Per un’estate perfetta. Finalmente è arrivata, la tanto agognata estate. Pieni di entusiasmo il mattino spalanchiamo le finestre e... piove a catinelle. Sull’estate svizzera non si può fare affidamento. Ma per la prima volta un rimedio c’è. Grazie alle nostre 100 idee per l’estate, infatti, la stagione più bella dell’anno risulterà indimenticabile
anche se il tempo dovesse essere pessimo! 100 avvincenti idee e molti gadget per intrattenersi sia all’esterno che all’interno, in caso di pioggia o sole, per grandi e piccini, giovani e meno giovani, pigri e intraprendenti.
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Cooperativa Migros Ticino
G.A.A. 6592 Sant’Antonino
Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 5 maggio 2014
Azione 19
Società e Territorio Ecco gli hackademics, giovani che cercano vie alternative allo studio universitario
Ambiente e Benessere Alla scoperta dei graffiti della Valle delle Meraviglie, impervia e inospitale, quanto affascinante regione nel cuore delle Alpi marittime francesi
Politica e Economia L’Europa presto alle urne si presenta disunita e poco compatta
Cultura e Spettacoli Tappa a Lugano del festival di danza Steps con la Danza Contemporànea de Cuba
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di Alessandro Carli pagina 34
Keystone
I Gripen nel mirino
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Illusi dal crollo del comunismo di Peter Schiesser C’è un equivoco di fondo che in Occidente si è fatto largo con la fine della Guerra fredda e il crollo dell’Unione sovietica: che il libero mercato, il capitalismo, porti automaticamente con sé la democrazia. Lo si è creduto per la Cina, convinti che la progressiva apertura ai mercati internazionali iniziata con le riforme di Deng Xiao Ping nel 1979 avrebbe indotto un’apertura politica, grazie a una spinta dal basso di una società che a contatto con l’Occidente avrebbe spontaneamente reclamato più diritti e voce in capitolo. Lo si è creduto per la Russia, risorta nel 1991 come nazione dopo essere morta come paradiso del comunismo, motivo per cui Washington ha sostenuto i fautori di un capitalismo selvaggio, potendo in questo modo approfittare della privatizzazione delle ricchezze dello Stato russo, ben certi che quella radicale cura economica avrebbe per sempre seppellito il comunismo. Non è andata proprio così. Perlomeno, non ancora. In Cina, i dirigenti hanno coltivato la sublime arte di conciliare capitalismo e potere assoluto, arricchendosi smisuratamente e dando vita
a una «aristocrazia rossa». Ma se a Pechino cambia imperatore ogni dieci anni, a Mosca da vent’anni siede lo stesso: Vladimir Putin. Che in questo lasso di tempo ha raccolto tutte le redini del potere: politico, economico, militare, con la benedizione della Chiesa ortodossa e con il controllo dei mezzi di comunicazione. In Russia, il capitalismo selvaggio ha dapprima favorito la nascita di una classe di oligarchi, in seguito la mancanza di una tradizione democratica ha permesso a Putin (non dimentichiamolo: scelto da Boris Eltsin come primo ministro) e alle forze che in lui si identificavano di dapprima impadronirsi dello Stato e poi di asservire o distruggere gli oligarchi della prima ora. La vicenda di Michail Chodorchowski lo evidenzia: tanto potente per un decennio, poi incarcerato per aver criticato il potere. In entrambi gli imperi, il libero mercato ha portato ricchezza per pochi, un’estesa corruzione, conservato l’autoritarismo – ma non democrazia. Difficile giudicare, vivendo a migliaia di chilometri, se in Russia e in Cina la maggioranza dei cittadini pensi solo ad arricchirsi o aneli anche a una società più giusta e democratica, di certo i dirigenti fanno di tutto per reprimere questo desiderio. Ed è altresì difficile capire se
lo scopo di conservare a tutti i costi il potere oggi, per Putin e per i dirigenti del Partito comunista cinese, sia davvero il potere politico, il controllo dello Stato, o se anche in essi si è insinuato il tarlo della bramosia e dell’ingordigia materiale. Le notizie pubblicate nel corso dell’ultimo anno da autorevoli giornali americani sui patrimoni miliardari di membri delle famiglie dei più potenti dirigenti cinesi, come pure i recenti interrogativi su un tesoro nascosto di Putin, suggeriscono che anche per loro oggi conta molto possedere una ricchezza sconfinata. Questo, devono averlo pensato anche a Washington, se per contrastare la Russia nella diatriba sull’Ucraina l’Amministrazione Obama ha deciso di prendere di mira, con sanzioni di vario genere, l’entourage di Vladimir Putin, ed espressamente personaggi come Igor Setchin (controlla il gigante petrolifero Rosneft), Gennadi Timchenko (Gunver Group), Sergei Tschemesov (conglomerato industriale statale Rostec) ed altri ancora, dietro ai quali si favoleggia una fortuna fra i 40 e i 70 miliardi di dollari da ricondurre a Putin. I critici definiscono quello di Putin un regime cleptocrate e autoritario. Qualcosa di profondamente diverso da quanto ci si augurava vent’anni fa.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Attualità Migros
M Un anno per gli apprendisti Tirocinio Il 2014 è dedicato ufficialmente alla formazione professionale, infatti la legge
che la regola compie dieci anni - L’esperienza di due giovani leve di Migros Ticino
La Segreteria di Stato per la formazione e i suoi partner celebrano la ricorrenza decennale dall’introduzione della LFPr con una serie di manifestazioni volte ad attirare l’attenzione del pubblico sul sistema formativo duale e sui suoi vantaggi. Anche «Azione» dedicherà una serie di articoli al tema. In Svizzera due giovani su tre scelgono la formazione professionale, un sistema duale che abbina un apprendimento in azienda a quello scolastico. Oltre 250 i mestieri che possono essere appresi, per i qua-
li esistono poi un’effettiva domanda e sbocchi professionali. Un sistema di formazione che richiede un importante investimento e la collaborazione di tre partner: le aziende, che assumono i giovani e danno loro le conoscenze pratiche; i cantoni, che si assumono la formazione teorica nelle scuole; la Confederazione, che garantisce la regolamentazione e il cofinanziamento della formazione. È in particolare grazie a questo sistema di formazione che il Paese
Samanta e la gastronomia di sistema Samanta Giudici, 22 anni appena compiuti, è uno dei sei giovani che negli scorsi giorni hanno terminato il primo anno di formazione professionale quali impiegati di gastronomia standardizzata. Un primo anno particolare, poiché corrisponde all’inizio di questa nuovissima formazione, che ha preso avvio nel mese di settembre del 2013. Samanta lavora al ristorante Migros del Serfontana, a Morbio Inferiore. Conseguita la maturità economica al Liceo di Lugano 2 di Savosa ha infatti deciso di intraprendere una formazione che le permettesse di approfondire e dare un futuro ai suoi grandi interessi: la buona cucina e l’accurata preparazione di generi alimentari per familiari e amici. «Volevo fare il tirocinio come cuoca, ma durante il colloquio con il responsabile degli apprendisti di Migros Ticino mi è stata illustrata questa nuova opportunità: ho così fatto due stage, uno come cuoca, l’altro come impiegata di gastronomia standardizzata, al termine dei quali non ho più avuto dubbi. La formazione che ho scelto risponde infatti al meglio ai miei desideri, poiché è più variata, ci sono materie diverse e in più settori: ristorazione, gastronomia, pizzeria e, un’attività che mi piace molto, quando ne ho l’opportunità partecipare alla preparazione e al servizio dei catering commissionati al Party Service del ristorante Migros Serfontana. Insomma, una visione a 360 gradi della ristorazione, che mi permette tra l’altro di avere continui contatti diretti sia con i clienti sia con i colleghi». Il primo corso di questa nuova formazione ha subito riscosso un notevole interesse. Al termine di una preparazione della durata di tre anni,
i partecipanti conseguiranno l’attestato federale di capacità. La formazione pratica viene svolta in aziende che offrono un tipo di gastronomia definita «di sistema» o «collettiva», dunque su larga scala, con una parte di apprendimento dedicata ai lavori pratici quali la preparazione, la presentazione e il servizio delle pietanze, come pure la consulenza alla clientela, il tutto completato da compiti amministrativi indispensabili affinché in un ristorante tutto possa funzionare correttamente e al meglio: promuovere le vendite, pianificare e gestire i turni di servizio, gli incassi, le ordinazioni della merce e la gestione del magazzino, così come garantire la qualità e l’igiene. La parte teorica si svolge al Centro Professionale di Trevano, con corsi d’insegnamento a blocco: due blocchi di 10 settimane il primo anno e due blocchi di 5 settimane ciascuno il secondo e terzo anno. Questa professione rappresenta quindi un punto d’incontro ideale tra il mondo del lavoro commerciale e gastronomico e offre la possibilità di assumere molteplici responsabilità gestionali e tecniche. E Samanta cosa vede nel suo futuro? «Per iniziare mi voglio concentrare sulla formazione che sto seguendo, concludendola con il miglior risultato possibile. Mi piacerebbe lavorare qualche anno per consolidare le nozioni acquisite, con l’obiettivo finale di conseguire il diploma cantonale per esercenti. Il mio sogno nel cassetto è quello di poter fare delle esperienze lavorative all’estero per affinare le mie capacità linguistiche, rispettivamente ampliare il mio bagaglio di conoscenze in materia di ristorazione, confrontandomi con diverse culture e abitudini alimentari».
può contare su personale qualificato e specializzato, aspetto che contribuisce a fare della Svizzera uno dei Paesi europei con il minor tasso di disoccupazione giovanile. Inoltre, la maturità professionale, introdotta nel 1994, permette di accedere senza esami alle scuole universitarie professionali (SUP), mentre con un esame integrativo (la cosiddetta «passerella») è possibile iscriversi anche all’università o ai politecnici federali. Con 3500 giovani che annualmen-
te si formano in oltre 40 professioni, Migros è il principale fornitore di posti di apprendistato. Ogni anno quasi 1000 giovani iniziano infatti il loro percorso per apprendere una professione in una tra la cinquantina di aziende attive nel commercio al dettaglio, nella produzione e nei servizi che costituiscono la Comunità Migros. «Azione» ha tracciato il profilo di due giovani che stanno svolgendo la propria formazione professionale presso la Cooperativa Migros Ticino.
Ivan, conducente di autocarri Ivan Esteves Da Cunha ha quasi 23 anni ed è al secondo anno di formazione quale conducente di autocarri. «Prima di iniziare questo apprendistato ho fatto alcune esperienze nel mondo del lavoro, ma senza mai trovare una professione che mi interessasse veramente. Poi due anni fa a Espoprofessioni sono venuto a conoscenza della possibilità di svolgere l’apprendistato come conducente di autocarri. Ho trovato il posto di tirocinio e ora seguo questa formazione con entusiasmo e passione». Quello di Ivan è un interesse che risale all’infanzia, quando il papà, camionista, lo portava con sé durante alcuni viaggi. «Mi piace molto stare sulla strada guidando un camion. Non mi annoio mai perché le situazioni sono sempre diverse e dunque non c’è monotonia». La parte teorica della formazione avviene seguendo corsi scolastici e corsi interaziendali: norme della circolazione, funzionamento del veicolo e prescrizioni di manutenzione della motrice e del rimorchio, nonché acquisizione delle capacità di eseguire semplici riparazioni meccaniche in caso di guasti durante il tragitto. Gli autisti si occupano inoltre del carico delle merci, tenendo in considerazione le misure di sicurezza e di protezione, e per farlo utilizzano anche i carrelli elevatori, per la cui guida è necessario un attestato che si ottiene superando uno specifico esame, o con speciali gru. Nella formazione rientrano infine le norme per il trasporto di merci pericolose, mentre per chi si occupa di trasporti internazionali sono indispensabili la conoscenza delle prescrizioni e delle formalità di sdoganamento. Per contro la scuola guida avviene prevalentemente in azienda, con un
formatore qualificato che segue l’apprendista durante i tre anni e che supervisiona anche le attività di carico della merce da trasportare. Ivan e il suo formatore di tirocinio, Paolo Strepparava, riforniscono i diversi punti vendita di Migros Ticino: «In questo modo ho l’opportunità di fare pratica sui diversi tipi di strada e nelle più disparate situazioni di traffico. Ho anche modo di sperimentare tutti gli accessi alle rampe di carico e scarico, che hanno caratteristiche diverse». La formazione dei conducenti di autocarri è completata da dieci ore di scuola guida e una trentina di giornate di corsi interaziendali organizzati dalla Astag; i giovani sono chiamati a svolgere dei test di guida, durante i quali viene loro in particolare richiesto di osservare il traffico e adattare la guida alle condizioni: un autista di veicoli pesanti deve infatti saper affrontare la strada in qualsiasi condizione con sicurezza e correttezza e in caso di incidente deve saper reagire adeguatamente, applicando le necessarie misure per quel che riguarda per esempio il primo soccorso e la regolazione del traffico. «Mi piace l’ambiente in cui lavoro e le relazioni e le competenze che ho potuto sviluppare. Alcune persone pensano che guidare un camion sia semplicemente conseguire una patente e mettersi sulla strada. Invece il conducente di autocarri porta il nome dell’azienda sul veicolo che guida e dunque su di sé; di conseguenza deve dimostrare di saper fare bene il proprio lavoro, durante il quale, così come succede per i venditori, sono costantemente sotto l’occhio dei clienti; e anche noi conducenti vogliamo lasciare una buona impressione»!
Forum Elle Sabato 10 maggio appuntamento a Migros Serfontana Cara lettrice di Azione, Forum Elle è l’organizzazione femminile di Migros, che mette in rete in Svizzera tutte le donne che si identificano nei valori e nelle idee di quest’azienda. Si differenzia da altre organizzazioni per le donne soprattutto per il fatto che, oltre ad approfondire temi che riguardano l’universo femminile, può avvalersi del grande know how di Migros e approfondire temi e argomenti di grande attualità. La sezione ticinese di Forum Elle, strettamente legata alla Cooperativa Migros Ticino, organizza incontri, conferenze, visite e gite alla scoperta del nostro territorio ma non solo. Siamo riuscite a stuzzicare la tua curiosità? Desideri diventare socia di Forum Elle? Vieni a trovarci sabato, 10 maggio prossimo, al centro shopping Serfontana. Saremo a tua disposizione, davanti all’entrata del supermercato Migros, dalle 09.00 alle 17.00. In occasione della Giornata Nazionale di Forum Elle le amiche che sceglieranno di diventar socie (quota annuale 20.-) riceveranno dei simpatici omaggi di benvenuto. Vi aspettiamo numerose! A presto, Il comitato di Forum Elle Ticino
Una Migros nel telefono Migros lancia la sua nuova app, pratica e utile. Permette ad esempio di scoprire un gran numero di prodotti del suo assortimento e oltre a ciò di prendere visione di una serie di informazioni relative agli ingredienti che li compongono e ai loro valori nutritivi. Molti dei prodotti possono poi essere inseriti in una lista della spesa personalizzata. L’app è particolarmente utile per le coppie, le famiglie e anche per le comunità abitative: la lista infatti può essere condivisa e elaborata in gruppo. Mentre si crea la lista della spesa si ottengono informazioni sulle azioni in corso: in questo modo l’app aiuta anche a risparmiare. Contiene inoltre un pratico «cerca-filiali» e permette un aggiornamento regolare sullo stato dei punti Cumulus che abbiamo incamerato. Altre pratiche funzioni saranno inserite in futuro. L’app è scaricabile all’indirizzo web «app.migros.ch» oppure con una scansione del codice QR qui sotto.
Elezioni di rinnovo: errata corrige
«Il mio sogno è fare esperienze all’estero». (Vincenzo Cammarata)
Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni
«Fare il conducente non è semplicemente guidare il camion». (Giovanni Barberis)
Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch
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La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni
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In riferimento all’avviso apparso nel n. 17 di «Azione» del 22 aprile u.s. concernente la revoca delle elezioni di rinnovo degli organi statutari della cooperativa, vi informiamo che nel testo è stata erroneamente indicata l’elezione per un nuovo mandato biennale (2014-2015) dell’Ufficio elettorale, anziché dell’Ufficio di revisione. Ci scusiamo per l’errore. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–
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Società e Territorio Contro i matrimoni forzati In Svizzera è attiva la campagna di sensibilizzazione Ho diritto di decidere, ora presente anche in Ticino con il progetto Precofo
Consiglio svizzero degli anziani Per la prima volta l’assemblea dei delegati si riunirà in Ticino, un modello per la collaborazione fra rappresentanti della terza età e autorità
Incontro con Flavio Baumann L’etnologo e storico racconta come svolge i suoi studi sui cimiteri, da quello di Sonvico a quello di Ponte Tresa pagina 10
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Università? No grazie Giovani e formazione Dopo le riflessioni
di un professore sulle università online («Azione» del 14 aprile) parliamo degli hackademics, ragazzi convinti che esistano corsi di studio alternativi, creativi e meno costosi rispetto a quelli tradizionali
Natascha Fioretti «La nostra società crede ancora che la carriera professionale sia determinata da un buon voto preso alla maturità e alla laurea. Sono tutte fantasie», dice Ben Paul, 23 anni, di Berlino, education hacker di professione (un education hacker è colui che supera in modo creativo le limitazioni imposte dalle istituzioni del sapere come le Università) e fondatore del blog anti-uni.com. A suo dire le aziende oggi non assumono candidati con i voti migliori ma quelli con un curriculum vitae ed esperienze personali interessanti. E una laurea all’Università non è più considerato un requisito indispensabile. La sfida per i giovani come lui che non credono nelle istituzioni ma in sé stessi, in un sapere e una conoscenza che non sono calati dall’alto ma sono il risultato di scelte di apprendimento proprie e indipendenti, è farsi da sé, essere forgiatori del proprio destino. Iscritto a giurisprudenza in una Università privata da 10’000 euro l’anno, dopo due semestri di studio passati ogni giorno a leggere e studiare testi, si è ritrovato nella stanza di una psicologa che emise una diagnosi chiara: Ben era vicino all’esaurimento. Il giovane allora decise di prendere tempo e volò in Nicaragua. Al suo ritorno la decisione: riprendere a studiare ma senza Università. Così ha fondato il suo blog antiuni.com che da gennaio conta più di 30’000 visitatori e ha uno scopo preciso: fondare un movimento ed insegnare ad altri giovani come lui come imparare a studiare da autodidatti. Non sa ancora quanti lo seguiranno, se avrà successo. Ma il suo target è preciso: una élite di studenti speciali che sono disposti a correre dei rischi, vogliono fare cose diverse, distinguersi dalla massa. In Germania dell’iniziativa e dell’esperienza di Ben ne ha parlato solo il settimanale «die Zeit» per il resto la sua storia ha destato poco interesse. Eppure non si tratta di un caso isolato ma di un fenomeno di cui negli Stati Uniti si parla da tempo. Grazie in particolare ad un libro, Hacking your Education, e al suo autore Dale J. Stephens che ha
lasciato la scuola all’età di 12 anni. La sua storia a differenza di quella di Ben è stata ripresa dai grandi network come CNN, ABC, NPR, CBS, e da testate come «New York Times» e «Forbes». Stephens è anche fondatore di UnCollege un movimento sociale che vuole dimostrare come gli studi al college non siano l’unica strada per il successo. Tra l’altro non è stato pubblicato da un editore qualunque ma dalla Penguin, editrice di molte pubblicazioni universitarie, in particolare nel campo della letteratura. Nel maggio 2011 ha vinto il Thiel Fellow, un riconoscimento per i top changemakers del mondo sotto i 20 anni e 100’000 dollari da investire nei suoi progetti. Nel suo libro Stephens apre nuovi scenari e culture per il mondo della formazione. «Non è un segreto – dice – che il college non prepara gli studenti al mondo reale e ha dei costi molto elevati, sempre più difficili da sostenere in un Occidente alle prese con la crisi economica». Addirittura, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, l’indebitamento degli studenti per pagare gli studi ha superato quello delle carte di credito. Tutto questo senza una garanzia: migliaia di studenti escono con la stessa formazione, tutti in cerca dello stesso lavoro in un mercato sempre più saturo e sempre più povero. È il caso allora di riflettere se non ci sia oggi un modo migliore e diverso per farcela. Da qui nasce nuova cultura di hackademics, giovani convinti che i diploma dei college siano obsoleti e antiquati. Non è necessario essere dei geni o essere particolarmente intelligenti per avere successo al di fuori della scuola, basta essere curiosi, avere fiducia in sé stessi e forza di volontà. Ma attenzione, il libro di Stephens, così come il movimento, non sono un attacco diretto ai college o alle università ma la dimostrazione che ci sono anche altre vie e alternative possibili, più creative e meno costose. Chi si occupa di formazione ed educazione oggi deve perseguire un equilibrio tra le diverse possibilità offerte dai metodi tradizionali e altre opportunità più concrete adatte a quelli stu-
Ben Paul, 23 anni, education hacker di Berlino. (anti-uni.com)
denti che non sono attratti dai modelli tradizionali e vogliono assumersi dei rischi, essere imprenditori di loro stessi. In un articolo sul «New York Times» Stephens scrive: «le università non esistono per preparare al mondo reale. Esistono per fare soldi. Prima questo entrerà nelle teste e nelle agende dei politici, più presto si potranno promuovere politiche realistiche e positive per l’educazione». La pensa così anche Michaels Ellsberg, figlio di Daniel Ellsberg il giornalista divenuto famoso per avere svelato i «Pentagon Papers». Nel suo libro The Education of Millionaires: It’s not what you think and it’s not too
late esprime gli stessi concetti di Ben e Stephens: oggi non conta essere Book smart ma Street smart perché il successo nel XXI secolo ha a che fare con motivazione, network, passione e abilità di convincere gli altri a credere in te. E il processo di apprendimento dura tutta una vita, dentro e fuori dalle Università. C’è dunque una comunità di giovani che sta facendo scelte differenti, prende il destino nelle proprie mani. Sono giovani mobili, flessibili, creativi. Se molti lo vedono come rischioso non lo è di più che studiare e indebitarsi per 26’000 dollari in una realtà economicolavorativa come quella attuale degli Sta-
ti Uniti. Secondo l’economista Andrew Sum della Northeastern University il 44% dei laureati sotto i 25 anni sono disoccupati o impiegati in un lavoro diverso da quello per cui hanno studiato. Grazie ad Internet oggi ci sono corsi interi che possono essere seguiti online e prezzi più contenuti. Si possono seguire anche moduli mirati e specifici. L’insegnamento e l’apprendimento non avvengono più tra le mura degli atenei. Gli studenti possono imparare dove vogliono, quando vogliono secondo il proprio ritmo. L’educazione del XXI secolo, quella dei Ben, Stephens e Ellsberg è fluida, flessibile, disegnata su misura per ciascuno studente.
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Società e Territorio
Sposarsi in libertà Matrimoni forzati In Svizzera sono illegali, eppure unioni non desiderate, costrizioni per rinunciare
a un divorzio o a una relazione scelta liberamente sono situazioni non così rare. La Confederazione ha elaborato un programma di prevenzione e sensibilizzazione Valentina Grignoli Con libertà s’intende comunemente la facoltà di pensare, di operare, di scegliere a proprio talento, in modo autonomo. Nella società odierna questa libertà si dà per scontata, è garantita dalle leggi, che tutelano l’individuo. Va tenuto sempre presente che la libertà di una persona finisce là dove inizia quella di chi ne condivide l’esistenza in una società, in un’epoca, nella zona geografica in cui vive, in uno Stato. Oggi, il confine tra una libertà e l’altra si fa più delicato che mai, poiché spesso usi e costumi della nostra società vengono condivisi con altre culture, altre comunità, altri gruppi sociali per i quali le leggi e, ancor di più, le tacite regole sentite dal loro popolo, non sono compatibili con le nostre. È un confine delicato. Quando i diritti fondamentali di un essere umano vengono violati, la libertà dell’individuo va difesa, anche con la legge. Un esempio di violazioni come questa è la situazione dei matrimoni forzati, di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, visto in un film, letto in un romanzo. Sembrano sempre situazioni lontane da noi, ma anche in Svizzera questo problema esiste, e da un paio di anni la Confederazione si sta muovendo per combatterlo. Da luglio 2013, infatti, una serie di misure legislative sono state adottate dallo Stato affinché sul nostro territorio i matrimoni forzati non siano possibili. Poiché, come recita il programma di lotta svizzera Ho il diritto di decidere, obbligare una persona a sposarsi o a rimanere sposata è una violazione dei diritti umani. A seguito della mozione Tschümperlin del 2009 e del postulato Heim del 2013, è entrata in vigore il primo luglio dello scorso anno la legge federale sulle misure contro i matrimoni forzati, che prevede le modifiche di leggi e adeguamenti di ordinanze, che comprendono l’annullamento d’ufficio in caso di matrimonio su costrizione. Non solo, sulla base di uno studio commissionato all’Università di Neuchâtel (Matrimoni forzati in Svizzera: cause, forme, estensione), e per completare queste misure legislative con attività concrete, è nato il sopraccitato programma federale di lotta ai matrimoni forzati su tutto il territorio elvetico attraverso diversi progetti regionali. Il programma è condotto dall’Ufficio federale della migrazione in stretta collaborazione con l’Ufficio federale per l’uguaglianza tra donna e uomo. Cooperazione, questa,
che ci fa comprendere come i matrimoni forzati siano legati ad aspetti inerenti alla nostra società, alla migrazione, all’integrazione, all’uguaglianza e alla violenza domestica. Da gennaio di quest’anno anche nel canton Ticino è nato Precofo, ovvero: misure di Prevenzione, Consulenza e Formazione. Il progetto, che durerà un anno, intende promuovere interventi di sensibilizzazione sul tema, sotto la responsabilità della Delegata cantonale per l’aiuto alle vittime di reati, Cristiana Finzi.
Dal 1° luglio del 2013 è entrata in vigore la legge federale sulle misure contro i matrimoni forzati Sul sito del programma federale (www.matrimoniforzati.ch), da un mese disponibile anche in italiano grazie alla campagna Precofo in Ticino, leggiamo il programma del progetto che intende adottare, in prima istanza, misure riguardanti l’ambito della consulenza tramite la creazione di una rete regionale costituita da servizi confrontati al fenomeno. Nell’anno che verrà è prevista inoltre la realizzazione di un protocollo d’intervento per permettere una coordinazione efficace nelle situazioni d’urgenza e una migliore collaborazione nella consulenza tra gli enti. Una seconda fase del progetto sarà poi dedicata alla prevenzione, tramite un opuscolo informativo, tradotto in più lingue, che informerà sui servizi presenti nel Cantone. Inoltre, sono previsti momenti di riflessione e dibattito rivolti alla popolazione, formazione destinata ai professionisti provenienti da vari ambiti sociali prima, e nelle scuole poi. Alla base del progetto Precofo c’è un gruppo di lavoro. È coordinato operativamente dall’antropologa Sara Grignoli che abbiamo voluto incontrare per conoscere più da vicino il tema. «Non mi piace utilizzare la parola lotta ai matrimoni forzati, preferisco usare sensibilizzazione, poiché è un problema che va affrontato con decisione sì, ma anche con sensibilità», esordisce la coordinatrice. «Il matrimonio forzato è ora illegale in Svizzera così come l’unione tra minorenni, anche se queste
unioni sono contratte all’estero possono essere annullate d’ufficio in Svizzera. Si può dire che è un fenomeno che può essere accompagnato da episodi di violenza domestica (o da violenza di vario tipo come quella psichica o sessuale)». L’antropologa ci racconta poi che, secondo lo studio effettuato dall’Università di Neuchâtel, ci sono tre tipologie di situazioni in cui la cerchia familiare, amici o altre persone, esercitano pressione sulla vittima: la prima racchiude i casi in cui si costringe la persona affinché accetti un matrimonio che non desidera (e si parla di 350 casi circa negli ultimi due anni), la seconda affinché questa rinunci a una situazione sentimentale di sua scelta (385 casi), e la terza (660 casi) descrive quei casi in cui la persona viene costretta a non chiedere il divorzio. «Attenzione però, perché queste cifre vanno prese con le pinze. Il tema è delicato, spesso e volentieri non viene denunciato e magari si viene a conoscenza del matrimonio forzato quando la situazione è già grave», precisa Sara Grignoli. E in Ticino la situazione come è?
Per ora siamo ai provvedimenti iniziali, bisogna che i professionisti conoscano il fenomeno per riconoscerlo e monitorarlo in maniera coordinata. Non abbiamo ancora dati statistici. Non bisogna inoltre dimenticare che, se per la visione occidentale il matrimonio forzato è sbagliato, per alcune popolazioni questo non costituisce un problema, bisogna far attenzione, concedetemi il gioco di parole, a non «forzare» questo tema. Come intende agire Precofo?
Prima di tutto abbiamo costituito un gruppo di coordinamento costituito dai servizi potenzialmente confrontati al fenomeno. Del gruppo di coordinamento fanno parte, tra gli altri, la Polizia cantonale, l’Ufficio della migrazione, l’Ufficio delle pari opportunità, il gruppo DAISI-Donne Amnesty International, l’Associazione Dialogare-Incontri, l’Ufficio dello stato civile, il Soccorso operaio svizzero Ticino. E questi servizi hanno denunciato diversi casi in Ticino?
Sì, anche qui sono stati segnalati alcuni casi. I servizi hanno espresso il bisogno di confrontarsi su questo fenomeno e di coordinarsi in maniera ottimale in favore delle persone direttamente coinvolte. Non avete ancora avuto contatti
con persone che, per motivi di provenienza, religione, cultura, non sono d’accordo con quello che state facendo?
Stiamo cercando di affrontare il tema in modo sensibile. Vorremmo avvicinare i mediatori culturali perché possano aiutarci a sensibilizzare nel rispetto di ogni cultura. È interessante capire esattamente anche quali sono le comunità confrontate a questo fenomeno in Ticino. Per questo tradurremo il nostro volantino in varie lingue. È importante dire che questo fenomeno non riguarda solo gli stranieri ma anche persone nate e cresciute in Svizzera. Quali sono le maggiori difficoltà che si possono incontrare nella coordinazione di un progetto del genere?
Prima di tutto rendere accessibile un tema così delicato e complesso. Si parla di matrimonio forzato ma il tema è
davvero molto ampio, difficile da definire. Non vorremmo cadere in facili banalizzazioni o stereotipi. Ci sono contesti estremamente diversi da persona a persona. È fondamentale però sensibilizzare e fare capire alle persone che il matrimonio forzato è illegale in Svizzera e che quindi anche la legge protegge le vittime, ci si può opporre, e si può intervenire. Se ora è ancora nella fase complessa organizzativa, da settembre il progetto Precofo sarà operativo. Sul sito www. matrimoniforzati.ch è possibile trovare tutte le informazioni, le definizioni, i vari progetti delle altre regioni svizzere e il riassunto dello studio di Neuchâtel, e presto sarà disponibile una pagina web anche per il progetto ticinese. Perché come dice Adorno: «La libertà non sta nello scegliere tra bianco e nero, ma nel sottrarsi a questa scelta prescritta».
Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Vanna Cercenà, Non piangere, non ridere, non giocare, Lapis. Da 9 anni Teresa ha dieci anni, due treccine bionde, e l’immenso amore della sua mamma. Teresa è vivace, intelligente, socievole. Eppure Teresa non può andare a scuola, non può stare con gli altri bambini, non può uscire di casa. Non può farsi sentire né vedere. Perché? Perché Teresa è arrivata a Zurigo dall’Italia alla fine del 1969, per raggiungere la sua mamma, operaia stagionale, dopo che la nonna, che l’accudiva al paese, aveva dovuto essere ricoverata in casa di riposo. Teresa è uno di quegli innumerevoli piccoli clandestini che fino agli anni Ottanta vivevano nascosti nelle case svizzere, quando il cosiddetto «statuto dello stagionale» escludeva il ricongiungimento familiare. Il romanzo di Vanna Cercenà tratta con delicatezza e incisività questo tema, finora assente dalla lettera-
tura per l’infanzia, inserendolo in un’avventura leggera e ben ritmata, che nulla toglie però al dramma dei bambini nascosti. La vita di Teresa si svolge da reclusa nei pochi metri del sottotetto dove abita, sempre sola nelle lunghe ore in cui la mamma è al lavoro. Ma un giorno tutto cambia, perché un gatto salta dentro dall’abbaino. Sarà proprio il gatto, che appartiene a Paul, un bambino svizzero, il trait d’union di Teresa con il mondo. Tra Paul e Teresa scatta subito una grande amicizia, poi estesa anche ai genitori. Intense le
ultime pagine: i genitori di Paul hanno invitato a cena Teresa e la sua mamma per guardare insieme la televisione. È il giugno del 1970, e il programma non sarà di svago, ma di grande apprensione, perché si attendono i risultati della votazione sull’iniziativa Schwarzenbach «contro l’inforestierimento». 300’000 lavoratori italiani rischiano l’espulsione. Il finale del romanzo è festoso, perché «il popolo svizzero aveva dato un segnale di speranza contro i fanatici e i razzisti», anche se i personaggi adulti si augurano che in futuro non ricominci «tutto da capo». Anne-Gaëlle Balpe, Eve Tharlet, Il filo rosso, Minedition. Da 3 anni. Questo libro è un piccolo miracolo di armonia parole-immagini, di costruzione narrativa, di adeguatezza alle competenze dei più piccoli. Le autrici, entrambe francesi (Balpe per il testo e Tharlet, già molto nota, per le illustra-
zioni), sono riuscite a creare una storia bellissima: semplice eppure sostanziosa da raccontare; incantevole nella sua leggerezza eppure con un messaggio profondo; originale eppure molto ancorata al modello della fiaba classica. Lo schema è quello, circolare, del dono disinteressato, che crea un continuo scambio d’amore, facendo felici molte creature. Il protagonista, che non a caso si chiama Felicino, passeggia nel bosco stringendo nella mano un filo di lana rosso, che si era staccato dalla testa di una bambola. Questo filo rosso
(tipico tesoro umile e «da nulla», di quelli che i bambini, proprio come Felicino, adorano raccogliere e portarsi dietro), innescherà un susseguirsi di doni reciproci: un filo di vento lo farà volare fino al nido di un uccellino... «Grazie! Ne ho proprio bisogno per terminare il mio nido! In cambio ti regalo due piume»... le piume verranno poi regalate da Felicino a una formica, che le userà come barca per attraversare un ruscello... «in cambio ti regalo tre chicchi di grano»... i chicchi andranno a un riccio, per sfamare i suoi cuccioli, e in cambio ci sarà un altro dono... Il bambino può formulare delle ipotesi pertinenti sul susseguirsi della storia, ed essere gratificato nel vederle avverarsi; inoltre il libro è perfetto per innumerevoli riletture ad alta voce, anche in dialogo adulto-bambino, quel dialogo che ribadisce che anche una storia, così come gli umili oggetti di Felicino, è un piccolo, ma infinito, scambio d’amore.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Società e Territorio
La fabbrica di cioccolato Archeologia industriale Storia della Cima
Norma di Dangio
Keystone
Laura Patocchi-Zweifel
Sguardo al Ticino per il ruolo degli anziani Terza età e politica Per la prima volta l’assemblea dei delegati
del Consiglio svizzero degli anziani si svolgerà nel nostro cantone per confrontarsi con un valido modello di collaborazione Stefania Hubmann La partecipazione degli anziani alle decisioni politiche che li riguardano è un principio riconosciuto ufficialmente dal Cantone Ticino da dieci anni attraverso il Consiglio degli anziani, organo consultivo del Consiglio di Stato. Un esempio di collaborazione ancora poco diffuso nel resto della Confederazione che ha indotto il Consiglio svizzero degli anziani, su proposta dei tre rappresentanti ticinesi, a organizzare per la prima volta l’annuale assemblea dei delegati al sud delle Alpi. I partecipanti giungeranno in Ticino il prossimo 15 maggio per affrontare un tema di stretta attualità visto il costante aumento della popolazione anziana che raggiungerà tra pochi decenni un quarto del totale. A livello nazionale il Consiglio degli anziani rappresenta attualmente le istanze di 1,8 milioni di beneficiari AVS. Istituito nel 2001, è l’organo consultivo del Consiglio federale per le questioni dell’anzianità al quale è legato da un mandato di prestazioni. Il Consiglio svizzero degli anziani difende gli interessi economici, culturali e sociali della popolazione anziana in considerazione della sua importanza e tenendo conto della solidarietà fra le generazioni. Non si tratta quindi di negoziare privilegi ma di salvaguardare la dignità, la qualità di vita e l’autonomia di questa fascia della popolazione il cui apporto è essenziale anche per le generazioni future. Partecipazione, coinvolgimento e corresponsabilità sono elementi di una visione promossa sul piano internazionale dall’ONU che deve trovare riscontro concreto a livello decisionale. Il compito del Consiglio svizzero degli anziani, che lavora in stretta collaborazione con l’Ufficio federale delle assicurazioni sociali (Ufas), è di partecipare all’elaborazione dei progetti di legge e alle procedure di consultazione, di promuovere progetti propri e di formulare proposte e raccomandazioni sulle questioni significative per la politica degli anziani. Appositi gruppi di lavoro si occupano in particolare della sicurezza sociale, delle questioni legate all’alloggio e alla mobilità e della dignità nella terza e quarta età. I delegati sono 34, fra cui tre ticinesi: Rosemarie Porta, Giannino Franscini e Lindo Deambrosi. Quest’ultimo ha curato l’organizzazione dell’assemblea nazionale che ogni
anno approfondisce un tema d’interesse generale. Partecipazione degli anziani alla vita politica in Svizzera è il titolo dell’incontro di quest’anno che, partendo dall’esempio fornito dal Cantone Ticino, permetterà di riflettere sui temi dell’autodeterminazione e della codecisione degli anziani nelle istituzioni pubbliche. L’obiettivo principale è di sensibilizzare gli altri Cantoni, perché al momento sono pochi quelli che hanno un sistema di cooperazione simile a quello ticinese. Oltre ai rappresentanti del Consiglio degli anziani del Cantone Ticino, alla giornata parteciperà con una relazione anche Francesco Branca, responsabile dell’Ufficio cantonale degli anziani e delle cure a domicilio. Riguardo all’attività in seno al Consiglio svizzero, Lindo Deambrosi precisa che al momento una delle preoccupazioni maggiori concerne la riforma del sistema di previdenza per la vecchiaia 2020: «il progetto deve tener conto delle esigenze di sicurezza degli anziani ma anche della necessità di assicurare le prestazioni alle generazioni future. Il nostro sistema previdenziale e la presa a carico nelle case per anziani sono stati presentati anche all’estero, segnatamente in Ungheria, nell’ambito dell’attività del Consiglio svizzero degli anziani a livello internazionale». Da rilevare, ancora, che il Consiglio svizzero è la piattaforma di due organizzazioni mantello: l’Associazione Svizzera degli Anziani (Asa) e la Federazione delle Associazioni dei Pensionati e di Autoaiuto in Svizzera (Fares) che rappresentano complessivamente circa 200mila anziani associati. Con il Consiglio degli anziani del Cantone Ticino non esiste un legame particolare, essendo i due organismi formalmente indipendenti. Per Lindo Deambrosi come per Graziano Pestoni, presidente del Consiglio ticinese fino alla fine dello scorso aprile, è auspicabile intensificare i contatti perché uno scambio reciproco di informazioni risulterebbe proficuo per entrambi. L’assemblea del 15 maggio è una preziosa occasione d’incontro. Il resto della Svizzera guarda con interesse a quanto effettuato in Ticino in dieci anni di attività. Graziano Pestoni, che ha guidato il Consiglio degli anziani per sette anni, ricorda come i primi sforzi si siano concentrati sulla questione dei costi della salute con uno studio commissionato all’Università della Svizzera italiana.
In una seconda fase il Consiglio ha condotto una propria indagine nelle case per anziani per valutare la qualità di vita degli ospiti. Ne è scaturita una pubblicazione sempre attuale, dove non mancano proposte innovative come la creazione di un comitato dei familiari per introdurre una dinamica di discussione e confronto. «Avevamo in programma di completare il lavoro con uno studio sui servizi d’aiuto domiciliare – precisa Graziano Pestoni – che rappresentano un’altra forma di sostegno indispensabile per gli anziani. Non siamo riusciti nell’intento ma il tema meriterebbe di essere ripreso». Grazie al finanziamento dell’attività del Consiglio degli anziani deciso dal Gran Consiglio e pari ad almeno 1 franco per ogni persona sopra i 65 anni, l’organo consultivo dispone di un budget annuale di circa 70mila franchi per finanziare progetti di qualità. Fra questi, la ricerca commissionata assieme al Consiglio cantonale dei giovani al Dipartimento scienze aziendali e sociali della Supsi sul tema Intergenerazionalità: una risorsa per la società. I risultati, resi noti lo scorso novembre, rappresentano uno strumento di base per la promozione di politiche e iniziative tese a rafforzare i legami tra le diverse generazioni. Per Graziano Pestoni «la collaborazione con il Consiglio cantonale dei giovani dimostra come assieme si possano risolvere meglio molte questioni. L’ultima iniziativa comune è legata al tema dei trasporti». Per l’ex presidente del Consiglio cantonale degli anziani è necessario rimanere vigili e approfondire altre questioni d’attualità come il lavoro delle badanti e le nuove strutture abitative destinate agli anziani ancora autosufficienti. Sulle sfide e i problemi che interessano da vicino la popolazione anziana il Consiglio ticinese non manca di far sentire la propria voce senza aspettare di essere formalmente consultato. Il suo operato in dieci anni di attività si è sviluppato seguendo l’evoluzione del contesto economico e sociale e puntando sul coinvolgimento delle nuove generazioni. Un esempio che non mancherà di suscitare la curiosità dei delegati del Consiglio svizzero degli anziani durante il loro soggiorno a Lugano.
Una leggenda vuole che agli albori del Seicento un certo Bianchini di Campo Blenio, dopo essere stato al servizio della corte di Spagna in qualità di cuoco, si sia trasferito a Milano per avviare un’attività di cioccolatiere circondandosi di numerosi collaboratori conterranei («gli uomini di Bianchini»). Trasmette loro i segreti del paziente e difficile processo di lavorazione della cioccolata, dando impulso alla nuova professione, che entrerà a far parte della tradizione, e al complesso fenomeno dell’emigrazione bleniese. Dall’inizio del Settecento molti cioccolatieri bleniesi esercitano la loro attività artigianale in diversi Paesi europei, soprattutto in Italia, Francia, Germania, dove era dilagata la moda della cioccolata anche fra i ceti benestanti senza costituire più un privilegio esclusivo dell’aristocrazia, dell’alta borghesia e del clero. Colgono l’opportunità del nuovo mercato dandosi al commercio – aprono botteghe dove si serve cioccolata, diventano grossisti di cacao e avviano laboratori artigianali dove si fabbrica cioccolata. Ancora nel 1853 su 119 cioccolatieri ticinesi attivi in Lombardia 111 erano bleniesi. Ritornati in patria nel corso dell’Ottocento alcuni produssero cioccolato in laboratori artigianali a conduzione familiare. All’inizio del Novecento rientrano a Dangio i fratelli Rocco, Clemente, Ernesto e Bernardino Cima che a Nizza erano subentrati al padre in un fiorente commercio di produzione e distribuzione di cioccolato. Nel 1903 inaugurano accanto al torrente Soja una centrale in grado di fornire energia elettrica ai villaggi di Torre, Dangio e Aquila. L’anno dopo i fratelli Cima costruiscono accanto alla centrale la fabbrica Chocolat Cima che dà lavoro a due donne e sette uomini. Nella notte fra il 28 e il 29 agosto 1908 il fiume Soja, ingrossatosi in seguito a un violento nubifragio, straripa impetuosamente distruggendo ponte, centrale e edifici. Entro un anno i fratelli Cima rimettono in funzione la centrale, acquistano l’adiacente Birreria San Salvatore ormai dismessa e riprendono la produzione. Ma le difficoltà finanziarie da superare sono molte, in loro aiuto viene Giuseppe Pagani di Torre rientrato nel 1904 da Londra dove si era conquistato un’importante posizione nel ramo della ristorazione in qualità di proprietario del famosissimo ristorante Pagani’s, al 54 Great Portland Street, frequentato dall’élite del tempo, politici, nobili, artisti e personaggi dello spettacolo. Il Pagani, che aveva raggiunto un’invidiabile posizione economica grazie al suo spirito d’iniziativa e alle sue notevoli capacità organizzative, investe in realizzazioni per lo sviluppo della valle – promuove la ferrovia regionale Biasca-Acquarossa e rileva la Società Cima frères trasfor-
mandola in Società Anonima Chocolat Cima il 19 maggio 1913. Poco dopo viene approvato l’acquisto della Fabbrica di cioccolato Norma che Pagani rileva dall’Ufficio esecuzioni e fallimenti di Zurigo. Con i macchinari, merci e mobilio della ditta fallita si procede a una radicale ristrutturazione e ampliamento della fabbrica che diverrà Chocolat Cima Norma S.A. Nella notte del 4-5 novembre 1915 un incendio nel reparto tostatura del cacao, situato nella soffitta dello stabile, si propaga distruggendo soffitto e pavimento in legno. Giuseppe Pagani ricostruisce la fabbrica ampliandola ulteriormente. La nuova impresa si sviluppa rapidamente e riesce a imporsi sul mercato nazionale stipulando contratti con le Cooperative di consumo. Per soddisfare la crescente domanda di mercato vengono realizzati nuovi ingrandimenti fino ad arrivare all’attuale aspetto del complesso. Nel primo e secondo dopoguerra l’impresa raggiunge il culmine del suo sviluppo, si dota di macchinari d’avanguardia e arriva ad occupare fino a 340 dipendenti. Nell’agosto del 1966, dopo quasi cinquant’anni di stretta collaborazione, l’USC (Unione Svizzera delle Cooperative) rescinde il contratto con la Cima-Norma motivando che «la fabbrica non era più in grado di soddisfare con dinamicità una richiesta in continua ascesa». Gli azionisti e i dirigenti, tentano in tutti i modi di salvare la fabbrica e volendo evitare il fallimento la chiudono definitivamente il 31 luglio 1968 estinguendo tutti gli impegni verso la manodopera e gli istituti bancari. La società anonima Cima-Norma è stata poi trasformata dagli eredi in società immobiliare Cima-Norma SA. Recentemente il complesso è stato convertito da luogo di produzione a centro residenziale. Il restauro di questo monumentale e straordinario edificio, di oltre 12’000 metri quadrati, ha portato alla rivalorizzazione della struttura e all’allestimento di spazi residenziali e espositivi. Nei locali un tempo adibiti alla produzione ora sorgono dieci prestigiosi loft arredati affittabili anche per lunghi periodi. La soluzione adottata per gli alloggi ha permesso di conservare la struttura originaria del fabbricato e di sfruttare al massimo gli spazi. Nel luogo in cui un tempo sorgeva il pensionato per le operaie di Cima Norma ora trova spazio un ostello che può accogliere fino a 50 ospiti. Bibliografia
Patrizia Pusterla Cambin – Valentina Foni, L’oro bruno, Museo storico etnografico di Blenio, 2007. Michele Moretti, Cioccolato, collana Le voci, CDE, Bellinzona, 2006. Mario Vicari, Valle di Blenio, Ufficio cantonale dei musei, Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, Bellinzona, 1992.
Informazioni
www.consiglioanziani.ch www.ssr-csa.ch Il monumentale edificio di più di 12’000 metri quadrati. (Patocchi-Zweifel)
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Società e Territorio
Che cosa ci dicono i cimiteri Incontri Flavio Baumann, storico ed etnologo che vive in Cile, da alcuni anni conduce studi
sui cimiteri di Sonvico e di Ponte Tresa Daniela Delmenico «Buongiorno, sono un “pescatore di opportunità” e studio i cimiteri». Così potrebbe presentarsi Flavio Baumann, storico ed etnologo che ha condotto approfonditi studi sul cimitero di Sonvico e ora si sta interessando a quello di Ponte Tresa. Ma che cosa spinge a voler studiare un luogo così particolare, che suscita in molti casi diffidenza, tristezza e che è spesso oggetto di superstizione? «In effetti – racconta Baumann – è un tema a cui mi sono avvicinato un po’ per caso. Mi è stato proposto dal gruppo Amici del Torchio di Sonvico, e in particolare da Maurizio Cerri, che erano interessati alla tematica dei riti funerari. È successo qualche anno fa, quando stavo rientrando in Cile, dove vivo. Rientrato in Cile mi sono messo a studiare il cimitero di Valparaìso e nel 2011, tornato in Ticino ho iniziato ad interessarmi a quello di Sonvico, e ho ampliato la ricerca, concentrandomi su vari aspetti». Può forse sembrare strano, ma un cimitero può dirci molte cose se ascoltato e osservato attentamente, e non solo sul mondo dei morti: «la mia ipotesi di base – prosegue Flavio Baumann – è che un cimitero sia in un certo senso un microcosmo nel quale è possibile rintracciare la storia di una società. Per il mio lavoro, la prima cosa che faccio è recarmi a più riprese a visitare il cimitero sul quale intendo svolgere i miei studi… è importante lasciarsi prendere dalla sua atmosfera particolare». Per le sue ricerche, Flavio Baumann utilizza un approccio di tipo storico-antropologico, svolgendo sia uno spoglio delle fonti d’archivio sia lo studio sul posto, e interessandosi, oltre che alle fonti cartacee, alle testimonianze orali degli anziani del paese: «nel caso di Sonvico ho intervistato sei persone, nate prima del periodo in cui sono avvenuti importanti cambiamenti nella politica cimiteriale e nella gestione e nella concezione della morte, ovvero prima degli anni ’50. Queste persone da un lato mi hanno raccontato il loro vissuto e dall’altro mi hanno trasmesso anche conoscenze da loro acquisite per “sentito dire”. Le testimonianze mi hanno permesso di coprire un periodo
Secondo l’etnologo Flavio Baumann il cimitero (qui a lato quello di Sonvico) è un microcosmo nel quale è possibile rintracciare la storia di una società. (F. Baumann)
che va all’incirca dal 1900 al 1950, e di scoprire pratiche e usanze della prima metà del Novecento, legate alla morte e al cimitero. Grazie ai documenti, inoltre, ho potuto risalire fino inizio Ottocento, periodo in cui i cimiteri sono l’oggetto di un rinnovato interesse in particolare per ciò che concerne i luoghi della loro edificazione». L’etnologo definisce quello di Sonvico il suo «laboratorio», ovvero il luogo il cui studio gli ha permesso di comprendere la complessità del fenomeno, ma soprattutto di isolare alcuni elementi sui quali poter lavorare, anche nel caso di altre località, con lo scopo di testare la sua ipotesi di base. Ma che cosa ci dicono di preciso i cimiteri? «Nel caso di Sonvico – spiega Baumann – i risultati sono stati piuttosto interessanti. Prima di tutto, attraverso l’analisi dei documenti scritti, ho scoperto che ci sono state tre fasi nella storia del cimitero. Un primo periodo è quello immediatamente successivo al decreto del 1834 che obbligava i comuni, per ragioni principalmente igieniche, a spostare i cimiteri fuori dall’abitato. Nel 1835
il comune di Sonvico aveva deciso di aderire al decreto, ma la popolazione si oppose. La mia ipotesi è che la popolazione non abbia voluto che fosse toccato un edificio sacro, che ospitava i suoi defunti, ma anche che abbia voluto in un certo senso preservare la propria autonomia di fronte a un ordine che veniva dall’alto. Un secondo momento nella storia di questo cimitero è quello che comincia con il progetto della strada circolare del 1880, strada che avrebbe dovuto tagliare in due il cimitero. I verbali non registrano resistenze da parte della popolazione e, sebbene i consiglieri comunali non raggiunsero l’unanimità per l’edificazione della nuova sede, nel 1881 iniziarono i lavori per la sua costruzione nell’attuale località. La terza fase interessante per la storia del cimitero di Sonvico è quella che va dal 1938 al 1945: è la fase del primo ampliamento. In questo caso si verificarono delle opposizioni che bloccarono il progetto per almeno tre anni, in particolare da parte di alcune persone desiderose di salvaguardare gli interessi dell’Opera Caritas, un edificio ideato per acco-
gliere convalescenti e persone anziane, che era stato costruito nelle vicinanze del cimitero agli inizi degli anni ’30, su iniziativa dell’allora parroco Don Rovelli. Un secolo era trascorso dalle resistenze registrate nel 1835. I motivi, comunque, non hanno più nulla a che vedere con il centro di potere, ovvero il Cantone, ma si erano ristretti all’ambito locale. Il potere “centrale” invece è stato chiamato a più riprese a intervenire come entità arbitrale nel conflitto». Le testimonianze orali invece suggeriscono elementi legati alle pratiche funerarie, al modo di vivere il cimitero e ai riti ad esso correlati: «i testimoni mi hanno parlato dell’arrivo delle pompe funebri, che sono vettori della cultura urbana, spiegando però che esse sono state chiamate volontariamente dagli abitanti del villaggio. Inoltre, ciò che può sorprendere, e che è emerso attraverso questi racconti, è che prima degli anni ’50 il cimitero non era un luogo frequentato dai vivi, e le persone non sentivano la necessità di andare a trovare i loro morti al camposanto. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che c’era-
no altri modi di avvicinarsi ai defunti, attraverso preghiere, invocazioni… Le testimonianze mi hanno reso attento anche a due figure dimenticate nello studio sui cimiteri: l’affossatore (colui che aveva il compito di scavare appunto la fossa) e il becchino. Si tratta di personaggi fondamentali, che gestivano quello che spesso è dimenticato e che appartiene al rito funebre: le inumazioni, le esumazioni e gli spurghi. Loro incombenza erano pure i lavori di manutenzione dell’edificio cimiteriale. Per il loro contatto regolare con le salme merita senz’altro di essere riscoperto dagli storici, poiché può svelarci molte informazioni interessanti». Anche la struttura dell’edificio cimiteriale è un elemento che Flavio Baumann analizza nei suoi studi. Sono soprattutto gli ampliamenti a suggerire interessanti piste di ricerca: «quello dell’ampliamento è un discorso fondamentale nella struttura odierna dei cimiteri. Per esempio, l’architetto, attraverso la realizzazione di viali e stradine, può creare intenzioni di percorribilità. Questo è avvenuto soprattutto nel secondo dopoguerra, che come abbiamo visto è il momento in cui il cimitero diventa un luogo da visitare. Un altro aspetto interessante è quello dei colombari e dei cinerari. Questi ultimi vengono introdotti a partire dagli anni ’60, quando la Chiesa accetta la pratica della cremazione, e in un certo senso richiamano le nuove soluzioni abitative cittadine, gli edifici a più piani, che permettono di ampliare lo spazio anche in altezza: un esempio evidente del cimitero come riflesso della società dei vivi». Le ricerche attuali di Flavio Baumann, sono rivolte al cimitero di Ponte Tresa che, essendo un cimitero di frontiera, secondo l’etnologo, potrebbe avere caratteristiche particolari: «il cimitero tresiano, già ad una prima analisi dei documenti presenta delle particolarità interessanti. Esso per esempio è stato spostato al di fuori dell’abitato già nel 1820, addirittura prima degli editti governativi. Sembra inoltre che in questo caso, come in quello di un primo ampliamento, avvenuto attorno al 1850, non ci siano state opposizioni da parte della popolazione. Ma è necessario proseguire le indagini per saperne di più». Annuncio pubblicitario
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Società e Territorio Rubriche
L’altropologo di Cesare Poppi Di orsi e di cristiani L’orso, come tutti sanno, è un plantigrado. Ovvero cammina (e corre) appoggiando tutta la pianta del piede sul terreno. Non è peraltro l’unico dei mammiferi ad avere questa possibilità: topi, donnole e financo i ricci hanno la stessa caratteristica. Però, a differenza di quelli (e fatto salvo Speedy Gonzales per chi lo ricorda ed altri topi d’animazione che tutti conoscono, che però sono tipi di topi un po’ particolari poiché il loro habitat è confinato allo schermo), gli orsi in primo luogo hanno una certa stazza, ed in secondo luogo non solo riescono alla bisogna a stare in piedi sulle zampe posteriori ma riescono oltretutto a percorrere distanze non trascurabili sulle stesse: non possono, intendiamoci, correre la maratona bipede. Essendo troppo intelligenti per non capire che le lunghe distanze è meglio percorrerle a quattro zampe che si fa molta più strada, si alzano sulle zampe posteriori quando proprio bisogna, che così fanno ancora più impressione. E hanno fatto ancora più impressione sull’immagi-
nazione popolare del continente europeo poiché, in mancanza di primati (confinati da noi al centinaio di macachi della Rocca di Gibilterra) sono gli unici animali di una certa taglia a poterlo fare. Ma le analogie fra orsi e «cristiani» (uso il termine deliberatamente in questo contesto dove si parla di folklore) non si fermano qui. L’orso, infatti, si caratterizza per la sua vista frontale: come negli uomini e a differenza degli altri mammiferi per vedere ai lati deve ruotare la testa, il che gli conferisce (o così almeno appare ai noi che siamo ugualmente dotati – o handicappati, vedete voi) una certa aura di vivace intelligenza. Inoltre l’orso è onnivoro: i cristiani piantano alberi da frutto? L’orso se ne nutre. Gli alveari col miele? L’orso mangia alveare, api, miele e compagnia. Allora ripieghiamo sulla carne: l’orso ci mangia le pecore… Insomma, l’orso ci è, degli animali della foresta, il più vicino, al punto di entrarci in casa: il pupo frigna perché non vuol dormire? Orsetto di peluche e dormirono tutti felici a contenti.
Insomma: dall’Orso Balù a Winnie the Pooh l’orso incarna tutta una serie di virtù umane, e con le virtù anche la loro rassicurante controparte: saggezza, forza e intelligenza sono temperate da una certa giocosità che fa della sua passione per il miele e della sua figura rotondetta ed un po’ goffa (almeno fino a quando non capita, come successe al sottoscritto di dover testare se corre più veloce l’orso o un cristiano) un personaggio gradevole e «vicino» a noi. Di certo più del lupo, che nel folklore europeo – ahimè – gode di tutt’altra reputazione. Ma c’è di più. L’orso figura in buona parte della tradizione orale europea con attributi divini, ovvero sacri. Ad un certo punto dell’anno, alle soglie dell’inverno, l’orso sparisce dalla vista per non ricomparire che in primavera: come molti animali «ciclici» – le marmotte, la cicogna, la rondine… – ecco allora l’orso acquisire gli attributi di un essere immortale e dunque «sacro». Al punto che, nell’arco alpino, diviene animale eponimo di santi come San Romedio
e San Lucano. Sono questi ultimi santi eremiti legati alla civilizzazione di parti remote delle Alpi (San Lucano – o Lugano, il Santo protettore delle Dolomiti come i lettori più antichi dell’Altropologo ricorderanno da una puntata delle origini). La loro partnership con l’orso, che cavalcano fino a Roma dopo averlo ammansito, simboleggia una signoria sulla natura che riconosce la superiorità del messaggio cristiano e vi si inchina: l’orso è un animale convertito. Insomma: questo per dire che nella cultura popolare europea il plantigrado parte con un grande vantaggio e con una marcia in più rispetto ad altri meno blasonati (e fantasticati) colleghi. Tanto che quando nel pieno del boom ecologico di una trentina di anni fa, quando in Trentino (scusate il gioco di parole) si iniziò a parlare di rimpinguare le locali schiere ursine ormai sull’orlo dell’estinzione fu tutto un coro di consensi entusiasti. Oggi, lo stesso successo delle politiche di ripopolamento è stato tale che ormai le popolazioni di orsi Sloveni e
Trentini si sono incontrate nel territorio di mezzo – quello – per intenderci, dove vive il vostro Altropologo preferito. Da un paio di settimane un orso carpatico bionico (ovvero munito di collare collegato a non so quale centro di monitoraggio a Udine) si è presentato da queste parti e, come primo atto, si è sbranato sei pecore appartenenti ad un noto personaggio locale. Apriti cielo: improvvisamente l’orso è stato fatto segno di ogni sorta di quella che gli americani chiamano bad press – la stampa avversa. Da simpatico ghiottone buono a fare turismo è divenuto macellaio di pecore innocenti e futuro spauracchio dei turisti: «Coparlo subit – ammazzarlo subito» sentenziava l’altro giorno un amico che credevo saggio. «Perché?» gli dicevo – «Guarda che gli orsi si sono sempre comportati così e non si registra un caso che sia uno di orsi che abbiano attaccato un cristiano». Questo ci pensa un attimo e ribatte: «Sì, ma gli orsi di oggi non son più quelli di una volta. E gnanca (neanche) i cristiani». Amen.
nella geometria affettiva della famiglia rischia di rimanere a lungo impreciso e problematico. L’esperienza però insegna che, col tempo, potrà tornare il sereno, soprattutto se il benessere dei figli sarà posto al centro della questione, ma occorre saper attendere. Certe volte il nodo si scioglie quando i fratelli si riconoscono tali e, di conseguenza, confermano i rapporti tra i tre genitori. Per conoscere i vostri diritti di nonni, vi consiglio di rivolgervi al più vicino Centro di mediazione familiare, sono tutti ottimi e vi indirizzeranno nel modo migliore. Ma è anche importante, come state facendo, aprire la porta di casa, infrangere i segreti (che sono sempre segreti di Pulcinella) e condividere gioie e dolori con altri nonni. Non mi stancherò mai di ripetere la frase della grande scrittrice Christa Woolf: «io comprendo solo ciò che condivido». Per fortuna la «nonnità» ha cessato di essere una condizione esclusivamente familiare per assumere una identità sociale, per trovare nella
comunità il riconoscimento che merita e divenire una risorsa valida per tutti. In questo momento vi sentite soli ma intorno a voi vi sono tante situazioni di disagio che possono essere superate dalla solidarietà, da una prossimità che sia al tempo stesso spaziale, temporale e affettiva. Dal movimento GrossmuetterRevolution è nata, sostenuta dal Percento culturale Migros, l’Associazione AvaEva. Potete conoscerla su Internet e, se vi convince, associarvi. Credo che AvaEva accolga, non solo i «quasi nonni», ma anche chi, raggiunta la terza età, pur non avendo nipoti propri, sente di aver qualche cosa da offrire alle tante solitudini che, silenziosamente, ci circondano.
innanzi tutto, un’ondata d’ironica incredulità, cui hanno fatto seguito giustificati timori, perché certe mode, quando c’è di mezzo la tecnologia, vanno veloci. Basti pensare all’imperversare del selfie. Fatto sta che l’arrivo dei «connessi» non è un’ipotesi tutta campata in aria. Alla quale non bisogna arrendersi. «È giusto rassegnarci e aspettare, avviliti, la notizia del primo organizzatore di concerti nostrano che si sentirà sexy e astuto nell’offrire posti per twittanti al proprio pubblico?»: se lo chiedeva, sul domenicale del «Corriere della Sera», il compositore Nicola Campogrande. Per poi rispondere: «Inorridisco all’idea che l’ascolto della musica classica debba essere disturbata da un “fare altro” invasivo come quello di usare uno smartphone...». Così facendo si perde il filo di un ascolto che non può essere a singhioz-
zo, due minuti per il concerto, uno per twitter. «Mi sembra, conclude, davvero un’idiozia». Infine c’è posto per un’altra riflessione ancora, di tipo per così dire logistico e ambientale. L’arrivo degli spettatori «connessi» rappresenta, proprio nei confronti delle sale da concerto, una sorta di contaminazione, un’offesa alla sua tradizione e alla sua specificità. In questo luogo, si è sempre svolto un rito non solo culturale ma anche sociale e mondano: oggi l’unico dove sopravvivono regole di comportamento e di abbigliamento, relitti di tempi andati. A cominciare dai musicisti in frack che incutono un naturale rispetto: per quel che fanno e per come si presentano E tutto ciò in un’atmosfera di silenzio, in cui le note conducono verso viaggi interiori, altrimenti e altrove impossibili.
La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Nonni soli Cara Silvia, giorni fa mi è capitato per caso di ascoltare alla radio una bella trasmissione dedicata ai nonni. Purtroppo non sono riuscita a seguirla tutta perché quando ho acceso era già cominciata. Ma era fatta così bene che mi ha invogliato a scriverle raccontandole il mio caso, che è un po’ particolare ma potrebbe capitare a tutti. Io e mio marito abbiamo avuto un solo figlio. Avremmo voluto dargli almeno un fratello ma non è arrivato e ci siamo rassegnati concentrando il nostro amore e le nostre risorse su Fabio. È stato sempre un bravo figlio e ci ha dato molte soddisfazioni. Laureato in ingegneria, sposato con due figli maschi di 10 e 12 anni, vive e lavora a Zurigo per cui ci vediamo raramente. Con sua moglie, di origine tedesca, ci sono rapporti buoni ma molto formali, non ci dà confidenza. Qualche giorno fa con una lettera molto concisa, Fabio ci ha comunicato che attende una figlia concepita fuori dal matrimonio. Non intende lasciare la famiglia ma ha già avviato il ricono-
scimento della bambina. La situazione è molto delicata e ci prega di restarne fuori. Non so se questa decisione varrà per sempre ma a noi non sembra giusta. Siamo pur sempre i nonni e non accettiamo di non poter abbracciare la nostra unica nipotina. Amiamo molto i due nipoti maschi ma ormai sono grandi e non hanno più voglia di stare con noi e, da tempo, ci sentiamo soli. Vorremmo sapere quali sono i nostri diritti e come possiamo farli valere. Grazie del suo aiuto. / Una quasi nonna Cara «quasi nonna», comprendo il vostro stato d’animo perché l’attesa di un bambino, nel vostro caso di una bambina, non può lasciare indifferenti i genitori dei genitori. Le generazioni sono una catena che allaccia gli anelli della parentela nel tempo, garantendo a ciascuno identità e continuità. Suppongo che l’altolà imposto da vostro figlio sia momentaneo, una sospensione in attesa che si calmino le acque. Per vostra nuora il momento
deve essere particolarmente difficile perché la scoperta di un adulterio è sempre traumatica ma ancor più quando c’è di mezzo un figlio non proprio. Oltre a tutte le autoaccuse che s’infligge una moglie tradita, vi è nel suo caso anche quella di sentirsi una madre tradita. I suoi figli non bastavano al padre? Perché ne ha cercato un altro con un’altra? Sono domande ingiuste ma le emozioni profonde non seguono la razionalità e la logica. Anche per i ragazzi non sarà facile vedere la madre umiliata e sapere che il padre ha una seconda vita, di cui loro almeno per il momento non fanno parte. Ne sappiamo poco, ma è probabile che anche la coppia costituita da vostro figlio e dalla donna che tra poco lo renderà padre per la terza volta sia profondamente turbata. Tuttavia mi preoccupa soprattutto la piccola che nascerà. Se Fabio non intende separarsi e la moglie accetta il compromesso, la nuova bambina prima o poi si sentirà esclusa e, per quanto la legge ne tuteli i diritti, il suo posto
Informazioni
Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch
Mode e modi di Luciana Caglio Sale da concerto: la minaccia dei «connessi» Dovrebbe essere persino superfluo spiegare chi siano i «connessi», categoria i cui esemplari appartengono ormai al nostro paesaggio umano quotidiano. In altre parole: alla presenza di persone, munite di auricolari, di smartphone, di tablet, cioè collegate, in gergo connesse, abbiamo fatto l’abitudine E, quindi, abbiamo imparato a trattarle nel dovuto modo: alla stregua di concittadini, in apparenza vicini, in realtà lontani. Scherzi, insomma, della tecnologia di cui, in pari tempo, si è i fortunati utenti e, a volte, le vittime inconsapevoli. Ogni invenzione si espone al rischio di usi balordi, compulsivi, patologici, o semplicemente impropri. È il caso, come si è appreso recentemente, dei «connessi» che siedono nelle poltrone delle sale da concerto. Armati dei più aggiornati congegni
elettronici, telefonini cosiddetti intelligenti e di tavolette, vivono pure qui una presenza sdoppiata. Da un lato, ascoltano Beethoven, Verdi o Ravel, e dall’altro, comunicano ai familiari e agli amici le loro reazioni ed emozioni. Una forma, come gli stessi interessati spiegano, di condivisione che accresce il godimento facendone partecipi gli altri. E, di ciò, sono grati a una tecnologia, gestita senza limiti, neppure quello di un normale buon senso. Ma, in pratica, quanti sono questi melomani, patiti di musica classica e di social network? L’identikit della categoria è approssimativo: si tratta, in prevalenza, di giovani di classe agiata e urbana, numericamente ancora minoritaria, ma in crescita. Negli Stati Uniti e in Australia, dove ha fatto la sua comparsa, è considerata l’avamposto di un fenomeno incombente e preoccupante.
Da tenere d’occhio. Tanto che in alcune sale da concerto e teatri dell’opera, a San Francisco, Dayton, Cincinnati, si è deciso di destinare ai «connessi» una certo numero di poltrone, i cosiddetti twitt seats, in un’area riservata, in modo da evitare possibili dispute con i comuni spettatori, disturbati e scandalizzati da vicini smanettanti su una tastiera. Con ciò, le opinioni, anche fra gli addetti ai lavori oltre Oceano, rimangono contrastanti. Si citano casi di direttori d’orchestra e di solisti di fama, come Valentina Lisitsa, che vedono in queste forme di diffusione, via social network un mezzo di promozione al servizio della musica classica. Come dire, il fine giustifica i mezzi: massima di cui diffidare, anche nell’ambito culturale. La notizia, valicando l’Atlantico, ha suscitato nel vecchio continente,
VW MULTIVAN: 24 ORE PROVATE E VINCETE
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La famiglia Basler era entusiasta dell’emozionante esperienza vissuta con il versatile VW Multivan.
La famiglia Basler ha già colto l’occasione e testato gratuitamente il VW Multivan per 24 ore. «È’ stato geniale» ha commentato mamma Claudia (40) «al mattino ho accompagnato mio marito alla stazione ed, eccezionalmente, i bambini a scuola.» I figli Ladina (12), Kevin (9) e Laura (8) erano felicissimi dello speciale servizio taxi. «I miei compagni di classe erano un po’ invidiosi quando siamo arrivati con il nostro colorato Multivan» ha spiegato fiero Kevin. «Mi sono piaciuti in particolare i colori dei sedili e la grande porta scorrevole» ha aggiunto la piccola Laura. Anche mamma Claudia ritiene geniale la soluzione della porta scorrevole sul lato destro: «In questo modo i bambini possono scendere dalla parte del marciapiede. È un importante aspetto per la sicurezza.» Nel primo pomeriggio la famiglia Basler ha utilizzato il versatile VW, con una capacità di carico fino a 5800 litri, per recarsi al centro. «Non capita spesso di avere tanto spazio!» sottolinea soddisfatta mamma Claudia. «E i sedili si possono ripiegare con poche manipolazioni, regolare facilmente in lunghezza come pure togliere completamente» constata Claudia. Ma questo non è necessario. Con l’aiuto di Kevin, Laura e il collaboratore del centro Frank, le piante di bosso per il giardino
Mamma Claudia accompagna eccezionalmente i figli a scuola.
si caricano velocemente attraverso l’imponente portellone del bagagliaio. Il Multivan non è solo un funzionale veicolo da trasporto. «A me è piaciuto anche il suo brillante motore diesel, in combinazione con il raffinato cambio DSG e il comportamento stradale, simile a quello di una berlina» puntualizza papà Christian (42) dopo aver accompagnato il figlio Kevin alla partita di calcio. Prima della partita la famiglia Basler ha avuto ancora il tempo per una simpatica sfida familiare al pallone. «Con i suoi sette posti il Multivan è veramente un veicolo per tutte le necessità» constata l’insegnante di scuola elementare. Mamma Claudia aggiunge un tocco di romanticismo: «Ma è anche ideale per una gita a due.» La sera infatti i Basler
si lasciano viziare con un piacevole appuntamento a teatro – senza i bambini. E chi guida? «Logicamente io!» e Claudia si impossessa al volo della chiave. «Nonostante le sue dimensioni, grazie alla rialzata posizione dei sedili e al comodo diametro di sterzata, il Multivan è estremamente maneggevole» sottolinea la quarantenne. «Anche parcheggiare è un gioco da ragazzi grazie al pratico sistema di assistenza. In questo modo si evita qualsiasi ostacolo» puntualizza. Dell’esperienza di 24 ore al volante del VW Multivan la famiglia Basler è entusiasta e, a malincuore, si separa dal versatile e familiare amico. Volete vivere anche voi l’esperienza Multivan? Allora annunciatevi ancora oggi digitando www.multivan.ch per un’avventura senza precedenti!
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Ambiente e Benessere Graffiti dalla Preistoria Arte rupestre nella Valle delle Meraviglie, in Francia
Il piatto più fresco e semplice L’insalata di riso è una ricetta che non sembra attirare l’attenzione dei gastronomi eppure merita l’interesse dei buongustai pagina 19
Il futuro viaggia a batteria Le case automobilistiche investono con decisione nel settore delle auto a propulsione elettrica
Una giornata in scuderia La Federazione ticinese sport equestri vuole promuovere la relazione uomo-cavallo
pagina 23
pagine 16-17
pagina 25
Anche la Rega tra gli ospiti della manifestazione. (www.rega.ch)
«Cielo Aperto» non è solo aviazione Manifestazione La celebrazione dei 75 anni dell’aeroporto di Locarno e dei 100 delle Forze aeree svizzere,
dal 20 maggio al 1. giugno, sarà anche l’occasione per riflettere su ambiente, sicurezza e benessere Loris Fedele Che una manifestazione aviatoria possa anche sottintendere un legame con il benessere e l’ambiente non è cosa evidente. Eppure, a ben guardare, «Cielo Aperto», che dal 20 maggio al 1° giugno celebrerà il 75° compleanno dell’Aeroporto cantonale di Locarno e il 100° delle Forze aeree svizzere, può presentare anche questo aspetto. Lo si vede scorrendo alcuni nomi degli ospiti chiamati per le conferenze: la REGA, Brian Jones, Paolo Nespoli, André Borschberg. La REGA: tutti sanno cosa fa. Al di là dei suoi meriti aviatori, i soccorsi a chi ha bisogno d’aiuto indubbiamente forniscono un servizio che favorisce la nostra qualità di vita. Brian Jones: è quello che con Bertrand Piccard nel 1999 riuscì per primo a compiere il giro del mondo in mongolfiera. Parlerà di questo ma, conoscendolo un poco, è lecito aspettarsi che aggiunga dell’altro, tra cui l’ambiente e la salute delle persone. Poi c’è Paolo Nespoli: astronauta italiano con all’attivo diverse missioni spaziali, tra le quali una lunga permanenza sulla Stazione Spaziale Internazionale, la sua presenza può implicare molti aspetti. André Borschberg: anche lui partner di Bertrand Piccard, ma questa volta non su un pallone aerostatico spinto dal vento bensì su un aereo a
propulsione elettrica che non consuma carburante, il Solar Impulse, il cui ultimo modello destinato a fare il giro del mondo nel 2015 è stato presentato alla stampa il 9 aprile scorso. Lo scrupolo ambientale dell’aereo solare è evidente. Cominciamo dalla REGA, guardia aerea svizzera di soccorso, la migliore assicurazione per chi viaggia nelle Alpi: 2,5 milioni di sostenitori, medici, paramedici e piloti pronti per qualsiasi urgenza, fino al rimpatrio dall’estero di feriti o ammalati. Molti di noi hanno ricordi personali e aneddoti legati alla meritevole opera di questa Fondazione e quando si sente il rumore di un elicottero in volo, immancabilmente si levano gli occhi al cielo per riconoscere i colori che ne segnalano la presenza. L’applicazione iPhone gratuita della REGA trasmette le coordinate di chi lancia l’allarme, cioè l’esatto punto dove si trova. La tempestiva localizzazione è un elemento importante per un soccorso efficace. Per gli elicotteri l’elibase nella Svizzera italiana (Rega 6) è all’aeroporto di Locarno, e può contare dall’aprile 2013 su una nuova struttura costruita dove sorgeva il vecchio edificio inaugurato nel 1982. Da Brian Jones è lecito aspettarsi un entusiasmo particolare. Inglese, nato nel 1947, pilota della Royal Air Force, il primo marzo 1999 partì da Château d’Oex (nel canton Vaud) come
co-pilota di Bertrand Piccard con quel pallone che in 19 giorni, 21 ore e 47 minuti avrebbe fatto compiere loro il giro del mondo senza scalo. Jones ci tiene a far sapere che quel volo non lo ha reso un uomo diverso da quello che è sempre stato e non si sente particolarmente eroico. Tuttavia, il suo modo di vedere le cose si è arricchito con le imprese vissute. «Quando il 21.3.1999», disse in un’intervista, «il Breitling Orbiter 3 atterrò in Egitto, al termine della felice impresa, mi vidi appioppare l’etichetta che mi attribuiva un posto tra i “pionieri dell’aviazione”. Di certo fu un onore, ma sorvolando la Terra nella piccola capsula del pallone aerostatico mi resi conto della fragilità del nostro pianeta e dei popoli che lo abitano. Questo mi ha portato a fondare Winds of Hope (“Venti di speranza”), per promuovere un approccio più sensibile al nostro ambiente e al futuro dell’umanità». Il paragone tra un viaggio milionario con la visione di un pianeta bellissimo e la percezione, prima dell’atterraggio, di un’Africa suggestiva ma dove gente poverissima moriva di fame, fecero scattare in Jones l’idea dell’aiuto tramite una Fondazione. Per il suo successo Breitling Orbiter 3 ricevette negli Stati Uniti il «Premio Budweiser» di 1 milione di dollari. Lo sponsor Breitling (nota casa svizzera fondata nel 1884 per costruire
cronometri e strumenti per orologiai ed ora leader mondiale nella produzione di strumenti da polso per aviatori) aggiunse una generosa somma ed entrambi le ditte permisero la nascita della Fondazione Winds of Hope, il cui primo impegno fu focalizzato nel combattere, insieme con l’Organizzazione Mondiale della Sanità, una scioccante malattia africana: il Noma. Si tratta di una sorta di infezione gangrenosa, che distrugge i tessuti ossei e molli del viso, scavando buchi nelle guance, sul naso e sulla bocca delle giovani vittime. Il postumo più invalidante è la contrazione permanente della mandibola. Nei poveri villaggi africani è considerata una maledizione di cui vergognarsi. L’azione di Winds of Hope, con operatori sul posto, è cominciata con successo nel Niger e si sta estendendo a Burkina Faso, Mali, Benin, Togo e Senegal. Tornando all’aeronautica, Jones adesso si è lanciato nell’avventura di promuovere la possibilità di volo in pallone per i disabili, con allenamenti e adeguati modelli di cestelli biposto. Un altro che, come tutti gli astronauti del resto, ha notato dallo spazio la fragilità del pianeta è Paolo Nespoli, anche se, per riprendere il titolo del suo saggio scientifico pubblicato in Italia nel 2012 «Dall’alto i problemi sembrano più piccoli». Nespoli, nelle due missioni spaziali che lo hanno impegnato,
ha avuto moltissimi contatti con le scuole e ha svolto programmi che contemplavano l’educazione giovanile a vari livelli. A cavallo tra il 2010 e il 2011, nel corso della missione MagISStra (che volutamente combinava la parola «maestra» con la sigla ISS della Stazione spaziale internazionale), missione durata ben 159 giorni, Nespoli ha effettuato dalla stazione in orbita a circa 400 km da terra oltre 70 collegamenti con gli studenti e portato a termine più di 30 esperimenti scientifici. L’ultima conferenza sarà quella di André Borschberg con il suo Solar Impulse: un aereo monoposto in fibra di carbonio con un’apertura alare di 72 metri (superiore a quella dei grandi aerei per voli intercontinentali che caricano quasi 500 persone), ma pesante come un’automobile (2300 kg). Quello che conta, però, sono le 17mila celle solari fotovoltaiche integrate nelle ali che forniscono ai 4 motori elettrici l’energia necessaria a farlo volare, di giorno e di notte, anche al buio, grazie alle batterie che ne accumulano l’energia rinnovabile. Niente di commercialmente sfruttabile in campo aviatorio ma un velivolo che intende essere ambasciatore di una filosofia di vita, dando una ulteriore spinta all’idea di non sprecare malamente le risorse della Terra e di risparmiare l’energia fossile per usi più mirati.
Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Ambiente e Benessere
Ambiente e Benessere
La valle delle meraviglie Viaggiatori d’Occidente Nel cuore delle Alpi marittime, in Francia, si snoda una valle ricca di graffiti preistorici,
i più antichi risalenti all’età del bronzo – Una terra aspra e inospitale che l’essere umano frequenta da millenni
Sinai, Olimpo, Ararat, Kailash... Nelle tradizioni di molte religioni le vette sono dei luoghi propizi al rapporto tra gli uomini e i loro dei. Fra le rocce d’alta quota i fenomeni naturali possono apparire più violenti, definitivi e sovrumani che altrove e quindi i picchi e le pietre di montagna sono spesso divenuti l’ambiente ideale per il contatto con il sovrannaturale.
La Valle delle meraviglie è un’area protetta, in alcuni settori ci si può recare solo accompagnati da una guida.
Oggi molta attenzione viene dedicata alla salvaguardia delle iscrizioni, in passato rovinate dai visitatori Per esempio a pochi chilometri dal confine tra il Piemonte e la Francia, nel cuore delle Alpi Marittime, la Valle delle meraviglie e il circo selvaggio del monte Bego sono spesso squassati da temporali violentissimi. E proprio qui, in un paesaggio minerale e inospitale, cacciatori e pastori del passato hanno scolpito le loro immagini sacre, raffigurato dei e animali, lasciato sulle rocce lisciate dai ghiacciai uno straordinario museo all’aperto che comprende migliaia di graffiti. Le immagini più antiche della vallata risalgono all’età del bronzo e la maggior parte dei disegni scolpiti sono
stati datati tra il 1900 e il 1500 prima di Cristo, ma la frequentazione di questa zona è stata lunga e quasi ininterrotta per millenni. Anche in epoca storica, e fino alla
comparsa dei primi studiosi attratti dai graffiti alla fine dell’Ottocento, gli abitanti dei paesi del fondovalle hanno guardato con timore e rispetto le misteriose pietre istoriate. E molte sono
le leggende che narrano di pastori e demoni, di oscuri stregoni e di sabba infernali che, durante le notti di tempesta, potevano far smarrire per sempre un malcapitato viandante.
Per raggiungere questa straordinaria esposizione preistorica all’aria aperta, il punto di partenza obbligato sono le case di Tende, arroccata lungo il corso della Val Roya, che s’incontra pochi
chilometri dopo aver superato il confine italiano che corre nel buio della galleria del Colle di Tenda. In paese, dove sia l’italiano che il francese sono di casa a causa degli spostamenti dei confini del passato, e dove non manca la contaminazione tra baguette e focaccia, apre i suoi battenti un moderno museo dedicato all’arte preistorica della zona (www.museedesmerveilles.com), e molte sono le società di guide che si offrono di accompagnare i visitatori fino alle pietre dell’antico santuario. Per salire agli oltre duemila metri del Refuge des Merveilles, la spartana e accogliente costruzione che è il punto di appoggio ideale per chi vuole addentrarsi nel mondo dell’arte rupestre, si sale a piedi per circa tre ore in un paesaggio spettacolare e sempre più arido (l’alternativa è un più comodo passaggio in fuoristrada...). Per gustare appieno la maestosità del luogo una buona idea è quella di trascorrere la notte al Refuge des Merveilles, sopportando qualche piccola scomodità in attesa dello splendore dell’alba.
Dal rifugio, circondato dai pannelli solari sparsi tra le pietre scure, nella buona stagione una guida parte più volte al giorno per percorrere l’itinerario che serpeggia tra rocce e radi ciuffi d’erba e conduce ai graffiti più interessanti. Diverse sono infatti le zone dove non si può accedere da soli: siamo nel cuore del Parc National du Mercantour (www.parcmercantour.com) e i regolamenti dell’area protetta vietano di passeggiare da soli in alcune porzioni di questa gigantesca area archeologica all’aperto. Molta attenzione, saggiamente, è stata dedicata alla salvaguardia delle iscrizioni che, nel corso degli ultimi decenni, sono state rovinate dalla disattenzione o dalla stupidità dei visitatori molto più che nei trenta o quaranta secoli precedenti. La passeggiata si snoda su balze e dossi rocciosi e richiede un minimo di fatica e d’impegno, che sono ripagati dalla meraviglia che suscitano i segni e i graffiti sulle rocce e dal panorama sulla valle che sembra tagliata a metà dalle acque color grigio ferro del Lac Long. In base a criteri e scelte incompren-
sibili per noi, i graffiti a tratti sembrano diradarsi e si moltiplicano invece in alcune zone, come quella dove spicca l’immagine del sorcier (lo stregone), che sembra brillare sulla roccia rossastra delle chappes, le imponenti gobbe lisce e arrotondate dallo scorrimento di un
antico ghiacciaio, il cui strano nome deriva, banalmente, dalla parola ligure «chiappe»… Una splendida passeggiata – per la quale è necessaria un’attrezzatura da escursionismo collaudata e che richiede circa cinque ore – sale dalla Valle
delle Meraviglie fino ai valichi della Baisse de Valmasque e della Baisse de Fontanalba. Qui movimenti e rumori tra le pietre testimoniano che siamo entrati in un ambiente popolato da camosci e stambecchi, che non sembrano particolarmente turbati dallo sbuffare dei visitatori lungo i tornanti, e in cielo è facile avvistare il lento volo planato degli imponenti gipeti, gli avvoltoi degli agnelli. Ai piedi dei colli si spalanca la valle di Fontanalba, dove un secondo nucleo di graffiti occupa le balze e i dossi attorno ai due specchi d’acqua dei Lacs Jumeaux, a poca distanza da un secondo rifugio. Una breve passeggiata permette poi di discendere nuovamente verso il punto di partenza del parcheggio del Lac des Mesches, lasciandosi alle spalle il silenzio e la suggestione delle magiche vallate segnate profondamente dalla devozione dei nostri lontani antenati. Durante la discesa il pensiero si volge grato al severo isolamento che ha conservato la loro maestosa imponenza e i tesori d’arte del passato.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
Ambiente e Benessere
Il piatto dell’estate Allan Bay L’insalata fredda di riso è uno dei piatti più diffusi che ci siano. Molti non la amano, trovano che sia un piatto poco nobile sempre e comunque. Chi scrive resta del parere che un piatto fatto bene (e con buoni ingredienti) sia sempre buono mentre se è fatto male è cattivo; oltre a questo, non esistono piatti nobili e piatti meno nobili. Vediamo quindi cosa, a mio parere sia chiaro, bisogna fare per rendere «buona» l’insalata di riso.
Come per tutti i piatti il segreto sta nella scelta di ingredienti di qualità Prima cosa, ovvia e banale, è utilizzare buone materie prime. Questo vale per tutte le ricette ma va sempre ricordato: se le materie prime non sono buone anche un cuoco bravissimo prepara un piatto banale. Seconda cosa: quale riso utilizzare. Quelli che funzionano di meno sono i risi della tradizione italiana, a grana tonda, i Carnaroli, gli Arborio, i Vialone Nano. Una volta raffreddati (vedi poi), degradano sempre. Funzionano meglio i risi a grana lunga tipo Basmati, Patna o Thai, che reggono meglio il raffreddamento. Quanto al parboiled, si può raffreddare alla grande ma ha una consistenza che trovo penalizzante: non lo uso mai. Infine va molto bene la pasta cosiddetta risone, dalla forma del grano di riso, che regge bene il raffreddamento – e quando viene servita nessuno nota la differenza... Terza cosa. Qualunque riso venga utilizzato, prima di cuocerlo va lavato bene in un colino sotto acqua corrente (ma mai messo a mollo nell’acqua!) e poi fatto scolare a lungo, diciamo almeno 20’.
Quarta, fondamentale cosa: come far raffreddare il riso. Per i ristoranti non c’è problema, dato che hanno l’abbattitore di temperatura: basta condire il riso con poco olio, distribuirlo su di una placca la più ampia possibile e poi abbattere la temperatura del riso a +20°, mai a una temperatura inferiore. Ma a casa? Passarlo sotto acqua corrente in un colino, come tutti facciamo, fa sì che il riso si infradici di acqua: non va bene. Meglio scolarlo al dente, condirlo con poco olio e distribuirlo su un’ampia superficie fredda, meglio se di acciaio o di marmo. E poi muoverlo di tanto in tanto delicatamente con una forchetta perché i chicchi non si incollino uno con l’altro durante il raffreddamento. I giapponesi, che hanno anche loro un riso a grana tonda e che lo raffreddano per preparare il sushi, fanno così. Lavato bene il riso e scolato a lungo, lo mettono in una casseruola, uniscono poca alga kombu e lo coprono d’acqua fino a 1 cm oltre il filo. Portano al bollore a fuoco medio, levano la kombu, abbassano la fiamma, coprono e cuociono per 15’ senza levare il coperchio. Spengono e lasciano riposare per 15’. Intanto riducono dell’aceto di riso a metà con poco zucchero e poco sale. Versano il riso cotto in un ampio recipiente di legno, lo distribuiscono uniformemente e lo spruzzano con l’aceto intiepidito, mentre al contempo fanno intiepidire il riso... agitando un ventaglio. Bene, funziona anche se si utilizzano i nostri risi e più che mai quelli a grana lunga. Ovviamente, cuocendolo in abbondante acqua e poi scolando, omettendo la kombu (ma si può anche lasciare: è un’alga, da un piacevole e vaghissimo sentore di mare) e omettendo l’aceto, non essenziale nel nostro caso. Provate. Poi il riso si arricchisce con quello che si vuole: ma con ingredienti a temperatura ambiente. Quanto alla conservazione, dura al massimo un giorno, ma senza metterlo in frigorifero: in frigo il riso diventa oltremodo indigesto.
Marka
Gastronomia L’insalata di riso sembra una ricetta poco nobile, eppure...
CSF (come si fa)
Misteri della cucina: in Lombardia per polpette (da noi si dice polpett) di carne si intendono degli involtini. Mentre quelle che tutti gli altri chiamano polpette si chiamano mondeghili (vedi foto). Misteri della cucina… Vediamo comunque come si fanno. Polpett alla lombarda. Per 4 persone. Farcite 600 g di fettine di fesa di vitello o di lonza di maiale con un ripieno composto da 200 g di pancetta tritata, 1
uovo, 1 manciata di prezzemolo tritato, 2 cucchiaiate di pangrattato meglio se leggermente tostato, 1 manciata di grana grattugiato, sale e pepe. Arrotolate le fettine, legatele con il filo alimentare. Scaldate in una padella 1 noce di burro e 1 filo di olio di oliva non extravergine (questa miscela di olio di oliva non extravergine e burro è una delle cosa più lombarde che ci siano: a casa mia si faceva da sempre ed è uno dei più netti ricordi infantili di cucina che ho) con uno spicchio di aglio mondato e leggermente schiacciato, unite gli involtini e rosolateli per 5 minuti. Bagnate con un bicchiere di vino bianco secco, meglio se sobbollito per 3 minuti, dove avrete stemperato una punta di concentrato di pomodoro; coprite e portate a cottura, cuocendoli fino a che saranno teneri e il
sugo si sarà ristretto, unendo pochissima acqua bollente se necessario. Mondeghili. Sono da sempre a base di carne già cotta: meglio se cotta arrosto, va ancora bene se cotta brasata o stufata, va un po’ meno bene se lessata ma pazienza. Per 4 persone. Frullate 400 g di manzo o vitello già cotto con 200 g di prosciutto cotto, 100 g di mortadella di fegato, 4 fette di pancarré private dei bordi poi ammollate nel latte scolate e strizzate, poca buccia di limone non trattato, sale, prezzemolo tritato, pepe e noce moscata e infine amalgamate con un uovo. Tenetelo per un’ora in frigorifero poi preparate le polpette leggermente schiacciate. Passatele nel pangrattato, rosolatele in un filo di olio di oliva non extravergine e un’abbondante noce di burro caldi e servitele.
Manuela Vanni
Oggi due ricche, saporite e impegnative minestre: una di quaglie, addirittura manoscritta da Gioacchino Rossini, e l’altra super canonica.
Manuela Vanni
Ballando coi gusti
Minestra di quaglie alla Rossini
Minestrone alla genovese
Ingredienti per 4 persone: 8 quaglie già pulite · rigaglie di pollo (cuori, fegatini e
Ingredienti per 4 persone: fagioli borlotti freschi g 300 · 1 cipolla · funghi champi-
creste) g 100 · funghi champignon g 100 · 4 cucchiai di soffritto di scalogni · 1 piccolo tartufo nero · Brandy · brodo di vitello 1 litro · burro · sale e pepe.
gnon g 100 · zucchine g 300 · pomodori g 400 · cavolo nero g 400 · 1 grosso mazzo di basilico · 1 spicchio d’aglio · pecorino grattugiato g 20 · grana grattugiato g 20 · pinoli g 20 · olio extravergine di oliva, sale e pepe.
Mondate i funghi e tagliateli a fette. Tritate le rigaglie. Fiammeggiate le quaglie sul gas per eliminare ogni traccia di piume, poi lavatele, asciugatele e tagliatele a metà. Scaldate 40 g di burro in una casseruola, unite le quaglie e le rigaglie e rosolate uniformemente mescolando con un cucchiaio di legno. Flambate con un bicchierino di Brandy, unite il soffritto e i funghi, versate il brodo e cuocete coperto per 1 ora. Spegnete, recuperate le quaglie, disossatele e rimettetele nella casseruola. Cuocete ancora per un paio di minuti e regolate di sale e di pepe. Versate la minestra nei piatti da portata e terminate con qualche lamella di tartufo: Rossini metteva il tartufo su tutti i piatti...
Sgusciate i fagioli, metteteli in una pentola con 1 litro e ¼ di acqua e cuoceteli per 1 ora abbondante. Pelate la cipolla e tagliatela a rondelle sottili. Mondate gli champignon e tagliateli a fette. Lavate i pomodori, privateli dei semi e dell’acqua, poi tagliateli a listarelle. Mondate il cavolo nero, eliminate le costole dure, lavatelo e fatelo a listarelle. Cuocete il tutto per 20’, alla fine regolate di sale. Per il pesto: lavate e asciugate il basilico. Mettetele nel bicchiere del frullatore (tolto dal freezer) l’aglio tagliato a metà e privato del germoglio, i pinoli e 4 cc di olio. Frullate e aggiungete i formaggi. Servite e condite con 1 cc di pesto a testa e 1 pizzico di pepe.
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Ambiente e Benessere
Dioniso e il capretto Bacco a tavola Un piatto gustoso e delicato, tipicamente primaverile
la cui storia affonda le radici nella mitologia mediterranea Davide Comoli In primavera la carne del capretto raggiunge il vertice della sua bontà: saporosa e ricca di aromi, l’abbiamo gustata più volte nei recenti viaggi tra la Grecia e la Turchia, declinata in diverse ricette tradizionali della cucina medio-orientale, innamorandoci. Simbolica vittima (con l’agnello) dei riti gastronomici pasquali, il capretto continua secondo tradizione a trasferirsi sulle grandi tavolate odierne del nostro cantone, dove riveste il non invidiabile ruolo di primo attore nelle cucine dei ticinesi. Il vero capretto dovrebbe non aver toccato l’erba: essere «giovanino e dolcissimo», come soleva affermare G. D’Annunzio (1863-1938), il quale essendo nato in Abruzzo, regione dove è diffusa la pastorizia, prediligeva i nati sul massiccio della Maiella. Il capretto da cucinare dovrebbe essere un po’ grasso, ma non troppo. Quel tipo di grasso che, per intendersi, si squaglia facilmente durante la cottura e si consuma adagio, mentre la sua carne s’ammorbidisce e s’insaporisce al punto giusto. Da cuocere al forno o magari arrostito sul girarrosto, ungendolo con il suo grasso gocciolante, mentre la crosticina che si stacca scoprendo la sua polpa bianca spande un delizioso e invitante aroma. Scriveva Jean Leclery capocuoco nelle cucine del Re di Francia Francesco I (1494-1547): «Animale così de-
bole, tenero, giovane che fa tenerezza a molti, ma tutti ne mangiano, quando intero lo infilo sullo spiedo e cuocendolo insaporisco le sue carni con miele, spezie e vino di Spagna». Interessante è pure una ricetta della stessa epoca tratta da un vecchio libro che descrive l’intingolo che le Agostiniane del convento di Montefalco, battezzarono con l’altisonante nome di «fior del mondo», per la moltitudine di spezie ed erbe che accompagnano ogni tappa della preparazione del capretto. Nella cucina di quel tempo le carni del capretto si cucinavano (come oggi) al forno, alla griglia o allo spiedo, accompagnate da erbe aromatiche. Non mancano le fritture in padella con olio di mandorle (dal sapore più dolce), come anche la cottura «inter cineres» o su una lastra di pietra, sotto la quale ardeva abbondante la brace. La preparazione del capretto non ha subito nei secoli grossi o evidenti cambiamenti nei modi di cucinarlo. Sono solo cambiati gli attrezzi di cucina: lo si fa in cento modi, secondo reiterati usi locali e ancestrali sistemi di cottura. Nella vicina penisola il capretto compare molto spesso nelle ricette regionali, accompagnato da vini che provengono dalla stessa terra, creando così un abbinamento «denominato» di tradizione. In Abruzzo e nel Molise, il capretto è cucinato alla pecorara, tagliato a pezzi e lavato, è cotto in una speciale teglia di rame, munito di coperchio a chiusura ermetica, senza alcun condimento all’infuori del sale, del peperon-
cino e di una cipolla spaccata in quattro: un robusto Montepulciano d’Abruzzo sarà l’evidente suo compagno. Il classico mangiare pasquale napoletano è il capretto con piselli all’uovo: tagliato a pezzi e ben rosolato con cipolla, sfumato con del vino bianco, tirato a lenta cottura in compagnia di teneri pisellini, viene sul finire irrorato di uova sbattute con prezzemolo e formaggio grattugiato: provatelo con il Taurasi, il grande Aglianico campano. Imperdibile è il capretto ripieno che abbiamo provato in Sicilia, molto somigliante a quello mangiato in Calabria, dove venne onorato con un rosso Gaglioppo di Lamezia, disossato viene poi farcito di pastasciutta (conallini) condito con il sugo delle frattaglie, prosciutto crudo, caciocavallo e uova sode; lo abbiamo assaggiato a Randazzo (Catania) accompagnandolo con un locale Nero d’Avola. Un potente Cannonau sarà senza alcun dubbio il compagno del capretto cotto al girarrosto, magari manovrato a mano «su purria purria» come fanno in Sardegna, dove i pastori conoscono l’antica tecnica per cuocerlo su legni odorosi e ungerlo con il lardo che gocciola. Ma oltre alla tradizione, c’è un legame più forte che lega il nettare di Bacco al timido capretto. Dovete infatti sapere che Dioniso, Dio greco del vino, nel mito era figlio di Zeus e della principessa tebana Semele. Semele era incinta del figlio di Zeus quando la sua gelosa moglie, Era, le si avvicinò travestita da vecchia e la convinse a chiedere a Zeus questo favore: che venisse a visitarla
Gli accostamenti con i vini appropriati esaltano le varie ricette regionali.
sotto le sue vere spoglie. Dopo che Semele ebbe fatto questa richiesta, Zeus si presentò sotto forma di fulmine, la qual cosa incenerì Semele, ma rese immortale suo figlio. Zeus cucì nella propria coscia il figlio non ancora nato, finché non venne alla luce. Il neonato fu poi affidato alle cure della sorella di Semele, Ida, per paura che fosse ucciso dalla gelosa Era. Fu in seguito affidato e nascosto per essere educato al vecchio Sileno e alle ninfe del monte Nisa, dove crebbe sotto le spoglie di un capretto per sfuggire alla vendicativa pluritradita moglie del Padre degli Dei. Da quel giorno il capretto, la capra e il caprone, accompagnarono tutte le adorazioni e i misteri di Dioniso, nei quali, causa la trasforma-
zione divina di questa bestia minuta, essi hanno un ruolo importante. Infatti proprio nella tarda primavera, quando le foglie della vite erano già ben sviluppate, iniziava un ciclo di baccanali nel quale, durante l’estasi dei seguaci, soprattutto donne, le baccanti coperte di pelli di capretto, cadevano voluttuosamente in trance, ballando sulle note del flauto di Pan. Il capretto e le sue carni hanno dunque lasciato una profonda traccia nella Grecia antica e dunque anche nella cultura del mondo occidentale. Sotto le sembianze di un capretto, questo dio frigio-tracio ispirò il mitico Orfeo nella composizione di dimenticate melodie suonate sulla lira, rimpiangendo Euridice. Annuncio pubblicitario
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Mario Alberto Cucchi Più spazio alle vetture elettriche e meno automobili a gasolio sulle strade, questa è una necessità per la Francia. Lo ha dichiarato il Ministro dell’Ecologia francese, Ségolène Royal, in un’intervista televisiva. Negli ultimi tempi, le emissioni inquinanti hanno raggiunto livelli di guardia nel Paese, tanto da forzare le autorità locali ad applicare drastiche misure sulla circolazione a Parigi per la prima volta dal 1997. Il costruttore francese Peugeot risponde tempestivamente all’appello del ministro presentando il nuovo prototipo Exalt. «Con Exalt, Peugeot svela la sua visione della berlina che associa design elegante, polivalenza e rispetto per l’ambiente». Così il direttore dello stile del Gruppo transalpino, Gilles Vidal, ha presentato la nuova concept Exalt. Il Leone l’ha esposta in anteprima mondiale al Salone dell’auto di Pechino che ha chiuso i battenti lo scorso 29 aprile. Un prototipo dedicato al piacere dei sensi e caratterizzato da un taglio netto della carrozzeria, ripreso dalla Onyx, reinterpretato abbinando l’acciaio grezzo ad un tessuto efficiente (Shark Skin), ispirato alla struttura della pelle dello squalo. Exalt ha la trazione Hybrid4 e monta un propulsore THP da 270 cavalli abbinato a uno elettrico per una potenza totale di 340 cavalli. Altra anteprima mondiale del Salone dell’auto cinese è stata la Volvo S60L Plug-in Hybrid. Si tratta di un prototipo che si trasformerà in vettura di serie nel corso del 2015. Il prossimo anno, infatti, ne inizierà l’assemblaggio nell’impianto cinese di Chengdu. Volvo S60L abbina un motore turbo benzina della famiglia Drive-E da 238 cavalli con un propulsore elettrico da 68 cavalli, alimentato da batterie agli ioni di litio. Questa Volvo ecologica ha un cambio automatico a 8 rapporti e promette emissioni di
% 0 2 –
CO2 di soli 50 g/km. Sempre a Pechino la joint venture tra il Gruppo Daimler e la cinese Byd (denominata Shenzhen Byd Daimler Technology) ha finalmente tolto i veli alla versione definitiva di serie della Denza elettrica, pensata esclusivamente per il mercato cinese dove sarà commercializzata a partire da settembre all’equivalente di circa 52 mila franchi svizzeri. Equipaggiata con i più innovativi sistemi di sicurezza attiva e passiva e con il dispositivo Power Flow Management che monitora l’energia sviluppata tra le batterie agli ioni di litio e il motore, Denza è spinta da un propulsore elettrico da 86 kW e 290 Nm di coppia che le consente di raggiungere una velocità di 150 chilometri orari. Il Gruppo Mercedes ha inoltre svelato in questi giorni anche un inedito sistema di gestione dell’energia per i veicoli ibridi. Intelligent Hybrid, questo è il suo nome, valuta la strada che si sta percorrendo attraverso numerosi sensori e l’utilizzo del gps. Il suo obiettivo è sfruttare al massimo le possibilità offerte dal sistema di recupero dell’energia che si attiva durante i rallentamenti dell’auto. Al contempo mira a migliorare il piacere di guida grazie all’effetto boost (sovrapotenza) dato dal motore elettrico. Come funziona? Se le batterie dedicate al propulsore elettrico risultano troppo cariche, il motore elettrico supporta automaticamente quello a combustione così da scaricare le batterie quel che basta per immagazzinare in toto la carica prodotta dal sistema di recupero dell’energia. Registriamo infine una notizia dell’ultima ora: il costruttore giapponese Subaru ritornerà nel segmento delle elettriche sfruttando la partnership con Toyota. Un settore chiave soprattutto nel mercato USA dove la Casa nipponica conta di portare le vendite complessive a 500 mila unità, la metà di quel milione di veicoli che è l’obiettivo globale per il 2020.
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Ambiente e Benessere
Conoscere per convivere
Mondoanimale Sabato 17 maggio porte aperte nelle strutture equestri ticinesi, per recuperare
la consapevolezza della vera natura del cavallo Maria Grazia Buletti Il cavallo è un animale ben radicato nella storia dell’umanità e il fascino che questo animale esercita su di noi è passato indenne attraverso i secoli. Basti pensare che è stato addomesticato dal 3000 a. C. e senza di esso evoluzione e storia dell’essere umano avrebbero avuto senza dubbio un altro corso. Figura archetipica di un passato comune a tutto il genere umano, il cavallo resta dunque quel che è ed è stato da quando se ne conosce l’esistenza. Per contro, nel tempo l’uomo ha cambiato le proprie conoscenze e il modo di entrare in rapporto con i cavalli che a tratti hanno rappresentato un alimento, spesso sono stati fedeli ed efficienti compagni di lavoro, e oggi svolgono il ruolo soprattutto di amici sportivi e per il tempo libero. «Il cavallo ha dimostrato un enorme adattamento nei confronti dell’essere umano e soprattutto nell’ambiente, nel territorio che oggi risulta essere sempre più urbanizzato e, per questo, di difficile comprensione per un animale che, nel profondo della sua natura di preda, mantiene impresse le sconfinate praterie nelle quali viveva circa tremila anni orsono», questa la riflessione di base del Comitato della Federazione ticinese sport equestri (FTSE) che, all’insegna del motto «Conoscere per convivere»,
sabato 17 maggio proporrà la quarta giornata di porte aperte in parecchie strutture equestri del nostro cantone (programma dettagliato su www.equiticino.ch). Di fatto, gli esperti di etologia equina ci insegnano che il cavallo è un animale che risponde al suo istinto di erbivoro ed è quindi una preda la cui migliore difesa risulta ancora essere la fuga, di fronte a quello che esso reputa un pericolo. Si tratta di un animale con un codice comunicativo molto diverso da noi umani che possiamo essere definiti predatori; per sua natura è un espressivo e comunica con i movimenti del corpo, i suoni, l’espressività facciale, come pure inviando segnali olfattivi. Ma è pure un ricettivo: comprende facilmente situazioni, atmosfere ed è proprio la sua abilità a inviare e ricevere messaggi, anche di tipo emotivo, che lo rende uno degli animali domestici più amati da noi esseri umani, anche se oggi questa sua natura ci risulta essere molto meno conosciuta di un tempo. I cavalieri del tempo libero e, più raramente le carrozze, hanno maturato l’esigenza di condividere in modo corretto e pacifico gli spazi sempre più esigui dedicati al tempo libero, insieme ai vari utenti come ciclisti, famiglie, persone a passeggio, proprietari con i loro cani. Questo legittimo desiderio di
Quando, dove, cosa La visita di una struttura equestre durante la giornata cantonale del cavallo del 17 maggio 2014 permetterà di partecipare a visite guidate delle scuderie alla scoperta della «casa del cavallo» e ai giri di prova per adulti e bambini con cavalli e pony. Sarà possibile assistere alla presentazione delle differenti disci-
pline equestri, sportive e non, alla presentazione del lavoro dello stalliere, del maniscalco e degli istruttori di equitazione. Ascoltando il veterinario, si potrà comprendere cosa succede se il cavallo si ammala e come viene trasportato in clinica veterinaria. Il programma dettagliato è su www.equiticino.ch.
L’equitazione è solo uno dei numerosi ambiti nell’interazione uomo-cavallo.
condivisione ha portato la Federazione ticinese sport equestri ad improntare la giornata del cavallo di quest’anno sulla reciproca conoscenza: «È ovvio che l’essere umano, cavaliere o conduttore, ha il compito e la responsabilità di condurre questo animale a spasso correttamente e senza incidenti, attraverso un territorio sempre più popolato e urbanizzato», sostiene il presidente della FTSE Stelio Pesciallo, osservando che: «In Ticino l’equitazione non è ancorata ad una antica tradizione come lo è nella Svizzera di lingua tedesca o francese. Prima della guerra era un’attività svolta da poche famiglie e chi aveva la possibilità di praticarla durante il servizio militare proseguiva di regola anche in civile». Il nostro interlocutore racconta che dopo la Seconda guerra mondiale, e a seguito della crescita del benessere economico, anche nel nostro cantone l’equitazione si è sempre più diffusa, a partire dal Piano di Magadino ed estendendosi pure nel Sottoceneri: «La FTSE
ha stimato che i cavalieri che praticano un’equitazione in campagna e passeggiate nella natura in Ticino rappresentano circa due terzi dei proprietari di cavalli: a loro la gioia di condividere le esperienze degli incontri con bambini affascinati dal destriero e delle persone incuriosite dalla sua presenza. Ma pure a loro va la responsabilità di trasmettere le indicazioni di educazione e di condotta del cavallo, che oggi risultano sconosciute a gran parte delle persone». La FTSE è altresì convinta che sia possibile e auspicabile la buona convivenza fra tutti coloro che condividono le aree di svago e tempo libero con il cavallo e la chiave di questo risiede nella reciproca conoscenza e nel reciproco rispetto. La quarta giornata cantonale dedicata al cavallo nasce dunque sotto l’egida di «conoscere per convivere»: «Desideriamo mettere il cavallo al centro dell’attenzione generale per un intero giorno, con l’obiettivo di portare conoscenza, comprensione e gioia
nei suoi confronti. Ciclisti, persone a passeggio magari accompagnate da un cane, autoveicoli, trattori e campi arati, proprietà private e sentieri: tutto va rispettato e tutti si possono rispettare nella reciproca conoscenza e, dunque, pacifica convivenza, se ciascuno conosce e riconosce la natura e i bisogni dell’altro». Sabato 17 maggio, visitando una struttura equestre del nostro territorio, sarà possibile avvicinarsi al cavallo con maggiore consapevolezza, dunque più fiducia e meno pregiudizi: «Ci sarà la possibilità di conoscere anche il mondo degli attacchi e delle discipline ippiche sportive, come pure le differenti figure che ruotano attorno al cavallo, come il veterinario, il maniscalco, lo stalliere e quant’altro». Una giornata di festa per curiosi, famiglie e bambini che potranno conoscere un mondo dove è davvero possibile entrare. Un’esperienza interessante per aver potuto se non altro accarezzare, almeno una volta, 500 chili di morbidezza e affetto assicurati!
Giochi Sudoku Livello per geni
Cruciverba Due ragazzi fanno amicizia in una discoteca, al momento di salutarsi uno dice all’altro: «Ci scambiamo i numeri di telefono?» Trova la risposta dell’amico leggendo, a cruciverba ultimato, le lettere nelle caselle evidenziate.
ORIZZONTALI
1. Silloge, florilegio 7. A metà strada 9. L’eccesso nei prefissi 10. Indumento femminile 11. Mammifero africano 13. Un gas 15. Uccello marino 16. Un anagramma di retto 17. Il Galdino... de’ «I Promessi Sposi» 18. Struttura a superficie curva 19. Nella gamba e nel braccio 20. Santa... in Argentina 21. Si muove strisciando 22. Preposizione articolata 23. Si fa per vedere a chi tocca
Scopo del gioco
Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti in numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.
24. Arbusti rampicanti 25. Verità tangibile 27. Noto pittore impressionista francese 28. Moneta del Perù 29. Si raccolgono nel frutteto 30. Le iniziali della cantante Spagna 31. Separate allo stadio VERTICALI 1. Venire alle mani 2. Osso della gamba 3. Lavoro... in poesia 4. Prima moglie di Giacobbe 5. Le iniziali del musicista Respighi 6. Prive di attitudini 7. Il cantante Rosalino Cellamare
8. Ultimo libro della Bibbia 10. Ordine cosmico nell’antica filosofia cinese 12. Una consonante 13. Fanghiglia, mota 14. Sta in mezzo 16. Un dolce 18. Piatti quelli delle modelle 19. Lettera dell’alfabeto greco 21. Furto a Parigi 22. Confina con il Ciad 23. Caloria in breve 24. Le tengono tese le scotte 26. Dea greca madre dei venti 27. Preposizione articolata francese 29. Le separa la «n»
Soluzione della settimana precedente
Il frutto della giovinezza – Frase risultante: Maqui, America del Sud: Cile, Patagonia.
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Politica e Economia Accordo Hamas e al-Fatah La politica palestinese si è rimessa in moto dopo un lungo sonno e fa tuonare Netanyahu pagina 29
Trema il PC cinese La campagna contro la corruzione di Xi Jinping terrorizza l’establishment del Partito Comunista, in particolare gli ex presidenti Jiang Zemin e Hu Jintao, preoccupati per le conseguenze su amici e collaboratori
Un Verdingkind racconta A colloquio con Roland Begert, che ha trascorso la gioventù in istituto e famiglia affidataria
Più Cantoni in rosso Nel 2013 hanno chiuso i conti in passivo 18 Cantoni, ma il livello dei deficit si è ridotto pagina 35
pagina 31
pagina 33 Il 25 maggio si voterà anche per designare il successore di José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione Europea. (AFP)
Nord-Sud/Est-Ovest, fratture europee Parlamento di Strasburgo Il 25 maggio saranno eletti 766 parlamentari a rappresentare mezzo miliardo di cittadini Alfredo Venturi Chiamati a rappresentare il mezzo miliardo di cittadini che vivono nei ventotto Paesi dell’Unione Europea, i 766 deputati che fra tre settimane saranno eletti al parlamento di Strasburgo non avranno vita facile. Nell’Europa che arranca, sfidata dagli egoismi nazionali rilanciati dalla crisi globale, mortificata dalle delusioni seguite al grande sogno federalista, quelle voci non saranno certo univoche. Non a caso domina la vigilia del voto una questione di fondo: quanto spazio si ritaglierà nel nuovo parlamento quella inquieta galassia che ospita i più svariati livelli di ostilità, dall’euroscetticismo fino all’eurofobia. In almeno otto dei ventotto Paesi (Francia, Regno Unito, Olanda, Italia, Danimarca, Finlandia, Austria, Ungheria) i sondaggi rivelano che le formazioni refrattarie all’Europa si avvicinano all’appuntamento elettorale con il vento in poppa. Stando a uno studio inglese potrebbero complessivamente avvicinarsi a un terzo dei voti, occupando a Strasburgo oltre duecento seggi. Questo non significa, del resto, che potranno costituire un blocco operativo compatto, capace di contrapporsi
come tale alle formazioni dominanti dei popolari e dei socialisti-democratici. Per costituire un gruppo ci vogliono almeno venticinque eletti provenienti da almeno sette Paesi: dunque sarà necessario per tutti allacciare patti di alleanza. Ma non sarà facile: per esempio la francese Marine Le Pen ha buoni rapporti con l’olandese Geert Wilders o l’ungherese Gábor Vona, ma non con il britannico Nigel Farage né con l’italiano Beppe Grillo. Dunque è prevedibile che i portatori dei più assortiti disagi antieuropei, dagli xenofobi ai nazionalisti, dai populisti agli eurofobi, avranno sì un consistente successo elettorale, ma una volta eletti finiranno con l’agire in ordine sparso. Gli elettori del 25 maggio dovranno anche decidere la contesa fra le due massime aggregazioni politiche, popolari da una parte, socialisti e democratici dall’altra. All’esito di questa sfida è legata la nomina del successore di José Manuel Barroso alla presidenza della Commissione. Ci sono sei candidati, ma a meno d’improbabili colpi di scena soltanto due di loro, il popolare Jean Claude Juncker, lussemburghese, e il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, hanno concrete possibilità di riuscita. Tutto dipende dalla consi-
stenza dei rispettivi partiti nel nuovo parlamento. I sondaggi li danno praticamente appaiati ma i popolari, maggioritari nell’assemblea uscente, nelle ultime settimane hanno allungato il passo colmando la distanza che li separava dai rivali. I socialisti, d’altra parte, hanno più ampi margini di manovra riguardo alle possibili alleanze. A rendere le previsioni incerte e approssimative contribuisce il fenomeno dell’astensione, tradizionalmente massiccia nelle elezioni europee. Sia pure su scala molto minore è presente perfino in Belgio, dove pure il voto è obbligatorio e la diserzione dalle urne sanzionata. Cinque anni or sono andò a votare soltanto il 43 per cento degli elettori europei e si teme che stavolta possano essere ancor meno. Ma non si esclude che la giornata elettorale possa avere in serbo una sorpresa: la predicazione antieuropea potrebbe mobilitare voti di protesta pescando proprio fra chi altrimenti si asterrebbe. La protesta, in altre parole, si presenterebbe con due facce: il non-voto o il voto per i partiticontro. In questo caso una maggiore affluenza alle urne, che in condizioni normali sarebbe letta come rinnovato fervore europeista, avrebbe una connotazione esattamente contraria.
Incide fortemente sul carattere del parlamento europeo il fatto che le singole formazioni politiche sono sì convergenti sui principi generali, dal conservatorismo liberale dei popolari al riformismo progressista dei socialisti, ma al tempo stesso dipendono da logiche nazionali. In questo rispecchiano fedelmente la grande anomalia dell’Unione, che vive o sopravvive in una estenuante dialettica fra volontà comune e volontà degli Stati. Non c’è esatta corrispondenza politica fra un socialista tedesco e un democratico italiano, pure entrambi riuniti a Strasburgo sotto la bandiera dei socialistidemocratici, e ce n’è ancora meno fra i partiti del campo conservatore. Lo conferma una recente polemica nata dall’ennesima gaffe di Silvio Berlusconi. Il capo di Forza Italia, che fa parte dei popolari, ha sostenuto che in Germania si nega l’Olocausto, costringendo Juncker a una sdegnata reazione. Ma il candidato non ha spinto la critica, come hanno fatto altri, fino a chiedere l’espulsione di Forza Italia dal Partito popolare: in una gara destinata a risolversi sul filo di lana i voti berlusconiani potrebbero essere decisivi. L’episodio conferma quanto l’Unione sia poco unita. Secondo alcuni
la gaffe di Berlusconi è stata in realtà una mossa politica azzardata quanto astuta. Mirava a lusingare la latente animosità antitedesca che le politiche rigoriste imposte all’Europa dal governo di Berlino hanno diffuso in Italia e negli altri Stati del Sud continentale. È un’ottica che prende di mira Bruxelles attraverso la Germania e spacca in due l’Unione: questa polarizzazione accentuata dal malessere economico sembra talvolta avere la meglio sull’omogeneità ideologica. Rigore e crescita: sono i due corni del dilemma che il prossimo parlamento dovrebbe provare a risolvere nel segno di un’accettabile strategia di mediazione. Del resto questa divisione fra il Nord e il Sud dell’Unione s’incrocia con un’altra linea di frattura, questa volta fra Ovest e Est. Da una parte il nucleo fondatore della Comunità, diplomaticamente cauto, per esempio, nei confronti della Russia a proposito della crisi ucraina. Dall’altra gli ex satelliti di Mosca, più vicini all’intransigenza americana come la Polonia e i Paesi Baltici, e quindi fautori di energiche risposte all’aggressività del Cremlino, o reticenti rispetto alla linea dura ma solo perché paralizzati dalla dipendenza energetica, come la Bulgaria e l’Ungheria.
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Politica e Economia
Si riconciliano le due anime palestinesi Accordo di pacificazione Il patto getta lunghe ombre
Marcella Emiliani Il 29 aprile era la data ultima che il segretario di Stato americano John Kerry aveva fissato per la ripresa dei colloqui di pace tra israeliani e palestinesi, e invece – a sorpresa – il presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Abu Mazen, nella notte tra il 22 e il 23 aprile ha portato a casa un accordo tra l’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina che ruota attorno al suo partito, al-Fatah, e Hamas (Movimento di resistenza islamica). In base a tale accordo al-Fatah e Hamas dovrebbero dar vita nel giro di cinque settimane a un governo di unità nazionale sotto la presidenza di Abu Mazen, governo che – a quel punto – si presenterà ad Israele come interlocutore unico per i suddetti colloqui di pace. Tuoni e fulmini sono immediatamente arrivati dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che dopo aver deciso sanzioni contro la Cisgiordania e – lo stesso 23 aprile – ordinato un raid aereo contro Gaza in risposta al lancio di missili dalla Striscia, da quel giorno ripete instancabile che proprio la ritrovata intesa tra le due anime palestinesi impedisce ora qualsiasi negoziato di pace. Con le sue parole testuali: «Israele non negozierà mai con un governo palestinese sostenuto da Hamas, un’organizzazione terroristica che vuole la distruzione di Israele». È vero: Hamas si è più volte macchiato di atti terroristici contro Israele. Hamas tollera o subisce, quando non riesce ad impedire, il bombardamento costante del territorio israeliano con missili sempre più sofisticati e di lunga gittata lanciati dalla Jihad islamica e da altre microformazioni palestinesi dissidenti della vecchia Olp. Per di più Hamas nel 2007 ha attuato a Gaza un vero e proprio colpo di Stato manu militari ai danni di alFatah e della presidenza dell’Anp. Tutto vero, come è vero che Israele continua a strangolare la Striscia di Gaza che è ormai arrivata alla canna del gas e questo strangolamento ha
moltiplicato per mille i peggiori traffici di armi e quant’altro sul confine israelo-egiziano e nella penisola del Sinai, divenuta ormai una sorta di landa percorsa in lungo e in largo da nomadi senza legge, infiltrati da elementi qaedisti e dediti al terrorismo contro le forze di sicurezza egiziane. Per ora. Eppure, anche se sono davvero pochi a crederci, l’accordo tra al-Fatah e Hamas significa almeno una cosa: la politica palestinese si è rimessa in moto, anche se l’ha fatto non per una forza propulsiva che ha perso da tempo, ma piuttosto per disperazione. Debole, anzi debolissimo è Hamas a Gaza. Deboli sono Abu Mazen e la sua al-FatahOlp in Cisgiordania. Sul fronte Hamas, la realtà nuda e cruda è che dopo il colpo di Stato del generale al-Sisi in Egitto del 3 luglio 2013, il Movimento di resistenza islamica ha perso la sua sponda politica più importante rappresentata dal deposto presidente Mohamed Morsi, espressione di quella Fratellanza musulmana egiziana da cui peraltro il Movimento è nato nel 1967. La Fratellanza, anzi, è ripiombata in tempi buissimi, se è vero che il 28 aprile scorso un tribunale egiziano ha condannato a morte 683 seguaci e membri dell’organizzazione, compreso il suo leader supremo, Mohamed Badie. Non bastasse, la Fratellanza è stata sconfessata come organizzazione terroristica in Egitto e in tutto il Medio Oriente persino dall’Arabia Saudita che per decenni l’ha sostenuta e finanziata. Per Hamas non va meglio coi compagni di strada sciiti, gli Hezbollah libanesi, la Siria e l’Iran, con cui in teoria non avrebbe nulla a che vedere, essendo un’organizzazione sunnita, ma da cui veniva foraggiato e armato al solo scopo comune di distruggere Israele. Ma dal 2011 Hezbollah, Siria e Iran hanno ben altro a cui pensare con la guerra civile che infuria a Damasco e dintorni. Se nell’Hamastan di Gaza le cose vanno male, non vanno certo meglio nel Fatahland, ovvero nella Cisgiordania controllata dall’Anp e da Abu Ma-
zen. Da quando il segretario di Stato americano John Kerry ha rilanciato il processo di pace israelo-palestinese nel luglio del 2013, Abu Mazen le ha proprio tentate tutte per attirare l’attenzione sulla causa palestinese e farsi ascoltare dal governo israeliano e dalla comunità internazionale. Ha minacciato di proclamare unilateralmente l’indipendenza della Palestina, si è accontentato del rilascio col contagocce dei prigionieri palestinesi da parte di Israele, ha tentato di far assumere alla Cisgiordania una fattispecie di identità statuale chiedendo l’adesione dell’Olp alle principali organizzazioni dell’Onu. Non ultimo il 27 aprile scorso ha fatto una dichiarazione epocale, definendo la Shoah «il più odioso crimine contro l’umanità avvenuto nell’era moderna», invitando il mondo intero a «fare il possibile per combattere il razzismo e l’ingiustizia al fine di sostenere gli oppressi ovunque si trovino». Sull’onda «dell’ingiustizia, dell’oppressione, della mancanza di libertà e di pace» di cui soffrono i palestinesi, Abu Mazen ha chiesto apertamente a Netanyahu di «sfruttare l’attuale opportunità per siglare una pace giusta e onnicomprensiva nella regione, basata sulla visione dei due Stati, Israele e Palestina, fianco a fianco, in pace e sicurezza». Può sembrare la solita retorica, ma vale la pena ricordare che nel Manifesto politico di Hamas, con cui il presidente dell’Anp ha ritrovato da pochi giorni un accordo, si continua a negare la Shoah e men che meno si parla di una terra per due Stati (figurarsi poi per i tre che in nuce esistono oggi). Abu Mazen, dunque, sembra aver cominciato a lavorare seriamente sul ritrovato partner palestinese per instradarlo sulla via della lotta pacifica. Ma le parole, per quanto apprezzate, non sono fatti, ribattono in Israele. E si ritorna da capo, al punto veramente dolens delle trattative di pace in stallo ovvero la credibilità politica dei contendenti. Nel caso di Abu Mazen la cosa che lo rende particolarmente inviso al
AFP
su ogni possibile accordo di pace con Israele, che denuncia la natura di Hamas
governo Netanyahu è l’insistenza con cui chiede a Israele di sospendere la costruzione di colonie ebraiche in Cisgiordania, una concessione che l’attuale governo israeliano non è mai stato disposto a fare. D’altronde, come ha riconosciuto Tzipi Livni, l’attuale ministra della Giustizia: «È difficile trattare con i palestinesi con l’attuale esecutivo israeliano che non riconosce il diritto all’esistenza di uno Stato palestinese». Se dunque, dietro la ritrovata, problematica sintonia tra al-Fatah e Hamas, c’è senza dubbio la somma delle debolezze palestinesi, la palla ora passa nelle mani di un altro personaggio politico che, di questi tempi, sembra inanellare un insuccesso dietro l’altro: John Kerry (per non menzionare apertamente Barak Obama), che non ha ottenuto risultati nel tragico affaire siriano, che è in fortissima difficoltà sull’Ucraina e ora in una palese impasse col processo di pace israelo-palestinese. Washington sa benissimo che al tavolo dei negoziati i due contendenti non hanno le stesse chances; detto in parole povere, gli Stati Uniti sono gli unici a poter premere sul governo israeliano perché si sieda davvero al tavolo dei negoziati di pace e si decida
a sospendere la costruzione di colonie ebraiche in Cisgiordania. Ma fino ad oggi la presidenza Obama non c’è riuscita e spesso ha mascherato le proprie difficoltà con l’ostico governo Netanyahu, lamentando le divisioni in campo palestinese. Non appena però i palestinesi sembrano aver ritrovato la propria unità, tanto negli Stati Uniti quanto in Israele il coro è unanime: con un governo sostenuto da Hamas non si tratta. Bene. Ma cosa significa allora per Washington e Gerusalemme «l’unità dei palestinesi»? Al-Fatah con chi dovrebbe ritrovare un’intesa se non con Hamas? E soprattutto cosa hanno fatto Washington e Gerusalemme per rafforzare Abu Mazen, cioè il palestinese che ha rinunciato al terrorismo come metodo di lotta politica fin dal 1993? Sono sempre gli stessi interrogativi inquietanti che da troppi anni non ricevono risposta. E un personaggio coriaceo come Netanyahu non si fa certo spaventare dalla prospettiva che Israele diventi «uno Stato basato sull’apartheid» come ha minacciato il povero Kerry all’indomani del fallimento dell’ennesimo round di trattative tra israeliani e palestinesi.
Giorni no, ovvero bad sari days La sete indiana Comperare e indossare un nuovo vestito, oltre che un piacere, è anche
una delle cose più snervanti che possa capitare alle donne
Le anglosassoni hanno ogni tanto quelli che chiamano bad hair days: giorni cioè in cui i capelli proprio non ne vogliono sapere di stare come dovrebbero e l’aspetto generale è più o meno quello di qualcuno scampato a un disastro nucleare. In India ogni tanto abbiamo invece dei fantastici bad sari days: sarebbe quando, per ragioni note soltanto alle più alte sfere celesti, il dannato pezzo di stoffa si rifiuta categoricamente di ripiegarsi con grazia. E anche se in genere potresti drappeggiare il sari al buio e a occhi chiusi e ti è anche capitato di farlo, l’aspetto generale è quello di una grossa caramella mal incartata. Seguono le ovvie maledizioni all’indirizzo della lavanderia o del dhobi, il lavandaio, che ha usato talmente tanto amido da rendere il cotone simile alla carta rigida. E all’indirizzo della sarta, che ha sbagliato completamente misure e taglio della blusa. Perché comprare e indossare un nuovo sari, oltre che un piacere, è anche una delle cose più snervanti e stressanti che ti possono capitare nella vita. A vederlo da fuori, sembra favoloso. Niente cuciture, niente misure; ma, come sem-
pre, c’è un ma, il sari, cinque metri e mezzo di stoffa (nove per i sari tradizionali dell’India del sud), si indossa sopra una sottogonna e un corpetto. Oltre ciò, per essere indossato deve essere portato dal sarto che cuce sull’orlo, dalla parte interna, una striscia di stoffa che si chiama fall e che serve a impedire che l’orlo
AFP
Francesca Marino
si arricci e faccia strane cose mentre cammini. Sempre lo stesso sarto, abitualmente uno di quelli che tiene una macchina da cucire antidiluviana messa dentro a un buchetto di un metro per due pomposamente denominato negozio, rifinisce gli orli. Quando porti il suddetto sari, gli raccomandi in genere di lavarsi le mani dopo pranzo e di tenerlo lontano dai bambini: occasionali macchie di unto lasciate sul tuo bellissimo sari nuovo di zecca non sono infatti poi tanto rare. La sottogonna non è molto problematica: se ti accontenti vai in un negozio qualunque o in una bancarella per strada e compri una delle svariate gonne di cotone di ogni sfumatura dell’arcobaleno che spesso le turiste scambiano per gonne vere e proprie e indossano come tali provocando ilarità e imbarazzo tra le signore locali. Se però sei più esigente, o la sottogonna ti serve per un sari particolarmente elegante, devi andare dalla sarta e farla fare su misura. Il che significa scegliere la stoffa, farsi prendere le misure e cominciare a pregare. Perché per qualche strano motivo noto solo alle divinità, sarte e sarti indiani hanno un concetto particolar-
mente elastico delle misure. Dopo venti minuti trascorsi in piedi con una persona che, metro alla mano, prende accuratamente le tue misure mentre un’altra le trascrive su un quaderno, ti ritrovi in genere con un indumento che sembra cucito per la tua sorella maggiore. Il discorso vale per la sottogonna, ma soprattutto per la blusa, che è un capitolo a parte. Il pensiero basta a far venire i capelli dritti a qualunque donna indiana. La blusa è ricavata in genere da un metro circa di stoffa attaccato al suddetto sari oppure deve essere scelta nei negozi sopracitati, tra centinaia di pezze di mussola di cotone di ogni sfumatura possibile e immaginabile. Deve essere cucita in modo da non toglierti il respiro ma allo stesso tempo il più aderente possibile al corpo. Essenzialmente può essere tagliata in tre modi: semplice, con un taglio «a reggiseno» o con il più sexy e donante choli cut, taglio a corpetto. Può essere con o senza maniche, con spalline sottilissime o senza spalline, scollata fino all’inverosimile o chiusa da bottoni fino al collo con un colletto alla cinese, con o senza coppe imbottite all’interno (questa è l’ultima moda) per permettere le scollature sulle spalle fino
all’inverosimile di cui sopra. Può anche essere, nel caso di sari da gran sera, un corpetto senza spalline allacciato sul dietro da stringhe. Sia come sia, il dramma è che deve essere fatta su misura. E che io e le mie amiche stiamo seriamente pensando di promuovere uno studio sul funzionamento delle cellule cerebrali delle sarte indiane. Dopo il cerimoniale delle misure, e dopo avere lasciato per sicurezza una blusa come campione, in genere il risultato non è mai, ma proprio mai, quello sperato: ha confuso i modelli, ha confuso le tue misure con quelle della tua amica e cucito la sua stoffa con le tue misure, ha sbagliato taglio, misure e quant’altro. A inventare la legge di Murphy è stata senz’altro una sarta indiana. Nell’improbabile caso in cui nessuno dei problemi di cui sopra si verifichi, sorge il dramma della consegna: stiamo ancora aspettando che la mitica Anindita ci consegni tre bluse ordinate un anno e mezzo fa. Se dopo tutta questa odissea incappi anche in un bad sari day non è carino. L’unica cosa che puoi fare è prendere jeans e maglietta benedicendo per un po’ la sciatteria e la comodità del buon vecchio Occidente.
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Politica e Economia
Xi «il moralizzatore» spaventa il Partito Cina La lotta contro la corruzione intrapresa da Xi Jinping incontra forti resistenze,
in particolare scendono in campo i due ex presidenti Jiang Zemin e Hu Jintao Beniamino Natale Il primo segnale che dimostra che la campagna contro la corruzione del presidente cinese Xi Jinping sta incontrando resistenze più forti del previsto è una lettera che gli è stata inviata dai suoi due predecessori, Jiang Zemin e Hu Jintao. Il contenuto della missiva – svelato dal quotidiano «Financial Times» e mai smentito, ma nemmeno confermato, da fonti ufficiali – è tale da far capire con chiarezza che non tutto è tranquillo nelle stanze di Zhongnanhai, il complesso residenziale a due passi dalla Città Proibita dove vivono gran parte dei dirigenti del Partito Comunista Cinese. Jiang e Hu affermano tra l’altro che «le impronte lasciate da questa campagna contro la corruzione non devono diventare troppo grandi». Xi, al potere da poco più di un anno, ha fatto della lotta alla corruzione un tratto distintivo del suo mandato, accompagnato fra l’altro da un accentramento del potere nelle sue mani e da una maggiore aggressività della Cina verso l’esterno, in particolare verso i vicini. La sua promessa di colpire sia «i moscerini» che le «tigri» (cioè i funzionari di basso e di alto livello) è stata mantenuta: nella rete della Commissione Disciplinare del Partito guidata da Wang Qishan – uno stimato economista ed efficiente amministratore membro dalla fine del 2012 del Comitato Permanente dell’Ufficio Politico (CPUP) comunista – sono finiti alti dirigenti del Partito e dello Stato. Tutti, però, oppositori di Xi e della sua linea politica.
A smuovere gli ex presidenti potrebbe essere stata la minaccia che la campagna di Xi rappresenta per alcuni loro parenti e collaboratori La «tigre» più grande sarebbe – è necessario usare il condizionale perché non ci sono stati ancora pronunciamenti ufficiali, anche se la notizia ha avuto una vasta diffusione semiufficiale – Zhou Yongkang, 71 anni, ex-membro del CPUP. Decine di suoi collaboratori e parenti sono stati indagati, interrogati, detenuti. Zhou è stato tra i sostenitori di Bo Xilai, l’ex-capo del Partito nella metropoli di Chongqing che ha cercato di forzare a proprio favore le regole non
Il leader cinese Xi Jinping, al potere da poco più di un anno, è impegnato a sradicare la corruzione dilagante. (AFP)
scritte che dettano i rapporti all’interno dell’«aristocrazia rossa» cinese finendo per essere condannato all’ergastolo per corruzione e abuso di potere in un processo dal sapore staliniano. Al contrario di Xi Jinping e dello stesso Bo Xilai – che hanno dei «pedigree rivoluzionari» di prim’ordine, fattore fondamentale per fare carriera nella politica cinese – Zhou è un uomo «che si è fatto da solo», conquistando gradualmente posizioni di rilievo prima nell’industria statale del petrolio, poi nel Partito. La sua ascesa è stata approvata – se non addirittura sostenuta – da Jiang Zemin e accettata da Hu Jintao che lo ha introdotto nel CPUP affidandogli la responsabilità della sicurezza interna, un posto che in Cina come nel resto del mondo assicura a chi lo occupa un’importante fetta di potere politico. Dei due ex-presidenti, Jiang Zemin è quello che ha mantenuto la maggiore influenza nel Partito e un gran numero di dirigenti a tutti i livelli del Partito e dello Stato gli sono debitori. Il prestigio che gli viene dall’essere stato scelto dal «piccolo timoniere» Deng
Xiaoping per gestire la delicata fase politica del dopo-massacro di piazza Tienanmen non ha eguali. Formalmente pensionato da oltre dieci anni, l’87enne Jiang ha cercato con un discreto successo di ritagliarsi la posizione di «grande vecchio» della politica cinese, che risolve le dispute e garantisce la continuità per quanto poco ortodosse possano essere le iniziative dei «giovani» sessantenni che salgono al potere ad ogni ricambio generazionale. Al contrario, Hu Jintao ha finora mantenuto un basso profilo e non è stato visto in pubblico da quando, nel 2012, ha lasciato il posto a Xi. Rimane comunque un ex-segretario del Partito, un ex-presidente della Repubblica e della Commissione Militare Centrale: anche lui, nel corso dei suoi dieci anni al timone, ha piazzato amici, collaboratori e parenti in posti chiave. A smuovere gli ex-presidenti, secondo alcuni osservatori, potrebbe essere stata la minaccia che la campagna di Xi Jinping rappresenta per alcuni dei loro parenti (i figli di Jiang Zemin, per esempio, o quelli del suo ex-braccio de-
stro Li Peng, capo del governo ai tempi di Tienanmen) e collaboratori. Per fare un esempio, voci insistenti affermano che tra le prossime vittime della campagna moralizzatrice di Xi ci sarebbe Ling Jihua, ex-segretario di Hu Jintao. Ling è stato l’uomo dal quale si doveva passare per avvicinare Hu fino a quando, nel 2012, suo figlio morì schiantandosi contro un muro in piena notte sulla sua Ferrari nera. La drammatica morte del giovane fu forse la prima occasione nella quale emersero le scandalose condizioni di privilegio nelle quali vivono i membri dell’«aristocrazia rossa» e i loro rampolli. Un colpo terribile per la sua posizione politica – lasciando da parte l’aspetto umano, sicuramente ancora più tragico – e per quella del suo mentore Hu Jintao. Nel solo mese di aprile, almeno altri due «indizi» hanno confermato i sommovimenti in corso nel Partito. Prima di tutto le «apparizioni». Nel «politichese» cinese l’apparizione pubblica di un dirigente contiene un preciso messaggio rivolto ad amici e soprattutto nemici, affinché sappiano che
non solo gode di buona salute, ma che ha anche tanti sostenitori pronti a dargli una mano in caso di necessità. Jiang Zemin è apparso due volte, una durante una vacanza in compagnia della moglie, un’altra mentre si recava in visita ad un parente. Hu Jintao ha fatto di più, pubblicizzando una visita alla casa di Hu Yaobang, il premier che fu messo da parte perché troppo riformista e i cui funerali, nel 1989, innescarono le proteste popolari che sfociarono nell’occupazione da parte degli studenti di piazza Tiananmen e nel successivo massacro – una ferita ancora aperta che rimane fondamentale per interpretare gli attuali sviluppi della politica in Cina. Forse è ancora più indicativo il fatto che dirigenti di «seconda fascia» come gli ex-membri (con Hu Jintao) del CPUP come Wu Bangguo e Jia Qilin – completamente scomparsi dalla vista del pubblico dopo il cambio della guardia ai vertici e verosimilmente dimenticati – abbiano sentito la necessità di farsi fotografare mentre sorridono e stringono mani per sottolineare che: 1. non sono sotto inchiesta. 2. se qualcuno ce li vuole mettere sono in grado di reagire. Un quotidiano che in altre occasione ha ospitato delle fronde (seppur estremamente timide) contro il Quartier Generale come il «China Youth Daily», ha diffuso la notizia di un anomalo tasso di suicidi tra dirigenti politici e amministratori presi di mira dalla Commissione Disciplinare. Secondo il giornale, l’anno scorso 54 funzionari sono morti per cause «non naturali» e 23 di questi si sarebbero suicidati per sfuggire alle inchieste. Xi Jinping al momento è più forte di tutti i suoi oppositori. Controlla la Commissione Disciplinare e, cosa ancora più importante, l’esercito. Se si guarda alla storia della Cina comunista non ci possono essere dubbi sul fatto che l’Esercito di Liberazione Popolare (o Pla nell’acronimo inglese) abbia avuto un ruolo decisivo in tutte le lotte di potere: dalla partenza della Rivoluzione Culturale alla sua liquidazione; dall’ascesa di Deng Xiaoping e alla crisi che portò alla tragedia del 4 giugno 1989, quando centinaia di studenti e cittadini furono uccisi seppellendo fino ad oggi tutte le rivendicazioni di democrazia. I recenti sviluppi dimostrano però che nel Partito la campagna contro la corruzione fa una grande paura e che non tutti sono convinti che l’accentramento del potere nelle mani di una sola persona – il presidente Xi Jinping – sia la soluzione migliore per i problemi del Paese. Annuncio pubblicitario
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Politica e Economia
Il diritto alle scelte Affidamenti coatti A colloquio con Roland M. Begert, discendente di una famiglia nomade, che ha passato
infanzia e giovinezza in un istituto e poi in una famiglia affidataria – Seconda parte Simona Sala Nello scorso numero abbiamo illustrato per sommi capi la situazione dei bambini vittime di affidamenti coatti durante tutto l’Ottocento e gran parte del Novecento. Le vittime di questa modalità chiedono ora a viva voce (appoggiati da un numero sempre maggiore di esponenti politici) che in qualche modo per loro vi sia un risarcimento da parte dello Stato, giudicato responsabile principale di questo dramma. Questa richiesta nasce anche dal desiderio di risarcire in particolar modo coloro che, proprio a causa di quanto subito nel corso dell’infanzia, non sono mai riusciti a costruirsi una vita indipendente, appoggiando la propria esistenza unicamente sull’assistenza sociale. Vi è però anche chi dalla propria sorte ha tratto la forza per andare avanti, forse leggendola come una sfida, oppure lasciando che la curiosità nei confronti della vita avesse il sopravvento.
Begert ha conosciuto tardi i diritti che sono di ogni cittadino, poiché era sottoposto alla tutela dello Stato A questo proposito abbiamo incontrato Roland M. Begert, autore del romanzo autobiografico Lange Jahre fremd, in Svizzera interna un vero e proprio bestseller. La madre di Begert, figlia di una nomade francese (i cosiddetti Vaganten, sedentarizzati dallo Stato svizzero in un’altra triste operazione di «normalizzazione») poiché senza marito, affidò i suoi due figli (protestanti) in tenera età a un istituto cattolico. All’età di tredici anni il ragazzo fu affidato a una famiglia di contadini che lo umiliò spesso, per poi essere costretto (nonostante la salute precaria) a fare un apprendistato negli altiforni. La sua costante voglia di apprendere lo portò dopo i trent’anni a recuperare la maturità, conseguendo un dottorato in economia e studiando diritto. Begert ha fatto della propria sorte materia di studio e oggi, a 77 anni e con una propria famiglia, si reputa una persona felice. Anche se la sua condizione è stata frutto di un lungo processo interiore ed esteriore, caratterizzato da decenni di radicata solitudine e da un grande senso di straniamento (come rivela il titolo del suo libro). Signor Begert, quale finalità perseguiva lo Stato? Attraverso gli affidamenti si cercava di riportare sulla retta via i bambini nati all’interno di famiglie in difficoltà?
Da una parte si voleva integrare al più presto i bambini in un processo lavorativo. Era necessario che i bambini imparassero ad arrangiarsi, rendendosi conto che si esce dalla povertà unicamente attraverso il duro lavoro. Allo stesso tempo si individuavano i bambini che vivevano in famiglie difficoltose, incapaci di dare delle buone basi esistenziali: questi bambini erano affidati a famiglie il cui stile di vita era considerato migliore. In molte regioni della Svizzera fino a cinquanta, sessant’anni fa vigeva uno stile di vita soprattutto rurale. Questo dato di fatto si rifletteva anche nella lingua: si parlava di strappare i bambini con tanto di radici marce da quello che era considerato un «cattivo terreno», per trapiantarli in un suolo più fertile (appunto una famiglia estranea ma «sana»). Secondo una visione borghese occorreva impedire che, una volta cresciuti, questi piccoli poveri si sposassero, dando vita a nuova
Roland Begert: «Le nuove generazioni e quelle future hanno il diritto e il dovere di conoscere ciò che è successo nel nostro Paese». (Stefano Spinelli)
povertà; era infatti opinione diffusa che la povertà generasse unicamente altra povertà. Un giorno tutti questi poveri avrebbero finito per indebolire la società nelle sue fondamenta. Per evitare questo rischio le autorità credevano che i bambini dovessero imparare presto a lavorare vivendo in una famiglia stabile (sebbene non con i propri genitori): in questo modo una volta grandi non sarebbero stati di peso a nessuno. In fin dei conti era più importante la riduzione delle uscite finanziarie dello Stato del benessere del bambino. Esisteva un sostegno sociale così come è previsto oggi dallo Stato per coloro che si trovano in difficoltà?
Gli affidamenti coatti sono in una certa misura anche una conseguenza del fatto che a quel tempo non esistessero quasi delle «reti di salvataggio» finanziarie. E proprio perché erano assenti, i bambini venivano coinvolti molto presto nel processo produttivo. Gli affidamenti nacquero dunque in un quadro economico. Furono poi di nuovo dei fattori economici a portare all’interruzione di questi affidamenti negli anni Settanta: l’economia era fiorente e c’erano sempre più assicurazioni sociali. Dal 1948 furono istituite l’AVS, l’AI, l’IPG e nel 1977 l’assicurazione contro la disoccupazione. L’assicurazione malattia esisteva già dal 1911, ma era facoltativa e presentava molte lacune. Queste assicurazioni sociali hanno sostenuto in modo importante le famiglie finanziariamente più deboli. A ciò si aggiunse il fatto che sempre più famiglie si limitavano a uno o due figli, mentre sempre più donne potevano godere
di una formazione e poi lavorare. Come si può vedere la spinta del cambiamento non ha avuto luogo per un ripensamento da parte delle autorità riguardo agli affidamenti coatti, ma per una concomitanza di motivi socio-economici.
«Gli affidamenti coatti sono in parte anche una conseguenza del fatto che a quei tempi non esistevano misure sociali di sostegno economico» Dunque la colpa principale è da ricercare nello Stato?
Cosa è lo Stato? È una creazione teorico-giuridica senza sentimenti o senso di responsabilità, senza morale. Esso viene però gestito da esseri umani che mettono in pratica quanto deciso dalla classe politica. La cosa interessante è che già molto presto (v. Legge dei poveri, canton Berna, 1857) furono emesse delle leggi per la protezione dei bambini. Ma chi controllava che le leggi venissero applicate? Furono in molti a fallire: maestri e sacerdoti soprattutto. Di fronte ai soprusi più evidenti avrebbero avuto il compito di intervenire. Non possiamo però dimenticare che molte delle fattorie si trovavano lontane dai centri abitati, e praticavano un ostracismo molto attivo nei confronti di chi veniva da fuori. Nel suo libro Lei spiega come a livel-
lo giuridico esistessero delle leggi atte a tutelare bambini e giovani. Addirittura si parla di diritti mai comunicati ai diretti interessati. Ci può spiegare meglio questo aspetto?
L’accento era posto sui doveri e non sui diritti. Quando, anni dopo essere uscito dalla tutela dello Stato, scoprii quelli che erano i miei diritti e rimasi esterrefatto. Un esempio: dopo avere completato la scuola reclute feci ritorno nella ditta in cui avevo svolto il mio apprendistato e dalla locataria presso la quale vivevo. La mia paga continuò ad essere versata alla donna con la motivazione che non sarei stato in grado di gestire i miei soldi. Quando diventai maggiorenne il mio libretto dei risparmi fu confiscato dalle autorità, con la spiegazione che i soldi sarebbero andati a coprire le spese per me sostenute (ad esempio l’abito della confirmazione o qualche camicia). Come giudica la posizione dell’Unione dei contadini che ha dichiarato di non sentirsi responsabile per quanto accaduto con gli affidamenti coatti?
L’Unione dei contadini si difende dicendo che essa non aveva optato direttamente per gli affidamenti coatti, e che i contadini non hanno comunque mai dato in affidamento i propri figli. Ai miei occhi si tratta di un’argomentazione debole. L’Unione dei contadini ha sempre difeso, e lo fa tuttora, gli interessi dei contadini attraverso tutte le organizzazioni economiche e politiche possibili. Essa era al corrente delle condizioni misere dei bambini affidati. Secondo alcuni storici, grazie agli affi-
damenti coatti per qualche decennio si è riusciti a procrastinare il tramonto definitivo del mondo contadino. Vorrei comunque sottolineare, e sarebbe ingiusto non farlo, che fra tanti abusi vi sono state anche molte buone famiglie affidatarie, che si sono occupate in modo dignitoso dei bambini. Lei è dell’idea che sia giusto mantenere vivo l’interesse dell’opinione pubblica intorno all’argomento?
Da quando è apparso il mio libro nel 2008 ho fatto circa 160 incontri con il pubblico. Desidero portare il tema dei bambini rinchiusi negli istituti e affidati in modo coatto nella coscienza di tutti, ma in modo oggettivo e senza scagliare accuse. Le nuove generazioni e quelle future hanno il diritto e il dovere di conoscere ciò che è successo nel nostro Paese. Alla fine del mio libro scrivo che «uno Stato che nasconde i capitoli oscuri della propria storia – e di questi fanno parte anche gli affidamenti coatti – non può essere davvero democratico». Quali sono oggi i rischi maggiori per un bambino?
Finché vi sarà il genere umano vi saranno sempre bambini costretti a crescere senza i genitori. Già questo fatto rappresenta un enorme rischio. Ogni bambino dovrebbe avere la possibilità di crescere con un destino «innocente». Bibliografia
Lange Jahre fremd, Roland M. Begert, Edition Liebefeld (2008). Il libro è disponibile anche in francese, con il titolo L’ombre de la souche.
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Politica e Economia
Il grifone per la copertura aerea Votazioni federali 21 anni dopo il voto sugli FA-18, il Popolo torna a doversi esprimere sull’acquisto di aerei da
combattimento. Stando ai sondaggi sembra prevalere un no ai Gripen E, ma la battaglia resta aperta fino al 18 maggio
Alessandro Carli Ci sono compiti ai quali, nella logica dei fatti, non ci si può sottrarre. Uno di questi è la difesa nazionale, credibile solo se dispone dei mezzi necessari, ossia di un esercito altrettanto credibile, così come sancito dalla Costituzione federale e più volte chiaramente ribadito dalla maggioranza popolare. In quest’ottica, vanno considerati anche i 22 velivoli da combattimento Gripen E, sul cui fondo d’acquisto saremo chiamati a pronunciarci il 18 maggio prossimo, unitamente ad altri tre temi. Essi sono: l’iniziativa popolare «Per la protezione di salari equi» (ne parleremo pure in questa pagina), nonché il decreto federale concernente le cure mediche di base e l’iniziativa popolare «Affinché i pedofili non lavorino più con fanciulli», che affronteremo nel prossimo numero. Stando ai sondaggi, il Gripen non riuscirebbe a decollare e l’iniziativa sui salari minimi verrebbe bocciata. Gli ultimi due temi godrebbero invece di grandi consensi.
Per l’acquisto di 22 caccia del costruttore svedese Saab è prevista una spesa di 3,126 miliardi di franchi Ogni volta che l’esercito chiede l’acquisto di mezzi difensivi con una spesa ingente (che si tratti di velivoli o di carri armati), puntualmente il popolo è chiamato alle urne, pur avendo più volte ribadito il sostegno all’esercito di milizia, quale garante della neutralità e della difesa nazionale. Anche stavolta, a sostenere il referendum sono partiti e organizzazioni di sinistra: il Gruppo per una Svizzera senza esercito (GSsE) in primis e i Verdi liberali, quest’ultimi non contrari all’esercito, ma sostenitori di soluzioni «migliori». Per la sinistra, si tratta di «un acquisto insensato e di uno spreco». «Questi soldi – ha dichiarato la con-
sigliera nazionale socialista Evi Allemann, che fa parte della Commissione di politica di sicurezza – potrebbero essere meglio utilizzati altrove, ad esempio in ambito sociale». È un’affermazione ripetuta ogni volta che si è confrontati con spese militari, sebbene negli ultimi anni il Dipartimento della difesa abbia compiuto i maggiori sacrifici finanziari. Per Consiglio federale e Parlamento, occorre ammodernare l’aviazione militare se si vuole che quest’ultima sia ancora in grado di proteggere e difendere lo spazio aereo elvetico. Attualmente, la Svizzera dispone di 86 aerei da combattimento. Di questi, 54 Tiger F-5, in servizio da oltre 30 anni, prossimamente messi fuori uso. Così, la Confederazione disporrà soltanto di 32 caccia F/A 18. L’aviazione militare necessita quindi di nuovi velivoli per assicurare la protezione dello spazio aereo per i prossimi 30 anni. Orbene, garantire la sicurezza del Paese e dei suoi abitanti è precisamente uno dei compiti principali dello Stato, ancorato nella Costituzione. Per l’acquisto di 22 caccia del costruttore svedese Saab, per una spesa complessiva di 3,126 miliardi di franchi, Consiglio federale e Parlamento propongono di istituire un fondo, alimentato per undici anni da un versamento annuo di 300 milioni, attinti dalle risorse stanziate per le spese ordinarie d’armamento. Il fondo è retto da una legge, contro la quale è appunto stato possibile lanciare il referendum, che permette ora al popolo di pronunciarsi. Evidentemente, se la legge fosse bocciata, gli aerei non potranno essere acquisiti. Per il comitato interpartitico «Sì al Gripen», che spalleggia il capo del Dipartimento federale della difesa (DDPS) Ueli Maurer, l’acquisto dei nuovi apparecchi è più che mai necessario se si vuole un esercito credibile, in grado di svolgere la sua missione. Se la Svizzera ha avuto modo di scrivere una lunga storia di pace e di neutralità, è perché ha dimostrato d’essere in grado di difendersi. Anche se è utopico
Un caccia Gripen F vola sulle Alpi svizzere. Il modello Gripen E esiste per ora solo come prototipo. (Keystone)
pensare che a qualcuno venga in mente di attaccarci militarmente, nel mondo sussistono focolai di conflitto – basti pensare all’Ucraina o al Medio Oriente – non certo rassicuranti. Un esercito ben armato è sempre un fattore deterrente, sottolinea il comitato. Comunque, nel caso specifico dell’acquisto del Gripen, occorre chiedersi se l’esercito svizzero ne abbia veramente bisogno e se sia proprio l’aereo che fa al caso della Svizzera. Per gli oppositori, la risposta è chiaramente negativa. Secondo loro, i 32 FA-18 bastano per svolgere i compiti di polizia e sorveglianza aerea. L’Austria se la cava con 15 caccia soltanto. Inoltre, non ha senso acquistare un caccia che, per il momento, esiste solo sulla carta. Il Gripen E è infatti ancora in fase di messa a punto. I fautori del «no», che respingono l’accusa d’essere «semplici antimilitaristi», cavalcano poi la polemica incessante su questo apparecchio, che
ha catturato l’attenzione della politica federale negli ultimi tre anni, polemica dovuta in parte alla delusione per la scelta di questo «velivolo di seconda classe», a scapito dei più qualificati concorrenti (il francese Rafale e l’europeo Eurofighter), dalle prestazioni migliori, ma anche più costosi. Per questo, tra gli oppositori vi è chi suggerisce di attendere una decina d’anni, per poi acquistare un velivolo «veramente all’avanguardia». È però evidente che i tempi per un apparecchio del genere non saranno mai maturi! Già all’inizio del 2012, l’affidabilità dell’aereo svedese era stata rimessa in causa in rapporti confidenziali. Ma Ueli Maurer, convincendo alla fine la maggioranza borghese, aveva affermato che il performante Gripen E è ideale per la Svizzera. La Svezia, pure Paese neutrale, è un partner affidabile. Ha ordinato 60 apparecchi di questo tipo, mentre altre nazioni come il Brasile hanno a loro vol-
Chiasso. Il salario va adattato al contesto regionale: è compito dei partner sociali determinare quali siano le condizioni di lavoro nei vari settori economici e nelle diverse regioni del Paese. L’iniziativa farebbe salire ulteriormente il costo della manodopera, già elevato rispetto all’estero. La situazione sarebbe particolarmente critica in Ticino. L’obiettivo di attenuare o risolvere i problemi di dumping salariale sarebbe disatteso. Un salario minimo di 4000 franchi renderebbe il nostro cantone ancora più attrattivo per i frontalieri. La pressione sul mercato del lavoro aumenterebbe e vi sarebbe un livellamento verso il basso delle retribuzioni di coloro che già guadagnano di più rispetto al limite minimo. Un altro aspetto: aumenterebbe il disagio per molti giovani e donne, ai quali – per un salario minimo di 4000 franchi – sarà preferito personale già formato e con esperienza. Tutte queste conseguenze non sembrano scalfire i fautori del sì. «Il salario minimo – affermano – rafforza un’economia sana, porta a una maggiore giustizia sociale e protegge efficacemente dal dumping salariale». Per il presidente del PS svizzero Christian Levrat, «salari inferiori ai 4000 franchi sono ingiusti e degradanti». Una busta paga più consistente – ha spiegato Levrat –
si traduce anche in maggiori consumi e, di riflesso, in nuovi posti di lavoro. L’introduzione di un salario minimo protegge anche quelle aziende che agiscono correttamente di fronte alla concorrenza sleale. Per Saverio Lurati, presidente USSTicino e Moesa, il salario minimo «è il men che si possa pretendere in un Paese ricco come il nostro, con salari da capogiro per i manager». È dunque giusto che una persona possa vivere del proprio salario, senza ricorrere all’aiuto dello Stato. Con 4000 franchi, si sbarca il lunario per il rotto della cuffia. È ovvio – aggiunge Lurati – che se tutti i settori e i lavoratori potessero beneficiare di un contratto collettivo di lavoro (CCL), l’iniziativa sarebbe di fatto superata. Visto però che ciò non è di gran lunga il caso, il salario minimo appare come la garanzia migliore, anche per arginare le situazioni di dumping salariale. Danno economico e sociale o necessità impellente? Vero è che l’economia, il Parlamento e il Consiglio federale affermano di non opporsi al salario minimo in quanto tale. Non vogliono però che sia fissato un limite salariale uniforme legale per tutti i settori, che non corrisponde né alla situazione economica, né al potere d’acquisto delle varie regioni della Svizzera. /AC
Salari equi, ma non troppo Di per sé accattivante, l’iniziativa popolare «Per la protezione di salari equi» è però fermamente combattuta da Consiglio federale e Parlamento. L’economia svizzera gode di buona salute. Ciononostante vi è un certo numero di posti di lavoro retribuiti con salari relativamente bassi. Per questi casi, l’iniziativa chiede l’introduzione di un salario minimo legale di 22 franchi all’ora, pari a circa 4000 franchi al mese. Berna stima che questa misura interessi più o meno 330 mila posti di lavoro. Con questa richiesta, l’iniziativa si prefigge di combattere la povertà e il dumping salariale. Il progetto, lanciato dall’Unione sindacale svizzera (USS), rimette in questione il buon funzionamento del mercato del lavoro svizzero. Per il presidente dell’Unione svizzera degli imprenditori Valentin Vogt, l’introduzione di un salario minimo provocherà la cancellazione di numerosi posti di lavoro. Molti settori economici, dove i salari sono inferiori ai 4 mila franchi mensili (agricoltura, parrucchieri, ecc.), non ce la faranno più. Ma non è tutto. L’aumento dei salari comporterà una progressione dei prezzi e un calo dei consumi, che a loro volta avranno ripercussioni sul piano occupazionale. Dopo il sì del 9 febbraio all’iniziativa dell’UDC contro l’immigrazione di
massa, un’approvazione il 18 maggio dei salari minimi sarebbe un nuovo colpo all’economia del nostro Paese, ha dichiarato il consigliere federale Johann Schneider-Ammann. A suo modo di vedere, l’obbligo costituzionale di innalzare i redditi fino a 4000 franchi mensili metterebbe in difficoltà molte piccole e medie imprese. L’accesso al mercato del lavoro diventerebbe più difficoltoso, soprattutto per le persone meno qualificate. Per il comitato borghese contrario all’iniziativa, che riunisce esponenti di UDC, PPD, PLR, Verdi liberali, PBD ed Evangelici, le conseguenze si avvertiranno subito. I più deboli verranno esclusi dal mercato del lavoro, molti impieghi scompariranno, numerose ditte si trasferiranno all’estero. Insomma, l’iniziativa, pur piena di buone intenzioni, si trasformerà in un autogol. Per questo, stando ai sondaggi, non sembra avere il vento in poppa. Secondo il comitato, con un salario minimo in Svizzera, che sarebbe di gran lunga il più alto al mondo (in Francia è di 11,60 franchi all’ora, mentre in Germania si sta negoziando un limite di 10,37 franchi), non si può pretendere di fissare un comun denominatore per l’intero Paese. Infatti, 22 franchi non hanno lo stesso valore a Sion, Ginevra, Zurigo, San Gallo o
ta dato fiducia al Gripen E che, secondo gli specialisti dell’aviazione elvetica, è dotato di tutti gli strumenti tecnici ed elettronici più moderni, adatti alle esigenze della Svizzera. Le forniture inizieranno nel novembre del 2018 per concludersi nel 2023. Visto che i 32 FA-18 non bastano (anche perché da soli sarebbero sottoposti a una rapida usura), per colmare la lacuna durante il periodo che intercorre fino alla fornitura integrale, la Svizzera noleggerà 11 Gripen del tipo C/D delle Forze aeree svedesi. I fautori del «sì» hanno pure posto l’accento, come già in occasione di altre grosse spese militari, sulle ricadute economiche. Il costruttore Saab e gli altri fornitori europei si sono impegnati a trasmettere ordinazioni di compensazione alle imprese elvetiche per 2,5 miliardi di franchi. Recentemente, il coinvolgimento di Saab e della Svezia nella promozione dell’apparecchio ha tuttavia riacceso la polemica. Il costruttore svedese è stato invitato a dar prova di moderazione e ad astenersi dal finanziare il comitato del «sì». Altra spina nel fianco dei fautori: recentemente hanno dovuto gestire l’annuncio a sorpresa di un «piano B», nel caso in cui il Gripen non dovesse ricevere dal popolo l’autorizzazione di decollare in Svizzera. Il consigliere nazionale ed ex pilota Thomas Hurter (UDC/SH) ha infatti dichiarato che, nell’eventualità di un voto negativo, le Camere potrebbero acquistare 12 aviogetti alla volta a intervalli di 15 anni, attraverso i programmi d’armamento e senza che il popolo possa pronunciarsi. La notizia, che ha sollevato scalpore, è poi stata ufficialmente smentita, pur suscitando nuove perplessità. L’atmosfera in vista del 18 maggio resta tesa. I sostenitori del Gripen hanno pochi motivi per ben sperare, visto che i sondaggi sono finora a loro sfavorevoli. La campagna assomiglia molto a quella sull’acquisto degli FA-18. Nel 1993, il costoso progetto (3,5 miliardi di franchi) era volto al fallimento, viste le proteste per quella grossa spesa, soprattutto nel contesto di fine della Guerra fredda. Allora, grazie a una mobilitazione capillare i fautori riuscirono tuttavia ad aver ragione: l’iniziativa popolare del GSsE che voleva imporre, fino al 2000, una moratoria sull’acquisto di ogni nuovo aereo da combattimento e bloccare così gli FA-18, venne respinta con un’inattesa maggioranza del 57,2%. Una sorpresa che potrebbe ripetersi il 18 maggio?
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Politica e Economia
Più Cantoni in rosso Finanze pubbliche I conti consuntivi 2013 dei Cantoni beneficiano di un contenimento delle spese, ma soffrono
di un calo delle entrate come pure del peso del risanamento delle casse pensioni dei dipendenti pubblici Ignazio Bonoli La pubblicazione dei dati del consuntivo 2013 ha fatto aumentare il numero dei Cantoni che chiudono i conti in rosso. Alla regola non sfugge il Ticino, che è anzi uno dei peggiori in Svizzera. Il risultato d’esercizio chiude infatti con un disavanzo di 177,6 milioni di franchi a fronte di un preventivo che ne prevedeva già uno di 165,6 milioni. L’autofinanziamento, cioè l’onere netto per investimenti, si riduce a 2,9 milioni, vicino cioè – come già avvenuto in passato – alla fatidica soglia zero. Il risultato globale si avvicina ormai ai 300 milioni di disavanzo. Di conseguenza, il debito pubblico ticinese cresce, in un solo anno, a 1,7 miliardi di franchi.
Ticino al penultimo posto dei 18 Cantoni in rosso; complessivamente il disavanzo dei Cantoni si è però ridotto Il totale delle uscite correnti, con 3,116 miliardi è superiore di circa 73 milioni a quello preventivato, ma anche le entrate correnti, con 3,119 milioni, sorpassano quelle preventivate di circa 43 milioni. Il mancato sforzo per il contenimento delle uscite è ancora una volta evidenziato da questo consuntivo, al quale mancano quelle sopravvenienze che in passato avevano risanato il bilancio grazie all’aumento delle entrate correnti. Con queste cifre, anche il Ticino entra nella folta schiera dei Cantoni (18) che chiudono i loro bilanci in rosso. Ma vi entra al penultimo posto, subito prima del Canton Neuchâtel. Il momento congiunturale particolare ha avuto un impatto notevole sui bilanci di alcuni Cantoni che risentono del calo delle attività finanziarie e della relativa entrata di imposte. Il fenomeno si era già verificato nel 2012. La maggior parte dei Cantoni ha però potuto attuare misure di risparmio, in questo modo il passivo globale è di circa la metà di quello del 2012, che aveva toccato la punta di 1,2 miliardi di
Il deterioramento delle finanze pubbliche ticinesi non si arresta, nel 2013 il disavanzo è stato di 177,6 milioni. (CdT - Gonnella)
franchi. Se, in generale, tutti i Cantoni hanno visto crescere le spese sociali (tra le quali diventa sempre più impegnativo il finanziamento degli ospedali), si possono comunque constatare notevoli differenze fra gli uni e gli altri. Per esempio, nonostante il forte impatto delle spese sociali, i Cantoni della Svizzera tedesca chiudono i bilanci meglio del Ticino e della Svizzera romanda. Tra i primi si è distinto Berna che è riuscito a trasformare il disavanzo del 2012 in 157 milioni d’avanzo d’esercizio nel 2013. L’esercizio è riuscito bene anche a Basilea Città e a Ginevra. Un altro impatto di un certo peso è stato quello dell’accantonamento per il risanamento della cassa pensioni dei dipendenti, dopo l’allarme suscitato dalle intenzioni della Confederazione di costringere anche le casse pubbliche a garantire le coperture come quelle private.
Questa operazione, unitamente a un calo dei rendimenti del gruppo energetico Alpiq, ha costretto per esempio il Canton Soletta a chiudere i conti con un disavanzo di 121,3 milioni. Il calo del gettito delle società operanti sul mercato finanziario è stato evidente anche in Cantoni come Zurigo, che registra un passivo di 38 milioni, ma contro un preventivo attivo per 160 milioni. Lo stesso Canton Zugo, solitamente fra i migliori, ha visto il proprio utile d’esercizio ridursi a soli 20,5 milioni di franchi. Una constatazione analoga può valere anche per il Canton Ginevra: l’utile di 56 milioni di franchi non è tale da correggere la tendenza che vede nel medio periodo aumentare il debito strutturale. Una certa sorpresa desta il disavanzo del Canton Vallese di 53,5 milioni, dopo che per ben dieci anni aveva chiuso i conti in attivo. Si
Un ristagno lungo cento anni
sono qui sentiti anche gli effetti delle minori entrate dovute alla compensazione finanziaria intercantonale. Come già accennato, peggio del Ticino ha fatto solo Neuchâtel, con un disavanzo di 236,8 milioni, 221,4 milioni dei quali vanno però attribuiti a un accantonamento straordinario per il risanamento della cassa pensione dei dipendenti. Il generale rallentamento del gettito d’imposta è stato in qualche caso accentuato dalla politica di sgravi fiscali messa in atto da alcuni Cantoni. Non è quindi da escludere che, se non già quest’anno, probabilmente nel prossimo vi sarà un aumento della pressione fiscale a livello cantonale. Cantoni della Svizzera centrale come Svitto si trovano in difficoltà per avere probabilmente esagerato nella politica di alleggerimenti fiscali. Per tutti i Cantoni il quadro ne-
gativo viene completato dal mancato versamento della quota di utili della Banca Nazionale per circa un miliardo. Se è vero che i Cantoni non dovrebbero contare troppo su queste entrate (che probabilmente non saranno versate nemmeno quest’anno), è anche vero che proprio in questi momenti tali partecipazioni sono particolarmente utili. Altre minacce si affacciano comunque all’orizzonte delle finanze cantonali, come il già citato risanamento delle casse pensioni, ma anche la revisione della compensazione finanziaria, o la riforma della tassazione delle imprese. Qualche timore suscitano anche gli eventuali effetti economici dell’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Alcuni Cantoni sono pronti ad affrontare queste sfide, ma per altri potrebbero essere fonte di nuove difficoltà.
L’Argentina insegna
La consulenza della Banca Migros
Albert Steck Secondo lei quante possibilità ha l’Europa di riprendersi del tutto dalla crisi?
Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros
Ogni nuova generazione gode di un benessere superiore al precedente. Questa promessa è profondamente ancorata nella nostra mentalità, come se fosse una legge naturale. In realtà il Ventesimo secolo ci ha riservato un boom favoloso, ma la storia ci insegna che una crescita così poderosa è un’eccezione. E persino nel fiorente secolo scorso non tutte le regioni hanno beneficiato della ripresa in pari misura. Prendiamo l’Argentina: cento anni fa il Paese si annoverava tra i più ricchi del pianeta, ma da allora la discesa è stata continua, come illustra bene il grafico con il prodotto interno lordo (Pil) pro capite. I dati sono raffigurati in modo tale che la Svizzera costituisca il parametro di riferimento con un valore costante di 100. In concreto, un secolo fa la ricchezza dell’Argentina raggiungeva il 90 percento del livello svizzero, nel frattempo è appena al 40 percento. Altri Paesi potrebbero subire quello che l’Argentina sta vivendo da
cento anni. Non solo in Giappone, ma anche in tanti altri Paesi europei si moltiplicano i segnali di un ristagno prolungato: in Italia il Pil pro capite è fermo al livello del 1998 e il divario rispetto alla Svizzera è come quello di trent’anni fa. La Grecia ha vissuto un tracollo drammatico, con un’economia che in soli cinque anni si è contratta di un quinto.
L’Italia è precipitata alle spalle della Corea del Sud
Prodotto interno lordo (Pil) pro capite rispetto alla Svizzera (il valore svizzero corrisponde al 100 percento): anche l’Argentina ha raggiunto una crescita dell’1 percento nella media annua. Ma rispetto all’incremento della ricchezza negli altri Paesi l’Argentina è pesantemente retrocessa. Dati: Banca Migros / Maddison Project / OCSE
Perché questi Paesi riprendano fiato occorrono riforme profonde. In Italia, per esempio, per allacciarsi alla rete elettrica serve più tempo che in Kazakistan, come emerge da uno studio della Banca mondiale. In un recente sondaggio del World Economic Forum sul peso dell’apparato statale l’Italia è al 146° posto, dietro alla Grecia, al 144° posto. Senza riforme dubito che il continente europeo possa riprendersi completamente dalla crisi. Ma qui non vogliamo occuparci
soltanto della zona retrocessione. Il grafico illustra anche lo spettacolare exploit della Corea del Sud, che da Paese una volta poverissimo era riuscita a superare l’Argentina solo nel 1988 e oggi il suo livello di ricchezza è maggiore di quello dell’Italia. E la Svizzera? Negli ultimi cento anni la nostra ricchezza si è all’incirca quintuplicata, un’evoluzione letteralmente impressionante. Ritengo tuttavia poco
probabile che questo ritmo possa proseguire. Il perché lo scoprite nel nostro nuovo blog all’indirizzo http://blog. migrosbank.ch/it. Informazioni
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Politica e Economia Rubriche
Il Mercato e la piazza di Angelo Rossi Non cambia ancora niente, ma…! Per l’andamento futuro dell’economia sono decisive le aspettative degli investitori. Che intenzioni hanno quelli che, fino al 9 febbraio, avevano deciso di investire in Svizzera e crearvi posti di lavoro anche nei prossimi anni? Fino a ieri non potevamo che fare congetture sul comportamento di questi agenti così importanti per la nostra economia. Ora, per renderci conto di quello che potrebbero fare, abbiamo a disposizione i risultati di un’inchiesta che il KOF, l’istituto di ricerche economiche del politecnico di Zurigo, ha svolto, tra il 25 febbraio e il 21 aprile, in un campione di 2700 aziende del nostro Paese. Il commento ai risultati di questa inchiesta assomiglia un po’ al ritornello della famosa canzone di Paul Misraki «Tout va très bien, madame la marquise, tout va très bien, tout va très bien. Pourtant il
faut, il faut que l’on vous dise, on déplore un petit rien». Insomma nell’economia svizzera, per il momento, non è cambiato niente: tutto va bene. Tuttavia c’è quell’inezia che disturba. Il 2,6% delle aziende intervistate ha affermato di voler procedere, già quest’anno, alla riduzione degli investimenti. La percentuale degli investitori che intendono ritirarsi sale al 5,8%, per il 2015, e al 7,5%, se prendiamo in considerazione il 2016. Sembrerebbero percentuali poco importanti, se non fosse che, dall’altra parte, ossia dalla parte delle aziende che intendono investire di più non trovassimo che uno 0,9% per quest’anno e un 1,8% per il 2015. «La maggior parte delle aziende è attendista» ha affermato il direttore del KOF. Dei risultati che possono essere dedotti dall’inchiesta del KOF questo è certamente il più
preoccupante. Se sugli investimenti le aziende sembrano non volersi sbottonare, sull’occupazione sono anche maggiormente prudenti. Di assunzioni non se ne parla. Al centro dell’attenzione è il modo con cui le autorità intendono introdurre il contingentamento degli stranieri. Se, nelle prime settimane dopo la votazione, le aziende che occupano molti stranieri sembravano essere pronte a dar battaglia per ottenere la fetta maggiore dei contingenti, oggi sembra che – almeno stando sempre alle dichiarazioni del direttore del KOF – cominci a farsi strada la rassegnazione. Si parla di tagli e si parla di spostare le attività all’estero. La riduzione degli investimenti e i tagli del personale sono due delle possibili conseguenze dirette del voto del 9
febbraio sull’andamento dell’economia svizzera. La terza è invece indiretta e sarà dovuta al colpo di freno che il contingentamento eserciterà sulla crescita della popolazione. Il settore più colpito dalla riduzione del tasso di crescita della popolazione sarà ovviamente l’edilizia. Già oggi si prospettano meno costruzioni per gli anni a venire. Ovviamente, se si costruisce meno ci sarà anche meno bisogno di manodopera e le aziende del settore non assumeranno. È anzi possibile che anch’esse dovranno procedere a tagli nell’occupazione. Dall’inchiesta del KOF emergono dunque tutte le caratteristiche del circolo vizioso della depressione economica: la caduta degli investimenti determina una riduzione dell’occupazione e del prodotto interno lordo, soprattutto nelle aziende che espor-
tano. Questi sviluppi influenzano, a loro volta, negativamente l’evoluzione della popolazione e quella dei rami che servono il mercato interno. Per finire, il rallentamento congiunturale si propaga a tutti i rami dell’economia e tende a riprodursi nel tempo. A meno che non intervengano fatti nuovi a modificare le aspettative degli investitori. È possibile che una volta che si saprà come il mandato popolare sarà effettivamente realizzato, queste aspettative migliorino. Lo faranno specialmente se la Svizzera saprà trovare con l’Unione Europea un accordo che le consenta di mantenere in vigore gli Accordi bilaterali. Su questo fronte, per il momento, tutto tace. Non è certamente un male, perché in materia di trattative internazionali se l’informazione è d’argento, il silenzio è d’oro.
principale, quando si parla di diseguaglianza, riguarda il merito: i ricchi spesso si sono guadagnati quel che possiedono con innovazione, genialità e intelligenza. Ma Piketty dice che i ricchi di oggi si saranno pure conquistati la loro ricchezza, ma quelli di domani non avranno bisogno di farlo,
L’economista Thomas Piketty.
visto che già oggi i più benestanti guadagnano più dalle rendite dei loro patrimoni che dalle rendite da lavoro. In questo modo l’economista francese demolisce la teoria dei liberisti che, in regime di libero mercato, teorizzano che la ricchezza, anche di pochi, si distribuisce su tutti (è il fenomeno «trickle down»). Piketty, che ora sta partendo alla conquista del pubblico inglese, ha vissuto l’esperienza americana con stupore e competenza, s’è prestato a tour de force televisivi, ha avuto incontri al Fondo monetario e anche alla Casa Bianca, e l’unico suo problema è stata la sua agente che, per rispettare tutti gli impegni, lo implorava di dare short answer, risposte corte, che su un tema così articolato e complesso non erano facili da impostare. Ma la domanda che ancora rimane è: perché i francesi non hanno valorizzato il loro enfant prodige dell’economia di sinistra? Alcune fonti dicono che il presidente François Hollande, non ha ancora letto il libro. Eppure di Piketty dovrebbe sapere tutto visto che è stato consigliere economico, nel
2008, dell’ex compagna del presidente, Ségolène Royal, durante la campagna elettorale di quell’anno (Piketty ha anche avuto una storia con l’attuale ministro della Cultura, Aurélie Filippetti, finita con una denuncia di percosse da parte di lei, ritirata dopo le scuse di lui, ma questa è un’altra storia). Clea Caulcutt ha cercato di spiegare su «Foreign Policy» perché i francesi non hanno saputo riconoscere il loro fenomeno: giornali come il destrorso «Figaro» hanno scritto che si tratta di un bel lavoro ma che non dice nulla di nuovo, mentre i giornali di sinistra hanno sì riconosciuto la completezza dello studio, ma senza dare quel peso al libro necessario per toglierlo dai circuiti accademici e farlo diventare un bestseller. Alcuni dicono che la Francia non sa valorizzare i suoi studiosi, altri sostengono che Piketty è considerato a sinistra della sinistra, troppo contro i ricchi, e così è rimasto emarginato. Forse più semplicemente la ragione principale è che si tratta di un libro che va bene per élite di Paesi in crescita, e la crescita, in Francia, è ancora un sogno.
sarebbe saggio farsi scavalcare dalla Confederazione a pochi chilometri dal confine; non sarebbe saggio chiudersi nell’angolo degli imbronciati mentre tutti gli altri si apprestano ad attrezzare i loro padiglioni. Semmai la questione è: come, con quali progetti, possiamo noi, alfieri dell’italianità nel consesso elvetico, contribuire a migliorare le relazioni bilaterali italo-svizzere, svolgere quella missione di pontieri tra lingue e culture che spesso, orgogliosamente, ci attribuiamo? Il messaggio del governo propone di puntare sul turismo e l’accoglienza alberghiera, sulla rilevanza di AlpTransit quale anello centrale dei collegamenti centro-europei e sul rilancio dell’idea, ormai secolare, dell’idrovia LocarnoMilano (segmento iniziale del tratto Locarno-Venezia). A questi si sono aggiunti altri progetti minori, sostenuti principalmente dalle città di Bellinzona, Mendrisio e Lugano. L’esposizione milanese, com’è noto, ruoterà intorno al tema dell’alimenta-
zione e dell’energia: «nutrire il pianeta, energia per la vita». Filo conduttore che comprende altri ambiti molto affini, come quelli della sostenibilità (evitare gli sprechi), della mobilità lenta, del rispetto per l’ambiente, dell’ecologia e della crescita qualitativa. In questo contesto, il fattore «acqua» appare come la leva strategica che muove tutte le altre. Pensiamo alla ricchezza idrica delle nostre Alpi, ai bacini di accumulazione che producono energia elettrica in parte destinata all’esportazione, alle centrali che mantengono in movimento le locomotive delle ferrovie federali... L’acqua affiora nel progetto alla voce idrovia, o via d’acqua tra Locarno e Milano. Una vecchia idea, tanto affascinante quanto problematica. Problematica perché gli ostacoli da superare, per rendere il fiume veramente navigabile e non occasione di avventura per canoisti audaci, sono tutti sul territorio italiano. Le ultime notizie, su questo progetto, non sono incoraggianti. L’idea trainante, quasi in senso proprio,
rimane quella ferroviaria. L’intento è prima di tutto informativo, ossia di far conoscere ad un pubblico potenziale di diversi milioni (si stima venti) una realizzazione in cui la Svizzera ha investito non solo miliardi di franchi, ma anche attese e speranze. Una su tutte: quella di trasferire le merci dalla strada alla rotaia. Quello ferroviario rimane un capitale che il popolo svizzero ha riconosciuto più volte come suo attraverso numerose votazioni. Non ha generato i dissensi e le battaglie campali che altrove hanno gravemente incrinato il rapporto di fiducia tra le autorità e le popolazioni locali (Val di Susa). La «cultura ferroviaria» elvetica è generalmente apprezzata e ammirata dagli italiani, alle prese con un trasporto pubblico largamente lacunoso. Valorizzare questo capitale, per esempio con la rimessa in esercizio di un treno d’epoca sulla tratta Milano-Bellinzona, simbolicamente denominato il convoglio del Biscione visconteo, desterebbe sicuramente interesse e curiosità.
Affari Esteri di Paola Peduzzi È francese ma piace gli americani Hanno dovuto informarsi bene, gli americani, su come si pronuncia il nome dell’economista francese di cui si sono innamorati, perché non si può adottare un libro sulla lotta alle diseguaglianze e poi cascare sui dettagli. Per fortuna il nome è facile: la rockstar della teoria economica del momento si chiama Thomas Piketty, ha quarantadue anni, ha scritto un libro, Le capital au 21e siècle, che in Francia è stato più o meno ignorato – è uscito nel settembre dello scorso anno – e che in America è arrivato con un’edizione universitaria della Harvard Press che è subito parsa inadeguata, visto che in poche settimane il saggio è diventato il più venduto su Amazon e svetta nella classifica dei bestseller del «New York Times». Paul Krugman, premio Nobel per l’Economia con spiccato senso della comunicazione, ha fissato il trend: «Piketty è il miglior economista vivente», ha scritto, «e il suo libro sarà al centro del dibattito per molti anni a venire». Le capital (il riferimento marxista è voluto) è un tomo di 700 pagine, pieno di grafici stranamente
comprensibili, che si scaglia contro le rendite di posizione, come principali creatrici di ineguaglianze. Piketty da sempre studia la relazione tra crescita e redistribuzione, ma se finora si era concentrato sui profitti (quel che guadagniamo) ora è passato ai patrimoni (quel che possediamo), per arrivare a dire che il capitalismo, senza correzioni forti da parte dei governi, aiuta soltanto i più ricchi. È il manifesto economico, per semplificare, di Occupy Wall Street, contro l’1 per cento, contro l’élite superbenestante, contro il capitalismo che genera ricchezza soltanto in uno spicchio piccino del mondo. Piketty ha fatto un lavoro fenomenale sui dati, andando indietro fino al XVIII secolo, per dire che quando non c’è crescita, il profitto generato dalla ricchezza cresce esponenzialmente e aumenta la disuguaglianza (cresce molto di più rispetto ai redditi da lavoro). Chi eredita grandi fortune realizza una posizione dominante e, in questo caso, l’unica alternativa alle politiche di redistribuzione diventa trovarsi un marito ricco. L’imbarazzo
Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti In carrozza ad Expo 2015 Le frizioni createsi negli ultimi anni tra il Ticino e l’Italia, in particolare con la confinante Lombardia, hanno investito anche le relazioni culturali, solitamente «amichevoli» e «improntate alla massima collaborazione». La predominanza (relativa) leghista in entrambi i territori non ha permesso, finora, di disinnescarle, a favore di un dialogo più sereno e cooperativo. Il messaggio allestito dal Consiglio di Stato a proposito della partecipazione del cantone ad Expo 2015, all’interno del padiglione elvetico, ha prontamente registrato questo perdurante malumore. Che è, a prima vista, innaturale, anche se i precedenti non mancano, fin dal tentativo (1811) di strappare il Mendrisiotto alla giovane Repubblica per annetterlo al Regno d’Italia retto dal viceré Eugenio di Beauharnais. Ma, appunto, erano altri tempi, l’Italia del Nord era un protettorato di Napoleone e il movimento democratico ancora in fasce. In seguito il Ticino avrebbe seguito con grande trasporto protagonisti e vicende del
Risorgimento, offerto ospitalità ai perseguitati, e questo sia all’indomani dei due più sanguinosi moti milanesi (1848 e 1898), sia durante il fascismo, soprattutto dopo il 1943. Negli ultimi lustri, è vero, i rapporti si sono raffreddati, in particolare per divergenze riguardanti il mercato del lavoro, il flusso dei capitali (scudi fiscali) e la gestione dei rifugiati. Nei partiti e nell’opinione pubblica la diffidenza nei confronti della Repubblica italiana è senza dubbio cresciuta. L’accusa è quella di inaffidabilità, di inadempienza, di incostanza, di ritardi inspiegabili (v. linea Stabio-Arcisate). Sono disagi oggettivi e tuttavia non è saggio – come fanno i promotori del referendum antiExpo – assecondare, se non addirittura attizzare, gli elementi di tensione prima elencati. Un disimpegno da parte ticinese «sarebbe difficilmente comprensibile», ha ribadito l’esecutivo pensando alle conseguenze di un no popolare al credito di 3,5 milioni approvato dal Gran consiglio. Non
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Cultura e Spettacoli Addio, Gabo A poche settimane dalla morte di Marquez, uno dei più amati narratori del mondo
Danzando il mondo Ha preso il via anche in Ticino la ricca tournée di Steps, il Festival della Danza del Percento culturale Migros
Il ritorno del mito Wilko Johnson e Roger Daltrey hanno da poco pubblicato un CD insieme
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Il carteggio Bishop-Lowell Tradotte in italiano le dense (e poetiche) lettere fra due grandi personalità del Novecento
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Una serie di Calavera de la Catrina, diventate simbolo della Festa dei Morti in Messico. (Keystone)
Finché non tocca a me
Riflessioni Di fronte alla notizia della morte altrui, siamo indirettamente confrontati con la nostra
Maria Bettetini Ci sono cose che non si dicono, magari si fanno ma non si dicono. Vedere trasmissioni trash, leggere romanzetti rosa o dare una sbirciata ai siti porno, mangiare cioccolato di notte. Se si viene scoperti, il problema è tutto nella vergogna, nessuno si sognerebbe di gridare allo scandalo, forse nemmeno di metterci alla berlina, limitandosi magari all’ambito di coppia o di famiglia: e tu che mi fai tante storie se fumo una sigaretta, e voi che mi dite di non perdere tempo con i fumetti, frecciate che sono pesanti solo se l’atmosfera è già pesante. C’è però una cosa che non ci riesce proprio di perdonare, e non possiamo nemmeno prendercela col colpevole, di solito. Noi non sopportiamo che qualcuno a noi vicino o almeno noto compia l’unico passo certo e definitivo delle nostre fragili vite, non possiamo perdonare chi muore. Ci monta dentro una rabbia sorda, insieme allo sgomento e a volte, purtroppo, anche al dolore sincero. Non parliamo però degli addii a persone care, che non vorremmo mai accadessero, che vanno protetti e gelosamente custoditi, e lavorati dentro,
perché altrimenti rimane solo il peso e non tutto quello che ci possono dare (ma come, un lutto dà qualcosa, non è solo un furto? Sì, un lutto dà molto, a saperlo vedere). Diciamo della morte di persone solo note, perché pubbliche quindi famose o perché conosciute molto alla lontana. Bisognerebbe anche escludere i delicati casi in cui è probabile che la morte non sia venuta da sola, ma sia stata invocata e accolta, favorita. Lasciamo stare, perché con persone non vicine è spesso anche difficile sapere come sono davvero andate le cose, per fortuna. Quindi: si legge sul giornale, o qualcuno ci dice che la Vispa Teresa non è più tra noi. In verità abbiamo anche un altro strumento terribilmente aggiornato per conoscere in tempo reale questo genere di notizie, la rete con i profili Facebook, le voci di Wikipedia, i primi lanci di agenzia e i primi commenti. Una mia conoscente ha saputo della morte del fidanzato cercandolo in Fb per salutarlo. Si diceva però niente persone vicine, torniamo dunque alla notizia della dipartita da questo mondo della nota Vispa Teresa. Prima reazione: ma va? (quasi gradevole, un misto di morbo-
sità ed euforia da novità, qualcosa che esce dal previsto e quotidiano). Non è tanto innocente questo «ma va?», come vedremo, però è quasi istintivo, pazienza. Seconda reazione: è la Vispa Teresa che non c’è più, io sono ancora qui (ancora più euforia, anzi una botta di amore alla vita: come chi scampa a un naufragio bacia la terra ed è felice solo di esser vivo, così per brevi istanti siamo raggiunti da quello che già la prima incredula domanda aveva presagito, ci è andata bene). Terza: con tutto quel correre per i campi in cerca di farfalle, prima o poi lo sapevo io che si sarebbe fatta male, o magari ha fatto brutti incontri, tutta presa solo dal suo retino acchiappafarfalle. Come? Ah è morta di polmonite. Eh beh, la polmonite quando si corre è sempre dietro l’angolo. Avrà sudato? Chissà se portava la maglia della salute. Magari ha trascurato un raffreddore, pensandolo un’allergia da pollini. Quando cattura la gentil farfalletta, si sa, Teresa la Vispa correa tra l’erbetta. Che è umida, piena di fiorellini insidiosi, magari di spine velenose, mai fidarsi. Poi avevo anche sentito dire che la ragazza fosse un po’ svagata, non attenta a sé stessa come si deve essere.
Come? Era una polmonite autoimmune? Mmh, sì, ma anche quella va presa subito. Una volta mi capitò… Qui inizia una quarta fase, ma prima finiamo di analizzare la terza reazione. Ricorda quella degli Apostoli davanti al cieco nato, nel Vangelo di Giovanni: «Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse così?». Di chi è la colpa, per la sua malattia? Così noi ci chiediamo: per quale sua colpa la Vispa Teresa ha lasciato questa terra? Ditemelo, così che io mi possa rassicurare, così che io possa pensare di avere una buona ragione per essere viva: non passo mica le giornate a inseguire farfallette tra l’erbetta, io. Ecco perché alla notizia di un decesso di solito si aggiunge una qualche colpa del deceduto. Fumava, mangiava male, non faceva sport. È caduto da una roccia in montagna? Ma certo non era allenato. Non si curava. O si curava troppo, si sa che le medicine hanno sempre effetti collaterali, anche quelle omeopatiche e naturali, certo. La medicina omeopatica ti mette in corpo una particella di sostanza simile a quella che ti fa soffrire (omeo, cioè «lo stesso»), le medicine tratte da erbe non sono tutte in-
nocue, pensa alla cicuta. Insomma non diciamo che se la sia cercata, poveretto o poveretta la Vispa Teresa, ma ci sarà un motivo se è capitato a lei e non a noi. A questo punto, con la quarta reazione, la paura dettata dall’identificazione ci fa arrampicare su tutti gli specchi: ma non è possibile, ma l’ho vista ieri che correva felice, l’ho incontrata dal venditore di retini il mese scorso, mi ha telefonato saran due giorni. Soprattutto: aveva postato su Facebook una foto sorridente, era felice di vivere. Quindi non può essere morta, oppure mi nascondeva qualcosa che non so, una colpa remota. Solo così riesco ad accettare l’inaccettabile: che come la Vispa Teresa, anche noi al massimo, esageriamo, tra cento anni non saremo sicuramente più qui. Non è quindi tempo perso dedicarsi all’Altrove, oltre che al Qui, dato che là – di qualunque cosa si tratti – trascorreremo molto molto più tempo che qua tra erbette e farfallette. Non facciamone però un dramma, per un benedetto istinto di sopravvivenza continueremo il giochino di Totò, che sublima in un gesto tutta la metafisica paura dell’Oltre: capiterà a tutti, a te, a te e a te.
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Cultura e Spettacoli
Il terrore di essere il più bravo romanziere del mondo Letteratura Aneddoti e momenti salienti dalla carriera dello scrittore colombiano recentemente scomparso Mariarosa Mancuso «Se vincessi il premio Nobel per me sarebbe una catastrofe». Parole di Gabriel Garcìa Marquez, messe per iscritto nel 1981 da Peter H. Stone che lo intervistava per la «Paris Review». La rivista, fondata 61 anni fa dall’americano a Parigi George Plimpton – ne fu direttore fino alla morte, nel 2003 – ospita le più belle interviste che possano toccare in sorte a un lettore.
«Nel giornalismo basta un dettaglio falso per rovinare il lavoro. In letteratura basta un dettaglio vero per legittimare il lavoro» Per scrittori non si intende solo romanzieri: sull’ultimo numero, accanto a un racconto di Zadie Smith, c’è una lunghissima intervista a Matthew Weiner, l’uomo che ha inventato e scritto la serie tv Mad Men. Nei numeri arretrati – si possono leggere in inglese su Internet oppure raccolte nei tre volumi pubblicati da Fandango – ricordiamo una chiacchierata con Tony Kushner, il commediografo di Angels in America, pièce inserita da Harold Bloom nel suo Canone Occidentale (l’elenco, pubblicato e commentato in un saggio del 1996 suscitò molte critiche: lo accusarono di aver scelto soprattutto scrittori bianchi, maschi e morti). L’intervista a Gabriel Garcìa Marquez sta nel secondo volume pubblicato da Fandango, in buona compagnia con Harold Bloom, William Faulkner, Alice Munro, Graham Greene, Toni Morrison, Stephen King (ebbene sì, a costo di ripetersi: chi ama i romanzi, e non ha pregiudizi, sa distinguere tra l’ennesimo giallista italiano e uno scrittore vero). Il Nobel per la letteratura si abbatterà su Garcìa Marquez appena un anno dopo, nel 1982. Non era modestia, era terrore. Lo scrittore colombiano, sempre nell’intervista alla «Paris Review», da una parte ammette di voler diventare il più bravo romanziere del
10 dicembre 1982, Gabriel Garcìa Marquez ritira il premio Nobel per la letteratura. (Keystone)
mondo. Dall’altra, è già terrorizzato per i milioni di occhi che in caso di celebrità l’avrebbero scrutato e giudicato. Esattamente quel che è accaduto. Già folgorati sulla via di Macondo, del colonnello Buendìa che davanti al plotone di esecuzione ricorda «quando suo padre lo aveva portato a conoscere il ghiaccio», delle epidemie di insonnia e di smemoratezza che costringe a mettere i nomi sulle cose, ogni libro era un avvenimento. E ogni titolo restava nella memoria come il verso di una poesia: L’amore ai tempi del colera, La incredibile e triste storia della candida Erendira e della sua nonna snaturata, Memoria delle mie puttane tristi, Cronaca di una morte annunciata. All’inizio dell’intervista si parla di giornalismo e di letteratura (in quel periodo Gabriel Garcìa Marquez faceva inchieste di giorno e di notte lavorava
ai suoi romanzi). Molti si sono posti il problema, negli anni 60 e 70 gli americani inventarono il New Journalism, nessuno ha mai avuto le idee più chiare in materia. Spiega lo scrittore: «Nel giornalismo, basta un dettaglio falso per rovinare tutto il lavoro. In letteratura, basta un dettaglio vero per legittimare tutto il lavoro». Aggiunge di aver imparato l’importanza dei dettagli dalla nonna, grande raccontatrice di storie fantastiche, se non assurde. Era lei la prima a crederci, l’entusiasmo contagiava i nipotini. Pare semplice, non lo è affatto. Se volete provarci a casa, e se in fondo al vostro cuore sognate un best seller che andrà a ruba con il vostro nome in copertina e la fascetta «Cent’anni di solitudine per il terzo millennio», sappiate che Gabriel Garcia Marquez per trovare il tono giusto ha lavorato diciotto
mesi, sedendo tutti i giorni a tavolino. Ha capito che nessuno ti crede, se dici di aver visto elefanti svolazzare in cielo. Se però dici di aver visto centodiciassette elefanti svolazzare sopra la drogheria all’angolo, la gente presta molta più attenzione. A scuola cominciò disegnando fumetti, cosa che gli procurò subito l’appellativo di «scrittore» e l’obbligo di mettere su carta le petizioni dei compagni. Tra i primi libri letti, La metamorfosi di Franz Kafka. Non gli fece una grande impressione. O meglio: lo impressionò, ma non nella maniera che ci aspettiamo da un giovanotto che vuole fare lo scrittore, e ci riuscirà con grande successo di critica e di pubblico: «Bisognerebbe impedire a chiunque di scrivere cose del genere». Passò ai racconti, ma erano troppo intellettuali: «Non avevo ancora scoperto i legami tra la
letteratura e la vita». Aveva letto l’Ulisse di Joyce e Virginia Woolf, per impratichirsi con il monologo interiore. Tanta fatica per poi scoprire che l’inventore della tecnica era l’autore (anonimo, vissuto a metà del ’500) del romanzo picaresco Lazzarillo de Tormes. Vedendo il registratore, Gabriel Garcia Marquez non è troppo contento. Dice di possederne uno solo per ascoltare musica, non lo usa mai quando fa il giornalista. Ricorda Truman Capote, che aveva allenato la memoria e non prendeva mai appunti (per questo Marlon Brando si fidò totalmente di lui, e rimase malissimo perché nessun dettaglio imbarazzante era andato perduto). Droghe o altre sostanze stupefacenti, mai: «Chi crede che abbia scritto Cent’anni di solitudine sotto l’effetto delle droghe, non sa nulla della scrittura e neppure delle droghe».
Libri e libri Pubblicazioni Una breve storia dei supporti testuali, dai rotoli fin sulla soglia dei dispositivi digitali dello scrittore
e bibliofilo Andrea Kerbaker Stefano Vassere I libri che parlano di libri hanno un loro indiscusso potere di seduzione, e questo per almeno due motivi: chi ama i libri ama certamente anche sentire parlare di libri e di lettura, come chi ama il calcio legge la «Gazzetta dello Sport» e segue la Domenica sportiva, magari per rivedere compulsivamente cose già viste, azioni, ammonizioni, azioni di fuorigioco. A rendere attrattivi i libri che narrano di libri c’è poi un meccanismo forse meno esplicito ma ampiamente studiato dalla semiotica novecentesca, che apparenta il libro al teatro, al cinema, alla stessa letteratura e che rende particolarmente curioso e incuriosente ogni messaggio che contiene il medium medesimo: il teatro nel teatro, le citazioni cinematografiche nei film, le storie che raccontano di storie ecc. Questo Breve storia del libro (a modo mio) dello scrittore e amante dei libri Andrea Kerbaker ha in questo senso due passi esemplari, alle pagine 175 e
191: nel primo caso, parlando delle case editrici che hanno visto la luce nell’Ottocento, Kerbaker dice che «nel panorama non mancano sigle italiane (tra loro
Il libro di Kerbaker.
la Salani, nata nel 1862, che esiste felicemente ancora oggi, ed è tra l’altro la capogruppo dell’editore di questo libro)» (175) e, parlando di promozione del commercio di libri nel Seicento, ricorda un aneddoto attribuito a «Mario Spagnol, papà dell’editore di questo libro». Per la cronaca, l’aneddoto riguarda Daniel Defoe (quello di Robinson Crusoe), che per ottenere il massimo di ascolto per un suo libro, sarebbe «andato a leggere un suo pamphlet sul patibolo di un condannato a morte, dove la curiosità morbosa della folla gli avrebbe garantito audience particolarmente numerosa». Ecco, quindi, lo stesso libro che state leggendo citato al suo interno, insieme a molti altri libri e alla loro stessa storia; e, in più, una tanto prevedibile quando benvenuta serie di aneddoti sui supporti testuali e la loro storia, raccontati à la Kerbaker, cioè con il consueto e conosciuto piglio divertito, entusiasta e partecipato dello scrittore milanese. Il libro è poi realtà multiforme, dal punto di vista culturale un
intero mondo, e la parola stessa è piena della propria storia, ragione per la quale parlare dell’oggetto significa parlare delle sue forme, delle tecniche per produrlo, promuoverlo, distribuirlo, fruirne, tipografie e loro vicende, librerie, biblioteche, critica libraria, premi letterari e tutto il resto. Così aneddotica, piste e deviazioni si moltiplicano all’infinito, e uno arriva alla fine di queste duecentocinquanta pagine con sorprendente facilità, che è quello che si chiede a una lettura di svago. Così nel Chisciotte di Cervantes, dove il cavaliere e il fedele Sancho visitano una tipografia dove si stampa lo stesso libro che li vede protagonisti. E nella storia del diritto d’autore, che ha la nota anticipazione del Copyright Act all’inizio del Settecento, ma che accompagna di fatto, nella sua versione più compiuta, la Rivoluzione francese: nel 1793, una legge sancisce i diritti di un autore sulla sua opera fino a due anni dopo la sua morte, e da lì la norma si estende a tutto il mondo occidentale,
ma non alla Cina, dove – si badi bene – «ancora non c’è». Ma della serie dei fatti raccolti in questo testo fa parte anche l’episodio della morte, carica di dolente simbologia, di Albert Camus e del suo editore. «Il legame tra la famiglia Gallimard e i suoi autori è così forte che c’è persino una clamorosa morte congiunta: accadde all’inizio del 1960, quando Michel Gallimard va a trovare Albert Camus nella cittadina di Lourmarin nel sud della Francia; il giorno dopo ripartono insieme verso Parigi a bordo della macchina dell’editore. Gallimard ha il piede pesante: mancano cinque minuti alle due quando perde il controllo della macchina e si schianta contro un platano. Camus muore sul colpo; il suo amico editore cinque giorni più tardi». Bibliografia
Andrea Kerbaker, Breve storia del libro (a modo mio), Milano, Ponte alle Grazie, 2014.
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Cultura e Spettacoli
Passione, virtuosismo, energia dirompente
Il valore del secondo sguardo Fotografia Le immagini di Franco
Festival della danza Steps Domani sera a Lugano una nuova tappa Semini esposte fino al 16 maggio a Lugano
della più importante rassegna nazionale di balletto, sostenuta dal Percento Culturale Migros Valentina Janner Lo spettacolo che la compagnia Danza Contemporánea de Cuba presenterà domani sera al Palazzo dei Congressi esce dagli schemi tradizionali della danza cubana, a dimostrazione che lo stile di questa compagnia è tra i più innovativi della scena mondiale. Ventidue ballerini dal fisico scultoreo si esibiranno in due opere a sfondo politico del coreografo cubano Céspedes Identidad-1 e Mambo 3XXI, nonché in Demo-N/Crazy, una coreografia dinamica ed esuberante realizzata dallo spagnolo Rafael Bonachela.
I temi dello spettacolo sono identità nazionale, democrazia della danza, rinnovamento della tradizione Identidad-1 significa identità «alla meno uno», cioè al contrario. Questo loro lavoro intende mettere in discussione il concetto di identità culturale e nazionale. Una schiera di soldati esegue movimenti meccanici, dettati da questa identità che si è impossessata del loro corpo e che impedisce alla volontà individuale di esprimersi. A tratti i ballerini vibrano compulsivamente, come fossero elettrizzati, cercando di ribellarsi alla forza incontrollabile che li ha invasi. Diventano poi automi dai corpi sciolti e flessibili che effettuano movimenti fluidi; anche quando la musica si interrompe, come dei robot programmati, essi continuano a muoversi in sincronia. Per una perfetta esecuzione è necessaria un’eccellente padronanza tecnica, che la com-
pagnia cubana dimostra senza alcun dubbio di possedere. Miguel Iglesias, direttore artistico della compagnia da ormai 29 anni, spiega che «Céspedes è un coreografo controverso, che protesta contro tutto. Con Identidad-1 mette in discussione i clichés sui cubani: che debbano per forza ballare la salsa, bere rum e fumare sigari. Questo è rappresentato dall’inespressività dell’esercito di danzatori, programmato affinché prevalga quest’identità restrittiva, di cui i ballerini cercano di liberarsi. Ritroviamo lo stesso tema in Mambo 3XXI, dove la musica del cubano incontra l’allegria del cubano in maniera diversa rispetto agli anni ’50, quando è nato questo genere musicale. È un modo molto attuale di interpretare la tradizione». Mambo 3XXI equivale a «mambo del terzo millennio, secolo ventunesimo»: su una musica rivisitata in versione elettronica, i tipici movimenti curvilinei e sinuosi sono qui eseguiti da corpi rigidi, risultando così molto meccanici. Il pezzo è caratterizzato da una progressiva liberazione dell’indole cubana, che alla fine prevale e si manifesta nell’allegria e nella gioia di vivere tipiche di questa cultura. I ritmi accelerano, i salti e i virtuosismi acrobatici si susseguono, i gruppi si sciolgono e si ricompongono in costellazioni diverse, alternandosi ai passi a due. Questo è lo spirito che contraddistingue i cubani espresso dai danzatori che, come spiega Iglesias, sembrano dire: «Perché devo essere contro tutto ciò, se dopotutto io sono cubano?». Da ultimo, il pezzo Demo-N/ Crazy mette in scena le passioni dell’uomo: la disperazione, l’amore, la rabbia e l’aggressività. Movimenti fulminei, prese spettacolari e salti di
gruppo come fuochi d’artificio sono interrotti da interludi malinconici e toccanti. L’acme della commozione è raggiunta al momento dell’interpretazione a cappella di Razones di Bebe da parte di una ballerina, che rende partecipe lo spettatore della propria intimità. Eleganza e dolcezza si alternano pertanto a un erotismo primitivo. Guidati dall’istinto, i danzatori-demoni si mordono e urlano dal dolore e dalla disperazione. Il contrasto tra i diversi stati d’animo è efficace e abilmente orchestrato. La maggior parte di questa coreografia, come di tutte quelle di Danza Contemporánea de Cuba, si basa sull’improvvisazione dei danzatori. Iglesias spiega: «È questo il nostro segreto: i ballerini improvvisano. Non sono meri esecutori, bensì parte della coreografia. La danza cubana è fortemente improntata su questo metodo. In tutta l’isola vi sono quattordici scuole elementari, quattro licei e un’università dedicate allo studio della danza. Già alle elementari gli allievi imparano a improvvisare, a livello medio-superiore a comporre, così, quando vien data loro un’idea, la sanno concretizzare e alla fine la composizione diventa un’opera di tutti. I movimenti sono quindi creati dai ballerini stessi, da qui il titolo Demo-N/Crazy, che allude alla democrazia, ma anche a un demonio pazzo, che riesce a ballare sulla musica orribile di Julia Wolfe. Allo stesso modo nella scena finale i ballerini danno prova di capacità di adattamento, quando restano immobili sulla propria testa, perché il mondo sta a testa in giù, al contrario; sta poi a ciascuno scegliere se rimanere oppure no. E chi resta, resta per lottare. Essi rappresentano coloro che, nonostante tutte le barbarie, mantengono il controllo di sé stessi».
Danza Contemporànea Cubana proporrà Identidad-1, Mambo 3XXI e Demo-N/Crazy.
Palpiti di Franco Semini.
Eliana Bernasconi Semini fa fotografie da oltre mezzo secolo, sebbene non sia fotografo di mestiere. A osservare i suoi scatti e ascoltando i suoi commenti, viene però subito in mente quanto scrive Ferdinando Scianna nel suo recente libro Autoritratto di un fotografo: «la fotografia è stata e continua a essere per me una passione, la conquista di un linguaggio, l’occasione d’incontri, lo strumento chiave della vicenda umana». Semini ci presenta il suo racconto fotografico attraverso un ritmo irrequieto di stili, dal disegno esatto dell’oggetto fino a una sua rappresentazione irreale che tale, tuttavia, non lo è poiché la stampa rispecchia quanto s’è visto durante lo scatto. Non è mai utilizzata la postproduzione per modificare l’immagine fotografata precedentemente, se non per migliorare la luminosità, il contrasto o la saturazione: proprio come succede da sempre stampando in camera oscura. Inevitabile è pertanto la domanda di come si giunga a linguaggi compositivi così differenti tra di loro e quale sia la scelta operativa. Dopo aver dedicato cinque anni d’immagini al paesaggio e al ritratto in bianco e nero, nel 1970 Franco Semini si rivolge definitivamente alla fotografia a colori. I quindici anni successivi riguardano principalmente la figura ambientata, ma poi giunge a Vienna e, affascinato dalla cattedrale Stephansdom e dalla poderosa Kaiserturm, scatta due fotografie con una tecnica di ripresa per lui del tutto oscura e ancora da interpretare: la sovrapposizione di più scatti su una singola immagine della pellicola. La mostra espone queste due immagini, e questo modo di fotografare diverrà presto la scrittura riconoscibile di Semini. La seduzione formale e cromatica è visibile anche in altre fotografie esposte, ma una particolare menzione va fatta per Palpiti, dove appare il David di Michelangelo interpretato in modo inusuale e affascinante. Più tardi, la tensione fotografica cambia di nuovo e, attraverso un pezzo di cristallo o un vetro deformato, Semini riesce a dissolvere sorprendentemente un oggetto facendogli perdere la connotazione precisa delle forme; i colori esplodono in modo incontrollabile. Ma poiché il campo d’impiego della nuova tecnica era limitativo, il continuo rinnovamento dello stile compositivo si risolve infine con l’uso di specchi quasi sempre di grandi dimensioni e facilmente deformabili an-
che solo da un leggero soffio di vento. La mostra offre grande spazio a questo modo di fotografare dalle amplissime possibilità formali, tra le quali il sorprendente immaginario surrealista. Semini dimostra d’essere anche un reporter, e supera e s’infila attraverso i confini degli eventi dimostrando grande capacità conoscitiva e descrittiva dei soggetti. Semini è uno sperimentatore puro, stupisce, diverte e fa riflettere. Novanta fotografie presentate presso l’Atelier Arte & Architettura di Lugano – con allestimento espositivo attento e sensibile – sono molte, ma nemmeno sufficienti per mostrare tutti i periodi fotografici e gli stili compositivi descritti in questa recensione. Semini ci tramanda la cultura fotografica e, inoltre, il suo linguaggio è indissolubilmente legato a tutta la pittura del Novecento. Sarebbe interessante avere altre occasioni per osservarlo e scoprire un’ulteriore parte della sua notevole produzione. È stato scritto che Franco Semini è la «parete nord» della fotografia. Quella che, se la si guarda distrattamente con un unico colpo d’occhio, sembra essere prigioniera nella sua ombra. Ma poi, per incanto, quando la si affronta si rivela la più seducente, piena di segni e forti tensioni e, immediatamente, si vuole scoprirla per intero e mai staccarsi da essa. Infine, bisogna fare cenno a un altro linguaggio di Semini, quello dei suoi versi poetici. Egli ha lasciato nella galleria alcuni suoi testi che i visitatori possono prendere e leggere anche fuori dallo spazio espositivo. Su un tavolo, stampata e rilegata dallo stesso autore, si trova invece l’unica stampa di un libro che contiene quasi tutte le sue poesie (molte). L’ha fatto per non perdere e per non dimenticare un testo che lui giudica un canto di poca voce che nessun editore vorrà mai pubblicare. Eppure è bello, poiché si tratta di pensieri – i nostri – espressi con un linguaggio essenziale; anch’esso un punto di vista fuori dalla consuetudine. Aurora: In luce che m’accarezza l’anima / anche l’affanno è un leggero / cadere di foglie. Dove e quando
Franco Semini, La parete nord. Atelier d’Arte & Architettura, Lugano (Via Trevano 29). Orari: lunedì-sabato 15.00 / 18.00; domenica chiuso. Fino al 16 maggio 2014 Informazioni: www.atelierartearchitettura.ch/
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Cultura e Spettacoli
Johnson e Daltrey, insieme Musica Coppia d’assi: l’inaspettata e sorprendente collaborazione tra Wilko Johnson e Roger Daltrey
come immersione totale nelle magiche e mai dimenticate atmosfere anni 60 della loro gioventù Benedicta Froelich Per quanto possa apparire pedante sottolinearlo per l’ennesima volta, le ultime annate discografiche hanno dimostrato come, nell’attuale panorama del grande rock internazionale, qualsiasi pubblicazione firmata da un «over 60» resti perlopiù garanzia di qualità – concretizzandosi nella produzione di album non soltanto impeccabili da un punto di vista stilistico e tecnico, ma anche dotati di quella grande carica ed energia che solo la passione e
Anche il chitarrista dei Dr. Feelgood e il cantante degli Who non resistono al fascino di un album-revival la professionalità maturate in decenni di carriera possono fornire. Un esempio calzante ne è questo Going Back Home, sorprendente frutto dell’inaspettata ma riuscitissima unione creativa tra Wilko Johnson, l’indimenticato chitarrista dei Dr. Feelgood, e Roger Daltrey, eccezionale voce della tuttora attiva formazione degli Who. Una cooperazione dovuta non soltanto alle indubbie affinità elettive, ma anche
a circostanze inderogabili: il cancro inoperabile da cui Wilko è affetto sembra infatti aver spinto i due a unire le loro forze proprio ora, conferendo al lavoro una struttura quasi «estemporanea» e folgorante, tanto che il disco scivola via con grande scorrevolezza e rapidità fin dal primo ascolto – caratteristica che costituisce indubbiamente uno dei suoi punti di forza. Going Back Home si preannuncia infatti come una delle produzioni più intriganti di questo 2014, nonché tra i prodotti dallo spirito più nostalgico che le recenti stagioni discografiche ci abbiano regalato: l’intero progetto trasuda un insopprimibile e deliberatamente ostentato spirito anni 60, quasi Daltrey e Johnson avessero voluto dare vita a un vero e proprio «viaggio nel tempo», compresso nei 35 minuti di durata dell’album (che, anche in questo, ricorda da vicino un LP dei bei tempi andati). Del resto, ogni particolare del disco lo colloca fermamente nel magico decennio dei «sixties» – a partire dalla copertina retrò, in cui le immagini giovanili in bianco e nero di Daltrey e Johnson richiamano da vicino la grafica vintage di band beat quali Kinks e Animals. Atmosfere confermate appieno dalle undici tracce dell’album, che scorrono rapide e rabbiose una dopo l’altra, senza mai superare i quattro minuti di durata, e
Concorso
I proventi della vendita del CD sono destinati a una Fondazione per la cura dei tumori infantili.
Steps 2014 Rassegna della danza Palazzo dei Congressi, Lugano Martedì 13 maggio, ore 20.30 Swan Lake Compagnia Dada Masilo (Sudafrica)
L’album di Wilko Johnson e Roger Daltrey, Going Back Home.
concentrandosi soprattutto su rockblues sporchi e nervosi, impreziositi da indiavolati assoli di armonica e magistrali riff di chitarra del buon Wilko. In effetti, l’impressione è quella di ascoltare un fulminante set elettrico in uno degli storici locali londinesi che hanno rivestito un ruolo chiave nella diffusione della British Invasion di inizio anni 60 – come l’Hammersmith Palais, teatro degli exploit, tra gli altri, degli stessi Who. In questa sorta di rievocazione nostalgica, un ruolo fondamentale lo giocano gli inconfondibili vocals ruggenti che sono da sempre marchio di fabbrica dell’inossidabile Roger Daltrey, il quale, a 70 anni suonati, appare in forma più smagliante che mai, e sfoggia una voce per nulla appannata dall’età o dalla fatica. Così, non c’è un attimo di tregua nella frenetica tracklist di Going Back Home: fin dalla title track di apertura – un blues scoppiettante, in cui la splendida voce di Roger è sovrappo-
sta a un efficace tappeto sonoro a base di pianoforte e armonica – quello che si presenta all’ascoltatore è un lavoro onesto, ben suonato e cantato, privo di rifiniture o imbellettamenti: un disco istintivo, estremamente puro e diretto, che non ambisce alla definizione di capolavoro, ma si accontenta di costituire un onesto quanto irreprensibile esercizio di stile nel più classico R’n’B anni 60. L’intera tracklist è infatti costituita da nuove versioni di brani firmati da Johnson, risalenti sia ai tempi dei Dr. Feelgood che alla sua più recente carriera solista; l’unica eccezione è la roboante cover di uno dei pezzi meno noti del repertorio di Bob Dylan, ovvero l’eccentrica Can You Please Crawl Out Your Window?. Ne risulta un lavoro molto uniforme ed equilibrato, interamente giocato su pezzi uptempo e trascinanti, che vanno dal travolgente Ice on the Motorway all’intrigante Sneaking Suspicion, fino ai ritmi martellanti di Everybody’s Carrying a Gun e al
Top10 DVD & Blu Ray
Top10 Libri
Top10 CD
1. Lo Hobbit 2
1. Sveva Casati Modignani
1. Gotthard
M. Freeman, I. McKellen 2. Frozen
Animazione www.steps.ch
La moglie magica, Sperling 2. Markus Zusak
Storia di una ladra di libri, Frassinelli
3. Piovono Polpette 2
Tra Jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Teatro San Materno, Ascona Giovedì 15 maggio, ore 20.30 Iva Bittovà, Solo concert per violino, voce ed elettronica ECM session 7
delicato intimismo di Turned 21, unico lento del disco. Forse, l’unica rimostranza che si potrebbe rivolgere ai due artisti riguarda il fatto che l’effetto sorpresa è quasi assente dall’album, in quanto le tracce mostrano una tale uniformità e coerenza da rendere la successione dei brani a tratti perfino monotona; eppure, anche questo è un dettaglio voluto e ricercato, ascrivibile alla rapidità e spontaneità con cui il disco è stato registrato – quasi in presa diretta, come accadeva soltanto nel magico periodo a cui Going Back Home si rifà. Anche in tal senso, l’album ha l’unica ambizione di intrattenere l’ascoltatore: e lo fa con una professionalità e cura tali da mostrare tutte le carte in regola per divenire un vero «classico», destinato non solo agli appassionati del genere, ma a tutti i nostalgici del grande rock ben suonato e arrangiato e, soprattutto, concepito ed eseguito con grande passione.
Animazione 4. I sogni segreti di Walter Mitty
Bang! 2. I Nomadi
Nomadi 50 + 1 3. Abba
3. Massimo Gramellini
La magia di un buongiorno Longanesi
Gold - 40th Anniversary 4. Moreno
Incredibile
B. Stiller, S. Penn 4. Veronica Roth 5. Hunger Games 2
Allegiant, De Agostini
J. Lawrence, J. Hutcherson
5. Artisti Vari
Sanremo 2014 5. Andrea Camilleri
6. Hungover Games
R. Nathan, S. Pancake
Inseguendo un’ombra, Sellerio
6. Pegasus
Love & Gunfire
www.rsi.ch/jazz 7. Barbie - La principessa delle perle
091/821 71 62 Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.
Braccialetti rossi, Salani
7. George Michael
Symphonica
Animazione Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 6 maggio al numero sulla sinistra dalle 10.30 alle 12.00.
7. Camilla Läckberg 8. Escape Plan
La sirena, Marsilio 8. Andrea Vitali
Buona fortuna!
J. Holloway, C. Brown
Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti Rizzoli
Bravo Hits Vol. 85 / novità 9. Mondo Marcio
Nella bocca della tigre 10. Roby Facchinetti
10. Monster High - Ciak si grida!
Animazione
9. Jo Nesbo
Il pipistrello, Einaudi 10. Paolo Cammilli
Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino
8. Artisti Vari
S. Stallone, A. Schawarzenegger 9. Battle of the year
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Cultura e Spettacoli
Ritorna a Locarno La buona novella di De André Concerti Il prossimo venerdì al Teatro, con il gruppo di Giorgio Cordini
che fu chitarrista di Faber Zeno Gabaglio Si terrà il prossimo venerdì 9 maggio alle ore 20.30 al Teatro di Locarno un concerto/omaggio al più amato cantautore della musica italiana, vale a dire Fabrizio De André. Non che ne siano mancati, di omaggi a lui dedicati dalla sua scomparsa nel 1998, ma quello che andrà in scena a Locarno di sicuro avrà un significato particolare perché a promuoverlo è Giorgio Cordini, chitarrista che fin dal disco Le nuvole fu sempre in tour con Faber. E particolare sarà pure perché si presenterà con una prima parte monografica dedicata a La Buona Novella e una seconda parte comprendente brani vari di De André. Una serata articolata e potenzialmente ricca di emozioni alla quale ci introduce Cordini. Com’è nata l’idea di riportare in concerto il disco La Buona Novella?
Tra i vari dischi di De André che ho amato da semplice spettatore, La Buona Novella era uno di quelli che conoscevo meno bene. Nel 1991 ebbi però la fortuna di entrare a far parte del gruppo di De André, per otto anni fino all’ultima tournée. E proprio suonandoci assieme mi sono accorto di quanto lui avesse a cuore quell’album, al punto che negli ultimi anni aveva introdotto in scaletta ben cinque brani da La Buona Novella. Lo stimolo ad andare
a fondo di quel disco e delle idee che ci stavano dietro fu perciò inevitabile.
Agenda dal 5 all’11 maggio 2014 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino
E cos’ha trovato in questa indagine?
Uno dei primi concept-album di tutta la musica italiana, pieno di significati sia sul piano musicale sia su quello letterario. Uno dei primi dischi ad avere un autentico spessore letterario – in molti hanno cominciato a parlare di poesia – derivato dallo studio dei vangeli apocrifi, cioè di quella sorta di Bibbia «parallela» in cui De André aveva rintracciato profondi elementi di umanità. Perché malgrado Fabrizio si fosse sempre professato anarchico, aveva un modo suo del tutto particolare per includere anche la dimensione spirituale nella propria visione del mondo.
Steps 2014 Danza Contemporan. de Cuba Martedì 6 maggio, ore 20.30 Palazzo dei Congressi, Lugano Tra Jazz e nuove musiche Michael Formanek Quartet Giovedì 8 maggio, ore 21.00 Studio Foce, Lugano Musicisti Artigiani In concerto: Momenti Giovedì 8 maggio, ore 20.45 Teatro Sociale, Bellinzona
Proprio il contrasto tra spiritualità e politica fu deflagrante per quel disco e per quell’anno – il 1970 – dove nelle strade i giovani costruivano barricate. La Buona Novella fu un disco più fastidioso per l’establishment benpensante – in quanto visione apocrifa della fede ufficiale – o per i giovani rivoluzionari – in quanto concessione alle tematiche spirituali?
ombra dall’ufficialità della Chiesa. Un approccio per quel periodo interessantissimo ed innovativo, che metteva in difficoltà anche coloro che dagli artisti pretendevano solo un aiuto alla lotta di classe.
Forse per entrambi allo stesso modo. Come più volte lo stesso De André ha chiarito in concerto, in Gesù Cristo si doveva riconoscere uno dei più grandi rivoluzionari degli ultimi tremila anni. E questo in virtù di quei suoi aspetti straordinariamente umani messi in
La Buona Novella musicalmente è stato un album molto ricco, con l’orchestra e il coro arrangiati da Gian Piero Reverberi. In concerto proporrete una dimensione altrettanto sinfonica o c’è da attendersi significativi ri-arrangiamenti?
Per otto anni sui palchi italiani insieme al cantautore genovese.
Ho cercato di essere il più rispettoso possibile rispetto agli arrangiamenti originali e le mie trascrizioni hanno trovato il consenso di Dori Ghezzi, vedova del cantautore e custode della fondazione che ne porta il nome. Per ovvi motivi – anche numerici – le canzoni non saranno identiche a quelle del disco, anche se certi cambiamenti (come l’aggiunta degli strumenti etnici alle sonorità classiche) fanno comunque parte di quello che sarebbe poi stato lo sviluppo musicale di De André.
Steps 2014 Goldfish Sabato 10 maggio, ore 20.30 Cinema Teatro, Chiasso Swiss Chamber Music Riflesso Bach Sabato 10 maggio, ore 19.00 Aula magna Conservatorio, Lugano Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook
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Cultura e Spettacoli
Una strana vitalità
Corrispondenze L’editore Adelphi pubblica il corposo carteggio tra Elizabeth Bishop
e Robert Lowell
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Daniele Bernardi Si scrive poesia perché il lettore si trovi «di fronte a qualcosa di nuovo, dotato di una strana vitalità», leggiamo nelle pagine di Un’arte perduta, il testo di Ottavio Fatica che conclude il bel libro Scrivere lettere è sempre pericoloso (Adelphi, 2014). L’espressione riportataci dal curatore dell’edizione italiana è, molto probabilmente, di Elizabeth Bishop (Worcester, Massachussets, 1911-Boston, 1979) – protagonista assieme al poeta Robert Lowell (Boston, 1917-New York, 1977) di uno straordinario carteggio durato un trentennio.
Antonella Rainoldi
Questo epistolario fra due grandi poeti non contiene cronache amorose, ma ruota intorno alla poesia C’è una sola cosa al mondo più noiosa di un epistolario: un epistolario che contenga rivelazioni sentimentali e cronache amorose. Fortunatamente, il libro in questione, non appartiene a questa categoria – nonostante la nota sul risvolto della copertina paia volerci confondere con espressioni come «amore a prima vista» o «amore impossibile». Certo, il rapporto tra i due protagonisti di questo scambio di lettere è suggellato da un immenso affetto che affonda le radici in una tensione erotica irrisolta. Ma il vero patto d’alleanza tra la Bishop e Lowell è, ovviamente, fondato sulla parola scritta. In queste pagine si parla soprattutto di letteratura, e in particolare di poesia. Anche quando sono i trascorsi burrascosi a prendere il sopravvento su queste esistenze che si narrano, è la scrittura, in quanto pratica e vocazione, a tenere le fila delle due vite. «Eppure le possibili alternative che ci offre l’esistenza sono pochissime, spesso nessu-
Il poeta Robert Lowell.
na» scrive il poeta in una significativa lettera del 1957. «Rispetto alla poesia» aggiunge «non credo di aver mai avuto scelta». Si è scrittori perché si è in una data posizione soggettiva – perché non si può non esserlo, anche quando si viene abbandonati dalla musa. E di autori, nel corso della lettura di questo «romanzo a due voci», ne incontriamo davvero tanti e tutti degni di nota: Ezra Pound, recluso tra le pareti del Manicomio criminale di Washington; i «beat», aspramente criticati dai due poeti della «middle generation»; Flannery O’Connor, ammirata per la sua capacità di «condensare tutta l’idea di una poesia in una frase»; Sylvia Plath, con il suo tragico destino e
il suo «estremismo bruciante». Questi alcuni dei molti nomi che fanno la loro comparsa tra le parole che affollano lettere talvolta brevi, talaltra lunghe e dettagliate, e che ci accompagnano in un viaggio attraverso due opere e un’epoca d’eccezione. Forse non è bene frugare nella vita privata di un autore. Rischiamo sempre di rovinarci l’appetito – poiché lo scrittore non ha certo il dovere di esserci simpatico, ma quello di eccellere nella sua arte dandosi ad essa e mettendosi in gioco. Anche da questo punto di vista i due poeti non ci deludono: nonostante le loro personalità, a volte, possano risultare insopportabili e capricciose, ciò non riguarda né contraddice il modo in cui agiscono attraverso il linguaggio –
poiché l’opera è qualcosa che, in parte, sovrasta il destino individuale e giunge all’altro da sé percorrendo un cammino impervio e non privo di insidie. Il vero poeta non ignora i limiti delle proprie creazioni e, come ha scritto Ernesto Sabato, porta avanti il suo discorso con «una curiosa mescolanza di fede» e una «reiterata sfiducia» nelle proprie capacità. «Ossignore» afferma la Bishop «quando cominceremo a scrivere vere poesie? Io ho la netta sensazione di non averlo mai fatto». Bibliografia
Elizabeth Bishop – Robert Lowell, Scrivere lettere è sempre pericoloso, Adelphi, Milano, 2014, pp. 445.
Dagli amori di Charlotte a quelli di Liz Filmselezione Secondo capitolo dell’oggetto scandalo di Lars von Trier
e un gioiello assoluto fra i film storici, ora in Dvd Fabio Fumagalli *(*) Nymphomaniac 2, di Lars von Trier, con Charlotte Gainsbourg, Stellan Skarsgard, Stacy Martin, Jamie Bell, Willem Dafoe (Danimarca 2013)
Non sarà facile fare infine un discorso compiuto su Lars vonTrier, tanto l’artista con le sue occasionali ma straordinarie intuizioni espressive si confonde con l’uomo dall’abnorme magnificazione del proprio io. Questo Nymphomaniac 2 risulta quanto meno sbilanciato. Cupo e straziato, quasi didatticamente descrittivo, dopo il «non sento più niente» che chiudeva la prima parte, tutto è ormai consacrato agli sforzi di una inutilmente introspettiva Charlotte Gainsbourg per accedere a una reazione del proprio sesso, inteso anatomicamente. E, forse, alla gioia del piacere, a una raggiunta serenità. Tentativi sempre più radicali, che allo spettatore risulteranno impegnativi, in particolare quelli masochisti; o prolungati, la conversazione fra la «ninfomane» e il comprensivo confessore, forte di una erudizione che qualche malizioso ha definito wikipediana. Molta più filosofia spicciola che illustrazione visionaria (anche se in pochi
CICR in tivù iniziativa pregevole
sanno filmare la natura come il regista danese); più tentazione di nichilismo che tentativo di comprensione. **** Cleopatra, di Joseph L. Mankiewicz, con Elizabeth Taylor, Richard Burton, Rex Harrison (Stati Uniti 1963)
Della serie «rivediamoli in Dvd»: questa splendida riedizione in Blu-ray che, se non resuscita la mitica e scomparsa versione di oltre cinque ore pensata da Joseph Mankiewicz, restituisce quella di 249 minuti voluta dal regista per la prima a New York del 12 giugno 1963, massacrata in seguito dai produttori. Due Dvd, che restituiscono in parte l’idea originale del regista: creare due film distinti sui due più celebri amori dell’affascinante sovrana d’Egitto (Elizabeth Taylor): quello con un maturo Giulio Cesare (Rex Harrison), pochi anni prima delle storiche Idi di Marzo; quindi con l’impetuoso Marco Antonio (Richard Burton) che verrà accusato di tradimento e sconfitto da Ottaviano nella battaglia navale di Anzio. Cleopatra è uno dei film più enormi della storia del cinema, e uno dei suoi più eclatanti equivoci. A torto, la sua celebrità derivò dal suo gigan-
tismo: i 26’000 (favolosi) costumi, un budget di 40 milioni di dollari (contro i 6 previsti), impensabile per allora, che arrischiò di affondare la Twentieh Century Fox. La follia di tre anni di riprese, iniziate sotto la pioggia di Londra (sic) per una vicenda che come sappiamo si svolge fra i pini di Roma e le palme di Alessandra d’Egitto. Immense scenografie smontate e ricostruite dapprima a Roma e quindi in Spagna, Elizabeth Taylor con il suo milione di dollari d’ingaggio, il produttore Wanger licenziato, Skouras rimpiazzato da Zanuck alla testa della Fox, Peter Finch e Stephen Boyd che rifiutano di continuare, sostituiti da Rex Harrison
e Richard Burton. Dulcis in fundo, lo scandalo planetario provocato dal leggendario idillio e doppio divorzio fra Burton e la Taylor (che conferisce alle loro scene d’amore un realismo particolare...). In realtà, il film che Joseph L. Mankiewicz riprese da Robert Mamoulian è un’opera libera e creativa, un film d’autore, moderno da rivedere, una delle più intelligenti super produzioni storiche che si ricordi. Certo, le sue scenografie sono grandiose, i costumi d’epoca precisissimi, come quello di oro puro della Taylor. Ma le scene kolossal non sconfinano mai in pretesti banalmente sensazionali: servono a incorniciare una riflessione seria e pure commossa sul potere, la passione e la politica. I dialoghi penetranti, la logica della costruzione drammatica, la gravità dei significati che traspare sotto la curiosità del celebre aneddoto conducono a una sorprendente analisi psicologica. Elizabeth Taylor affascinante e inaspettatamente ispirata, il tormentato, coinvolgente Richard Burton, un Rex Harrison letteralmente sovrano, concentrano su di loro l’energia che permette di trasformare il kitsch, che minaccia dietro l’angolo, in un delicato intimismo.
È iniziata ieri CICR – Missione tra i fronti, una docu-serie in sei puntate dedicata al 150° anniversario della prima Convenzione di Ginevra sui diritti delle vittime di guerra, coprodotta da RSI, SRF e RTS e trasmessa quasi in contemporanea dai tre primi canali della SSR (RSI La1, domenica, ore 20.40). Lo diciamo subito: siccome questo giornale va in stampa il venerdì, ci troviamo a dover parlare di qualcosa che non abbiamo ancora visto ma solo letto. La prima sensazione, a giudicare dalla presentazione sulla carta, è quella di un lavoro prezioso, fatto apposta per invogliare la visione. Per un anno quattro videogiornalisti e una troupe televisiva della SSR hanno seguito le vicende quotidiane, spesso drammatiche, di alcuni delegati del Comitato Internazionale della Croce Rossa in tutto il mondo. Il risultato è una sorta di diario del cantore, un viaggio alla scoperta di quattro zone tormentate: Colombia, Repubblica Democratica del Congo, Israele e Afghanistan. Per non farsi mancare nulla, la RSI gli ha costruito intorno sei serate speciali intitolate Dentro la guerra oltre la guerra e presentate da una esordiente, Rachele Bianchi Porro. Con lei, in studio, intervengono di volta in volta sui temi della guerra e del «riscatto» due ospiti: oltre a Cornelio Sommaruga e Sarah Lustenberger, protagonisti della prima puntata di ieri, Alberto Cairo e Niccolò Castelli, Mauro Arrigoni e Nenad Stojanovic, Elena Àjmone Séssera e Lucia Capuzzi, Cristina Pellandini e Aldo Sofia, Paolo Bernasconi e Daniele Piazza (già giornalista RSI e collaboratore di «Azione»). Un altro aspetto interessante della proposta RSI è la possibilità di creare un effetto di mescolanza tra finzione e documentario, con la messa in onda di un film di grande impatto emotivo al termine di ogni speciale. Staremo a vedere se le serate saranno forti in tv quanto sulla carta, ma intanto CICR – Missione tra i fronti una piccola magia l’ha compiuta. Per una volta, dal palinsesto di maggio è sparito il programma più brutto e pretenzioso della RSI: Cinepiù. Non sarebbe male metterci una pietra sopra. Il motivo l’abbiamo già scritto più volte: l’abisso di banalità in cui è solita sprofondare la conduttrice, Alessandra Bonzi. Non siamo però mai riusciti a operare miracoli. Se fatica a dimostrare capacità taumaturgiche una come Diana Segantini, responsabile del Dipartimento Cultura, figuratevi noi. I critici saranno anche riveriti e temuti, ma contano meno del due di picche.
Cornelio Sommaruga e Sarah Lustenberger, ospiti della prima puntata.
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Idee e acquisti per la settimana
shopping Mini sandwich, smorza la fame ovunque e ad ogni ora! Attualità Il panino versatile, pratico e morbidissimo
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La sveglia suona alle 6.20. Tempo per prepararsi e bere un caffè e Anita Barenco, apprendista orafa al terzo anno, è pronta per affrontare la giornata. Il viaggio da Fescoggia a Locarno è lungo e l’autopostale parte alle 6.50. Il tempo è tiranno e per questo motivo il pranzo è già pronto dalla sera precedente e la colazione – uno yogurt, un frutto o dei panini al miele – viene consumata in treno. Spesso per il pasto la scelta cade sui mini sandwich, un tipo di pane dal formato pratico, molto morbido e che si conserva fresco per diversi giorni. «In genere scelgo di imbottire i miei panini con ingredienti semplici e leggeri, per esempio pomodoro e mozzarella – ci dice Anita – e visto che spesso durante la giornata vengo assalita da attacchi di
fame improvvisi riservo dei panini per una variante più dolce spalmandoli con un po’ di burro e miele. Una volta alla settimana sul mezzogiorno devo per forza spostarmi da scuola al lavoro ed è indispensabile per me avere in borsa un pranzo veloce e non troppo impegnativo, senza dover utilizzare contenitori per il pranzo e posate. Con i mini sandwich è tutto più semplice, posso preparare dei panini di diversi gusti, avvolgerli singolarmente nella carta alu e poi riporli nel sacchetto originale con un paio di tovaglioli di carta. Solo così sono tranquilla, visto che nella mia borsa non manca mai un libro e non me lo perdonerei mai se si macchiasse. La lettura scandisce diverse fasi della mia giornata e anche durante il viaggio di
ritorno a casa preferisco stare tranquilla con un libro piuttosto che chiacchierare». Il formato mini è ideale per un pasto in viaggio, che sia per smorzare un languorino piuttosto che per un pranzo veloce. Essendo i panini piccoli non si rischia di esagerare e mangiare troppo. Come pranzo o semplice snack rifocillano senza appesantire e le piccole dimensioni permettono inoltre di sbizzarrirsi con farciture dolci o salate e dare un po’ di varietà al proprio pasto fuori casa. «Soprattutto con il bel tempo mi piace gustare il pranzo all’aria aperta. Seduta su una panchina mi rilasso al sole sfogliando un buon libro e mangiando i miei panini. Con le mani occupate da stoviglie o un panino più grande non potrei certo mangiare e
leggere contemporaneamente, perciò prediligo questa soluzione per la mia pausa di mezzogiorno». Disponibili in un pratico sacchetto da 10 pezzi, i mini sandwich possono essere consumati anche dopo diversi giorni, ma è difficile resistere alla loro morbidezza! / Luisa Jane Rusconi
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i mini sandwich della Jowa.
Anita gusta spesso i mini sandwich. (Flavia Leuenberger)
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Idee e acquisti per la settimana
Un grazie speciale alle mamme da Borotalco!
Dal 1904 la scatola di latta di Borotalco ha accompagnato intere famiglie: la polvere e il suo profumo inconfondibile sono diventati una tradizione, un ricordo, di generazione in generazione. «Mamma, quando sento Borotalco mi ricordo di quando ero bambino». Adoro quel profumo e mi vieni in mente tu. E
ora che Borotalco non è solo polvere, ma una linea completa dedicata alla cura personale, posso sempre riscoprire l’emozione di un benessere semplice, che da sempre profuma di buono. Mamma, per ringraziarti in questa occasione speciale vorrei regalarti una scatola di ricordi e di prodotti dedicati a te: un deodo-
Specialità artigianali per la mamma La prossima domenica, 11 maggio, è la Festa della mamma. Cosa ne direste di stupirla con una dolce specialità artigianale dai banchi pasticceria Migros? Quest’ultimi infatti, per l’importante ricorrenza, hanno previsto una vendita straordinaria di torte durante la giornata di sabato 10 maggio. La gamma include sia produzioni tradizionali sia creazioni particolari, freschissime dalle mani
esperte dei nostri pasticceri: saranno tutte, e non poteva essere altrimenti, a forma di cuore. Troverete così le morbide torte al Pan di Spagna alla frutta o alla fragole; le sfoglie alla frutta e fragole; la classica Foresta nera, la St. Honoré, le sfoglie lucide alla crema pasticciera; i cuoricini dolci… delizie che vogliono rappresentare tutta la dolcezza del nostro amore nei confronti della mamma.
rante con un’azione garantita, un doccia schiuma avvolgente, un nuovo sapone solido classico e una crema corpo, che lascia la pelle liscia e vellutata, per un incredibile profumo di Borotalco sulla pelle. Il tutto in un intramontabile stile vintage. In vendita nelle maggiori filiali Migros fino ad esaurimento delle scorte.
Veleggiare come quelli veri Animazione per bambini Sabato 10 maggio, dalle ore 10.00, il Centro S. Antonino ospita
un’originale attività per aspiranti velisti
Vuoi provare anche tu l’ebbrezza di navigare come i più grandi skipper? Allora passa a trovarci sabato prossimo, all’esterno dell’entrata principale del Centro S. Antonino, dove, in collaborazione con lo Yacht Club Locarno, durante tutta la giornata avrai la possibilità di salire gratuitamente su un simulatore di vela e lanciarti in emozionanti e divertenti veleggiate virtuali. Al motto di «Sail and Fun con YCLO», gli istruttori di vela dello Yacht Club Locarno presenti sul posto saranno inoltre a disposizione per introdurre i piccoli partecipanti all’affascinante mondo della vela e a rispondere alle loro domande e curiosità. Inoltre, gli interessati, potranno ottenere tutte le informazioni relativamente all’iscrizione alla scuola di vela dello Yacht Club Locarno, una scuola apprezzata per l’alto livello qualitativo della formazione impartita. Ti aspettiamo! Nota bene: in caso di pioggia la giornata sarà rinviata a sabato 17 maggio.
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Idee e acquisti per la settimana
Acquisto con Subito perché… Attualità Introdotto lo scorso autunno presso il supermercato Migros di S. Antonino,
il sistema Subito per gli acquisti self-service ha già conquistato la fiducia di molti clienti per la sua semplicità d’uso. Abbiamo chiesto ad alcuni utilizzatori del self-scanning il loro parere su questo metodo di fare la spesa. (prima puntata)
«Usiamo Subito per comodità, avendo anche il vantaggio di poter pagare con le carte senza prelevare. Ogni tanto tuttavia passiamo ancora dalla cassa normale». Prisca e Christian Sciarini, Rivera (40 entrambi).
«È un sistema molto comodo perché evita di dover togliere tutto dal carrello. Inoltre fare la spesa in questo modo è più divertente». Noemi Invernizzi, Quartino (19 anni).
«È la prima volta che lo uso, ma si impara facilmente. È comodo se sei di fretta perché non devi fare la coda. In futuro penso che lo utilizzerò spesso». Lorenza Turra, S. Antonino (34).
«È pratico, veloce ed evita di “disfare” il carrello alla cassa. Ne faccio uso una volta alla settimana quando faccio la spesa grossa». Liliana Cantoreggi, Bellinzona (47). (Giovanni Barberis.)
A tutta fragola! Non c’è niente di più appetitoso che gustare la frutta durante la stagione giusta. Ecco il motivo perché, fino al 17 maggio, i buffet dolci dei Ristoranti, i banchi pasticceria e i De Gustibus Migros si colorano di rosso per dare spazio a creazioni che celebrano i frutti tra i più buoni del momento: le fragole. Oltre al loro aroma di una straordinaria intensità e alla loro versatilità, le fragole sono altresì apprezzate per gli importanti benefici che possono portare all’organismo. Gli specialisti dei nostri laboratori di pasticceria artigianale sono stati conquistati da questi rossi frutti stagionali, ed hanno realizzato irresistibili creazioni ad hoc. In particolar modo vi invitano ad assaggiare l’éclaire alle fragole, il trancio fragole e panna, il pirottino alle fragole e il wrap alle fragole; ma non si vogliono nemmeno tralasciare le specialità intramontabili, nella fattispecie la fetta di torta fragole al Pan di Spagna, la fetta di St.Honoré alle fragole, la tarteletta alle fragole e la mini mousse alle fragole. Infine, non lasciatevi sfuggire l’occasione di scoprire altre rassegne dedicate ai frutti di stagione che saranno programmate nelle prossime settimane.
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Idee e acquisti per la settimana
Oltre la carne c’è di più: spiedini di verdure, pane all’aglio e tante altre gustose prelibatezze vegetariane, preparate sul grill, diventano ancora più buone. I tanti sapori del Bio: da «Do it & Garden» ognuno trova il suo aroma preferito, dal rosmarino al coriandolo. Quando la sete impazza, date più gusto al vostro cocktail con menta, melissa e basilico, appena raccolti sulla vostra terrazza.
L’estate perfetta Se sarà il sole o la pioggia a dominare l’imminente bella stagione non si può prevedere, ma una cosa è certa, ci aspettano mesi da sballo; parola della Migros. Nel libretto «100 cose da fare quest’estate» trovate tante idee allegre e originali che vi daranno l’ispirazione per giornate indimenticabili
a pizza Suggerimento: per uniale, alla brace davvero spec alcuni precuocere la pasta per farcia. minuti sulla griglia senza
Un pensierino per l’ospite: olio d’o bottiglia, arricchito con erbe aromatic liva in una bella e aglio. L’ideale per conferire alla piz he, peperoncino za quel certo non so che.
Accontentarsi è un vero peccato! La vostra estate può essere più gustosa e divertente. La più bella di tutte le stagioni è pronta, infatti, a regalarci mesi caldi, all’insegna della spensieratezza, con serate tiepide e divertenti grigliate. Ma qual è la ricetta per un’estate perfetta? La Migros la conosce ed è pronta a condividerla con voi nel libretto «100 cose da fare quest’estate»; una raccolta di idee imperdibili. Azione ne ha rubata qualcuna che vi svelerà in questo e nei prossimi numeri. Cosa fa una griglia quando i commensali sono vegetariani? Risposta: si trasforma in un forno per la pizza, in grado di preparare anche asparagi, ananas e pomodori, conferendo loro quel certo gusto in più. E scommettiamo che anche i veri carnivori non vedranno l’ora di gustare una grigliata così? Soprattutto se per iniziare trovano un cocktail fruttato e rinfrescante assolutamente imperdibile. / Anna Bürgin
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Idee e acquisti per la settimana
Pizza alla griglia con formaggio di capra ed erbe aromatiche Piatto principale per 4 persone
Ingredienti 30 g di lievito fresco 2,2 dl d’acqua 500 g di farina 10 g di sale 2½ cucchiai d’olio d’oliva 2 formaggi freschi di capra, ad es. Chavroux Tendre Bûche di 150 g farina per spianare la pasta poco olio per spennellare 1 vasetto di sugo alla napoletana (290 g) 50 g di pinoli 1 mazzetto di erbe aromatiche, ad es. timo, basilico pepe
are alla pizza da prepar In due, farcire la non provare hé rc pe E rtente. brace è più dive l formaggio ozzarella con de a sostituire la m di capra?
Un piacere per il palato: spi edini di verdure con tofu affum icato o feta marinata Anna’s Best.
Preparazione 1. Per la pasta, fate sciogliere il lievito nell’acqua. Impastate con il resto degli ingredienti fino all’olio compreso finché otterrete una massa omogenea. Dividete l’impasto in quattro parti e formate delle palline. Accomodate le palline su un piatto, copritele con un
canovaccio umido e lasciatele riposare per 20 minuti. 2. Tagliate il formaggio a fette. Spianate le palline di pasta belle sottili su poca farina. Preparate le pizze una dopo l’altra. Spennellate un lato delle pizze con l’olio. Accomodate il lato oliato sulla griglia di grill a sfera e grigliate la pasta per 2-3 minuti a fuoco medio. Spennellate l’altro lato d’olio e girate le pizze. Cospargetele subito ognuna con ¼ del sugo di pomodoro. Distribuite su ogni pizza ¼ del formaggio di capra e pochi pinoli. Abbassate il coperchio del grill e terminate la cottura per 4-6 minuti. Togliete le pizze dal grill, guarnitele con le erbe, una macinata di pepe e servite subito.
Preparato sulla griglia, l’an anas propone un gusto davver o speciale.
Ananas alla griglia con gelato al cocco e menta Dessert per 4 persone
Tempo di preparazione ca. 35 minuti + riposo almeno 20 minuti Per persona ca. 32 g di proteine, 42 g di grassi, 91 g di carboidrati, 3650 kJ/865 kcal
Bowl al sambuco e alle fragole Per ca. 1,4 l
Ingredienti 10 infiorescenze di sambuco 2 limoni 50 g di zucchero 7,5 dl d’acqua minerale frizzante, fredda 150 g di fragole 3 gambi di melissa 5 dl di Moscato analcolico, freddo Preparazione Mondate le infiorescenze di sambuco. Tagliate i limoni a fette. Mettete entrambi con lo zucchero e la metà dell’acqua minerale in una caraffa. Coprite e lasciate macerare per ca. 5 ore. Mescolate bene in modo che lo zucchero si sia sciolto completamente. Filtrate il liquido e mettetelo in fresco. Poco prima di servire,
Ricette di:
tagliate le fragole a dadini. Unite le foglie di melissa. Trasferite il tutto in una caraffa: l’acqua al sambuco, l’acqua minerale rimasta, il moscato e le fragole alla melissa. Servite subito. Suggerimento Guarnite a piacere la bowl con spicchi di limone e fiori di sambuco e servite la bevanda con cubetti di ghiaccio. Potete sostituire le fragole con altre bacche. Tempo di preparazione ca. 25 minuti + macerazione ca. 5 ore Un dl ca. 1 g di proteine, 1 g di grassi, 8 g di carboidrati, 150 kJ/45 kcal
Ingredienti 250 g di quark magro 2,5 dl di latte di cocco 80 g di zucchero a velo 1 ananas 1 limetta 3 cucchiai di miele 1/2 mazzetto di menta
Spremete la limetta e mescolate il succo con il miele. Grigliate le fette d’ananas a fuoco medio sul grill girandole per 3-5 minuti. Ogni volta che girate le fette spennellatele con il succo di limetta e miele. Servite l’ananas con il gelato al cocco. Tagliate la menta a striscioline e distribuitela sul dessert. Gustate subito.
Preparazione 1. Mescolate il quark con il latte di cocco e lo zucchero. Versate il tutto in un contenitore alto e mettete in congelatore per 3-4 ore, mescolando la crema con un frullatore a immersione ogni 20 minuti. 2. Sbucciate l’ananas e tagliatelo in quattro parti. Eliminate il cuore legnoso. Tagliate l’ananas per il lungo a fette.
Suggerimento A piacere, decorate con foglie di menta e noce di cocco grattugiata. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + congelamento 3-4 ore Per persona ca. 11 g di proteine, 12 g di grassi, 59 g di carboidrati, 1650 kJ/395 kcal
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 5 maggio 2014 ¶ N. 19
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Balconriviera: a due passi dal salotto trovate il posto ideale per la vostra villeggiatura quotidiana e per i profumi della vostra estate. Basta lasciar passare i santi di ghiaccio che si concluderanno il 15 maggio, per trasformare il vostro balcone nel vostro spazio di riviera mediterranea personale. Alberelli di olive e limoni e persino palme gradiscono le nostre latitudini in questo periodo dell’anno.
COME …
…coltivare un carciofo
1
Per accelerare il processo di germogliazione, lasciar gonfiare i semi di carciofo per circa tre ore in acqua tiepida, prima di piantarli in un grande vaso pieno di terra smossa, ben fertilizzata. I carciofi hanno bisogno di molto spazio, per questo motivo tenere 80 cm di distanza tra un seme e l’altro.
2
Il carciofo è una pianta meridionale e ha bisogno di tanto sole e calore. Una volta create le premesse, dopo tre settimane spunteranno i primi germogli. Soprattutto nella fase della crescita, la terra deve essere sempre umida, ma non troppo bagnata. Dopodiché la pianta gradisce anche periodi più aridi.
3
Seminandoli in maggio, i carciofi saranno pronti per essere raccolti nell’estate dall’anno successivo, di preferenza quando i frutti sono ancora ben chiusi. I carciofi vanno svernati al riparo dal gelo e devo quindi passare i mesi più freddi in cantina per tornare all’aria fresca in aprile.
4
Lasciando le infiorescenze sulla pianta, inizieranno a spuntare splendidi fiori viola. Freschi o essiccati, sono una decorazione di sicuro successo.
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Idee e acquisti per la settimana
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Praliné Prestige Frey, barattolo a forma di cuore* 99 g Fr. 7.60** invece di 9.50 Che ne dite di sorprendere la mamma con una colazione a letto? E per il tocco festivo, affidatevi alle palline di cioccolato Adoro. *fino a esaurimento dello stock **20% su tutti i praliné Frey in scatola e gli Adoro fino al 12.5
Una dolce sorpresa per la mamma! In occasione della Festa della mamma, le palline di cioccolato Adoro si presentano in una confezione particolarmente elegante
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i cioccolatini Adoro di casa Frey.
Domenica prossima si festeggiano tutte le mamme e in questa giornata speciale, si invertono i ruoli. Per una volta, infatti, sono i bambini a occuparsi delle mamme regalando loro tante piccole attenzioni, contrariamente ai 364 giorni restanti dell’anno, in cui l’attenzione è rivolta tutta ai piccoli. In occasione di questa festa, per le sue dolci palline di cioccolato Adoro, la
Chocolat Frey ha creato una confezione regalo particolarmente elegante, impreziosita da una stampa raffigurante un elegante fiocco dorato. I deliziosi praliné dal manto croccante e il cuore cremoso, sapientemente avvolti in una preziosa pellicola, regalano un raffinato tocco decorativo alla colazione servita a letto oppure alla tavola bandita a festa. Oltre alle palline Adoro, la Frey pro-
pone anche altri pregiati praliné in confezione regalo, rigorosamente a forma di cuore. Da molti anni, infatti, il cuore Giandor e il barattolo di latta a forma di cuore della linea Prestige, sono un classico proposto dal rinomato cioccolatiere di Buchs nel Canton Argovia. Un dono pieno d’amore per chi ci sta tanto a cuore. / DH; illustrazioni Heiko Hoffmann; styling Katja Rey
LA LETTRICE ESPERTA Nicole Müller (35), manager di famiglia e istruttrice sportiva di Buttwil AG Le palline di cioccolato Adoro mi piacciono molto. Impressione generale: sono semplici e delicate; unico difetto, finiscono troppo in fretta. Dolcezza: per i miei gusti il grado di dolcezza è perfetto. Confezione per la festa della mamma: mi piace molto, però ci ho messo un po’ per capire come si apre.
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FIORI E PIANTE Rose, Fairtrade, diversi colori, lunghezza gambo 50 cm, il mazzo da 15 14.80 Arrangiamento floreale delle feste con Cymbidium 13.80 Phalaenopsis, 3 steli, in vaso di vetro, la pianta 23.60 invece di 33.80 30% Rose in vaso di ceramica, la pianta 9.80
ALTRI ALIMENTI Cioccolatini Frey assortiti, UTZ, in sacchetto da 1 kg 10.20 invece di 20.50 50% Petit Beurre chocolat au lait in conf. da 4, 4 x 150 g 5.50 invece di 9.20 40% Cremisso o Macadamia Tradition in conf. da 3, per es. Cremisso, 3 x 175 g 8.10 invece di 10.20 20% Tutti i caffè istantanei in sacchetto, UTZ (esclusi prodotti M-Budget), per es. Noblesse Oro, 100 g 4.05 invece di 5.10 20% Tutte le confetture Favorit, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.60 di riduzione l’uno, per es. confettura di albicocche svizzere, 350 g 2.90 invece di 3.50 Müesli Crunchy Actilife in conf. da 2, per es. Crunchy Plus, 2 x 600 g 9.10 invece di 11.40 20% Sofficini al formaggio M-Classic in conf. da 2, surgelati, 2 x 10 pezzi 8.95 invece di 12.80 30% Megastar mini «??? give me a name», 20x 4 x 65 ml 5.90 NOVITÀ *,** Blocchetti di gelato alla stracciatella, 6 x 70 ml 20x 5.60 NOVITÀ ** Blocchetti di gelato alla vaniglia e cioccolato, 20x 6 x 70 ml 5.60 NOVITÀ *,**
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Idee e acquisti per la settimana
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Uno ciascuno non fa male a nessuno! Date libero sfogo alla vostra passione per i gelati: grazie alla vasta scelta Crème d’or, proposta ora nelle vaschette più piccole, in congelatore si può sempre avere a portata di mano una bella scorta di golosità in tutte le varietà
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i gelati Crème d’or.
Chiedere a un amante dei dolci, quale sia il suo gelato preferito, è come chiedere a un appassionato di lettura, quale sia il suo libro preferito. Il gelato che più mi piace? Le varietà Crema Catalana, Cachaçana do Brasil e Fior di Latte. Senza dimenticare, ovviamente, i classici fragola, vaniglia, caffè e cioccolato. I tempi in cui le grandi vaschette limitavano la scelta a pochi gusti, a causa del posto occupato nel congelatore, appartengono ormai al passato. Gli irresistibili gelati Crème d’or delle linee «Special» e «Limited Edition» sono ora, infatti, disponibili nelle pratiche vaschette salvaspazio da 750 millilitri. In questo modo, si ha la possibilità di provare, senza limiti, ognuna delle dolci tentazioni. La linea «Classic», invece, che comprende i gusti tradiziona-
li, sarà anche in futuro disponibile nella classica vaschetta da 1000 millilitri. Abbiamo adattato solo il design, per permettere ai clienti di distinguere meglio le tre linee Crème d’or.
Crema Catalana Crème d’or, Special 750 ml Fr. 7.30
Fior di Latte & Lamponi Crème d’or, Limited Edition 750 ml Fr. 8.60
Solo ingredienti naturali e prodotti base dalla Svizzera
Il soffice e cremoso gelato alla panna Crème d’or è prodotto dalla Midor SA di Meilen ZH, solo con ingredienti rigorosamente naturali. La panna, il latte, lo zucchero e le uova utilizzate – quest’ultime rigorosamente da allevamenti in libertà–, sono tutti esclusivamente di origine svizzera. Anche in questo caso, quindi, spicca lo spirito innovativo dell’industria Migros, che punta a soddisfare la richiesta di prodotti naturali sempre più frequente dei clienti. / DH
Fraise Crème d’or, Classic 1000 ml Fr. 9.80
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Idee e acquisti per la settimana
La mia è la migliore delle mamme!
«…perché è semplicemente straordinaria» Nawal (8) parlando di sua mamma Aziza.
A nome della Migros, alcuni bambini hanno consegnato un bouquet di fiori alle loro mamme. Abbiamo chiesto loro, perché la loro mamma fosse la migliore del mondo Per gran parte dei bambini, la mamma è la persona di riferimento più importante in assoluto. E siamo certi che molti di loro sono già all’opera per creare fantastici disegni, scrivere stupende cartoline o imparare a memoria commoventi poesie o canzoni. Perché come tutti sanno, la Festa della mamma è alle porte! I fiori sono un regalo perfetto per l’occasione e, per di più di sicuro successo. Esprimono apprezzamento e gratitudine e con la loro bellezza regalano gioia e allegria a ogni mamma. Le rose e le orchidee sono senza dubbio le varietà più amate. Nel reparto fiori della Migros trovate
una vasta scelta di fiori e piante, in grado di soddisfare ogni gusto in occasione della Festa della mamma. Chi predilige un tocco nobile, può per esempio optare per una pregiata rosa dell’altopiano ecuadoregno. Non sono però da meno le minirose provenienti dal Kenya, i cui fiori conservano tutto il loro splendore per almeno una settimana. Senza dimenticare, poi, la regina tra i fiori, ovvero l’orchidea, che necessita di cure speciali, ma in compenso dona alla casa un tocco di bellezza per tanto, tanto tempo. / Dora Horvath; illustrazioni Christophe Chammartin, Daniel Ammann, Simon Iannelli
«…perché cucina benissimo e le vogliamo un mondo di bene» Lia (9) ed Eline (7) parlando della loro mamma Ursi. Noe (2) conferma tacitamente le parole delle sorelle.
«…perché gioca sempre con me e mio fratello.» Tybalt (8) parlando di sua mamma Sarah.
«…perché è brava» Eloann (3) parlando di sua mamma Gwendoline.
«…perché è bellissima» «…perché sa fare tutto»
«…perché non esiste mamma migliore»
Joy Lynn (4) parlando di sua mamma Dalia.
Noa (6) e Lia (9) parlando della loro mamma Annina.
Amara (7) ed Elisa (9) parlando della loro mamma Nicole.
Rose Espérance Fairtrade al prezzo del giorno. Rose spray Sélection mazzo da 9 pz. Fr. 25.50 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Rose Fairtrade mazzo da 15 Fr. 14.80
Arrangiamento di rose Fr. 19.80
Minirose nel vaso di ceramica Fr. 6.80
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Phalaenopsis, Table Dance 9 cm, al prezzo del giorno.
Mini Phalaenopsis nel vaso di vetro Fr. 16.80 In vendita nelle maggiori filiali Migros.
Orchidee nel vaso di vetro al prezzo attuale del giorno
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Idee e acquisti per la settimana
L’ESPERTO
Arrossamenti, foruncoli e prurito, oltre a essere fastidiosi, possono compromettere la spensieratezza estiva. Spesso questi piccoli sgradevoli disturbi sono il risultato di allergie e irritazioni in seguito all’uso di cosmetici per la cura della pelle e prodotti solari, contenenti profumi e conservanti. Diverse persone sono particolarmente sensibili al methylisothiazolinone (MI), un conservante contenuto in un’importante quantità di prodotti. Chi non vuole rischiare, con i cosmetici provvisti del marchio verde aha! rispettoso degli allergici va sul sicuro. Per la cura quotidiana di viso e corpo, la linea Zoé Ultra
Evitare i profumi
Prof. Dott. med. Peter Schmid Grendelmeier, responsabile del reparto di allergologia della clinica dermatologica dell’ospedale universitario di Zurigo
Il marchio di qualità aha! contrassegna prodotti ben tollerati anche da chi soffre di allergie e intolleranze.
Sensitive propone ben dieci prodotti trattanti, che proteggono la pelle sensibile dalle irritazioni. L’assortimento copre i diversi ambiti dalla pulizia agli antirughe. La gamma Sun Look Ultra Sensitive, dal canto suo, è il partner affidabile quando si tratta di curare e trattare la pelle di viso e corpo proteggendola dagli influssi dei raggi solari, con i suoi prodotti dall’alto indice di protezione. Queste linee sono garantite senza profumo, conservanti e coloranti. I prodotti Sun Look, inoltre, non contengono nemmeno emulsionanti. Attenti dunque al marchio aha! che garantisce cosmetici ipoallergenici, sottoposti a severi test dermatologici su pelli particolarmente sensibili con tendenza ad allergie. / Dora Horvath
Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. aha! offre un prezioso contributo. Parte di
Quali problemi cutanei possono causare i prodotti trattanti?
I cosmetici possono portare a irritazioni e vere e proprie reazioni allergiche conosciute sotto il nome di eczemi da contatto. Inoltre possono subentrare patologie cutanee simili all’acne o disturbi dovuti a pelle secca e prurito. Inoltre, prodotti trattanti inadeguati possono peggiorare malattie cutanee preesistenti, come ad esempio la neurodermite.
La giusta protezione per la pelle sensibile
Ci sono componenti specifici che fanno scaturire allergie?
Sì, soprattutto profumi. L’UE ha redatto una lista con 26 sostanze altamente allergiche. Anche i conservanti, come determinati parabeni, provocano spesso eczemi. Chi soffre di allergie dovrebbe evitare sempre, quando possibile, questo tipo di sostanze. E oltre a queste anche altre specifiche, delle quali si è consapevoli dell’intolleranza. Sono aumentati oggi i pazienti che si rivolgono a lei con questo genere di
disturbi cutanei?
Le allergie da contatto ai profumi sono effettivamente aumentate negli ultimi anni, soprattutto nei bambini. Ci sono stagioni in cui le allergie si accumulano?
Generalmente le allergie cutanee sono presenti tutto l’anno. In inverno sono di solito dovute più alla secchezza, mentre in estate è la luce del sole ad intensificare i problemi della pelle. Sono in aumento le allergie cutanee?
No, ma notiamo un cambiamento delle sostanze che le provocano. Alcuni anni fa erano più i metalli, come il nichel contenuto negli articoli di bigiotteria, o sostanze come il cemento, utilizzate in professioni ben determinate, alla base delle allergie della pelle. Oggi, invece, sono sempre più i profumi a provocare eruzioni cutanee. È possibile che nel corso della vita compaiano allergie e che inseguito spariscano di nuovo?
Sì, entrambi i casi sono possibili.
Chi ha una pelle particolarmente sensibile è lieto di poter contare su prodotti privi di profumi e conservanti; proprio come i cosmetici contrassegnati con il marchio aha! delle linee Zoé e Sun Look
Nessuna brutta sorpresa con la crema da sole contrassegnata dal marchio aha!
*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Disponibile anche con IP 30 a Fr. 17.– ***20% su tutti i prodotti dell‘assortimento Sun Look fino al 12.5
Schiuma detergente Zoé Ultra Sensitive* 150 ml Fr. 12.10
Trattamento da giorno antirughe Zoé Ultra Sensitive* 50 ml Fr. 15.80
Latte detergente Zoé Ultra Sensitive* 200 ml Fr. 7.90
Tonico Zoé Ultra Sensitive* 200 ml Fr. 7.90
Crema da giorno per pelle mista Zoé Ultra Sensitive* 50 ml Fr. 12.80
Balsamo per il corpo Zoé Sensitive aha!* 250 ml Fr. 11.50
Crema per il viso Sun Look Ultra Sensitive IP 30* 50 ml Fr. 7.60*** invece di 9.50
Latte solare Sun Look Ultra Sensitive IP 50* (**) 200 ml Fr. 15.20*** invece di 19.–
L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche i prodotti aha! delle linee Zoé e Sun Look.
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Idee e acquisti per la settimana
Il ritorno dei classici Con gli American Favorites tornano sugli scaffali Migros i classici frappé alla vaniglia e alla fragola. Proprio giusti per la stagione calda La scena del film cult «Pulp Fiction» è leggendaria: «È veramente buono. Dannatamente buono», dice John Travolta a Uma Thurman, mentre sorseggia il suo frappé. Probabilmente direbbe la stessa cosa se potesse assaggiare i frappé di American Favorites. Con le varietà vaniglia e fragola, il classico statunitense festeggia ora il suo ritorno alla Migros e amplia l’assortimento di prodotti tipicamente americani, che fanno la gioia di tutti quelli che amano l’American Way of Life. Fresco sapore di latte e poco zucchero
Il frappé è stato inventato nel 1922 a Chicago. Ivar «Pop» Coulsen ha avuto l’idea di miscelare latte, cioccolato, malto e gelato per farne una bevanda. I frappé di American Favorites sono fatti con ingredienti freschi. Il più importante è il latte svizzero, che viene lavorato in modo particolarmente delicato così da valorizzare il fresco sapore di latte. Fragole e vera vaniglia conferiscono ai frappé il loro autentico aroma, mentre il contenuto di zucchero – tra l’altro anche su suggerimento della clientela – è stato ridotto del cinque per cento in entrambe le varietà. Nei contenitori richiudibili, i frappé sono pratici da gustare in viaggio o a casa, dove si possono presentare elegantemente nei bicchieri da frappé e con la cannuccia.
American Favorites frappé fragola 210 ml Fr. 1.75 In vendita nelle maggiori filiali.
Prima agitare bene, poi gustare
I frappé sono migliori appena tolti dal frigo. La cosa più importante, però, è agitarli bene prima di gustarli. Solo così risulteranno cremosi e con una bella schiuma. / JV
American Favorites frappé vaniglia 210 ml Fr. 1.75 In vendita nelle maggiori filiali.
Ecco come gustare elegantemente i frappé di American Favorites: prerefrigerarli, agitarli bene e servirli nel classico bicchiere da frappé.
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche i frappé di American Favorites.
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Idee e acquisti per la settimana
Quale dressing preferite? Le nuove salse di Anna’s Best portano varietà nel mondo delle insalate.
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui le salse per insalata di Anna’s Best.
Vai con la salsa! La salsa conferisce all’insalata aroma e carattere. Ora le nuove, fresche salse per insalata di Anna’s Best contengono ancora più ingredienti naturali, non c’è più spazio per niente di artificiale
Preziose sostanze vegetali, vitamine e minerali: nell’alimentazione naturale, l’insalata ha un ruolo di spicco. La ciliegina sulla torta (si fa per dire…) delle verdi delizie e la salsa per insalata, e questa è una specialità di Anna’s Best. Il suo assortimento di dressing è stato rielaborato e migliorato recentemente quanto a look e formule: per i contenuti, l’importante era utilizzare il più possibile di ingredienti freschi e naturali. Anna’s Best rinuncia ai conservanti e agli aromi artificiali. Il French-Dres-
sing riformulato senza erbe aromatiche ora è ancora più cremoso, il Balsamico-Dressing contiene uno spruzzo in più di aceto balsamico. Nuovissima in assortimento è una leggera variante French senza olio sulla base di yogurt magro per chi ci tiene alla linea e una Limited Edition fruttata, vincitrice del sondaggio di Migipedia: una delicata vinaigrette al lampone sulla base di aceto di vino rosso con succo di lamponi naturale. Le salse per insalata di Anna’s Best sono fabbricate esclusivamente in Svizzera. / NO
Anna’s Best Dressing 0% olio* 3,5 dl Fr. 4.20
Anna’s Best limited Edition vinaigrette al lampone* 3,5 dl Fr. 4.20
Anna’s Best French Dressing* 3,5 dl Fr. 3.80 Disponibile anche in 7 dl per Fr. 5.80
Anna’s Best Balsamico Dressing* 3,5 dl Fr. 4.20
*In vendita nelle maggiori filiali 20 x punti Cumulus sulle salse per insalata Anna’s Best fino al 12.5
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Idee e acquisti per la settimana
Gioco di lancio per due: set di catchball di Neopren, palla adesiva e due dischi per catturarla Fr. 9.80
Vola lentamente grazie alle speciali cuciture: disco di Neopren Fr. 9.80
Di mano in mano: Peteca volano di Neopren Fr. 9.80
Per grandi e piccoli giocolieri: Diabolo Fr. 19.80
Finalmente si torna a giocare all’aperto Il movimento e il gioco all’aria aperta rendono felici. Coi giochi estivi della Migros ci si diverte ancora di più La stagione calda invita a riappropriarsi dei giardini, dei parchi e dei prati. Col gioco giusto, divertimento e moto sono garantiti. Allora l’estate diventa un’eccitante avventura per grandi e piccini. Ora alla Migros si è aperta la stagione, con una scelta invitante e variata di giocattoli estivi.
In gran voga è il Neopren: coloratissimo, leggerissimo e idrorepellente. Il gioco, che richiede una combinazione di abilità e velocità, offre l’indispensabile porzione di sfida, quindi la noia è tabù. Si può usare in due con la catchball, in parecchi giocatori come volano, o come disco da lanciare, molto
pop: anche mamma e papà si faranno la loro bella sudata. Se per una volta non si trova un compagno di gioco, ci si può divertire col Diabolo per far passare il tempo. Ma non si resterà soli a lungo. Se i primi giochini funzionano, gli spettatori non mancheranno. / JV; fotografie Christian Dietricht
Con tutti i divertenti giochi estivi, è difficile scegliere che cosa provare per primo.
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Idee e acquisti per la settimana
Prestazione sportiva di punta Yvette Sport ha un potenziale da campione, in ogni caso quando si tratta di lavare e prendersi cura di tutta la gamma del moderno abbigliamento sportivo funzionale. Perché i capi destinati allo sport e al tempo libero necessitano di una cura particolare per non danneggiare le loro specifiche funzioni. Le proprietà di Yvette Sport vanno proprio in questa direzione: pulisce proteggendo le fibre, come è stato confermato in un procedimento di controllo. Yvette Sport mantiene la traspirabilità, l’impermeabilità al vento e all’acqua dell’abbigliamento sportivo e per il tempo libero e ne fa risplendere i colori. La sua formula specifica conferisce ai capi una sensazione di appena lavato che dura a lungo. Yvette Sport non contiene candeggianti o sbiancanti ottici. È testato dermatologicamente e biologicamente ben degradabile.
Yvette Sport 40 cicli di lavaggio 2l Fr. 7.50* invece di 11.20
*33% sui detersivi Yvette per capi delicati dal 29.4 al 12.5
L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche i detersivi Yvette. Annuncio pubblicitario
Tutte le offerte sono valide dal 29.4 al 19.5.2014, fino a esaurimento dello stock.
invece di
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359.–
219.– Esempio: The North Face Giacca da trekking da uomo Taglie S –XL.
Esempio: Jack Wolfskin Giacca da trekking da donna Taglie S –XL.
invece di
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89.90
Esempio: Trevolution Giacca da pioggia unisex Ripiegabile in maniera compatta nel sacchetto integrato, taglie S –XL.
Esempio: Trevolution Giacca da trekking per bambini Taglie 122 –176.
www.sportxx.ch Ordina ora online senza costi di spedizione
34.90
invece di Esempio: Jack Wolfskin Giacca da trekking da uomo Taglie S –XL.
49 SportXX in Svizzera.
219.–
6.90 Borsa frigo per bottiglie disponibile in diversi colori
9.80
9.80
3.90
Coltelli da bistecca in set da 6 neri o in diversi colori
Girandola colorata diversi soggetti, 31 x 75 x 15 cm
Bicchieri colorati 50 pezzi da 2 dl
4.90 9.80
5.90
Porzionatore per gelato in argento
Posate di plastica colorata per es. forchette di diversi colori, in conf. da 50
En vente dans les plus grands magasins Migros, jusqu’à Êpuisement du stock
Luci per illuminazione LED, set da 2 diversi colori
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Il best seller dell’estate.
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