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GREEN GOURMET FAMILY è il libro di cucina per tutta la famiglia. Le 70 ricette di stagione offrono ispirazioni per tutto l’anno. La storia di un panda curioso alla scoperta delle abitudini alimentari degli umani accompagna questa raccolta di ricette. Il Green Gourmet Family, un progetto nato dalla collaborazione tra la Migros, Cucina di Stagione e il WWF, mostra a grandi e piccoli quanto sia facile cucinare all’insegna della sostenibilità.
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Libro di cucina Green Gourmet Family 124 pagine, 70 ricette In vendita in tutte le filiali Migros
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Il libro di cucina nato in collaborazione con il WWF
Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 30 giugno 2014
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Società e Territorio I cinema storici del Ticino – primo articolo di una serie
Ambiente e Benessere Da Pasquerio a Pollegio, un corridoio ecologico di 1,2 chilometri grazie a un progetto all’avanguardia
Politica e Economia Da luglio parte la presidenza semestrale italiana dell’Unione europea
Cultura e Spettacoli Popolare, controverso e instancabile: Hans Erni
pagina 15
pagina 5
pagina 27
Mani di fata
pagina 37
Stefano Spinelli
di Sara Rossi pagina 9
La partita può cominciare di Peter Schiesser La partita a scacchi è cominciata. Anzi, per il Consiglio federale questa è una partita doppia: una con l’Unione europea e una con gli avversari interni della politica europea del governo. In gioco sul piano nazionale c’è la politica sull’immigrazione dell’ultimo decennio, su quello europeo la libera circolazione delle persone, con le numerose possibili ricadute sulla nostra economia e sui rapporti con Bruxelles. E, come in ogni partita a scacchi, assisteremo nei mesi e negli anni a venire a numerose mosse tattiche, il cui significato non sarà sempre evidente immediatamente. La prima mossa il Consiglio federale l’ha fatta il 20 giugno, annunciando come intende concretizzare l’iniziativa popolare dell’UDC contro l’immigrazione di massa, accolta il 9 febbraio: con l’introduzione di contingenti per (quasi) tutti i lavoratori stranieri, frontalieri compresi, e dando precedenza ai lavoratori indigeni nelle assunzioni (vedasi a pagina 33 l’articolo di Marzio Rigonalli). Quanti permessi di lavoro verranno concessi lo si saprà verso fine anno, quando il Consiglio federale avrà concretizzato i principi ora annunciati; si sa
fin d’ora invece che il governo intende definirli in base alle esigenze e alle richieste dei cantoni. Tuttavia, siccome il governo mostra di volersi attenere allo spirito dell’iniziativa, che chiede una riduzione dell’immigrazione, v’è da prevedere che vi saranno aspre lotte fra i diversi settori economici e di riflesso fra le forze politiche in Parlamento. Eppure, può benissimo darsi che tutti questi sforzi, discussioni, pressioni si riveleranno inutili, poiché non è detto che si giungerà davvero a introdurre i contingenti e la priorità ai lavoratori indigeni nelle assunzioni. Semplicemente, perché l’Unione europea ha sempre detto che non intende negoziare il principio della libera circolazione delle persone (cui il sistema dei contingenti contravviene). E allora c’è da chiedersi quali siano le reali intenzioni del Consiglio federale. Gli ambienti economici lo hanno criticato per non aver sfruttato gli spazi di interpretazione che l’iniziativa dell’UDC concede, di aver preso troppo alla lettera le richieste degli iniziativisti e di porsi così in rotta di collisione con Bruxelles. L’UDC invece ha criticato il fatto che il Consiglio federale voglia chiedere a Bruxelles di rinegoziare la libera circolazione delle persone ancora prima di avere definito in patria nel dettaglio i nuovi criteri che regoleranno l’im-
migrazione. In effetti, la fretta può apparire sospetta. Quindi, la domanda che aleggia dopo la presentazione dei principi di applicazione dell’iniziativa del 9 febbraio è: il Consiglio federale vuole presentarsi a Bruxelles con una posizione che l’UE non sarà mai disposta ad accettare per fare naufragare sul nascere i negoziati (ciò che porrebbe un’ipoteca sull’intero primo pacchetto di accordi bilaterali)? In questo modo, il Consiglio federale potrebbe poi rivolgersi al popolo chiedendo espressamente, in una nuova votazione popolare, se preferisce salvare gli accordi bilaterali con l’UE o insistere a non volere più la libera circolazione, con tutte le conseguenze del caso. L’intenzione di tornare a votare sugli accordi bilaterali fra qualche anno è stata ventilata nei mesi scorsi dal presidente Burkhalter, lo scenario ipotizzato sopra non è dunque fantapolitica. La volontà del Governo di giocare al più presto la partita con Bruxelles risponde dunque a una logica - e non solo politica: per l’economia, l’incertezza è puro veleno, meglio avere condizioni quadro chiare alle quali tutti possano orientarsi. In fondo, il governo non fa altro che prendere sul serio le intenzioni dei vincitori del 9 febbraio e confrontare il Paese con le conseguenze del voto (che alla vigilia molti avevano rimosso).
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Attualità Migros
M Una nuova Migros per Lugano
Migros news
Migros Ticino Al via i lavori di rinnovo dello stabile di via Pretorio
Cumulus Green: più trasparenza nel carrello della spesa Cumulus Green darà ai membri Cumulus la possibilità di conoscere a colpo d’occhio la percentuale di prodotti sostenibili sugli acquisti da loro effettuati. La percentuale Cumulus Green comprenderà gli acquisti di prodotti certificati da vari marchi di sostenibilità, quali ad esempio Migros Bio, Terra Suisse, Max Havelaar o TopTen. Sarà calcolata sugli acquisti effettuati in tutte le filiali Migros, nei mercati specializzati Melectronics, Do it + Garden, SportXX e Micasa e i relativi online shop. Sul retro dell’estratto conto bimestrale Cumulus i partecipanti troveranno da subito la percentuale Cumulus Green dell’ultimo periodo di conteggio e scopriranno la loro posizione rispetto agli altri membri Cumulus. Nell’area protetta «Il mio conto» del sito Internet www.migros.ch/cumulus, sarà disponibile un resoconto ancor più dettagliato. Chi volesse aumentare la propria percentuale Cumulus Green potrà definire il proprio obiettivo annuale nel sito www.migros. ch/cumulus-green/concorso e partecipare automaticamente al sorteggio di premi per un valore complessivo di 20’000 franchi. Cumulus Green fa parte del programma Generazione M. I marchi rappresentano un prezioso orientamento per i consumatori che vogliono acquistare badando non solo al prezzo ma anche alla compatibilità ecologica e sociale dei prodotti. Grazie al sistema di protezione dei dati certificato Good Privacy, Migros garantisce ai suoi clienti piena affidabilità nella protezione dei dati Cumulus.
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
La ristrutturazione terrà conto della funzionalità per la clientela e degli standard ecologici.
visoriamente al numero 13 della stessa via – troverà nuovamente spazio al quarto piano, mentre nel corso dell’autunno 2015 verrà inaugurato un centro Activ Fitness, nuovo settore di attività
di Migros Ticino. A completare l’offerta tre inquilini attivi nel settore tessile e degli accessori. I parcheggi saranno mantenuti. La progettazione dei lavori è opera
di un team di specialisti condotto dal progettista generale studio di architettura Buletti Fumagalli e associati di Lugano. Vista la complessità, l’esecuzione dei lavori è invece stata appaltata all’impresa generale Implenia Svizzera SA di Lugano, che coinvolgerà per la grande maggioranza aziende e artigiani attivi in Ticino. Con la ristrutturazione saranno migliorati la funzionalità, la mobilità interna, l’estetica e gli aspetti energetici: il materiale isolante e le installazioni tecniche saranno di nuova tecnologia, ciò che consentirà di ridurre il consumo annuo di energia elettrica del 30% e di circa 160 mila litri di gasolio. Un importante utilizzo di vetrate isolanti permetterà inoltre di beneficiare della luce naturale. Migros Ticino prosegue così il programma di ammodernamento ed espansione della sua rete di vendita e conferma la volontà di essere presente su tutto il territorio del Cantone – centri e quartieri cittadini, periferie e centri commerciali – con strutture che si adattano alle differenti necessità espresse dalla sua clientela.
Grandi e piccoli insieme ai fornelli Editoria Migros e WWF lanciano il libro
di cucina Green Gourmet Family Con Green Gourmet Family i bambini non solo imparano a preparare pietanze deliziose, ma si divertono anche con le storie sulle avventure del panda e con le splendide illustrazioni ricche di dettagli. Il panda curioso guida i lettori attraverso il libro di cucina: lascia le sue impronte sulle pagine e osserva come le persone cucinano insieme, giocano e festeggiano. Migros ha progettato e realizzato Green Gourmet Family in collaborazione con gli esperti del WWF: 70 ricette di «Cucina di stagione», la rivista culinaria
della Migros, offrono ispirazione per tutto l’anno e per ogni occasione, per esempio per le grigliate estive o la festa di compleanno perfetta. I prodotti freschi come frutta e verdura vengono impiegati a seconda della stagione e provengono il più possibile dalla regione. Gli ingredienti sono disponibili in gran parte come prodotti di marchi sostenibili (Bio, TerraSuisse, MSC e Max Havelaar). Il primo libro di cucina della Migros e del WWF, Green Gourmet, è stato pubblicato tre anni fa ed è uno
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11
La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
Stampa: Centro Stampa Ticino SA Via Industria 6933 Muzzano Telefono 091 960 31 31
Marka
Prendono avvio oggi i lavori di completa ristrutturazione dello stabile di via Pretorio 15 che ospita le attività di Migros Ticino a Lugano. Gli interventi, che prevedono un radicale rinnovo esterno e interno dello stabile, verranno realizzati su un periodo di 3 anni, a tappe, piano per piano, per limitare il più possibile i disagi alla clientela, e si concluderanno nel corso della seconda metà del 2017, quando anche l’offerta del centro si presenterà in forma rinnovata. L’investimento totale è di oltre 40 milioni di franchi, suddivisi tra Migros Ticino e il proprietario dello stabile, Verintra SA. Al termine dei lavori, l’offerta del centro, prevalentemente a vocazione commerciale, si presenterà in una forma ridefinita e saranno proposti anche assortimenti nei settori tessili, cosmetica, casalinghi, fai da te, Melectronics e SportXX, che affiancheranno il supermercato e la ristorazione, le cui attività si concentrano al piano terra, con un ampliamento delle proposte presso lo snack De Gustibus. Anche la sede della Scuola Club – fino alla prossima estate ubicata prov-
Richiamo prodotto SweetUs -Real Nut Crunch Migros richiama l’articolo per aperitivi della linea SweetUs -Real Nut Crunch con noci d’acagiù, mandorle e cranberries. Il prodotto riporta una dichiarazione errata, valida per il preparato a base di arachidi con sesamo. L’immagine riportata sull’imballaggio di SweetUs, ovvero mandorle, noci d’acagiù e cranberries, corrisponde al 100% al contenuto del sacchetto. Non così la dichiarazione sul retro della confezione, dove come ingredienti sono indicati arachidi con sesamo. Per tutelare la sicurezza dei consumatori allergici alle mandorle e alle noci d’acagiù, Migros richiama il prodotto SweetUs Real Nut Crunch con noci d’acagiù, mandorle e cranberries. Il prodotto in questione con data di conservazione minima 16.03.2015 riporta il numero di articolo errato, 1014.090, ed è stato venduto al prezzo di CHF 2,80, valido per il prodotto SweetUs Peanut Crunch. Le persone allergiche alle noci d’acagiù o alle mandorle non dovrebbero consumare questo prodotto: possono riportarlo in una qualsiasi filiale Migros e ottenere il rimborso del prezzo di vendita. I consumatori non allergici possono invece gustare senza preoccupazioni la miscela per aperitivi.
Il libro è disponibile in tutte le filiali Migros dal 1° luglio.
dei ricettari di maggior successo in Svizzera, che ha trovato un posto in oltre 250’000 economie domestiche del nostro Paese. Le ricette Green Gourmet sul sito web cucinadistagione.ch vengono consultate online oltre 55’000 volte al mese. Questo dimostra che cucinare in modo sano e rispettoso della natura è una tendenza in crescita. Come spiega Thomas Vellacott, CEO del WWF Svizzera: «Le persone assumono un comportamento ecologico se da bambini hanno imparato a trattare in modo responsabile le nostre risorse naturali. Il modo più semplice per farlo è attraverso le esperienze pratiche. Green Gourmet Family, quindi, è un bell’esempio per avvicinare in modo giocoso bambini e giovani a un atteggiamento ecologico». In concomitanza con il lancio del nuovo libro di cucina, le Scuole Club Migros offrono anche corsi di cucina Green Gourmet per bambini e famiglie. Green Gourmet Family (124 pagine con 70 ricette e 8 illustrazioni ricche di dettagli) è in vendita a partire dal primo luglio 2014 per tre mesi in tutte le filiali Migros a 19,80 franchi (membri di Famigros 11,85 franchi). Fino a esaurimento dello stock. Tiratura 98’645 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch
Concorso Moon & Stars, i vincitori Tra gli oltre 3000 partecipanti al concorso Moon&Stars, indetto in occasione della votazione generale 2014, sono stati estratti i vincitori di 2 biglietti per il concerto di James Blunt, del 16 luglio. La fortuna ha premiato: Adriano V. di Lumino, Alessandro F. di Breganzona, Anna M. di Stabio, Beatrice L. di Brione sopra Minusio, Carla P. di Biasca, Cinzia C. di Brione sopra Minusio, Colomba M. di Monte Carasso, Daniela O. di Balerna, Danila C. di Mendrisio, Donatella G. di Bellinzona, Edouard M. di Pregassona, Elena A. di Losone, Elisa T. di Gordola, Eolo B. di Lugano, Gabriele B. di Cavergno, Giancarlo C. di Mezzovico, Gianna S. di Sessa, Ilona B. di Cavigliano, Ivano N. di Bioggio, Jole B. di Roveredo GR, Karin F. di Minusio, Laura P. di Giubiasco, Lilli C. di Lugano, Luca D. di Roveredo GR, Luciana L. di Comano, Ludovico M. di Lugano, Luise C. di Lugano, Maria S. di S. Antonino, Mario T. di Faido, Martina H. di Locarno, Maya D. di Sementina, Michel P. di Russo, Monica K. di Pazzallo, Monica N. di Balerna, Paolo G. di Rancate, Renato L. di Locarno, Rita C. di Vezia, Rita R. di Gerra Gambarogno, Romana M. di Bellinzona, Rosemarie T. di Locarno, Samantha R. di Capolago, Sandro R. di Lugano, Simona G. di Vairano, Simona R. di Bedano, Stefania T. di Gordola, Susan P. di Faido, Susi P. di Agarone, Sylvia O. di Locarno, Tiziana S. di Magliaso, Yvan F. di Breganzona.
Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Una città tra due fiumi Secondo lo studio infrarealities la pianificazione urbana di Lugano dovrebbe creare una rete caratterizzata da un’ampia serie di collegamenti
Professione burattinaia Incontro con Joana Butu, che racconta della sua passione per le marionette: una storia che inizia nell’infanzia ed è diventata il suo lavoro pagina 9
pagina 6
Il cinema Teatro & Mignon di Mendrisio. (Simone Mengani)
Il leone della Metro in Ben Hur è muto Cinema storici L’architettura dello spettacolo attraverso le sale da proiezione del nostro cantone – Prima puntata Oliver Scharpf La facciata liberty del cinema-teatro in via Vincenzo Vela ventuno a Mendriso mi ha sempre attratto molto, le poche volte che sono passato di lì, provocando tutta una serie di fantasticherie sui cinema di un tempo. E non sono mica di certo l’unico: non può sfuggire quell’entrata principale illusionisticamente rotonda, quasi un antro magico tipo bocca della verità astratta, e quel nome d’antan: Teatro & Mignon Cinematografi. Eppure, quando il signor Morandini tira in ballo i fratelli Lumière a proposito del primo cinema in Svizzera, fondato da suo nonno Arturo a Lucerna agli inizi del Novecento, la realtà oltrepassa l’immaginazione. E mi sa che siamo nel posto giusto per incominciare una serie di articoli sui cinema storici ticinesi: un’idea del fotografo Simone Mengani. Del resto questo cinema, all’inizio solo teatro-varietà, costruito nel 1908 da Ferdinando Bernasconi (1867-1919) di Carona, nella Guida d’arte della Svizzera italiana è considerato «unico superstite delle sale cinematografi-
che ticinesi della prima generazione». «Venga, andiamo in ufficio, le faccio vedere», mi dice Giulio Morandini: classe 1937, completo marrone e dolcevita blu, presidente della Fabbrica dei Sogni Sagl che qui a Mendrisio gestisce anche il Plaza, una sua creatura del quale va molto fiero. E infatti ecco la foto incorniciata del nonno con un bel paio di baffi importanti, nella cabina di proiezione del primo cinema svizzero: il Pathé di Lucerna, Pilatustrasse trentaquattro, 1909. Nome tratto dalla Pathé, prima società cinematografica fondata da Charles Pathé con i fratelli Émile e Théophile; i primi a sfruttare la rivoluzionaria invenzione dei fratelli Lumière: il cinematografo (1895). Arturo Morandini e i suoi fratelli – uno dei quali avrà un cinema ambulante e uno diventerà trapezista del circo – conoscono in Francia nientemeno che i fratelli Lumière. E sono proprio i fratelli Lumière a incoraggiarli ad aprire un cinema, fornendo loro anche del materiale. In faccia c’è invece il ritratto dipinto da Albert Müller di Attilio Morandini (1907-1973), il papà di Giulio: grande appassionato di pittura e colle-
zionista, passione ereditata dal signor Morandini che mi mostra adesso un paio di altri quadri, tra i quali uno, sorprende: un ritratto senza bocca. Da un cassetto di un comò fatto dall’eclettico papà, con tanto di teste scolpite, spuntano delle vecchie foto. Una è la birreria Haas di Bellinzona dove ero stato tempo fa per la rubrica A due passi a trovare il pappagallo Loreto e che è stata, per un periodo, proprietà dei Morandini. Un’altra ritrae il piccolo Giulio Morandini all’entrata dell’attuale bar del cinema, gestito con passione per anni dalla moglie, alla prima di una Biancaneve teatrale. Torniamo nel bar del cinema-teatro e seduti ai tavolini di legno lucido, l’uomo-cinema, mi racconta quello che è stato forse il più grande evento svoltosi tra queste mura. Il concerto di Alberto Semprini nel 1945. «Mi ricordo dei taffetà rosa che scendevano dai lampadari e le peripezie per trasportare il pianoforte a coda». All’epoca aveva otto anni, ventitré quando debutta la sua carriera dietro le quinte di questo cinema che ha, dal 1982, due sale: quella sopra è il Mignon. «Mio
papà, che non ha mai fatto vacanza, era andato a Chiavari con la mamma». Arriva il direttore svizzero per la Warner, il signor Berger, considerato uno squalo nel settore: vuole fargli firmare un contratto-sanguisuga. Il giovane Morandini non cede alla prepotenza del colosso americano del cinema e non firma un bel niente. «Suo padre avrebbe firmato» dice Berger infuriato che straccia il contratto e lo getta in un posacenere. «Quelli alti, di una volta, ora non ci sono più, eravamo seduti a quel tavolino laggiù» indicandomi quale. Poi ricompone il contratto fatto a pezzi e passa tutta la notte a studiarlo: alla fine trova una piccola clausola vincente. Davide contro Golia. Un’altra storia è quella del temutissimo signor Jack, della MetroGoldwyn-Meyer. «È arrivato con una Cadillac gialla». La ragione del conflitto è stato My Fair Lady (1964), con Audrey Hepburn, un «film locomotiva» come viene chiamato in gergo, un film di successo che traina tutti gli altri. Il signor Jack però «voleva darmelo solo per tre settimane e con un aumento di due franchi sul prezzo del biglietto, una
tragedia». Non cede neanche lì, con il signor Jack che riparte ruggendo: «Lei non riceverà più un metro di pellicola». «Per tre anni non ho più ricevuto film americani» ma quando apre il Plaza nel 1966, un pomeriggio, a sorpresa, il Jack della Metro ritorna a Mendrisio da Zurigo con la sua Cadillac gialla. Per vedere un film al Plaza, del quale aveva sentito parlare, rimanendoci di stucco: «Una delle più belle sale in Svizzera», gli dice. A proposito della Metro, mi dice ancora il signor Morandini dietro al bancone del bar mentre mi prepara gentilmente un caffè: «pochi lo sanno, ma in Ben Hur, il leone della Metro è muto». Il famoso leone della Metro ruggisce per la prima volta nel 1928 e diventa, si sa, dopo sette leoni diversi nel ruolo-preludio dei più dei quattromila film prodotti, quasi logo del cinema stesso. Nel periodo in questione – Ben Hur è del 1958 – si tratta del famoso Leo, ancora oggi l’attuale leone in uso. Perciò il leone Leo, per via di un capriccio del regista William Wyler che s’impunta, per la prima e unica volta, nel kolossal Ben Hur, ruggisce muto.
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Società e Territorio
Due fiumi per un’unica città Urbanistica Avvicinare le valli del Vedeggio e del Cassarate con dei
collegamenti pedonali e ciclabili trasversali: è la proposta scaturita da una ricerca sullo spazio urbano condotto dall’istituto internazionale di architettura i2a e presentato dall’architetto Jachen Könz Stefania Hubmann Utilizzare la rappresentazione tipica della rete metropolitana di una grande città per mostrare una nuova Lugano, dove le valli del Vedeggio e del Cassarate sono connesse fra loro tramite percorsi pedonali trasversali. Un’immagine forte che scaturisce dal lavoro condotto dall’istituto internazionale di architettura i2a di Vico Morcote sull’arco di tre anni attraverso il programma di ricerca infrarealities. Il progetto, che ha portato in Ticino quasi 200 studenti da tutto il mondo, offre una visione globale dello spazio racchiuso fra i due fiumi con particolare riferimento alla produzione e alla gestione delle infrastrutture. Attuare il concetto della città formata dalle due valli non significa operare stravolgimenti, bensì piccoli interventi puntuali, dai costi contenuti e realizzabili a breve termine. Dove e come questi dovrebbero avvenire lo spiega l’architetto Jachen Könz, consulente scientifico di i2a e responsabile del programma infrarealities. «L’obiettivo è di offrire una dignità a luoghi finora privi di qualità attraverso un intervento che può essere definito come un’agopuntura infrastrutturale: modificando i punti nevralgici si smuove l’in-
tero sistema, consolidando il significato di elementi capaci di donare identità al territorio. Di fronte alla forma di una città diffusa, rappresentativa della realtà altamente complessa generata dalla nostra società, bisogna chiedersi dove e con quali mezzi è ancora possibile agire per migliorare la qualità di vita in relazione allo sviluppo urbanistico». Secondo l’architetto Könz, occorre trovare quella scala d’intervento che garantisce una reale possibilità di modificare una realtà complessa, senza intaccare interessi privati e con il sostegno delle autorità, come è appunto il caso delle infrastrutture. Per quanto riguarda il Piano del Vedeggio, la circonvallazione di Bioggio e il collegamento tramviario sono progetti di ampia portata ormai prossimi alla realizzazione, attorno ai quali possono ruotare le connessioni trasversali. Si tratta però di superare la visione prettamente funzionale della questione traffico, sottolinea ancora l’architetto Könz, il cui studio fondato nel 1992 e con sede a Lugano-Besso è specializzato in architettura e urbanistica. Occorre puntare a un concetto di sviluppo più generale in modo da poter offrire, partendo dalle infrastrutture, un’idea progettuale legata allo spazio. «Se fino a qualche
decennio fa il Piano del Vedeggio era considerato una zona periferica dove collocare servizi necessari ma non qualificanti, come ad esempio l’aeroporto o l’impianto di depurazione delle acque, oggi lo stesso va visto come futura parte integrante della città di cui è la naturale estensione. Con le connessioni adeguate, prima fra tutte la linea tramviaria, le distanze diventano minime. Il tram da solo però non basta. Assieme al fiume, all’autostrada e alla strada cantonale contribuisce a suddividere il territorio nel senso della longitudine. Per compensare questi tagli, occorre realizzare delle connessioni trasversali destinate alla mobilità lenta (pedonale e ciclabile). Le nostre proposte comprendono un collegamento fra la zona industriale (oggi votata al settore terziario e polo di sviluppo per il futuro) con la vecchia strada Regina, una passerella più a sud che permetta di oltrepassare il fiume e l’autostrada con la possibilità di giungere fino a Vezia in soli venti minuti e un percorso che partendo dal LAC giunga fino a Bioggio integrando il parco del Tassino. L’importanza del nuovo polo culturale e la valorizzazione del parco sono elementi da sfruttare per un collegamento da visualizzare in modo diverso rispetto all’immagine che ci rimanda
Una delle immagini esposte nella mostra di presentazione. (Carola Bianchi)
il medesimo spostamento effettuato in auto». Lo sguardo deve posarsi in modo diverso anche su altre parti del Piano del Vedeggio, che oggi rappresenta lo snodo infrastrutturale dell’intera regione. Il fiume, oggetto di una recente opera di rinaturazione, la zona dell’aeroporto (la sua presenza è stata garante di uno spazio vuoto) e la tenuta Bally andranno a formare uno spazio di svago. L’area agricola da parte sua garantirà un polmone verde. Insieme formeranno una nuova zona naturalistica a disposizione della popolazione proprio come l’area e in particolare la foce del Cassarate, il cui intervento di rinaturazione è stato inaugurato poche settimane fa. Due fiumi in un’unica città che, grazie allo studio elaborato dall’istituto internazionale di architettura, non sono più così distanti. «I diversi tratti di attraversamento trasversale, simili a quelli di una rete metropolitana, sono percorribili secondo coordinate temporali misurabili in minuti in modo che si possa passare da una valle all’altra in circa sessanta minuti. Il loro scopo non è però solo quello di mettere
in connessione i due estremi ma di costituire sistemi di mobilità autonomi. In quest’ottica il percorso pedonale diventa l’estensione urbana del tram». L’obiettivo del progetto, che oltre agli studenti ha coinvolto quattordici ricercatori e undici università, è quello di dare priorità e identità agli spazi ambientali attraverso un approccio che sceglie però di intervenire sulle infrastrutture. Per raggiungere lo scopo, ripete a più riprese l’architetto Könz durante l’incontro, è necessario avere una visione globale dello spazio e sviluppare una nuova coscienza secondo cui gli elementi territoriali già presenti nell’area acquisiscono un nuovo significato. Per permettere al pubblico di avvicinarsi al tema, la presentazione della ricerca è stata accompagnata da una mostra fotografica di Carola Barchi e Maurizio Molgora sul paesaggio della valle del Vedeggio. Con l’iniziativa si è conclusa l’attività di i2a nello storico edificio di Vico Morcote. In attesa della nuova sede, l’attività prosegue con proposte estive fra cui un workshop legato proprio al programma infrarealities. Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Società e Territorio
La burattinaia Personaggi Ioana Buţu, migliore amica del cane Peo e di molti altri pupazzi, ci racconta
che cosa significa per lei «animare gli oggetti» Sara Rossi Partiamo dai ricordi. Ioana Buţu, nata a Sibiu, bellissima cittadina nel cuore della Romania, aveva quattro anni quando ha infilato per la prima volta una mano in una calza e l’ha trasformata in un essere parlante. «Sono la minore di tre sorelle», racconta. «Però quando facevamo teatro ero io che comandavo: le mattine senza scuola prendevamo cucchiai di legno, gli dipingevamo la faccia e incollavamo capelli di lana; poi io creavo una storia, dicevo alle mie sorelle che cosa dovevano dire la sera, durante lo spettacolo che allestivamo in cortile. Facevamo così anche con le calze, che diventavano personaggi». E il teatrino? «Due sedie rovesciate e una coperta sopra!», ride allegra, questa attrice burattinaia arrivata negli anni Novanta dalla Romania nell’ambito di uno scambio culturale con il Teatro Dimitri. Un po’ per amore, un po’ per bravura, non se n’è mai andata. Ora lavora alla RSI, nelle scuole e propone spettacoli suoi di teatro; inoltre è anche animatrice di oggetti e oggi è questa sua parte di burattinaia che ci interessa.
Dalla Romania alla Scuola Dimitri, seguendo un costante percorso professionale di perfezionamento «Le bambole a me non bastava vestirle e pettinarle, dovevo anche farle parlare, muoverle», prosegue. «È sempre stato così. Poi all’asilo mi avevano scoperto una memoria prodigiosa: imparavo a memoria poesie, canzoni, testi, dopo solo due volte che li sentivo. In questo devo molto a mio padre, che mi teneva la mente sveglia con parole, filastrocche, poemi che inventava lui tutto il tempo. Anche mia mamma recitava poesie: la mia casa era un vivace laboratorio». Nonostante Ioana a casa e a scuola fosse però totalmente priva di timidezza e potesse allietare tutti con le sue recite, al momento di scegliere «cosa fare da grande», non fu facile sentirle dire «Teatro», invece che, per esempio, «Facoltà di chimica». Ioana, una volta finite le scuole andò a lavorare per un grande Teatro di Burattini, il Teatro Gong di Sibiu, di quelli dove a muovere i pupazzi ci sono magari perfino dieci burattinai alla volta. Mi spiega i diversi tipi di bam-
Pitigoi, il primo burattino che Ioana ha animato al Teatro Gong di Sibiu. (Stefano Spinelli)
bole di stoffa, legno, cartapesta e così via che ha imparato a muovere: ci sono quelli in cui infili due dita dentro la testa; quelle testoline in cui ci sta un dito solo; quelli in cui muovi testa, braccia e gambe con una torsione delle dita che provo a imitare ma che per me risulta impossibile; quelli dove dentro la testa c’è una specie di pera molle che si muove per ottenere effetti ancora più precisi... sono esterrefatta dalla manualità delle sue dita. Mi dice che i burattini sono come strumenti musicali; ogni tecnica è uno strumento diverso, per non parlare di quelli con le bacchette, delle marionette (pupazzi che si muovono grazie ai fili), delle figure d’ombra o del gioco di ombre fatto con le mani e le braccia. Un giorno, crollato il comunismo e riaperte le frontiere, Pro Helvetia organizzò uno scambio culturale tra la Compagnia Dimitri e tre teatri romeni. Ioana partì con i suoi colleghi in un vecchissimo bus, che in Svizzera non era considerato a norma. Li fecero comunque passare. A Verscio i burattinai allenarono per una settimana l’improvvisazione teatrale, la giocoleria, l’acrobazia, la voce, il teatro. Al momento di ripartire, il bus era rotto e
Ioana aspettò una settimana; fece uno spettacolo teatrale ad Ascona. Una volta aggiustato il bus, la compagnia riprese la strada del ritorno e fu fermata al confine con l’Austria. Non poteva né passare né tornare indietro, si sentirono dire: tutti i doganieri affermavano che il bus non era a norma. Gli artisti presero a fare lo sciopero della fame; giunse un prete da un villaggio austriaco vicino e insieme ai teatranti organizzarono uno spettacolo; la gente del villaggio fece una colletta per caricare il vecchio bus sul treno; poi si fece un’altra colletta per comprare i biglietti a tutti gli attori della compagnia rumena... fino in Ungheria, dove il bus era considerato perfettamente regolare e potè riprendere a circolare... Ioana in Svizzera aveva conosciuto gli attori della compagnia Dimitri e quando toccò a loro di venire in Romania per lo scambio culturale, scoppiò un grande amore con uno di essi. La burattinaia fece il provino per seguire tutta la formazione a Verscio e fu scelta; proseguì la sua carriera con il clown di Ascona e la sua troupe, poi andò a Parigi, cantò nella Svizzera interna con la cantante Dodo Hug, fece danza, teatro e maschere per il Circo Balloni e lavorò
in altri circhi, tornò in Ticino al Teatro Paravento. Dal 1995 propone laboratori teatrali nelle scuole e nei teatri (lavorando con persone dai 7 anni ai 60) e dall’anno scorso anche un atelier di burattini, a Bellinzona, alle elementari Semine; dal 2004 lavora come burattinaia per la RSI, a «Colazione con Peo» e ad animare SRini e Tap-it. «Quando lavoravo in Romania al Teatro di burattini mi mancava la parte fisica e così l’ho sviluppata al Teatro Dimitri; quando ero da Dimitri mi mancava la voce e ho trovato Dodo Hug con cui cantare; quando ero con Dodo Hug mi mancava il corpo e sono andata al circo; quando ero al circo mi mancavano i burattini e ho trovato il cane Peo... allora mi è mancato il palco e ho fatto il mio primo spettacolo da narratrice e cantante: «Imbrațişare». Un bellissimo spettacolo, vorremmo aggiungere, che racconta la storia della sua vita con una valigia in mano. Poche settimane fa è andata in scena con la sua prima «opera a tutto tondo»: ha scritto un testo, si è costruita i burattini, li ha mossi, ha dato loro la voce, nello spettacolo «Figuriamoci!» adatto ad un pubblico dai 4 ai 7 anni. Quest’estate la vedremo al Festival Ter-
ritori di Bellinzona a presentare il suo nuovo lavoro. «Insegno teatro a bambini, adolescenti e adulti, ma per ora il corso di burattini lo faccio solo in una scuola elementare; mi piacerebbe ampliare questa attività perché c’è qualche cosa di magico. Quando muovo un burattino vedo i bambini che per un attimo guardano me e subito dopo giunge l’incanto: si dimenticano della mia persona o del braccio che vedono e sembra che il pupazzo abbia una vita sua. I bambini stanno totalmente al gioco, entrano in pieno nell’illusione fantastica che il burattinaio crea davanti a loro». Il corso che propone si basa sul teatro, la voce, l’improvvisazione; gli allievi costruiscono il proprio burattino con le calze, gli spazzolini, le spugnette da cucina, tutti oggetti che possono trovare a casa e a cui basta aggiungere due occhi e una bocca per renderli espressivi; infine, imparano a muoverli. «Così, torno alle radici, sotto la coperta tenuta su da due sedie. Quando i bimbi danno l’anima al loro pupazzo, lo muovono, lo fanno parlare, sentono un potere bellissimo, di creazione, di nascita, di vita. Ogni volta mi emoziono tanto quanto loro».
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Le favole di Esopo, raccontate da Andrea Valente, con illustrazioni di Marta Monteiro, La Nuova Frontiera Junior. Da 7 anni. Scritte con intento moralizzatore, e di satira politica o sociale, le favole – che mettono in scena degli animali come allegorie di tipologie umane da stigmatizzare – in origine non si rivolgono ai bambini. Lo testimonia anche il loro stile, spesso aulico e in versi, uno stile letterario, insomma, ben diverso da quello improntato sul vivo dell’oralità che hanno le fiabe. Eppure fiabe e favole spesso finiscono indistintamente insieme, in un unico calderone con cui liquidare le «storielle per l’infanzia». E così ai piccoli lettori vengono spesso proposte tal quali le favole di Esopo, Fedro, La Fontaine, capolavori indiscussi, certo, ma che così somministrati finiscono per avere un retrogusto grevemente pedagogico, quando non amaramente punitivo (basti pensare a tutti quei poveri animaletti sbadati o
vanesi che nelle favole fanno una brutta fine). E allora, niente più favole per i bambini? Sarebbe un peccato, perché alcune sono storie deliziose e ben radicate nell’immaginario collettivo. E allora si può provare ad affidarsi alle parole e ai colori di autori e illustratori che sappiano, pur rispettandone la matrice originaria, alleggerirne il tono con humour e garbo. L’edizione delle favole di Esopo che ci propone l’editore La Nuova Frontiera va proprio in questo senso. Non è l’unica, né la prima (qualche anno fa un buon adattamento
da Esopo era uscito in un albo di Emme Edizioni, illustrato da Anna Laura Cantone), ma è certamente molto bella, grazie allo stile scanzonato di Andrea Valente e alle poetiche illustrazioni di Marta Monteiro. E anche alla cura editoriale del volume nel suo insieme, che va a costituire un nuovo prezioso tassello dell’interessante collana «Classici Illustrati». Assia Petricelli e Sergio Riccardi, Cattive Ragazze. 15 storie di donne audaci e creative, Sinnos. Da 13 anni. Sempre più spesso la letteratura per ragazzi di qualità è fatta anche di fumetto, o graphic novel, come si usa dire ora, con un termine che, nella maggior parte dei casi, merita davvero la connotazione nobilitante. A volte parti di fumetto s’innestano in romanzi tradizionali, altre volte si tratta di romanzi totalmente graphic (e alla Fiera di Bologna di quest’anno ne abbiamo
visti diversi, anche in case editrici che solitamente non li contemplavano). Nel caso di Cattive Ragazze, si tratta di una raccolta di quindici storie a fumetti, che costituiscono altrettante biografie di donne: donne coraggiose, anticonformiste, che ci hanno aperto strade nuove. Donne importanti, ma non tutte note: e questo recuperare, ripercorrere e riconoscere le scelte e i destini di figure che rischiavano di cadere nell’oblio, è sicuramente uno dei valori del libro. Un altro valore è la modalità di narrazione: un fumetto
elegante, immediato, chiaro e di ottimo ritmo, che la scelta del bianco e nero rende ancora più espressivo. Inoltre la vita di ogni protagonista, pur essendo ambientata in epoche passate (di cui proprio il racconto per immagini ci rende incisivamente l’idea), riesce a entrare in risonanza con le esperienze degli adolescenti contemporanei, soprattutto per quello che concerne la forza di portare avanti i propri sogni, di opporsi alle ingiustizie, di fare delle scelte. Infine va notato il valore «al femminile» dell’opera: sottrarre le donne all’oblio della Storia, così prona nel riconoscere invece l’eroismo maschile, dovrebbe essere uno dei primi doveri delle biografie, soprattutto quando sono rivolte ai ragazzi. Cattive Ragazze (che tra l’altro è progettato anche per chi ha difficoltà di lettura, grazie al tipo di carattere e alla disposizione di ogni baloon) ha vinto quest’anno il Premio Andersen come «miglior libro a fumetti».
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Data di nascita
NPA / Località M
Nome / Cognome
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Fahrenheit 451 – e peggio Nel gennaio del 2013 fece grande scalpore la notizia dell’incendio appiccato dai miliziani fondamentalisti islamici del movimento Ansar Dine alle biblioteche di Timbuctu, nel Mali settentrionale. Per giorni, alle notizie che confermavano la distruzione delle collezioni fra le più importanti al mondo di manoscritti antichi in arabo, si susseguirono smentite e ridimensionamenti del danno effettivamente inferto al patrimonio. Più tardi, con la riconquista di Timbuctu da parte del governo maliano appoggiato dalle truppe francesi, si venne a sapere che, in realtà, la maggior parte dei manoscritti assemblati nelle due biblioteche maggiori erano stati traslocati in località sicure del sud del Paese già l’anno prima, proprio in previsione del possibile danno che avrebbero potuto subire per mano dei fondamentalisti. Strano ed ironico destino quello dei manoscritti di Timbuctu. Per secoli (alcuni di essi risalgono al XV) erano stati custoditi presso le maggiori famiglie islamiche dell’importante centro di commerci non solo di beni di consumo – oro in cambio di sale
dal deserto – ma anche crocevia di idee come furono tutti i centri commerciali dell’età d’oro dell’Islam. Ma già allora – e fino all’altro ieri, per così dire – «il Libro» era considerato oggetto da trattare coi guanti, tanto in senso figurato quanto in senso letterale. La sua lettura era ristretta ad una élite intellettuale guardinga ed occhiuta nell’individuare deviazioni dottrinali ed atteggiamenti men che rispettosi dell’ortodossia che – pur nella molteplicità delle interpretazioni e delle reciproche accuse di eresia – formava l’anima variegata di quel mare magnum che è sempre stato l’Islam. I testi stessi di Ibn Sinna (Avicenna, sec. XII) e Aven Rosh (Averroè, sec. XIII) erano guardati con sospetto (e banditi nelle ricorrenti esplosioni di fondamentalismo) per il loro tentativo di conciliare la teologia islamica con le filosofie di Aristotele e Platone. Fatto sta che libri e manoscritti erano conservati con prudente gelosia in casse ed armadi nascosti all’interno delle case dei maggiorenti, quando non addirittura sepolti per prevenirne la distruzione e restringerne ulteriormente l’accesso. Paradossal-
fisso in legno situato sul ponte di Abbeville venne vandalizzato. La Chiesa, nella persona del Vescovo di Amiens e come richiesto per legge, ingiunse ai fedeli di fornire testimonianze per arrestare i colpevoli. Nessuno si fece avanti e niente si chiarì mai del fatto in sé. Ma un giudice zelante – certo Du Maisniel de Belleval – riuscì a raccogliere prove d’empietà nei confronti di tre giovani locali. Poco importa che al momento dell’arresto uno dei tre risultasse essere suo figlio: i tre furono accusati di quelle che oggi, in tempi di messe sataniche, sarebbero percepite come mere bravate di cattivo gusto: oltre a non essersi tolti il cappello al passaggio della processione del Corpus Domini, ai tre fu imputato più per diceria che per evidenza stringente di aver profanato immagini sacre e cantato canzoni irridenti alla Chiesa e alla Religione. Ma a segnare il destino dell’unico imputato che finì per pagare per tutti fu il ritrovamento nella sua stanza non solo di una serie di libri proibiti – fra i quali molti «pornografici» – , ma anche e soprattutto di una copia del Dizionario Filosofico di Voltaire. Il 4
giugno 1766 il Parlamento di Parigi confermò in appello la sentenza capitale emessa dai giudici il 20 febbraio contro l’unico imputato, il Cavaliere Jean-François de la Barre, un giovane nobiluomo che per essere orfano e senza appoggi in alto loco finì per fare il capro espiatorio. Nelle prime ore del primo luglio 1766 de la Barre fu torturato senza peraltro che rivelasse, come previsto, i nomi dei suoi possibili complici: con tutta probabilità non ce n’erano per la semplice ragione che il fatto non sussisteva. Più tardi fu pubblicamente decapitato. Il corpo fu poi posto su di una pira e bruciato: inchiodato al torso figurava – monito per tutti – il Dizionario Filosofico di Voltaire. Un primo monumento al Cavaliere de la Barre fu eretto dal Grande Oriente di Francia nel 1897 di fronte alla Basilica del Sacro Cuore a Montmartre. Ma rimane come monito attualissimo il fatto che il memoriale al Cavaliere de la Barre, eretto ad Abbeville nel 1907 con fondi pubblici sul luogo della pira, fu vandalizzato dai seguaci dell’organizzazione fondamentalista Civitas il 22 giugno 2013.
Quanto a me e a questa ormai storica Rubrica, come sapete sono una psicologa clinica e questo spazio è riservato al dialogo. Non ci sono preclusioni: ognuno può scrivere ciò che vuole, sicuro di trovare attenzione e condivisione. Ma è ovvio che prevalgano i problemi psicologici perché quelli sociali posso tutt’al più raccontarli, ma non risolverli. Ciò non significa che passioni, sentimenti ed emozioni non siano veri. La realtà esterna è sempre percepita dai nostri sensi ed elaborata attraverso i processi personali della nostra mente, tanto che ognuno di noi vive i medesimi avvenimenti in modo unico, particolare, insostituibile. Chi è colpito da un grande dolore può reagire con orgoglio, contando sulle sue forze,
senza chiedere niente a nessuno. Ma i traumi non tradotti in pensieri, parole, gesti, azioni partecipate, tendono a incistarsi nel corpo e a trasformarsi in malattie organiche. Un tempo tutta la comunità si sentiva coinvolta nella sofferenza provata da ognuno dei suoi membri. Basta pensare all’imponenza dei funerali. Ora invece, nella società degli individui, siamo spesso soli e ci sentiamo abbandonati. Di qui il senso di questo piccolo spazio di scrittura, di lettura, di scambio comunicativo. Mettendo in comune i nostri problemi ci consideriamo meno sfortunati e, traducendo in parole stati d’animo contraddittori e confusi, mettiamo ordine nel caos delle emozioni. Come scrive Christa Woolf in Cassandra: «io capisco solo ciò che condivido». Tutta la cultura: le lapidi, i poemi, le tragedie, i romanzi, le poesie, la pittura e la musica… possono essere considerati modi con cui la cultura ha cercato di produrre comprensione, solidarietà
e conforto in uno spazio, grande o piccolo, di unione, di comunione, di sintonia. Stringerci in un abbraccio condiviso, anche simbolico, ci salva dallo sgomento dell’abbandono, dalla «notte scura» della solitudine esistenziale. Anche questa modesta, sommessa corrispondenza partecipa, nel bene e nel male, allo sforzo di umanizzare del dolore. Quello che facciamo è sufficiente? È vano? Non lo so, ma penso che finché qualcuno ci scriverà, magari solo per dirci che dovremmo fare dell’altro, varrà la pena di continuare. Come scriveva Bertold Brecht: «ma voi, di grazia, non vogliate sdegnarvi / ogni uomo ha bisogno/ dell’aiuto degli altri».
cui ricavare trame da giallo. In grado, se ben dipanate, di suscitare i brividi di quello strano piacere per la paura, già provato da bambini, ascoltando fiabe orripilanti. Brividi «squisiti», li chiamavano Fruttero e Lucentini, autori pure loro di raffinati«thriller», alludendo all’arte di proporre quel che lettori e spettatori desiderano: emozioni volute e controllabili. Questi due aggettivi, infatti, definiscono chiaramente la situazione. Si tratta, da parte del lettore o dello spettatore, della libera scelta di un divertimento che produce reazioni persino primordiali: paura, ansia, attesa, incredulità. Chiuso il libro, terminata la puntata di CSI, tutto torna come prima. La finzione ha svolto il suo ruolo, più o meno bene a seconda del talento dello scrittore o del regista.
Ma le cose cambiano, e come, quando ci si trova al cospetto degli omicidi, spesso femminicidi, delle stragi, delle rapine, dell’affarismo spietato, e via enumerando gli episodi della quotidianità vissuta. Adesso il pubblico, lo stesso pubblico consumatore di gialli appassionanti, è in balia di ben altre reazioni: sopraffatto dall’esigenza di conoscere una verità che, spesso, non affiora, assillato da troppi perché senza risposta. Perché si uccidono bambini, perché si annientano famiglie, perché anche i più sofisticati mezzi d’indagine non arrivano a certezze assolute? Sono due categorie di reazioni, fra loro non paragonabili. Anche se il punto di partenza è la malavita: quella vera, trasmessa dalla cronaca, quella immaginaria, elaborata dal romanzo. E, in qualche caso, citando ancora Dosto-
evskji, l’immaginazione riesce persino a percepire l’insondabile scrutando i misteri del Male, con la maiuscola. Ciò che, evidentemente, esula dai propositi dei nostri giallisti. Manuela Mazzi, di cui il «Corriere del Ticino» sta pubblicando, a puntate il suo ultimo inedito, osserva: «L’importante è accettare e rispettare, con onestà professionale, le regole e i limiti di un genere che appartiene alla narrativa d’evasione, vuol stimolare la partecipazione del lettore, tenerlo col fiato sospeso e anche farlo pensare. Con ciò, oggi, il poliziesco implica sempre più aspetti psicologici di cui tenere conto. E, per quel che mi concerne, anche indagini storiche, condotte sul territorio. A volte, dietro a un delitto del 2000 si ritrova una matrice di riti antichi. È affascinante scoprirli».
mente, la campagna per assemblare il patrimonio letterario di Timbuctu in istituzioni ufficiali, permanenti ed aperte al pubblico promossa negli anni ’60 ad opera di studiosi africani, dell’UNESCO e di altre organizzazioni internazionali, aveva esposto libri e manoscritti alla distruzione. Un semplice: «Mi scusi, sa dirmi dove sta la Biblioteca?» sarebbe bastato a farne cenere. Ancora non sappiamo per certo e con precisione se, quanti e quali libri e manoscritti siano andati effettivamente distrutti, ma la vicenda delle biblioteche di Timbuctu rimane come monito permanente – certo – anche per l’Occidente cosiddetto «liberal». Certo, poiché, orbene, la stessa indignazione che allora accolse la notizia del nuovo atto di intolleranza nelle lontananze del deserto è la stessa che domani, 2 Luglio, dovrebbe esprimersi in materia di riflessione profonda non tanto e non solo sulla centralità della tolleranza nella costruzione di un mondo più consono, ma anche come presa d’atto delle difficoltà inerenti alla ricerca della verità – anche quella con la lettera minuscola. Questi i fatti: il 9 agosto 1765 un croci-
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Ogni psiche ha una sua verità Ricevo due lettere, diverse tra di loro ma entrambe contraddistinte da un equivoco di fondo: sottovalutano la realtà e la verità della vita psichica. La prima proviene da Sabrina, che tutti conosciamo come severa contestatrice di questa Rubrica. Per quanto ci critichi, la considero comunque un’amica perché vi è passione nei suoi interventi e nulla è più offensivo dell’indifferenza. Scrive Sabrina: «recentemente, parlando con una mia amica, mi diceva che lei non legge la cronaca rosa, i lettori che scrivono dei loro patemi d’animo la infastidiscono. Sono solo capricci di persone egocentriche, che cercano un’eco alle loro fobie. A sostegno di queste accuse cita tre casi di persone che, colpite da gravi sventure , «non cercano commiserazione», «non fanno pubblicità» , «si arrangiano come possono». E conclude con questo invito «Mi piacerebbe che lei affrontasse temi veri, perché le assicuro che persone vere, coraggiose,
che soffrono in silenzio, ce ne sono molte tra noi. Il tono della seconda lettera, scritta da Natasha, che conosciamo da precedenti scambi epistolari, pur essendo meno aggressivo nei nostri confronti, mi rivolge alla fine il medesimo invito: «…Penso che dovresti costruire una Stanza del dialogo concreta… Conosco altre donne come me, single con figli, licenziate, messe da parte, che non riescono a rimettersi in pista… per noi madri (responsabili del futuro dei giovani) non esiste nessun progetto concreto… I padri, purtroppo, sono spesso assenti. È un problema vastissimo di cui si parla ma non esistono sostegni concreti… Lo Stato nasconde, tace. È il famoso Iceberg». Non è vero che la Svizzera abbandona i suoi figli. Spesso si tratta di mediare tra i provvedimenti legislativi e amministrativi, per forza di cose generici e astratti, e i casi concreti, le situazioni particolari, le necessità personali. Pos-
so citare, in proposito, l’Associazione Dialogare-Incontri, che ha aperto alla consultazione uno «Sportello donna». Potete conoscerne i programmi sul sito www.dialogare.ch.
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Gialli d’estate: veri e immaginari Sembra proprio un attributo tipico della stagione. Il poliziesco, infatti, si riconferma, in queste settimane, il genere più gettonato, un classico da ombrellone. Ottiene le preferenze di un pubblico che al libro chiede, innanzi tutto, l’eccitazione di una storia dall’esito imprevedibile. Come dire, un esempio di letteratura d’intrattenimento, culturalmente modesto. Un giudizio, o piuttosto un pregiudizio, da cui ormai il giallo si è riscattato. Pur rimanendo un filone popolare, esposto al rischio di produrre successi strabilianti e discutibili, si pensi alle tirature milionarie di Stephen King e John Grisham, sta di fatto che il giallo vive un periodo di rilancio e di riabilitazione. Anima dibattiti fra specialisti, rivendica un passato illustre dove figura persino Dostoesvskij e, adesso, sollecita nuovi talenti. Si deve parlare di una
moda contagiosa con effetti che si fanno sentire anche da noi, in un Ticino che, per tradizione, non sembrava offrire la materia prima necessaria a questa forma letteraria. Ecco, invece, che giovani scrittori, e citiamo Andrea Fazioli e Manuela Mazzi, hanno scelto di collocare, negli scenari idilliaci del nostro paesaggio, naturale e umano, vicende criminali. Che non sono campate in aria, anzi s’ispirano a fatti accaduti. Dimostrando, attraverso la finzione creativa, come la malavita non conosca frontiere mondializzando la sua topografia. Non è più la prerogativa della Chicago di Al Capone o di New York , considerata, come afferma uno spot pubblicitario di CSI, «la città più amata dal crimine». Ogni ambiente, anche familiare, locale, in apparenza rassicurante, può contenere e occultare personaggi e vicende da
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Ambiente e Benessere Da perenni a incerti I ghiacciai quali indicatori sensibili delle variazioni di temperatura e precipitazioni
Verso Compostela per un’altra via A settentrione del più celebre Cammino francese – quello di Roncisvalle, Burgos e León – corre un itinerario molto differente: il Camino del Norte
Zucchine e vino bianco L’abbinamento ideale per un piatto estivo è senza dubbio dato dalla freschezza dei suoi ingredienti… vino compreso
Le piccole meduse di lago L’anno scorso, il primo avvistamento nel lago Ceresio, di una medusa d’acqua dolce
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Una proiezione grafica di come apparirà il Corridoio ecologico. (Comune di Pollegio)
Pollegio riunisce paese e campagna Ecologia Lo smantellamento della vecchia rete ferroviaria ha liberato nuovi e pregiati spazi, che Comune
e popolazione hanno deciso di trasformare in un corridoio ecologico, con tanto di frutteto. Sarà pronto a fine 2014 Elia Stampanoni Il collegamento ferroviario Alptransit sta portando molti mutamenti a sud delle Alpi. Accanto alle lunghissime gallerie, che resteranno invisibili dall’esterno, scorgiamo diversi manufatti correlati. Alcuni spariranno, altri saranno utilizzati in modo diverso e altri ancora resteranno per rendere utile e fruibile l’intera opera. Parliamo di rampe d’accesso, portali e nuove linee ferroviarie, come quella realizzata a Pollegio, dove il tracciato esistente è stato spostato di qualche centinaio di metri, liberando un’importante zona. Un territorio pregiato e raro, che la popolazione del Comune leventinese ha voluto tutelare e valorizzare, progettando al suo posto un corridoio ecologico d’indubbio valore naturale e paesaggistico. La vecchia linea ferroviaria transitava originariamente in mezzo a Pollegio, dividendo il paese in due aree distinte: da una parte il nucleo e dall’altra la zona agricola. Più in là, verso il ver-
sante destro della valle, troviamo oggi l’autostrada che verrà affiancata dalla nuova linea ferroviaria. I due assi di collegamento scorreranno quindi appaiati, concedendo più spazio a Pollegio e alla sua campagna. Lo spostamento della vecchia linea ferroviaria è già avvenuto e a fine del 2013 sono iniziati i lavori di smantellamento del rilevato, ossia il terreno limitato lateralmente dalle scarpate e su cui scorrono i binari. La rivalorizzazione di questo sedime è stata voluta dal Municipio, che ha proposto un progetto all’avanguardia, dedicando molta attenzione agli aspetti ambientali. Da Pasquerio a Pollegio, il corridoio ecologico si svilupperà per 1,2 chilometri, con una larghezza variabile tra i cinque e i venti metri. Come si è voluto valorizzare quest’aerea, ce lo spiega Gabriele Imperatori, segretario comunale: «Sul sedime troveranno spazio una strada comunale di quartiere con illuminazione LED, un viale alberato, una zona arbustiva con siepi e cespugli, un frut-
teto ad alto fusto, pietraie e soprattutto un passaggio pedonale destinato alla popolazione». Uno scenario molto interessante, quello che si dovrebbe presentare ai nostri occhi verso la fine del 2014. Il progetto è stato portato avanti con convinzione dal Municipio, che ha dovuto pure affrontare lo scoglio di un referendum, lanciato da alcuni abitanti del comune contrari al progetto. Sono stati soprattutto i costi elevati (ndr: è stato votato un credito di un milione e 200mila franchi) a suscitare l’opposizione del gruppo referendario, ma l’esito della votazione ha sciolto ogni dubbio: il 20 marzo del 2011, 171 persone hanno votato a favore del corridoio ecologico (91 i contrari), dando luce verde per la sua realizzazione. Guardando i dettagli notiamo come le opere previste siano di grande valore. Il frutteto ad alto fusto sarà, per esempio, costituito da una copia genetica dei meli della Capriasca, completato da inserimenti di varietà tipiche delle
Tre valli. Una sorta di collezione dal vivo, quale risultato della collaborazione con il gruppo di lavoro ProFrutteti, che da anni s’impegna per salvaguardare e valorizzare le antiche varietà di alberi da frutta presenti sul territorio. Un’importante riserva genetica, ma non solo: dalle 110 piante messe a dimora si ricaveranno presto molti frutti da poter valorizzare e gustare anche lungo il nuovo corridoio ecologico di Pollegio. Anche la via pedonale non sarà una semplice lingua d’asfalto, come ci illustra il segretario comunale: «È prevista una pavimentazione in terra battuta e il percorso sarà costeggiato da un viale alberato, costituito da una novantina di piante, prevalentemente aceri e tigli». Accanto a questo passaggio, destinato alla viabilità lenta e che collegherà in modo ideale la piazza al resto del paese, troveremo pure delle aree di sosta con panchine, come pure cespugli e siepi, che fungeranno da passaggio ideale tra la zona agricola e il nucleo di Pollegio. La strada di quartiere scorrerà invece ai
confini della zona residenziale e verrà delimitata con i vecchi piodoi (lastre di pietra) recuperati lungo la ferrovia. La gestione dell’area verde (frutteto, prato e zona arbustiva) sarà affidata agli agricoltori della regione, che potranno così integrare la nuova superficie nella propria azienda e beneficiare altresì degli importanti contributi ecologici elargiti dalla Confederazione per opere a favore dell’ambiente e della biodiversità. Ma cosa si aspetta il comune di Pollegio da questo corridoio ecologico? Sicuramente l’aspetto ambientale è stato predominante nell’ideazione del progetto, con particolare attenzione all’ecologia. L’opportunità arrivata con Alptransit ha dato anche la spinta giusta per mettere mano alla vecchia e vetusta strada di quartiere, che troverà nuovo splendore. La popolazione potrà beneficiare di questo innovativo corridoio, trovando, oltre a dei servizi di base, anche una zona di svago e d’incontro.
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Ambiente e Benessere
Il futuro incerto dei ghiacciai Clima e territorio «Ghiacciai – ieri, oggi, domani» in mostra al Museo storico etnografico
MacHonest
della Valle di Blenio a Lottigna fino al 2 novembre
Elena Robert Gli abitanti di Fiesch nell’Alto Vallese gradirebbero un po’ più di rispetto verso una tradizione che li accomuna da più di tre secoli, la processione che ogni anno il 31 luglio, per Sant’Ignazio, li porta in due ore e mezzo di cammino a pregare nella chiesetta della foresta di Ernen. Un momento di raccoglimento comunitario che i residenti auspicano rimanga tale, senza intrusione di microfoni e telecamere. Invece è diventato di dominio pubblico, dopo che la domanda di protezione dai disastri naturali causati dall’Aletsch (foto in alto) invocata dai fedeli per oltre trecento anni è cambiata nel 2011 per focalizzarsi sulla richiesta opposta, che il Papa ha autorizzato: il ghiacciaio, il più esteso in Svizzera, riprenda vigore e continui a svilupparsi come in passato.
Gli squilibri climatici continueranno a manifestarsi in forme estreme creando sempre più disastri Mito e nello stesso tempo marchio della Svizzera, i ghiacciai fanno parte del nostro Dna. Ora che le attività dell’uomo sono riuscite a modificare persino il clima e di conseguenza l’equilibrio di questi grandiosi monumenti naturali, non resta che trovare risposte adeguate, che si adattino alla triste evoluzione, e darsi un gran da fare per tentare di salvaguar-
dare quanto rimane. Si tratta di ridurre drasticamente le emissioni dei gas a effetto serra. I ghiacciai sono indicatori sensibili delle variazioni di temperatura e precipitazioni. L’aumento medio di 1,5 gradi centigradi registrato in più di 150 anni ha avuto come diretta conseguenza un preoccupante ritiro dei ghiacciai, complice un’accelerazione dei fenomeni climatici tra il 2000 e il 2010. Superficie e volume si sono ridotti della metà e, rispettivamente, di due terzi. Ci si attende, come primo passo, che abbiano effetto le misure politiche applicate dai Paesi nel secondo periodo del Protocollo di Kyoto (2012-2020). La Svizzera si propone entro il 2020 di ridurre le emissioni del 20 per cento rispetto al 1990. Altrettanto importante sarà lo sviluppo impresso alle energie rinnovabili. Da non sottovalutare infine l’apporto concreto che ciascuno di noi può dare nelle azioni della vita quotidiana per limitare la produzione di biossido di carbonio, risparmiando acqua ed energia elettrica, consumando meno carne (perché per la sua produzione viene dissodato il bosco), acquistando prodotti locali e regionali, usando mezzi di trasporto pubblico. Per il Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (Ipcc, il cui recente rapporto è riassunto bene dal meteorologo e climatologo italiano Luca Mercalli sul suo sito www. nimbus.it/articoli/2014/140415rappor toIPCC.htm) sul pianeta vi saranno ripercussioni non solo ambientali, ma anche sociali ed economiche. Una svolta è possibile, secondo gli esperti, limitando l’aumento della temperatura globale
Posa della palina ablatometrica nuova sul Basodino. (Giovanni Kappenberger)
di 2 gradi centigradi rispetto ai livelli preindustriali: inizialmente bisognerà però tagliare le emissioni entro il 2050 di una percentuale tra il 40 e il 70 rispetto ai valori del 2010. L’aumento medio delle temperature nelle Alpi è il doppio della media del resto del mondo. Alcuni scenari indicano entro la fine del secolo un incremento della temperatura media del pianeta da 1 a 5-6 gradi. Meno nette e chiare invece sono le previsioni per le precipitazioni. Gli eventi climatici tendono e continueranno a esprimersi in forme estreme perché l’atmosfera più calda genera più umidità e vento, in sostanza più energia, più disastri. In Svizzera si contano ancora 1800 ghiacciai, una settantina dei quali in Ticino. Vantiamo una lunga tradizione (iniziata verso la fine del 1800) nelle misurazioni sistematiche e coordinate dei ghiacciai, di cui si possono conoscere variazioni di lunghezza, bilancio di massa, movimento superficiale, spessore. Un centinaio i ghiacciai monitorati dai Servizi forestali cantonali e da privati, otto dei quali in Ticino (tra questi il Basodino, uno dei più studiati, e il Bresciana, sul versante sud dell’Adula). I dati finiscono nella Rete svizzera di osservazione dei ghiacciai (http://glaciology.ethz.ch/swiss-glaciers). L’osservazione internazionale basata su un modello svizzero e principalmente delegata a esperti svizzeri iniziò nel 1894. Della raccolta e pubblicazione dei dati di ghiacciai del mondo è responsabile oggi il World Glacier Monitoring Service dell’Istituto di geografia dell’Università di Zurigo. Gli esperti sostengono che oltre la metà dei ghiac-
ciai è destinata a sparire nei prossimi 20-30 anni anche se la temperatura salisse di un solo grado in questo arco di tempo. Nel 2050 il bilancio negativo coinvolgerebbe i tre quarti dei ghiacciai. Ci attendono trasformazioni del paesaggio, formazione di laghi glaciali, più zone detritiche, maggiore instabilità del terreno, rischio accresciuto di colate di roccia nei fiumi, smottamenti, frane, valanghe, ma anche comparsa di terra nuova, in seguito, col tempo, di piante, un lento e irregolare innalzamento del limite del bosco. Muterà l’attrattività del paesaggio insieme ai benefici rappresentati oggi dai ghiacciai per il turismo e per l’economia (riserve d’acqua a basso costo in estate e importanza per le stazioni sciistiche). Una miniera di informazioni su questa complessa tematica è la piccola e densa esposizione «Ghiacciai – ieri, oggi, domani» che da San Bernardino è recentemente approdata al Museo storico etnografico della Valle di Blenio a Lottigna (rimarrà aperta fino al 2 novembre, ma-do e festivi 14-17.30). Preparata da esperti nel campo, ci apre gli occhi passando in rassegna molteplici aspetti: da come si comporta un ghiacciaio all’evoluzione in atto in Svizzera, nell’Engadina e nel Ticino, a dati su ricerche, a monitoraggi nelle aree più sensibili, a misure di adattamento e prevenzione avvenute e in corso nell’intero arco alpino. Il progetto è partito nel 2010 in Engadina diretto dalla geografa e glaciologa Christine Levy Rothenbühler dell’Istituto europeo di turismo (Eti) dell’Academia Engiadina di Samedan, al quale hanno
Ghiacciaio Trift (Canton Berna): il ghiacciaio nel 2002 e nel 2013. (Christine Levy)
collaborato i colleghi Felix Keller (ETI), Max Maisch e Frank Paul (entrambi dell’Istituto di geografia dell’Università di Zurigo) e, per la traduzione e l’arricchimento dei contenuti legati al nostro territorio, il meteorologo e glaciologo ticinese Giovanni Kappenberger. È lui a verificare da anni i bilanci di massa del Basodino in Ticino e del Clariden nelle Alpi Glaronesi, di cui ricorre proprio nel 2014 il centenario di studi e misurazioni sul ghiacciaio: la ricorrenza sarà ricordata il 22 agosto da un simposio scientifico al Politecnico federale di Zurigo, il 24 e 25 da un’escursione in quota. Nella sede bleniese la mostra è integrata da una sezione sul Ghiacciaio dell’Adula, con reperti provenienti da collezioni private, foto d’epoca, cartoline, libri, oggetti vissuti, registri di capanna. Un diaporama di 45 minuti del 2013, realizzato da Maisch, Levy e Kappenberger, presenta vedute digitali, immagini accelerate di ghiacciai in movimento, confronti inquietanti con foto storiche come quelle di grande effetto esposte nel 2007 al Museo alpino a Berna per la mostra «Ghiacciai sotto serra», immagini aeree scattate dalla stessa Levy che è istruttrice di volo a vela, tracce emozionanti lasciate dai ghiacciai sul territorio e visibili a tutti, per esempio lungo il Sentiero glaciologico del Basodino aperto nel 2011. Nonostante il grande fascino emanato dai ghiacciai, la loro bellezza e maestosità, inevitabilmente restituiti anche da questa mostra, il quadro presentato è purtroppo molto demoralizzante. Riuscirà a scuotere le coscienze? Se lo augurano gli autori del progetto. «Il ritiro è generalizzato e importante, anche nelle valli delle regioni dell’Himalaya» osserva Giovanni Kappenberger, la cui esperienza nel campo è notevole: «I volumi di ghiaccio sono piccoli nel nostro Paese, se paragonati a quelli dell’Antartico e della Groenlandia, dove le conseguenze dei cambiamenti climatici sono ben più gravi che da noi. A ridosso delle Alpi abbiamo l’acqua, è come stare in paradiso, ma in altre parti del mondo è diverso, pensiamo solo al Nord Africa e al vicino Oriente che avranno un clima più secco in tutte le stagioni e una diminuzione della falda. Dovremmo prendere più sul serio questo riscaldamento, rispettare le generazioni future e l’ambiente, tanto più che su questa terra, in fondo, siamo solo di passaggio».
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L’altro cammino Viaggiatori d’Occidente A Santiago di Compostela lungo il percorso del nord
Fabrizio Ardito, testo e foto «Tutti i cammini portano a Santiago», si dice in Spagna. E, in effetti, per secoli a Compostela si poteva giungere seguendo strade differenti, che attraversavano il nord della Spagna e portavano in regioni diverse, in base alla provenienza dei viandanti. A settentrione del più celebre Cammino francese – quello di Roncisvalle, Burgos e León – correva un itinerario molto differente: il Camino del Norte.
Il convento di Sobrado dos Monxes.
Tra saliscendi, colli e foreste fino al grande altopiano della Terra Chá, che conduce alla borgata di Compostela Percorrerlo oggi – quando il tragitto è segnalato e dotato di punti di sosta sufficienti, anche se decisamente meno frequenti di quelli della via più famosa – significa scoprire un ambiente differente, dove le ventose scogliere sull’Atlantico prendono il posto dell’infinita monotonia degli altipiani della Castiglia. Nel principato delle Asturie, la meta fondamentale era Oviedo, la cui cattedrale giustificava il proverbio secondo cui «prima si va dal Signore (a Oviedo) e poi si fa visita all’Apostolo (a Santiago)». Il cammino si snoda lungo una costa amata dai surfisti: il vento non manca mai e anche la pioggia è
Nei pressi di Vilalba.
Granaio in zona Baamonde.
una compagna di viaggio frequente. Il sentiero sale e scende tra dolci colline coperte di foreste e cala poi di colpo nelle rías, i lunghi fiordi dove si trovano ripide cittadine, i porti e i moli dove la marea fa salire e scendere i pescherec-
ci oceanici. L’insospettabile ricchezza della regione si scopre camminando lentamente tra ville e giardini che, nel secolo passato, hanno celebrato i fasti della borghesia che possedeva le flotte impegnate nella pesca e nella caccia
alle balene. Anche i profumi e i sapori sono completamente differenti, quassù nel nord: agli odori forti dell’aglio e del maiale della cucina rurale della Castiglia si sostituiscono il pesce, il polpo e le zuppe di mare, e al lento volo planato
delle cicogne lo schiamazzare dei gabbiani in attesa delle barche da pesca. Dopo una settimana lungo la costa, dalla zona di Oviedo fino alla cittadina di Ribadeo, il cammino devia decisamente verso l’interno e il meriAnnuncio pubblicitario
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e foreste portano finalmente sul grande altopiano della Terra Chá, la «terra piatta», che ci condurrà fino ai sobborghi di Compostela. Qui, poco a poco, le tracce del cammino e dei viaggiatori del passato au-
mentano: s’incontrano la cattedrale di San Salvador di Lourenzá, che si dice abbia ispirato la facciata barocca della cattedrale di Santiago, la romanica Santa Maria di Mondoñedo e soprattutto il monastero di Sobrado dos Monxes. Dedicato a Maria, il complesso è imponente e comprende al suo interno anche un ostello per pellegrini, che hanno così il privilegio di dormire all’interno di uno dei suoi grandiosi chiostri. Rimasto tristemente chiuso fino al 1966, il monastero è oggi nuovamente abitato da monaci benedettini che hanno preso il posto dei cistercensi, anche se la grandiosa chiesa è abbandonata, e il muschio e le piante selvatiche crescono tra le pieghe e sulle forme geometriche del suo impressionante decoro interno. Attorno al cammino dei peregrinos, che in estate raggiungono la cifra di un centinaio al giorno (poco se pa-
ragonato ai 1500 transiti giornalieri sul Cammino francese), la Galizia sembra sempre uguale a sé stessa: gli horreos, cioè i granai sospesi su pilastri di pietra per seccare il mais lontano dai roditori, i pascoli popolati da migliaia di umidi capi di bestiame, il silenzio dei piccoli paesi che, a qualunque ora del giorno, sembrano completamente spopolati. Lungo la via s’incontrano anche istituzioni molto particolari, come l’Albergue di Miraz, gestito dalla confraternita inglese di Saint James: una struttura accogliente e tranquilla, in cui si muovono cortesi hospitaleras inglesi e irlandesi che, chissà come mai, non hanno mai pensato di imparare neanche una parola di spagnolo. Le tappe della Galizia hanno poi una particolarità emozionante: lungo la via, i pilastrini con la conchiglia gialla riportano spesso anche i chilometri che mancano alla cattedrale di Santiago. Il
mitico pilastro con il numero 100 si trova a pochi chilometri di distanza dalla cittadina di Baamonde e superarlo significa vedere finalmente il numero dei chilometri mancanti che passa di colpo da tre a due cifre. Come un ruscello che sfocia in un fiume, ad Arzúa la via del nord confluisce nel Camino Francés. Per chi sta camminando da giorni o settimane, il momento è un po’ traumatico, perché al silenzio delle lunghe giornate passate si sostituisce il rumore e l’affollamento di marciatori spagnoli e stranieri che, in una lunga fila lenta, si spostano ogni giorno di venti o venticinque chilometri verso la meta. Ma oramai Santiago è dietro l’angolo, con gli ultimi passi che conducono alla piazza dell’Obradoiro, su cui svettano i campanili dorati della nostra meta: la cattedrale che custodisce da dodici secoli la tomba di San Giacomo. Annuncio pubblicitario
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Le zucchine di Montezuma Bacco a tavola Versatili, dietetiche, leggere e digeribili: perfette per la stagione calda
Davide Comoli Per combattere la calura e, nello stesso tempo, poter mantenere fresca la temperatura corporea, un organismo suda molto e brucia molte calorie. Per meglio aiutare il nostro corpo in questo sforzo di adattamento, bisogna puntare su alimenti idratanti e ricchi di sali minerali, con basso apporto di calorie. Un profilo nutritivo che ci manda dritto verso i prodotti dell’orto, che proprio in questa stagione sono i protagonisti di piatti diversi, carichi di sapore e carattere. Tra tutti questi ortaggi di piena estate, coloratissimi, dai toni accesi, come se avessero imprigionato sotto le loro bucce brillanti la luce e il caldo di cui hanno bisogno per crescere, oggi scriviamo di zucchine. Per la loro versatilità, ma anche per ragioni dietetiche, le zucchine hanno un notevole successo in campo gastronomico, tanto da imporsi anche nelle cucine di Paesi in cui questo ortaggio non era contemplato nelle ricette tradizionali. Il sapore dolce non troppo deciso di questo ortaggio, lascia già presagire la sua leggerezza e digeribilità. Le zucchine sono praticamente prive di grassi e contengono bassissime quantità di proteine e carboidrati, quindi forniscono un apporto calorico molto basso (100 g = 11 kcal). Le fibre, quelle soprattutto presenti nella parte esterna, oltre a svolgere un’utile azione di stimolo delle funzioni inte-
stinali, contribuiscono ad abbassare l’indice glicemico dei pasti, ma il vero valore delle zucchine è il contenuto di sali minerali. Ricche di potassio e poco sodio, sono ideali per chi soffre di ipertensione, contengono inoltre una buona percentuale di calcio, indispensabile per denti e ossa, e una buona dose di manganese, che protegge le cellule dallo stress ossidativo. A proposito di manganese, va ricordato che è essenziale per la produzione della prolina, che favorisce la formazione del collagene, importante perché aiuta la pelle a mantenere l’elasticità messa a dura prova dal sole estivo. A completare le virtù delle zucchine, va poi ricordato il buon contenuto di antiossidanti presenti soprattutto nella buccia, che ci aiutano nella lotta quotidiana contro l’invecchiamento dei tessuti. La zucchina è di facile impiego in cucina e cuoce in modo rapido, si serve cruda in insalata, soprattutto quelle verdi e tenere, trifolata, ripiene al forno, in torte salate e dolci, sformati, fritte (attenzione però all’assorbimento di materia grassa), alla griglia e, infine, è uno degli ortaggi che non possono mancare nella preparazione della ratatouille. Sembra che la zucchina sia giunta molto tempo fa dall’Africa, ha conquistato il Mediterraneo e, secondo alcuni naturalisti, è giunta in America trasportata dall’oceano poiché essiccata. Di sicuro sappiamo, da alcuni scritti pervenutici da un membro della spedizione di Hernán Cortés (1485-
1547), che quando egli giunse nella capitale degli Aztechi, Tenochtitlán un’antica città del Messico, l’imperatore Montezuma accolse il conquistador e il suo piccolo esercito come semidei. Gli Aztechi dinanzi a Cortés eseguirono la danza di benvenuto, accompagnando i canti ritmati con sonagli di zucchine essiccate. Invece le zucchine fresche, in salsa di pomodoro e chili, furono assaggiate dagli spagnoli in occasione del pranzo solenne. Come andò a finire voi tutti lo sapete, ma forse tutti non sanno che Montezuma morì tranquillo per mano altrui. Nel passare all’altro mondo sapeva che, secondo il famoso calendario azteco, dopo quattro anni si sarebbe trovato sotto forma di colibrì al cospetto del Dio Huitzilopochtli, il sole guerriero che lo avrebbe nutrito di zucchine. La scelta del vino da abbinare a una preparazione a base di zucchine, dipende dalla varietà considerata e dal sistema di cottura, inoltre bisogna considerare la tendenza dolce di questo ortaggio e a meno che sia preparato con salse ricche di sapori o altre sensazioni dominanti, è bene orientarsi verso un vino bianco, rosato o rosso, ma sempre secco, fresco d’acidità e piuttosto debole di corpo. Un nostro bianco di Merlot sposerebbe volentieri gli involtini di zucchine con caprino. Un Cortese di Gavi, l’abbineremo a una frittata con le zucchine, mentre un giovane Chardonnay potrebbe meritarsi un posto accanto a
A piatti che contengono zucchine, meglio abbinare dei bianchi. (Marco Zanferrari)
quelle grigliate. Con un piatto di spaghetti conditi con zucchine e speck, proporremo un Chasselas de la Côte, mentre accanto alle penne, zucchine e pane all’acciuga, verseremo un sapido Catarratto siculo. Un Cerasuolo d’Abruzzo sarà l’ottimo partner per i cannelloni alle zucchine e ricotta; un buono spumante metodo Charmat troverà in un fritto di zucchine uno splendido alleato. Zucchine ripiene di carne vorranno essere accompagnate da un poco conosciuto Plant Robert del Vaud e un Dolcetto di Dogliani sarà benvenuto invece con gallette di coniglio e zucchine. Mi preme riportare un’ultima ri-
flessione nata nel momento in cui stavo tagliando alcune zucchine a fettine sottili per grigliarle insieme ai pomodori. Si trattava di una ricetta in onore dei principi Aztechi trucidati (ero appena tornato dal Messico), ai quali i conquistadores, oltre al Centro America, avevano rubato anche questo piatto rituale. In testa avevo un po’ di confusione e la coscienza mi stava dicendo: «se siamo stati in grado di sterminare gli indiani d’America, probabilmente l’uomo sarà anche in grado di distruggere il mondo». Meglio non pensarci e trovare un lieve conforto in questo ottimo Sauvignon Blanc di Dardagny. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Diaframma milanese Se il mio archivio non si sbaglia, in questi anni vi ho dato solo due ricette a base di diaframma, e precisamente quella che prevedeva l’aggiunta di peperoni, nell’ottobre 2009; e una seconda ricetta del ragù di diaframma, nel dicembre dell’anno scorso. Male, molto male: è un taglio che merita più rispetto! Cerco di rimediare oggi.
È così ricco di ferro che nei secoli scorsi veniva consigliato agli anemici e alle puerpere Il diaframma è una membrana muscolare dei bovini, posta di traverso tra la cavità toracica e quella addominale. È stretto e lungo. Pesa solitamente 600 g o poco più. È il principale muscolo respiratorio, quindi è un tessuto muscolare continuamente in funzione, dato che gli animali – ma anche noi umani – non smettono mai di respirare... Di conseguenza è continuamente irrorato di sangue, ciò che lo rende di un colore rosso scuro e determina la sua ricchezza di ferro ma anche di proteine. Nei secoli scorsi, infatti, veniva proposto nella dieta degli anemici e delle donne che avevano partorito. Negli ultimi 50 anni è stato pressoché dimenticato (credo che venga utilizzato per fare wurst o usi simili). Però, se lo chiedete con un sorriso al vostro macellaio di fiducia sicuramente riesce a procurarvelo: non solo, potrà anche privarlo della membrana che lo ricopre; lui ci mette un attimo, noi molto più tempo. È povero di tessuti connettivali, quindi è molto morbido e cuoce rapidamente (davvero rapidamente), ben più di un filetto, che ha una texture simile. L’unica controindicazione è che al centro del diaframma c’è una vena esteticamente proprio brutta. Non è un pro-
blema tagliarlo per eliminarla, questo però impedisce, o forse è meglio dire rende molto più difficile, cucinarlo intero, come facciamo con i filetti. Quindi se si elimina questa vena, si finisce inevitabilmente per tagliarlo a pezzetti. La ricetta che più amo, oltre che il ragù, è il diaframma alla milanese: l’ho inventata io. Provatela se vi piace. Mondate e tagliate a dadini 500 g (in totale) di: sedano, carote e scalogni. Metteteli in una pentola, meglio se antiaderente, bagnate con un bicchiere di acqua e cuocete per circa 40 minuti, mescolando e unendo poca acqua bollente se necessario; attenzione però che, alla fine, deve essere molto asciutto. In genere suggerisco a questo punto di frullarlo, ma per questa ricetta preferisco «vedere» gli ingredienti, quindi non frullatelo. Tagliate a dadi di 1 cm di lato 800 g di diaframma, con un pesante coltello. Scaldate una noce di burro in una casseruola, aggiungete il diaframma e rosolatelo 2 minuti, mescolando. Sfumate con un bicchiere di vino, ovviamente sobbollito per 3 minuti (lo sapete, questa è una mia mania), unite il soffritto e una piccolissima punta di concentrato di pomodoro stemperata in poca acqua: serve solo per donare alla fine un colore caldo e appagante, e mescolate. Cuocete per 3 minuti, di più non serve, poi regolate di sale e di pepe, aggiungete un’abbondante dose di prezzemolo mondato e tritato, una presa di zafferano in polvere stemperata in poca acqua e la buccia di mezzo limone non trattato tagliata a julienne, stando ben attenti di eliminare la parte bianca che è amara. Accompagnate con una qualsiasi base amida, anche se sarebbe ideale un risotto alla piemontese, cioè alla milanese ma senza zafferano, guarnendo il riso con il diaframma stesso. Altri usi? Tantissimi, sostanzialmente tutti quelli dove tagliate la carne a bocconcini prima di cuocerla. L’unica accortezza è di aggiungerlo a qualsiasi preparazione solo 5 minuti prima della fine cottura: cuocerlo di più non conviene.
CSF (come si fa)
Stewart
Allan Bay
Michael C. Berch
Gastronomia Un’invenzione culinaria da provare
Quaglie, che passione! Vediamo come si fanno due classicissime preparazioni a base di quaglie. Quaglie con riso. Per 4 persone. Avvolgete 4 quaglie pulite con fettine di pancetta dolce o affumicata, a piacere vostro, e legate con filo da cucina. Fate fondere una noce di burro in una casseruola e rosolate le quaglie con un mazzetto legato di gambi di prezze-
molo, basilico e salvia. Chiudete con un coperchio e cuocete a fuoco vivo rivoltando le quaglie di tanto in tanto e spruzzandole con un paio di cucchiai di Marsala o Porto. Fate tostare un cucchiaio di farina setacciata in 20 g di burro, mescolando con un cucchiaio di legno, quindi versate circa 2 dl di brodo vegetale a temperatura ambiente a filo e cuocete a fuoco medio per 5’. Unite la salsa alle quaglie, mescolate e regolate di sale e di pepe. Nel frattempo fate lessare 320 g di riso in abbondante acqua bollente leggermente salata. Togliete le quaglie dalla casseruola, eliminate il filo e tenetele in caldo. Passate il fondo di cottura al setaccio e tenetelo in caldo. Scolate il riso, conditelo con poco burro e mettetelo sui piatti individuali. Disponete sopra le quaglie e coprite con il fondo
di cottura. Se volete potete cuocere il riso pilav, ma in questo caso usate riso lungo tipo indica, meglio se tipo basmati o thai. Quaglie con uva. Per 4 persone. Mondate 8 quaglie. Dividete a metà 500 g di acini di uva ed eliminate al meglio, aiutandovi con la punta di un coltellino, i semini. Sciogliete in una padella una noce di burro, rosolate le quaglie per 6’, girandole per avere una rosolatura uniforme. Unite i mezzi acini di uva, una manciata di chicchi di melagrana e una punta, o più, a piacere, di zenzero in polvere; cuocete coperto per circa 10’, mescolando di tanto in tanto. Regolate di sale e servite. Se volete, frullate gli acini e poi passateli in un colino: così eliminerete non solo tutti i semini ma anche la buccia; in questo caso usatene 800 g.
Manuela Vanni
Oggi un piatto «nuovo» ovvero la quinoa condita con del granciporro, ma va bene anche se usate code di gamberetti sbollentate un attimo, e un dolce a base di pesche cotto con il cedro.
Manuela Vanni
Ballando coi gusti
Quinoa con granciporro
Pesche al basilico e cedro
Ingredienti per 4 persone: 250 g di quinoa · 40 g di anacardi tostati · 1 granciporro anche decongelato · 1 lime · prezzemolo · olio di oliva · sale e pepe.
Ingredienti per 4 persone: 8 pesche · basilico · 1 cedro · 2 limoni · 40 g di zucchero
Cuocete il granciporro a vapore per 30’. Dopo 10’ aggiungete in un altro cestello la quinoa e cuocetela a vapore per 20’. Grattugiate la scorza del lime, ricavatene il succo e filtratelo. A cottura ultimata, staccate pinze e zampe del granciporro, rompetele con uno schiaccianoci e mettete in una ciotola la loro polpa. Con la parte piatta di un coltello fate leva dove sono gli occhi del granciporro per staccare il guscio. Eliminate le branchie e prelevate anche le parti cremose (gialle e marrone) con un cucchiaio. Versatele nella ciotola, aggiungete 4 cucchiai di olio, prezzemolo tritato, lo zest del lime e il suo succo. Aggiungete la quinoa nella ciotola, regolate di sale e di pepe, mescolate e servite.
Lavate le pesche, incidetele dalla buccia al nocciolo con un taglio a croce e mettetele sul fondo di una casseruola meglio se antiaderente. Copritele con il burro ridotto in fiocchetti e una manciata di foglie di basilico spezzettate con le mani. Unite il cedro, lavato e tagliato in spicchi, 2 cucchiai di olio, lo zucchero, il succo filtrato dei limoni e un bicchierino d’acqua. Coprite con il coperchio e cuocete a fiamma vivace per una decina di minuti. Levate le pesche e disponetele in una ciotola. Filtrate il fondo di cottura, rimettetelo nella casseruola e fatelo ridurre a fuoco vivace fino alla consistenza di uno sciroppo denso. Insaporite con una macinata di pepe. Distribuite le pesche sui piattini da dessert e copritele con il fondo ridotto. Decorate con le fette di cedro cotte e qualche fogliolina di basilico e servite.
di canna · 40 g di burro · olio di oliva · pepe in grani.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Ambiente e Benessere
Portaoggetti con bucce di pomodori? Motori Ford e Heinz stanno portando avanti lo sviluppo di plastiche vegetali al cento per cento sostenibili
Mario Alberto Cucchi «Hai saputo? Adesso per costruire le automobili usano gli scarti del ketchup!». A leggerla così sembra proprio una storiella inventata, di quelle che si raccontano tra bambini per passare il tempo sulla spiaggia sotto l’ombrellone. Invece è tutto vero, o almeno sembra. A rivelare la notizia al mondo è stato un comunicato stampa congiunto rilasciato da Ford Motor Company e H.J Heinz Company. «Bioplastiche dai pomodori», questo era il titolo. Ford e Heinz, di fatto, collaborano insieme per lo sviluppo di bioplastiche ricavate dagli scarti di lavorazione dei pomodori. L’obiettivo è quello di incrementare l’utilizzo dei materiali sostenibili a bordo delle vetture prodotte dalla Casa americana. In pratica le bucce dei po-
modori essiccate potrebbero diventare staffe dei cavi dell’impianto elettrico o piccoli vani portaoggetti. «Stiamo portando avanti la ricerca per stabilire quanto i sottoprodotti dei procedimenti industriali per il trattamento del
Kia Soul Eco-Electric a emissioni zero ha già ricevuto la certificazione ISO Life Cycle Assessment cibo possano trovare applicazione nel mondo dell’auto», ha spiegato Ellen Lee, specialista tecnico di ricerca per le materie plastiche di Ford. «Il nostro obiettivo è sviluppare un materiale resistente, ma leggero, che abbia un im-
Le bucce dei pomodori essiccate potrebbero diventare staffe dei cavi dell’impianto elettrico o piccoli vani portaoggetti.
patto ambientale ridotto e rispetti i nostri standard di produzione». Due milioni di tonnellate di pomodori vengono utilizzati ogni anno dal colosso del ketchup. Bucce, gambi e semi di pomodoro diventano scarti, ma attraverso metodi innovativi possono essere riciclati. Sono fatti seccare e sottoposti a trattamenti termici, chimici e meccanici per poi arrivare sulle nostre quattroruote sotto forma di plastiche vegetali. «Siamo contenti dell’interesse dimostrato da Ford, che ha validato la nostra tecnologia», ha dichiarato Vidhu Nagpal, direttore associato ricerca e sviluppo packaging di Heinz. «Anche se siamo ancora in una fase preliminare, con ancora molte domande cui dare risposta, siamo entusiasti delle opportunità che questa ricerca può rappresentare per Ford e Heinz nel portare avanti lo sviluppo di plastiche vegetali al 100% sostenibili». Va spiegato che le bioplastiche possono ridurre le quantità di materiali petrolchimici necessari alla produzione di auto. Per ora non c’è, però, traccia di pomodori sulla nuova Kia Soul Eco-Electric la cui produzione in serie è appena partita. Il crossover coreano nella sua variante a emissioni zero ha già ricevuto la certificazione ISO 14040 Life Cycle Assessment da parte del TÜV Nord. Questa organizzazione indipendente di analisi dei veicoli prende in considerazione l’impatto ambientale conseguente alla produzione e all’utilizzo della vettura fino alla sua rottamazione. In pratica valuta tutti gli aspetti partendo
dai processi di produzione, alle emissioni di gas di scarico per arrivare alla riciclabilità finale. Distribuita in tutto il mondo a partire da quest’anno, la Kia Soul EcoElectric ha un’autonomia di 212 chilometri. Il suo motore elettrico eroga 110 cavalli e dispone di una coppia di 285 Nm. Per «scattare» da ferma a cento
orari necessita di 11,2 secondi, mentre la velocità massima è autolimitata a 145 chilometri orari. La ricarica completa delle batterie necessita un tempo stimato tra le 10 e le 14 ore, che possono scendere a 4-5 ore grazie a un sistema di ricarica veloce. Kia Soul EcoElectric verrà prodotta in circa 5mila esemplari annui. Annuncio pubblicitario
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Ambiente e Benessere
Meduse di lago Mondoanimale Tra mitologia e realtà, alla scoperta della medusa d’acqua dolce
avvistata da qualche tempo nel Ceresio Maria Grazia Buletti Tutto è cominciato a settembre dell’anno passato, quando l’ex presidente della Federazione svizzera di sport subacquei, Rolf Sauer, riferisce a Ticinonline l’avvenuto avvistamento, nel lago Ceresio, di una medusa d’acqua dolce che riesce pure a fotografare. «Sono quarant’anni che faccio immersioni nel lago e non è la prima volta che mi “scontro” con questo tipo di meduse», riferisce Sauer ai media, affermando di averne viste nel lago di Neuchâtel e di Bienne, e di essere a conoscenza della loro presenza anche nel lago di Zurigo. A ottobre, dunque poco tempo dopo, «La Provincia di Como» riporta che anche il naturalista lariano Attilio Selva ha avvistato, sempre nel lago di Lugano, qualche piccola medusa: «La specie in questione ha diametro di pochi centimetri, una diffusa colorazione bianco-azzurra ed è munita di cinquecento sottili tentacoli, i quali possono sfuggire a uno sguardo superficiale
Un esemplare di Craspedacusta sowerbyi. (Joachim S. Müller)
e non sono urticanti per l’uomo». A novembre, riporta la nostra stampa locale, tocca a Giampaolo Codiposti (subacqueo con la passione della video ripresa) e Ivan Rullo (con la passione
A proposito dei nostri pesci… Sapevate che delle 24 specie ittiche ticinesi autoctone, 14 sono incluse nell’elenco edito dal Consiglio d’Europa delle specie minacciate di estinzione? Fra queste vi sono la Trota di ruscello, quella di lago, il Temolo, l’Anguilla e il Luccio. Questa e altre interessanti informazioni circa la fauna ittica locale, sono divulgate da Carlo Franscella e si trovano su AA. VV., 1990, Introduzione al paesaggio naturale del Ticino. 1, Bellinzona (DA), pp. 304-309, 368, 369, 371. Franscella ci permette di scoprire che il 30 percento delle specie ittiche che troviamo nel canton Ticino è stato introdotto artificialmente a scopo commercia-
le, sportivo od ornamentale. Tra le 11 specie immesse nelle nostre acque, 9 provengono dall’America settentrionale (ad esempio la Trota iridea, quella canadese, il Salmerino alpino, il Persico trota…). L’autore indica pure che fino a una cinquantina d’anni or sono, molte famiglie rivierasche vivevano del provento della pesca. Oggi sono pochi i professionisti, mentre ci sono parecchi pescatori dilettanti. Da segnalare che della fauna ittica dei nostri laghi ci parlerà prossimamente su «Azione» la giornalista Sabrina Belloni, in una serie di articoli illustrati con le immagini del fotografo subacqueo Franco Banfi.
particolarmente lontani ed è segnalata come comune in Germania», spiega il nostro interlocutore che svela anche l’arcano del suo viaggio fino a noi: «La via più probabile attraverso la quale può essere giunta nel Ceresio è quella più classica, rappresentata dai natanti dei turisti». Il nostro biologo cita Michele Abderhalden, del Museo cantonale di storia naturale di Lugano, il quale si è a sua volta interessato dello specimen raccolto per la sua determinazione, sottolineando che in realtà la presenza di questa specie non è una novità per il canton Ticino: «La Craspedacusta sowerbyi è in effetti già stata segnalata in uno stagno presso Gudo, nel 1962». Avvistata dunque oggi anche nel Ceresio, è legittimo chiedersi come interagisca con il suo ecosistema e quale potrebbe essere il suo futuro nelle acque di questo nostro lago. A questi quesiti, Polli risponde che «la medusa d’acqua dolce si nutre di zooplancton, macroinvertebrati e larve di piccoli pesci che cattura grazie ai suoi tentacoli». Scopriamo che essa è poco appetibile come preda per i pesci, mentre è predata dal gambero americano, abbondantemente presente nel Ceresio. Il suo ciclo vitale è piuttosto complesso e la medusa che vediamo è, di fatto, lo stadio adulto e riproduttivo di questo organismo: «Essa prevede diversi stadi, fra i quali tre sono sessili (ndr: immobili) e tre sono invece mobili con diffusione attiva». Nessun mostro degli abissi, dunque, nel nostro lago Ceresio, come pure nessuna creatura meravigliosa che trasforma in pietra coloro i quali non resistono nel voltarsi ad ammirarla: potremmo ancora incontrare la piccola medusa avvistata nel lago di Lugano, e lei ha semplicemente interpretato la globalizzazione dei nostri tempi, viaggiando con i natanti dei turisti che sono giunti da noi per godere del nostro bello specchio d’acqua.
della telecamera): fotografano le piccole meduse in un relitto in fondo al lago Ceresio. Nell’immaginario comune, la figura di questo affascinante quanto strano essere vivente ci riporta alla creatura mostruosa della mitologia greca, per la quale Medusa era una delle tre Gorgoni, insieme a Steno ed Euriale. Tutte erano figlie di due orrendi mostri marini, Forco e Ceto, ma Medusa era l’unica ad essere immortale. Portabandiera della perversione intellettuale e orrenda nelle rappresentazioni più antiche, Medusa venne in seguito riabilitata come una bellissima donna capace di affascinare gli uomini, i quali, non riuscendo a trattenersi, si voltavano a guardarla. Il prezzo di questa debolezza era la loro trasformazione in pietra. Chi ha avvistato le piccole meduse azzurre nel lago di Lugano non ci risulta si sia trasformato. Però è ovvio che questo incontro abbia dato adito a una certa curiosità e a parecchie domande alle quali ci ha aiutato a rispondere il biologo Bruno Polli dell’Ufficio cantonale della caccia e della pesca, il quale
ci ha subito rassicurato su un punto saliente: «Questa medusa non è pericolosa per l’uomo». Polli la presenta come un animaletto di circa due centimetri di diametro, appartenente alla Classe degli Idrozoi e ci spiega che la specie diffusa in Europa è la Craspedacusta sowerbyi: «Essa è però originaria dell’Asia orientale, sebbene la sua diffusione in Europa sia documentata già a cominciare dal lontano 1880». Scopriamo dunque che non è fatto poi così raro trovarla anche nel Continente, dove è presente praticamente ovunque, eccettuate le regioni fredde del Nord. In effetti, Polli dice che essa colonizza stagni con acque relativamente basse e calme e tende a sviluppare popolazioni abbondanti a temperature sopra i 25° C: «Per questo, il periodo particolarmente caldo e poco ventoso di quando si sono verificati gli avvistamenti potrebbe averne favorito la comparsa nel lago Ceresio». Legittimo chiedersi da dove sia venuta e come abbia fatto ad arrivare fino nel nostro lago di Lugano: «Questa specie è presente in altri corpi idrici non
ORIZZONTALI 1. La si può essere in causa 5. Animata dal buon senso 10. Figlio di Anchise e Afrodite 11. Il maggiore lago della Svizzera 12. Prima moglie di Giacobbe 13. Malattia infettiva 14. Le iniziali di Tolstoj 15. Timorose di Dio 16. Onda senza margini 18. Misura lineare inglese 19. Il primo compagno 21. Asticciola millimetrata 23. Centro della Cecoslovacchia 24.. Gli dei di Sigfrido 25. Questa cosa 26. Può esserlo la tensione 28. Dirigono istituti scolastici
Sudoku Livello per geni
Giochi Cruciverba Il cioccolato fondente stimola il rilascio di endorfine che aumentano il buon umore e in più… Trova il resto della frase leggendo, a soluzione ultimata, le lettere nelle caselle evidenziate. (Frase: 8, 2, 8, 15).
VERTICALI 1. Non tutti sanno come si conciano 2. La Ribeiro garibaldina 3. Quinto satellite di Saturno 4. Conta solo alla fine 5. Si anima girando... 6. Una nota Sandrelli 7. Nome femminile 8. Desinenza di diminutivo 9. Le iniziali della cantante Oxa 11. L’attore Bruce 13. Copricapo papale 15. Le iniziali del cantante Daniele 17. Fasci di spighe legate insieme 19. Lo è l’atleta 20. Me, io a Parigi 22. Il fiume di Monaco 25. Club Alpino Italiano 27. Le iniziali dell’attore Sperandeo
Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
Soluzione della settimana precedente
Il colibrì – Resto della frase: Piccolo del mondo… vola all’indietro.
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Politica e Economia Obama in difficoltà Come da tradizione anche questo presidente americano perde consensi nel corso del suo secondo mandato pagina 29
Un Paese allo specchio Dilma Rousseff ha predisposto un piano economico per rilanciare la crescita che prevede iniezioni rivitalizzanti di capitali privati: quarta parte
Arrivano i contingenti Berna ha presentato i principi da seguire per applicare l’iniziativa popolare UDC del 9 febbraio
Un conflitto in meno Accordo raggiunto, ma ancora da firmare, fra Berna e Bruxelles sulla tassazione delle imprese
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Matteo Renzi e Angela Merkel a Berlino, una dialettica che durerà fino a dicembre. (AFP)
Una rondine tricolore nel cielo d’Europa Ue Sotto il segno di Renzi inizia il semestre di presidenza italiana che inaugurerà la nuova stagione politica dell’Ue Alfredo Venturi Angela Merkel apre a una maggiore flessibilità nel rispetto delle regole e auspica misure contro la disoccupazione, contrastando così il fuoco di sbarramento del partito tedesco del rigore. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble e il presidente della Bundesbank Jens Weidmann avevano infatti ribadito il punto: nessun allentamento, i patti che ci siamo dati vanno rispettati, Francia e Italia se ne facciano una ragione. Accingendosi a guidare l’Unione Europea con la presidenza semestrale di turno, Matteo Renzi può ignorare l’intransigenza dei rigoristi puri e duri e appoggiarsi alla sponda finalmente offerta dalla Bundeskanzlerin. Lo fa con una frecciata polemica: l’Italia non intende eludere, come fece la Germania a suo tempo, i vincoli del trattato di Maastricht. Ma c’è modo e modo, aggiunge, di osservare le regole. Si può farlo con una flessibilità che consenta di affiancare al sacrosanto obiettivo dei conti in ordine quello altrettanto vitale della crescita e dell’occupazione. È la dialettica, non certo nuova, destinata a dominare il semestre italiano
di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea, in corso da luglio a dicembre. Con l’appoggio di François Hollande e dei rappresentanti degli altri Paesi che arrancano sulla soglia di una ripresa ancora troppo timida, Renzi si proporrà come il campione di una crescita da stimolare con ogni mezzo, ma i trattati gli impediscono di attingere a piene mani alle risorse keynesiane del deficit spending. Aumentare ancora il debito, tuona Schäuble, sarebbe un grave errore. Dunque rigore, e tutta quella crescita che all’interno del rigore sarà possibile incentivare. Una formula non priva di ambiguità, e del resto è proprio l’ambiguità che Renzi rimprovera all’Unione. Bruxelles ci sanziona, denuncia a titolo di esempio, perché siamo in ritardo nell’onorare i debiti con le imprese, ma è proprio Bruxelles con i suoi vincoli che c’impedisce di farlo! Il presidente invita gli altri Ventisette a interpretare correttamente il voto del 25 maggio, che ha mandato a Strasburgo un parlamento percorso da rabbiose vibrazioni eurofobiche. L’Unione deve prendere coscienza di quel voto e cambiare le sue politiche, e così non sarà più percepita come un corpo
estraneo, un incubo di norme e regolamenti. Renzi non chiede soltanto una maggiore flessibilità ma anche una Unione meno invadente, che sappia limitare la sua azione quando i singoli Stati membri possono raggiungere autonomamente gli obiettivi concordati. In questo sa di poter contare sul consenso di David Cameron, il premier britannico è infatti in prima fila nella resistenza all’asfissiante burocrazia brussellese. Di fronte a tutto ciò le stesse nomine per il rinnovo dei vertici europei, che pure sono al centro di febbrili schermaglie, sono secondarie: più che scegliere il pilota, dice Renzi, è necessario decidere dove andare. Del resto il punto della semplificazione burocratica, accanto all’opportunità di stimolare crescita e occupazione, è contenuto nel documento presentato dal presidente Herman Van Rompuy al Consiglio europeo che si è riunito nei giorni scorsi. La riunione è stata convocata a Ypres, la città fiamminga entrata nella storia durante la Grande Guerra perché per la prima volta vi fu impiegato quel micidiale gas che proprio per questo sarà chiamato iprite. Nel luogo simbolo della vecchia Europa dilania-
ta dai conflitti armati, il rinnovo delle cariche ha dominato la scena accanto all’eterno dilemma: rigore o crescita? Un’alternativa che Renzi vorrebbe annullare cambiando semplicemente la congiunzione: rigore e crescita. Confida che la sostanziale sconfessione dei falchi da parte della Merkel renda praticabile questa strada. Rispettare gli obblighi di bilancio, almeno fino a quando sarà possibile rinegoziarli, e intanto servirsi dei margini che offrono per favorire investimenti capaci di aggredire la congiuntura, raggiungendo la massa critica oltre la quale la crescita si autoalimenta e con essa l’assorbimento di una disoccupazione che in molti Paesi, ormai, ha assunto i caratteri di piaga sociale. Il suo semestre europeo, l’Italia intende usarlo per porre sul tappeto un’altra drammatica emergenza, quella dei flussi migratori ormai inarrestabili che si rivolgono prevalentemente verso le coste della penisola. Renzi pone la questione in questi termini: che senso ha una Unione che ci prescrive nel dettaglio come si debbano pescare i tonni, ma quando il mare si riempie di cadaveri si volta dall’altra parte? Il Mediterraneo è una frontiera italiana o europea?
Roma propone una gestione comune dell’accoglienza e dell’asilo. Chiede che il pattugliamento delle rotte percorse dai migranti sia preso in carico dall’Europa nel suo insieme sviluppando lo schema Frontex, attualmente ben lungi dall’alleviare un peso che grava quasi esclusivamente sull’Italia. Per potere essere ascoltato a Bruxelles, il governo italiano deve presentarsi con le carte in regola, con i compiti a casa regolarmente svolti come si dice con espressione un po’ abusata. Per questo Renzi alla vigilia del semestre annuncia un rinnovato impegno riformista. In mille giorni, promette, cambieremo l’Italia trasformando le istituzioni e il fisco, sbloccando i cantieri, rilanciando l’agricoltura, ammodernando la pubblica amministrazione, migliorando la gestione sociale. Un programma a dir poco iperbolico, che contribuisce a spiegare l’insistenza sulla necessità di ammorbidire l’arcigna Unione dell’austerità. Nel logo della presidenza italiana è raffigurata una rondine multicolore che spicca il volo: è la metafora di un’ambizione, del rilancio di un sogno che finora ha deluso le attese.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Politica e Economia
L’Iraq mette in difficoltà Obama Casa Bianca Il presidente americano è alle prese con una serie di problemi internazionali e interni che gli stanno
facendo perdere consensi: è la maledizione del secondo mandato, una tradizione che già fu di Reagan, Clinton e Bush Federico Rampini La maledizione del secondo mandato non risparmia Barack Obama. Fu vero per Ronald Reagan, Bill Clinton e George W. Bush: i secondi mandati presidenziali spesso sono segnati da cali di popolarità, scandali, paralisi legislativa, crisi interne o internazionali. E questo presidente non fa eccezione. Il colpo più duro viene in Iraq al culmine di una serie di rovesci nella politica mediorientale di quest’Amministrazione. La destra accusa Obama di avere «perduto» l’Iraq, così come lo accusava di avere sbagliato tutte le sue decisioni di fronte alle primavere arabe, dalla Libia all’Egitto.
Anche sul fronte interno il presidente deve far fronte a fattori negativi che hanno frenato la crescita economica «Mando trecento consiglieri militari in Iraq, ma non truppe da combattimento. Non ci sarà un’escalation strisciante, l’unica soluzione è politica non militare». Obama non si discosta dal suo piano in cinque mosse, che include la possibilità di attacchi aerei, e un’apertura all’Iran. Assediato in casa propria dai «neoconservatori», i reduci dell’Amministrazione Bush che lo accusano di avere lasciato l’Iraq in preda all’avanzata di Al Qaeda, Obama ribatte puntigliosamente la sua posizione: in Iraq l’America non tornerà a combattere. I cinque punti cominciano con il rafforzamento della difesa dell’ambasciata Usa a Baghdad (guai se dovesse ripetersi un «caso Bengasi», l’assalto dove morì l’ambasciatore in Libia). Segue un potenziamento del dispositivo di intelligence e spionaggio. Lo stesso che servirà eventualmente a guidare attacchi aerei contro le forze sunnite dell’ Isis: ma non ci saranno blitz a sorpresa, il presidente promette che consulterà il Congresso. «Ho spostato nuove risorse militari in quell’area, siamo pronti a colpire se e quando sarà necessario, ma quel che conta è la soluzione politica sul terreno». Obama ha già scaricato di fatto il premier al-Maliki, traccia l’identikit di un leader che sappia unire tutte le componenti sciita, sunnita, curda, ed è chiaro che al-Maliki ha tradito le promesse. «Tutti gli iracheni – dice Obama – devono ritrovare la fiducia che le loro legittime rivendicazioni possano risolversi con metodi politici, non con il ricorso alla violenza. La formazione del nuovo governo iracheno dopo le elezioni offre l’opportunità per scegliere dei leader inclusivi». Niente interferenze ma l’America «conserva una leva di pressione per i consistenti aiuti che forniamo all’Iraq». Obama accenna alla poderosa offensiva dei neoconservatori, da Dick Cheney a John Bolton a Robert Kagan, un coro di voci che lo accusa di non aver portato a termine la missione iniziata nel 2013. Il presidente trae la sua lezione: «Prima di imbarcarci nuovamente in azioni militari all’estero dobbiamo porci domande precise. Cominciando col chiederci dov’è il nostro interesse nazionale». Ammette che in Iraq alcuni interessi strategici sono in gioco, «la sicurezza energetica mondiale», nonché «il rischio che tra Iraq e Siria nasca un nuovo santuario di terroristi che un giorno potranno attaccare l’Europa e l’America». Le accuse dei «neocon» vengono da un pulpito screditato. E tuttavia conquistano un’inaspettata visibilità
Il Segretario di stato americano John Kerry (secondo da sinistra) al suo arrivo in Iraq. (Keystone)
sui media americani: a conferma del calo di credibilità di Obama. I reduci dell’Amministrazione Bush hanno responsabilità immense visto che l’invasione del 2003 fu viziata dalla colossale menzogna sulle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein. Inoltre sembrano dimenticare che il ritiro delle truppe Usa nel 2011 era già stato deciso da Bush. Colgono nel segno, però, quando osservano che Obama cantò vittoria troppo presto annunciando di avere inferto un colpo decisivo ad Al Qaeda con l’eliminazione di Osama Bin Laden. Al Qaeda, dopo ripetute metamorfosi, dilaga con nuove sigle jihadiste dalla Siria all’Iraq. E nel frattempo non si è certo risolta la crisi ucraina, l’altro fronte internazionale di sofferenza per Obama. Non si può dire che abbia «perso l’Ucraina», visto che quel Paese non aveva mai fatto parte della sfera d’influenza americana. Resta però che questa Casa Bianca non ha ancora trovato la risposta giusta nei confronti del revanscismo nazionalista di Vladimir Putin.
Nei giorni scorsi l’America ha deciso di riaprire le frontiere all’export di greggio. Era dal 1970 che teneva per sé le proprie risorse In questa situazione così difficile, con una maggioranza di americani che «sfiduciano» la sua politica estera, Obama poteva almeno vantare al suo attivo un grosso successo interno: la sua presidenza ha coinciso con l’uscita dell’America dalla più grave crisi economica dall’epoca della Grande Depressione.
Ma la settimana scorsa anche sul fronte economico è arrivata una brutta notizia. È la frenata brutale, inaspettata, della crescita: meno 2,9%, il Pil nel primo trimestre di quest’anno. È il peggiore dato dal primo trimestre del 2009, quando gli Stati Uniti erano ancora nel mezzo della recessione. A causare la frenataccia del Pil hanno concorso fattori negativi ed altri paradossalmente positivi. Nella prima categoria domina il maltempo. L’America ha sofferto l’inverno più duro e più rigido da un secolo a questa parte, secondo alcune rilevazioni meteorologiche. L’impatto è stato catastrofico su un settore come l’edilizia che in questa fase è uno dei motori della ripresa. I consumatori, in intere zone del Paese assediati dalla neve e dal ghiaccio, hanno dovuto per forza diradare le visite negli shopping mall e rinviare gli acquisti a una stagione più clemente. In questo senso la pesante caduta del Pil sarebbe un «accidente meteorologico» destinato ad essere recuperato e compensato con una crescita in accelerazione nel secondo trimestre (che si conclude fra una settimana). Tra i fattori «positivi» che hanno frenato la crescita il più potente è la riforma sanitaria di Obama. Proprio dal primo gennaio di quest’anno entrava in vigore il nuovo sistema assicurativo. La sua prima conseguenza è stata un calo delle tariffe sulle polizze sanitarie. E qui si tocca un’incongruenza dell’indicatore Pil: se gli americani hanno finalmente speso un po’ meno per le assicurazioni mediche questa è un’ottima notizia, ma si trasforma in un segno meno nel Pil che è un aggregato di tutte le spese. Sullo sfondo però resta una conferma della fragilità dell’attuale ripresa. Se basta un inverno record, e una pausa nell’escalation delle spese mediche, per determinare uno stop alla crescita, è perché altri «motori» non
funzionano come dovrebbero. In particolare resta inquietante la stagnazione delle retribuzioni (ormai ultradecennale) e quindi del potere d’acquisto e di risparmio delle famiglie. Pur in presenza di una robusta creazione di posti di lavoro, il potere contrattuale dei dipendenti non è migliorato e siamo di nuovo in una «crescita diseguale», molto simile al modello pre-2007. A fare da ponte tra l’economia e la politica estera c’è un cambiamento strutturale avvenuto proprio nei giorni scorsi: l’America diventa un esportatore di petrolio sui mercati mondiali. Obama dice addio all’autarchia energetica, apre le frontiere all’export di greggio, sotto la pressione di due spinte convergenti: da una parte il boom di estrazione negli Stati Uniti; dall’altra l’esigenza politico-strategica di alleviare la dipendenza del resto del mondo dalla Russia e dal Medio Oriente. Le crisi in Ucraina e in Iraq hanno accelerato questa decisione controversa. Era dagli anni Settanta che l’America si teneva per sé le proprie risorse di petrolio e gas naturale. Ora la riapertura delle frontiere è firmata dal Dipartimento del Commercio che ha concesso due licenze all’export, e altre licenze seguiranno. Le prime spedizioni partiranno già dal mese di agosto, sia pure per quantitativi limitati. Il via libera dell’Amministrazione Obama dà la misura dello spettacolare rovesciamento di situazione nel mercato energetico mondiale. La politica autarchica fu decisa dagli Stati Uniti a metà degli anni Settanta come risposta difensiva allo shock energetico del 1973. In quell’anno, dopo la guerra del Kippur, i Paesi arabi decisero di punire l’Occidente per il suo sostegno a Israele, varando un embargo petrolifero. L’embargo dell’Opec fece quadruplicare i prezzi e gli Usa (come altri Paesi occidentali) do-
vettero anche adottare misure di razionamento dei consumi. Da quel periodo gli Stati Uniti decisero che le risorse energetiche presenti nel loro sottosuolo dovevano essere riservate al consumo nazionale, per tentare di ricostruire un minimo di autosufficienza ed essere meno vulnerabili al ricatto Opec. Da qualche anno l’intero scenario energetico è sconvolto da cambiamenti giganteschi. Tra il 2011 e il 2013 la produzione di petrolio negli Stati Uniti è aumentata di 1,8 milioni di barili al giorno. Questo è dovuto all’adozione di nuove tecnologie come la trivellazione orizzontale e il fracking che contribuiscono anche al boom di estrazione di gas naturale. Le proiezioni dell’Agenzia internazionale dell’energia, basata a Parigi, indicano che gli Stati Uniti hanno già superato la Russia come produttori di gas e vedono all’orizzonte di un decennio o due il sorpasso sull’Arabia saudita per la produzione di petrolio. A convincere Obama che l’embargo va superato, hanno contribuito in modo decisivo le vicende dell’Ucraina e dell’Iraq, nonché le pressanti richieste degli alleati europei. E tuttavia gli effetti sugli equilibri strategici mondiali si vedranno solo nel lungo periodo. Nell’immediato l’Europa resta dipendente dal gas russo e dal petrolio arabo, anche perché costruire infrastrutture alternative per accogliere rifornimenti dall’America richiede tempo. Inoltre la vicenda irachena presenta un’emergenza immediata e una minaccia imminente. Le milizie jihadiste che combattono sotto la sigla Isis potrebbero mettere le mani sulle risorse petrolifere di quel Paese. Quand’anche l’Europa dovesse affrancarsi gradualmente dal petrolio arabo, loro potranno sempre venderlo alla Cina e all’India. E con quei proventi finanziare attacchi nuovi, anche contro l’Occidente.
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Politica e Economia
La ricetta di Dilma Un Paese allo specchio L’economia brasiliana dovrebbe venire
rivitalizzata dai capitali dell’industria privata – Quarta parte
Angela Nocioni Un eldorado per gli investimenti privati. Una pioggia di concessioni per grandi opere pubbliche garantite dallo Stato, in cui il guadagno per i privati è massimo e il rischio minimo. Un Paese grande quanto un continente, ricchissimo di materie prime, con un governo deciso a giocarsi tutto puntando sulla corsa a una nuova crescita e sulla creazione di infrastrutture affidate al capitale privato. È anche questo il Brasile di Dilma Rousseff che, tra polemiche e proteste, sta ospitando i Mondiali di calcio.
Oltre a tessere il suo modello di sviluppo in casa, il grande capitale brasiliano gode i frutti della penetrazione capillare nell’industria argentina. Con buona pace dei sindacati Il programma di investimenti e logistica, ossia il piano per le infrastrutture voluto dalla Rousseff e benedetto da industriali e centrali sindacali, prevede gigantesche concessioni alle imprese private. Il primo obiettivo è costruire in tempi da record 5700 chilometri di autostrade e 10 mila chilometri di ferrovie. Sono state date nell’ultimo anno concessioni per dodici ferrovie e per nove autostrade. Il modello è quello dell’associazione pubblico-privato, le imprese private costruiscono le grandi opere e ottengono la possibilità di sfruttarle economicamente. È la politica del partito dei lavoratori (il Pt, Partito de los trabalhadores), il partito dell’ex presidente Lula e di Dilma, che ha contato molto, nei primi anni del suo governo, sull’appoggio degli imprenditori tirati dentro i grandi affari delle grandi opere. Difficile immaginare una pace sociale meglio garantita di questa cementata dal Pt, imbarcatosi in una politica di sviluppo non tanto diversa nella sostanza da quella sostenuta dal suo eterno rivale, il partito socialdemocratico dell’ex presidente Fernando Henrique Cardoso, il grande privatizzatore degli anni Novanta. Tanto che lo stesso Cardoso, ogni volta che gli chiedono di commentare
una iniziativa economica del governo della Rousseff comincia dicendo beffardo: «Noto il ritardo con cui si sta tentando di applicare il mio modello». Il Brasile, pur sulla scia del suo boom economico fatto di aumento della domanda interna, subisce in parte gli effetti della crisi mondiale. Una iniezione di vitalità al sistema dovrebbe venire, secondo i piani della Rousseff, dalla Impresa di pianificazione e logistica che sarà incaricata di integrare i progetti di infrastrutture di cui il Brasile ha estremo bisogno perché non è semplice, al momento, spostarsi sul suo enorme territorio. Il programma, accolto a braccia aperte da una grande fetta dell’industria privata, non è stato criticato dalle centrali sindacali. Solo una piccola parte del composito mondo sindacale brasiliano ha mostrato perplessità vedendo nel piano di concessioni pubbliche un ritorno alle grandi (e allegre) privatizzazioni di venti anni fa. Per incoraggiare il consumo interno la banca centrale ha lasciato che il real, la moneta brasiliana, si svalutasse rispetto al dollaro. Non tutto però sembra funzionare benissimo. Il tanto propagandato programma di accelerazione della crescita, il famoso Pac con cui il Partito dei lavoratori ha aperto con Lula ancora al governo la grande danza della crescita, non avanza a buon ritmo. C’è un buco di almeno 150 miliardi di dollari nei primi investimenti pubblici per le infrastrutture. Il 51% delle principali autostrade del Paese è stato privatizzato. Guarulhos, la principale, è stata data a un consorzio che già amministra sei autostrade e la metropolitana di Rio de Janeiro, integrato dai tre maggiori fondi pensione (Previ, Petros e Funcef, dei dipendenti del Banco do Brasil, Petrobras e la Caja Federal). Viracopos, nella zona di Campinas, è stata data a Engevix, in mano al fondo Funcef. Questi grandi consorzi operano in un regime di sostanziale dialogo tra i dirigenti sindacali e grossi imprenditori. Mentre tesse il suo modello di sviluppo in casa, il grande capitale brasiliano gode i frutti della penetrazione capillare in ciò che resta della industria argentina dopo le grandi privatizzazione degli anni Novanta volute dall’ex presidente Carlos Menem. I brasiliani a Buenos Aires si sono comprati interi pezzi di produzione nonché prodotti simbolo del Paese vicino. L’argenti-
nissima Quilmes per esempio, la birra simbolo dello stadio della Bombonera (quello di Maradona) e del porto della Boca, la cervezita più amata di Buenos Aires, è da anni brasiliana. L’ha comprata il gruppo Inbev, leader mondiale del settore che controlla anche il mercato delle acque minerali, nonché la licenza per la produzione e il commercio della Pepsi. L’impresa dell’acciaio per costruzioni, Acindar, veterana della Borsa argentina, è brasiliana così come la tradizionale marca di frigoriferi Swift, acquistata dalla Jbs Fribol per 200 milioni di dollari. E i freezer Estancia del sur, orgoglio patagonico, sono diventati brasiliani con un’operazione dello stesso importo. Nel tessile, poi, c’è stata una vera invasione. I brasiliani comprano le fabbriche di vestiti e guadagnano sia sul costo del lavoro che sulla differenza di cambio tra le due monete, oltre a risolvere il problema della sostituzione delle importazioni. È brasiliana, ad esempio, l’ultracentenaria impresa tessile Alpargatas. Produce a Tucuman le scarpe Nike per il Cono sur. Negli anni Novanta faceva quattrini a palate e invadeva il mercato brasiliano grazie all’esclusiva Nike. Reebok Brasil si è già assicurato l’intero polo tessile argentino della Gatic. Anche una delle principali produttrici di stoffa jeans, la brasiliana Vicunha Textil, produce in Argentina. Ha comprato a San Juan per 40 milioni di dollari le tre grandi fabbriche di stoffa, proprietà del gruppo Ullum, che le hanno finora venduto i tessuti grezzi da lavorare. Se si guardano i dati dell’economia argentina si osserva che il 72% delle 500 imprese leader del Paese sono straniere. Gli investimenti brasiliani in Argentina, rispetto al totale degli investimenti esteri, erano lo 0,2% dieci anni fa. Ora sono il 20%. E sono così ripartiti: un 52% nel settore industriale, un 40% in petrolio e gas, l’8% in costruzioni e solo lo 0,3% nei servizi. Un’occhiata ai dati del mercato mondiale della carne sfata un altro mito: il 40% è in mani brasiliane, la quota argentina è dello 0,4%. Se il capitale privato brasiliano gode e se il settore che più guadagna è quello dell’agrobusiness, una piccola nuvola all’orizzonte comunque c’è: l’export di cotone, che ha vissuto un clamoroso boom mangiandosi quote record
Dilma Rousseff visita il cantiere della ferrovia di Anapolis. (AFP)
del mercato di esportazione brasiliana (oltre che a intere fette di foresta amazzonica) è in calo. Il quarto anno consecutivo di raccolti mondiali in eccedenza coincide con la più grande diminuzione dell’import cinese dal 2000 a oggi. Secondo l’ultimo rapporto mensile del Dipartimento statunitense dell’Agricoltura, alla fine di luglio, conclusione dell’annata 2013-14, gli stock di cotone sodo arriveranno a 93,765 milioni di balle da 480 libbre, con un incremento dell’8,6% sull’anno precedente. Un curioso calcolo dell’agenzia Bloomberg porta a dire che ci sarà abbastanza cotone per produrre tre paia di jeans per ogni abitante del mondo. Un sondaggio tra analisti del settore ritiene che i prezzi a New York entro questo dicembre caleranno dell’8,8%, a 76,6 cents per libbra. Il dato cinese è particolarmente allarmante per i Paesi esportatori (Usa in primis, seguito dal Brasile): Pechino consuma un terzo di tutto il cotone del mondo ma ridurrà le sue importazioni del 46%, a 9,33 milioni di balle, allo scopo di sostenere i coltivatori locali (la Cina è anche il primo produttore mondiale di cotone grezzo). Il cotone, considerata una manna che non cade dal cielo ma è miracolosamente coltivabile in grandi estensioni, è stato l’affare dei primi anni Duemila in Brasile. I grandi produttori del Mato grosso, tradizionalmente la regione
dell’export di cotone sudamericano, hanno raddoppiato le aree destinate alle piantagioni con un incremento della produzione nazionale del 60% tra il 2010 e il 2011: un milione e settecentomila tonnellate. La conseguenza sulle piantagioni (e sull’ecosistema) del Mato Grosso è che l’area coltivata è passata in meno di dodici mesi da 428 mila a 600 mila ettari. Si tratta di gigantesche porzioni di terreno privato. Il proprietario non ha vincoli di utilizzo del territorio. E il cotone brasiliano, a differenza di buona parte di quello statunitense, non è biologico. Il business locale non ha a che vedere con aziende certificate per il rispetto di modalità eco-compatibili. Il boom ha permesso di rubare mercato agli Usa. Per il Brasile sottrarre quote di business nell’export del cotone agli Stati uniti è un piacere particolare, per ragioni storiche. I coltivatori tradizionali della pianta del Nord est brasiliano furono quasi espulsi dal mercato quando gli Stati uniti iniziarono la produzione industriale del cotone. Soffrirono una decadenza economica grave ed improvvisa, dalla quale si ripresero lentamente, e mai del tutto, solo dopo il 1860, quando la guerra di secessione americana causò la sospensione dell’export statunitense. Il tempo ha offerto loro una piccola occasione di rivincita, ma è durata poco. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Contingenti per tutti i lavoratori Immigrazione Il Consiglio federale approva i principi di applicazione dell’iniziativa UDC del 9 febbraio.
Le limitazioni toccano anche i frontalieri. Prevista anche una precedenza dei lavoratori indigeni su quelli stranieri. Le proposte scontentano il mondo economico Marzio Rigonalli Il Consiglio federale ha compiuto il primo passo importante dopo l’approvazione popolare dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa, lo scorso 9 febbraio. Ha approvato i principi sui quali dovrà fondarsi l’applicazione concreta dell’iniziativa. In sintesi, i principali punti prevedono l’introduzione di contingenti annuali per tutti i lavoratori, compresi i frontalieri, ad eccezione dei permessi di breve durata fino a 4 mesi; la preferenza nazionale, ossia l’obbligo per i datori di lavoro di assumere lavoratori indigeni prima di ricorrere agli immigrati e la possibilità del ricongiungimento familiare per tutti i lavoratori, con modalità più favorevoli per quelli che provengono dall’Unione europea che per quelli che provengono da Paesi fuori dall’UE. Il contingentamento dei permessi di breve durata da 4 mesi ad un anno, è stato voluto per cercare d’impedire che i contingenti vengano aggirati e per bloccare il ritorno dello statuto di stagionale. Il governo ha così voluto tradurre fedelmente il nuovo articolo costituzionale 121.a e, quindi, rispettare la volontà popolare che si è manifestata nelle urne e che chiede la limitazione ed il controllo dell’immigrazione. Come era prevedibile, le reazioni all’annuncio del Consiglio federale sono state numerose, le une favorevoli, le altre contrarie. Tra le prime, spiccano le prese di posizione del Partito liberale radicale e del Partito popolare democratico, che condividono le scelte fatte fin qui. Tra le seconde, emergono le critiche provenienti dall’economia. I rappresentanti del mondo economico sono scesi in campo con l’artiglieria pesante ed hanno rilasciato numerose dichiarazioni ai media. Heinz Karrer, presidente di Economiesuisse, Valentin Vogt, presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori e Hans Hess,
presidente di Swissmem, l’Associazione delle industrie delle macchine, hanno moltiplicato le critiche al concetto del Consiglio federale. Chiedono che i contingenti non vengono applicati ai frontalieri ed ai permessi di breve durata fino a dodici mesi. Ritengono che il nuovo articolo costituzionale lo consenta. Secondo loro, il Consiglio federale non sfrutta il margine di manovra di cui dispone e, quindi, non difende gli interessi dell’economia nazionale. E concludono con la velata minaccia che, in assenza di sufficiente mano d’opera qualificata, dovranno trasferire parte delle loro attività all’estero. Altre critiche sono arrivate dal Partito socialista, dai Verdi e dai sindacati. Da parte sua, l’UDC, promotrice dell’iniziativa popolare, si è limitata a dire che il diritto al ricongiungimento familiare ed alle prestazioni sociali dovrà essere limitato ed ha criticato l’intenzione del governo di trattare rapidamente con Bruxelles. Che cosa succederà ora? Il Consiglio federale ha previsto di agire su due corsie parallele: quella della politica interna e quella della politica estera, nei rapporti con l’Unione europea. Le due corsie racchiudono molte incognite ed è praticamente impossibile prevederne gli sbocchi. Sul piano interno, verrà preparato un progetto di legge che andrà in consultazione entro la fine dell’anno. L’anno prossimo, il progetto arriverà in parlamento, probabilmente verrà ulteriormente modificato e, quindi, approvato, con la possibilità di essere sottoposto al referendum popolare. Se il progetto di legge non sarà sufficientemente fedele alla lettera ed allo spirito dell’iniziativa, l’UDC potrebbe mettere in pratica la minaccia, ventilata già qualche tempo fa, di lanciare un’iniziativa popolare per una corretta applicazione del testo approvato il 9 febbraio. Nel 2015, in autunno, ci
La proposta di contingentare anche il numero dei frontalieri genera malumore nel mondo economico. (CdT - Maffi)
saranno le elezioni nazionali, che di regola sono precedute da una lunga campagna elettorale, periodo durante il quale i partiti politici sono più inclini a pensare ai loro interessi elettorali che agli interessi del Paese. Ci saranno, dunque, varie tappe e molti momenti ancora, con altrettante proposte di modifica, prima di giungere ad un testo che raccolga una maggioranza di consensi. Durante i prossimi mesi, sarebbe però un errore limitare il dibattito ed il confronto alle modalità d’applicazione dei contingenti. La riduzione del numero degli immigrati non deve avvenire soltanto attraverso un colpo di accetta, ma può essere favorita anche da un migliore sfruttamento del mercato indigeno. I rappresentanti del mondo economico fanno bene a difendere gli interessi delle aziende, ma non
possono limitarsi a questo. Per anni, non si sono preoccupati delle conseguenze che questa difesa avrebbe avuto sulla società e sulla sua evoluzione. È giunta l’ora di guardare con più attenzione alle potenzialità che offre il mercato del lavoro interno e di accogliere l’invito rivolto dalla politica, in primo luogo dal capo del Dipartimento federale dell’economia, Johann SchneiderAmmann, di agire su più fronti, per cercare di favorire l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro, per consentire ai lavoratori anziani di essere attivi più a lungo e per permettere a chi ha più di 16 anni di iniziare un apprendistato. Sul fronte europeo, la strada appare ancora più impervia e dall’esito quanto mai incerto. In settembre, il Consiglio federale adotterà un man-
dato negoziale. Quale sarà la reazione di Bruxelles? Per trattare, anche l’UE dovrà approvare un mandato negoziale. Per questo, ci vogliono almeno due condizioni: il via libera dei 28 Paesi membri ed un grande interesse a preservare gli accordi bilaterali con la Svizzera. Sono condizioni che verranno assunte dalle nuove autorità europee, quando entreranno in funzione, e sulle quali qualche fondato dubbio è legittimo. La libera circolazione delle persone non è parte di un trattato qualsiasi, che può essere rivisto dalle parti in causa senza provocare grossi problemi. È un principio basilare di tutta la costruzione europea, sul quale le autorità comunitarie hanno sempre ripetuto di non voler trattare. Visti da Bruxelles, due sono gli ostacoli maggiori: l’introduzione dei contingenti e l’applicazione della preferenza nazionale. Sui contingenti, i Paesi confinanti con la Svizzera avranno poi un ulteriore motivo d’insoddisfazione, visto che colpiranno anche i frontalieri. Sulla base di questi elementi, è possibile che l’UE rifiuti di correggere la libera circolazione delle persone nel senso voluto dalla Svizzera. L’applicazione dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa non è, però, l’unica variabile del complicato dossier, aperto tra la Confederazione e l’Unione europea. Vi fanno parte anche altre variabili, come il negoziato sull’accordo istituzionale, destinato a conferire certezze alla via bilaterale, o gli accordi nell’ambito della ricerca, dell’università e del cinema, che erano in vigore e che sono stati sospesi negli ultimi mesi. Sono variabili che avranno anch’esse un ruolo nei prossimi due anni, soprattutto quando ci si avvicinerà ad una probabile nuova consultazione popolare, ossia quando i cittadini saranno chiamati di nuovo alle urne per confermare il voto del 9 febbraio o per scegliere un’altra strada.
A un passo dall’accordo Contenzioso fiscale CH-UE I ministri europei dell’economia presentano alla Svizzera una «Dichiarazione
di accordo». Bruxelles chiede la modifica dei regimi fiscali di cinque cantoni. Il Consiglio federale dovrà ora consultare Camere federali e cantoni, poi metter mano con il Parlamento alla revisione III della tassazione delle imprese Ignazio Bonoli Lo scorso 20 giugno i ministri delle finanze dei Paesi dell’Unione europea hanno dato il loro consenso per una dichiarazione sulla tassazione delle imprese, da tempo in discussione con la Svizzera. Era infatti nel 2005 che la Confederazione aveva avviato le trattative con Bruxelles, dopo che l’UE aveva insistito affinché Berna provvedesse a eliminare quei regimi fiscali particolari che cinque cantoni concedevano alle «holding» e alle società di sede in Svizzera. Si tratta in sostanza di una «dichiarazione di pace» nella «guerra» avviata in particolare dal Consiglio dei ministri
delle finanze dell’UE (Ecofin). L’accordo era già stato discusso in precedenza con gli esperti dei vari Stati, per cui l’approvazione da parte dell’Ecofin è risultata una formalità. Ma una formalità importante, poiché pone fine – per il momento – a una diatriba che durava da ben nove anni e che sembrava doversi prolungare oltre. Ecofin ha quindi incaricato la Commissione UE di informare la Svizzera. In Svizzera, il Consiglio federale ha autorizzato lo stesso giorno i suoi rappresentanti a parafare la dichiarazione comune. Dopo questo accordo vengono informati sia i cantoni, sia le Commissioni parlamentari. Solo dopo queste
In Lussemburgo, il 20 giugno, era presente anche la consigliera federale Eveline WidmerSchlumpf. (Keystone)
consultazioni, il Consiglio federale potrà decidere se procedere alla firma del documento. Il documento prevede in sostanza che il Consiglio federale proceda a eliminare i cinque regimi fiscali cantonali che l’UE giudica pregiudizievoli alla concorrenza fiscale, se necessario previa l’autorizzazione del Parlamento. Questo dovrebbe avvenire nell’ambito della revisione III della tassazione delle imprese. Eventuali nuove misure fiscali dovranno comunque adeguarsi agli standard internazionali. Sul fronte opposto, l’UE si impegna a far sopprimere le contromisure che alcuni Stati hanno adottato nei confronti di questi regimi. Questo però soltanto una volta che la Confederazione li avrà effettivamente soppressi. La decisione è importante anche sotto un altro aspetto. L’Italia è uno dei Paesi UE che hanno adottato contromisure, inserendo la Svizzera in una sua «lista nera». Questo significa che le aziende svizzere che volessero operare in Italia sono soggette a una serie di procedure amministrative, tra le quali anche la partita IVA per affari transnazionali. Ma, in una dichiarazione unilaterale, gli Stati dell’UE hanno anche precisato che questo accordo non vieta
loro di adottare contromisure, qualora in Svizzera vengano adottati nuovi regimi fiscali particolari. Questo nel timore che Berna possa sostituire i regimi che si è impegnata ad abolire con altri regimi problematici dal punto di vista della concorrenza fiscale. I cinque regimi fiscali contro i quali sono diretti gli strali dell’UE sono noti da tempo: sono i privilegi che cinque cantoni concedono alle «holding», alle società di sede e alle società miste. A livello federale sono prese di mira anche le società principali dei gruppi internazionali, nonché quelle strutture che beneficiano del cosiddetto «Swiss finance branch». L’UE attacca questi regimi, poiché li ritiene in concorrenza sleale, dal momento che privilegiano redditi realizzati all’estero, rispetto a quelli nazionali, provocando un trasferimento degli utili di gruppo verso la Svizzera. Lo scontro su questi temi, iniziato come detto nel 2005, con una lettera della Commissione UE al Consiglio federale, ha toccato talvolta punte estreme e si è anche trasferito in buona parte all’OCSE, organizzazione della quale anche la Svizzera fa parte. L’OCSE sta varando standard internazionali in campo fiscale che sono molto simili alle esigenze dell’UE. Se da un lato questo
può facilitare il dialogo, dall’altro lascia aperte poche soluzioni alla Svizzera, che deve adeguarsi in cambio di pochissimi vantaggi che ne potrebbero derivare. Proprio il tema in discussione solleva problematiche importanti sul piano interno, ma che all’estero non vengono percepite. In particolare si tratta della sovranità fiscale cantonale. Un tempo quasi assoluta, questa sovranità ha subito parecchi ridimensionamenti, in particolare con la legge sull’imposta federale diretta e più ancora con quella sull’armonizzazione delle imposte dirette dei cantoni e dei comuni. Ora quando il sistema fiscale svizzero viene confrontato con direttive internazionali nascono problemi di difficile soluzione. Per questo il Consiglio federale è molto prudente in materia fiscale, ma non potrà resistere a lungo alle pressioni internazionali. La storia recente lo insegna in più di un’occasione, mentre una prossima disputa è già alle porte: quella del cosiddetto «Patentbox», cioè i redditi della proprietà intellettuale, in pratica i brevetti. Anche in questo caso, la posizione privilegiata della Svizzera suscita parecchie invidie, ma non è escluso che possa ottenere in questo campo quanto dovrà concedere sul piano della tassazione delle imprese.
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la piazza di Angelo Rossi La forza della SUPSI A inizio giugno è stato presentato il rapporto annuale della SUPSI per il 2013. Di un’istituzione universitaria si evoca volentieri l’età, perché, come per il vino, anche la qualità dell’università sembra migliorare col tempo. Le università ticinesi però sono giovani, marciano attualmente verso i venti anni di vita e, quindi, a prima vista, si potrebbe pensare che mancano ancora di esperienza e di maturità. Non è però questa l’impressione che si ricava dalla lettura del rapporto della SUPSI per il 2013. Al contrario, il documento in questione è di una densità e varietà tale di contenuti da impressionare in bene anche il lettore più smaliziato. Il rapporto per il 2013 è l’ultimo firmato da Alberto Cotti che, per più di un decennio, ha guidato le sorti della Scuola come presidente del suo Consiglio. Chi, come il sottoscritto, sa cosa è stato
fatto nella Scuola e di che problemi ha dovuto occuparsi il Consiglio, in questo periodo di intenso sviluppo, non può che esprimere la sua riconoscenza al presidente Cotti che, personalmente poi, ha lavorato molto per integrare la SUPSI nel tessuto economico e sociale del cantone. Siamo una repubblica e quindi non distribuiamo onorificenze. Peccato ! A me sembra che, ma forse sono troppo estraniato dalla realtà locale per capirne il senso, in Ticino ci sono fin troppi premi al merito per gli sportivi. A chi invece dedica tempo, intelligenza e fa sforzi non comuni, per servire l’interesse pubblico vanno invece solo contumelie. Di nuovo: peccato! Ma torniamo al rapporto. Contiene, come è oramai tradizione per questo documento, le cifre che testimoniano l’evoluzione delle attività di insegnamento, di ricerca e
di postformazione svolte dai singoli dipartimenti. Basterà ricordare qui i risultati dell’inchiesta sui diplomati e il loro tasso di impiego. Più dei tre quarti dei diplomati SUPSI sono occupati. Il loro tasso di occupazione varia naturalmente a seconda della formazione seguita. I risultati per le coorti di diplomati 2006-2010 rivelano tuttavia che anche per chi dispone di una formazione professionale a livello universitario non è facile oggi trovare subito un impiego. Positivo è invece il fatto che l’80% dei diplomati che lavorano hanno trovato un impiego in Ticino. La SUPSI quindi forma specialisti per l’economia – del settore privato e di quello pubblico – ticinese. E questo è sicuramente un dato estremamente positivo. Sarebbe interessante ora commentare i rapporti dei singoli dipartimenti. Ma lo spazio
manca per un commento equilibrato e completo. Ricordiamo solamente che il motto del rapporto annuale del 2013 è «Costruzione di reti e dialoghi per i saperi del futuro». La SUPSI fa parte del progetto nazionale delle Scuole universitarie professionali ed è quindi, quasi per definizione, il nodo di una rete nazionale di formazione e ricerca. Ma, nel corso degli ultimi anni, questa Scuola ha sviluppato numerose e interessanti relazioni anche con istituti universitari stranieri. Non di rado i suoi dipartimenti e i suoi istituti partecipano a progetti di ricerca internazionali che consentono ai collaboratori della Scuola e agli studenti di entrare in contatto con realtà educative e di ricerca molto diverse dalle nostre. Ricordiamo per fare un solo esempio le relazioni internazionali nate intorno al progetto di lanciare un satellite ticine-
se nello spazio. È facile scriverlo: oggi ci si forma e si fa ricerca in rete. Anche Leonardo da Vinci, se dovesse vivere oggi, lavorerebbe così. E la rete, come si è già ricordato non è solo locale o regionale. Molto spesso diventa nazionale o, addirittura, europea, per non dire mondiale. E non finisce qui. Il punto di forza della SUPSI, nella costruzione di queste collaborazioni, è infatti costituito dalla possibilità di creare reti multidisciplinari, di avvicinare gli ingegneri e gli economisti alle problematiche del sociale o di intervenire sul territorio realizzando progetti di ricerca nei quali sono richiesti i contributi delle discipline tecniche come di quelle del sanitario e del sociale. E non dimentichiamoci delle discipline artistiche che pure sono essenziali sia nella definizione dell’identità di questa scuola, sia in quella dell’identità del Paese.
gestione della crisi irachena, con lo Stato islamico che avanza, conquista terreno, domina un territorio enorme a cavallo tra Siria e Iraq e Washington che ancora cerca di capire che strategia utilizzare. L’alleanza sul campo con Teheran è stata esclusa, ci sarebbe una rivolta delle forze armate americane che sono morte in massa saltando sui micidiali ordigni iraniani che per anni sono stati disseminati contro gli alleati nella campagna irachena. Anche diplomaticamente non ci sono accordi, l’Iran è pur sempre un Paese isolato, sotto sanzioni, uno dei grandi sponsor del terrorismo sciita nella regione mediorientale. Ma agli ultimi incontri a Vienna tra i diplomatici che trattano sul nucleare si è parlato molto del possibile avvicinamento tra Teheran e Washington che coinvolga sia il programma atomico sia la soluzione della crisi irachena. Il presidente Hassan Rohani sarebbe il principale fautore dell’unione dei dossier, mentre i falchi propendono per una vittoria militare contro lo Stato islamico da sventolare poi agli sherpa americani per ottenere concessioni sul fronte nucleare. Le divisioni interne al fronte iraniano non finiscono qui, sono enormi in Iraq, ma per questo Suleimani è di stanza a
Baghdad: per mantenere l’ordine. Gli scenari che si prospettano per Barack Obama e di conseguenza per l’Occidente sono uno peggio dell’altro. Il presidente americano potrebbe acconsentire a un’alleanza di fatto con il governo di Baghdad e con l’Iran nella lotta contro lo Stato islamico, ma in questo modo tutti gli alleati sunniti potrebbero non perdonarlo mai più, e le conseguenze sono già prevedibili: lo Stato islamico si è rafforzato soprattutto grazie all’appoggio dei sunniti non estremisti «traditi» dai grandi sostenitori dell’inclusione – l’unità di governo a Baghdad – che non si è mai realizzata. Escludendo l’Iran, gli Stati Uniti dovrebbero fare da soli, ma come e soprattutto dove? I blitz aerei continuano ad aleggiare nelle dichiarazioni di John Kerry, Segretario di stato in visita nella regione, ma sono coperti da una coltre di incertezza militare e strategica: quali target colpire, visto che l’attività di intelligence è stata lenta e compromessa dalla sfiducia tra americani e iracheni che non si scambiavano le informazioni? Ora che i jet siriani hanno attaccato avamposti dello Stato islamico al confine tra Iraq e Siria, un intervento americano sembrerebbe un sostegno proprio delle operazioni del regime di
Bashar el Assad, un dittatore sostenuto dall’Iran ma che secondo gli americani dovrebbe andarsene ormai da anni. A livello strategico poi la confusione è ancora più grande: Washington vorrebbe che ci fosse una transizione a Baghdad, non si fida di Maliki, e allo stesso tempo non è certo di voler ampliare il terreno di scontro – che è largo di suo, comprende Iraq e Siria – perché in questo modo dovrebbe fare quel che non ha mai voluto fare, cioè intervenire in Siria. Lo stallo americano, ormai consolidato, amplia le possibilità di dominio dell’Iran. Il quale potrebbe rivendersi come l’unico attore in grado di contenere l’avanzata dello Stato islamico facendo un favore all’Occidente. Allo stesso tempo anche Assad ne uscirebbe più forte: lo è già, di fatto, se si pensa che la portavoce del dittatore di Damasco, Buthaina Shaaban, è appena andata in Norvegia a tenere una conferenza sul futuro del Medio Oriente. Fino a qualche settimana fa, la signora, come tutti gli esponenti del regime, non poteva viaggiare in Europa, se non all’interno delle tappe diplomatiche previste dai colloqui di pace di Ginevra. Se poi Teheran ottiene anche un compromesso sul nucleare, l’operazione di riscatto iraniano è completa.
silea. Ma i venti di guerra innescarono anche un altro processo, da tempo fermentante sotto traccia: l’emergere delle nazionalità e delle singole culture e confessioni religiose, sensibilità che il pugno duro delle teste coronate tentava invano di conculcare. Anzi, più la repressione cresceva e più il principio delle nazionalità si rafforzava. Il nazionalismo era particolarmente vivace in Serbia e in tutta l’area balcanica. Ma la situazione si era fatta esplosiva in molte fasce di confine. In particolare a Trento e a Trieste; due città, due regioni appartenenti alla monarchia asburgica, ma culturalmente e linguisticamente divise al loro interno. Da tempo il Regno d’Italia le reclamava come terre naturalmente appartenenti al ceppo italico. Così come la città di Gorizia. La campagna avviata dagli irredentisti fu perciò martel-
lante per tutti gli anni della «belle époque». La riconquista delle due T, Trento e Trieste, fu una delle bandiere delle esagitate campagne degli interventisti. Rientrava nella tesi del «Risorgimento incompiuto». Nella Svizzera italiana si guardava a queste iniziative con interesse ma anche con apprensione. Nel 1912 era stata fondata «L’Adula», «organo ticinese di coltura italiana». Con un doppio fine: arginare la germanizzazione del cantone e ribadire l’appartenenza culturale al tronco della gran madre Italia. Il Ticino, per le redattrici de «l’Adula», Rosetta Colombi e Teresa Bontempi, appariva come la terza T mancante, il figlio che le contingenze storiche avevano strappato al grembo da cui era nato. Da un punto di vista politico, l’influenza di queste cerchie fu molto limitata e circoscritta; tornò tuttavia
utile al governo cantonale per giustificare le rivendicazioni inoltrate a Berna (minaccia dell’irredentismo). Sul piano culturale e linguistico ebbe invece un certo impatto, sollevando importanti questioni riguardanti l’italianità o, come si diceva allora, l’«anima» del cantone. «Non ha un’anima propria, perché non ha una coltura propria. Soffre proprio nella testa. Non si è sviluppato tutto. Ha la vita economica, ha la vita sociale, ha la vita politica: gli manca la vita intellettuale. Non è un’anima completa. Non è rispettato, perché gli altri sentono che manca di anima». Il referto che Giuseppe Prezzolini stilò sulle pagine della rivista da lui diretta, la fiorentina «La Voce», suscitò un dibattito su quotidiani e periodici che merita di essere riletto e meditato ancora oggi, fase in cui, nei rapporti con la repubblica italiana, prevalgono le cornate reciproche.
Affari Esteri di Paola Peduzzi Il riscatto iraniano in Iraq Qassam Suleimani (nella foto), l’uomo più sfuggente e potente del Medio Oriente, il capo delle Guardie della Rivoluzione iraniane famoso per gli sms mandati ai generali americani durante la guerra in Iraq (uno mitico, inviato nel 2006 quando era in corso la guerra tra Israele e Libano, diceva: «Spero che vi siate goduti la calma a Baghdad. Io ero occupato a Beirut!»), è ormai di stanza a Baghdad. È il regista della resistenza del governo di Nouri al-Maliki contro l’avanzata dei jihadisti sunniti dello Stato islamico (Isis), l’uomo che da sempre
cercato di forgiare il Medio Oriente a immagine e somiglianza degli interessi di Teheran. Ora l’occasione è ancora più ghiotta per Suleimani e per la Repubblica islamica d’Iran intera, perché nel vuoto della politica estera dell’Occidente – dell’America soprattutto – Teheran può giocarsi la carta doppia della supremazia sul campo, militare, e di quella nel palazzo, legata ai negoziati sul programma nucleare iraniano che dovrebbero trovare una soluzione entro il 20 luglio. Ufficialmente non c’è alcuna collaborazione tra Iran e Stati Uniti nella
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Prezzolini e l’anima del Ticino È dello storico inglese George F. Kennan la definizione del primo conflitto mondiale come la più grande «catastrofe seminale» del Novecento. Catastrofe seminale o originaria, la madre di tutte le sventure del ventesimo secolo, in tedesco «Urkatastrophe». Già lo scrittore Romain Rolland, dal suo esilio svizzero, parlò di «umanità impazzita» e della «bancarotta della civiltà». L’attentato di Sarajevo fu l’episodio, il fiammifero che incendiò la prateria. In principio si riteneva che la crisi apertasi con l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia rientrasse nella casistica degli omicidi che, tra Otto e Novecento, insanguinarono monarchie e imperi. Alcuni dei quali clamorosi, come l’attentato a Umberto I di Savoia nel 1900. Nell’estate del 1914, tuttavia, le cose andarono diversamente, la miccia prese a
correre a guizzi, e non fu più possibile spegnerla nell’intrico di alleanze che le potenze avevano intrecciato, apertamente o segretamente, da decenni. La Francia con l’impero zarista e la Gran Bretagna, la Serbia con la Russia, la Germania con l’Austria-Ungheria. E l’Italia con gli imperi centrali, prima di mutare casacca e quindi schieramento durante le «radiose giornate di maggio» del 1915. Le dichiarazioni di guerra dei singoli Paesi portarono al crollo della Seconda Internazionale, l’associazione dei lavoratori nata nel 1889, in occasione del primo centenario della rivoluzione francese. La decisione, assunta dalla maggioranza dei deputati socialdemocratici tedeschi al Reichstag, di approvare i crediti di guerra, mise una pietra tombale sull’internazionalismo e sui propositi pacifisti declamati a gran voce nel 1912 al congresso di Ba-
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Cultura e Spettacoli La seconda vita di «Azione» Vittorio Dellea ha trovato un modo originale di dare una seconda lettura al giornale
Chi ha paura di Shirley Jackson? Una grande scrittrice americana, forse ancora troppo poco conosciuta, che esplora i lati oscuri del genere umano
Omaggio a Hans Huber Il Museo Kleines Klingental di Basilea celebra il compositore svizzero
Ascona capitale del jazz Si è appena conclusa un’edizione musicale strepitosa culminata con gli Swiss Jazz Awards pagina 51
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Hans Erni, Inverno nucleare, 1986 (tempera su pavatex, 150 x 205 cm).
Un pittore popolare Mostre A Casa Rusca di Locarno un’esposizione di Hans Erni, l’illustre e ormai centenario artista svizzero Gianluigi Bellei Il 21 febbraio del 1919 nasce a Lucerna Hans Erni. Niente di eccezionale se non che oggi è ancora vivo e vegeto e, sembra, continui a dipingere. Alcuni ritengono che sia uno dei più illustri artisti svizzeri, addirittura di fama internazionale. Cercando nella più disparate e recenti storie dell’arte non se ne trova traccia. Una bella beffa, dopo tanti anni di lavoro. Ma Erni è un pittore popolare, nel senso che realizza opere di facile e piacevole lettura e non certo perché il popolo lo conosce. Nel 1979 apre un proprio museo a Lucerna, all’interno del Museo svizzero dei trasporti; fatto emblematico e un po’ inconsueto. Avrà pensato: un museo personale ce l’ha Picasso, un certo Rodin, anche Michelangelo e perfino Zadkine…, perché non io? La Pinacoteca Casa Rusca di Locarno gli dedica un’ampia mostra comprendente una settantina di lavori che vanno dal 1930 al 2009. La prima in area italofona se si esclude quella alla Galleria Marino di Locarno nel 1966. Opere un
po’ surrealiste, a volte didascaliche, dal tratto semplice ma di grande effetto. Nel 1928 è all’Académie Julian di Parigi, una scuola privata meno restrittiva dell’École des Beaux-Arts, dove vince il concorso con Un nudo femminile seduto. Olio classicheggiante e non certo di grande pregio. Ma la vittoria del concorso lo valorizza e da quel momento ritiene che la frequentazione della scuola sia per lui superflua. Preferisce visitare il Louvre e le varie mostre cittadine. Dopo un breve periodo astratto inizia quello figurativo. Si sente l’eco di Masaccio, Dalí e, qua e là, del suo grande idolo Picasso che ha conosciuto in gioventù; usa una tecnica semplice ma nello stesso tempo sofisticata. A volte si spinge in virtuosismi accattivanti di impronta rinascimentale. Un tempo infatti si disegnava su fondo grigio tratteggiando con il carboncino i lineamenti essenziali della figura alla quale venivano aggiunte pochissime tracce di bianco per esaltare la tridimensionalità del tutto. Un accorgimento, questo, che richiede perizia e che è di grande effetto. Nei dipinti di Erni a una massa di
colore un po’ informe si contrappone il massimo scuro e, a volte graffiati sul colore fresco, i massimi chiari. L’effetto plastico è garantito. Seducente, anche se scenograficamente improbabile, la Mamma che gioca con bambino del 1954; i vari ritratti come quello di Albert Einstein, Guglielmo Marconi, Arturo Toscanini, Alexander Fleming del 1954 sembrano scene tratte da una graphic novel. Con il trascorrere degli anni l’impianto compositivo si fa maggiormente sicuro e articolato: Europa del 1968 è probabilmente l’opera più riuscita nella sintassi e nei rimandi allegorici e stilistici più profondi; Odisseo e Nausicaa del 1982 sembra voler far parlare e vivere i protagonisti, anche se il freddo colore dominante richiama un mondo immaginifico ma pure immaginario. Le ultime tempere sui Ghiacciai hanno qualcosa di spettacolare e malizioso nello stesso tempo. Non c’è più la presenza dell’uomo ma un fiume di ghiaccio che avanza e si protende come una grande mano che dà il senso di una triste solitudine in movimento e in peri-
colo mentre il «latte sgorga agli orli della lingua che rapida divora» come scrive lo stesso Erni a commento. Qui l’attrazione per la natura e la maestosità della sua terra è come un richiamo ancestrale, hodleriano, al perdersi e al ritrovarsi. Erni è stato un grande viaggiatore, Africa, Stati Uniti, India, Cina, e le sue opere esotiche rendono il senso della bellezza, della solitudine, dell’idillio tragico fra uomonatura-morte. Pittore prolifico e poliedrico, è considerato un artista politico dato il suo interesse per soggetti sociali. Per questo è stato, tra virgolette, messo al bando dalla Svizzera come nel caso del concorso della Banca nazionale per le nuove banconote elvetiche. Erni lo ha vinto e ha iniziato a lavorare sino a quando il Consigliere federale Philipp Etter ha sentenziato: «Come è possibile che un comunista disegni le banconote del nostro Paese?». In ogni caso, nel 1939 ha realizzato la grande pittura murale di cinque metri per cento La Svizzera paese delle vacanze dei popoli in occasione dell’Esposizione nazionale a Zurigo, ma
anche affreschi per la Croce Rossa, l’Onu e l’Unesco; manifesti per il sì all’Avs nel 1947 o contro la guerra atomica nel 1957. La mostra non ne dà atto soffermandosi sui dipinti di carattere storico, famigliare, esotico. In tutte le rappresentazioni comunque si nota l’interesse per il mondo del lavoro, quello degli affetti e delle rappresentazioni interiori. Se Erni è alla ricerca del Paradiso, come lui stesso sostiene, il suo paradiso si può trovare in quei Cinque cavalli fieri e indomiti che danzano e si accalcano, gli uni sopra gli altri, alteri e maestosi, liberi e frementi con gli occhi vivi, furbi, e le narici aperte. In catalogo sono illustrate le stampe litografiche di Erni donate da Nesto Jacometti alla Città di Locarno già presenti in quello generale del lascito del 1994 curato da Bernard Wydler. Dove e quando
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Cultura e Spettacoli
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Visti in tivù La
RSI vince in Brasile anche grazie alle telecronache adrenaliniche di Ceroni
Giorgio Thoeni L’immagine che il fruitore ha dell’attore è soprattutto legata al talento che dimostra sulla scena. Di fronte a una performance ben riuscita, è raro che il suo pensiero si colleghi a una preparazione teatrale che vada oltre all’allestimento. È un gioco di sensazioni. Ammettiamo pure che il nostro filtro critico possa portarci a certe domande o considerazioni, certamente non arriveremmo a concludere che potrebbe esserci una formazione universitaria. In realtà, oltre all’esperienza occorrono anni di approfondimento e di studio per poter accedere seriamente al mercato del lavoro. E l’apparato formativo contempla anche quelle discipline che, come il teatro, sono spesso rimaste confinate nell’ambito di una sorta di pregiudizio.
A Verscio la parola e la recitazione si trovano in secondo piano rispetto al movimento La scuola universitaria professionale della Svizzera italiana (SUPSI), dopo aver riconosciuto alla Scuola di Teatro di Movimento di Verscio (STD) le competenze necessarie per realizzare il ciclo di formazione che porta un titolo riconosciuto internazionalmente (il «Bachelor»), dal 2008 ha aggiunto una laurea magistrale, un «Master of Arts». È un nuovo percorso che mette in stretta correlazione quattro scuole di recitazione, quelle di Zurigo, Berna, Losanna e Verscio, e che permette agli studenti di conoscere e mettere a fuoco una serie di competenze delle quali non si può fare a meno, come la gestione dei progetti, il diritto, l’etica, l’indagine, la ricerca, la scrittura. Tutti strumenti indispensabili per accedere al mondo della creazione professionale a un livello competitivo. Il «Master-Campus-Theater-
Antonella Rainoldi
Samuel Müller, in Backwoodsman, presentato dallo studente come lavoro di Master.
CH» (si chiama così), è una formazione accademica che dura dai tre ai quattro semestri e che alla STD si orienta principalmente verso il «physical theater», una forma d’espressione teatrale legata soprattutto al movimento e a tutte le sue declinazioni, volta dunque a integrare nel progetto dello studente diverse forme artistiche sollecitando la sua responsabilità di attore a livello sociale, permettendogli di affermarsi in ambiti decisamente concorrenziali. Corinna Vitale, responsabile del Master per la STD con cui ha iniziato a collaborare nel 1990, ha pertanto vissuto la crescita della STD in tutte le sue fasi d’inserimento nelle scuole universitarie professionali: «Vogliamo collocare lo studente in un contesto di sviluppo artistico più ampio e complesso, come creatore: un processo che la formazione triennale del Bachelor non permette in quanto è legata a piccole performance individuali». Come si articola la formazione sul piano teorico? «Parallelamente a un dossier particolareggiato sul loro progetto, gli studenti devono redigere una tesi di ricerca sulla tematica prescelta
indicando come intendono svilupparla in vista di una sua trasposizione teatrale. Per esempio, se il tema è il grottesco, la ricerca potrà essere sul suo rapporto nella tradizione carnevalesca. Ciò comporterà la consultazione accurata di documenti fra pubblicazioni, archivi, biblioteche e documentari. Il tutto deve concludersi per iscritto con una riflessione che dimostri la finalità dell’approfondimento e come si integra nel progetto». Quanti sono gli studenti di Master? «Ogni anno le quattro scuole svizzere possono avere non più di 60 studenti e ognuna di esse ha un contingente. Quello di Verscio è dai 5 ai 7 candidati e il ciclo è di tre semestri. Per ognuno di loro le scuole ricevono 54 mila franchi, suddivisi fra Cantone e Confederazione». Qual è il valore aggiunto di un Master rispetto alla formazione triennale (Bachelor)? «Ovviamente l’obiettivo del Master non è quello di formare attori migliori ma di offrirgli una coscienza più ampia sul senso dell’arte, una sensibilità maggiore alle sue dinamiche sociali, un senso critico più a contatto con la realtà. Alla fine di ogni Bachelor con-
sigliamo agli studenti di non proseguire subito con il Master ma di fare esperienze lavorative per qualche anno. Inoltre, non devono necessariamente iscriversi da noi ma possono andare in altre scuole svizzere o all’estero». In questi ultimi anni si è notato un progressivo uso della parola, come un’esigenza verso il testo… «Già durante i colloqui individuali d’ammissione chiariamo che rispetto alle altre scuole svizzere come STD spingiamo molto su un filo drammaturgico basato principalmente sul movimento e non sulla recitazione, sulla parola. Se qualche studente vuole perfezionare questo aspetto può scegliere di seguire un modulo di recitazione individuale alla scuola di Zurigo (in tedesco). Oppure può utilizzare il budget scegliendo dove sviluppare questa tendenza dopo essersi consultato con me». Da dove provengono gli studenti? «Da tutto il mondo: Canada, Stati Uniti, Messico, Venezuela, Colombia, Argentina e Brasile, Finlandia e Norvegia. Gli svizzeri sono pochi, mediamente ne abbiamo uno all’anno. Complessivamente l’età varia dai 28 ai 32 anni».
Clint Eastwood, il cinema al servizio della musica Filmselezione L’ultimo, insolito film del grande vecchio del cinema americano Fabio Fumagalli ***Jersey Boys, di Clint Eastwood, con John Lloyd Young, Vincent Piazza, Erich Bergen, Michael Lomenda, Christopher Walken (Stati Uniti 2014)
Ma non era scomparso definitivamente, steso a mitragliate sull’asfalto, al termine dell’indimenticabile, umanissimo Gran Torino (2008), ultimo di una serie formidabile di tanti indomiti, ma progressivamente esausti e melanconici superoi? L’attore, forse; non il grande Clint regista. Che, a 84 anni, riparte una volta ancora. Dopo avere osato avvicinare, con fortune alterne, l’inavvicinabile mito Nelson Mandela in Invictus (2009) e le paranoiche manipolazioni del capo dell’FBI in J. Edgar (2011); ma creando un’opera ancora sorprendente, intima, quasi metafisica come Hereafter. Che gli vada in modo divino o soltanto d’incanto, Clint Eastwood è comunque qualcuno al quale piace rimettersi sempre in questione. Un piacere che condivide con quello di fare musica, ascoltarla o, ancora più difficile, renderla in immagini. Così lunga è stata la sua carriera dai tempi di Dirty Harry che quasi ci eravamo dimenticati di
Irresistibile Armando ai mondiali
La locandina del film.
uno dei più grandi omaggi del cinema al jazz al Charlie Parker di Bird (1988); al blues tradizionale nel documentario Piano Blues (2003, o ancora al country di Nashville in Honkytonk Man). E di come in ogni suo film la musica sia accarezzata con infinita sensibilità e sottile significato (ricordate il ballo con Meryl Streep in I ponti di Madison County?). Non meravigliamoci allora se, adattando una commedia musicale di
Broadway comprensiva di gran parte degli attori oltre che dell’autore delle partiture originali Bob Gaudio, Clint sembra infatuarsi improvvisamente di un gruppo degli anni Sessanta. Del quale tanti orecchiano ancora certe hit come Sherry, Big Girls Don’t Cry e Walk Like a Man; ma ben pochi ricordano il nome, The Four Seasons, spazzato nelle memorie dall’avvento dei Beatles e del pop-rock britannico. L’universo di Eastwood non è però quello dei biopic, delle biografie agiografiche e regolarmente accademiche. Certo, la sceneggiatura del film ripercorre il tragitto risaputo dell’artista proveniente dal fondo della classe sociale che giunge ad assaporare la voluttà della fama; prima di soffrirne l’usura, nella scalata al successo, nella riuscita della vita privata. Jersey Boys non è l’ennesima versione del Sogno americano, ma una di quelle confessioni, contenute nel pudore di un meraviglioso classicismo espressivo e permeato di humour e melanconia, che appartiene soltanto al suo autore. Sul filo della straordinaria voce in falsetto del capo gruppo Frankie Valli (il bravissimo John Lloyd Young) pare, all’inizio, di ritrovarsi dalle parti di Quei bravi ragazzi di Scorsese: meri-
to anche di Christopher Walken, che disegna un’irresistibile, tragicomica figura di Padrino, oltre che, come vedremo, d’insospettato ballerino. Ci accorgeremo che a sottolineare le alternanze agrodolci della storia, gli inevitabili litigi e malcelate gelosie, ricatti mafiosi e meschini intrighi, melodrammatiche scenate coniugali e droga, sesso e alcol, Eastwood non tiene più di tanto. Piuttosto, il tono di questa osservazione: sereno, pudico, deliziosamente sovrano e nemmeno nostalgico, nella raffinata e spassosa eleganza dei dialoghi. Nel delicato fulgore della sua ricreazione cromatica e scenografica ma proiettato in tempi di scampagnate al grotto, Jersey Boys rischia di apparire come un extraterrestre generazionale. Ultimo scampolo di un cinema sovrano che può anche permettersi qualche lunghezza e scompenso nella sceneggiatura, sarà ricordato non fosse che per la sua strepitosa sequenza finale: quando tutti i personaggi, importanti e minori del film si ritrovano in scena (improvvisata nel cortile di Clint agli studios della Warner) per un ballo finale. Un esplosivo happening ritmico e coreografico destinato alle antologie del genere.
Finora abbiamo seguito gran parte dei Mondiali brasiliani in maniera indiretta, attraverso la quota di intrattenimento offerta da Cafè do Brasil, il talk show del dopopartita condotto con passione da Enrico Carpani su RSI La2 (ore 23.10 nella prima fase, ore 21 nella seconda). Cafè do Brasil non è un programma per intenditori di calcio: è qualcosa di diverso, più vicino ai gusti del pubblico femminile, poco interessato ai dettagli, all’analisi tecnica. Ci sono ospiti sempre diversi, provenienti dal mondo dello sport, dello spettacolo, della tv. Vanno in onda servizi sulla realtà del Brasile all’insegna della curiosità (bravo Emiliano Bos per il ritratto del pescatore di Bahia). Recensiremo presto Cafè do Brasil. Come molte donne, anche noi siamo più propensi a cercare opportunità di consumo fuori dalle partite, a meno che non scenda in campo la Svizzera. Per ragioni di lavoro ci siamo persi la tripletta di Xherdan Shaqiri a Manaus, grazie alla quale la squadra di Ottmar Hitzfeld passa agli ottavi di finale contro l’Argentina. Ma in compenso abbiamo visto Svizzera-Francia da Salvador de Bahia, sempre su La2: cinque gol subiti e due soli segnati, una sconfitta pesante, una sensazione di smarrimento, in campo e fuori. Qui però si parla di tv, non di metrica e qualificazione. E da un punto di vista prettamente televisivo, l’incontro Svizzera-Francia è stato istruttivo e divertente (anche i numeri l’hanno premiato: ascolto medio di 77’000 spettatori, pari a uno share del 60,3%, superato solo dal match contro l’Honduras: 98’500 e 66,5%). Come sempre succede nel calcio, il racconto verbale conta più della forza delle immagini. Il commento tecnico era di Toni Esposito, la telecronaca di Armando Ceroni. Come telecronista Ceroni è strepitoso: poco tifo, molta tattica di gioco, qualche divagazione culinaria, brio a volontà, italiano in libertà. Sul taccuino abbiamo segnato alcune frasi: «Quando meno te l’aspetti può affiorare il patatrac», «La situazione è a rischio precipizio», «Ci siamo lasciati infilare come dei polli», «Pagheremo come un caravanserraglio di disperati», «La squadra era rigida come uno stoccafisso». Non ci siamo mai divertiti tanto come con Armando Ceroni. Le sue telecronache sono talmente adrenaliniche da farci dimenticare tutto il resto, comprese la sconfitta e la vittoria.
Armando Ceroni.
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Cultura e Spettacoli
ArteperArte, un incontro seducente al Centro S. Antonino Mostre L’artista ticinese Vittorio Dellea realizza i suoi collage anche grazie alle pagine di «Azione»
Giancarlo Tamagni* Il progetto ArteperArte, partito già nel 2004 – nato con il grande appoggio del Municipio di Giubiasco – continua nel suo incedere e si propone al pubblico con il suo sperimentato dinamismo. Sulla Piazza Grande di Giubiasco (ArteperArte ontheTerritory, fino a primavera 2015), lungo le stradine del nucleo di Pianezzo, nelle storiche adiacenze del convento Agostiniano di Monte Carasso, lungo gli allettanti vicoli di Vico Morcote (Vivere il nucleo, dal 4 maggio 2014 al 30 marzo 2015), nel superbo anfiteatro del Parco di Orselina (Dialoga, dal 30 maggio 2014 al 30 gennaio 2015), nella distensione del paesaggio alpestre di Mornera (Quattro passi con la luna, dal 13 luglio 2014 al 30 novembre 2014) e nella variegata struttura del Mercato Coperto di Giubiasco (ArteperArteFlash14, dal 23 ottobre 2014 al 16 novembre 2014), assaporeremo pitture, sculture, fotografie ed allestimenti proposti da artisti diversi. Si tratta di testimonianze di grande interesse, provenienti dalla Svizzera tedesca, dal Ticino e dalla vicina Italia, e oculatamente inserite nel contesto ticinese. Qualcuno torna sul nostro territorio con espressioni nuove e stimolanti; qualcun altro invece si propone per la prima volta al pubblico ticinese e vuole respirare le emozioni e le considerazioni traghettate dal Progetto intero. Si
vuole pertanto tonificare, con le opere esposte, le magie delle metamorfosi del nostro tempo, offrendo al visitatore una riflessione sull’opportunità di affidarsi alla speranza, rinvigorendo l’aspirazione a ricominciare un’altra volta il nostro personale itinerario. ArteperArte non si limiterà solo all’incontro in particolari oasi territoriali scelte, a partire da oggi 30 giugno propone infatti un’esposizione di Vittorio Dellea al Centro Migros S. Antonino visitabile fino al 12 luglio 2014 (ArteperArte ontheTerritory Incontra). Vittorio Dellea, nato a Mezzovico nel 1941, nel suo percorso di indagine personale pone l’accento sulla bellezza del recupero naturale delle cose, della natura, della gente e del territorio. Fermamente convinto della bontà delle umane percezioni emozionali e del sacrosanto dovere di continuamente riflettere sul proprio – e non solo – funzionamento interiore, vuole condurre il visitatore a prendere coscienza del proprio essere, del proprio vissuto, della vita in generale. Al Centro S. Antonino il visitatore avrà modo di confrontarsi con un modo di vedere diverso, distaccato dalla pura e semplice pubblicità, proiettato nel mondo della cultura e della meditazione. Percorrendo le tracce del suo trascorso espositivo – non da ultimo le presenze ad ArteperArte – ritroviamo
Opera di Vittorio Dellea realizzata con ritagli di «Azione».
tutta la ricerca e la sensibilità di Mimmo Rotella (italiano nato a Catanzaro nel 1918, scomparso nel 2006) e di Jacques Villeglé (francese nato a Quimper nel 1926). I loro strappi dai manifesti venivano ricomposti su tela. Dellea dal canto suo trasferisce in negativo o in positivo le impressioni trasmesse quotidianamente dalla stampa ai lettori. L’artista, residente a Camignolo, cat-
tura molti dei suoi spunti nelle pagine di «Azione». Ciò che il comune lettore assimila, anche rapidamente, è regalato al pubblico con trasparenze e con interpretazioni diversamente critiche proponendo il settimanale in una sua «seconda vita» artistica. Non semplici andirivieni veloci nel mondo di Vittorio Dellea, ma compartecipazioni concrete e temporane-
amente lunghe ed estese sul territorio ticinese. Il desiderio di comprendere pungola incessantemente a osservare e a scoprire. Insegna perfino a distinguere fra guardare e vedere: guardare è un sostare sulla superficie delle cose, vedere è andare oltre, al di là delle esteriorità entrando in relazione con l’altro, è motivazione e vigore. Con questo allungato scorcio di ArteperArte si vuole proprio raccontare in modo diverso l’opera d’arte, trascinando la gente in un dialogo tra chi crea e chi vede, tra l’artista che si racconta e che si propone al giudizio altrui con le sue passioni, i suoi sentimenti e le sue sensibilità e chi, come tutti noi, vaga nel percorso espositivo. Grazie al Progetto ArteperArte ed alle sue effusive iniziative, scopriremo un viaggio nelle culture artistiche dell’asse nord–sud e scorgeremo stimolanti e prolungate testimonianze sparse lungo alcune vie del patrimonio territoriale ticinese. Un progetto pertanto a largo respiro – gradito dal pubblico e ben sostenuto dalle Autorità comunali coinvolte, da alcuni Enti particolarmente attenti e sensibili e da Migros Ticino – che tocca e incide fortemente le memorie di noi tutti, per capire, attraverso questo presente, le prospettive e gli affetti del nostro territorio. * Direttore artistico Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Quando l’America scoprì le streghe Narrativa Shirley Jackson amava scrivere del male poiché adorava il lato oscuro delle cose; Adelphi ha recentemente
dato alle stampe il suo Lizzie, protagonista una donna dalla personalità multipla Mariarosa Mancuso La strega del New England ha colpito ancora. Merita le parole di sincera ammirazione che aprono L’incendiaria, il romanzo di Stephen King uscito nel 1980 (15 anni dopo la morte della scrittrice non ancora cinquantenne): «In ricordo di Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce». Tra i molti fan anche Dorothy Parker, che ne celebra «i brividi sommessi e progressivi», capaci però di far saltare i nervi. E certo Miss Parker, presenza fissa negli anni Venti ai tavoli dell’Algonquin Hotel di New York – il cenacolo era noto come «The Vicious Circle», il circolo vizioso – era una gran cinica: «I rasoi fanno male / i fiumi sono umidi / l’acido macchia / le droghe danno i crampi / le pistole sono illegali / i cappi cedono / il gas strapuzza… / Tanto vale vivere».
Chi crede che i racconti dell’orrore siano roba da adolescenti non ha capito Shirley Jackson La strega era occhialuta, con i capelli tenuti fermi dalle forcine. Viveva a North Bennington nel Vermont, oltre a scrivere badava ai quattro figli avuti dal critico letterario Stanley Edgar Hyman. Diceva: «siamo bravi a sfor-
nare libri e bambini, in abbondanza» (e taceva sulle anfetamine ingollate per sopportare i vicini di giorno, sui tranquillanti e l’alcool necessari per dormire la notte: la stessa fatale mistura che spedì Heath Ledger nel paradiso degli attori). Al marito dedica Lizzie, appena uscito da Adelphi. Nel 1957, il regista Hugo Haas ne aveva tratto un film con Eleanor Parker. Fu allora che gli spettatori, americani e non, scoprirono la sindrome psichiatrica nota con l’etichetta «personalità multipla». In anni più recenti, l’abbiamo ritrovata nella serie tv United States of Tara firmata da Diablo Cody, la sceneggiatrice di Juno. Volendo tentare un po’ di fisiognomica letteraria, la scrittrice che nel 1948 spaventò i lettori del «New Yorker» con un raccontino di poche pagine intitolato La lotteria somiglia in maniera impressionante a Joyce Carol Oates: i loro destini si sono incrociati nel volume della Library of America che ha fatto entrare Shirley Jackson tra i campioni della letteratura americana. Entrambe sono affascinate dal male – di che altro si dovrebbe interessare uno scrittore serio? Elizabeth Richmond – Lizzie, per gli abitanti della cittadina – ha 23 anni e lavora al museo. «Non aveva amici, né genitori, né conoscenti, e nessun progetto che non fosse sopportare l’ineludibile intervallo antecedente la sua dipartita stando il meno male possibile». Signorine solitarie che vivono con la zia ne abbiamo incontrate tante,
La locandina di Lizzie, uscito nel 1957.
nei romanzi. Ma la bravura di Shirley Jackson incanta il lettore già nelle prime righe. Quando le fondamenta del museo cominciano a cedere, e le collezioni si accasciano di conseguenza: «Il responsabile del dinosauro, in effetti, aveva descritto con molto spirito la disposizione quasi fetale assunta dalle auguste ossa a lui affidate». Si aprono le crepe nelle pareti del museo e si aprono le crepe nella mente dell’impiegata modello, che riceve lettere d’insulti senza firma: «sporchi pensieri lizzie, sporca lizzie». Anche
la zia, fino a quel momento interessata solo al cibo, comincia a sospettare che la nipote abbia un moroso da visitare nottetempo, unica spiegazione per certi rumorosi traffici notturni. Shirley Jackson – una certezza per chi la conosce, avendo già letto La lotteria o Abbiamo sempre vissuto nel castello o L’incubo di Hill House; una magnifica sorpresa per chi pensa che i racconti dell’orrore siano roba per ragazzini nell’età dei brufoli – trova sempre le parole e l’ironia giusta: «Non è dimostrato che il suo equilibrio perso-
nale venisse alterato dalla pendenza del pavimento, né si poté dimostrare che fosse stata lei a svellere il palazzo dalle fondamenta; è innegabile tuttavia che l’uno e l’altro cominciarono a smottare all’incirca nello stesso periodo» (complimenti alla traduttrice Laura Noulian per lo «smottare», oltre che per tutto il resto). Entra in scena il dottor Wright: «Non sono uno di quegli stucchevoli medici moderni, che hanno nomi di tutti i generi per il niente, e cure di tutti i tipi per mali che non esistono, e non sanno guardare un paziente negli occhi per la vergogna» (Lizzie uscì nel 1954, evidentemente già esistevano le intolleranze al glutine, la sindrome da iperattività e tutte le altre sciocchezze che hanno medicalizzato la nostra vita). Il poveretto usa l’ipnosi come cura, ma qualche volta l’alternarsi delle personalità – e del loro rapporto con la madre morta, oltre che con gli uomini e con il denaro, senza bisogno della pozione che tirava fuori il cattivo Hyde dal buon dottor Jeckyll – pare sconvolgere anche lui. 318 pagine, giuste per le vacanze. Se vi sembrano troppe e siete pigri, ripiegate su La lotteria. Sta nelle antologie del terrore, e comincia così: «Era una mattina limpida e assolata, con un bel caldo da piena estate; i fiori sbocciavano a profusione e l’erba era di un bel verde smagliante». Può succedere qualcosa di brutto, in un simile contesto? Certo che sì. Tanto brutto che molti lettori del «New Yorker» scrissero scandalizzati per disdire l’abbonamento. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Il prezzo dell’ignoranza Pubblicazioni Statistiche impietose collocano l’Italia nelle retrovie di tutte le classifiche sulla scuola, la formazione,
l’aggiornamento, le pratiche culturali Stefano Vassere «In termini relativi, nell’arco del ventennio che va dal 1992 a oggi, si è assistito a uno spostamento di consumi: mediamente la spesa delle famiglie è cresciuta del 20,3% ma la spesa per computer e accessori è aumentata di oltre il 300%, quella per telefonia di oltre il 360%, mentre la spesa per libri e giornali è diminuita del 20%, con un ripiegamento iniziato a partire dal 2004». Messi così, come nella rassegna
La copertina del libro di Giovanni Solimine sull’ignoranza in Italia.
impietosa che apre questo libro, i dati sulla formazione e sui consumi culturali dell’Italia contemporanea fanno certo paura, anche se non sorprendono. Quale prezzo debba pagare il Paese, quanto costi l’ignoranza sono interrogativi che questo Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia risolve con una serie di cifre, tabelle e classifiche: in pratica misurando l’ignoranza e le sue deleterie conseguenze. Sono dati che tracciano un quadro dove conoscenze e competenze latitano in modo preoccupante, tanto da disegnare un Paese «senza sapere», un Paese tanto gravemente sprovveduto da nemmeno intuire i pericoli di questa stessa situazione e correre in un qualche modo ai ripari. Giovanni Solimine è direttore della «Scuola di specializzazione in beni archivistici e librari» nell’Università di Roma La Sapienza, ed è un esperto di progettazione e conduzione delle biblioteche, cultura del libro, promozione della lettura; è stato presidente dell’«Associazione italiana biblioteche» e ha molte pubblicazioni, l’ultima, appunto, è questa. Qui l’autore «incrocia» implacabile tutta una serie di indagini statistiche su scuola, università, formazione per adulti, consumi culturali. Per dire, nell’istruzione e nella formazione «balzano immediatamente all’occhio tre indicatori per i quali l’Italia si ferma a un livello molto inferiore rispetto alla maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea: la quota di persone di
25-64 anni con almeno un diploma di scuola secondaria superiore, la quota di persone di 30-34 anni che hanno conseguito un titolo universitario e la quota delle persone in età lavorativa, comprese fra i 25 e i 64 anni, che hanno partecipato ad attività di istruzione e formazione nelle quattro settimane che hanno preceduto l’intervista». Ma desolazioni del genere si possono trarre anche negli altri settori di cui il libro rende conto. In più, ci sono i dati che riguardano atteggiamenti e percezioni del valore della formazione e del consumo culturale. È abbastanza grave, per esempio, il dato Eurostat riguardante il valore del titolo di studio: la laurea, in Italia, conta meno rispetto alla media dell’Unione Europea per trovare lavoro e conta poco più, nel Paese stesso, di una licenza media. Ancora, la percezione del valore di istruzione e successo scolastico per migliorare la propria vita sta ai minimi: non si investe più nella formazione perché non si crede più nel suo valore concreto. Come detto, i dati sono infiniti e si potrebbe continuare a lungo con l’elencazione di questo doloroso catalogo. Un libro che si incarichi di questo demoralizzante elenco ha il dovere, civile e metodologico, di azzardare se non soluzioni concrete almeno qualche condizione quadro per incoraggiarle. Così, per evitare gli scenari dell’Apocalisse («Per almeno un quarto di secolo abbiamo praticato il modello dello “svi-
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luppo senza conoscenza” e ora ci ritroviamo dove siamo, con l’ignoranza che ha preso il sopravvento»), l’autore azzarda qualche misura generale, o almeno qualche atteggiamento costruttivo: più scuola, banalmente, più università, tentativo di colmare le lacune degli adulti non formati, libri, biblioteche, aiuti vari. Ma anche il superamento del luogo comune secondo il quale con la cultura non si mangia, incentivi a una nuova mentalità che si decida a considerare la cultura come un bene e un valore, e la conoscenza come un investimento sicuro.
«Anche se queste interpretazioni sono ampiamente condivisibili, personalmente ritengo che i dati confermino che in Italia gli investimenti nella cultura sono ancora concepiti come spese che possiamo permetterci solo in epoca di vacche grasse e che dobbiamo affrettarci a cancellare nei momenti di difficoltà economica». Bibliografia
Giovanni Solimine, Senza sapere. Il costo dell’ignoranza in Italia, RomaBari, Editori Laterza, 2014. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
Un compositore che lasciò il segno Mostre A Basilea il Museo Kleines Klingental celebra il musicista svizzero Hans Huber Timoteo Morresi Nel nostro Paese si esegue raramente la musica di compositori svizzeri. Questo stato di cose è in parte dovuto al fatto che i principali centri sono molti e nessuno può vantare un incoraggiamento alla cultura paragonabile a quello di altre nazioni. Molti svizzeri, poi, sono scettici verso i «profeti nella propria patria». Eppure soprattutto nell’ambito svizzero tedesco non sono pochi i compositori che nel passato raggiunsero notorietà internazionale: dunque non solo i romandi Ernest Bloch, Arthur Honegger (attivo in Francia) e Frank Martin, ma anche Hermann Suter, Friedrich Hegar, Volkmar Andrae. Un’occasione per conoscere da vicino un capitolo importante di storia musicale svizzera ci è offerta dall’interessante mostra in corso al Museo Kleines Klingenthal di Basilea fino al 31 agosto, che ha per titolo: Hans Huber e la vita musicale basilese intorno al 1900. Definito nell’enciclopedia tedesca Die Musik in Geschichte und Gegenwart dal musicologo Edgar Refardt come «il compositore svizzero più significativo tra Otto e Novecento», Huber nacque nel 1852 a Eppenberg nel Canton Soletta e tra il 1870 e il 1874 studiò pianoforte e composizione con Carl Reinecke al Conservatorio di Lipsia. Dopo un breve soggiorno a Wesserling in Alsazia come insegnante di pianoforte, si stabilì nel 1877 a Basilea, dove rimase quarant’anni, segnandone come nessun altro la vita musicale.
Compositore, direttore, pianista, ebbe modo nella città sul Reno di conoscere e frequentare artisti, scienziati, politici e personalità dell’industria. Nel 1892 compose la musica per il Festspiel che commemorava il 400esimo anniversario dell’unione tra la Grande e la Piccola Basilea. Quattro anni dopo divenne direttore dell’Allgemeine Musikschule e nel 1905 fondò il Conservatorio. Nella sua classe di pianoforte ebbe come allievi Hermann Suter, Edwin Fischer, Hans Münch e Ernst Levy. Memorabili le due masterclass di pianoforte, nel 1910 e 1916, che Huber fece dirigere a Ferruccio Busoni. Hans Huber ebbe contatti con il Ticino: era infatti solito trascorrere i periodi di vacanza in alberghi a Locarno e a Villa Ginia a Minusio. Entrò nella cerchia di amici del pittore locarnese Filippo Franzoni (1857-1911) e nel 1920 dedicò una delle sue messe, la Missa festiva in honorem Beatae Mariae Virginis per coro maschile a tre voci e organo, al Santuario della Madonna del Sasso, dove spesso si recava in preghiera. Morì a Locarno il giorno di Natale del 1921. Delle sue otto Sinfonie e dei suoi Concerti per pianoforte n. 1 e 3 esiste un’incisione completa con la Filarmonica di Stoccarda per la casa discografica svedese Sterling. Anche le Sonate per violino e pianoforte sono state registrate su CD. Vi si riconoscono influssi dei compositori romantici e tardo romantici tedeschi (Mendelssohn, Schumann, Liszt, Wagner, Brahms e Richard Strauss), rielaborati in uno
stile proprio e a tratti inconfondibile. L’ampio e diversificato catalogo delle sue composizioni rimane tuttavia per la gran parte ancora da riesplorare e comprende musica vocale (messe, oratori e cantate, Lieder), opere per il teatro, musica strumentale (sinfonie, concerti, musica da camera, musica per pianoforte o per due pianoforti, per organo). In margine alla mostra, sempre a Basilea, è stato organizzato un ciclo di concerti e lo scorso 17 marzo ha avuto luogo un convegno a lui dedicato. Allo scopo di promuovere l’esecuzione di opere di Huber sconosciute, favorire il dibattito con i compositori e sostenere nuove edizioni, il 13 marzo 2012 è stata fondata la Hans Huber-Gesellschaft con sede a Basilea. Tra gli obiettivi l’edizione di una nuova monografia, poiché quelle di Gian Bundi e Edgar Refardt sono ormai datate (risalgono rispettivamente al 1925 e 1944). Un auspicio che facciamo nostro, per collocare nella giusta prospettiva storica, evitando ogni inutile e facile sciovinismo, una figura tutt’altro che secondaria nel panorama culturale e musicale svizzero. Dove e quando
Hans Huber und das Basler Musikleben um 1900. Museum Kleines Klingental (Unterer Rheinweg 26, 4058 Basel), www.mkk.ch. Fino al 31 agosto 2014. Orari: me e sa ore 14.0017.00, do 10.00-17.00; lu, ma, gio e ve chiuso. Il compositore svizzero (1852-1921) sul manifesto della mostra. Annuncio pubblicitario
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Cultura e Spettacoli
The Who, nel segno dell’immortalità
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Musica Dolori di un giovane mod:
con la celebrazione dal vivo di Quadrophenia, gli Who riappaiono nei negozi
Se esiste al mondo una frase fatta che possa essere applicata con implacabile efficacia al mondo della musica rock, è senz’altro quella secondo la quale saper invecchiare con classe costituisce una vera e propria arte – concetto che, in effetti, si adatta alla perfezione a una rock band odierna, soprattutto se giunta al successo mondiale nel lontano 1965 con un brano (My Generation) contenente la celeberrima frase «spero di morire prima di diventare vecchio». E chissà come si sente oggi Roger Daltrey, lo sfavillante frontman della band inglese degli Who (nonché uno dei due sopravvissuti dei quattro membri originali della formazione), nel cantare quegli stessi versi a ben quarant’anni di distanza, nei panni di uno «splendido settantenne» ben lontano dall’andare in pensione! D’altronde, indipendentemente da come la si pensi sulla cosiddetta British Invasion che monopolizzò le classifiche rock internazionali nei primi anni ’60, è innegabile che gli Who restino tuttora una delle realtà più sorprendenti e fresche nel panorama della musica vintage: in grado di rivaleggiare, per vitalità e potenza live, con qualsiasi band di ventenni che si trovi oggi a calcare il palco. Perché il vulcanico chitarrista e compositore Pete Townshend e il cantante Roger Daltrey (ora accompagnati da abili session men professionisti a fungere da band) sono da tempo impegnati in una costante e mirabolante reinvenzione del loro repertorio e della loro arte – un processo che, tra il 2012 e il 2013, ha portato gli Who a imbarcarsi in un’impresa per molti versi temeraria: un intero tour incentrato sull’esecuzione dal vivo dell’immortale opera rock Quadrophenia, amaro racconto della struggente odissea personale di un giovane e infelice mod inglese, ora giunta al quarantesimo anniversario della pubblicazione. L’ambiziosa tournée, eloquentemente battezzata Quadrophenia and More Tour, è culminata nella serata di chiusura (8 luglio 2013) alla Wembley Arena di Londra: un’occasione ora immortalata nel nuovo Quadrophenia Live in London, succoso album doppio che contiene la registrazione integrale dello show. Inutile dire che, come tutti i dischi dal vivo pubblicati dagli Who nell’arco degli ultimi quindici anni, anche questa nuova testimonianza live costituisce un’impeccabile lezione di professionalità per ogni giovane performer che desideri imparare la difficile arte di dare sempre il massimo al proprio pubblico, senza mai mostra-
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re la minima stanchezza o esitazione: l’esplosione di pura energia rock che Roger e Pete sono ancora in grado di scatenare sul palco lascia sbigottiti – e, combinata alla profondità interpretativa e alla maggiore introspezione portate dall’età, rende ogni exploit di questi due «grandi vecchi» un evento. Ciò si riflette anche nella struttura della setlist, esempio del format che gli Who hanno più volte impiegato in simili progetti: si inizia quindi con la riproposizione per intero dell’album Quadrophenia, eseguito dalla prima all’ultima traccia secondo arrangiamenti fedeli all’originale, eppure, allo stesso tempo, adattati alle attuali esigenze della formazione. E poiché il secondo cd dell’album conferma una volta di più come ogni concerto degli Who costituisca un tour de force di almeno due ore, ecco sfilare poi la consueta carrellata di successi che costituisce la seconda parte dello show: scelte «obbligate» quali gli inni rock Baba O’Riley e Love Reign O’er Me o il catartico Won’t Get Fooled Again si affiancano così a più recenti evergreen del calibro di You Better You Bet e Who Are You, accolti con il dovuto entusiasmo da un pubblico riverente, fino ad arrivare al finale travolgente offerto da un brano meno noto quale Tea and Theatre, tratto dall’ultimo album in studio della band (Endless Wire, 2006). Certo, qualcuno potrà obiettare che, anche stavolta, non vi è nulla di nuovo sotto il sole: che gli Who stanno semplicemente rivivendo la loro stessa leggenda, e riproponendo ai soliti nostalgici il repertorio che li ha resi celebri. Eppure, il fatto che una simile operazione possa risultare tanto ben riuscita non è da dare per scontato, e costituisce a tutti gli effetti un altro, grande successo della band – comparabile perfino ai trionfi degli anni d’oro, quando album come Tommy (1969) e Who’s Next (1971) resero gli Who immortali. In fondo, a tutt’oggi il vero e più profondo significato di un’opera come Quadrophenia sta nel fatto di rappresentare un’icona culturale, un’istantanea fedele e arguta di un momento chiave nella storia britannica e, più in generale, occidentale: quei primi anni 60 in cui, per un ragazzino inglese, tutto sembrava possibile, compresa la fuga da un mondo divenuto d’un tratto troppo stretto. Di come la fine di quel sogno sia stata particolarmente dura da accettare – e lo rimanga ancor oggi per chi, come gli Who, era all’epoca abbastanza adulto da viverla consapevolmente – costituisce infine il messaggio più importante e cruciale di quest’opera, nonché il senso della sua odierna celebrazione.
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Cultura e Spettacoli
Lo swing, eredità da tramandare JazzAscona Intervista a David. F. Gibson, batterista della Duke Ellington Orchestra Alessandro Zanoli Il jazz una forma di musica classica? Ce lo conferma senza ombra di dubbio JazzAscona. Nell’edizione del festival che si è chiusa ieri, le occasioni per constatare la «classicizzazione» del repertorio nero-americano sono state perlomeno due. Da un lato la celebrazione amstronghiana, che ha visto sul palco della tenda Torre cinque eccezionali trombettisti riproporre brani dal repertorio del più grande jazzman di tutti i tempi. Dall’altro, la presenza di una istituzione del jazz, la Duke Ellington Orchestra, nella sua ultima reincarnazione. Ellington, di fatto, è stato il primo e più solido anello di congiunzione tra la musica colta dei bianchi e l’espressività blues dei neri americani. L’orchestra che ancora oggi ne ripropone il repertorio è diretta da Tommy James, un pianista che collabora con la band dal 1987 e che fu all’epoca scritturato dal figlio di Duke, Mercer. La missione della D.E.O. è riprodurre con precisione filologica il sofisticato sound della più ambiziosa macchina da swing mai messa in esercizio. Muniti delle sordine d’ordinanza, gli ottoni si producono nei ruggiti, nei glissati e nei wha-wha che sono la dichiarazione di origine controllata del repertorio. Alle loro spalle, la pulsazione ritmica fondamentale è fornita da un eccezionale batterista, David Gibson. Definito «il più grande batterista da big band al mondo», Gibson vanta in effetti un curriculum unico. È stato nella Count Basie Band, quella che ha girato il mondo sotto la direzione del grande Frank
Foster. Oggi, oltre a esibirsi sotto le insegne della banda antagonista (Basie e Ellington per anni si sono giocati con ardore la nomina a migliore orchestra d’America), è membro anche della rinata orchestra di Cab Calloway. Se gli si chiede di parlare della sua esperienza di musicista «moderno» in un contesto in fondo così preordinato, così classico, ha una sorta di moto d’orgoglio che lo fa sporgere in avanti, verso l’interlocutore: «Lasci che le dica una cosa: ci sono solo due orchestre in America, i cui leader sono ormai scomparsi da tempo. Due band che girano per il mondo, suonando nei migliori jazz festival, nei migliori jazz club, e io suono con entrambe: la Count Basie Orchestra e la Duke Ellington Orchestra. E adesso parliamo della loro musica: la musica che suonano è incredibile. Le sto parlando della musica scritta in America, da musicisti neri, che, lo sappiamo, portano le stimmate di una situazione sociale condizionata da contenuti razziali. Ebbene, nonostante tutto questo, le due band stanno ancora viaggiando per il mondo. Ciò significa che questa musica è forte. E sa perché? Perché è impressa fortemente in tutti noi...». Gibson insiste sul valore di universalità insito nel jazz orchestrale di questi due grandi autori. E come musicista coinvolto nella riproduzione di questa eredità artistica, sente il peso della responsabilità. «Lo sento, perché si tratta di musica eccezionale. Nell’intimo degli esseri umani la sensibilità verso questa musica non cambia con le epoche. Anche i giovani che vengono ad ascoltarci, ancora oggi, nel 2014,
È il maggiore esperto nell’accompagnamento delle big band. (jazzascona.ch)
ne sono rapiti. Questa musica tocca le nostre anime: non fa differenza che sia suonata nel 2014 o negli anni ’70. Sa toccare l’anima. È una musica senza tempo... perché possiede lo swing». La scaletta di ognuna delle numerose serate dell’orchestra è scelta dal suo direttore musicale, Tommy James. «Ogni sera suoniamo un programma lievemente diverso» dice Gibson. «Ci capita di eseguire a volte anche degli estratti dalle grandi suite composte da Ellington. Sono delle partiture molto difficili e difficilmente ci viene chiesto di proporle per intero. Abbiamo fatto dei passaggi da Such a Sweet Thunder, la suite shakespeariana; facciamo Isfahan, dalla Far East Suite. Il punto è che possiamo suonare anche la Black and Tan Fantasy. Ma la gente vuole sentire
Take the A Train suonato dal gruppo originale...». Una delle caratteristiche della formazione ellingtoniana era il desiderio del suo direttore che i musicisti si sentissero a loro agio, uniti come in una grande famiglia. E oggi? «Siamo uniti, direi di sì» commenta il batterista «anche se non direi che tutti i musicisti fossero così legati, nell’orchestra di Duke (ride). Lui suonava il pianoforte e oltre a questo la band stessa era il suo strumento. Diciamo che il suo gruppo era costituito da individui indipendenti, che riconoscevano il genio del loro direttore d’orchestra, che rispettavano la sua musica». Tornando a parlare del senso di una riproposizione letterale del repertorio ellingtoniano nell’epoca moderna
non è possibile ignorare l’apporto degli eccezionali musicisti che facevano parte dell’orchestra. «Duke scriveva il suo repertorio in funzione dei suoi solisti e noi dobbiamo considerarlo». Questa filiazione è evidente in particolare nella sezione delle trombe, così importante nello stile jungle, creato da Ellington. Ma anche la batteria ha un ruolo essenziale: tra tutti i drummer di Ellington, Gibson ha ben presente l’esempio di Sonny Greer. «Anche se Sam Woodyard è il mio preferito, specialmente per il modo in cui usava la grancassa. Aveva un grande senso del ritmo, a volte cerco di suonare come lui». Del resto, il desiderio di riprodurre filologicamente quel sound speciale richiede una precisa ricostruzione timbrica. «La sezione dei sassofoni, quella delle trombe e quella dei tromboni cercano di riprendere lo spirito dei musicisti che hanno reso grande questa musica, di adottare quello stile, in nome del risultato finale». A Gibson piacerebbe a volte poter introdurre qualche innovazione. «Ma non è il nostro compito. Devo dare al gruppo quello che quei grandi strumentisti hanno portato. Per prepararti a questo lavoro devi ascoltare bene tutti i loro dischi, ed essere pronto a fare quello che hanno fatto loro». Questo è quel che succede nella musica classica. In collaborazione con
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Idee e acquisti per la settimana
shopping L’adesivo dei «Nostrani» porta fortuna Attualità Il concorso pubblicizzato a inizio giugno dal nostro giornale ha assegnato il montepremi di 4500 franchi
I vincitori si sono aggiudicati ognuno una carta regalo Migros del valore di 500 franchi.
Su Azione del 19 e 26 maggio, rispettivamente del 2 giugno, avevamo pubblicato la pubblicità che invitava tutti i soci di Migros Ticino e non, ad attaccare entro lo scorso 7 giugno l’adesivo «I love TI Nostrani del Ticino» sul retro della propria autovettura. Dopo giorni di «caccia fotografica», fra le centinaia di autovetture munite di questo adesivo fotografate nella
nostra regione, si è proceduto all’estrazione dei 9 fortunati vincitori che si sono aggiudicati ognuno una preziosa carta regalo Migros del valore di 500 franchi. La dea bendata ha premiato: Gianfranco Vigne di Muzzano, Giuseppina Imberti di Chiasso, Marco Migliori di Bellinzona, Cristina Castellani di Avegno, Claudio Stirnimann di Biasca, Daniela Tami
di Mugena, Daniella Clerici di Claro, Ezia Mandò Romagnani di Locarno e Arno Minotti di Bellinzona. Questo adesivo rappresenta un segno concreto di attaccamento alla nostra regione e può essere richiesto, fino ad esaurimento delle scorte, in tutti i supermercati di Migros Ticino. Esso sottolinea il legame con il territorio e con le sue tipicità gastronomiche; I
Nostrani del Ticino sono la riscoperta dei sapori locali e provengono esclusivamente da aziende ticinesi che ne garantiscono la qualità, la freschezza e la genuinità. Privilegiare questi prodotti, significa anche sostenere agricoltori, allevatori e produttori alimentari della nostra regione. Dal prossimo 8 luglio sarà proposta in tutti i supermercati di Migros Ticino
la rassegna estiva che vedrà in prima fila oltre 300 prodotti che costituiscono la linea dei «Nostrani del Ticino». L’accento sarà dato alle specialità stagionali del settore orticolo, in particolare all’ampia offerta di succulenti pomodori. Sulle prossime edizioni vi presenteremo tutta una serie di gustose idee per i vostri menu estivi a «chilometro zero».
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Idee e acquisti per la settimana
Varietà, qualità, freschezza e… rapidità Attualità Il De Gustibus di Migros Lugano-Città offre molto di più che solo panini e pizza da asporto.
Intervista a Alan Bertani, gerente di questo punto di ristoro
Alan Bertani, gerente del De Gustibus di Lugano, vi invita a gustare le variegate e freschissime proposte giornaliere. (Flavia Leuenberger)
Signor Bertani, chi frequenta il De Gustibus Lugano e cosa apprezza qui?
La clientela è molto variegata, si va dallo studente agli impiegati, dagli operai ai turisti, senza dimenticare
gli anziani che acquistano volentieri dei piatti freschi e genuini solo da riscaldare a casa. Sicuramente i clienti apprezzano in primis l’ampia varietà di proposte gastronomiche, tutte preparate freschissime ogni giorno dai nostri cuochi, come pure la velocità del servizio e, non da ultimo, l’ottimo rapporto qualità-prezzo. Quanto è ampia la scelta del De Gustibus Lugano?
Molto ampia, sia per quanto riguarda i piatti freddi sia per quelli caldi. Inoltre il cliente può essere certo di trovare sempre pietanze fresche prodotte in giornata. Ogni giorno la gamma comprende due paste, due carni, un pesce e relativi contorni caldi; variopinte insalate di verdure, di gamberetti, tonno, frutti di mare; le proposte stagionali attuali quali roast-beef, vitello tonnato, salmone, prosciutto con melone,
insalata di cous-cous, caprese fino naturalmente ai panini in una ventina di tipologie e alle pizze, sia a tranci che in formato famiglia, con quindici farciture differenti. Non possono nemmeno mancare la frutta fresca già porzionata pronta da gustare, le spremute e gli smoothies appena fatti nonché vari dessert, pane e piccola panetteria/pasticceria e caffè da portar via. C’è la possibilità di richiedere menu
personalizzati?
Certamente. Siamo in grado di soddisfare molte richieste particolari, previo preavviso. Qualche esempio? Si può richiedere della pasta senza glutine se si è affetti da celiachia; pasta integrale anziché normale; un risotto ai gamberetti e zucchine; del coniglio arrosto con patate al forno oppure ancora un piatto totalmente vegano o una pizza speciale.
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Idee e acquisti per la settimana
La settimana degli spiedini Attualità Dopo il successo riscontrato con la rassegna sugli hamburger di qualche settimana fa, ora i nostri specialisti
dei banchi macelleria vi propongono gli spiedini in tante varianti
Siete amanti degli spiedini di carne ma non sapete da dove iniziare? Non preoccupatevi, le macellerie di Migros Ticino questa settimana vi propongono una scelta senza eguali di appetitosi spiedini di carne, preparati freschissimi giornalmente con l’impiego di carni magre selezionate. Dagli spiedini zigani a quelli di manzo già marinati, passando per gli spiedini di filetto di maiale a quelli misti giganti di maialemanzo fino alla variante alla carne d’agnello oppure ancora a quella di carne tritata speziata conosciuta sotto il nome di «Cevapcici», non c’è proprio pericolo che il palato si annoi. Oltre a soddisfare pienamente i gusti e i desideri di tutti i carnivori, gli spiedini
sono inoltre ideali per essere cotti sul grill in occasione di una bella grigliata all’aperto, giacché non richiedono troppo tempo per la loro preparazione. Alcuni consigli per ottenere un buon risultato con la griglia: gli spiedini riescono bene e senza problemi anche su grill semplici. Conditeli con una miscela di spezie, sale, pepe e olio solo prima di grigliarli; oppure fateli marinare in una marinata fatta in casa, in frigo, per almeno un’ora o più a lungo. Grigliate gli spiedini brevemente a fuoco vivo, spostandoli quindi ai bordi della griglia e terminando la cottura a fuoco medio. Non girateli troppo presto o spesso per far sì che si formi una bella invitante crosticina in superficie.
Alberto Lucca, capo macellaio alla Migros di Serfontana, con una selezione di spiedini misti ottenibili questa settimana nella vostra macelleria Migros. (Flavia Leuenberger)
Novità: carne di struzzo Per la gioia di tutti i buongustai, da subito nei maggiori supermercati Migros Ticino trovate a libero servizio il filetto e le bistecche di struzzo. Quella di struzzo è una carne rossa particolarmente saporita e tenera, povera di grassi e colesterolo, simile nel colore e nel gusto a quella di manzo. È inoltre ricca di proteine, ferro e vitamine. È ideale per la preparazione di appetitosi piatti leggeri, che richiedono tempi di cottura molto brevi, sia in padella che sul grill.
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Idee e acquisti per la settimana
Il Prosciutto San Daniele San Daniele, oltre che essere una località e un colle morenico situato a pochi km dalle prime alture delle Prealpi, nel cuore del Friuli-Venezia Giulia, è anche un prosciutto crudo stagionato, ottenuto dalla coscia di suini «pesanti italiani» macellati in età avanzata. Questa specialità indissolubilmente legata al suo luogo d’origine, da cui prende appunto il nome, è riconoscibile dalla peculiare forma a chitarra dovuta alla conservazione del piede
del suino, detta «zampino». Il salume di 8-10 kg si presenta con un colore rosso-rosato nella parte magra e perfettamente bianco in quella grassa, il suo sapore è dolce e delicato, dal profumo intenso ed invitante con un inconfondibile retrogusto. La coscia del suino, a cui viene aggiunto solo sale marino, è sottoposta a ben sette fasi di lavorazione, la cui durata totale va mediamente dai 12 ai 13 mesi, dei quali almeno 8 di stagionatura.
Prosciutto San Daniele 100 g Fr. 8.30 In vendita in tutti i supermercati di Migros Ticino.
Contorni in agrodolce
I contorni Peperlizia Ponti rappresentano l’alleato perfetto per le vostre ricette dell’estate. Che si tratti di accompagnare una grigliata mista o un piatto di affettati o formaggi misti, di arricchire una fresca insalata di riso o di pasta… con i contorni in agrodolce Peperlizia farete sempre centro. Realizzata con ingredienti accuratamente
Crema di pistacchio siciliano
selezionati secondo le più classiche ricette della tradizione italiana, la scelta Peperlizia a Migros Ticino annovera «Carciofi», «Cipollette», «Ortoghiotto», «Verdure», «Carcioghiotto», «Cipolline» e «Peperoni». A proposito: questa settimana alla Migros tutto l’assortimento Peperlizia è offerto ad un prezzo particolarmente vantaggioso.
La Migros richiama i gilet salvagente per bambini del marchio Speedo
Crema di pistacchio Cioccolove 190 g Fr. 6.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Il pistacchio di Bronte è noto in tutto il mondo per il suo caratteristico profumo e colore. Scoprite anche voi il sapore di questo prodotto unico, per esempio gustando la crema a base di pistacchio Cioccolove. Questo aromatico prodotto artigianale pronto da spalmare si apprezza da solo, a colazione su una fetta di pane o una fetta biscottata, oppure ancora può essere utilizzato nella preparazione di torte, dolci, crêpes e sfiziosi dessert.
Per ragioni di sicurezza, il marchio Speedo richiama i gilet salvagente per bambini denominati «Speedo Sea Squad Float Vest», che erano disponibili anche da SportXX e in alcune filiali Migros maggiori. Speedo, il produttore dei gilet salvagente per bambini, ha riscontrato un problema nella produzione dei gilet Sea Squad Float. L’errore di produzione potrebbe pregiudicare la spinta di galleggiamento del prodotto o l’equilibrio del bambino in acqua. Per ragioni di sicurezza, Speedo richiama questi gilet salvagente e invita i clienti a non utilizzarli più. I gilet salvagente erano in vendita anche da SportXX/Migros tra gennaio e giugno 2014 nei colori pink e blu, nelle taglie S (età 1-2 anni), M (2-4 anni) e L (4-6 anni) (n. art. 4910.726). Se i gilet salvagente sono stati acquistati presso SportXX o alla Migros è possibile riportarli al punto vendita e ottenere il rimborso della spesa.
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Idee e acquisti per la settimana
Pesche dalle mille virtù Attualità Molto dissetanti e dalle molteplici virtù salutari, pesche e pesche noci abbondano ora nei negozi Migros
La pesca rotonda e carnosa, dalla polpa bianca, gialla o rossa, dolcissima e profumata, così come la sua cugina pesca noce, nocepesca o nettarina, dalla buccia liscia e il cui albero è più piccolo, per molto tempo si pensava provenisse dall’antica Persia, a causa del suo nome latino «persicum», cioè frutto persiano. Oggi è invece chiaro che la pesca è originaria dell’ovest della Cina dove è considerata simbolo d’immortalità: le sue tracce storiche ci rimandano addirittura al II° secolo avanti Cristo. La Grecia e l’Italia pare siano stati i primi paesi europei a coltivarla. Si diffuse poi in tutto il bacino mediterraneo grazie ad Alessandro Magno nel corso del I° secolo dopo Cristo e soprattutto nella Francia medievale. Questi frutti, più sono sodi al tatto e brillanti alla vista, meglio è! Sono numerose le loro virtù: molto dissetanti, dai mille impieghi (sciroppi, liquori, marmellate,
cosmetica, ecc.), ricchi di vitamine A e C, hanno un potere rivitalizzante, depurativo, stimolante per i reni e l’intestino, ben tollerabili per lo stomaco, privi di glutine e veri toccasana contro reumatismi e artrite. Ecco infine alcune gustose curiosità sulle pesche. Secondo la mitologia dell’Egitto sono legate all’infanzia, perché rappresentavano il figlio di Iside e Osiride. Forse per questo ancora oggi paragoniamo le guance dei bambini alle pesche per la loro morbidezza e carnosità. Nella simbologia cristiana sono la salvezza: è sotto un pesco che Gesù si rifugiò durante la fuga in Egitto. Secondo una credenza popolare basterebbe appoggiarsi di notte ad un pesco in fiore per farci passare la febbre, mentre in Oriente si pensa che, sia il frutto sia il legno di pesco, proteggano case e famiglie dai fantasmi e dai pericoli. Sarà vero? Provare per credere. / Marco Jeitziner
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Il barometro dei prezzi Informazioni sui cambiamento di prezzo attuali A partire dal 1° luglio, la Migros riduce di ben l’11 percento i prezzi di tutti i docciaschiuma Axe, nonché in media di oltre l’8% quelli di più di 60 deodoranti Nivea, Axe, Rexona e di altre marche (vedi pag. 14). Diventeranno inoltre più convenienti anche diversi prodotti M-Budget, tra cui il tanto apprezzato energy drink Pomegranate, nonché le capsule di caffè Boncampo e i cereali
Alcuni esempi:
Giornate stressanti? Le Edis Ready’s compresse di zucchero d’uva sostengono il sistema nervoso e possono contribuire ad affrontare le situazioni in modo più equilibrato e rilassato. Contengono una miscela selezionata di fiori di Bach bio svizzeri e molta vitamina C. La purea naturale di cassis conferisce alle compresse un delizioso sapore rinfrescante.
Choco Puffs (vedi tabella). Aumenterà invece il prezzo del cioccolato; questo in seguito al forte incremento dei prezzi quotati in borsa per le materie prime, quali il cacao e il burro di cacao. Tale aumento è dovuto al previsto raccolto ridotto dei chicchi di cacao, nonché alla domanda elevata a breve termine di chicchi e burro di cacao da parte dell’industria.
Prezzo vecchio in Fr.
M-Budget Pizza Margherita, 2 x 320 g, surgelata M-Budget Energy Drink Pomegranate, 250 ml Boncampo Classico capsule, 30 capsule Choco Puffs, 750 g M-Budget Grana Padano, per 100 g Frey Mahony Noir, 100 g KISSS Party Noir, 20 x 23 g Frey Reves d’Or, 118 g Frey Truffes assortite, 230 g Frey tavoletta Noxana, 400 g
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Idee e acquisti per la settimana
It’s Party Time Il 4 luglio gli americani festeggiano il giorno dell’indipendenza. In Svizzera possiamo celebrare con loro scegliendo e gustando gli American Favorites. Let’s have Food and Fun!
Da 238 anni, il 4 luglio, gli americani festeggiano il loro Independence Day. Nel 1776, proprio in questa data, 13 Stati firmarono la dichiarazione d’indipendenza. Fino ad allora sottostavano alla corona britannica in qualità di Colonie e i loro cittadini dovevano pagare fior di tasse al Regno Unito. Ma partiti dall’Europa per vivere senza legami in una nazione libera, gli abitanti del nuovo continente non erano più disposti ad accettare una tale imposizione. Seguì quindi un’aspra guerra contro la potenza coloniale che terminò nel 1783 con il riconoscimento dell’indipendenza e la formazione degli Stati Uniti d’America. Gli americani festeggiano con la loro famiglia e i loro amici
Da allora i cittadini degli Stati Uniti celebrano questa data storica con festeggiamenti di ogni genere. Generalmente trascorrono la giornata con i propri famigliari e invitano gli amici per un picnic o una classica grigliata. Brenda Sutter (46), texana d’origine, vive da 15 anni a Untersiggenthal, nel canton Argovia, e come da tradizione prepara i piatti tipici per viziare i suoi amici americani. La Migros è pronta a darle una mano anche per l’occasione. È infatti l’unico commerciante al dettaglio a proporre una linea tanto completa di prodotti caratteristici, buoni proprio come i loro originali americani; gli American Favorites. L’assortimento comprende 33 articoli distribuiti tra i diversi reparti alimentari, dalla panetteria, al convenience food, fino ai lattici-
li americani Suggerimento: gbanana-toast; amano i peanut-del burro di basta spalmare fette di pane per arachidi su due re con delle fette toast e completaa confettura. di banana e dell
ni. Perfetti tra le proprie quattro mura, ma ideali anche in viaggio, sono particolarmente benvenuti in estate. Ad ognuno il suo. Ci sono i classici bun al sesamo pretagliati, pronti ad accogliere la farcitura preferita, come ad esempio un delizioso hamburger. Per soddisfare nella pausa pranzo tutta la voglia di freschezza della bella stagione, arrivano poi le salad bowl, preparate secondo una ricetta americana, che contengono anche una porzione di salsa Caesar, tovagliolo e posate. E per la grande fame, il clubsandwich con tanto di uovo al tegamino, prosciutto, salsa tartara e pancetta rosolata è assolutamente insuperabile. Per preparare il tanto apprezzato peanut-banana-toast, Brenda Sutter ricorre al pane per toast XL (vedi suggerimento sulla pagina accanto). Per il dessert, poi, non ha che l’imbarazzo della scelta. I bambini si servono direttamente dal frigorifero e si gustano un imbattibile milkshake alla fragola, mentre gli altri commensali vanno sui mini banana bread, un matrimonio dei classici sapori cioccolato e banana, sui tradizionali cookies di friabile pasta chiara arricchita di pepite di cioccolato oppure sui golosissimi chocolate muffin per addolcire il momento. Per gli uni gli American Favorites hanno il gusto delle vacanze, per gli altri quello di casa; comunque sia, con loro il 4 luglio si festeggia in Svizzera proprio come negli Stati Uniti. / Anette Wolffram Eugster; illustrazioni Jorma Müller; styling Mira Gisler
L’americana Brenda Sutter(sulla sinistra, seduta al tavolo) festeggia in famiglia con gli amici. A New York si celebra la festa nazionale con un maestoso spettacolo pirotecnico (sopra).
Club Sandwich* 360 g Fr. 7.80 American XL-Toast 730 g Fr. 2.90
Bun al sesamo 6 pezzi Fr. 2.30
Cookie* 76 g Fr. 1.80
Chocolate Muffin* 100 g Fr. 2.–
Mini Banana Bread* 90 g Fr. 2.20
Milkshake alla fragola* 210 ml Fr. 1.75
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Cervelas in conf. da 5, TerraSuisse, 5 x 2 pezzi, 1 kg 6.50 invece di 13.– 50% Tutti i prodotti di salumeria Citterio, a libero servizio, per es. salame Milano, maxi vaschetta, Italia, per 100 g 4.– invece di 5.– 20% Bistecca di lonza di maiale speziata, bio, Svizzera, per 100 g 3.25 invece di 4.70 30% Fettine di pollo Optigal, Svizzera, 2 pezzi, per 100 g 2.70 invece di 3.30 Arrosto di vitello cotto, Svizzera, affettato in vaschetta, per 100 g 3.40 invece di 4.25 20% Luganighetta, Svizzera, imballata, per 100 g 1.20 invece di 2.– 40% Salametti a pasta grossa, prodotti in Ticino, in conf. da 2 pezzi, per 100 g 2.65 invece di 3.85 30% Fettine fesa di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballate, per 100 g 4.60 invece di 6.60 30% Sminuzzato di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 3.80 invece di 4.80 20% *In vendita nelle maggiori filiali Migros.
PANE E LATTICINI Tutti i tipi di crème fraîche, per es. al naturale, 200 g 2.10 invece di 2.65 20% Birchermüesli (prodotti «Dalla regione.» esclusi), per es. classico, 200 g 1.75 NOVITÀ *,** 20x Tutti gli yogurt bio (esclusi yogurt di latte di pecora), per es. al moca, Fairtrade, 180 g –.60 invece di –.75 20% Grana Padano, per es. al pezzo, per 100 g 1.60 invece di 2.05 20% Tutte le mozzarelle Alfredo, per es. bocconcini di mozzarella, 150 g 1.20 invece di 1.50 20% Tutti i pani bio, per es. corona del sole, 360 g 2.05 invece di 2.60 20% Tutto l’assortimento American Favorites, per es. buns al sesamo, 300 g 1.80 invece di 2.30 20% Formaggella ticinese 1/4 grassa, a libero servizio, per 100 g 1.35 invece di 1.95 30%
FIORI E PIANTE Bouquet di girasoli Fiona, il mazzo 12.90 Girasoli, in vaso da 19 cm, la pianta 7.80
ALTRI ALIMENTI Diversi articoli di cioccolato Kinder Ferrero in confezioni grandi e multiple (esclusi latticini del reparto refrigerato), per es. barrette Kinder, 18 pezzi 4.40 invece di 4.65 Tutto l’assortimento Frey Swiss Chocolate, UTZ, per es. cioccolatini, 300 g 5.75 invece di 7.20 20% Tavolette di cioccolato Frey Noxana al latte in conf. da 8, 8 x 100 g 10.– invece di 14.40 30% Tutte le tavolette di cioccolato o i branches Migros bio, Fairtrade, per es. tavoletta al latte e alle nocciole, 100 g 1.70 invece di 2.– 15% Trolli All in One, in conf. da 1 kg 11.– Cantuccini al cioccolato o mini panforte Margherita Sapori, per es. cantuccini al cioccolato, 250 g 4.30 Tutti i biscotti Migros bio e Walkers bio, per es. biscotti alla spelta con uvetta, 260 g 2.75 invece di 3.45 20% Tutto il caffè in chicchi o macinato da 500 g, UTZ, per es. caffè Exquisito in chicchi 5.20 invece di 6.50 20%
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 30 giugno 2014 ¶ N. 27
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Idee e acquisti per la settimana
I tè freddi Aproz: rinfrescanti come un tuffo nel lago, spiccano per il loro basso contenuto calorico e la loro leggerezza.
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L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui troviamo anche i tè freddi Aproz.
L’acqua minerale vallesana Aproz deve il suo elevato tenore di sostanze minerali e di oligoelementi al lungo tragitto tra le rocce del Trias, vecchie milioni di anni. Durante il suo viaggio attraverso la montagna, l’acqua si arricchisce di preziosi minerali, come il calcio e il magnesio, nonché di oligoelementi essenziali. E ora, Aproz lancia una grande novità: tre gustosi tè freddi a base di acqua minerale vallesana impreziosita con estratti naturali di tè ed erbe, fiori o
frutta, senza dolcificanti sintetici, conservanti, né aromi artificiali. Nasce così un’irresistibile bevanda povera di calorie – 100 ml contengono infatti meno di 20 kilocalorie – disponibile nelle varianti tè verde e menta, tè bianco e ibisco, nonché tè bianco e pera. Inoltre, non contengono anidride carbonica e sono così particolarmente leggere. Sapevate, poi, che il tè verde, il tè nero e il tè bianco provengono tutti dalla stessa pianta? Il tè verde si trasforma in tè nero una volta fermentato, risp. ossida-
to; è così, infatti, che sprigiona tutto il suo tipico aroma. Il tè bianco, invece, fa parte delle varietà di tè più pregiate in assoluto. Per la sua produzione, si raccolgono esclusivamente i germogli di foglie ancora chiusi, che in seguito vengono lasciati leggermente fermentare e quindi riscaldati. Qualsiasi sia la vostra preferenza, tè verde o bianco, profumato all’ibisco, alla pera o alla menta, tutte e tre le varietà vi sorprenderanno con il loro irresistibile gusto rinfrescante. / HB; illustrazioni: iStock photo
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Idee e acquisti per la settimana
Buon appetito! Bella Italia è il motto attuale alla Migros: un omaggio a tutte le delizie che la cucina italiana ha da offrire Si fatica a credere che pasta, pelati, parmigiano, olio d’oliva, peperoni, melanzane e zucchine negli anni 50 da noi fossero considerati cibi esotici. Solo a poco a poco, in genere durante le vacanze, gli svizzeri impararono a conoscere l’universo culinario della vicina penisola. «Anche la Migros ha contribuito a far conoscere e apprezzare i generi alimentari italiani in Svizzera», afferma la sto-
rica Sabina Bellofatto, che si occupa di questo tema nel suo lavoro di dottorato all’Università di Zurigo. Secondo tale studio, negli anni 60 circa un terzo della clientela aveva radici italiane e desiderava prodotti alimentari della sua patria. Così, a poco a poco anche gli svizzeri cominciarono ad apprezzare il gusto italiano. «Dal momento che l’industria alimentare svizzera
era all’avanguardia, praticamente non importava niente, ma dava nomi italiani a prodotti indigeni», sostiene Sabina Bellofatto. In tal modo la Migros imboccò la strada giusta. Perfino il «Macaroni Journal» dei fabbricanti di pasta americani nel 1965 lodò con toni più che lusinghieri la Jowa SA, che già a quei tempi fabbricava pasta per la Migros. / Dora Horvath
Spaghetti 5 P Piatto principale per 4 persone Ingredienti 500 g di spaghetti 400 g di pomodori carnosi 1 peperoncino rosso 2 cucchiai d’olio d’oliva 4 dl di panna intera 1 mazzetto di prezzemolo 60 g di parmigiano sale, pepe dal macinapepe
Preparazione Cuocete gli spaghetti al dente in abbondante acqua salata. Scolateli e lasciateli sgocciolare. Nel frattempo, tagliate i pomodori a dadini. Dimezzate il peperoncino, eliminate i semini e tritatelo finemente. Fate appassire entrambi brevemente nell’olio. Aggiungete la panna e lasciate sobbollire per ca. 8 minuti. Tritate il prezzemolo, grattugiate il parmigiano e uniteli alla salsa. Condite con sale e pepe. Mescolate gli spaghetti con la salsa e servite. Tempo di preparazione ca. 25 minuti Per persona ca. 26 g di proteine, 49 g di grassi, 92 g di carboidrati, 3850 kJ/920 kcal
Ricette di
M-Classic sale marino 350 g Fr. 2.20
Coca-Cola 6 x 1,5 l Fr. 8.80* invece di 13.20
Peperoni bio misti al kg, al prezzo del giorno
Séléction salsa carbonara 290 g Fr. 5.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
*33% dall’1 al 7 luglio
Valflora panna intera UHT 500 ml Fr. 3.35
Parmigiano Grana padano Fr. 1.60* invece di 2.05 per 100 g *Azione dall’1 al 7 luglio
Pentola per spaghetti Ø 22 cm Fr. 29.80
Agnesi spaghetti 500 g Fr. 1.90
Negli anni 50 l’Italia era la destinazione più agognata. Lì i viaggiatori imparavano a conoscere piatti con verdure «esotiche» e frutti sconosciuti.
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Lasagne alla fiorentina con prosciutto Piatto principale per 4 persone, per 1 pirofila da gratin di ca. 2,3 l Ingredienti 800 g di spinaci 1 cipolla 1 spicchio d’aglio 4 cucchiai d’olio d’oliva 500 g di ricotta 100 g di parmigiano grattugiato sale, pepe noce moscata 300 g di lasagne fresche 200 g di prosciutto cotto
Preparazione Lavate gli spinaci e fateli sgocciolare un po’. Tritate la cipolla e l’aglio e fateli appassire brevemente nella metà dell’olio. Aggiungete gli spinaci. Stufateli coperti, mescolando di tanto in tanto, finché si afflosciano. Lasciateli raffreddare un po’. Mescolate gli spinaci con la ricotta e la metà del parmigiano. Insaporite con sale, pepe e un po’ di noce moscata. Scaldate il forno a 180 °C. Accomodate nella pirofila la miscela di ricotta e spinaci, le lasagne e il prosciutto a strati. Terminate con poca miscela di ricotta e spinaci. Distribuite il parmigiano e l’olio d’oliva restanti. Cuocete al centro del forno per ca. 35 minuti. Tempo di preparazione ca. 25 minuti più cottura in forno ca. 35 minuti Per persona ca. 42 g di proteine, 38 g di grassi, 52 g di carboidrati, 3000 kJ/715 kcal
Fettuccine in salsa di limone e basilico Piatto principale per 4 persone Ingredienti 1 limone bio 1 cipolla rossa 1 cucchiaio d’olio d’oliva 3 dl di brodo di verdura 1 dl di latte 1 dl di panna 2 cucchiaini d’amido di mais sale, pepe 500 g di pasta fresca, ad es. fettuccine 60 g di grana padano 1 mazzetto di basilico
Hotelplan proponeva viaggi in Italia già alla fine degli anni 40. Ma l’offerta comprendeva alberghi svizzeri con cucina svizzera. A partire dagli anni 50, invece, si puntava sul colore locale.
Monini Classico extra vergine 1 l Fr. 12.70
Galbani ricotta 250 g Fr. 2.70
Forma per lasagne 25x18 cm Fr. 19.80
Armando De Angelis sfoglia per lasagne 250 g Fr. 2.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Preparazione 1. Grattugiate finemente la scorza del limone e mettetela da parte. Spremete il succo (ca. 0,5 dl). Tritate la cipolla e fatela appassire nell’olio. Aggiungete il succo di limone e il brodo e lasciate sobbollire per ca. 10 minuti. Mescolate il latte con la panna e l’amido di mais. Unite al brodo e lasciate sobbollire, mescolando di continuo, finché la salsa lega. 2. Cuocete le fettuccine al dente in abbondante acqua salata. Scolatele e lasciatele sgocciolare. Servite la pasta con la salsa e la scorza di limone messa da parte. Condite con il grana padano grattugiato e con le foglie di basilico. Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona ca. 21 g di proteine, 22 g di grassi, 72 g di carboidrati, 2450kJ/585 kcal
Anna’s Best fettuccine 250 g Fr. 2.50 Limoni bio nella rete 360 g al prezzo del giorno Basilico in vaso al prezzo del giorno
Salvadanaio Vespa ceramica disponibile in 3 colori Fr. 8.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
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L’estate mette di buon umore, e i deliziosi gelati della linea Crème d’or ne moltiplicano l’effetto.
Gelato, naturalmente! I gelati rinfrescano con dolcezza le calde giornate estive, in particolar modo se prodotti con ingredienti scelti. E chi predilige la miglior qualità svizzera, ora può placare la sua voglia di gelato con le irresistibili e cremose tentazioni firmate Crème d’or Crème d’or Cornet Fraise* 6 x 122 ml Fr. 8.90
Crème d’or Vanille Bourbon 200 ml Fr. 3.30
Crème d’or Cornet Pistache* 6 x 122 ml Fr. 8.90
Crème d’or Stracciatella Italiana* 200 ml Fr. 3.30 *in vendita nelle maggiori filiali Migros.
Cioccolato, vaniglia, fragola o pistacchio – la scelta di gelati per rinfrescare con dolcezza la nostra estate è ricca e varia. Chi ama alternare i gusti e assaggiare abbinamenti particolari, non resisterà alle raffinate creazioni Crème d’or, quali le nuove varietà Fior di Latte & Lampone oppure Crema Catalana, mentre i tradizionalisti punteranno come sempre sul classico cornetto al cioccolato oppure sul gelato alla vaniglia Bourbon in vasetto. A prescindere dai gusti preferiti, tutti gli amanti del gelato hanno una cosa in comune: in Svizzera, infatti, sempre più persone, scelgono prodotti preparati con ingredienti naturali accuratamente selezionati.
I prelibati gelati creati da Crème d’or sono nati per soddisfare i desideri dei buongustai più esigenti. Perciò, da quattro anni, la Midor produce il suo cremoso e soffice gelato alla panna con ingredienti rigorosamente naturali. I componenti principali, ovvero latte, panna, zucchero e uova d’allevamenti in libertà, sono tutti di origine svizzera. Per il gelato alla fragola, per esempio, Crème d’or rinuncia del tutto all’aggiunta di aromi o coloranti. Ciò presuppone, però, l’impiego di fragole di primissima qualità. Qualsiasi sia la vostra preferenza, abbinamenti esotici o aromi classici, nel cornetto croccante o nel pratico vasetto:
fra i numerosi gelati Crème d’or è facile trovare il proprio preferito. Cedete alla tentazione e tuffatevi nella cremosità Crème d’or! / HB; illustrazioni René Ruis; styling Mira Gisler
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i gelati Crème d’or.
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