fosse a suonare. Così cominciò il dialogo con il Signor Oertle, che abitava dall’altro lato della strada e suonava il violino anche lui. Nata l’amicizia, abbiamo cominciato a suonare insieme, circa una volta al mese, e ogni volta il Signor Oertle arrivava pieno di sacchetti e borse, che chissà cosa contenevano. Si beveva il caffè e poi si suonava quasi sempre il Concerto per due violini di Bach, era una sorta di rituale e quello che mi piaceva, oltre all’amicizia, era il fatto di provare belle emozioni musicali. Sebbene l’esecuzione fosse – per l’età e le esperienze puramente amatoriali – modesta, ma comunque ammirevole. Mi colpiva molto la sua genuina felicità quando, al terminare il pezzo, con un sorriso beato diceva ogni volta: «Oh... C’est maginifique..!». Johann Sebastian Bach

Bach è il compositore che continua imperterrito ad affascinarmi, senza cedimenti, già dall’adolescenza. Mi

Rolo Medina

stupisce perché non ho mai avuto una stanchezza di ammirazione o piacere nell’ascoltare o suonare le sue opere, cosa che invece mi è sempre successa con quelle di altri compositori o generi musicali. Ogni periodo della mia vita è caratterizzato da preferenze che variano, mentre Bach è invece una costante.

Bandoneonista e chitarrista di tango argentino, nato e cresciuto a Buenos Aires, è colui che mi ha permesso di attraversare il ponte tra la musica classica ed il tango. Mi ha portata in un primo tempo alla conoscenza delle varie orchestre tipiche dell’epoca d’oro del tango e raccontato molti degli aspetti storici. In seguito mi ha guidata attraverso l’aspetto pratico, ossia nell’interpretare i tanghi tradizionali con il violino, indicandomi il linguaggio proprio di questa musica. Una musica che viene in genere tramandata in questo preciso modo, sotto la diretta guida di un tanguero che a sua volta ha imparato direttamente da un altro e così via. Pochi o poco significativi sono i materiali scritti: nel tango molto viene trasmesso attraverso l’orecchio e la sua memoria.

Carlos Gardel

La voce di Carlos Gardel, ascoltato ad una bellissima festa di Capodanno e ballato in un tango inventato, ha costituito il mio primo contatto con il mondo del tango argentino. Avevo diciotto anni e non avevo mai sentito prima questo genere. Me ne sono innamorata all’istante, e sebbene siano passati anni

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Cultura e Spettacoli

Il garbo di Fabrizio Fazioli Ricordo Un economista che possedeva

la rara dote del divulgatore Orazio Martinetti Modestia, garbo, ironia: Fabrizio Fazioli incarnava come pochi le virtù dell’«altro Ticino», di quel Ticino civile che oggi è quasi scomparso, ridotto al silenzio dalle sguaiatezze. Economista, appassionato di scienze sociali, amava sorreggere l’opera di divulgazione con la conoscenza dei classici, in primo luogo di Keynes, autore sempre presente in filigrana nel suo ragionare. Alla sua rubrica televisiva aveva dato il nome di «MicroMacro»; l’intento era quello di accoppiare le due prospettive, quella vicina, immediata, contingente, e quella che abbracciava orizzonti più vasti. Nel corso della sua presidenza dell’associazione Coscienza Svizzera, Fabrizio ha concentrato la sua attenzione su due temi: il lavoro e la città, due realtà che rappresentavano, ai suoi occhi, la cartina di tornasole delle trasformazioni in atto nella società. Al «lavoro che cambia» dedicò, nel 1995, un’esposizione e un convegno che si tennero a Castelgrande. Era l’epoca in cui si dibatteva anche da noi, e con una certa foga, delle tesi di Jeremy Rifkin, esposte nel celebre saggio La fine del lavoro. Era forse giunto il momento, nell’era dell’informatica e della robotica, di ridurre drasticamente l’orario di lavoro? Il risultato di quelle riflessioni fu poi consegnato ad un volume, uscito nel 1996 sotto il titolo Il lavoro di domani.

Scomparso a 65 anni. (CdT - Demaldi)

Top10 DVD 1. Storia di una ladra di libri

S. Nélisse, G. Rush 2. Monuments Men

G. Clooney, M. Damon 3. Jack Ryan

C. Pine, K. Costner 4. 47 Ronin

K. Reeves, C. Tagawa 5. Grand Budapest Hotel

R. Fienner, J. Law / novità 6. Lone Survivor

M. Wahlberg, T. Kitsch

La città diventata agglomerato, conurbazione scomposta e tentacolare, era l’altro argomento che lo appassionava. La Svizzera «metropoli» che cambiava pelle, ma che nel contempo continuava a nutrirsi del suo immaginario rurale e alpino, quasi uno spazio privo di conflitti, al riparo dalle tempeste del mondo. In quest’ottica Fabrizio fu tra i primi ad interessarsi allo «Swissmetro», progetto – rimasto tale – che intendeva «mettere in rete» i principali centri del Paese per mezzo di convogli a levitazione magnetica. Ma torniamo al suo lavoro giornalistico, al suo sforzo di ingentilire la «triste scienza». L’aspetto che colpiva era la capacità di far parlare le immagini al modo con cui si sfoglia un album di famiglia, sequenze di scatti che dal bianco e nero iniziale assorbivano il colore. Che fosse questo il cammino compiuto dal cantone nei decenni postbellici, un graduale passaggio da un’economia fatta di stenti, semi-autarchica, anemica per mancanza di sbocchi, alle vetrine della piazza finanziaria e del terziario avanzato? Certo, era questo, ma Fabrizio voleva che non si dimenticassero le pagine buie di questo percorso: l’esodo rurale, gli squilibri interni, una crescita, specie lungo la fascia di confine, dovuta all’impiego di manodopera frontaliera «usa e getta». Il compiacimento, legittimo, per i traguardi raggiunti non autorizzava a cancellare dalla memoria le pagine meno luminose e sfrangiate; guai a cullarsi nell’illusione di un benessere conseguito una volta per tutte. A Fabrizio è purtroppo mancato il tempo di raccogliere e sistemare in uno studio organico gli spunti disseminati in anni di lavoro su quotidiani e testate sindacali. Ci restano tuttavia le sue «storie morali e immorali sulla moneta» (Nel nome del franco, Casagrande, 1999). E poi, da ultimo, Il valore del meno, edito l’anno scorso da Salvioni. Una «guida alla frattura sociale» che ancora una volta invitava a non considerare il destino degli ultimi come un relitto del passato.

Top10 Libri 1. Andrea Camilleri

La piramide di fango, Sellerio 2. Gianrico Carofiglio

Una mutevole verità, Einaudi

4. Paulo Coelho

Adulterio, Bompiani 5. John Green

Colpa delle stelle, Rizzoli 6. Marcello Simoni

L’abbazia dei cento peccati, Newton 7. Autori Vari

Vacanze in giallo, Sellerio 8. Sveva Casati Modignani

La moglie magica, Sperling 9. American Hustle

C. Bale, B. Cooper 10. All Is Lost

Alessia Brughera Nella Milano del secondo dopoguerra si respira un clima di grande fervore culturale. È in quest’atmosfera «particolarissima, vivace e vibrante», come l’ha definita il critico d’arte Gillo Dorfles, che inizia il viaggio creativo di Heinz Waibl, graphic designer nato a Verona nel 1931, a cui il m.a.x. museo di Chiasso dedica una mostra antologica, la prima mai organizzata su di lui. Nemmeno ventenne, Waibl si trova già immerso in un dinamico contesto fatto di preziosi incontri, scambi e collaborazioni che saranno fondamentali per la sua formazione e per tutta la sua carriera di grafico durata sessant’anni. Per cominciare, c’è la frequentazione del maestro svizzero Max Bill, impegnato in quel periodo a diffondere i principi della scuola del Bauhaus e le teorie della pittura astratta elaborate da Kandinsky, nonché a sostenere l’integrazione delle arti nella vita quotidiana. Seguono l’apprendistato presso lo Studio Boggeri, uno dei più prestigiosi della capitale lombarda, e la collaborazione con lo storico dell’arte Sigfried Giedion per la fase di impaginazione della prima edizione del celebre testo Space, Time and Architecture. Poi è la volta dell’incontro con un’altra grande personalità artistica svizzera, il designer Max Huber, con cui Waibl allaccia non solo un rapporto professionale che può essere considerato uno dei più determinanti per il suo percorso, ma anche un forte legame di amicizia, documentati in mostra da una sezione fotografica di scatti risalenti agli anni Cinquanta, in cui i due vengono immortalati in momenti di lavoro e di svago insieme a colleghi e amici, e da una serie di opere e serigrafie che Huber dedica a Waibl, spesso citato come il suo allievo prediletto. Sarà proprio Max Huber, con cui Waibl lavora assiduamente dal 1950 al 1954 e poi in successive collaborazioni, a trasmettergli i fondamenti della scuola elvetica, caratterizzati da un estremo rigore basato su modularità geometrica ed essenzialità, requisiti, questi, che rimarranno sempre peculiari della sua grafica.

Nato a Verona nel 1931, è stato allievo e assistente di Max Huber da cui ha appreso i principi della rigorosa semplicità

Storia di una ladra di libri, Frassinelli

8. Frozen

Animazione

Mostre A Chiasso la grafica di Heinz Waibl

3. Markus Zusak

7. The Wolf of Wall Street

L. Di Caprio, C. Blanchett

Quando il rigore diventa creativo

9. Joël Dicker

La verità sul caso Harry Quebert, Bompiani

Robert Redford 10. Anna Premoli

Finché amore non ci separi, Newton

Tutta la produzione di Waibl tende infatti all’ordine e alla costruzione razionale, alla chiarezza compositiva e all’equilibrio. Nei loghi, soprattutto, ma anche nel lettering, nei manifesti e nelle locandine, si colgono una sintesi formale e un senso di armonia a cui solo la costante verifica logica di ogni fase della realizzazione può portare. Waibl ha sempre il pieno controllo, e questo gli permette di padroneggiare la tecnica e di passare oltre, lasciando via libera all’impulso creativo per escogitare idee innovative, a volte anche attraverso la trasgressione delle regole stesse. Per Waibl si infittiscono presto le collaborazioni e le committenze. Di grande interesse sono i numerosi lavori realizzati per la RAI che trovano in mostra un valido esempio nel manifesto La radio arriva dovunque, del 1959, in cui la precisione e la pulizia della scritta e della composizione incontrano l’estro e l’originalità della lettera «i»,

Manifesto Lambretta club d’Italia, Milano, 1959.

che diventa un microfono, e del giocoso librarsi di tante linee colorate che sanno di ritmo e libertà. Arrivano gli anni Sessanta. Il boom economico porta le imprese a investire nella promozione della propria immagine e il momento è assolutamente propizio per Waibl per aprire un suo studio. Uno degli incarichi più importanti di questo periodo è quello per i Magazzini allo Statuto di Roma, per i quali il grafico disegna il logo e si occupa di tutta la comunicazione pubblicitaria. Interessanti, nell’esposizione di Chiasso, sono le numerose carte da imballo realizzate da Waibl per i diversi eventi dell’anno, in cui campeggia un logotipo elementare ma allo stesso tempo d’impatto. Lo si può prendere come emblema del processo creativo di Waibl, che riesce a coniugare semplicità e inventiva ideando un marchio sempre immediatamente riconoscibile e dal forte significato visivo, capace di mutare la lettera, la sigla o la parola in un simbolo che racchiude un concetto. Poi si aprono le porte dell’America. Waibl inizia a lavorare per l’Unimark International, fondata a Chicago nei primi anni Sessanta da Bob Noorda e Massimo Vignelli. È una tappa importante, questa, perché negli Stati Uniti le tecniche di marketing sono all’avanguardia e si basano su una nuova visione che punta a declinare l’identità visiva in tutte le forme di comunicazione. Qui i simboli diventano vere e proprie icone, e Waibl, accolto come l’europeo dal modernismo austero e sistematico, apprende una metodologia che punta l’attenzione su un’immagine grafica potente. Sono grandi ditte quelle per cui lavora nel nuovo continente: dall’American Airlines a catene di negozi quali la JCPenney, ad aziende multinazionali come la Tucson Arizona, la Transunion Corporation, la Levy’s e la Maison Blanche.

Waibl ritorna a Milano nel 1971 arricchito da un’esperienza unica e altamente proficua. In America ha acquisito le capacità organizzative legate al mondo della comunicazione strategica che ora gli sono fondamentali. Nel 1974 apre lo Studio Signo a Milano (poi trasferito nel 1992 a Schio) insieme a Laura Micheletto, avviando un periodo creativo caratterizzato da numerose collaborazioni con importanti aziende private e istituzioni pubbliche per cui realizza immagini coordinate, loghi, oggetti di design, manifesti e packaging. Gli oltre trecentocinquanta pezzi che sono esposti nella mostra di Chiasso danno un saggio della sua lunga e prolifica attività sempre aggiornata, sempre innovativa. Tra questi ci sono per esempio i flaconi di profumo della linea Atkinson, le sfere di vetro realizzate per Venini Venezia, i manifesti della mostra di Gianni Versace al Castello Sforzesco, gli studi per il logotipo del programma di Canale 5 TeleMike, i prototipi per le bottiglie della Cinzano, la locandina per la BTicino Intel 1985. Tutti prodotti capaci di cogliere l’essenza del committente, di individuarne le peculiarità e di restituirne un’immagine pregnante e fortemente identificabile. Tutti prodotti capaci di raccontare la storia di questo grafico dal rigore creativo, un po’ europeo, un po’ americano, che è stato uno dei protagonisti della comunicazione visiva del Novecento. Dove e quando

Heinz Waibl (1931) graphic designer. Il viaggio creativo, m.a.x. museo, Chiasso. Fino al 21 settembre 2014. A cura di Alessandro Colizzi e Nicoletta Ossanna Cavadini. Orari: ma-do 10.00-12.00 / 15.00-18.00. Chiuso il lunedì. Chiusura estiva da lunedì 28 luglio a lunedì 18 agosto 2014. www. maxmuseo.ch. Catalogo pubblicato da Silvana Editoriale, Fr. 36.–.


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Cultura e Spettacoli

Abbecedario di un pianista

Meridiani e paralleli Il celebre solista austriaco riunisce in un libro le parole più importanti

della sua eccezionale esperienza di musicista Giovanni Orelli Tra i libri stimolanti letti in questi ultimi tempi metto l’Abbecedario di un pianista di Alfred Brendel, Adelphi, Milano, 2014 (traduzione di Clelia Parvopassu, con la collab. di Donata Berra e Maria Majno). Brendel è un pianista che conosce i segreti del pianoforte come «strumento». Quanti aneddoti, quante ammonizioni, particolarità legate al modo di suonare, che l’autore di questa nota ignorava quasi del tutto. Potrei fare l’esempio del pedale, per cominciare con la lettera P dell’Abbecedario, che non sapevo certamente «usare» quando, alla Magistrale, feci un po’ di piano con Roberto Galfetti (andavo poi a girargli le pagine, con piacere e ammirazione, quando preparava un difficile Brahms). Il pedale. Dice Brendel: «Usato con maestria, il pedale dà colore, crea atmosfera, conferisce alla linea melodica calore ed espressione e fa risuonare più a lungo quelle note scritte in valori brevi perché le dita non possono o non devono tenerle». Oltre ai dettagli sulle parti del pianoforte e sui diversi modi di servirsene, ci sono poi gli omaggi a chi se ne servì egregiamente. Valga l’esempio di Beethoven: Quale altro compositore sarebbe capace di spaziare dal comico al tragico, dalla levità di molti cicli di variazioni sino alle forze della natura che egli non solo scatena, ma tiene anche sempre sotto controllo? (…) Continuano a esistere

Brendel in concerto. (lafenice.it)

pregiudizi che dobbiamo combattere, come l’idea di un Beethoven sempre eroico e titanico. Non dimentichiamo che, nella sua personale maniera, sapeva servirsi del grazioso, e che il tono intimo, il registro dolce sono suoi tratti caratteristici proprio come l’impetuosità e la baldanza. Sempre sotto la B, Beethoven apre il ritratto breve per Bach: Quando Beethoven, parlando di Bach, esclamò che non dovrebbe chiamarsi Bach (ruscello) bensì Meer

(mare) si riferiva non solo alla straripante abbondanza e varietà di oltre mille composizioni, ma anche alla potenza musicale (…) «Considero Bach – continua Brendel – il gran maestro della musica per tutti gli strumenti a tastiera, iniziatore del concerto per pianoforte, creatore delle Variazioni Goldberg, maestro della suite e della partita solistica, del preludio-corale, della fuga e della cantata. E Mozart? «Le sue Sonate per pianoforte mi paiono, con poche eccezio-

ni, sottovalutate. Artur Schnabel ne ha spiegato in modo calzante il motivo: sono troppo facili per i bambini e troppo difficili per gli artisti». Salto, per la S dell’Abbecedario di Brendel, i nomi di Schubert e Schumann e mi fermo alla voce Semplicità. Dice Brendel: «Secondo Einstein bisognerebbe rendere tutto il più semplice possibile, ma non troppo semplice. Semplificare in modo eccessivo è deplorevole, quanto complicare inutilmente. Questo vale per molti ambiti

della vita: per una buona esecuzione musicale come per un buon giornale. (…) Esiste una compiuta semplicità. Edwin Fischer sapeva trasmetterla». C’è anche, per me sorpresa, la voce silenzio. Dice Brendel: «È il fondamento (sic) della musica. Lo troviamo prima, dopo, dentro, sotto e dietro la musica. Alcuni pezzi prendono forma dal silenzio o riconducono al silenzio. Il silenzio, però, è anche il fondamento di ogni concerto, o almeno dovrebbe esserlo. In inglese c’è un anagramma, listen = silent, che equipara ascolto e silenzio. Brendel ha anche un’ammirazione quasi sconfinata per Liszt. Mi pare che invece ignori un po’ troppo l’apporto italiano. Potrei prendere la V: niente Vivaldi, passi per Verdi, impegnato con l’opera e non propriamente legato al pianoforte. Ma anche su Scarlatti Brendel scappa un po’ via. Meglio tornare al pianoforte-strumento, a voci come Interpretazione, Notine, (come suonarle: da non perdere, per chi le suona), al significato di dolce (per es. in Beethoven), di legato, di ritardando, di virtuosismo. E altro. Concludo con l’allegra conclusione di Brendel per la voce Suono. Dice (ma legga il lettore quel che viene prima): «Ci sono strumenti con cui si deve venire a patti e altri che si fanno incontro all’esecutore con la loro magnificenza e la loro anima. Il detto Non esistono cattivi pianoforti, soltanto cattivi pianisti, potrebbe averlo inventato un satanasso travestito da venditore di strumenti musicali». Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Tutto l’amore per il cinema Pardo 2014 Da mercoledì il Festival di Locarno: un panorama imponente

Non solo repliche in estate Visti in tivù

Qualcosa si muove in tv, qua e là si provano nuovi conduttori e nuove coppie

Fabio Fumagalli Presentare Locarno è più complicato rispetto ad altri festival. Per Cannes, Venezia o Berlino basta un’occhiata per rendersi conto di chi, fra i grandi, non faccia parte della festa (per dirne una: Paul Thomas Anderson, Fincher, Nolan, Ozon all’imminente Mostra di Venezia). Quindi, cercare di capire se è perché gli autori non hanno «potuto» esserci (in pratica: se non ce l’hanno fatta a terminare in tempo la loro pellicola). Oppure, ipotesi già più imbarazzante, «voluto» esserci. Ed infine, ai margini dell’infamia, ignorato che «avrebbero» potuto esserci. Clamorosa, l’ormai leggendaria gaffe di Cannes nel 2004, quando rifiutò la selezione a Vera Drake di Mike Leigh, film onorato pochi mesi dopo addirittura con il Leone d’Oro a Venezia. Ma per Locarno non funziona a quel modo. Terra di scoperte, che ai grandi nomi, agli autori affermati ha potuto aspirare per soli brevi tratti o ragioni particolari della sua lunga storia, Locarno è stata ben diretta da chi ha saputo seguire il proprio istinto, consapevole di non contare più di tanto su un proprio potere privilegiato di contrattazione. Capace di aprirsi verso l’esterno, di affacciarsi alla finestra di uno spazio e un mercato limitato. Di evitare gli storici luoghi comuni, primo fra tutti quello consolatorio sulla propria imprescindibilità, in quanto espressione di una minoritaria Svizzera Italiana. Legittimo fino all’ovvietà; a condizione di non servire da alibi. Ricordo i molti decenni di militanza nella manifestazione accanto all’amico Federico Jolli, quando ai vertici delle responsabilità artistiche figuravano (giustamente) due soli ticinesi all’interno di una dozzina qualificata proveniente dell’area culturale svizzero-tedesca e romanda. Malgrado quell’apertura culturalmente e strategicamente proficua, oggi stranamente trascurata, lo spauracchio già allora brandito era Lucerna: sospettata dei sotterfugi più infidi pur di accaparrarsi il più ghiotto evento cinematografico nazionale. Ora è la volta di Zurigo, forte del proprio potere economico, mediatico, della sua centralità negli interscambi globali. Una volta per tutte: perché alla minoranza di lingua italiana venga sottratta la più prestigiosa delle sue piattaforme internazionali, bisognerebbe veramente combinarne di tutti i colori. Un dato di fatto che va sfruttato con lucidità in termini di simpatia e di potenziale politico (non sempre evidente, una volta trascorso l’entusiasmo della migrazione vacanziera estiva). Non soltanto di privilegi, come essere probabilmente una delle poche manifestazioni culturali al mondo a non dover digerire attualmente drastici ridimensionamenti. Della propria collocazione ferragostana Locarno ha pagato talvolta in presenze mondiali qualificate. Ma, in modo crescente, sembra ormai approfittarne: essendo diventata un rilassato e ricorrente luogo d’incontro, un appuntamento irrinunciabile per gran parte

Antonella Rainoldi

La conferenza stampa di presentazione. (Stefano Spinelli)

delle forme di potere, dall’iniziale più o meno maiuscola. Di questa benevolenza di marca estiva Locarno finisce per soffrire però in termini di analisi e di conoscenza: mentre in passato Piazza e Fevi riassumevano in deliri d’entusiasmo o bordate di fischi la loro partecipazione (e quanto utilmente, ci diceva osservando la piazza, uno Steven Spiel-

La Piazza 06.08 Lucy di Luc Besson – Francia; 07.08 Dancing Arabs di Eran Riklis – Israele; 08.08 Love Island di Jasmila Žbanić – Croazia / Germania / Svizzera / Bosnia-Herzegovina; A Hitman’s Solitude Before the Shot di Florian Mischa Böder – Germania; 09.08 Hin und Weg di Christian Zübert – Germania; Il Gattopardo di Luchino Visconti – Italia/Francia; 10.08 Marie Heurtin di Jean-Pierre Améris – Francia; Les Plages d’Agnès di Agnès Varda – Francia; 11.08 À la vie di Jean-Jacques Zilbermann – Francia; 12.08 The Hundred-Foot Journey di Lasse Hallström – Stati Uniti d’America; 13.08 Schweizer Helden di Peter Luisi – Svizzera; 14.08 Pause di Mathieu Urfer – Svizzera; Film con ospite a sorpresa; 15.08 Sils Maria di Olivier Assayas – Francia / Germania / Svizzera; Land Ho! di Aaron Katz and Martha Stephens – Stati Uniti d’America/ Islanda; 16.08 Geronimo di Tony Gatlif – Francia .

Diciassette film per un Pardo d’oro A Blast di Syllas Tzoumerkas – Grecia / Germania / Olanda; Alive di Park Jungbum – Corea del Sud; Cavalo dinheiro di Pedro Costa – Portogallo; Cure the Life of Another di Andrea Štaka – Svizzera / Croazia/ BosniaHerzegovina; Dos disparos di Martín Rejtman – Argentina / Cile / Germania / Olanda; Durak di Yury Bykov – Russia; Fidelio, l’Odyssée d’Alice di Lucie Borleteau – Francia; Gyeongju di Zhang Lu – Corea del Sud;

La princesa de Francia di Matías Piñeiro – Argentina; La sapienza di Eugène Green – Francia / Italia; L’abri di Fernand Melgar – Svizzera; Listen Up Philip di Alex Ross Perry – Stati Uniti d’America; Mula Sa Kung Ano Ang Noon di Lav Diaz – Filippine; Nuits blanches sur la jeteé di Paul Vecchiali – Francia; Perfidia di Bonifacio Angius – Italia; The Iron Ministry di J.P. Sniadecki – Cina / Stati Uniti d’America; Ventos de Agosto di Gabriel Mascaro – Brasile.

berg che già pregustava la promiscuità critica di una platea del genere), ora tacciono e acconsentono. Semplicemente compiaciute di esserci. Ecco perché Locarno, più di ogni altro festival, è tutto da vedere prima di parlare. Così, un anno fa alla sua prima edizione, a Carlo Chatrian era riuscito di piazzare fra Concorso e Piazza un’infilata di nomi insolitamente (per Locarno) di lusso: Aoyama, Kurosawa e Hong Sangsoo, trittico asiatico da far gola ai pescecani internazionali; Porumboiu, Simon, Delbono, Pinto, Yersin, Baier e Bron fra gli svizzeri. Quest’anno è sul «divismo» degli ospiti – quasi una prima per un festival che ha sempre preteso di poterne fare a meno – che a prima vista è sembrata volersi indirizzare l’attenzione mediatica: Mélanie Griffith, Mia Farrow, Juliette Binoche, Jean-Pierre Léaud, Armin MuellerStahl, Giancarlo Giannini, Jonathan Price, Agnès Varda, Dario Argento, Víctor Erice... Nulla di male, per anni abbiamo lamentato edizioni striminzite come glamour in nome di un puritanesimo autopunitivo. Nulla di sprecato, di fine a sé stesso: a condizione che i «nomi nomi» entrino in sinergia con le tematiche del festival, con il suo scopo primario di mostrare per divertire. Ma senza dimenticare d’insegnare a guardare. Addirittura benissimo: se a coronare la lista c’è il nome di uno dei più grandi del cinema moderno come quello di Roman Polanski, c’è la splendida impresa di averlo convinto a tenere una master class aperta al pubblico; oltre che presentare in Piazza, assieme alla formidabile protagonista del film Emmanuelle Seigner, il più recente dei suoi capolavori Venere in pelliccia. Eventualmente, non sono tanto i nomi, quanto le cifre ad inquietare un poco: con due conti per difetto vedo 16 film in Piazza, dopo l’apertura mediaticamente formidabile con la Scarlett Johansson e Morgan Freeman di Lucy. Ragionevoli appaiono i 17 del Concorso Internazionale, ma altri 17 figurano fra quelli Fuori Concorso. Nella sezione Cineasti del Presente, quella delle voci nuove, delle tendenze che si affermano sono le scoperte di Locarno; ma non sarà facile frequentare altre 15 proiezioni. Intitolata Signs of Life, una nuova fetta di programmazione compare quest’anno, puntualmente dedicata ai territori di frontiera che il cinema, meglio gli audiovisivi devono esplorare: 9 proiezioni serali al Palavideo. In onore del Pardo d’Onore 2014 ecco una doverosa rassegna informativa, perché di Agnès Varda è ancora in parte da scoprire: e sono 9 titoli, a partire da Cléo de cinq à sept, passando dal mitico Sans toi ni loi. Dell’altra festeggiata francese, Juliette Binoche, verranno proiettati tre film notevoli, di Kieslowski, di Kiaro-

stami e infine (in Piazza) quel Sils Maria di Assayas appena visto a Cannes che incanterà, tra l’altro, tutti i ferventi addetti agli ipnotici panorami engadinesi. Altra premiata, la grande produttrice di Hong-Kong Nansun Shi: non perdetevi tra i suoi 3 film, il recente e meraviglioso, Young Detective Dee. Altro premiato, l’inventore della steadycam Garrett Brown, altri 4 film; firmati... Kubrick, Ashby, Avildsen e Wadleigh. Poi un attore, grande e un po’ dimenticato, il tedesco Armin Mueller-Stahl: 3 film, tra i quali il leggendario Lola di Rainer Werner Fassbinder e Shine di Scott Hicks. E ancora regista il spagnolo Víctor Erice, Pardo alla carriera: 7 film, anche se quattro sono dei corti. Tutto ciò è un po’ da capogiro, ma non è finito. C’è la sezione Histoire(s) du cinéma, ispirata dal celebre titolo di Godard: 4 film di Li Han-hsiang, Matlosa di Villi Hermann in commovente omaggio a Carlo Varini, due film di Amiguet nella collaborazione con la Cineteca di Losanna. E Dario Argento, e Tempi Moderni con accompagnamento dell’Orchestra della Svizzera Italiana. Tra i membri delle varie Giurie ci sono evidentemente validi registi o attori: di molti di loro verrà presentato un film, ho perso il calcolo, ma siamo attorno alla quindicina. Infine, una collaborazione con il Brasile e supportata dal Dipartimento federale degli affari esteri intitolata Carta Bianca comprenderà 7 titoli scelti da Cinema do Brasil. Tralascio l’infinità dei filmati che compongono la tradizionale e indubbiamente preziosissima sezione di cineasti in divenire, i Pardi di Domani. E, dulcis in fundo il grande vanto storico di Locarno, la Retrospettiva dedicata quest’anno alla produzione della Titanus, la mitica e più longeva delle società di produzione italiana. Qui si tratta di un’altra… cinquantina di film, ma è giusto calcolarli a parte; una retrospettiva della qualità di quelle locarnesi rappresenta un mondo a parte, spesso seguito da specialisti che accorrono a Locarno per queste occasioni. Quest’anno, di rivedere Matarazzo, Pietrangeli, Genina, Mastrocinque, Comencini, Pietrangeli, Rossellini, Visconti, Lattuada, Monicelli, Rosi, De Seta, Zurlini, Petri, Bolognini, Olmi… Un’offerta imponente, nella quale è implicita, e tutta da verificare, una riserva e un riconoscimento. La prima è che la vertigine numerica di cui sopra non diventi fonte di dispersione; o, magari generosamente, faccia opera da paravento a una impossibilità di selezionare meno opere, ma capaci di parlare da sole. Il riconoscimento nasce fin d’ora dal fatto che da una tale varietà risalta l’aspetto rallegrante e promettente di Locarno 2014, un amore incondizionato per il cinema.

Invece di abbassare la serranda, chi è e chi fa servizio pubblico sperimenta. Ottima idea. Anche se, bisogna dirlo, il ritorno del già noto non è affatto un male per la televisione. Non ci stancheremo di ripeterlo: i film e i telefilm, proprio come i programmi d’archivio, sono i migliori supplenti nel periodo del disimpegno estivo, perché funzionano anche in replica. La sperimentazione, però, è un’altra cosa. Usare il palinsesto vacanziero per mettere in scena nuove trasmissioni e soprattutto nuovi conduttori è un modo per aumentare il grado di coinvolgimento del pubblico più avvertito, capace di apprezzare ogni stimolo. Possiamo sbagliarci, ma gli esperimenti danno il senso di quello che molti spettatori si aspettano dalla tv, nell’attesa di un autunno caldo: importa poco il risultato, interessa, invece, proprio lo sforzo produttivo e forse anche la scelta di andare controcorrente. In queste settimane tre esperimenti si stanno dimostrando degni di considerazione. Tutti e tre appartengono al genere dell’approfondimento di attualità tagliato sul dibattito: Millennium (Raitre, martedì, ore 21.05), In Onda (La7, dal lunedì al venerdì, ore 20.30) e 60 minuti (RSI La2, lunedì, ore 21). Il primo, un talk di pronto intervento nato per coprire il buco lasciato da Ballarò, è costruito in questo modo: alla discussione in studio si alternano servizi e sondaggi. Niente di originale, ma intanto il direttore di Raitre Andrea Vianello ha avuto la buona idea di provare tre nuove «speranze»: Mia Ceran, Elisabetta Margonari e Marianna Aprile. Il secondo è un approfondimento politico e di varia umanità già rodato con successo nel passato, specie negli anni in cui a condurlo c’erano Luisella Costamagna e Luca Telese. In Onda si regge ora sulla presenza di due altri bravi professionisti: Alessandra Sardoni, inviata di punta del TG e degli speciali di Enrico Mentana, e Salvo Sottile, ex padrone di casa della defunta Linea gialla. Il terzo esperimento, 60 minuti, è il dibattito a più voci di Reto Ceschi. Ceschi è affaccendato a dirigere l’informazione e gli subentrano, a turno, Daniela Fabello e Pietro Bernaschina. Senza nulla togliere a Bernaschina, ci sbilanciamo a favore della Fabello, la sorpresa più grande. La RSI ha finalmente trovato un’ottima conduttrice di talk.

Daniela Fabello, conduttrice di 60 minuti. (RSI)


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Cultura e Spettacoli

Bruce, un ritorno al Capitol Theatre CD Ricordi di gioventù: una pubblicazione «non autorizzata» riempie il vuoto lasciato dalla discografia ufficiale

dell’iconico Springsteen, regalando ai fan una vera gemma dal passato remoto dell’artista Benedicta Froelich Nonostante l’attuale momento storico spinga la maggior parte delle case discografiche a fare a gara per ristampare classici inediti dal repertorio dei propri artisti, a volte si verificano casi in cui le migliori pubblicazioni celebrative non possono ammantarsi dell’ufficialità garantita dall’autorizzazione dell’artista o dell’etichetta che lo rappresenta. È questo il caso di un ricco box set che farà la felicità dei fan dell’ormai iconico Bruce Springsteen, senz’altro una delle più osannate rockstar del panorama internazionale: il cofanetto, dal semplice titolo di Live at the Capitol Theatre, Passaic NJ, September 19th, 1978 racchiude infatti la versione integrale della prima delle tre serate che, nel lontano ’78, Springsteen e la sua band tennero nello storico teatro di Passaic (in copertina erroneamente definita come «Passiac»), proprio nel New Jersey, terra di provenienza di Bruce. Trattandosi di un’esibizione live che ha finito per rappresentare uno dei capisaldi della pur lunga carriera del «Boss», questa serata era già stata immortalata su pellicola e, nel corso degli anni, in innumerevoli bootleg audio (registrazioni «non autorizzate» circolate tra gli estimatori del cantante), senza, tuttavia, essere mai nobilitata da una pubblicazione ufficiale: tanto che, anche in questo caso, l’uscita di questo box set non è sancita da Springsteen né dalla sua casa discografica, ma si deve piuttosto all’etichetta indipendente Klondike, che ha

distribuito questo prodotto soltanto in Europa. Ma se questa pubblicazione non è in alcun modo legata all’artista, ciò non influisce affatto sulla sua pregevole qualità: difatti non si tratta di una registrazione proveniente dalla consolle del mixer, come accade solitamente con i bootleg, bensì della versione integrale (e rimasterizzata) della trasmissione radiofonica che l’emittente WNEW-FM mandò in onda in occasione dell’evento; come tale, coniuga un’ottima qualità audio alla spontaneità e immediatezza dell’effetto «live», costituendo un’invidiabile istantanea del Darkness Tour del ’78 e della prima fase della carriera di Bruce, da poco baciato dalla fama internazionale (all’epoca il cantante era già reduce dal successo dei noti album Born to Run, 1975, e Darkness On the Edge of Town, 1978). Tale fu, all’epoca, l’importanza di questa esibizione, che la WNEW-FM intervallò la trasmissione dello show con interviste a Bruce condotte da John Scher e Vin Scelsa e fedelmente riproposte in questo cofanetto, così da accentuarne la rilevanza storica: ne consegue che il box set conta ben tre CD, dato che l’eccellente concerto, diviso in due parti, si spinge a una durata di oltre tre ore di frenetica performance. Certo, come tutte le esibizioni live del primo periodo di grande successo del «Boss», anche questa serata al Passaic Theatre è caratterizzata da un entusiasmo e un’intensità interpretativa talmente vibranti da dare a tratti

Brividi d’epoca: il Boss e la sua Telecaster.

un’impressione di voluta sguaiatezza: del resto, nella sua instancabile energia di performer, il giovane Bruce non aveva ancora imparato a misurare le proprie forze con l’attenzione che, da showman consumato, è oggi in grado di dimostrare. Ma non si può negare che un simile vigore si possa davvero

definire un dono, nonché il sintomo di un’autentica dedizione alla propria arte, soprattutto nel caso di show di tale lunghezza: infatti il genuino entusiasmo che animava (e tuttora anima) il gruppo di Bruce brilla per tutta la durata del concerto, così come l’affiatamento percepibile tra i musicisti – tal-

mente tangibile che perfino l’ascoltatore casuale può avvertire la sincerità del legame che unisce Springsteen a diversi membri della E Street Band (quali, ad esempio, il compianto Clarence Clemons, il cui eccelso sassofono risalta su molte tracce di questo box set). L’intima grandezza cantautorale di Springsteen dà così vita a innumerevoli momenti degni di nota: da una toccante Racing in the Street, qui mirabilmente fusa con una sentita e travolgente Thunder Road, alla versione semplicemente magistrale della celeberrima Because The Night; e fa senz’altro effetto constatare come, fin dall’inizio, Bruce fosse già un consumato «animale da palcoscenico», in grado di ammantare di vera e propria magia l’interazione con il pubblico, qui spinto a parossismi di entusiasmo e coinvolgimento certo impensabili per molti dei colleghi del Boss. Così, sebbene questa pubblicazione possa costituire un acquisto superfluo per quei fan già in possesso dei vecchi bootleg, è comunque interessante notare come una casa discografica nota per la pubblicazione di album normalmente venduti «sottobanco» abbia preceduto l’entourage ufficiale di Bruce nella pubblicazione di quello che è, a tutti gli effetti, un documento classico del rock USA; il che, oggi più che mai, sembra voler suggerire come anche le fonti apparentemente di carattere «alternativo» rimangano tuttora più che rilevanti al fine di ottenere un quadro critico il più possibile completo dell’opera e carriera di un artista. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Se il libro batte il Brasile Per ragioni famigliari mia moglie e io non possiamo allontanarci da casa per più di due o tre giorni al massimo. Perciò da qualche anno evitiamo di progettare vacanze di qualche settimana ed è un obbligo che non mi dispiace affatto. Per fortuna in Italia i festival, le presentazioni di libri, i cicli di dibattiti si sono moltiplicati a ritmo esponenziale. Se avete la pazienza di scorrere i programmi noterete che i nomi dei protagonisti sono più o meno sempre gli stessi, una compagnia di giro, come erano un tempo i giocatori agli incontri internazionali di tennis, dove una volta vinceva uno e la volta dopo un altro. Gli organizzatori degli eventi culturali, quando hanno esaurito il serbatoio degli oratori teste di serie, per colmare i vuoti chiamano i nomi di seconda o terza scelta. Io mi faccio trovare pronto, chiedo solo il rimborso del viaggio in seconda classe e l’ospitalità per me e per mia moglie (che non solo mangia pochissimo ma mi controlla a tavola: «vacci piano, non sei più un ragazzo», è il suo mantra). I pregi di questo modello

di vacanza sono numerosi; a parte il non secondario vantaggio economico, esso soddisfa il lato passivo del mio carattere: non sono io a decidere la località, né l’albergo, né il ristorante. In altre stagioni, muovendoci per conto nostro, all’ora del pranzo e della cena si vagava indecisi, a leggere i menù con i prezzi appesi fuori sulla porta d’ingresso dei locali, finendo poi, dopo lunghe discussioni, per scegliere quello che non aveva più posti liberi. Tutto questo appartiene al passato. Per dire: di nostra iniziativa, non saremmo mai andati in gita turistica di un giorno a Novara, ridente località a un’ora e 15’ di treno da Torino. E avremmo avuto torto, perché la città è ricca di suggestioni risorgimentali e di opere del grande architetto Alessandro Antonelli, nato lì vicino, a Ghemme. Nel cortile di uno degli edifici di Antonelli, conosciuto come Casa Bossi, era prevista la mia chiacchierata, in coincidenza con la partita Brasile – Germania. Niente paura, si può sempre contare sugli spettatori allergici al culto calcistico, più numerosi di quanto si

Vent’anni or sono, mentre ero a Roma per lavoro, un dirigente della Rai, amico sia mio che di Andrea Camilleri, ci propose di un incontro pubblico nella libreria della figlia, in via Cola di Rienzo. Una signora domandò a Camilleri: cosa possiamo fare per esortare i nostri ragazzi a leggere? Lo scrittore siciliano, impagabile affabulatore, rispose più o meno così: la nostra generazione è stata fortunata, non c’era la televisione, d’estate non si facevano vacanze lontano dalla residenza della nostra famiglia, nelle ore più calde giocare all’aperto era a rischio di insolazione, non restava altro che leggere; infine c’erano quelle meravigliose malattie esantematiche e contagiose che costringevano a restare in isolamento per quindici giorni, esentati dal fare i compiti. Si leggeva fino a stordirsi. Adesso i ragazzi sono costretti a guarire in tre giorni, inoltre hanno il televisore e i video giochi. Io in più avevo il vantaggio di una mamma che mi sollecitava a smettere di leggere («diventerai gobbo, miope, rachitico, va a giocare con i tuoi compagni»); spe-

gneva la luce quando mi coricavo e io continuavo a leggere con la pila sotto le coperte. La lettura è un gesto eversivo, che i non lettori non tollerano; quando i miei figli erano piccoli si affittava per l’estate con gli altri parenti una villetta in un villaggio di montagna; mentre le signore cucinavano, gli uomini e i bambini giocavano; a bocce, a tennis, a carte, a scacchi. Io leggevo, ero alle prese con La montagna incantata di Thomas Mann. Se in cucina mancava qualcosa, (il sale, l’olio, il burro, il latte), la cuoca di turno si affacciava sul terrazzino e mi chiedeva di andare in paese, distante un paio di chilometri, a comprarlo. «Perché tocca sempre a me?», domandavo. «Non puoi per una volta mandare uno di loro?». Conoscevo già la replica: «Non vedi? Loro stanno giocando, non posso farli smettere. Tu stai solo leggendo». Da molti segnali si direbbe che il declino del libro non abbia fatto che accelerare; persino gli arredatori hanno smesso di collocare nel soggiorno delle nostre case un mobile con gli scaffali per i libri.

Fidatevi di noi professionisti, dei quali sulla pagina Facebook dicono «siete fantastici» (un dubbio: chi lo dice? Non certo il defunto. Per quanto si trovi in rete anche il sito Persone Speciali, dove i defunti continuano a vivere nei ricordi e nelle foto inserite da amici e parenti). Vediamo dunque che cosa offre l’outlet del funerale. Innanzitutto esperienza e leggerezza, suggeriscono le immagini: magazzini di bare, sacchi pieni di crocefissi dorati, urne di ogni forma, segnali tutti di un lavoro sui grandi numeri. Quanto alla leggerezza, non bastassero le pubblicità ecco la foto di simpatici gadgets, portachiavi con appesa una piccola bara, vedere per credere. Veniamo ora alle proposte, alternative alla «solita agenzia funebre». Non tutti i funerali sono uguali, il più povero costa poco più di mille euro, il più ricco diecimila. Ohibò, tanta simpatia e poi facciamo delle differenze? Il mercato è mercato, se ne era reso conto anche Totò, rimasto di

notte al cimitero, notando la differenza tra la tomba di un marchese e quella di un netturbino: «Questa è la vita! ’ncapo a me penzavo... / chi ha avuto tanto e chi nun ave niente! / Stu povero maronna s’aspettava / ca pur all’atu munno era pezzente?», il povero netturbino avrebbe mai immaginato di essere un pezzente anche da morto? La discussione tra i due morti fa poi comprendere il senso d’a livella, della morte che rende tutti uguali. Ma i vivi sono vivi, e ci tengono alle differenze, non è lo stesso accompagnare per l’ultimo viaggio il caro estinto con il minimo comunale esclusi bolli o invece con il funerale vip gold, che prevede trasporto in limousine con targa ODF (che si capisca che è predisposta per l’occasione, non è prestata da un parente), nonché coccarda, cuscino di fiori, libro delle firme e tavolino. Ma questi sono lussi, perché l’outlet concede democraticamente a tutti alcuni optional da non farsi sfuggire. La bara infatti

è accessoriata (tergicristallo? Wi-fi?). I necrofori, sì insomma i becchini, sono almeno quattro anche per i più poveri, i parenti si possono rilassare, niente pesi. La novità, infine: con i quattro, è sempre previsto anche un assistente di conforto. Non più le prefiche, le donne vestite di nero pagate per piangere ai funerali, come si possono vedere ancora in paesi non proprio al centro del turbinio contemporaneo. Non si urli, non si pianga, ma ci si lasci confortare dall’assistente preposto, o preposta. Togli la spesa fuori budget, togli il pianto, togli l’organizzazione di fiori e documenti, anche il trapasso diventa light. E alla fine avremo guadagnato pure un portachiavi nuovo. Cosa non si farebbe per allontanare dalle nostre vite il pensiero della morte e dei morti, che invece sono serissimi, come il netturbino spiega al marchese: «Sti ppagliacciate ’e ffanno sulo ’e vive: / nuje simmo serie... appartenimmo à morte!».

labbra. Gli occhi erano grigi e duri, sempre aperti come quelli d’un uccello notturno di rapina». Bell’esempio di ritratto semplice ed efficace, da sottoporre agli aspiranti scrittori che affollano le scuole di «scrittura creativa». Per non dire di quello che è stato definito ironicamente il «de bello gaddico», cioè il Giornale di guerra e di prigionia nel quale l’ex sottotenente degli alpini Carlo Emilio Gadda immerge il proprio «sistema celebro-spinale», «con la sensazione e con il pensiero, cioè con il corpo e con l’anima», nei «fatti perentorii e banali della vita di guerra», nella «brutale immediatezza di questi fatti», nelle «banali miserie», nella «vana e disperata sopravvivenza», nei «disumani dolori». E lasciando perdere i romanzi (Remarque, Hemingway…), per concentrarsi solo sulle testimonianze dirette, non bisogna dimenticare un libro fondamentale (5½) del filologo e critico Leo Spitzer, ex addetto alla censura austriaca, il quale nel 1921 raccolse e studiò le lettere

dei prigionieri di guerra italiani: documenti di dolore, di terrore, di coraggio, d’amore, di conforto, di ansia, eccetera. Il più ricco ventaglio di sentimenti che si sia mai letto, ma anche un minestrone saporito di linguaggi caserecci, precari, improbabili, di sgrammaticature e di invenzioni verbali popolaresche, di colori dialettali, per dire i sentimenti più alti e per trasmettere a casa le informazioni più terre-à-terre: «se potete mandatemi due fugase cote soto il fuoco che ame sono tanto oro»; «questo anno non si pesta il bacala oggi la vigilia (di Natale) abbiamo mangiato patate con sale perché qua non se ne conosce oglio e per non cundire colo lardo abbiamo mangiato questo». Il libro di Spitzer fu pubblicato in Italia, da Boringhieri, solo nel 1978 (tradotto dal grande germanista Renato Solmi) ed è oggi introvabile. Se ne attende ristampa o nuova edizione, magari con il saggio magistrale (sempre di Spitzer) sulle circonlocuzioni italiane per esprimere la parola «fame».

Voti altissimi meritano altri documenti, letterari e no, da cui emerge il vero spirito della Grande Guerra. Vedi alla voce: «Archivio di Pieve Santo Stefano», dove troverete i diari dei soldati che partirono e delle donne che rimasero a casa in attesa. L’Archivio di Pieve fu fondato nei primi anni Ottanta da Saverio Tutino, un grande giornalista, inviato ed esperto di cose cubane, che in vecchiaia lasciò i giornali e decise di salvare le memorie e le autobiografie della gente comune. Se cercate, su internet, troverete il diario del bersagliere Francesco Ferruccio Zattini, dove racconta come fu salvato dallo spirito di suo padre il giorno in cui una valanga venne giù «urlando come belva ferita». Troverete anche una storia di pane, cioccolato e pidocchi, e un’altra storia di un capitano che aspetta i tedeschi in prima linea «per dar loro qualche bastonata». Sono brani molto belli, poetici in natura. Perché la Grande Guerra ha fatto milioni di morti e milioni di pagine di poesia involontaria.

creda perché non osano ostentare il loro status di eretici. Il tema che mi era stato assegnato era quanto di più generico ed evanescente e si condensava in una domanda: «Perché leggere?». Risposta: e chi lo sa? Si trattava ovviamente del leggere per puro piacere, senza secondi fini. Il pubblico che aveva disertato la partita per venirmi ad ascoltare era formato, inutile verificarlo, di lettori appassionati, perciò giocavo in casa. Il punto da chiarire era: come si fa a convincere un non lettore che la lettura è fonte di infiniti piaceri? Se qualcuno disdegna le ostriche puoi sempre esortarlo a mangiarne una prima di vietarsi questo piacere, ma se non ama leggere non serve chiedergli di provarci. Preferisce sottoporsi a qualunque altro sacrificio: vuoi leggere questo libro o andare in cortile a spaccare la legna? Dov’è la scure? Leggere è un vizio che si prende da piccoli e il contagio resta un mistero; di due fratelli, educati allo stesso modo, uno diventa un lettore forsennato e l’altro soffre di orticaria al solo prendere un libro in mano.

Postille filosofiche di Maria Bettetini Il trapasso nell’era dei consumi Perché nessuno ci aveva pensato prima? Forse per pudore o per superstizione, ma i nostri tempi hanno cancellato il primo e reso la seconda così diffusa da non notarla nemmeno. Così, finalmente, questi tempi liquidi e frettolosi hanno prodotto un colpo di genio: l’outlet del funerale. Non è una battuta, né una metafora. Si tratta di una realtà che tappezza muri e mezzi di trasporto del Nord Italia. Ha sede a Cologno Monzese, a due passi dagli studi Mediaset (scherzi del destino, la polvere e la gloria dalla stessa parte del Seveso). La grandezza di questa invenzione sta nell’esorcizzare i terribili giorni del lutto, unendo all’utile anche il dilettevole dei prezzi fissi e convenienti. L’esorcismo si risolve in un’abile strategia di marketing: ora che sei vivo e i tuoi stanno bene, ti faccio ridere. Così poi, quando avrai bisogno, che capita a tutti nella vita o nella propria morte, che anche quella capita a tutti, ti ricorderai o

ricorderai a coloro che ti sopravvivono dell’outlet del funerale. Ecco dunque gli script dei manifesti e delle pubblicità internet: «Vita da cicala? Tanto poi c’è l’outlet!», a indicare il vantaggio di sapere in anticipo che gli eredi non pagheranno cifre elevate per il nostro funerale, quindi possiamo sperperare come una cicala in estate. D’altra parte a Napoli si vende il pacchetto «Paga adesso e muori tra cent’anni»: allo stesso prezzo si acquistano più servizi, non solo il funerale a prezzo fisso, non solo la riconoscenza degli eredi sollevati dalla spesa, ma anche, e forse soprattutto, un bel colpo inferto alla sventura. La morte come tutti sanno sta lontana da chi ne parla, la tratta con familiarità, la sogna. La migliore pubblicità del nostro outlet, per tornare al laborioso Nord che deve ancora imparare a vivere da cicala, è «Stanchi della solita agenzia funebre?», che è come dire: siete stufi di ricorrere di continuo ad agenzie funebri obsolete?

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il terrore e la poesia Che cosa si può dire della Grande Guerra che non sia già stato detto e scritto in questo centenario? Non molto. In compenso, resta tanto da leggere. Tante pagine di letteratura, oltre che di storia. Per esempio, uno straordinario racconto di Federico De Roberto (6–), intitolato La paura e pubblicato con altri racconti di guerra dall’editore e/o. L’autore dei Viceré era stato tra i sostenitori dell’intervento, ma alla fine del conflitto ricorderà tutte le aberrazioni della trincea, le angosce, le assurdità dei massacri: «se la morte è acquattata, vigile, pronta a balzare e a ghermire; se bisogna andarle incontro fissandola negli occhi, senza difesa, allora i capelli si drizzano, la gola si strozza, gli occhi si velano, le gambe si piegano, le vene si vuotano, tutte le fibre tremano, tutta la vita sfugge; allora il coraggio è lo sforzo sovrumano di vincere la paura; allora la volontà deve irrigidirsi, deve tendersi come una corda, come la corda del beccaio che trascina la vittima al macello». Sarebbe forse questo

il primo racconto (solo trenta paginette) da distribuire agli studenti (e anche agli adulti che ne sanno poco) quando si parla di guerra. E nelle scuole bisognerebbe aggiungere, a queste pagine, qualche brano a scelta di Un anno sull’altipiano (l’altipiano è quello di Asiago e l’anno va dal giugno 1916 al luglio 1917), dove il tenente Emilio Lussu racconta i movimenti bellici e quelli intestinali, proprio così, i movimenti più personali e nascosti dei combattenti che credono fieramente nella guerra e di quelli che pur combattendo dubitano, tremano, tentennano, rimpiangono la pace. Lussu narra senza retorica e con precisione scientifica, descrivendo cose, gesti, facce, parole e fatti: «Il generale non sorrise. Già, credo che per lui fosse impossibile sorridere. Aveva l’elmetto d’acciaio con il sottogola allacciato, il che dava al suo volto un’espressione metallica. La bocca era invisibile, e, se non avesse portato dei baffi, si sarebbe detto un uomo senza


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Idee e acquisti per la settimana

shopping Ciabattine, il pranzo pratico e leggero Attualità Un panino che sazia corpo e mente

Flavia Leuenberger

L’architetto Guido De Sigis apprezza le ciabattine leggermente farcite.

I carboidrati sono carburante indispensabile per dare energia a corpo e mente, lo sa bene anche Guido De Sigis che lavora come architetto indipendente a Lugano. Le sue giornate infatti si dividono tra il lavoro in studio, i cantieri che segue e le lezioni che tiene allo CSIA di Lugano e all’Accademia di Architettura di Mendrisio. Una vita sempre in corsa che richiede efficienza e vitalità. Il tempo disponibile sulla pausa pranzo è spesso davvero poco e le ciabattine

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Migros sono un buon compromesso tra l’esigenza di fare un pasto che possa saziare senza appesantire e la necessità che sia anche veloce e pratico. «Trovo molto più semplice e comodo portarmi un panino già pronto da casa, soprattutto in periodi durante i quali diversi impegni si accavallano e devo passare più tempo in studio oppure quando per motivi legati ad appuntamenti mi risulta più difficile fare una pausa pranzo sedendomi al tavolo di un ristorante». Se i carboi-

drati sono indispensabili per avere una mente pronta e attiva – è risaputo che una carenza di carboidrati nella dieta porta ad avere problemi di stanchezza, di memoria e perdita di lucidità – è anche vero che un loro consumo eccessivo e l’uso di condimenti e farciture troppo grasse possono pesare sulla digestione togliendo vitalità e compromettendo la concentrazione mentale. Le ciabattine dal formato di 100 g, in virtù del basso contenuto di sale che fa sì che il pane non

abbia un gusto troppo caratteristico o predominante, si sposano con qualsiasi tipo di imbottitura, che si tratti di affettati, formaggi oppure verdure. Una scelta ideale è quella di puntare su proteine e verdure, per un pasto equilibrato. Anche l’architetto De Sigis punta su un’alternativa semplice, gustosa e leggera. «Generalmente farcisco la mia ciabatta con ingredienti leggeri come del prosciutto cotto e dell’insalata. Un panino che posso preparare velocemente la mattina a

casa e riporre in un lunchbox facilmente trasportabile ovunque io debba andare. È la giusta soluzione per poter gustare un panino alla mia scrivania senza sporcare, mentre magari mi occupo di lavori al p.c. o prendo appunti per corsi che tengo o progetti che sto seguendo». Le ciabattine Migros, disponibili in un sacchetto di tre panini, sono proprio l’ideale per una pausa pranzo che si adatti a tutte le esigenze. Luisa Jane Rusconi


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Idee e acquisti per la settimana

Per grigliate di pesce da favola Attualità Il pesce alla griglia rappresenta una succulenta e leggera alternativa alla carne. Presso i banchi

pesce dei supermercati di Migros Ticino trovate una vasta scelta di specialità ittiche sostenibili ideali per il grill. Fatevi consigliare dai nostri esperti pescivendoli

Flavia Leuenberger

Una ricetta facile facile per quattro persone? Vi servono 4 orate pulite, 4 spicchi d’aglio, 4 rametti di rosmarino, sale grosso e dell’olio extravergine di oliva. Mettere nella pancia di ogni pesce uno spicchio d’aglio affettato, un rametto di rosmarino, un pizzico di sale grosso e un filo d’olio extravergine d’oliva. Porre le orate sulla griglia e cuocere a fuoco medio per una quindicina di minuti, spennellandole con l’olio e girandole di tanto in tanto. Infine, è importante ricordare che tutto il pesce venduto da Migros presso i banchi proviene da fonti sostenibili, vale a dire da pesca o allevamenti che non intaccano il patrimonio ittico degli oceani. Migros offre infatti ai propri clienti solo pesci consigliati dal WWF, che non appartengono a specie minacciate.

Gastronomia pronta da gustare Novità Nei maggiori supermercati Migros

con banco gastronomia sono state introdotte delle specialità fresche d’alta qualità

Flavia Leuenberger

Spiedini misti di pesce e di gamberetti, tranci di salmone e tonno, orate, branzini, trote, gamberoni… sono davvero tante le possibilità di scelta quando si tratta di pesce da mettere sulla griglia. Essendo il pesce particolarmente delicato, è utile prestare attenzione ad alcune regole nella grigliatura: per evitare che il pesce si sfaldi o resti attaccato alla griglia, utilizzate una vaschetta d’alluminio o una speciale griglia a pinza. Cuocetelo a fuoco medio e non giratelo troppo spesso durante la cottura. I pesci con carne soda, con o senza pelle, come salmone, trota o tonno, sono molto indicati per il grill. Non condite troppo il pesce affinché preservi il suo sapore, spennellatelo p. es. semplicemente con olio ed erbette fresche tritate quali timo, rosmarino o origano prima di grigliarlo. Il pesce richiede tempi di cottura brevi.

Dopo una lunga giornata di lavoro non avete voglia di mettervi ai fornelli? Oppure per pranzo desiderate portarvi in ufficio qualcosa di più sfizioso rispetto al solito panino? In questi casi le nuove specialità fresche dei banchi gastronomia fanno proprio al caso vostro. Queste pietanze pronte da gustare o da riscaldare brevemente sono preparate con cura con l’utilizzo dei migliori ingredienti. La gamma è talmente ampia che non c’è proprio pericolo di annoiarsi, ed include:

lasagne e cannelloni alla bolognese, parmigiana di melanzane, insalata russa, cocktail di gamberetti, insalata di riso, supplì di riso con mozzarella, merluzzo fritto, olive all’ascolana, arancini mignon al ragù, insalata di pasta, insalata di orzo, fagiolini al vapore, tris di verdure, insalata di cervelas, insalata di patate, insalata di farro e crocchette di patate. La maggiori parte di queste pietanze sono inoltre disponibili anche nella versione take away.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Idee e acquisti per la settimana

Piccole perle di bontà Attualità I frutti di bosco svizzeri sono nel pieno della loro stagione. A Migros Ticino ne trovate un ampio

assortimento per una carica di vitamine e non solo

Frappè ai frutti di bosco

Ora è il momento giusto per gustare more, lamponi, mirtilli, ribes, cassis e fragoline. Queste piccole bontà svizzere non solo belle da vedere ma anche buone e sane da mangiare. Grazie al loro aroma intenso sono ottimi da soli, ma si prestano pure perfettamente per preparare sciroppi, confetture, salse, gelati e dessert paradisiaci. Anche dal punto di vista nutrizionale si caratterizzano per le loro interessanti proprietà, come ci conferma Pamela Beltrametti, dietista diplomata SSS dello studio La Dietista di Cadenazzo: «Lamponi e fragole sono ricchi di acido ellagico, un membro della famiglia dei polifenoli. Questa molecola ha capacità antiossidanti, e in laboratorio si è notato come protegga il DNA cellulare dalle mutazioni, impedendo alle sostanze cancerogene di reagire con esso. Mirtilli, lamponi e cassis sono invece fonte di antocianidine, sostanze della famiglia dei polifenoli, anch’esse con proprietà antiossidanti». I frutti di bosco sono una vera delizia se consumati freschi, ma possono essere benissimo anche congelati. «Il congelamento – spiega la dietista – è un modo di conservazione rispettoso dell’alimento, che consente di mantenere le proprietà nutritive dei frutti e gustarli anche al di fuori della loro stagione». I frutti freschi, essendo molto delicati, vanno conservati in frigorifero e consumati il prima possibile. Se congelandoli si vuole che mantengano la loro forma, si consiglia di pre-congelarli singolarmente su una teglia per due ore prima di metterli nei sacchetti.

… per la loro tenerezza e sapidità, le costine sono uno dei tagli di carne più apprezzati del maiale? E che non è solo la marinata a conferire il caratteristico gusto, bensì anche le ossa e il leggero strato di grasso presente nella carne? Sebbene le costine possano essere cotte in molti modi – bollite, in umido, al forno o fritte – è sicuramente grigliate che sanno dare il meglio di sé. È infatti sulla griglia che i succulenti pezzi di carne acquisiscono quell’inconfondibile aroma di affumicato, soprattutto se si utilizza un grill a legna o a carbonella. Alcuni suggerimenti per la cottura: utilizzate dell’olio nella marinata per evitare che le spezie brucino. Marinate le costine almeno trenta minuti prima di grigliarle. Utilizzate una pinza per girarle e non un forchettone. Non grigliate mai direttamente sulla fiamma. Grigliate le costine inizialmente a fuoco forte, quindi spostatele verso il bordo della griglia terminando la cottura a fuoco medio-basso. Cuocete le costine per un’oretta al minimo, spennellandole regolarmente con la marinata e girandole di tanto in tanto in modo che cuociano bene da entrambi i lati. Cuocere le costine deve essere un piacere e non va fatto di corsa.

Ingredienti 400 g di frutti di bosco misti quali lamponi, ribes rossi, mirtilli, more e fragole Un po’ di zucchero Alcune gocce di succo di limone 2 dl d’acqua ½ vaschetta di gelato alla vaniglia (ca. 250 g) 2 dl di latte magro Preparazione Ridurre in purea i frutti di bosco e aggiungere zucchero, succo di limone e acqua. Mettere in frigo. Poco prima di servire, frullare il gelato con il latte magro e la purea di frutti di bosco fino a ottenere una bella schiuma. Versare nei bicchieri e servire.

Premiazione concorso formaggi freschi Chavroux Stefano Spinelli

Lo sapevate che…

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Con la sua irresistibile ricetta della «panna cotta» ha partecipato al concorso «Cook & Win – crea la tua ricetta con i formaggi di capra freschi Chavroux» ed ha avuto la fortuna di essere stata selezionata tra le dieci vincitrici a livello nazionale. Eliana Pedrotti, di San Vittore, si è così portata a casa un

fantastico robot da cucina tuttofare «KitchenAid». L’ambito premio le è stato consegnato nelle scorse settimane presso il supermercato Migros di S. Antonino da Charles-André Robert dell’azienda Bongrain SA (a sinistra) e Floriano Torino, responsabile marketing latticini e convenience a Migros Ticino.


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Tutti i tipi di pane Léger 20% di riduzione, per es. pane proteico Léger, 400 g

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PESCE, CARNE E POLLAME Hamburger di manzo, bio, Svizzera, 4 pezzi, 460 g 8.35 invece di 11.95 30% Ripieno per toast, TerraSuisse, in conf. da 2, 2 x 174 g 5.90 invece di 9.85 40% Bresaola Jumbo Fresh, affettata, Italia, per 100 g 7.55 invece di 9.45 20% Tutti i polli Optigal interi, Svizzera, per es. Pollo intero natura, al kg 6.60 invece di 9.50 30% Salmone affumicato, bio, d’allevamento, Scozia, 260 g 15.– invece di 21.55 30% Arrosto di vitello cotto, Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g 3.40 invece di 4.25 20% Salametti a pasta fine, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.75 invece di 3.95 30% Tutte le costolette di maiale, TerraSuisse, per es. costolette magre di maiale, Svizzera, imballate, per 100 g 1.50 invece di 2.20 30% Spiedini di agnello speziati, Nuova Zelanda, imballati, per 100 g 3.95 invece di 5.70 30% Fettine di tacchino fini, AIA, Italia, in conf. da ca. 600 g, per 100 g 1.40 invece di 1.90 25%

PANE E LATTICINI Tutti i tipi di pane Léger, per es. pane proteico, 400 g 2.95 invece di 3.70 20% Tutti gli yogurt in conf. da 6, per es. al moca, 6 x 180 g 2.30 invece di 3.30 30% Quark alla frutta in conf. da 4 –.40 di riduzione, per es. alla fragola, 4 x 125 g 2.– invece di 2.40 Le Gruyère dolce (formato maxi escluso), per 100 g 1.30 invece di 1.65 20% Caprice des Dieux, 300 g 4.30 invece di 5.40 20% Mozzarella Galbani in conf. da 3, 3 x 150 g 4.55 invece di 5.70 20% Formagín ticinés (formaggini ticinesi), prodotti in Ticino, in conf. da 2, al kg 14.30 invece di 18.50 20%

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Crispy di tacchino impanati Don Pollo, surgelati, 1 kg 5.90 invece di 11.85 50% Megastar in conf. da 12, UTZ, vaniglia, mandorla, cappuccino, per es. mandorla, 12 pezzi, 1440 ml 8.90 invece di 17.80 50% Tutti i gelati Crème d’or in vaschette da 750 ml e 1000 ml, per es. cioccolato, 1000 ml 7.80 invece di 9.80 20% Tutte le bevande Passaia in conf. da 6, per es. Regular, 6 x 1,5 l 8.40 invece di 12.60 33% 6 per 4 Red Bull standard o sugarfree in conf. da 12, per es. standard, 12 x 250 ml 15.90 invece di 19.80 15% Tutte le acque minerali Aproz in conf. da 6, per es. Classic, 6 x 1,5 l 3.80 invece di 5.70 33% Tutti i tipi di cereali in chicchi, di legumi o di quinoa Migros bio, per es. lenticchie rosse, 500 g 2.– invece di 2.50 20% Tutte le olive Migros e Monini in bustine, vasetti o barattoli, per es. olive nere, Spagna, snocciolate 150 g, per bustina 1.90 invece di 2.40 20% Tutti i brodi Bon Chef o Knorr, per es. brodo di verdure, 12 x 10 g 2.40 invece di 3.– 20% Popcorn al cioccolato o al caramello M-Classic in conf. gigante, per es. al cioccolato, 300 g 2.45 invece di 3.10 20% Tutte le crostate, per es. crostata di albicocche, 215 g 2.30 invece di 2.90 20% Tutti i cake a forma di sella di capriolo, per es. cake alla tirolese, 340 g 2.85 invece di 3.60 20%

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Fiori al limone o agnolotti ai funghi Anna’s Best in conf. da 2, per es. fiori al limone, 2 x 250 g 7.80 invece di 9.80 20%

Tutte le barrette di cereali Farmer in conf. da 2, per es. alle more e alla mela, 2 x 234 g 7.– invece di 8.80 20% Miscela di noci o cranberries Sun Queen in conf. da 2, per es. cranberries, 2 x 150 g 3.– invece di 4.30 30%

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Idee e acquisti per la settimana

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Sete di sapere I bambini imparano meglio giocando. Il disegno da colorare di Aproz Kids spiega il ciclo dell’acqua. Occhio all’adesivo applicato su ogni bottiglia

Da dove proviene l’acqua minerale dell’Aproz Kids? Come si formano le nuvole? E come vengono irrigate le fragole che conferiscono l’aroma all’Aproz Kids Fragola? Informazioni sul ciclo dell’acqua i bambini le trovano sul disegno da colorare, scaricabile fino alla fine di ottobre su www.aprozkids.ch nella versione a colori oppure in quella da colorare. Per ognuno dei sette passaggi del ciclo idrologico su ogni bottiglia è presente un adesivo, il quale è da incollare al posto giusto sul disegno. L’Aproz Kids è un’acqua minerale naturale per bambini a partire dai due anni,

disponibile nelle varianti Cristal e Fragola. Quest’ultima è arricchita con aromi naturali ed è esente da coloranti o conservanti. Il vivace design della bottiglia stimola a bere regolarmente. I bambini in confronto agli adulti hanno un fabbisogno maggiore di liquidi. La pratica bottiglietta da 33 cl sta comodamente nelle manine dei bimbi e il tappo sportivo permette loro di bere comodamente evitando che il liquido fuoriesca. L’acqua minerale Aproz è particolarmente ricca di calcio. Il contenuto di calcio di una bottiglietta di Aproz Kids corrisponde a quello di un decilitro di latte. / DH

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 4 agosto 2014 ¶ N. 32

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Idee e acquisti per la settimana

6 1974 40° anniversario della Gifa. Negli anni la produzione è salita a 45 articoli: 23 prodotti di lavaggio e pulizia, più altri 22 derivati di margarina, oli e grassi. La produzione annua ammonta a 42 000 tonnellate.

Sempre al passo coi tempi Con le sue idee innovative il fondatore della Migros, Gottlieb Duttweiler, ha rivoluzionato il commercio. Per poter offrire prezzi al dettaglio convenienti puntò sulla produzione in proprio. Cinque furgoni con sei articoli in vendita e 16 dipendenti: così ebbe inizio la leggendaria epopea della Migros. Sin dall’inizio l’idea di fondo era quella di offrire ai clienti prodotti di qualità a un prezzo imbattibile. Perciò i costosi articoli di marca furono sostituiti uno dopo l’altro con prodotti fabbricati in proprio. L’innovativo processo messo in moto da Gottlieb Duttweiler ha sviluppato un’industria propria, dalla quale oggi provengono circa 10 000 prodotti Migros. Lo sviluppo di quattro gamme è al centro di una breve serie di articoli che inizia con questa edizione. Si comincia con i detersivi della marca di casa. Sono, infatti, molte le ragioni per cui Total è il detersivo più venduto in Svizzera da ben 75 anni. / JaquelineVinzelberg

6 1939

A causa della grande richiesta, a partire dal 1934 Ohä venne prodotto letteralmente a ritmo continuo nella fabbrica Gifa di Basilea.

1971 Il 1971 è proclamato Anno della protezione dell’ambiente. La Migros decide di ridurre la percentuale di fosfati contenuta nei detersivi.

Duttweiler chiama «Schadlos» (innocuo) il suo nuovo detersivo per capi delicati In un primo momento, la drastica riduzione del contenuto di fosfati nei detersivi viene disapprovata dalla clientela. Ciononostante, nel 1971 la Migros lancia sul mercato un nuovo detersivo Total senza fosfati.

6 1980 Il 1° gennaio 1980 la produzione e l’amministrazione della Gifa vengono trasferiti a Frenkendorf (BL), sotto la nuova denominazione sociale Mifa. Nei suoi laboratori si svolge una costante attività di ricerca e sviluppo. La Mifa è stata la prima in Svizzera a lanciare le confezioni di ricarica per detergenti liquidi.

Ohä viene ribattezzato Linda Maximal.

1984 50° anniversario della Mifa 1933 6

Nel 1933 Gottlieb Duttweiler trasferì la produzione di liscive da Meilen e da Zurigo a Basilea. Allo scopo fu fondata la società Gifa (foto), che includeva diverse strutture di produzione.

{

6 1951

}

{

L’associazione di idee alla base del marchio «Ohä». Si gioca sul nome di «Henkel», il noto fabbricante di detersivi, che sulla confezione era camuffato da una foglia di fico. Da qui scaturisce la contrazione «Ohä», vale a dire: «Ohne Hänkel» (senza Henkel). Ohä costava infatti la metà del Persil, all’epoca leader del mercato. 6 1930

6 1931

A causa dei bassi prezzi praticati dalla Migros sul sapone, all’inizio del 1930 scatta il boicottaggio dei fabbricanti di liscive, dato che la clientela minacciava di allontanarsi dai loro articoli di marca. Rimane fedele alla Migros solo il saponificio Rieder & Co. di Oberrieden sul Lago di Zurigo.

Nel 1931 il Dr. Paul Lanz, il nuovo chimico aziendale, sviluppa il detersivo Ohä e il prodotto per le pulizie Päng, poi diventato Potz. Nel 1955, nel necrologio in ricordo del suo collaboratore di vecchia data, Gottlieb Duttweiler descrisse questi due prodotti come uno «sviluppo rivoluzionario».

Per far fronte all’aumento della domanda da parte della Migros, nel 1930 la ditta Rieder & Co. si trasferisce in una centrale elettrica abbandonata a Rüschlikon, il comune dove abitava Gottlieb Duttweiler.

6 1925 Fondazione della Migros: assieme a caffè, zucchero, riso, grasso di cocco e pasta, il sapone faceva parte dei primi sei prodotti venduti nei «negozi ambulanti».

Gottlieb Duttweiler e la sua geniale idea: i furgoni della Migros.

6 1952 Dopo una temporanea esperienza in proprio, Paul Lanz ritorna in Migros. Sarà nominato direttore scientifico degli impianti di produzione. Dopo un viaggio di studio negli USA apre un nuovo saponificio a Basilea.

}

Il fabbricante di saponi zurighese Steinfels imita la propaganda della Migros per Ohä. Chiama la sua lisciva «JäSoo» e, in pieno stile Duttweiler, proclama: «Secondo ricerche ufficiali, Jä-Soo è assolutamente dello stesso livello dei molto più costosi prodotti della concorrenza».

6 1955

Il successivo detersivo Migros si chiamerà «Weisse Wolken» (nuvole bianche): una scherzosa risposta a Steinfels il cui detersivo JäSoo accludeva le figurine dell’album «I racconti di Calza di Cuoio». «Nuvola Bianca» è appunto il nome di un capo indiano di quella popolare serie.

Lancio del nuovo detersivo Päng

Foto: Archivio FCM, Karl Hofer/Archivio FCM, Ruedi Keller/Archivio FCM, Mibellegroup,PD

1964 La fabbrica di detersivi della Migros fu la prima in Svizzera a produrre tutti i detersivi e i prodotti di pulizia con una formula facilmente biodegradabile.

6 1961/62

Sviluppo e lancio di diversi nuovi prodotti come il detersivo per lavatrici Total (in foto la confezione del 1967)

Dopo la seconda guerra mondiale, negli USA arrivano sul mercato i detersivi sintetici. Offrono una buona fluidità, una rapida solubilità e una migliore forza pulente. Migros riconosce il loro potenziale e nel 1955 mette in funzione il primo impianto di polverizzazione adatto a produrli. Poly, il detersivo sintetico per le alte temperature, e Pour Tout per i capi delicati, sono i primi prodotti nati da questo nuovo tipo di procedimento tecnico.

1966 Nella primavera del 1966 la fabbrica dei detersivi fu ampliata con un impianto di polverizzazione da 2,5 tonnellate.


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Nel 1987 i detersivi senza fosfati Total e Savo in polvere vengono proposti in una nuova formula meglio solubile. Fino al 2009 Savo esisterà come marchio proprio, ma nel 2011 sarà riassorbito da Total.

Fusione della Mifa AG, della Mibelle AG di Buchs e della Mibelle Ltd di Bradford (UK) in un unico gruppo aziendale sotto il marchio Mibelle Group. 2012 6

Total 1 for all in polvere lava e protegge ogni tipo di fibre e tessuti 2,25 kg, 30 cicli di lavaggio Fr. 7.95* invece di 15.90 Total Color massima efficacia a qualsiasi temperatura 2.475 kg, 33 cicli di lavaggio Fr. 7.95* invece di 15.90

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2011 6

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6 2006

Duo Power Liquid: una combinazione unica al mondo di detersivo completo e delicata candeggina. 6 1987 Viene migliorata la formula dei detersivi in polvere Total e Savo.

6 1992 Dal 1992 Total esiste anche nella pratica confezione di ricarica. Il cliente ne approfitta doppiamente, perché risparmia e ha meno rifiuti.

Total Cool Active: solubile in acqua fredda, con forza pulente intensiva ad ogni temperatura.

Total Color Protect Liquid: il primo detersivo liquido con l’esclusiva formula Color Protect nel contenitore a doppia camera brevettato.

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6 2007

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