Azione 15 del 7 aprile 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 Sant’Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 7 aprile 2014

Azione 15 -79 ping M shop ne 49-59 / 70 i alle pag

Società e Territorio L’Associazione industrie ticinesi entra nelle scuole medie con il progetto «Industria? We like it!»

Ambiente e Benessere Uno studio della SUPSI mostra come il problema del gas Radon sia ancora attuale e tocchi in particolare le case ristrutturate

Politica e Economia Il presidente socialista francese François Hollande incassa una sonora sconfitta

Cultura e Spettacoli Un ricordo di Antonio Porta, il poeta italiano che ha saputo raccontare il nostro tempo

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Alessandro Gandolfi

Sicilia crocevia del Mediterraneo

di Alessandro Gandolfi pagina 11

A proposito di democrazia diretta di Peter Schiesser Ci sono momenti in cui il tempo sembra arrestare la sua corsa, lasciandoti, come dimenticato un attimo su una sedia, ad osservare la storia del nostro mondo, rivelata nelle parole di una di quelle menti illuminate che qua e là si affacciano al balcone dell’umanità. Un momento come questo, per chi scrive, è stato regalato da un’intervista di un’ora al presidente tedesco Joachim Gauck, andata in onda il 30 marzo nella trasmissione Sternstunde Philosophie (DRS – visionabile sul sito). Gauck, pastore evangelico-luterano nella Germania orientale che gli diede i natali, da giovane si iscrisse a teologia perché era l’unico modo per studiare filosofia in un contesto, la chiesa, che non fosse imbevuto di totalitarismo comunista; nel 1989 fu in prima linea nella protesta contro il regime comunista di Honecker e tra i fondatori del Neue Forum. L’intervista anticipava la visita ufficiale del presidente tedesco nel nostro Paese. Si è ovviamente parlato di Europa, del 9 febbraio, ma anche della Germania, del suo passato nazista, del Muro di Berlino, di democrazia (diretta e rappresentativa), della Svizzera. Dato lo spessore dell’intervistato, si è aperto uno spaccato sul Novecento lucido e profondo. Ogni tanto, come fu il caso anche di

Vaclav Havel, drammaturgo e poi presidente della Cecoslovacchia, intellettualità e carisma si fondono, e ne nasce una narrazione del mondo e delle genti che ci regala una comprensione più ampia della realtà. Oppure ci lascia interrogativi su cui provare almeno a riflettere. Uno di questi, Joachim Gauck l’ha dedicato indirettamente a noi svizzeri. Difendendo, riferendosi alla Germania, il sistema di democrazia rappresentativa ed esprimendosi contro una democrazia diretta a livello federale (tedesco), ha messo il dito su una piaga: «comprimere in uno schema questioni altamente complesse per poi dover decidere con un sì o un no, lo ritengo una sfida enorme per una società così differenziata». Non risuona qualcosa anche in voi? Non succede anche in Svizzera che si vota su argomenti sempre più complessi, in cui c’è da chiedersi se è davvero positivo dover rispondere con un sì o con un no, inappellabilmente come i cesari romani? Perché i nostri politici per decidere devono cercare compromessi e noi cittadini decidiamo aut aut? Forse è politicamente scorretto porsi domande simili in un contesto nazional-politico in cui il volere del popolo sembra ammantato di sacralità. Tuttavia, vale la pena chiedersi quanto di tale sacralità si fonda su una saggezza popolare e quanto su una mitizzazione. Per

cominciare: quanti vanno a votare su un referendum o un’iniziativa popolare solo dopo essersi documentati a fondo? Quanti hanno trovato il tempo per leggere, riflettere e capire? Quanti a posteriori si dimostrano sorpresi delle conseguenze del proprio voto? Consideriamo poi coloro che non vanno a votare, in Svizzera solitamente più della metà degli aventi diritto; se poi teniamo conto degli stranieri e dei minorenni che non possono votare, nel caso di una votazione che si risolve con un lieve vantaggio di uno schieramento sull’altro significa che un’esigua parte della popolazione diventa maggioranza e decide per tutti. Abbiamo quindi una democrazia diretta davvero rappresentativa? Eppure, va riconosciuto che fin qui la democrazia diretta svizzera ha portato frutti positivi, il popolo ha mostrato saggezza in tante occasioni, conquiste sociali come l’AVS, il congedo maternità, progetti epocali come Alptransit, la protezione delle Alpi (pur lontana dall’essere concretizzata) sono possibili solo grazie a chi si è recato una domenica alle urne. Tuttavia, la complessità della società aumenta e per stare al passo una democrazia diretta richiede un crescente impegno, un dovere di informarsi a fondo e un alto senso di responsabilità al cittadino - al più grande numero di cittadini possibile.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Attualità Migros

MMigros 2013: crescita dinamica FCM Aumentate le quote di mercato – Primo posto

nella classifica mondiale per l’impegno a favore della sostenibilità – In crescita anche l’utile consolidato Nonostante le difficili condizioni di mercato, nel 2013 il Gruppo Migros è comunque riuscito a distinguersi e a conquistare nuove quote di mercato. I ricavi sono aumentati del 7% attestandosi a 26,7 miliardi di franchi. La cifra d’affari del commercio al dettaglio ha registrato in termini nominali un aumento del 7,2% (senza Gruppo Tegut: +1,6%) fissandosi a 22,9 miliardi di franchi. Gli effetti del rincaro negativo sulla cifra d’affari al dettaglio corrisponde all’incirca a -50 milioni di franchi. Al netto del rincaro la crescita è quindi pari al 7,4% (invece che al +7,2%). Secondo un’analisi della società BAK di Basilea, nel 2013 il Gruppo Migros ha aumentato dello 0,2% la propria quota di mercato, portandola al 20%. La cifra d’affari al dettaglio comprende il fatturato realizzato in Svizzera e all’estero dalle dieci cooperative regionali, da Denner, Globus, Interio, Depot, dal Gruppo Office World (OWiba), da Ex Libris, LeShop, Migrolino e Migrol nonché da altre imprese. La cifra d’affari al dettaglio realizzata in Svizzera ammonta a 21’031,6 milioni di franchi (2012: 20’765,2 mio.) e registra dunque un aumento dell’1,3%. La cifra d’affari al dettaglio realizzata all’estero, generata da Migros Deutschland, Migros France, dal Gruppo Gries Deco e da Probikeshop, alle quali si è ora aggiunto anche il Gruppo Tegut, è aumentata di 1’266,8 milioni di franchi, ossia del +222,8%, attestandosi a 1’835,5 milioni (2012: 568,7 mio.). Di nuovo in crescita anche l’utile consolidato, che con un aumento di

46,7 milioni di franchi (+6,4 %) si fissa a 770,9 milioni. Anche gli investimenti si attestano ancora una volta a livelli molto elevati, con un volume complessivo di 1,324 miliardi di franchi (+8,1%). A fine esercizio la Migros occupava in totale un organico di 94’276 persone (+7,8%), tra cui 3’495 apprendisti (+5%). In Svizzera il fatturato realizzato dalle cooperative ammonta a 14,463 miliardi di franchi (esercizio precedente: 14,323 mia.), registrando dunque una crescita dell’1%. Considerando un rincaro negativo attestatosi allo 0,1% e le riduzioni di prezzo concesse per un totale di 14 milioni di franchi, la crescita in termini reali corrisponde, in Svizzera, all’1,1%. Nel 2013 le maggiori riduzioni di prezzo sono state concesse da Micasa (–5,4%), Melectronics (–3,8%) e nel ramo cosmetici (–2,7%). Nella vendita al dettaglio affidata alle cooperative, la quota di mercato ammonta per il 2013 al 15,0% (esercizio precedente: 14,9%). Nel 2013 l’incremento del fatturato generato dai prodotti certificati con specifico valore aggiunto ecologico o sociale ha superato per la prima volta la soglia dei 2 miliardi di franchi (passando a 2,01 mia.). La crescita rispetto all’esercizio precedente è dell’8% e corrisponde al 19% del fatturato globale della vendita al dettaglio affidata alle cooperative. Il principale motore di crescita è rappresentato da caffè, cacao e tè da coltivazioni socialmente responsabili ed ecologicamente sostenibili del marchio UTZ, che hanno generato 322 milioni di franchi di fatturato (+59,3%), dai prodotti del commercio equo del

Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros. (Keystone)

marchio Max Havelaar, che registrano un fatturato di 99 milioni di franchi (+17,1%), dai prodotti ittici certificati MSC e ASC provenienti da allevamenti e attività di pesca sostenibili, che hanno generato un fatturato di 77 milioni di franchi (+16,9%), e dall’assortimento Migros Bio, il cui fatturato ammonta a 517 milioni di franchi (+9,1%). I prodotti di provenienza regionale del marchio «Dalla regione. Per la regione» («I nostrani del Ticino») hanno riscosso notevole successo anche nel 2013, con un fatturato che si attesta a 827 milioni di franchi (+4,6%). Registrano una crescita straordinaria anche i prodotti del marchio aha! (+28,3%), desti-

nati a chi soffre di allergie o intolleranze. Da sottolineare che Generazione M, il programma della Migros a favore della società, dell’ecologia e della cultura, è stato premiato da una giuria internazionale come migliore iniziativa al mondo nel campo della sostenibilità. Herbert Bolliger, presidente della Direzione generale della Federazione delle cooperative Migros (FCM), commenta in questi termini il brillante esercizio 2013: «Siamo di nuovo riusciti ad aggiungere un’altra pagina alla straordinaria storia di successi della Migros. Possiamo essere estremamente soddisfatti sia dei risultati commerciali, sia del successo delle nostre attività in am-

bito sociale. La nostra strategia orientata al cross channel ci ha consentito di rafforzare ulteriormente il nostro ruolo di leader nel settore del commercio online, mentre con Generazione M abbiamo dato un risalto ancora maggiore alla nostra posizione di campione della sostenibilità. Grazie al dialogo instaurato sui social media e in particolare su Migipedia o Facebook, i clienti e l’Industria Migros hanno di nuovo sviluppato insieme parecchi prodotti ben posizionati sul mercato. La Migros rimane dunque un’impresa in perfetta salute, innovativa e redditizia, che gode della massima fiducia presso la popolazione svizzera».

Democrazia vissuta FCM Migros non modifica la sua efficace struttura dirigenziale. Lo ha deciso la 175esima Assemblea dei delegati

della Federazione delle cooperative Migros, svoltasi a Zurigo il 29 marzo Daniel Sidler * La discussione non è nuova. Anzi, da oltre un decennio i temi della separazione dei poteri e di una moderna conduzione aziendale vengono dibattuti nei diversi gremi della Comunità Migros. Come voleva il fondatore Gottlieb Duttweiler, nella Migros non si prendono decisioni affrettate su questioni fondamentali ma si cerca a lungo un consenso che deve nascere da un’attenta valutazione di tutti gli aspetti. Un compito decisamente non facile per i delegati delle dieci cooperative regionali, nel caso in cui si deve discutere della complessa struttura dirigenziale della Migros. Il 29 marzo, i delegati hanno comunque preso delle decisioni chiare. Al centro del dibattito c’era una mozione di alcuni delegati con cui si chiedeva di modificare gli statuti della Federazione delle cooperative Migros (FCM) affinché i direttori delle dieci cooperative regionali e il presidente della direzione della FCM non potessero in futuro più fare parte del Consiglio d’amministrazione della FCM. Con questa seconda modifica la FCM – che

Azione Settimanale edito da Migros Ticino Fondato nel 1938 Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile), Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

I delegati in votazione. (Digitalphoto)

di fatto costituisce l’undicesima cooperativa della Comunità Migros e che realizza una parte importante della cifra d’affari della Migros) – non sarebbe più stata rappresentata nel Consiglio d’amministrazione della FCM. Nel suo discorso, il presidente del Consiglio d’amministrazione della FCM Andrea Broggini ha ricordato ai delegati che la Migros è una federazione di aziende (cooperative regionali) che essendo autonome possono decidere autonomamente chi vogliono delegare nel Consiglio d’amministrazione della FCM: «La Migros ha tanto successo

anche perché ha delle strutture federaliste come la Svizzera». Allo stesso modo si è espresso Peter Birrer, presidente della Fondazione Adele e Gottlieb Duttweiler che ha il compito di vegliare affinché vengano rispettati gli statuti, i contratti e i valori definiti dal fondatore: «Duttweiler non voleva un potere gerarchico, ha sempre desiderato uno stile di conduzione partecipativo. Senza un rappresentante della FCM nel Consiglio d’amministrazione si spezzerebbe quell’addentellata ricerca di consenso all’interno della Comunità Migros». Birrer si è appellato ai delegati affinché

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La corrispondenza va indirizzata impersonalmente a «Azione» CP 6315, CH-6901 Lugano oppure alle singole redazioni

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non si chiedano solo chi abbia ragione ma che cosa sia la cosa migliore per la Migros. Dopo queste chiare prese di posizione, il risultato della votazione non ha stupito nessuno: 33 dei 106 delegati presenti hanno votato a favore della mozione, 72 per il mantenimento degli statuti. Minori discussioni si sono invece avute per la mozione con cui si chiedeva una limitazione della durata dei mandati dei membri del Consiglio d’amministrazione della FCM. In passato le commissioni statutarie hanno sempre respinto categoricamente una limitazione della durata del mandato, questa volta invece il Consiglio d’amministrazione ha presentato la proposta di un limite di 16 anni – quattro legislature. La proposta è stata accolta con 80 voti. Anche in questo caso ha regnato il consenso: non si vuole «mandati a vita», ma neppure si intende perdere del prezioso know how se dei membri del Consiglio d’amministrazione devono cedere il mandato dopo un periodo troppo breve. Un dibattito invece di nuovo più animato si è avuto a proposito del nuovo Regolamento organizzativo del Consi-

glio d’amministrazione, che regola l’organizzazione interna del gremio e la conduzione aziendale della FCM e definisce le competenze dei suoi organi. Il Consiglio d’amministrazione ha presentato una versione rivista che corrisponde meglio ad una moderna conduzione aziendale, in sostituzione della versione che risale al 2003. Il Regolamento organizzativo, adattato con due piccole modifiche, è stato accolto con 70 voti. Al termine del dibattito sugli statuti, la presidente dell’Assemblea dei delegati Ursula Nold ha ringraziato i delegati per la non facile ricerca del consenso: «oggi, dopo molte e preziose discussioni sulla Corporate governance, abbiamo deciso in modo pienamente democratico». Come d’abitudine, la sessione primaverile dell’Assemblea dei delegati è servita anche per prendere conoscenza e votare sia il rapporto d’esercizio, sia i risultati d’esercizio, come pure il conseguente discarico del Consiglio d’amministrazione e della Direzione generale della FCM.

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* Redattore di Migros Magazin

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Società e Territorio Donne e tecnologia L’attività del gruppo Geek Girls Dinners Ticino: da Coderdojo a Fashion&Technology pagina 5

Neuroni alla ricerca della felicità Secondo gli studi del neuroscienziato Shimon Edelman usiamo le capacità statistiche del nostro cervello per trovare la felicità pagina 6

L’Associazione industrie ticinesi propone agli allievi di quarta media di entrare nelle aziende e interessarsi alle professioni industriali (AITI)

L’industria entra a scuola

Tirocinio Un progetto innovativo dell’AITI per avvicinare i giovani (e i loro genitori) a un importante settore

economico che offre numerosi posti di lavoro e possibilità di carriera Stefania Hubmann La fabbrica è un luogo di lavoro moderno dove molteplici figure professionali contribuiscono allo sviluppo, alla produzione e alla vendita di articoli che senza saperlo ritroviamo nella nostra vita quotidiana. Spesso non si conoscono nemmeno le nuove professioni che il settore industriale è in grado di offrire, così come l’importanza di quest’ultimo per l’economia cantonale in termini di fatturato e posti di lavoro. Ignoranza e pregiudizi rendono le industrie ticinesi poco attrattive per i giovani in cerca di un posto di tirocinio proprio quando il settore ne mette a disposizione numerosi, oltretutto in tempi economicamente difficili. Come superare queste barriere mentali e favorire la riscoperta delle professioni industriali? L’Associazione industrie ticinesi (AITI) ha deciso di entrare nelle scuole medie e di portare gli allievi di quarta nelle aziende. Un’esposizione in sede e una serata informativa con le famiglie sono gli altri tasselli del progetto «Industria? We like it!». L’iniziativa finora ha coinvolto cinque scuole medie. Partita lo scorso autunno da Balerna, dove si è registrata una buona partecipazione di genitori, ha poi interessato Viganello e in queste settimane Cadenazzo. Per l’inizio del prossimo anno scolastico sono già in calendario Losone e

Giornico. «L’obiettivo è di presentarci in tutte le regioni del Ticino prima di valutare il progetto a fine 2014», spiega Andrea Bertagni, collaboratore di direzione dell’AITI. I primi incontri del responsabile del progetto con allievi e genitori confermano infatti la necessità di sfatare diversi stereotipi riguardanti il mondo industriale, informare sulle nuove professioni presenti nel settore e sulle possibilità di proseguire gli studi dopo l’apprendistato. «Con i ragazzi visito innanzitutto la mostra che illustra da un lato la storia dell’industria e dell’associazione (nata nel 1962 riunisce duecento imprese ticinesi e del Grigioni italiano) e dall’altro le opportunità di formazione in dodici professioni industriali. Quando parlo di polimeccanico, impiegato in logistica, agente tecnico di materie sintetiche o technical industrial designer, pochi capiscono di che cosa si tratta anche fra i genitori». Per permettere ai giovani di toccare con mano queste realtà, il progetto prevede la visita a quattro aziende della regione. Trovare industrie attive in settori diversi, dalla chimica farmaceutica all’orologeria, dalla tipografia alla metalmeccanica, che aprano le porte a possibili futuri apprendisti non è un problema. Il Ticino, soprattutto in certe zone, è ricco di piccole e medie imprese specializzate e molto competitive con una forte vocazione

all’esportazione. In cifre quelle rappresentate dall’AITI contano 16mila posti di lavoro e producono un fatturato di 14 miliardi di franchi pari al 21% del PIL cantonale. Il settore industriale è quindi sia il più grande datore di lavoro a livello cantonale sia il maggior produttore di ricchezza. Quando nel 2012 l’AITI ha celebrato il cinquantesimo di fondazione, rendendosi conto che questi ottimi risultati non trovavano riscontro nella popolazione, in particolare nelle nuove generazioni, ha deciso di investire nella formazione. Un impegno ad ampio raggio e a lungo termine iniziato in stretta collaborazione con l’Ufficio dell’orientamento scolastico e professionale. Il progetto «Industria? We like it!» s’inserisce in questa strategia unitamente alla partecipazione al progetto LIFT (per gli allievi di terza e quarta media con qualche difficoltà) e a Espoprofessioni. «L’accento viene posto anche sulle qualifiche e le relative esigenze delle imprese», aggiunge Andrea Bertagni. «Attualmente con una decina di aziende stiamo lavorando a un progetto di formazione nel settore dell’orologeria. È un campo in rapida evoluzione, dove sono necessarie nuove competenze che vorremmo poter garantire attraverso la creazione di uno specifico Centro di formazione». Lo stretto contatto con le fabbriche è proficuo anche per i progetti scolastici. Nel

caso di «Industria? We like it!», oltre alle visite, giovani manager tra i 30 e i 40 anni sono invitati a parlare direttamente agli allievi e ai loro genitori. Uno di questi è Ivan Pavlovic, assistente alla produzione della Rex Articoli Tecnici di Mendrisio, azienda che sviluppa e produce articoli in gomma e termoplastica. A 36 anni Ivan Pavlovic festeggerà fra qualche mese i 20 anni d’attività nell’impresa nella quale è entrato come apprendista. Una carriera che da agente tecnico di materie sintetiche (premiato quale miglior apprendista del settore) l’ha portato a diventare assistente del chimico, capo reparto e dal 2007 assistente alla produzione. Due anni fa gli è stata inoltre affidata la responsabilità della formazione interna. L’azienda assume un apprendista ogni due anni per assicurare un adeguato ricambio generazionale; al momento ne impiega due di cui una ragazza. «I diplomati hanno anche la possibilità di effettuare esperienze all’esterno dell’impresa – afferma Ivan Pavlovic – e ritornare con una specializzazione o nuove conoscenze linguistiche. Questo dimostra che un apprendistato lascia ancora aperte molte porte contrariamente al timore espresso da diversi genitori». Andrea Bertagni conferma da parte sua che oggi un’industria è un’azienda di grandi dimensioni con l’aggiunta del settore produttivo: «I profili profes-

sionali nel settore industriale sono solo in parte poco qualificati, un numero sempre crescente è in realtà molto specializzato». E se i frontalieri sono una componente strutturale dell’attività industriale, la loro presenza non incide sui posti a disposizione per i residenti. In effetti, negli ultimi trent’anni, a differenza del settore terziario, il loro numero è aumentato in modo contenuto. A inizio marzo di quest’anno i posti di tirocinio messi a disposizione dalle aziende industriali ticinesi formatrici erano ben 303, di cui la maggior parte nell’industria meccanica, nell’orologeria e nella metallurgia. Per le imprese la ricerca di apprendisti è sempre una sfida. Ivan Pavlovic collabora con l’Ufficio regionale di orientamento di Mendrisio ma gli interessati sono pochi. Ai giovani raccomanda di sfruttare al massimo la possibilità di effettuare degli stage, vale a dire di entrare nell’industria ed avere un contatto fisico con le condizioni di lavoro. Odori, rumori, aspetti manuali si percepiscono solo sul posto. In questo modo ragazzi e ragazze possono scoprire le caratteristiche e le potenzialità di un apprendistato nel mondo industriale ed essere sostenuti nella loro scelta dalla famiglia. Informazioni

www.aiti.ch/giovani


Ricetta e foto: www.saison.ch

O T A I G E R P E C UN PES . E R A T S U G A TUTTO D

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1.55 invece di 1.75

Salmone selvatico Sockeye in conf. da 2 Alaska, 2 x 100 g

Mezza panna per salse Valflora 180 g

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Senape con fichi Sélection* 100 g

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Ingredienti: 1 dl di vino bianco, ½ bustina di zafferano, 2,5 dl di panna per salse, sale, pepe, 500 g di filetti dorsali di merluzzo, 200 g di salmone affumicato, ad es. Sockeye, 1 cucchiaino di senape dolce, ad es. senape ai fichi, 1 cucchiaino d’olio di girasole Preparazione: scaldate il vino con lo zafferano. Unite la panna e condite con sale e pepe. Versate la salsa in una pirofila ampia. Scaldate il forno a 180 °C. Asciugate i filetti di pesce con carta da cucina. Accomodate le fette di salmone su un foglio di carta da forno sovrapponendole leggermente e formando una lunga striscia. Spennellatele di senape e cospargetele di pepe. Sistemate i filetti di merluzzo al centro del salmone affumicato e avvolgeteli nel salmone. Tagliate il rotolo in medaglioni spessi 2 cm. Accomodateli nella salsa allo zafferano con la superficie di taglio rivolta verso l’alto. Irrorate i medaglioni d’olio. Cuoceteli in forno per 10–15 minuti. Cospargete di pepe. Suggerimento: non salate i filetti di merluzzo, in quanto il salmone affumicato è già molto saporito.

Tempo di preparazione 20 minuti + cottura al forno 10–15 minuti Per persona 36 g di proteine, 22 g di grassi, 3 g di carboidrati, 1600 kJ/380 kcal


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Società e Territorio

Tecnologia al femminile

Geek Girls Dinners Ticino Il gruppo di donne appassionate di informatica, di hi-tech

e di scienza ha da poco concluso l’esperienza Coderdojo rivolta ai bambini. Intervista alla co‐fondatrice Cristina Giotto

MPartecipa alla grande caccia alle uova! Eventi La Scuola

Club Migros Ticino festeggia la Pasqua con le famiglie

Daniela Delmenico Quello tra donne e tecnologia è spesso considerato un connubio un po’ difficile. La realtà è però ben diversa: molte donne sono abili informatiche ed hanno un ottimo rapporto con la tecnologia. Ne è una prova il gruppo GGDT, che opera sul territorio ticinese da quasi due anni. Abbiamo incontrato Cristina Giotto, co-fondatrice e membro del gruppo, che ci ha spiegato che cos’è GGDT e quali sono le attività che vengono proposte sul nostro territorio. Ma prima di tutto, cosa significa GGDT? «È una sigla che sta per Geek Girls Dinners Ticino, ovvero un gruppo di donne appassionate di informatica, di hitech e scienza che si incontrano, spesso a cena, per discutere di questi temi, per parlare di vari progetti e per organizzare eventi». Il gruppo ticinese si rifà a un movimento presente su scala mondiale, nato nel 2005 in Inghilterra, da un’idea di Sarah Blow, proprio con lo scopo di dare più visibilità alle geek girls (le «ragazze appassionate di tecnologia») e di cercare di sfatare gli stereotipi relativi al rapporto tra donne e mondo della tecnologia, anche per promuovere questo tipo di professioni nel modo femminile, che ancora troppo spesso

le diserta. In Ticino il gruppo è stato fondato nell’ottobre 2012 e si compone di 5 membri: «il nostro gruppo – ci racconta Cristina Giotto – è nato in modo molto tecnologico. Abbiamo infatti organizzato il nostro primo evento, e quindi fondato il gruppo, soltanto via internet! Questo primo evento riguardava la gestione delle informazioni, la cosiddetta “rete agile” e aveva come ospiti d’onore le socie di GGD Milano, alle quali ci siamo ispirate per creare il gruppo in Ticino. Alla serata erano presenti 2 uomini e ben 48 donne… questo significava per noi che di geek girls ce ne sono molte in Ticino e che ciò di cui avevano bisogno era soltanto un’occasione per trovarsi». Da quel momento le GGDT non si sono più fermate. Uno degli eventi di maggior successo è stato Coderdojo: «si tratta di un corso di programmazione rivolto ai bambini dai 6 agli 11 anni. Nell’estate del 2013 siamo state contattate da un’azienda ticinese attiva nel settore informatico con la proposta di portare il format Coderdojo, conosciuto in tutto il mondo, anche qui in Ticino, una prima anche a livello svizzero. Abbiamo subito accettato con entusiasmo e cercato la collaborazione di atedICT Ticino (l’Associazione ticinese degli informatici) e dei principali attori

in questo ambito presenti sul territorio. La risposta è stata ottima!». Le lezioni si sono appena concluse e il risultato è veramente soddisfacente, racconta Cristina Giotto: «È stata un’esperienza entusiasmante, per tutti, noi comprese. I mentor, i soci ated, e gli studenti della SSIG (Scuola Superiore di Informatica di Gestione) che seguivano i bambini durante il corso sono stati contagiati dall’entusiasmo di questi ultimi. Tra i 30 bambini che hanno preso parte alle 9 lezioni del corso, ne abbiamo avuti anche due di soli 5 anni e mezzo, e sono stati tutti contentissimi. I bambini spesso navigano in rete o giocano al computer, ma è stata per loro una scoperta vedere cosa ci sta dietro e poter creare qualcosa di persona. A breve avremo la consegna dei diplomi Coderdojo, e a settembre ripartiremo con un nuovo corso». L’esperienza Coderdojo ha dato il la a un nuovo progetto, che si è appena concretizzato con la nascita di ated4kids, una sezione di ated-ICT Ticino dedicata ai più giovani, che ha lo scopo di avvicinarli alla tecnologia e di permettere loro di scoprire divertendosi le sue infinite potenzialità. «Oltre a Coderdojo, ated4kids porterà in Ticino il format Devoxx4kids. Si tratta di sessioni in cui i ragazzi pos-

sono sperimentare attività come lo sviluppo di giochi al computer, la programmazione di robot e molto altro. Inoltre il 17 maggio abbiamo in programma anche la prima giornata della tecnologia, dedicata ai ragazzi dagli 11 ai 16 anni, che si svolgerà presso la SUPSI di Manno». Ma il gruppo GGDT ha anche altri eventi in programma: «Il 23 maggio prossimo si terrà una serata dedicata al rapporto tra moda e nuove tecnologie, dal titolo Fashion & Technology. Saranno presenti ospiti importanti e si parlerà di stampanti 3D, di fashion design e di molto altro. In autunno poi si svolgerà un evento dedicato al turismo… ci stiamo lavorando. È importante sottolineare che alle nostre iniziative possono partecipare tutte le donne con la passione per la tecnologia: non è necessario avere una preparazione specifica, ma solo la voglia di conoscere questo mondo e imparare sempre cose nuove». Le idee non mancano, e l’entusiasmo neppure, e questo dimostra come il legame tra donne e hi-tech possa essere molto produttivo e dare risultati estremamente interessanti. Informazioni

http://ticino.girlgeekdinners.com/

Domenica prossima 13 aprile la Scuola Club Migros Ticino organizza una favolosa caccia alle uova presso il Parco Vira di Savosa, in collaborazione con l’Associazione Football Club Savosa Massagno. Dalle 11.30 il parco sarà teatro di giochi e attività per tutti i bambini, in attesa di dare inizio alla grande caccia alle uova. A partire dalle 13.00 i bambini potranno iniziare a cercare e raccogliere coniglietti, paperotti, uova di cioccolato, piccole sorprese e uova colorate. Oltre mille saranno i tesori pasquali e chi scoverà il maggior numero di uova colorate potrà vincere i premi speciali. Grazie al prezioso contributo di Migros Ticino a tutti i bimbi verranno distribuiti dolcetti e ragali. L’Associazione Savosa Massagno proporrà inoltre un servizio di ristoro a pagamento e la Scuola Club offrirà a tutti la colomba pasquale. La giornata si concluderà con la premiazione alle ore 15.00.

È la prima volta che la Scuola Club organizza questo evento in Ticino con l’obiettivo di farlo diventare un appuntamento fisso per gli anni a venire. Il costo per bambino è di 2 franchi (gratuito per i minori di 6 anni). Ci si può iscrivere via email all’indirizzo scuolaclub.lugano@migrosticino.ch o direttamente sul posto. In caso di pioggia l’evento verrà annullato. Si raccomanda di accedere al Parco Vira da Via E.Maraini, poiché l’entrata dalla Via Cantonale è chiusa per lavori.

Viale dei ciliegi di Letizia Bolzani Jesse Klausmeier (testi), Suzy Lee (illustrazioni), Apri questo piccolo libro, Corraini Edizioni. Da 4 anni Un libro è fatto di parole, di immagini, ma anche di un imprescindibile valore aggiunto, ossia la relazione tra parole e immagini. Una relazione che deve tener conto del libro come tutt’uno, come un insieme armonico di parti dove ogni elemento ha un senso: anche la prima e la quarta di copertina, anche la rilegatura, quella piega in mezzo alla doppia pagina in cui solitamente si consiglia agli illustratori di non disegnare, perché il tratto ne verrebbe interrotto. Ebbene, la grandezza di Suzy Lee sta proprio nel fatto che nei suoi libri tutto ha un senso e tutto contribuisce a raccontare la storia. Anche la rilegatura, appunto, che nel suo capolavoro L’onda funziona come una soglia tra la realtà e l’Altrove, nel quale sconfina la bambina protagonista. Per capire la poetica della straordinaria autrice di quelli che a buon diritto possono essere definiti libri d’arte per

bambini, è preziosa la lettura de La Trilogia del limite (edita da Corraini, come tutte le sue opere), in cui è lei stessa a raccontarci la genesi dei suoi lavori, in particolare L’onda, Ombra e Mirror.

Ora è appena uscito un libro che Suzy Lee ha realizzato con la collaborazione, per il testo, di Jesse Klausmeier.

Ancora una volta è un libro incantevole, metaletterario, dove protagonista è proprio lo stesso libro che teniamo in mano, e poi i vari libri, rosso, verde, arancione, giallo, blu, che sempre più piccoli apriamo, uno dentro l’altro, nel vertiginoso viaggio dalla prima all’ultima pagina. Ogni libro successivo è aperto da un animale: la coccinella, protagonista del libro rosso, apre un libro verde, che parla di una rana, che apre un libro arancione, che parla di un coniglio, che apre un libro giallo… sempre più affondando nella storia della storia della storia… Il finale è aperto, arioso, una radura di quiete dopo la vertigine: i personaggi protagonisti, ma anche altri animali, e due bambini, ognuno con un libro, intenti tranquillamente a leggere. Chi tra i rami di un albero (che funziona un po’ come libreria vivente, della quale abbiamo un bel dettaglio in copertina), chi ai piedi dell’albero, nell’erba. Perché di certo, quando «chiudi questo piccolo libro» ti verrà voglia di aprirne altri!

Anna Vivarelli, Un gioco pericoloso, serie «Il castello della paura», Piemme Il Battello a Vapore. Da 10 anni Mi racconti una storia di paura? C’è sempre un bambino che te lo chiede, negli incontri di promozione della lettura. Spesso sono lettori riluttanti, che però una bella storia di paura la af-

frontano volentieri. Lo sapevano già gli antichi, che il terrore è catartico, ma ai bambini è importante fornirlo ben dosato, in storie sapientemente costruite, con gli ingredienti classici del genere ma in solido equilibrio, senza eccessi. È il caso della nuova collana Piemme «Il castello della paura»: per la prima volta una serie horror tutta italiana, con nomi di punta quali Alessandro Gatti, Guido Sgardoli, Fabrizio Silei e Anna Vivarelli, che ai fantasmi ha già dedicato diversi romanzi interessanti. Stavolta, in Un gioco pericoloso, mette in scena l’incontro, in una baracca, tra un ragazzo «reale» che sta giocando a nascondino, e un ragazzo ben più inquietante, che non appartiene a questo mondo e non sta affatto giocando a nascondino. I romanzi sono tutti autonomi e in sé conclusi, ma a correlarli c’è il racconto cornice, in cui il maggiordomo del castello si aggira tra le stanze seguito dal suo nero corvo, il quale ogni volta trova un oggetto che farà affiorare alla memoria una storia da raccontare.


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Società e Territorio

Sentire la felicità Ricerca Secondo il neuroscienziato Shimon Edelman usiamo le capacità statistiche del nostro cervello

per trovare la felicità

Lorenzo De Carli Gli scienziati sono convinti che sia giunto il loro momento di occuparsi della felicità. In particolare lo sono quelli che si occupano di neuroscienze, persuasi come sono che, dopotutto, la felicità sarà anche un sentimento, ma – comunque – un sentimento provato da una mente. Questa è la convinzione, per esempio, dello psicologo Shimon Edelman, autore di articoli scientifici elencati in tutte le bibliografie dedicate alla teoria computazionale della mente, ma anche di libri di larga divulgazione, l’ultimo dei quali è stato anche tradotto in italiano con il titolo La felicità della ricerca. Le neuroscienze per stare bene. Edelman, formatosi in quella che era l’Unione Sovietica, emigrato in Israele, oggi docente alla Cornell University, è giunto alla psicologia provenendo dall’ingegneria informatica. Per lui non ci sono dubbi: «può esistere una mente anche senza che ci sia bisogno di un cervello». È la posizione tipica di chi ritiene che, essendo il cervello l’hardware e la mente il software «che ci gira sopra», si potrebbe far emergere un qualche tipo di mente anche da un tipo di hardware diverso dal cervello. Rispetto, però, a chi ritiene che il paragone tra cervello e computer sia solo una metafora, Edelman si distingue perché sostiene che non si tratta più di una metafora: il nostro cervello non fa altro che calcolare, incessantemente, proprio come un computer. «L’idea fondante, punto di partenza per la mia storia, è che la mente è intrinsecamente ed essenzialmente un fascio di calcoli in continuo svolgimento, e il cervello è uno dei molti possibili substrati che possono sostenerli».

Nella prospettiva computazionale di questo psicologo anche gli oggetti inanimati «calcolano» perché non si possono sottrarre alle leggi della fisica. Anche i sassi calcolano: «un sasso che cade calcola la propria traiettoria seguendo le leggi di Newton, come la griglia del forno calcola la corrente che la attraversa seguendo la legge di Ohm». Ma gli esseri viventi come «calcolano»? Edelman distingue tra i viventi, quelli dotati di neuroni. Compito principale dei neuroni, anche nei viventi che ne hanno così pochi da poter essere contati, è quello di fare «inferenze statistiche sui loro input». Poche cellule, cieche e insensibili, costituenti organismi piccolissimi, «sanno» dove cercare il cibo perché i loro neuroni, nel corso della ricorsiva interazione con l’ambiente, hanno «fatto dei calcoli», hanno cioè appreso con l’esperienza che ci sono maggiori probabilità di trovare cibo là, piuttosto che qua. Sono esseri coscienti? No, però sanno come muoversi nello spazio perché ne hanno una rappresentazione e sanno attribuire un valore agli elementi che vi si trovano: «le reti neurali sono quindi adatte per rappresentare il mondo e rendere possibili previsioni statisticamente fondate». Le reti neurali «valutano» l’esperienza dell’interazione con l’ambiente grazie alla forza di collegamento tra un neurone e l’altro, vale a dire per mezzo di sinapsi dotate di maggiore o minor peso. Reti neurali sempre più complesse hanno la capacità di rappresentare lo «spazio esterno» con crescente grado di complessità. Secondo gli studi compiuti da Edelman – d’altronde in linea con altri scienziati, come per esempio Albert-László Barabási – il mondo nel

quale tutti gli organismi vivono (noi compresi) è molto prevedibile, e proprio per questa ragione non solo le inferenze statistiche compiute da tutte le reti neurali sono utili, ma anche il futuro è molto prevedibile, proprio perché «il mondo esibisce regolarità statistiche». Ecco che, quindi, anche gli organismi più elementari sanno che cos’è la felicità: la capacità di orientarsi nel mondo, godendo della soddisfazione statistica di aver trovato cibo e un eventuale partner con cui riprodursi. Abbiamo attirato l’attenzione su piccoli organismi che si muovono nello spazio orientati dalla loro capacità di elaborazione statistica perché Edelman ritiene che la nostra memoria, evolutivamente, discenda proprio da quell’esplorazione spaziale: «la memoria episodica si basa molto sul ricordo dei luoghi in cui si verificano gli eventi e della loro relazione spaziale, trasformando quella che è la rappresentazione spaziale di un ambiente fisico nella formazione di uno spazio astratto fatto di pattern e possibilità che si accumulano nel corso della vita». Lo «spazio astratto» di cui parla Edelman non è nient’altro che la nostra mente, che emerge quando una rete neurale è sufficientemente complessa da poter avere coscienza di sé, dopo aver appreso a rappresentare il mondo. Si tratta di uno spazio «parassitato» dal linguaggio, e in particolare da concetti, idee e informazioni che passano di mente in mente, sfruttando i sensi con cui i nostri corpi s’interfacciano tra loro e con l’ambiente esterno. Molto influenzato dalla letteratura fantascientifica, Edelman ritiene che il nostro «sé» non è confinato nel nostro «cranio, per il semplice fatto che i

Il cervello «calcola» modulando la forza dei collegamenti tra i neuroni. (androidheadlines.com )

concetti rappresentati all’interno del cervello sono tremendamente avviluppati, in termini di causa ed effetto, con oggetti ed eventi esterni». E la felicità? «L’articolarsi del paesaggio dei valori in domini di repulsione e di attrazione mette in moto la ricerca della felicità». I valori sono le valutazioni che facciamo dell’ambiente in cui ci muoviamo in quanto organismi, ma anche dell’ambiente virtuale in cui viviamo in quanto dotati di una mente «parassitata» dai memi, dalla cultura. La felicità – nella forma di scarica di dopamina (perché «il cervello è l’organo con cui le persone sentono

la felicità») – è la sensazione di benessere che proviamo quando, giunti in un luogo fisico oppure in un luogo della mente piacevoli, ci rendiamo conto d’aver messo a frutto la nostra esperienza. Ma siccome «la mente è un’incarnazione dell’anticipazione del futuro» dice Edelman, «siamo destinati ad essere costantemente impazienti nel presente». Se sappiamo dove andare per trovare la felicità (come ogni più piccolo organismo dotato di neuroni prova a fare), allora, sembra suggerirci Edelman, la ricerca stessa è la felicità – un po’ come dire che la meta è il viaggio stesso.

Come cadono i Titani Videogiochi Il primo grande titolo della nuova generazione di console è un meccanismo perfetto di divertimento

puro ma anche un manifesto per un futuro di videogiochi senza trama Filippo Zanoli La chiusura di Irrational games, uno degli studios più autoriali del mondo del videogioco, ha colto in contropiede praticamente tutti. E nemmeno i dipendenti se l’aspettavano, mentre ricevevano la tetra novella dalle labbra tremanti di un nervoso e contrito Ken Levine, presidente dell’azienda fondata nel 2007. «Com’è possibile?» in molti si chiedevano, già perché Bioshock Infinite è stato uno dei grandi successi del 2013, raccogliendo pure premi a destra e a manca. Quale il motivo? A quanto pare, le quattro milioni di copie vendute non sono state abbastanza per il publisher 2K games, anche in prospettiva del lungo periodo di gestazione: 5 anni per sviluppare un videogame, non importa con quanti e quali crismi, al giorno d’oggi sono decisamente troppi. E un po’ di colpa Ken Levine, ce l’ha. Scrittore con ambizioni, geniale, sagace ed

Titanfall: tante battaglie, nessuna storia.

estremamente pignolo è senz’altro uno dei responsabili per il continuo ritardo e rinvio della pubblicazione del titolo. Eppure anche Francis Ford Coppola, un genio per il suo medium, necessitava di tempo per strutturare le sue idee e realizzarle in pellicola. Apocalipse

Now, forse uno dei film più importanti di sempre, ha più volte rischiato di non vedere la luce mentre la troupe si smarriva nella jungla indocinese. L’umanità, però, ne ha senz’altro guadagnato, o no? Eppure, con l’aria che tira oggi, non ci si può permettere questi azzardi

nemmeno coi videogame, ed è un gran peccato. A confermarlo sono anche le tendenze di consumo delle attuali generazioni. I ragazzi, oggi, quando giocano con le console lo fanno perlopiù online, sfidandosi all’ultimo assalto in arene digitali. Campioni di vendite come Call of Duty, Black Ops e Battlefield vengono giocati quasi esclusivamente online. La modalità in «solitaria», sorretta da una trama e un impianto narrativo, spesso non viene nemmeno considerata. Ha quindi senso perdere tempo a sceneggiare, strutturare, immaginare quando ci si può concentrare sulla parte tecnica, affinando, sgrassando e creando dei perfetti meccanismi di divertimento? E, in questo senso, Titanfall esclusiva per Xbox One e Windows targata Electronic Arts e Respawn Entertaiment può quasi essere considerato un nuovo capostipite del videogioco non-narrativo. In un universo futuristico eserciti di uomini e robotici titani,

si scontrano in battaglie senza esclusioni di colpi. Basta un esile tratteggio del contesto per lanciarsi a mille all’ora in una delle più divertenti e gratificanti esperienze che il videogame abbia mai offerto. Sebbene la grafica, vero (e forse unico) punto di forza dell’ultima generazione di console, di Titanfall non sia particolarmente stupefacente quello che cattura sono le meccaniche di gioco, fluide, veloci, calibrate in maniera veramente certosina. Le regole sono semplici, come ogni buon shooter in prima persona che si rispetti si spara ai nemici tentando di sopravvivere il più possibile. Dopo un po’ di uccisioni sarà possibile evocare il proprio personalissimo titano metallico (una sorta di veicolo-robot) che viene lanciato nel bel mezzo del campo di battaglia. Dopo di che… si continua a sparare, ma da tutt’altra posizione! Ma non tragga d’inganno la corazza, perché anche i giganti possono cadere. Annuncio pubblicitario

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tino, di Guastavino e López Buchardo, sono le promesse di una serata intensa, intima e folgorante. 3.5.2014: Notturni di Chopin con Daniel Levy Una serata interamente dedicata alle ispirazioni di Chopin con i suoi Notturni, nelle mani di Daniel Levy, danno al pianoforte una voce simile al bel canto che il compositore polacco ammirava in Bellini e Donizetti. Una serata all’insegna del romanticismo che cambia chi ascolta. 10.5.2014: Robert Zimansky & Daniel Levy Infine, per coronare questo ciclo, il violino di Robert Zimansky e il pianoforte di Daniel Levy daranno prova del

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Società e Territorio Rubriche

L’altropologo di Cesare Poppi Pocahontas, non Biancaneve Se ne è voluto fare una sorta di fotocopia politically correct dell’immortale schema della giovane bellissima che dopo un’infanzia di stenti sposa il Principe Azzurro e vissero per sempre felici e contenti. Nel folclore statunitense poi, la vicenda di Pocahontas è consacrata come testimonianza della possibilità di quella convivenza interculturale che rappresenta ancora un problema, oggi più che mai dopo essere diventata questione globale e non certo più confinato ai sogni della melting pot. Era il 5 aprile 1615 – o 1614, secondo alcune fonti (l’anniversario essendo comunque caduto lo scorso sabato) –quando Pocahontas sposava John Rolfe a Jamestown, al tempo l’insediamento più importante della Virginia. Rolfe era un figlio cadetto di un’importante famiglia di Heacham, in Norfolk, e come tanti del suo rango era emigrato in cerca di fortuna che aveva trovato nella produzione e nel commercio di tabacco, attività delle quali era stato il primo lungimirante promotore. Rolfe era rimasto vedovo della prima moglie

che era morta assieme al figlio durante la traversata dall’Inghilterra all’America. Giunto a Jamestown, aveva presto conosciuto una giovane indiana che veniva al momento istruita nelle materie della dottrina cristiana da un certo Reverendo Whittaker. Le circostanze della «conversione» di Pocahontas non erano certo delle più nobili. La giovinetta era stata infatti portata a bordo della nave Treasurer ormeggiata a Jamestown e lì senza troppi complimenti fatta prigioniera. L’idea era quella di persuadere suo padre a venire a più miti consigli, e restituire armi e prigionieri in cambio della figlia. Erano tempi delicati per i rapporti fra gli indigeni e i nuovi arrivati. Il Capo degli Algonchini di Virginia, Powahtan, provava a perseguire una politica di compromesso conscio come era – o forse illuso – che coi nuovi arrivati fosse meglio venire a patti piuttosto che allo scontro aperto, così come avrebbe imparato il suo successore Opecanchanough il quale, in seguito alla reazione degli inglesi dopo gli attacchi

peraltro in una battuta di caccia, prese prigioniero John Smith e lo portò nel villaggio di Capo Powahtan. Quello che successe a questo punto è ancora materia di dibattito fra gli storici. Secondo John Smith, che dell’episodio dette una versione tarda in una lettera scritta alla regina inglese Anna quando Pocahontas era ormai una celebrità, la ragazzina si sarebbe frapposta fra lui e suo padre quando questi stava per spaccargli la testa con un colpo di mazza, arnese che gli Algonchini maneggiavano con grande disinvoltura, salvandogli così la vita. Un’attenta lettura dei dettagli, invece, suggerisce che quello che passò per un tentativo di assassinio altro non fosse che una cerimonia… diciamo un po’ colorita, per conferire al Capitano il titolo di Sottocapo. Comunque siano andate le cose, il fatto rese Pocahontas celebre nell’insediamento inglese, e ancor più lo divenne quando portò cibo ai suoi amici bianchi durante un inverno particolarmente lungo e rigido. Insomma: quando John Rolfe conobbe la bella

prigioniera dapprima si offrì come aiutante dell’opera di conversione, se ne innamorò, la fece battezzare col nome di Rebecca e di lì a poco ebbe da lei un figlio di nome Thomas. Al ritorno della famigliola in Inghilterra per una visita nel 1616, Pocahontas era una celebrità. King James addirittura fece incoronare suo padre Powahtan Imperatore della Virginia (a quale titolo Dio solo lo sa), mentre si dice che non perdonasse al povero Rolfe, un suddito come tanti, di aver sposato una principessa senza prima ottenere la dovuta licenza reale. Insomma un bel pasticcio: anche perché Pocahontas non era affatto principessa: presso la sua tribù vigevano infatti regole di successione alle cariche per la quale lei stessa sarebbe rimasta comunque un suddito a tutti gli effetti. Ma la nostra Biancaneve non ebbe nemmeno il tempo di porsi il problema: morì infatti alla vigilia del ritorno in Virginia di vaiolo, una malattia sconosciuta agli Algonchini. Della sua tomba si è persa ogni traccia.

che positive che ho cercato di sostenere. Raramente un giovane uomo si confessa in pubblico: difficilmente ammette quanto deve a sua moglie; non capita tutti i giorni che riconosca di essere l’unico colpevole delle sue trasgressioni e di aver bisogno di perdono e di aiuto. La sua sincerità mi ha indotto a dargli fiducia sino al punto di consigliargli (e questo è forse prematuro) di pensare a un figlio. Confrontandomi con le vostre obiezioni, mi sembra che pecchiamo da entrambe le parti per eccesso: mentre io colgo solo il positivo, voi cogliete solo il negativo. Ma credo che proprio dal dialogo, dal confronto e dallo scontro, possa emergere, tra luci e ombre, il chiaroscuro della verità. Più in generale, assistiamo in questi anni a un cambiamento di rotta rispetto al ventennio ’80-90. Sorrette dall’orgoglio femminista, decise a sottrarsi al giogo della dipendenza, polemiche con le loro madri, considerate arretrate, molte donne spezzarono il legame matrimoniale alla prima infrazione del partner. Furono

molto coraggiose e dimostrarono che è possibile vivere senza un uomo accanto e crescere i figli da sole. Credo che dovremmo essere grate a quelle intrepide pioniere. Ma il costo esistenziale è stato molto alto e non poche, finita quella stagione di rivolta, si chiesero se non sarebbe stato meglio adottare una tattica più prudente. Capita anche che siano i figli, ormai cresciuti, a rimproverarle di aver allontanato il padre. È vero che seguendo il principio «meglio dividersi che litigare», si evitano molti conflitti. Ma nelle famiglie si è sempre litigato e, prima di mandare tutto all’aria, sarebbe preferibile darsi tempo per individuare le cause del conflitto e, nei limiti del possibile, trovare soluzioni, o mediazioni, valide per tutti. È significativo che stia ottenendo grande successo un libro che, decenni fa, sarebbe stato considerato retrogrado e inaccettabile. Mi riferisco all’ultimo saggio dello psicoanalista Massimo Recalcati intitolato Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, Raffaello Cortina Editore.

Recalcati polemizza contro l’ideologia che il cambiamento sia sempre positivo e il nuovo comunque preferibile al vecchio. Spesso, le coppie, dopo essersi ricostituite con partner diversi, si meravigliano di incontrare gli stessi problemi di prima. Da solo il mutamento esteriore non basta: occorre che i protagonisti abbiano percorso un cammino interiore di consapevolezza e autocritica, assumendosi le proprie responsabilità. Ma per far questo occorre attivare la memoria, recuperare il passato per prenderne commiato. Solo a quel punto ci si può dire addio, oppure perdonare chi ci ha offesi e ospitarlo ancora nel nostro cuore ferito. Sarà tutto come prima? Spetta alla vita amorosa deciderlo.

accertamenti stagionali degli uffici del lavoro, la disoccupazione si mantiene fra il 3 e il 4 per cento, cioè a un tasso considerato fisiologico, e quindi posti di lavoro garantiti. Ma a questa versione delle cose, valutate nell’ottica dell’establishment, i cittadini svizzeri, e ticinesi in primis, non sembrano credere. Paure reali o ipotetiche? Comunque, sono indizi d’inquietudine e di fragilità, di cui si deve tener conto. Di conseguenza, le autorità cantonali e, in particolare, quelle comunali, più vicine alle richieste quotidiane dei loro amministrati-elettori, si danno da fare per rispettare la parola d’ordine del risparmio. Che, va subito detto, non è facile da interpretare. La parola stessa, risparmio, riveste connotati negativi, è sinonimo di limitazione, tagli, rinunce che possono sembrare punizioni. E, in fin dei conti, per qualcuno lo saranno. D’altra parte, e qui alludo a quanto

sta avvenendo a Lugano, ambiziosa metropoli finanziaria cresciuta troppo in fretta, dove ci si sta muovendo su un terreno nuovo, ingrato e scivoloso. Fino a ieri, si era pensato a uno sviluppo esuberante, fra manifestazioni a iosa, una stagione estiva rallegrata da ben 250 «eventi», e adesso ci si trova alle prese con la necessità di sfoltire, chiudere, sostituire passando dall’era delle porte aperte e degli ingressi gratuiti a quella dei controlli e del tutto si paga: la festa è finita. Il disorientamento è evidente con il rischio di finire persino nel grottesco. Ecco, primo nella serie di discutibili provvedimenti, la chiusura dei gabinetti pubblici, che per una città svizzera sembra una beffa. Poi si è parlato di chiudere i rubinetti che alimentano le fontane e i getti d’acqua, almeno quelli, chissà perché, in vicinanza di edifici pubblici. Ed è riemersa la proposta di limitare

l’illuminazione stradale e persino negli autosili. Mentre si è deciso di decurtare i sussidi a compagnie teatrali di prestigio e si discute sull’eventualità di smantellare un museo poco frequentato. Si respira, insomma, un’aria di rassegnazione nei confronti del peggio che dovrebbe ancora arrivare e che, intanto, alimenta catastrofismi e leggende metropolitane. Anche le piscine coperte, mi è capitato di sentire, si potrebbero chiudere: tanto non sono una priorità. Ma c’è, infine, chi di questo clima di restrizione si rallegra. Il risparmio, oggi dovere pubblico, è un comportamento largamente diffuso, nell’ambito privato, da considerare un vizio o una virtù? Fra utile saggezza e deriva nell’avarizia il passo è breve. Vale la pena, in proposito, di rileggere le vicende di Scrooge, l’avaro a suo modo grandioso inventato da Dickens: che, infine, si redime e scopre il piacere della generosità.

del 1622 e 1644, dovette vedere la sua tribù quasi completamente sterminata. Ma procediamo con ordine. Ai tempi di Powahtan, così come succede ancor oggi in tante situazioni di missione, i rapporti fra i nativi ed i nuovi arrivati passavano attraverso i bambini, in quanto questi più facilmente si muovono fra le due parti opposte, liberi come sono da pregiudizi e quant’altro. Nei primi anni di vita della colonia, quando le relazioni fra indigeni e coloni erano ancora cordiali, Pocahontas si recava spesso all’insediamento inglese per giocare coi suoi coetanei, apprendendone così lingua e maniere. L’episodio che la rese famosa – e parliamo qui delle versioni alquanto romanzate che ci hanno proposto i media – avvenne durante una delle prime crisi nei rapporti fra indiani e coloni. Protagonisti furono un certo Capitano John Smith e Opecanchenough, già allora evidentemente piuttosto bellicoso. Durante una missione esplorativa al di fuori del territorio assegnato alla colonia, il fratello del Capo che era

La stanza del dialogo di Silvia Vegetti Finzi Dirsi addio o perdonarsi? Cara Silvia, secondo lei «il mito della donna mamma,… che vive solo per la sua famiglia, è tramontato perché la donna di oggi studia, si diploma e si laurea con ottimi risultati ed, essendo indipendente e autonoma… non deve più sottostare ai capricci e alle dittature di mariti volitivi e violenti». La sua affermazione contrasta con la successiva risposta alla lettera di Giacomo (pubblicata il 24 febbraio) dove lei invita lo scrivente, che si descrive come marito infedele, vanitoso ed egoista, a coronare la sua «carriera» ottenendo dalla moglie Lucia perdono e comprensione. Nonostante quelle vergognose ammissioni, lei suggerisce alla coppia di mettere in cantiere un figlio. La contraddizione è evidente, perché da una parte lei decanta l’emancipazione femminile come un fatto acquisito, dall’altra enfatizza il rapporto di coppia come il coronamento di un sogno d’amore. Per quale ragione una moglie emancipata e colta dovrebbe farsi umiliare da un uomo che la tratta come una ciabatta? Giacomo teme di

essere abbandonato per sempre. Ma sarebbe la cosa più logica, altro che fare figli! Non c’è niente di peggio del traditore mascalzone pentito. Che cosa farebbe Giacomo se Lucia si comportasse come lui? La ucciderebbe in preda a una crisi di gelosia estrema? Giacomo è un tipo cui non rimanere legati, per non finire in un baratro. Cordialmente. / Sabrina Cara Sabrina, innanzitutto grazie per l’interesse che lei e le sue amiche dedicate a questa rubrica che, non a caso, s’intitola La stanza del dialogo. In linea di massima avete ragione: ci sono spesso contraddizioni tra una lettera e l’altra. Ma, nella relazione psicologica, più che i principi generali contano gli atteggiamenti personali, la consapevolezza del disagio, l’ammissione delle proprie responsabilità, il desiderio di essere ascoltati, compresi e aiutati a cambiare. Forse sbaglio ma mi è sembrato d’intravedere, nella lettera di Giacomo, uomo immaturo, marito fedifrago e spaventato, alcune dinami-

Informazioni

Inviate le vostre domande o riflessioni a Silvia Vegetti Finzi, scrivendo a: La Stanza del dialogo, Azione, Via Pretorio 11, 6900 Lugano; oppure a lastanzadeldialogo@azione.ch

Mode e modi di Luciana Caglio Parola d’ordine: risparmio È proprio vero che anche le parole non sono più quelle che erano. Sotto l’urto dei tempi, si logorano, si trasformano o si presentano con altri significati. Caso emblematico: il risparmio. Tradizionalmente definiva un comportamento prudente, saggio e soprattutto spontaneo nel rapporto con le cose e con i soldi. Oggi, mentre di anno in anno si rimanda a chissà quando la fine della crisi, il risparmio ha assunto gli imperiosi connotati di una parola d’ordine, un dovere pubblico e privato ormai impellente. E, proprio nel nostro paese, patria per antonomasia delle banche, il risparmio dovrebbe sentirsi a casa. Ciò che avviene, ma in termini mutati rispetto al passato, e non soltanto per via dei giovani sempre più tentati da leasing e rateazioni: sono cambiate, più in generale, le motivazioni che inducono a risparmiare. In proposito si deve parlare di una particolarità tutta elve-

tica, insomma un aspetto da Sonderfall, che merita una riflessione. Certo, l’invito a premunirsi nei confronti degli imprevisti della sorte sollecita sempre i nostri concittadini, gente con i piedi ben piantati per terra: adesso, però, animati da sentimenti e pensieri che fanno capo a una reazione di malinteso o diffidenza. Per spiegarci, si tratta del divario fra statistiche ufficiali e realtà percepita dalla popolazione, fra l’orgoglio sfoggiato dal potere centrale e il disorientamento delle autorità locali. Da un lato, dunque, dati rassicuranti, indizi di benessere, previsioni positive, e, dall’altro, timori diffusi, insicurezza, richiesta d’interventi protettivi. La contraddizione è palese. Ecco che secondo il Seco, l’osservatorio governativo della nostra economia, il prodotto elvetico simbolo di qualità si vende bene sul mercato mondiale, insomma l’export non corre pericoli. E, secondo gli


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Ambiente e Benessere La gara più ecologica Il Rally di Montecarlo a zero emissioni è stato vinto dalla Renault Zoe

Bere al giusto grado Vino, acqua birra e persino il saké per essere gustati chiedono una temperatura adatta

Curarsi con le piante Incontro con il fitoterapeuta Gabriele Peroni, insegnante e pubblicista che ci spiega i segreti della medicina verde

Polli da esposizione Al museo di Friborgo uova galline e polli rilanciano l’antica domanda…

Dove mondi diversi s’incontrano Viaggiatori d’Occidente Nella Sicilia occidentale, dove il mare Mediterraneo da tempo immemorabile unisce genti,

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culture, civiltà, commerci d’Europa e Africa, anziché dividere Testo e foto di Alessandro Gandolfi

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Radon, pericolo invisibile Salute e ambiente Gas inodore e incolore,

si reputa sia responsabile di 200-300 decessi per tumore ai polmoni dei 2700 recensiti ogni anno in Svizzera. Ora uno studio della SUPSI fa notare che una migliore isolazione contro la dispersione di calore fa aumentare le concentrazioni di radon. Che fare? Loris Fedele Ormai da tempo si fa un gran parlare di efficienza energetica, di risparmio, della promozione delle energie rinnovabili. L’Istituto Sostenibilità Applicata all’Ambiente Costruito della SUPSI ha recentemente affrontato la tematica sviluppando una metodologia semplificata per stimare il fabbisogno di energia termica degli edifici residenziali per il cantone Ticino. Questo nell’ambito dei processi di pianificazione energetica su scala territoriale. Una loro applicazione prevede un potenziale di riduzione del fabbisogno termico compreso tra il 65 e l’85% dei consumi attuali. Alla riduzione dei consumi si collega anche la riduzione delle emissioni di CO2 a medio e lungo termine, obiettivo ormai fatto proprio dalla Confederazione che ha preso in tal senso accordi internazionali. Le autorità cantonali suggeriscono ai proprietari degli stabili esistenti di ristrutturare i vecchi edifici e di migliorarne l’isolazione posando, per esempio, nuove finestre.

Per ora l’Ufficio federale della sanità pubblica intende comunque ampliare la campagna di misurazione del radon Ma proprio seguendo questa lodevole operazione è balzato all’attenzione, di recente, un articolo sulla stampa d’oltralpe che riportava una ricerca della stessa SUPSI che denunciava un effetto collaterale inquietante. Gli interventi sugli edifici possono aumentare in media del 25% la concentrazione di radon nelle abitazioni. Il radon è un gas di origine naturale, che si forma nel sottosuolo ed è presente ovunque in misura più o meno marcata. Inodore, incolore e insapore, sale in superficie passando per gli strati permeabili del terreno e si libera nell’aria. Nelle case arriva nelle cantine attraverso crepe o fessure e dove il suolo è lasciato inalterato o con la ghiaia. Purtroppo il radon è frutto del decadimento dell’uranio e del radio e quindi è radioattivo. Alla sua presenza può essere ricondotta l’insorgenza di tumori polmonari. Su 2700 persone che ogni anno muoiono in Svizzera di

cancro ai polmoni, si stima che tra i 200 e i 300 casi siano imputabili a questo gas radioattivo. Le altre morti sono dovute al tabagismo. Maggiore è la concentrazione e la durata dell’inalazione di radon e maggiore sarà il pericolo di cancro. Come accade per le polveri di amianto, possono passare anni o anche decenni prima che la malattia si sviluppi. Per questo la sua azione è subdola e sfuggente. Gli esperti della SUPSI hanno monitorato, tra il 2011 e il 2012, la situazione in 164 case ticinesi, prima e dopo gli interventi edilizi che miravano a un miglior isolamento dello stabile. L’ermeticità dell’isolamento, secondo le conclusioni dello studio, «provoca una riduzione del ricambio dell’aria all’interno degli stabili e quindi una concentrazione più elevata del radon che si accumula». La sostituzione delle finestre, tesa a migliorare l’efficienza energetica, sarebbe l’operazione più controproducente sul fronte della stagnazione del radon. Il fatto di arieggiare frequentemente, oltre a far perdere calore alla casa vanificando i benefici dell’isolazione, avrebbe solo un effetto temporaneo: dopo la chiusura delle finestre si tornerebbe al livello precedente. Allora che fare? Dobbiamo allarmarci? Quale consiglio federale o cantonale dobbiamo seguire? Isolare o no? Spendendo di più si può fare un ulteriore risanamento radon per le fondamenta, ma ne vale la pena? La discussione è aperta e gli esperti non appaiono concordi. Per intanto, l’Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) conta sull’informazione della popolazione insieme a un ampliamento della campagna di misurazione del radon (in particolare nelle scuole e negli asili, visto che bambini e giovani sono i soggetti più a rischio). Non è possibile prevedere in anticipo l’esposizione alla radiazione perché la concentrazione di radon varia notevolmente da un luogo all’altro. La misurazione del radon avviene con appositi dosimetri, apparecchietti che sono scatolette rotonde che vanno lasciati nel numero di 2 o 3 nei locali abitati situati ai piani inferiori della casa, durante il periodo invernale. Dopo 3 mesi si restituiscono al servizio cantonale che li ha forniti e che comunicherà ai proprietari la concentrazione di radon rilevata. Nel 1994 entrò in vigore in Svizzera l’ordinanza sulla radiopro-

Punta conficcata nel Mediterraneo occidentale, pilastro immaginario di un ponte fra la Sicilia e la Tunisia, la provincia di Trapani è la finis terrae italiana per eccellenza, il confine estremo della Trinacria, dove finisce l’Europa e inizia qualcos’altro. Ma cosa? Il mondo di Cartagine per esempio, quando nel quinto secolo prima di Cristo la città di Selinunte (oggi nel comune di Castelvetrano) era il baluardo più occidentale della cultura greca. Oppure il Mediterraneo dei commerci, quello raccontato da Fernand Braudel che nel suo monumentale lavoro di ricerca storica Il Mediterraneo (1949) scrive di un mare che unisce anziché dividere. In fondo basta calpestare l’acciottolato di Erice e salire in cima alla «vetta annunziatrice della Sicilia», come la chiama D’Annunzio in Elettra, per scorgere in una giornata limpida la piccola Pantelleria e ancora più in là l’Africa di Cap Bon, la penisola tunisina che durante l’ultima glaciazione – assicurano i geologi – era davvero unita alla Sicilia. La costa trapanese diventa così il confine al quale approdare, come i «Mille» di Garibaldi che sbarcarono a Marsala l’11 maggio del 1860. Diventa passaggio obbligato, tanto per gli uccelli migratori che salgono dall’Africa quanto per le culture e civiltà umane, in fondo anch’esse in transito: di qui sono passati fenici e cartaginesi, greci e romani, arabi e normanni, francesi e aragonesi, svevi e borboni. E pure Ulisse, stando alla teoria di uno scrittore inglese dell’Ottocento, Samuel Butler, secondo il quale i luoghi raccontati nell’Odissea sarebbero la Sicilia e le sue piccole isole. Trapani, nata come porto commerciale di Erice, era l’emporio più im-

Trapani, vecchi mulini fra le saline di Paceco al tramonto.

portante dello Stretto di Sicilia. Da qui partiva il sale diretto a tutto il Mediterraneo e una passeggiata all’alba fra le saline di Paceco riporta indietro di un paio di secoli: a quel tempo erano le più famose d’Europa e come oggi i mulini si specchiavano nell’acqua immobile, mentre l’avocetta e il cavaliere d’Italia nidificavano fra i cespugli degli argini fangosi. Lo fanno da tempo immemore, almeno da quando i piccoli uomini dell’epoca paleolitica abitavano le grotte e le falesie sul mare di Capo San Vito, oggi meta dei viaggiatori che fanno trekking nella riserva dello Zingaro. Se volete ammirare forse l’unico tratto

Misurazioni radon in un’abitazione a Giornico. (CdT - Crinari)

tezione (ORaP) che disciplina l’esposizione al radon nelle abitazioni e sul posto di lavoro. Il valore limite per le costruzioni esistenti è fissato, nei locali di abitazione e soggiorno, a 1000 Becquerel al metro cubo (Bq/m3) mentre per le costruzioni nuove o ristrutturate è di 400 Bq/m3, calcolato come media annua. I cantoni devono adoperarsi affinché, mediante misure architettoniche appropriate, la concentrazione di radon si mantenga sotto i limiti fissati. Adesso che è confermato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il nesso radon-cancro ai polmoni, l’UFSP (calcolando che ogni aumento di 100 Bq/ m3 comporti un aumento del 16% di rischio) vorrebbe abbassare a 300 Bq/ m3 il limite per le nuove costruzioni. In Svizzera un tale abbassamento farebbe più che raddoppiare il numero degli edifici che necessitano risanamenti

anti-radon. Nelle misure edili preventive si agisce sulle fondamenta della casa. Una soletta di fondazione in calcestruzzo, ermetica e senza interruzione, offre un’efficace protezione contro le infiltrazioni di radon, a condizione che i fori per il passaggio di cavi e condotte siano conformi. Vanno isolati tutti i punti non ermetici. Nelle zone a rischio elevato si suggerisce una messa in depressione sotto le fondamenta dell’edificio. Una netta separazione tra gli scantinati e la zona abitata impedisce al radon di propagarsi ai piani superiori. Va limitato negli edifici il cosiddetto «effetto camino». Solitamente già a livello del secondo piano di una casa la concentrazione di radon ha valori sotto la soglia di pericolo. Nel Cantone Ticino dal 1° gennaio 2008 è attivo il Centro Competenza Radon presso la SUPSI. Fornisce tutte

le informazioni e, su richiesta, i dosimetri per le misurazioni. La carta radon Svizzera, con una mappa interattiva, è consultabile nel sito www.bag. admin.ch. Per i grandi centri il rischio risulta medio a Chiasso, Lugano, Bellinzona e Locarno, mentre risulta elevato a Mendrisio. Anche sul sito www. ch-radon.ch si possono trovare esaurienti informazioni. Non c’è obbligo di risanamento e ci si appella alla responsabilità personale dei proprietari. Parlando di radon restano anche divergenze sulla stima del problema e sui dati percentuali, soprattutto perché finora sono stati monitorati circa 150mila edifici in Svizzera su 1,7 milioni esistenti e di questi solo 3000 (il 2% di quelli misurati, lo 0,8% del totale) hanno superato la soglia di rischio. Vista la variabilità delle situazioni qualsiasi estrapolazione può risultare arbitraria.

Mazara del Vallo, una donna immigrata sta entrando nel cortile della sua casa nella kasbah della città.

Favignana, vecchie cave di tufo sul mare a Cala Rossa.

di costa siciliana non deturpato da una strada litoranea venite qui, a una cinquantina di chilometri da Trapani, fra palme nane, orchidee selvatiche e vecchie case rurali un tempo abitate dai contadini (alcune sono state trasformate in rifugi e in una di queste c’è un bel museo contadino).

La costa trapanese diventa il passaggio obbligato per gli uccelli migratori, per le culture e le civiltà umane Gli uomini del paleolitico erano arrivati anche sulle «isole delle capre», come i greci avevano battezzato le Egadi: nei graffiti della grotta del Genovese, a Levanzo, si narra di un luogo abitato diecimila anni fa da uomini vestiti con abiti rituali, da cervi e cavalli, da grandi bovini oggi estinti e da curiosi pesci ovali. Sono i tonni, che per secoli hanno fatto la storia dell’isola di Favignana insieme alle sue cave di tufo. Noleggiate una bicicletta appena sbarcati dal traghetto: è il modo migliore per visitare la vecchia tonnara dei Florio (un tempo abbandonata, nell’estate del 2013 è diventata un museo) e puntare poi verso est, dove alcune miniere dismesse sono diventate labirintici giardini privati. Qui la sera ci si ristora con gorgonzola e marsala, un’accoppiata che esalta la robustezza di un vino liquoroso e avvolgente che ha fatto la storia recente della finis terrae siciliana. Una storia di incontri e di amori, come quello dell’inglese John Woodhouse che approdato a Marsala alla fine del Settecento sorseggiò il vino locale e se ne innamorò. Piacque anche ai suoi connazionali a Londra (era simile agli sherry spagnoli ma costava molto meno), tanto da convincerlo a iniziare una produzione propria. Mars-Allah, il «Porto di Allah», sarebbe stato da allora associato a un raffinato prodotto alcolico. Fu una fortuna per Marsala, che diventò in pochi anni una delle città più ricche della Sicilia. Tra le famiglie di imprenditori ci fu anche quella

Trapani, vista della città dalla strada che sale a Erice.

degli Ingham-Whitaker, che oltre a produrre vino acquistarono agli inizi del Novecento anche l’intera isola di San Pantaleo, l’antica Mozia fenicia: furono loro a promuovere gli scavi archeologici che portarono alla luce un capolavoro, l’Efebo di Mozia. Prima di degustare vini alle cantine Florio o Donnafugata, visitate l’isoletta di fronte a Marsala ed entrate nel museo Whithaker, dove è conservato questo meraviglioso auriga in marmo di venticinque secoli fa. Vi resterà impresso nella memoria per molto tempo, come la pace che si respira passeggiando lungo le coste di quest’isola piena di

testimonianze passate. Lo stesso senso di pace che si prova nell’intricata kasbah di Mazara del Vallo, vero simbolo del melting pot in questo angolo siciliano. Esattamente mille anni dopo la cacciata dei musulmani dall’isola da parte dei normanni nel 1073, gli immigrati maghrebini hanno ricominciato ad affacciarsi timidamente alle coste mazaresi. Oggi la comunità tunisina si è ingrandita, ha messo radici profonde, conta tremila immigrati ed è tornata a lavorare fianco a fianco degli italiani là dove tutto ha avuto inizio: fra le acque di un mare che unisce, anziché dividere.

Erice, una coppia passeggia di notte lungo una strada acciottolata della città.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Ambiente e Benessere

Ambiente e Benessere

Quanto vale il volo di un’ape? Ambiente & economia Il contributo economico delle api all’agricoltura va al di là della quantità di miele prodotto e un’an alisi dettagliata mette in evidenza numerosi

benefici ma anche una vasta rete di interdipendenze. La moria delle api aggiunge un elemento di incertezza da non sottoval utare Daniele Besomi Le api, con il loro servizio di impollinazione, sono state citate per anni dagli economisti come un classico esempio di «esternalità», uno di quei casi (non rari) in cui i costi o i benefici di una attività non sono contabilizzati per intero da chi svolge quella attività rendendo pertanto il beneficio privato maggiore (o minore) del beneficio sociale. In queste condizioni sono invalidati i teoremi economici che postulano che i mercati portano ad un sistema produttivo efficiente, senza perdite né per la collettività né per gli individui. Le api si sono così trovate, loro malgrado, al centro non solo di una diatriba economica, ma anche dello scontro tra due visioni del mondo: da un lato chi postula che il mercato elimina le inefficienze e ritiene pertanto che ci troviamo a vivere nel migliore dei mondi possibili; dall’altro chi ritiene invece che con adeguati interventi di politica economica si possa migliorare l’esito del sistema produttivo. Il problema delle api si riassume brevemente. Supponiamo che vi sia un apiario in vicinanza di un frutteto. Il frutticoltore riceve un beneficio dalla presenza delle api, poiché queste contribuiscono in modo fondamentale all’impollinazione incrociata dei fiori, aumentando la quantità e migliorando la qualità dei frutti. Tuttavia questo beneficio non è contabilizzato: il frutticoltore gode di un’esternalità positiva associata alla presenza dell’apiario. Le sue decisioni di aumentare o ridurre l’estensione del frutteto si baseranno sul confronto tra i costi privati associati all’estensione e al beneficio ricavato dall’estensione stessa, ignorando il contributo delle api all’impollinazione. Allo stesso modo,

Negli USA si trasportano arnie anche per 60mila chilometri all’anno, per portare le api impollinatrici da un capo all’altro della nazione. (Daniele Besomi)

selvatiche, bombi, vespe e coleotteri) che, assieme alle api «domestiche», in altre circostanze impollinano i fiori. La frutticoltura diventa dipendente dalle api, che devono essere portate sul posto. In secondo luogo, la mono-frutticoltura richiede massicce applicazioni di pesticidi,

ciliegi; poi spostandosi a est per fragole, lamponi e mirtilli; poi cipolle e carote; in seguito zucche, cetrioli e simili; e infine girasoli, tornando verso sud. Alcuni apicoltori della costa orientale attraversano anche da est a ovest per l’impollinazione dei mandorli californiani. Le api sono

L’evoluzione delle tariffe per l’impollinazione di alcuni fiori, in $ per arnia. Le tariffe sono più alte per i fiori che non producono sufficiente nettare per un raccolto di miele, più basse per gli altri. Si noti l’impennata dal 2004: l’impollinazione di mandorle, ciliege primaticce e prugne costava nel 2009 attorno ai 160 $ per famiglia di api.

l’apicoltore trarrà beneficio dalla presenza del frutteto, poiché il nettare dei fiori costituisce nutrimento per le sue api senza tuttavia rientrare nel calcolo del costo del miele. L’esternalità positiva è dunque reciproca. L’esempio è dovuto al premio Nobel James Meade, ed è stato discusso nel 1952. In molte parti del mondo (tra cui anche il Ticino) il rapporto tra apicoltore e frutticoltore non è molto diverso da quello descritto da Meade. Tuttavia, soprattutto negli Stati Uniti, le pratiche agricole sono nel frattempo mutate radicalmente, e anche l’apicoltura è oggetto di difficoltà sconosciute fino a pochi decenni fa. In primo luogo, la produzione di frutta è sempre più in forma monoculturale, il che significa che c’è un’estrema abbondanza di cibo nel momento della fioritura ma per chilometri poi non c’è più un fiore; al termine della fioritura degli alberi da frutta non c’è più nutrimento e nessuna possibilità di sopravvivenza per gli altri insetti (farfalle, api

che ovviamente non fanno particolarmente bene alle api. In terzo luogo, le api sono indebolite dall’acaro parassita Varroa destructor e dai virus che questo trasmette da ape ad ape; l’acaro si è diffuso a partire dalla metà degli anni 80, passando (in seguito ad un infelice esperimento apicolturale) dall’ape asiatica (che nei millenni ha imparato a gestirlo) a quella europea (del tutto impreparata), e assieme ai pesticidi (e forse ad altre cause non ancora individuate) sta determinando il collasso degli apiari che sta assumendo proporzioni sempre più preoccupanti. In queste condizioni i frutticoltori sono costretti ad affittare le api dagli apicoltori. L’apicoltura è così diventata negli Stati Uniti un’attività industriale vera e propria: apicoltori con migliaia di arnie attraversano il territorio da sud a nord, partendo dalle stazioni di svernamento nel sud della California risalendo per i mandorleti e poi per le coltivazioni di agrumi di quello Stato, muovendosi ulteriormente a settentrione per meli, peri e

caricate su autocarri con rimorchio con capienza da 4-500 arnie ciascuno (ogni arnia contiene tra 30 e 60 mila api a seconda della stagione, circa un terzo delle quali sono bottinatrici mentre le altre sono addette ai compiti domestici), viaggiano per giorni, sono infine distribuite nei frutteti per le 2-3 settimane della fioritura, in questo periodo (a seconda delle colture) possono essere sprayate di pesticidi. Quelle che sopravvivono sono poi trasportate per un nuovo turno di lavoro in un’altra coltivazione, per un totale annuo di oltre 60’000 chilometri percorsi (una volta e mezza la circonferenza terrestre). Ovviamente veleni, Varroa e altre malattie, uniti allo stress del trasporto e del sovralavoro, presentano il conto: molte colonie collassano, nel senso che letteralmente a un certo punto le arnie si svuotano. E gli apicoltori devono sostituirle, spesso importandole. Per gli apicoltori tutto questo ha un costo (trasporto, perdite di colonie, coordinazione dei tragitti seguendo epoche

di fioritura che sono soggette all’incertezza meteorologica) ma presenta dei benefici: rincorrendo raccolti abbondanti le api hanno sempre cibo e producono miele, e inoltre il servizio di impollinazione viene pagato dai frutticoltori che non ne possono fare a meno. Economisti (americani) hanno presto sottolineato (Cheung, 1973) che le condizioni postulate da Meade in realtà non sono date: tra apicoltori e frutticoltori negli Stati Uniti ci sono delle precise negoziazioni per l’affitto delle arnie: vi è una transazione monetaria che, nell’opinione degli studiosi che hanno modellato il fenomeno, determina un mercato efficiente dell’impollinazione. Rucker, Thurman e Burgett, in un recente articolo intitolato significativamente «Il mercato dell’impollinazione dell’ape mellifera e l’internalizzazione dei reciproci benefici» (2012) hanno modellizzato costi e benefici dell’apicoltura industriale tenendo conto di diversi fattori: il raccolto di miele e il prezzo dello stesso, i costi di trasporto, e il costo di gestione delle arnie (in cui sono considerati la perdita di colonie e i trattamenti antiparassitari e antibatterici – negli Stati Uniti le malattie batteriche sono curate e prevenute con antibiotici, proibiti invece in Svizzera e in Europa poiché passano nel miele). Il modello è usato per prevedere le tariffe di impollinazione, e i risultati sono confrontati con i dati raccolti nel tempo dagli apicoltori della costa ovest.

Una prima previsione riguarda il raccolto di miele: tanto più esso è abbondante, tanto minore sarà la tariffa che gli apicoltori possono chiedere. In effetti alcuni fiori non producono miele (le mandorle, per esempio, fioriscono a inizio stagione, e il nettare raccolto serve alle colonie per svilupparsi; anzi, solitamente gli apicoltori devono anche nutrire le api perché la produzione nettarifera dei mandorli è insufficiente) mentre altri producono raccolti abbondanti (gli agrumi, poi i mirtilli e i raccolti estivi), e corrispondentemente si rilevano prezzi più alti e rispettivamente più bassi (l’impollinazione degli agrumeti è gratuita). Una seconda previsione riguarda i costi di trasporto: tanto più lungo è il viaggio e tanto maggiore il costo del diesel, quanto più ci si aspetta che sia alta la tariffa per l’impollinazione, un dato che effettivamente si osserva. Anche l’avvento della Varroa, che ha cominciato a causare danni visibili tra le api statunitensi nel 1991, ha lasciato il segno determinando un aumento delle tariffe di impollinazione, così come l’avvento della sindrome da collasso delle colonie nel 2006 ha determinato un ulteriore aumento. I dati mostrano un sensibile aumento delle tariffe di impollinazione dei mandorli e dei raccolti primaticci a partire dal 2004, prima cioè dell’avvento della moria di massa delle api. Questo si spiega con il fatto che questo raccolto richiede sempre più api (la California produce il 90% delle mandorle al mon-

do), che hanno cominciato ad essere trasportate fin dalla costa Est, con una forte incidenza dei costi di trasporto. Gli altri raccolti non sono influenzati: gli apicoltori dell’Est tornano sulla costa orientale dopo l’impollinazione dei mandorleti.

Negli Stati Uniti esiste un mercato dell’impollinazione che ha trasformato l’apicoltura in una vera e propria industria Gli autori concludono che il sistema dei prezzi riflette le condizioni di costo e di beneficio, e che pertanto la storia delle api e del frutteto non è altro che una favola. Peraltro anche il fatto che altre esternalità minori concernenti le api hanno trovato una soluzione sembra andare in questa direzione. Una consiste nel fatto che le api si muovono alla ricerca di cibo per un raggio fino a 3 chilometri (naturalmente se trovano fiori ricchi di nettare a distanza minore non procedono oltre). Per cui un frutticoltore può sperare che le api poste nel frutteto del vicino impollino anche i suoi alberi. I frutticoltori californiani hanno raggiunto un accordo per cui in campi contigui si sistemerà la medesima densità di arnie per ettaro. Una seconda esternalità, que-

sta volta negativa, riguarda i mandarini senza semi, che non devono essere impollinati dalle api altrimenti producono semi. In Spagna ci si è accordati di compensare gli apicoltori per non portare api dove si coltivano questi mandarini, mentre in California i produttori ricoprono le piante con delle reti. Tuttavia questo non elimina tutte le esternalità. In primo luogo, La situazione americana non si ripete altrove, o quantomeno non nella medesima scala. In Svizzera, per esempio, solo pochi raccolti in poche regioni comportano tariffe per la transumanza di apicoltori. In secondo luogo, le pratiche agricole industriali, con il massiccio uso di pesticidi, comportano danni non solo per le api domestiche ma anche per gli altri impollinatori. Gli autori ritengono che le api domestiche costituiscano una valida alternativa agli impollinatori selvatici, ma (anche non volendo considerare l’impatto a lungo termine dell’evidente declino degli insetti impollinatori, dovuto tanto ai pesticidi quanto al degradarsi degli habitat) è documentato che per certi raccolti altri tipi di api autoctone sono più efficienti dell’ape mellifera. Le tariffe per l’impollinazione risolvono forse le esternalità reciproche tra apicoltori e agricoltori; ma sia l’agricoltura intensiva che le pratiche apistiche industrializzate impongono dei costi al pianeta che non sono incorporati nel prezzo del prodotto. Occorre dunque provare a fare qualche altro ragionamento supplementare. All’inizio dell’articolo abbiamo visto che alcuni economisti calcolano il contributo delle api all’impollinazione delle piante fruttifere in termini della tariffa che i frutticoltori sono disposti a pagare per trasportare un’arnia nel proprio frutteto. L’esito dipende da diversi fattori, tra cui principalmente i costi di trasporto che l’apicoltore deve affrontare e il raccolto del miele. A seconda dei raccolti, le tariffe variano da zero per gli agrumi, che garantiscono un abbondante raccolto di miele di buona qualità, a una decina di dollari per altri frutti cui corrisponde un raccolto meno copioso, fino ai 150 dollari per l’impollinazione dei mandorli, quando gli apicoltori devono dare un complemento nutrizionale alle api. Questo approccio, però, si applica solo alle situazioni in cui è ben sviluppato un mercato dell’impollinazione, e comunque trascura alcune conseguenze non immediatamente contabilizzabili dell’approccio agriculturale e apistico di tipo industriale come applicato negli Stati Uniti, in particolare le conseguenze dell’uso massiccio di pesticidi. Altri studiosi affrontano il problema in altro modo. Alcuni attribuiscono ai servizi di impollinazione una quota del valore complessivo del raccolto, distinguendo naturalmente tra le diverse modalità di impollinazione che avvengono in natura. Altri cercano invece di stimare quanto potrebbe costare sostituire con altre tecnologie il lavoro di api, bombi e farfalle. Il primo di questi approcci parte da una constatazione. L’impollinazione

Tariffe medie per l’impollinazione, costa Nord-Ovest degli Stati Uniti, 1987-2009, in $ per famiglia di api Fiori che permettono un raccolto di miele mirtilli trifoglio incarnato (da foraggio) ravanelli trifoglio comune (da foraggio) veccia (foraggio)

media 33.18 8.95 31.42 27.07 3.11

minimo 21.34 15.92 15.92 9.93 0

massimo 43.44 49.23 49.23 46.47 11.86

Fiori che non permettono un raccolto di miele meli ciliegi mirtillo rosso cetrioli pere zucche e simili mandorle

38.80 38.70 45.48 39.46 38.23 40.64 75.61

22.67 27.08 29.05 23.47 24.01 26.20 46.94

49.68 53.71 60.00 71.04 51.41 60.78 150.27

Le cause della moria apiaria sono: la Varroa destructor, i veleni, lo stress da trasporto e da superlavoro . (Daniele Besomi)

Si è calcolato che in Svizzera il valore del contributo delle api all’agricoltura supera i 270 milioni di franchi all’anno. (Daniele Besomi)

dei fiori può avvenire tramite il vento o altri sistemi meccanici, oppure tramite l’azione di animali, molti dei quali sono insetti (in particolare della famiglia delle api, farfalle e falene, alcune mosche, e coleotteri) coadiuvati in pochi casi da uccelli (colibrì) e pipistrelli. Naturalmente alcune piante impiegano più di un metodo, mentre altre sono ultraspecializzate e fanno affidamento su una sola specie di insetti. Klein e altri nel 2007 hanno passato in rassegna la lista delle 107 specie vegetali più usate nell’alimentazione umana (questa lista, compilata dalla FAO nel 2004, comprende il 99% della produzione agricola usata per produrre cibo) chiarendo il ruolo dell’impollinazione animale per ciascuna di esse. Hanno diviso queste specie in diverse categorie a seconda del grado di dipendenza dall’impollinazione animale, da quelle la cui produzione aumenta grazie agli impollinatori (più frutti, o frutti più grossi, o di qualità migliore, o più semi o semi migliori) a quelle che non traggono nessun beneficio dall’impollinazione animale. Risulta che 13 raccolti dipendono in modo essenziale dagli impollinatori: senza di essi si perderebbe il 90% o più del raccolto; 30 dipendono fortemente dagli impollinatori (tra il 40 e il 90% del raccolto), 27 più modestamente (tra 10 e 40%), 21 poco (meno del 10%), 7 non dipendono dagli impollinatori. Per altri 9 raccolti non vi sono studi che permettano di determinare il grado di dipendenza. Questo risultato è spesso citato, in particolare quando si ricordano le difficoltà in cui si dibattono le api e gli altri insetti impollinatori: l’85% delle specie destinate al consumo umano sono in qualche misura dipendenti dagli insetti impollinatori, per un totale di un terzo dell’alimentazione mondiale (riso e grano, le specie più consumate al mondo, sono impollinate dal vento). Sulla base di questi risultati, Gallai e altri (2011) hanno calcolato il valore degli insetti per il servizio di impollinazione. Sapendo che un certo raccolto dipende in una data percentuale dal contributo degli impollinatori, hanno attribuito agli insetti la percentuale corrispondente del valore della produzione mondiale di ciascuna specie vegetale. Per il 2005, hanno calcolato che il contributo degli insetti all’impollinazione valeva 190 miliardi di dollari (più o meno quanto il PIL del Qatar o della Repubblica Ceca), contro i 2013 miliardi del valore della produzione globale di cibo (9.4%). Utilizzando un metodo simile, anche se in modo più grossolano, nel 2005 Fluri e Flick hanno calcolato il valore dell’apicoltura in Svizzera. Si sono limitati alle piante da frutta e alle bacche, assumendo che l’80% della loro produzione dipenda dalle api. Per il 2002, il valore totale di queste colture è stato di 335 milioni, per cui il contributo delle api è stato di 271 milioni. Ripartiti sul

numero totale di arnie in Svizzera (poco più di 200’000 in quell’anno), si arriva ad attribuire a ciascuna famiglia di api un contributo all’agricoltura di 1260 franchi all’anno. Per un verso, la stima è probabilmente eccessiva, perché molte piante da frutta sono impollinate anche da altri insetti (per la Gran Bretagna, si stima che solamente un terzo dell’impollinazione da insetti è dovuta all’ape mellifera; per una pianta da frutta economicamente importante come la vite, per esempio, il contributo dell’ape domestica è marginale). D’altra parte, non include i risultati delle grandi colture di semi e ortaggi (tra cui fave, colza, girasole, zucchine) né dei foraggi. In ogni caso è chiaro che le api producono più ricchezza per i frutticoltori che non per gli apicoltori. Nel periodo tra il 1993 e il 2002, le stime della produzione di miele (circa 20 Kg per arnia, ma con molta variabilità a seconda delle stagioni), di cera e di polline portano a un totale annuo di circa 65 milioni di franchi, cioè circa 260 franchi per arnia. Si noti che la gestione delle colonie è piuttosto onerosa e richiede parecchio tempo: dai dati forniti su più anni dagli apicoltori stessi, il salario orario medio calcolabile a partire dal rendimento varia tra 1.50 e 7.80 franchi nelle annate migliori: salvo rare eccezioni, l’apicoltura è un’attività amatoriale praticamente non remunerata.

Un terzo dei nostri raccolti, quello che ci dà la maggior varietà di frutta e verdure, dipende dagli insetti impollinatori Questo metodo di stima si basa sull’assunzione implicita che gli insetti impollinatori non siano sostituibili, e che in loro assenza i raccolti vadano persi. Inoltre il metodo sottostima i costi degli altri fattori necessari alla produzione: si consideri la frutticoltura svizzera citata nel paragrafo precedente: non si può certo dire che lavoro, concimi e macchinari sono responsabili del 20% del raccolto e che le api lo siano dell’80%. Un metodo alternativo, proposto da Allsopp (2008) si basa invece sull’ipotesi opposta: che gli impollinatori naturali siano sostituibili, seppure a un certo costo. Le api selvatiche sono (almeno in parte) sostituibili con l’Ape mellifera, affittando delle colonie nel periodo della fioritura. Ma ovviamente la moria delle api pone il problema opposto: quello che vi siano abbastanza impollinatori selvatici a svolgere le loro mansioni, o che le si sostituisca con la raccolta e la dispersione o applicazione manuale di polline. La procedura di Allsopp si basa sul calcolo del costo di sostituzione; l’autrice l’ha applicata al caso della frutticoltura sudafricana, considerando diverse ipotesi

circa il metodo di impollinazione manuale. I risultati sono che il costo di sostituzione è molto minore di quanto stimato col metodo precedente nei casi in cui è possibile sostituire gli impollinatori selvatici con l’ape mellifera: in questi casi ci si riferisce ai risultati riportati all’inizio dell’articolo sulle tariffe di impollinazione concordate tra frutticoltori e apicoltori. Mentre se si applicano metodi di impollinazione manuali (dai soffiatori di polline alla spennellata precisa sui pistilli dei fiori) o per dispersione (meno cari ma poco efficienti), entrambi meno efficaci di quanto non siano le api con i loro ripetuti passaggi che portano su ogni fiore polline di numerosi altri fiori, garantendo una migliore impollinazione incrociata, i costi sono poco inferiori a quelli calcolati usando il metodo descritto in precedenza. Un terzo approccio, dovuto a Rachel Winfree e altri (2011) cerca di unificare i risultati ottenuti coi due metodi precedenti, mirando: 1) a separare il contributo degli altri fattori della produzione da quello degli impollinatori, per evitare di attribuire parte dei primi ai secondi; 2) a tener conto del fatto che gli insetti sono spesso più efficienti del necessario, perché portano più polline di quanto non ne serva effettivamente alla pianta ricevente per produrre frutta; 3) a separare il contributo degli impollinatori selvatici da quelli introdotti dai gestori (in particolari le api mellifere). Il metodo è applicato ad uno specifico raccolto, quello delle angurie nel New Jersey e nella Pennsylvania, e non ci fornisce dunque (per il momento, almeno) risultati globali. I metodi esaminati in questo articolo danno risultati molto diversi. Ciascuno di essi sottovaluta certi fattori e ne sopravvaluta altri. È comunque chiaro che gli insetti impollinatori hanno un ruolo quantitativamente e qualitativamente molto importante nella produzione di cibo: se è vero che impollinano solo (per modo di dire) un terzo dei nostri raccolti, si tratta del terzo che ci dà varietà: quasi tutte le verdure e la frutta, con i loro contenuti di vitamine e con i gusti ricchi e disparati cui siamo abituati. Indipendentemente dal valore numerico che si stima per il contributo degli insetti impollinatori alla produzione agricola, è chiaro che né gli agricoltori né i consumatori sono chiamati a pagare tutti i costi che l’agricoltura comporta. Nonostante i loro difetti, questi studi hanno comunque un merito: quello di ricordarci, implicitamente o esplicitamente, l’immagine surreale, ben inquadrata nel film di Imhof More than honey, dei cinesi che si arrampicano sui peri per impollinarne, uno a uno, i fiori, a testimonianza del fatto che l’applicazione di tecniche industriali a lungo termine potrebbe anche decrescere, anziché accrescere, la produttività dell’agricoltura e a sottolineare la necessità di porre un argine a una deriva catastrofica.


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Ambiente e Benessere

Il Rally delle auto pulite e silenziose Effetto primavera. Erste Hilfe bei Verletzungen

Motori Delle 18 squadre di 9 nazionalità

si è imposta la francese Renault Zoe Mario Alberto Cucchi Grande successo per la 15esima edizione del Rally di Monte-Carlo dedicato alle nuove energie che si è corso a fine marzo. Le auto ecologiche hanno tagliato il traguardo nel principato monegasco dopo essere partite da tre differenti città europee: la nostra Lugano, Annecy le Vieux e ClermontFerrand. La verde Renault Zoe ha trionfato nel prestigioso Rally ZENN, una gara nella gara in cui si sono date battaglia 18 squadre di 7 nazionalità. Ben 9 i marchi automobilistici rappresentati. ZENN è un acronimo che significa Zero Emission No Noise, ovvero «nessuna emissione nessun rumore». Si tratta di quattro prove speciali disputate all’interno del Rally e dedicate esclusivamente alle automobili ad inquinamento zero. L’elettrica francese si è imposta in tutte e quattro le prove previste: regolarità, consumo energetico, maneggevolezza e sfida a squadre. Nella classifica generale Zoe ha preceduto la Mitsubishi i-MiEV e la

il comfort e la stabilità di una vettura. Gli esemplari che saranno impiegati nei test si basano sulla concept esposta al Tokyo Motor Show dello scorso autunno. A disposizione 10 veicoli per 20 utenti tra privati, esperti del settore e personaggi famosi. Toyota inoltre è al lavoro con Bmw per lo sviluppo congiunto di una nuova generazione di modelli sportivi destinati rispettivamente a riportare in auge la vecchia Supra e a rimpiazzare la Z4.

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Il Rally ZENN rientra in uno specifico campionato mondiale di 12 gare organizzato dalla FIA Secondo l’autorevole mensile inglese «Autocar», la sportiva che sarà distribuita come Toyota, si ispirerà stilisticamente alla concept FT-1 e dovrebbe essere equipaggiata con la trazione

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integrale, ma non ci sono ancora conferme ufficiali in tal senso. La casa giapponese sarà responsabile in particolare del sistema powertrain e non è escluso che abbia in animo di realizzare una versione ibrida plug-in, sebbene in quest’ultimo campo anche Bmw stia compiendo passi da gigante. Lo dimostra lo sviluppo della i8 che sarà commercializzata dal prossimo giugno e i cui tempi di attesa hanno già raggiunto i sei mesi. La gamma «i» di Bmw comprende al momento la i3 elettrica, che ha già raccolto oltre 11 mila ordini europei, e appunto la i8 ibrida plug-in. Il Presidente di Bmw Norbert Reithofer ha anticipato che per ridurre le emissioni di CO2 il gruppo tedesco si è posto come obiettivo la vendita di 100mila vetture elettriche l’anno entro il 2020.

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Ambiente e Benessere

La cura nasce in natura Piante medicinali Incontro con lo studioso italiano Gabriele Peroni

per capire i fondamenti della fitoterapia Eliana Bernasconi Chimico e farmacista, nutrizionista, docente di fitoterapia ed etnofarmacologia in Italia e all’estero, in lezioni e seminari universitari, corsi ECM per medici e farmacisti, il dottor Gabriele Peroni, come ogni vero fitoterapeuta, procede con rigore scientifico nel solco di un sapere millenario. Grande divulgatore, si avvale di una più che trentennale esperienza a contatto diretto con le persone e le piante medicinali. È autore di numerosi libri e pubblicazioni scientifiche, come Le nostre nonne si curavano così, saggio di etnofarmacologia insubrica, fino al recentissimo Driope, ovvero il patto tra l’uomo e la natura-Trattato di Fitoterapia, un enciclopedico manuale che alle numerose terapie con le piante unisce la loro storia e quella del loro uso popolare. In una serie di incontri di volta in volta gli chiederemo di introdurci alla conoscenza di questo mondo infinito, di presentare le maggiori e più efficaci piante medicinali. Dottor Peroni, i progressi medici e farmacologici sono enormi, la fitoterapia non è superata?

Al contrario, dopo oltre un secolo di ininterrotti successi della chimica, ricordiamo che buona parte dei farmaci impiegati in terapia sono direttamente o indirettamente derivati da molecole naturali. I problemi che la terapia farmacologica incontra, e basti pensare ai batteri che sviluppano resistenza agli antibiotici, spingono sempre più a

cercare nuove fonti di medicamenti nel grande forziere della natura. Quando le persone ricorrono alle piante medicinali?

Succede per molti disturbi o malattie, dalle depurazioni stagionali ai disturbi digestivi, dalle malattie da raffreddamento ai disturbi della menopausa, fino a malattie più pesanti. Dopo oltre 30 anni di pratica professionale mi accorgo di come oggi siano in aumento le persone che richiedono un intervento fitoterapeutico, a volte in collaborazione con medici specialisti, a volte anche direttamente inviati dagli specialisti stessi, l’intervento può essere «puro» (cioè solo naturale),oppure affiancato a terapie farmacologiche tradizionali. Nella medicina naturale si parla di fitocomplesso e nella farmacopea di sintesi di principio attivo, potrebbe chiarirci le idee?

Per rispondere non basterebbe forse nemmeno un libro, ma a grandi linee possiamo dire che verso la metà del XIX secolo è stato possibile isolare in forma pura le molecole che sono responsabili degli effetti terapeutici delle piante. È stata così posta la definizione di «principio attivo», intendendo con questo termine quella sostanza del metabolismo cellulare delle piante che, introdotta nell’organismo umano, ha la capacità di interferire con il suo metabolismo producendo una determinata azione farmacologica. I principi attivi purificati hanno avuto ed hanno tuttora un largo impiego in terapia, per la possibilità, che essi concedono, di fare dosaggi assolutamente precisi. Numerosi dati

sperimentali e clinici hanno, però, successivamente, dimostrato che l’attività biologica quantitativa e, talvolta, qualitativa, dei principi attivi purificati è minore o diversa da quella esercitata dalla pianta (o dalla parte utilizzata in medicina) in toto. Per quale motivo è minore?

Perché la pianta costituisce un’unità terapeutica, nella quale i principi attivi formano dei fitocomplessi caratteristici, legandosi o interagendo con altre molecole che sono eliminate nel corso dei processi di purificazione. Questo corteggio di molecole, erroneamente chiamate inerti, possono contribuire (ovviamente stiamo facendo un discorso generale) a migliorare l’assorbimento dei principi farmacologicamente attivi, riducendo così la dose necessaria, e a diminuire gli eventuali effetti indesiderati. È il fitocomplesso, dunque, la «quintessenza» della pianta medicinale, e non il principio attivo purificato. Volendo dare una definizione di fitocomplesso, si può affermare che esso è un’entità biochimica complessa che rappresenta l’unità farmacologica integrale delle piante medicinali. Tutte le operazioni d’estrazione devono mirare, nei limiti del possibile, a conservarlo intatto, poiché è solo attraverso la sua integrità strutturale, che la pianta può esercitare il suo maximum d’attività farmacologica e terapeutica.

Due piante medicinali raffigurate nel Diuskurides Codex Neapolitanus, VII secolo. (Keystone)

senso che tutte le terapie naturali devono rispettare i nostri tempi biologici, anche la guarigione richiede tempo e la nostra fisiologia è la medesima dei nostri antenati di secoli o millenni fa. Mi permetta una battuta che faccio spesso: da quando studiavo all’università, le scienze biomediche sono cambiate enormemente, ma per fare un bambino occorrono ancora nove mesi. Parliamo dei disturbi ostearticolari o muscolari che freddo e umidità accentuano: che consigli può dare?

Lei dice che in fitoterapia importante è il fattore tempo e la scelta delle persone giuste, per quali motivi?

Occorre premettere che in fitoterapia non si impiegano solo le tradizionali tisane, ma anche e soprattutto preparati più efficaci e malleabili, come tinture madri, macerati glicerici, tavolette e capsule di estratti secchi ecc. Per questi disturbi occorre davvero avere delle conoscenze sul tipo di azione delle piante e sulle loro indicazioni e controindicazioni. Ovviamente, posso dare solo consigli di massima, ogni caso è unico, e, soprattutto, ogni persona è unica, e come tale va trattata.

Il fattore tempo è fondamentale, nel

Ecco, ad esempio, se a me viene il

colpo della strega, cosa faccio? E a chi si alza al mattino con il mal di schiena cosa consiglierebbe?

Per il colpo della strega consiglierei delle applicazioni locali di olio o crema all’arnica, eventualmente assumendo per via orale delle gocce di macerato glicerico di tiglio. Per l’artrosi diffusa, suppongo, sia già stato consultato uno specialista; ad ogni modo la fitoterapia può aiutare molto impiegando qualcuno di questi rimedi: gocce orali di artiglio del diavolo o di ulmaria, gocce orali di macerato glicerico di ribes nero, gocce orali di macerato glicerico di ontano nero, associazione di tavolette o capsule di artiglio del diavolo e di equiseto; esternamente, sulle zone più doloranti è possibile applicare una crema all’artiglio del diavolo; se i dolori sono poco frequenti potrebbe semplicemente applicare qualche preparato locale all’arnica o all’artiglio del diavolo, se molto frequenti consiglierei un trattamento con gocce orali di macerato glicerico di ribes nero.

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Ambiente e Benessere

Una questione di gradi Bere bene Consigli su come scegliere la temperatura giusta per acqua, vino e birra… o sakè Allan Bay Quanto incide la temperatura di servizio sul gusto di una bevanda? La risposta è senza dubbio alcuno: «moltissimo». La più grande lezione in proposito me la diedero due simpatiche, anziane signore giapponesi che producevano uno dei migliori sakè del Sol Levante. Un importatore italiano voleva venderlo in Italia (non ce la fece alla fine, era troppo caro) e aveva portato le produttrici a Milano. Io le intervistai – loro sapevano solo il giapponese, ma c’era una traduttrice – e onestamente non sapevo cosa chiedere. Alla fine la mia domanda, l’unica che mi venne in mente, fu: ma a che temperatura bisogna bere il sakè, che a volte lo trovo nei ristoranti caldo e a volte freddo? La risposta: «Dipende. Se è cattivo faccia lei, o molto caldo o molto freddo, così sente meno quanto è cattivo. Se è buono allora leggermente fresco, circa 16°, suggeriamo». Fu una grande lezione e da allora bevo il sakè a quella temperatura. E più che mai da allora lotto, e molte volte litigo, nei ristoranti per berlo a una temperatura corretta.

Spesso le bevande sono raffreddate per nascondere i loro difetti organolettici Iniziamo dall’acqua, la più fondamentale accompagnatrice dei nostri piatti. Oggi vive una nuova giovinezza: le acque minerali, gassate e non, si differenziano sempre di più in funzione del tipo e della quantità di sali disciolti. Vanno molto di moda quelle con pochi sali, ma continuano anche a prosperare quelle ricche di sali, molto saporite. Provate una volta a comprare più bottiglie diverse di acque minera-

li, mettete in una bottiglia anche l’acqua di rubinetto, spesso ottima, e poi assaggiatele una dopo l’altra, un cucchiaio alla volta: vedrete subito quanto sono diverse tra loro. E come sia corretto abbinarle in modo diverso ai cibi, in funzione del loro sapore. Bene, questo detto, ha senso berle a temperatura di frigorifero, cioè a 3-5°? Così diventano tutte uguali. A mio parere non ne vale la pena, di certo, e suggerisco sempre di gustarle a 10° circa, temperatura che considero ottimale. La stessa cosa vale per birra, vino bianco e vino rosato. Se sono freddi da frigorifero perdono il sapore, se ne sente solo l’alcol. Magari li abbiamo anche pagati cari, ha senso appiattirne o anche annullarne l’aroma col freddo? Secondo me, anche qui 10° sono la temperatura migliore. Servire un vino o una birra a temperatura di frigorifero, cioè a circa 2°, è una barbarie. Vi consiglerei di farlo solo se per disgrazia aveste un vino o una birra pessimi. Il freddo ne maschererà (in parte e per poco tempo, ma qualcosa pur si deve fare) la sgradevolezza. Quanto ai vini rossi, qualcuno dice che vanno serviti a «temperatura ambiente». Il consiglio è corretto ma fu suggerito nell’800, nel Nord della Francia, e si riferiva a un vino portato in tavola dalla cantina (dove c’erano pochi gradi) alla sala da pranzo, dove ce n’erano circa 16: il riscaldamento, se c’era, era riservato solo alle stanze da letto. Oggi tutto l’anno abbiamo in casa almeno 20°, spesso 22° o più, grazie al riscaldamento invernale e al condizionamento estivo. Ma ha senso bere un vino rosso a 22°? Certo che no: meglio 16°, massimo 18° per quelli di grandissimo corpo: così si godono al meglio. Per chiudere, per gustare le bevande alla corretta temperatura, al di là del togliere e mettere dal frigorifero, al di là del dotarsi di un termometro da bevande, sono molto utili le glacette a forma di copribottiglia che si tengono in freezer e che si infilano sulle bottiglie per raffreddarle.

CSF (come si fa)

Gli straccetti sono un piatto amato da tutti, soprattutto perché si preparano in un attimo, basta un minuto di cottura. Il problema è che se si vogliono cuocere rapidamente vanno fatti con i preziosi filetto e controfiletto, e infatti la tradizione suggerisce di farli con questi tagli. Se invece si fanno con il muscolo, che costa molto meno, chiedono una più lunga cottura: una volta si arrivava anche a 2 ore, oggi che co-

munque la carne è più tenera bastano anche 10’, ma dipende dai gusti: per qualcuno 10’ sono comunque pochi. Una soluzione? Una marinatura che intenerisce la carne al meglio – come fanno i cinesi con i chop suei, le onnipresenti striscioline di carne servite con infiniti odori. Suggerisco tre diverse marinature. La prima: vino (meglio se bianco) e un po’ di aceto, più gli odori che volete. La seconda: succo di arancio, succo di limone, zucchero e sale, sempre con odori. La terza: albume montato a neve mescolato a fecola di patate e vino dolce (è una tradizione cinese). Ecco due ricette, fatte con 800 g di polpa di manzo marinata, scolata, asciugata e tagliata a straccetti. Straccetti con asparagi. Sbollentate 8 asparagi pelati per 2’ poi separate i

gambi dalle punte. Cuocete i gambi con 1 cipolla mondata e spezzettata e poca acqua per 20’ poi frullate con finocchietto e 1 filo di olio. Saltate gli straccetti con poco olio e aglio per 1’, poi mescolate la crema e le punte di asparago divise a metà e regolate di sale e di pepe. Straccetti con aceto balsamico e sesamo. Fate ridurre a metà 3 cucchiai di aceto balsamico con un cucchiaino di zucchero. Tritate finemente abbondante scalogno, pelate e grattugiate un pezzetto di zenzero fresco e mescolate il tutto con l’aceto balsamico ridotto, poco peperoncino sbriciolato, una presa di semi di sesamo tostati e pestati e un filo di olio, amalgamando bene i sapori. Saltate gli straccetti con poco olio per 1’, poi mescolate il composto e regolate di sale e di pepe.

Ballando coi gusti

Keystone

Keystone

Oggi un antipasto che prevede un ingrediente molto bistrattato, il miglio, e uno spezzatino classicissimo profumato con paprika dolce

Peperoni ripieni di miglio e scamorza

Spezzatino alla birra con paprika

Ingredienti per 4 persone: miglio decorticato g 200 · 4 peperoni rossi o gialli ·

Ingredienti per 4 persone: polpa di vitello g 800 · 1 cipolla · 1 carota · 1 gambo

uvetta · scamorza affumicata g 160 · 1 stecca di cannella · pinoli · 1 mazzetto di basilico · sale e pepe

di sedano · 1 mazzetto guarnito · prezzemolo · birra rossa · paprika dolce · farina · burro · sale

Cuocete il miglio a vapore per 20’ con la cannella. Nel frattempo, mondate e tritate il basilico. Ammollate 4 cucchiai di uvetta in una ciotolina colma d’acqua. Tostate 4 cucchiaiate di pinoli in una padellina. Tagliate a cubetti la scamorza. Tagliate la calotta superiore dei peperoni, privateli dei semi e delle parti bianche. Preparate la farcia mescolando il miglio privato della stecca di cannella, la scamorza, il basilico, l’uvetta ben strizzata e i pinoli. Regolate di sale e di pepe e riempite i peperoni. Cuocete a vapore per 15’ e servite leggermente intiepidito.

Mondate e tagliate a pezzi piccoli la cipolla, la carota e il sedano. Tagliate la carne a pezzetti irregolari, infarinateli leggermente, metteteli in una casseruola e fateli rosolare per 5’ con una noce di burro, mescolando. Bagnate la carne con una bottiglietta da ½ litro di birra rossa sobbollita per 3’, unite le verdure e il mazzetto guarnito, cuocete coperto per un’ora abbondante a fuoco basso unendo acqua bollente se e quando necessario. Alla fine eliminate il mazzetto, regolate di sale, di prezzemolo tritato e di abbondante paprika, mescolate bene e servite accompagnando con riso in bianco.


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Ambiente e Benessere

Il re della Quaresima Gastronomia A tavola con il «grande ingordo», il vorace luccio Davide Comoli Gli ultimi quaranta giorni della vita di Cristo, seguiti dalla sua tragica morte e dalla sua risurrezione, influenzarono le sorti del mondo cristiano. Per rispetto nei confronti di questo evento, per sei settimane i cattolici rinunciarono a piatti preparati con creature quadrupedi, bipedi, carnose e grasse, puntando in modo principale sul pesce. Questo è il motivo per cui, sin dall’Alto Medioevo, soprattutto dopo le severe regole di San Benedetto sul digiuno, emanate nel 529 d.C., svariati piatti preparati con gli abitatori del mare, laghi e fiumi, guarniscono le tavole dei comuni e più mortali, sia dei peccatori penitenti che della Quaresima, vedono l’occasione per purificarsi il corpo o godersi le delizie che ci offrono gli esseri acquatici. Questo periodo dell’anno è il momento in cui si celebra la passione di Cristo e della definitiva vittoria della vita sulla morte, ma è anche il tempo in cui si sfoga la nostra fantasia per soddisfare i nostri sensi eccitati con ricchi menù di pesce e verdure. Se solo tentassimo di elencare tutti i piatti che detengono il gratificante titolo di «Re della Quaresima», avremmo una lista di successi dell’arte culinaria più lunga di un manuale di cucina. Accese controversie hanno per secoli, su questo argomento, interessato monaci, dotti gourmet e cuochi. Oggi si nota però una graduale cessazione delle ostilità su questo tema. L’inizio del grande digiuno rappresentava l’occasione per far guizza-

re il pesce d’acqua dolce nelle pentole, ma non uno qualsiasi, il luccio, re della peschiera. Grimod de la Reynière lo definiva l’Ingordo, perché è uno dei pesci più voraci, «l’Attila dei fiumi e dei laghi», e uno dei pesci più richiesti dall’antichità ai giorni nostri. La storia ha visto papi, imperatori, re e filosofi, intromettersi nei vari modi di cucinarlo, pescarlo ed allevarlo. Marco Terenzio Varrone che con Plinio fu il maggiore naturalista della Roma antica, nell’ultima sua opera conservata interamente Rerum rusticarum libri (I sec. a.C.) dà consigli su come costruire delle peschiere ad acqua dolce nelle quali, oltre alle specie più lente ed oziose come la carpa, si mette sempre qualche luccio, il quale con la sua naturale rapacità interrompe la monotonia della peschiera. Nel Capitulare de Villis, ordinanze emanate da Carlo Magno nel 795 d.C., fra le altre disposizioni su come sistemare i beni dei conventi si parla anche dell’allevamento dei pesci d’acqua dolce. Nelle peschiere che una volta circondavano il Louvre del Rinascimento, i vari Re di Francia allevavano i lucci. Carlo IX (1550-1574) il cui potere di fatto fu esercitato dalla madre, la famosa Caterina de Medici, ne allevava uno addomesticato a cui aveva dato il nome di Lupul. Fino verso la fine del 500 però il luccio è un pesce non sempre apprezzato nel modo dovuto. Un ignoto autore di quell’epoca scrive infatti su un vecchio ricettario «È ancor il luccio vile e più presto buono per la plebe, che per gente nobile e civile». Fu comunque

questa «plebe vile», che lo cucinò nel modo dovuto, ad essere valorizzato. La rivalutazione del luccio iniziò verso la fine del XVI secolo inizio XVII, quando la corte francese si trasferì a Versailles e con essa anche le peschiere. Nel 1760 lo scrittore forse più interessante del romanticismo inglese, W. Beckford, grande conoscitore della buona cucina nonché raffinato gourmet ed inguaribile sognatore, in visita al convento portoghese di Alcobaça, durante il periodo quaresimale, scrisse con entusiasmo: «Mai i miei occhi videro, in nessun altro convento europeo a me noto, un vano così grande riservato per scopi culinari. Una sala incredibilmente lunga, almeno 25 metri. In mezzo a tale sala gorgogliava un ruscello che riversava in una enorme vasca, nella quale nuotavano pesci di tutte le dimensioni, acqua limpida come il cristallo.» e continua «Quella sera il padre abate dopo la benedizione e prima del rito della cena esortando i confratelli a pregare, aggiunse… I doni del Signore sono immensi ed è nostro dovere goderceli, non moriremo di fame». In quel mentre due novizi con fatica portavano in tavola un grande calderone fumante, dal quale spuntavano tagliati a pezzi, filetti di luccio e fondi di carciofo, ricoperti da un intingolo con ogni sorta di verdure. La cucina internazionale ha molte ricette per il luccio e a dipendenza del suo peso, che può variare dal kg fino a 25 kg, viene usato per farne zuppe, quenelles, gnocchi o mousses, al vino bianco, alla crema, gratinato, ma la regina delle preparazioni è «le brochet (luccio) en beurre blanc». Il grande Curnonsky

Uno dei predatori più temibili delle acque dolci. (Wikipedia)

(Maurice Edmond Sailland 1872-1956) principe tra i gastronomi francesi, definiva questo piatto «la gloria delle acque della Loira». È curioso sapere che egli annoverava tra i suoi antenati una certa Beata Jeanne Sailland, la quale aveva ottenuto per sé e per i suoi discendenti uno scritto dal Vaticano, il quale sollevava dall’obbligo di fare di magro al venerdì? Ma torniamo alla nostra salsa «beurre blanc»: questa ricetta fa parte di quelle leggendarie nate per errore, vedi es. la famosa Tarte Tatin. Narra la leggenda che la cuoca del marchese de Goulaine, famosa per le sue preparazioni del luccio con salsa béarnaise, avesse un giorno dimenticato d’aggiungere le uova alla riduzione d’echalotes. Contrita e singhiozzante la povera Clemence, si vedeva già licenziata, allorché il marchese curioso e forse affamato, provò questa salsa incompleta, la trovò di suo gusto e ordinò che da quel momento il luccio fosse servito con quella salsa. Più tardi Clemence, aprì un alberghetto a Saint-Julien-de-Concelles, sulla riva sinistra della Loira e Curnonsky natio di quei luoghi, fece conoscere al mondo

questa squisitezza. Se passate da quelle parti, non mancate oltre al luccio di provare i grandi vini bianchi di quella zona, prodotti con il Chenin Blanc. Se invece il luccio lo trovate sotto forma di quenelles nantua, abbinate al vostro piatto un bianco di Condrieu, prodotto con la Marsanne e la Roussanne. In Italia le ricette più interessanti con il luccio le troviamo in Lombardia. Con il luccio al latte consiglieremo un bianco giovane di medio corpo, come un Lugana, con il luccio stufato un Bianco di Custoza. Indimenticabile l’insalata di luccio e patate, provato in un piccolo villaggio croato ai confini con la Slovenia, abbinato a un Grasevina (Riesling Italico) e in seguito con il Förkölt di luccio accompagnato da un rosso Dingac (vitigno plavac mali). Dalla finestra dell’accogliente ristorantino, accanto ad un camino scoppiettante, con l’amico Peter, osserviamo la foschia che lentamente sta coprendo il Mincio sulla strada del ritorno e sorseggiando un Franciacorta rosato, assaggiamo con rispetto le polpette di luccio alla gardesana il vero re del grande regno gastronomico della Quaresima. Annuncio

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Ambiente e Benessere

L’uovo o la gallina? Mondoanimale Al Museo di storia naturale di Friborgo un tripudio di uova, pulcini e quaglie, alla ricerca di una

risposta all’annosa domanda filosofica La giornata finale del 27 aprile culminerà con uno spettacolo che cercherà di dare una risposta all’annoso problema dell’uovo e della gallina, e di chi dei due sia venuto al mondo per primo. E a parte le simpatiche iniziative che movimentano tutte le giornate di questa esposizione temporanea dedicata ai pulcini, possiamo certamente affermare che le conoscenze scientifiche e le esperienze dirette della nascita dei pulcini sono già da sole un’ottima ragione per fare una capatina Oltralpe e gustarsi tutto l’itinerario proposto dal Museo di storia naturale di Friborgo… con quella domanda che certamente ronzerà nella mente: ma… è nato prima l’uovo o la gallina?

Maria Grazia Buletti Mangiamo in media mezzo uovo al giorno e questa stima si basa sul fatto che le uova che quotidianamente la nostra alimentazione «nasconde» si trovano, ad esempio, nei prodotti alimentari come le paste, la maionese, i biscotti e tanti altri ancora. Da dove provengono queste uova? In quali condizioni sono allevate le galline ovaiole? Chi è la gallina che sta dietro all’uovo à la coque della nostra colazione? Un animale con le piume vaporose e lucide, che può raspare ogni giorno il terreno di un pollaio e fare i suoi proverbiali bagni di sabbia? O una gallina stravolta, mezza spiumata, neppure più in grado di esprimere il comportamento naturale della propria specie, né lasciare la gabbia che condivide con una cinquantina di sue consorelle? Quest’ultimo tipo di allevamento è proibito in Svizzera dal 1991, sebbene l’importazione di uova da altre nazioni sia comunque autorizzata. Queste informazioni, queste questioni e le loro relative risposte ci attendono all’Esposizione temporanea dei Pulcini del Museo di storia naturale di Friborgo. Giunta alla sua ventinovesima edizione, l’esposizione vanta una solida tradizione friborghese tanto quanto il San Nicolao e il Rababou (ndr: pupazzo di paglia di 12 metri bruciato a Carnevale), ha preso il via il 22 marzo scorso e terminerà il 27 aprile: una settimana dopo la Pasqua. E come ogni anno, la mostra Poussins rappresenterà una buona occasione per seguire l’incessante andirivieni di questi piccoli volatili, di osservare la vita di un gallo e le sue galline nel loro pollaio e, con un pochino di fortuna, di meravigliarsi in diretta davanti allo schiudersi di un uovo. Sì, perché si stima che ogni giorno, dall’apertura alla chiusura dell’esposizione, saranno circa una ventina le uova che si apriranno sotto gli occhi dei visitatori e mostreranno la venuta al mondo di un pulcino. «E quest’anno potremo vantare qualche

Domande e Risposte

Informazioni scientifiche e curiosità di ogni genere alla mostra di Friborgo. (iStock. com/13589306/ ornitolog82)

novità», avvertono al Museo di Friborgo: «Per la prima volta, oltre ai consueti pulcini accogliamo pure le Quaglie del Giappone». Al Museo, durante l’esposizione, giungeranno dunque pure le uova di queste quaglie, direttamente da un allevamento di Mannens, nella Broye friborghese. E, tornando all’allevamento di polli e galline ovaiole, chiediamo lumi a proposito dell’interdizione, in Svizzera, di allevamenti non rispettosi della natura stessa di questi ruspanti: ci confermano che da noi la legge è chiara dal 1991, e in fondo «Anche l’Unione europea ha varato nel 2012 una legge specifica che regola l’uso delle gabbie di allevamento, ma questa regolamentazione non ci risulta sia ancora applicata a dovere, almeno in alcuni Paesi». Ovvio chiedersi come possiamo essere certi dell’allevamento rispettoso

delle galline le cui uova vengono importate in Svizzera: «Attraverso spiegazioni approfondite, illustrazioni, modelli plastici e film, l’esposizione sui pulcini mette bene in evidenza come riconoscere le condizioni di origine delle uova acquistate sul mercato elvetico: abbiamo messo a disposizione dei visitatori ogni informazione che risponda a proposito dei tipi di allevamento e sui codici e denominazioni specifici che vi si rapportano, affinché tutti possano comperare le uova coscienti della loro esatta provenienza». Ma l’interessante mostra non si sofferma unicamente su questi seppur importanti aspetti e propone un’infinità di attività che coinvolgono bambini e adulti, durante tutta la sua permanenza: «I bambini possono disegnare, leggere e ascoltare storie sui pulcini, alcune delle

Le uova a disposizione del Museo di storia naturale di Friborgo provengono da una fattoria avicola. Ogni giorno, con un po’ di fortuna, durante l’esposizione si potranno ammirare schiudere una ventina di uova e si stima che durante tutta la rassegna saranno circa 750 i pulcini che vedranno la luce. Le uova di pollo restano in incubazione circa 21 giorni, mentre quelle di quaglia solamente 16 giorni. Dopo la loro nascita, i pulcini restano esposti solo un giorno nell’incubatrice, mentre rimangono all’interno dell’esposizione circa 10 giorni trascorsi i quali vengono restituiti agli allevatori professionisti che li cresceranno secondo le rispettose condizioni vigenti in Svizzera. Informazioni utili: 22 marzo – 27 aprile 2014, Esposizione temporanea dei Pulcini, Museo di storia naturale di Friborgo, Chemin du Musée 6, 1700 Fribourg, www. mhnf.ch

quali raccontate da Martine QuelozKohler che narrerà la storia di un gallo con l’aiuto del suo nuovo libro in tessuto ideato per l’occasione». E quanto agli adulti: «Potranno scoprire tutti i segreti della riproduzione degli uccelli in una serata scientifica che terminerà in modo conviviale, con una spaghettata in compagnia». E per non farsi mancare nulla, sarà pure possibile conservare un ricordo della visita a questa tanto originale quanto interessante immersione nel mondo delle uova, dei galli e delle galline: «I visitatori possono recarsi al Giardino botanico dove potranno farsi fare un ritratto speciale: saranno ripresi sotto forma di gallo e potranno pure figurare sull’album fotografico “Poussins/Kühken 2014” se solo invieranno la loro fotografia al sito internet del Museo: www.mhnf.ch».

Giochi Cruciverba Scopri il proverbio nascosto nel cruciverba risolvendolo e leggendo le lettere evidenziate

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Sudoku Livello geni

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1. Pesce marino 6. Gruppo complesso di cose o persone 11. Un peso del pugilato 12. Bello in Inghilterra 13. Grappoli d’uva senza acini 14. Vecchio brandello di stoffa 16. Sono unità di peso 17. Assicura il carico sul mulo 18. Per l’appunto! 19. Si fanno nei lunghi viaggi 20. Simbolo chimico del cobalto 21. Le iniziali della cantante Amoroso 22. Gruppo fazioso e intollerante 23. Per ... per gli spagnoli 24. Un Enrico politico italiano

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25. Differenti, diversi 26. Nome maschile 28. Si occupa 29. Fissano scadenze 30. Fanno perdere punti... 31.Regolare, calibrare 32. Antica unità di misura per cereali

VERTICALI 2. Indifferenza, indolenza 3. C’è anche quella della spesa 4. L’Avati regista 5. Sono utili solo nascosti 7. Integra, giusta

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti in numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

28 30 32

8. Competizioni superate con successo 9. A volte precede il... fatto! 10. Affollano i penitenziari 13. Presente per le feste 14. Gruppo sociale chiuso 15. Nome di alcuni Papi 17. Possono essere da… orbi 19. Razza canina 20. Processioni 22. Precede la settima 23. Il piatto forte degli italiani 24. Noto re shakespeariano 25. Unità pratica di misura della tensione elettrica 27. Dispari in fredda 28. Ingiallisce la garza

Soluzione della settimana precedente

Consigli utili – Resto della frase: Bicarbonato di sodio

T A S S O

O N R E O S S N O

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Politica e Economia Sciolte le riserve Il generale Al-Sisi si candida alle presidenziali egiziane

SMS controverso La Malaysian Airlines avvisa con un SMS i famigliari delle vittime che l’aereo è caduto

L’India e le elezioni Dureranno quasi un mese, fino al 12 maggio, e passeranno alla storia per essere le più costose. Favorito Narendra Modi, probabile primo ministro

Le pecche di un’iniziativa Un’analisi dell’iniziativa sul salario minimo mette in luce numerosi punti deboli

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AFP

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La débâcle

Elezioni comunali francesi La disastrosa sconfitta del Partito socialista è imputabile non tanto al populismo

della destra e al fronte anti-europeo bensì alla politica del presidente Hollande Aldo Cazzullo La sconfitta di François Hollande alle elezioni comunali ha un illustre precedente storico. Nel 1983, due anni dopo la sua storica elezione all’Eliseo, il primo presidente socialista della Quinta Repubblica, François Mitterrand, perse rovinosamente le elezioni amministrative. E capì di dover cambiare politica, abbandonando la via delle nazionalizzazioni e i sogni di «cambiare la società», congedando il premier Pierre Mauroy e affidando al giovanissimo Laurent Fabius un’accorta gestione dell’esistente, che nell’87 lo portò a un’altrettanto storica rielezione, con un ampio margine su Jacques Chirac. Hollande ha già tentato di cambiare passo e politica, annunciando a gennaio un «patto di responsabilità» con le parti sociali e con i francesi: meno spesa pubblica, meno contributi a carico delle aziende, più competitività, più peso in Europa e nel rapporto sempre più squilibrato con la Germania. Il problema è che quella conferenza stampa

fu dominata dalla questione Valérie Trierweiler. Insomma due terzi dei giornalisti erano lì per sapere della relazione tra il presidente e l’attrice Julie Gayet, a spese dell’ex première dame, e non per informare l’opinione pubblica della svolta nella politica economica del capo dello Stato. Certo, il paragone con il passato è impossibile. L’ingresso di Hollande all’Eliseo ha segnato non solo un cambio di stile rispetto a Sarkozy, ma anche un passaggio generazionale a sinistra. Mitterrand si faceva dare del tu solo dai compagni di prigionia nel lager nazista in Turingia, anche Jospin preferiva il «voi»; Hollande dà e si fa dare facilmente del tu. Quando gli dissero che era stato eletto, Mitterrand stava parlando alla giovane Anne Sinclair – futura sposa di Dominique Strauss-Kahn – della sua amata foresta di Morvan. Si interruppe per un attimo, si preoccupò che ci fosse champagne per tutti, e riprese la conversazione dove l’aveva lasciata. Nella notte della vittoria, Hollande è saltato in piedi, le

braccia al cielo, circondato dai collaboratori e dal primogenito, Thomas, in lacrime. E subito è cominciato lo psicodramma Trierweiler-Royal, con la madre dei quattro figli di Hollande che lo bacia sulla guancia sopra il palco di piazza della Bastiglia e la (allora) compagna che pretende di essere baciata sulla bocca. Ora Valérie non c’è più, e questo spalanca la strada all’ingresso nel governo della Royal, che resta la personalità più popolare a sinistra dopo l’ex sindaco di Parigi Delanoë e dopo il nuovo primo ministro, Manuel Valls (al centro nella foto). Hollande punta molto su questo catalano divenuto francese per scelta (mentre l’amata sorella Giovanna, nata a Parigi, ha scelto di tornare a Barcellona, e adesso dopo un passato di tossicodipendenza lotta contro l’Aids). Valls, punto di riferimento dell’ala destra del partito, rappresenta plasticamente la necessità per Hollande – proprio come trent’anni fa per Mitterrand – di adeguare l’ideologia alla realtà, e di affrontare il grande problema della

Francia: un Paese ricco ma in decadenza, una nazione antica ma che sente di non contare molto più di nulla. E non è aumentando ancora le tasse e il peso dello Stato che si lotta contro il grand malaise, questo malessere che fa sì che a ogni elezione da trent’anni a questa parte perda il governo e vinca l’opposizione. Si spiega anche così il successo di Marine Le Pen, che forse è stato sin troppo enfatizzato. Alle Europee del 25 maggio prossimo il Front National andrà ancora meglio; e fa impressione il successo di un simbolo, la Fiamma tricolore, che in Italia suscita memorie apertamente legate alla tradizione fascista. Ma il sistema francese imperniato sul doppio turno non lascia grandi margini di crescita alle ali radicali. È vero che Marine rifiuta di farsi ingabbiare nell’appartenenza all’estrema destra. Ma l’ampio successo dell’Ump, l’Unione per un movimento popolare fondata da Sarkozy, pone un argine che difficilmente la figlia di Le Pen sarà in grado di scavalcare.

Si tratta a questo punto di capire chi sarà lo sfidante di Hollande – o di Valls – nel 2017 per la corsa all’Eliseo. Né l’attuale leader nominale dell’Ump Jean-François Copé, né l’ex primo ministro François Fillon hanno la personalità per contrastare Sarkozy, se decidesse di tornare in campo. L’uomo del momento a destra è Alain Juppé, rieletto al primo turno sindaco di Bordeaux e popolare per la sua moderazione e la sua saggezza. Ma nel 2017 andrà per i 72 anni, e Sarkozy con la sua influenza sui media è in grado di farlo passare da anziano sapiente a vecchio arnese chiracchiano. Com’è ovvio, il «presidente normale» Hollande spera di ritrovarsi di fronte proprio Sarkozy, già battuto nel 2012. Oggi il partito socialista è messo male. Ma la partita non è ancora chiusa, anzi potrebbe rivelarsi più aperta del previsto. Soprattutto se l’economia francese ritroverà una dinamica di crescita, e se il presidente saprà trovare – se non il carisma, che proprio non ha – il coraggio di cambiare.


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Politica e Economia

Taiwan la ribelle Mar Cinese Meridionale La protesta del

movimento giovanile dei girasoli contro l’accordo commerciale con la Cina allontana di fatto la prospettiva di unificazione dell’isola con Pechino

Il generale faraone

Egitto Dopo settimane di attese, il capo delle forze armate Abdel

Fattah al-Sisi ha annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni presidenziali

Alessandro Accorsi Il volto del prossimo presidente egiziano era noto da mesi. Nonostante le sue smentite, le indecisioni e i continui rinvii. Nonostante il fatto che le elezioni presidenziali si terranno solamente il 27 maggio. Ma, con tutta probabilità, sarà il feldmaresciallo Abdel Fattah alSisi a guidare il Paese nel suo futuro più prossimo. Non può quasi essere altrimenti, visto che Sisi è praticamente incontrastato – per ora l’unico altro candidato è il nasseriano Hamdeen Sabbahi, giunto terzo alle scorse elezioni, ma sprovvisto di una forte base politica. Sisi è spinto nella sua corsa da tutti quelli che contano veramente. Il candidato delle istituzioni, si direbbe nella vecchia Europa. Il candidato dello Stato profondo, sarebbe da dire a queste latitudini, supportato dall’elefantiaco apparato burocratico, dalle forze di sicurezza e dall’esercito, dagli industriali e dai politici legati al vecchio regime. E, persino, da tutte quelle losche figure che in Egitto siedono agli angoli delle strade comportandosi come se ne fossero padroni. Uomini a metà tra criminalità e servizi segreti che tutto sanno, tutto vedono e a tutto provvedono. Sisi è, insomma, il candidato di tutti quelli che negli ultimi anni di tumulto rivoluzionario si sono sentiti smarriti, senza potere o a rischio di perderlo. Sisi è anche colui che negli ultimi anni ha scalato il potere e che è stato dietro ad ogni svolta politica. Capo dell’Intelligence Militare a cavallo della rivoluzione, membro più giovane del Consiglio Supremo delle Forze Armate, responsabile delle negoziazioni con i Fratelli musulmani per il passaggio di poteri ad un governo civile, Ministro della Difesa nominato da Morsi. Che di lui pensava di potersi fidare, salvo scoprire meno di un anno dopo che sarebbe stato proprio Sisi a rimuoverlo dalla presidenza. Il feldmaresciallo è un uomo cresciuto nelle forze armate egiziane mentre quest’ultime seppellivano l’ascia di guerra con Israele. Un uomo meno interessato ai grandi benefici economici della carriera militare, ma che ha coltivato accuratamente rapporti personali e politici e che conosce bene le istituzioni militari, l’umore delle proprie truppe e i giochi di palazzo. Anche per questo, quando la sua candidatura era diventata una scelta obbligata, potrebbe aver rinviato ulteriormente l’annuncio per assicurarsi che fosse chiaro a tutti – specialmente ai generali in pensione che guidano le enormi industrie militari e non hanno una gran considerazione di lui – che il futuro dell’esercito è indisso-

lubilmente legato al suo successo o fallimento personale. Vincere le elezioni, infatti, non basta. Sisi non potrà essere un nuovo Mubarak perché la rivoluzione, per quanto anestetizzata, ha cambiato il rapporto tra popolo e governanti. Tanto più che le aspettative nei suoi confronti sono altissime e Sisi verrà giudicato in base ai propri risultati. Dovrà, però, guidare un Paese allo sbando e sull’orlo della bancarotta, per ora solo evitata grazie ai generosi petroldollari provenienti da Arabia Saudita, Emirati Arabi e Kuwait. I suoi sostenitori sono convinti che per far ripartire la crescita economica serva stabilità. Basta con le manifestazioni, basta con gli scioperi, basta con le richieste di pane e giustizia sociale che avevano portato alla caduta di Mubarak. Ordine, disciplina, arresti arbitrari e tanto bastone contro gli agitatori sociali. Eppure, nonostante la repressione sia già in atto e a migliaia siano rinchiusi nelle putride celle egiziane, gli studenti universitari continuano a protestare e scontrarsi con la polizia ogni settimana, mentre gli scioperi – pur limitati – continuano in tutto il Paese. La situazione potrebbe ulteriormente peggiorare con l’aumento del prezzo del pane e del gas e la mancanza di energia elettrica. Sisi non ha presentato, ancora, alcun piano per l’economia, ma negli ultimi mesi da un lato ha permesso il rientro dei capitali degli uomini d’affari legati alla famiglia Mubarak e scappati all’estero dopo la rivoluzione, e dall’altro si è appoggiato all’esercito. Dalla caduta di Morsi, infatti, le industrie militari hanno ottenuto o rilevato numerosi appalti, mentre i soldati di leva sono perfino stati messi alla guida degli autobus pubblici per far fronte agli scioperi nel settore dei trasporti. Quel che Sisi non sembra considerare, però, è che è stata proprio questa ricetta economica, con il mix tra neo-liberalismo corrotto dei grandi businessmen e espansione dell’economia dei militari ad aver portato Mubarak alla rovina. Inoltre, la repressione delle proteste, la persecuzione di attivisti e giornalisti spingono sempre più giovani e islamisti a radicalizzarsi, come dimostrato dagli attacchi compiuti dai gruppi jihadisti e dalle bombe scoppiate all’Università del Cairo. Mentre la maggior parte dei manifestanti, anche dei Fratelli musulmani, continuano a perseguire una strategia non-violenta, è innegabile che arresto dopo arresto questa sembri sempre più inutile. Ordine e disciplina non possono essere ristabiliti se il bastone colpisce in un’unica direzione, se manca uno Stato di diritto che punisca anche le violazioni

compiute dalle forze di sicurezza e cancelli ogni dubbio sulle loro responsabilità. Si contano sulle dita di una mano, infatti, i poliziotti condannati negli ultimi tre anni per l’uccisione di manifestanti. Gli attivisti per i diritti umani si sono dovuti accontentare, recentemente, della condanna a 10 anni per un capitano di polizia accusato di aver lasciato morire 37 prigionieri rinchiusi in una camionetta della polizia, lanciando gas nel veicolo dove erano stipati. È una delle condanne più pesanti date ad un ufficiale delle forze di sicurezza, ma gli altri tre imputati sono stati condannati ad un solo anno di prigione e la sentenza è sospesa. Pochi giorni dopo, per contrasto, 529 imputati in un maxi processo contro i Fratelli musulmani sono stati condannati a morte da una corte di Minya, a sud del Cairo, per aver ucciso un ufficiale di polizia negli scontri divampati dopo lo sgombero del sit-in di Rabaa il 14 agosto. A morire nello sgombero del sit-in, 624 civili e 8 ufficiali di polizia, ma non c’è ancora alcun processo. La condanna a morte dei 529 imputati verrà probabilmente annullata in appello, ma era del tutto inaspettata. Se non altro, perché la sentenza è arrivata alla seconda udienza e il processo è durato un totale di 100 minuti, in cui la difesa non ha avuto neanche il tempo di presentare prove o chiamare testimoni. Ad onor del vero, il giudice che presiedeva la corte di Minya è famoso per le sue decisioni «eccentriche» e alquanto discutibili. Nel 2013 ha condannato un uomo a 30 anni di prigione per il furto di un abito e scagionato poliziotti accusati dell’omicidio di altri manifestanti. Non è una condanna eterodiretta a livello politico, ma politica nel senso che è figlia del clima repressivo, della propaganda sulla «guerra al terrorismo» lanciata da Sisi e della corsa all’ostentazione di obbedienza e fedeltà al nuovo faraone all’alba dell’instaurazione di un nuovo regime. Una condanna che imbarazza lo stesso sistema giudiziario, ma che viene giustificata e difesa dalla classe politica e dai media egiziani. Perché, per quanto grottesca, rafforza la narrativa dell’ordine e della disciplina, del colpire per educare, e distoglie lo sguardo dai veri problemi del Paese. «Spero che la condanna venga confermata» esclamava poche ore dopo una ex guida turistica che supporta Sisi. «Poche centinaia di terroristi dei Fratelli musulmani stanno paralizzando un Paese di cento milioni di persone, condannandole alla fame. Se lo meritano». Buona fortuna, feldmaresciallo.

Un imbarazzo e la rielezione in bilico, per il presidente Ma Ying-jeou; un forte colpo per la politica estera di Pechino e un problema anche per gli Stati Uniti di Barack Obama, seriamente impegnati in una battaglia diplomatica con la Cina di Xi Jinping per l’egemonia nel Pacifico. Gli studenti di Taiwan che hanno occupato il Parlamento e il palazzo del governo, si sono scontrati con la polizia e infine hanno trascinato centinaia di migliaia di persone per le strade di Taipei in una protesta anticinese senza precedenti, hanno riaperto dei giochi che con troppa fretta erano stati dati per chiusi. Il movimento è nato il 18 marzo scorso, quando migliaia di giovani guidati da Lin Fei-fan (25 anni) e Chen Wei-ting (23), occupano la sede del Parlamento (chiamato a Taiwan Legislative Yuan). Protestano contro la decisione del partito di governo, il Kuomintang o Partito Nazionalista, di mettere in votazione senza discuterlo punto per punto, come aveva promesso, il Cross-Strait Service Trade Agreement (CSSTA), un accordo commerciale che apre alla Cina le porte del settore dei servizi di Taiwan. Ma Ying-jeou, salito al potere nel 2008 con l’impegno di migliorare la situazione economica dell’isola attraverso un rafforzamento dei suoi legami con la Cina comunista, ne ha fatto un punto centrale del suo programma. Aveva fatto i conti senza l’opinione pubblica. Taiwan è una democrazia funzionante dal 1996, quando si tenne la prima elezione libera di un presidente. Occupata nel 1949 dalle truppe nazionaliste sconfitte dai comunisti di Mao Zedong, l’isola era rimasta per decenni sotto la spietata dittatura del generale Chiang Kai-shek. Al contrario di quanto accaduto nella Cina continentale – dove la dittatura di un partito unico è ancora in vigore – l’evoluzione che è seguita è stata rapida e completa. Il CSSTA è stato visto da gran parte dell’opinione pubblica taiwanese – della quale gli studenti sono la punta avanzata – come una resa a Pechino, che continua a considerare Taiwan una «provincia ribelle» che deve essere ricongiunta con la madrepatria con le buone o con le cattive. Non per niente l’Esercito di Liberazione Popolare tiene un migliaio di missili puntati verso l’isola. Taiwan è stata occupata per quasi 60 anni dal Giappone, che l’ha abbandonata solo dopo la sconfitta subìta nella Seconda guerra mondiale. In seguito, ha avuto rapporti più stretti con gli Stati Uniti che con la Cina. I due decenni di democrazia hanno dato

poi un decisivo contributo alla nascita di un’identità taiwanese distinta da quella cinese. Quest’identità è rappresentata dal Democratic Progressive Party (DPP), oggi all’opposizione, che è nato a Taiwan negli anni Ottanta e che è contrario all’unificazione con la Cina anche se, dato il momento storico, non ha finora apertamente parlato di indipendenza. Al contrario il Kuomintang, nato nella Cina continentale, ritiene che la Cina sia una e che debba essere riunificata, una volta liberata dalla dittatura comunista. Durante l’occupazione simbolica del Legislative Yuan un fioraio ha mandato agli studenti, in segno di simpatia, un migliaio di girasoli. Da allora, il girasole è diventato il simbolo del movimento e il giallo il suo colore distintivo. In un primo momento Ma Ying-jeou e il suo primo ministro Jiang Yi-hua hanno tenuto duro, rifiutandosi di parlare con i giovani e minacciando l’intervento della polizia. In risposta, gli studenti hanno alzato il tiro occupando la sede del governo, il cosidetto Executive Yuan. Il 24 marzo un migliaio di poliziotti in assetto da guerra sgombra il palazzo e una sessantina di giovani vengono arrestati, 150 rimangono feriti. Il sostegno della società ai giovani monta come una valanga con lettere ai giornali, dichiarazioni su Internet e documenti di associazioni professionali. Ma e Jiang cedono alle pressioni e aprono un difficile dialogo con gli studenti, che si ritengono insoddisfatti e organizzano la manifestazione del 30 marzo. Loro hanno sostenuto di essere stati in 500mila, la polizia parla di poco più di centomila. Non che conti tanto, ma la cosa importante è che da adesso in poi quello che veniva dato per scontato da Pechino e dal resto del mondo – cioè che Taiwan fosse destinata un giorno ad unirsi alla Cina – si è rivelato per quello che era, un’illusione basata su un calcolo politico fatto negli anni Settanta dai dirigenti americani e cinesi in modo eccessivamente sbrigativo. Ansiosi di unire le loro forze politiche e militari contro il comune nemico sovietico e le loro economie per la crescita del mercato dell’Asia/Pacifico, Richard Nixon e Mao Zedong dettero per deciso il destino di questa piccola isola di venti milioni di abitanti. Oggi la questione di Taiwan torna ad angosciare i loro successori, che già hanno per le mani le patate bollenti della bomba atomica nordcoreana e delle dispute territoriali tra la Cina e i suoi vicini (in primo luogo Giappone, Filippine e Vietnam, tutti alleati degli Usa) mentre poco più a ovest la Crimea fa rinascere lo spettro dell’Impero Russo.

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Politica e Economia

L’India alle urne

Notizie dal mondo

Dal 7 aprile al 12 maggio L’India è pronta ad affrontare il lungo e complesso processo delle

Turchia: Erdogan revoca il bando su Twitter La Turchia torna a cinguettare liberamente dopo che il governo del premier Recep Tayyip Erdogan ha deciso di obbedire alla Corte costituzionale, che giovedì aveva dichiarato illegittimo e lesivo delle libertà fondamentali il blocco della rete sociale imposto due settimane fa. L’autorità governativa delle telecomunicazioni Tib ha fatto uscire dalla clandestinità nella quale erano entrati da due settimane i 12 milioni di utenti turchi. Il bando era stato imposto nella notte fra il 20 e il 21 marzo, poche ore dopo che Erdogan aveva annunciato lo «sradicamento» di Twitter in un comizio per le amministrative del 30 marzo. Da settimane il premier era bersagliato da rivelazioni compromettenti e accuse di corruzione sulle reti sociali. Sei giorni dopo veniva bloccato anche Youtube. La censura imposta da Erdogan aveva provocato una tempesta di critiche da tutto il mondo. L’opposizione aveva denunciato la «deriva autoritaria» del premier; anche il capo dello stato Abdullah Gül, cofondatore con Erdogan del partito islamico Akp al potere dal 2002, si era dissociato e chiedeva il rispetto della sentenza e la revoca del blocco di Twitter e YouTube. Il traffico turco sulle due reti sociali in realtà non si è mai interrotto. Gli internauti hanno trovato canali alternativi, in particolare grazie ai Vpn, per accedere comunque alle due reti sociali nonostante la pressione sempre maggiore del governo, che fra l’altro ha anche dirottato i server Dns di Google usati per superare il blocco. Per Twitter ora è cosa fatta. YouTube rimane bloccato.

AFP

elezioni nazionali, da cui uscirà il nome del nuovo primo ministro. Con ogni probabilità l’ultranazionalista Narendra Modi che ha già messo in ansia la comunità islamica

Francesca Marino Tutto è pronto ormai per le elezioni politiche indiane, elezioni che passeranno alla storia per molti motivi. Sono le più costose della storia dell’India moderna, 35 miliardi di rupie escluse le spese effettuate dai singoli candidati e le spese per la sicurezza di cittadini e seggi elettorali. A votare saranno chiamati 814 milioni di votanti, di cui 100 milioni di giovani che si avvicinano per la prima volta alle urne. Più di un mese di votazioni, in nove fasi, dal 7 aprile al 12 maggio. I risultati saranno resi noti il 16 maggio, così come il nome del prossimo primo ministro dell’India. La campagna elettorale è stata lunga, lunghissima, e ha riservato più di una sorpresa. L’annunciato e atteso scontro tra Rahul Gandhi – pupillo ed erede della più famosa dinastia politica indiana e candidato «naturale» del partito del Congress di cui è segretario – e Narendra Modi – Chief Minister dello stato del Gujarat e campione della destra nazionalista (nella foto) – non c’è stato. A guidare la campagna del Congress sono in tre: Sonia Gandhi, Manmohan Singh e lo stesso Rahul che però non è stato ufficialmente annunciato come candidato premier del partito di cui pure è segretario. Rahul, giovane, bello e di buona famiglia, sconta agli occhi della gente la sua posizione sociale, la sua educazione cosmopolita e la sua scarsa conoscenza, dicono, dell’India della gente comune. L’India che non parla inglese e non vive a Delhi, per intenderci. Lo sfidante da battere, per il favorito Narendra Modi, è un outsider da poco comparso sulla scena politica nazionale: Arvind Kejriwal, a capo del neo-nato Partito della gente comune, l’Aam Aadmi Party che nelle scorse elezioni amministrative a Delhi ha fatto man bassa di voti. Kejriwal, che ha militato nel movimento anti-corruzione fondato da Anna Hazare, è stato eletto Chief Minister di Delhi lo scorso dicembre ma si è dimesso dopo soli quarantanove giorni. Dimissioni che hanno aumentato in qualche modo i consensi, perché rassegnate «vista l’incapacità del mio partito di far passare la legge anticorruzione» che era stata il suo cavallo di battaglia elettorale. Kejriwal ha ar-

ruolato nei ranghi dell’Aam Aadmi attivisti sociali famosi come la pasionaria anti-dighe Medha Patkar, intellettuali, professionisti, insegnanti, artisti: gente comune, che poco o nulla ha o ha avuto a che fare con la politica e che promette di cambiare la faccia del Paese ed eliminare l’endemica corruzione del sistema burocratico e affaristico della democrazia più grande del mondo. Ai blocchi di partenza anche un tris di regine, che non hanno alcuna possibilità concreta di vincere ma che sperano di tirare la volata a uno o all’altro partito e di rivelarsi così fondamentali alla formazione di un governo che sarà quasi certamente un governo di coalizione: Jayalalita detta «Amma» (mamma), ex-attrice e storico Chief Minister dello stato del Tamil Nadu; Mayawati, la leader fuoricasta con un debole per le statue di se stessa di cui ha riempito l’Uttar Pradesh, lo stato che ha governato per molti anni; e infine Mamata Banerjee, «Didi» (sorella maggiore) per i suoi seguaci, che ha strappato ai comunisti Calcutta e il West Bengal.

Queste elezioni passeranno alla storia per essere state le più costose dell’India moderna La sfida delle sfide, la madre di tutte le battaglie, la moderna Kurukshetra (mitica battaglia al centro del più famoso poema epico indiano, il Mahabarata) si terrà a Varanasi. Benares, la città sacra per eccellenza agli induisti, la città dove ogni hindu pio e devoto sogna di poter morire per spezzare il ciclo delle rinascite. A Varanasi difatti si sfidano faccia a faccia Kejriwal e il favorito Narendra Modi di cui sopra. Modi, NaMo per i suoi sostenitori, corre per il Bharata Janata Party (Bjp), ed è sostenuto anche da una pletora di partiti di estrema destra. Questo, ufficialmente. Perché a votare per NaMo, almeno nelle intenzioni, saranno anche cittadini che con la destra e con la destra estrema hanno poco o nulla in comune. Uomini d’affari, piccoli e medi imprenditori, com-

mercianti e, soprattutto, una buona fetta di quei cento milioni di nuovi votanti che si ritrova senza lavoro e senza prospettive immediate. A favore di Modi gioca difatti la sua fama, riconosciuta anche dai suoi avversari, di «miglior amministratore dell’India». Sotto la sua amministrazione il Gujarat è costantemente cresciuto di almeno 3-4 punti al di sopra della media nazionale e sono in tanti a sperare che NaMo riesca ad applicare la «ricetta Gujarat» all’economia nazionale e a far ripartire una crescita economica che da un paio d’anni si è rivelata così stentata da far definire Manmohan Singh al settimanale «Time» underachiever. La coalizione guidata negli ultimi anni dal Congress è difatti ritenuta responsabile dell’attuale mancanza di posti di lavoro, dell’inflazione galoppante, dell’aumento spaventoso dei prezzi al dettaglio, di tutti i mali, insomma, di cui soffre al momento l’economia indiana. L’altra faccia della medaglia, il lato oscuro di Modi che fa rabbrividire l’India liberal e democratica è il coinvolgimento del premier gujarati, mai del tutto chiarito né in sede giudiziale né in sede politica, nei massacri di musulmani avvenuti in Gujarat nel 2003. E il suo flirtare più o meno apertamente con la destra estrema induista, dichiarandosi ad esempio «nazionalista hindu». Circostanza però che in una città come Benares, la città sacra al dio Shiva che di pellegrinaggi e di fede induista vive e si nutre, non fa che portare acqua al suo mulino: così come la sua abilità di amministratore, visto che Benares (o Varanasi che dir si voglia) vive essenzialmente di commercio. Anzi, di commercio strettamente connesso alla fede per essere esatti, un po’ come il Vaticano. Kejriwal, secondo gli analisti, porterà via voti non a Modi ma al Congress che oltretutto in città non ha un candidato degno di questo nome. Si vociferava e si vocifera ancora di una possibile candidatura di Priyanka Gandhi (sorella di Rahul), ma i giochi sembrano ormai fatti. Kejriwal sconta in realtà il fatto di non avere un vero e proprio programma, né economico né politico. L’Aam Aadmi Party si batte contro la corruzione di politici e amministratori,

questo è tutto. E non può neanche attaccare direttamente Modi in questo senso perché la non-corruzione e non corruttibilità di Modi viene riconosciuta anche dai suoi più acerrimi nemici. NaMo non ha mai intascato mazzette, non ha sistemato parenti e amici in posti chiave del governo e della pubblica amministrazione del Gujarat, non ha moglie né figli, non ha una pletora di cugini che lucrano sui conti pubblici. Si tratta, in pratica, della sfida di Davide contro Golia: un Davide armato di molto coraggio, di molte buone intenzioni ma di una fionda senza pietre e pietruzze da usare con una qualche efficacia. Che vinca il migliore, come si dice. Anche perché si ritroverà a dover fare i conti con una sfida da far tremare i polsi a chiunque. Perché se è vero che l’economia indiana, secondo gli ultimi dati delle organizzazioni internazionali, è comunque in via di recupero, è vero anche che la sfida più grande, la vera sfida non è ancora stata neanche affrontata: traghettare nella modernità e nel futuro l’India al suo completo. Tutta l’India, quella dei villaggi, dei paesetti e della provincia. L’India che non dispone di elettricità o acqua potabile, di servizi igienici, di scuole o di ospedali degni di questo nome. L’India della manodopera non specializzata, dei contadini che ancora adoperano aratro e buoi per il loro campo. L’India dei piccoli coltivatori, l’India dei tribali che vedono il loro mondo sparire a poco a poco in nome dell’economia e del progresso. L’India che spera, andando a votare, in un futuro migliore per le generazioni future e non in una shining India che brilla soltanto per pochi.

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Politica e Economia

Superato il punto critico La consulenza della Banca Migros Da oggi la rubrica viene curata dall’economista Albert Steck. Ogni due

settimane pubblicheremo qui i suoi consigli e le sue opinioni su temi d’attualità in materia di finanza Fino al 20 percento di appartamenti in più 20% 20% 15% 15%

Albert Steck è responsabile delle analisi di mercato e dei prodotti presso la Banca Migros

Si è costruito di più nel cantone di Friborgo Ma il mercato immobiliare come ha superato questa situazione critica? Secondo me molto bene. Su scala nazionale l’offerta non è cresciuta né troppo lentamente né troppo in fretta. Anno dopo anno si sono aggiunti sul mercato da 40’000 a 50’000 nuovi appartamenti. Questo è bastato a soddisfare l’enorme domanda. Contemporaneamente il numero di appartamenti vuoti è rimasto basso – sinora non si riscontrano praticamente eccessi di capacità. Il mercato è riuscito a tenere l’equilibro a livello nazionale, sebbene la crescita

Vaud Vaud

Zurigo Zurigo

Vallese Vallese

Lucerna Lucerna

Obvaldo Obvaldo Nidvaldo Nidvaldo

Turgovia Turgovia

Argovia Argovia

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Zugo Zugo

Secondo me la stabilizzazione del mercato immobiliare è un elemento positivo. E conferma la nostra opinione, già espressa anche in questa rubrica (per esempio nel numero 27/2012: «Terremoto in vista sulle case?»). Se, come previsto l’atterraggio sarà davvero morbido, il mercato immobiliare svizzero dimostrerà la sua enorme efficienza. Il motivo è presto detto. In dieci anni la popolazione è aumentata di 700’000 abitanti. Questa crescita esponenziale ha rappresentato una poderosa sfida per il mercato immobiliare. Una deriva sarebbe stata possibile da un duplice punto di vista: se l’offerta di spazi abitativi cresce troppo poco, gli affitti e i prezzi per l’acquisto di un immobile esplodono. Oppure vengono costruite moltissime nuove abitazioni, riducendo sì la spinta al rialzo dei prezzi, ma accentuando il rischio di un surplus di offerta e di accumulo di «schele-

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Friborgo Friborgo

Gli allarmi sull’imminente scoppio di una bolla immobiliare sono quasi spariti dai media. Si attende anche lei un atterraggio morbido?

tri edilizi», come in Spagna. Tra le aggravanti non dobbiamo dimenticare che molte persone vogliono vivere in zone centrali, dove i terreni edificabili rimasti scarseggiano. E per il settore edilizio è difficile reagire alle oscillazioni repentine della domanda. Infatti, tra la progettazione e la conclusione di un progetto passano due anni e oltre.

Dati: UST

Albert Steck

In questi cantoni il numero di abitazioni è aumentato molto oltre la media negli ultimi dieci anni. Al primo posto si colloca Friborgo, con un incremento del 19 percento, rispetto all’11 percento della media svizzera.

demografica abbia costantemente accentuato gli squilibri regionali. Soprattutto a Ginevra e in altri grandi centri urbani il numero delle abitazioni costruite negli ultimi anni è insufficiente. Nel grafico sono raffigurati i cantoni con un’attività edilizia superiore alla media: al primo posto si colloca Friborgo (con la forza trainante della regione di Bulle), seguito da Zugo, Svitto e canton Argovia. Il Ticino è situato saldamente al centro: sull’intero territorio cantonale il numero di abitazioni è cresciuto del 10,4 percento negli ultimi

dieci anni, appena al di sotto della media nazionale, pari all’11,2 percento. All’interno del Ticino l’edilizia è stata più vivace nella regione di Bellinzona. Perché l’atterraggio morbido riesca definitivamente, questo divario tra le regioni deboli e le regioni forti a livello di attività edilizia non deve allargarsi ancora. Ciò significa: devono infittirsi le costruzioni nel centro e deve stabilizzarsi l’offerta nelle aree urbane. In questo momento ritengo che il mercato abbia buone opportunità di riuscire nella manovra. Annuncio pubblicitario

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Politica e Economia

Il salario minimo non è uguale per tutti Retribuzioni Il salario equo proposto

dall’iniziativa sindacale non tiene conto delle differenze economiche e regionali fra le varie regioni del Paese Ignazio Bonoli

SMS inopportuni

Dietro il marchio Ridda di polemiche dopo l’SMS inviato ai

famigliari delle vittime del jet della Malaysian Airlines - L’importanza della gestione delle crisi per la reputazione di un’azienda

Mirko Nesurini Sedici giorni dopo la misteriosa scomparsa dell’aereo della Malaysian Airlines, è arrivata con un breve messaggio la tragica conferma di quanto si temeva. Questo il testo dell’SMS: «Malaysian Airlines si rammarica profondamente del fatto che dobbiamo presumere, al di là di ogni ragionevole dubbio, che il volo H370 è stato perso e nessuno di chi era a bordo è sopravvissuto. Come sentirete nelle prossime ore dal Primo Ministro malese, ora dobbiamo accettare tutte le prove che suggeriscono che l’aereo è caduto nell’Oceano Indiano meridionale». Mittente: la compagnia aerea. Destinatari: i parenti delle persone sul volo H370. Il punto, in termini di comunicazione e di ricaduta sulla reputazione della compagnia aerea è: l’SMS era il mezzo corretto per comunicare l’esito dell’evento? Per una grande impresa come Malaysian Airlines implicata in un incidente grave, è obbligatoria l’identificazione con le richieste dell’opinione pubblica e soprattutto dei parenti dei viaggiatori. In questo modo l’azienda costruisce e poi alimenta la sua immagine sociale. L’opinione pubblica mondiale è l’interlocutore delle grandi imprese e con essa si misurano. A mettere i bastoni tra le ruote o spesso a stimolare il cambiamento nelle imprese, c’è il ruolo dei media, che contribuiscono a fare maturare le opinioni delle persone (anche) influenzate dalle bufale costruite ad arte o inserite nel meccanismo della duplicazione delle idiozie. Un esempio sotto gli occhi di tutti: Cos’hanno in comune l’influenza aviaria, la suina, l’antrace, la mucca pazza e la Sars? Le informazioni quando scoppiò il caso erano catastrofiche: «nessuno al mondo è pronto per affrontare un’epidemia del genere». Alla fine l’H5N1 fece diversi morti, ma soprattutto uccelli (che sarebbe poi giusto, visto il nome della malattia), tra cui un cigno (nero) a Londra nel marzo 2006, e un gatto, in Germania. Nel frattempo la Roche era stata precettata per produrre 360 milioni di dosi dell’ormai celebre Tamiflu, l’unico vaccino che avrebbe dovuto combattere l’epidemia. Stesso esito per la suina, l’antrace, la mucca pazza e la Sars. Risultato: i morti non raggiungono il numero pieno in statistica, la paura è incrementata assai e la reputazione delle grandi aziende è messa in dubbio. L’indice del Reputation Institute –

che tutti gli anni valuta la reputazione delle grandi imprese – è costruito su criteri quali la fiducia, l’ammirazione, il rispetto e la stima, oltre che su valori come l’innovazione, il governo dell’impresa e la qualità della performance. Vi ricordate il caso «Crash Air France 447»? Il primo giugno 2009 costò la vita a 3 piloti, 9 addetti, 216 passeggeri sulla tratta Rio de Janeiro – Parigi. Il Bureau d’Enquêtes et d’Analyses pour la sécuritée de l’aviation civile ci ha messo anni a dare risposte sulle cause. Almeno in quel caso sapevamo cosa è accaduto. Prima di questo incidente, Air France aveva una fama invidiabile nella gestione delle crisi, tanto che vendeva consulenza ad altre compagnie su come ci si comporta in casi estremi.

I fattori da considerare in caso di crisi sono decine e senza un’organizzazione predefinita e funzionante non si riesce ad agire in modo efficace I fattori da considerare, in caso di crisi, sono decine e senza un’organizzazione predefinita e perfettamente funzionante non è possibile agire in modo efficace. Non è consigliabile agire d’impulso sotto la pressione emozionale data da passeggeri morti o dispersi e parenti che bussano alla porta per avere notizie. La prima cosa che va fatta è capire cosa è accaduto e, in parallelo, aiutare le vittime e i loro famigliari, mettere in campo quel che è possibile e necessario per chiudere in fretta il caso sotto il profilo sia fattuale sia normativo. L’impatto delle crisi deve essere limitato al massimo, almeno in termini di comunicazione; ne va della sopravvivenza della compagnia. Nei casi di disastri aerei a parlare non è solo l’azienda di trasporto. Ci si mettono anche le autorità e molta gente in cerca di notorietà, come gli esperti, oppure i legali in cerca di una lucrativa class action. Il pubblico tende a credere a chi ha la reputazione migliore. La divulgazione dei «fatti» senza alcuna forzatura, in questi casi, è una strategia pagante in termini di reputazione e naturalmente anche a supporto dei parenti e degli amici che vogliono essere informati. Nel

caso recente occorso alla Malaysian Airlines, i fatti erano chiari: l’aereo si era perso e nessuno sapeva perché. La maggior parte delle crisi passano attraverso tre fasi: le emozioni, le polemiche e le ragioni. La sfida consiste nel contenere la polemica. La polemica si affronta tagliando corto sulle speculazioni. Per uscire dalla polemica e in assenza della possibilità di incolpare qualcuno degli eventi (per esempio fornitori, autorità straniere o dipendenti disonesti) la sola possibilità che resta è quella di riconoscere immediatamente l’incidente senza cercare di sminuire gli eventi e di dimostrare che tutto il possibile è stato fatto per gestire la situazione. L’opinione pubblica è infatti disposta ad accettare che un’azienda con un’ottima reputazione possa commettere un errore. Nel 2004 quando ci fu il famoso Tsunami, Hotelplan si mosse con efficienza straordinaria. Venne organizzato un servizio bus per trasferire i turisti da Khao Lak a Bangkok. I clienti vennero tutti contattati di persona, l’agente di Hotelplan Walkers Tours si occupò del rientro. Vennero diramati due comunicati stampa. Anche il rimpatrio dei clienti di Hotelplan Svizzera dalle Maldive terminò in pochissimo tempo. Hotelplan, quasi dieci anni fa, decise di contattare tutti i clienti di persona, ovviamente al telefono. La Malaysian Airlines, settimana scorsa, ha deciso di contattare tutti i parenti via SMS. Ormai si «chatta» dappertutto. In questi ultimi mesi si è addirittura superato il concetto di testo, affidando il contenuto a strumenti di comunicazione che funzionano ad Emoticon: una faccina che piange significa che la «tragedia» imperversa! Gli strumenti di comunicazione portatili hanno rotto gli schemi della comunicazione umana più intima, quella fatta di gesti, di abbracci e di socializzazione reale. Oggi, basta un SMS per dire ad una persona che le vuoi bene. L’era del computer e dei social networks ha segnato una svolta nella vita di ognuno di noi e non possiamo scandalizzarci se a dare una notizia tragica sia usato l’SMS. Oggi l’SMS è il mezzo più prossimo privato, intimo di ogni persona su questa terra. È questa una conclusione disincantata? Ruvida? Inaccettabile? Forse sì, oggi che registriamo il primo caso a impatto globale di comunicazione di crisi risolta (per ora) con un semplice, ma efficace SMS.

In questa sede vogliamo analizzare brevemente i pro e i contro dell’iniziativa «per la protezione di salari equi (iniziativa sui salari minimi)», lanciata dall’Unione sindacale svizzera. Le molte discussioni che l’iniziativa sta suscitando si concentrano soprattutto sulla richiesta di introdurre un minimo salariale per tutta la Svizzera e per tutte le professioni, da adeguare periodicamente all’evoluzione dei prezzi e dei salari. Questo salario minimo deve costituire un salario equo per le fasce salariali più basse, mediante una base legale (dettata cioè dallo Stato) da introdurre comunque nei contratti collettivi di lavoro che devono essere generalizzati. Nella Costituzione va quindi inserito non solo il principio del minimo salariale, ma anche (nelle disposizioni transitorie) l’ammontare di questo minimo, che è fissato in 22 franchi l’ora, corrispondente a 4000 franchi mensili. Quindi un notevole cambiamento di sistema in un Paese che finora aveva lasciato alle parti sociali il compito di fissare le rimunerazioni, ramo per ramo, garantendosi così non solo un livello salariale fra i più alti al mondo, ma anche la cosiddetta «pace del lavoro», contributo notevole alla stabilità del sistema politico-economico svizzero. Da notare che, secondo le statistiche del lavoro, soltanto il 9% circa di chi lavora in Svizzera percepisce meno di queste cifre per un lavoro a tempo pieno. L’economia sarebbe quindi in grado, in generale, di assorbire l’aumento. Come sempre però una decisione politica ha riflessi in molti campi. La stessa OCSE ha fatto notare che questo salario minimo sarebbe un primato mondiale. La stessa Germania, per cementare la «Grande coalizione» prevede l’introduzione di un salario minimo pari a 8,50 euro, cioè la metà di quello svizzero. Ora proprio la Germania è uno dei più forti concorrenti della Svizzera sul piano dell’economia mondiale. Un punto debole dell’iniziativa è però anche quello di prevedere le stesse condizioni per tutto il Paese e per tutte le categorie di lavoratori. Ora è evidente che tra le varie regioni della Svizzera sussistono profonde divergenze: nella struttura produttiva, ma anche nel livello salariale e quindi nel costo della vita. L’esperienza insegna che le soluzioni generalizzate non tengono mai conto delle differenze locali e rischiano di produrre effetti non voluti. Il caso del Ticino è qui paradigmatico. Nel cantone prevalgono attività con scarso valore aggiunto, e quindi con un personale senza un elevato gra-

do di qualificazione (31% dei posti di lavoro). La media svizzera è invece del 21%. Ma il salario minimo proposto sarebbe in Ticino pari al 79% del salario mediano. Nella media svizzera sarebbe del 67% e a Zurigo del 63% soltanto (dati 2010). Se da questo salario minimo si deducono le imposte e gli affitti, l’ammontare rimanente sarebbe però di 1764 franchi in Ticino e supererebbe perfino i 1900 franchi nel Giura e a Glarona, mentre sarebbe solo di 1467 franchi a Zurigo e di 1439 franchi a Basilea (dati 2012). Ma anche a livello svizzero è significativo che chi guadagna meno di 22 franchi l’ora non ha più seguito corsi di perfezionamento dopo la scuola dell’obbligo (al massimo corsi interni all’azienda). Lo stesso studio nazionale sui working-poors specificava che oltre il doppio dei lavoratori considerati «poveri» sono quelli senza una formazione specifica. In questo caso un aumento generalizzato del salario non è uno stimolo a migliorare le proprie conoscenze professionali. La struttura dei salari mostra inoltre che i salari inferiori sono percepiti dai giovani tra i 15 e i 24 anni. Con l’età, l’esperienza acquisita, e quindi anche la produttività, il livello salariale migliora. Il salario minimo generalizzato potrebbe quindi avere conseguenze negative per i giovani e per i gruppi con scarse qualificazioni. Quando si parla di salario minimo si pensa anche a un sistema per combattere la povertà. La situazione reale mostra però che circa l’80% di coloro che lavorano a meno di 22 franchi l’ora vivono in famiglie in cui un altro membro percepisce un salario integrativo. La stessa Seco, sulla base di uno studio specifico, dice che il problema non può essere risolto con misure che incidono sul meccanismo di formazione dei prezzi (i salari), ma con trasferimenti, cioè con l’aiuto sociale mirato. Anche l’affermazione secondo cui il salario minimo generalizzato non incide sull’occupazione non è probabilmente valida ovunque: laddove prevalgono salari inferiori alle medie nazionali i posti di lavoro a salario basso rischiano la chiusura. Lo temono gli stessi sindacati tedeschi per i lavoratori dell’ex-Germania dell’Est, pur con un minimo salariale molto più basso. Infine ci si può chiedere se un salario minimo elevato può frenare l’immigrazione. In teoria sarebbe vero il contrario, ma in pratica, quando nei Paesi confinanti, la differenza salariale è abissale, le pressioni sono forti e le vie d’uscita sono essenzialmente due: si chiudono i posti che non possono pagare i minimi salariali, oppure si trovano scappatoie.

Manifestazione a Berna, in sostegno dell’iniziativa. (Keystone)


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la piazza di Angelo Rossi Primi effetti del 9 febbraio Le discussioni sugli effetti di un possibile contingentamento della manodopera estera continuano a tenere banco a livello nazionale come in Ticino. Riferendoci all’esempio della seconda metà degli anni Sessanta dello scorso secolo (l’unico disponibile) avevamo quantificato, all’inizio di marzo, l’effetto negativo sul tasso di crescita annuale medio del prodotto interno lordo, in termini nominali, in tre decimi di punto. Il contingentamento farebbe perdere all’economia svizzera – e a quella cantonale – un 0,3% della sua crescita potenziale, nel medio periodo. Ora cominciano ad arrivare le revisioni del primo trimestre delle previsioni dell’economia svizzera. Il KOF prevede ad esempio che l’insicurezza attuale sulla forma che prenderanno le misure di contingentamento farà perdere al tasso di crescita dell’economia svizzera uno 0,2% quest’anno e uno 0,2% il prossimo anno. Le nostre previsioni, fatte quasi

a occhio, non erano quindi lontane da quelle che cominciano a produrre gli specialisti. Ma attenzione: è probabile che anche queste previsioni siano fatte ad occhio. Dal 9 febbraio, giorno della

Troppo presto per valutare le conseguenze ma…

votazione, ad oggi sono passati solo due mesi. È possibile che molti imprenditori abbiano già deciso di cambiare le loro intenzioni di investimento nel medio termine, annullandole o spostandole all’estero. Per il momento, però, non esiste né un’inchiesta, né un censimento che consenta di valutare quale potrebbe essere la vera portata di questi mutamenti. Né sarà facile raccogliere informazioni fondate, prima che venga definito il nuovo quadro della politica di immigrazione della manodopera e se questo avrà o meno effetti negativi sulle bilaterali. L’attuale revisione delle previsioni di crescita per gli anni 2014 e 2015 si basa quindi su una percezione dell’insicurezza quanto agli investimenti degli imprenditori che gli specialisti delle previsioni possono aver rilevato da contatti avuti con gli stessi in gruppi di discussione della congiuntura formali, oppure da incontri e discussioni informali. La natura delle

informazioni così raccolte non è tale da consentire di stimare la portata dei mutamenti che potrebbero manifestarsi. È bastata tuttavia per consigliare agli specialisti delle previsioni di contenere l’ottimismo che, fino all’inizio dell’anno avevamo manifestato quanto all’evoluzione della nostra economia. Se il tasso di crescita dovesse essere inferiore a quello previsto, il tasso di disoccupazione aumenterà rispetto alle previsioni fatte sin qui. Ma non si può dire ancora di quanto. Il contingentamento non avrà invece effetti sul tasso di inflazione. Le scorse settimane ci hanno anche permesso di stabilire che non sarà facile mettere in piedi un sistema di contingentamento che soddisfi tutti. Siccome il numero dei permessi di lavoro sarà limitato, ogni permesso di lavoro che viene concesso al ramo di produzione x o all’azienda y va a detrimento delle possibilità di espansione del ramo v e

dell’azienda z. Quanto mai istruttivo è a questo proposito il sunto della situazione che una giornalista della «Neue Zürcher Zeitung» ha potuto fare, di recente, per il Ticino. Gli imprenditori dell’edilizia affermano: i permessi contingentati devono essere in prima linea concessi alle nostre aziende. Perché? Perché sono quelle che maggiormente dipendono dalla manodopera estera e questo da molto tempo. I rappresentanti della chimica e della farmaceutica rispondono: no, i permessi devono essere concessi in prima linea a quella attività e a quelle aziende che hanno produttività elevate, perché così facendo si massimizza il contributo al valore aggiunto dell’economia cantonale. Ne vedremo quindi delle belle, quando si tratterà di distribuire i permessi contingentati per l’impiego degli stranieri. Una cosa è certa: soluzioni di stampo salomonico come quella di dividere i frontalieri in due non saranno fisicamente possibili.

massano truppe al confine ucraino, dicono che è la Nato a essere belligerante, loro si difendono, ribadiscono che la Crimea è russa, perché la sfera d’influenza conta di più di quei confini fittizi creati dopo la caduta del Muro. Intanto però telefonano, intavolano negoziati, perché lo scontro non lo vuole nessuno (i russi stessi nei sondaggi lo definiscono improbabile), si vuole però l’allerta e il riconoscimento che russi e americani pari sono, nel governo del mondo. Gli americani, invece, usano la legge internazionale come loro unico riferimento, dicono che un’annessione dopo un referendum illegale non può essere accettata e si muovono lungo le linee dell’economia per cercare un isolamento di fatto – nei mercati, negli investimenti, nel valore del rublo russo – di Mosca, ma rifiutano di entrare nella retorica da Guerra fredda, «noi non siamo in competizione con la Russia», dice la Casa Bianca. Quando Obama è venuto in Europa ha tenuto

uno dei discorsi più belli della sua presidenza (certamente del secondo mandato): all’alleato negletto, che pure è in prima fila suo malgrado in questo revival da Guerra fredda, Obama ha ricordato what we stand for. Chi siamo, cosa vogliamo, perché non possiamo tirarci indietro quando un popolo vuole assomigliarci nella nostra libertà. Ricordando i valori dell’Occidente nella loro semplice potenza, Obama ha abbandonato quei toni da imperialismo un po’ borioso che aveva usato in altre circostanze (anche se ovviamente pesa su di lui l’idealismo a parole che nulla ha fatto poi per salvare davvero i popoli che chiedono aiuto, come quello siriano), andando al fondo di quel che anche nella Guerra fredda divideva i due mondi: la libertà, e la mancanza di libertà. Dmitri Rogozin, che in Europa è molto conosciuto perché è stato il rappresentante russo alla Nato, ora è vicepremier ed è nella lista dei

sanzionati dall’America. Si è fatto una bella risata, quando ha visto il suo nome nell’elenco, ha iniziato a twittare irriverente: come farete voi americani con quei russi che non hanno conti all’estero?, ha chiesto con quell’ironia che voleva significare come l’America non stesse capendo nulla dei sentimenti russi. Ma è stato qualche giorno fa che Rogozin ha ancor più spiegato, con la sua sfrontatezza, come sono percepite le mosse occidentali a Mosca. Sempre su Twitter, che ormai è il mezzo su cui i regimi danno prova della loro modernità (basta seguire cosa fanno gli iraniani, lì sopra), il vicepremier ha scritto prima: «La Nato ha deciso di congelare la cooperazione con la Russia fino a giugno. E per di più l’ha annunciato il 1. aprile». E poi: «L’ultima volta, nel 2008, sono stati congelati per tre mesi e si sono scongelati a dicembre. Cosa vi devo dire: è la Guerra fredda, si congela».

federalistico del nostro Paese. Forse non è un caso che due libri recenti si aprano con la descrizione degli effetti della frontiera sull’economia e la società. Il primo – dovuto alla penna di Daron Acemoglu e James A. R. Robinson e intitolato Perché le nazioni falliscono – esamina le conseguenze della frontiera intesa in senso classico, come linea di demarcazione tra due Stati sovrani; il secondo, scritto da Enrico Moretti, mette invece sotto la lente le divaricazioni interne venutesi a creare nello stato della California (La nuova geografia del lavoro). Nel primo caso gli autori parlano di due città che hanno lo stesso nome (Nogales) situate a cavallo tra Stati Uniti e Messico. La Nogales messicana appartiene alla contea di Sonora, la Nogales americana all’Arizona. Sono vicine, solo un muro le separa, eppure sono lontanissime per reddito, tenore di vita, formazione degli abitanti, opportunità lavorative, accesso ai servizi. Spiegazione: «Le istituzioni creano incentivi molto differenti per gli abitanti delle due Nogales e per le azien-

de e gli imprenditori disposti a investirvi. Tali incentivi, determinati dalle differenti istituzioni dei due Paesi in cui sono situate, sono la ragione principale del divario di prosperità economica di qua e di là del confine». Moretti incardina la sua riflessione sul caso di due città californiane che negli anni ’60 ricalcavano la medesima traiettoria di sviluppo: Menlo Park, a pochi passi dall’Oceano Pacifico, e Visalia, quieta cittadina nell’entroterra, alle soglie di due grandi parchi nazionali, Sequoia e Kings Canyon. Negli anni 2000 la situazione si è rovesciata. Menlo Park è diventata una delle capitali dell’alta tecnologia (Facebook ha qui la sua sede), mentre Visalia è scaduta ad agglomerato anonimo e super-inquinato. La prima attira sempre più ceti con formazione accademica, la seconda manodopera poco qualificata e scarsamente retribuita. Commenta Moretti: «Le differenze tra Menlo Park e Visalia non sono un caso isolato, ma riflettono una tendenza strutturale che si riscontra a livello nazionale e internazionale. (…)

Un gruppo piccolo ma dinamico di poli d’innovazione – città con una solida base di capitale umano e un’economia fondata su creatività e ricerca – attrae un numero sempre maggiore di imprese di successo e di posti di lavoro con salari elevati; mentre, all’estremo opposto, la grande maggioranza delle città, caratterizzate da attività produttive tradizionali e livelli di capitale umano molto più bassi, si accontenta di imprese senza futuro, impieghi senza prospettive e retribuzioni modeste». Il Ticino, specie il Sottoceneri, ha vissuto a lungo sotto l’ombrello della «vecchia frontiera», quella della forzalavoro a basso costo; un «limes» che ha ripreso vigore perché il motore economico lombardo si è grippato. È il modello Nogales. Ma sappiamo bene che tutto questo non durerà in eterno; sappiamo che il futuro si giocherà sulla «nuova frontiera»: quella che si nutre di conoscenza, innovazione, prodotti ad alto valore aggiunto, salari e stipendi dignitosi. Speriamo che la campagna elettorale ne tenga conto.

Affari Esteri di Paola Peduzzi Revival da Guerra fredda La retorica della Guerra fredda è tornata potentissima nei media e nelle chiacchiere di europei e americani, con la paura del fungo atomico e quel senso di sospetto permanente che soltanto nei primi anni dopo l’11 settembre l’Occidente aveva ancora una volta sperimentato. C’è chi dice che ora è peggio, c’è chi dice che la Guerra fredda non può tornare, è solo una scaramuccia, nessuno ha più voglia di dividersi in «noi» e «loro», ma forse l’analisi migliore è quella che ha fatto il «Wall Street Journal», quando ha scritto che gli americani sono andati oltre la Guerra fredda, mentre i russi vorrebbero tanto tornare a quel tempo. La differenza di percezione di se stessi è la sintesi di quel che stiamo vedendo nella questione ucraina, come dimostrano anche i novanta minuti di telefonata intercorsa tra Barack Obama e Vladimir Putin per cercare di trovare una via d’uscita a Kiev. Secondo quanto riportato dalla

Casa Bianca, il presidente americano ha parlato dell’Ucraina come di un caso in cui un popolo deve esercitare il suo diritto all’autodeterminazione (parola abusatissima in questa crisi, e anche molto scivolosa, perché apre a dibattiti infiniti, come quelli imposti dalla propaganda russa, su Kosovo, Scozia, Catalogna e i movimenti indipendentisti del globo, compreso quello del Veneto). Il presidente russo invece non ha fatto altro che ribadire che la Russia «ha il diritto di proteggere i suoi interessi»: Putin dice che il suo intervento in nome del presidente ucraino deposto, Viktor Yanukovich, è stato inevitabile per contrastare «un golpe» dei partiti neofasciti – se si va indietro nel tempo, questa è la stessa retorica che i sovietici utilizzavano quando definivano l’ascesa dei regimi pro americani nell’America centrale durante gli anni Ottanta, in piena Guerra fredda. La differenza è tutta qui. I russi am-

Cantoni e spigoli di Orazio Martinetti Dalla vecchia alla nuova frontiera La frontiera: come definirla? Essa è certamente (ancora) la «linea di confine di uno Stato», come spiegano i dizionari. Ma in Ticino – e forse non solo qui – la frontiera è diventata qualcosa di più di una barriera, di una rete («ramina») e di una dogana; negli ultimi anni si è estesa, si è gonfiata, assumendo significati che vanno ben oltre il suo dato geo-storico. Alla frontiera si imputa la colpa di aver allargato le maglie, di non più svolgere la mansione per la quale è stata creata, ossia quello di filtrare il passaggio di merci, persone, capitali e trafficanti di ogni risma. Oggi il cantone ha l’impressione di stare in una «regione aperta» in cui tutti possono entrare e uscire a piacimento, sfruttando ogni occasione che si presenti, lecita o illecita, limpida o losca. Per questo va ricollocata al suo posto, come ai tempi della Guerra fredda e dell’intangibilità delle sovranità nazionali. La frontiera: sarà nuovamente al centro della campagna elettorale per il rinnovo dei poteri cantonali, in agenda tra un anno (19 aprile 2015). Tutti i partiti

in lizza cercheranno di rassicurare il cittadino spaurito dagli effetti della libera circolazione. Il centro-destra punterà sul rafforzamento dei controlli: più verifiche e più guardie; il centro-sinistra tenterà invece di riaprire la strada del dialogo tra le parti e di risuscitare la Regio Insubrica, oggi moribonda. Il risultato dipenderà dalla percezione dell’efficacia di tali misure. Le prime sono d’immediata comprensione e applicazione; le seconde richiedono un supplemento di energia e d’immaginazione. La frontiera: è anche il campo minato dei rapporti tra Bellinzona e Berna, una battaglia di competenze, una tensione tra poteri. Fino a che punto un cantone può condurre una politica estera autonoma, scavalcando la Confederazione? Statuisce la Costituzione federale, articolo 54: «Gli affari esteri competono alla Confederazione». Ma poi subito si precisa: «La Confederazione tiene conto delle competenze dei Cantoni e ne salvaguarda gli interessi». È il delicato equilibrio su cui si fonda l’impianto


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Cultura e Spettacoli Storie di genti Il Museo Rietberg di Zurigo propone una doppia mostra dedicata ad Asia e Africa

Il ritorno alla natura di Paolucci Il Museo Cantonale d’arte presenta il lavoro su natura e terra dell’artista ticinese pagina 43

In scena in Ticino Tre spettacoli degni di nota nati dalle fucine e dai laboratori del nostro cantone

Il ritorno di George Michael Sono lontani gli anni degli Wham!, il cantante inglese si propone ora come crooner

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Le antenne dell’umanità Poesia Una riflessione a partire da una poesia di Antonio Porta nel 25mo anniversario della morte Daniele Bernardi 17 mi dici che hanno pubblicato la foto della ragazza / sprangata soffocata annegata e prima violentata / coi cazzi coi manici delle scope che ora giace / ai piedi dell’auto dove è stata rinchiusa / appena abbassato sotto le ginocchia il sacco / di plastica trasparente dove è stata confezionata / dicono che allora fosse già morta nella vasca annegata / che ora giace ancora una volta denudata contro la sua volontà / se lo hai voluto dire che c’è questa foto vuoi chiedere / e (io) dico che è come ripeterla questa violenza / moltiplicata in quattrocentomila copie e in due / milioni di occhi e in più ogni volta che si prende in mano / il giornale per riguardarla… 21.7.1976 «Il poeta» ha scritto Eva Hesse, una delle maggiori commentatrici di Ezra Pound, «è un apparecchio di registrazione ad alta sensibilità, che “capta le forze latenti, ossia le cose che ci sono ma non si avvertono”». Infatti i poeti, per lo scrittore americano, erano «le antenne dell’umanità». Egli vedeva nella «funzione sismografica» della poesia un insostituibile mezzo di registrazione degli impercettibili sussulti che precedono qualsivoglia «terremoto a venire». Anche per Antonio Porta (Vicenza, 1935 – Roma, 1989), autore che peraltro amava e conosceva l’opera di Pound e di cui ricorre in questi giorni il 25mo anniversario della morte, il poeta doveva «avere le antenne». Lo leggiamo nel suo bel articolo Il poeta e la storia, apparso in «Stampa Sera» nel 1982 con il titolo Dalla parte di coloro che subiscono la storia: «è necessario che chi vuole diventare un poeta se le faccia crescere da solo, con un lavoro che dura una vita. (…) Le antenne dei poeti servono da indicatori di pericolo, ne misurano la crescita e ne segnalano con soddisfazione e tempestività la diminuzione». Erano i primi anni ’80 e Porta era impegnato in quella «sfida orizzontale della comunicazione» che aveva delineato il profilarsi del suo originale percorso. Una delle svolte decisive al suo «progetto infinito» fu di certo impressa dalle poesie raccolte sotto il titolo di Brevi lettere ’76. Proprio tra quei componimenti, confluiti poi nel romanzo Il re del magazzino (1978), ve n’è uno in particolare che tutt’ora colpisce il lettore con una violenta direzionalità di lingua e di immagine. Si tratta di quel «frammento» fulminante, datato 21.7.1976, in cui il poeta richiama il massacro delle giovanissime donne avvenuto meno di un anno prima nei pressi del Circeo. Non è solo la potenza della descrizione dell’atroce che, attraverso quel grumo di versi asciutti, si impone sulla pagina. Il poeta ci indica l’enigma

della ormai nota «banalità del male» con le parole conclusive del brano: «se lo hai voluto dire che c’è questa foto vuoi chiedere / e (io) dico che è come ripeterla questa violenza / moltiplicata in quattrocentomila copie e in due / milioni di occhi e in più ogni volta che si prende in mano / il giornale per riguardarla…». Era il 1975 e l’Italia galleggiava in quella palude infuocata che erano gli anni di piombo. Soltanto un mese dopo la pianificata operazione di sadismo che fu il delitto del Circeo (in cui, per mano dei carnefici, perse la vita una delle due vittime) un altro noto atto di macelleria, tra i tanti, aveva luogo sotto gli occhi dello Stato: il corpo martoriato di Pier Paolo Pasolini, riemerso dalle tenebre della notte tra l’1 e il 2 novembre, veniva ritrovato tra le immondizie della spiaggia dell’Idroscalo di Ostia. Il 22 del mese di quello stesso anno, l’opera-testamento del poeta e regista era proiettata in anteprima a Parigi. Si trattava di Salò o le 120 giornate di Sodoma, una pellicola ispirata ad un celeberrimo romanzo del Marchese de Sade. Attraverso quel film, dapprima bocciato dalla censura italiana e poi ripetutamente ritirato dalle sale cinematografiche perché giudicato altamente offensivo al comune senso del pudore, Pasolini aveva voluto mettere in luce «ciò che il potere fa del corpo umano» cioè «la riduzione del corpo umano a cosa, che è tipica del potere». Quindi «il sesso che c’è nel film», che è violento come «è il tipico sesso di de Sade», era per l’autore una precisa «metafora» del fascismo e, più in senso lato, di qualsivoglia dominazione. Forse, la chiave di lettura della citata poesia la possiamo trovare proprio in queste affermazioni e nel romanzo Los(t) angeles, purtroppo rimasto incompiuto – l’ultimo libro a cui lavorava Antonio Porta prima della sua prematura scomparsa. Le sue pagine ci narrano le vicende di uno scrittore che, tra le altre cose, si trova a dover fronteggiare quel mondo liquido della reiterazione dell’immagine che è la televisione – dove la realtà che precede lo schermo «è solo preparazione, materia, carne per nutrire la Tv». Ecco che il poeta qui tocca una questione che oggi più che mai ci riguarda da vicino: quella dell’esistenza di uno spazio «di pure immagini, senza peso, onnipotente, senza fine, senza morte» la cui «superficie elettronica è come acqua su un sasso». Questo spazio, a cui oggi si è aggiunta prepotentemente la forza pervasiva della rete e a cui si affidano sempre più le intimità e le proiezioni evanescenti dell’eccedere del desiderio, questo spazio dove si è «ridotti a immagini» oltre ad essere il riflesso a cui è delegata una parte considerevole dell’identità, al servizio di chi e in nome di cosa muove i suoi tentacoli? La risposta non è semplice, ma di certo chi più si ciba di questa «carne» traslucida è la fe-

Il suo vero nome era Leo Paolazzi. (tysm.org )

rocia del mercato. Cioè il potere padronale che impossessandosi dei corpi li ha trasformati in «merce, come dicevano, giustamente, i marxisti». Ecco perché per il poeta la vittima del Circeo è stata ripetutamente sottoposta alla medesima violenza autoritaria che l’aveva resa oggetto di consumo di una pulsione “sadiana”

(quella dei suoi boia): il business mediatico dell’informazione, esibendo in modo inconsulto la sua fragilità violata, ha dato in pasto la sua salma a quell’ulteriore aguzzino che è il magma informe della modernità – cercando così di «monetizzare tutto, “anche il nostro dolore”» (una forma di «usura», avrebbe detto Ezra Pound). Ed è

probabilmente per questo che nelle ultime pagine di Los(t) angeles, scritte quattordici anni dopo, Antonio Porta, con quello slancio vitale che lo caratterizzava, si augurava che esistessero delle persone pronte ad opporsi e a trovare delle strategie per non farsi tramutare in oro dalla mano meccanica di Re Mida.


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Cultura e Spettacoli

La scommessa (vinta) del Rietberg Arte etnica Una giornata al Museo tra l’arte dell’India e della Costa d’Avorio.

Marco Horat Le grandi istituzioni culturali non si limitano oramai più a organizzare una manifestazione alla volta per quanto importante sia, ma sempre di più tendono a proporre al pubblico una serie di iniziative in contemporanea, affiancando alle collezioni stabili che sono la ragione prima della loro esistenza, mostre temporanee su temi disparati, visite guidate, conferenze, atelier per grandi e piccoli, concerti e danze a tema, gastronomia, proiezione di film e documentari, pubblicazioni e vendita di prodotti dell’artigianato di un dato Paese. Lo scopo è quello di attirare dentro gli spazi del museo il maggior numero possibile di visitatori facendo leva sulla varietà delle esperienze e degli interessi per una cultura altra dalla nostra; c’è chi vuole scoprire nuovi orizzonti oppure invece approfondire argomenti che ha già conosciuto tramite letture o viaggi. È il caso del Museo Rietberg che si occupa di arte e di culture extraeuropee lontane nel tempo e/o nello spazio. Si tratta di un investimento, dal momento che le spese di gestione di un museo sono importanti e che quindi anche le entrate devono contribuire a pareggiare i conti, unitamente ai finanziamenti pubblici e privati che rimangono di primaria importanza. Una sfida che il Rietberg ha accettato alla grande chiudendo i battenti per un paio d’anni, ristrutturando le sale dell’edificio centrale, costruendo una nuova struttura in vetro e cemento che accoglie anche un grande bookshop, ma soprattutto creando sottoterra uno spazio espositivo su più piani dove oggi si

tengono prestigiose esposizioni. Spesso all’esterno, nel parco situato non lontano dalla Tessinerplatz, si fa musica, si balla, si mangiano i cibi e si incontrano gli artigiani del Paese al quale è dedicata una certa mostra. Una full immersion che permette al visitatore e alle famiglie di accostarsi a una cultura di un altro Paese da punti di vista diversi, comunque sempre ben correlati e di qualità dal momento che le scelte singole sono improntate a un unico pensiero guida. Il Rietberg insomma ha fatto le cose in grande. Attualmente, per fare un esempio, accanto alle straordinarie collezioni extraeuropee conservate nei locali della Villa Wesendonck, ci sono due mostre temporanee che valgono il viaggio a Zurigo: La prima è un’ esposizione dedicata ai cosiddetti «baldacchini per la dea», tessuti di grande formato, dipinti o stampati con immagini colorate, che servivano a delimitare, nello stato indiano del Gujarat, uno spazio sacro dove si celebrava la divinità in modo spontaneo. Un’arte povera destinata a un consumo popolare di strada, ben lontana quindi dai prodotti raffinati che venivano riservati alle corti principesche indiane, ma che apre uno spiraglio su un mondo ai margini della società, ieri come oggi. L’altra faccia di una nazione l’economia della quale è in rapida ascesa ma che si porta dietro un pesante retaggio del passato. Attraverso i tessuti, donati al museo dal suo precedente direttore, si alza così un velo sulla vita delle caste inferiori del Paese, sulle espressioni della religiosità e la ritualità che si svolgeva al di fuori

dai templi dell’induismo ortodosso. Da molte generazioni fabbricati dalla casta seminomade dei Vaghri in uno dei centri tessili più antichi al mondo, queste rappresentazioni venivano vendute a guardiani di cammelli, spazzini, pasto-

all’arte della Costa d’Avorio, vista attraverso duecento capolavori datati tra il XIX e il XX secolo; sono maschere e sculture opera di una quarantina di artisti del passato ma anche di loro discepoli. Fino al 1. giugno è invece pos-

Tessuto del 19mo secolo, realizzato come baldacchino per la dea. (Christoph von Viràg)

ri di greggi o conduttori di asini e offerte poi alle divinità per impetrare favori, salute, protezione. La curiosa mostra rimane aperta fino al 13 aprile. L’altra mostra invece è dedicata

sibile ammirare i capolavori africani provenienti da istituzioni importanti di tutto il mondo quali il Museo nazionale di Abidjan, il Metropolitan di New York, il Museo belga di Tervuren

e quello del Quai Branly di Parigi, in una rassegna concepita dagli specialisti del Rietberg insieme a colleghi tedeschi e che dopo Zurigo andrà a Bonn, Amsterdam e Parigi. Una nuova prospettiva per avvicinarsi a maschere e sculture stilizzate che sono entrate prepotentemente nel nostro orizzonte culturale il secolo scorso e che da allora sono state al centro di decine di mostre. Arte o artigianato?, si sono chiesti i critici propendendo per la seconda ipotesi, dal momento che le si ritenevano opera di artefici sconosciuti e anonimi. Invece qualcuno dice ora che così non è, e che in effetti in quei manufatti, che tanto ci affascinano, è riconoscibile l’impronta dell’artista o della sua scuola; esattamente come succedeva nelle botteghe degli artisti europei. E allora chi erano questi straordinari artisti, che status avevano all’interno della società Senufo o Baulé nell’epoca precoloniale? Per scoprirlo, al di là delle opere esposte che parlano un linguaggio diretto, tutta una serie di iniziative collaterali che ci riportano alle osservazioni iniziali. Visite guidate con specialisti africani (purtroppo solo in tedesco con traduzione nel linguaggio dei segni), concerti di musica con protagonista il balafon, strumento tradizionale africano, ma in scena anche l’Orchestra da camera di Zurigo, danze e atelier per famiglie dai 5 ai 90 anni con un workshop intitolato «Willkommen Afrika!», e via dicendo. Un’occhiata al sito vi informa sulle molte iniziative che riguardano anche le altre sezioni del museo e della Fondazione, che per i più intraprendenti organizza pure impegnativi viaggi culturali: www.rietberg.ch. Annuncio pubblicitario

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Cultura e Spettacoli

Tracce e trame

Pubblicazioni Segni e tracce nelle vicende criminali e nella loro indagine in un saggio del semiologo Eduardo Grillo

Stefano Vassere La passione per il giallo e il romanzo poliziesco devono avere da qualche parte un fondamento che va un po’ oltre la seduzione prodotta da malefatte e malandrini. Non è un caso che la ricerca su senso e significato della letteratura sia più e più volte tornata su questo genere come se si trattasse di una specie di canone eletto, un metro stilistico e narrativo che spesso rappresenta tutti i generi insieme, perché ne pratica forme e modi con intensità. Dice bene Umberto Eco quando afferma che «ogni ricerca, abbia essa come risultato una scoperta scientifica, un romanzo, una costruzione storica o l’individuazione di un colpevole, ha sempre una struttura “poliziesca”». E «non a caso, Eco è l’autore del Nome della rosa, opera che riassume in sé tutti questi possibili esiti». È la rottura con una regolarità, è un avvenimento marcato e nuovo, una catastrofe nel senso più letterale del termine che provoca le svolte che ritroviamo nella narrativa e che trovano in quella criminale un particolare clamore. Questo interessante Semiotica dell’investigazione del semiologo Eduardo Grillo è un libro un po’ crepuscolare: ci spiega come lo studio dei significati e della significazione, la semiotica appunto, serva a spiegare e a sistematizzare, se non addirittura ad arricchire, le tecniche di indagine poliziesca. Ora, si dovranno fare un paio di premesse: lo studio dei segni si è molto evoluto e se prima l’investigatore usava la lente e la pipa, ora certamente sono i camici, le provette e i microscopi a oc-

Il metodo del Dr. House, un esempio del «fissarsi sulla credenza».

cupare la scena; ma la sostanza non è cambiata: si cercano segni, indici, tracce, che siano concrete e tangibili o nascoste nella microbiologia cambia poco perché sempre segni sono. Il libro di Grillo non è male, perché il suo autore si accorge quasi subito di una verità incontestabile: la semiotica in sé è di una noia terribile, ragione per cui per essere leggibile un libro del

genere, che promette tanto sia nel titolo che nella copertina con le impronte digitali, deve presentare molti esempi, se possibile gustosi, come quelli tratti dalla letteratura poliziesca. Parlare del «fissarsi della credenza» risulta più comodo se si chiama in causa il dottor House e il suo metodo, che è una continua ricerca «di una risposta clinica da parte del paziente in grado di falsificare

o confermare con certezza l’ipotesi di diagnosi», in un succedersi di ipotesi e falsificazioni di ipotesi, che dà sostanza agli episodi del simpatico dottore e della sua squadra. Se poi l’indagine è strutturata e interpretabile come un racconto, con scoperte, colpi di scena, sottofinali, epiloghi, si sappia che il racconto ha sue credenziali, che l’investigatore trarrà,

nella speranzosa indicazione dell’autore di questo libro, dalla teoria della narrazione. «Cechov, parlando di come dovrebbe essere strutturato un racconto, ha detto: Se nel primo capitolo dici che c’è un fucile appeso al muro, nel secondo o nel terzo capitolo devi assolutamente farlo sparare. Se il fucile non viene usato, non dovrebbe neanche starsene lì appeso», per dire che ogni avvenimento deve rinviare puntualmente a qualche elemento del passato ed è la ricerca di questo elemento il motore dell’indagine criminale (almeno secondo questa ambiziosa teoria). Il genere poliziesco ha certo sue regole e se vogliamo dire che al poliziotto reale può essere utile la lettura di un giallo scritto bene, si dovrà peraltro avvertirlo che certi artifici letterari vanno maneggiati con cura: nei gialli di tipo tradizionale, quelli «campagnoli» alla Agatha Christie per intenderci, il colpevole è spesso improbabile per gran parte del romanzo, dove l’attenzione del lettore è puntualmente portata altrove. E la scoperta delle circostanze del delitto riporta la pace nell’ambiente. Non è così nella realtà, probabilmente, più simile al noir americano, nel quale i delitti sorgono quasi dal marciume «ambientale», che è lasciato intatto a indagine risolta. Come dire, il racconto, alla fine, di amaro in bocca ne lascia eccome. Bibliografia

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Cultura e Spettacoli

Lungo i sentieri nascosti dell’arte Mostre Al Museo Cantonale di Lugano le opere di Flavio Paolucci Alessia Brughera Era il 1988 quando il Museo Cantonale d’Arte di Lugano allestì un’importante mostra personale di Flavio Paolucci. Trascorsi venticinque anni, negli stessi spazi gli viene ora dedicata una nuova ampia retrospettiva che ci racconta la sua ricerca artistica a partire proprio dal punto in cui allora era arrivata. Perché sono molti i «sentieri nascosti», per citare il titolo dell’attuale esposizione, che da quel 1988 Paolucci ha percorso. Battute silenziosamente chissà quante volte, le vie appartate tra i boschi di Biasca sono il luogo prediletto dell’artista ticinese, che qui si muove tra arbusti, rovi e sterpaglie intento a esplorare la natura, ad ascoltarla e a comprenderla. Nel fitto della selva, Paolucci trova l’ispirazione e i materiali per le sue opere: foglie, rami e tronchi d’albero che, accuratamente selezionati e raccolti, vengono dapprima fatti oggetto di lunghe e pazienti osservazioni, poi rielaborati e trasformati in arte. Paolucci nasce ottant’anni or sono a Torre, nella Val di Blenio, ed è proprio qui che sente più forte il vincolo con la natura. Un rapporto quasi viscerale, il suo, che affonda le radici nella cultura arcaica e rurale degli abitanti delle vallate dell’Alto Ticino, gente che con l’ambiente e le sue risorse ha da sempre instaurato un delicato equilibrio di vicendevole adattamento. Eppure da qui Paolucci si è mosso spesso. Tra i suoi viaggi più significativi c’è un lungo soggiorno in Marocco, nel 1964, che lo porta a confrontarsi con spazi in netto contrasto con quelli della montagna ticinese: suoli desertici, estesi, solitari e dagli infiniti orizzonti ininterrotti. Niente tuttavia per lui è come la sua terra. Se da un lato il bisogno di allontanarsi è stato propizio alla conquista della maturità del suo linguaggio espressivo, dall’altro non ha fatto che rafforzare il suo legame con le pro-

I fiori spaventati lasciano le foglie di Flavio Paolucci (2009).

prie origini e la sua volontà di intridere l’arte della propria esperienza quotidiana di mondo. La profonda affezione per il paesaggio che lo circonda, infatti, trova piena manifestazione nella sua prassi artistica. È raro che un’opera di Paolucci non richiami la natura in maniera evidente, utilizzandola, rievocandola, imitandola. Si tratta di una natura antropizzata, addomesticata, che si offre all’uomo senza indugio ma che allo stesso tempo esige rispetto e considerazione. C’è un piccolo quadretto, in mostra, che incornicia un foglio di carta su cui l’artista ha annotato a matita una frase che ha davvero la capacità di sintetizzare la visione che permea tutto il suo operato: «L’uomo punge la natura. La natura dà sempre speranza all’uomo». L’essere umano modifica e trasforma la natura nel tentativo di riprodurla e rinnovarla, affinché possa essere sempre al suo fianco. Era questa la poetica che sottostava all’inedito ciclo degli Innesti realizzati da Paolucci nel 1974, opere che hanno rappresentato il decisivo approdo al suo linguaggio peculiare, ed è questo il pensiero che

continua ad animare la sua produzione da quarant’anni a questa parte. In esposizione a Lugano ci sono dunque i lavori, sculture perlopiù, realizzati a partire dal 1989 sino a oggi. Un arco di tempo, questo, ancora molto fecondo, caratterizzato da importanti sviluppi e dall’affinamento della cifra stilistica dell’artista. Al legno, alla carta e al colore si aggiungono altri materiali quali il marmo, il vetro e il bronzo. Ed è con quest’ultimo, soprattutto, che Paolucci ricrea con perizia e precisione alcuni elementi della natura, imitandoli in un ambiguo gioco tra verità e artificio, tra autenticità e finzione. L’artista riproduce con il bronzo i rami d’albero, restituendone ora le torsioni nodose, ora le superfici levigate, oppure il fogliame, riuscendo con estrema abilità a riconsegnarne l’aspetto fin nelle più sottili venature, con il risultato che l’effimero diventa eterno. I pochi elementi che Paolucci combina tra loro generano composizioni delicate, precarie, liriche. Come tanti piccoli nuclei narrativi, le sue opere raccontano con discrezione e un pizzico di enigmaticità storie di uomi-

ni e natura. L’uomo non compare mai però, è sempre solo evocato attraverso i simboli che meglio lo rappresentano, come la casa, ad esempio: presente con una certa frequenza, di solito nella forma semplificata della tradizionale dimora in pietra dal tetto a spioventi, è una delle forme più significative del registro dell’artista. La si trova come trasposizione di certi villaggi delle valli ticinesi avvinghiati ai ripidi pendii delle alture, come nell’opera Sentieri di montagna, dove una piccola casetta dalla patina verde si aggrappa ostinatamente a due alti e svettanti rami in bronzo, a ricordarci quanto sia faticosa la vita nell’aspra terra montana. O ancora la si trova scoperchiata, attraversata da fronde o inclinata, tanto sghemba da sembrare sul punto di crollare, eppure ancora in piedi, spesso sostenuta a fatica da qualcosa che la spinge in direzione opposta a quella verso cui sta pendendo (come avviene in Situazione fluttuante, del 2012), diventando così una sorta di monito a riflettere su quanto sia instabile l’equilibrio tra uomo e natura. Le opere di Paolucci, pur nella loro immediatezza e semplicità (anzi, forse proprio grazie a quelle), rimandano sempre a quesiti esistenziali profondi. Aggraziati microcosmi nati dalle suggestioni dell’esperienza quotidiana del mondo e dalla contemplazione della natura, esse riescono a trascendere lo spazio limitato in cui sono state realizzate per diventare poetici universi di pensiero.

Se La pista appare già vecchio Visti in tivù Il

nuovo programma di Raiuno è solo un talent mascherato da spettacolo

Antonella Rainoldi Non c’è nulla da dire sulla confezione del programma. Il problema sono i contenuti. Se queste sono le grandi idee del direttore di Raiuno Giancarlo Leone, a noi resta la frustrazione di non riuscire a segnalare una vera novità, un po’ di aria fresca. È iniziato dieci giorni fa sull’ammiraglia Rai La pista, la versione italiana di un format colombiano, in onda con successo lo scorso anno su Caracol Tv (venerdì, ore 21.20, 5 puntate). La formula è molto semplice: otto squadre, ciascuna composta da dieci giovani ballerini non professionisti, si misurano in una competizione per eleggere la vincitrice. In palio un montepremi finale di 50 mila euro in gettoni d’oro. In ogni puntata, alle performance dei ragazzi si affianca l’inserimento di una serie di tutor chiamati a rappresentare una sorta di pronto intervento creativo: da Massimo Lopez a Amii Stewart passando per Sabrina Salerno, Cristel Carrisi e altri ancora. Natural-

Dove e quando

Flavio Paolucci. Dai sentieri nascosti, 1989-2013. Museo Cantonale d’Arte, Lugano. Fino al 27 aprile 2014 A cura di Elio Schenini. Orari: martedì 14-17; mercoledìdomenica 10-17; lunedì chiuso www.museo-cantonale-arte.ch

Pietro Bellotti, dalla dinastia di Canaletto Mostre Alla veneziana Ca’ Rezzonico una magnifica serie di vedute della città lagunare Piero Zanotto Assume un significato col sapore della rivelazione la mostra ora a Ca’ Rezzonico, luogo simbolo del Settecento veneziano, dedicata dalla Fondazione Musei Civici di Venezia a Pietro Bellotti. «Un altro Canaletto», dice la scritta che campeggia come uno slogan sotto al nome. Manca solo il finale punto esclamativo. Prima a tagliare il simbolico nastro di un progetto che vuole portare alla luce via via coloro che sono stati i protagonisti meno noti d’uno dei generi più amati della pittura del XVIII secolo: il vedutismo. Anche tra i ricercatori eruditi, a lungo c’era stata una qualche confusione nel ritenere «Pietro Bellotti di Canaleti», cioè appartenente alla grande famiglia, sia pure ultimo, di un rigoglioso ramo di pittori veneziani, nato il 22 marzo 1725, con l’altro Pietro Bellotti nativo di Volciano il cui ciclo di vita è racchiuso tra il 1627 e il 1700. Singolare caso di omonimia. Del resto egli stesso ci mise molto di

suo, col suo carattere errabondo e un po’ avventuroso con tracce lasciate in varie città italiane ed europee, la più consistente delle quali è stata trovata in Francia, a Tolosa, dove nel 1747 contrasse, sans fortune, matrimonio con Francoise Lacombe. Alberto Craievich nel bel catalogo della mostra di Ca’ Rezzonico da lui curata assieme a Charles Beddington e Domenico Crivellari, scrive tra l’altro che la tardiva messa a fuoco della personalità del «nostro protagonista» è sorprendente alla luce dell’altisonante parentela: «il nonno è Bernardo Canal, lo zio è Canaletto, e suo fratello è Bernardo Bellotto. Egli fa parte, quindi, della famiglia attorno alla quale ruota l’intera storia del vedutismo a Venezia». Come nasce e come cresce il talento pittorico di Pietro? Rimandiamo ancora al catalogo pubblicato in bellissima veste dalle veronesi Script Edizioni, dove si racconta puntigliosamente (da parte soprattutto di Domenico Crivellari, studioso cui si deve qualche decennio fa, quand’era

L’ingresso del Canal Grande con la basilica della Salute di Pietro Bellotti.

assessore alla cultura del Comune di Venezia, l’acquisto a lungo contestato per i suoi costi, ma oggi giustamente elogiato, di due importanti tele di Canaletto da allora patrimonio di Ca’ Rezzonico), attraverso la acquisizione di notizie presso tutti gli archivi possibili, la personalità controversa di Pietro Bellotti dit Canaleti com’egli talora firmava le sue opere all’estero, cercando di sfruttare la fama (e forse la genialità) dei suoi illustri parenti soprattutto nei Paesi del Nord del mondo. Di tre anni minore del fratello Bernardo, ancorché vivesse nella stessa sua abitazione, fu assunto da questi come «apprendista» e indotto per ciò a pagare 120 ducati all’anno. Si desume avesse come Bernardo, fin da giovanissimo, una innata predisposizione per la pittura, tanto da considerare con insofferenza quel legame, finendo per uscire di casa andandosene anche da Venezia, dicono i riscontri documentali, senza malignità perché ritenuto tutto vero, con un bel gruzzolo sottratto di nascosto dai risparmi dello zio ed anche con talune tele di questi. Lascia Venezia, e così avrebbero fatto i suoi più illustri consanguinei come altri pittori coevi, a fronte di una realtà amarissima. A Venezia erano rari i committenti. Il denaro disposto ad essere speso per l’arte si trovava altrove, in Inghilterra soprattutto. Ecco l’errabondare irrequieto di Pietro che visse sulla sua pelle il tramonto della «moda» del vedutismo, costretto quindi a dedicarsi per il nuovo collezionismo d’arte ai «capricci», alle visioni d’architettura inventata. E così a usare, senza sentirsi umiliato, un apparecchio chiamato «pantascopio» col quale girava per le fiere, illuminando di curiosità, e

quindi le sue tasche di soldi, folle curiose di vedere proiettate «visioni» del mondo. Un bel saggio storico di Carlo Montanaro (Il «teatro senza pari» o «mondo novo») descrive in catalogo la evoluzione del pantascopio attraverso tecniche diverse che portarono dopo la «lanterna magica» al cinematografo. La mostra di Ca’ Rezzonico, con l’eccezionale sequenza di quarantatrè dipinti provenienti da collezioni private europee e statunitensi, ricostruisce il percorso artistico-figurativo di Bellotti. E si ha evidente l’originalità della sua vena artistica, che discendendo da quella certamente più brillante del grandissimo zio e ancora del fratello Bernardo, porta noi posteri a sentirci catturati in primis dalle sue vedute di ampi scorci di Venezia, le cui scenografie sono sovrastate da cieli immensi con nuvole che paiono addensarsi. Un poco raggelati, forse, nei loro «movimenti», i dettagli di figure umane e di barche e gondole. E la tavolozza cromatica incline ai toni «spenti». Ma si tratta di un grande bel vedere, che si espande nel resto: le diciassette tele con vedute delle principali città europee, Londra, Dresda, Vienna, Parigi. Oltre ad alcuni dipinti di «capricci architettonici». Si lascia la mostra, inclusa nel percorso del Museo, col desiderio di ritornarci. Più volte. Dove e quando

Pietro Bellotti. Un altro Canaletto. Venezia, Ca’ Rezzonico. Orari: 10.00-17.00. Fino al 28 aprile 2014. Informazioni 0039/041/42730892 – www. carezzonico.visitmuve.it

Il conduttore Flavio Insinna.

mente, non poteva mancare la giuria, l’espediente classico del talent show su cui vale sempre la pena di fare affidamento. E allora via con le valutazioni di Gigi Proietti, Claudia Gerini, Rita Pavone. Cosa c’entrino Proietti, Gerini e Pavone con il ballo è tutto da dimostrare. Se ci sarà un’altra edizione del programma, bisognerà forse ripartire da un ripensamento della giuria. Ma questo è poco interessante, almeno per ora. La pista si propone come intrattenimento semplice, immediato, alla portata del pubblico di Raiuno. Il problema è che vive di un paradosso: per essere una trasmissione nuova, la sua più grave mancanza è proprio quella forza innovativa tanto sbandierata dal conduttore durante la presentazione alla stampa. A nulla sono servite le rassicurazioni di Flavio Insinna sull’estraneità del programma al genere talent. Va bene, non ci sono il televoto e le eliminazioni, ma c’è tutto il resto, comprese le aspirazioni degli aspiranti ballerini. La pista è solo un talent mascherato da spettacolo, uno show ammantato di buone intenzioni, una replica vista tante volte, e nemmeno la migliore. P.S. Mercoledì scorso il Consiglio d’amministrazione della SRG SSR ha nominato Reto Ceschi nuovo responsabile del Dipartimento Informazione RSI, a partire dal primo giugno. Più che giusto. Onore al merito. Complimenti a Ceschi, il giornalista alfa del servizio pubblico.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Cultura e Spettacoli

Debutti ticinesi… anche vietati ai minori

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In scena Dai Desaparecidos a un Edipo

particolare, passando per i manager

Aria di primavera, fervono i debutti. Ne abbiamo seguiti tre, uno in fila all’altro. Due di essi erano «vietati ai minori». Il primo, Desaparecidos di Mirko D’Urso (v.m. 16), è andato in scena al Teatro Foce di Lugano con la Compagnia Officina Teatro. Si tratta di un’operazione non semplice, quella cioè di raccontare una delle pagine più nere della storia contemporanea. Al centro c’è il difficile territorio della narrazione teatrale di una sofferenza generata dalla terribile repressione operata dalla dittatura militare argentina di Videla, fra gli anni 1976-83, con lo scopo di eliminare qualsiasi forma di protesta e di dissidenza. Difficile, per diversi motivi. Il primo dei quali è quello di chiedere alla scena di rappresentare delle storie facendo finta che siano vere, quando una delle sfide della scatola teatrale è proprio quella di riuscire a inventarsi un suo proprio linguaggio, una metafora in grado di aiutare il pubblico a recepire il messaggio. Con Desaparecidos, D’Urso ha ricostruito l’interno di un centro di detenzione clandestino dove gli aguzzini di Videla torturano le proprie vittime che, se non muoiono sotto le scariche della «Picana», finiscono sui «voli della morte» dove, appunto, scomparvero circa 30mila persone. Un filmato d’apertura ci racconta un primo sequestro, poi le scene teatrali, le violenze, gli stupri nel luogo di detenzione, il cinismo del torturatore, l’amicizia fra due donne imprigionate, la vile complicità di un prete fiancheggiatore del regime e il fatale pentimento di un carceriere. Un’impresa drammaturgica coraggiosa, intendiamoci, ma ecco il secondo limite: quello di raggruppare troppi elementi, spingendo alcune scene a un «realismo» che avvicina lo spettatore più alla sensazione che alla verità, allontanandola da chi non conosce. Occorre però aggiungere che la scrittura di D’Urso è semplice e funzionale, persino naïf: i personaggi sono definiti e lo spettacolo ha così un ritmo lineare, scandito da rapidi bui con l’aggiunta di voci e musiche dalla radio di regime. Bravi gli attori, da Mirko D’Urso a un insolito Luca Spadaro, Lidia Castella, Sara Marconi e Stefano Vinacci. Una sodomia edipica

Emanuele Santoro ha avuto una bella intuizione nello scegliere Giuseppe Manfridi per far debuttare Zozos (v.m. 18) al Teatro Foce, la nuova produzione di e.s. teatro. Un tema audace per una

scrittura frizzante, una sorta di pochade dalle tinte nere che non mostra il segno del tempo pur essendo stato scritto negli anni 90. Zozos, in argot vuol dire uccellini: due amanti. Lei matura signora l’altro un ragazzo, rimangono incastrati durante un rapporto sodomitico che con Manfridi diventa il più lungo della storia del teatro. Entra in scena il padre del ragazzo, ginecologo. Per tutta la durata della pièce questo amore «contro natura» diventa pretesto per un gioco di scrittura parodica attorno alla tragedia edipica, una parentela perversa che si svela attraverso confessioni e un dialogo serrato tra i protagonisti. Un procedimento di cui Manfridi è maestro: non a caso già nel ’91 il critico Franco Cordelli lo aveva eletto quale capofila della nuova drammaturgia italiana. E Zozos fa centro ancora oggi. E anche Santoro con una regia semplice che punta a una recitazione ironica, smaliziata, divertita e divertente con lo stesso Santoro, una bravissima Egidia Bruno e Michele Martone, smagato gaudente.

in seguito a carenza di biotina.

Manager in preda a una crisi di nervi

Urs Widmer, purtroppo scomparso la settimana scorsa, era un’autorevole voce della letteratura svizzero-tedesca e fra i laureati del Gran Premio svizzero di Letteratura 2014. Top Dogs è un suo testo teatrale realizzato nel 1996 con Volker Hesse, che l’ha poi allestito per il Theater am Hechtplatz di Zurigo. Pluripremiato e messo in scena in tutta Europa, ora è la compagnia locarnese Cambusateatro a regalarcene una nuova versione che ha debuttato al Teatro di Chiasso. Frutto di accurate ricerche sul campo, Top Dogs teatralizza un tema di grande attualità come la crisi dei mercati internazionali e manager di successo improvvisamente licenziati. Riuniti in un centro di outplacement, attraverso giochi di ruolo spersonalizzanti e sedute di psicodramma, i top dogs si rimotivano per tornare a far parte del sistema capitalistico che li ha schiacciati. Un tema, dicevamo, di assoluta attualità ma che abbiamo sentito datato nella sua declinazione, forse anche per una lettura registica (di Matteo Alfonso) che alla dimensione ironica e più pacata ha preferito l’enfasi bellica e nevrotica della formula originaria del testo. Uno spettacolo comunque ben riuscito, di grande energia e ottimamente ritmato nella recitazione con Matteo Alfonso, Valentina Bianda, Beppe Casales, Elisa Conte, Marco Taddei e Lorenzo Terenzi. Repliche dal 17 al 19 aprile al Foce di Lugano.

Egidia Bruno e Michele Martone in un momento di Zozos.

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Cultura e Spettacoli

Slow George

Musica Quando la popstar incontra l’orchestra: finalmente nei

negozi la testimonianza live dell’esperimento sinfonico condotto da George Michael nelle sale da concerto europee

Concorso

Fotografia Cent’anni or sono l’inizio

di un conflitto che cambiò il mondo

Benedicta Froelich Quando un grande nome del pop-rock internazionale decide di dare una svolta radicale alla sua produzione, l’intento appare spesso quello di «nobilitare» in qualche modo la propria arte tramite la contaminazione con generi comunemente ritenuti più elevati, quali il jazz e perfino la musica classica. Perlomeno questo sembra essere quanto accaduto a George Michael, che durante l’annata 2011-2012 si è presentato al suo pubblico in una veste live inedita, inaugurata dall’ormai celebre Symphonica – The Orchestral Tour: un progetto ambizioso, con il quale l’artista ha toccato le più eleganti sale da concerto d’Europa, riproponendo il suo repertorio con l’accompagnamento di una vera orchestra. Questo nuovo album, appena giunto nei negozi e intitolato semplicemente Symphonica, costituisce proprio la testimonianza di una tournée che ha riscosso un enorme successo di pubblico e critica, confermando George nella veste che egli attualmente predilige, ovvero quella di elegante e raffinato crooner d’altri tempi. Una nuova direzione che ha permesso all’artista di allargare il bacino d’utenza ben oltre lo «zoccolo duro» dei suoi fan più affezionati, anche perché l’operazione intrapresa è in effetti arguta e ben collaudata: se è vero che, fin dai tempi del suo secondo sforzo solista, l’interessante Listen Without Prejudice (1990), George ha sempre favorito una connotazione cantautorale decisamente intimista, in Symphonica ciò è portato a livelli di massima evidenza tramite l’astuto riarrangiamento di molti classici della sua carriera: la loro rilettura in puro stile da «cantante confidenziale» è senza dubbio un successo conclamato, anche se ha posto qualche dubbio al pubblico di vecchia data. Infatti, ciò che più salta all’occhio in quest’album è il fatto che George abbia deciso (come del resto è stato per tutta la tournée) di orientare la produzione verso un sound curatissimo, di massima pulizia e perfezione, al punto che alcuni fan hanno addirittura etichettato l’album come eccessivamente rifinito e manierato.

La grande guerra vista dai suoi protagonisti

Giovanni Medolago

George Michael cerca una carriera da crooner.

Certo è che, se non fosse per gli applausi e il rumoreggiare della folla, diverse tracce di Symphonica potrebbero quasi passare per incisioni eseguite in studio; il che rende il disco un perfetto esempio di quell’eleganza e raffinatezza mostrate da Michael fin dal suo grande ritorno con l’album Older (1996), un successo destinato a cancellare per sempre qualsiasi residuo dell’immagine pop incarnata dall’artista negli anni ’80 con l’esperienza del duo Wham!. D’altronde, bisogna ammettere che l’ascolto di Symphonica evidenzia come diversi brani del repertorio firmato da George Michael beneficino effettivamente del trattamento orchestrale – sebbene, tra questi, il mistico ed etereo Praying For Time (pezzo di culto del songbook solista) venga qui eseguito con variazioni talmente marcate da rendere a tratti difficile seguirne il testo. Tuttavia, i riarrangiamenti risultano più disinvolti nel caso di ballate delicate come le intense A Different Corner e You Have Been Loved, che conservano tutta la loro struggente grazia e delicatezza; mentre la cover di Going To a Town di Rufus Wainwright (inclusa solo nella versione deluxe dell’album, che propone anche sorprese quali la celebre Roxanne firmata Police) rappresenta senz’altro l’apice dell’eleganza stilistica acquisita da George come crooner. Un ruolo che l’intera tracklist ambisce a sottolineare, come dimostrato da perfetti esercizi di stile quali The First Time Ever I Saw Your Face e Patience – o, ancora,

900presente Rassegna di concerti Auditorio RSI, Lugano Domenica 27 aprile, ore 17.30 Harrison Birtwistle in Residence Ensemble 900 del CSI, direttori Arturo Tamayo e Francesco Bossaglia. www.conservatorio.ch

Steps 2014 Festival della danza Palazzo dei Congressi, Lugano Lunedì 28 aprile, ore 20.30 Koukansuru: tra hip hop e manga Coreografia: Juste Debout, Ibrahim Sissoko, Former Aktion, Mortal Combat. www.steps.ch

091/821 71 62 Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 8 aprile al numero sulla sinistra dalle 10.30 alle 12.00.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Buona fortuna!

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

l’impeccabile Let Her Down Easy; anche se bisogna ammettere che, come la maggior parte dei brani selezionati per quest’album, essi appaiono perfino eccessivamente lenti e riflessivi. In effetti, alla lunga l’atmosfera meditativa e sognante che permea l’intero Symphonica rischia di venire a noia all’ascoltatore casuale: anche perché, per quanto i panni di interprete «old style» indubbiamente si addicano a George, non è questa la sola veste in cui il suo pubblico ha imparato ad amarlo, e l’insistenza su una sola modalità espressiva non può che rendere il disco vagamente monocorde. Tanto che le frizzanti esecuzioni dello standard Feeling Good e dell’intramontabile classico My Baby Just Cares For Me giungono come graditissimi diversivi uptempo, destinati, ahimè, a rimanere casi isolati all’interno di una tracklist dominata da lenti e ballate romantiche. Così, seppure questo Symphonica costituisca innegabilmente un altro, meritato successo per l’estroso George Michael, perfino il fan più fedele può ritenersi giustificato nel confidare che il cantante non abbandoni del tutto la propria collaudata cifra stilistica in favore di esperimenti di questo tipo: che, per quanto condotti con sicura competenza, inevitabilmente rappresentano soltanto un segmento dell’ampia gamma musicale di cui un grande professionista come George è capace – e di quell’estrosa creatività che il suo pubblico sogna di ritrovare presto in un nuovo album di inediti.

Per sottolineare il centenario dallo scoppio della prima Guerra Mondiale, la Galleria Milanese «Casa di Vetro» propone fino al 18 aprile la mostra Una Guerra epocale: il primo conflitto mondiale nelle immagini degli archivi inglesi, francesi e tedeschi. Un’esposizione a tema, dunque, dove gli autori della sessantina di immagini presentate restano sconosciuti. Una scelta voluta, sebbene all’epoca il fotoreportage si stesse imponendo (i giornali illustrati se ne servono a partire dalla fine del 1800) e cominciasse a raggiungere notevoli livelli di professionalità; e nonostante ci fossero già dei maestri della fotografia. Pensiamo soprattutto a André Kertész («Tutto ciò che abbiamo fatto, Kertész l’ha fatto prima», H. Cartier Bresson dixit), il quale partì volontario nelle fila dell’esercito austro-ungarico armato anche di una piccola Goerz Tenax e dapprima documentò le lunghe marce e poi la vita di trincea. Le sue immagini andarono però perse durante i tumulti della Rivoluzione ungherese nel 1918. Sono invece giunte sino a noi migliaia di foto scattate da fotografi improvvisati che tuttavia, partendo forse dal desiderio di inviare una testimonianza ai famigliari, diedero prova di inaspettati talenti, documentando il loro terribile quotidiano con una pregnanza difficile da raggiungere per gli «inviati speciali» che, una volta realizzato il loro servizio – soprattutto nelle retrovie… – se ne tornavano tranquilli nelle loro redazioni. Ad accoglierci nella Casa di Vetro ci sono tre ritratti di altrettanti protagonisti della Grande Guerra: Mata Hari, giustiziata quale spia nell’ottobre 1917 (ma sulla sua colpevolezza ancora oggi si discute), Thomas Edward Lawrence, meglio noto come Lawrence d’Arabia (impressionante la somiglianza con Peter O’Toole, protagonista dell’omonimo film da 7 Oscar) e Manfred von Richtofen, il famoso Barone

Rosso abbattuto nell’aprile 1918, dopo ben 80 duelli aerei vittoriosi, da tale Arthur Roy Brown, pilota canadese che però rifiutò sempre tale «onore», lasciandolo alla contraerea della Triplice Intesa. È uno degli aspetti misconosciuti della «Grande Guerra» rivelati dalle più che esaustive didascalie che accompagnano le immagini. Sapevate che il prototipo del giubbotto antiproiettile fu realizzato nel 1915? Oppure, più in generale, che quel grande massacro diede impulso ad altre innumerevoli scoperte tecnico/scientifiche? Detto dell’aviazione e, purtroppo, dei primi bombardamenti, ecco le maschere antigas, le mitragliatrici dal calibro sempre più sinistro o i primi cingolati da cui derivarono i carri armati. Tornando alle immagini, non mancano le testimonianze di momenti felici: soldati russi che sorridono dopo aver sgominato un avamposto nemico, oppure momenti di convivialità tra le truppe contrapposte durante le «feste comandate». Nella mostra, è il contraltare che contribuisce a riassumere quella guerra davvero epocale che cambiò il mondo, chiudendo la belle époque per aprire la Contemporaneità.

Il carro armato inglese Britannia sulla 5a strada a New York (Archivio Heritage, Tips Images)

Non solo fucina di talenti Anniversari La Scuola di musica moderna di Lugano compie

vent’anni e li festeggia con i concerti di alcuni dei suoi migliori allievi Il jazz ticinese, lo sappiamo, vive in un ecosistema molto favorevole. Oltre alla ricchezza della proposta concertistica cantonale, negli ultimi anni è anche la capacità propositiva, il vivaio di musicisti, a testimoniare la vitalità di una scena decisamente unica. In questo contesto, il ruolo svolto dalla Scuola di musica moderna di Lugano è innegabile e di grande merito. In particolare ciò che stupisce dell’impresa è notare come, oltre agli eccellenti aspetti di preparazione tecnica, la scuola sia riuscita a creare un vivace, propositivo movimento culturale attorno a sé. In altre parole la SMUM non è soltanto una «fabbrica di talenti» ma un centro di attrazione, un punto di contatto, da cui gli ex-allievi partono arricchiti, avendo maturato anche l’utile abitudine alla collaborazione, all’aiuto reciproco e alla condivisione. La scuola stessa è nata del resto da una sinergia, anzi, un’amicizia tra musicisti. All’inizio della SMUM ci sono infatti i percorsi paralleli di Duca Marrer, Giorgio Meuwli e Guido Parini, la prima generazione «post-ambrosettiana» dei jazzmen ticinesi. Formatisi nella svizzera interna negli anni ’70, i tre strumentisti e didatti hanno portato nel nostro cantone il virus di un insegna-

mento jazz. Un «contagio» che alla fine si è lentamente diffuso nel territorio, ma che soprattutto ha aperto la strada alla possibilità di ottenere qui una formazione musicale di base. Di questa opportunità hanno potuto approfittare poi decine di appassionati della nostra regione. E se un tempo chi voleva misurarsi con uno strumento e con il repertorio jazz doveva necessariamente rivolgersi all’approssimazione più compatibile, quella di una scuola bandistica, dalla nascita della SMUM tutto è cambiato.

Il programma completo degli eventi è su www.smum.ch/20anni.html.

Alla dinastia degli Ambrosetti, come sempre quando si parla di jazz in Ticino, bisogna prima o poi arrivare. Non è certo un caso se alla direzione della scuola, nata con la fondamentale collaborazione e l’interessamento del Comune di Lugano, troviamo fin dall’inizio Franco Ambrosetti. È lui ad aver garantito, oltre all’autorevolezza e alla serietà di fondo nelle scelte artistiche, un importante contatto con i piani alti della politica. La scuola è una realtà didattico-organizzativa molto complessa, soprattutto dopo aver maturato il riconoscimento nazionale come scuola pre-professionale. Il sogno di Ambrosetti e dei due direttori Meuwli e Parini è quello di compiere un ulteriore passo nel curriculum educativo della SMUM, introducendo la formazione professionale. I tempi per ora non sembrano maturi, economicamente e politicamente. Nel frattempo, godiamoci questi festeggiamenti che comprendono numerosi concerti di ex allievi (11 e 12 aprile), giornate delle porte aperte (3 maggio) e un concerto di fine anno (17 maggio). E che i complimenti per un ventennale pieno di soddisfazioni rilancino la palla verso il futuro a questa ottima risorsa del nostro panorama culturale./ A.Z.


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Idee e acquisti per la settimana

shopping

Assieme ai conigli e alle uova di cioccolato, la colomba è sicuramente uno dei simboli per eccellenza della Pasqua. Una tradizione che non accompagna solamente il pranzo domenicale, ma pure molte colazioni, spuntini e occasioni per deliziare il palato. Secondo una leggenda le origini della colomba sono molto lontane: risalgono al sesto secolo, quando un pasticcere pavese donò al Re dei Longobardi (Re Alboino) un dolce in segno di pace. Da quel gesto è nata l’abitudine di regalare e assaggiare la colomba per augurare serenità. Oggi è però anche il piacere a rendere quest’impasto così famoso e apprezzato. Gli ingredienti sono pochi e semplici, mentre le ricette molte e diverse, garantendo così un’ampia offerta. Anche il panificio Migros della Jowa di Sant’Antonino sforna durante il periodo pasquale centinaia di migliaia di colombe che «volano» verso le case dei consumatori di tutta la Svizzera. Un procedimento lungo e meticoloso, per il quale servono abilità e conoscenze: «Il periodo di lievitazione è lungo e suddiviso in diverse fasi – racconta Lorenzo Stornetta, responsabile team di produzione Jowa – Alla Jowa utilizziamo il lievito di “madre naturale”, che dona all’impasto un sapore equilibrato e armonioso». La Migros è particolarmente attenta anche alla scelta degli ingredienti, appositamente selezionati e calibrati alle singole ricette. L’offerta è veramente ampia contemplando piccole porzioni di 120 grammi ma pure la colomba da un chilogrammo, adatta per le famiglie oppure per chi vuol godersi questo dolce ancora più a lungo. La sua conservazione è possibile per diversi giorni e onde preservare la freschezza si consiglia di conservarla nel suo sacchetto originale. La Jowa vuole distinguersi anche per la sua produzione artigianale e per ela-

Flavia Leuenberger

La colomba, segno di pace e di fresca morbidezza

borare questa soffice specialità è necessaria una manualità non indifferente. Ma cosa rende le colombe di Migros così speciali? Lo abbiamo chiesto in conclusione a Lorenzo Stornetta: «La freschezza, la morbidezza e il loro inconfondibile aroma. Pensate che dalla cottura, nel giro di 36 ore, le colombe sono disponibili sugli scaffali». / Elia Stampanoni

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche le colombe Jowa.

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Idee e acquisti per la settimana

Sapori esclusivi per Pasqua Attualità Ai banchi macelleria di Migros Ticino trovate diverse prelibatezze di carne per il vostro pranzo pasquale. Oltre al tradizionale capretto, anche agnello e maialino da latte, gigôt d’agnello, arista di vitello o maiale e…il pregiato entrecôte irish beef. Vi parliamo di quest’ultima carne con tanto di stuzzicante ricetta

Doppia entrecôte all’aglio Piatto principale per 4 persone Ingrdienti 2 spicchi d’aglio 2 rametti di salvia 1 peperoncino 4 cucchiai d’olio d’oliva 2 entrecôte doppie di ca. 450 g ciascuna (p. es. entrecôte irish beef) sale Preparazione 1. Schiacciate l’aglio e tritate la salvia. Private il peperoncino dei semi e tritatelo. Preparate una marinata mescolando l’aglio, la salvia e il peperoncino con l’olio d’oliva. Condite le entrecôte con il sale. Spennellatele con poca marinata. Grigliate la carne (al sangue 20 minuti; rosa 24 minuti; ben cotta 36 minuti). Verso fine cottura spennellate spesso con la marinata. 2. Grill sferico a carbonella: Preparate la brace. Grigliate l’entrecôte sulla brace per 8 minuti. Terminate la cottura a calore indiretto, con coperchio chiuso, per 11-26 minuti (al sangue 11 minuti, rosa 14 minuti, ben cotta 26 minuti).

L’Irlanda è nota per i suoi vasti paesaggi ancora intatti, ricchi di rigogliosa erba verde. È in questo ambiente idilliaco che pascolano liberamente gran parte dell’anno i manzi, dove possono alimentarsi a volontà di nutriente erba e crescere serenamente. Gli animali sono allevati in fattorie che rispettano le più severe direttive in materia di benessere della specie. Tutte queste particolari condizioni giocano un ruolo fondamentale per la qualità della carne dei manzi irish beef, che risulta ben marmorizzata e particolarmente nutriente. Gli animali sono macellati al raggiungimento di 36 mesi d’età al massimo. Successivamente la carne viene lasciata frollare all’osso per almeno 21 giorni in locali a temperatura controllata. Questo particolare procedimento le conferisce una tenerezza, una succosità e un aroma incomparabili. Un consiglio: togliere la carne dal frigorifero un’ora prima di cucinarla affinché possa sviluppare tutto il suo caratteristico sapore.

3. Grill sferico a gas o elettrico (grill a cinque posizioni): Scaldate il grill a 220 °C. Grigliate le entrecôte, prima sulla posizione 3 per 10 minuti, poi sulla posizione 2 con coperchio chiuso per 11-26 minuti (al sangue 11 minuti, rosa 14 minuti, ben cotta 26 minuti). 4. Grill a carbonella senza coperchio: Preparate la brace. Sistemate la griglia sulla scanalatura centrale. Grigliate le entrecôte sulla brace 10 minuti per lato. Terminate la cottura a brace non troppo forte per 1126 minuti. (al sangue 11 minuti, rosa 14 minuti, ben cotta 26 minuti).

Una ricetta di:

Aperitivo pugliese L’aperitivo pasquale in giardino è presto servito grazie alle gocce di mozzarella Murgella accompagnate da qualche pomodorino ciliegia. La mozzarella Fior di latte Murgella è un prodotto tradizionale e parte integrande del patrimonio lattiero caseario pugliese. È un formaggio fresco a pasta

filata, dolce e di colore bianco latte con struttura fibrosa, che si distingue per la sua consistenza morbida e la leggera elasticità. Al taglio o alla pressione rilascia un caratteristico liquido lattiginoso. La vaschetta da 450 grammi contiene 5 mozzarelline, da consumare tale quali

Gustosi antipasti oppure cotte anche per la preparazione di piatti più elaborati. Mozzarella Fior di latte gocce 450 g Fr. 7.50 In vendita fino ad esaurimento scorte nelle maggiori filiali Migros.

Per introdurre con gusto i pasti più importanti, come ad esempio il pranzo pasquale, non può mai mancare un ricco antipasto. Grazie a quelli proposti dal marchio italiano «Arturo Vogliazzi» i vostri ospiti resteranno pienamente soddisfatti. Piatti gastronomici a base di ingredienti di prima qualità, innovazione e fedeltà alla tradizione culinaria italiana sono i segni distintivi di quest’azienda attiva nel settore da oltre cinquant’anni. Per Pasqua i gastronomi di «Arturo Vogliazzi» hanno dato libe-

ro sfogo al loro savoir-faire preparando un’irresistibile selezione di fresche creazioni culinarie: il tris di antipasti, il piatto di insalata russa decorata, il cocktail di gamberi su guscio di capesante, il cestino di gamberi in salsa tartara, i medaglioni alla mousse di prosciutto e le colombine di sfoglia con cocktail di gamberi. I prodotti «Arturo Vogliazzi» sono in vendita nei maggiori supermercati Migros, alcuni di essi anche in tutte le filiali.


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Idee e acquisti per la settimana

La pressione sul pedale Attualità Il sole fa capolino tra le vette innevate del Ticino, i sentieri vedono la neve sciogliersi rapidamente ed i ruscelli si arricchiscono di acque fresche: uno scenario ideale per visitare il reparto biciclette dei negozi SportXX, carichi di novità per gli amanti del pedale

I ticinesi, si sa, amano pedalare e non abbandonano l’abitudine nemmeno quando fuori è freddo o piove. Anche se la bicicletta è ormai presente in quasi tutte le famiglie, in realtà le vendite continuano ad aumentare ogni anno perché le case produttrici presentano prodotti sempre più innovativi che possono soddisfare diverse esigenze. Così, alla fine, ci capita spesso di avere in casa una bici per ogni occasione. Il reparto bici di SportXX S. Antonino è stato appena rinnovato e per aiutarci a scegliere la bicicletta giusta c’è Anthony Musto nel reparto a nostra disposizione. Ed è proprio lui a parlarci delle novità più interessanti. Nel campo dell’elettrico molte biciclette Crosswave adottano il nuovo motore Bosch con il sistema di controllo Intuvia che permette di decidere l’andatura, pianificare il viaggio con un controllo pieno dell’autonomia e addirittura ricaricare i dispositivi USB sfruttando l’energia della batteria. Oltre ai modelli tradizionali c’è la MTB ED3 SP400 dotata di una batteria perfettamente integrata nel telaio capace di un’autonomia superiore (400 Wh invece dei consueti 290 Wh di altri modelli). Le mountain bike GHOST biammortizzate, con un sistema di sospensioni progressive più

fluido di molti concorrenti, sono la passione di chi percorre molti tratti impervi e richiede un’aderenza ed un confort superiori. Il modello ASX 7500, dotata di cambio Shimano XT, permette di portarsi a casa un rampichino leggero e all’avanguardia con una spesa inferiore ai 2600 franchi: la bicicletta è offerta in tre diverse dimensione di telaio per far contente le persone di tutte le stature. I nuovi modelli da donna MISS montano anche i cambi Shimano Deore, noti per essere precisi e leggeri. Per chi invece cerca una bici da città o da viaggio, con portapacchi, luci, parafanghi e dinamo integrata nel mozzo, potrà contare sulla gamma CROSSWAVE che a meno di 800 franchi riesce ad offrire biciclette moderne e confortevoli per un uso continuativo. Girare per il reparto con Anthony è fondamentale perché, con poche domande, riuscirà a capire i nostri bisogni ed a trovare, tre le decine e decine di offerte, il mix giusto che fa al caso nostro, scegliendo le giuste prestazioni per l’uso cui la bici e destinata, e, soprattutto, senza spendere una fortuna. Naturalmente ci guiderà anche nel reparto abbigliamento ed accessori, per vestirci e vestire la nostra bici nel migliore dei modi.

Anthony Musto dello SportXX di S. Antonino vi aspetta per consigliarvi la bici più adatta alle vostre esigenze.

E se la bici non va? Nei primi tre mesi è compreso un servizio d’’assistenza gratuito, la garanzia dura 2 anni (5 anni sul telaio), ma in ogni caso il servizio bici ci permetterà di riparare o modificare il mezzo meccanico secondo gusti e ne-

cessità. Insomma, da SportXX la bicicletta è prima di tutto una passione, vissuta da tutto il personale che di biciclette se ne intende. Una passione che si anima quando arriva il sole o quando mettiamo mano al portafogli e ci accorgiamo

che è possibile avere prodotti innovativi ed utili, spendendo molto poco. A questo punto la pressione del pedale sarà irresistibile e vi porterà inesorabilmente da SportXX S. Antonino e Serfontana. / Foto e testi di Marco Cassiano

Settimana all’insegna dei sapori orientali

Da oggi e sino a sabato 12 aprile i Ristoranti Migros Ticino ospitano una rassegna dedicata alle specialità asiatiche. Ogni giorno potrete gustare diverse appetitose proposte orientali, dalla zuppa del giorno al buffet della pasta, passando per il piatto del giorno preparato al momento dai nostri chef fino ad altre specialità a libero servizio. Tra le numerose bontà vi attendono ad esempio tagliolini alle verdure, noodles saltati, spaghetti di soia con gamberi e verdure, spaghetti di riso saltati, zuppa agropiccante, pollo agli anacardi, maiale in agrodolce, manzo con funghi e bambù, Nasi Goreng, involtini primavera, Dim Sum. Inoltre, in concomitanza con la rassegna, avrete la possibilità di prender parte ad un concorso che mette in palio 5 corsi di cucina alla Scuola Club Migros. Informazioni su come partecipare nel vostro Ristorante Migros. Vi aspettiamo! www.migrosticino.ch/ristorazione/attivita

Spaghetti di riso saltati: una delle prelibatezze asiatiche proposte dai Ristoranti Migros.


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Idee e acquisti per la settimana

Il re dei balconi

Attualità Il geranio è uno dei fiori più amati dagli appassionati di giardinaggio. Questa settimana a Migros Ticino troverete bellissimi gerani a metà prezzo, principalmente di produzione ticinese

Dopo un inverno lungo e nevoso la natura si risveglia in tutto il suo splendore. Cosa ne direste allora di regalarvi anche a casa vostra un balcone rigogliosamente fiorito? Grazie alla loro intensità cromatica e robustezza i gerani sono tra i fiori più apprezzati dai giardinieri della domenica. Tuttavia, per avere dei fiori in perfetta forma da aprile alle prime gelate si consiglia di trapiantare i gerani in un vaso più capiente, con l’utilizzo dell’apposito terriccio universale per gerani. I fiori vanno tenuti alla luce diretta del sole, annaffiandoli regolarmente, ma senza esagerare per evitare che marciscano. È inoltre importante fornire fertilizzante liquido – per gerani o per piante fiorite – regolarmente durante tutto il periodo vegetativo, da due a tre volte la settimana, ma solo su terreno già umido. Ciò permette di non danneggiare le radici in quanto il terriccio umido consente l’assorbimento ideale delle sostanze nutritive contenute nel fertilizzante. Questa settimana, nei supermercati Migros con reparto fiori e nei Do it + Garden Migros, troverete una grande scelta di variopinti gerani ad un prezzo molto vantaggioso. La maggior parte di essi sono coltivati nel nostro cantone.

Voglia di costine

Il barometro dei prezzi Informazioni sui cambiamenti di prezzo

Alcuni esempi:

Se sei tra quelli che già scalpitano all’idea di dare il via alla stagione delle grigliate di carne, allora questa settimana non puoi lasciarti scappare la nostra superofferta del 30% di sconto sulle costine di maiale svizzere. Molto apprezzate al grill

per la loro squisitezza, si possono preparare con l’impiego di mille marinate diverse. Provale ad esempio con la seguente salsa: amalgamare bene tra di loro olio d’oliva, senape, pepe nero rotto al momento, rosmarino e un pizzico di papri-

ca. Lasciar marinare la carne nella salsa per almeno una notte in frigorifero. Chi preferisce i sapori agrodolci può aggiungere alla marinata del miele, chi è invece per il piccante, del Sambal Oelek (salsa speziata asiatica) o del peperoncino.

Prezzo vecchio in Fr.

M-Budget Petit-Beurre, 2 x 275 g M-Budget Espresso in chicci, 1 kg M-Budget caffè in chicchi, 1 kg Focaccia alsaziana, 260 g Dennys Country Frites, 600 g M-Classic Pommes Frites, 1,5 kg Delicious Pommes Rissolees, 600 g Kleenex Original, Twin Box Hakle Quilts carta WC, 9 rotoli, FSC Hakle Aloe & Kamille salv. umide, 42 pezzi

2.50 4.95 4.95 4.25 4.60 5.80 3.30 4.70 8.40 3.—

Nuovo in Fr. 2.45 4.90 4.90 4.15 4.85 5.90 3.35 4.90 9.40 3.40

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Carne di manzo macinata Svizzera, al kg

Lamponi Spagna, vaschetta da 250 g

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Cornatur in conf. da 2 20% di riduzione, per es. fettine di quorn al pepe, 2 x 200 g

Formentino Svizzera, imballato, per 100 g

Pesce fresco per il tuo menu di Pasqua orata, 300–600 g, 20% di riduzione, allevamento, Grecia, per 100 g, fino al 19.4

Nuggets di tacchino Pancetta affumicata a dadini, TerraSuisse prodotti in Svizzera con carne di tacchino da Brasile, Svizzera, in conf. da 4 x 60 g, 240 g in conf. da 2 x 250 g, 500 g

30%

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Mele Mairac Svizzera, sciolte, al kg

Cetrioli Spagna / Paesi Bassi, al pezzo

Mezza panna per salse, mezza panna acidula e M-Dessert –.20 di riduzione, per es. mezza panna per salse, UHT, 180 ml

Tortelloni M-Classic in conf. da 2 per es. alla carne, 2 x 500 g *

Salame Milano Beretta duo Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g, 240 g

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1.45 invece di 1.85

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Meloni Charentais Marocco / Senegal, al pezzo

Gerani in vaso da 10,5 cm, la pianta

San Gottardo Prealpi prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg

Appenzeller Surchoix per 100 g, 20% di riduzione

Costine di maiale Svizzera, imballate (ca. 600 g), per 100 g

Spezzatino di vitello magro, TerraSuisse Svizzera, imballato, per 100 g

Società Cooperativa Migros Ticino *In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DALL’8.4 AL 14.4.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Tutte le torte in conf. da 2 pezzi 1.– di riduzione, per es. alla fragola, 2 x 141 g

Tutti gli snack al latte Kinder refrigerati –.20 di riduzione, per es. Choco fresh, 5 x 21 g

Tutte le confetture e le gelatine in vasetti e sacchetti da 185–500 g a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. confettura Extra di albicocche, 500 g

Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo Party 15% di riduzione, per es. bretzel salati, 230 g

Rivella rossa o blu in conf. da 8 6 + 2 gratis, per es. Rivella rossa, 8 x 50 cl

Tutti i tipi di Aproz in conf. da 6 x 1,5 l e da 6 x 1 l e tutti i tipi di Aproz Plus in conf. da 6 x 1 l per es. Classic, 6 x 1,5 l

33%

1 kg

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14.50 invece di 19.–

3.50 invece di 4.40

5.35 invece di 7.65

17.90 invece di 25.60

7.20 invece di 14.40

Bastoncini alle nocciole in conf. da 2 2 x 220 g

Miscela pasquale Frey, UTZ ovetti e cioccolatini

Schiumini da 290 g o schiumini al cioccolato da 350 g 20% di riduzione, per es. schiumini al cioccolato

Crocchette di rösti Delicious surgelate, 1 kg

Pacific Prawns Costa surgelati, 800 g

Filets gourmet à la Provençale Pelican, MSC surgelati, 800 g

50% 11.50

9.10 invece di 11.40

1.– invece di 1.25

1.20 invece di 1.50

5.90 invece di 11.80

13.20 invece di 16.80

Lavanda Butterfly in vaso da 17 cm, la pianta

Rosette Tête de Moine in conf. da 2 2 x 120 g, 20% di riduzione

Zucchero fino cristallizzato da 1 kg (zucchero Aarberg escluso), 20% di riduzione, per es. zucchero fino cristallizzato Cristal

Tutto l’assortimento di pasta M-Classic 20% di riduzione, per es. pipe grandi, 500 g

Tutto l’assortimento di alimenti per cani Asco per es. Classic Sensitive, 4 kg

Tutti i succhi Sarasay 20% di riduzione, per es. arancia / mango*, 6 x 1 l

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FRUTTA E VERDURA Cetrioli, Spagna / Paesi Bassi, al pezzo –.70 invece di 1.– 30% Pomodorini ciliegia, Italia / Spagna, vaschetta da 250 g 1.40 Lamponi, Spagna, vaschetta da 250 g 3.80 invece di 5.70 33% Formentino, Svizzera, imballato, per 100 g 1.85 invece di 2.50 25% Mele Mairac, Svizzera, sciolte, al kg 3.30 invece di 4.80 30% Meloni Charentais, Marocco/Senegal, al pezzo 3.20 invece di 4.60 30%

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Tutto l’assortimento di tessili per la cucina e la tavola Cucina & Tavola per es. guanto da forno in silicone, rosso, 38 cm, offerta valida fino al 21.4

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Prodotti a base di ovatta Primella in conf. da 2 20% di riduzione, per es. rondelle di ovatta, 2 x 80 pezzi

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Detersivi per capi delicati Yvette in conf. da 2 20% di riduzione, per es. Black, 2 x 2 l, offerta valida fino al 21.4

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Pattini in linea Rollerblade Kids Alpha n. 28–32 / 32–35 / 36–39, offerta valida fino al 21.4

Fantasmini o calze da tennis da uomo in conf. da 5 per es. calze da tennis

Tutto l’assortimento Pedic (confezioni multiple escluse), 20% di riduzione, per es. bagno cremoso per i piedi, 250 ml, offerta valida fino al 21.4

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Carne di manzo macinata, Svizzera, al kg 9.80 invece di 17.– 40% Spiedino confederato, Svizzera, 210 g 4.10 NOVITÀ ** 20x Salsiccia Gusto Español Rapelli, Spagna, per 100 g 3.10 20x NOVITÀ *,** Affettato M-Classic, Svizzera, per 100 g 1.30 invece di 1.90 30% Paté pasquale con spugnole, Svizzera, 500 g 14.90 invece di 25.– 40% Prosciutto crudo pasquale dei Grigioni, Svizzera, 128 g 5.90 invece di 9.90 40% Bistecca di manzo con salsa, TerraSuisse, per 100 g 5.10 20x NOVITÀ *,** Hamburger di manzo Lilibiggs, Svizzera, 160 g 20x 3.85 NOVITÀ ** Spiedino extra, Svizzera, 20x per 100 g 3.35 NOVITÀ *,** Carne intrecciata con speck, TerraSuisse, per 100 g 4.40 20x NOVITÀ *,** Cowboy Steak Optigal, Svizzera, per 100 g 2.90 20x NOVITÀ *,** Spiedino di cosce di pollo Optigal, per 100 g 3.20 20x NOVITÀ *,** Spiedino di ali in salsa BBQ Optigal, Svizzera, per 100 g 20x 2.40 NOVITÀ *,** Cosce di pollo Optigal, Svizzera, al kg 9.– invece di 13.– 30% Trota intera, condita, alla griglia, Svizzera, per 100 g 2.30 20x NOVITÀ *,** Spiedino di capesante con speck, MSC, Atlantico nord-occidentale, per 100 g 5.60 NOVITÀ *,** 20x Filetto di salmone senza pelle, marinato, alla griglia, Norvegia, per 20x 100 g 3.90 NOVITÀ ** Salmone selvatico Sockeye in conf. da 2, Alaska, 2 x 100 g 10.30 invece di 14.80 30% Pancetta affumicata a dadini, TerraSuisse, Svizzera, in conf. da 4 x 60 g, 240 g 3.80 invece di 6.40 40%

Carne secca ticinese, prodotta in Ticino, affettata in vaschetta, per 100 g 6.90 invece di 9.– 20% Salame Milano Beretta Duo, Italia, affettato, in conf. da 2 x 120 g, 240 g 7.90 invece di 11.90 33% Teneroni di vitello, TerraSuisse, Svizzera, imballati, per 100 g 2.45 invece di 3.10 20% Spezzatino di vitello magro, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.40 invece di 3.50 30% Costine di maiale, Svizzera, imballate (ca. 600 g), per 100 g 1.25 invece di 1.80 30% Nuggets di tacchino, prodotti in Svizzera con carne di tacchino da Brasile, in conf. da 2 x 250 g, 500 g 8.50 invece di 11.40 25% Pesce fresco per il tuo menu di Pasqua, orata, 300–600 g, allevamento, Grecia, per 100 g 1.80 invece di 2.30 20% fino al 19.4

PANE E LATTICINI Grana Padano, per es. al pezzo, per 100 g 1.60 invece di 2.05 20% Appenzeller Surchoix, per 100 g 1.45 invece di 1.85 20% Formaggio di montagna Heidi a fette, 140 g 4.40 20x NOVITÀ ** Mozzarella Galbani in conf. da 3, 3 x 150 g 4.55 invece di 5.70 20% Rosette Tête de Moine in conf. da 2, 2 x 120 g 9.10 invece di 11.40 20% Mezza panna per salse, mezza panna acidula e M-Dessert –.20 di riduzione, per es. mezza panna per salse, UHT, 180 ml 1.55 invece di 1.75 Starbucks Frappuccino, 20x 250 ml 2.35 NOVITÀ *,** Yogurt Passion all’arancia e al pompelmo, 0,1% di grassi, 20x 180 g –.90 NOVITÀ *,** San Gottardo Prealpi, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 21.– invece di 30.10 30%

FIORI E PIANTE Tulipani ton sur ton, il mazzo da 20 11.– invece di 15.80 30% Gerani, in vaso da 10,5 cm, la pianta 1.90 invece di 3.80 50% Lavanda Butterfly, in vaso da 17 cm, la pianta 11.50

ALTRI ALIMENTI Truffes Caipirinha Frey, UTZ, Limited Edition, 140 g 9.50 20x NOVITÀ *,** Tavoletta di cioccolato Fraises & Amandes Frey Suprême, UTZ, Limited Edition, 100 g 2.90 20x NOVITÀ *,**

Tutte le mezze uova con praliné Frey, UTZ, per es. mezzo uovo con praliné Prestige, 295 g 16.80 invece di 21.– 20% Uovo pasquale M&M’s o Celebrations, per es. M&M’s, 20x 235 g 5.90 20x PUNTI * Miscela pasquale Frey, UTZ, ovetti e cioccolatini, 1 kg 14.50 invece di 19.– Schiumini da 290 g o schiumini al cioccolato da 350 g, per es. schiumini al cioccolato 3.50 invece di 4.40 20% Tutti i prodotti Cafino e Noblesse, UTZ, per es. Noblesse Oro, in busta, 200 g 7.65 invece di 9.60 20% Tutte le confetture e le gelatine in vasetti e sacchetti da 185–500 g, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.50 di riduzione l’uno, per es. confettura Extra di albicocche, 500 g 2.20 invece di 2.70 Tutti i müesli Farmer Croc in conf. da 2, per es. ai frutti di bosco, 2 x 500 g 7.60 invece di 9.60 20% Tutti gli zwieback, per es. Original, 260 g 2.55 invece di 3.20 20% Zucchero fino cristallizzato da 1 kg (zucchero Aarberg escluso), per es. zucchero fino cristallizzato Cristal 1.– invece di 1.25 20% Crocchette di rösti Delicious, surgelate, 1 kg 5.35 invece di 7.65 30% Filets gourmet à la Provençale Pelican, MSC, surgelati, 800 g 7.20 invece di 14.40 50% Pacific Prawns Costa, surgelati, 800 g 17.90 invece di 25.60 30% Tutti i cake gelato, le torte gelato e i dessert in porzioni Glacetta, per es. cake gelato al cappuccino, 800 ml 4.– invece di 5.– 20% Rivella rossa o blu in conf. da 8, 6 + 2 gratis, per es. Rivella rossa, 8 x 50 cl 7.80 invece di 10.40 Tutti i succhi Sarasay, per es. arancia / mango, 6 x 1 l 13.20 invece di 16.80 20% * Tutti i tipi di Aproz in conf. da 6 x 1,5 l e da 6 x 1 l e tutti i tipi di Aproz Plus in conf. da 6 x 1 l, per es. Classic, 6 x 1,5 l 2.85 invece di 5.70 50% Tutto l’assortimento di pasta M-Classic, per es. pipe grandi, 500 g 1.20 invece di 1.50 20% Tutto l’assortimento di pasta Tradition, per es. spätzle, 500 g 2.15 invece di 2.70 20% Tutti i condimenti in polvere e liquidi Mirador, per es. condimento in polvere in conf. da 3, 270 g 2.95 invece di 3.70 20% Brodo di verdure senza grassi, bio, 180 g 3.80 Pannocchie di mais M-Classic in conf. da 2, 2 x 350 g 2.40 invece di 3.60 33% * Piquillos grigliati Sun Queen, 20x 160 g 2.90 NOVITÀ *,** Tutto l’assortimento di prodotti da forno per l’aperitivo Party, per es. bretzel salati, 230 g 1.25 invece di 1.50 15% Bastoncini alle nocciole in conf. da 2, 2 x 220 g 4.25 invece di 6.40 33% Tutte le torte in conf. da 2 pezzi 1.– di riduzione, per es. alla fragola, 2 x 141 g 4.50 invece di 5.50

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*In vendita nelle maggiori filiali Migros. **Offerta valida fino al 21.4 Società Cooperativa Migros Ticino

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Tutti gli antipasti Anna’s Best, per es. olive verdi con formaggio molle, 150 g 3.80 invece di 4.75 20% Tortelloni M-Classic in conf. da 2, per es. alla carne, 2 x 500 g 7.– invece di 11.80 40% Cornatur in conf. da 2, per es. fettine di quorn al pepe, 2 x 200 g 8.80 invece di 11.– 20% Nestlé Beba Junior 12+ e 18+, per es. 12+, 3 x 700 g 37.– invece di 55.50 3 per 2 *,** Tutti gli snack al latte Kinder refrigerati –.20 di riduzione, per es. Choco fresh, 5 x 21 g 1.95 invece di 2.15 Panettone al metro, 440 g 3.95 invece di 4.95 20% Madeleines al burro, in conf. da 20, 550 g 5.– invece di 6.–

NEAR FOOD / NON FOOD Alimenti secchi Vital Balance da 1,5 kg, salmone Sensitive o pollo Senior, per es. salmone 20x Sensitive 13.60 NOVITÀ *,** Alimenti umidi Vital Balance, manzo Adult, manzo Senior o tacchino Sensitive, per es. manzo Adult, 4 x 85 g 3.90 NOVITÀ *,** 20x Tutto l’assortimento di alimenti per animali MSC e ASC, per es. ragout per gatti Selina con salmone, MSC, 100 g –.50 invece di –.65 20% Palla faccetta da gioco per cani Best Friend 3.90 20x NOVITÀ *,** Pantene Pro-V in conf. da 2, per es. shampoo protezione e volume, 2 x 250 ml 6.55 invece di 9.40 30% ** Shampoo head & shoulders in conf. da 2, per es. citrus fresh 2in1, 2 x 250 ml 7.80 invece di 9.80 20% Tutti i prodotti per la rasatura da donna I am, per es. rasoio usa e getta I am Silky Skin, 5 pezzi 2.– invece di 2.50 20% *,** Prodotti per la rasatura da donna Gillette, Wilkinson e BIC in confezioni multiple, per es. lamette Gillette Venus, 8 pezzi 22.90 invece di 26.80 Diversi docciaschiuma Fanjo e pH-balance in confezioni multiple, per es. docciaschiuma al cocco Fanjo in conf. da 3, 3 x 250 ml 6.95 invece di 8.70 rfsu True Feeling Limited Edition, 8 pezzi 8.20 20x NOVITÀ ** Tutti gli articoli Keep Cool da donna e da uomo, per es. maglia da donna, in diversi colori, tg. S / M–L / XL 19.80 NOVITÀ *,** 20x Calzini corti, pantofole o calzini fini da donna in confezioni multiple, per es. calzini corti in conf. da 3 8.90 Tutto l’assortimento di biancheria intima da uomo DIM, per es. Ecodim Cotton Stretch, 20x tg. S–XXL 17.90 NOVITÀ ** Hygo WC Maximum Oxi Tab, igiene extra grazie alla forza dell’ossigeno attivo, 2 x 45 g 20x 4.20 NOVITÀ *,** Spugne detergenti in conf. da 3, per es. spugne detergenti sintetiche Strong, 3 x 3 pezzi 3.60 invece di 4.80 25%


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Truffes Caipirinha Frey, UTZ Limited Edition, 140 g

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Salsiccia Gusto Español Rapelli Spagna, per 100 g

Spiedino di cosce di pollo Optigal per 100 g

Bistecca di manzo con salsa, TerraSuisse per 100 g

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Cowboy Steak Optigal Svizzera, per 100 g

Spiedino di capesante con speck, MSC Atlantico nord-occidentale, per 100 g

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino ¶ 7 aprile 2014 ¶ N. 15

Idee e acquisti per la settimana

La freschezza all’insegna della sostenibilità Da febbraio, tutti i pesci venduti al banco Migros provengono da fonti sostenibili Non è una regola valida solo il Venerdì Santo, ma sempre; per portare in tavola un menù a base di pesce di qualità, è meglio preferire prodotti provenienti da pesca o da allevamenti sostenibili. In questo modo, oltre al proprio palato, si fa un favore anche all’ambiente, contribuendo così al mantenimento della popolazione ittica mondiale e alla salvaguardia dell’ecosistema. Secondo il WWF, la rinomata organizzazione ambientalista, ben l’87 percento del patrimonio ittico sfruttato dal punto di vista commerciale sarebbe a rischio estinzione. La Migros ha perciò promesso, nell’ambito del programma Generazione M, di offrire entro il 2020 esclusivamente pesce proveniente da fonti sostenibili. Le specie a rischio vengono così eliminate dall’assortimento a favore di altre consigliate o accettate dal WWF. Già oggi tutti i pesci venduti al banco Migros provengono da fonti sostenibili. Attenzione alla provenienza, all’acquisto del pesce

Alla Migros sta a cuore la promessa fatta. E anche per quanto riguarda il restante assortimento di pesce è sulla giusta rotta: già il 94 percento dei pesci offerti, proviene infatti da fonti sostenibili. Il WWF suggerisce di preferire pesce indigeno selvatico e nel caso di prodotti ittici marini invita a prestare attenzione al marchio di certificazione MSC, conferito solo ad aziende che si impegnano a pescare nel rispetto delle risorse e quindi a favore della loro conservazione. Già la metà dei prodotti ittici consumati a livello mondiale proviene da allevamenti. Ciò contribuisce ad alleviare lo sgravio dei mari, partendo dal presupposto che le itticolture siano gestite in modo responsabile. Come lo dimostrano gli allevamenti certificati Bio e ASC,

che contribuiscono al mantenimento della biodiversità regionale, rispettando l’ambiente naturale. Le direttive imposte sono molto severe, come l’impiego di mangimi d’origine sostenibile o il rispetto di disposizioni economico-aziendali. L’acqua proveniente dagli allevamenti deve, così, venire depurata prima di essere immessa in risorse idriche naturali. Chi desidera approfondire temi legati alla sostenibilità nell’ambito della produzione ittica, può indirizzarsi al sito Migros o al nostro personale di vendita al banco. E chi fa il punto sul risultato nel piatto, sarà certo felice di farsi consigliare da persone esperte, come il nostro venditore specializzato José Teixeira. Impiegato a Migros S. Antonino, è sempre lieto di poter svelare i suoi segreti per la preparazione del pesce. E a proposito di preparazione, qui di seguito trovate tre ricette per altrettanti tipi di pesce, provenienti da fonti sostenibili, in vendita al banco: il brosmio selvatico dell’Islanda, la cernia e il barramundi, due pesci d’allevamento provenienti dalla Malesia. Non esitate a realizzare queste proposte per un menù a base di pesce, davvero coi fiocchi. / Anna-Katharina Ris; Foto: Flavia Leuenberger

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. Il passaggio a un assortimento di pesce proveniente esclusivamente da pesca sostenibile entro il 2020, ne è parte integrante. Parte di

Qualità controllata MSC (Marine Stewardship Council) garantisce una pesca sostenibile e certificata. I pesci e i frutti di mare che portano questo marchio, provengono sempre da pesca in mare aperto. MSC contribuisce in modo importante alla salvaguardia delle risorse, dei pesci e del loro ambiente naturale, nonché dei mari di tutto il mondo.

ASC (Aquaculture Stewardship Council) garantisce una pesca rispettosa e certificata, dettata da direttive ecologiche e sociali.

Zuppa di barramundi alle verdure Piatto principale per 4 persone Ingredienti ½ cipolla 2 spicchi d’aglio 300 g di carote 300 g di coste 3 cucchiai d’olio d’oliva 1 presa di stimmi di zafferano 4 dl di brodo di verdura 8 dl di fondo di pesce 600 g di filetti di barramundi sale, pepe erbe aromatiche, ad es. aneto Preparazione Tagliate la cipolla a fette sottili, l’aglio a fettine, le carote a fette di 2 mm. Riducete i gambi delle coste a striscioline e sminuzzate le foglie separatamente. Fate soffriggere la cipolla, l’aglio, le carote e i gambi delle coste nell’olio per ca. 2 minuti. Unite lo zafferano, il brodo e il fondo e lasciate sobbollire dolcemente per ca. 10 minuti. Tagliate il pesce a pezzetti di ca. 150 g ciascuno. Metteteli nel brodo con le foglie di coste e fate cuocere per ca. 5 minuti a fuoco basso. Regolate di sale e pepe. Guarnite con l’aneto e servite.

TRE MARCHI, UN UNICO SCOPO

Migros Bio promuove un allevamento sostenibile e rispettoso della natura. I pesci e i frutti di mare sono nutriti con mangime prodotto biologicamente e vivono in bacini d’acqua dolce o salata, particolarmente generosi. Gli allevamenti sottostanno a controlli indipendenti e sono certificati quali itticolture sostenibili e biologiche.

Il barramundi è un pesce proveniente da allevamenti malesi. Succoso e tenero, è delizioso grigliato, al forno, stufato o rosolato.

Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona ca. 28 g di proteine, 9 g di grassi, 8 g di carboidrati, 900 kJ/220 kcal

José Teixeira, responsabile della pescheria di Migros S. Antonino, è sempre lieto di poter rendere i suoi clienti partecipi delle sue conoscenze e svelare i suoi trucchetti.


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Il brosmio è un pesce selvatico pescato in Islanda. Propone una carne povera di grassi e particolarmente tenera che si presta egregiamente a preparazioni arrosto, al vapore o bollite.

La cernia è un pesce proveniente da allevamenti malesi. Deliziosa da cucinare arrosto, bollita, grigliata, al vapore o al forno, la cernia è particolarmente apprezzata nella cucina asiatica e orientale.

Crocchette di brosmio su insalata di asparagi Piatto principale per 4 persone

Filetto di cernia al forno con salsa alla limetta

Ingredienti 500 g di asparagi verdi sale, pepe 1 scalogno 3 cucchiai d’aceto balsamico bianco 1 cucchiaino di senape 1 dl d’olio di colza 600 g di filetti di brosmio 50 g di pangrattato 40 g di semolino di granoturco 1 limone 1 uovo 40 g di farina 80 g di spinaci novelli

Piatto principale per 4 persone

Preparazione 1. Pelate il terzo inferiore dei gambi degli asparagi. Spuntate le estremità. Tagliate gli asparagi a pezzi di ca. 5 cm. Lessateli in acqua salata per ca. 5 minuti. Scolateli e fateli sgocciolare bene. Tritate lo scalogno e mescolatelo con il balsamico, la senape e la metà dell’olio. Condite con sale e pepe. 2. Tagliate i filetti di pesce a pezzetti di ca. 2 cm. Conditeli con sale e pepe. Mescolate il pangrattato con il semolino di granoturco. Unite la scorza di limone grattugiata. Sbattete l’uovo in un piatto fondo. Versate la miscela di pangrattato e semolino e la farina in piatti piani separati. Passate i pezzetti di pesce prima nella farina, poi nell’uovo, infine nel pangrattato. Premete bene la panatura. Scaldate l’olio rimasto in una padella. Rosolate il pesce poco alla volta a fuoco medio per ca. 5 minuti finché la panatura risulta croccante. Fate sgocciolare le crocchette su carta da cucina. Mescolate gli asparagi con gli spinaci e condite con la salsa allo scalogno. Dimezzate il limone e servitelo con le crocchette di pesce e l’insalata. Accompagnate con la maionese. Tempo di preparazione ca. 30 minuti Per persona ca. 35 g di proteine, 9 g di grassi, 29 g di carboidrati, 1450 kJ/350kcal

Ingredienti 100 g di noci acagiù 1 mazzetto di coriandolo 1 scalogno 2 limette 1 peperoncino 6 cucchiai d’olio di oliva 2 cucchiai di miele 1 cucchiaio di salsa di soia 600 g di filetti di cernia sale, pepe 1 cucchiaio di burro Preparazione 1. Tritate grossolanamente le noci di acagiù e tostatele in una padella finché diventano leggermente marroni. Tritate separatamente il coriandolo e lo scalogno. Pelate al vivo le limette e dimezzatele per il lungo. Liberate la polpa dalla pellicina e tagliatela a dadini. Dimezzate il peperoncino per il lungo, privatelo dei semi e tritatelo grossolanamente. Mescolate la metà dell’olio con il miele, le noci di acagiù, i dadini di limetta, il peperoncino, lo scalogno, il coriandolo e la salsa di soia. Condite con sale e pepe. 2. Scaldate il forno a 200 °C. Condite il pesce con sale e pepe. Accomodatelo in una teglia foderata con carta da forno. Irrorate con l’olio rimasto. Distribuite il burro sul pesce. Cuocetelo al centro del forno per ca. 25 minuti. Servite il pesce con la salsa alla limetta. Tempo di preparazione ca. 20 minuti + cottura in forno ca. 25 minuti Per persona ca. 33 g di proteine, 31 g di grassi, 14 g di carboidrati, 2000 kJ/470 kcal

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Subito in tavola Due novità a base di pollo sono gli ambasciatori culinari della primavera targati Optigal. Grazie alla loro carne tenera, queste delizie di pollame sono pronte in pochi minuti Ailerons Wings nell’impanatura al limone e mini fettine di pollo impanate sono gli ultimissimi arrivati nell’assortimento Migros di carne di pollame. Tutte e due le specialità si possono preparare in poco tempo nel forno o in padella. Grazie al loro fresco sapore di limone, gli ailerons sono adattissimi alla stagione più calda e sono squisiti anche grigliati. La carne di pollame è ormai una componenete irrinunciabile dell’alimentazione moderna. Gli svizzeri ne consumano 11 chili buoni all’anno a testa, e la tendenza è al rialzo. Così in Svizzera vivono più polli che persone: nelle aziende agricole elvetiche razzolano circa 8,5 milioni di pennuti. La loro carne ricca di proteine e facilmente digeribile è molto povera di grassi. Dal momento che è tenerissima, inoltre, si può preparare in fretta: un ulteriore vantaggio, di questi tempi. Le condizioni svizzere per l’allevamento di pollame sono fra le più severe a livello mondiale. Da 53 anni la marca Migros Optigal contribuisce in modo determinante a ottimizzare gli alti standard relativi all’allevamento rispettoso degli animali e all’eccellente qualità. / Anna Bürgin

Optigal mini fettine di pollo impanate Fr. 3.30 per 100 g

Optigal ailerons di pollo nell’impanatura al limone Fr. 2.95 per 100 g

In vendita nelle maggiori filiali Migros

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche il pollame di Optigal.

Lo sapevate? La parte centrale delle ali di pollo è detta aileron.


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Nuovo alla Migros: formaggio di montagna Heidi da tagliare semigrasso e a fette in confezione richiudibile.

Un nuovo formaggio non viene mai da solo Cosa c’è di nuovo oggi sul piatto dei formaggi? Heidi tiene in gran considerazione la varietà, e presenta addirittura due nuove varianti di formaggio di montagna: una semigrassa da tagliare e una, gustosissima come sempre, a fette

Manca solo il pane fresco, un burro morbido e magari un paio di ravanelli: oggi la fame – sia quella feroce sia solo un certo languorino, a colazione, a merenda o a cena – sarà soddisfatta con un aromatico formaggio di montagna. Allo scopo, ora Heidi serve la sua classica, robusta qualità anche a fette in una confezione richiudibile. Oltre al comodo formato in porzioni, questa variante offre un altro vantaggio: il formaggio che rimane nella vaschetta resta fresco più a lungo e non emana nessun odore. Per gli amanti del formaggio che prefe-

riscono le qualità più dolci, Heidi ha in offerta per la prima volta il formaggio di montagna nella varietà semigrassa. Anche se meno ricca, questa varietà non è meno aromatica nel gusto e non ha assolutamente una consistenza gommosa. Entrambi i tipi sono prodotti dalla Bergsenn SA di Savognin nella consueta qualità Heidi. Il latte proviene da mucche che brucano nelle montagne grigionesi su pascoli alpini che comprendono più di 300 tipi di erbe e fiori. / Anette Wolffram Eugster; foto & styling: Claudia Linsi

Heidi formaggio di montagna semigrasso Fr. 2.05 per 100 g Heidi formaggio di montagna a fette* 140 g Fr. 4.40 *Punti Cumulus x 20 dall’8 al 21 aprile

L’industria Migros produce numerosi prodotti Migros molto apprezzati, tra cui anche il formaggio di montagna Heidi.


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Léger pane proteico chiaro 300 g Fr. 3.60

Léger pane proteico scuro 400 g Fr. 3.70

Léger burro semigrasso 200 g Fr. 3.05

Il nuovo pane proteico chiaro di Léger si abbina perfettamente a cibi leggeri come petto di tacchino o formaggio fresco ma anche col salmone affumicato.

Meno è di più Chi desidera nutrirsi in modo leggero e con meno carboidrati non deve necessariamente rinunciare al pane. Ora il pane proteico Léger esiste anche nella variante chiara

Low Carb è un concetto nutrizionale secondo cui si riduce la percentuale di carboidrati e si aumenta quella delle proteine. Il nuovo pane proteico chiaro di Léger s’inserisce perfettamente

in questo concetto, in quanto contiene l’80 per cento meno carboidrati rispetto ai tipi di pane simili. La percentuale di proteine è invece maggiore. Dal punto di vista gustativo, il pane

proteico chiaro si sposa particolarmente bene con cibi leggeri come il petto di tacchino o il cottage cheese, ma anche col salmone affumicato. Benvenuti anche verdure al vapore con un po’ d’olio

d’oliva, tzatziki o formaggio fresco. E invece che coi ravanelli, si possono completare le fette guarnite anche con dei germogli. / Heidi Bacchilega; foto e styling: Veronika Studer

Léger Brie 170 g Fr. 3.25


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I cani piccoli hanno bisogno di cibi particolarmente adatti alle loro particolarità fisiche.

Matzinger Mini Menu Nutri Soft Manzo, cibo secco 1,4 kg Fr. 6.70 In vendita nelle maggiori filiali.

Max Petto di pollo light snack per cani 100 g Fr. 4.90

Asco Mini Pollame cibo secco 1,5 kg Fr. 2.50* invece di Fr. 5.– In vendita nelle maggiori filiali.

Per cani piccoli dal grande appetito In Svizzera sono registrati più di mezzo milione di cani. Soprattutto le razze piccole sono sempre più diffuse. Per loro esiste una vasta scelta di cibo speciale

I cani sono fra gli animali da compagnia più amati. Secondo Anis, la banca dati svizzera degli animali da compagnia, le razze di taglia piccola sono sempre più apprezzate. Non solo in città, ma anche nelle campagne. Se alimentati correttamente, i nostri vivaci amici restano vitali e sani a lungo. A causa della loro anatomia, i cani piccoli hanno bisogno di un cibo diverso

da quello dei loro simili di maggiori dimensioni. Necessitano di più energia, perché il loro organismo brucia più velocemente i nutrienti. La Migros offre quindi un vasto assortimento di cibi pensati specialmente per i cani piccoli. Per i cibi umidi, la scodella e quindi anche la porzione è dimensionata al fabbisogno, dunque più piccola. Si può scegliere fra i menu standard Asco Classic

e quelli speciali della linea Gourmet Asco Supreme. Fra i cibi secchi, con tre articoli Matzinger completa la linea propria della Migros Asco Classic, che comprende le due varietà Pollame e Manzo. Da notare il nuovo Mini Menu di Matzinger, Nutri Soft Manzo: consiste in crocchette semiumide, che i cani piccoli riescono a masticare meglio rispetto a quelle dure. Tutti i tipi di cibi

secchi sono confezionati in sacchetti richiudibili e possono così essere mantenuti freschi a lungo. Per tutti i proprietari di cani che tengono in casa uno o magari più quattrozampe formato mini, prima di Pasqua varrà particolarmente la pena di fare una visitina alla Migros: dall’8 al 14 aprile tutti gli articoli Asco saranno offerti a metà prezzo. / Dora Horvath

Asco Supreme Manzo ciotole di cibo umido 4 x 150 g Fr. 2.15* invece di Fr. 4.30 In vendita nelle maggiori filiali. *50% su tutto l’assortimento Asco dall’8 al 14 aprile.


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Con Arthur nel mondo dei Minimoys L’Europa-Park si proietta nella stagione 2014 con oltre un centinaio di attrazioni e spettacoli. In 13 quartieri a tema europei vi sono alcune belle novità in attesa di essere scoperte. L’evento saliente della stagione è la grandiosa attrazione «Arthur – Nel regno dei Minimoys». Con le sue minuscole creature di fantasia, l’attrazione all’interno più elaborata della storia dell’Europa-Park rende il 2014 un anno davvero maiuscolo. La stagione 2014 conduce i visitatori dell’Europa-Park nell’universo dei Minimoys. Gli eroi del film d’animazione di Luc Besson «Arthur e il popolo dei Minimei» hanno infatti trovato qui una nuova casa. Per questa attrazione per famiglie «Arthur – Nel regno dei Minimoys», lo scenario del film è stato ricostruito fedelmente sin nei dettagli in collaborazione con lo stesso Luc Besson. Durante il viaggio tematico sul nuovo treno «Arthur», grandi e piccini appassionati di queste creature fantastiche vivranno, in tutti i sensi, sette diversi territori e avranno la sensazione di essere molto piccoli: infatti, questo universo fantastico è popolato da piante e animali giganteschi. Durante i 550 metri del percorso si viaggerà attraverso le viscere della Terra. Si compirà un viaggio di andata e ritorno passando da un mondo di fantasia sotterraneo alla vegetazione naturale all’esterno. Oltre a questo percorso tematico, del reame dei Minimoys fanno parte anche la «Poppy Tower», una caduta libera da una torre di dieci metri che ha la forma di un papavero, l’area per bambini «L’angolo di Minosse», scivoli elicoidali, la «Giostra MülMüls», il bar «Jack’s DELI» e la «Arthur Boutique». Nel «Magic Cinema 4D» l’avventura dei Minimoys continua: infatti, Luc Besson ha prodotto in esclusiva per l’Europa-Park il film in quattro dimensioni «Arthur». Nuovi spettacoli con artisti internazionali

«Con il nostro nuovo programma di spettacoli immettiamo molta aria fresca nell’imminente stagione: 250 artisti provenienti da tutto il mondo danno un tocco internazionale all’Europa-Park», afferma il direttore del parco divertimenti Roland Mack a proposito della ricchissima offerta. Salti e piroette su lame affilate infiammeranno il ghiaccio durante il nuovo spettacolo di pattinaggio «Surpr’Ice in the Jungle». Eccellenza artistica, danza e commedia promette invece il varietà «Rapsodia Italiana». I fan degli ABBA andranno in visibilio il 26 aprile assistendo a «Waterloo reloaded»: lo

Partecipare e vincere Azione estrae a sorte fra i lettori dei settimanali della Migros 12 avventurosi soggiorni all’Europa-Park, oltre a 50 biglietti giornalieri per famiglie (composte al massimo da 4 persone), per un valore totale di oltre 19 000 franchi. I soggiorni includono un pernottamento in uno degli alberghi dell’Europa-Park per una famiglia (max. 4 persone) e i biglietti d’entrata per i due giorni all’Europa-Park. Ecco come partecipare Per partecipare al sorteggio basta rispondere a questa domanda: Quanti quartieri a tema europei ci sono all’Europa-Park? Per telefono Chiama il numero 0901 560 019 (1 fr./chiamata da rete fissa) e comunica la tua risposta, il tuo nome e il tuo indirizzo.

spettacolo al Globe Theater del quartiere inglese che racconta l’emozionante storia del leggendario quartetto pop svedese. Mentre sul palco all’aperto del quartiere Italia vi aspetta la gioia di vivere brasiliana abbinata a tanto ritmo. Qui, il simpatico topolino Euromaus invita tutti gli appassionati di calcio al suo nuovo show «La Copa del Mundo – Euromaus in Brasile». La velocità in mostra alla Mercedes-Benz Hall

«Into Extremes» è il titolo dalla nuova esposizione allestita ai piedi delle montagne russe «Silver Star», tutta dedicata alla velocità e al raggiungimento dei limiti in campo automobilistico. Tre au-

tovetture AMG Mercedes e alcune impressionanti proiezioni simulano come affrontare alla perfezione situazioni di estrema velocità. Novità dall’Austria

I visitatori sono in preda alla massima eccitazione sui tronchi che scivolano tra le rapide della «Tiroler Wildwasserbahn», un vero e proprio classico nel quartiere dell’Austria. Per la nuova stagione, l’Europa-Park ha rinnovato completamente le imponenti pareti di roccia che fanno da scenario. Lì accanto sorge una superficie da gioco di 80 metri quadrati per i bambini più piccoli. L’adrenalina sale ancor di più su quelli che sono diventati i simboli

di questo parco divertimenti: le gigantesche montagne russe di legno «WODAN – Timburcoaster» o quelle a catapulta «blue fire Megacoaster powered by GAZPROM», l’ottovolante al buio «Eurosat» oppure il «Silver Star», il più alto d’Europa con i suoi 73 metri d’altezza. I Minimoys vanno all’El Andaluz

Per rimettersi dalle fatiche di tante avventure, l’Europa-Park Resort offre 4’500 letti. Dalla stagione estiva 2014, l’hotel a 4 stelle «El Andaluz» mette a disposizione dei visitatori alcune camere particolari: in linea con la nuova attrazione «Arthur – Nel regno dei Minimoys», tre stanze dell’albergo sono state trasformate in un’avventura tra la natura. Gli ospiti si sentiranno come il coraggioso Arthur nel mondo dei minuscoli Minimoys. Sogni d’oro all’Europa-Park

Una scena di «Arthur - Nel regno dei Minimoys». Sopra, l’ottovolante e a destra il faro dell’Hotel Bell-Rock.

Oltre all’«El Andaluz», vi conducono in mondi avventurosi anche l’albergo a 4 stelle «Castillo Alcazar» e quelli a 4 stelle superior «Colosseo», «Santa Isabel» e «Bell Rock». In ambienti curati nel dettaglio, i visitatori s’immergono nella romantica vita di castello, si godono la dolce vita romana oppure s’imbarcano sulle orme dei Padri Pellegrini e degli esploratori. La pensione Circus Rolando, situata vicino all’entrata del parco, è una comoda e conveniente alternativa agli alberghi. Pernottamenti rustici in capanna a più letti o in veicoli da campeggio sono disponibili al Camp Resort. Nel villaggio di tende indiane, i patiti del Far West possono raccogliersi davanti a un falò e dormire in autentici «tepee», le tradizionali tende coniche degli indiani americani. Mentre sul terreno da campeggio adiacente all’Europa-Park, gli appassionati dell’aria aperta trovano 200 piazzole per accamparsi.

Per SMS Invia un SMS al numero 920 (1 fr./SMS) con il testo VINCERE, la risposta, il tuo nome e indirizzo. Esempio: VINCERE, risposta, Maria Esempio, Via Esempio 1, 9999 Esempio Città. Tramite cartolina postale Invia una cartolina postale (posta A) con la risposta, il tuo nome e indirizzo a: Migros-Magazin, «Europa-Park», Casella postale, 8099 Zurigo Ultimo termine di invio 13.04.2014. I vincitori saranno informati per iscritto. I premi non saranno corrisposti in denaro. Si esclude il ricorso alle vie legali. Non si tiene alcuna corrispondenza inerente al sorteggio. I collaboratori della stampa Migros non possono partecipare al concorso. I premi non riscossi dai vincitori (entro tre mesi dall’estrazione) scadono senza possibilità di sostituzione.


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Un dono dell’Antartide Gli acidi grassi omega-3, particolarmente importanti per il nostro organismo, rientrano nella categoria degli acidi grassi polinsaturi. Le capsule di olio di krill Actilife sono una preziosa fonte di acidi grassi omega-3 e quindi un integratore alimentare ideale per sostenere il nostro benessere. La loro formula si basa sull’olio di krill, ricavato da una piccola specie di crostaceo presente in grandi sciami nelle acque pulite dell’Antartide. Queste minuscole creature marine sono ricche di acidi grassi omega-3 particolarmente pregiati (EPA e DHA), in grado di favorire un normale funzionamento cardiaco. Il krill contenuto in questo prodotto Actilife proviene esclusivamente da una pesca sostenibile certificata con il marchio MSC. La dose giornaliera consigliata è di due capsule, da assumere preferibilmente di mattina e di sera con un po’ di liquidi.

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