Azione 16 del 14 aprile 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 14 aprile 2014

Azione 16

Società e Territorio Il futuro delle università sarà sempre più online, ma non ci sono solo vantaggi per gli studenti: le riflessioni di un professore

Ambiente e Benessere Le riflessioni di Gian Antonio Romano, medico responsabile del Servizio sovrappeso e obesità all’Ospedale regionale di Locarno, sulle difficoltà e sui problemi di salute degli adulti obesi o in sovrappeso

Politica e Economia A Budapest vincono il nazionalista Orban e la destra xenofoba

Cultura e Spettacoli Sconvolgente Regina José Galindo in mostra al PAC di Milano

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La Svizzera danza

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di Valentina Janner pagina 42

Dietro il velo, gli abissi di Peter Schiesser Ogni tanto dovremmo riconoscerlo: quanto siamo ingenui. Personalmente, non credo a complotti mondiali orditi nell’ombra (del tipo: l’11 settembre causato dagli stessi americani, con le Torri gemelle imbottite di esplosivo…), tuttavia di fronte a inchieste serie bisogna riconoscere che sotto la superficie della politica, soprattutto della geopolitica, vi sono lotte senza esclusione di colpi, in cui il potere giustifica ogni cinismo e tradimento. Il decano del giornalismo d’investigazione americano Seymour Hersh ha il pregio di saper portare in superficie questo «lato sporco» in modo credibile. Fu lui nel 1969 a render noto il massacro di My Lai in Vietnam ad opera di soldati americani e nel 2004 le torture su prigionieri iracheni nel carcere di Abu Ghraib inflitte da soldati americani. Oggi, nella sua ultima, recentissima inchiesta ci mostra un’altra verità scomoda (leggasi su www.lrb.co.uk): secondo Hersh, i bombardamenti al gas avvenuti a Damasco il 21 agosto su quartieri ostili al governo non furono opera dell’esercito di Assad ma dei ribelli islamici del Fronte al Nusra, su istigazione e con la complicità della Turchia che voleva provocare un intervento militare americano

in Siria, visto che l’esercito di Assad stava avendo la meglio sui ribelli. Furono i servizi segreti britannici, entrati in possesso di un campione del gas sarin utilizzato a Damasco, ad avvisare gli americani che non corrispondeva al tipo in possesso dell’esercito siriano. Come altri generali americani, il capo di stato maggiore Dempsey, incaricato dell’attacco deciso da Obama, era scettico sul coinvolgimento di Assad, non aveva senso che questi superasse la «linea rossa» proprio quando stava vincendo la guerra. L’informazione del MI6 britannico giunse al momento giusto e fermò tutto, ma senza che pubblicamente il governo americano riconoscesse l’errore: aveva dichiarato che solo Assad possedeva armi chimiche e questo non era vero (americani, inglesi e Onu lo sospettavano già nella primavera del 2013), ma peggio sarebbe stato annunciare che il vero responsabile degli attacchi con il gas, quindi di questo crimine di guerra, era il premier turco Erdogan, alleato degli Stati Uniti contro Assad. L’Amministrazione Obama ha perciò coperto la responsabilità della Turchia per pura Realpolitik. E Obama, secondo Hersh, nel 2012 aveva pure autorizzato (ma mai comunicato) la creazione di una via clandestina per portare le armi degli ex arsenali di Gheddafi dalla Libia in Siria attraverso la Turchia, per armare i ribelli islamici. Se tutto questo è

vero, come probabilmente lo è, vista la credibilità dell’autore, siamo di fronte a fatti gravissimi che rovesciano il piano dei valori della politica dell’Amministrazione Obama. C’è da stupirsi? Forse solo della propria ingenuità, se si è creduto alle versioni ufficiali. Personalmente, mi è capitato di dovermi ricredere già in passato, quando conobbi un ex agente del MI5 britannico, che a casa sua mi mostrò un dossier con i documenti della smear campaign, la «campagna di fango», condotta alla fine degli anni Settanta dai servizi segreti britannici per favorire l’elezione di Margaret Thatcher, impedire che prevalesse il suo concorrente interno dei Tory (giudicato troppo molle), impedire una rielezione del primo ministro laburista e un’alleanza fra questi e i liberaldemocratici. Vidi fra i tanti, documenti con le descrizioni dei vizi segreti dei vari leader, stilati per poterli attaccare sul piano personale. Vinse la Thatcher e nacque il thatcherismo. Lo stesso ex agente si diceva convinto che l’attentato all’aereo della PanAm, esploso nel 1988 sopra Lockerbie, non fu voluto da Gheddafi ma dagli iraniani – tesi che la BBC ha avanzato per la prima volta il 10 marzo in un documentario. In fondo, le guerre sporche esistono da sempre, ma si rimuovono dalla coscienza, perché si preferisce immaginare un mondo migliore.


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Generazione M

Presi in parola Controlling Migros verifica regolarmente

i progressi delle promesse formulate per la campagna Generazione-M. Che siano state mantenute oppure no, i risultati vengono comunicati in modo trasparente

Andreas Dürrenberger Migros fa il punto due volte all’anno sullo stato delle sue promesse rivolte alle giovani generazioni e le fa valutare da una agenzia di controllo indipendente. I risultati vengono pubblicati in modo trasparente sul sito web di Generazione M www.generazione-m.ch (per la situazione attuale si veda il box qui sotto). Ben due promesse erano incentrate sul tema dell’acquisizione di materie prime sostenibili: entro il 2013 Migros si era impegnata a utilizzare per tutto il cioccolato di Chocolat Frey del cacao proveniente da coltivazione sostenibile, lo stesso dicasi per il tè nero, il tè verde e

il tè di roiboos della propria marca Tea Time. Grazie al cacao e al tè certificati UTZ, Migros è riuscita a mantenere entrambe le promesse. La certificazione UTZ è stata creata nel 1997 ed è oggi uno dei programmi indipendenti più importanti legati alla sostenibilità nella produzione di caffè, cacao e tè. I collaboratori delle piantagioni certificate apprendono ad esempio tecniche professionali di coltivazione che permettono un aumento dei raccolti, della qualità e del profitto. Tra i requisiti sociali necessari all’ottenimento della certificazione ci sono la possibilità di accedere alle cure mediche e all’acqua potabile. Il rispetto delle condizioni prefissate è verificato da

Stato delle promesse alla fine del 2013

Condizioni di lavoro socialmente rispettose in una piantagione di cacao certificata UTZ, in Costa d’Avorio.

31 promesse in corso secondo programma

4 promesse con ritardi

9 promesse con obiettivo raggiunto

1 promessa con obiettivo non raggiunto

1 promessa da valutare nel corso del 2014

istanze di valutazione indipendenti. In modo altrettanto trasparente rispetto a quello con cui annuncia i propri successi, Migros comunica anche gli obiettivi non raggiunti. Entro la fine del 2013 era previsto ad esempio un incremento dei suoi prodotti leggeri Délifit, fino a raggiungere il 20 percento nel settore Take-Away. I prodotti Déli-

fit contengono ingredienti stagionali e sono preparati con una quantità minima di grassi e zuccheri. In effetti è stato lanciato un gran numero di nuovi prodotti, come wraps, panini e insalate, ma senza raggiungere la quota di produzione prevista. I motivi sono molteplici. I banchi da cui sono serviti questi prodotti sono gestiti diversamente nel-

«Quando è possibile compriamo il pesce direttamente dai pescatori» Intervista Oggi gran parte dell’assortimento di pesci in scatola di Migros proviene

da fonti sostenibili. I costi aggiuntivi vengono assunti da Migros. Lorence Weiss, il responsabile per questo settore merceologico, ci parla del ruolo pionieristico dell’azienda Lorence Weiss, su un numero sempre maggiore di scatolette di tonno di Migros campeggia la scritta «pescato con la canna». Ma è possibile?

Certo! Il pesce che vi è inscatolato arriva ad esempio dalle Maldive e viene veramente catturato con canna e amo. Negli ultimi tempi abbiamo convertito tutto l’assortimento da noi prodotto di tonno in scatola in quello che si

chiama Pole-and-line, un sistema di pesca sostenibile. Il tonno in scatola di altri produttori reca invece il marchio MSC, che significa che gli animali provengono da una pesca in alto mare che rispetta l’ambiente. Altri articoli invece portano il marchio ASC, che indica pesce proveniente da allevamenti responsabili. Solo nel 2013 la conversione al sistema Pole-and-line

e ai due marchi ha riguardato circa 30 articoli. Questo concerne però soltanto le marche proprie di Migros.

No, riguarda anche marche di altri fornitori come Rio Mare o i sughi a base di tonno della Agnesi. In definitiva noi abbiamo un obiettivo ambizioso: entro il 2020 l’intera offerta di pesce di Migros dovrà provenire da fonti sostenibili, indipendentemente dal fatto che sia pesce fresco oppure conservato. E in quest’ultimo settore Migros sta già compiendo un lavoro da pioniere. Quali sono le sfide maggiori nel passaggio a una conservazione in scatola sostenibile?

Lorence Weiss, responsabile degli acquisti della FCM

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Si è reso necessario a volte un grande lavoro di persuasione. Nei Paesi meridionali i marchi legati alla sostenibilità non sono molto diffusi. Nel frattempo però siamo riusciti a convincere della validità della nostra filosofia molti fornitori, spiegando che per Migros l’impegno contro la pesca eccessiva nei mari è un tema prioritario. In alcuni casi abbiamo dovuto rinunciare alla collaborazione con alcuni produttori, a causa dei rispetti-

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Telefono 091 850 81 11

La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

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vi punti di vista in rapporto a ciò che si debba intendere per «politica dei prezzi favorevole alla clientela». Cosa intende concretamente?

Il pesce che deriva da una fonte di approvvigionamento sostenibile è più caro, e i costi di elaborazione sono maggiori. Si tratta di numeri a sei cifre all’anno. Questa differenza di costo però non la lasciamo a carico del cliente ma ce la accolliamo noi. E come è possibile?

Laddove si può, tentiamo sempre di acquistare il pesce direttamente dai pescatori. Lo facciamo ad esempio con i nostri fornitori di tonno delle Maldive. In questo modo riusciamo a evitare l’intermediazione dei grossisti e i prezzi sul mercato diminuiscono di conseguenza. È proprio in quel settore specifico della contrattazione che si finisce spesso per incappare in speculazioni sul pesce come materia prima, con sbalzi di prezzo che possono produrre aumenti maggiori anche del 30 per cento dell’effettivo valore commerciale. Intervista: Christoph Petermann; foto: Paolo Dutto Tiratura 98’645 copie Inserzioni: Migros Ticino Reparto pubblicità CH-6592 S. Antonino Tel 091 850 82 91 fax 091 850 84 00 pubblicita@migrosticino.ch

le varie regioni e nei vari negozi, e oltre a questo non tutti i prodotti Délifit sono sempre disponibili dappertutto. Nonostante la consapevolezza del valore di un’alimentazione sana sia aumentata in molte persone, ci vorrà presumibilmente un periodo di tempo più ampio per modificare le abitudini alimentari e i gusti.

MMigros è la più amata Premi Lo studio

GfK incorona l’azienda, che risulta la prima di 52 importanti imprese Migros è l’azienda svizzera con la migliore reputazione. Lo indica lo studio GfK Business Reflector. Con questo risultato Migros scalza la Swatch dalla posizione di testa, dopo essere stata per diversi anni seconda in classifica. Decisivo l’impegno nel settore della sostenibilità. Per definire il «barometro dell’immagine» dell’economia svizzera la GfK, che è il maggior istituto di ricerche economiche in Svizzera, ha intervistato 3500 persone chiedendo il loro parere sulle 52 più importanti aziende elvetiche. In questa classifica Migros ha totalizzato 74.5 dei 100 punti disponibili. La conquista del premio quale impresa più apprezzata affianca numerosi altri riconoscimenti: nel Brand Asset Valuator, Migros si afferma come la più forte marca della Svizzera. Oltre a questo, l’azienda è stata incoronata «Retailer of the year» nella categoria degli alimentari. E al World Retail Congress, il congresso internazionale dei dettaglianti, il programma Generazione M ha vinto il premio quale migliore iniziativa per la sostenibilità. Abbonamenti e cambio indirizzi Telefono 091 850 82 31 dalle 9.00alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@migrosticino.ch Costi di abbonamento annuo Svizzera: Fr. 48.– Estero: a partire da Fr. 70.–


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Società e Territorio Ragazzi connessi Intervista alla ricercatrice Danah Boyd autrice di un libro sul rapporto tra giovani e nuove tecnologie

«Il Cantonetto» compie sessant’anni Un numero speciale celebra il 60° del bimestrale fondato da Mario Agliati pagina 5

Le cappelle votive in Capriasca Si aprirà il 3 maggio una mostra allestita dalla Corporazione dei Terrieri di Cagiallo e curata da Aldo Morosoli pagina 6

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Niente più mano alzata: per porre una domanda al docente basta scrivere un messaggio. (Keystone)

Il futuro delle università è online?

Formazione Internet sta rivoluzionando anche il mondo accademico, si prevede che tra trent’anni quasi tutti i corsi

universitari saranno online, ma forse questo non è un bene soprattutto per gli studenti Massimo Negrotti È un fatto che Internet ha rivoluzionato il nostro modo di comunicare e le modalità attraverso le quali possiamo raccogliere informazioni le più diverse. Inutile dire che i sociologi si stanno occupando intensamente dei fattori sociali che hanno accompagnato e accompagnano tuttora lo sviluppo di questa tecnologia, per esempio in relazione alla formazione di gruppi e comunità virtuali ed anche in riferimento alla diffusione di opinioni e atteggiamenti. Recentemente, tuttavia, fra le mille applicazioni o estensioni della tecnologia di Internet, si è affacciata una proposta, essa stessa in via di sviluppo, che riguarda l’università. In poche parole, in alcuni Paesi si stanno progettando o già realizzando corsi universitari online ritenendo che vi sia un notevole «mercato» in attesa di questa modalità pedagogica e didattica. In effetti, un corso universitario via Internet è sicuramente più comodo, anche a parità di costi, rispetto alla tradizionale frequenza alle lezioni tenute dai docenti in carne ed ossa in un’aula vera e propria. Lo studente può star-

sene tranquillamente a casa, magari sdraiato su un divano oppure, d’estate, su un prato o su una spiaggia unendo, come si dice, l’utile al dilettevole. Le lezioni del docente, inoltre, per il fatto stesso di essere scritte – ma ciò vale anche per eventuali lezioni audio opportunamente registrate su supporti digitali – hanno il vantaggio di poter essere accumulate ed essere lette e rilette anche in momenti diversi. C’è, infine, un vantaggio psicologico poiché anche possibili domande di chiarimento da parte dello studente possono essere fatte attraverso la tastiera del computer, aggirando, così, la naturale e diffusa riluttanza o timidezza che spesso impediscono ai giovani, in aula, di alzare la mano per proporre un quesito o risolvere un dubbio sui temi della lezione. Fin qui, nessuna obiezione anche perché, ancor prima di Internet, tutti conoscevamo l’esistenza di corsi e scuole realizzati per via postale nei confronti dei quali i corsi online costituiscono una evidente amplificazione. Nessuno, però, si sarebbe mai sognato di istituire una vera e propria università postale, si pensi ad una facoltà di filosofia o matematica, cosa che, oggi, è inve-

ce resa possibile, secondo una tendenza di crescente successo, da tecnologie certamente molto più potenti. Il fatto è che un corso universitario, compatibile con l’insegnamento «virtuale» – escluse quindi discipline che abbiano bisogno assoluto di frequenza ai laboratori o alle cliniche mediche – è tuttavia qualcosa di diverso da ciò che ha costituito, dal XIII secolo in poi, l’insegnamento superiore. La tradizione universitaria, dal Medioevo in poi, prevede un contatto diretto fra docente e studenti perché, fra l’altro, questi ultimi partecipano alla lezione coralmente, si scambiano suggerimenti e dubbi e possono porre, in via orale, domande in modo molto più articolato rispetto a ciò che si può fare per mezzo della tastiera di un computer. Inoltre, quando la sede dell’università ha la fortuna di trovarsi in una piccola città, le lezioni sono seguite da commenti di gruppo e il colloquio con studenti di altre discipline rende la cosa anche più arricchente. Nei casi migliori, come i campus, docenti e studenti hanno mille possibilità di ulteriori incontri informali. È così che, nelle migliori università, si formano i migliori laureati.

Tutto questo, con le «università telematiche», viene ovviamente a mancare e la silenziosa stesura di un argomento della lezione da parte del docente o di un quesito da parte dello studente si riducono a qualche frase, magari scritta male e in fretta, nel totale silenzio e assenza di contatto dal vivo. Senza dimenticare la frequenza di possibili e imprevedibili blocchi dei sistemi hardware o software o, peggio ancora, dell’improvvisa interferenza di malware oppure di messaggi pubblicitari che decantino l’efficacia di una cura dimagrante mentre il docente sta descrivendo la poetica musicale del Requiem di Mozart. Personalmente ho fatto esperienza diretta, presso l’università di Urbino, di corsi telematici e ne ho tratto esattamente le opinioni che sto esprimendo. Questi corsi, in definitiva, sono certamente «meglio di niente» ma la loro capacità di sostituire i corsi tradizionali è quanto meno assai dubbia. È difficile, in certe discipline, immaginare l’efficacia di una lezione che, poniamo, implichi la lettura e il commento dei Promessi sposi o del Macbeth, senza trarre beneficio dalla sensibilità, dalla recitazione e dalla vicinanza fisica del docente. In queste ultime settimane è

circolata una previsione, in realtà una profezia futurologica, secondo la quale fra trent’anni quasi tutti i corsi universitari saranno online. Mi auguro decisamente che non sia così. Ma, se la tendenza prevista si realizzasse progressivamente davvero, probabilmente accadrà che le più importanti università del mondo se ne terranno fuori, vantando il proprio mantenimento della tradizione classica ed acquisendo, di conseguenza, ancora più prestigio di quanto ne abbiano oggi. Esse richiederanno tasse di iscrizione ancora più elevate, con o senza borse di studio, proprio perché potranno garantire una vera full immersion degli studenti nella vita degli atenei che è e sarà sempre la strada più efficace per la formazione delle nuove generazioni. In fondo è ciò che avevano già capito, verso la fine degli anni 80, i dirigenti di una grossa banca americana la quale, di fronte alla progressiva introduzione delle nuove tecnologie di automazione, aveva coniato lo slogan «In questa banca avrete sempre a che fare con un essere umano». Che è sempre il modo più fecondo per chiedere, trattare e imparare.


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Società e Territorio

La mobilità digitale dei giovani

Teenager online Intervista a Danah Boyd autrice di È complicato! La vita sociale dei giovani connessi che avverte:

«è arrivato il tempo di prendere sul serio l’alfabetismo digitale» Natascha Fioretti Il rapporto dei giovani con le nuove tecnologie, in particolare Internet e i social media, è un tema caldo e di interesse pubblico a livello globale. Da un po’ di tempo a questa parte, sui media mainstream ma anche tra insegnanti e adulti, circola l’idea che la Rete costituisca una seria minaccia per i giovani, rappresenti un reticolo di rischi e inganni. Ma è davvero così o si tende ad esagerare, a non capire davvero il fenomeno? Secondo Danah Boyd, che ha conseguito un dottorato all’Università di Berkeley sull’informazione nel campo dei nuovi media e dell’apprendimento, ricercatrice alla Microsoft e professoressa assistente alla New York University, le cose stanno diversamente e non sono così drammatiche: «i giovani in generale sono ok. Vogliono solo essere capiti». Questo il messaggio chiave contenuto nel suo libro appena pubblicato È complicato! La vita sociale dei giovani connessi (scaricabile gratuitamente su www.danah.org/ itscomplicated), nel quale raccoglie le testimonianze dirette di oltre duecento giovani incontrati in un viaggio durato otto anni in giro per gli Stati Uniti. Il pregio della pubblicazione è quello di saper ricalibrare e riequilibrare le leggende metropolitane che circolano sul rapporto dei giovani con il Web spiegando quali sono le dinamiche e le motivazioni reali che li spingono ad incontrarsi sui social network. E mettere in chiaro un punto fondamentale: Internet e le nuove tecnologie non sono il rimedio a tutti i problemi ma neanche il male assoluto. Sono strumenti complessi e come tali vanno avvicinati, usati e contestualizzati. I giovani usano i social media perché in

essi realizzano il loro desiderio di socialità con altri coetanei e di autonomia rispetto al mondo degli adulti. Per la Boyd è fondamentale comprendere che la Rete è fatta di «networked publics» (pubblici connessi) che entrano in contatto grazie alle nuove tecnologie e sono relazioni fatte di intersezioni tra persone, tecnologia e abitudini. E i giovani ne fanno parte per il loro desiderio di affacciarsi al mondo, sentirsi liberi e autonomi nella loro mobilità digitale. Una mobilità che nella vita reale, come la Boyd spiega nel libro, è sempre meno possibile negli Stati Uniti dove i genitori temono molto per la sicurezza dei propri figli. E attenzione, il digitale non esaurisce la loro voglia di incontrarsi per davvero, semplicemente offre un mezzo di contatto in più: una delle ragazze intervistate corre a casa dopo una partita di baseball e per prima cosa «posta» e «tagga» le foto con i suoi amici. «Se c’è una cosa che ho imparato da questa ricerca», scrive nel suo libro, «è che i social media come Facebook e Twitter sono per i giovani una nuova opportunità di partecipare alla vita pubblica ed è questo, più di tutto a creare ansie nei genitori». Per saperne di più le abbiamo fatto qualche domanda. Professoressa Boyd, per essere il suo primo libro È complicato! La vita sociale dei giovani connessi sta avendo davvero tanta attenzione da parte dei media. Perché secondo lei?

Il mio scopo è sempre stato quello di diffondere il più possibile i miei risultati di ricerca, di portarli a conoscenza delle persone e ringrazio i giornalisti per la loro attenzione in questi anni. Attenzione che credo risieda nella consapevolezza dei media che le persone sono interessate a conoscere le complessità che caratterizzano la vita e la cultura degli adolescenti. Se è vero che fare leva sulla paura è un modo per attirare il pubblico è altrettanto vero che le sfumature della realtà che corrispondono e rispecchiano ciò che le persone vivono ogni giorno nel loro quotidiano può fare breccia e carpire l’attenzione dei cittadini e dei lettori. Che cosa intende quando nel libro dice «i teenager online incontrano gli stessi rischi che incontrano offline»?

Numerosi studi hanno dimostrato come i teenager che online sono coinvolti in comportamenti a rischio sono poi gli stessi che soffrono di abusi in famiglia, confusione sessuale, dipendenza… Quindi sono a rischio sempre, nella vita reale come in Rete. Danah Boyd.

È anche molto critica nei confronti

«I social media come Facebook e Twitter sono per i giovani un’opportunità di partecipare alla vita pubblica». (Keystone) di uno dei termini più usati oggi in riferimento ai giovani e alle tecnologie: «Nativi digitali». Come mai?

Se perpetuiamo l’idea e il concetto che i giovani sono per natura capaci di interagire con la tecnologia non ci assumiamo la responsabilità dei nostri interventi educativi e formativi che sono necessari per aiutarli ad abbracciare in modo responsabile e corretto le tecnologie e gli strumenti che plasmano quotidianamente ogni settore della nostra economia e della vita pubblica. Se li abbandoniamo a loro stessi emergeranno nuove forme di ineguaglianza, distruttive per la nostra società. Credo sia davvero arrivato il tempo di prendere sul serio l’alfabetismo digitale e le abilità computazionali. È nostro dovere aiutare i giovani ad essere costruttivi e impegnati in modo critico con il panorama tecnologico senza assumere che la tecnologia cada dal cielo!

Personalmente vorrei che mio figlio avesse fiducia in me e io in cambio rispetto per lui. La mia speranza è quella di aiutarlo a sviluppare empatia ed elasticità. La chiave per tutto questo è la comunicazione. Non c’è un approccio «taglia unica per tutti», nessuna magica riunione scolastica che metta a posto tutto. Imparare, apprendere è un processo ed è tutta una questione di iterazione. Quello che mi aspetto dai governi è che implementino i loro interventi basandosi sui dati e non su paure e politica. Ci sono così tanti adolescenti là fuori in difficoltà e invece di aiutarli spendiamo una enorme quantità di tempo dando visibilità a situazioni statisticamente anomale e mettendo in atto interventi e misure che sappiamo non essere efficaci. Riguardo ai media, vorrei smettessero di promuovere e diffondere paura.

Ci sono valori fondamentali che vogliamo trasmettere ma anche dinamiche importanti che vogliamo incoraggiare.

Sul rapporto tra giovani e Internet c’è molto interesse e attenzione anche in Svizzera. Tanto che il Consiglio federale ha lanciato il programma nazionale per la promozione della competenza mediale «Giovani e media» con il quale la Confederazione, insieme al settore dei media, si assume la responsabilità di impegnarsi a favore di una protezione efficace dei giovani dai rischi dei mezzi

nella sua realizzazione con una forte fantasia nella sua elaborazione. Tutto questo! Effettivamente. Però quando, all’età di quattro anni, sono entrata per la prima volta in palestra a vedere mia cugina praticare questo sport, sono letteralmente rimasta a bocca aperta. Mi sono immediatamente iscritta e ho iniziato ad allenarmi con grande impegno, prima per imparare gli esercizi di base, poi per preparare le prime esibizioni con il mio gruppo di ragazze, in seguito per riuscire al meglio le gare a livello ticinese e, infine, per partecipare alle qualifiche addirittura a livello svizzero. Gli anni sono passati velocemente e la mia passione è cresciuta sempre di più, fino a quando, un giorno, al termine di un allenamento, la nostra maestra ci ha annunciato che avrebbe smesso di insegnare e che, non essendo sostituita, il gruppo si sarebbe dovuto sciogliere. Solo una mia

compagna ed io avremmo avuto la possibilità di continuare la ginnastica ritmica, mentre le altre sarebbero state dirottate verso la gymnastique, che è simile ma meno impegnativa. Tutte noi, compresa la maestra, abbiamo iniziato a piangere: che delusione! Mi sono comunque rapidamente integrata nel nuovo gruppo, riuscendo a coltivare altre amicizie e preparando nuove affascinanti esecuzioni. Poi, dopo altri due anni, ecco un’altra brutta notizia: anche questa maestra avrebbe smesso di insegnare e il gruppo, questa volta unito, sarebbe stato trasferito nella gymnastique. Se da una parte ero dispiaciuta di abbandonare la ginnastica d’élite, che praticavo ormai da ben sei anni; dall’altra ero comunque contenta, perché adesso avrei avuto più tempo a disposizione per svolgere al meglio i miei sempre maggiori impegni scolastici. In ritmica, infatti, facevo ben quattro alle-

È da poco diventata mamma: un domani che cosa dirà a suo figlio riguardo l’uso di internet e come si aspetta che agiscano le istituzioni, il governo e i mass media per creare un ambiente più empatico per i giovani adolescenti?

di informazione. Parallelamente si incarica del coordinamento delle attività e promuove la collaborazione e i contatti tra i vari attori operatori in quest’ambito. L’obiettivo è quello di aiutare gli adolescenti ad utilizzare i media digitali in modo sicuro, responsabile e adatto alla loro età. Si rivolge a genitori, insegnanti e specialisti, offrendo loro informazioni mirate, sostegno e consigli su come seguire adeguatamente i bambini e gli adolescenti (per maggiori informazioni www.giovaniemedia.ch/it). Tra l’altro il programma nazionale ha commissionato una ricerca all’Università di Zurigo sulla regolamentazione dell’uso di internet dei ragazzi di età compresa tra i 9 e i 16 anni da parte dei genitori. Da EU Kids Online emerge che i genitori con poca familiarità con Internet, quelli di lingua straniera e quelli con figli già più grandi non controllano praticamente mai l’utilizzo di Internet da parte dei figli e che quasi un terzo dei genitori non ha mai parlato con i propri figli di come comportarsi se in Rete se si imbattono con contenuti che li turbano. Sono i genitori stessi a confermare la necessità di intervento: oltre un terzo ritiene che si dovrebbe regolamentare meglio l’utilizzo di Internet e che sia soprattutto la scuola a fornire a genitori e ragazzi informazioni sull’uso sicuro del Web.

I ragazzi si raccontano di Julia Gnesa Nove anni di ginnastica ritmica

Qualche mese fa, durante un’ora d’italiano, ho avuto la possibilità di presentare ai miei compagni di terza media la grande passione che nutro per la ginnastica ritmica. È stato un momento veramente molto bello: poter esporre il suo funzionamento e il suo significato nella mia vita, cercare di rispondere alle numerose domande poste dai miei compagni e, infine, ascoltare la valutazione ricevuta, con le relative motivazioni. Il risultato è stato ottimo e ne sono fiera. E allora eccomi qui tra voi, con la possibilità di raccontarvi il magico mondo della ginnastica ritmica, questa volta, però, senza l’aiuto di un prezioso PowerPoint, di un video illustrativo, né di alcuni attrezzi particolari. Spero comunque di riuscire a coinvolgervi lo stesso. La ginnastica ritmica è uno sport olimpico prettamente femminile. Se è

molto affascinante da praticare, è anche particolarmente esigente. Richiede, infatti, di padroneggiare diverse abilità, che devono essere allenate in continuazione. Bisogna, in primo luogo, avere una grande flessibilità fisica, per muoversi continuamente con agilità su una pedana quadrata larga tredici metri. Poi è necessario avere una buona coordinazione, per svolgere diversi esercizi utilizzando in modo adeguato i cinque attrezzi di questo sport: la palla, la fune, il cerchio, il nastro e le clavette, che sono simili a dei birilli ma dalla forma allungata. In seguito è importante possedere il senso ritmico, perché gli esercizi con i vari attrezzi sono eseguiti rispettando con precisione una sequenza prestabilita, abbinata ai tempi scanditi dal brano musicale prescelto. Infine ogni esecuzione, che sarà attentamente valutata dalla giuria, richiede di combinare una grande precisione

namenti ogni settimana, per un totale di tredici ore; mentre in gymnastique ne faccio solo due, per un totale di cinque ore. Anche a questo livello vengono organizzate delle gare, che mi hanno permesso di togliermi qualche bella soddisfazione. Così nel 2011 sono riuscita a diventare campionessa ticinese della mia categoria, vivendo un’emozione fortissima; mentre a livello elvetico ho allineato alcuni podi, che mi hanno comunque sempre riempito di gioia. Adesso sono nove anni che pratico questo magnifico sport, ma ogni volta che entro in palestra e inizio a svolgere gli esercizi ritrovo le stesse sensazioni che provavo la prima volta. Ed è bellissimo! Testi corretti dal professor Gian Franco Pordenone


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Società e Territorio

Città di architetti e di musicisti Pubblicazioni Un numero speciale del «Cantonetto», per festeggiare i sessant’anni della gloriosa rivista luganese Stefano Vassere «L’osteria del Cantonetto era anticamente ubicata a un passo dalle Scuole, scendendo verso il lago, nella contrada di Canova, che insieme all’adiacente contrada di Verla si presentava con assetto urbanistico molto diverso rispetto a quello attuale». La rivista «Il Cantonetto», fondata da Mario Agliati e ora continuata dal figlio Carlo, celebra i sessanta anni di pubblicazione con un numero speciale, che porta per sua grande parte i testi di una serie di comunicazioni proposte in occasione di un festeggiamento, tenutasi lo scorso anno al Dazio Grande di Rodi. Al corpo centrale si aggiunge la cornice di un’ampia introduzione sulla storia della rivista a cura dell’attuale di-

rettore e una serie di recensioni di novità librarie. Tra le cose che ormai si conoscono e riconoscono di questa rivista è un deciso stile, che trova abbondante sostanza nella testualità e nelle scelte editoriali, fin nel carattere, nei corpi, nelle separazioni dei paragrafi (qui a forma di luna), nell’inusuale estensione delle didascalie fotografiche, nella selezione delle fotografie stesse, che è accurata tanto quanto i testi. Tra i contenuti si impongono con decisione quelli dedicati alla realtà storica della città di Lugano e, in questo ambito, quelli legati ai luoghi, nelle loro declinazioni della contrada, del quartiere, delle vie e delle piazze: il Cantonetto era, significativamente, prima di tutto un luogo. Anche questo numero è molto storico-topografico, perché parla classicamente delle trasformazioni dei quartieri, della loro costruzione, dell’architettura più o meno conservata della Lugano del passato. Qualche esempio. C’è un ampio ricordo di due architetti ticinesi recentemente mancati, Tita Carloni e Gianfranco Rossi, a cura di Riccardo Bergossi. «Entrambi hanno operato in città come protagonisti», ci dice l’autore: le case Bianchi in piazza Battaglini della fine degli anni Cinquanta e le case economiche di Molino Nuovo (metà degli anni Sessanta) per Carloni, il Centro scolastico di Trevano sorto potente sul sedime dell’omonimo Castello per Rossi, inizio anni Settanta. Nell’introduzione a Lugano del buon tempo, di Mario Agliati, Francesco Chiesa definisce la Città «già un po’ città ma ancora non

bene esperta della nuova professione; un po’ villaggio ancora, gran villaggio». Un gran villaggio dalle scelte che alcuni ritennero certamente scriteriate, come la demolizione dell’antico quartiere storico del Sassello, grosso modo tra il primo tratto della Via Nassa e la collina che ospita la cattedrale. C’è, nel contributo di Bergossi e in una lunga didascalia redazionale, una documentata storia della demolizione stessa e dei progetti che lì mutarono il tessuto urbano, dotandolo dell’assetto che oggi osserviamo. In questo numero sembra di trovare una sorta di aggancio obbligato ai posti della Città anche in testi apparentemente più distanti dalle tematiche classiche del «Cantonetto». Nell’affascinante articolo che Carlo Piccardi dedica al soggiorno luganese di Richard Strauss, l’efficace profilo del musicista, orfano e reduce compromesso del Nazismo, porta ampi rinvii ai luoghi che lo ospitarono: «il maestro approdò a Lugano il 29 marzo 1947, prendendo alloggio nella casa di cura San Rocco». Apprendiamo poi che Strauss frequentava quotidianamente il «Caffè Huguenin» (oggi c’è un noto fastfood, sotto i portici di fronte al lago, per intenderci), «trascinato dalla moglie Pauline all’ora della merenda». Sembra che all’entrata della coppia, evidentemente riconosciuta, l’orchestrina che allietava i pomeriggi del locale usasse onorarla con qualche pezzo di musica colta. Anche qui, una foto rara ritrae Strauss durante la prova generale di un concerto che diresse nel giugno del 1947 nel vecchio studio

A sinistra, il primo fascicolo del bimestrale datato marzo 1953; a destra, Casa Stoppani Antonini in Piazza Cioccaro a Lugano fu demolita nel 1953 (tratta da Mario Agliati, Lugano del buon tempo, ed. Dadò).

radiofonico al Campo Marzio, alla Foce, come si chiama ora. Il maestro lasciò Lugano qualche giorno dopo, e la motivazione è ancora una volta legata ai luoghi, che la moglie Pauline trovava troppo «dolciastri»: «dobbiamo cambiare ambiente. Qui tutto è troppo molle. Al mio Riccardo – concludeva

nella testimonianza di un amico – occorre un paesaggio più eroico. Eine heroische Landschaft». Bibliografia

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Società e Territorio

Madonne e Santi dipinti: le cappelle votive in Capriasca Cagiallo La mostra allestita dalla Corporazione dei Terrieri sarà ospitata nella chiesa dei

Santi Matteo e Maurizio dal 3 al 30 maggio Gemma d’Urso Da Origlio (452 metri d’altitudine) al Monte Camoghè (2200 m) dove la cappella è dedicata a San Nicolao della Flüe, Aldo Morosoli, grande conoscitore della sua regione, storico e scrittore ha repertoriato, documentato e fotografato 49 cappelle votive. Da questa ricerca è nato un libro, Madonne e Santi dipinti. Cappelle votive e affreschi murali in Capriasca (Ed. Fontana), e una mostra che, per ragioni di spazio, esporrà solo 42 tavole di grande formato con le riproduzioni a colori e le didascalie. Tre anni dopo la mostra di grande successo sugli oggetti di culto del passato presenti in Capriasca (Come pregava la gente), Aldo Morosoli ha affrontato un’altra ambiziosa sfida: è andato in cerca di tutte le cappelle votive della Capriasca. «È stato un lavoro notevole di ricerca per risalire alle famiglie che le hanno edificate e di cui spesso si sono perse le tracce», ci spiega l’ideatore della mostra che ha presieduto la Corporazione dei Terrieri di Cagiallo per 35 anni, fino al 13 marzo scorso quando ha lasciato l’incarico al suo vice Mireno Campana. «Ho studiato parecchi documenti, fatto innumerevoli telefonate, incontrato tante persone e camminato molto» dice. «Nel libro che uscirà in contemporanea con la mostra, ho descritto tutte le cappelle votive, a volte ornate da dipinti di grande pregio, ma anche quelle ormai distrutte nonché una ventina di affreschi murali recensiti in Capriasca» sottolinea l’autore. Nel suo volume, Aldo Morosoli si è anche soffermato sulle 29 cappelle delle due Vie Crucis della Capriasca, quelle di Bidogno e di Bigorio. «Per ragioni di spazio – ci racconta – la mostra può accogliere soltanto 42 delle 49 cappelle votive repertoriate: sono presentate sotto forma di tavole a colori montate su cavalletti e comprensive delle descrizioni». Aldo Morosoli conosceva già buona parte delle cappelle votive recensite in Capriasca, ci spiega. «Le altre ho dovuto scovarle e lungo questo percorso non solo geografico, ma anche a ritroso

Cappella sulla roccia dedicata a Santa Caterina a Cagiallo. (A. Morosoli)

nel tempo, ho purtroppo anche trovato incuria e in alcuni casi atti di vandalismo. È un peccato che sia venuto a mancare quello spirito di devozione che animava le nostre valli. Basti pensare alla scomparsa delle processioni delle Rogazioni: fino a mezzo secolo fa circa si tenevano ad inizio maggio nelle nostre campagne, allo scopo di benedire i campi e i raccolti. È vero che ormai i contadini sono pochi e le tradizioni si sono perse». Ed è su queste tradizioni a rischio di scomparsa che Aldo Morosoli ha voluto soffermarsi nella sua certosina ricerca delle cappelle votive della sua valle: «questi monumenti di devozione alla Madonna o a santi sono stati edificati nelle zone agricole, nei boschi, nella montagna, ma anche e soprattutto vicino alle case. Sono state volute per ringraziare Dio per una nascita, una guarigione o un altro evento familiare. Alcune esprimono riconoscenza come la “Capèlona di Miera” sopra Lopagno edificata 179 anni orsono dai fratelli Mora di Roveredo in segno di devozione. Raffigura la Vergine, il Bambino Gesù con una rosa, quattro Santi e la Maddalena penitente al cospetto del crocefisso e degli angeli che, in volo sopra il mare, trasportano una chiesa». Tutte quante le cappelle elencate nel libro e quelle oggetto della mostra hanno un nome che spesso deriva dal luogo – «Roncaa» a Sureggio, «Pian di Prévet» a Lugaggia, «Capèla da Sarón» a Cagiallo – e talvolta dalla famiglia che l’ha fatta erigere come «Capèla di Nòbil» a Tesserete (edificata dalla famiglia Nobile), «Capèla di Savi» a Campestro o ancora «Capèla di Lépor» (voluta dalla famiglia Lepori) a Caslaccio. A Campestro sopra Tesserete, troviamo anche la «Cappella del lupo», costruita su uno sperone roccioso. Fu voluta quale ex-voto da tale Giovanni Francesco Ardìa nel 1787 che la dedicò alla Vergine dopo essere scampato all’aggressione di un lupo. La grafia usata per i nomi delle cappelle è quella che figura nel Repertorio toponomastico ticinese mentre la cartina geografica che ne indica le ubicazioni è stata curata dal matematico Claudio Bozzini di Corzoneso. La mostra che si terrà nella suggestiva cornice della Chiesa dei Santi Matteo e Maurizio, proprietà della Corporazione dei Terrieri che, anni fa, le aveva dato nuova vita grazie a un restauro preciso durato un decennio, espone anche un prezioso affresco di 250 x 217 cm, recuperato da Aldo Morosoli e da Maurizio Cattaneo, docente di storia alla scuola media di Tesserete, su un vecchio edificio di Sala Capriasca. «Si tratta di un affresco di notevole valore raffigurato su un rustico nei ronchi di Sala Capriasca e che rappresenta la Vergine del Carmelo con il Bambino», spiega Aldo Morosoli. «Il rustico si chiama “Tecc di Madónn” e appartiene a Franco Nesurini che ha donato il dipinto alla Parrocchia di Sala. L’affresco stava lì da tre secoli e il tempo che passa, ma anche quello

A lezione in fattoria Dialetto Gli anziani

sanno che è meglio non mettere «el didin sutta la cova» Emilio Magni

Cappella dedicata a San Francesco nei boschi di Lopagno. (A.Morosoli)

meteorologico lo ha sgretolato e ne ha sbiadito i colori». Cosicché è stato staccato nel 2013 dal restauratore Massimo Soldini che lo ha restaurato in laboratorio. «Il recupero è stato laborioso e costoso, ma permetterà a quest’opera di proseguire, anche se mutilata, un discorso secolare», prosegue Morosoli. Dopo la mostra in San Matteo infatti, l’affresco che raffigura la Madonna del Carmelo tornerà nel suo luogo d’origine e sarà collocato nella chiesa. «Ho scoperto questo antico e pregiato affresco un po’ per caso – ci racconta Maurizio Cattaneo, consigliere comunale a Capriasca – quando qualche anno fa il legislativo ha approvato il nuovo Piano regolatore. Studiandolo nel dettaglio, mi sono accorto che quell’affresco, ormai in pessime condizioni, figurava come bene culturale». Stando al regolamento comunale sui beni culturali, la manutenzione e conservazione degli stessi spetta ai proprietari. «Il proprietario del “Tecc di Madónn” non poteva farsi carico del restauro del suo affresco e così l’ha regalato alla parrocchia di Sala Capriasca», precisa Maurizio Cattaneo. Il Municipio ha quindi accettato di coprire il 20% delle spese di restauro (circa 12mila franchi). «Aldo Morosoli ed io ci siamo fatti carico della somma restante che abbiamo raccolta grazie ad una sottoscrizione pubblica». Quel che rimane del dipinto, risalente alla fine del 1600 è stato fissato,

ma non è stato possibile recuperare il resto dell’immagine: «la Madonna del Carmelo raffigurata nell’affresco sarebbe apparsa verso il 1200 sul Monte Carmelo in Israele – racconta Maurizio Cattaneo – ed è lì che sono sorti i primi eremi. Si può così dedurre che forse anche a Sala, dove la venerazione della gente alla Madonna del Carmelo è grande, sia esistito un ordine dei Carmelitani». Si stima che in Ticino le cappelle votive siano un migliaio. «Non disponiamo però di cifre precise, ma la stima dovrebbe essere questa» indica il docente di storia che ricorda altresì l’importante presenza di oratori di grande pregio in Capriasca: «Ce ne sono 26 e molti contengono tele di grande valore». Aldo Morosoli conclude: «Le valli Verzasca e Maggia possiedono molto cappelle votive di grande valore artistico mentre ce ne sono poche in Valcolla e nel Mendrisiotto, regione quest’ultima in cui troviamo piuttosto delle cappelle di grandi dimensioni e dei crocefissi di pietra posti all’incrocio degli assi stradali». Dove e quando

Madonne e Santi dipinti: le cappelle votive in Capriasca Dal 3 al 30 maggio nella Chiesa dei Santi Matteo e Maurizio a Cagiallo Orari: da giovedì a domenica, dalle 14.00 alle 18.00.

Ormai è diventato quasi un vezzo comune, in particolare tra il popolo che gode di una certa cultura dovuta soprattutto all’assidua frequentazione della poltrona posta davanti alla televisione, affermare con sdegno che ormai i bambini non sanno più niente del mondo animale, nemmeno di quello vegetale e sono più esperti di dinosauri (grazie ai cartoni animati) che di bovini e suini. In questo mondo circola pure una leggenda metropolitana secondo la quale un bambino delle elementari, al quale hanno chiesto con che cosa la mucca fa il latte, lui candidamente ha risposto: «Con le corna». Forse tutto ciò è eccessivo. Però è pure vero che i bambini conoscono poco gli animali. Pertanto le insegnanti della scuola materna frequentata da mia nipotina hanno avuto davvero una bella idea di portare le scolaresche in una fattoria per mostrare ai bambini gli animali da vicino: buoi, mucche, cavalli, pecore, galline e altri. L’iniziativa è stata salutata con favore dai genitori e soprattutto dai nonni i quali si rendono conto che in questi tempi, così difficili e distratti, è difficile per un bambino conoscere a fondo gli animali. Ed è stato così che ad accompagnare gli scolaretti alla fattoria assieme alle insegnanti c’erano anche alcuni nonni. Grazie a queste vetuste presenze, i bambini, non solo hanno potuto conoscere abbastanza da vicino le bestie, ma hanno pure imparato i loro nomi in dialetto. Hanno saputo che un tempo il vitello si chiamava «büscin», il maiale «ul purcèll», il bue «l’era ul bó», la gallina «la gaìna», la pecora la «bérina», il tacchino «ul pòll». La «pitta» era la chioccia che covava le uova dalle quale poi uscivano «i purisétt», i pulcini. Un nonno, ormai molto in là negli anni e che di dialetto ne sapeva più di tutti, ha spiegato che l’asino in dialetto, non era come si dice adesso «l’asan», o «el sumar», era «ul boricch»: termine che purtroppo è scomparso dalla circolazione. La più singolare e curiosa di queste spontanee lezioni di dialetto rurale e zootecnico tenute nella fattoria è venuta da una nonna la quale nel momento in cui, con tutta la circospezione del caso, era mostrata ai bambini una chioccia intenta a covare, ha detto di esserle tornato in mente un detto che ormai non si dice più. Qual è dunque questo modo di dire così caratteristico? È «Mai mètt el didin sutta la cova». Ovvero mai infilare un dito sotto la chioccia che sta covando. Che significato ha? Semplicissimo. Vuol dire «non rompere le uova nel paniere» (uno dei modi di dire più comuni) e in senso più generale: «non rompere un accordo», o «non rovinare tutto». «Mai mett el didin sutta la cova» è anche un modo di dire usato da poeti e scrittore milanesi dell’Ottocento e del Novecento. Lo usa per esempio Camillo Cima, detto «Pinzo», scrittore in dialetto milanese del Novecento, il quale era di origini ticinesi. Annuncio pubblicitario

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni La scomparsa della noia A volte, quando mi guardo attorno e vedo gente sempre indaffarata o sempre immersa negli svaghi, ho l’impressione che la noia stia scomparendo dallo scenario dell’esistenza umana. Peccato. Mi tornano alla mente le riflessioni di due grandi autori che sulla noia si sono soffermati a riflettere interminabilmente: Pascal e Leopardi. A loro, occasioni per annoiarsi non mancavano certo: il primo si era ritirato nel convento di Port-Royal; l’altro passava i suoi giorni nella biblioteca paterna di Recanati leggendo e contemplando dalla finestra un passero solitario o la Nerina che s’affacciava alla finestra di fronte. Ma quella loro noia era fonte di ispirazioni profonde. «La noia è il più sublime dei sentimenti umani», sta scritto in uno dei Pensieri di Leopardi. Straordinario, perché chi conosce il poeta sa quanto detestasse questo stato d’animo che altrove definisce «la più sterile delle passioni

umane», «figlia della nullità e madre del nulla». Perché, dunque, essa è anche il più sublime dei sentimenti umani? Leopardi condivide il pensiero di un filosofo francese del Settecento, Helvétius, che ravvisava nella noia il tratto distintivo tra noi e gli altri animali: le bestie non sono in grado di annoiarsi, noi sì. Bel guadagno, verrebbe da dire. Eppure io ritengo che un guadagno ci sia, anche se, ovviamente, ha il suo prezzo. La noia occupa gli intervalli tra il piacere, l’impegno, l’azione, il divertimento, il dolore: il vuoto che si crea tra l’una e l’altra occupazione è invaso dalla noia, perché la mente umana non può rimanere inattiva, e ritrovarsi ad accogliere il vuoto comporta un disagio che alla lunga si traduce in sofferenza. Per questo, a volte, mi capita di pensare che i casi di degenerazione mentale, come le forme acute di Alzheimer, possono essere un soccorso provvidenziale

per chi è costretto a non far nulla dalla debolezza del corpo, dalla malattia, dalla senilità. Il vuoto della noia non è percepito nel vuoto della mente. Ma quando il tempo vuoto è patito come fastidiosa sofferenza la mente vi si sottrae fuggendo altrove, inseguendo pensieri, fantasticando avventure e mondi. L’immaginazione si slancia, il pensiero si astrae dalla realtà e si rifugia in se stesso: beninteso, per chi è capace di pensiero. Petrarca poetava in cuor suo percorrendo «solo e pensoso i più deserti campi»; durante le sue passeggiate solitarie, Rousseau elaborava riflessioni filosofiche ed estasi contemplative; il filosofo Tommaso Campanella, condannato come eretico e perciò incarcerato a Napoli per 27 anni (e che razza di carcere!: «una fossa dove non vedo cielo né luce mai, sempre inferrato, con mal mangiare e peggio dormire») scrive e scrive, in quella miserabile condizione, le sue opere più importanti;

e in carcere, ancora, scrissero Voltaire, Sade, Casanova, Oscar Wilde, Gramsci, Solženitsyn… Lo scrittore Antonio Tabucchi racconta di quando, bambino, andava dalla nonna a lamentarsi della noia; e quella gli rispondeva: «Annoiati, bambino, che ti fa bene all’immaginazione». Colpisce la saggezza semplice di quella nonna d’un tempo: la nonna d’oggi correrebbe ad accendere il televisore, a comprare un videogioco o, nel migliore e più improbabile dei casi, a raccontare una storia. Come fa un bambino ad annoiarsi, oggi, tra televisori, tablet, iPhone, giochi e giocattoli? Forse, a scuola… Ma non è detto: anche la scuola tende ad essere sempre più divertente, piena di diversivi e di trovate giocose, con l’obiettivo, appunto, di non annoiare. Quanto all’adulto, cessati gli impegni, non ha che da scegliere tra un’infinità di svaghi e di piaceri possibili. E però, forse, proprio qui sta la trappo-

la: è una consapevolezza antica – oggi convalidata dalla moderna psicologia e dalle neuroscienze – che lo stimolo piacevole esageratamente prolungato perde d’efficacia e alla fine degenera nel suo opposto, la sofferenza. E allora, forse, proprio la sovrabbondanza sempre disponibile dei piaceri tende a generare fastidio e tedio; e perciò bisogna variare, saltare da un divertimento all’altro, pur di evitare la mortifera noia; e la cosa diventa sempre più difficile, perché la saturazione insorge presto, e con essa la noia. Eppure, se invece di fuggire la noia la si affrontasse con i rimedi antichi, potrebbero accendersi la fantasia, l’introspezione e il pensiero. E chissà, magari potrebbero venirne nuovi poeti, scrittori, scienziati – o anche soltanto semplice gente comune che non ha paura di pensare… Ma qui mi fermo perché non vorrei annoiare.

fabbrica sorta su una parcella di proprietà un tempo del convento cluniacense del 1083 dedicato a St. Alban, dal quale, derivano tutti gli agiotoponimi qui in giro. Subito il pezzo forte, mi sa, dell’ostello di St. Alban a Basilea ( 253 m), un primo pomeriggio grigio di metà aprile. È il ponte-passerella di legno sopra il canale che porta all’entrata. E che continua poi di lato lungo il canale, come pontile attaccato all’ostello. Brevissima rampa introduttiva segnata dall’antracite del metallo laminato ai fianchi che ricorre poi nel corrimano; graziosa è la ringhiera di filo d’acciaio intrecciato romboidalmente che continua anche lei il percorso a elle. Ma il tocco semplice e strepitoso sono quelle lamelle di quercia intraviste un attimo fa, imbrunite dalla pioggia, a U rovesciata. È qui che iniziano il loro percorso, coronando il tutto in un porticato, protraendosi ancora innestate alla facciata vinaccia per poi infine salire su nel pezzo mo-

derno. Dieci da una parte del ponte, sette dall’altra ; ventitré conducono fino alla terrazza con tavolini. È questo il segno-connessione tra l’ex fabbrica di nastri di seta e la parte aggiunta, trovato dal giovane duo basilese Buchner & Bründler, entrambi classe 1967 e autori, tra l’altro, di una straordinaria riattazione di un rustico a Linescio, nonché del padiglione svizzero con tanto di seggiovia all’Expo 2010 di Shanghai. Elemento in quercia anche nella porta, per aprirla. Dentro domina il beton brut, di cui è fatto anche il bancone-bar della reception. Alle pareti, due Potence (1950): lampade di Jean Prouvé, considerate «capolavoro purista» che adesso sono gioco per un paio di bambini. Tre enormi pouf parallelepipedi in pelle color caffellatte, dove attorno, come a un tavolo, ci sono in tutto, otto sedie Antony (1954) in frassino e acciaio laccato nero sempre di Jean Prouvé. In fondo a destra, una finestra a sbalzo, dove ci si può sedere

sulla pelle trapezoidale dello stesso colore dei pouf. Da qui si vede la chiesa rossiccia di St. Alban, alle cui spalle c’è il convento dedicato a St. Alban. Curioso come l’agiotoponomastica di qui, legata tutta a Sant’Albano – nome peraltro un po’ infangato dall’odioso cantante pugliese Albano Carrisi – non sia riuscita a stabilire se si tratti di Sant’Albano di Mainz o Sant’Albano d’Inghilterra, il cui martirio coincide: decapitazione. A sinistra invece, eccoci nel refettorio a volte in mattoni, purtroppo pitturati in bianco, che testimonia l’attività industriale del luogo svolta fino al 1956. La fabbrica di nastri di seta Sarasin & Co è stata costruita nel 1851 da Melchior Berri (1801-1854), l’artefice del primo francobollo a colori della storia: La colomba di Basilea. Vado in camera a farmi una doccia: l’opulenta porta di quercia cela una fantastica camera basica e monacale. E poi via, pronti per una passeggiata. Nel canale, tre anitre controcorrente.

esprimere titubanza e persino tenerezza. Tanto da alimentare l’illusione di una possibile amicizia con la stirpe umana che, non da oggi, ha tentato operazioni di avvicinamento, di convivenza e addomesticamento nei confronti di questi presunti bonaccioni. Tutto ciò, del resto, ha origini lontane. «Gli orsi nel ruolo di “migliori amici” non sono né una novità degli ultimi secoli né una prerogativa dell’America», osserva Bernd Brunner, in Uomini e orsi (Bollati Boringhieri), un libro da considerare una guida, colta e avvincente, per chiarirsi le idee sul rapporto, intenso e ambiguo, con un animale di cui non si conosce la reale identità. Conclude Brunner: «Potremo evitare scontri fra loro e noi solo imparando a non metterci sulla loro strada». Come, invece, si è sempre tentato di fare. Sin dall’antichità, e l’autore cita Seneca, e poi nel corso della storia, nell’era delle esplorazioni geografiche, del colonialismo, dell’avvento dei musei scientifici, l’orso è presente, in forme diverse, a volte mortificanti: ridotto a ballerino

da circo, a trofeo di caccia o corpo da cui ricavare presunti rimedi magici. Eccoci, infine, nell’epoca della pubblicità e del consumismo dove l’orso la fa da protagonista, ma sotto mentite spoglie. Ai nostri giorni, la versione peluche ha avuto il sopravvento sull’originale in carne e ossa. E così gli attributi di morbidezza e affettività del pupazzo sono stati trasferiti ai bestioni bruni o bianchi, che abitano nelle foreste o fra i ghiacci del nord. I quali avrebbero comportamenti e sentimenti materni e paterni, che siamo abituati a considerare normali, nella specie umana, salvo casi di devianze. Orribili, per noi, non tali nel mondo animale, la savana e la giungla impongono leggi che sembrano spietate; il padre affamato divora il piccolo. Secondo le ricerche degli etologi, soltanto un cucciolo su dieci sopravvive. Appartiene all’ordine delle cose e smentisce la retorica, oggi in auge, della natura giusta e buona, dell’uomo cattivo e dell’animale innocente (compreso il cane che aggredisce il bambino).

A due passi di Oliver Scharpf L’ostello di St. Alban a Basilea È dai tempi del mio ultimo interrail che non metto piede in un ostello. Mai andati tanto a genio quei pernottamenti in letti a castello tra russatori incalliti e puzza di piedi, eppure, oggi, lo scopo del viaggio è proprio un ostello. Ma che bell’ostello titolava un articolo su «Living», allegato mensile del «Corriere della Sera». Si tratta infatti di un’ottocentesca fabbrica di seta lungo un canale, riconvertita negli anni Ottanta in ostello della gioventù, trasformato e ingrandito (2009-2010) dagli architetti Buchner e Bründler. Già passeggiando per Basilea – antica città magica proiettata nel futuro attraverso tanti tram silenziosi, attenzione maniacale al verde pubblico, moltissime bici, poche macchine – sono colto da una certa pace. Quando poi scendo dal livello stradale cittadino, nei pressi della St. AlbanTor, giù per scalini affiancati da una scarpata colonizzata dall’aglio orsino e sento scorrere il canale, incomincia

lo spaesamento e la quiete è completa. Eccolo il canale, una chiusa lo divide in due; case medievali a graticcio come in Alsazia o nel Baden-Württenberg. Microcosmo romantico di Basilea: la St. Alban-Tal, un angolo a sé del quartiere di St. Alban, sulla sponda sinistra del Reno, dove scorre appunto anche il St. Alban-Teich, noto ai basilesi come Dalbedych. Mentre la zona, restaurata negli anni Settanta grazie alla fondazione Christoph Merian, è conosciuta come Dalbeloch e sembra di essere in un villaggio; c’è persino un mulino utilizzato per produrre carta dal 1478 al 1926, sede dal 1980 del Basler Papiermühl: museo della carta, scrittura, stampa. Camminando lungo il St. Alban Kirchrain, il pezzo nuovo dell’ostello è mimetizzato dal verdino dei noccioli, ma s’intravedono finestre a pieni vetri leggermente a zig-zag tra di loro, un po’ di beton, tonificanti lamelle di quercia. Mentre parte ora la carrellata color rosso vinaccia dell’ex

Mode e modi di Luciana Caglio Uomo e orso, un’amicizia impossibile familiare, genitori e prole, osservandone comportamenti, rapporti e sviluppo. Protagonisti, la coppia di orsi, il maschio Mischa e la femmina Mascha, allevati con il poppatoio in Ussuria, e nel 2009 donati dall’allora first lady russa, Svetlana Medvedeva, al sindaco Alexander Tschäppät, in visita ufficiale nella nostra capitale. Che, appunto, dell’orso reca l’emblema sulla ban-

Keystone

«Fossero morti due cuccioli di cinghiale, chi si sarebbe commosso?». Così si concludeva il commento della «Berner Zeitung» dedicato alla scomparsa dei due orsetti, il numero 3 e 4, vittime entrambi del padre Mischa, durante un gioco fatale: il primo, ucciso da una zampata, il secondo ridotto in fin di vita e poi addormentato, per evitargli ulteriori sofferenze. L’episodio, che ha avuto un’eco internazionale, sembra avvalorare, dopo l’abbattimento di M13, l’ingloriosa fama di una Svizzera «Paese non per orsi». Evidentemente, gli effetti più diretti si sono fatti sentire a Berna, dove i due rampolli, nati in gennaio e presentati in marzo al pubblico, erano la maggiore attrazione del Tierpark Dählhölzli, il nuovo zoo che ha sostituito la storica fossa. Assicurando, quindi, continuità a una tradizione, affidata a criteri scientifici aggiornati e turisticamente pagante. Qui, infatti, in un ambiente, che riproduceva un habitat naturale, era in corso un esperimento promettente: riunire sotto lo stesso tetto un nucleo

diera. Ora, questa convivenza, curata da zoologi ed etologi, e proposta a un grande pubblico di spettatori, si è risolta nel peggiore dei modi: due cuccioli strapazzati da un padre violento e sotto gli occhi indifferenti di una madre che aveva smesso di occuparsene. Altro che idillio a uso educativo. E, per riprendere l’interrogativo del quotidiano bernese, c’è proprio da riflettere sulla commozione, intorno alla fine dei due orsetti: che si potrebbe definire di tipo parziale, cioè rivolta a una specie che gode il privilegio di una simpatia generale, addirittura universale, e in continua crescita. Ci si ritrova, una volta ancora, a interrogarsi sulle motivazioni del successo di questo plantigrado e della sua trasfigurazione a simbolo di bontà ed eroismo. Dopo l’11 settembre, era comparso persino l’orso vestito da pompiere. Come si spiega? Certo, ha la sua parte il fascino di una creatura che viene da lontano, e parla di grandi spazi selvaggi. Ma piace soprattutto quel contrasto fra una forza poderosa e una goffaggine che pare


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Ambiente e Benessere Larici, pini e geobotanica Uno studio sulla diffusione della vegetazione in tutte le regioni pagina 11

Reportage dalla Groenlandia La nuova avventura raccontata nel diario di Daisy parla delle foche e del rapporto tra loro e l’uomo

I primi girovaghi Alla scoperta di villaggi e città, fiere e mercati, poveri e ricchi, popolani, borghesi e nobili

SlowUp da record In 25mila a passeggiare, tutti insieme, sotto un caldo sole primaverile

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Dai larici ai pini silvestri Geobotanica I cambiamenti climatici in atto trasformeranno la fisionomia dei boschi alpini? Alessandro Focarile

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Il dr. Gian Antonio Romano durante una consultazione medico-dietista-paziente. (Vincenzo Cammarata)

Sovrappeso & obesità

Tutto ha avuto inizio con l’invenzione di uno strumento di misurazione: il termometro. Correva l’anno 1608, e nasceva Evangelista Torricelli, allievo del sommo Galileo Galilei (1564-1642). Alla morte del grande scienziato pisano, il Granduca di Toscana Ferdinando II° de’Medici (1610-1670), fervente ammiratore della scienza, estimatore del pensiero illuminato, creatore della prima rete meteorologica – istituendo le stazioni di rilevamento dei dati termometrici a Firenze, Vallombrosa, Parma, Milano, Innsbruck in Austria e a Varsavia in Polonia – nominava Torricelli suo matematico e filosofo. Questi, svolse un’intensa attività scientifica fino alla sua morte precoce, a 39 anni. Tra le scoperte di Torricelli, è da ricordare l’invenzione del termometro a mercurio, strumento che permetteva l’esatta misurazione della temperatura di un corpo e dell’ambiente circostante intorno allo strumento. Era l’avvento della meteorologia e, successivamente, della climatologia: lo studio delle variazioni – delle differenti componenti del «tempo» – durante lunghi periodi. Nel fervore entusiastico di ricerche durante questo periodo illuministico, in campo naturalistico emergeva la figura del barone tedesco von Humboldt (1769-1859), fondatore (tra l’altro) della moderna geofisica, nell’ambito della quale proponeva l’istituzione delle «isoterme» (linee che uniscono su una carta geografica, tutti i luoghi aventi una uguale temperatura media in un definito intervallo di tempo: anno, mese, giorno). Il barone von Humboldt, studioso molto versatile nel suo campo di ricerca, è stato anche il fondatore della geobotanica: lo studio della diffusio-

no pratico, in quanto consentivano di poter localizzare le aree più adatte alle differenti colture agrarie e alla presenza dei vari tipi di boschi a dipendenza dei differenti modelli climatici. Prendeva forma la conoscenza e la percezione (documentate con probanti dati numerici), che il clima era il fattore determinante in tutte le manifestazioni della Natura, e in tutte le attività umane. In passato, le vicende climatiche interessavano solo i contadini, i boscaioli, i naviganti e i pescatori. Tutte categorie sociali, la cui vita e attività dipendevano dal «tempo» ed erano scandite secondo i suoi ineluttabili capricci. Il tempo era una faccenda localizzata sopra le loro teste e racchiusa nella sua più o meno regolare ciclicità stagionale.

Gli alberi sono ottimi ed efficienti registratori delle varie componenti del clima: come luce, temperatura, piovosità, vento e presenza della neve al suolo Da ormai diversi decenni, il pianeta è progressivamente e tendenzialmente più caldo. Viviamo il concretizzarsi, sempre più frequente, di eventi climatici estremi, che non hanno più il carattere di eccezionalità, come in un passato non troppo lontano. 25 gradi sotto zero a Montreal (Canada) e oltre 49 gradi in Australia. Di che stupirsi? Temperature miti a Mosca e in Siberia: in quelle contrade il 2013 si è chiuso con 12 gradi oltre la media termometrica di parecchi decenni. Per ritrovare episodi con questa rilevanza occorre risalire a episodi climatici isolati ed eccezionali,

Benessere Recuperare il piacere del movimento e orientarsi verso una sana alimentazione sono i primi passi

per evitare i chili in più che mettono in pericolo la salute Maria Grazia Buletti Nel 2012, in Svizzera, il 41 per cento della popolazione risultava essere sovrappeso oppure obesa nella misura del 51 per cento degli uomini e del 32 per cento delle donne. Considerando unicamente l’obesità, la differenza tra sesso maschile e femminile è nettamente meno pronunciata (11 per cento contro 9 per cento). Questi i dati dell’Ufficio federale di statistica di Neuchâtel, secondo cui a livello nazionale il numero di persone con tali problemi si era pressoché stabilizzato fra il 2002 e il 2007, tornando però ad aumentare dopo quest’ultima data. La popolazione delle persone obese è così quasi raddoppiata nell’arco di 20 anni, passando dal 6 all’11 per cento fra gli uomini, e dal 5 al 9 per cento fra le donne. Infine, il dato più allarmante è che sono particolarmente toccati da questa evoluzione i giovani fra i 15 e i 24 anni. Questi recenti dati statistici comportano inevitabilmente qualche riflessione e ci obbligano a tornare sull’argomento e su tutte le difficoltà e i problemi di salute che si ripercuotono inevitabilmente sulle persone che, per un motivo o per l’altro, si trovano a fare i conti con l’eccesso ponderale. «Di fatto, una persona sovrappeso

oppure obesa va incontro alla grande eventualità di contrarre altre affezioni: basti pensare, ad esempio, che esistono potenzialmente ben 30 malattie che possono manifestarsi soltanto a causa di un’insufficiente attività fisica e di una cattiva alimentazione. I tumori dell’intestino sono strettamente legati al maggiore o minore movimento che, di norma, la persona sovrappeso od obesa non pratica abbastanza» questa la premessa del dottor Gian Antonio Romano, del Centro di Medicina e chirurgia dello sport all’Ospedale regionale di Locarno e medico responsabile del Servizio sovrappeso e obesità (Sso, medicina.sportiva@eoc.ch, tel. 091 811 48 48), sempre nello stesso nosocomio. Prima di approfondire l’interessante percorso che questo servizio offre alle persone afflitte dai chili in eccesso determinate a riacquistare la propria salute e il proprio peso forma, sondiamo la situazione ticinese e veniamo orientati sulla campagna cantonale di prevenzione che si rivolge ai giovani e alle loro famiglie: «Oggi, il Cantone porta nelle scuole il progetto “Movimento e gusto con l’equilibrio giusto”, che si rivolge agli allievi, agli insegnanti e ai genitori durante tre distinti momenti strutturati secondo la scelta di un tema approfondito dalla scuola» spiega Romano che indica la scuola

dell’infanzia come terreno ideale dove cominciare ad agire. La dietista Camilla Montorfani, che collabora nello Sso insieme ad altre due colleghe, osserva che la prevenzione dovrebbe iniziare già durante la gravidanza, affermando che se in questo caso l’alimentazione è sana e diversificata, il nascituro sarà facilitato nell’alimentarsi in modo altrettanto sano e variato. Ma quando la situazione non è ideale e ci si ritrova con troppi chili in eccesso, la salute risulta seriamente minata e allora bisogna riuscire a intervenire su differenti livelli, per aiutare la persona a recuperare migliori abitudini di vita e alimentazione insieme a un peso più consono. «Il Servizio sovrappeso e obesità nasce nel 2012 e si rivolge alle persone con problemi ponderali, per aiutarle a diventare più consapevoli delle cause che le hanno portate all’aumento di peso così da poterle affrontare. Le accompagniamo nel recupero di un sano stile di vita attraverso un intervento multidisciplinare che comprende una presa a carico individualizzata della persona da parte del medico, della dietista, della psicologa e di una monitrice di walking», spiega il dottor Romano che racconta come nell’attuale fase di valutazione del lavoro svolto dallo Sso fino ad oggi, parecchi pazienti hanno

raggiunto risultati apprezzabili: «Questo sia dal punto di vista di un’alimentazione più adeguata, come pure del cambiamento dello stile di vita che oggi comprende l’attività fisica che prima non facevano». Le ricadute positive sulla salute sono evidenti: «Migliorano colesterolo, pressione arteriosa, benessere psicologico…». A questo proposito, gli fa eco la psicologa e psicoterapeuta Savina Stoppa Beretta che si occupa della presa a carico psicologica di questi pazienti: «Il benessere psicologico è difficile da quantificare, sebbene strada facendo scopriamo che la persona acquisisce maggiore autostima, è più sicura di sé e man mano che tutto migliora, diminuisce il suo bisogno di mangiare». Il supporto psicologico è tanto importante quanto quello del medico e della dietista, perché oggi si mangia tanto, troppo, come afferma la psicologa: «Il cibo ha un significato individuale soggettivo e il rapporto con esso si costruisce attraverso la propria storia e il vissuto personale: oggi il cibo si conosce da subito, si può avere facilmente, possiamo mangiare da soli, davanti alla Tv, ogni momento, e sotto certi aspetti tutto ciò lo può portare ad essere malauguratamente vissuto come una gratificazione e una compensazione facilmente raggiungibile. Allora com-

prendiamo come sia estremamente facile, per alcuni, mangiare sfogando la rabbia e annegare le frustrazioni assumendo cibo come unico mezzo di gratificazione della giornata». Per ristabilire la normalità è dunque difficile lavorare da soli, magari attraverso diete sballate, anche perché non si dovrebbe parlare di dieta in senso stretto, come spiega la dietista: «Perdere peso in fretta è allettante, ma non è la soluzione migliore perché così si perde anche massa muscolare e questo espone al rischio di recuperare tutto e anche più del peso perso». Il dottor Romano riassume concetto e obiettivi: «Perdere peso è facile, mantenerlo nel tempo è più complicato se la perdita ponderale non è accompagnata, oltre che da un percorso di consapevolezza dei significati individuali dell’assunzione del cibo, da un programma di cambiamento delle abitudini di sedentarietà, da un’alimentazione sana ed equilibrata, assunta anch’essa come nuovo stile di vita». Egli ribadisce la forza della presa a carico multidisciplinare operata dallo Sso e ricorda di mai sottovalutare il movimento: «Il migliore inizio per godere di buona salute ed evitare i chili in eccesso sta in fondo nel trovare il piacere dell’attività fisica anche per una manciata di tempo quotidiano».

Pini silvestri a Osco Leventina, con Mirtillo rosso . (Alessandro Focarile)

ne della vegetazione in tutte le regioni della Terra. A tale scopo, organizzava una rete di stazioni meteo in numerose località dislocate in tutti i continenti. Un impegnativo lavoro – considerate sia le condizioni dell’epoca, sia le difficoltà e la lentezza nella comunicazione dei dati – che gli consentiva di ottenere risultati del massimo valore scientifico e pratico. Per la prima volta, egli compilava dei quadri distributivi (carte di ripartizione geografica) che mettevano chiaramente in luce il fatto della concordanza tra isoterme e diffusione della vegetazione. Queste constatazioni dovevano risultare di evidente importanza sul pia-

Mirtillo rosso (Vaccinium vitis-idaea). (Alessandro Focarile)

Lariceto in Val Bedretto, con Mirtillo nero. (Alessandro Focarile)

di molti decenni or sono, quando cioè hanno avuto inizio regolari misurazioni strumentali. Esistono buone ragioni per parlare del «tempo» e chiedersi se possa rientrare nella norma (norma secondo quali criteri e secondo quali valutazioni?) il fatto che ai primi di questo 2014, nel cuore dell’inverno, siano stati registrati 40 gradi di differenza tra Bruxelles (Belgio) e New York. Il complesso e multiforme mondo alpino, nel quale è inserita la nostra vita, sta conoscendo profondi mutamenti ambientali a seguito dei cambiamenti climatici. Questi si riflettono sul ritiro dei ghiacciai, sul minore invaso dei bacini idro-elettrici, sui dissesti idro-geologici (frane, scomparsa del permafrost, la quale rompe in tal modo gli equilibri che reggono i versanti delle montagne), sull’aumentata frequentazione della montagna (con conseguente aumento degli incidenti e perdite di vite umane a seguito del maggior rischio di valanghe), sullo sconsiderato e irreversibile sfruttamento del territorio, del suolo e dell’acqua, sull’esaurimento di molte superfici un tempo pascolive. Sulla montagna alpina la frangia più elevata dei boschi è formata dalle conifere: pini (silvestri e cembri), larici e abeti rossi. Ciascuna specie arborea rispecchia l’esistenza di ben definite caratteristiche climatiche a livello locale, di suolo, di storia e di modalità di insediamento. L’aumento della temperatura (specialmente d’inverno) favorisce un prolungamento della stagione vegetativa e l’innalzamento in quota del limite superiore del bosco. Quest’ultimo fenomeno è da attribuire, talvolta, anche all’abbandono di molte aree pascolive, tali a seguito della distruzione del bosco pre-esistente diverse migliaia di anni or sono. Gli alberi sono ottimi ed efficienti registratori delle varie componenti del clima: temperatura, piovosità, luce, vento e presenza della neve (quando e quanta) al suolo. Attraverso la variabilità di queste componenti nel corso del tempo, sono condizionate la presenza e la vitalità degli alberi. La tendenza climatica nelle Alpi, durante gli ultimi decenni, mostra chiaramente l’affermarsi dei seguenti fenomeni: 1. un aumento della temperatura durante l’inverno; 2. una dimi-

nuzione delle precipitazioni e un mutamento del loro regime (= differente distribuzione durante le stagioni); 3. un irregolare andamento delle precipitazioni nevose a seguito dell’affermarsi di una maggiore «oceanicità» sull’Europa occidentale (= meno freddo, più neve); 4. un anticipo dell’epoca di scioglimento della neve al suolo; 5. l’instaurarsi di una caotica circolazione delle correnti aeree, che genera i presupposti per la formazione di eventi estremi, che tendono a concentrarsi sia nel tempo, sia in determinate aree geografiche. Non occorre richiamarsi alla fallace «memoria umana» per riflettere su certe constatazioni: per esempio sul fatto che stanno scomparendo le stagioni di mezzo, poiché si passa da un periodo freddo a quello caldo praticamente senza soluzione di continuità. L’insieme di questi complessi fenomeni fisici interconnessi e inter-agenti condiziona la fisionomia dei boschi e dei loro ecosistemi. Nelle Alpi sono conosciute alcune aree interne per il loro clima molto secco, a causa delle modeste precipitazioni e dell’elevato soleggiamento in virtù della loro esposizione privilegiata. Esse sono: la Val Venosta (Vinschgau, in Alto Adige-Sud Tirolo), l’alta Valtellina (Conca di Bormio), il medio Vallese (tra Briga e Martigny), la Valle d’Aosta (tra Châtillon e La-Salle) e infine la Maurienne in Savoia (in Francia, tra Lanslebourg e St. Jean). Sono le ben note «vallate a pino silvestre», in quanto sono dominate da questa conifera, emblematica degli azzurri cieli alpini che richiamano il Mediterraneo (foto) e con molto sole. In queste regioni non cadono più di 400-600 millimetri di pioggia (e neve) all’anno, e la temperatura media annua oscilla tra 11°C e 14°C, conferendo all’ambiente un aspetto decisamente steppico e arido. Durante l’ultimo cinquantennio, con alti e bassi, questi valori si sono vieppiù accentuati: sempre meno acqua e sempre più calore. A un punto tale da divenire motivo di preoccupazione per le autorità locali. La minore quantità d’acqua disponibile impoverisce le falde freatiche, la maggiore temperatura accentua l’evaporazione della già scarsa piovosità, con conseguenti gravi danni per l’agricoltura di fondovalle e per la coltura dei fruttiferi

(le mele in Val Venosta-Vinschgau, le albicocche nel Vallese, e la vigna in valle d’Aosta). Se vogliamo immaginare come si presenterà il paesaggio boschivo nei prossimi decenni in Val Blenio e nella medio-alta Leventina a seguito dei cambiamenti climatici, è sufficiente recarsi in una delle «Valli a pino silvestre» per rendersi concretamente conto delle peculiarità ambientali che si andranno configurando anche da noi in tempi relativamente brevi. E dei conseguenti problemi di gestione del territorio che dovranno essere affrontati, soprattutto l’incipiente penuria di acqua. Lo stesso problema che dovettero gestire le popolazioni delle Alpi centro-occidentali mille anni or sono, con la costruzione e gravosa manutenzione di arditi canali di irrigazione, spesso lunghi decine di chilometri: le bisses nel Vallese, i rüs in Valle d’Aosta. Opere idrauliche in molti casi tuttora efficienti, concepite per addurre l’acqua dalle testate delle valli ai siccitosi versanti esposti a meridione, e votati alla coltura dei cereali per la sussistenza degli uomini e degli animali. L’impoverimento dei suoli forestali, a causa di un insufficiente apporto di nutrienti organici, impoverimento derivato da una diminuita attività biologica per cali di umidità nel suolo. Da ricordare, inoltre, l’instaurarsi di una diversa copertura vegetale dei pascoli, con diminuzione e scomparsa delle erbe di maggiore pregio nutritivo per il bestiame, favorendo una perdita di redditività economica. Già in epoca attuale, in molte zone alpine il bosco tende a mutare la sua fisionomia e composizione: già si nota l’affermarsi della roverella (Quercus pubescens) e del pino silvestre con erbe e cespugli denotanti un clima asciutto; il larice e il pino cembro salgono sempre più in alto, e l’abete rosso (Picea abies) mostra chiari segni di sofferenza e di diminuita vitalità. Bibliografia

John R. McNeill, Qualcosa di nuovo sotto il sole. Storia dell’ambiente nel XX° secolo, Biblioteca Einaudi (Torino), 2002, 487 pp. Philippe Roqueplo, Climats sous sourveillance, Economica (Paris), 1993, 401 pp.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Ambiente e Benessere

Ambiente e Benessere

Un batuffolo di pelo bianco

Non tutti sanno che la caccia ai neonati, chiamati whitecoat, uccisi unicamente per la loro pelliccia, è stata proibita nel lontano 1987.

Il diario di Daisy Groenlandia: quando si parla di foche, non si può evitare di accennare alla loro caccia

marono che la mia spedizione era stata annullata a causa delle cattive condizioni del ghiaccio. Le foche della Groenlandia partoriscono sulla banchisa ghiacciata attorno all’arcipelago e per poterle osservare e fotografare è necessario che il ghiaccio sia sufficientemente solido per sopportare il peso di un elicottero che atterra… cosa per niente data per scontata.

«La prima volta che riuscii ad atterrare a Cap-aux-Mueles erano trascorsi ben dodici anni dal mio primo tentativo»

Daisy Gilardini, testo e foto Il mio amore per le regioni e polari è di lunga data. Avevo solo quattro anni quando ricevetti in regalo una piccola foca in peluche. Nell’età in cui si fanno tante domande, mia madre ebbe il suo bel da fare per rispondere a tutto. Stavo ad ascoltarla per ore, mentre mi raccontava le affascinanti storie di queste incredibili creature che abitano gli estremi del mondo e che vivono sopra e sotto il ghiaccio polare.

Stregata dai suoi racconti, partivo con la mente in viaggi lontani, sognando un giorno di poterle vedere nel loro ambiente naturale. Mi ci vollero ben sette anni per racimolare la somma necessaria per imbarcarmi su un rompighiaccio con destinazione l’Antartide, ma finalmente nel 1996 il mio sogno si avverò cambiando la mia vita. Oggi, diciotto anni dopo la mia prima avventura e dopo venticinque spedizioni in Antartide e ventiquattro

in Artico, sono sempre alla continua ricerca delle migliori opportunità fotografiche per immortalare queste creature che abitano uno dei più delicati e fragili ecosistemi del nostro pianeta. Il mio primo tentativo di visitare l’arcipelago della Maddalena in Canada, dove le foche della Groenlandia danno alla luce i loro adorabili cucciolotti bianchi, risale al febbraio dell’anno 2000. Fu solo un tentativo in quanto appena atterrai all’aeroporto di Montreal, all’ufficio trasferimenti mi infor-

Dopo numerose pianificazioni, tante stagioni cancellate e voli annullati, finalmente, un magnifico pomeriggio del mese di marzo del 2012, atterrai a Cap-aux-Mueles: erano trascorsi ben dodici anni dal mio primo tentativo. Ricordo quel viaggio come fosse oggi: un rumore assordante invade per qualche secondo la ricezione dell’albergo; l’elicottero che rientra dall’escursione giornaliera sul ghiaccio sta atterrando sul retro. Un gruppo vociante di persone si avvicina. Sembra proprio che abbiano avuto una magnifica avventura. Solo più tardi, durante la cena,

scopro che, a causa della splendida giornata di sole, le condizioni del ghiaccio si era deteriorate a tal punto da far cadere in mare un fotografo con le sue due macchine fotografiche al collo. Di certo, non una notizia confortante… Non ho mai nemmeno preso in considerazione la possibilità di sprofondare nel ghiaccio e finire in mare con il mio costoso equipaggiamento. Esco a scrutare le condizioni del tempo e rientro preoccupata. Nel tardo pomeriggio la pioggia ha iniziato a inumidire l’aria, e ora cade battente. La domanda è una sola: chissà se gli elicotteri potranno volare in mattinata? Prima di coricarmi chiedo ragguagli in ricezione. Il meteo prevede un calo significante delle temperature e questo mi rassicura un pochino. Dopo una notte insonne, qualche minuto dopo l’alba siamo in volo e circa dieci minuti più tardi sono, distesa sul ghiaccio, attorniata da decine di batuffoletti bianchi: le creature più adorabili che abbia mai fotografato in vita mia. Le temperature rigide della notte hanno ghiacciato le gigantesche pozzanghere formatesi con la pioggia sulla banchisa, creando stupendi riflessi. Con l’aiuto di robusti ramponi e un appuntito bastone da sci per testare la stabilità del ghiaccio sopravvivo per tutta la durata del mio soggiorno senza sperimentare l’ebbrezza di una caduta in mare. Dai bei ricordi alle scomode verità. Quando si parla di questi teneri anima-

li non si può fare a meno di citare anche alcuni fatti sulla caccia alla foca della Groenlandia, sebbene resti un tema internazionale controverso ed estremamente complicato. Non sono in molti a sapere che la caccia ai neonati chiamati whitecoat, uccisi unicamente per la loro pelliccia, è stata proibita nel lontano 1987. Al giorno d’oggi, la caccia è permessa solo per i greycoat, esemplari che stanno cambiando la muta, e per gli adulti. Esistono due tipi di caccia, quella di sussistenza e quella commerciale. In entrambi i casi i prodotti non si limitano alla pelliccia, ma si estendono alla carne e altri derivati come olio e supplementi alimentari ricchi in Omega 3. La problematica va ben oltre la diatriba «giusto o sbagliato», «bianco o nero». Si tratta, infatti, di rispondere a una serie di questioni fondamentali che concernono la cultura umana, la sopravvivenza, la politica e il diritto degli animali.

Le informazioni disponibili da entrambe le parti, pro e contro la caccia, sono estremamente discutibili, dibattute, polemiche e dubbiose. Personalmente sono rimasta inorridita alla vista della barbarica uccisione di queste innocenti creature avvenuta di fronte ai miei occhi. Dopo una lunga riflessione mi sono però ben presto resa conto che il problema è molto più ampio dell’uccisione delle foche: si tratta della relazione umana tra cibo e sfruttamento animale. Al di là della simpatia che si può nutrire per le foche, è ovvio che il discorso tocca anche molti altri animali tra cui galline, vitelli e mucche; da cui non si ricava solo cibo, ma anche indumenti, scarpe e borse. Lo stesso vale per lo sfruttamento dei mari. La verità è che la caccia alle foche non è che una tra le molteplici – e per taluni scomode – realtà della nostra relazione con gli altri esseri che abitano il pianeta terra.

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Ambiente e Benessere

Per la via dei mercanti

Viaggiatori d’Occidente La storia dei venditori ambulanti di stampe è tramandata

dal Museo «Per via» di Pieve Tesino Claudio Visentin La Conca del Tesino è una piccola valle trentina a nord della Valsugana, con una curiosa tradizione di girovaghi. Per secoli gli abitanti condussero una vita povera e stentata, alternando nella bella stagione poca agricoltura e molto allevamento. Ma col sopraggiungere dell’inverno ogni mezzo di sussistenza veniva a mancare e il pane bisognava cercarlo per le strade del mondo. Ricalcando le vie della transumanza cominciarono così a percorrere le pianure venete e padane, fino al Piemonte e all’Emilia. Spesso si partiva fanciulli, al seguito di un adulto, e si continuava poi per tutta l’esistenza. Questa pratica del viaggio ha modellato la società locale. Da un lato le donne dovettero imparare a cavarsela da sole nei lunghi periodi di lontananza dei loro mariti. Questi ultimi per parte loro impararono a conoscere gli uomini e il mondo, diventando sempre più abili nei commerci e sempre più coraggiosi. Decennio dopo decennio il loro orizzonte si estendeva: dapprima si spinsero in Francia, Olanda, Germania, Polonia, Ungheria, fino alla lontana Moscovia, e poi ancora l’America, l’Asia con anche qualche puntata in Africa, troppo lontano ormai per riuscire a tornare nella bella stagione. Muovendosi soprattutto a piedi, con l’immancabile casséla di legno in spalla, raggiungevano villaggi e città, partecipavano a fiere e mercati, entravano nelle case di gente di ogni condi-

zione, poveri e ricchi, popolani, borghesi e nobili. Centinaia di chilometri percorsi da soli o con una piccola compagnia, notti nei fienili o all’addiaccio, cibo freddo, e sempre col rischio che qualche troppo zelante funzionario sequestrasse loro la merce.

Mentre gli uomini scoprivano il mondo, le mogli dovettero imparare a cavarsela da sole La merce, appunto: già verso la fine del Seicento, i tesini si specializzano nella vendita ambulante di un prodotto particolare, stampe e incisioni. A tutti offrivano, per pochi soldi, l’immagine della Madonna o di un santo protettore, ma anche vedute per sognare Paesi lontani, quasi una finestra aperta sul mondo, ritratti di regnanti e di altri personaggi famosi, rappresentazioni mitologiche. Una merce apparentemente inutile, in realtà un cibo indispensabile per la mente e il cuore, un barlume d’arte e bellezza che risplendeva anche nelle case più umili. Per lungo tempo tutte queste stampe furono prodotte da un intraprendente imprenditore, Giuseppe Remondini di Bassano, che aveva iniziato la sua attività intorno al 1650 e che nel giro di un secolo creò la più importante azienda europea nel suo genere. Fasci

Cortile d’ingresso del Museo «Per via».

di stampe venivano affidati a credito ai commessi viaggiatori, che solo al ritorno avrebbero pagato la merce con i proventi della vendita. Nella seconda metà del ‘700 i più audaci e abili tra questi nomadi fanno un salto di qualità e aprono negozi propri in diverse città d’Europa: ne conosciamo una sessantina, di cui dieci in Russia. Le stampe sono ora più curate e ricercate, di migliore qualità, ben oltre gli ingenui santi da fiera. E ogni bottega diventa a sua volta un nuovo polo d’irradiazione dal quale partono altri ambulanti… Col tempo si forma una piccola aristocrazia tesina del commer-

cio di stampe, che anche quando vive stabilmente lontana continua però a mandare i guadagni nella piccola valle d’origine, che si sviluppa grazie a queste risorse. L’attività cominciò a declinare nella seconda metà dell’Ottocento. La ditta Remondini chiude nel 1860, e alcuni tesini cercano di specializzarsi nella pratica che più li minaccia, la fotografia, dando origine a generazioni di fotografi in tutta Europa. Chi resta fedele al commercio delle immagini si apre invece alle nuove proposte del mercato, come le cromolitografie, lucide, multicolori, affascinanti, che sono ora

prodotte per lo più nella Germania meridionale e nell’Impero austriaco, i poli d’irradiazione di questo commercio. È con questa nuova mercanzia che i tesini continuano a calcare le strade, sempre a piedi, incuranti dei primi treni che solcheranno l’Europa con una rete sempre più fitta. La Grande Guerra, della quale ricorre quest’anno il centenario, può essere considerata lo spartiacque simbolico che seppellì per sempre il mondo di questi avventurosi commessi viaggiatori dell’immagine. Certo, ancora nel periodo tra le due guerre l’antico commercio sopravvive in qualche modo su scala ridotta, e la casséla si riempie con chincaglieria, merceria, pipe e saponi. Ma gli spazi di un tempo si sono ristretti… Comincia però il tempo della memoria, di un’epopea da salvare dall’oblio e tramandare. A questo scopo provvede ora «Per via», il Museo delle stampe e dell’ambulantato da poco aperto a Pieve Tesino (www.museopervia.it), in quella che un tempo era la casa di una famiglia di venditori di stampe che, partiti ambulanti, avevano fatto fortuna e aperto un proprio negozio a Coblenza. Gli altri abitanti della regione hanno donato oggetti e immagini conservati nelle soffitte, che sono stati esposti in un evocativo allestimento, il quale fa ricorso anche a strumenti multimediali. È l’occasione perfetta per un piccolo viaggio sulle orme di questi umili, misconosciuti, grandissimi viaggiatori. Annuncio pubblicitario

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Ambiente e Benessere Cucina di Stagione La ricetta della settimana

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Tre tassisti, tre città e i loro consigli su dove andare a mangiare

Buffet di Pasqua Un pasto festivo all’insegna della primavera

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Washoku per tutti La cucina tradizionale giapponese, per nulla complicata, è diventata patrimonio dell’Unesco

1. Fate fondere il burro e lasciatelo raffreddare. In una scodella ampia, mescolate bene la farina e il sale e disponete il tutto a fontana. Aggiungete lo zucchero. Sciogliete il lievito nel latte tiepido, mescolando. Versate il lievito sciolto al centro della fontana. Sbattete l’uovo e aggiungetelo, assieme al burro fuso. Mescolate poco a poco la farina con il liquido. Se necessario, aggiungete ancora un po’ di latte. Impastate per circa 5 minuti, fino a ottenere un impasto liscio ed elastico. Modellatelo a palla. Copritelo con un canovaccio umido e lasciatelo lievitare per circa 2 ore in un luogo caldo.

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3. Sbattete il tuorlo e il latte e spennellatevi i coniglietti. Cospargete di granella di zucchero. Cuocete al centro del forno per 30-40 minuti. Preparazione: 45 minuti, lievitazione circa 2 ore e 30 minuti, cottura 30-40

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Ambiente e Benessere

Il sole sulla slowUp Ticino 2014 Mobilità lenta Oltre 25mila persone hanno affrontato il percorso di 50 km tra Locarno e Bellinzona

chiuso per l’occasione al traffico motorizzato Renato Facchetti Il Consigliere di stato Claudio Zali e il sindaco di Locarno Carla Speziali, alle 10 di domenica 6 aprile, hanno simbolicamente aperto il percorso della quarta edizione di slowUp Ticino con il classico taglio del nastro. Che questo evento fosse molto atteso lo si era percepito nei giorni precedenti, soprattutto dal momento in cui si erano delineate delle previsioni meteorologiche favorevoli. La partecipazione è andata però oltre le più rosee aspettative. I rilevamenti effettuati lungo il percorso, secondo le direttive di slowUp a livello nazionale, hanno constatato la partecipazione complessiva di ben 25mila persone. Un successo di presenze che ha ripagato gli sforzi profusi dagli oltre 300 addetti ai lavori, a cominciare dal presidente del comitato d’organizzazione Roberto Schneider. Sin dall’inizio della giornata moltissime persone sono confluite sul percorso e con il passare delle ore in alcuni tratti migliaia di giovani e anziani, uomini e donne, tantissime famiglie e gruppi di amici hanno contribuito a creare un simpatico serpentone umano; chi in bicicletta o con i pattini, chi a piedi. Degni di nota i moltissimi passeggini dalle forme futuristiche e particolarmente ergonomiche. Verso mezzogiorno, complice il comprensibile appetito stimolato dal profumo delle grigliate, i villaggi e i punti di sosta lungo il percorso sono stati presi d’assalto, con le conseguenti colonne di persone in attesa. Tutte le associazioni sportive e ricreative partner dell’evento si sono prodigate per soddisfare la grande richiesta. Abbiamo constatato come, soprattutto nei villaggi situati nei centri urbani, il carattere da genuina festa campestre della manifestazione abbia attirato moltissime persone richiamate proprio dai piacevoli aspetti eno-gastronomici e conviviali. slowUp riesce quindi a coniugare davvero il momento di festa popolare con la sensibilizzazione attiva al movimento fisico. Dal Centro Migros di S. Antonino abbiamo potuto vivere da vicino l’allegria e lo spirito slow dei partecipanti. Anche nei momenti di maggior affluenza, che hanno causato qualche

comprensibile rallentamento, il buonumore non è mai mancato. Queste situazioni, anzi, hanno favorito in molti casi simpatici momenti di contatto fra i partecipanti e suggerito pause non programmate. L’ambiente al villaggio Famigros è stato, lungo il corso di tutta la manifestazione, una bella «fotografia» di come le molte famiglie abbiano saputo sfruttare questa occasione di vicinanza e divertimento tra genitori e figli. Nel tardo pomeriggio, i primi segni di abbronzatura che molti hanno riportato a casa sono stati un ulteriore ricordo della bella giornata. SlowUp Ticino (che in molti auspicherebbero potesse svolgersi più volte all’anno) è stato organizzato grazie alle molte associazioni sportive e ricreative attive sul territorio nonché partner dell’evento, e grazie al supporto dei promotori nazionali: Svizzera Mobile, Promozione Salute Svizzera e Svizzera Turismo. Sponsor principali nazionali sono stati Migros, SportXX Migros, CSS Assicurazione, Rivella, SuvaLiv e TCS. Ricordiamo inoltre che i principali sostenitori a livello regionale del

progetto sono il Cantone Ticino e i 12 Comuni attraversati dal percorso, oltre gli enti locali Ente Turistico Lago Maggiore, ET Tenero e Valle Verzasca e Bellinzona Turismo. Importante pure il sostegno dello sponsor regionale AET e dei partner media «Illustrazione Ticinese», Rete Tre e Ticinonline. L’appuntamento è dunque sin d’ora fissato per domenica 10 maggio 2015, con la quinta edizione di slowUp Ticino. Per chi non volesse attendere così a lungo, nel riquadro qui sotto riportiamo il programma delle prossime tappe di slowUp a livello nazionale per il 2014. Informazioni

www.slowup.ch

slow Up, 6 aprile 2014, LocarnoBellinzona

Programma 27.04.2014 Lago di Morat 04.05.2014 Liechtenstein 18.05.2014 Sciaffusa – Hegau 25.05.2014 Soletta – Büchibärg 01.06.2014 Vallese 15.06.2014 Alto Reno 22.06.2014 Svitto 19.06.2014 Jura 06.07.2014 Vallée de Joux 13.07.2014 la Gruyère 03.08.2014 Ginevra 10.08.2014 Brugg 24.08.2014 Seetal 31.08.2014 Lago di Costanza (Svizzera) 07.09.2014 Albula 14.09.2014 Emmental 21.09.2014 Basilea 28.09.2014 Lago di Zurigo

Nelle immagini di Mario Curti vari momenti della vivace manifestazione.


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Ambiente e Benessere

La grande finale Gran Prix Migros Conclusa ad Arosa

l’edizione 2014 del campionato per giovani promesse dello sci

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Sulle nevi della rinomata località grigionese di Arosa, dal 4 al 6 aprile, è andata in scena l’attesa finale del Grand Prix Migros iniziato lo scorso 5 gennaio. Nella splendida cornice di questa stazione sciistica situata a 1775 m.s.m. – la quale da quest’anno è collegata a Lenzerheide da una nuovissima telecabina – i 750 finalisti fra gli 8 e i 16 anni, provenienti da ogni parte della Svizzera che si sono qualificati nelle 13 precedenti tappe, si sono ritrovati per sfidarsi sulla pista della Carmenna. Fra questi anche il team di ticinesi che avevano staccato il biglietto per la finale ad Airolo lo scorso 23 febbraio. Ogni concorrente nella rispettiva categoria d’età si è cimentato in due differenti competizioni; un giorno sul tracciato di slalom gigante e l’indomani su quello denominato «kombi-race» ossia una combinazione fra slalom e slalom gigante introdotto da alcuni anni da Swiss-Ski per contribuire a una formazione tecnica delle giovani leve. Le temperature primaverili e la neve molle hanno messo a dura prova i volontari del comitato d’organizzazione locale che hanno lavorato duramente per garantire a tutti i partecipanti la possibilità di gareggiare in condizioni sicure e regolari su un pendio assai impegnativo. Lo sci vallesano ha avuto la meglio, salendo per ben 20 volte sul podio con i propri portacolori. I giovani competitori di casa nostra, si sono confrontati con una concorrenza di alto livello ritagliandosi delle soddisfazioni con alcuni piazzamenti nei primi dieci. Risultati di rilievo se si considera che il Grand Prix Migros rappresenta la più importante competizione di sci alpino giovanile a livello europeo. Questa manifestazione non si riduce a una semplice gara di sci, ma è ben di più; è soprattutto una grande festa nel segno di una tradizione svizzera che vede questa disciplina sportiva ricoprire spesso il ruolo di ambasciatrice del nostro Paese, a sostegno degli importanti interessi economici legati al turismo invernale. Per valorizzare questa festa, agli ambiziosi giovani sciatori si sono uniti alcuni atleti famosi che nella loro infanzia hanno gareggiato tra i paletti del Grand Prix Migros. Venerdì pomeriggio, l’autografo di Fabienne Suter era molto richiesto.

La sera, in occasione della cerimonia di apertura tenuta nel centro del paese, Patrick Küng, vincitore a Wengen, ha fatto la felicità dei giovani sportivi, firmando autografi e portando, in perfetto stile olimpico, la fiaccola che ha inaugurato il weekend della finale. Tra questi due momenti, Luca Hänni, (vincitore di Deutschland sucht den Superstar) ha scatenato la folla delle fan femminili, procurando grandi batticuori e forti emozioni. Durante la due giorni di gare (sabato e domenica) le giovani speranze si sono confrontate sotto l’attento sguardo di Beat Feuz, Carlo Janka, Vitus Lüönd e Andrea Dettling. Questi sciatori che fanno parte dell’élite mondiale, erano lusingati per quanto potuto osservare. Beat Feuz infatti ha dichiarato: «Si vede che i giovani talenti lavorano in modo professionale: del resto ci vogliono grandi capacità per poter puntare in alto. Il Grand Prix è sempre stato il momento saliente della stagione sciistica, e sono fiero di averlo anche vinto». Carlo Janka condivide lo stesso sentimento: «Qualificarsi per la finale era il successo più grande per noi giovani corridori. Purtroppo non sono mai riuscito a conquistare l’oro». La presenza di alcune star del nostro sci ha costituito una motivazione supplementare per i molti partecipanti alla gara: dopo tutto, in quale altra occasione si ha la possibilità di esibirsi davanti ai propri idoli? Con la finale si è degnamente conclusa la 42ma edizione del Grand Prix sotto il patrocinio di Swiss-Ski. Quest’anno vi hanno partecipato complessivamente ben 7550 bambini e ragazzi. L’organizzazione di questo importante evento è stata possibile grazie al sostegno e all’impegno degli sponsor Migros, Carne Svizzera, Thomy, Migros Ferien Vacances, Toko, Leki , Nordica e Blizzard. Tutti hanno collaborato con Swiss-Ski per offrire tanto divertimento e deliziose prelibatezze nel villaggio, importante componente del Grand Prix Migros durante l’intero tour. Appuntamento al prossimo inverno!

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Ambiente e Benessere

Giochi Cruciverba Scopri il nome del musicista nella foto e quello di una sua famosa opera, risolvendo il cruciverba e leggendo nelle caselle evidenziate

ORIZZONTALI 1. Un genere di film 7. Il verbo dell’intraprendente 8. Costellazione dell’emisfero boreale 9. A fin di bene 10. Il perfetto tra i primi 11. Un ufficiale abbreviato 12. Le iniziali dell’imitatrice Aureli 13. Arresto dello scorrimento di liquidi 16. Le donne difficilmente se ne separano 17. Tela finissima di lino 18. Permettono di rilanciare 19. Tutt’altro che originale 20. Gatto inglese 21. Superficie circoscritta 22. Uno con la fede... VERTICALI 1. L’attore... Nudo 2. Fuga di Maometto dalla Mecca a Medina 3. Un anagramma di seri 4. In mezzo 5. L’estraneo meno strano 6. Quantità inesistente 9. Relazione, legame 11. Scettro di Dioniso 13. Piazza detta anche Bella 14. Su questi non si discute 15. Osso del braccio 16. Passa nel coledoco 17. Unità di pressione 18. Fiume svizzero 19. Chiave di baritono 20. Le iniziali dell’attore Amendola

Sudoku Livello facile Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti in numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

Soluzione della settimana precedente Trova il proverbio – Proverbio risultante: Al povero mancano tante cosa all’avaro tutte

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Politica e Economia I cattivi della rete Seconda puntata dedicata alla nuova economia digitale: il caso di Google

La Turchia fra modernità e tradizione Dalla recente disputa interna, il prestigio internazionale del primo ministro turco Erdogan esce vistosamente compromesso. E l’immagine di un Paese bastione di stabilità e equilibrio appare sempre più lontana

Argento e povertà Reportage fra i dannati della miniera di Potosì in Bolivia

Prove generali Chi vincerà le elezioni federali del 2015? Sondaggi ed elezioni cantonali non aiutano a capirlo

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Un ritratto di Viktor Orbán con la didascalia «Attenti al dittatore». Sopra, le stelle di Davide appese ad un cancello del memoriale dell’Olocausto a Budapest. (AFP)

Il ritorno dei nazionalismi razzisti

Allarme in Europa Dopo l’affermazione di Marine Le Pen in Francia e del nazionalismo russo in Ucraina, si conferma

al potere in Ungheria il primo ministro nazionalconservatore Victor Orbán e il trionfo della destra xenofoba Lucio Caracciolo C’era una volta un’Unione Europea che si voleva fondata sui valori della democrazia, della libertà e dell’antifascismo. Correva l’anno Duemila quando l’avvento di Jörg Haider nella maggioranza di governo a Vienna provocò immediate sanzioni all’Austria, colpevole di aver violato, sia pure attraverso libere e democratiche elezioni, quegli alti valori. Nel frattempo dev’essere passata molta acqua sotto i ponti di Bruxelles. Consideriamo solo che nell’ultimo decennio sono stati ospitati nell’Unione Europea paesi che tollerano o addirittura incentivano rievocazioni filonaziste della Seconda guerra mondiale (vedi i Baltici, in particolare Estonia e Lettonia), con tanto di parate di reduci delle locali SS. Poi le istituzioni comunitarie hanno assistito quasi senza batter ciglio – blanda retorica d’occasione a parte – all’affermazione in Ungheria di un governo che rispolvera esplicitamente una retorica pan-magiara, tradottasi sul piano geopolitico nella proposta di una re-

visione di fatto del Trattato del Trianon, uno dei cardini del sistema di Versailles. Tanto gli organismi europei sono rimasti indifferenti all’affermazione di Viktor Orbán in Ungheria, da non farsi impressionare nemmeno dal suo netto successo alle elezioni di domenica scorsa. Il suo partito Fidesz, che tende a identificarsi con il governo e anzi con lo Stato, ha ottenuto quasi la metà dei voti, ciò che gli garantisce una schiacciante maggioranza dei 2/3 in parlamento. Non solo, alla sua destra (molto estrema) la formazione xenofoba Jobbik ha raccolto circa 1/5 dei consensi. Ciò che resta del centro-sinistra ungherese pare definitivamente marginalizzato. È vero che gli osservatori internazionali ed europei hanno criticato il voto magiaro, rimarcando la manipolazione dei media e alcune distorsioni che in un altro contesto avrebbero determinato una condanna dell’intero processo elettorale. Ma evidentemente a Bruxelles e nelle altre capitali europee hanno altri problemi cui pensare.

Forse non è del tutto incidentale il fatto che alla vittoria di Orbán sia corrisposta una grande mobilitazione della minoranza ungherese in Transilvania, ossia nella regione romena dove più acutamente si risentono le conseguenze del Trianon. Per non farci mancare nulla, i patrioti che aspirano alla grande Romania hanno rilanciato l’idea del «ritorno a casa» della Moldova, che per loro è solo una regione afferente a Bucarest. Ma il domino continua. Mentre i romeni rivendicano la Moldova, la Transnistria, staterello gestito dalla mafia russa che si vuole indipendente da Chișinău, coltiva il progetto di seguire le orme della Crimea, rientrando nell’universo russo. Siamo al confine con l’Ucraina, nel frattempo amputata della penisola gloriosa cantata da Tolstoj. Uno degli effetti meno indagati della rivolta ucraina che ha portato alla caduta del presidente Yanukovic è la decisiva partecipazione dell’estrema destra locale ai moti di piazza, sulla scia di un movimento suscitato dall’insofferenza per vent’anni di corruzione e

malgoverno e dalla speranza di poter aderire allo spazio eurocomunitario. I nostalgici del nazionalismo biologico, a suo tempo cooperanti dell’invasore nazista durante la Seconda guerra mondiale, hanno esposto le loro bandiere e i loro slogan russofobi, polonofobi e antisemiti nelle piazze di Kiev e soprattutto dell’Ucraina occidentale. Esponenti di primo piano del partito Svoboda – già social-nazionale, poi pudicamente intitolato alla libertà – occupano posizioni di rilievo nel governo provvisorio emerso dai moti di Majdan. Dove collaborano, fra l’altro, con i camerati del Pravyj Sektor (Settore di Destra), su posizioni ancora più oltranziste. Non si tratta solo di opinioni, ma anche di strutture paramilitari che in una fase di crisi possono risultare particolarmente incisive. Il loro peso elettorale sarà forse limitato, ma restano quindi un fattore rilevante nel braccio di ferro in corso fra le varie fazioni ucraine. Le loro ramificazioni negli apparati di sicurezza ucraini sono, sotto questo aspetto, un monito permanente ai «nuovi» leader politici di Kiev.

Infine, altro fattore poco considerato, la crisi ucraina ha riportato in auge il nazionalismo russo, che nella sua pancia alberga paradossali nostalgie hitleriane. Ne sembra influenzato lo stesso Putin, nel momento in cui fonda su basi etniche – la protezione dei russi ovunque essi siano – la legittimazione dell’operazione Crimea e del sostegno ai «suoi» russi dell’Ucraina orientale e meridionale. Essendo i russi sparsi in tutto lo spazio pansovietico, questo significa rivendicare a Mosca una vasta zona d’influenza, corrispondente grosso modo all’Unione Sovietica. A meno di non voler considerare anche i tre milioni di russi d’America, per riportare a casa l’Alaska o le Hawaii «russe» . Il 25 maggio, quando voteremo per il parlamento europeo (mentre in Ucraina si dovrebbero svolgere le elezioni presidenziali), di tutto questo probabilmente non si parlerà. Ma in prospettiva è difficile immaginare una questione più rilevante per il futuro di tutti gli europei di come affrontare il ritorno dei nazionalismi razzisti sulla scena continentale.


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Politica e Economia

La rivoluzione di Gmail I cattivi delle rete Ricorre il 10.mo anniversario della posta elettronica di Google, definita su «Time magazine»

come il vero inizio dell’era moderna: che nasconde però un risvolto mefistofelico – Seconda puntata

Una mattina del mese di aprile 2014 mi sveglio in un incubo. Non proprio trasformato in uno scarafaggio gigante come il povero Gregor Samsa nella Metamorfosi di Franz Kafka. Ma poco ci manca. Di fatto, nottetempo mi sono trasformato in una bestia immonda, portatore di virus pestilenziali che possono contagiare amici e conoscenti. Un potere orrendo, pauroso, da cui mi sento oppresso. È successo al mio risveglio alle sei del mattino a New York, mentre mi appresto a leggere il mio solito pacco di giornali americani. Tra i primi gesti meccanici quando suona la sveglia, riaccendo il mio iPhone e controllo la posta. Nella casella di arrivo ci sono centinaia di email. Assurde, incomprensibili, molte sono «rimbalzate» da indirizzi non più attivi che rispediscono al mittente. Ci vuole qualche minuto per capire. In realtà quelle email sono una piccola spia di un disastro più grande. Nottetempo, qualcuno è entrato nella mia posta, ne ha saccheggiato l’indirizzario, ha cominciato a spedire email a tutti. Firmate (apparentemente) da me. Quelle email contengono allegati o link tossici, aprendo i quali i poveri destinatari vengono infettati da virus o malware. Un colpaccio, purtroppo tutt’altro che raro. Qualche volta sono stato io a ricevere queste email di adescamento, in apparenza provenienti da qualcuno che conosco. Il danno peggiore che possono fare i virus è carpirti notizie preziose, per esempio il numero della tua carta di credito o i codici di accesso ai tuoi conti bancari online. Non sto esagerando, anzi la mia disavventura personale è microscopica rispetto a operazioni di hacker compiute di recente. Una delle più grandi catene di grandi magazzini americani, Target, si è vista sottrarre milioni di numeri di carte di credito dei suoi clienti. Sapete bene cosa questo vuole dire. Soprattutto in un Paese come l’America dove la nostra vita quotidiana è stata «semplificata» – ahi! – dall’uso della carta di credito come mezzo di pagamento universale, farsela rubare è l’inizio di un calvario. Non solo devi bloccare la tua carta e fare annullare le transazioni fraudolente, ma poi devi cominciare a contattare uno per uno tutti coloro che abitualmente tu paghi con addebiti automatici su quella carta: bollette del telefono, della luce e della cable-tv, abbonamenti ai giornali, assicurazione sulla vita, sull’incendio, RC-auto, perfino la retta scolastica dei tuoi figli o alcune tasse, l’elenco è interminabile. La mia disavventura mi ha spinto a un gesto che avevo rinviato fino a quel momento. Ho chiuso il mio indirizzo di posta Aol. Le ragioni per cui non lo avevo ancora fatto erano di tipo sentimentale. Aol per la maggioranza di voi è un nome privo di senso. Non per uno che cominciò a fare le valigie per trasferirsi in California alla fine degli anni Novanta. Aol, che sta per America On Line, oggi è un dinosauro, il suo posto adeguato è in un museo di archeologia industriale. Così vanno le cose nell’eco-

Keystone

+Federico Rampini

nomia digitale, dove imperi nascono e tramontano alla velocità della luce. Ma alla fine degli anni Novanta Aol era praticamente un sinonimo di Internet. Era uno dei «provider» di accesso alla Rete più importanti degli Stati Uniti, quindi del mondo. Aveva avuto un ruolo dominante nella diffusione della posta elettronica. Molti americani che si erano assuefatti all’uso dell’email quando questo strumento iniziava la sua diffusione, ebbero indirizzi Aol. Così feci io, a un’epoca in cui molti miei amici e colleghi italiani usavano pochissimo la posta elettronica. All’inizio del millennio, quando abitavo nella Silicon Valley, Aol cominciava già ad essere soppiantata da alcuni rivali. I miei amici californiani più giovani si convertivano in massa a Hotmail e Yahoo Mail. Ma la rivoluzione vera arrivò con Gmail.

I suoi fondatori hanno scommesso che ci saremmo assuefatti allo spionaggio privato delle nostre email. E così è stato Ecco, lo confesso, in questo aprile 2014 mi sono arreso anch’io, definitivamente e completamente, alla supremazia di Gmail, la posta elettronica di Google. Per una curiosa o crudele coincidenza, l’incidente di Aol è accaduto pochi giorni dopo un anniversario simbolicamente importante: il decennale del lancio di Gmail. Harry McCracken su «Time magazine» definisce il primo aprile 2004 come «il vero inizio dell’èra moderna della Rete». Io non ci ho messo proprio dieci anni a scoprirlo (un indirizzo Gmail lo avevo già da tempo ma lo usavo poco) e tuttavia ora devo confessare la mia resa finale. Che avrà dei costi, lo so già. La storia di Gmail è importan-

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te perché getta uno squarcio di luce sull’ascesa di Google in generale. Google era già nato nel 1998, affermandosi rapidamente come il più efficiente motore di ricerca. I fondatori Larry Page e Sergei Brin avevano rivoluzionato l’uso della Rete. Rispetto ai motori di ricerca pre-esistenti (come AltaVista), Google aveva due fattori di superiorità. Il primo era la sua «neutralità» proclamata, l’imperativo di servire l’utente. Donde un metodo oggettivo per selezionare i risultati rilevanti ai fini di una ricerca: basarsi sulla «saggezza delle masse». L’algoritmo di Google, quando tu clicchi una parola, dirige la ricerca dentro il cyber-universo dando la priorità ai siti più cliccati da altri. In sostanza si fida del fatto che più un sito è visitato più deve avere contenuti rilevanti. È questa una delle peculiarità dell’algoritmo che fecero la differenza fin da principio con quei concorrenti che ti riempivano lo schermo di risultati palesemente inutili, e costringevano te a fare la fatica di una selezione «intelligente». L’altra originalità era il rifiuto – iniziale – della pubblicità. Condito di una filosofia etica: «Don’t be evil», non essere cattivo, non fare il male. Tuttora la schermata d’apertura di Google è bianca, talvolta decorata, mai venduta come spazio pubblicitario. Era importante per affermare la propria credibilità, dire agli utenti che quello spazio era tutto loro, non era in vendita. Poi Google in realtà ha fatto un salto mortale, è diventato il regno delle inserzioni pubblicitarie. Ha rivoluzionato anche quelle, vendendo un metodo che misura le tariffe per gli inserzionisti in modo esattamente proporzionale ai clienti che «cliccano» sulla loro pubblicità. Mentre chi paga per lo spot di un detersivo alla tv, non può sapere se in quel momento il telespettatore si distrae e fa una telefonata, al contrario chi paga per avere la sua pubblicità su Google sa esattamente quanti vanno a guardarla. Gmail ha seguito un’evoluzione analoga. La storia di questo sistema di posta elettronica ha inizio nel 2001, è

un progetto che viene messo in cantiere a livello sperimentale e impiega tre anni per decollare. Fin dall’inizio ha un’ambizione sfrenata: offrire agli utenti una capacità di memoria stratosferica, di fatto illimitata. Misurabile in gigabyte. Cioè, all’esordio, 500 volte superiore a quel che offriva Hotmail di Microsoft. Ce ne siamo dimenticati, ma c’era un’epoca in cui dovevamo cancellare man mano la posta in arrivo, altrimenti la nostra «casella» si riempiva e la memoria non aveva più spazio per nuovi messaggi. Oggi al contrario siamo abituati a usare the cloud, la nuvola, cioè la capacità di memoria affidata ai giganteschi server di gruppi come Google (e tanti altri concorrenti), per custodirci praticamente tutto: il nostro lavoro, le nostre comunicazioni passate, tutti i dati che possono servirci. Questo uso della Rete come archivio universale e deposito degli archivi personali di ciascuno di noi, inizia di fatto con Gmail. Altre novità di Gmail, che oggi sono banali: la gratuità, e la potenza del motore di ricerca per setacciare tutta la posta passata rintracciandovi delle «parole chiave». Ancora, il raggruppamento delle «conversazioni» in spazi sintetici, che consentono di avere tutto il filo di una corrispondenza riunito in un posto solo. O infine quel ritrovato legato all’uso di JavaScript, che «completa» automaticamente gli indirizzi da noi usati attingendo alla memoria, e ci suggerisce i nomi appena digitiamo le prime lettere. Page e Brin scelgono di lanciare Gmail un primo aprile, consci che Google è celebre per i suoi pesci di aprile. E in effetti quel primo aprile 2004 gli scherzi apparenti sono due: il lancio della prima posta elettronica di Google, e l’annuncio che l’azienda apre un centro di ricerca sulla luna. C’è chi casca nello scherzo numero due (Google riceverà molti curriculum vitae per l’esperienza lunare) e invece «non abbocca» alla storia delle nuove email. La trovata geniale che contribuisce al successo di Gmail, sta nel configurarlo all’inizio come un club di privilegiati.

Google concede a pochi eletti i primi indirizzi di Gmail, poi costoro a loro volta possono invitare pochi amici a far parte della élite. Si genera così un meccanismo di invidia, emulazione, anche se in realtà quella trovata all’inizio nasce per necessità: Gmail non aveva una potenza sufficiente. Tempi remoti, preistoria. Aperto a tutti dal 2007, oggi Gmail è ben oltre il mezzo miliardo di utenti. Fin dall’inizio, però, c’è un patto mefistofelico dietro l’apparente generosità di Gmail. Gli utenti vengono attirati dalla sua illimitata potenza e anche dai suoi efficaci filtri anti-spam (proprio quelli che fanno difetto ad Aol…). In cambio però accettano che le proprie email vengano setacciate in cerca di parole-chiave, che poi servono a vendere pubblicità. Così, se io in una email cito Bruce Springsteen, Zucchero o Jovanotti, pochi secondi dopo comincio a ricevere offerte di biglietti per concerti rock vicini a casa mia. Su questa intrusione le polemiche si sono scatenate fin dal 2004. Ma Page e Brin hanno rifiutato di fare concessioni significative alla privacy. Hanno scommesso che ci saremmo assuefatti allo spionaggio privato delle nostre email. E così è stato. Come in altre abitudini della nostra vita quotidiana, ci siamo arresi, abbiamo smesso di resistere. Il paradosso è che oggi alcuni dei capi di Google, se gli mandi una email, hanno il risponditore automatico che invia messaggi di questo tipo: «Sono in vacanza dalle email. Le consulto solo sporadicamente». Uno di loro, proprio il progettista-capo di Gmail Paul Buchheit, ha confessato a «Time» la sua angoscia: «Viviamo in una cultura 24/7 (ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette), la gente si aspetta sempre una risposta. Anche se è sabato, anche se sono le due del mattino, danno per scontato che tu debba rispondere sempre. Non esistono le vacanze. È la schiavitù». Che siano loro a fare questa «scoperta», ha il sapore di una suprema beffa. (2 – continua) Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Turchia sempre in bilico Crocevia Dopo il successo delle amministrative, Erdogan resta

alla guida di un Paese lacerato fra ansia di modernità e freno della tradizione Alfredo Venturi Candidarsi alla presidenza della repubblica nelle elezioni della prossima estate, o imporre una modifica della legge che gli permetta di proporsi una volta ancora, fra un anno, alla guida del governo? Dopo il successo alle amministrative del 30 marzo, è questo il dilemma per il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan. L’alternativa è chiara: coronare il percorso politico con il ruolo più prestigioso, ma scarso di contenuti decisionali, o continuare nell’esercizio effettivo del potere che pratica ormai da undici anni. Il risultato del voto lo rassicura: il suo Akp, partito per la giustizia e lo sviluppo, si è affermato nonostante tutto. Erdogan ha potuto superare i mesi turbolenti che la Turchia ha alle spalle, la crisi economica, gli scontri di piazza a Istanbul e altrove, le accuse di corruzione, la dura repressione poliziesca e le limitazioni della libertà personale. Come quel bando ai social networks, successivamente annullato, che ha rischiato di compromettere ulteriormente la candidatura turca all’Unione Europea. Sull’opinione laica che s’ispira all’innovatore Kemal Atatürk, appoggiata dai militari e dalle alte magistrature, sui fermenti liberaleggianti e filooccidentali espressi dal movimento Hizmet guidato dall’esule Fethullah Gülen, è prevalso il blocco sociale su cui da sempre poggia il potere di Erdogan: proletariato soprattutto rurale e opinione islamica. Il primo ministro

sa che questo blocco è largamente maggioritario nella vasta provincia anatolica, e che soltanto nelle maggiori città, da Ankara a Istanbul, viene sfidato dagli strati più giovani e più evoluti, ma ancora in qualche modo elitari, della società. E così continua l’eterna dialettica di questo Paese di frontiera: da una parte l’ansia di modernità, dall’altra il freno della tradizione. Da una parte l’aspirazione a essere parte dell’Europa, dall’altra il richiamo delle radici, il sogno di un duplice ruolo egemone: nel Medio Oriente che fu il cuore dell’impero ottomano e nell’Asia centrale, non più sovietica, cui lo legano vincoli linguistici, culturali, religiosi. In una delle intercettazioni diffuse via Internet nei mesi scorsi, che portarono per reazione al blocco di Twitter e YouTube, si parlava di piani per l’attacco alla Siria sconvolta dalla guerra civile. Anche se doveva trattarsi di operazioni clandestine, quelle confidenze evocavano un ruolo della Turchia come arbitro della regione, e se da un lato era evidente il nostalgico riferimento ottomano, proponevano dall’altro l’imbarazzante cortocircuito determinato dall’appartenenza di Ankara all’alleanza atlantica. Accanto alle altre rivelazioni diffuse via internet, come gli episodi di corruzione che coinvolgevano non soltanto il partito che deve le sue fortune proprio alla promessa di sconfiggere i corrotti ma la stessa famiglia del primo ministro, non ci voleva altro che quello per scatenare la piazza. Quella stessa piazza che aveva proposto

la sua primavera prendendo le mosse da un parco di Istanbul che si voleva salvare dalla cementificazione. Di qui la rabbiosa autodifesa di Erdogan, la sua esplicita volontà di sradicare l’impertinente abitudine di scambiarsi in rete informazioni, riflessioni, critiche. La mossa era davvero azzardata, se si considera che l’accesso all’Unione Europea rimane, nonostante tutto, uno degli obiettivi ufficiali del governo di Ankara, e che il biglietto d’ingresso in Europa implica, come non hanno mancato di far notare a Bruxelles e nelle capitali dei Ventotto, una totale libertà di espressione del pensiero. Lo stesso presidente della repubblica, Abdullah Gül, che fra l’altro ama cinguettare su Twitter, non ha esitato a criticare la decisione del suo primo ministro. Si è poi pronunciata la Corte costituzionale annullando il bando: ma dopo che Erdogan aveva ormai vinto la sua scommessa. Aveva puntato sul fatto che il suo elettorato tradizionale non è poi così sensibile alle diavolerie informatiche e dunque non gli avrebbe voltato le spalle per così poco. Avrebbe rinnovato il consenso che gli garantisce da oltre un decennio. E così eccolo, all’indomani del voto, arringare una folla festante dal balcone della sede Akp di Ankara: avete difeso gli ideali della Turchia, il vostro partito, il vostro primo ministro. Eccolo minacciare chi lo contrasta, con toni non proprio da pacato vincitore di una contesa democratica: staneremo i nostri nemici, pagheranno per quello

Il primo ministro Erdogan ha sempre anteposto la repressione del dissenso. (AFP)

che hanno fatto. Espressioni non certo fatte per avvicinare il Paese all’Europa, né per placare le ansie dei partner occidentali, preoccupati dalla deriva autoritaria denunciata dalle opposizioni. Non c’è dubbio che da questa rissa interna il prestigio internazionale di Erdogan esce vistosamente compromes-

so. Ha infatti anteposto la repressione del dissenso e la ricerca del consenso alla responsabilità di rappresentare il ruolo della Turchia, collocata all’incrocio dei due assi critici fra Oriente e Occidente e fra il Nord e il Sud del mondo, come un bastione di stabilità e di equilibrio. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Per un pugno d’argento Bolivia Ai tempi del colonialismo spagnolo

Nelle montagne arse dal sole e dal vento di Potosì, la terra è una spugna secca che trasuda una polvere sottile, aspra, irrespirabile. Nel mezzo dell’altopiano, immenso e rosso fuoco, si spalanca la bocca di una miniera. Una grande riserva d’argento. Ci sono bambini ovunque. Bambini con i piedi a mollo nell’acqua putrida color cenere. Bambini con le mani nude nell’acido. Bambini appesi a arnesi arrugginiti, giganteschi, pesantissimi. Sono loro che garantiscono tutte le fasi del processo di separazione del minerale dalla roccia. Si muovono nel labirinto buio dentro la montagna senza inciampare, senza cadere, come pipistrelli. Hanno sette, otto, dodici, tredici anni. Qualcuno va a scuola, qualcuno no. Lavorano chi quattro, chi sei, chi nove ore al giorno. Hanno volti scolpiti come pietre. Parlano a voce bassa. Non sembrano covare rabbia. Sono stremati. Dalla fatica e dal vento, che soffia costante e gelido da est. Tutt’intorno, a 3600 metri sul livello del mare, abitano 8mila persone. Sono famiglie di minatori sopravvissute a stento alla chiusura della grande impresa pubblica di estrazione dell’argento e dello stagno. Questa miniera senza nome, la miniera dei bambini, è la più grande di quello che resta della terra mitica dalle cui viscere uscì l’argento che finanziò la Corona spagnola per l’intera epoca della colonia. La leggenda racconta che, molto tempo prima della conquista, l’indio Huallpa si fermò a dormire in una grotta su queste alture. Accese un fuoco per scaldarsi e si trovò di fronte un’enorme vena d’argento illuminata dal riverbero della fiamma sulla parete della montagna. Non sarà andata proprio così, ma è certo che sulla ricchezza incalcolabile del sottosuolo di quest’arida regione della Bolivia si è costruita buona parte della potenza della Spagna coloniale. Nel 1560 qui intorno vivevano 160mila persone. Madrid nella stessa epoca non aveva più di 5mila abitanti. L’argento di Potosì sembrava infinito. Si calcola che ne sia stata tirata fuori una massa pura pari a 46mila tonnellate. Tramontata l’epoca dell’argento, cominciò quella dello stagno. Dell’era mitica non c’è più traccia. Dei 900mila abitanti attuali dell’altopiano, il 60%, secondo i dati del Ministero degli interni, vive sotto il livello di povertà. Finita l’era del colonialismo dell’impero arrivò la Patino mines, industria privata che gestì le miniere fino al 1952. Fu allora che i militari decisero di nazionalizzare le tre grandi compagnie minerarie proprietarie dei due terzi dei giacimenti. Il resto rimase in mani private, frammentato in piccole e medie imprese di estrazione. In Bolivia, come in quasi tutto il Continente latinoamericano, l’esercito ha una forte ideologia nazionalista e non è difficile per nessun governo, qualunque sia l’orientamento politico, animarlo a compiere espropri in nome dell’orgoglio nazionale. Nacque così la Comibol, corporazione miniere della Bolivia. È durata trentatré anni. Nel 1985 l’ondata di privatizzazioni forzate dell’intero settore pubblico boliviano la polverizzò. Licenziati 30mila minatori. I licenzia-

menti di massa e la miseria conseguente causarono una odissea di uomini e donne con addosso pochi stracci in fuga dall’altopiano verso la Paz. Migrazione forzata. Centri urbani scomparsi. Non se ne sono andati tutti, però. Alcuni sono rimasti. E hanno formato le cooperative minerarie. Si tratta di 526 cooperative in tutto il Paese, raggruppate in una federazione, Fencomin. Oggi organizza il 73% di tutti i minatori boliviani. Le cooperative dovevano essere, in teoria, un modello di autogestione applicata al lavoro più duro del mondo. Invece, nella pratica, sono un modello di sfruttamento. Padri che sfruttano i figli. Madri che partoriscono e tornano a lavorare in miniera. I bambini più grandi hanno le mani deformate dal quimbalete, l’arnese usato per trasformare le pietre in polvere. È una specie di mezza luna ripiena di cemento e rivestita in ferro. Con due grandi manici alle estremità. Oscilla come una giostra. I bambini lavorano stando in equilibro lì sopra, a turno, per sei, sette ore. Inclinano l’attrezzo verso destra, poi verso sinistra. Così, fino al tramonto. Pesa sessanta chili, a volte settanta. Ai più bassi arriva all’altezza degli occhi. Devono arrampicarsi su un grande sasso per afferrare i manici. I bambini più piccoli si occupano di bublear. L’operazione consiste nel separare il minerale quasi pulito dal resto e si compie con un cono di cemento, una cannella in fondo e una piccola pala. A piedi nudi nell’acqua i bambini infilano il materiale processato dentro la cannella, muovono la pala in modo costante, finché il minerale, più pesante, si separa cadendo in basso. Il resto lo fa lo un reattivo chimico in fiale. La sostanza brucia la pelle. È altamente tossica. Avvelena più lentamente della silicosi, ma è altrettanto letale. Potosì è la prova triste del fallimento delle cooperative minerarie in Bolivia, aldilà delle intenzioni dei sindacalisti che le promossero all’inizio e del governo di Evo Morales – tuttora alla presidenza, eletto per la prima volta nel 2006 e confermato in successive elezioni) che le difese poi. I minatori producono con metodi arcaici. Senza tecnologie, con attrezzi da museo. Vendono a prezzi stracciati, senza nessuna forza di contrattazione, alle imprese private. Si chiamano cooperativisti e in tutto il Paese sono 60mila. Quando esisteva l’impresa statale, 30mila addetti, e l’impresa media, altri 30mila, esistevano comunque i cooperativisti, ma erano una minoranza: tra gli ottomila e i diecimila. È andata così fino alla metà degli anni ’80. Quando è sparita l’industria statale e quella privata si è frammentata in microimprese, hanno cominciato a moltiplicarsi i cooperativisti. Il peso politico assunto negli ultimi anni con l’appoggio del governo Morales non è servito a questa gente a garantirsi molto sul piano della qualità dell’esistenza. È talmente atroce il lavoro in miniera, ha in sé incorporato un tale livello di sfruttamento, che i cooperativisti non sono riusciti nemmeno dopo sette anni di gobierno obrero, governo operaio, come lo chiama Morales, ad accedere a livelli dignitosi di vita. I minatori hanno una grande forza di mobilitazione e agiscono come

gruppo di rottura. Sono loro che nei momenti decisivi delle innumerevoli insurrezioni boliviane arrivano a la Paz con i candelotti di dinamite. Quando marciano sono disciplinatissimi. Nell’ottobre 2003 – quando la rivolta travolse la presidenza di Sanchez de Lozada, poi condannato per corruzione e truffa allo Stato, e l’esercitò sparò sulla folla uccidendo decine di persone – i minatori di Potosì arrivarono in carovana a la Paz e parteciparono agli scontri degli ultimi due giorni. Furono determinanti nel braccio di ferro con il governo. Quando, subito prima della prima vittoria di Evo Morales alle elezioni, la popolazione di La Paz insorse chiedendo che venisse nazionalizzato il gas allora in mano a imprese brasiliane e spagnole, i minatori tornarono e accerchiarono il Parlamento. Deputati e senatori, per

sfuggire alla pressione, dovettero convocare una seduta straordinaria nella lontanissima città di Sucre. E i cooperativisti andarono fin lì. Si presentarono in strada incolonnati, a volto coperto, con la dinamite in mano. La polizia quella volta sparò e uccise uno di loro. Di solito si muovono su rivendicazioni di settore. Chiedono crediti allo Stato e zone di produzione per non essere costretti a occupare le miniere dimesse. Ma in momenti straordinari partecipano alle mobilitazioni convocate dalle organizzazioni contadine o dagli indigeni aymara, politicamente importantissimi a La Paz (sono il 70% della popolazione boliviana e per la prima volta nella storia della Bolivia, con l’elezione di Evo Morales, sono riusciti ad avere un presidente indigeno). La grande impresa della miniera

boliviana è sopravvissuta, ma in pochissime piccole aree. Ne è un esempio San Cristobal, il terzo giacimento d’argento più grande del mondo e in assoluto la maggiore riserva di zinco a cielo aperto. È in mano alla Apex Siver che da lì ricava una media di 40mila tonnellate al giorno. A questi ritmi, San Cristobal tra dieci anni sarà scomparso, svuotato dall’interno. Nelle miniere di Potosì lavorano anche le bambine. Non ce la fanno a spostare le pietre, tantomeno a schiacciarle con la mezzaluna di ferro. All’alba arrivano insieme alle madri con cestini di pane e bibite gassate. Vendono poche cose. Restano ferme davanti alla bocca della mina tutto il giorno. Aspettano che agli uomini venga fame o sete. Quando escono ubriachi e vanno a cercarle possono solo provare a correre più veloci di loro.

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Keystone

Potosí era una delle città più ricche dell’America latina grazie alle miniere per l’estrazione del metallo. Oggi dell’era mitica non c’è più traccia, solo miseria e sfuttamento minorile


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Politica e Economia

Prove generali per le «federali» Elezioni cantonali I risultati del canton Berna e i sondaggi più recenti non forniscono indicazioni certe sugli

equilibri politici nazionali in vista delle elezioni per le Camere federali dell’autunno 2015 Johnny Canonica Una brillante vittoria, ma anche una bruciante sconfitta. È quanto registrato dal Partito borghese democratico (PBD) domenica 30 marzo alle elezioni cantonali bernesi. La «brillante vittoria» i borghesi democratici l’hanno ottenuta grazie al risultato della loro candidata al Consiglio di Stato Beatrice Simon, rieletta nell’esecutivo cantonale con 128’862 preferenze, il miglior risultato tra tutti e sette i magistrati rieletti. La «bruciante sconfitta» è invece arrivata poche ore dopo, quando facendo la conta dei mandati ottenuti nel Gran Consiglio, il PBD si è ritrovato con 14 rappresentanti, 11 in meno rispetto alla precedente legislatura. I vertici del partito nazionale hanno gettato acqua sul fuoco delle polemiche, indicando la ragione di quel risultato nella politica troppo a destra tenuta dalla sezione cantonale nella legislatura appena terminata. Ma non hanno neppure nascosto che il segnale lanciato dagli elettori bernesi non è positivo nell’ottica delle elezioni nazionali, previste il 18 ottobre del 2015. Soprattutto perché Berna, insieme ai Grigioni, è il più importante serbatoio di voti per il PBD. Il risultato «brillante / bruciante» ottenuto a Berna sembra paradossale a prima vista, ma così paradossale non è. Il Consiglio di Stato bernese viene

Le elezioni per il Parlamento federale sono ancora lontane, ma ogni voto cantonale viene ora letto in vista dell’ottobre 2015. (Keystone)

infatti eletto secondo il sistema maggioritario, si vota quindi la persona e non il partito (a differenza di quanto avviene in Ticino, per intenderci). Per l’elezione del Gran Consiglio la legge cantonale prevede invece il sistema

proporzionale, con cui si vota un partito e non il candidato. E se nel 2010 il PBD aveva ottenuto il 16,3% delle preferenze (terza forza politica cantonale, dopo Unione democratica di centro e Partito socialista), quattro anni dopo i

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borghesi democratici sono sempre terzi, ma con appena il 10,2% dei voti. In quattro anni, insomma, hanno perso più di un terzo del loro elettorato. Di che far preoccupare il presidente nazionale Martin Landolt e la consigliera federale Eveline Widmer-Schlumpf. La prova del nove per il PBD sono ora le elezioni cantonali grigionesi, in agenda il 18 maggio prossimo. Il partito – soprattutto la sezione grigionese – esprime tranquillità, anche grazie al fatto che queste si terranno con il sistema proporzionale anche a livello di Gran Consiglio. Ma è chiaro che se i borghesi democratici rallentassero anche in questo appuntamento – pur senza fare una brusca frenata come a Berna – i vertici del partito dovranno seriamente porsi la domanda se saranno in grado di difendere il posto di Widmer-Schlumpf in Consiglio federale. Ma se il PBD a Berna non ride, nemmeno l’UDC lo può fare. È vero che il partito si è confermato prima forza politica del cantone con il 29% delle preferenze a livello di Gran Consiglio, in crescita di 2,4 punti percentuali rispetto a quattro anni fa (nel 2010 si tenne la prima elezione post scissione dai borghesi democratici e l’UDC in quella occasione lasciò sul terreno 4,4 punti percentuali), all’UDC non è però riuscito di far eleggere un suo secondo rappresentante nell’esecutivo cantonale, lasciando così al blocco rosso-verde la maggioranza governativa. E se è vero che il secondo candidato UDC al Consiglio di Stato, il francofono Marcel Bühler, ha ottenuto complessivamente più voti rispetto all’uscente (rieletto) consigliere di Stato socialista Philippe Perrenoud, la legge elettorale bernese assegna una sorta di premio a chi, nel distretto del Giura bernese, ottiene più voti. Ed è stato proprio grazie a questo «bonus» che il candidato PS è riuscito a salvare mandato e maggioranza, un fatto che deve aver reso ancora più dolorosa la sconfitta a Bühler e al blocco borghese, che al governo aveva candidato due UDC, una borghese democratica e un PLR. Paradosso bernese (e dell’elezione a sistema maggioritario): a livello di Consiglio di Stato il blocco PS-Verdi dispone di quattro seggi su sette, quando a livello di Gran Consiglio raggiunge appena il 29,1% dei voti. E in questo senso neppure la sinistra può ridere più di tanto, visto il magro – anche se stabile – bottino raccolto. Quanto al resto dell’arco parlamentare, crescita

dei verdi liberali a parte, i vari partiti non hanno subito sostanziali scossoni, nel bene o nel male. E proprio domenica 30 marzo la «Sonntagszeitung» ha pubblicato un sondaggio sullo stato di salute dei partiti, secondo cui la destra guadagna consenso tra gli elettori, mentre il centro e la sinistra sono in perdita di velocità. Il sondaggio commissionato dal domenicale di casa TA Media ha raggruppato i vari partiti politici elvetici in tre gruppi: destra (UDC + PLR), centro (PPD, PBD, Verdi liberali, Evangelici) e sinistra (PS + Verdi). E rispetto a un sondaggio simile pubblicato un anno fa, i risultati mostrano una lieve crescita della destra (dal 38% al 40,2%), mentre il centro e la sinistra registrano altrettanti lievi cali (dal 28% al 26,9% il centro, dal 28% al 26,8% la sinistra). Se però si paragonano i risultati dei singoli partiti registrati dal sondaggio con quanto effettivamente ottenuto alle ultime elezioni federali dell’ottobre 2011, ci si accorge che i perdenti sono l’UDC (meno 1,6%) e i verdi (meno 1%), che il PLR e il PPD marciano sostanzialmente sul posto (con variazioni in più e in meno dell’ordine dello 0,1%), mentre ad aumentare (poco) sono il PS (+0,7%), i Verdi liberali (+1,2%) e i Borghesi democratici (+0,6%). Anche in questo caso, come per le elezioni cantonali bernesi, risultati (e sondaggi) che si contraddicono. A circa un anno e mezzo dalle prossime elezioni federali, è inutile tentare di fare pronostici su quanto potrà uscire dalle urne basandosi su quanto sta accadendo ora. Nel 2011, secondo i sondaggi, l’UDC sembrava avere la strada spianata verso un successo eclatante («puntiamo al 30% dei voti», aveva affermato urbi et orbi il presidente Toni Brunner), e così non fu. La stessa cosa accadde ai Verdi, che sembravano avere il vento in poppa dopo l’incidente nella centrale nucleare di Fukushima; ma le vele improvvisamente e inspiegabilmente si afflosciarono, così come la rappresentanza ecologista sotto la cupola di Palazzo federale. Se c’è un fatto che comunque emerge dalle elezioni cantonali bernesi è che la soglia che divide la «vittoria brillante» dalla «sconfitta bruciante» non solo può essere molto sottile, ma a volte addirittura sparisce. Spetterà ora ai vertici dei vari partiti affinare le strategie per evitare che questo accada, e se necessario per smentire i sondaggi. In bene, ovviamente.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Politica e Economia

I conti dell’AVS peggiorano e la riforma si fa urgente Assicurazioni sociali L’invecchiamento della popolazione è la causa principale

del deterioramento dei bilanci dell’AVS. La situazione è ancora solida, ma bisogna pensare al futuro

Ignazio Bonoli Da qualche anno l’invecchiamento della popolazione fa sentire i suoi effetti sui bilanci dell’AVS. Il problema – che demograficamente si definisce nel classico rovesciamento della piramide delle età, nella quale le classi di popolazione anziane aumentano, mentre quelle dei giovani diminuiscono – è noto, ma la politica non riesce ancora a mettersi d’accordo sulle soluzioni. La pubblicazione, a fine marzo, dei bilanci delle assicurazioni sociali ha suonato come un nuovo campanello d’allarme. Il risultato tecnico dell’assicurazione principale, cioè l’AVS come tale, ha visto diminuire il saldo fra contributi incassati e rendite versate dai 260 milioni di franchi nel 2012 a 14 milioni soltanto nel 2013. Il risultato d’esercizio, che considera anche i redditi della sostanza e gli interessi pagati dalla Confederazione sul debito dell’AI verso l’AVS, con 908 milioni di franchi, risulta pure largamente inferiore a quello dell’anno precedente, che fu di 2’026 miliardi. È invece migliorato il risultato tecnico dell’AI, che è passato dai 394 milioni del 2012 ai 509 milioni del 2013. È per contro leggermente peggiorato il risultato d’esercizio dell’AI, passando dai 595 milioni del 2012 ai 586 milioni lo scorso anno. Il miglioramento è dovuto essenzialmente al finanziamento

supplementare temporaneo mediante l’IVA e agli interessi sul debito accollati alla Confederazione. Senza questi due fattori l’AI avrebbe chiuso i conti in passivo, nonostante le misure di risanamento adottate. Da quando nel 2011 il fondo AI è stato staccato da quello dell’AVS, i risultati positivi hanno comunque provocato una riduzione del debito di 1,179 miliardi, portandolo a 13,765 miliardi nel 2013. Anche l’assicurazione perdita di guadagno (IPG) ha visto leggermente migliorare il risultato tecnico (da 121 a 128 milioni di franchi), ma leggermente peggiorare il risultato d’esercizio (da 148 a 141 milioni). A parte il debito dell’AI che, pur diminuendo, rimane sopra i 13 miliardi di franchi, le preoccupazioni maggiori sono date dall’evoluzione delle finanze dell’AVS. La regola per cui – in passato – il risultato d’esercizio doveva garantire almeno un anno di rendite da versare è ormai un ricordo lontano. Anzi, secondo le previsioni dell’evoluzione demografica, quest’anno l’AVS dovrebbe chiudere i propri conti in passivo. La situazione non è comunque tale da mettere in pericolo il sistema, poiché il Fondo AVS è dotato di circa di 25 miliardi di franchi, per cui è in grado di coprire i disavanzi eventuali per parecchi anni. Le prospettive sono però quelle di un costante peggioramento, anche se l’evoluzione dell’economia restasse

Alain Berset: la sua proposta di riforma dell’AVS richiederà aggiustamenti. (Keystone)

positiva. Intanto, vista la situazione in campo finanziario mondiale, si è però assistito a un netto peggioramento del reddito degli investimenti, che sono scesi dal 7% del 2012 al 2,8% soltanto. La politica di prudenza praticata dal Fondo AVS, che non permette investimenti speculativi, nonché la necessità di mantenere forti liquidità, non rende possibili rendimenti migliori e la tendenza dei tassi di interesse resta orientata al ribasso. Anche questo aspetto finanziario richiede che a breve scadenza vengano adottate quelle riforme che permettano di mantenere in buona salute que-

sti tre pilastri del sistema di protezione sociale in Svizzera. Senza dimenticare che – sul puro piano economico – queste assicurazioni immettono ogni anno circa 50 miliardi di franchi nel sistema economico svizzero. Nel frattempo è terminata la fase di consultazione della riforma della Legge sull’AVS, proposta dal nuovo consigliere federale Alain Berset (vedi «Azione», 1.7.2013). Il tema è sempre molto delicato e non raccoglierà mai i consensi unanimi di tutto l’arco politico. Oggi è quindi importante evitare di sommare le opposizioni di parte, per trovare un denominatore unico che possa essere

accettato anche in votazione popolare. E anche la riforma di Berset non sfugge a questo imperativo. Da un primo esame delle prese di posizione appare che nessuno contesta seriamente la necessità di risanare l’AVS, soprattutto a causa dell’evoluzione demografica. Ma, vista la situazione politica e la crescente polarizzazione delle posizioni, la probabilità di trovare un largo consenso sulle proposte del Consiglio federale appare alquanto remota. Lo stesso Berset è cosciente di dover giungere a una specie di «compromesso storico» sulla base del criterio di dover trovare uno «scontento medio» sopportabile. Difficile anche questa via, poiché le opposizioni si manifestano apertamente tanto a sinistra (il partito di Berset), quanto a destra. La prima si oppone a punti importanti del progetto quali l’aumento dell’età di pensionamento delle donne, nonché al «freno all’indebitamento», anche se il pacchetto di riforme punta soprattutto su un aumento delle entrate. Sul fronte opposto, la destra (in particolare l’UDC) si oppone invece ad ogni aumento delle entrate, prima di attuare vere e proprie riforme strutturali. Lo stesso termine posto da Berset (il 2020) dà luogo a discussioni contrastanti. Eppure sarà proprio in questi anni che l’AVS dovrà affrontare i maggiori problemi finanziari da quando esiste. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la piazza di Angelo Rossi I miei pronipoti mangeranno banane ticinesi Degli effetti positivi e, soprattutto, negativi del cambiamento climatico in atto si è ritornati a parlare, nel corso delle ultime settimane, per la presentazione, quasi in contemporanea, di due rapporti abbastanza impressionanti. Il più recente è quello presentato dal gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici dell’Onu e si occupa degli effetti del riscaldamento dell’atmosfera a livello mondiale. Qualche settimana prima era stato pubblicato invece il «CH2014-Impacts» che rende conto di quello che potrebbe succedere in Svizzera. Nei due casi il cambiamento climatico viene considerato, almeno per quel che riguarda il secolo nel quale stiamo vivendo, come un fenomeno inevitabile. È importante tuttavia rendersi conto della portata delle sue conseguenze e, soprattutto, studiare i mezzi che consentiranno eventualmente di limitare i danni. A livello mondiale i rischi maggiori sono le minacce di erosione e alluvioni

che pendono sulle regioni costiere, in particolare di quelle delle isole, in seguito all’aumento del livello del mare. I giornali della domenica hanno fatto esempi sconcertanti come quello per esempio di Pisa che dovrebbe di nuovo ritrovarsi in riva al mare dopo che, per secoli, né è stata tagliata fuori. Viene poi, nelle regioni più povere, la minaccia sulla sicurezza dell’approvvigionamento in beni alimentari in seguito a siccità, alluvioni, aumento della temperatura e precipitazioni variabili, Il cambiamento climatico si ripercuoterà in modo negativo anche sulla biodiversità sia sulla terra, sia negli oceani. Questi rischi causeranno certamente costi importanti alle regioni colpite. Ma il cambiamento climatico potrebbe anche generare qualche utile, specie laddove, per il momento, a causa del clima troppo freddo non è ancora possibile sviluppare determinate attività produttive. Gli autori del rapporto sono ancora

ottimisti circa la possibilità di far fronte ai rischi descritti qui sopra e alle loro conseguenze negative. Essi avvertono tuttavia che non si potranno rimandare troppo a lungo gli interventi per limitare le emissioni di gas che provocano l’effetto serra. Il secondo rapporto indaga invece sugli effetti del cambiamento climatico all’interno della Svizzera. Sì, perché anche all’interno di un piccolo Paese come il nostro non tutte le regioni risentiranno degli effetti del riscaldamento nel medesimo modo. Per gli esperti nostrani il caso più preoccupante è quello del Ticino. Le fasi di calura con notti cosiddette tropicali (con temperature al di sopra dei 25 gradi centigradi) potrebbero, in Ticino, verso la fine di questo secolo, estendersi anche per due mesi. Ovviamente al caldo l’uomo può sempre rimediare con impianti di aria condizionata o fuggendo verso le valli, i maggenghi e i pascoli. Ma questi rimedi non sono gratuiti. Da mettere

in dubbio sono soprattutto quelli che domanderebbero un aumento del consumo di energia. Oltre all’uomo, il caldo farà soffrire anche gli animali e inciderà negativamente sulle nostre riserve d’acqua potabile. Il limite della vegetazione si estenderà verso l’alto, cosicché i nostri eredi potranno piantare qualche bananeto. Non solo, ma è anche possibile che essi possano vedere spuntare, sulla vetta del Generoso, qualche castagno, il che consentirà loro di verificare se sia vero ciò che, più di cent’anni fa, affermava un visitatore curioso del Ticino come Samuel Butler, e cioè che l’azzurro del cielo visto attraverso i rami dei castagni sia più bello di quello visto tra i rami dei larici. A patto tuttavia che la moltiplicazione delle popolazioni di parassiti e di insetti nocivi, provocata dal cambiamento climatico, non faccia scomparire dalle nostre montagne e l’una e l’altra pianta. Riassumendo, anche se l’aumento della temperatura, di qui alla fine del

secolo, varierà «solo» tra i due e i tre gradi, le conseguenze negative per il Ticino potrebbero essere veramente importanti. Tra le stesse vanno annoverate l’insufficienza energetica (ossia prezzi dell’energia sempre più alti), la carenza, in certe zone, di acqua potabile (e quindi, anche qui, rincaro dei prezzi), le minacce al bosco protettore, la diffusione di fenomeni di erosione, il peggioramento delle condizioni di vita nelle regioni a bassa altitudine, in particolare per le persone più anziane. Anche se la fine del secolo è ancora lontana, forse è arrivato il momento, anche in Ticino, di cominciare a fare qualche riflessione su che cosa bisogna fare per contenere gli aspetti più negativi del cambiamento climatico.

rimborsi dei gruppi nei consigli regionali, con casi grotteschi come il presidente della Regione Piemonte Roberto Cota che si è fatto ripagare dai cittadini pure un paio di mutande verdi. Dice

Renzi che «si tratta di un’operazione straordinaria, un grande cambiamento. È la premessa perché i politici possano guardare in faccia la gente. Se vogliamo eliminare la burocrazia, le rendite, le incrostazioni, la logica di quella parte dell’establishment per cui “si è sempre fatto così”, dobbiamo dare il buon esempio. Dobbiamo cominciare a cambiare noi». L’idea del premier è che, per essere credibile in Europa, l’Italia deve prima saper riformare se stessa. Renzi è consapevole che occorra una nuova politica economica: fino a quando il Pil non riprende a salire, qualsiasi parametro calcolato in base al Pil tenderà sempre a peggiorare. Ma il premier sa che il governo ha un duplice problema di credibilità: con l’Europa, e con i cittadini italiani. L’Italia deve dimostrarsi capace di riforme; e i politici per primi devono dare il buon esempio ai connazionali. Alfano, pur di non andare al voto an-

ticipato, alla fine appoggerà la riforma del Senato come la vuole Renzi. La vera incognita è Berlusconi. Il leader di Forza Italia sente che l’abbraccio con Renzi può essere mortale per il suo partito, che in questo momento non è percepito come una forza di autentica opposizione. Ma teme di restare isolato se manda a catafascio le riforme. Da una parte Renzi è un concorrente terribile, oltre che più giovane. Dall’altra parte un’uscita di scena di Renzi priverebbe Berlusconi di un interlocutore che si è dimostrato affidabile. Poi c’è la fronda interna al Pd. La sinistra del partito vede Renzi come il fumo negli occhi. Ma è divisa in tante piccole correnti: ognuna delle quali tenta di creare un rapporto privilegiato con il detestato capo. Insomma, la debolezza delle varie componenti della politica italiana è tale che difficilmente qualcuno avrà la forza per sbarrare la strada ai propositi riformatori di Renzi.

più importante ruolo di formazione, oggi possibile grazie a facili accessi ad approfondimenti e confronti storici. Se poi si pensa che un simile «diaporama» digitale può essere scaricato sui telefonini, non credo possano esserci ancora scuse per chi, giovane o anziano, osa confessare un «quel periodo non l’ho mai studiato». La seconda riflessione è legata a un aneddoto (rimasto nell’oblio per mia colpevole trascuratezza, lo ammetto) che riguarda mio nonno paterno, Ferdinando. Di lui ricordo poco, è morto che io avevo tre anni. Nell’immagine più chiara che mi porto dentro lo vedo che taglia i capelli o rade il viso di un compaesano: la domenica mattina si trasformava in barbiere, animato, penso, da una certa abilità ma anche dal suo innato spirito commerciale. Quindi praticamente non l’ho conosciuto e solo qualche anno fa ho saputo che, pur abitando in Ticino da diversi anni (giuntovi al seguito di altri lavoratori stagionali

bergamaschi in Val di Muggio) e pur essendo sposato con figli, a inizio Novecento l’Italia lo aveva chiamato in servizio fino al 1918, fino a diventare un reduce della ritirata di Caporetto. Tornato in Ticino, si impegnò subito a portare a compimento un voto fatto alla Madonna se fosse scampato agli orrori che aveva visto in quegli anni: far arrivare la luce elettrica in una chiesetta discosta dal nucleo del paese e vicina al cimitero, tutto a sue spese. Quel voto esaudito non bastò a evitargli un’altra Caporetto: i suoi compaesani continuarono a negargli la cittadinanza svizzera, nonostante la moglie ticinese, i figli e i lunghi anni trascorsi in valle. Ma non si perse d’animo, anche se dovette cercare a lungo prima di trovare (pensate: in val Onsernone) un comune che mostrasse maggior comprensione e umanità. Questi ricordi personali, quasi intimi, si intrecciano oggi nella mia mente con certi «revival» degli ultimi mesi che parlano «immigrazioni di massa», di

«guerra fredda che ritorna», di minacce alla pace, di incertezze che contribuiscono a incrementare preoccupazioni e suggeriscono freni all’immigrazione. Ad essere direttamente implicata, anche se non tutta coinvolta, ancora una volta è l’Europa. Certo: i focolai maggiori di quello che sembra un lento e prolungato ripetersi della storia sono ancora relativamente lontani da noi; inoltre, nonostante le spinte che subiscono, nazioni e governi oggi non sono più così facilmente «liberi di manovrare» come un tempo. Tuttavia trovo sempre più difficile tener lontano un dubbio che riguarda proprio noi, la Svizzera, l’oasi dei tanti miti. E mi chiedo: avremo ancora la fortuna di rimanere immuni dai contagi di certi «ismi» solo proclamando che non siamo e non vogliamo essere membri dell’Ue? Oppure limitandoci a sventolare la neutralità, visto che già c’è chi muove rimproveri al nostro governo per non averlo fatto abbastanza?

Il rapporto CH2014-Impacts-Towards Quantitative Scenarios of Climate Change Impacts in Switzerland si può ottenere gratis all’indirizzo www.ch2014-impacts.ch

In&outlet di Aldo Cazzullo Il nuovo Senato di Renzi «Sono trent’anni che in Italia si discute su come superare il bicameralismo perfetto. Questo stesso Parlamento doveva approfondire il tema con la commissione dei 42. Non è più possibile giocare al “non c’è stato tempo per discutere”. Ne abbiamo discusso. Nella conferenza stampa su cui i giornalisti hanno tanto ironizzato, quella della “televendita”, abbiamo presentato la nostra bozza di riforma costituzionale. L’abbiamo messa sul sito del governo. Abbiamo ricevuto molti spunti e stimoli, anche da Confindustria e Cgil, gente che non è che ci ami molto. Abbiamo incontrato la Conferenza Stato-Regioni e l’Anci. Abbiamo fatto un lavoro serio sui contenuti. Ora è il momento di stringere. Il dibattito parlamentare può essere uno stimolo, un arricchimento. Ma non può sradicare i paletti che ci siamo dati…». Matteo Renzi ha puntato tutto sulla riforma del Senato. È arrivato a legare al superamento del bicameralismo

perfetto – Camera e Senato che fanno esattamente le stesse cose, facendo perdere un sacco di tempo – la sua stessa carriera politica. Dice di essere disposto alla discussione, ma senza rinunciare a quattro punti irrinunciabili: il Senato non vota la fiducia; non vota le leggi di bilancio; non è eletto. E non ha indennità: i rappresentanti delle Regioni e dei Comuni sono già pagati per le loro altre funzioni. Ma l’elezione diretta dei senatori è il cardine della proposta del presidente del Senato Pietro Grasso, che ha intercettato il malessere di un’assemblea che non muore dalla voglia di votare la propria estinzione. Ma Renzi ha ribattuto a Grasso che l’elezione diretta del Senato è stata scartata dal Pd con le primarie, e da Berlusconi nell’accordo del Nazareno. Un accordo che riduce il costo dei consiglieri regionali, i quali non possono guadagnare più del sindaco del comune capoluogo. Ed elimina Rimborsopoli, lo scandalo dei

Zig-Zag di Ovidio Biffi La Caporetto di mio nonno Con largo anticipo è iniziato il rosario dei ricordi della prima guerra mondiale, quella del 14-18, quella dei nostri nonni. Grazie alla solita frenesia mediatica per gli anniversari rilanciati scopro una «striscia» digitale che dai blog del sito web del «Tages Anzeiger», oltre che su pc e tablet, può essere scaricata anche sugli smartphone. La lettura del «più grande errore della storia» (Niall Ferguson) è facile: date e avvenimenti, poi un link per gli approfondimenti. Siamo agli inizi del secolo scorso e per misurare la potenza di una nazione si conteggiano le navi di linea ma presto a prevalere saranno incrociatori e corazzate. La «striscia» digitale inizia con Londra che si sente minacciata come potenza coloniale dalla crescita economica e dalla corsa agli armamenti della Germania. L’«escalation», dopo il varo dell’incrociatore britannico «Invincible», vede le due nazioni dotarsi anche di sottomarini, poi arrivano i primi carri armati, i primi velivoli che

sganciano bombe e si danno la caccia, per finire con il tragico debutto dei gas. La fine della contesa giungerà nel novembre 1918, non su una nave, ma su un vagone ferroviario fermo a Compiègne in Francia, dove la Germania firma la resa ponendo fine a una guerra (oggi sappiamo che non era l’avvio della pace) ancora tutta da chiarire nelle sue motivazioni, ma non nelle conclusioni: 10 milioni di soldati caduti, 20 milioni feriti, e almeno altri 7 milioni di morti fra i civili. Oltre che sull’anniversario storico, la striscia digitale del «Tages Anzeiger» mi suggerisce due altri tipi di riflessione. Innanzitutto il documento digitale mi ha colpito per la sua semplicità che, grazie a rimandi e confronti storici, consente di «memorizzare in successione» gli avvenimenti. Inevitabile un pensiero alle mirabolanti offerte che le redazioni possono confezionare, rendendole fruibili non solo per ricordare o informare, ma anche per un ben


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Cultura e Spettacoli A cena da Maxim’s Un divertente libro sui retroscena di un celebre ristorante

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Il ritorno di Johnny Cash Ad alcuni anni dalla morte il re del country ci regala un nuovo disco ricco di perle

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Di sesso e solitudine Filmselezione Dallo scandalo

programmatico di Lars von Trier a quello epocale di Yves Saint Laurent pagina 43

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Fabio Fumagalli ** Nymphomaniac 1, di Lars von Trier, con Charlotte Gainsbourg, Stacy Martin, Stellan Skarsgard, Christian Slater, Uma Thurman, Shia LaBoeuf, Willem Dafoe (Danimarca 2013)

Il corpo e le atrocità Mostre Regina José Galindo al Pac di Milano

Gianluigi Bellei Guatemala. Un paese tribolato, composto per il 43 per cento da amerindi, i discendenti degli antichi maya che si insediarono nel III secolo dopo Cristo; per il 30 per cento da meticci o ladinos e per il resto da neri ed europei. Tribolato perché luogo privilegiato, come del resto tutta l’America latina, di dittatori sanguinari e feroci repressioni. Dal 1970 poi è terra di un susseguirsi ininterrotto di regimi totalitari capeggiati da militari senza scrupoli che si alternano lasciando dietro di loro scie infinite di sangue e torture. Ricordarli vorrebbe dire dargli quella notorietà che non meritano. Ne citiamo uno solo: il super criminale generale Ríos Montt, accusato dalla Commissione per la chiarificazione storica, nel rapporto finale sulla guerra civile del 1999, di genocidio nei confronti della popolazione maya tra il 1981 e il 1983, sottolineando la corresponsabilità della CIA e dei servizi segreti cubani. Il processo contro Montt, accusato di crimini contro l’umanità, è stato annullato proprio un anno fa. Dal Guatemala proviene una giovane artista, piccola, minuta, fragile, apparentemente indifesa, ma che ha dentro di sé la forza della disperazione, il coraggio degli indifesi, la determinazione degli ultimi: Regina José Galindo. Giustamente nel 2005 la Biennale di Ve-

nezia, diretta allora da due donne María de Corral e Rosa Martínez, le ha conferito il Leone d’oro quale miglior artista under 35. Ma già nella Biennale del 2001, a cura del visionario Harald Szeemann, una giovanissima Galindo era presente nella mostra internazionale come artista epifanica davanti alla quale «lo spettatore si vede libero di seguire le proprie orme e ricreare i propri rituali». Artista difficile, complessa, violenta, terrificantemente attuale, Galindo mostra il dolore e la sofferenza del suo Paese, delle sue donne, del suo popolo in forme estreme, così come estrema è la realtà di quella terra. Se pensate che l’arte sia una pratica per anime belle e serva per agghindare gli studi degli avvocati e le sale delle banche, allora potete volgere lo sguardo altrove; se al contrario, e doverosamente, ritenete che debba essere il corpo e il sangue della realtà, come in Caravaggio e Rembrandt, allora dovete incontrare questo bellissimo scricciolo di donna indifesa della Galindo che al Padiglione d’arte contemporanea di Milano mette in mostra se stessa e le atrocità del mondo. Perché a volte girare lo sguardo altrove può essere una forma di connivenza con quello che vorremmo negare. Finalmente il Pac si risveglia dal suo torpore e propone un’esposizione forte, dura, coraggiosa che pone l’arte

contemporanea di fronte a se stessa e ai suoi reconditi significati. Una mostra che presenta antologicamente i video delle performance della Galindo in un percorso diviso in cinque sezioni interdipendenti fra loro: politica, donna, violenza, organico e morte. Partecipiamo così a un mondo che crea «disagio, angoscia, paura e orrore», al limite di ciò che può essere accettato, ma che testimonia una realtà dolorosa e terrificante. Il corpo della Galindo assume il ruolo di vittima sacrificale assurgendo a icona di una sorta di necropotere che pervade la società, dall’America latina alla Bosnia all’Iraq. Diego Sileo, uno dei curatori, scrive citando Achille Mbebe di necropolitica nel momento in cui crollano i confini tra i fini della guerra e i suoi mezzi. In questo contesto si inserisce la carneficina con le sue «espressioni più raccapriccianti: lo sterminio, il genocidio, la tortura». La riflessione dell’artista si concentra, come testimone, su questa violenza («la morte, i corpi sfigurati, il terrore, l’impunità») agendo su se stessa per farci riflettere, ponendoci di fronte all’inaccettabile. Per vedere la mostra bisogna prepararsi psicologicamente perché il disagio e l’orrore battono forte in ogni sala. Eugenio Viola, l’altro curatore, parla di violenza sacrificale nella quale il corpo dell’artista diventa il perno per illustrare una realtà «disturbante» fat-

ta di oscenità, nudità frontale, sangue, escrementi, mutilazioni, dolore, morte possibile. Fra i video delle performance in mostra citiamo quello presentato alla Biennale di Venezia del 1999 nel quale l’artista con Piel cammina nuda e completamente rasata per le Corderie. Nel Medioevo rasavano le streghe per cercare il marchio del demonio; sorte condivisa nell’ultima guerra mondiale con le prostitute e le collaborazioniste alle quali venivano tagliati i capelli in segno di spregio, senza dimenticare il doppio significato del termine tierra arrasada con il quale si uccidevano i guerriglieri guatemaltechi e le loro parenti dopo averle violentate. Nel 2000 presenta No perdemos nada con nacer nella quale si fa gettare nella discarica nuda dentro un sacco di plastica come un rifiuto a sottolineare la mattanza operata dal regime. Alla Biennale del 2005 porta ¿Quien puede borrar las huellas? (Chi può cancellare le impronte?), un’azione contro il potere eseguita due anni prima in Guatemala percorrendo a piedi la strada che va dal Palazzo dei Congressi al Palazzo Nazionale con un bacile pieno di sangue umano dentro il quale si bagna i piedi. Sempre del 2005 è Perra (cagna), termine che si incide con un coltello sulle cosce, come facevano i soldati con le loro vittime dopo averle violentate e uccise in segno di spregio.

In occasione della mostra al Pac l’artista ha presentato durante l’inaugurazione Exhalación (Estoy viva), una performance inedita nella quale appare nuda e sdraiata come in un obitorio. L’unica possibilità di sapere se è ancora viva è mettere uno specchietto vicino al naso per verificare se respira. In Guatemala quando le donne si incontrano, alla domanda «come va?» generalmente rispondono: sono ancora viva. Vita e morte, insomma, in una sorta di destino incrociato che è solo terra e sangue. Una mostra tutta da vedere perché, come sottolinea l’assessore alla cultura di Milano Filippo Del Corno, «l’arte, quella vera, ha poco a che fare con il glamour, le mode, le esigenze del mercato. Non è chic, non compiace e non si compiace». La mostra sostiene l’attività di Amnesty International e i visitatori potranno contribuire scegliendo il biglietto Donazione, che costa un euro in più.

Costituisce un caso a sé l’uomo, ma anche tutta l’opera di Lars Von Trier. Capace, il primo, di farsi espellere a vita dal Festival di Cannes per aver dichiarato in conferenza stampa di «capire Adolf Hitler». E la seconda, di sfociare ora in un film porno: quattro ore in due episodi separati, che il regista ha raccorciato a malincuore da una versione di 5 ore e 20 minuti che non vedremo forse mai. Nymphomaniac 1 non differisce molto, nel bene e nel male, dalle opere precedenti del cinquantasettenne regista danese, ingiudicabili e incostanti, provocatorie e convenzionali, originali e fumose, esaltanti e noiose. Diverse, questo è però difficile negarlo, da quanto ci propone l’abituale sovraproduzione cinematografica. Niente di pruriginoso, meglio saperlo, perlomeno in questo primo episodio: più libertino che licenzioso, forse filosofico ma non esattamente voyeuristico. Con la sua «storia», suddivisa in capitoli e ritorni nel tempo come in un romanzo tradizionale d’iniziazione, di un’ammaccata e particolarmente scontrosa Charlotte Gainsbourg che viene soccorsa nel fondo di un vicolo da un anziano, saggio e sicuramente casto signore (Skarsgard). La donna racconterà la propria esperienza di presunta ma sicuramente depressa ninfomane (interpretata in questo primo episodio giovanile dal viso pulito della giovane Stacy Martin) a un ascoltatore ben disposto: pronto a sfrondare la natura eventualmente patologica di quelle vicissitudini, evitando un giudizio morale. Misogino? Misantropo, piuttosto: Lars von Trier rifà ciò che ha sempre fatto, parlarci all’infinito di sé stesso e delle sue nevrosi, piuttosto che dei personaggi dei suoi film. Quando ci ripensa, quando rinuncia a spiegare le proprie turbe, il film subisce un’impennata: è il caso di una sequenza finalmente liberata, con una sorprendente Uma Thurman nei panni crudeli e parodistici di una delle infinite consorti tradite. Tende a rifugiarsi nei giochetti filmici, le serie aritmetiche tradotte in grafica e le suddivisioni con lo split screen, inserti vari e citazioni musicali. Ma nascono anche intuizioni espressive mirabili: una pesca alla mosca, le cui strategie vengono maliziosamen-

te equiparate a quelle dell’adolescente intenta a inanellare la serie bulimica e masochista, raramente godereccia delle sue prede. Oppure l’analisi saggia e spettacolare di una struttura polifonica di Bach: per spiegare le vie che conducono all’orgasmo… *(*) Yves Saint Laurent, di Jalil Lespert, con Pierre Niney, Guillaume, Gallienne, Charlotte Le Bon, Laura Smet, Marianne Basler (Francia 2013) È possibile che basti l’interpretazione di un grande attore a rendere egualmente grande un film? No, poiché l’attore è appeso al filo sottile che lo lega senza via di scampo al proprio regista: Robert De Niro, trascorso il suo coinvolgimento nei capolavori di Martin Scorsese, ha visto svanire il proprio status di più grande attore al mondo. E così, Catherine Deneuve, dopo Bunuel, Truffaut e Demy ha perso il suo ruolo di musa d’elezione. E gli ultimi decenni della carriera favolosa di Alberto Sordi sono apparsi superflui, una volta esaurita la collaborazione con i Comencini, Monicelli, Risi, Scola. Qui, due straordinari attori della Comédie Française, il venticinquenne Pierre Niney e il più consacrato Guillaume Gallienne reduce dall’incontenibile successo di Tutto sua madre, assicurano un fascino particolare alla biografia di Yves Saint Laurent. Un’emozione innegabile, dovuta all’incredibile mimetismo di Niney nel riprodurre la fragilità, la timidezza ma anche l’appassionante determinazione del grande stilista. In parallelo, la misura di Gallienne nel ruolo non facile di Pierre Bergé, l’uomo di finanza, amante, padre, protettore di una genialità creatrice minata da una bipolarità che lo condurrà ben oltre l’ansia, nella malattia, l’autodistruzione, l’abuso dell’alcol e delle droghe. Il film ha il merito di non seguire morbosamente il celebre protagonista nella discesa per i vari inferni, di limitarsi a essere una storia d’amore tenera e furibonda. Ma nella sua assenza di follia non entra mai nelle ragioni di un lavoro elevato a arte, di un’epoca, di una fatica quotidiana che viene a scontrarsi con la futilità della società, un tragitto che dall’Algeria conduce alla Parigi del maggio del ’68, dalla sessualità repressa al libertinaggio. Per questo bisognerà forse attendere l’altro ritratto di Saint Laurent firmato da Bertrand Bonello, che il prossimo Festival di Cannes dovrebbe riuscire a presentare malgrado la rabbiosa battaglia legale intentata da Bergé.

Sights, i colori del buio e la dimensione della città Percorsi Ha recentemente preso il via a Bellinzona il nuovo progetto

della Compagnia Trickster-p di Novazzano Giorgio Thoeni Inaugurato a Bellinzona sabato 5 aprile e visitabile fino al 27, Sights, installazione urbana, è il recente progetto della Compagnia Trickster-P di Cristina Galbiati realizzato con Ilija Luginbühl in coproduzione, fra gli altri, con il Teatro Sociale di Bellinzona e anche grazie al sostegno del Percento Culturale Migros. Si tratta di un percorso creativo molto particolare che giunge quasi a corollario dopo una serie d’indagini su possibili linguaggi che hanno caratterizzato le precedenti produzioni legate alla fiaba come B, h.g., realizzazioni che hanno pure contraddistinto una sorta di svolta estetica nella ricerca «metateatrale» del lavoro del Trickster della Galbiati. La dimensione teatrale di un’installazione è forse l’aspetto che maggiormente può intrigare e stimolare domande concettuali di fondo. Anche con Sights, come per le ultime realizzazioni, lo spettatore è un essere itinerante alla ricerca di sensazioni: mettendo in campo i sensi e, in particolare, attraverso il suono di voci, viene guidato lungo tracce suggerite sulle quali entra in gioco il teatro dell’immaginazione. Una dimensione narrativa che per certi versi è anche inconscia, smuove l’anima e invita ad entrare in ambiti che altrimenti sono snaturati da codici convenzionali, spesso stereotipati. Con Sights, l’operazione è resa ancor più suggestiva. Nove stazioni si snodano interamente in luoghi pubblici, attraversando strade normalmente aperte al traffico. Ogni partecipante affronta l’avventura a piedi, seguendo una mappa con delle soste numerate: una generosa passeggiata (di un paio d’ore) che si trasforma in un invito a riscoprire la città – la Turrita – in

Un particolare della locandina del progetto.

un modo diverso. Ogni stazione è costituita da una specie di «cabina telefonica». Inserendo un gettone, dalle cornette si può ascoltare il racconto registrato di persone di ogni età, dalla donna pensionata a quella divorziata, dal professionista al docente in pensione. Dunque non sono attori professionisti che parlano, bensì persone legate da una caratteristica fondamentale: sono cieche, alcune dalla nascita altre hanno perso la vista nel tempo. E sono tutte coinvolte in prima persona attorno ad un’unica domanda: come vedono? Sono racconti brevi, straordinari per la loro spontaneità e verità. Una verità dalla forza coinvolgente e dalla grande profondità: «Tra giorno e notte non c’è differenza, per me è sempre uguale. Se non vedo la luce del giorno, come posso vedere il buio della notte», dice Elena. « Io vedo a frammenti… direi a frammenti sequenziali. La città, per esempio, non è una cosa unica: sono spazi di frammenti, spazi di rumori», racconta

Dante. Fino a quella di Luigi, forse la più toccante, che perlustra i ricordi di una Bellinzona che ha visto prima dei grandi cambiamenti, quando ancora c’erano i gelati artigianali del Venturini: «quando tu immagini delle cose, le vedi, e dopo non le vedi più, ti rimangono impresse sul quel momento lì. Ho bei ricordi di Bellinzona, molto. E delle volte mi emoziono, e piango, eh…». Anche Sights è destinato a girare oltre i confini ticinesi, in Svizzera e all’estero: altre città, altre testimonianze, altre lingue: una bella impresa e un traguardo molto significativo per Trickster-P. Va infine segnalato che nell’ambito delle iniziative collaterali a corollario del progetto, lunedì 14 aprile alle 20.45 il Teatro Sociale di Bellinzona organizza una tavola rotonda a cui interverranno: Manuele Bertoli (direttore del DECS), Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl, Ludovica Molo (architetto) e Giovanni Pellegri (neurobiologo e divulgatore scientifico).

Top10 DVD & Blu Ray

Top10 Libri

Top10 CD

1. Lo Hobbit 2

1. Andrea Camilleri

1. Gotthard

M. Freeman, I. McKellen novità

Inseguendo un’ombra, Sellerio 2. Albert Espinosa

2. Frozen

Braccialetti rossi, Salani

Bang!/ novità 2. Artisti Vari

Megahits 2014

Animazione 3. Camilla Läckberg 3. Hunger Games 2

La sirena, Marsilio

3. Artisti Vari

Sanremo 2014

J. Lawrence, J. Hutcherson 4. Markus Zusak 4. Piovono Polpette 2

Animazione / novità

Storia di una ladra di libri Frassinelli / novità

4. George Michael

Symphonica 5. Mondo Marcio

5. I sogni segreti di Walter Mitty

B. Stiller, S. Penn / novità

5. Geronimo Stilton

Nella bocca della tigre / novità

Viaggio nel tempo 7, Piemme 6. Artisti Vari

6. Monster High - Ciak si grida!

Animazione / novità

6. Andrea Vitali

Premiata Ditta Sorelle Ficcadenti Rizzoli 7. Jo Nesbo

Il pipistrello, Einaudi / novità

8. Pegasus

Love & Gunfire

8. Cattivissimo Me 2

Animazione

7. Moreno

Incredibile

7. Battle of the year

J. Holloway, C. Brown / novità

Bravo Hits Vol. 84

8. Veronica Roth

Allegiant, De Agostini Dove e quando

Regina José Galindo. Estoy viva A cura di Diego Sileo e Eugenio Viola Padiglione d’Arte Contemporanea Milano, Fino all’8 giugno Orario 9.30-19.30 gio 9.30-22.30 lunedì chiuso www.pacmilano.it

9. Planes

Animazione

9. Eugenio Finardi 9. Clara Sánchez

Fibrillante

Le cose che sai di me, Garzanti 10. Barbie - La principessa delle perle

Animazione

10. Roby Facchinetti 10. Luis Sepulveda

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza di essere lenta, Guanda

Ma che vita la mia


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Cultura e Spettacoli

Cinque spettacoli d’eccezione in scena nei teatri ticinesi Festival internazionale della Danza Steps Il Percento culturale Migros porta in Svizzera le migliori compagnie

di danza della scena internazionale

Valentina Janner Il Festival internazionale della Danza Steps, prodotto e realizzato dal Percento culturale Migros, propone anche quest’anno un programma ricco di spettacoli, manifestazioni, conferenze e workshop dedicati alla danza contemporanea, tre settimane per poter assistere pure in Ticino ad alcune rappresentazioni delle compagnie più prestigiose della scena internazionale. Un’occasione da non perdere per immergersi in una realtà artistica che, a scadenza biennale, viene a trovarci sulla porta di casa. Dal 24 aprile al 17 maggio prossimi, 39 teatri in tutta la Svizzera ospiteranno 12 compagnie che si esibiranno non solo in produzioni di consolidato successo, ma anche in coreografie inedite, create espressamente per il festival. Questo è il risultato del meticoloso lavoro di ricerca e di networking della direttrice artistica Isabella Spirig che, come di consueto, propone in esclusiva al pubblico svizzero diverse opere, nate da originali sinergie tra artisti di alto calibro. Lo scambio, esplorato in varie forme, è il fulcro tematico di quest’edizione di Steps. Exchange fa riferimento non solo allo scambio interculturale di artisti, cosmopoliti per professione, ma anche alla contaminazione di stili moderni e tradizione, quali il contemporaneo, l’hip-hop, l’afrodance, il tango argentino o la danza classica indiana. Nascono così coreografie uniche sotto

«Danza il mondo» è lo slogan della campagna pubblicitaria di Steps.

il profilo espressivo e scenico, le quali mostrano la cultura e il mondo da una nuova prospettiva, stimolando lo spettatore a riflettere in modo altrettanto nuovo sulla propria realtà culturale. Numerose sono anche le attività di mediazione della danza organizzate per avvicinare il pubblico a questa disciplina affascinante e complessa: master classes per danzatori professionisti, workshop e rappresentazioni

per studenti, e un simposio, a cui parteciperanno operatori culturali, coreografi, danzatori, critici e teorici della danza, che affronteranno il tema della «contemporaneità». Alcune rappresentazioni saranno inoltre precedute da presentazioni o seguite da dibattiti in cui interverranno gli artisti. Cinque compagnie faranno tappa in Ticino, presso il Teatro Dimitri, il Palazzo dei Congressi e il

Cinema Teatro di Chiasso. Debutterà a Lugano lo spettacolo Koukansuru, che in giapponese significa proprio «scambio», interpretato da due formazioni hip-hop giapponesi: Mortal Combat e Former Aktion e la crew francese Juste Debout. Seguirà a Verscio la prima internazionale di SAMA – I can try, un connubio insolito tra la tradizione della danza classica indiana, rappresentata dalla

ballerina Arushi Mugdal, e l’innovazione delle percussioni create appositamente per questa produzione dal musicista francese Roland Auzet. Danza Contemporánea de Cuba proporrà a Lugano uno spettacolo caratterizzato da ricercatezza tecnica ed estetica. I corpi perfetti di 21 ballerini interpreteranno tre coreografie incentrate su temi diversi: la passione, l’erotismo e la dolcezza, tratti distintivi della cultura cubana. La compagnia israeliana Inbal Pinto & Avshalom Pollak Dance Company sarà ospite a Chiasso con lo spettacolo per famiglie Goldfish. Ballerini e clown dai costumi variopinti reinterpreteranno scene di vita quotidiana in chiave umoristica e poetica e accompagneranno il pubblico in un viaggio nell’immaginario dalle infinite possibilità. Saranno i cigni neri di Dada Masilo a concludere a Lugano la tournée ticinese di Steps. La coreografa sudafricana rivisiterà il grande classico di Ciajkovskij tramite una fusione di stili quali l’afro dance, il ballroom e il modern, dando così vita a un’opera che rappresenta la realtà attuale del suo paese, a un manifesto per i diritti delle donne, degli omosessuali e di denuncia contro la povertà. Dove e quando

Le date e gli orari di tutti gli spettacoli in programma si trovano su www.steps.ch

«Se il pubblico si addormenta, allora ho sbagliato qualcosa» Abbiamo incontrato, Isabella Spirig, direttrice artistica di Steps, per approfondire alcuni aspetti organizzativi e contenutistici del Festival. Signora Spirig, il tema su cui verte l’edizione di quest’anno del festival è «Exchange». Che importanza assume lo scambio artistico nell’ambito della danza?

Danza significa scambio, infatti quanti sono i danzatori, tante sono le nazioni di provenienza. La danza è in sé «una globalità viva» che nasce dalla diversità, questa la ricchezza che funge da fonte di ispirazione. Quindi senza lo scambio la danza non esisterebbe. Un artista direbbe che grazie alla condivisione si impara, si cresce e si evolve; ciò è importante in tutti gli aspetti della vita, in questo senso la danza è davvero un esempio da seguire. Gli spettacoli di quest’edizione sono il frutto di collaborazioni tra artisti provenienti da Paesi diversi, che rappresentano stili di danza e forme artistiche differenti. Cosa contraddistingue questo sincretismo culturale?

Ogni produzione è contraddistinta da una forma di scambio, ma la più importante è senza dubbio quella tra

diversi ambienti culturali ed estrazioni sociali. La maggior parte di questi artisti ha vissuto il multiculturalismo perché immigrati. Per esempio, il coreografo Sidi Larbi Cherkaoui, di origini marocchine ma cresciuto in Belgio, è stato fortemente influenzato sia dalla tradizione della sua terra d’origine, sia dallo stile del Paese d’adozione. Dada Masilo invece è cresciuta in condizioni molto povere nel Sudafrica dell’apartheid. Affascinata da Michael Jackson e quindi dalla cultura pop, ha deciso di intraprendere la carriera di ballerina. Entrata poi in contatto con la cultura classica «dei bianchi», ha avuto l’occasione di vedere il Lago dei cigni e ne è rimasta colpita. Ha avuto la fortuna di ricevere un sostegno per poter seguire una formazione classica, ma le sue fonti di ispirazione sono molteplici, da questo melting pot socio-culturale è nata la rivisitazione de Il lago dei cigni. La Svizzera è rappresentata da due ensemble: il Ballet du Grand Théâtre di Ginevra e il Ballett Zürich. Il termine «balletto» fa pensare però a una forma classica della danza. Come si inseriscono le loro produzioni nel contesto di un

festival di danza contemporanea?

Un’altra forma di scambio che caratterizza questo festival è quella tra la scena istituzionale e quella indipendente. Siccome questi due ensemble svizzeri sono soliti collaborare con rinomati coreografi della scena indipendente, hanno destato il mio interesse. Ho deciso quindi di invitare giovani coreografi come Wayne McGregor, uno degli artisti più interessanti e innovativi a livello mondiale, un must della scena della danza contemporanea, per produrre ex-novo uno spettacolo con gli ensemble svizzeri. Queste produzioni, al termine del festival, rimarranno nel repertorio degli ensemble. Nel 1996 (5. edizione del festival) ha inserito nel programma delle rappresentazioni per le scuole. Quattro edizioni più tardi sono stati organizzati per la prima volta dei workshop di danza nelle scuole elementari e medie diretti da alcuni artisti. Steps pertanto non è esclusivamente un festival di rappresentazioni, che offre l’eccezionale opportunità di assistere a spettacoli di alto calibro, ma pratica anche molta mediazione della danza.

È importante che i bambini possano farsi un’idea di cosa significhi imparare fisicamente una piccola coreografia, prima di assistere alla rappresentazione e riconoscere così nel prodotto finale ciò che hanno sperimentato. Quest’anno circa 3’000 giovani seguiranno questi workshop: il nostro obiettivo è di suscitare il loro interesse e magari anche di stimolarli a seguire un corso. Non solo i ragazzi, ma anche i pedagoghi della danza e gli insegnanti delle scuole sono entusiasti di questi workshop, infatti la richiesta da parte degli istituti scolastici è molto alta e le rappresentazioni per gli allievi segnano il tutto esaurito. Passiamo ora al suo ruolo di direttrice artistica. Come procede nella scelta delle compagnie e degli spettacoli? Il processo di selezione è senza dubbio interessante e avvincente, ma si corre anche il rischio di fare delle scelte che non soddisfano il gusto del pubblico.

Un direttore artistico conosce la scena internazionale (tramite piattaforme, festival,… ), gli artisti, è ben informato sugli sviluppi in ambito della danza. I contatti sono fondamentali, perciò

anche qui entra in gioco lo scambio, infatti ognuno ha delle persone di fiducia a cui fare riferimento. Io opero in maniera molto istintiva, un insieme di fattori permette poi di effettuare le scelte. In primo luogo stabilisco il tema dell’edizione, di ampio respiro. Poi mi informo sulla disponibilità delle compagnie, sulla tempistica e sulla logistica (infrastruttura necessaria, dimensioni del palco, esigenze tecniche,…). Non da ultimo, valuto le richieste finanziarie. Si tratta soprattutto di una scelta artistica, ma solo se esistono tutti questi presupposti posso prendere in considerazione una collaborazione. Che obiettivi vuole raggiungere attraverso la sua programmazione? Educare il pubblico o piuttosto soddisfare le sue aspettative e i suoi desideri? O entrambe le cose?

L’obiettivo è sempre quello di entusiasmare il pubblico. Ciò che conta è riuscire a suscitare una reazione, qualsiasi essa sia: soddisfazione o rabbia, oppure curiosità, quando gli spettatori dopo la rappresentazione mi cercano per farmi delle domande. Se il pubblico si addormenta, allora sì che ho sbagliato qualcosa! Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 14 aprile 2014 ¶ N. 16

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Cultura e Spettacoli

Dietro le quinte Pubblicazioni Esce per i tipi di Sellerio un libro dedicato a uno

dei ristoranti più celebri del mondo, il parigino Chez Maxim’s Mariarosa Mancuso L’ultimo arrivato, tra il personale del Grand Budapest Hotel dove Wes Anderson ha ambientato il suo film, è il fattorino Zero Mustafà. Orfano di una guerra lontana, viene affidato per l’addestramento a monsieur Gustave, concierge con un occhio di riguardo per le clienti anziane e danarose. Fiero della sua nuova divisa color prugna, dei bottoni d’oro, dei baffi disegnati con la matita nera, si sente dare regole precise: anticipare le richieste degli ospiti, mimetizzarsi con le pareti, parlare solo se e quando viene interrogato. Sarà lui, tornato nel lussuoso albergo anni Trenta – siamo a Nebelsbad, cittadina termale nell’immaginaria repubblica di Zubrowska – a sgridare il biondino ancor più giovane che lo sostituisce: «Mai e poi mai dare informazioni sugli ospiti, tanto più che i fattorini non hanno diritto di parola». La gerarchia è rigidissima e si ripropone anche a tavola (mentre Monsieur Gustave motiva il personale, diremmo oggi, e legge poesie romantiche). Lo stesso accadeva nella serie tv Downton Abbey: gli ospiti arrivano per il fine settimana con valletti e cameriere personali, prima di pranzo si discute per i posti a tavola. Ispirato all’autobiografia Il mondo di ieri e ai racconti di Stefan Zweig, Zero Mustafà è un personaggio di fantasia. Ricorda certi film di Ernst Lubitsch, attento osservatore dei servi e dei padroni. Uno dei suoi film muti, Palazzo della scarpa Pinkus, raccon-

ta la folgorante carriera di un giovane commesso che fa solletico ai piedini delle clienti ( prima però ha cambiato i numeri sulle scatole, facendo provare il 40 alle signore che hanno chiesto un 36: funziona a meraviglia). In Angelo, con Marlene Dietrich, la servitù capisce dai piatti che tornano in cucina l’umore dei commensali: il marito tradito ha mangiato tutta la cotoletta, la moglie fedifraga l’ha lasciata nel piatto, l’amico del marito e amante di lei ha tagliato la carne a pezzetti senza assaggiarne un boccone. Tutto vero, nei limiti di un’autobiografia che qualche abbellimento narcisistico comunque lo comporta, è invece Chez Maxim’s – Ricordi di un fattorino. Scritto da José Roman, che vide la fondazione del locale e ci lavorò per un paio di decenni, ebbe un editor eccezionale che si chiamava Raymond Queneau (esce da Sellerio, il lavoro di riscrittura è testimoniato da due lettere conservate alla Bibliothèque nationale di Parigi). Il fattorino era di origine spagnola, conosceva soprattutto il francese parlato: lo scrittore degli Esercizi di stile e di Zazie nel metrò aveva il profilo adatto per assumersi l’incarico. I fattorini di Chez Maxim’s sono i migliori del mondo, garantisce José Roman. Per cominciare, devono sistemare gli abiti degli illustri e danarosi ospiti al guardaroba. E devono restituirli senza il bene del numeretto, ricordando tutto a memoria: pellicce, cappelli, nomi e titoli della clientela. Le celebrità del tempo si rivolgeva-

no ai fattorini del locale – inaugurato nel 1893 – per le imprese impossibili: procurare biglietti per l’Opéra quando davano il «tutto esaurito» prenotare treni o vagoni letto all’ultimo minuto, fare da intermediari in delicate faccende d’amore, perlopiù mercenario (spesso le cortigiane si comportavano da stalker, se non erano soddisfatte delle condizioni di lavoro e della liquidazione). Capitava perfino che i più esperti – la squadra era composta di sei adulti e due ragazzi – dessero consigli sui prestiti: «quel tale è affidabile, con quell’altro puoi dire addio al tuo denaro». In tutto, il fattorinaggio era affidato a una squadra di sei uomini e due ragazzi. Nel film di Wes Anderson troviamo invece una rete segreta di portieri d’albergo, «La Società delle Chiavi Incrociate»: quando monsieur Gustave e Zero si trovano in difficoltà, una serie di telefonate da un capo all’altro del mondo risolve la faccenda. Monsieur Gustave ha un debole per la pasticceria Mendl’s, specialità «Courtesan au chocolat» (un triplo bigné, con glassa di vari colori). Da «Chez Maxim’s» si trovavano donne nude sdraiate sui tavoli e champagne a fiumi, non tutto pagato al momento della consumazione. Molti clienti aristocratici e spiantati lasciavano conti chilometrici (come diceva un Rothschild: «già è seccante non avere denaro, se poi uno deve privarsi anche del piacere di spenderlo…»). Si trovava la tarte Tatin, grazie allo spionaggio industriale per carpire il segreto alle sorelle che l’avevano inven-

Rose Kennedy e Aristotele Onassis all’uscita da Maxim’s nel 1973. (Keystone)

tata: è la torta di mele al caramello che si mette in forno a rovescio, con la pasta sfoglia in cima, e poi si gira. Molti gli aneddoti, di prima mano. Cocaina nelle toilettes, un po’ di fastidio verso i «Ricchi insolenti e comunisti mondani» (hanno un capitolo tutto

per loro) e guerre tra dame. La Bella Otero si presentò una volta carica di diamanti, la rivale arrivò con un semplice abito nero. Accanto aveva una donna bruttina e carica di ori: «Ecco la mia cameriera, le faccio portare le mie valigie e i miei gioielli». Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Il cofanetto di Vals

Meridiani e paralleli Una collezione di versi con un comun

denominatore, l’appartenenza nazionale

Giovanni Orelli Tra le recenti cose pubblicate da Vals (Vals è abbreviazione affettuosa per Mauro Valsangiacomo, coraggioso e infaticabile editore ticinese: «alla chiara fonte», Viganello, con l’aiuto prima di tutto della moglie, poi di alcuni sostenitori) merita un elogio particolare un cofanetto-cubo, di 17-18 cm. di lato che contiene 27, se ho contato giusto, 27 volumetti dedicati a una Sammlung der schweizer Poesie, Collection de Poésie suisse, Raccolta della poesia svizzera, Racolta da la poesia svizra (ma perché della e non il più corretto di ?) 2013. L’accento cade un po’ sull’aggettivo svizzera, ma non già per dire che la «svizzerità» di una poesia (gli autori del cofanetto Vals hanno tutti passaporto svizzero) aggiunga (o tolga) valore a quella poesia: la poesia è altra cosa, è una spedizione alla ricerca, a volte dura, difficile, scomoda, a volte molto «divertente», di una verità. Una poesia riuscita bene è una «visitazione». Anche qui Gianfranco Contini dice cose memorabili. Una sua intervistatrice, la Ludovica Ripa di Meana, nella splendida «intervista», Mondadori, 1989, p. 222, dice al maggior critico del Novecento letterario italiano, Gianfranco Contini: «Io conosco una donna di sessant’anni, che lavora in casa, molto buona e molto intelligente, che ha fatto la terza elementare… Le è capitato una volta di ascoltare il canto di Ulisse. Io l’ho vista: si è fermata e tremava. Perché?».

Risponde il Contini: Era impregiudicata (non aveva pregiudizi), e si è verificata una ipotesi rarissima a realizzarsi: un’anima del tutto ingenua e disponibile, che è colpita dalla visitazione. Questo è un episodio che mi commuove molto, e la invidio di averci assistito. E mi pare che questo corrisponda perfettamente alla natura di Dante, alla natura onnipenetrante, penetrante di tutte le realtà e di tutte le realtà psicologiche. Ha una universalità che rompe gli schemi, e soprattutto gli schemi della letteratura non-popolare. Dante era un autore fondamentalmente popolare, e dovrebbe tornare a essere un autore popolare. L’Italia si arricchirebbe moltissimo se, trascurando valori secondari, potesse vantare un Dante popolare. Parole sacrosante. Ma veniamo, per modo di dire, ai 27 belli e utili e giovevoli (vorrei divenissero giovevoli), alla Svizzera. I 27 sanno bene, a cominciare da Aurelio Buletti, che qui rappresenta molto bene il Ticino in questo contesto svizzero, e credo di poter dire che il Buletti è il più allegramente, umanamente simpatico degli autori ticinesi (è più che doveroso aggiungere che molti, gli esordienti soprattutto, non li conosco). Ecco due testi suoi, tolti dal volumetto Sia reso grazie : 1. In risposta a un giovane poeta: «La Metrica, anche lei,/ frequenta i bar e le pasticcerie: / vecchia signora, si mantiene bene, / persino si permette / qualche osé, qualche olé, qualche brisé:

/ i giovani baristi ne sorridono, / ma benevoli e miti». 2. Rendiconto: «I poeti operosi, anche oggi, / di nuovo, hanno cercato / di dire l’indicibile: / i più / a sera sono ancora quasi muti, / contano sulle dita / scarse sillabe, schegge». C’è poi Markus Hediger, nato a Zurigo nel 1959, plurilingue, con predilezione per il francese. Uscirà una traduzione di sue poesie presso un’altra coraggiosa e ammirevole casa editrice ticinese, quella dell’Ulivo di Balerna, animata da Alda Bernasconi. Ecco qui una provvisoria traduzione mia da un testo, p. 15, del suo Pour que quelqu’un de vous se souvienne: «Ma così vecchio è già, così vecchio, il padre mio. / Ecco! di giorno in giorno sopra il volto suo / si intravedono, più chiare, in trasparenza, / il mento, bocca e naso a punta, tutto sua madre / che risuscita lei e suoi occhi come assenti./ Così carico d’anni, così vecchio, è il padre mio». Ma non posso dar conto in una noticina letteraria (mica siamo alle pagine sportive!) di 27 autori. Solo ancora pochi nomi, scelti quasi a caso. Per esempio la Sibylle Omlin, di Zugo, che non conoscevo, è stata qui scelta perché gli autori hanno sulla copertina di «alla chiara fonte» (stampatrice è la Società d’arti grafiche già Veladini, Lugano), un disegno o un «quadro» di pittore svizzero. Per la Omlin è la lucernese Marie-Theres Amici, il disegno della quale, Bleistift auf Papier, 2007, a me piace assaissimo. La sangallese Praxedis Kaspar –

Il cofanetto dedicato a Roman Signer.

dopo Alessandro Manzoni credo che il nome Prassede in italiano non si utilizzi più: facciamo festa a Praxedis Kaspar e al suo Palimpsest. E almeno l’inizio del suo Abschied ist oft: «L’addio è spesso / da voi a noi / mio da voi / da me a me / dal tu a te…», che può sembrare ovvio, non sarebbe male se qualche maestro delle elementari lo usasse quando arrivate alla scalata delle montagne preposizioni semplici o pronomi personali. Non posso lasciar fuori da questo elenco lacunoso (ma forse uno, proprio perché lacunoso, opta per lo star fuori) uno come Christoph Ferber, che da tempo vive in Sicilia ed è tra i più validi e convinti difensori della civiltà italica nel mondo (svizzero)-tedesco d’oggi, con attenzione particolare alla Svizze-

ra italiana. Nel libretto a lui dedicato in questo cofanetto è stato fatto posto a sue traduzioni da Bertolucci, Sinisgalli e Sereni. Un leggero rimprovero all’editore. Bisognava dare qualche indicazione in più al lettore. Un esempio: dire che la poesia di p. 31, di Vittorio Sereni che in tedesco (Ferber) suona Angst, auf eine andere Art, nell’originale di Sereni è Paura seconda, p. 268 di Tutte le poesie, Milano, Mondadori, 1986. Come fa uno a trovarla? È tempo perso o tempo trovato? Mah! Non ho detto nulla dei dialettali svizzero-tedeschi perché non ho capito nulla. Ma il dialetto di un Rolf Zumbühl è, per fare un esempio, attraente non fosse che per il cumulo (ossessivo?) di consonanti in una parola (Angschd, tropfd,…) . Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Vento fresco da nord Cinema Non solo Lars Von Trier: il nuovo

cinema scandinavo riserva continue, entusiasmanti sorprese

Nicola Falcinella I capolavori spirituali di Ingmar Bergman e, prima, di Theodor Dreyer, l’ironia amara e poetica di Aki Kaurismaki, la rivoluzione del Dogma ’95, il genio folle di Lars Von Trier, i drammi familiari e l’ultima onda di gialli e polizieschi. Il cinema nordico è da sempre ricco di autori originali e di generi ben definiti; negli ultimi decenni la sua presenza sul mercato internazionale si è fatta più consistente e articolata. Tra i suoi filoni più floridi c’è quello dell’umorismo nero, tra commedie macabre e noir ironici, che vive un bel momento. Negli anni 2000 la tendenza si è rafforzata, con tanti titoli interessanti, che raramente arrivano nelle nostre sale se non in occasione dei festival. L’ironia amara, amarissima, è una delle caratteristiche del finlandese Aki Kaurismaki, tra i grandi del cinema contemporaneo da Leningrad Cowboys o Ho affittato un killer a Nuvole in viaggio o Le Havre. Anche il danese Lars von Trier, pur conosciuto per i grandi drammi alla Dogville o Le onde del destino o Melancholia, non disdegna il genere reinventato (il musical Dancer In The Dark) e ha un’ironia pungente che esce in commedie come Il grande capo o prepotente in un episodio del

recentissimo Nymphomaniac Volume I con una travolgente Uma Thurman moglie tradita che si vendica. Una pellicola presentata al Festival di Berlino insieme a due opere appartenenti al filone di cui sopra. In concorso, ma senza premi, c’era il norvegese In Order Of Disappearance di Hans Petter Moland, regista il che di umorismo nero aveva già intriso A Somewhat Gentle Man (2010). Nils, conducente di spazzaneve appena insignito del titolo di «cittadino dell’anno», apprende che il figlio è morto per overdose. In realtà il giovane, che lavorava in aeroporto, si è trovato per sbaglio sulla strada di un trafficante di droga senza scrupoli. Da uomo probo, Nils (Stellan Skarsgard) si trasforma in un vendicatore. Il conto dei morti è lungo tra le risate degli spettatori per omicidi fantasiosi e inseguimenti sulla neve. Scorretto e ilare è lo svedese Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve di Felix Herngren, dal libro altrettanto spassoso di Jonas Jonasson. Un centenario con la passione per gli esplosivi rivede la propria vita mentre affronta un’avventura piena di imprevisti. Rinchiuso in una casa di riposo dopo essersi vendicato della volpe che aveva ucciso l’adorato gatto Molotov, l’uomo fugge mentre l’infermiera sta mettendo le cento candeline sulla tor-

Il cast de Le mele di Adamo di Anders Thomas Jensen.

ta. Alla stazione dei bus si imbatte in un motociclista che gli affida una valigia. Dentro ci sono 50 milioni e per questo il giovane, un corriere al servizio di un’organizzazione con un capo a Bali, insegue il centenario. Ritmo, colpi di scena, umorismo cinico e macabro, lo rendono un film irresistibile. Norvegia e Islanda, sono i Paesi nei quali questo modo ridere al cinema si è affinato e alcuni film sono passati anche da Locarno. Come l’islandese King’s Road di Valdis Oskarsdottir, in Piazza Grande nel 2010, con tanti personaggi bizzarri come una nonna che va in giro con una foca al guinzaglio. «Locarnese» è anche il Baltasar Kormakur di 101 Reykjavik e il poliziesco con risate Cani sciolti dello scorso anno. Il recente Of Horses And Men di Benedikt Erlingsson unisce romanticismo e grottesco nel rapporto tra uomini e cavalli, tra fantini gelosi di uno stallone e ubriacature mortali. Ami-

cizia al maschile per due operai che lavorano su strade deserte in Either Ways di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, che ha avuto un remake americano, Prince Avalanche di David Gordon Green con Emile Hirsch. Da menzionare il capofila Fridrik Thor Fridriksson (Children of Nature, già nominato all’Oscar, o Angels of the Universe) e Dagur Kári di Nòi albinòi. Tra i norvegesi spicca Bent Hamer, autore di Kitchen Stories (2003), Il mondo di Horten (2007) e Tornando a casa per Natale (2010), con ironia che va dal tenero al corrosivo. Ancora la commedia sul curling King Curling (2011) di Ole Endresen, l’on the road sulle nevi Nord (2009) di Rune Denstad Langlo ed Elling (2002) di Petter Naess. La Svezia ha dato i natali a Lasse Hallström che da molti anni lavora a Hollywood (Chocolat, Casanova), all’eclettico Tomas Alfredson (prima dell’horror Lasciami entrare e dello spionaggio elegante de La talpa ha realizzato alcune

commedie) e a Roy Andersson, grande autore (You, The Living) dal tono paradossale e grottesco pur nel dramma. Abbastanza noto è Lukas Moodysson per Fucking Amal (due ragazze teenager alle prese con l’amore e la vita di provincia) e Together (l’essere bambini in una caotica comune degli anni ’70), ma anche, con le contraddizioni dell’emigrazione e i conflitti padri-figli di Jalla! Jalla! (2000), Josef Fares, di origine libanese. L’humor graffiante è nelle corde dei danesi Anders Thomas Jensen (Le mele di Adamo), Soren Kragh-Jacobsen (Mifune, 1999), Lone Scherfig (Italiano per principianti, 2000). E divertente e scorretto è Klown del danese Mikkel Norgaard che era a Locarno l’anno scorso con l’intenso thriller The Keeper of Lost Causes. Infine Rare Exports del finlandese Jalmari Helander è il Babbo Natale sopra le righe e dissacratore che ha vinto il Variety Award in Piazza Grande 2010. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Johnny Cash è vivo, Progressi e ritorni e soprattutto, canta della canzone italiana CD 1 Il ritorno dell’Uomo in Nero: un

CD 2 Brunori SAS e Le luci della centrale

contrari a operazioni di questo tipo, è innegabile come, sul mercato discografico internazionale, il fascino del cosiddetto «inedito appena riscoperto» giochi spesso un ruolo cruciale per il pubblico delle grandi star prematuramente scomparse. Tuttavia, sarebbe più che legittimo guardare con scetticismo agli album postumi, dato che la continua tendenza degli eredi a stanare e pubblicare registrazioni secondarie e di scarsa importanza – o materiale che l’artista deceduto non aveva certo alcuna intenzione di diffondere – ha dato vita a diversi prodotti di dubbia qualità, oltreché dall’incerto senso etico. Fortunatamente, non è questo il caso della nuova opera a firma Johnny Cash: una vera e propria sorpresa, giunta quando nessuno ormai si aspettava più un album di inediti del grande Man in Black. In effetti, Out Among the Stars è il frutto dell’inaspettata riscoperta di ben dodici tracce incise tra il 1981 e il 1984 a Nashville, patria per eccellenza della musica country; ma la cosa che differenzia quest’album dalla stragrande maggioranza dei prodotti postumi a cui siamo ormai abituati, è il fatto che queste registrazioni non sono affatto brani di scarto o demo (né, tantomeno, outtakes o versioni alternative di pezzi già conosciuti), bensì canzoni già elaborate nella loro forma definitiva, inspiegabilmente rifiutate dalla Columbia Records e perciò dimenticate negli archivi della casa discografica nei lunghi anni in cui gli ultimi lavori di Cash venivano pubblicati. Scoperto solo nel 2012 da John Carter Cash (figlio di Johnny e June Carter), durante la catalogazione dell’opera dei genitori, questo materiale viene finalmente reso disponibile sul mercato, per la gioia dei moltissimi fan di una delle più grandi voci americane del secolo appena trascorso; e, per una volta tanto, una simile operazione di recupero assume un valido senso filologico, giacché la coerenza riscontrabile tra le tracce dell’album – segnale dell’evidente appartenenza dei brani a un unico e definito corpus creativo – legittima la

Cash che rivive in queste registrazioni appare ben diverso dal performer crudo e dolente del tempo degli American Recordings, gli ultimi lavori incisi poco prima della morte: l’interprete di Out Among the Stars mostra infatti una voce scoppiettante e una forma perfetta, ed è ancora spontaneamente divertito dal fare musica, al punto che nella tracklist troviamo anche una chicca per collezionisti come I’m Movin’On, breve ma gradevolissimo duetto con l’illustre Waylon Jennings. Certo, questo non significa che tutte le tracce di questo lavoro possano considerarsi memorabili; tuttavia, la purezza musicale e vocale che ha reso Cash il più grande countryman del suo tempo si ritrova fin dalla title track iniziale. Tra i brani più riusciti, troviamo poi la robusta She Used to Love Me a Lot, una classica ballata di amore perduto e ritrovato, in cui la voce di Johnny si muove sull’immancabile quanto gradevole contrappunto di chitarre slide e cori femminili; mentre i duetti con la moglie June – lo scoppiettante Baby Ride Easy e il più struggente Don’t You Think It’s Come Our Time – brillano per la delicatezza ed eleganza che pervadono l’unione di due voci così diverse, eppure perfettamente complementari. Una forma di fine sensibilità che si ritrova anche nei lenti, su tutti la ballata strappalacrime After All e la quasi mistica I Came to Believe. Ma tra i molteplici registri narrativi offerti dall’album brilla anche il pungente e spassoso sarcasmo dell’orecchiabile If I Told You Who It Was, brano giocato sull’inconfondibile recitativo che caratterizzava lo stile del Cash più caustico e ironico – stile di cui abbiamo un’ulteriore dimostrazione con I Drove Her Out of My Mind. Infine, a chiudere una simile raccolta non poteva mancare una sorprendente bonus track finale: nientemeno che un surreale remix a opera di Elvis Costello, che infonde She Used to Love Me a Lot di suoni cupi e inquieti, quasi in un tentativo di tornare alle atmosfere più «dark» dei tempi di American Recordings.

un artista – per affermare la propria cifra poetica e per tracciare una linea di produzione coerente – debba in qualche modo fare delle opere che sempre un po’ si assomigliano tra loro. O se al contrario deve rifuggire la ripetizione, a costo di essere meno prolifico, per offrire delle opere che siano invece sempre diverse e inventivamente originali. Lungi dal voler tratteggiare un quadro della creatività fatto di soli bianchi o di soli neri esistono forse delle possibilità intermedie, dove l’opera nuova non è troppo simile alla precedente ma nemmeno troppo diversa, ma capita altresì spesso – soprattutto nella produzione musicale di tipo popular, che soggiace ad insopprimibili esigenze di mercato e di presenza mediatica continuativa – che ci si trovi a chiedersi «ma questo nuovissimo disco non è la copia di quello che abbiamo sentito appena un anno e mezzo fa? Il musicista non avrebbe fatto meglio a prendersi una pausa un po’ più lunga e creare qualcosa di veramente nuovo?». Legittimi dubbi che puntualmente attraversano alcune delle più recenti – nonché delle più attese – produzioni discografiche della musica indipendente italiana. Le luci della centrale elettrica – Canzoni contro la natura Poco oltre la metà degli «anni zero» Le luci della centrale elettrica – ovvero la denominazione scelta dal ferrarese Vasco Brondi per il proprio progetto musicale – hanno attraversato il cielo della musica italiana come fulgida stella polare, una stella che tutti han dovuto vedere e da cui molti si sono lasciati incantare: non si era mai sentito niente di simile nel mondo della canzone, e tantomeno per un esordio discografico. A distanza di sette anni e di cinque dischi le impressioni non sono – purtroppo – più le stesse. Proprio perché Vasco Brondi assomiglia sempre e troppo a sé stesso, riaffermando continuamente il proprio quid stilistico fatto di schitarrate, melodie cantilenanti e simil-citazioni dalla vita quotidiana e dai modelli

Dario Brunori è stato invece un po’ più parco. Nel senso che dal 2009 – e contando il presente Vol. 3 – sono solo tre gli album pubblicati. Per pura aritmetica artistica ci si potrebbe quindi attendere una maggiore integrazione di innovatività nella continuità rispetto alle Luci della centrale elettrica, e quindi desiderare un equilibrio più giusto tra il nuovo ed il vecchio. Ed effettivamente è così, senza che per questo i nudi e crudi dell’indie italiano abbiano atteso un solo istante prima di scaraventarsi contro l’autore, con accuse di inutile clonazione di Rino Gaetano (di cui Brunori è conterraneo ed effettivamente echeggia, senza strafare, alcuni aspetti), di superficialità nell’ideazione dei testi, di ammiccamenti pop mascherati da indipendenza fasulla. Forse è tutto vero, ma c’è un punto preciso – poco dopo la metà dell’ottava traccia, Nessuno – che crea una breccia nella percezione, che fa tendere l’orecchio per la sorpresa del nuovo. Quando gli allegri cori del pezzo cominciano a sporcarsi di sassofono turbinante, si gonfiano di riverberi psichedelici, sospendono la struttura della canzone verso un desiderabile altrove.

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Jazz in Bess, Lugano Lunedì 28 aprile 2014, 21.00

Chiassoletteraria Festival di letteratura Cinema Teatro, Chiasso Giovedì 1 maggio 2014, 17.00

Steps 2014 Festival della danza Teatro Dimitri, Verscio Venerdì 2 maggio 2014, 20.30

Ches Smith & These Arches

La vita agra di Luciano Bianciardi

SAMA - I can try

Una collaborazione RSI Rete Due e Associazione Jazzy Jams. Ches Smith, batteria Tony Malaby, sax tenore Tim Berne, sax alto Mary Halvorson, chitarra Andrea Parkins, fisarmonica

Lettura drammatizzata del romanzo. Un progetto di Valentina Bartolo; regia di Giacomo Bisordi; con Valentina Bartolo, Fausto Cabra, Silvia Grande, Alberto Onofrietti, Francesco Sferrazza Papa, Giulia Valenti. Adattamento a cura di Fausto Cabra e Francesco Sferrazza Papa. Produzione: ChiassoLetteraria.

In India Arushi Mudgal è considerata una rappresentante di spicco della tradizionale danza Odissi. Insieme al compositore e percussionista francese Roland Auzet si inoltra nel mondo inesplorato della musica per percussioni europea.

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Massoneria, un soffio di poesia

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Visti in tivù elettrica alla prova del nuovo album sorprendente album inedito di Johnny Cash Stefano Bisi ospite riaccende l’entusiasmo per il mai dimenticato della Gruber in cantautorali. Ecco quindi un «cerco un eroe del country USA Zeno Gabaglio centro di gravità almeno momentanea» una puntata di Crescere e cambiare oppure citare con- nella prima traccia del nuovo disco, La pubblicazione del disco. Non soltan- tinuamente sé stessi? Questo è l’infinito Terra, l’Emilia, la Luna, che per sound Otto e mezzo da Benedicta Froelich to perché alcuni dei pezzi sono firmati dilemma che attraversa la produzione ed invenzione avrebbe potuto tranquil- incorniciare Per quanto si possa essere per principio dallo stesso Johnny, ma anche perché il artistica, in base al quale ci si chiede se lamente appartenere già all’album d’e-

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Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

sordio. Negli altri pezzi di Costellazioni qualcosa in più sembra muoversi, ma ancora decisamente troppo poco per far pensare ad una vera novità artistica. Dario Brunori – Vol. 3 – Il cammino di Santiago in taxi Con il proprio progetto Brunori SAS,

Antonella Rainoldi «Se gli affiliati negli ultimi anni sono passati da 9 mila a 22 mila è perché in Italia c’è sempre più bisogno di dialogare. Come si dialoga nelle nostre logge? Parla uno alla volta, e gli altri ascoltano. Dov’è un luogo in cui si adotta questo metodo di dialogo? Nei partiti? Nelle associazioni culturali? Purtroppo no». Con queste parole Stefano Bisi si è congedato da Lilli Gruber, al termine di una puntata di Otto e mezzo a dir poco comica, involontariamente comica (La7, lunedì, ore 20.30). Non abbiamo mai riso tanto come con Bisi. Cinquantaseienne, senese, giornalista, Bisi è appena stato nominato Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia ed era lì, nel salotto di Lilli, in compagnia di Roberto d’Agostino, a raccontare la sua storia ma soprattutto a esaltare la massoneria, di cui fa parte da più di trent’anni. Che cos’è la massoneria se non un soffio di poesia? Siccome il luogo comune di stampo complottista è fatto apposta per essere smentito, Bisi smentisce con decisione, dando vita al ritratto di un potere ideale. La massoneria non regola le carriere, non distribuisce poltrone, non ha voce in capitolo sulle cariche pubbliche di cui tanto si discute in questi giorni a Roma (siamo nella Capitale per un dibattito sulle serie tv), ma si batte per difendere i valori fondamentali come il rispetto e la dignità delle persone. Sì, la P2 del Venerabile Licio Gelli era un’organizzazione criminale,

Bisi, Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia.

una loggia coperta, ma da anni ormai è stata tracciata una linea di demarcazione con il passato. Il Grande Oriente ha intensificato i controlli, e pazienza se ricopre nello stesso tempo il ruolo di controllore e di controllato. Che cos’è la massoneria se non un soffio di poesia? Lilli sollecita Bisi sul fine ultimo della comunione e lui risponde: «Migliorare noi stessi, e migliorando noi stessi possiamo migliorare l’umanità. La massoneria è una palestra di laicità, un luogo di confronto tra persone che hanno idee diverse, inclinazioni culturali diverse, fedi religiose diverse». Per questo non riesce a capacitarsi di come il filosofo Norberto Bobbio, in un articolo apparso nel 1992 su «La Stampa», possa essersi abbandonato alla triste espressione «la democrazia è incompatibile con un potere invisibile come la massoneria». Nella sua qualità di Gran Maestro impegnato a svolgere questo secondo lavoro, molto spirituale, Bisi non riceve uno stipendio, ma solo un misero emolumento di 129 mila euro lordi all’anno. Identità degli affiliati a parte, il mistero è svelato. Che cos’è la massoneria se non un soffio di poesia?


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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta La mamma e la sua figlia-bambina Di tutte le possibili combinazioni di coppie a passeggio per le vie del centro cittadino, la più frequente nel tardo pomeriggio è quella composta da madre e figlia in giro per vetrine e negozi. Più sono avanti negli anni e più si assomigliano, anche se la figlia è una spanna più alta della madre. La figlia parla, la madre tace ma l’espressione del suo viso fa capire che non sta ascoltando. La madre indossa un soprabito color topo morto e rovesciata sulla testa ha una ciotola dello stesso colore. È appesa al braccio della figlia che fa il passo e indossa gonne scozzesi, maglie sformate e stivali. E parla. La madre è il ritratto della santa sopportazione, la figlia porta sul viso le stimmate della tensione e dello scontento in servizio permanente. Anche in casa la madre parla poco, si limita a dire alla figlia, quando lei annuncia la sua intenzione di uscire dopo cena: «Vai pure, divertiti e torna quando ti pare. Tanto lo sai, io non mi addormento finché non ti sento tornare».

Alle sue amiche la madre confida che è contenta quando la figlia manifesta l’intenzione di trascorrere il week end a sciare: «Lavora tutta la settimana, è ancora giovane, è giusto che si goda la vita, anche se io alla sua età avevo già un marito e una figlia da accudire». Non è colpa di nessuno se poi all’alba del sabato la madre, mentre la figlia, indossando abiti e scarponi da montagna, è già sull’uscio di casa, le chiede un ultimo favore, portarle un termometro perché ha l’impressione di sentire dei brividi: «Sono solo 39 gradi, ma tu va pure, non ti preoccupare, se ho bisogno di qualcosa lo chiedo alla portinaia». Pazienza se la figlia ha comprato e pagato su Internet soggiorno e skipass con lo sconto e perciò non rimborsabili. Ammalarsi quando una persona cara si allontana è una prova d’affetto. Così come è una prova d’affetto informarsi dalla figlia come mai ha tardato tanto a tornare a casa dopo l’ufficio, chiedere chi ha visto, in compagnia di chi è stata. La figlia, ingrata, sbuffa: «È un

nero con riflessi bluastri. La mamma non dice niente ma l’espressione del suo viso è il riassunto delle puntate precedenti di una telenovela sull’ingratitudine dei figli. Un altro giorno la figlia si lascia plagiare da una collega ed inizia una cura dimagrante che farà miracoli. La mamma non può assistere senza reagire a quella progressiva autodistruzione; prepara la sua famosa panna cotta, ne fa al Grand Marnier, al cacao, alla fragola, alla nocciola, tante invitanti ciotole da 10 mila calorie l’una sparse nel frigo. Voglio proprio vedere se la figlia, quando rientra a mezzanotte, dopo aver visto il film in lingua originale per tenersi in esercizio con l’inglese e apre il frigo per prelevare il suo intruglio dimagrante, saprà resistere alla tentazione! Due colleghe della figlia progettano per le prossime vacanze un viaggio in Nepal e le hanno proposto di unirsi a loro. La mamma non ha detto niente, si limita a ritagliare articoli sugli incidenti capitati in alta montagna. Se almeno

fosse capace di trovarsi un fidanzato! O se, quando lo trova, sapesse tenerselo! Povera figlia, per lei, quando si innamora, vanno bene tutti. Per fortuna la mamma, quando la figlia li invita a cena per la prima volta, scopre tutti i loro difetti e glieli fa notare. «Se ti piace prendilo, anche se ha l’alito cattivo, i denti storti, i piedi piatti, la risata sgangherata, i peli nelle orecchie, la forfora, ha chiesto uno stuzzicadenti e l’ha usato, sbaglia i congiuntivi, porta i calzini corti, ha i polsini della camicia lisi e il cerume nelle orecchie. Ma che almeno tu conosca pregi e difetti dell’articolo che ti metti in casa, prima che sia troppo tardi per fare cambio merce». Non è colpa della madre se, dopo queste innocenti osservazioni, l’aspirante fidanzato sparisce dall’orizzonte. È inutile, la madre deve rassegnarsi. La figlia può aver superato i quarant’anni, dirigere un ufficio o una scuola, ma in certe cose è rimasta proprio una bambina.

umano ha bisogno di sodio per funzionare correttamente. Il sodio infatti contribuisce a regolare la pressione e il volume sanguigni, l’equilibrio di altri fluidi presenti nell’organismo e favorisce il corretto funzionamento di nervi e muscoli. Tuttavia, il corpo, per funzionare propriamente, necessita di una quantità giornaliera di sodio che varia dai 180 mg ai 500 mg. Vale a dire meno di un quarto di cucchiaino di sale. Solo il 6% circa dell’apporto quotidiano di sodio proviene dal sale aggiunto alle pietanze mentre si è a tavola. Un altro 5% proviene dal sale aggiunto agli alimenti durante la cottura. Il rimanente 77% circa deriva dai cibi lavorati. Nei testi di medicina non si fa riferimento al sodio contenuto nell’acqua minerale, si invita invece a fuggire i prodotti preconfezionati, dai sughi alle merendine, dalle zuppe ai risotti, perché tutti contengono sodio pari a diversi cucchiaini di sale. E l’acqua? Poveretta, l’acqua, se anche

contenesse sodio all’1%, ci darebbe sodio pari a 1 grammo ogni duecento bottigliette da mezzo litro. Se anche siete rispettosi della regole dei due litri al giorno di acqua, rischiate di avere un grammo di sodio circa ogni due mesi. Che dite, potremo farcela? Sopravviveremo? È curiosa questa corsa al less is more. Anche in pasticceria sono di gran moda i cup cakes, che sono belli da vedere piuttosto che buoni da mangiare. Sempre più ragazze brindano con penitenziale succo di carota. Forse è l’estrema reazione al veteroconsumismo. O forse è una ancor più raffinata forma di consumismo: da una parte, riprendendo tematiche care agli Stoici e agli Epicurei di tutte le epoche, si affina il consumo. Si cerca di mangiare e bere il minimo indispensabile per vivere, tanto da non dover subire l’attrazione un po’ animale (dionisiaca, direbbe Nietzsche) per il godimento dei sensi. D’altro lato, i sensi sono sublimati da un gusto non generico,

non dal tanto ma dal «che cosa», che per necessità sarà poco. Fragoline di bosco, pane fatto in casa, tè verde allo zenzero. Bistecchine di soia senza condimenti, grassi per definizione. E pensare che ormai quasi nessuno ritiene percorribili le vie dei digiuni quaresimali, o di altri periodi dell’anno secondo le diverse religioni. Come si fa, ci si domanda, la vita va avanti, si deve lavorare, ci si deve sostenere. Bando al digiuno, ci si butti piuttosto con poco filosofica passione a divorare verdure crude che conoscono l’olio solo perché l’hanno visto passare in tavola, gallette di cereali, meglio ancora si saccheggino i negozi gluten-free. Sono per malati di celiachìa? Che importa se il glutine ai sani fa bene, almeno in quelle vetrine troverò solo prodotti con un less garantito, sano o insano che sia, che poi quale sarà la vera salute, chi sono io per giudicare, lasciamo che il mio karma si plachi nel gustare fagioli bolliti. Senza sale.

a difendere la porta della Nazionale azzurra? Perché non ha il fisico? E perché mai allora un calciatore dovrebbe avere il fisico per l’attività pubblica? Siamo seri. Come può dunque Tardelli darsi alla politica a cuor leggero? Può eccome, se è vero che persino Iva Zanicchi, nel 2008, è stata eletta eurodeputata a Bruxelles, pur senza lasciarvi tracce memorabili (2 alla eurodeputata, 4– alla cantante). Dunque, perché no? Del resto, viviamo nell’epoca del dilettantismo: da anni gli industriali sono entrati massicciamente in politica, come se governare un’azienda sia più o meno come governare un Paese; i politici vanno in tv a cantare; i cantanti diventano grandi scrittori; i grandi scrittori diventano anchorman o ballerini; le igieniste dentali vengono elette consigliere comunali; i cuochi tengono pensose rubriche sulle sorti del mondo e sugli equilibri internazionali; i comici fanno i leader e i capipopolo. Quanto ai leader, si sa che spesso e volentieri

fanno i «lader» (come diceva Alberto Arbasino, 5½), ma è un altro discorso. L’improvvisazione è il sale del nostro tempo liquido. Persino la medicina registra di continuo dottori abusivi, infermieri diventati primari, non laureati finiti in sala operatoria a dirigere delicatissimi interventi. In questo gioioso marasma di incompetenze, dove tutti possono fare tutto, restano inviolabili alcuni ambiti, rigorosamente vietati ai non addetti: il calcio, la cucina (vera filosofia della nostra epoca), le banche. Nessuno mai si sognerebbe di proporre Tardelli come successore di Draghi alla Bce o il ginnasta Jury Chechi (peraltro candidato del Pd alle Comunali di Savona) come amministratore delegato di Montepaschi. La politica, come fosse la più semplice delle attività, è un terreno accessibilissimo agli intrusi: sentir parlare di «bicameralismo perfetto» l’ex valletta Mara Carfagna non dà più i brividi di paura o di comicità che

avrebbe dato vent’anni fa. Forse solo la letteratura è altrettanto aperta e disponibile ai dilettanti: gli ex calciatori che hanno appeso le scarpe al chiodo, i cantanti che hanno esaurito le corde vocali, gli attori tristi, i cabarettisti che non fanno più ridere, i politici rimasti senza elettori, le modelle e i modelli passati di moda, le vallette senza contratti tv, i portieri senza condominio, i camerieri che non servono più, i cuochi rimasti senza ingredienti, i domatori di canguri e di pulci, i contorsionisti ottantenni, i pizzaioli in crisi di identità, gli ex lottatori di sumo… Specie se non hanno mai praticato la letteratura, se non hanno mai letto un romanzo né una poesia, se l’ultimo libro l’hanno aperto in età scolare, hanno enormi chance di diventare grandi, grandissimi scrittori. I più grandi dell’anno, i più grandi del decennio, qualche volta del secolo. Se Tardelli dovesse fallire con la politica, può sempre provare con un’autobiografia.

interrogatorio di terzo grado!». Su certi aspetti della vita la figlia è rimasta una bambina ma per fortuna ha una mamma che le dà buoni consigli. Per il suo bene. Vanno in giro per saldi e la figlia si entusiasma per ogni capo di vestiario che prova rimirandosi allo specchio: «Non trovi anche tu che mi stia bene?». La madre è sempre pronta ad incoraggiarla: «È vero. Sembra tagliato su misura per te. Peccato solo che ti invecchia». Ora si può perdonare tutto a un capo di vestiario, ma non che invecchi chi lo indossa. La figlia è irrequieta, si sente in gabbia, vorrebbe uscirne ma non sa come e si abbandona a delle mattane. Un bel giorno torna a casa con una bella sorpresa: ha cambiato pettinatura e colore dei capelli. Quella chioma biondo cenere lunga fino alla vita, invidia delle amiche di mamma, è sparita e al suo posto c’è uno stentato mazzo di ravanelli, un moccio Vileda

Postille filosofiche di Maria Bettetini Una vita insipida Meno il 30% di grassi. Sodio inferiore allo 0,001%. Less is more non è solo il claim dei minimalisti, architetti, stilisti o giardinieri che siano. Siccome accennare a ricchi contenuti rende sospetto il cibo, ricco è potenzialmente grasso, il packaging e in generale la pubblicità promettono «meno». Nel senso di un meno che però è un più, rispetto a quello che sembra l’unico scopo dell’esistenza di chi fa la spesa, dimagrire. Solo in qualche zona poco acculturata ostentare la pancia è status di agio e benessere, e solo gli sconfitti dichiarati portano magliette con la scritta «un uomo senza pancia è come un cielo senza stelle». Ma torniamo al nostro 30% in meno. Rispetto a cosa? A una porzione di lasagne alla bolognese? A un piatto di pancetta di Ariccia? A un panino con la ‘nduja calabrese? Facile vincere, per il biscottino secco. Alcuni, onestamente, scrivono «in confronto ad altri biscotti». Di nuovo, se parliamo dei frollini fatti in casa o

acquistati da Panarello, il delizioso pasticcere che emana profumo di burro nel raggio di mezzo chilometro, non c’è partita. Se invece scendiamo nel campo dei biscotti senza panna, senza burro, senza uova, guarniti con numero tre briciole di cioccolato per dare sapore, allora la gara è aperta, alcuni apportano 47 calorie, altri 35 o 51, differenze che non fanno la linea di chi se ne nutre. E il sodio? Il sodio che noi ingurgitiamo se non a manciate almeno a pizzichi di vari grammi ogni giorno? Sì perché, scientificamente parlando, il sale è composto da sodio e cloruro di sodio. Negli alimenti, inoltre, esistono altre forme di sodio, tra cui il bicarbonato di sodio e gli additivi alimentari, come glutammato monosodico, nitrito di sodio e benzoato di sodio. Qualsiasi sia la forma di sodio consumata, si aggiunge all’apporto giornaliero complessivo, ma il sale costituisce circa il 90% del sodio che consumiamo. D’altra parte, il corpo

Voti d’aria di Paolo Di Stefano L’epoca del dilettante Che delusione. Chi ha dimenticato l’urlo furioso di Marco Tardelli dopo il gol del 2-0 nella finale con la Germania, Madrid 1982 (6 all’impresa)? Tardelli era passato da terzino, qual era da giovanissimo, a centrocampista tra i migliori del mondo. L’allenatore della Nazionale italiana, Enzo Bearzot (6 alla memoria), sapeva di poter contare sulle sue capacità difensive, sulla sua resistenza ma anche sul suo scatto fulmineo. Per questo, il maestro dei giornalisti sportivi, Gianni Brera, lo chiamò «Schizzo»: schizzava via improvvisamente e gli avversari arrancavano dietro di lui per decine di metri senza riuscire a fermarlo. Ma che delusione. Uno come Tardelli, che ha imparato per anni a svolgere il suo ruolo in campo con dedizione e fantasia, un serio professionista del pallone che studiava la tattica degli avversari e le contromisure necessarie a metterla in crisi, adesso, a quasi sessant’anni, si converte al dilettantismo,

si lascia convincere da Matteo Renzi, si dà alla politica e potrebbe candidarsi per le Europee. Come se la politica non richiedesse la stessa gavetta, la stessa fatica, la stessa scuola, la stessa preparazione «atletica» che richiede il calcio. Mentre scrivo questo pezzo non so ancora se l’ex eroe di Madrid si candiderà davvero, ma non importa: basta la tentazione… Come può una mezzala, che ha sputato sangue sui campi di calcio, immaginare che il mestiere di politico si possa improvvisare allegramente dall’oggi al domani? Per di più ammettendo con candore: «Non sono molto ferrato in politica». Come reagirebbe Tardelli, che è stato allenatore (per la verità con risultati poco esaltanti), se un vecchio politico, supponiamo D’Alema o Tremonti, venisse convocato da Prandelli per giocare in Coppa del Mondo accanto a Buffon e Pirlo? Se Tardelli può andare a Bruxelles, perché l’ex ministro dell’Economia Saccomanni non può andare in Brasile


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shopping Il pesce del Venerdì Santo Attualità Sono molti coloro che seguono la tradizione dell’astinenza dalla carne il venerdì che precede la Pasqua.

Quale alternativa, i reparti pesce fresco di Migros Ticino offrono loro differenti possibilità sotto forma di pregiate bontà ittiche. E cosa ne direste di provare la ricetta qui acclusa? Salmone su letto di verdure con salsa al vino bianco Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 100 g di carote 100 g di sedano rapa 100 g di porro bianco 1 limone bio 2 cucchiai d’olio di colza sale, pepe 800 g di filetto di salmone senza pelle 1 cucchiaino di fleur de sel 2 cucchiai di burro ½ mazzetto d’aneto

Salsa al vino bianco 1 scalogno 1 cucchiaino di pepe in grani 2,5 dl di vino bianco 2 dl di fumetto di pesce 1,8 dl di panna per salse sale, pepe Preparazione 1. Tagliate le verdure a striscioline. Grattugiate finemente la scorza del limone e mettete da parte. Spremete il succo. 2. Scaldate il forno a 140 °C. Fate appassire le verdure nell’olio per circa 5 minuti. Condite con sale e pepe. Unite il succo di limone. Distribuitele in una teglia foderata con carta da forno. Condite il salmone con il fleur de sel e accomodatelo sul letto di verdure. Distribuite il burro a fiocchetti e cuocete al centro del forno per ca. 30 minuti. 3. Per la salsa, tritate lo scalogno e pestate il pepe. Fate bollire lo scalogno e il pepe con il vino e il fumetto per ca. 5 minuti. Filtrate, rimettete il liquido in padella e aggiungete la panna. Terminate la cottura della salsa ancora per 1 minuto. Condite con sale e pepe e tenete la salsa in caldo. 4. Trasferite il pesce con le verdure in un piatto da portata caldo. Cospargete con la scorza di limone messa da parte. Guarnite con l’aneto e servite con la salsa al vino bianco. Suggerimenti Accompagnate con patate arrosto o lesse.

Il pesce, si sa, consumato almeno una volta alla settimana, fornisce al nostro organismo preziose sostanze nutritive quali acidi grassi omega 3, proteine, vitamine e sali minerali; inoltre è facilmente digeribile e si presta benissimo alla preparazione di mille gustose ricette. In occasione della Pasqua, sono

sempre di più i consumatori che non rinunciano ad un appetitoso piatto a base di pesce, soprattutto il Venerdì Santo. Chi cerca sapori esclusivi può dunque rivolgersi ai nostri specialisti dei banchi pesce, i quali vi consigliano alcune freschissime varietà particolari: i gamberetti tail on, il rombo, la carpa,

la rana pescatrice, la cernia, la sogliola oppure ancora il filetto di salmone selvatico. Ed è proprio il filetto di quest’ultimo ad essere protagonista della ricetta che pubblichiamo in questa pagina. Il salmone è un pesce molto versatile, saporito e dalla carne soda, che può essere preparato in qualsiasi modo: al

forno, al vapore, in padella o alla griglia. Alcuni consigli per verificare la freschezza del pesce: il suo odore deve essere neutro, deve sapere di acqua o di mare. Premendo con un dito la sua carne, essa deve essere elastica e l’impronta del dito deve subito scomparire. La pelle deve essere lucida e umida.

Una ricetta di


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Il capretto per la tavola pasquale Attualità Saporito e aromatico, il capretto al forno è uno dei piatti più gettonati in occasione della festa della gioia.

Ce l’ha cucinato per noi Antonio Ferriroli dell’omonima Osteria Enoteca di Contra

Che profumino, il capretto al forno è quasi pronto! (Flavia Leuenberger)

Cosimo Mozzone, chef presso l’Osteria Enoteca Ferriroli.

Antonio Ferriroli, titolare dell’Osteria Enoteca Ferriroli di Contra.

Capretto al forno Ricetta per 4 persone

La carne di capretto è un ottimo e prelibato cibo che si consuma di preferenza nella stagione primaverile, tra la metà di marzo e la fine del mese di maggio. La sua carne è tenera e con poco grasso, infatti 100 g di carne di capretto equivalgono a circa 165 kcal. Qualunque sia il metodo scelto per la cottura, il condimento dovrà essere sempre piuttosto abbondante, per mettere in risalto tutta la bontà della sua carne ancora in formazione. Simbolica specialità dei riti gastronomici pasquali, il capretto arrosto con-

tinua, secondo tradizione, a trasferirsi sulle nostre tavolate e, sia pure per inerzia, per molti non manca mai per il pranzo del giorno di Pasqua. Per gli intenditori, durante la lenta cottura il grasso leggero del capretto si deve squagliare facilmente, rendendo la sua carne morbida e saporita al punto giusto. Gli esperti macellai dei supermercati Migros saranno lieti di consigliarvi al meglio sulle varianti di prepararazione di questa specialità gastronomica primaverile. / Davide Comoli

Ingredienti 2 Kg ca. di capretto* 4 spicchi d’aglio 220 g Burro cucina 250 ml Vino bianco (Merlot) 250 ml Marsala Sale e pepe q.b. Rosmarino q.b. Preparazione Prendere una padella abbastanza capiente e far riscaldare il burro. Iniziare a rosolare bene il capretto già precedentemente tagliato a pezzi non troppo grossi, salato e pepato. Una volta rosolato adagiare il capretto in una teglia da forno, mettere il tutto nel forno ad una temperatura di 200 gradi. Quando il capretto inizia a prendere un bel colore aggiungere il burro, l’aglio e abbondante rosmarino, aspettare che il

Il pranzo pasquale è servito!

Ingredienti di grande qualità per un irresistibile piatto pasquale.

burro si sciolga e quindi bagnare con il vino bianco e il marsala. Lasciare cuocere ancora per ca. 1 ora e 30 minunti (a seconda del forno) e di tanto in tanto bagnare con il fondo di cottura. Un consiglio per una buona riuscita della ricetta abbondare con burro e rosmarino. Il risultato finale per un buon capretto deve essere croccante e la carne deve staccarsi facilmente dalle ossa.

*In vendita a Migros Ticino anche di provenienza ticinese (fino ad esaurimento delle scorte).


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La colomba al burro d’alpe

La pasticceria-confetteria dei fratelli Buletti di Airolo anche quest’anno ritorna ad ingolosire la clientela di Migros Ticino con la sua classica specialità pasquale, presentata in un’elegante confezione che attirerà anche gli sguardi più distratti. La colomba Buletti spicca per gli ingredienti di qualità elevata utilizzati – il pregiato lievito madre fatto in casa, il ricco contenuto di burro d’alpe della regione del Gottardo, i canditi di provenienza ticinese - nonché per la grande passione e per la genuinità che contraddistingue da sempre i gemelli Buletti. Assolutamente esente da conservanti o additivi artificiali, per apprezzare appieno tutta la morbidezza e fragranza della colomba Buletti si consiglia di tenerla in un luogo fresco e asciutto. Una volta tolta dal sacchetto, affettarla delicatamente con un coltello da pane a lama seghettata per evitare che si sfaldi.

Gli antipasti freschi firmati Armando de Angelis Sfiziosi antipasti freschi italiani realizzati con ingredienti attentamente selezionati: ecco le recenti irresistibili proposte firmate dal già noto marchio di pasta fresca veneto Armando de Angelis. Realizzate a partire da ricette originali della tradizione italiana, queste specialità si declinano in una decina di varianti per ogni gusto ed occasione, tutte presentate in una pratica e maneggevole confezione richiudibile da 150 grammi. Tra le bontà ideali per stuzzicare i vostri ospiti alla tavola pasquale, vi consigliamo ad esempio quella a base di pesce, come il Polpo con olive, i Peperoncini farciti con tonno, l’Insalata di mare, i Filetti di alici e i Calamaretti con pomodori di Sicilia. Gli antipasti sono in vendita al reparto refrigerati delle maggiori filiali Migros.

La Pasqua della gastronomia Migros I Ristoranti, il Party Service e i banchi pasticceria Migros celebrano l’imminente festività con tutta una serie di proposte gastronomiche. Nei Ristoranti la vigilia di Pasqua potrete trovare il tradizionale capretto al forno ad un prezzo particolarmente vantaggioso. Presso i banchi pasticceria e i De Gustibus troverete durante tutta la settimana colombe e colombine di pasta sfoglia farcite e creazioni speciali di cioccolato con sorpresa. Sabato 19 aprile essi propongono invece le cele-

berrime bontà di pasticceria artigianale sotto forma di differenti torte e sfoglie a forma di colomba, tutte riccamente farcite. Infine, vi ricordiamo che il nostro Party Service consiglia i suoi piatti pronti d’asporto e i dolci, da ordinare almeno con due giorni di preavviso. Per le ordinazioni potete rivolgervi ai Ristoranti, ai De Gustibus, oppure cliccando su www.migrosticino.ch/party-service; tel. 0848 848 018 o e-mail: party-service@migrosticino.ch.

Gusto e benessere al naturale Le specialità senza olio firmate dall’azienda ultracentenaria Polli non sono solo deliziose come stuzzichino, contorno o antipasto, ma anche perfette per preparare molte altre ricette della classica tradizione mediterranea. Prive di grassi, sono altresì ideali per coloro che cercano il gusto autentico ma vogliono evitare di appesantire troppo lo stomaco. I carciofi pugliesi senz’olio rappre-

sentano tutta la genuinità di un ortaggio noto per i suoi pregi nutrizionali e culinari. Chi ama i sapori delle pietanze grigliate, non si lascerà invece sfuggire i peperoni grigliati senz’olio, a base di peperoni rossi e gialli e particolarmente facili da digerire. Infine, ad accompagnare ogni aperitivo festivo che si rispetti, non possono naturalmente mai mancare le classiche olive verdi denocciolate Polli.


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Rustichella, leggerezza e digeribilità per il giusto sprint

Flavia Leuenberger

Attualità Pane e marmellata per una ricarica di energia tutta naturale

Rustichella 280 g Fr. 2.70

Proteine prima di un allenamento? È ora di sfatare questo falso mito! Ne abbiamo parlato con Nicola Pfund, insegnante, giornalista, scrittore e non da ultimo triatleta. Nel suo blog e in diversi libri si occupa di promuovere un approccio allo sport che sia a misura d’uomo e della natura che lo circonda. La sua ultima pubblicazione «A-Z Fitness» – un interessante abecedario che tratta i temi di salute e sport – dedica diverse voci all’alimentazione nel contesto di sport e allenamento. L’idea che un pasto a base di proteine sia necessario prima di una competizione appartiene oramai al passato, ci dice Pfund. In realtà sono gli zuccheri – contenuti nella pasta, in pane, riso e marmellate – che forniscono il combustibile ai muscoli, permettendo loro di far fronte a prestazioni di lunga durata. Il pasto ideale prima di affrontare un allenamento o uno sforzo fisico impegnativo e prolungato dev’essere leggero e ricco di carboidrati complessi, i quali aiutano a ritardare l’insorgere della fatica. Gli zuccheri semplici, contenuti per esempio nella marmellata, forniscono invece energia immediata dando un piccolo aiuto per iniziare con la giusta spinta un allenamento. Il pane Rustichella è quanto di più ideale possa esserci per caricarsi con il giusto equilibro. Questo pane di frumento a lievitazione naturale del panificio della Migros Jowa coniuga gusto e grande digeribilità e il suo formato a filone stretto ed allungato ne fa un ottimo prodotto da consumarsi a colazione o durante la pausa tra un esercizio fisico e l’altro. Esercizi, ci fa notare Pfund, che vanno variati per permettere al corpo di sfruttare le potenzialità di tutta la muscolatura, contribuendo così all’equilibrio e al benessere del fisico. Ma attenzione a non strafare, lo sport è complemento a uno stile di vita sano e ci offre l’occa-

Lo sapevate che…? L’etimo di gnocchi rimane incerto, qualcuno pensa che discenda da una parola longobarda che significa «nocca, protuberanza», ma nei «Canti carnascialeschi» di Lorenzo il Magnifico, troviamo la parola «pagnocchi» cioè «pane a gnocchi»: quindi si pensa che i gnocchi fossero molto più grandi degli attuali, grossi come uova. Vivanda cara alla cucina contadina, gli gnocchi erano una variante delle polente. I ricettari del primo Medioevo e del Rinascimento ce ne forniscono le prime ricette, all’insegna della più grande semplicità: farina o pane, mescolati con rossi d’uovo e formaggi, fino ad ottenere polpettine da cuocere in acqua bollente. Dall’America, poi, arrivarono le patate e il nuovo prodotto venne assoggettato alla tradizione ed entrò nella composizione degli gnocchi. I libri di cucina sono tutti d’accordo che bisogna usare patate dalla consistenza «farinosa».

sione per riconnetterci con la natura e contrastare i ritmi frenetici della vita di tutti i giorni. Non dovrebbe contribuire a stressarci ulteriormente, anzi. Perché non inforcare la bici per una scampagnata nella natura? Non dimenticate però di preparare il giusto spuntino per una meritata pausa! Comoda e pratica, la Rustichella si presta alla confezione di panini leggeri e croccanti che si distinguono per la loro buona conservabilità. Un velo di marmellata e la nostra ricarica di energia è pronta. Praticare un’attività fisica dev’essere soprattutto un piacere, vale la pena di concedersi una pausa golosa oltre che nutriente! / Luisa Jane Rusconi

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche il pane Rustichella.

Aperture prolungate al sabato dal 19 aprile

Informiamo la spettabile clientela che da sabato 19 aprile a sabato 11 ottobre entrano in vigore gli orari d’apertura prolungati del sabato. Le filiali interessate sono le seguenti: Fino alle ore 18.00: Arberdo-Castione, Bellinzona, Biasca, Crocifisso, Giubiasco, Maggia, Paradiso, Radio, Solduno, Taverne, Tenero e Tesserete. Fino alle ore 18.30: Agno, Locarno e Centro S. Antonino.


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Responsabile del progetto Anna-Katharina Ris; testi Claudia Schmidt; illustrazioni KellenbergerKaminski; (Food) Veronika Studer; styling Monika Hansen; trucco e acconciature Nicole Zingg; bricolage Anita Oeschger

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Leccornie primaverili Dopo aver decorato e nascosto i nidi pasquali, si inizia ad avvertire un leggero languorino. Proprio come succede dopo la caccia ai nidi e la successiva scoperta delle sorprese contenute. Per fortuna a questo punto entra in scena il tradizionale menù pasquale. Che cosa portiamo in tavola quest’anno?

FACILE DA REALIZZARE

Tonno in agrodolce con insalata di primavera

Con l’arrivo della primavera, si predilige nuovamente un’alimentazione più leggera. A Pasqua quindi, iniziate il menù festivo con una croccante insalata o una minestra raffinata con un solo filo di panna. Per la scelta del piatto principale è importante porsi alcune domande: preferisco qualcosa di semplice oppure di raffinato? Una specialità regionale oppure dai sapori mediterranei? E soprattutto, quanto tempo voglio trascorrere in cucina? I piccoli medaglioni di vitello con verdure si preparano in tempi più rapidi rispetto all’arrosto al forno, anche se quest’ultimo durante la cottura non va tenuto costantemente sotto controllo. Comunque sia, sulle pagine seguenti trovate delle irresistibili ispirazioni culinarie per il menù pasquale, dal tonno in versione agrodolce servito come antipasto esotico insieme a un’insalata, alle tartelette al cioccolato profumate al frutto della passione come delizioso dessert. E poi, la Pasqua non è una festa allegra all’insegna della spensieratezza? Perché quindi non allargare la famiglia invitando anche i vicini per una splendida festa in compagnia? Preparate qualche porzione in più, quindi, per allietare anche il palato delle visite spontanee. E non preoccupatevi dei resti di cibo. Vi sveliamo, infatti, qualche idea per trasformarli in gustose bontà: con le uova sode colorate si possono preparare delle raffinate insalate, mentre l’arrosto freddo è ideale per creare dei panini con i fiocchi. E dulcis in fundo, una golosa idea per smaltire i coniglietti di cioccolato rimasti: scioglieteli e trasformateli una prelibata mousse au chocolat. Una vera delizia per il palato…

Antipasto per 4 persone

Ingredienti 2 bastoncini di lemongrass 100 g di salsa al peperoncino dolce 1 cucchiaio di salsa di soia 2 cucchiai d’aceto balsamico 400 g di tonno da consumare crudo da ordinare in anticipo al banco del pesce fresco 1 cucchiaio d’olio di colza HOLL (resistente al calore) 80 g d’insalata a foglia, ad es. Babyleaf 30 g di germogli misti 1 dl di salsa per insalata Balsamico Dressing fleur de sel, pepe Preparazione 1. Dimezzate i bastoncini di lemongrass per il lungo, eliminate le foglie esterne e spuntate le estremità. Tritate finemente i bastoncini e mescolateli con la salsa al peperoncino dolce, la salsa di soia e l’aceto balsamico. Fate marinare il tonno nella metà della marinata per almeno 30 minuti. 2. Togliete il tonno dalla marinata e asciugatelo. Scaldate l’olio in una padella antiaderente. Rosolate il tonno a fuoco medio per ca. 8 minuti. Toglietelo dalla padella e lasciatelo riposare per ca. 5 minuti. Tagliate il tonno a fette. Mescolate l’insalata con i germogli e conditela con la salsa per insalata. Servitela con il tonno. A piacere aromatizzate con fleur de sel e pepe. Servite la marinata rimasta con il tonno e l’insalata. Tempo di preparazione ca. 30 minuti + marinatura almeno 30 minuti Per persona ca. 27 g di proteine, 13 g di grassi, 20 g di carboidrati, 1250 kJ/290 kcal

Trovate tanti altri consigli utili relativi alla Pasqua su www.migros.ch/pasqua

Il nostro suggerimento per voi: perché utilizzare sempre tovaglioli di stoffa in occasione di una festa? Anche i tovaglioli di carta possono trasformarsi facilmente in un elegante elemento decorativo per la tavola. Impreziositeli, per esempio, con un fiore o un rametto di salice gattice. Oppure regalategli un tocco decorativo con dei nastri colorati abbinati.

Chop Stick Hot Sweet Chili Sauce 300 g Fr. 3.75 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Filetti di tonno (pinne gialle), pescato a canna, Maldive 100 g, al prezzo del giorno

Aceto balsamico Sélection 2,75 dl Fr. 17.50

Olio di colza HOLL M-Classic 1 l Fr. 5.30

Pepe Tellicherry Sélection 50 g Fr. 5.90

Balsamico Dressing M-Classic 0,7 l Fr. 4.50

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Fleur de Sel Sélection 75 g Fr. 6.60 Germogli di fagioli mungo bio, Svizzera sacchetto da 250 g, al prezzo del giorno

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 aprile 2014 • N. 16

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 aprile 2014 • N. 16

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Idee e acquisti per la settimana

Colla d’amido alla ribalta Un uovo tutto colorato come regalo fa la gioia di ogni ospite. Formate l’uovo ricoprendo un palloncino gonfiato con della carta regalo bagnata nella colla d’amido. Una volta asciugato, apportate una piccola apertura nell’uovo. Incollate l’uovo in un nido e decoratelo con dei nastri e una targhetta con il nome del fortunato che lo riceverà in dono. Infine, riempitelo con dei golosi ovetti di cioccolato.

FACILE DA REALIZZARE

Roast beef con burro all’aglio orsino e carota Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 800 g di patate piccole, 2 cucchiai d’olio di colza HOLL (resistente al calore) sale, pepe, 800 g di entrecôte in un pezzo intero Miscela aromatica per il burro 60 g di carota, ½ mazzetto di aglio orsino, 2 spicchi d’aglio 60 g di burro, morbido, sale, pepe, ¼ di cucchiaino di paprica ¼ di cucchiaino di curry dolce

IMPEGNATIVO

Medaglioni di vitello con punte di asparagi

Preparazione 1. Scaldate il forno a 80 °C. Lessate le patate per ca. 10 minuti. Dimezzate le patate per il lungo e mescolatele con la metà dell’olio. Condite con sale e pepe. Accomodatele in una teglia con la carne. Infilate la sonda per misurare la temperatura della carne nel punto più spesso della carne. Infornate la carne al centro del forno e cuocetela per ca. 1½ ore, finché la temperatura interna non ha raggiunto ca. 50 °C.

Piatto principale per 4 persone

Ingredienti 1 cipolla 250 g di punte di asparagi verdi 8 medaglioni di vitello di ca. 70 g sale, pepe 2 cucchiai d’olio di colza HOLL (resistente al calore) 150 g di champignon affettati 1 dl di vino bianco o d’acqua 3 dl di panna semigrassa 400 g di taglierini (pasta fresca)

2. Per il burro aromatizzato, grattugiate finemente la carota. Tritate finemente l’aglio orsino e gli spicchi d’aglio. Lavorate il burro a spuma. Incorporate la carota, l’aglio orsino e l’aglio. Condite con sale, pepe, paprica e curry. 3. Estraete dal forno il roast beef. Portate la temperatura del forno a 200 °C. Continuate a cuocere le patate. Nel frattempo salate e pepate la carne. Scaldate l’olio rimasto in una padella e rosolatevi la carne da ogni lato per ca. 8 minuti. Toglietela dalla padella e fatela riposare brevemente. Affettate la carne. Servitela con le patate e il burro all’aglio orsino e alla carota. Potete accompagnare con verdure di stagione.

Preparazione Tritate finemente la cipolla. Dimezzate per il lungo le punte degli asparagi. Salate e pepate la carne. Rosolatela da entrambi i lati nella metà dell’olio per ca. 8 minuti. Toglietela dalla padella e tenetela in caldo. Soffriggete la cipolla, gli asparagi e gli champignon nell’olio restante per ca. 3 minuti. Sfumate con il vino. Aggiungete la panna e fate sobbollire dolcemente la salsa per ca. 6 minuti. Condite con sale e pepe. Lessate i taglierini in abbondante acqua salata al dente, scolateli. Servite i taglierini con i medaglioni di carne e la salsa. Gustate subito.

Suggerimento sostituite l’aglio orsino con il basilico. Tempo di preparazione ca. 40 minuti + ca. 1¾ ore Per persona ca. 50 g di proteine, 22 g di grassi, 32 g di carboidrati, 2200 kJ/ 530 kcal

Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona Per persona ca. 46 g di proteine, 30 g di grassi, 57 g di carboidrati, 3000 kJ/710 kcal

Taglierini Tradition 500 g Fr. 3.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros

Paprica dolce 37 g Fr. 1.20

Mezza panna UHT Valflora 2,5 dl Fr. 1.30

Entrecôte al pezzo Terrasuisse,Svizzera 100 g, Fr. 4.40 invece di 6.40 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Scaloppine di vitello, Svizzera, 100 g Fr. 6.70 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Funghi prataioli bianchi, Svizzera 100 g, al prezzo del giorno

Patate Patatli, Israele/Egitto al kg, al prezzo del giorno

Punte d’asparagi bianchi, Perù sacchetto da 300 g, al prezzo del giorno In vendita nelle maggiori filiali Migros.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 aprile 2014 • N. 16

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 aprile 2014 • N. 16

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Idee e acquisti per la settimana

FACILE DA REALIZZARE Coniglietti muffin: preparate dei muffin con la miscela già pronta per la torta di carote. Disegnate poi i volti dei coniglietti con della glassa di zucchero, mentre per le orecchie potete utilizzare dei savoiardi.

Tortine ai frutti della passione e al cioccolato Dessert per 4 persone, per 8 tortine

Ingredienti 200 g di pasta sfoglia già spianata 8 cucchiaini di crème fraîche 3 frutti della passione 1 cucchiaio di zucchero 3 cucchiai di dadini di cioccolato per dolci IMPEGNATIVO

Preparazione Ritagliate dalla pasta sfoglia 8 dischi di ca. 8 cm Ø. Accomodateli su una teglia foderata con carta da forno. Scaldate il forno a 200 °C. Spalmate la crème fraîche sui dischi di pasta, lasciando un bordo libero. Tagliate i frutti della passione a metà. Estraete la polpa con un cucchiaio e distribuitela sulle tortine. Cospargete con lo zucchero e i dadini di cioccolato. Cuocete le tortine al centro del forno per 8-10 minuti. Sfornate. Servite le tortine calde o fredde. A piacere guarnitele con fragole o physalis.

Rabarbaro allo zenzero in bicchiere Dessert per 4 persone

Ingredienti 600 g di rabarbaro 10 g di zenzero 50 g di zucchero melissa per guarnire Crema 250 g di Blanc battu 180 g di M-Dessert (latte acidulato) 1 cucchiaino di pasta di vaniglia ½ limone 2 albumi freschi 2 cucchiai di zucchero

Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno 8-10 minuti

Preparazione 1. Pelate il rabarbaro e tagliatelo a pezzettini. Grattugiate finemente lo zenzero. Mettete entrambi in una padella con lo zucchero. Fate cuocere a fuoco medio per ca. 5 minuti mescolando spesso. Lasciate raffreddare.

Per persona ca. 4 g di proteine, 25 g di grassi, 27 g di carboidrati, 1450 kJ/350 kcal

2. Per la crema, mescolate il Blanc battu con il latte acidulo e la pasta di vaniglia. Unite la scorza di limone grattugiata finemente. Montate gli albumi a neve. Unite lo zucchero e continuate a montare brevemente finché la massa brilla. Incorporate delicatamente gli albumi alla crema. Distribuite nei bicchieri un poco di composta di rabarbaro, poi la crema. Completate con la composta di rabarbaro rimasta e guarnite con la melissa. Servite subito. Potete accompagnare con degli amaretti. Tempo di preparazione ca. 35 minuti + raffreddamento Per persona ca. 9 g di proteine, 6 g di grassi, 29 g di carboidrati, 900 kJ/ 210 kcal

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Cioccolato da cucina a dadini Patissier 160 g Fr. 2.60

Pasta alla vaniglia 65 g Fr. 7.90

Pasta sfoglia Bio già spianata 320 g Fr 2.15

Crème fraîche Bio 200 g Fr. 3.30

Latte acidulato M-Dessert 180 g Fr. 1.30

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Tutte le zuppe istantanee e in bustina Bon Chef, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.40 di riduzione l’una, per es. vermicelli con polpettine di carne, 74 g 1.– invece di 1.40

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PESCE, CARNE E POLLAME

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Tutte le confezioni di Coca-Cola da 6 x 1,5 l, per es. Coca-Cola regular 8.80 invece di 13.20 33%

PANE E LATTICINI

Gnocchi freschi Di Lella, prodotti in Ticino, in conf. da 500 g 1.85 invece di 2.65 30%

NEAR FOOD / NON FOOD

Crème fraîche, 400 g 4.95 NOVITÀ **

Pere Abate Fetel, Italia, al kg 2.80 invece di 4.20 33%

3 per 2

Cornetti al burro M-Classic, surgelati, ca. 24 pezzi, 1080 g 9.50 invece di 13.60 30%

Insalata pasquale Anna’s Best, 250 g 3.25 invece di 4.10 20%

Carote, bio, Svizzera, sacchetto da 1 kg 2.60

50%

Tutti le vaschette, le coppette e i cornetti Crème d’or in confezioni multiple, per es. Vanille Bourbon, 1000 ml 7.80 invece di 9.80 20%

Tutti i prodotti di pasticceria alle carote, per es. torta alle carote, 520 g 6.20 invece di 7.80 20% Spätzli Anna’s Best in conf. da 3, 3 x 500 g 6.70 invece di 8.40 20%

20x

Torta stracciatella e al cacao Dal Colle con tortiera, 450 g 5.90 20%

Sughi La Reinese, per es. sugo al basilico, 350 g 2.30 invece di 2.90 20%

20x

Calgon in conf. risparmio o da 2, per es. gel in conf. da 2, 2 x 750 ml 14.90 invece di 19.– Vanish in conf. risparmio o da 2, per es. Oxi Action in polvere, per capi bianchi, 1,5 kg 15.90 invece di 23.85 Detersivo per i piatti Handy in conf. da 3, per es. Power concentrato, 3 x 500 ml 6.10 invece di 7.20 15% Tutti i deodoranti per ambiente Migros Fresh (confezioni multiple e offerte di lancio escluse), per es. Lavender Bouquet Natural Perfume 6.20 invece di 6.90 ** Pellicole salvafreschezza e in alluminio Tangan in conf. da 3, per es. pellicola salvafreschezza e per il forno a microonde n. 11, 3 x 36 m x 29 cm 5.90 invece di 8.85 33% Sacchi per la spazzatura Cleverbag Herkules, 5 rotoli da 35 l 12.90 invece di 17.– Appendiabiti in set da 12 5.–

Tutto l’assortimento Polli, per es. antipasti, 200 g 3.10 invece di 3.90 20%

Tutti i tipi di cartucce per il filtro dell’acqua in confezioni multiple (esclusi articoli di negozi specializzati), per es. cartucce Duomax Cucina & Tavola, 3 x 3 cartucce 33.– invece di 49.50 3 per 2 **

Tutte le colombe in scatola Jowa, per es. Premium Colomba Amaretti, 750 g 14.80 invece di 18.50 20%

Contenitori per l’ufficio in conf. da 2, per es. Spacebox, trasparenti 29.– invece di 58.– 50%

* In vendita nelle maggiori filiali Migros.

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Una domenica piovosa alla

Le creazioni a base di gelato Crème d’or regalano momenti di grande gusto. Tutte le varietĂ vengono prodotte solo con i migliori ingredienti e devono il loro gusto cremoso alla vera panna svizzera che contengono.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 14 aprile 2014 • N. 16

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Idee e acquisti per la settimana

Pesce MSC per

i quattrozampe

Anche nel settore del cibo per animali la Migros punta sulla sostenibilità

e utilizza pesce proveniente da pesca certificata

La Migros non limita il suo impegno per la protezione dei mari e dei laghi solo all’offerta di generi alimentari per le persone: anche le componenti di pesce dell’assortimento del cibo per animali domestici provengono in gran parte da fonti sostenibili. Così Selina, la marca propria della Migros di cibo per gatti, ha già convertito le sue conserve di cibo umido con frutti di mare, tonno, salmone e pesce in prodotti con componenti che provengono da pescherie certificate MSC. Tutte le pescherie che sottoscrivo-

Oltre ai circa 500’000 cani registrati, si calcola che in Svizzera vengono tenuti 1,4 milioni di gatti. Ciò significa che più o meno un’economia domestica su quattro possiede un Fido o un Micio. Anche se il pesce è solo un componente relativamente piccolo di un cibo per animali domestici, in considerazione della cifra enorme di animali la quantità totale di cibo data da mangiare e quindi la parte della materia prima pesce risulta considerevole. Risulta quindi oltremodo sensato che i fabbricanti di cibo per animali puntino

Cifre e fatti

Sheba Terrine Supreme vaschetta 4 x 100 g Fr. 4.10 Nelle maggiori filiali Migros.

no questo marchio sostengono la protezione della natura, osservando fra l’altro le severe norme concernenti le quote di cattura. Oltre ai prodotti Selina, per i gatti sono disponibili singolarmente anche varietà della marca esterna Sheba in qualità MSC. Per quanto concerne l’offerta di cibo per cani, però, con la sua marca propria Max e lo snack con pesce secco certificato la Migros assume un ruolo pionieristico nel commercio al dettaglio svizzero.

Marine Stewardship Council (MSC) è simbolo di una pesca certificata in modo indipendente, sostenibile. I pesci e i frutti di mare provengono sempre da pesca selvatica.

sulla sostenibilità anche per quanto riguarda le materie prime che utilizzano. / Anna-Katharina Ris

Parte di

Generazione M è simbolo dell’impegno sostenibile della Migros. Il passaggio a pesce sostenibile entro il 2020 ne costituisce una parte.

75 kg di pesce

mangerebbe un gatto in vita sua* se gli venisse servito solo Selina con pesce certificato MSC. Nella sua vita, un gatto ingerisce in totale circa 380 kg di cibo. I cani arrivano fino a circa 2500 kg*. * per un’aspettativa di vita media di 15 anni

Selina Terrine Salmone vaschetta 100 g Fr. –.70

Selina Tonno scatola con Easy Peel 170 g Fr. –.70 Per Micio e Fido non ha nessuna importanza se le loro golosità provengono da pesca certificata MSC o da allevamento. Ne ha invece per i loro padroni, che sono responsabili dell’acquisto del cibo.

500’000 cani sono registrati in Svizzera. I romandi e i ticinesi possiedono tendenzialmente più cani degli svizzero tedeschi. I nomi preferiti per i cani sono Rocky e Luna.

1’400’000 gatti vivono in Svizzera. Dato che non devono essere registrati, non esistono indicazioni attendibili sulla loro suddivisione secondo aspetti geografici. I nomi preferiti per i gatti sono Simba e Luna.

Selina Pesce sacchetto 100 g Fr. –.75

Più o meno lo stesso numero Max Pesce secco snack naturale per cani 265 g F. 9.80

di cani e di bambini da 0 a 6 anni vivono in Svizzera. La maggior parte dei cani e dei gatti vivono in economie domestiche con bambini.


BENVENUTA PRIMAVERA! 19.80 Cappello bianco, beige

29.80 Maglietta blu, corallo

34.80 Cardigan disponibile in 4 colori

49.80 Pantaloni indigo, bianchi

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Idee e acquisti per la settimana

Aspettando la Pasqua: con Sanissa au beurre la preparazione di un bel coniglio a base di pasta per treccia diventa un gioco da ragazzi.

La margarina tuttofare Grazie alle porzioni di margarina Sanissa contenente il dieci percento di burro, la creazione delle bontà pasquali diventa un gioco da ragazzi

In cucina, la margarina Sanissa au beurre è l’alleata di tutti i giorni perfetta per preparare gustose specialità. Questa margarina, infatti, contiene il dieci percento di burro; un ingrediente essenziale alla base del suo delicato e piacevole sapore. È l’ideale per cucinare, arrostire e cuocere al forno oppure semplicemente per raffinare piatti a base di pasta e verdure. La confezione da 500 g di Sanissa au beurre contenente quattro bastoncini singoli da 125 g l’uno, avvolti uno a uno

nell’alluminio, ne facilitano il dosaggio. L’imballaggio graduato permette, infatti, di ricavare dai bastoncini porzioni da 25 g. Per preparare impasti, quindi, non è necessario sporcare la bilancia. I prodotti della linea Sanissa contengono prevalentemente materie prime di casa nostra, come l’olio di colza e il burro ricavato da latte svizzero. La margarina Sanissa, come altre proposte dalla Migros, viene prodotta interamente in Svizzera; un particolare che solo la Migros offre.

Margarina Sanissa au beurre 4 x 125 g Fr. 3.60

Olio di palma da coltivazioni certificate e sostenibili

Per garantire un’ottima spalmabilità, è indispensabile aggiungere dell’olio di palma. Quello impiegato nei prodotti Sanissa proviene da coltivazioni sostenibili certificate RSPO. Un ulteriore componente caratteristico della margarina è il latticello acidulo, un ingrediente ricco delle vitamine B, nonché calcio e potassio. / Anette Wolffram Eugster

Margarina Sanissa au beurre 250 g Fr. 2.10

Coniglietti di pasta per treccia Per ca. 6 pezzi Ingredienti 2,25 dl di latte, 1 cubetto di lievito, 70 g di zucchero, 70 g di Sanissa al burro, 500 g di farina, 1 cucchiaino di sale, ca. 6 g, 6 uvette sultanine , 1 uovo, granella di zucchero Procedimento 1. Fate intiepidire il latte. Mettete il lievito e 1 cucchiaio di zucchero in una scodellina. Aggiungete un poco di latte e lasciate riposare per ca. 15 minuti. Nel frattempo fate sciogliere la Sanissa. Lasciatela intiepidire un poco. Mescolate la farina con lo zucchero rimasto e il sale in una grande scodella. Disponete la farina a fontana e incorporate la Sanissa liquida, la miscela di latte, lievito e zucchero e il latte rimasto. Lavorate l’impasto per ca. 5 minuti finché diventa liscio ed elastico. Se necessario, aggiungete all’impasto un poco di latte. Fate lievitare l’impasto coperto in un luogo tiepido per ca. 1 ora e 30 minuti.

prendete in mano le due estremità e incrociatele, formando la coda con un’estremità e le zampe anteriori con l’altra. Accomodate i corpi dei coniglietti su una teglia foderata con carta da forno. Attaccate la testa al corpo sopra le zampe. Per formare le orecchie, fate un’incisione nella testa con le forbici o un coltello. Premete 1 uvetta nella testa per l’occhio. Lasciate lievitare i coniglietti coperti per ca. 30 minuti. Accendete il forno ventilato a 170 °C.

2. Dividete l’impasto in 6 porzioni e formate i coniglietti procedendo in questo modo: da ogni porzione di pasta staccate una pallina di ca. 40 g che andrà a formare la testa. Con il resto dell’impasto formate dei cordoni lunghi ca. 25 cm. Per il corpo e la coda

Tempo di preparazione ca. 30 minuti + lievitazione ca. 2 ore e 15 minuti + cottura in forno ca. 20 minuti

Margarina Sanissa Classic aha! 250 g Fr. 1.90

3. Sbattete l’uovo e spennellate i coniglietti. Cospargeteli con la granella di zucchero. Cuoceteli in forno per ca. 20 minuti.

Un coniglietto ca. 15 g di proteine, 12 g di grassi, 78 g di carboidrati, 2050 kJ/490 kcal

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche la margarina Sanissa.


L E D O T T E F R E P L’INIZIO . A U Q S A P I D GIORNO

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9.50 invece di 13.60 2.10 invece di 3.–

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Cornetti al burro M-Classic surgelati, ca. 24 pezzi, 1080 g

Tutti i prodotti di salumeria Citterio a libero servizio, 20% di riduzione, per es. salame maxi Milano, per 100 g

Trecccia al burro, TerraSuisse 500 g

Prosciutto in conf. da 2, Terra Suisse per 100 g

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Idee e acquisti per la settimana

Doratura regale Una tenera costoletta direttamente dal grill nobilita ogni grill-party. La carne sarà ancora più buona se tagliata un poco spessa e ben marinata Una succosa costoletta appena grigliata, accompagnata da un’insalatina di asparagi e da croccante pane all’aglio conquista il palato di ogni carnivoro. Affinché l’inizio della stagione delle grigliate sia pienamente riuscito, è però bene prestare attenzione ad alcuni punti. Un taglio di carne di vitello piuttosto alto è più indicato per il grill. Marinate la carne il giorno precedente, così facendo acquisirà un sapore speziato ben equilibrato. Il vostro macellaio di fiducia dei banchi Migros vi fornirà volentieri in ogni momento consigli e suggerimenti per una perfetta preparazione.

Ottima combinazione: costolette di vitello e burro alle erbe fatto in casa.

TerraSuisse è simbolo di un’agricoltura in sintonia con la natura, rispettosa degli animali. Il marchio sostenibile si basa sulle linee direttive di IP-Suisse, l’associazione svizzera dei contadini che producono in modo integrato. www.migros.ch/ terrasuisse

I vitelli IP-Suisse, dai quali deriva la carne TerraSuisse, sono alimentati principalmente con latte intero e fieno. Gran parte della carne fresca TerraSuisse è lavorata dall’azienda del gruppo Migros Micarna di Courtepin, Zurigo, Ecublens o Bazenheid. / Heidi Bacchilega

TerraSuisse spezzatino di vitello ca. 400 g, 100 g Fr. 3.50

TerraSuisse ossobuchi di vitello ca. 250 g, 100 g Fr. 2.50

TerraSuisse fettine di vitello ca. 300 g, 100 g Fr. 6.70

TerraSuisse costolette di vitello ca. 200 g, 100 g Fr. 4.80

L’industria Migros produce molti apprezzati prodotti Migros, tra cui le costolette di vitello TerraSuisse.


O N A I C N U N N A COLORI CHE . A R E V A M I R P LA

13.80 invece di 19.80 23.60 invece di 33.80 13.80

9.80

Tulipani il mazzo da 30

Vaso con erbetta e coniglio decorativo al pezzo

Phalaenopsis, 3 steli in vaso da 12 cm, la pianta

Composizione floreale con cymbidium la composizione

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Idee e acquisti per la settimana

I sapori del mondo in un bicchiere I bitter sono deliziosi puri, ma anche mixati con altre bevande. E non solo in estate… I bitter sono considerati delle bevande cosmopolite. Bitter Lemon, Tonic Water e Ginger Ale sono, infatti, squisite bibite apprezzate in tutto il mondo. Servite fresche in una calda giornata estiva, diventano poi una bevanda rinfrescante e dissetante. E che dire dei numerosi drink e cocktail, che con la loro aggiunta acquistano un irresistibile tocco speciale? I softdrink bitter della linea Apéritiv proposti negli scaffali Migros sono prodotti dall’Aproz. Tutti e tre gli aperitivi sono composti da aromi naturali e acqua minerale proveniente dalle alpi vallesane. Il Ginger Ale spicca per il suo particolare sapore speziato leggermente fruttato, e grazie al suo gradevole gusto amarognolo, profumato allo zenzero, si abbina perfettamente ai succhi di frutta esotici. «Very British» è invece il Bitter Lemon, raffinato con il quattro percento di succo di limone.

Prego, entrate, accomodatevi e rilassatevi sorseggiando una rinfrescante bevanda della linea Apéritiv. Quale gusto preferite?

Tonic Water – da secoli sulla cresta dell’onda

Il classico per eccellenza tra i bitter, però, si chiama Tonic Water, ovvero l’acqua tonica, che deve il suo inconfondibile gusto alla chinina, un estratto ricavato dalla corteccia dell’albero della china, le cui proprietà benefiche si conoscono sin dal 17° secolo. Durante il periodo della colonizzazione, questa bevanda rinfrescante ha raggiunto i Paesi delle zone tropicali, dove veniva assunta ogni giorno per prevenire la malaria. A causa della ridotta quantità di chinina, oggi non avrebbe alcun effetto in tal senso, ma in compenso è un vero toccasana mixata con altre bevande. Un esempio? Il cocktail analcolico «Acqua di mare»: 1 cl di succo di limone e 1 cl di Bitter Lemon, unito a 2 cl di Ginger Ale e 4 cl di sciroppo Blue Curaçao (disponibile nei negozi specializzati), il tutto shakerato, versato in un bicchiere e allungato con acqua tonica. E per completare l’opera, decorare con ribes rossi e qualche fettina di limetta. Cincin! / Dora Horvath; illustrazioni zvg

Tonic Water 0,5 l Fr. 1.05 Bitter Lemon* 0,5 l Fr. 1.05 Ginger Ale* 0,5 l Fr. 1.05 Tutte e tre le bevande sono disponibili in confezioni da 6 bottiglie da 0,5 l. * In vendita nelle maggiori filiali Migros.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche le bevande Apéritiv.


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Idee e acquisti per la settimana

Con Blévita, una gustosa merenda per tutta la famiglia è pronta in un attimo.

Benvenuti allo snack Dolce o saporito che sia, Blévita rende lo spuntino variato, sano e gustoso

Un piccolo spuntino riporta in fretta in equilibrio il nostro bilancio energetico. Per prepararlo, Blévita offre una scelta di croccanti snack ai cereali. I classici cra-

Bio Blévita Spelta 6 porzioni, 228 g Fr. 3.75

cker con sesamo o spelta sono ottimi da soli ma si prestano benissimo anche ad essere completati con prodotti da spalmare o guarnizioni varie. Molto pratiche

Blévita Sesamo 6 porzioni, 228 g Fr. 3.35

da portare con sé sono la varianti a sandwich, con ripieno dolce o saporito. In tutti i casi, a ogni ora del giorno Blévita costituisce uno snack sano e ricco di fi-

Blévita Sandwich yogurt/ bacche di bosco 4 porzioni, 216 g Fr. 5.30

bre, come spuntino durante la pausa in ufficio, a scuola o come merenda offerta comodamente a tutta la famiglia. Questo classico Migros vanta una tradizione di

Blévita Choco & Sesamo 6 porzioni, 267 g Fr. 5.–

più di 40 anni. Parecchi prodotti Blévita contengono il prezioso acido folico, riconoscibile dal logo dell’Offensiva svizzera acido folico. / Jacqueline Vinzelberg

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui i cracker Blévita.


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Idee e acquisti per la settimana

Scarpe col botto Gli sneaker da città sono in voga. Si portano coi jeans, con la gonna, i leggings, il completo o lo spezzato. Con abbinamenti audaci, ma stilisticamente riusciti, e un sapiente mix di modelli, le scarpette variopinte sembrano ancora più cool. Queste scarpe da ginnastica

2

unisex sono di un materiale morbidissimo e particolarmente comode. Vale comunque la pena di dare regolarmente un’occhiata al reparto scarpe della Migros: lì si trovano scarpe per il tempo libero alla moda per ogni stagione a prezzi attraenti. / Dora Horvath; foto zvg

1 7

1+3+4 Sneaker da bambino gialli verdi rosa blu n. 28-35 Fr. 29.90 il paio 2 Sneaker unisex bordeaux n. 36-43 Fr. 39.90

3

5 Sneaker unisex grigi n. 36-45 Fr. 39.90 il paio 2 Sneaker unisex verdi o blu n. 36-43 Fr. 39.90 il paio

4

6

5


Foto: www.saison.ch

A H A U Q S A P COSÌ LA PIÙ GUSTO!

2.60

1.– invece di 1.30

7.80 invece di 9.80

3.80 invece di 4.80

Tortine pasquali 2 pezzi, 150 g

Tutti i dessert Tradition 20% di riduzione, per es. Crème Caramel, 175 g

Tutti le vaschette, le coppette e i cornetti Crème d’or in confezioni multiple 20% di riduzione, per es. Vanille Bourbon, 1000 ml

Tutti gli aperitivi e gli spumanti Perldor 20% di riduzione, per es. Perldor Classic, 75 cl

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