Azione 12 del 17 marzo 2014

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Cooperativa Migros Ticino

G.A.A. 6592 S. Antonino

Settimanale di informazione e cultura Anno LXXVII 17 marzo 2014

Azione 12

Società e Territorio La Colombia sarà protagonista della rassegna Filmondo di Manno

Ambiente e Benessere La ricerca di informazioni su salute e medicina in internet non è una minaccia al ruolo del medico ma può essere un’opportunità

Politica e Economia Primo anno di pontificato del gesuita argentino Bergoglio

Cultura e Spettacoli Giappone perduto: la Fondazione Baur presenta una serie di stampe eccezionali

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di Luca Beti

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Gianni Pisano

Figlia del Platzspitz

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La Storia fa tappa in Crimea di Peter Schiesser Un brivido gravido di antichi timori ha scosso la frontiera europea a ridosso della Russia, di fronte alla guerra fantasma di Crimea: il muscoloso seppur incruento intervento militare russo viene giustificato da Mosca come azione a difesa della popolazione russa che in maggioranza popola la penisola ucraina nel Mar Nero. Con questa motivazione la Russia ha già mascherato le sue mire imperialistiche nel passato. Così, per esempio, fece nella guerra di Crimea a metà dell’800, quando a presunta difesa dei cristiani ortodossi la Russia invase la Moldavia e la Valachia, territori ottomani, con l’ambizione di sfruttare la debolezza della Turchia per infine avere accesso al Mediterraneo. Non a caso, Obama ha rassicurato gli Stati del Baltico, oggi membri della NATO, che l’America difenderà i loro confini nel caso Mosca intendesse applicare anche altrove lungo i suoi confini la strategia di ingerenza dove è presente una popolazione russa (rappresenta un quarto della popolazione in Estonia, il 37 per cento in Lettonia, il 5 per cento in Lituania). Tuttavia, nessuno negli Stati Uniti pronuncia la parola guerra. Uno scontro militare con i russi è impensabile.

A meno di un episodio imprevisto (ma neppure da escludere, visti gli 80mila soldati, le centinaia di carri armati e di pezzi di artiglieria russi ammassati ai confini con l’Ucraina), la guerra verrà condotta con altri mezzi: se la secessione della Crimea dall’Ucraina diverrà effettiva, scatterà una guerra economica, gli Stati Uniti e l’Unione europea adotteranno progressivamente una serie di sanzioni contro Mosca. Fin dove potranno giungere, non è dato sapere. In una dinamica di scontro c’è una tendenza all’esasperazione, poiché nessuna delle parti in causa può permettersi di perdere la faccia. La crisi ucraina ha dunque un alto potenziale di devastazione: senza sparare un colpo, potremmo dover assistere a un rivolgimento del contesto economico e politico mondiale, con una Russia nuovamente spinta a ritirarsi dal processo di integrazione culminato nella sua partecipazione al WTO, al G20, al G8. Ancora non è troppo tardi per evitarlo. Tuttavia, gli atavici riflessi anti-russi, risvegliatisi con l’occupazione della Crimea, impediscono agli Stati Uniti e all’Unione europea di riconoscere che hanno almeno parzialmente provocato i riflessi anti-occidentali dei russi. Va ricordato che la protesta contro il governo di Janukovich è scattata quando il presidente ucraino ha deciso su pressione di Putin di ri-

nunciare all’accordo di libero scambio con l’Unione europea. L’Ue afferma che tale accordo non è da intendere in senso anti-russo. In realtà, va contro le ambizioni russe di creare un’unione doganale con Kiew nel quadro di una ricostituzione di uno spazio economico con baricentro a Mosca, attraverso un’unione doganale fra Russia, Bielorussia, Kazakhstan e Ucraina appunto – tassello importante del disegno di Putin, che vuole una Russia di nuovo protagonista mondiale. La decisione del parlamento ucraino (poi congelata) di non considerare più il russo quale lingua nazionale è stata il pretesto perfetto per Putin, o la prova che l’Occidente, di cui il nuovo governo ucraino è considerato vassallo, intende mettere nell’angolo la Russia. L’Ucraina è oggi la linea di demarcazione fra gli interessi strategici dell’Occidente e della Russia. Un conflitto, qualsiasi forma esso avrà, sarà la dimostrazione che la Guerra fredda non è mai terminata. Riconoscere che in Ucraina sussistono e devono convivere due anime, una filo-occidentale e una filo-russa, potrebbe invece aiutare a sciogliere il nodo che la spartizione dell’Europa decisa da Stalin, Roosevelt e Churchill nel 1945 a Yalta (Crimea) aveva lasciato ingarbugliato: la diffidenza reciproca fra Occidente da una parte e Russia dall’altra.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Attualità Migros

M Un ventaglio di proposte il più ampio possibile Viaggi Intervista con Thomas Stirnimann, CEO di Hotelplan Group Reto E. Wild * Tra le destinazioni di viaggio più amate dagli svizzeri, oltre ai Paesi più vicini, contiamo attualmente anche la Spagna. Quali sono le tendenze che si stanno delineando per la prossima estate?

Come lei ben sa, le tendenze cambiano molto velocemente, e per questo motivo è difficile fare delle previsioni. Ritengo però che la Grecia e le sue isole possano contare su un ripresa di interesse di non poco conto. Per risollevarsi dalla recente crisi il Paese ha investito nelle strutture alberghiere e nel servizio, ma anche i prezzi sono molto accattivanti. Per le Maldive, invece, si nota un aumento di richieste da mercati quali Cina, Russia e India. Posso immaginare che in un prossimo futuro gli svizzeri, abituati a prenotare una vacanza in questi splendidi atolli a breve termine, dovranno prendere atto che la disponibilità di camere non sarà più la stessa. Canarie, Thailandia, Maldive, Mauritius e Cuba: queste sono state le destinazioni più richieste dai cittadini svizzeri per Hotelplan. Come mai?

Il Mar Rosso è una delle nostre destinazioni più richieste. Nel momento in cui questa meta non è più disponibile i clienti ricercano alternative che sono quelle da lei citate. I clienti sono alla ricerca di prezzi sempre più vantaggiosi. Come rispondere a questa esigenza?

Dando loro il massimo della trasparenza e un ventaglio di proposte il più ampio possibile. Nessun altro tour operator svizzero offre un numero così importante di collegamenti aerei con voli noleggiati e tipologie di soggiorno come Hotelplan. I clienti possono volare sulla destinazione prescelta con Air Berlin e rientrare con la nostra compagnia charter Travel Service Airlines, oppure con easyJet. Noi teniamo in grande considerazione e cerchiamo di rispondere al desiderio di flessibilità che ci viene richiesto. Solo i clienti che scelgono Hotelplan possono usufruirne, prenotando direttamente oppure nelle agenzie di viaggio di proprietà o nostre partner. Anno dopo anno ci sentiamo dire che i prezzi delle vacanze non potranno essere meno cari. Per l’estate Hotelplan offre voli a bordo di aeromobili di Travel Service Airlines già a partire da 89 franchi per tratta. Come è possibile?

Abbiamo adeguato il nostro software di calcolo dei prezzi di vendita a quello delle compagnie aeree; il nostro obiettivo va nella direzione di un equilibrio globale dei costi. Così facendo il prezzo non viene applicato per ogni singolo posto e per tutte le date. Non si tratta però di un’offerta creata per attirare i consumatori. Circa il 20 percento dei nostri posti viene venduta, mediamente, al prezzo che lei indica. Tutti coloro che prenotano con ampio anticipo ne possono approfittare. Vendiamo

Fattori esterni hanno inciso sull’attività Il fatturato di Hotelplan Group ha subito una contrazione a chiusura dell’anno commerciale 2012-2013 del tre percento, chiudendo a 1463 mio. di franchi. La cifra d’affari di Hotelplan Suisse ha contribuito con 838 mio. di franchi; l’utile della società svizzera è passato da 9,9 mio. a 2,1 mio. di franchi. Thomas Stirnimann, CEO di Hotelplan Group, dichiara: «Il fallimento

della compagnia aerea Hello ci è costato in tutto più di 4 milioni di franchi. A questo dobbiamo aggiungere che nello scorso mese di settembre, proprio prima delle vacanze scolastiche 2013, abbiamo dovuto cancellare, a causa della situazione politica, interi aeromobili pronti a partire per il Mar Rosso. Malgrado tutto questo siamo riusciti a non scivolare nelle cifre rosse».

questi voli già da tre mesi e, all’inizio, il prezzo per tratta più economico era di 79 franchi. Chi ha prenotato allora, ha ovviamente fatto un affare. A quando un rialzo dei prezzi di viaggi e vacanze?

Purtroppo non possiedo la sfera di cristallo! Comunque tutto dipende principalmente dal cambio del franco svizzero con l’euro e il dollaro americano. Qualora tali valori dovessero aumentare, i prezzi crescerebbero. E quindi il periodo delle vacanze a prezzi bassi è finito?

E se il cambio del dollaro verso il franco svizzero dovesse scendere a 50 centesimi? Non si può mai dire... Di una cosa sono certo, e cioè che oggi siamo in grado di acquistare i pernottamenti negli hotel a condizioni migliori. E da quando l’euro è così a buon mercato non abbiamo più grandi differenze di prezzo verso i nostri concorrenti germanici o italiani. Grazie al cambio favorevole con l’euro abbiamo registrato, negli ultimi quattro anni, una contrazione dei prezzi di quasi il 30 percento. Ritengo che non si debba contare su una variazione repentina della situazione e penso di poter affermare che siamo in una situazione di stabilità. Nell’ultimo esercizio commerciale 2012/2013 Hotelplan Suisse ha registrato una riduzione del fatturato e dell’utile, questo malgrado la congiuntura svizzera godesse di «buona salute». Cosa accadrebbe se la situazione economica dovesse peggiorare?

Un’evoluzione di questo tipo sarebbe progressiva e pertanto ci potremmo sicuramente attrezzare. Abbiamo affrontato una situazione ben più grave, quando il nostro primo partner commerciale, Hello Airlines, ha dichiarato fallimento nel giro di 24 ore. Le assicuro che tutto questo è stato ben più difficile da gestire che un rallentamento dell’economia. Ci è costato, nostro malgrado, qualche milione di franchi (vedi riquadro). In un comunicato stampa abbiamo letto che «da subito l’attenzione si è

«Rispondiamo al desiderio di flessibilità che ci viene richiesto». (P. Rohner) focalizzata sul brand Hotelplan». Cosa significa per i consumatori?

È evidente che il nostro brand più rappresentativo, Hotelplan, è sempre al centro delle nostre attenzioni. Abbiamo investito molto nel restyling delle nostre filiali e del nostro portale www.hotelplan.ch, edito in lingua tedesca e francese. Anche i nostri cataloghi e i portali di Vacances Migros e Globus Voyages sono stati completamente rinnovati. Tutte queste novità verranno presentate nel corso dell’estate, in concomitanza con la programmazione invernale. Globus Voyages ha pubblicato recentemente due cataloghi per le vacanze estive. Diversi tra gli hotel offerti sono già noti alla clientela. Qual è la vostra strategia?

È giunto il momento di dare maggior risalto a Globus Voyages. Finora il brand si era concentrato su viaggi e vacanze esclusivi, così come, ogni due anni, sui giri del mondo. Le brochure «Soley – Balnéaire» racchiudono resort e strut-

ture alberghiere già conosciute e assolute novità, sempre dedicate a un target medio-alto/alto. Globus Voyages offre anche viaggi e destinazioni di tendenza, come ad esempio Barcellona; una città che deve essere venduta non con semplici viaggi «pacchetto» bensì con un’ampia scelta di proposte, esattamente su misura del cliente. Posso chiederle qual è il suo contributo personale all’incremento della cifra d’affari di Hotelplan?

Prima di tutto, facendo in modo che le mie figlie siano appassionate di viaggi. Ogni anno partiamo con l’intera famiglia, almeno fintanto che le nostre figlie vorranno venire con noi. Per la primavera non abbiamo ancora scelto, mentre per l’estate abbiamo già prenotato a Mykonos. Sono un vero fan delle isole greche e mi aspetto vacanze fantastiche. * Redattore di Migros Magazin

Migros: aumento del 4 percento nel trasporto ferroviario Logistica La tutela dell’ambiente è il principale interesse dell’azienda anche in questo importante settore Nel 2013 in Svizzera hanno viaggiato ogni giorno fino a 400 carri ferroviari per Migros – il 4 percento in più rispetto al 2012. Sempre, laddove possibile, l’azienda punta sulla tutela dell’ambiente, trasportando le merci su rotaia. Migros è del resto il principale cliente di FFS Cargo. Dal 2012 al 2013 questa è riuscita ad aumentare sia il numero di carri ferroviari che trasportano la merce per Migros, sia le distanze di trasporto percorse su rotaia. Le distanze percorse nel 2013 con la ferrovia ammontano a 11 milioni di chilometri, pari all’otto percento in più rispetto all’anno precedente. Migros trasporta nel complesso circa la

metà delle merci con la ferrovia, soprattutto sulle lunghe distanze. Per ragioni infrastrutturali, la distribuzione capillare nelle filiali deve invece avvenire con i camion. L’incremento del trasporto ferroviario è riuscito sia nel classico trasporto delle merci tra i centri di distribuzione nazionali e le sedi centrali delle cooperative regionali, sia nella variante di trasporto «traffico combinato». Nel «traffico combinato» le merci vengono trasportate in container e trailer (rimorchi) che percorrono il primo e/o l’ultimo chilometro del tragitto con camion, mentre la lunga distanza su carri ferroviari. Dalle sedi delle cooperative regio-

nali le merci vengono poi caricate su camion, che assicurano la distribuzione capillare nei punti vendita. Per Migros l’ambiente riveste una

grande importanza. Nel quadro del suo programma per la sostenibilità «Generazione M», l’azienda ha perciò formulato anche la promessa seguen-

te: «Promettiamo di restare, in termini di fatturato, il numero uno del commercio al dettaglio per quanto riguarda il trasporto merci su rotaia». Recentemente Migros ha sottoscritto con le FFS un contratto quadro triennale sottolineando così che vuole continuare ad ampliare il suo impegno nel trasporto su rotaia. «Anche per il 2014 ci attendiamo un aumento dei trasporti su ferrovia; da un lato nella distribuzione nazionale e dall’altro anche per le merci acquistate all’estero» dichiara Bernhard Metzger, responsabile logistica e trasporti e membro della Direzione della Federazione delle cooperative Migros (FCM).

Azione Settimanale edito dalla Cooperativa Migros Ticino, fondato nel 1938

Sede Via Pretorio 11 CH-6900 Lugano (TI) Tel 091 922 77 40 fax 091 923 18 89 info@azione.ch www.azione.ch

Editore e amministrazione Cooperativa Migros Ticino CP, 6592 S. Antonino Tel 091 850 81 11

Tiratura 98’654 copie

Redazione Peter Schiesser (redattore responsabile) Barbara Manzoni, Manuela Mazzi, Monica Puffi Poma, Simona Sala, Alessandro Zanoli, Ivan Leoni

Abbonamenti e cambio indirizzi Tel 091 850 82 31 dalle 09.00 alle 11.00 e dalle 14.00 alle 16.00 dal lunedì al venerdì fax 091 850 83 75 registro.soci@MigrosTicino.ch

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Società eTerritorio A qualcuno piacciono i numeri I numeri sono al centro di tutti gli scambi di informazioni e di qualsiasi banale conversazione, eppure nei loro confronti vi è una diffusa avversione

Professione: «youtuber» Youtube non è più solo uno spazio di espressione e creatività, ma sempre più spesso è usato come una vetrina promozionale pagina 6

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Ragazza a Bogotá. (© Ricardo Torres)

A Manno per conoscere la Colombia Filmondo Il Comune propone un’interessante offerta culturale: questa settimana inizia una rassegna organizzata

dall’Associazione InterAgire Sara Rossi Il capo Dicastero Cultura, quando gli si chiede come è nata l’idea di questo piccolo festival, risponde: «Bisogna partire un po’ da lontano». E racconta del Comune di Manno, delle sue risorse fiscali che permettono di realizzare le idee, dalla ristrutturazione della magnifica Casa Porta, dove oggi è insediato il Municipio e la biblioteca, fino alle proposte culturali. Il Dicastero, congiuntamente con i Comuni di Bioggio e Agno, propone tre film, tre spettacoli teatrali e tre concerti l’anno. «A volte è più facile costruire spazi che riempirli di contenuti», spiega Michele Passardi, vice sindaco e capo della Commissione culturale. «Per questo ci siamo uniti per dare ancora più importanza alla varietà, la qualità e l’originalità dell’offerta. Nella sala Aragonite abbiamo invitato Moni Ovadia, lo spettacolo-processo Hamlet e la produzione bellinzonese L’anno della valanga; ad Agno si occupano della musica e Bioggio proietta tre film d’autore. Poi, ognuno di questi comuni ha anche un suo programma indipendente». Manno per esempio si concentra su tre eventi: ogni mese di settembre si può assistere alla presentazione di uno scrit-

tore, seguita da una cena e poi da uno spettacolo; poi ogni anno sceglie un tema su cui ruoteranno tre conferenze (nel 2014 l’avvocato Stefano Bolla, l’ex direttore delle carceri ticinesi Fabrizio Comandini e l’ex parlamentare del Consiglio d’Europa Dick Marty parleranno di giustizia, ognuno dal proprio punto di vista); e infine l’evento su cui ci vogliamo soffermare oggi: Filmondo. «Nasce da un desiderio di vedere che cosa succede nei Paesi lontani», racconta Passardi. Noi mettiamo a disposizione gli spazi, diamo un contributo a un’associazione e ci occupiamo di distribuire la locandina con il programma. La scelta della Ong avviene tramite un concorso che abbiamo indetto con la Fosit (Federazione delle Ong della Svizzera italiana) e al vincitore viene affidata l’organizzazione delle tre serate di Filmondo». L’Ong che vince ha, infatti, il compito di pensare ai contenuti di tre incontri: un venerdì, un sabato e una domenica (anche per famiglie) per presentare un Paese tramite filmati, brevi conferenze, libri, cibo, momenti musicali e così via. L’anno scorso si è svolta la prima edizione sul Nepal, con Kam for Sud Ticino, mentre quest’anno è la volta della Colombia, con l’Associazione InterAgire,

che porterà un’esposizione fotografica, vari film, cortometraggi e documentari, musica, momenti di discussione, libri, buvette e aperitivo-cena. Chiediamo agli organizzatori, Ricardo Torres e Alessia Bonardi, come e che cosa ci presenteranno questo sabato 22, il venerdì 28 e la domenica 30 marzo alla sala Aragonite di Manno. «Io sono nato e cresciuto in Colombia e, insieme ad Alessia, recentemente abbiamo fatto un’esperienza sul posto di due anni tramite Echanger, un’associazione che collabora con InterAgire per sostenere progetti nei Paesi del Sud del mondo con l’invio di volontari qualificati. La Colombia è un Paese bellissimo, variopinto, del quale si sente parlare poco. Proporremo una visione lontana dagli stereotipi, perché vorremmo approfondire discorsi meno conosciuti come la diversità culturale, la musica e le ragioni del conflitto che devasta le zone rurali», spiega il regista e reporter Ricardo Torres. Nei due anni trascorsi a Bogotà, Alessia si è occupata delle persone sfuggite alla guerra e che nella capitale cercavano un aiuto terapeutico per sormontare i traumi subiti, mentre Ricardo girava nelle zone più colpite per raccogliere testimonianze dirette di avvenimenti che

l’informazione ufficiale della nazione cerca di occultare. Entrambi si sono occupati di diritti umani e durante la rassegna a Manno si potranno vedere alcune immagini (fotografie e video) realizzate da loro stessi o dalle associazioni per cui lavoravano. «Del problema della terra, del conflitto armato, della difficoltà di fare giornalismo in certi luoghi “caldi”, parleremo soprattutto venerdì 28 marzo, mentre sabato 22 e domenica 30 marzo i momenti di incontro saranno maggiormente dedicati alla cultura», continua Ricardo. «Sabato presentiamo un film che ha segnato una svolta nel cinema colombiano e che racconta in modo divertente la vita quotidiana tra i disagi sociali che ci sono a Bogotà e di come bisogna essere ingegnosi se si nasce in un posto sfortunato: La estrategia del caracol, che in realtà potrebbe ambientarsi in molti Paesi dell’America Latina, mostra chi per sopravvivere usa lo spirito e il sorriso». A precedere il film c’è la presentazione di Les voy a cantar la historia, un progetto culturale a favore di una comunità contadina che si batte pacificamente per restare nella propria terra, dove una società agricola privata cerca di scacciare gli indigeni per imporre la monocoltura della

palma da olio. Il progetto prevede la realizzazione di un documentario dal titolo Algún día es mañana, in fase di montaggio grazie all’impegno dell’Associazione Rec di Lugano. Conclude Ricardo Torres: «Il terzo incontro è previsto domenica pomeriggio 30 marzo e sarà dedicato alla musica, nostra grande passione, che viviamo e che abbiamo vissuto da vicino anche in Colombia. Ci sarà uno spettacolo che fa un viaggio punteggiato da canzoni, con la compagnia ticinese Sugo d’inchiostro, proietteremo poi un cortometraggio sui rumori, i sapori, gli odori e soprattutto i colori del mercato più grande di Bogotà e poi un film bellissimo, Los viajes del viento, che parla del miscuglio culturale che c’è stato in Colombia, che ha prodotto una musica mista d’Europa e di culture indigene, africane e afro-discendenti». Alle 18.45 ci sarà un aperitivo-cena con ricette colombiane e musica che sfocerà in festa danzante grazie a Dj Juju e Mario Cubillase, percussionista che suonerà dal vivo. Informazioni

www.manno.ch


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Società e Territorio

Ditelo coi numeri

Quotidianità sotto la lente Qualsiasi discussione o informazione finisce sempre

per avere al centro qualche realtà numerica, eppure la creatività matematica e il mondo dei numeri rimangono accessibili solo a una stretta cerchia di studiosi

Massimo Negrotti Nonostante la parola inglese digit significhi «numero» e tutti parlino ormai di tecnologie digitali e persino di civiltà digitale, i numeri, ancora oggi, non godono di grande simpatia.

I numeri e le relative regole di impiego sono onnipresenti nella nostra vita, perché allora tanta diffusa avversione nei loro confronti? La loro «aridità», per esempio, è considerata da molti una verità indiscutibile, forse perché richiama alla mente le fatiche provate nello studio scolastico della matematica, ma anche perché tutto ciò che è numerico sembrerebbe opporsi a ciò che è qualitativo, ineffabile e dunque non quantificabile. In realtà, nessuno può fare a meno, se non dei numeri veri e propri, almeno di espressioni che indichino qualche quantità: chiunque giudichi positivamente un concerto, un film o un paesaggio, dirà qualcosa come «molto bello» oppure, comparandolo ad altri concerti, film o paesaggi, «molto più bello» oppure «meno interessante», e così via. La propensione ad elaborare, comunicare e adottare quantità per decidere un’azione è sicuramente una caratteristica della nostra natura e i numeri non fanno altro che fissare tali quantità, tramite simboli e regole convenzionali, in modo che ci si possa capire con maggiore rapidità e precisione rispetto alle, quelle sì, modeste capacità dei quantificatori linguistici che usiamo. Proviamo ad immaginare la nostra esistenza senza i numeri. Innanzitutto la nostra evoluzione culturale non sarebbe arrivata, nel bene nel male, al punto in cui siamo poiché non avremmo potuto in alcun modo descrivere scientificamente il mondo. Come faremmo, ad esempio, a valutare la velocità dei nostri movimenti o di quelli del vento o di un fiume se non potessimo esprimere questa grandezza per mezzo della misura, numerica, dello spazio e del tempo? Sulla stessa nostra età e, più in generale, sul trascorrere del tempo, non potremmo né fare dichiarazioni né assumere comportamenti di alcun tipo. Dovremmo allora adottare la modalità

Numeri a Wall Street. (Keystone)

del popolo nordamericano degli Hopi i quali, non possedendo un termine linguistico per stabilire lo scandire del tempo, lo riducono allo spazio e così, per fissare un incontro, dicono «ci vediamo al terzo passaggio dei salmoni». Potremmo forse regolarci con la posizione apparente del Sole ma è difficile immaginare un sistema ferroviario di qualche affidabilità su questa base. Senza scienza, del resto, non avremmo nemmeno tecnologia e nemmeno pratiche mediche affidabili dato che, come è noto, la validità di ogni diagnosi e, poi, di ogni terapia, è valutata attraverso un ampio e crescente impiego di tecniche quantitative. Inoltre l’economia, come è stato nell’epoca ancestrale dei baratti, vivrebbe ad un livello assai misero e senza possibilità di sviluppo, senza moneta, quantità per eccellenza, senza misure di produzione e produttività, senza bilanci e senza stipendi. Lo stesso concetto del «fare la spesa», come lo concepiamo da molti secoli, perderebbe ogni significato poiché, senza moneta, potremmo solo scambiare beni in natura, cercando di dare un «valore» non nu-

merico a questo e a quello attraverso estenuanti comparazioni e trattative. Dal benzinaio sarebbe penoso chiedergli «un po’ di benzina» e ancor più complicato pagarla. Pitagora sosteneva una visione geometrica del mondo grazie alla quale poteva definire le cose come numeri e, dunque, il mondo come insieme di numeri. Non diversamente Galileo parla dei numeri, e della geometria, come del linguaggio in cui è scritto il libro della Natura. L’arte stessa, nella sua storia, ha dovuto molto al trattamento numerico dei suoni o della prospettiva e la cosa è ancor più evidente, ovviamente, nell’architettura e nella relativa scienza delle costruzioni. Ma è nella comune vita quotidiana che la rilevanza dei numeri si fa sentire maggiormente. In un notiziario o in un telegiornale standard compare un numero ogni due frasi poiché, che si tratti di un referendum o di una scossa di terremoto, della crisi economica o di un disastro, i numeri sono assolutamente indispensabili per comunicare qualcosa che possa dirsi informazione. Nei bar, nei salotti o negli

scompartimenti ferroviari vale la stessa regola: qualsiasi discussione finisce sempre per vedere al centro qualche realtà numerica, più o meno esatta. Tutto questo per non parlare dei nostri colleghi e i nostri studenti all’università, dove anche i più «umanisti» fra loro hanno ovviamente quaderni, block notes o libretti d’esame pieni voti, di numeri telefonici, codici di accesso, cifre di sicurezza e anche misure, formule, ecc. È inutile dilungarci oltre: i numeri, e le relative regole di impiego, sono onnipresenti nella vita di ognuno. Ma, allora, perché tanta inveterata e diffusa avversione nei loro confronti? La ragione può essere reperita nel fatto che i numeri – e la loro elaborazione – non interessa di per sé se non ai matematici. Ciò che ci interessa in un CD musicale è la musica che esso ci permette di udire e non la serie di qualche miliardo di 0 e di 1 che codificano il suono. Allo stesso modo, ci sono del tutto indifferenti i calcoli ingegneristici effettuati dagli specialisti per costruire l’edificio in cui abitiamo, perché ciò che ci preme è che la casa stia in piedi e lo stes-

sionati come noi, vado in diversi posti a provare l’ebrezza del volo. Di solito preferiamo la vicina Italia, dove ci sono le piste adatte a far decollare degli aerei potenti come i jet che costruiamo. Siamo anche iscritti a un club di appassionati nei pressi di Saronno, una località lombarda tra Varese e Milano. Ci capita però anche di essere invitati da altri club per dei raduni o dei meeting veri e propri. A volte, quando attraversiamo la frontiera, ci capita di essere fermati e interrogati sulle nostre intenzioni. Qualche doganiere crede che vogliamo andare a venderli, per guadagnarci dei soldi, creandoci qualche problema; noi però spieghiamo ogni volta in modo paziente che questo vuole essere solo il nostro divertimento, al quale dedichiamo soltanto tanto impegno e anche un po’ di soldi, e non ci lasciamo intimidire da nessuno.

In queste trasferte oltre confine ho la possibilità di scoprire sempre nuovi aerei, studiarne le caratteristiche, apprezzarne gli sforzi tecnici per realizzarli; ma anche incontrare delle nuove persone, magari dei ragazzi come me, che coltivano gli stessi interessi, almeno per quanto riguarda l’utilizzo del tempo libero. Devo dire che sono uno dei piloti più giovani e ne sono piuttosto fiero. Certo, devo sempre dare il massimo per tenere testa a tutti gli altri ed evitare delle brutte figure, perché basta veramente poco per perdere il controllo del velivolo e fare un piccolo disastro. Il principale problema è il tempo meteorologico. Infatti, quando è brutto tempo, piove o addirittura nevica, ma anche quando c’è solo un po’ troppo vento, non è possibile far volare i modellini, essendo troppo difficile mantenerne un adeguato controllo. E così le

so vale per le decine di piccoli e grandi computer che controllano il volo aereo di cui ci serviamo per raggiungere una certa località e così via. I numeri in se stessi, in effetti, sono il pane quotidiano dei matematici ma, come aveva osservato Henri Poincaré, «…la creatività matematica è un’attività che ha ben poco a che fare con il mondo esterno e in cui la mente sembra lavorare solo per se stessa e su se stessa». Il mondo dei numeri, in definitiva, è un mondo accessibile solo attraverso l’astrazione e quindi affascinante solo per una piccola cerchia di iniziati mentre la concretezza dell’agire e dell’operare sulla realtà spinge la maggioranza di noi a concepire i numeri e la matematica, tuttalpiù, come un male necessario. Alla fine degli anni 50 lo statistico austro-americano Hans Zeisel pubblicava un libro dal titolo Ditelo coi numeri destinato ai ricercatori sociali. Certo è che, se il suo invito fosse rivolto ad un pubblico indefinito, le nostre città, le nostre case e i nostri mass-media sarebbero avvolti da un silenzio pressoché generale.

I ragazzi si raccontano di Alessandro Gilardi Una passione chiamata aeromodellismo

Ve lo svelo subito, senza giri di parole: la mia passione è l’aeromodellismo. Anche se non finisce regolarmente sulle prime pagine dei giornali e i suoi protagonisti non sono famosi, è un’attività piuttosto diffusa e da qualche tempo considerata uno sport; ma soprattutto è veramente molto affascinante. Vorrei raccontarvela, così come la vivo io, sperando di riuscire a trasmettervi almeno un po’ del mio entusiasmo. Ho iniziato a fare aeromodellismo all’età di cinque anni, quando non andavo ancora alle scuole elementari, facendo volare assieme a mio papà dei modesti aerei costruiti con il polistirolo, in modo da non fare troppi danni in caso di guai. Adesso ho tredici anni, frequento la seconda media a Vira Gambarogno e metto in volo dei modelli in

scala di aeroplani piuttosto elaborati. Se le prime esperienze erano soprattutto dedicate a prendere confidenza con il controllo del delicato momento del volo, ora costruisco da zero, sempre assieme a mio papà, dei modellini di aeroplani, di solito dei jet, dotati di un motore a reazione, per poi collaudarli e alla fine farli volare su in cielo. Il momento più affascinante, che fa proprio venire i brividi, è vedere un proprio modellino, costruito dall’inizio alla fine con grande pazienza e attenzione ai dettagli tecnici, spiccare il volo e restare sospeso in aria, quasi come per miracolo. Devo dire che l’aeromodellismo occupa non poco tempo nella mia vita. Gli dedico diverse serate durante la settimana, di solito al termine della scuola e dei sempre dovuti compiti. E poi quasi ogni week-end, sempre assieme a mio papà e, ogni tanto, a degli amici appas-

giornate adatte a praticare l’aeromodellismo non sono tante e cerchiamo sempre di gustarcele al massimo. Certe volte, in particolare durante i mesi estivi, oltre che a divertirci con i jet, mandiamo in cielo anche degli alianti. Se personalmente preferisco la potenza dei jet, è comunque anche divertente maneggiare gli alianti, in particolare perché bisogna andare in alta quota, in mezzo alle nostre bellissime montagne, per trovare le condizioni climatiche più adeguate per farli volare e scendere lentamente verso valle. Ecco, questa è la mia passione, questo è l’aeromodellismo. Spero solo che possa restare il mio hobby ancora per molto e molto tempo. Testi corretti dal professor Gian Franco Pordenone


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Società e Territorio

Youtube e videogiochi: una storia d’amore

Il ricordo del nonno in un detto

Web Popolata dai gamer fin dagli esordi la piattaforma video più famosa sta diventando

una vetrina più che uno spazio d’espressione

la vita e la morte nel mondo contadino

Filippo Zanoli

Emilio Magni

La tv è morta, questa è l’era di Youtube. Uno slogan più volte ventilato ma, in effetti, realizzatosi solo in parte. Certo è che la piattaforma video di Google è sempre più rilevante a livello socio-culturale, soprattutto per quanto riguarda le fasce più giovani che con facilità vi pubblicano video, condividono esperienze e ascoltano/guardano musica.

Girovagando per quel che è rimasto delle campagne e delle cascine contadine alla ricerca di qualche miracolosamente sopravvissuta immagine del mondo rurale, qualche giorno fa in un dolce e soleggiato pomeriggio mi sono trovato davanti, all’improvviso, una coppia di vecchi, un uomo e una donna, che mi hanno riempito di emozioni forti. Nell’uomo ho rivisto mio nonno, vecchio e saggio contadino brianzolo andatosene vecchissimo, tanti anni fa. Chissà per quale gioco del destino, o per quale coincidenza di astri negli spazi siderali, quel pomeriggio era la seconda volta che mi tornava in mente mio nonno. La prima fu il mattino al canton di ball, all’angolo della piazza principale, un signore, parlando, ha tirato fuori un modo di dire che il nonno diceva talvolta. Gli amici che al canton si fermano a «contarla su», quella mattina hanno avuto la bella sorpresa di vedere ricomparire, dopo mesi di «latitanza», il Giovanni Tresoldi, detto Giuanin drughée, perché, fino a una decina di anni fa, titolare di una di quelle belle drogherie che vendevano di tutto e profumavano di spezie orientali. Subito si è alzato un coro di compiaciute e allegre battute di benvenuto, accompagnate da domande sulla ragione di tale prolungata assenza. Quando finalmente el Giuanin ha potuto dare una risposta, è stato lapidario: «Seri püssée de là che de scià». Sono bastate poche parole per spiegare che era stato gravemente malato, che era stato ricoverato in ospedale, che l’aveva vista brutta e che quasi se ne stava andando all’altro mondo, ovvero «di là». Però ha avuto dalla sua la fortuna e quindi è restato «di qua».

L’anima creativa e spontanea di Youtube ultimamente è stata intaccata da alcuni piccoli scandali Youtube è essenziale anche per i gamer che sin dagli esordi hanno imparato ad utilizzarlo in modi diversi, folli e anche creativi. Si va dalle semplici guide e recensioni a prodotti più complessi, come cortometraggi o serie tv che fanno della passione per il videogiocare il loro fulcro. Proprio qui, tra l’altro, sono anche nate le prime vere grandi celebrità videoludiche in carne ed ossa. James Rolfe, look occhialuto da studente del «poli» e conosciuto con il nickname JamesNintendoNerd, è forse il primo di quella che poi sarebbe diventata quasi una stirpe. Laureato in cinema, nel 2005 inizia scherzosamente a postare recensioni demenziali di brutti giochi del passato. Un innocuo passatempo per esercitare le sue doti registiche e divertirsi omaggiando alcuni dei titoli della sua infanzia. Dieci anni dopo, Rolfe, propone ancora le sue avventure ma per lavoro. È stato il sostegno dei fan che, a suon di click e merchandising sono riusciti a garantirgli una carriera florida. Attualmente il ragazzo ha in cantiere un lungometraggio, girato sempre grazie al finanziamento dei fan, che dovrebbe vedere la luce proprio quest’anno. Altra celebrità web tipicamente nerd è nientepopodimeno che una ragazza (e pure carina) di nome Felicia Day. Aspirante attrice e appassionata di

Il cast di The Guild con al centro Felicia Day.

videogiochi, dopo alcune comparsate televisive sfonda grazie al web con la sitcom The Guild che racconta le gesta di un gruppo di videogiocatori. Trasmessa perlopiù su Youtube diventa un vero e proprio hit da milioni e milioni di spettatori. Ed è solo il trampolino di lancio per Felicia che comincia una vera e propria carriera sul sottile confine fra fiction e videogame. Due personalità, Rolfe e Day, che hanno insegnato agli amanti dei videogame che Youtube può essere un canale attraverso il quale comunicare ed esprimersi, condividendo le proprie esperienze e passioni, in modi e forme diverse. E proprio questa anima creativa e spontanea è stata un po’ intaccata quando, recentemente, è venuto alla luce una sorta di mini-scandalo riguardante Microsoft e il portale di film videoludici sul web Machinima. Quest’ultimo avrebbe offerto pubblicamente soldi a tutti gli utenti che avrebbero parlato bene della

nuova Xbox One offrendo dei bonus in moneta sonante in base alla popolarità della trasmissione. In poco tempo la notizia ha generato una sorta di tornado in rete. Microsoft e Machinima hanno affermato che si tratta di un «semplice piano promozionale» eppure a molti è sembrato piuttosto un innovativo incrocio fra pubblicità occulta e giornalismo ingannevole. Come conferma un’altra semi-celebrità di Youtube, Boogie, tramite un video postato sul suo canale, questo tipo di accordi è purtroppo la pura e semplice normalità per molti «youtuber» che spesso vengono avvicinati dalle aziende in cerca di «canali alternativi» di marketing. Le quote offerte sono di pochi dollari per ogni migliaia di views. Parrebbero spiccioli, ma possono fare la differenza quando si riesce a totalizzare qualche milione di visite. Ne sa qualcosa proprio Boogie che con Youtube si è ricostruito una vita. Grazie al suo

ironico e folle personaggio conosciuto come Francis riesce a pagare affitto e bollette ed è riuscito a scampare ad una situazione personale e familiare che definire complicata sarebbe eufemistico. In questo senso non è un caso che nemmeno lui finisca per sbottonarsi troppo sulla questione, considerando che è stato invitato da Sony a provare in anteprima (filmata) la nuova Playstation 4. Ovviamente spese di viaggio ed alloggio coperte, e chissà cos’altro. Alla faccia della chiarezza. Insomma se lo «youtuber» in futuro diventerà una professione è senz’altro necessario che in qualche modo venga regolamentata (sempre che ciò sia possibile), affinché sia sempre chiaro che cosa si stia guardando. «Scandali» come questi finiscono per ledere chi utilizza la piattaforma video più famosa del web per fini puramente espressivi. Ed è un impoverimento che lo scenario culturale 2.0 non si merita assolutamente.

Un paese dei balocchi viaggia per il Ticino Giocolandia Dopo il grande successo di pubblico ottenuto, ritorna per il sesto anno

consecutivo il villaggio itinerante dedicato ai bambini e alle loro famiglie La nuova edizione di Giocolandia vuole riunire bambini e ragazzi fino ai 10-12 anni insieme alle loro famiglie al completo, con l’obiettivo di trasmettere un messaggio positivo di divertimento e benessere vissuto durante il tempo libero. L’iniziativa coinvolgerà e farà giocare il maggior numero di bimbi possibile con numerose attrazioni. Gli spazi pubblici che saranno animati da «Giocoloandia – Il Paese dei Balocchi», si ve-

Tutte le date ■ Mendrisio, Mercato coperto 22 e 23 marzo 2014. ■ Giubiasco, Mercato coperto 29 e 30 marzo 2014. ■ Biasca, Pista del ghiaccio 5 e 6 aprile 2014. ■ Locarno, Palazzetto Fevi 12 e 13 aprile 2014. ■ Lugano, Pista Reseghina 10 e 11 maggio 2014.

dranno trasformati grazie a spettacoli teatrali e circensi, show di magia, animazioni, spettacoli e atelier di gioco e disegno e a numerose attività di movimento quali trampolini, castelli gonfiabili, pareti per l’arrampicata e cavalcate con i pony, il tutto per la felicità dei numerosi partecipanti. Giocolandia intraprende un vero e proprio «tour» ticinese, che andrà a toccare diversi spazi: il mercato coperto di Mendrisio e di Giubiasco, le piste del ghiaccio di Biasca e Lugano e il palazzetto Fevi di Locarno, sempre con lo stesso orario: il sabato e la domenica dalle 13 alle 18 (vedi calendario nello schema qui accanto). Ad ogni tappa della tournée sarà presente lo stand Famigros che offrirà la possibilità oltre che di giocare e vincere simpatici premi, anche di iscriversi gratuitamente (bastano 5 minuti) al Club per le famiglie di Migros (info:www.famigros.ch). Giocolandia sarà un’occasione di collaborazione attiva e di scambio di informazioni con varie società sportive attive su tutto il territorio del Cantone,

saranno inoltre presenti alcune associazioni che promuovono interessanti attività legate alla tutela dei bambini e delle famiglie. Durante tutte le tappe della manifestazione i volontari e gli operatori

dell’«Ospedale del giocattolo» si metteranno a disposizione per aggiustare i vecchi giochi usati e anche per raccogliere quelli che non vengono più utilizzati. Lo scopo di questa presenza e raccolta sarà quello di ridistribuire il tutto a famiglie in difficoltà, donando il piacere di giocare e un sorriso grazie al contatto creato con un giocattolo. L’accesso ai luoghi della manifestazione e la partecipazione a tutti gli spettacoli previsti sul palco di Giocolandia sono liberi. Acquistando sul posto la speciale «bimbo card» al prezzo di soli 5 franchi, i piccoli ospiti riceveranno una bibita Rivella ed avranno, in più, la possibilità di accedere a tutte le animazioni presenti nel villaggio. Inoltre, ogni partecipante potrà vincere un fantastico fine settimana per tutta la famiglia nella Disneyland di Parigi. Informazioni più dettagliate sono ottenibili sul sito www.giocolandia.ch. Giocolandia, dal 22 marzo all’11 maggio in diverse località

Dialetto Essere tra

Con il suo «seri püssée de là che de scià» el Giuanin rispolvera uno dei più classici modi di dire dialettali La colorita, quanto consolante espressione adoperata dal Giuanin drughée è uno dei più classici modi di dire di cui è ricco il dialetto milanese e che era adoperato a piene mani nel mondo contadino. Tante volte però il significato dell’affermazione del «püssée de là che de scià» non era così rassicurante come quello che ha voluto sottintendere el Giuanin. Spesso infatti la locuzione vernacola voleva dire che la persona, alla quale si faceva riferimento, era ormai in condizioni così gravi da essere più vicina alla morte («de là»), che alla vita («de scià»). Era insomma in un punto oltre quella fatale, ineluttabile demarcazione tra lo stare bene e lo stare male, tra la speranza e la sconfitta di ogni illusione, insomma tra la vita e la morte. I contadini usavano questa espressione in particolare quando qualcuno se ne stava andando. Ed ecco che, quel mattino, è tornato il ricordo di quando morì mia nonna, grande «resgiura». Al nonno che era sulla porta della stanza da letto dove giaceva sua moglie, chiedemmo: «E la nona...?». «L’è püssée de là che de scià», rispose allargando le braccia con fare rassegnato. Aggiunse: «Preghì per lè». Qualcuno azzardò: «La suffréss». «No, anca l’anima ormai l’è da là». Il pomeriggio davanti a quel vecchio mi venne il desiderio di chiedergli di parlare in dialetto.



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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

Società e Territorio

«Tra me e l’eroina, mia madre ha scelto l’eroina» Intervista Michelle Halbheer, cresciuta negli anni Novanta a Zurigo, ai tempi del Platzspitz e del Letten,

racconta in un libro cosa ha significato crescere con una madre eroinomane Luca Beti Incontriamo Michelle Halbheer alla Limmatplatz, a un tiro di schioppo dal Letten, da quel brandello di terra sul quale all’inizio degli anni Novanta si consumarono migliaia di drammi umani. Anche quello di sua madre. Dandoci appuntamento lì, pare abbia voluto riconciliarsi con un luogo che le ricorda l’orrore osservato in compagnia di suo padre quasi venti anni prima. «Una sera, mio papà mi portò con sé in una delle sue innumerevoli ricerche di mia madre. Sospesa quasi nel vuoto sopra il Letten, vidi scene che mi sconvolsero profondamente: figure cenciose si conficcavano aghi nelle braccia, altre osservavano inebetite il fuoco, due corpi inermi, uno di uomo l’altro di donna, accartocciati nella sporcizia, erano percorsi da due ratti. Quando alzai lo sguardo su mio padre, il suo viso era solcato dalle lacrime. Con la voce soffocata dalla tristezza, mi fece promettere che mi sarei sempre confidata con lui semmai la tentazione di provare avesse avuto il sopravvento. Glielo promisi. Avevo nove anni. Quella fu certamente una discutibile strategia educativa che forse però mi ha salvato la vita», ricorda la giovane donna. Oggi di fronte a noi c’è una giovane donna di 28 anni, intelligente, saggia, delicata e dalla volontà di ferro. Michelle Halbheer – in collaborazione con la giornalista Franziska K. Müller – ha deciso di pubblicare la sua storia. Platzspitzbaby è la biografia di una bambina cresciuta con una madre eroinomane. Il libro ripercorre l’infanzia e l’adolescenza di una figlia della scena aperta della droga a Zurigo. È un racconto straziante, ma anche una denuncia, un j’accuse nei confronti di un sistema assistenziale che sacrificò una bambina indifesa nel tentativo di strappare la madre all’eroina. Le ultime frasi del libro sono dedicate a sua madre. Descrive il piccolo appartamento in cui vive ora, la foto di voi due abbracciate e sorridenti. Non c’è traccia di rancore. Eppure avrebbe mille ragioni per odiare sua madre.

Nel corso degli anni ho imparato che l’odio mi lascia senza energia, mi svuota completamente. Se provo rabbia, tento di proiettare questo sentimento sulla droga e non sulla persona. L’intenso dolore che ho provato a tredici anni quando mia madre è quasi morta dopo essere finita sotto un treno mi ha fatto capire che per lei provo un forte attaccamento, un amore incondizionato nonostante la sua dipendenza dall’eroina. Ho capito che non era lei che odiavo, ma la droga. Senza l’eroina, lei sarebbe una persona stupenda, una mamma amorevole. Sua madre, però, tra l’amore per lei e quello per la droga, ha sempre scelto la droga.

Sì, è vero. Mia madre ha sempre preferito l’eroina a me. L’amore artificiale che si regalava bucandosi non le costava fatica. Quando stava male, quando si trovava a terra, mia madre era vuota dentro, le mancava l’energia necessaria per donare amore ai suoi cari. Lei preferiva comprarsi l’amore della droga. Non so, e probabilmente non lo saprò mai, se non ha voluto o era semplicemente incapace di offrire amore agli altri. Nei primi anni di vita, lei ha conosciuto una madre amorevole, una donna splendida che viveva per la sua famiglia.

Quando sono venuta al mondo, mia madre era pulita. Non si bucava più. Mio padre pensava fosse felice della vita che stava conducendo e sperava di aver vinto definitivamente la sua battaglia contro la droga. Ma poi, dopo tre o quattro anni, mia mamma ha iniziato a essere infelice perché la vita da casalinga le era venuta a noia: voleva assolutamente lavorare. In quel momento ci siamo accorti che stava cambiando. Ancora oggi ci chiediamo quale episodio abbia sconvolto la sua vita e l’abbia fatta cadere nuovamente nell’abisso della droga. Forse non voleva essere la madre che bada agli altri, ma rimanere la bambina che tutti vezzeggiano e coprono di coccole. Fino a quel momento, la vostra famiglia aveva condotto una vita normale. Le foto nel suo album di fotografie lo ricordano. Poi, la situazione è precipitata a causa di una serie di eventi tragici: la diagnosi positiva all’AIDS, l’aborto. Tra i cinque e i sette anni, sua madre è cambiata completamente.

Sì, quando avevo sette anni poco o nulla ricordava ancora la madre affettuosa e premurosa di prima. Era di nuovo finita nelle grinfie dell’eroina. Un episodio, in particolare, ha dato la spallata decisiva alla nostra vita, facendola ruzzolare verso il baratro. Un giorno ho trovato giocando il coperchio dell’ago di una siringa. È stato un ritrovamento gravido di conseguenze. Dopo essere stata scoperta, mia madre invece di giustificarsi, di chiedere aiuto, ha iniziato a uscire di giorno per andare a farsi la sua dose a Zurigo, sapendo che di notte mio padre sarebbe andato a riprenderla. Lei parla di un episodio gravido di conseguenze per lei. Quali?

Ho iniziato a chiudermi in me stessa. Vedendo mia madre in difficoltà, non le volevo creare altri problemi. Poi, ho iniziato a staccarmi fisicamente da lei. Non volevo più abbracciarla perché il suo profumo era stato sostituito da uno strano odore, quello dell’eroina. La evi-

L’autrice del libro: «Ho capito che non odiavo mia madre, ma la droga; senza, lei sarebbe stupenda». (Gianni Pisano)

tavo perché avevo paura delle sue percosse che mi infliggeva con sempre maggiore frequenza. Anche il rapporto con mio padre è cambiato. A lui non potevo confidare nulla, né delle botte che ricevevo né delle cose che osservavo durante la sua assenza. «Guai a te se racconti qualcosa al papà», mi ammoniva mia madre. All’età di sette anni, rimanevo per ore davanti alla finestra a riflettere sulla vita per capire ciò che stava avvenendo attorno a me. Cercavo le risposte ai mutevoli stati d’umore di mia madre, ai suoi comportamenti collerici e irrazionali. Quando sua madre chiede la separazione e ottiene l’affidamento – una decisione oggi incomprensibile – per lei inizia il martirio, durato circa

Il j’accuse di Michelle Halbheer «Una domenica torno a casa. Nell’appartamento c’è sporcizia e disordine ovunque. Su un tavolo ci sono lettere d’addio per me e per Andreas. Le pareti sono schizzate di sangue», racconta Michelle Halbheer nella sua biografia. «Vorrei fuggire, ma poi trovo mia madre priva di sensi, con l’ago della siringa ancora infilato nel braccio e le punta delle dita e le labbra violacee. È lì davanti a me come una bambola rotta, gli occhi rovesciati all’indietro e semiaperti. Pochi istanti dopo arrivano il personale sanitario, il medico e la polizia. Dopo un’iniezione di adrenalina, mia madre si risveglia e si trasforma in una furia. Bestemmia contro chi le ha salvato la vita, lancia contro di loro tutto ciò che trova, mi prende con forza per un braccio e mi trascina in bagno, dove chiude la porta dietro di sé. Di fronte a tale rabbia, polizia, medico e sanitari se ne vanno senza proferire parola. Mia madre mi riempie di botte. Dai 10 ai 13 anni di età vivo in questo inferno, senza che qualcuno passi a vedere come sto, nessuno viene a salvarmi». Stando alle statistiche del personale che lavora nell’ambito della cura e dell’assistenza delle persone dipendenti dalle droghe, in Svizzera vivono

attualmente più di 4000 bambini in famiglie in cui almeno uno dei genitori consuma sostanze stupefacenti pesanti. Si tratta di una stima approssimativa poiché non ci sono dati ufficiali e questa cifra è probabilmente solo la punta dell’iceberg dei casi reali. «I figli della droga» sono abbandonati a loro stessi perché considerati il migliore strumento terapeutico per strappare le madri o i padri dalle grinfie della droga. Per Michelle Halbheer questa terapia è durata tre anni. È stato un martirio che le è costato innumerevoli ematomi causati dalle botte, inflittele dalla madre, un grave sottopeso, un vissuto terribile e impossibile da dimenticare. Ora, a 28 anni, ha deciso di rendere pubblica la sua storia per evitare che altri bambini debbano vivere il suo stesso terribile destino. «Il mio sogno è di lavorare a tempo parziale in una struttura protetta per i genitori tossicodipendenti e i loro figli. Io vorrei assistere questi bambini. Credo che per loro sarebbe molto importante poter contare sull’aiuto di una persona che intuisce immediatamente ciò che provano, qual è il loro stato d’animo e che sa che cosa fare per aiutarli. Un tempo, io ero una di loro».

tre anni. Così, all’età di 9 anni e mezzo è abbandonata a se stessa. Nessuno la protegge dagli attacchi d’ira di sua madre, le prepara da mangiare, le regala un po’ di calore umano.

Ricordo come se fosse ieri il giorno in cui mio padre, dopo avermi fatto ciao con la mano, ha chiuso la porta di casa. Io sono rimasta per strada con mia madre e in quel momento ho capito che nulla sarebbe stato più come prima. In quel momento ho patito il peggiore mal d’amore della mia vita. Tre giorni dopo ho provato per la prima volta che cosa significasse avere fame. Nel nuovo appartamento non c’era mai nulla da mangiare. Per fortuna, una vicina di casa israeliana mi invitava a sedere alla sua tavola. E poi le botte, inattese e improvvise di mia madre. Da una parte lei mi diceva che mi voleva bene, dall’altra mi picchiava continuamente. Finché aveva soldi a sufficienza per procurarsi le sue dosi, tutto andava abbastanza bene, ma appena il denaro finiva, per me cominciava l’orrore. Vedendo mia madre soffrire, avrei voluto aiutarla, starle vicino. Invece, lei mi rifiutava, non mi voleva, soprattutto quando stava male. Questa dicotomia di sentimenti prorompeva in litigi violenti. A undici anni ho iniziato a uscire di casa per trascorrere le serate con amici molto più vecchi di me. Nel gruppo cercavo quel calore umano che mia madre non sapeva darmi. Ho avuto il mio primo moroso, fumavo e spinellavo. Ho iniziato a rubare per conquistarmi l’amore della mia mamma. Nonostante tutto non è andata a fondo. È riuscita a salvarsi. Sembra quasi un miracolo viste le condizioni in cui è cresciuta. Come ha fatto?

A salvarmi è stata la fortuna e la mia grande forza di volontà. È stata la fortuna a salvarmi da un’intossicazione alimentare. Se il ricovero in ospedale fosse avvenuto alcune ore dopo, sarei sicuramente morta per disidratazione. È stata la fortuna a evitare che le botte di mia madre non mi provocassero danni irreparabili. Inoltre, mio padre mi ha insegnato che dovevo lottare per ottenere ciò che volevo, che potevo piangere dopo essere

finita a terra, ma che dovevo rialzarmi e continuare a combattere. Non so spiegare questa mia resilienza, questa mia capacità di affrontare le avversità della vita, uscendone addirittura più forte di prima. Poi ci sono state alcune persone che mi hanno sostenuto, come il venditore alla pompa di benzina da cui andavo a prendere da mangiare, lasciando che fosse mio padre a saldare il conto alla fine del mese. Oppure l’insegnante che ha chiuso un occhio di fronte ai compiti non fatti, dopo avermi scoperto con la sigaretta in bocca sul piazzale scolastico. A salvarmi è stato anche l’amore che provo per me stessa, per la mia persona. Io mi voglio troppo bene per finire male, per fare la fine di mia madre. E proprio i suoi occhi, iniettati di astio, li ho visti una notte riflessi nello specchio. Dopo essermi ubriacata per addormentarmi, ho rivisto mia madre in me e mi sono subito detta che non l’alcol poteva risolvere i miei problemi, ma che dovevo prendere io in mano le redini della mia vita. Nella sua biografia Platzspitzbaby ripercorre la sua infanzia e adolescenza. Ora di fronte a me c’è una donna matura, con un’esperienza di vita che l’ha fatta crescere troppo in fretta. Che n’è stato di quella bambina?

Proprio oggi, in treno, ho ripensato a quella bambina del libro. Mi sono resa conto che quella ragazzina vive ancora in me, soprattutto i fine di settimana, quando cammino o corro spensierata nel bosco, quando sono piena di meraviglia allo zoo oppure quando mi diverto con gli amici. Per me è importante vivere ancora attimi d’infanzia per recuperare parte del tempo perduto. Tuttavia, lascio emergere la Michelle di dieci anni solo in particolari momenti, quando quella ragazzina non può essere ferita. La «Platzspitzbaby» c’è ancora ed io mi prendo molto cura di lei. Bibliografia

Michelle Halbheer: Platzspitzbaby – Meine Mutter, ihre Drogen und ich, scritto da Franziska K. Müller, edito da Wörterseh Gockhausen 2013, 224 pagine, ISBN: 978-3-03763-035-8


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Società e Territorio Rubriche

Lo specchio dei tempi di Franco Zambelloni Donne (e uomini) in festa Anche se in ritardo rispetto all’8 marzo, forse sono ancora in tempo per unirmi ai festeggiamenti. Come ogni anno, in questa occasione, ho seguito dibattiti sulla millenaria subordinazione della donna all’uomo e sulla ricorrente questione se vi siano differenze attitudinali d’origine genetica tra maschio e femmina, o se invece le inclinazioni, le attitudini, le scelte di vita siano determinate dalla cultura del tempo. Come ogni anno, ho letto di ricerche scientifiche che attestano potenziali moderatamente diversi per quanto riguarda le predisposizioni etiche, o le competenze linguistiche, o i procedimenti logici; e, per contro, ho letto le perentorie affermazioni di psicologhe e sociologhe che negano assolutamente qualsiasi differenza – lasciando semmai qualche margine di probabilità a una possibile superiorità mentale delle donne. Così, nell’incertezza delle conclusioni scientifiche e sociologiche, non

posso che affidarmi a quel che so con certezza: so che ci sono donne come la Yourcenar che hanno scritto romanzi di gran lunga più belli di quelli di tanti autori maschi; che ci sono pittrici come Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo di maggior valore di un sacco di pittori loro contemporanei; che ci sono donne di scienza come Margherita Hack e Rita Levi-Montalcini che sicuramente non sono inferiori a molti loro colleghi scienziati, anzi… Dunque, per quanto riguarda la superiorità o l’inferiorità di talenti tra i sessi, per me il problema si chiude qui. Diversa è, invece, la questione dei condizionamenti socio-culturali. È indubbio che le culture del passato, almeno fin dove giunge la storia, fossero maschiliste: di conseguenza i codici di comportamento non solo stabilivano i ruoli, ma li ancoravano a gerarchie di valore. Platone, nel Timeo, ricorreva a un mito: il genos femminile compare per se-

condo e si forma a partire dalle anime degli uomini privi di giustizia e di temperanza. Non diversamente il cristianesimo: San Giovanni Crisostomo, ad esempio, scriveva: «La donna è nata da una costola di traverso e dunque tutto il suo spirito si è trovato naturalmente inclinato al male e alla violenza». La storia di Eva ha condizionato e giustificato la misoginia occidentale, decretando l’inferiorità e la subordinazione della donna all’uomo sancita dalle Scritture. Ma quelle del passato erano società gerarchiche: il re era superiore ai nobili, i nobili alla plebe, il prete al laico, l’uomo alla donna. Poi la democrazia e il riconoscimento di diritti universali hanno modificato non solo la struttura socio-politica delle società occidentali, ma anche i ruoli e i codici di comportamento. Sicché essere uomo o donna, al di là della conformazione biologica, dipende dalla cultura del tempo. Come diceva un’altra donna straordinaria –

Simone De Beauvoir – «donne si diventa». Anche uomini. Si cresce – maschio o femmina – assimilando i modelli che una società propone o impone. Il tempo nostro tende a proporre modelli indifferenziati (o a non proporne affatto). Forse questo giova alla graduale realizzazione della parità dei diritti, ma condivido un dubbio che proprio la De Beauvoir esprimeva mentre conduceva la sua battaglia per la parità: «Che cosa perdiamo se vinciamo?» – si chiedeva. Pensava alle tradizionali cortesie, ai rituali di corteggiamento, alla galanteria maschile, a tutto quel che di bello la differenza tra i sessi aveva suggerito e che rischiava di dileguare. E che poi è dileguato. La scomparsa o l’affievolirsi della disparità tra i sessi ha comportato anche l’indistinzione di comportamenti. Ma un conto è la diseguaglianza, altro la differenza: se la prima va sepolta

nel passato, la seconda dovrebbe forse sopravvivere, in forme diverse. Il genere umano sopporta male quel che è indifferenziato, ne prova monotonia e noia. Comportamenti diversi secondo il genere possono costituire un motivo di fascino: è la differenza che attrae, non l’invarianza. Voglio rendere ancora omaggio a Simone De Beauvoir ricorrendo al suo aiuto. Nel 1975, mentre si batteva per la parità, scriveva: «A nessuna donna dovrebbe essere permesso di restare a casa ad allevare i figli. La società dovrebbe essere completamente diversa. Le donne non dovrebbero avere quella scelta: se c’è una scelta del genere, la faranno in troppe». La sottile ironia paradossale con la quale la scrittrice difendeva e insieme relativizzava l’eguaglianza uomodonna conferma, ancora una volta, che non esiste una disparità di talenti tra maschio e femmina.

graffitisti newyorkesi. Ad ogni modo, l’indirizzo di questo quasi mio coetaneo spirito acquatico nebulizzato in spray nero è Schönberggasse 9. Una breve via d’indole esclusivamente universitaria che nasce e scorre parallela alla Rämistrasse, dove ha sede, poco distante, oltre all’Unispital, il celebre poli di Zurigo. Per evitare il giro della Lüzzina appena fatto – benché rallegrato da mughetti e crocus che spuntano nei giardini minimi di vecchie case con bovindi – prendete come punto di partenza, la fermata del tram Neumarkt, linea tre. A due passi dal Kunsthaus, tra l’altro. Varcate il cancello accanto al Palais Rechberg (1759), ed eccovi in un favoloso angolo poco noto di Zurigo, dall’aspetto parigino: il Rechberg-Garten. Un giardino barocco dal 1839 al 1866 proprietà della famiglia Schulthess von Rechberg, e dal 1899, dell’Università. A fianco dell’orangerie salite le scale e nel parterre terrazzato in alto, dove dalla

primavera dell’anno scorso c’è un nuovo frutteto, potete già scorgere, lassù, contro il beton, la linea ondivaga di rivolta. Un tratto sul crinale erboso della collinetta con vista su tetti e campanili zwingliani della città vecchia, ed il mio vagabondaggio approda, una fine mattina alle idi di marzo, in faccia all’ondina dello sprayer di Zurigo (443 m). La figura ondeggiante è situata sul retro dell’istituto di fisica ai tempi del graffito, ora sede del Deutsches Seminar. La vetrata d’angolo mostra la biblioteca nel seminterrato. La linea-zampa di gallina stilizzata, sale all’altezza delle aule 024-029. Sul beton si notano appena, le tracce qua e là, di un nuovo strato grigio per ripulire l’opera dalle numerose tag invasive. L’Ondina di Naegeli è stata infatti oggetto di un restauro conservativo finito nell’ottobre 2005; voluto dalla Baudirektion del Canton Zurigo: l’illegalità di questo scarabocchio soave è ormai sdoganata. Comunque, meglio così. La

sua forza ammaliante, credo, è nell’esecuzione selvaggia in un tratto solo, senza stacchi. Ma anche nella postura sbilenca e sbilanciata di questa specie di sirena che ricorda molto la breakdance. «Pluto» la chiama il giardiniere nano dell’uni, di nome Mungo, che parla un misto di dialetto irpino e schwyzerdütsch; è per via delle due ciocche-gocce di capelli ai lati, che in effetti, sembrano orecchie da cocker. Eppure, in realtà, a guardarla bene, siamo più nella sfera del sogno che dei cani o dei fumetti. Come ha scritto, in un testo sui graffiti del 1990, il professore di psicologia e giornalista Dino Origlia: «un sogno che esce graffiando un muro». Più di vent’anni ci ho messo, per arrivare qui, davanti al ritratto stringato di questa sirena-fata fatta di spray in pochi secondi. Di colpo, lo sprayer di Zurigo, classe 1939, mi ricorda quel raccontino zen dove uno ci mette dieci anni a disegnare un granchio perfetto, con un solo gesto.

tuazione reale, da far conoscere, senza però esasperarne la portata in termini catastrofici. Ed è, invece, quel che sta avvenendo. Si assumono atteggiamenti aggressivi e insieme lamentosi da vittime di una congiura di palazzo. Come dire Berna ce l’ha con noi, Berna non ci ascolta, non ci capisce. E allora si auspicano rimedi fantasiosi o estremi: un non ben chiaro «statuto speciale» per una regione svizzera sì, ma a modo suo, o addirittura l’indipendenza politica da una Confederazione, di cui ci si sente sudditi e non cittadini. Niente di veramente nuovo in tutto ciò. Anzi si riesuma un vecchio fantasma: le rivendicazioni ticinesi a Berna, diventate persino proverbiali, il simbolo di richieste legittime o campate in aria. Dietro le quali si ritrovano proprio i malumori e i timori di una minoranza che si sente assediata. A minacciare l’integrità linguistica e culturale del Cantone erano stati, nell’ultimo dopoguerra, gli svizzeri-tedeschi e i germanici, spesso anziani benestanti, che si erano stabiliti sulle rive dei nostri laghi

o nelle valli. Di fronte a quest’invasione si corse ai ripari, istituendo nel 1959 un «Comitato d’azione per la difesa del Ticino», sigla DDT. «Di buon auspicio», come doveva commentare Guido Calgari, figura di ticinese e confederato, a suo modo esemplare. Con lucidità aveva riconosciuto la necessità di reagire a quell’invasione germanofona, di cui, però, responsabili erano i ticinesi stessi: «Che stavano vendendo, o svendendo, il loro Paese». Ora, cambiano i protagonisti, ma c’è sempre un intruso di turno, il pensionato tedesco di ieri e, adesso, il frontaliero lombardo o il nuovo ricco russo. Ma c’è sempre, ovviamente, un ticinese, cittadino privato, imprenditore, o quant’altro, che lo accoglie perché gli serve o ne ricava un tornaconto. Ogni rapporto implica, inevitabilmente, due parti in causa. Anche fra Ticino e Berna, la disattenzione e l’insensibilità sono reciproche. La capitale sembra lontana per motivi oggettivi: è la sede di un potere e di un’autorità che possono mettere in sog-

gezione. Ma lo è diventata anche per motivi soggettivi: Berna, e più in generale la Svizzera d’oltre Gottardo, sembrano lontane perché così molti ticinesi hanno deciso di considerarle, escludendole dalle loro curiosità e simpatie. Non ci vanno, non ne leggono i giornali, non ne vedono i programmi televisivi (colpa, sia detto, anche dell’imperante «schwyzerdüsch»). E avevano persino ignorato l’apporto culturale di scrittori e artisti, soprattutto germanofoni, che crearono preziose isole d’avanguardia, dal Monte Verità alla Collina d’Oro, oggi riscoperte. Perché questo è il Ticino da salvare. Non solo polenta-brasato e grottini (gestiti da slavi), non solo il piacere di ritrovarsi fra «soci». Per fortuna ce n’è un altro che, grazie a Berna, ha assorbito i fermenti delle diversità. Diceva ancora Calgari: «Siamo una terra d’incontri e transiti. Se non fossimo svizzeri, saremmo una parte qualunque di provincia. La difficoltà del nostro Paese è che conta pochi veri amici da una parte e dall’altra». Rari a Berna, inesistenti a Roma.

Passeggiate svizzere di Oliver Scharpf L’Ondina dello sprayer di Zurigo Uno dei primi articoli che ho ritagliato e conservato con cura, da un posto all’altro, come un prezioso documento, riguarda Harald Naegeli, soprannominato – per via della sua identità sconosciuta fino a fine anni Settanta – lo sprayer di Zurigo. È un trafiletto ormai ingiallito, apparso sul «Corriere del Ticino» nel febbraio 1993 a firma di Nicoletta Locarnini: Zurigo, il ritorno dello sprayer. In breve: condannato a nove mesi di carcere nel 1981 per i suoi graffiti notturni sui muri di Zurigo e fuggito in Germania rinunciando alla cittadinanza elvetica, lo sprayer torna nella sua città natale niente di meno che ospite del Kunsthaus. In fondo, una foto di Naegeli con pullover nero sformato e bomboletta in mano, accovacciato come i calciatori in prima fila nelle foto di squadra, ai piedi di un leggiadro scheletro nero sprayato sul muro. Da quel mattino che lessi quell’articolo, la figura di Naegeli entrò con la sua carica eversiva nel mio immagi-

nario adolescenziale affamato di idoli ribelli. Se la costellazione di figure esili e nette – sprayate di notte, sempre e solo in nero, tra il 1977 e il 1979, sulle mura anonime dei parcheggi sotterranei o delle banche blasonate in Paradeplatz – è stata cancellata, una, di certo, è rimasta. Considerato il suo più famoso graffito, noto con il titolo di Undine (1978): Ondina. L’ondina è un tipo di sirena d’acqua dolce affine alle fate, che affiora spesso nelle leggende del folklore germanico; la loro esponente più famosa è la Lorelei, che vive nel Reno. Paracelso, nei suoi studi sull’alchimia, classifica l’ondina come lo spirito elementale dell’acqua. Mentre per la genealogia di questo graffito, senza entrare nelle grotte della preistoria tra le incisioni rupestri, si dovrebbero almeno citare, le silhouette fantasmagoriche con facce tipo smile ma stranite e impaurite, apparse nel 1963 sulle mura di Parigi: per mano di Gérard Zlotykamien, precursore dei

Mode e modi di Luciana Caglio Quando Berna sembra lontana Appena sbarcata all’aeroporto di Agno, la ministra delle finanze, Eveline Widmer-Schlumpf, viene accolta con un coro di fischi. Un municipale del Mendrisiotto si fa fotografare mentre straccia la bolletta dell’imposta federale: un gesto che ricalca quello, ormai storico, del Nano che, con le cedole per il pagamento del canone radio-tv, faceva aeroplanini. E raccomandava di imitarlo. Mentre commemorando, a un anno di distanza, la scomparsa dell’inimitabile fondatore della Lega, Blocher e Borghezio, in lingue e toni diversi, invitano alla difesa di un’identità in pericolo, una ticinesità offesa da Berna e da Bruxelles. Tira, insomma, aria di protesta ma non soltanto tra le file di un partito dall’anima movimentista, sempre pronto a cogliere i malumori popolari. È qualcosa che si respira trasversalmente in tutti i partiti e anche al di fuori dell’ambito politico, in un Paese dove si sono risvegliati i sentimenti tipici, e in fondo naturali, di ogni minoranza: l’isolamento, l’estraneità, l’avvilimento, la propensione al vittimismo. Se ne fanno

portavoce alle Camere federali i nostri deputati che, al di là delle ideologie, sollecitano l’attenzione di una maggioranza, spesso distratta nei confronti di quel 4 per cento della popolazione che risiede al sud delle Alpi. In un triangolo, favorito dal paesaggio e dal clima, ma oggi alle prese con uno sviluppo affrettato e dagli effetti controproducenti: che è giusto denunciare, anche per spiegare il risultato del 9 febbraio. Una si-

Nel 1938 su «Azione» «ul Pedru» dava voce al malcontento ticinese.



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Ambiente e Benessere Acqua rosso-sangue Perché è sempre più raro vedere il vistoso effetto generato dalla Tovelia sanguinea, nota alga unicellulare?

Il lupo: tra paure, fascino e realtà Conferenza sul lupo il 3 aprile, nella sala Multiuso di Cavigliano pagina 15

Fotografi in vacanza Dove va a trascorrere le proprie ferie chi viaggia per lavoro, e in particolare i reporter?

I due... merluzzi Allan Bay spiega le differenze tra le due famose preparazioni: gli stoccafissi e i baccalà

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Il dottor Tiziano Galli. (Stefano Spinelli)

Informazioni online e salute Tendenze Internet non è una minaccia, ma un’opportunità che medico e paziente dovrebbero cogliere

per migliorare la loro comunicazione Maria Grazia Buletti La cosiddetta rete telematica a cui oggi tutti fanno capo per ogni genere di ricerca di informazioni è una realtà e neppure la medicina si sottrae a questa crescente tendenza di informatizzazione. La salute è un bene tanto supremo quanto delicato e internet è oramai diventato un’accessibile fonte a cui le persone e i pazienti attingono notizie a piene mani. Ma attenzione a prendere per oro colato tutto quanto la rete ci offre. Per evitare spiacevoli conseguenze è pertinente chiedersi come usare a proprio beneficio le indicazioni online sulla salute senza cadere nelle maglie della rete. Ne abbiamo parlato con il dottor Tiziano Galli, medico e curatore del Blog online Social Media Medici e Medicina (socialnetpharma.com), che ci offre una panoramica esaustiva della situazione tutta in evoluzione, mettendoci però anche in guardia sugli errori da evitare nella consultazione delle spiegazioni sanitarie, non sempre pertinenti e personalizzate, che la rete offre. «Ormai una grossa quota di medici, associazioni scientifiche e ospedali si sono accorti del potenziale della rete internet, all’interno della quale hanno da tempo cominciato a riversare informazioni sanitarie corrette e utili». Il Web si

rivela essere un bacino molto interessante dal quale il dottor Galli è certo che sempre più persone attingono per orientarsi sul proprio stato di salute. L’odierna realtà è composta da entrambe le facce di una stessa medaglia: «Da un lato non possiamo ignorare la sempre maggiore abilità della gente nell’uso di internet, mentre parallelamente in rete vengono riversate sempre più fonti di informazioni corrette, con tanto di marchi di qualità garanti delle indicazioni profuse a beneficio di chiunque le consulti. Il paziente che cerca però informazioni sulla propria salute, crea sempre ancora un certo disagio nella categoria dei sanitari, alcuni dei quali vivono il paziente “fai da te” come una fonte di disturbo e come una vera e propria minaccia al proprio primato». Atteggiamenti che il dottor Galli interpreta come legati al senso di protezione e di ruolo che il sanitario percepisce nei confronti del paziente, e correlati alla reale consapevolezza dell’inaffidabilità di alcune fonti: «Di fatto, questo atteggiamento è dovuto alla volontà di mettere in guardia il paziente dall’affidarsi a un luogo ricco di notizie, che nel contempo lo potrebbe esporre a informazioni inesatte o addirittura dannose». Alla questione se Internet possa dunque rappresentare una minaccia

per chi desidera trovare elementi utili alla comprensione del proprio stato di salute, il dottor Galli risponde che «non è una minaccia, ma un’opportunità per paziente e medico, perché il primo può completare le proprie conoscenze e il secondo può utilizzare la grande opportunità di immettervi informazioni corrette a beneficio dei pazienti che, comunque sia, navigano su Internet». Il nostro interlocutore è persuaso che l’atteggiamento corretto che il medico dovrebbe mantenere nei confronti di queste nuove frontiere telematiche è quello di guardare con favore al paziente che desidera aumentare la propria base di conoscenze: «Egli deve potersi sentire libero di orientarsi anche online. Però, una volta reperite le informazioni, dovrebbe essere altresì conscio dell’importanza di accedere al proprio medico curante per assicurarsi, tramite lui, che le interpretazioni aperte sulla propria condizione di salute (o quella dei propri cari) siano corrette». In agguato c’è la distorsione cognitiva a causa della quale individui inesperti tendono a sopravvalutarsi, giudicando a torto le proprie abilità superiori alla media: «Si tratta dell’effetto Dunning-Kruger, la cui distorsione di valutazione è attribuita all’incapacità di riconoscere i propri errori da parte di chi

non è esperto in una materia, come è il caso del paziente nei confronti della materia medica». Ciò significa che, indipendentemente dalla fonte, può capitare che un paziente che consulta Internet possa sovrastimare la sua capacità di interpretazione delle notizie che ha reperito attraverso la sua ricerca «fai da te», anche se convinto in buona fede di aver compreso la propria condizione. Da qui, ricorda il nostro interlocutore, nasce l’importanza assoluta di verificare le indicazioni reperite in rete con il proprio medico curante: «Capita che le informazioni sanitarie reperite tramite Google non siano selezionate o validate e risultino difficili da interpretare e da mettere in pratica. Anche se utili, esse possono produrre ansia o addirittura far compiere al paziente gravi errori». Per questo, il dottor Galli ribadisce la «centralità del ruolo del medico e del curante». Assistiamo dunque a una grande libertà di informarsi attraverso quell’immenso contenitore che è internet, ma senza verifica diretta con il medico curante, non si arriverà al dialogo e alla responsabilizzazione stessa del paziente per rapporto al proprio stato di salute e alle vie di guarigione: «Accanto al Medico Digitale che “crea contenuti” e abbraccia la rete come proprio terreno di

conquista e palcoscenico della propria reputazione, è necessario sottolineare la figura di un medico o di un curante che non “abdica” o arretra di fronte alla propria responsabilità di supporto e “coaching” del paziente nei confronti di internet e del Web 2.0». In tal modo, le nuove tecnologie vanno valutate attraverso una visione di accoglienza e interesse a favore del proprio aggiornamento, ma anche e per conto del paziente attraverso alcuni semplici accorgimenti che il curante dovrebbe adottare: «Il medico dovrebbe conoscere e saper consigliare le fonti autorevoli che il paziente potrà consultare su internet, verificandole e validandole se corrette, denunciandole e sconsigliandole se non pertinenti. Altresì, il curante dovrebbe scaricare o stampare documenti utili trovati in rete e metterli a disposizione dei propri assistiti. Mentre il “Medico digitale” dovrebbe naturalmente produrre materiale e caricarlo sul proprio sito o sul proprio blog ad uso dei pazienti». I pazienti oggi usano comunque il mezzo telematico per raccogliere idee e informazioni: «Che allora siano le migliori possibili, consigliate dal medico che dovrebbe dialogare con il suo paziente e orientarlo personalizzando le indicazioni reperite».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Quando le acque rosseggiano Biodiversità Una microscopica alga colora vistosamente alcuni bacini e corsi d’acqua nelle Alpi

Alessandro Focarile H2O, acqua, bene essenziale per tutti i viventi, che diventerà nell’imminente futuro un bene cruciale e fonte di gravi conflitti per il suo possesso. L’uomo è un idro-dipendente, da quando – nella notte dei tempi – vide per la prima volta le sue sembianze riflesse nella pozza dove si era chinato per abbeverarsi.

«Da questo ghiacciajo (della Grigna) proviene senza dubbio il vicino fiume d’acqua freddissima, che precipitando tra massi spumeggia e s’imbianca, sicché non senza ragione dicesi Latte» (Amoretti, 1824) L’uomo è stato sempre incuriosito dalle caratteristiche dell’acqua, dandole un nome ben appropriato. Nelle Alpi, e altrove, numerosissimi nomi definiscono luoghi dove sgorgano acque con aspetti ben evidenti, che possono essere chimici (Dolceacqua, Fontanamara); fisici (Fiumelatte, Acquafredda, Acquacalda, Acquaviva); terapeutici (Acquasanta) e, infine, grazie al loro colore. Il bianco, per il limo glaciale in sospensione nei torrenti alpini che conferisce loro un aspetto lattiginoso (Gletscher-Milch in tedesco), oppure il bianco spumeggiante (Fiumelatte). Il nero (Acquanegra, Lago Nero) quando l’acqua ha per sfondo il letto nerastro per i suoi sedimenti torbosi di colore scuro. E in conclusione il rosso, per l’eventuale contenuto di minerali di ferro (Acquarossa, EauRousse) e, molto raramente per la vistosa presenza di un’alga unicellulare, la ben nota Tovelia (Glenodinium) sanguinea. Riconosciuta e descritta, quest’alga era molto presente nel Lago Tovel (o Lago Rosso), ubicato nella regione delle Dolomiti di Brenta, nel Trentino, e alle cui acque conferiva (fino a un recente passato) la peculiare e unica colorazione rosso-sangue.

Con prosa enfatica, così ne scriveva Gino Tomasi (Laghi del Trentino, 1963): «La famosa, ma mai abbastanza celebrata gemma dei nostri laghi è il lago Tovel, detto anche Lago Rosso, ai piedi delle Dolomiti di Brenta. La cui colorazione rossa nella stagione estiva lo eleva alla dignità di monumento nazionale in tutto il mondo. È preoccupante pensare che un fenomeno così eccezionale potrebbe domani anche venire a mancare, quando una eccessiva antropizzazione delle rive lacustri arrivasse a sconvolgere e modificare quella delicatissima composizione di condizioni chimico-fisiche che sono la base ecologica per la creazione del fenomeno». Purtroppo, le previsioni di Tomasi si sono avverate: secondo la Grande enciclopedia De Agostini (1978, vol. XIX, p. 430) il fenomeno dell’arrossamento del Lago Tovel non si è più realizzato. In situazioni ambientali naturali, e non compromesse dall’uomo, le deiezioni solide e liquide del bestiame al pascolo sulle rive del lago entravano nella formazione dei meccanismi fisico-chimici, che sono all’origine dell’insediamento e della proliferazione dell’alga rossa. A quanto pare, Tovelia sanguinea si insediava regolarmente ogni anno grazie alla concomitante presenza di tre fattori: 1. la natura carbonatica (calcarea) del substrato roccioso; 2. la regolare presenza del bestiame al pascolo; 3. e infine, l’elevata temperatura dell’acqua, oltre i 10°C a 1178 metri nel cuore dell’estate (metà luglio-10 settembre) grazie alla modesta profondità del bacino.

Tovelia sanguinea a forte ingrandimento. (Grande Enciclopedia De Agostini, 1978. Vol. XIX p. 430)

Tovelia sanguinea all’Alpe Motterascio. ( Alessandro Focarile)

Il recente e massiccio insediamento umano (case di vacanza), facilitato da un comodo accesso anche stradale, con il conseguente apporto di acque inquinate, la diminuzione delle aree pascolive, distrutte a seguito delle opere di urbanizzazione, sono stati tutti fattori che hanno incisivamente – e forse per sempre – alterato il chimismo delle acque del bacino lacustre, tanto che la sua caratteristica ed eccezionale colorazione non si è più ripetuta. Se altre episodiche colorazioni di acque ferme sono conosciute, nessuna poteva competere con quella del Lago Tovel, sia per la grandiosità del fenomeno, sia per la densità di colore e regolarità di comparsa stagionale. Ma, purtroppo, bisogna parlare al passato. Tovelia sanguinea ha, in altri bacini, specie sorelle ma prive della vistosa colorazione. Possiede all’interno del suo plasma materiali oleosi colorati da carotenoidi (gruppo di pigmenti naturali rossi o gialli), che sono distribuiti nelle cellule (foto) come goccioline sferiche oppure ovoidali, raggiungendo in certi periodi un’elevata densità, fino a 1000-3000 individui in un centimetro cubo di acqua. La fantasia popolare non poteva lasciare senza un’interpretazione il singolare e strano fenomeno dell’arrossamento delle acque del Lago Tovel, e di altre raccolte d’acqua. Il rosso vivo, sinonimo di sangue, aveva dato origine nel corso del tempo, a innumerevoli leggende, spesso truculente e collegate con la violenza: leggende di coraggiose regine sfortunate che difendevano i loro modesti domini; di pellegrini (come San Lucio) minacciati e uccisi da violenti signorotti; di streghe malefiche e vendicative. Tutti episodi che s’inserivano molto bene nel permanente litigare e guerreggiare per il possesso di boschi e pascoli alpini (Lago dei Morti, Lago della Battaglia). E altro ancora, dovunque nelle Alpi e negli Appennini. In ogni caso, motivi per spargere sangue, che arrossava stagni e laghetti. A cavallo tra l’alta Val Luzzone (in Val Blenio) e quella del fiume Reno di Somviz, si estende il famoso e suggestivo ambiente alto-alpino della Greina. «Il paesaggio è eccezionale per la sua unicità che non ha uguale in altre regioni alpine del Cantone Ticino (…) Stra-

Camoghè, Corte di Mezzo (1471 metri s/lm). ( Angelo Valsecchi)

ordinaria e inimmaginabile è la sua varietà di biotopi, rappresentati gli uni accanto agli altri come se fossero le tessere di un mosaico (…) Una tundra alpina d’eccezione». Così ne scriveva Angelo Valsecchi (2003), raro e sensibile conoscitore della montagna ticinese. Il Crap de la Crusc, ricoperto di centenari licheni e con una croce di ferro, indica un’ampia sella erbosa a 2259 metri. Punto di confine e di separazione tra due mondi diversi. A Nord, i reto-romanci e il fiume che scende verso il Mare del Nord. A Sud, i ticinesi e i lombardi, e acque che conosceranno il Mediterraneo. A meridione del Crap de la Crusc, l’ampia regione del Motterascio (2000-2200 metri s/lm) costituisce una grande pianura torboso-palustre di parecchi ettari. Un paesaggio con aspetti di tundra alpina grazie alle peculiarità della sua flora e dei notevoli fenomeni detti crio-nivali, espressione dell’azione del gelo e del disgelo che dà origine ai cosiddetti cuscinetti da soliflusso. Ma l’aspetto di tundra alpina è dato anche dal suo popolamento entomologico, pure caratterizzato in notevole misura dalla presenza di specie che hanno un’attuale diffusione di tipo boreo-alpino, presenti cioè nell’Eurasia boreale e sulle Alpi. Una biodiversità di notevole valore e significato, e che aggiunge preziosità al territorio della Greina. In questo suggestivo ambiente d’alta quota, aperto, luminoso e circondato da rilievi oltre i 3000 metri s/lm, sono individuabili numerosi ristagni d’acqua, alcuni dei quali (foto) ai primi di settembre erano vistosamente colorati di rosso, grazie alla presenza dell’alga

unicellulare Tovelia sanguinea, lo stesso minuscolo vegetale di fama internazionale del Lago Tovel, nel Trentino. Si stanno dunque scoprendo nuove località alpine, ove è stata osservata la vistosa alga. Oltre al Motterascio, Tovelia sanguinea è stata documentata anche nella regione del Camoghè e al Passo di San Lucio (Valsecchi 2013). Queste interessanti scoperte inducono a osservare con maggiore attenzione le nostre montagne, e quanti tesori naturalistici ci offrono. È molto probabile, infatti, che il fenomeno della colorazione rossa originata dall’alga possa essere più frequente di quanto sia stato finora documentato. Anche al Motterascio, a 2100 metri s/lm, sono riuniti i tre fattori ecologici determinanti il fenomeno: 1. bovini al pascolo; 2. natura carbonatica (dolomie cariate, calcescisti) dei substrati rocciosi presenti; 3. elevate temperature estive degli stagni, grazie alla loro modesta profondità. È sufficiente avere la curiosità per tenere gli occhi ben aperti quando si frequenta la montagna e, possibilmente, fotografare l’insolito fenomeno. Infine, divulgare l’informazione a futura memoria. Bibliografia

Angelo Valsecchi 2003 – Greina, la nostra tundra – Club Alpino Svizzero, Sezione Ticino, 68 pp. Angelo Valsecchi 2013 – Camoghè, dove nacque l’alpinismo ticinese – Club Alpino Svizzero, Sezione Ticino, 70 pp. Gino Tomasi 1963 – I laghi del Trentino – Casa editrice G. B. Monaunini & Arti Grafiche R. Manfrini (Trento), 329 pp.


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Ambiente e Benessere

Il lupo in salsa Bernese Legislazione e salvaguardia Dopo un’iniziale diffidenza sfociata in abbattimenti illegali, in Svizzera

l’accettazione di questo grande predatore sta facendo passi avanti Angelo Gandolfi, testo e foto Nel 2011 uscì sui giornali una notizia che pareva uno scherzo: Berna chiede di uscire da Berna. In realtà si trattava di Berna come sede del Consiglio nazionale che chiedeva di uscire dalla Convenzione di Berna per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa. Se non era un ossimoro linguistico, lo era certamente sul piano logico. Che cosa poteva essere successo di così grave? Il problema era dato dai lupi alle frontiere che minacciavano le 400mila pecore e le 70mila capre della nazione. Quanti lupi? Beh, una dozzina, più o meno: mamma mia, avrebbero chiaramente rischiato un’indigestione. Ora, dato che la Convenzione di Berna non protegge solo il lupo, ma tante altre specie animali e vegetali, nonché i loro habitat, non è che la Svizzera intendesse diventare un Paese anti-ecologico, per così dire. No: voleva uscire e poi rientrare apponendo questa volta alcune riserve sul lupo (come a suo tempo aveva fatto, ad esempio, la Spagna), in modo da poterlo eliminare senza troppi problemi. Chi ha seguito i miei primi quattro articoli apparsi su queste pagine conosce già alcuni temi che qui compendio: la parola «lupo» suscita sentimenti di paura e odio profondamente radicati nel sistema limbico, la parte più antica del nostro cervello. Ovviamente questo sistema può essere tenuto sotto controllo, però è altrettanto probabile che riesca invece a convincerci di «razionalizzare» tali sentimenti. È illusorio pensare che il linguaggio sia creato da noi in quanto individui, in realtà noi siamo in parte una creazione del linguaggio: è lui che ci forma. E fin dalla più tenera età, la parola «lupo», che lo si voglia o no, rimescola antichi sedimenti di cui neppure ci rendiamo conto: l’enorme lupo Fenris a battaglia contro gli dei, i lupi amici dei diavoli e delle streghe. Alcuni esempi di attribuzione negativa al lupo si sono letti persino su certe copertine della «Domenica del Corriere» di cui è d’obbligo fornirvi alcune citazioni: 26 marzo 1911, «Corteo nuziale nella Russia asiatica assalito dai lupi: le donne gettate in pasto ai lupi affamati»; 25 ottobre 1914,«Orrore sui campi di battaglia. Gli orrori della guerra: torme di lupi affamati invadono il campo di battaglia di Augustow assalendo morti e feriti» (dunque gli orrori della guerra non erano i carri armati e i gas asfissianti, ma i lupi, ndr); 3 gennaio 1937, «In Estonia un branco di lupi assale una corriera» (non dice se se la sono mangiata intera o se prima l’hanno «sbranata», ndr); 22 gennaio 1956, «In Abruzzo branco di lupi famelici sbarra il passo a un pullman carico di passeggeri».

Saluto tra lupi.

Ancora oggi sulla stampa, benché ci vengano ormai risparmiate le tavole stile Beltrame, non sono tuttora rari titoli del tipo: «Due pecore sbranate dai lupi». Noi umani invece non sbraniamo mai nulla, al massimo consumiamo sobriamente qualche cotoletta d’agnello alla brace. La parola appare persino nella legge sulla caccia: «La selvaggina sbranata non va rimossa, ecc.» In Italia, la protezione legale del lupo risale agli anni ‘70. Lentamente la specie ha ricolonizzato la catena appenninica, attraversando fiumi e autostrade, fino ad affacciarsi sulle Alpi (parco del Mercantour) nei primi anni ’90. Sull’arco alpino franco-italiano il lupo ha trovato un ecosistema favorevole, grazie al quale ha raggiunto la Valle d’Aosta nel ‘94, ma si è anche diretto verso

Conferenza sul lupo In data 3 aprile 2014, nella sala Multiuso di Cavigliano, alle ore 20.15, avrà luogo una conferenza dal titolo Il lupo: tra paure, fascino e realtà. La conferenza è organizzata dalla Fondazione Museo regionale delle Centovalli e del Pedemonte. Relatori saranno Ruth Togni, presidente dell’associazione per la protezione del bestiame dai predatori, e Angelo Gandolfi, giornalista specializzato in divulgazione ambientale, nonché autore del presente articolo.

ovest, raggiungendo i Pirenei orientali nel 1999. Visti i precedenti, ci si poteva ben aspettare che arrivasse in Svizzera. Infatti, nel 1999, il Kora, l’ente statale deputato al monitoraggio e conservazione dei grandi mammiferi predatori, scriveva: «Dal 1985 al 1992 il fronte di diffusione della popolazione del lupo (presenza stabile, non individui in dispersione) si è spostata di 190 km, da Genova verso ovest (Mercantour), e cioè con una media annua di 22,8 km. Se detta velocità viene mantenuta, tale fronte potrebbe raggiungere la Svizzera già nell’anno 2000». Facile previsione, visto che il primo lupo (a noi noto) si era già visto in Entremont nel 1995. E il caso ha voluto che il lupo appenninico si sia presentato per la prima volta proprio nel Vallese, dove a Eischoll, nel 1947, era stato ucciso l’ultimo lupo «alpino». Nonostante la prevedibilità, quando il lupo arrivò nel Vallese, fu accolto come fosse arrivato un invasore marziano. E, quindi, mano ai fucili. Tra l’88 e il 2000, dei circa sette lupi che hanno tentato di attraversare il cantone, quattro sono stati uccisi. Nel frattempo, il presentatore della proposta di modifica della Convenzione di Berna, Jean-René Fournier, è stato condannato (il 23 dicembre 2011) a una pena di 60 ore di lavoro socialmente utile, per aver illegalmente ordinato l’abbattimento di un lupo (lupo che poi aveva fatto impagliare per tenerlo nel proprio studio). Purtroppo, se mettiamo a confronto la velocità di espansione del lupo, come sopra descritta dal Kora per l’Italia e la

La nuova legge e il canton Ticino Molte delle misure riguardanti i grandi predatori sono già in atto e sono confermate. In particolare, il rimborso totale dei danni, di cui l’80 per cento a carico della Confederazione e il resto a carico dei Cantoni. La novità consiste nel fatto che l’ordinanza sulla caccia definisce le misure finalizzate alla protezione del bestiame e degli apiari promosse dalla Confederazione, tra le quali una pianificazione adeguata dell’estivazione, l’impiego di cani da protezione del bestiame e, laddove possibile, la posa di recinzioni elettriche. Inoltre, la revisione dell’ordinanza crea le basi per la vigilanza dei cani da protezione del bestiame chiesta dal Parlamento.

Nulla cambia riguardo alle procedure e misure decisionali concernenti l’abbattimento di linci, lupi o orsi che causano danni rilevanti (35 animali nell’arco di quattro mesi o 25 in un mese). Viene, però, sottolineato che i grandi predatori sono protetti e che il loro abbattimento è autorizzato soltanto in via eccezionale. Inoltre (ed è questa la novità rilevante), nelle regioni in cui è presente il lupo, i proprietari di bestiame minuto e grosso devono adottare misure di prevenzione dei danni. Queste misure di protezione sono prese nell’ambito di progetti regionali e sostenute, anche a livello organizzativo e finanziario, dalla Confederazione, tramite l’Ufficio federale dell’ambiente.

In caso di misure di protezione inadeguate il lupo «colpevole» non viene abbattuto (è già successo almeno in un paio di casi). Il Cantone Ticino appare come un’«isola felice» in questo trambusto. Il rapporto ufficiale 2013 (2012 e primi mesi del 2013) dell’Ufficio della Caccia e della Pesca parla di «una media di 10 capi predati all’anno dal 2001 al 2012 con una presenza annuale da 1 a 3 lupi. In base ai capi predati e al numero degli attacchi, il lupo finora si è cibato principalmente di selvaggina e non di animali domestici». È importante considerare il fatto che la preda principale del lupo è il cinghiale, dei cui danni sempre si lamentano gli agricoltori.

Il pastore e i suoi cani non temono il lupo.

Francia, con la medesima velocità sul territorio svizzero, e tenuto conto degli abbattimenti legali (8 eseguiti su 13 ordinati dal 1989) e delle attuali presenze del lupo, si può sospettare che esista tuttora un bracconaggio a spese della specie. Vale ora la pena di rileggere le motivazioni ufficiali della proposta Fournier per capire perché non potesse essere accettata «…il Parlamento ha accolto la mozione Fournier che chiedeva l’emendamento dell’articolo 22 affinché gli Stati possano formulare delle riserve se le circostanze sono manifestamente cambiate dal momento della firma dell’accordo». Il 27 novembre del 2012 gli uffici della Convenzione di Berna hanno rigettato la proposta svizzera poiché «non suffragata da analisi o dati scientifici e… suscettibile di incidere in modo estremamente negativo sulle popolazioni di fauna e flora di interesse europeo». La Confederazione ha preso atto, devo dire, con un certo realismo. Infatti, un anno dopo, il 6 novembre 2013, il Consiglio Federale ha modificato la regolamentazione relativa all’organizzazione e alla promozione della protezione del bestiame nell’ambito dell’ordinanza sulla caccia. Inoltre, ha approvato un rapporto dettagliato sulla protezione del bestiame che funge da base alla revisione. Il rapporto illustra come organizzare a lungo termine in modo efficiente la protezione del bestiame, il fabbisogno finanziario a livello di Confederazione e gli adeguamenti giuridici necessari. Intanto la vita prosegue. Questo significa che nel Vallese continuano a sparare. Ha scritto un giornale locale:

«Qui da noi si preferisce sparare anziché proteggere efficacemente le pecore». Il 2 settembre 2013, su ordine di Jacques Melly, consigliere di Stato del Vallese, è stato abbattuto un lupo sugli alpeggi di Conches, benché secondo molti non sussistessero i criteri previsti dalla «strategia lupo» in quanto non erano state adottate misure di protezione adeguate. Il lupo, infatti, è stato ucciso in pochi giorni proprio utilizzando le pecore non protette dell’alpeggio come esca (mentre nessun attacco si è registrato ad altri alpeggi, perché protetti, nella stessa zona). Il Wwf ha pertanto denunciato il consigliere di Stato. Vallese a parte, la situazione del lupo in Svizzera sembra ora avviata in una buona direzione. Nel cantone dei Grigioni, nel 2012 è stata avvistata una coppia di lupi con cuccioli (regione della Calanda): alla fine dell’anno scorso il branco contava dieci o undici esemplari, sebbene due di essi siano poi stati uccisi lo scorso mese, proprio da bracconieri. Come recita un comunicato ufficiale, nonostante l’aumento della popolazione di questo predatore, la collaborazione e la cooperazione con gli allevatori locali hanno consentito di contenere al minimo i danni. Le continue misure di protezione del bestiame si sono rivelate efficaci. La situazione nella regione della Calanda dimostra che i lupi possono vivere senza creare danni rilevanti anche in territori la cui economia è basata sull’allevamento di animali da reddito e sull’agricoltura produttiva. È probabile che tra qualche anno, in Italia e in Francia, la legislazione svizzera venga citata come esempio positivo e da imitare.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Ambiente e Benessere

La barba del barbiere

Da costa a costa

Viaggiatori d’Occidente Dove vanno in vacanza i professionisti del viaggio?

Bussole Inviti a

letture per viaggiare

«Chi, come me, era bambino alla fine degli anni Settanta, ricorderà la fortunata serie televisiva Alla conquista del West: la saga dei Macahan che, abbandonata la propria fattoria in Virginia, intrapresero un viaggio avventuroso alla volta dell’Oregon, nel lontano Ovest americano. Niente poté fermarli, nemmeno la Guerra di Secessione. Go west, young man!, “Va’ ad ovest, ragazzo!”. Questo era l’imperativo, per tutti quei pionieri che percorrevano le piste carovaniere…»

Claudio Visentin Conoscete il paradosso del barbiere? Fu formulato nel 1918 da Bertrand Russell e recita più o meno così: «Se il barbiere fa la barba a quelli che non se la fanno da soli, chi fa la barba al barbiere?» Ha qualche importanza nella storia della matematica, specie per quanto riguarda la teoria degli insiemi (il barbiere resta fuori da entrambi gli insiemi, tra loro complementari, degli uomini che si radono da soli e di quelli che vengono rasati dal barbiere). Di più non saprei dire – la mia comprensione della matematica si ferma parecchio prima – ma questa formula mi è venuta in mente quando il «New York Times» qualche tempo fa ha chiesto ai più famosi fotografi dove vanno in vacanza. Che bella domanda! Dove viaggia, per propria scelta, chi fa poco altro per tutto l’anno? La risposta potrebbe essere: molto lontano o molto vicino. Per esempio, la fotografa e regista americana Lauren Greenfield torna regolarmente a Roundstone, un piccolo villaggio di pescatori sulla costa occidentale dell’Irlanda, dove ritrova la sua famiglia allargata e dove i bambini possono giocare coi numerosi cugini. Già che c’è, documenta l’usanza dei locali di tuffarsi nelle gelide acque del mare nel giorno di Santo Stefano (26 dicembre). Anche Alec Soth ritorna nel Minnesota, da dove proviene la sua famiglia, ma spesso fuori stagione, per esempio visitando in inverno le più famose destinazioni estive. Non prendetelo ad esempio: Rimini d’inverno (è il tema di una canzone di Francesco Guccini, ma sul tema hanno dato il loro contributo anche Fabrizio De André e Loredana Bertè) è tra i luoghi più tristi del mondo. Il grande, grandissimo Martin Parr, che ha fotografato come nessun altro il mondo piccolo dei turisti, predilige le isole Ebridi, appartenenti alla Scozia, ma cede poi alla tentazione di fotografare la bellezza nascosta dietro piccoli gesti quotidiani, come i panni stesi. Osserva giustamente: «Non credo alle vacanze. Perché dovrei allontanarmi da quello che amo fare?» Non è il solo a tornare in luoghi tranquilli e familiari. Nei weekend estivi il tedesco Olaf Otto Becker predilige una

Le spiagge di Tel Aviv sono la meta scelta dal fotografo Gillian Laub. (Upyernoz)

rilassata birreria sul Tegernsee, in Baviera. Non porta con sé la macchina fotografica per non sottrarre tempo agli amici, ma poi finisce per scattare lo stesso con l’iPhone o anche solo mentalmente, componendo scene e immaginando fotografie che non vedranno mai la luce. L’icona della fotografia, Nan Golden, va invece a Venezia, per coltivare con la necessaria calma i ricordi di gioventù e bazzicare gli antiquari preferiti. Altri hanno inclinazioni decisamente più esotiche come Domingo Milella che predilige la Turchia, anello di congiunzione tra culture diverse, specialmente il nord della Mesopotamia, dove la terra restituisce ogni giorno le rovine di un passato misterioso. Gillian Laub sceglie le spiagge di Tel Aviv perché qui, nonostante le quotidiane tensioni e le minacce di un Paese in guerra da decenni, si impara a vivere alla giornata e a tirare il fiato anche nelle situazioni più difficili. Sebastião Salgado si addentra invece tra i riti e le danze di Bali, sulle orme di Gotthard Schuh (ndr: vedi «Azione» n. 46 del 2013). Ma nessuno batte Simon Norfolk, che ha scoperto la dimora dei suoi sogni in Afghanistan, a Bamiyan, dove i Talebani

distrussero le grandi statue del Buddha, e vorrebbe acquistare e ristrutturare un vecchio fortino: auguri per i suoi rapporti con i vicini di casa… Per parte mia, mi sono trovato a lungo nella stessa condizione di viaggiare con l’impegno di raccontare, pressato da scadenze, scarsità di fatti significativi o di ispirazione: per questo a volte è un sollievo sapere che non si è obbligati a ricavare un prodotto dalla propria esperienza, ma anche così, dopo un poco, si comincia ad annotare, fotografare, documentare… Di tutti i viaggi al di fuori del mestiere, quello a cui sono più affezionato è una settimana di cammino con tutta la famiglia che si ripete ogni anno, appena finisce la scuola: quest’anno sarà fatta nei boschi del Casentino, ai margini di antiche foreste. Forse perché è quasi una necessità quella di rinsaldare legami allentati dopo lunghi mesi nei quali ciascuno ha seguito i ritmi della propria agenda personale, diversa da quella degli altri membri della famiglia. Il gruppo in movimento, come un clan nomade all’alba della civiltà, dialoga, discute, condivide le difficoltà, e così facendo si rinsalda e si prepara ad affrontare le insidie della quotidianità.

Tra i miei colleghi italiani, l’amico pittore Stefano Faravelli, che pubblica su «Azione» i suoi acquarelli di viaggio (ha da poco raccontato il Madagascar sui numeri 3 e 7 di quest’anno) si ritira per mesi in un piccolo paese dell’entroterra ligure – ma con il mare sullo sfondo – dove passa i giorni raccogliendo pietre, semi, piante e piccoli animali nei boschi, sino a quando la casa assomiglia a un museo naturalistico, per la disperazione della consorte. Il fotografo Alessandro Gandolfi, invece, che ha da poco raccontato per noi le foreste dell’Etiopia, lascia ostentatamente a casa la macchina fotografica per non inquietare la fidanzata che lungo tutto l’anno lamenta le sue lunghe assenze, sceglie percorsi fuori rotta (per esempio quest’anno il Molise) ma poi fatica a negarsi quando una bella storia si affaccia all’orizzonte. È un gioco divertente che penso di continuare. Fatelo anche voi, per esempio chiedendo al vostro agente di viaggi dove va in vacanza. Può anche essere esteso ad altri mestieri, per esempio chiedendo al vostro barista preferito dove va a bere qualcosa quando smonta, o chiedendo al vostro barbiere… chi gli fa la barba.

Se l’America si è costruita – e immaginata – attraverso uno spostamento orizzontale (per così dire), la storia d’Italia al contrario è sempre stata verticale, da nord a sud, fossero le vie romane o gli attuali percorsi autostradali, le infinite invasioni nei secoli o l’impresa dei Mille. Oltretutto, ciascuna delle due marine – l’Adriatico con Venezia, il Tirreno con Genova, Pisa e Amalfi – ha spesso vissuto una storia diversa e separata dalla barriera naturale degli Appennini. Percorrere tutta l’Italia però, per quanto è lunga, è un’impresa per pochi coraggiosi, che richiede mesi. Gli attraversamenti orizzontali invece, da costa a costa, sono molto più a portata di mano, faccenda anche soltanto di 2-3 settimane, e soprattutto aprono prospettive nuove, che legano due mari attraverso la montagna, lungo strade secondarie spesso dimenticate. Infinite le possibili scelte, tra cui questa di Simone Frignani che, con una linea sulla carta, ha collegato due monti protesi nel mare – il Conero e l’Argentario – attraverso Marche, Umbria, Lazio e Toscana. Ogni giornata accende un diverso interesse culturale, storico, religioso o naturalistico: Assisi e altri luoghi di Francesco, Orvieto medievale, le città del tufo fino alla riserva naturale della laguna di Orbetello, in Maremma, terra di cowboy (i butteri), e dunque degna conclusione del viaggio. Go West! Bibliografia

Simone Frignani, Italia coast to coast. Dall’Adriatico al Tirreno, Terre di Mezzo, 2014, pp.168, € 18,00.

I segreti della settimana Giochi di prestigio Seguendo alcuni accorgimenti è possibile svelare a occhi chiusi alcune caratteristiche

della popolare rivista chiedendo semplicemente il numero dell’edizione

Forse non tutti sanno che... da tempo immemorabile, la popolare rivista La Settimana Enigmistica rispetta alcune tacite convenzioni, nella composizione delle proprie copertine, con un rigore assoluto. Questa singolare caratteristica può essere sfruttata, per effettuare un divertente gioco di magia matematica. Se volete eseguirlo, dovete osservare le seguenti indicazioni, dopo esservi procurati alcuni fascicoli de La Settimana Enigmistica, con diverso numero di edizione. Per iniziare dovrete seguire i tre punti di questa modalità di esecuzione 1. Invitate uno spettatore a scegliere uno dei fascicoli a disposizione, senza farvelo vedere; 2. Fatevi comunicare il numero di edizione di tale fascicolo; 3. Entro pochissimi secondi, sarete in grado di individuare quattro elementi fondamentali della relativa copertina: il colore, la posizione della foto inserita nel cruciverba, il sesso del personaggio raffigurato in tale foto, la dicitura posta sopra la testata. Eccovi quindi gli accorgimenti da

seguire. Per individuare il colore della copertina, dovete dividere per 3 il numero di edizione (o la somma delle sue cifre) e, in base al resto ottenuto, tener conto delle seguenti associazioni: 0 rosso; 1 blu; 2 verde. Ad esempio, se il nu-

mero di edizione è 4033, il colore della copertina è blu, dato che: 4+0+3+3 = 10 e: 10/3 = 3 col resto di 1. Per individuare la posizione della foto, dovete dividere il numero di edizione per 4 (o le sue ultime due cifre) e,

Giovy

Ennio Peres

in base al resto ottenuto, tener conto delle seguenti associazioni: 0 in alto a sinistra; 1 in alto a destra; 2 in basso a destra; 3 in basso a sinistra. Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, la foto è posizionata in alto a destra, dato che le ultime due cifre di 4033 sono: 33 e che 33/4 = 8 col resto di 1. Per individuare il sesso del personaggio raffigurato in copertina, dovete osservare il numero di edizione: se è pari, si tratta di un uomo; se è dispari, di una donna. Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, potete desumere che il personaggio della foto è una donna, dato che il numero in questione è dispari. Anche per individuare la dicitura posta sopra la testata, dovete osservare il numero di edizione: se è pari, si tratta di: «La rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione»; se è dispari, si tratta di: «La rivista di enigmistica prima per fondazione e diffusione». Ad esempio, se il numero di edizione è ancora 4033, la dicitura posta sopra la testata è: «La rivista di enigmi-

stica prima per fondazione e diffusione», dato che il numero in questione è dispari. La spiegazione del trucco è semplice. Le rigorose convenzioni adottate da La Settimana Enigmistica per le proprie copertine, sono le seguenti: vengono utilizzati solo tre colori (rosso, blu e verde), avvicendandoli a rotazione, nel medesimo ordine; la posizione della foto, ruota in rigoroso senso orario, da un angolo all’altro del cruciverba nel quale è inserita; nei numeri pari, viene pubblicata la foto di un uomo e, nei numeri dispari, quella di una donna; nei numeri pari, compare la dicitura: «La rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione» e, in quelli dispari: «La rivista di enigmistica prima per fondazione e diffusione». Di conseguenza: i numeri relativi a un determinato colore, divisi per 3, danno lo stesso resto; i numeri relativi a una determinata posizione della foto, divisi per 4, danno lo stesso resto; i numeri relativi a un personaggio di un determinato sesso, divisi per 2, danno lo stesso resto; i numeri relativi a un determinata dicitura, divisi per 2, danno lo stesso resto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Ambiente e Benessere

Pasta e coste

Cucina di Stagione La ricetta della settimana

Piatto principale Ingredienti per 4 persone: 500 g di coste · 1 peperoncino rosso · 1 cipolla · 3 cucchiai d’olio di colza · sale · 400 g di pasta, ad esempio orecchiette o reginette · pepe. 1. Tagliate separatamente i gambi e le foglie delle coste a strisce larghe circa 1 cm. Tagliate il peperoncino ad anelli. Tritate la cipolla. 2. Saltate nell’olio i gambi delle coste, il peperoncino e la cipolla in una padella o nel wok a fuoco basso fino a medio per circa 5 minuti. Unite le foglie delle coste e stufate a fuoco medio per circa altri 3 minuti. Salate. 3. Cuocete la pasta al dente in abbondante acqua salata. Scolatela e unitela alla verdura mescolando bene. Aggiustate di sale e pepe.

Un esemplare gratuito si può richiedere a: tel. 0848 877 869* fax 062 724 35 71 www.saison.ch * tariffa normale

Preparazione: 20 minuti.

L’abbonamento annuale a Cucina di Stagione, 12 numeri, costa solo 39.– franchi.

Per persona: circa 15 g di proteine, 10 g di grassi, 73 g di carboidrati, 1850 kJ/450 kcal.

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Ambiente e Benessere

Stoccafisso o baccalà? La cosa più curiosa dello stoccafisso risiede nel fatto che io ne abbia parlato molto poco sulle pagine di «Azione» in tutti questi anni. È, infatti, in assoluto uno degli ingredienti che più amo, uno dei pochi che non sia una carne – la carne, oramai lo sapete, ha il mio amore incondizionato. Sebbene, in ogni caso e a conti fatti, in questi dieci anni abbia pubblicato sei ricette nel lontano 2007, con una piccola scheda introduttiva. Quest’anno cercherò di rimediare, a partire da oggi, lo prometto.

Il baccalà è comunque la preparazione del merluzzo meno preziosa, ma anche quella meno costosa La seconda cosa più curiosa dello stoccafisso, straordinario e prezioso ingrediente, è che ci sono molte preparazioni che si chiamano baccalà – altrettanto straordinario ingrediente, sia chiaro, ma molto meno prezioso e costoso – fatte... con lo stoccafisso! È come mettere caviale in un piatto e poi dire che si sono utilizzate uova di pesce... Il perché è presto detto. Il baccalà è il merluzzo conservato sotto sale, da sempre a buon mercato (anche se oggi meno di un tempo) e per quanto lo si cerchi di dissalare al meglio, mantiene sempre un fondo sapido e ruspante. Certo, col baccalà si fanno comunque piatti mitici, ma costantemente ruspanti. Mentre lo stoccafisso è merluzzo seccato all’aria, quindi disidratato ma non salato. Inoltre lo stoccafisso è prodotto solo in Norvegia, peraltro con la prima scelta dei pesci pescati. Quindi alla fine è «più buono» da un lato e molto più costoso dall’altro. E inevitabilmente la sua produzione totale è quasi nulla rispetto a quella del baccalà.

Detto ciò, il baccalà è popolarissimo da sempre e in tanti Paesi, per questo i piatti sono infiniti. Ma che cosa dovette inventarsi il cuoco che voleva proporre ai suoi clienti un baccalà che più buono non si può? Occorreva di certo partire da un baccalà buonissimo. Ma il più «buono» è appunto lo stoccafisso... E quindi incominciò a preparare per clienti esigenti dei piatti che si chiamavano baccalà ma che erano fatti col prezioso stoccafisso: questo avvenne soprattutto in Veneto. Da qui la confusione dei nomi. Fra l’altro oggi alcuni cuochi fanno dei piatti che si chiamano baccalà, ma utilizzando il merluzzo fresco, che è oramai disponibile in grande quantità appena pescato... Reidratarlo è una procedura lunga e complessa, va battuto con grande vigore con un pestello per sfibrarlo e poi va lasciato in acqua corrente o con acqua cambiata spesso da 4 a 6 giorni: alla fine il suo peso sarà raddoppiato. Ovviamente fare questo in casa non è facile – anche se io amo farlo e posseggo una bacinella di plastica dedicata solo a questo ammollo. Per fortuna, però, oggi non è più indispensabile farlo: i pescivendoli sono furbi, se lo vendono secco nessuno lo compra, quindi lo mettono in ammollo loro e lo vendono già bagnato. Un’operazione che, tra l’altro, permette loro di guadagnare di più. Dato però che lo stoccafisso lo si deve consumare rapidamente (dopo averlo bagnato) è meglio prenotarlo per tempo. Esistono poi in commercio, ma sono rarissime, anche le trippe di stoccafisso, che sono le budelline seccate del merluzzo. Se è possibile sono persino più buone dello stoccafisso, anche se hanno una consistenza simile peraltro a quella della trippa bovina, che non a tutti piace. Una volta dissalato, lo stoccafisso va cotto a lungo, anche per 2 ore, in acqua sobbollente, senza nulla aggiungere se non foglie di alloro. Tra l’altro lo si può cuocere assolutamente senza problema in pentola a pressione, e allora bastano 40’ di cottura. Alla fine lo si scola e si procede come da ricetta.

CSF (come si fa)

Susan

Allan Bay

Paolo Tonon

Gastronomia A conti fatti si tratta pur sempre di merluzzo

La buridda è una zuppa ligure di vari pesci, il nome tradizionale è «pesce a tocchetto buridda». Sostanzialmente è una zuppa di pesce che contiene pinoli e funghi secchi. Questa è una regola generale ma, come sempre in cucina e con i piatti di origine popolare, le varianti sono infinite. Tradizionalmente i pesci venivano eviscerati e poi cotti interi in acqua. E poi

c’era un gran lavoro da parte dei commensali per separare la polpa da lische e teste. Io non amo questo tipo di lavoro, dico sempre che se è giusto lavorare in cucina, è sbagliato lavorare e far lavorare troppo a tavola. Quindi vi do questa mia ricetta che è del tutto eterodossa. Ecco come faccio la buridda. Per 6 persone. Pulite circa 2,5 kg di pesce, (scorfano, occhiate, palombo, grongo, gamberi, pesce di scoglio, rana pescatrice, ecc.) e tagliate la polpa a pezzetti. Mettete tutti gli scarti in una pentola, coprite a filo di brodo vegetale, oppure di acqua con sedano, cipolle, carote e alloro) e cuocete per 45’, poi filtrate schiacciando bene le teste e riducete il brodo a 5 dl circa. Aggiungete 40 g di funghi secchi, ammollati in acqua tiepida per 20’, scolati e tritati, 4 cucchiai

di salsa di pomodoro (opzionali), 6 cucchiai di soffritto, 1 cucchiaio di pinoli leggermente tostati in un padellino antiaderente, qualche gheriglio di noce spezzettato, 1 punta di pasta di acciughe stemperata in poca acqua, 1 cucchiaio di farina e 1 bicchiere di vino bianco secco sobbollito per 3’ e fate cuocere per 5’. Aggiungete il pesce, quando riprende il bollore cuocete per 3’, regolate di sale e di pepe, spegnete, coprite e lasciate riposare per 5’ prima di servire. Lo si può preparare solo con stoccafisso, ammollato e tagliato a pezzi. In tal caso si prolunga la cottura a 2 ore abbondanti, e 30’ prima che sia pronto si aggiungono 600 g di patate tagliate a cubetti. A fine cottura si insaporisce con funghi, pinoli, cannella, noce moscata e chiodi di garofano.

Manuela Vanni

Oggi le due proposte sono una tartare di carne molto light e un piatto preparato con un taglio da troppi snobbato: ovvero con la coscia del castrato, il maschio della pecora per l’appunto castrato.

Manuela Vanni

Ballando coi gusti

Manzo alla soia con finocchi e cetrioli

Coscia di castrato agli odori

Ingredienti per 4 persone: 500 g di controfiletto di manzo · salsa di soia · 2 scalogni · erba cipollina · 2 finocchi · 1 cetriolo · limone · olio extravergine di oliva · sale e pepe.

Ingredienti per 4 persone: 1 coscia di castrato da kg 1,5 · foglie di menta · 1 ci-

Tagliate a metà il finocchio, affettatelo molto sottilmente (meglio se con una mandolina) e conservate le fette in acqua acidulata con succo di limone per evitare che diventino nere. Pelate il cetriolo, tagliatelo a metà nel senso della lunghezza ed eliminate i semi. Tagliatelo a losanga e conservate in acqua. Pelate e mondate lo scalogno, tritatelo e versateci sopra 4 cucchiai di salsa di soia. Tagliate la carne a piccoli cubetti di circa 5 mm per lato, condite con la salsa di soia insaporita con lo scalogno e profumate con erba cipollina spezzettata con una forbice. Unite i cetrioli e i finocchi ben scolati e condite con succo di limone, scorza di limone grattugiata, sale, pepe e olio.

polla · 1 carota · 1 gambo di sedano · 1 piccola stecca di cannella · 3 chiodi di garofano · 3 bacche di ginepro · 1 rametto di timo · 2 foglie di alloro · 1 bottiglia di vino bianco · 60 g di aceto · olio extravergine di oliva · sale e pepe. Pulite bene la coscia. Mondate le verdure e tagliatele a pezzi piccoli. Mettete i tocchetti in una pentola capiente e unite la coscia, il vino bianco, le erbe aromatiche e le spezie. Portate al bollore e fate cuocere per 3 ore coperto, unendo poca acqua se necessario. Scolate la carne e deglassate il fondo di cottura con l’aceto, poi filtratelo e fatelo ridurre a fuoco medio. Regolate di sale e di pepe. Rosolate la coscia in poco olio per una decina di minuti. Tagliate a fette la carne e servitela col fondo ridotto. Accompagnate con una verdura a piacere lessata o arrostita (per esempio, come nella foto, con delle melanzane).



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Ambiente e Benessere

Piccole grandi fughe Sportivamente Il vecchio tifoso l’ha imparato da tempo: il rischio di tornare a casa scornati

dopo la partita della squadra di calcio del cuore è permanente Alcide Bernasconi Piccole fughe dallo stadio. Anzi, piccole grandi fughe, perché certe sconfitte bruciano pur sempre, anche in questi tempi bui per il calcio ticinese. Vecchi supporters (diciamolo tranquillamente in inglese, visto che sta invadendo costantemente il nostro vocabolario sportivo con un’infinità di termini tecnici) se ne vanno alla chetichella dal vecchio Cornaredo. Anche noi tra loro, a capo chino, per non dare nell’occhio. Tifosi che hanno visto abbastanza e non se la sentono di dare addosso alla squadra del cuore. Il loro Lugano è colato a picco, senza alcuna scusante per i giocatori. E allora? Fischiarli mentre rientrano negli spogliatoi, magari alzando timidamente la mano in segno di scusa?

La squadra perde? Occorre farsene una ragione, oppure abbandonare lo stadio alla chetichella Perdere 1-4, seppure contro i terzi della classifica, fa male a tutti, giocatori (lo speriamo), spettatori e dirigenti. Proprio a tutti, insomma, salvo a loro, quelli del Wil, che hanno illuso il Lugano, incassando una rete giunta prestissimo. In seguito, però, essi hanno esercitato per quasi tutto il primo tempo una pressione che ha messo pian piano in ginocchio la squadra schierata da Livio Bordoli. Il quale scusa invece tutti i suoi giocatori: «Sono incolpevoli», dice. «Ho inteso fare degli esperimenti inventandomi un centrocampo. Quindi mi assumo la responsabilità di questa sconfitta». Anche lui, a guardar bene, può essere scusato. In una stagione da tempo compromessa, appare del tutto lecito

cercare il modo, con qualche esperimento, di impostare la prossima che, se verrà affrontata con serie ambizioni, imporrà l’innesto di un attaccante di spessore e una difesa – quella sì – da reinventare. Altrimenti, il Lugano non andrà da nessuna parte, se non indietro, col rischio di trovarsi a sbattere un gioco contro un Football Club Ticino Duemila-e-rotti, se per caso riuscisse davvero a prendere corpo questo finora nebbioso progetto. I vecchi tifosi, dunque, si allontanano dallo stadio alzando il bavero per difendersi da un soffio d’aria resa più fredda dopo quanto hanno visto. Non sono una moltitudine ma, loro lo sanno, c’è sempre il rischio di incontrare un buontempone che ti chiede. «Alura, come l’è naja?» Supponiamo che allo stadio di Cornaredo, mercoledì scorso, non siano stati riservati applausi ai bianconeri mentre uscivano dal campo dopo la batosta contro il Wil. Noi non possiamo saperlo, siccome ci eravamo già avviati verso casa, mentre nei bar vicini allo stadio, molti erano gli avventori che guardavano verso il grande schermo, in attesa del calcio d’inizio della gara di Champions a Barcellona. A loro il Lugano proprio non interessava. Nessuno si scandalizzi se azzardiamo definire il match del Lugano una batosta: è il termine esatto. Dal portiere Russo – con i piedi incollati al prato (colpa dei giardinieri?) in occasione di un perfido pallonetto – a una difesa di belle statuine, a un centrocampo in cui non ci è parso di vedere giocatori che sappiano difendere la palla quando è necessario, né saltare l’uomo per impostare una ripartenza veloce (ammettiamo che s’è pur vista qualche manovra che ha suscitato timidi applausi) e servire una punta che non sprechi troppe occasioni. Se lo stadio di calcio non attira più

Un’azione della partita Lugano-Wil. (CdT - Gonnella)

d’un migliaio di spettatori (due nelle occasioni speciali) è semplicemente perché non si vede un gran gioco. Le arrabbiature sono legittime. Lo spettatore – e pure il giornalista – scuotono il capo all’unisono: in due serate a Cornaredo (sabato i bianconeri avevano pareggiato 4-4 contro il Bienne un incontro che avrebbero potuto vincere senza patemi d’animo) il Lugano ha subìto otto-reti-otto. Sono troppe, tanto per i cuori teneri quanto per il tifoso dalla scorza più dura, il quale non si fa più molte illusioni. Al calcio si può (si deve) giocare un po’ meglio anche in Challenge League, o no? Detto del pallone nostrano, non si può non aggiungere che proprio ora l’hockey vuole la sua parte. La Televisione Svizzera, orfana di questo sport che tanto appassiona e che tiene banco sugli schermi di Teleclub per via di un contratto più lucrativo, suona ora la fanfara per i playoff, offerti comunque con ripartizioni che non devono scontentare

nessuno ma che, alla resa dei conti, scontentano tutti. O diciamo almeno tutti coloro che dispongono di un solo televisore, al massimo due. Radio, tv e giornali fanno a chi ne fa di più: con i playoff si entra nel vivo della competizione, il resto – dicono – era solo un preambolo! Intanto noi, mentre Marco Baron (ex portiere della Nhl, è giusto ricordarlo) s’impegna a fondo per presentare, anche in modo simpatico, una sfilza di termini inglesi che indicano questa o quella situazione di gioco per le quali mancano i corrispettivi italiani, ci accorgiamo che presentazioni, tavole rotonde, discussioni, interviste – prima, durante e dopo la partita e nelle giornate di pausa fra una gara e l’altra – stanno appesantendo non poco questa appendice della stagione. Eccitante fin che si vuole, ma chi perde rischia di dover... scappare subito in vacanza, con tanti saluti ai tifosi ancora in attesa di emozioni.

ORIZZONTALI

Sudoku Livello facile

In nome dei playoff si appioppa più d’una volta il colpo proibito e i giocatori che hanno collezionato una o più commozioni cerebrali ormai non si contano più. Gli arbitri, spesso, non sanno come affrontare le situazioni e urge più che mai fare chiarezza, una volta per tutte, non fosse che per cercare di garantire l’integrità fisica dei giocatori, fra i quali ci sono padri di famiglia e giovanissimi di belle speranze. Infine, una nota di merito va a Lara Gut, che, disputando la sua miglior stagione, ha letteralmente trascinato coi suoi risultati le nazionali di sci alpino, anche la squadra maschile. Alle finali di Coppa del mondo a Lenzerheide ha messo a segno un colpo da maestra, anzi due: con la vittoria nella discesa libera e nel super G (valsa la coppa di super G). Dispiace però che non abbia potuto cogliere almeno una medaglia d’oro alle Olimpiadi, ma il suo temperamento lascia ben sperare per il futuro.

Giochi Cruciverba

Come si chiama e dove vive il buffo animaletto nella foto? Per scoprirlo risolvi il cruciverba e leggi le lettere nelle caselle evidenziate.

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1. Piccoli rettili 6. Un’espressione d’arte 11. Aridità, siccità 13. Un legume 14. Preposizione 15. La pelle dopo una contusione 17. Fuma in salotto 18. Grossi rettili simili a lucertole 20. Cantava «Tristezza per favore vai via» 21. Le iniziali del compositore Rossini 22. Contiene informazioni genetiche 23. Possessivo femminile 24. Le iniziali della conduttrice Isoardi 25. Una… cricca di amici 26. Sporchi, sudici 27. La Giunone dei greci 28. Si ode nella cova

Scopo del gioco

Completare lo schema classico (81 caselle, 9 blocchi, 9 righe per 9 colonne) in modo che ogni colonna, ogni riga e ogni blocco contenga tutti i numeri da 1 a 9, nessuno escluso e senza ripetizioni.

N. 9 FACILE

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1. Si lava con la lingua 2. Una consonante 3. Sono dispari nella cesta 4. Harvard University 5. Abita a Dublino 7. Volano per i creduloni 8. Si percorrono in nave 9. Una di famiglia 10. Le iniziali del politico Alfano 12. Uccelli dalle lunghe zampe 16. Priva di utilità 18. Ai lati della vallata 19. Un metallo radioattivo 21. Tratti di corsi d’acqua percorribili a piedi 23. Un pezzo del bikini 25. Simbolo chimico del calcio 26. Le iniziali dell’attore Argentero

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Soluzione della settimana precedente

Ridiamo insieme – Frase risultante: «…finché morte non vi separi!». F A N A T I S M I

N I C H E L M O V E R N E U N O A V A R I V A M C I E P A R A U L A M M E N S I

I D O L O

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Ricetta e foto: www.saison.ch

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia Caracas, le vie del greggio Le violenze politiche che scuotono il Venezuela sono anche figlie della lotta per il controllo del greggio

Spaccatura fra gli Stati del Golfo Arabia Saudita e Qatar palesemente in rotta dopo il ritiro forzato degli ambasciatori da Doha. Un avvertimento al piccolo regno affinché non prosegua nella sua politica di espansione e di finanziamento dei terroristi islamici pagina 25

Uniti per indagare meglio Nell’era della crisi della carta stampata, causata dal crollo degli introiti pubblicitari, alcune grosse testate uniscono le forze per garantire un giornalismo d’inchiesta

Svizzera-UE: idee cercansi Dopo il voto del 9 febbraio, si è alla spasmodica ricerca di soluzioni per salvare i Bilaterali

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AFP

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Papa del nuovo mondo Anniversario Da un anno il gesuita argentino Bergoglio sta cercando di riconvertire la Chiesa cattolica

alla sua dimensione pastorale Lucio Caracciolo Un anno fa i cardinali di Santa Romana Chiesa andavano a prendere il nuovo Papa «quasi alla fine del mondo». Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, era l’uomo scelto per rinnovare la missione della Chiesa cattolica dopo il breve pontificato di Benedetto XVI, concluso ingloriosamente con delle dimissioni che per molti cattolici significavano tradimento. Il gesuita argentino, prendendo il nome di Francesco, denunciava da subito il senso del suo pontificato: recuperare lo spirito evangelico delle origini, curare che la Chiesa fosse orientata agli ultimi, ai poveri, con stile povero, combattere per conseguenza le derive mondane che avevano avvelenato la curia e screditato l’immagine dell’istituzione fondata duemila anni fa da Pietro. Inoltre, mettendo l’accento sul suo titolo originario – vescovo di Roma – Francesco marcava un altro stigma della sua idea di papato, quello conciliare,

ecumenico, collegiale. Un Papa che si rivolgeva da vescovo agli altri vescovi della cristianità, anche ai non cattolici. Infine, Francesco si rivolgeva, con il suo stile semplice, diretto, provocatorio, all’intera umanità, al di là dei recinti del cattolicesimo e di qualsiasi altra fede o confessione. Non solo il capo della Chiesa di Cristo, ma un leader universale. Tanto da conquistare subito le copertine di riviste come «Rolling Stone» e «Time» (che lo eleggeva uomo dell’anno 2013), come pure l’eco di quasi tutti i media, inclusi quelli social. Un anno dopo, a che punto è la missione di Francesco? Sotto il profilo dell’immagine, Papa Bergoglio può esibire un successo formidabile. Considerando soprattutto il nadir da cui muoveva. La vera novità di Francesco non è tanto nello stile, nel modo di porsi, nella simpatia umana che generalmente suscita, talvolta in modo così evidente da attrargli gli strali di critici che lo dipingono come troppo «piacione». Il carattere di fondo del Pa-

pa è quello di considerare e trattare la Chiesa non come un fine ma come un mezzo. Prima di entrare in conclave, Bergoglio pronunciò al riguardo davanti ai fratelli cardinali un discorso di profondo significato ecclesiale, dedicato alla parabola del «mistero della Luna»: come la Luna non rifulge di luce propria ma riflette quella del Sole, così la Chiesa non splende di suo ma perché serve la verità del Vangelo. Può apparire un’ovvietà. Non lo era. E non lo è, viste le resistenze che nelle alte gerarchie ecclesiastiche l’approccio di Bergoglio già suscita, e in modo sempre meno velato. La Chiesa ereditata da Francesco era infatti introvertita, ripiegata sulla difesa a oltranza di una dottrina intesa come dogma assoluto, irriformabile e nemmeno interpretabile. Questo papato riscopre invece la «gerarchia delle verità», ossia l’idea che la dottrina è una, ma può anzi deve essere interpretata, modulata, spiegata al gregge di Cristo a partire dalle condizioni particolari di tempo e

di luogo. Un approccio molto gesuitico, tipico di un Papa che è sempre stato un prete in missione, a partire dagli spazi più depressi e sfruttati delle periferie di Buenos Aires. Un Papa che sa come rivolgersi agli emarginati e non teme di mescolarsi ad essi. Bergoglio ha portato a Roma, insieme al sapore e all’odore delle periferie del mondo, la teologia del popolo. Variante argentina della teologia della liberazione, della quale respinge le variazioni marxisteggianti mentre si rivolge direttamente ai bisogni spirituali e materiali del popolo, nel quale riconosce una peculiare sapienza. Non proprio il tipo di missione che distingueva Papa Ratzinger, grande teologo quanto impacciato pastore. Francesco vuole riconvertire la Chiesa alla sua dimensione pastorale. Per questo insiste sul suo carattere aperto. La Chiesa non è il clero, è la comunità dei battezzati. Ciascuno dei quali è soggetto missionario. In questa visione c’è un paradossale tocco anti-

clericale. Lo stesso Bergoglio ha denunciato il «peccato clericale», quando il clero si chiude in sé e si presume autosufficiente. Scattano allora alcune mondanissime tentazioni che frenano se non impediscono l’impatto missionario. Un capitolo decisivo di questo papato è la morale sessuale, familiare. Entro il prossimo anno i cardinali dovranno elaborare un nuovo documento al riguardo. Le prime discussioni sono già state animate, a causa delle resistenze dei tradizionalisti all’interpretazione di Bergoglio, non innovativa sotto l’aspetto dottrinale ma rivoluzionaria nel modo di porgere la dottrina. Insomma, questo Papa non cambia idea sul senso della famiglia o sugli omosessuali. Semplicemente, e radicalmente, non vuole farne l’ossessione della Chiesa. Se il corpo mistico di Cristo si riducesse a un manipolo di guardiani dell’ortodossia, cesserebbe di essere tale. Di questo Francesco è consapevole, su questo si gioca tutto.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia

Greggio, manna e maledizione

Notizie dal mondo

Venezuela Anche nel giorno del primo anniversario della morte di Chávez prosegue

L’ex-guerrigliero diventa presidente del Salvador

Keystone

la protesta contro il presidente Maduro e il chavismo. Che è anche figlia dell’eterna lotta interna e internazionale per il controllo delle risorse petrolifere

Angela Nocioni La maledizione del petrolio. La violenza politica che avvampa le strade del Venezuela da settimane è figlia non solo della crisi del chavismo al governo per la prima volta, dopo 14 anni, senza il leader fondatore Hugo Chávez. Ma anche dell’eterna lotta, interna e internazionale, per il controllo delle enormi risorse petrolifere venezuelane, maggiori di quelle dell’Arabia Saudita. Quali quantità e nell’interesse di chi estrarre l’oro nero, apparentemente infinito, su cui il Venezuela galleggia? La guerra politica che divide in questi giorni il Venezuela tra accuse di golpe e proteste di piazza, si gioca anche e soprattutto attorno ai milioni di dollari che, dal sottosuolo, gonfiano di cifre virtuali i conti dell’impresa petrolifera statale Petroleos de Venezuela (Pdvsa) – una gigantesca fabbrica di dollari cash grazie all’export internazionale del greggio – per poi viaggiare veloci a saldare debiti economici e onorare patti politici stretti da Hugo Chávez in 14 anni di governo. Soprattutto con la Cina, che tiene in mano un credito tale con Caracas da poter minacciare di strozzarla finanziariamente, con un click.

Un mistero insolubile è quello sulla quantità del petrolio prodotto. Pdva, l’impresa petrolifera statale, è accusata di produrre poco e mentire sulle cifre L’ex presidente, al potere dal 1998 al 5 marzo dell’anno scorso, ha fatto del petrolio la linfa di un progetto politico interno e continentale. Pdvsa è stato il bancomat della sua rivoluzione. E la preziosa arma di retorica politica del presidente defunto. «El petrolio es del pueblo» sta scritto ancora, con la firma di Hugo Chávez, nei cartelloni pubblicitari dell’impresa. Il petrolio finanzia la gigantesca politica sociale chavista. Una forma di peronismo, di distribuzione di elemosina ai più poveri perché continuino ad appoggiare il governo? O uno straordinario

piano di ridistribuzione della ricchezza, pubblica peraltro? Dipende dai punti di vista. Di certo, alcuni di questi progetti, di solito i meno noti, sono unici al mondo. La mappatura delle disabilità e relativa assistenza gratuita, per esempio. Negli ultimi tre anni in Venezuela gruppi di impiegati governativi hanno passato al setaccio il Paese e censito le persone disabili per poi offrire a ciascuno assistenza medica specializzata gratuita. Un’operazione gigantesca di politica sanitaria e sociale, talmente mal pubblicizzata da essere sconosciuta fuori dal Paese. Anche questo progetto, tra mille altri, è stato finanziato dai profitti del petrolio. Il petrolio è il motore della politica chavista ed anche la fonte della gigantesca corruzione presente dentro il governo attuale come lo fu per decenni, prima dell’avvento di Chávez al potere, nel periodo del boom del greggio, ai tempi del cosiddetto «Venezuela saudita». Il petrolio è sempre stata la maledizione e la manna di questo bellissimo Paese, che non ha mai saputo sviluppare un’economia produttiva diversificata finendo quindi per dipendere in tutto e per tutto dalla sua principale risorsa naturale, e che, contemporaneamente, proprio grazie al petrolio riesce a tessere politiche interne e internazionali. È il greggio infatti a tenere salde le alleanze internazionali strette dall’ex presidente Chávez. Alleanze a caro prezzo. Da quella con Pechino (pagata con 460 mila barili al giorno, in cui persino le spese di trasporto sono a carico di Caracas) a quella con l’Avana (petrolio a prezzi irrisori fornito in sovrappiù rispetto al fabbisogno interno perché Cuba possa vendere la differenza sul mercato internazionale e così tirare avanti). Gli idrocarburi sono la fonte del 57,4% del consumo energetico globale, il 48% del consumo dei dieci Paesi più industrializzati, insegnano al primo anno del corso di economia del petrolio all’università di Caracas e il Venezuela è il terzo produttore mondiale. La destra tradizionale – che fino al 2003 aveva il controllo totale dell’impresa e che, dopo una serrata riuscita nell’intento di mettere in ginocchio il Paese per tre mesi tra il dicembre del 2002 e il febbraio del 2003, fu accusata da Chávez di mirare a un golpe senza carri armati (il golpe petrolero) – è esasperata da non

avere più in mano le chiavi del business petrolifero. Molti dei chavisti messi al posto dei vecchi dirigenti licenziati in massa da Chávez nel 2003 perché considerati «antirivoluzionari», sono diventati una nuova classe di piccoli milionari, parassita dell’impresa del petrolio non meno della vecchia «oligarquìa petrolera» tanto criticata da Hugo Chávez. E per di più, hanno mostrato spesso di non saper individuare tecnici all’altezza, basando le scelte solo su criteri di fedeltà politica e personale, e di avere perciò guastato per incuria le capacità produttive dell’impresa. «Il mercato naturale del petrolio venezuelano è gestito da attori ibridi che vendono e comprano secondo il miglior stile delle imprese capitalistiche» sostiene il professor Franco D’Orazio, studioso dei flussi commerciali del petrolio. «Queste imprese sono dirette però da individui indottrinati in circoli comunisti stranieri, penso a Cubapet o alla Cnpc China. Esiste una dozzina di compagnie firmatarie di associazioni strategiche per lo sfruttamento dei giacimenti di greggio che manca di tecnologie e tecnici all’altezza». «Questi nuovi attori del mercato nazionale, insieme a Russia, Bielorussia, India, Vietnam, Iran, e ad alcuni soci latinoamericani fanno affari solo col governo centrale. Perdiamo tutti i benefici del confronto con tecnologie avanzate». Un mistero insolubile è quello sulla quantità di greggio prodotto. Pdvsa è accusata da molti tecnici di produrre poco e di mentire sulle cifre. Secondo Diego Gonzales, economista del petrolio, nei conti di Pdvsa ci sono «troppe incongruenze». Prendiamo le cifre del 2011, dice. «Pdvsa dichiara di aver prodotto in quell’anno mezzo milione di barili al giorno in più di quanto invece risulta alla Agenzia internazionale dell’energia. Gli Stati Uniti negli ultimi dieci anni hanno aumentato il loro consumo di prodotti raffinati di 400mila barili al giorno, devono averli comprati da qualcun altro visto che noi abbiamo diminuito l’export verso gli Stati Uniti di 700mila barili al giorno». Fu però un’idea brillante quella di ridurre la produzione. Venne in mente al grande vecchio del petrolio venezuelano, Alì Rodríguez Araque, che la seppe imporre a Chávez. Ex guerrigliero guevarista del gruppo guidato da Douglas Bravo, Alì Rodríguez è stato negli anni No-

vanta, l’era della «apertura petrolera», il responsabile del controllo parlamentare sui contratti con il mercato estero. Sa tutto del petrolio venezuelano. Fu lui, durante il primo governo Chávez, a viaggiare per tutti i Paesi dell’Opec per sostenere la linea della riduzione della produzione. Riuscì a far vincere l’idea di mantenere a tutti i costi un prezzo alto, rivendicandolo come prezzo giusto. Conclusa l’assemblea dell’Opec del 1999 e annunciata la decisione di diminuire la quantità di petrolio estratto, Hugo Chávez così celebrò i suoi primi 100 giorni di governo: «L’incremento del prezzo del petrolio non è stato prodotto di una guerra o della luna piena, no, no, no. È il frutto della fermezza di una strategia che ha cambiato di 180 gradi la politica del Venezuela». Quattro mesi dopo il «Financial Times» scriveva che il periodo appena trascorso era stato «uno di quelli di maggior successo nella storia dei tentativi dell’Opec di controllare il prezzo del greggio». La «boliborghesia» venezuelana, la classe sociale dei nuovi ricchi benedetti dalla rivoluzione chavista, all’ombra del business del petrolio pubblico si è arricchita. I più capaci di ricatto sono i rappresentanti delle ex piccole banche, che erano piccole dieci anni fa e non lo sono più perché sono state inondate da capitale pubblico. Ed un potere immenso hanno anche i burocrati a capo delle società di importazione. Per esempio quelli che, indirettamente, hanno a che fare con Cemex, la impresa con sede formale a Panama che si occupa della triangolazione commerciale con Cuba. Oltre a quelli che siedono nelle commissioni miste Cuba-Venezuela che gestiscono infiniti commerci. Il cambio fisso a Caracas è di 6,30 bolivares per un dollaro, ma in strada il prezzo vero arriva ormai anche a 80. Chi accede al mercato nero del dollaro maneggiando i soldi dello Stato, diventa rapidamente molto ricco. C’è anche questa rabbia, e non solo il tentativo dell’estrema destra di dare una spallata violenta al governo Maduro, nella protesta di piazza che lacera il Venezuela in queste ore. Non sono tutti e soltanto militanti di estrema destra quelli che tirano i sassi contro la Guardia Nazionale. Dentro c’è anche, ed è questo il peggior guaio per Maduro, una parte di giovani delusi e traditi dalle promesse della Revolución.

Sanchez Cerén (nella foto), candidato della sinistra al potere dal 2009 e ex guerrigliero ha vinto il ballottaggio per le elezioni in Salvador, dimostrando come il Salvador, a oltre 20 anni dalla fine della guerra civile, sia un Paese spaccato in due. Sanchez, 69 anni, è un ex guerrigliero del Fronte Farabundo Marti per la liberazione nazionale (Fmln) ed è stato un leader dei ribelli durante la guerra civile in Salvador (19801992: 75 mila morti e migliaia di desaparecidos) quando era conosciuto come il «comandante Leonel Gonzalez» e fu uno dei firmatari dell’accordo di pace. Nel governo uscente del giornalista Mauricio Funes, Cerén è stato vicepresidente. Il Fronte Farabundo Marti governa in Salvador dal 2009 ed è diventato un partito dopo la fine della guerra civile. L’ex leader dei guerriglieri ha battuto solo di pochi voti il candidato della destra Norman Quijano (ex sindaco di San Salvador) dell’Alleanza Repubblicana Nazionalista (Arena), che ha ottenuto il 49,89% dei voti. La Crimea vota l’indipendenza A Sebastopoli il russo diventa lingua ufficiale prima ancora che il Parlamento regionale, anticipando il referendum con cui il 16 marzo si chiede ai cittadini se vogliono unirsi alla Russia e staccarsi dall’Ucraina, ha votato la piena indipendenza dall’Ucraina. Kiev ha già dichiarato la mossa «illegittima», ma il ministero degli Esteri russo, in una nota ha ribadito che la dichiarazione di indipendenza «è assolutamente legittima». E nell’ennesimo colloquio telefonico con il collega americano John Kerry, il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha sottolineato che «bisogna rispettare il diritto dei cittadini della Crimea a determinare da soli il proprio futuro». Il voto, praticamente all’unanimità, del Consiglio Superiore (il Parlamento regionale) della Crimea è solo l’ultimo capitolo della peggiore crisi degli ultimi decenni in Europa. E ha seguito di soli pochi minuti la ricomparsa sulla scena di Viktor Yanukovich: con aria di sfida, l’ex uomo forte di Kiev è riapparso in Russia

meridionale, dalla città di Rostov sul Don, per sostenere che è ancora il presidente legittimo dell’Ucraina, il capo del suo esercito e che tornerà a Kiev, «non appena le circostanze lo permettono». Yanukovich ha aggiunto che le elezioni presidenziali ucraine previste per il 25 maggio sono «assolutamente illegittime e illegali» e che il Paese adesso è in mano «a una banda di ultranazionalisti e neofascisti» che vogliono scatenare «una guerra civile».


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia

Guerra fredda nel Golfo Relazioni diplomatiche Arabia Saudita, Bahrein e Emirati arabi uniti hanno ritirato i loro ambasciatori dal Qatar

rendendo così per la prima volta pubbliche le tensioni fra gli Stati del Golfo: in particolare fra Ryiad e Doha, quest’ultimo accusato di finanziare il terrorismo dei Fratelli musulmani e di avere mire di potenza regionali Marcella Emiliani Anche i burattinai, a volte, piangono. E questa volta a piangere sono i regni e gli emirati del Golfo, ricchissimi di petrolio, che da tre anni a questa parte manovrano dietro le quinte per teleguidare a distanza gli esiti delle convulsioni politiche provocate dalle «primavere» arabe. La prima avvisaglia che qualcosa di grosso stesse succedendo è arrivata il 5 marzo scorso, quando all’improvviso l’Arabia Saudita, il Bahrein e gli Emirati arabi uniti hanno richiamato in patria i

Re Abdullah teme che l’attivismo del Qatar finisca per sminuire l’influenza che l’Arabia Saudita ha sempre esercitato fra i sunniti propri ambasciatori a Doha, capitale del Qatar accusandolo di «pesanti ingerenze» nei Paesi vicini. Come? Dove? Perché? Nei comunicati ufficiali non era specificato. Ma era chiaro a tutti che scricchiolava il Consiglio di coopera-

zione del Golfo, la coalizione di Stati della penisola arabica creata nel 1981 per arginare le mire espansionistiche dell’Iran khomeinista e difendersi dalle «minacce esterne». Ma il pericolo, nella congiuntura attuale, non è rappresentato da un Paese sciita bensì da una roccaforte del sunnismo, il Qatar, che dopo la mossa del 5 marzo è rimasto praticamente isolato tra i suoi vicini. Gli unici a non pronunciarsi sono stati il Kuwait e l’Oman che si sono autocandidati a negoziare tra i due schieramenti. L’Egitto, che con la penisola arabica non c’entra nulla, il suo ambasciatore a Doha l’aveva ritirato per primo, da tempo. Il motivo di tutto questo andirivieni di ambasciatori si è chiarito meglio il 7 marzo successivo quando l’Arabia Saudita ha messo fuori legge la Fratellanza musulmana in tutta l’ecumene islamica sunnita. Dal 7 marzo cioè, per Riyad, la Fratellanza è diventata un’organizzazione terroristica, i suoi membri rischiano nel regno fino a 20 anni di carcere e – non bastasse – re Abdullah ha richiamato in patria anche i 1200 combattenti sauditi impegnati sul campo in Siria. Sono state comprese nel pacchetto delle organizzazioni terroristiche anche al-Nusra, il fronte estremista islamico che combatte in armi il

regime di Bashar al-Assad e l’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante), affiliato ad al-Qaeda, che ha riconquistato la provincia irachena di Anbar e attraversa spesso il confine per far stragi nella già martoriata Siria. Dietro la Fratellanza musulmana da anni c’è il Qatar le cui mire di potenza evidentemente hanno infastidito Riyad soprattutto dopo le vittorie schiaccianti alle elezioni di Ennahda in Tunisia e del partito Libertà e Giustizia dei Fratelli musulmani in Egitto. Che qualcosa non funzionasse dalle parti del Golfo si era già capito all’indomani del golpe con cui il 3 luglio scorso il generale al-Sisi in Egitto aveva spodestato il presidente Morsi, espressione dei Fratelli musulmani locali, e l’Arabia Saudita invece di dolersi aveva espresso a chiare lettere il suo appoggio al generale. Non era un comportamento consono al Vaticano sunnita che, in teoria, avrebbe dovuto lanciare strali contro l’ennesimo colpo di Stato militare in un Paese arabo in cui, per di più e soprattutto, la Fratellanza musulmana era riuscita ad agguantare il potere dopo quasi 70 anni di ostracismo e persecuzioni. Riyad peraltro non aveva gradito nemmeno il flirt tra Morsi e il Movimento della resistenza islamica (Ha-

I leader del Consiglio di cooperazione del Golfo riuniti a Ryiad. (Keystone)

mas) a Gaza, nato da una costola dei Fratelli egiziani. Anche in questo caso l’Arabia Saudita avrebbe dovuto gioire e invece no, perché dietro gli amorosi sensi c’era un’operazione di recupero alla famiglia sunnita orchestrata dal Qatar a suon di dollari, per impedire che la Striscia di Gaza finisse totalmente nell’orbita della Siria e dell’Iran, i maggiori fornitori dei missili che Hamas fa piovere su Israele. Oggi i media sauditi, in primis la tv satellitare al-Arabyia, concorrente della più nota al-Jazeera qatarina, descrivono il Qatar come «la rana che si crede un bue», ma dietro la metafora in stile Esopo, c’è il reale timore di re Abdullah che l’attivismo del Qatar finisca per sminuire l’influenza che l’Arabia Saudita ha sempre esercitato sugli ambienti islamico-sunniti dell’intero Medio Oriente. Vediamo perché. Riyad ha una lunga tradizione di sostegno a qualsiasi formazione islamica sia comparsa sulla scena politica mediorientale fin dall’inizio della Guerra fredda quando tutte le repubbliche o quasi del Medio Oriente si schierarono con l’atea Unione Sovietica sulla scia dell’Egitto di Nasser. L’Arabia Saudita ha anche ospitato e inserito nelle sue università tutti gli intellettuali islamici perseguitati in patria da regimi socialisti e secolarizzati, in primis proprio i Fratelli musulmani decimati da Nasser o dai regimi del Ba’th in Siria e in Iraq. Questo fino agli anni ’90 del secolo scorso quando ebbe amare sorprese dai suoi ex protetti. La Fratellanza musulmana irachena si schierò con Saddam Hussein quando nel 1990 l’Iraq invase il Kuwait e ammassò truppe sul confine della stessa Arabia Saudita. Ma soprattutto i giovani che erano stati «educati» nelle università islamiche saudite da esuli della Fratellanza, in specie quella egiziana e palestinese, furono i primi a contestare il diritto della famiglia Saud a governare e predicavano ormai il suo rovesciamento. Un nome per tutti: Osama bin Laden. La ruggine tra i Saud e gli Ikhwan (i Fratelli mussulmani) è dunque di vecchia data, ma si è inasprita dopo l’ascesa del Qatar a potenza regionale che ha una data precisa, il 1 novembre 1996, giorno e anno di nascita di al-Jazeera, voluta espressamente dall’emiro di allora Hamad bin Khalifa al-Thani che solo l’anno prima aveva tranquillamente spodestato suo padre dal trono. Il piccolo Qatar, da quel momento ha

fatto del soft power (cioè il potere della persuasione, non quello della forza), il suo primo strumento di penetrazione nel mondo arabo proprio attraverso la tv satellitare. E c’è riuscito in pieno abbinando al soft power le sue immense ricchezze (che gli derivano dal petrolio e soprattutto dal 15% delle riserve mondiali di gas) e una straordinaria spregiudicatezza in politica estera. E qui arriviamo al vero punto dolens per l’Arabia Saudita. Il Qatar è il Paese che ha dato nuove basi alle truppe e alla flottiglia aerea americana quando nel 2003 George W. Bush jr. decise di abbattere il regime di Saddam Hussein con l’Operazione Iraqi Freedom e l’Arabia Saudita – che era contraria all’attacco – non se la sentì più di ospitare i contingenti Usa anche per paura delle ritorsioni di Al Qaeda. Ma soprattutto il Qatar è la micropotenza regionale che si è messa a finanziare a tutto spiano le «primavere arabe», senza precondizioni di sorta. Questo significa che a differenza dell’Arabia Saudita non fa distinzioni tra le formazioni islamiche, non sta a selezionare tra quelle più o meno fedeli alla versione puritana e rigorista dell’Islam come quella wahhabita sostenuta invece da Riyad. Finanzia e basta, e dal 2011 si è fatto tanti nuovi alleati in Medio Oriente, ben oltre le varie Fratellanze se è vero che membri della famiglia reale al-Thani sono sospettati di aiutare i peggiori jihadisti sul campo in Siria o in Iraq. Ci troviamo così di fronte ad una situazione inedita. L’Arabia Saudita si sente minacciata da un Paese microscopico che con cinismo e pragmatismo sta soppiantandola in un ruolo di patron del sunnismo che fino alla fine della Guerra fredda Usa-Urss era stato il suo. Si tratta dunque di una nuova guerra fredda, tutta intra-sunnita, mentre a livello regionale impazza la guerra caldissima tra sunniti e sciiti che sta massacrando l’Iraq e la Siria e minaccia il Libano e il Bahrein dove una minoranza sunnita regna su una maggioranza sciita. Lo strappo che Riyad ha deciso di dare col ritiro dell’ambasciatore da Doha assieme al Bahrein e agli Emirati arabi uniti per ora è solo un duro avvertimento. Forse confida sull’inesperienza del giovane emiro Sheikh Tamin bin Hamad al-Thani cui il padre ha consegnato il trono solo l’anno scorso. Ma tanto nervosismo nel Golfo non è di buon auspicio per nessuno.

Benvenuta primavera La seta indiana Holi, una delle feste più attese e colorate dell’anno, celebra la fine dell’inverno Francesca Marino Tutto è già pronto da giorni. Per strada, bancarelle e negozi sono pieni di pompe di plastica da cui spruzzare acqua, alcune enormi con doppio serbatoio, da portare sulle spalle a mo’ di zaino. Altri negozi e altre bancarelle espongono montagne di polveri colorate in tutte le sfumature dell’arcobaleno, alcune addirittura arricchite con pagliuzze scintillanti. I più intellettuali e politicamente corretti comprano a caro prezzo nei negozi di lusso, i soli rimasti ormai a vendere questo tipo di merce, le polveri tradizionali: meno brillanti, ma fatte con pigmenti naturali come il cumino, l’indigo, l’hennè. Si celebra Holi, la festa dei colori. Che è forse la più scenografica di tutte le feste induiste e somiglia, sotto certi aspetti, al nostro Carnevale. Si tiene ogni anno alla prima luna nuova di marzo, ed è una vera e propria festa nazionale che ricorda, almeno per il numero di morti e feriti lasciati sulle

strade e per il coinvolgimento popolare, il Carnevale di Rio. La gente si riversa nelle strade spruzzandosi addosso acqua e polveri colorate, e facendo più baccano e confusione possibile: non esistono più differenze di ceto, di cultura, di casta o di sesso. A Holi, vera e propria saga della trasgressione, tutto è permesso. Motivo per cui viene in genere vivamente consigliato a chiunque di non scendere a celebrare Holi per strada in mezzo a sconosciuti. Ricordo di quando i giorni della festa erano un vero e proprio «tempo alla rovescia»: ogni comportamento era diametralmente opposto a quello normale, i padroni dovevano servire gli schiavi, venivano abbandonate le normali remore della legge e della morale e tutti si abbandonavano a stravaganti manifestazioni di gioia e di allegria. Come lanciare palloncini pieni di acqua colorata dai balconi, ad esempio, su passanti e macchine. La mattina di Holi, le strade sono

piene di ragazzi e bambini che rovesciano secchi d’acqua colorata e polveri multicolori su chiunque capiti a tiro e può capitare anche di trovarsi ricoperti di vernice o peggio. Nei posti più tradizionali si prende il bhang, estratto dalla marijuana, nei posti meno rispettosi della tradizione birra e whisky scorrono a fiumi. La festa comincia la sera prima, a mezzanotte. Quando nelle piccole città e nei villaggi si accendono i falò accuratamente predisposti da giorni dai ragazzi del quartiere. In mezzo alla catasta di legna troneggiano statue più o meno grandi della cattiva strega Holika che tiene tra le braccia il piccolo Pralad: incarnazione del dio Vishnu, che incenerisca la strega rimanendo illeso. Quando i falò cominciano a bruciare tutti cominciano a danzare e correre intorno al fuoco. In casa, nei posti più tradizionali, le signore fanno uno scrub con un miscuglio di semi di senape pestati e olio: ciò che rimane dovrebbe essere in teoria

gettato tra le fiamme. Perché Holi è essenzialmente una festa della primavera legata all’antico calendario agricolo, e il falò di Holika, la vecchia strega che muore tra le fiamme, rappresenta simbolicamente l’inverno che muore e la successiva rinascita dei campi. Un’altra teoria vuole, infatti, che il Carnevale, come anche Holi, non siano altro che lo sbiadito ricordo di una vera e propria festa di capodanno che, nel mondo antico, celebrava la morte dell’anno vecchio e l’inizio del nuovo: cioè la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. In città non si fanno più falò e Holika dorme sonni tranquilli, ma letteralmente chiunque, la mattina di Holi sveglia amici, vicini e parenti con manciate di polveri colorate. Si scatenano vere e proprie battaglie, che finiscono nel primo pomeriggio quando tutti, stremati e senza più un centimetro di pelle del colore abituale, si affollano intorno a docce, vasche da bagno e fontane per cancellare le tracce della battaglia mattuti-

na. Nel pomeriggio, dopo avere indossato nuovi abiti, si va in visita da parenti e amici e si coglie l’occasione per cercare di ricomporre eventuali liti. Tutti sono rilassati, sorridenti e anche un po' sofferenti da più o meno clamorosi postumi da sbronza. Il Carnevale è finito, tra pochi giorni sarà finita anche la brevissima primavera indiana, le temperature cominceranno a salire e tutti torneranno alle loro occupazioni. Ma per giorni ancora si vedranno in giro persone e anche animali che recano ancora le tracce colorate e dure a scomparire dell’allegra battaglia di Holi.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia

Il cane da guardia non molla la presa Giornalismo di ricerca In un’era di ridotte entrate pubblicitarie, condurre inchieste è per molte testate

troppo oneroso. Fra le strategie per non rinunciare al ruolo di difensori della democrazia c’è quella di creare delle catene di giornali che mettono risorse in comune per indagini su vasta scala – 1. parte ratore del quotidiano britannico «The Guardian», e a Luca Poitras, giornalista americana del «Washington Post». L’incontro tra i due giornalisti e Snowden avvenne a Hongkong nella primavera del 2013. In giugno cominciarono le pubblicazioni sul «Guardian». La polizia inglese obbligò la redazione a distruggere i dischetti in suo possesso, ma ne esisteva una copia in America e la pubblicazione continuò a partire dall’ufficio di corrispondenza del giornale a Washington. («Message», il periodico di Amburgo, ne ha riferito i particolari nel suo primo numero del 2014: cfr. www.message-online.com). Le rivelazioni si sono rivelate compromettenti per l’intero governo degli Stati Uniti. Lo stesso presidente Obama ha dovuto ammettere che il sistema andava quantomeno corretto in senso liberale.

Enrico Morresi Sono molti gli ostacoli da superare per i mass media se vogliono realizzare l’invito della Corte europea dei diritti dell’uomo: «Voi siete i cani da guardia (letteralmente: the watchdogs) della democrazia». La posizione di chi ha interesse a nascondere fatti di pubblica rilevanza è attualmente rafforzata da leggi squilibrate nel senso della tutela degli interessi privati, nonché avvolta da cortine di fumo prodotte da un esercito di comunicatori d’impresa. Costa molto, d’altra parte, tenere occupati i giornalisti in una ricerca che può durare giorni, settimane, mesi, e si comprende che il genere sia stato piuttosto sacrificato dai giornali colpiti dal crollo della pubblicità (un terzo in meno – ottocento milioni – tra il 2001 e il 2009 per l’insieme della stampa svizzera). Ma l’interesse del pubblico per le notizie che contano non è cessato. Si manifesta, per esempio, nella sottoscrizione di abbonamenti online costosi – il cosiddetto Paywall – per accedere alle informazioni di qualità dei grandi giornali. Molto seguite sono le inchieste realizzate da redazioni che diffondono solo sul web (con un minimo di costi rispetto alla produzione a stampa o in radio o televisione). Il sito parigino «Mediapart», per esempio, ha raccolto in cinque anni 80 mila abbonati paganti 10 dollari al mese e conta di realizzare nel 2013 sei milioni di dollari di incasso e 400 mila euro di profitti. Negli ultimi anni, un certo numero di fondazioni non profit si è fatta avanti per finanziare ricerche giornalistiche difficili: suggestivo ma delicato come mezzo perché dietro una fondazione può nascondersi una lobby finalizzata al sostegno di determinati interessi, pubblici o privati. In qualche luogo si sperimenta il crowdfunding, ossia la raccolta di somme di denaro anche piccole purché numerose (il sistema era stato organizzato alla grande per finanziare la prima elezione alla presidenza di Barack Obama). Più recente ed efficace al massimo è la formazione di catene di giornali che

Le fughe di notizie, come nel caso di Assange e Snowden, sono fondamentali, ma per il giornalismo d’inchiesta sono solo strumenti per effettuare ulteriori indagini, non un loro sostituto mettono in comune le risorse per ricerche su vasta scala («Azione» ne ha riferito dopo un convegno internazionale svoltosi a Ginevra, il 31 maggio 2010). Questo sistema si dimostra efficace per difendere la ricerca dai tentativi di bloccaggio o di sequestro operati dai

Il «caso cinese»

Edward Snowden: le sue rivelazioni hanno fatto tremare la National security agency americana. (Keystone)

pubblici poteri. Così si possono diffondere i leaks, ossia le fughe di notizie aventi all’origine un whistleblower, cioè qualcuno che denuncia per ragioni di coscienza un’irregolarità dall’interno di un’azienda o di una amministrazione. È in questo modo che si sono potuti diffondere – malgrado l’irritazione dell’Esercito americano oppure della NSA (National Security Agency) che spiava tutte le conversazioni, pubbliche e private, commerciali comprese, di mezzo mondo – documenti compromettenti per gli Stati oppure per le grandi banche o per uomini d’affari agenti in margine alla legalità. Per non ridursi a un pettegolezzaio in cui passa tutto e il contrario di tutto (è il punto debole del web), entrano in linea di conto solo testate che hanno i mezzi per svolgere un secondo giro di verifiche, in base a criteri giornalistici rigorosi, prima di pubblicare. Quello dei China-leaks, commentato nell’editoriale di «Azione» del 3 febbraio, è il caso più recente di rivelazioni gestite da una catena di giornali. In tre articoli a partire da questo, i lettori di «Azione» saranno aggiornati sulle azioni finora coordinate a livello mondiale (1. puntata), su come funziona il sistema in Svizzera, e in particolare sulla Cellule Enquête – Recherchedesk installata Berna per incarico di due domenicali: la «SonntagsZeitung» e «Le Matin

Dimanche» (2. puntata) e infine sui problemi legali e di deontologia sollevati da rivelazioni basate sull’interesse pubblico (3. puntata). Il «caso Assange»

Bradley Manning era un giovane soldato americano mobiliato per la guerra in Iraq. Stazionato a Hammer, a una sessantina di chilometri da Baghdad e addetto alla gestione delle informazioni riservate, ebbe una crisi di coscienza di fronte a tutta una serie di abusi in danno della popolazione irachena commessi dall’esercito americano. A Julian Assange, un giornalista e informatico australiano che si definisce «militante per i diritti umani», Manning trasmise una serie di documenti compromettenti per l’esercito americano. Nel 2010 Assange consegnò a cinque giornali («Le Monde», «Der Spiegel», «The New York Times», «The Guardian», «El Pais») 251’287 dispacci diplomatici americani, 16’652 dei quali coperti dal segreto militare. Quello di Assange non era un sito cui si potesse accedere liberamente; inoltre, la pubblicazione dei documenti fu filtrata dai criteri di etica professionale (ad esempio, evitando di mettere in pericolo persone esposte) ai quali singolarmente i media si ispirano. «Le Monde» pubblicò per otto giorni consecutivi, fino a domenica 5

dicembre 2011, la bellezza di 120 articoli utilizzando 837 di quei documenti. Augusto Valeriani su «Azione» (6 dicembre 2010) metteva in guardia: «La portata rivoluzionaria dell’evento sarà veramente tale soltanto se il giornalismo saprà coglierla utilizzando il materiale grezzo dei file per avviare inchieste e ricerche: uno strumento dell’indagine giornalistica, non un suo sostituto». Purtroppo, la successiva apertura della totalità dei documenti su Internet ha nuociuto ad Assange e all’operazione in genere. Ricercato in Svezia per un’oscura vicenda di sesso, è attualmente rifugiato nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra. Il «soldato Manning» è stato condannato il 21 agosto 2012 a 36 anni di prigione. Il sito di Wikileaks (www.wikileaks.org), fondato nel 2007, è comunque sempre attivo. Il «caso Snowden»

Anche Stati democratici possono violare, in nome della lotta al terrorismo, i diritti fondamentali. In questi termini il bollettino di «Reporters sans frontières» commentava l’autunno scorso la fuga di documenti riservati della National Security Agency americana operata da un funzionario dell’agenzia stessa: Edgar Snowden, un altro tipico «wistleblower». I documenti furono consegnati a Glenn Greenwald, un giornalista britannico residente in Brasile, collabo-

«Per Cathy S. e per le sue colleghe del Credit Suisse di Hongkong, occuparsi di creare della società-paravento era routine. Ne avevano già parecchie centinaia al loro attivo quando dovettero, il 28 settembre 2006, cominciare a occuparsi di un cliente un po’ speciale. I funzionari della banca svizzera venivano infatti pregati di fondare una società nelle Isole Vergini britanniche per conto di Wen Yunsong, figlio di Wen Jiabao, membro del comitato permanente dell’ufficio politico del Partito comunista e primo ministro in carica da tre anni». Lo si apprende da un articolo di François Pilet e Titus Plattner, giornalisti attivi a «Le Matin dimanche» e alla «SonntagsZeitung» ripreso da «Le Monde» e da molte altre testate internazionali. La fonte del servizio erano le migliaia di documenti sfuggiti alla Portcullis TrustNet, la società che faceva da intermediario per spostare il denaro alle isole Vergini, documenti attualmente gestiti dall’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalism). Wen Yunsong, titolare della Trend Gold Consultants Limited, la società che il Credit Suisse aiutava a creare e di cui pagava le fatture, era persona politicamente molto esposta. Perché il caso interessa la Svizzera? Perché può configurare una violazione dell’Ordinanza federale svizzera sulla prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo da parte della banca. La figlia del premier cinese, Wen Ruchun, era stata assunta dal Credit Suisse First Boston di Pechino (vi fu attiva dal 1999 al 2001 sotto il falso nome di «Lily Chang»), evidentemente per facilitare i contatti con la nomenklatura di Pechino. Il Credit Suisse fu nel 2005 la prima banca straniera a entrare sul mercato del private banking cinese. Si può immaginare che i profitti, in termini di commissioni, non furono noccioline. La domanda è: non dovrebbe interessare la FINMA – l’autorità svizzera di sorveglianza sulle banche – un simile comportamento? Sarà questo l’argomento del prossimo articolo. Annuncio pubblicitario

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia

Idee geniali cercansi

Miliardi di multe contro banche e aziende svizzere

Il dopo-9 febbraio Per concretizzare l’iniziativa popolare contro

l’immigrazione di massa e al contempo salvare i negoziati bilaterali servono proposte originali, ma anche una leadership forte

Guai giudiziari Stando ad una statistica

della «Handelszeitung» fra il 2007 e il 2012 sono state comminate multe per 7 miliardi di franchi, quasi tutte negli Stati Uniti

Keystone

Ignazio Bonoli

Marzio Rigonalli È passato più di un mese dalla votazione del 9 febbraio sull’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa e da allora non c’è stato un giorno senza una decisione, un contatto diplomatico, una presa di posizione, una dichiarazione, o qualcosa di simile. La vittoria del «sì» ha provocato una serie di problemi, ha aperto un periodo d’incertezza e costringe ora il Consiglio federale a trovare un compromesso tra l’applicazione dell’iniziativa e la preservazione dei rapporti bilaterali con l’Unione europea.

In attesa di sapere come il governo intende applicare l’iniziativa UDC, permane uno stato di incertezza che danneggia l’economia Bruxelles ha reagito in modo seccato a quella che è una violazione della libera circolazione delle persone, un principio che è alla base del primo pacchetto degli accordi bilaterali e il cui rispetto è indispensabile per accedere al mercato unico europeo. In sintesi, dapprima ha tolto la Svizzera da due programmi europei, Erasmus e Horizon 2020. Il primo permette gli scambi tra studenti universitari, con soggiorni di studio nelle università straniere riconosciuti dalla propria università; il secondo promuove i progetti di ricerca, offrendo buone possibilità agli innovatori ed ai ricercatori. Poi, ha fatto la stessa cosa con il programma Media che eroga finanziamenti a sostegno di film e produzioni televisive. Infine, ha congelato una parte dell’ampio dispositivo bilaterale, interrompendo le trattative in corso, per esempio in settori come l’elettricità o le emissioni di CO2, o rifiutando di aprire un qualsiasi nuovo negoziato. L’UE non nasconde che potrebbero esserci altre conseguenze negative per la Svizzera e attende di conoscere come Berna applicherà l’iniziativa approvata il 9 febbraio. Le reazioni in Svizzera sono state molteplici. Il Consiglio federale si è subito sforzato di spiegare la nuova situazione interna alla Commissione europea ed ai principali governi europei. I contatti diplomatici sono stati numerosi e tra questi si possono citare i viaggi del presidente della Confederazione Didier Burkhalter a Berlino ed a Parigi, e della consigliera federale Simonetta

Sommaruga a Bruxelles. Nel rispetto della nuova norma costituzionale, Berna ha poi rinunciato a firmare il protocollo sull’estensione della libera circolazione delle persone alla Croazia, suscitando malumori sia a Zagabria che a Bruxelles. Malumori che attendono ora una risposta su come la Svizzera intende risolvere la questione con il 28mo Stato membro dell’UE. Sul fronte interno, il governo si è attivato rapidamente. Ha consultato le organizzazioni economiche ed i sindacati, in una riunione svoltasi il 1. marzo e presieduta dal consigliere federale Johann Schneider-Ammann, si è impegnato ad ascoltare i promotori dell’iniziativa, invitandoli ad esprimersi davanti all’Ufficio federale della migrazione ed ha istituito un gruppo di lavoro comprendente i rappresentanti dei cantoni, dei comuni, dell’economia e dei sindacati. Il Consiglio federale ha promesso di presentare prima dell’estate una proposta su come intende applicare l’iniziativa popolare contro l’immigrazione di massa. Le misure approvate da Bruxelles l’hanno poi spinto a trovare e a decidere, almeno in parte, soluzioni alternative ai programmi europei Erasmus, Horizon 2020 e Media. In parallelo con l’azione del Consiglio federale si sono avute numerose proposte sulla possibile applicazione dell’iniziativa, provenienti soprattutto dalle sponde dell’economia e della politica. La proposta più articolata è arrivata da Avenir Suisse, il «think tank» liberale, che suggerisce d’introdurre un tetto globale decennale, sia per l’immigrazione che per la popolazione totale (cfr. l’articolo di Ignazio Bonoli su «Azione» del 10.3.2014). Christoph Blocher ha fatto una proposta in tre punti, centrata sulla durata limitata dei permessi e sul modello canadese, ma che non sembra aver suscitato molti consensi. Anche altri leader politici si sono espressi, come il presidente del partito liberale radicale Philipp Müller, o il presidente dell’Unione sindacale svizzera e consigliere agli Stati Paul Rechsteiner. Forte del consenso degli svizzeri nei confronti degli accordi bilaterali, espresso in un recente sondaggio nella misura del 75%, Rechsteiner suggerisce di chiamare il popolo alle urne, per esempio nel 2016, per chiedergli se vuol salvare gli accordi con l’UE. Una risposta positiva renderebbe molto improbabile l’applicazione dell’iniziativa sull’immigrazione di massa. Su come procedere, con il testo approvato il 9 febbraio, si è discusso anche alla sessione delle Camere federali in corso e numerosi sono stati gli specialisti di diritto costituzionale o di di-

retto europeo che si sono espressi, attraverso interviste e commenti diffusi dai media. Che cosa ci aspettiamo ora dal Consiglio federale? Una proposta originale che possa venir accettata dall’Unione europea. Molti hanno già parlato di un colpo di bacchetta magica o della quadratura del cerchio. Si tratta di conciliare il contingentamento dell’immigrazione e la preferenza nazionale sul mercato del lavoro con la libera circolazione delle persone, principio fondamentale di tutto l’edificio europeo. In altre parole, si tratta di soddisfare i promotori dell’iniziativa accettata dal popolo e, nello stesso tempo, di fare in modo che l’Unione europea possa accettare queste novità, salvando così gli accordi bilaterali con la Svizzera. È un esercizio estremamente difficile, con un esito tutto da verificare. È un esercizio che avviene in un momento d’incertezza, che è una sorta di veleno per l’economia. Soltanto più tardi ci accorgeremo dei suoi effetti negativi sulla presenza delle aziende estere in Svizzera e sui posti di lavoro che ne derivano. È un esercizio che ha due possibili esiti: uno positivo, che si tradurrebbe in un compromesso con l’Unione europea, con la preservazione di un rapporto bilaterale forte, e l’altro negativo, che farebbe cadere la maggior parte degli accordi conclusi con Bruxelles negli ultimi quindici anni. In questo caso, la Svizzera si ritroverebbe sola, isolata in mezzo al continente, e potrebbe esser costretta a scegliere tra l’isolamento e l’adesione all’UE. È un momento difficile per tutto il Paese. Uno di quei momenti in cui il bisogno di una forte leadership si fa sentire in modo pressante. Ci vorrebbe una manciata di uomini e di donne con una visione strategica, capace di definire obiettivi ambiziosi per il bene del Paese e di individuare le strade che bisogna percorrere per raggiungerli. Occorre conciliare valori e strumenti che spesso stanno in contraddizione tra di loro. La democrazia diretta con un mondo che non conosce questo diritto democratico; il diritto nazionale con le convenzioni, i patti e gli impegni internazionali; la sovranità nazionale con la partecipazione o l’integrazione in un mondo sempre più globalizzato. La comunità internazionale e i suoi rapporti di forza sono in continua evoluzione e richiedono costanti adeguamenti, che sono altrettante sfide da cogliere e da vincere. Purtroppo, ed è un’amara constatazione, le leadership forti che sarebbero necessarie, vengono recensite come merce rara.

L’anti-trust italiana ha decretato una multa di 180 milioni di euro contro le svizzere Novartis e Roche, accusate di aver provocato un aumento ingiustificato del prezzo di due medicamenti. Le due ditte interessate non accettano il verdetto e inoltreranno ricorso contro la sentenza. È l’ultimo tra i tanti casi che – con o senza validi motivi – colpiscono ditte svizzere. Al di là dell’applicazione delle varie leggi nazionali contro le intese di cartello che permettono questi interventi, gli attacchi americani contro il sistema bancario elvetico sembrano voler incitare molte autorità, tanto politiche, quanto giudiziarie, ad accanirsi contro un Paese ricco e molto attivo a livello internazionale che però spesse volte si difende anche male e si fa parecchie illusioni sulla cooperazione internazionale, piuttosto che sulle prove di forza. Tipica la recente audizione dei dirigenti del Credit Suisse davanti a una commissione del Senato USA, che per molti versi sembra ricordare la veemenza degli attacchi dei tempi in cui si polemizzava sugli averi degli ebrei perseguitati durante la seconda guerra mondiale. Una conferma di questa impressione può essere vista anche in una statistica, recentemente allestita dalla «Handelszeitung» di Zurigo, che valuta in circa 7 miliardi di franchi in 5 anni (fra il 2007 e il 2012) l’ammontare delle multe pagate da aziende svizzere all’estero. Di questi 7 miliardi, 6,3 sono stati pagati negli Stati Uniti soltanto. La sola UBS, accanto alla multa concordata in 780 milioni di dollari, ha pure pagato penali per altri 157 milioni per altre contravvenzioni concernenti lo scandalo Libor, il mancato rispetto delle regole della borsa e affari ingannevoli. Dal canto suo il Credit Suisse, per motivi più o meno analoghi, ha dovuto sborsare 1,191 miliardi di dollari. Tra questi figurano anche 526 milioni di dollari per il mancato rispetto delle sanzioni contro l’Iran. Non figurano però le somme che la grande banca dovrà sborsare per l’azione che la giustizia avvierà dopo quanto rivelato nella citata audizione senatoriale. Non sono poi considerate nemmeno le altre 12 banche svizzere contro le quali il fisco americano sta indagando per aiuto alla frode fiscale fornito a cittadini americani che hanno depositato i loro averi su conti svizzeri. A parte il madornale errore che è costato l’esistenza alla antica banca Wegelin, anche altre banche saranno prossimamente chiamate alla cassa e con ogni probabilità, dopo l’esempio della

grande UBS, cercheranno di concordare una somma che entrambe le parti – per forza o per amore – giudicheranno adeguate. Ma probabilmente la faccenda non troverà tanto presto una soluzione definitiva. Altre situazioni equivoche (o almeno interpretabili come tali dalle autorità americane) verranno a galla e provocheranno altrettanti grattacapi. Ma non solo le banche vengono condannate a pagare multe milionarie. Anche le multinazionali sono particolarmente prese di mira: per esempio la Holcim per 400 milioni in India nel 2012 per intese sui prezzi, la Ciba per 68,4 milioni dall’UE nel 2009 in base alla legge sui cartelli, la Schindler, sempre dall’UE nel 2007, per 225 milioni causa accordi sui prezzi, la Nestlé in Germania per 20 milioni di euro nel 2013 per la legge sui cartelli, la Adecco in Francia nel 2009, per 34 milioni di euro per accordi sui prezzi, perfino la Syngenta nel 2006 in Brasile, per campi illegali di soia, condannata a 380’000 euro di multa. È diventata buona regola cercare di cogliere in fallo queste aziende (talvolta con ragione) per poi stabilire una penale, sulla quale si potrà poi discutere. Questo fatto riduce di molto il senso punitivo della multa e avvalora la tesi del tentativo di ottenere soldi in un modo o nell’altro. Le trattative avvengono poi di regola a porte chiuse, per cui raramente l’opinione pubblica viene informata dell’esito della procedura e non può farsene un’idea. E questo anche nel caso in cui le multe sono pubblicate, per cui certe somme vanno considerate con prudenza. Di fronte a queste cifre ci si può chiedere chi sarà chiamato a pagare il prezzo finale. È logico pensare che, ribaltando gli oneri sui prezzi, a pagare sarà il consumatore finale. In particolare in Svizzera si pensa che le tariffe delle banche ne subiscano l’impatto. Finora però non lo si è potuto costatare e le banche rimangono fra le meno care in Europa. In realtà, tornando in zona utili (dopo la crisi di questi ultimi anni), le banche possono far ricorso agli accantonamenti e dedurre le perdite d’esercizio. Vi è però un effetto indiretto che colpisce le comunità. Non presentando utili imponibili, le banche (è successo per UBS lo scorso anno) non pagano imposte. Una città come Lugano ne ha sentito il contraccolpo dal momento che le imposte delle banche costituivano il 40% del gettito totale. Tra i giuristi resta aperta la questione a sapere se è lecito considerare le multe fra i costi d’esercizio e, se sì, quale sarà ancora l’effetto punitivo o deterrente della sanzione.

Brady Dougan, CEO di Credit Suisse, e altri 3 membri di direzione, davanti al Senato degli Stati Uniti. (Keystone)


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Politica e Economia Rubriche

Il Mercato e la Piazza di Angelo Rossi Lobbismo, ieri e oggi Una ventina di anni fa ebbi modo, come membro di una commissione di esperti, di seguire i lavori per la revisione del piano regolatore della città di Berna. In quell’occasione fui invitato dalla sezione del partito liberale-radicale della città a parlare dei problemi di sviluppo della nostra capitale. Di quelle che allora erano le cinque città più importanti della Svizzera, Berna era quella che, economicamente parlando, cresceva meno. Nel mio intervento rivelai ai liberali-radicali bernesi che l’unico ramo economico di natura privata che era in piena espansione nella capitale era quello dei lobbisti. E ne quantificai anche la consistenza. I presenti, in maggioranza membri del consiglio comunale della città non credevano ai loro occhi. Sì, perché già allora il ramo in questione occupava diverse migliaia di persone. Non si trattava naturalmente solo di quei lobbisti che, giorno

per giorno, si recano a Palazzo federale o entrano negli uffici dell’Amministrazione, ma anche di quelli che preparano loro cifre e grafici, o che sviluppano argomenti, o che mettono in piedi campagne strategiche, o che fanno andare avanti i loro uffici curando le comunicazioni, la corrispondenza e la contabilità. Dei lobbisti di Palazzo federale si sente parlar poco. E loro sono contenti così. Trasparenza e pubblicità sono vocaboli che temono come il diavolo l’acqua santa perché potrebbero rovinare l’efficacia della loro azione. Ora però il velo del silenzio è stato sollevato, almeno in un angolino. Dall’autunno del 2011, infatti, il Parlamento pubblica nella sua website la lista delle persone che hanno diritto ad entrare nella sala del Consiglio nazionale o in quella del Consiglio degli Stati. Ogni parlamentare ha diritto di segnalare il nome di due persone che

lo possono accompagnare in sala. Attualmente sulla lista degli ospiti dei nostri parlamentari ci sono 409 persone. Siccome i parlamentari sono 244, il massimo delle persone accompagnanti potrebbe essere 488. Il «contingente» dei lobbisti con diritto di accesso in sala è quindi utilizzato, per il momento all’83%. Gli ospiti dei nostri parlamentari devono dichiarare per chi lavorano. Secondo la «Neue Zürcher Zeitung», che ha condotto un’inchiesta su questo tema, il nome del datore di lavoro non è sufficiente per scoprire eventuali relazioni di carattere economico. I collaboratori del giornale zurighese sono andati quindi a spulciare il registro di commercio e a chiedere lumi al servizio di informazioni economiche della Orell Füssli. Ne è uscito un quadro interessante, e per certi versi sorprendente, del modo in cui l’economia cerca di far valere i propri interessi nel parlamento.

Questo perché il legame diretto del lobbista con il suo possibile mandatario è meno importante di quello indiretto. Mi spiego: a Palazzo federale il gruppo di lobbisti più importante, per la portata delle relazioni che intrattengono con l’economia, è quello dei consulenti e degli specialisti in pubbliche relazioni. Il meno importante, sempre per l’ampiezza delle relazioni che intrattengono, è quello dei lobbisti che rappresentano il commercio al dettaglio e la ristorazione. La situazione in materia di lobbismo nel nostro parlamento somiglia quindi a quella del municipio di Napoli. Sotto il portico del municipio, a Napoli, sostano, ogni giorno decine e decine di persone. Uno potrebbe pensare che siano degli sfaccendati che vengono a prendere le ultime notizie. No, si tratta di intermediari che si assumono, dietro compenso, il compito di facilitare il contatto con gli uffici dell’amministra-

zione o con i politici locali. Anche a Berna è così. Se un gruppo di interesse vuole esercitare un’influenza qualsiasi sul modo nel quale la legislazione viene formulata e discussa nel nostro parlamento, si metterà in contatto con un ufficio di consulenza o di pubbliche relazioni a Berna, spiegherà ai collaboratori di quell’ufficio quali sono le sue intenzioni e darà loro l’incarico di fare del lobbismo. Sono quasi tramontati i tempi in cui l’influenza si esercitava attraverso i parlamentari eletti nei consigli di amministrazione. Sono oramai sepolti sotto la polvere dell’oblio quelli in cui il parlamento veniva influenzato dai gruppi di pressione – padronali o sindacali. Oggi il lobbismo si è professionalizzato. I lobbisti si mettono a disposizione di chi dà loro un mandato per far passare un’opinione. E magari, dopodomani, di chi vuol far passare l’opinione contraria…

Francia alla testa delle grandi società statali c’è una sola figura, che è sia presidente sia direttore generale. In Italia ce ne sono due. Di solito uno era democristiano l’altro socialista. Che bisogno c’è di una simile duplicazione? Non sarebbe meglio semplificare – e risparmiare – individuando un solo responsabile? Altro esempio. Renzi parla spesso di tagliare i costi della politica, e vagheggia di abolire il Senato. Ma perché non cominciare con il ridurre gli stipendi dei parlamentari, che sono i più generosi del mondo? È vero che il Parlamento è sovrano e i problemi dell’Italia sono altri; ma i simboli sono importanti. Se la politica chiede sacrifici, deve anche farli. Un altro esempio ancora. Il più importante. Per anni presidenti del Consiglio e ministri sono andati a Bruxelles e in Germania con il complesso dell’italiano all’estero: curando l’accento british, badando a fare bella figura, quasi scusandosi di essere italiani. Forse è tempo che il premier vada dagli euroburocrati e da Bruxelles magari con un inglese appros-

simativo, però deciso a far valere con maggiore convinzione gli interessi del Paese. Renzi ha promesso di mettere on line tutte le spese della pubblica amministrazione. Vuole portare fin da subito la legge elettorale al Senato. Trasformare Palazzo Madama nella Camera delle autonomie, senza elezione e senza indennità. Abolire le province. Tagliare un miliardo di costi della politica: un tema su cui sta ancora aspettando la risposta di Grillo. L’idea è che, se l’Italia avvia queste riforme, allora potrà andare oltre il vincolo del rapporto del 3% tra deficit e prodotto interno lordo, per far ripartire l’economia. E potrà allentare il patto di stabilità interno: «Perché i Comuni virtuosi non possono spendere per l’edilizia scolastica? – ripete Renzi . Mi interessa di più la stabilità di una scuola che la stabilità burocratica». Bisognerà capire se l’Europa si fida dell’Italia, e del nuovo presidente del Consiglio. Per questo Giorgio Napolitano ha insistito perché all’Economia andasse un tecnico con solidi rapporti interna-

zionali, anziché l’ex sindaco di Reggio Emilia Graziano Delrio, braccio destro di Renzi. Il presidente della Repubblica non intende garantire la continuità, anzi, è andato all’Europarlamento a chiedere una nuova politica economica, più incentrata sullo sviluppo e sull’occupazione. Però pensa che l’obiettivo sia più facile da conseguire con un uomo stimato e conosciuto in Europa e in Germania, piuttosto che con un outsider. Renzi ha capito e si è piegato. Ma fin dall’inizio ha dato un’impronta molto personale allo stile e all’azione del governo. Resta da capire come sono davvero i rapporti con la minoranza del suo partito, che però è ancora maggioranza di sicuro al Senato e forse anche alla Camera. Il passaggio della campanella con Enrico Letta – piccolo rito che segna i frequenti cambi a Palazzo Chigi – è stato il più freddo che si ricordi. Al confronto Berlusconi e Prodi erano vecchi amici. Questo rappresenta un vulnus che alla prima difficoltà minaccia di ritorcersi contro Renzi.

per creare nuove superfici agricole... Il collegamento con il lampo di genio avuto a Berna nel 1935 da Friedrich Traugott Wahlen mi ha così ricordato il libro inglese dedicato all’analoga idea del governo britannico di trasfondere la forza delle armi in quella delle zappe e delle sementi per incoraggiare i cittadini a contribuire allo sforzo bellico: roseti messi da parte per coltivare verdura, giardinaggio non più come passione, tic o mania, ma come arma imbracciata da un popolo impegnato a dare un concreto seguito allo slogan «Dig for Victory», cioè al banalissimo «Zappa per la vittoria». Vennero distrutti decine di ettari di parchi secolari (di solito riservati agli occhi, sempre distratti e distaccati, di nobili privilegiati) e il paesaggio di grandiosi giardini e piccole corti, campi da gioco e serre solitamente riservate a fiori esotici cambiò radicalmente, visto che migliaia di piante pregiate, di aiuole e di amatissimi fiori cedettero spazio e humus a piante commestibili.

L’idea inglese del giardinaggio «statale» fu un’arma che di sicuro Hitler non aveva preventivato. Infatti, dice la recensione di Caterina Soffici, secondo l’autrice Ursula Buchan questa fertilità agricola forzata, oltre che ottimo sussidiario per l’alimentazione di una nazione prostrata dal conflitto, finì per rivelarsi anche una forma di resistenza per lo spirito. E cita l’aneddoto del marito di Virginia Woolf che, anziché ascoltare il Führer alla radio, preferì rimanere in giardino a piantare iris «che avrebbero continuato a fiorire anche dopo la morte di Hitler». Ecco, per vincere l’ipocondria e per non lasciarmi suggestionare da ciò che Putin toglie all’Ucraina e al mondo intero, anch’io, come Leonard Woolf, devo rafforzare la manualistica pratica per il giardinaggio vincendo la mia imbranataggine. Sul nostro balcone svetterà un «Dig for Victory»: via gli ellebori, niente gerani, giù sementi e bulbi , sperando che sbocci anche una più robusta resistenza per lo spirito.

In&outlet di Aldo Cazzullo L’esordio di Matteo Renzi Matteo Renzi ha un problema. Si è costruito all’insegna della rottura. Ha usato contro il Palazzo lo stesso linguaggio e gli stessi argomenti della gente comune. Però è andato al potere con un’operazione di Palazzo. Senza il voto popolare, ma con il voto di un Parlamento che non voleva andare a casa (in particolare la minoranza del suo partito, che era maggioranza quando si erano fatte le liste elettorali). Come può ritro-

vare la linea della rottura, della discontinuità rispetto al passato? Tagliare le tasse anziché aumentarle è un buon inizio. Ma ora il nuovo presidente del Consiglio deve trovare altri elementi di discontinuità. Ad esempio, tra poco ci sarà una tornata di nomine alla guida delle imprese a maggioranza pubblica: Eni, Enel, Terna, Rai, Finmeccanica. Non sarebbe male ci fossero novità, sia nei nomi sia nei metodi. In

Zig-Zag di Ovidio Biffi In guerra al grido di «zappa per la vittoria!» Circa un anno fa sul domenicale del «Sole 24 Ore» ho trovato la recensione di un libro inglese, all’apparenza un lavoro dedicato al giardinaggio. Immaginai: uno dei tanti manuali che, soprattutto in primavera, arrivano a dare slancio a una delle più nobili passioni dell’uomo (con maggioranza femminile, naturalmente). Invece scoprii che le oltre 350 pagine erano dedicate non tanto al giardinaggio, bensì a come i giardinieri inglesi, anche i dilettanti di questa umilissima passione, riuscirono a combattere, a modo loro, il nazismo. Ho pensato a quel libro all’inizio del mese, nei momenti incerti di un dormiveglia mattutino, quando non sei ancora deciso ad alzarti sapendo che il sole tarderà ancora qualche ora a dirti che è giorno. Nella mente frullavano i pensieri lasciati alla sera, dopo una giornata intera di bombardamento mediatico su Putin che invade prima l’Ucraina, poi «solo» la Crimea, poi fermo attorno alle basi russe e agli aero-

porti... Sapete com’è andata e come prosegue ancora. Quel bailamme di notizie, pur con una evidente frammentarietà che rafforzava l’indecifrabilità, aveva subito acceso la mia ipocondria: mi vedevo proiettato, con a mano moglie figli e nipoti, in un’inevitabile nuova Guerra mondiale. In quel dormiveglia, alle prese con catastrofici «cosa ci capiterà ora», a dominare gli scenari c’era dapprima un comun denominatore: il confine. Sono nato a poche centinaia di metri dalla «ramina» e forse (anzi: quasi di sicuro) porto in me un senso particolare per le frontiere e per tutto quanto esse segnano. Quindi, di mio, ho una sorta di accendino che si attiva non appena qualcosa (dal prezzo della benzina al mercato del lavoro) giunge a modificare i rapporti, o anche solo il tasso di (in)tolleranza, fra chi sta di qua o di là «dal dazio». Mi sono così trovato a interrogarmi – lo so: cosa assurda, pensiero di inguaribile mendrisiotto, se confessata fuori dai venti di guerra ipo-

tizzati – su chi andrebbe a pattugliare da Pedrinate sino a Ponte Tresa, e poi su verso il Lema, il Ghiridone, il Basodino e poi giù dal Gesero sino a Pizzamiglio per «difendere i nostri confini» da un Putin del sud o da una «putinata» meridionale. Veleggiavo sull’onda di queste e altre amenità, quando l’immagine del confine lasciò il posto a quel libro: A Green and Pleasant Land: How England’s Gardeners Faught the Second World War. Mi era tornato in mente forse perché, pensando alla nostra stupidissima attrazione per l’isolamento, ho provato a immaginare quanti giorni oggi resisterebbe la Svizzera, o anche il solo Ticino, se dalle sue frontiere non entrassero più, oltre che le genti malvolute, malaccolte e maltollerate, nemmeno energia, alimentari, merci, materie prime, ecc. Poi ero risalito nel tempo sino al Piano Wahlen e, di riflesso, mi chiedevo se oggi fosse ancora sostenibile proporre di prosciugare laghi, oppure abbattere palazzi, villette e chalet sugli altipiani,


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

Cultura e Spettacoli Dal fumetto al palco Il disegnatore italiano Davide Toffolo è un uomo dalla doppia identità

Lizzani, storie di cinema Con film come Cronache di poveri amanti il regista Carlo Lizzani ha contribuito a fare la storia del cinema italiano

Poesia gay Un’affascinante antologia (ritrovata) di versi poetici scritti da omosessuali

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L’Estonia a Lugano Grande musica per una piccola nazione: Tallinn al centro di una rassegna musicale pagina 41

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Il ponte Nihonbashi (1833), di Utagawa Hiroshige (1797-1858). (© Fondation Baur, Musée des ARts d’Extrême)

53 stazioni di sosta sulla stradadel Tôkaidô Mostre Meravigliose stampe giapponesi alla Fondazione Baur di Ginevra Marco Horat L’epoca moderna comincia in Giappone con la caduta dell’ultimo Shôgun Tokugawa nel 1868. Edo (oggi Tokyô) era praticamente il centro di quel mondo rimasto chiuso su se stesso per più di 250 anni. Dalla capitale partivano cinque vie di collegamento utilizzate per raggiungere la periferia del Paese; strade importanti dal profilo militare, politico ed economico. Lungo queste arterie erano situate a distanza regolare stazioni di sosta dove il viandante poteva riposarsi, rifocillarsi, pernottare, acquistare souvenir, noleggiare portatori oppure cambiare i cavalli. A quanto raccontano le cronache erano strade affollatissime in tutte le stagioni dell’anno: vi transitavano cortei con centinaia di servitori al seguito dei daimyo, i signorotti di provincia obbligati a lasciare i loro dominii per soggiornare, ad anni alterni, presso la corte dei Tokugawa; ma anche commercianti carichi di ogni genere di merci, samurai in cerca di fortuna, umili pellegrini che si re-

cavano a pregare nei templi più famosi del Giappone, avventurieri di ogni sorta. Se ne ha un’idea leggendo Musashi di Eiji Yoshikawa, un grande romanzo di cappa e spada ambientato nel ’600, che praticamente si svolge lungo queste arterie, come in un moderno «on the road» a puntate. La vita quotidiana, le più famose case da thé e le signore compiacenti che vi si incontravano, il miglior saké da gustare, gli artigiani più abili, i ristorantini con le specialità locali erano conosciutissimi, stazione per stazione, e divennero presto un gustoso soggetto per gli artisti del XIX secolo dediti all’arte della stampa. Una vera e propria moda culturale. La più importante di queste strade era quella del Tôkaidô con le sue 53 stazioni di sosta. Essa univa Edo a Kyôto lungo un percorso di 500 chilometri; un viandante a piedi impiegava più di due settimane per percorrerla o cinque-sei giorni se aveva a disposizione una cavalcatura. Le prime stampe a colori sul Tôkaidô saranno opera del grande Hokusai (1760-1849), «il vec-

chio pazzo per la pittura» come si definirà lui stesso, ma la consacrazione del soggetto arriverà con la serie Le 53 stazioni del Tôkaidô di Utagawa Hiroshige (1797-1858), pubblicate per la prima volta tra il 1832 e il 1833. In effetti si tratta di 55 scene di vita, poiché alle 53 stazioni ufficialmente riconosciute bisogna aggiungere le due dedicate alla stazione di partenza – Nihonbashi, il ponte centrale di Edo dal quale si cominciava il conteggio delle distanze – e a quella di arrivo a Kyôto – il ponte della Terza strada (Sanjô). In totale gli esperti delle Collections Baur di Ginevra che hanno organizzato l’esposizione hanno contato 84 serie di stampe apparse nel corso del ’900, con più di 3000 disegni eseguiti da diversi artisti, a testimonianza della fortuna che l’argomento aveva incontrato presso la popolazione e in seguito i collezionisti. Naturalmente gli stampatori fiutarono subito l’affare e dilatarono la produzione affidandosi ad artisti reputati come Utagawa Kunisada, che arriverà a vendere più di 6000 esemplari di una sola

veduta! L’autore più prolifico rimane però Hiroshige con ben 22 serie di stampe a colori e 700 tavole, non tutte, dicono gli studiosi, della stessa qualità: la prima serie in particolare sembra la più preziosa per la qualità della riproduzione dovuta all’editore Takenouchi Magohachi. Non contento della fortunata riuscita, Hiroshige si accingerà ad un’altra impresa titanica pochi anni dopo: rappresentare le 69 stazioni della Kisokaidô, la strada delle montagne centrali parallela alla Tôkaidô. Forse iniziato da Keisai Eisen (1790-1848) che realizzò le prime tavole nel 1835, il progetto coinvolse in seguito Hiroshige in un rapporto di collaborazione che non è ancora stato del tutto chiarito. Un mondo di immagini spesso di straordinaria bellezza che è possibile scoprire ora a Ginevra nella mostra curata da Helen Loveday, dove ai paesaggi del Giappone tradizionale si aggiungono le annotazioni di colore sulla vita quotidiana, sulla meteorologia, sui luoghi del cosiddetto immaginario collettivo o su personaggi illustri che gli ac-

quirenti di stampe del tempo identificavano con facilità, in un gioco di rimandi simbolici e allusioni letterarie che riportano all’arte del haiku, la poesia in 17 sillabe nella quale ogni parola può essere interpretata in modo diverso. Con la Restaurazione Meiji del 1868 finisce un mondo; le antiche strade storiche che ne costituivano il sistema circolatorio conosceranno un rapido declino, sostituite dalla ferrovia e dalla nascita di sistemi di comunicazione rapida come il telegrafo e il telefono. Come capitò per l’impero romano, anche in Giappone il tracciato delle strade moderne costruite il secolo scorso ricalcherà in parte gli antichi percorsi, anche se le stazioni di sosta sono state oggi sostituite da quelle dello Shinkansen o dalle pompe di benzina. Dove e quando

La route du Tôkaidô, estampes japonaises de la Fondation Baur, Ginevra, Collections Baur. Fino al 6 aprile 2014. www.fondation-baur.ch



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Cultura e Spettacoli

Davide Toffolo èlo Yeti amico di Pepito

Serie Tv, la lezione dei giovani

Incontri Il fumettaro (autore di Graphic Novel is Dead) che è anche una rockstar

Operazioni come quella della SCC devono essere salutate con piacere

Blanche Greco «Il disegno per me è una ricostruzione poetica della realtà, non una riproduzione. Così ho “riscritto” pezzi della mia vita in un fumetto e ho realizzato la mia autobiografia in una dimensione da commedia. Del resto anche nelle mie canzoni ci sono periodi della mia esistenza, anche lì riscritti e trasformati in musica». Racconta Davide Toffolo presentando il suo ultimo libro Graphic Novel is Dead edito da Rizzoli-Lizard, e riassumendo in una frase la sua doppia identità artistica: da un lato «rockstar» e dall’altro talentuoso e conosciuto autore di fumetti. Praticamente due mitologie a confronto. In quella rock è il cantante e chitarrista del gruppo Art Rock

Davide Toffolo vive a cavallo tra due identità: quella del cantante e quella del disegnatore «Tre Allegri Ragazzi Morti», performer misterioso che sale sul palco in un costume da Yeti, con il viso coperto da una maschera-teschio; invece in quella più privata del disegnatore di fumetti, è un «biondino» muscoloso, un nomade che vive tra fogli, matite e pennelli; cullato dai suoi pensieri, con le sue letture, in un piccolo Olimpo di cui fa parte il grande disegnatore Magnus, e attualmente anche Andy Kaufman e Charles Darwin. Il fumettaro Davide Toffolo condivide la sua solitudine con Pepito, un pappagallino che vive sulla sua ma-

no e che nelle storie narrate in Graphic Novel is Dead, fa coppia con lui, come si conviene ad una vera spalla comica. «Prima della mia, ho disegnato altre tre biografie, ognuna con un suo stile, un segno diverso: prima c’è stata quella del pugile friulano Carnera; poi ho affrontato Pasolini, e in Il Re Bianco, immagino quella di un gorilla albino. Esploro e racconto ciò che considero la tragedia del ’900, ossia la trasformazione dell’uomo in personaggio pubblico, evento e peculiarità di questo secolo capace di fare di un uomo, o di un animale, una “merce”. E proprio perché il mio lavoro è trasformarmi e offrirmi al pubblico diventando il cantante-Yeti di Tre Allegri Ragazzi Morti, la mia autobiografia nasce dall’esigenza di fare il punto sul mio essere rockstar e personaggio pubblico, attraverso il racconto e il confronto di alcune sfaccettature della mia vita, pubblica e privata». Forse per questo Graphic Novel is Dead nasce nel 2013, durante il tour della band con Jovanotti, novanta concerti e tanti chilometri, ma è un anno speciale, pieno di novità, con il progetto di un musical che si concretizza sempre più: «Scrivevo e disegnavo nei momenti di pausa» – racconta Davide Toffolo – «era una sorta di riflessione continua su questa parte pubblica di me che cresceva ogni giorno di più, invadendo con emozioni e sensazioni il disegnatore». Così per rendere più esplicita la differenza tra i due, «Eltofo» la rockstar, viene immortalata sul palco, in mezzo al pubblico, non dal disegno, ma da una serie di fotografie della fotografa Cecilia Ibañez – come se si trattasse di un reportage giornalistico. Nelle tavole disegnate per contro c’è Davi-

Visti in tivù

Antonella Rainoldi

Un uomo e la sua doppia anima.

de, senza costume da Yeti e senza maschera, in t-shirt e mutande, sdraiato sul letto, afflitto dal mal di schiena, che si confida con Pepito in una serie di soliloqui buffi e surreali, infarciti di ricordi e di sogni: infantili, ironici, erotici, o filosofeggianti e alle volte angosciosi, in compagnia di persone a lui care, voci del suo passato che lo accompagnano, oppure amici invadenti, ammiratrici e amori. Sono centoquaranta tavole, quasi a sé stanti, rosate, azzurrine, verdi pastello, ognuna racconta una storia, con un segno chiaro che ricorda un po’ i Peanuts di Schulz: un dialogo intimo e poetico nel quale, attraverso le fotografie di Eltofo, irrompono a tratti i suoni del tour. «Ho chiamato questo libro Graphic Novel is Dead, perché volevo che si sentisse l’anima rock e perché è un luogo di libertà. Infatti è una forma nuova, che non sottostà alle regole editoriali

che ogni Paese ha per il fumetto: la graphic novel è uguale a New York, a Roma, Parigi o Tel Aviv, il linguaggio è libero e si può raccontare di tutto». Il bambino che nasce disegnando, con una mano quasi troppo piccola per la matita; l’adolescente confuso che decide di diventare il cuoco di una spedizione archeologica in Turchia per avere il tempo di scegliere cosa fare di sé; e poi le storie dei fumetti che diventano Musical: Cinque Allegri Ragazzi Morti Lo-Fi episodio 1 «L’Alternativa» è andato in scena a teatro a Milano e a Roma. La musica e il fumetto di Davide Toffolo e la sua vita infine sul palcoscenico, seguiranno presto anche le altre storie – tra horror e romanticismo – della saga dei cinque adolescenti zombie. E benché Eltofo la rockstar abbia svelato il suo viso, la biografia di Davide Toffolo forse si arricchirà di un altro libro, per raccontare la sua anima.

L’architetto, ultimo umanista Conferenze Attraverso una serie di incontri pubblici l’Accademia di architettura

di Mendrisio crea un dialogo tra territorio, filosofia, storia e pensiero generale Eliana Bernasconi

queste serate possono rivolgersi a tutti.

All’Accademia di Mendrisio il semestre primaverile è avviato, il corso triennale di Bachelor, il Master biennale e i 9 mesi di formazione pratica assorbono le giornate dei 700 futuri architetti, fra loro si contano 39 nazionalità diverse. La Galleria dell’Accademia nel corso dell’anno ospita esposizioni, notevoli quelle annuali che documentano le diverse linee di ricerca, approccio e metodo. L’ultima di queste esposizioni, Mad’13, si è chiusa lo scorso dicembre. Il 21 giugno sarà la volta dei lavori di diploma, con il titolo: Lo spazio pubblico nella città Ticino. Altre esposizioni monografiche si succedono in continuazione, a marzo e aprile Amurs Bearth&Deplazes, 18 progetti di grande formato dei due apprezzati architetti di Coira, in seguito Duemila metri sopra le cose umane, i rifugi alpini, storia, tipologia, funzioni e ancora Giulio Minoletti, architetto, urbanista, designer. Ma soffermiamoci sulla serie di Eventi pubblici serali a ingresso libero che hanno preso avvio a settembre: Lezioni di architettura vedono i maggiori esponenti delle tendenze architettoniche contemporanee illustrare le loro opere; le cosiddette conferenze del ciclo Borromini sono invece condotte da filosofi, storici, studiosi di politica. Un’autentica novità in corso fino ad aprile è il ciclo di serate Scenografia, architettura e spazio scenico condotte dai più interessanti scenografi dei teatri europei, come Anna Viebrock da Colonia e Nick Omerod da Londra, Romeo Castellucci da Cesena,

Partirei da una semplice considerazione, grandi intellettuali, pensatori e architetti innovativi passano da Mendrisio, filosofi, storici o scenografi compongono un percorso parallelo alla didattica e del tutto autonomo. Sono i momenti in cui l’Accademia si apre al mondo. È la forza dell’Accademia a rendere possibile tutto questo. Le persone che partecipano possono cogliere opportunità uniche, uscirne arricchite, magari scoprono realtà che non conoscevano e possono poi prendere posizione come meglio credono. Ma i temi hanno attinenza con il territorio e la realtà? Il filosofo italiano Giorgio Agamben, recente ospite a Mendrisio. (Keystone)

Jan Pappelbaum da Berlino, Malgorzata Szczesniak da Varsavia. Forse non tutti sanno come sia evoluto oggi il rapporto tra architettura e arte scenica, la pratica scenografica si avvale di avanzate tecnologie e usa procedimenti filmici, sonori e spaziali che aprono agli architetti prospettive di lavoro e ricerca inedite. Tutte queste serate si svolgono nell’Aula Magna dell’Accademia dove, assistendo a queste manifestazioni affollate di studenti, non abbiamo avuto l’impressione di notare una forte presenza di persone esterne. Abbiamo chiesto al prof. Matteo Vegetti, che a Mendrisio tiene i corsi di Forme dell’abitare e di Antropologia culturale, sotto quali aspetti

Non mi pare in questo senso rilevante che gli argomenti riguardino il territorio, anche perché non è affatto scontato quale sia il territorio in cui viviamo. Provate a chiederlo a un urbanista, magari vi spiegherà che il territorio del Ticino arriva ormai fino a Milano, che si è costituita una city-region la quale è parte di insiemi ancora più grandi, i quali contengono elementi locali e significato globale. Tutto questo non può che sollevare domande e problemi rilevanti con i quali un frequentatore delle conferenze potrebbe trovarsi confrontato, e credo ne varrebbe la pena. Adam Michnik, uno dei maggiori saggisti e politici polacchi invitato lo scorso ottobre, ha parlato de I fantasmi della memoria dell’est, mentre per il Ciclo Borromini una conferenza del filosofo e politologo Giorgio Agamben era sul tema Il

Capitalismo come religione. Questi argomenti che rapporto hanno con l’architettura?

L’architettura è una disciplina complessa, comprendente tanto i saperi scientifici quanto quelli umanisti e tecnici, l’architetto è forse in questo senso l’ultima figura storica dell’umanista. Questo profilo culturale è tanto prezioso quanto unico. Occorre perciò preservarlo dal pericolo dello specialismo o dell’iperspecialismo, sempre incombente sulla cultura contemporanea. Le conferenze che lei cita non hanno allora il valore generico dell’«acculturamento», ma invitano gli studenti, e non solo, a riflettere sul mondo in cui agiamo, comunichiamo, creiamo.

I nuovi programmi possono attendere. Preferiamo dare spazio a un’esperienza personale. Ci capita spesso di dover spiegare ai giovani l’importanza del telefilm americano. Ogni volta lo facciamo partendo dal modello di rappresentazione dei casi eccellenti (da Lost ai Soprano, da Mad Men a Dr. House, da In Treatment a The Wire) per poi gettare uno sguardo non solo sulla tv, ma anche sul cinema e sulla letteratura. E ogni volta si fa strada la soddisfazione per il grado di coinvolgimento della platea. Due settimane fa siamo stati ospiti, insieme al produttore Adriano Schrade, della Scuola Cantonale di Commercio di Bellinzona per il secondo dei tre incontri del ciclo Parole del nostro tempo, ideato da Tommaso Soldini, docente di italiano e scrittore, e attuato da Nicola Pinchetti, docente di storia e membro del consiglio di direzione dell’istituto. Nell’aula multiuso, davanti a un folto gruppo di studenti, di età compresa fra i 15 e 20 anni, si è cercato di dare una risposta a queste domande: a cosa si deve il grande successo delle serie tv? Alla elevata qualità delle sceneggiature e alla profonda caratterizzazione dei personaggi? Al sospetto che le opere cinematografiche non siano più capaci di raccontare il presente, forse perché costrette a sintetizzarlo? Alla paura che l’evasione finisca? Con il contributo della professoressa Manuela Moretti, moderatrice dell’incontro, si è parlato di serialità americana come dello specchio del tempo, di macchine narrative raffinatissime, capaci di catturare l’immaginario collettivo, di vertici qualitativi impossibili da eguagliare, fatta eccezione per la fiction inglese. Com’era prevedibile, l’impressione suscitata dalle ragazze e dai ragazzi presenti in aula è stata quella di grande entusiasmo. Una cosa però ci ha molto colpiti. Spesso si dice che i giovani non sono più disposti all’appuntamento seriale nella sua versione generalista: loro vedono la tv via web e le serie preferite se le scaricano prima. La maggior parte di questi giovani, invece, continua a guardare i telefilm sullo schermo casalingo, rispettando i normali tempi di programmazione. Come hanno fatto notare Jessica e Caroline, abbandonarsi al piacere della visione a puntate significa salvaguardare il brivido dell’attesa. Chi glielo ricorda ai programmatori distratti, ai grandi affossatori di palinsesto?

Dietro la professionalità di un architetto deve dunque esserci altro?

Dietro l’opera di un architetto di valore c’è sempre una sensibilità intellettuale e morale che traspare nell’estetica delle forme, dando loro il senso di un’interpretazione del tema dell’abitare, e dunque della società, della città, della vita. Un architetto degno di questo nome deve saper prendere posizione sulle questioni civili e morali che concernono la collettività. L’architettura, diceva Adolf Loos (innovatore e grande pioniere dell’architettura, nato in Austria nel 1870) a differenza dell’arte, deve piacere a tutti. In che senso?

Ogni opera di architettura deve necessariamente misurarsi con il pubblico, parlare pubblicamente con il mondo, e per questo motivo è bene che sappia cosa dice, perché lo dice e a chi lo dice.

La locandina del ciclo di incontri «Parole del nostro tempo».


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Cultura e Spettacoli

Da Napoli a Buenos Aires

I re e le regine di Piazza Grande

Teatro Sulle scene ticinesi il repertorio partenopeo di Raffaele

nel programma dell’undicesima edizione

Giorgio Thoeni

Mancano ancora quattro mesi alla rassegna più calda dell’estate rock ticinese, ma la presentazione del programma di Moon and Stars è di per sé un evento mediatico di richiamo. In occasione della tradizionale conferenza stampa primaverile, su Locarno e sulla sua piazza si accendono i riflettori e l’interesse degli appassionati, i quali aspettano con impazienza di conoscere le «nomination» per il 2014. E l’attesa anche quest’anno sembra ben riposta, grazie a un ventaglio di proposte musicali ampie e calibrate, che comprende una serie di new entry di grande prestigio e alcuni «ritorni» sicuramente molto attesi. E pure se il cartellone di Moon and Stars 2014 sembra in qualche modo meno «metallico» rispetto al passato, la vena graffiante e hard rock sarà ben rappresentata dalla prima apparizione locarnese di uno dei grandi della scena tedesca, l’inossidabile Udo Lindenberg, e da due rapper «da combattimento» come Bligg e Sido. Oltre a loro, sulla Piazza Grande la parte più rilevante del programma Moon and Stars 2014 sembra riservata però alle interpreti femminili, a cominciare da una beniamina del pubblico come Laura Pausini. Ad affiancarla nel cartellone una star femminile di enorme richiamo e di sicuro successo: la grande Dolly Parton, una delle cantanti storiche

Viviani e quello del commediografo argentino Rodrigo Garcia Dopo Locarno, lo spettacolo Viviani Varietà è approdato con grande successo per due serate anche a Chiasso. A dimostrazione del fatto che in Ticino gli spettacoli possono girare, come è stato il caso per Le voci di dentro con i fratelli Servillo. Nati per il Maggio Fiorentino del 2012, i due tempi orchestrati conservano intatta la loro freschezza; e sommando un autore come Raffaele Viviani alla bravura di Massimo Ranieri più la regia di Maurizio Scaparro, c’è di che pascersi. La platea chiassese, con un’immersione totale nella napoletanità verace, si è aperta al mondo di Viviani, quello visto dal basso, degli scugnizzi che Ranieri conosce molto bene ma anche di quella guapparia bozzettistica che ispirerà Scarpetta e Eduardo. Rifacendo il «Café Variété» d’inizio Novecento dal profumo d’avanguardia, lo spettacolo ricrea il viaggio che la compagnia di Viviani aveva fatto nel 1929 sul piroscafo «Duilio» da Napoli a Buenos Aires per una lunga tournée in Sudamerica. In prove che si svolgono sul ponte della nave, gli attori si preparano a festeggiare il passaggio dell’equatore. Riaffiorano macchiette, poesie struggenti, canzoni originali danzate, belle voci e scenette che ci riportano alla genuina comicità del teatro partenopeo. Ranieri è bravissimo: recita, canta, balla come quarant’anni fa. Con lui e l’orchestra ci sono Ernesto Lama, Roberto Bani, Angela De Matteo, Mario Zinno, Ivano Schiavi, Gaia Bassi, Antonio Speranza e Martina Giordano. Le carneficine di Garcia per il MAT

Regista, drammaturgo, scenografo, videomaker e performer ispanoargentino, Rodrigo Garcia è nato a Buenos Aires e vive in Spagna dove ha sviluppato gran parte della sua carriera. Fondatore della compagnia «La Carniceria Teatro», ha collaborato con festival e istituzioni di prestigio e nel 2009 ha ricevuto il Premio Europa per le Nuove Realtà Teatra-

Massimo Ranieri protagonista di Viviani Varietà. (Filippo Manzini)

li. La teatralità di Garcia è stata al centro di un progetto laboratoriale che il Movimento Artistico Ticinese (MAT) di Mirko D’Urso grazie al quale l’attore, regista e drammaturgo Gabriele Di Luca (Premio Nazionale della Critica 2012 e Premio SIAE come miglior autore teatrale 2013) ha permesso a nove ex-allievi del MAT di confrontarsi recentemente al Teatro Foce con un allestimento di taglio professionale, dal titolo «GIUDA. Come nemico uno a caso». Un’impresa certamente esaltante per attori a contatto con un’esperienza seria su cui costruire le prima certezze o illusioni teatrali. Accanto a un esercizio tutt’altro che ovvio per un regista di quella fattura, ma altrettanto motivante. È proprio la contemporaneità della parola di Garcia a offrire idee e sostanza per una messa in scena interessante che evidenzia in particolar modo l’impegno e l’energia che regia e attori hanno dovuto investire su un palco sostanzialmente povero ma colmo di un linguaggio teatrale sorprendente, dove i corpi in movimento disegnano nuovi rituali del quotidiano con parole dure e

graffianti, dialoghi spiazzanti, situazioni paradossali. Fra duetti «diseducativi», coralità e monologhi in cui s’intreccia una sorta di «catena alimentare», un’orgia di segni ritmati da due improbabili clown «pulp» tolti da La storia di Ronald, il pagliaccio di McDonald’s di Garcia e riletti come icone uscite da un thriller di Stephen King. D’altronde anche altri titoli di alcuni spettacoli di Garcia sono espliciti: Siete tutti dei figli di puttana, Ho comprato una pala da Ikea per scavarmi la tomba, Alzate la testa da terra, coglioni!, Agamennone/sono tornato dal supermercato e ho preso a legnate mio figlio… Un teatro che è stato definito eccessivo, da elettrochoc emotivo con scene e situazioni che aggrediscono il pubblico per scuoterlo. Perché gli spettatori per Garcia «sono parte di una società malata che bisogna aiutare». Una vocazione decisamente originale, come la prova dei «ragazzi» del MAT: Luana Bello, Antonella Branchi, Rosanna Brianza, Federica De Vecchi, Tatiana Gilardi, Stefano Marchetto, Korah Rezzonico, Sarah Scarmignan e Stefano Vinacci.

Moon and Stars Le sorprese e le conferme

Il programma Giovedì 10.7: Laura Pausini Venerdì 11.7: Udo Lindenberg Sabato 12.7: Bligg / Sido Lunedì 14.7: Dolly Parton Martedì 15.7: Jack Johnson (Special Guest: Kodaline) Mercoledì 16.7.: James Blunt (Special Guest: ZAZ) Giovedì 17.7: Negramaro/Jessie J Sabato 19.7: Sunrise Avenue (Special Guest: Family Of The Year)

Dolly Parton è in giro per il mondo con il suo Blue Smoke World Tour.

del country americano. Tutte da ascoltare anche l’ottima Jesse J (che il pubblico conosce forse più come autrice di brani per artiste come Alicia Keys, Justin Timberlake o Miley Cyrus) e la brava e raffinata cantante francese Zaz. Nel campo degli interpreti maschili sembra invece essere stata privilegiata una vena cantautorale moderna, rappresentata dai conosciuti e apprezzati James Blunt e Jack Johnson. Tra i cantautori della modernità possiamo sicuramente annoverare anche i membri di una delle band più importanti sulla scena italiana attuale, i Negramaro. Si tratta di uno dei gruppi più amati dal pubblico italofono. I pugliesi si troveranno in ottima compagnia a fianco delle due altre giovani band presenti a Locarno: gli irlandesi Kodaline e i finlandesi Sunrise Avenue. In attesa della grande festa, i biglietti per la dieci giorni musicale locarnese saranno disponibili da domani, 18 marzo, su www.ticketcorner.ch. Moon and Stars, Locarno, dal 10 al 19 luglio 2014

Quando l’amore è ispirato da un computer Filmselezione Il melodramma di Spike Jonze, Oscar per la Migliore Sceneggiatura

Fabio Fumagalli ***(*) Lei (Her), di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix, Scarlett Johansson, Amy Adams, Rooney Mara (Stati Uniti 2013)

Uno dei meriti dell’imprevedibile genialità di Spike Jonze (dopo Essere John Malkovich, nel 1999, molti straordinari videoclip) è di confrontarci con le conseguenze della pigrizia di chi rifiuta i film in versione originale e integrale in nome di un presunto fastidio di leggersi i sottotitoli. Giusto castigo: essi vengono ora privati non solo del corpo (il che capita anche al protagonista di Lei) ma pure di quella che è in definitiva la vera protagonista del film, la voce di una Scarlett Johansson che rimane sempre invisibile. Certo, rimarrà loro pur sempre il protagonista maschile, un Joaquin Phoenix dalle magnifiche qualità introspettive, in sfida continua con una cinepresa che non gli dà tregua, che lo scruta epidermicamente in ogni sua mutazione espressiva. E questo proprio in un film il cui tema principale è la ricerca di un amore che ci ripaghi della rimozione dei corpi in parallelo all’evoluzione sfrenata delle tecnologie. In un futuro assai prossimo e per nulla fantascientifico che il regista sug-

gerisce in un contenitore dal futurismo incantato, Theodore il proprio corpo lo utilizza ancora, oltre al computer al quale rimane incollato: in particolare le proprie mani, con le quali calligrafa lettere poetiche a pagamento, per conto di cyber navigatori che per quel genere di sfizio non hanno ormai più tempo. In fase oltretutto di accorato divorzio, eccolo scoprire un programma inedito, un sistema operativo che gli permette di dialogare con l’intelligenza artificiale di

Joaquin Phoenix in una scena di Her.

Samantha. Non è che una voce (proprio quella provvista della sensualità inimitabile di Scarlett Johansson), ma in continuo apprendimento, in evoluzione cognitiva, con un’emotività e un’intimità amorosa in costante progressione... Come possa andare a finire, come una crescente passione virtuale possa concludersi in estasi carnale non è la ragione d’essere di un film trasognato, costantemente in bilico fra solitudine, ironia e disincanto; non contate dunque su

di me perché ve lo racconti, anche se la sequenza che tenta di risolvere l’equazione impossibile risulterà fra le più struggenti di Her. È l’ennesima dimostrazione di come il cinema non sia fatto di storie ma di «modi» di raccontarle. Il film non è però contraddistinto da un’assurdità crescente, bensì dall’involucro all’interno del quale l’assurdità galleggia, finendo per dare un senso al tutto. Se quella di Samantha è soltanto un’entità virtuale, altrettanto lo sono i personaggi che popolano l’universo attorno al protagonista, incollati ai loro telefonini e aggeggi tecnologici, immersi in un acquario che sempre più perde il contatto con la realtà, con la materia di cui sono fatti i libri e le lettere d’amore che Theodore ancora compila manualmente. Una bolla tragicomica e sognante che Spike Jonze ha costruito filmandola soltanto in ambienti naturali e privi d’identità. I personaggi sono vestiti come negli Anni Trenta, ma sullo sfondo di una Los Angeles e una Shanghai in bilico fra presente e passato. Sono state evitate le tinte fredde e aggressive, i blu e i verdi cari alla fantascienza, per privilegiare il calore e la convivialità dei rossi, dei gialli, delle trasparenze pastello.

Amabile o perversa a seconda dei punti di vista, l’evoluzione di Samantha e l’acquisizione di una coscienza che la condurrà ai piedi di un muro invalicabile, diviene quella della società che l’ha prodotta. **** 12 anni schiavo

Steve McQueen *** Il capitale umano

Paolo Virzì *** Inside Lewyn Davis – A proposito

Davis, Ethan e Joel Coen *** All is lost – Tutto è perduto

J.C. Chandor *** American Hustle – L’apparenza inganna

David O. Russell *** Philomena

Stephen Frears *** Nebraska

Alexander Payne *** Like Father, like Son

Hirokazu Kore-eda *** Questione di tempo (About Time) **(*) Dallas Buyers Club

Jean-Marc Vallée **(*) Still Life

Uberto Pasolini ** The Wolf of Wall Street

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Cultura e Spettacoli

Lizzani l’americano In memoria Ricordando un grande regista del Novecento italiano,

che rese Milano protagonista di molti film

Si può dire bene del caos? Meridiani e paralleli Il grande amore

cantato in un’antologia di poesia gay Nicola Falcinella

Giovanni Orelli

Era considerato «il più americano dei registi italiani». Carlo Lizzani, scomparso lo scorso 5 ottobre a 91 anni, ha attraversato l’epoca del grande cinema italiano accanto ai grandi come Fellini, Visconti, De Sica, Rossellini, Monicelli, Risi, Pasolini e gli altri, suoi coetanei o poco maggiori. Trentadue film per il cinema, diversi a episodi, dieci per la televisione, decine di cortometraggi e documentari costituiscono la carriera registica che è solo una parte della sua attività. Militante nel PCI fin da giovanissimo, critico cinematografico agli inizi, studioso autore di più storie del cinema italiano, docente al Centro sperimentale di cinematografia, è stato anche direttore della Mostra di Venezia dal ’79 all’82 rinnovandola e dandole nuovo slancio. Tutte esperienze ripercorse nell’autobiografia Il mio lungo viaggio nel secolo breve (2007), dal quale emerge un profilo di intellettuale di grande spessore.

Si può parlar bene del caos? Sì. Per un solo esempio recente: Massimiliano Fuksas, noto architetto, fin dai titoli per una sua intervista molto viva in «la Repubblica» del 2 febbraio, domenica, p. 48 e 49, lo sottolinea: «Dall’architettura ho imparato che l’ordine conta quanto il caos». La parola «caos» ha generalmente un significato negativo, che spaventa, soprattutto quando si riferisce a situazioni politiche di disordine (Kiev, Siria e, purtroppo, si deve aggiungere: eccetera). Io «vivo» un caos (ma è un caos insignificante, privato) con i libri della mia disordinata biblioteca. Tu (io!!!) tu cerchi un libro che ti occorre per una necessità momentanea, anche banale, ma non lo trovi. E trovi invece un libro che non sapevi assolutamente più di avere. È il caso che mi è capitato in questi giorni. Il libro che mi è saltato fuori casualmente è un libro «di attualità». Devo aggiungere che abito in via Campo Marzio a Lugano, a pochi metri dal Centro Esposizioni, che nei giorni scorsi ha ospitato una (naturalmente) frequentatissima mostra in tema di erotismo (so di essere impreciso, ma devo aggiungere che la mostra non l’ho vista: è che, con l’età che ho, non ho più l’età per correre a certe mostre). Ma veniamo al libro che mi è saltato fuori inaspettatamente. Ha per titolo Il senso del desiderio. Sottotitolo Poesia gay dell’età moderna, a c. di Nicola Gardini, Crocetti Editore, Milano, 2001. Del titolo citato, la parola fondamentale è desiderio. Proust ha spiegazione non dimenticabile (la cito a memoria, purtroppo non saprei dire in che parte della Recherche…): Et dans le désir, qui seul (!) nous fait trouver de l’intérêt dans la vie d’une personne… Il libro ritrovato è una rassegna di scrittori moderni e non moderni qui inscritti nel club dei gay. Qui da noi se ne può parlare, ci si può dichiarare gay. I nomi di gay fatti in quel libro, nomi di scrittori, sono tanti. Penso agli italiani, a cominciare da Saba, ammirevole poeta, penso a Esenin, Kavafis, Pasolini, Verlaine… E mi fermo con l’elenco. Preferisco invece trascrivere una delle poesie di uno di loro, scritta per la morte del suo desiderio-amore. Ma prima vorrei aggiungere una precisazione del curatore Nicola Gardini, che dice: «…ho deciso di usare “gay” e non “omosessuale” perché l’aggettivo “omosessuale”, introdotto all’inizio del ventesimo secolo per qualificare una devianza, esprimerebbe un che di denigratorio assolutamente estraneo allo spirito di questa impresa». Eccomi alla poesia. È una di «loro». Leggo molte poesie, per scelta mia, per imparare, per il piacere della poesia. A mio discutibilissimo parere, non è facile trovare poesia così bella per la morte di un giovane amato, desiderato, dal poeta, che in questo caso è Wystan Hugh Auden, 1907-1973. La sua poesia che trascrivo è tolta da Songs and other Musical Pieces: la trascrivo nella versione italiana

Molti i generi in cui si è cimentato il regista Carlo Lizzani, i risultati però sono stati altalenanti Capace di cimentarsi in tanti generi diversi, dalla commedia al western, dall’erotico al poliziesco, Lizzani è stato forse il regista che più ha amato Milano. Nato e cresciuto a Roma, fu invitato dai compagni di militanza Giuseppe De Santis (futuro regista di Riso amaro) e Gianni Puccini a salire nella Milano appena liberata del ’45 per partecipare alla ricostruzione. Restò fino al ’46 lavorando alla rivista «Film d’oggi» e sceneggiando Il sole sorge ancora di Aldo Vergano, prodotto dall’Associazione nazionale partigiani per raccontare in maniera approfondita e scrupolosa quanto accaduto nel nord Italia dopo l’8 settembre ’43. Tornerà in città per girare sette film più il documentario Milano

Ha attraversato l’intera epoca del grande cinema italiano. (Marka)

crocevia d’Europa (1993), mentre il film tv Le cinque giornate di Milano (2004) è stato quasi interamente filmato a Torino. A questi si aggiunge Hotel Meina (2007, la sua ultima pellicola) girata sulle sponde del Lago Maggiore. Dal 1956 de Lo svitato al 1976 di San Babila ore 20: un delitto inutile, Lizzani seppe cogliere le trasformazioni del capoluogo lombardo e lo sviluppo urbanistico del periodo del boom economico. Ne raccontò la violenza negli anni ’70, ma anche gli aspetti poetici e surreali. Mostrò in anticipo certe dinamiche dell’industria, delle imprese e delle pubbliche relazioni in un film quasi dimenticato come La Celestina P… R… del ’64. Assia Noris interpreta una cinica rampante dedita alle pr che utilizza ogni mezzo per farsi largo in una Milano zeppa di cantieri. Piero Mazzarella, grande attore di teatro che si prestò soprattutto come caratterista in molti film milanesi, è Morelli, imprenditore non più giovane che all’improvviso riscopre il sesso e si mostra come un viscido disposto a tutto. In fondo è un uomo solo, non a caso è l’unico che fa una brutta fine, mentre la carriera di Celestina è inarrestabile. I suoi film milanesi più importanti sono La vita agra (1964) e Banditi a Milano (1968). Il primo è tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi e ne conserva

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1. Cattivissimo Me 2

1. Clara Sánchez

Animazione

Le cose che sai di me, Garzanti

almeno in parte lo spirito anarchico. Ugo Tognazzi è nei panni di Luciano Bianchi, licenziato da una grande miniera, che, per vendicare i minatori morti, va a Milano e si mette in testa di far saltare il da poco completato grattacielo Pirelli, sede della compagnia mineraria. La curiosità è che Enzo Jannacci fece il suo esordio sul grande schermo cantando il brano L’ombrello di mio fratello in un club. Fu un grande successo Banditi a Milano, un intreccio di cronaca, interviste, documentario e fiction girato poco dopo i fatti reali. Un instant movie sulla torinese banda Cavallero che mise a segno 17 colpi, l’ultimo sanguinoso in una banca di Largo Zandonai. Intercettati e inseguiti, i banditi sparano per la città e si fanno inseguire a lungo e catturare otto giorni dopo in campagna. Il capo Pietro Cavallero (Gian Maria Volonté) è un ex comunista sprezzante, sicuro di sé, determinato che ruba come protesta contro il sistema. Lo svitato è una commedia leggera non priva di grazia e di poesia, nello spirito della screwball comedy americana o del cinema alla Jacques Tati. Fu il primo insuccesso economico di Lizzani, ma segnò anche il primo ruolo da protagonista di Dario Fo come giovane giornalista pasticcione che corre da un capo all’altro della città.

Top10 CD 1. Artisti Vari

Sanremo 2014 2. Thor 2

C. Hemsworth, N. Portman

2. Jeff Kinney

Diario di una schiappa Guai in arrivo, Il Castoro

2. Artisti Vari

Bravo Hits Vol. 84

3. Planes

Animazione

3. Stephen King

Doctor Sleep, Sperling

3. Artisti Vari

Megahits 2014

4. Rush

C. Hemsworth, D. Brühl

4. J. P. Sloan

English da zero, Mondadori

4. Artisti Vari

The Dome Vol. 68

5. Questione di tempo

R. McAdams, D. Gleeson

5. Michael Connelly

Il quinto testimone, Piemme

5. Zucchero

che un lettore troverà con l’originale in una delle edizioni italiane per Auden. Qui seguo la scelta di Carlo Izzo per Guanda, Parma, 1961, pagine 64-67. È una poesia intensa, anche nella traduzione, per la morte di una persona cara (e cara, mi ripeto, vuol dire «mi manchi», dal latino carere, si pensi a carenza, oppure carne della mia carne, dal latino caro-carnis, carne): Fermate tutti gli orologi, tagliate il telefono, / Date al cane che abbaia un osso midolloso, / Fate tacere i pianoforti, e con tamburi abbrunati / Portate fuori la bara, vengano gli accompagnatori. Volteggino in alto gli aeroplani gemendo, / Tracciando nel cielo il messaggio «Egli è morto». / Mettete nastri di crespo al collo bianco dei colombi cittadini, / E i vigili dei crocevia portino guanti di cotone nero. Egli era il mio nord, il mio sud, il mio est e il mio ovest, / La mia settimana di lavoro e il mio riposo della domenica, / Il mio meriggio, la mia mezzanotte, la mia parola, il mio canto; / Credevo che l’amore fosse per durare in eterno: avevo torto. Le stelle sono inutili, ora; spegnetele tutte: / Imballate la luna e smantellate il sole; / Vuotate l’oceano e spazzate via i boschi: / Poiché nulla ora potrà dare alcun frutto. Ha diritto un gay a questo immenso lutto? Certo che ne ha diritto. Al pari di un non gay per la morte della sua ragazza. Accanto al nome di Auden vorrei indicare quello di Wilfred Owen (18931918), tra i più sfortunati dei poeti, perché, se non ricordo male, andò come tanti altri inglesi in guerra, la Prima guerra mondiale, 14-18. E lì egli rimase ucciso, a 24-25 anni, da una pallottola nemica sparata pochissimo dopo che la guerra era ufficialmente finita. Nella sua poesia (pagina 97 de Il senso del desiderio citato qui sopra) Owen parla con toni dolorosi della sua «altra» sconfitta, quella con Eros (To Eros è il titolo) con un ragazzo che, come un poco più in là la vita, lo respinge. Poiché ti amavo, Amore, ti ho adorato. / E bene adorando, ho sacrificato. / Le cose di valore ho preso, bruciato, ucciso: / quiete di antiche vite; fragili fiori; amici forti; e Cristo. Ho ucciso gli amori più falsi; ho ucciso quelli veri, / per amare soltanto la tua verità, Ragazzo. / Di dosso mi son tolto onesta fama / Come sposo i panni nuziali con foga. Ma quando sono caduto ai tuoi piedi, / hai riso; scansando le mie labbra, ti sei alzato. / Ho sentito ritrarsi le tue ali con un canto; / volato lontano, ti ho visto sopra olimpie nevi, / oltre ogni mia speranza. Sconvolto sono tornato / a guardare le ceneri di quello che ho bruciato.

Una rosa blanca

6. Corpi da reato

S. Bullock, M. McCarthy

6. Fabio Volo

La strada verso casa, Mondadori

6. George Michael

Symphonica /novità

7. Gravity

S. Bullock, G. Clooney

7. Michele Serra

Gli sdraiati, Feltrinelli

7. Pegasus

Love & Gunfire /novità

8. Welcome to the jungle

J-C. Van Damme, A. Brody 9. Captain Phillips

T. Hanks, M. Martini

8. Luis Sepulveda

Storia di una lumaca che scoprì l’importanza di essere lenta Guanda

8. Eugenio Finardi

Fibrillante 9. Antony/Battiato

Dal suo veloce volo 10. Gli stagisti

V. Vaughn, O. Wilson

9. Khaled Hosseini

E l’eco rispose, Piemme

10. Ligabue

Mondovisione 10. Isabel Allende

Il gioco di Ripper, Feltrinelli

Il poeta inglese Wilfred Owen (prima fila, terzo da sin.) durante la Prima guerra mondiale. (Keystone)


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Cultura e Spettacoli

Piccola nazione grande musica Rassegne All’Hotel de la Paix di Lugano dal 26 al 30 marzo cinque giorni

per conoscere le nuove idee musicali dalla capitale estone Tallinn Zeno Gabaglio Un Paese poco conosciuto di cui però tanti parlano, guardando su verso le terre baltiche in cerca di un nuovo possibile modello di Stato dinamico. Una nazione che non dimentica il passato ma che è speditamente proiettata verso il futuro. Questa è l’Estonia: il Paese con appena un milione e mezzo di abitanti che ha saputo inventare Skype; l’unico dominio sovietico del nord Europa a non essere di cultura slava, ma anzi da sempre ancorato ai modi e alle idee scandinave. La terra in cui tutti cantano, e dove proprio la musica praticata da tutti è valsa per decenni come privilegiato veicolo identitario del popolo e della nazione. Sono questi vari e articolati elementi che portano l’Estonia – e la sua capitale Tallinn – alla ribalta dell’attualità culturale della Svizzera italiana, attraverso il canale della musica dal vivo: in cinque giorni, tra i prossimi 26 e 30 marzo, si terranno infatti altrettanti appuntamenti musicali – presso l’Hotel De La Paix di Lugano e sotto l’egida di LuganoInScena – volti ad introdurre, raccontare e spiegare la cultura estone. Detto però dell’oggettività d’interesse della manifestazione TLL>LUG, è bene anche sottolinearne il contenuto soggettivo, perché nulla sarebbe successo senza il diretto impegno organizzativo del musicista ticinese Brian Quinn. «Nel 2007 con il trio Q3 ho partecipato al pri-

mo concorso internazionale per gruppi jazz di Bucarest. Lì abbiamo conosciuto il sestetto estone Ajavares. È nata un’amicizia e un reciproco interesse nella produzione musicale e abbiamo invitato più volte Ajavares per concerti in Ticino, mentre i musicisti del collettivo Q3 hanno cominciato a esibirsi in Estonia. Nel 2012 abbiamo inoltre ospitato il trio di Kadri Voorand, il cui contrabbassista Taavo Remmel è poi entrato a far parte dell’attuale trio del pianista locarnese Gabriele Pezzoli». Una fitta rete di scambi, quindi, che a partire da un incontro iniziale quasi fortuito è germogliata in modo spontaneo. «La coesione della comunità di giovani musicisti di Tallinn è tale che in poco tempo siamo entrati in contatto con un gran numero di artisti, il cui discorso musicale ci ha talmente affascinati da sollecitarci a condividerlo con il nostro pubblico di casa». Brian Quinn ha quindi già toccato con mano la realtà sociale e culturale dell’Estonia, e può confermare o smentire la sua realtà di invidiabile eccezione rispetto al sedimentato panorama europeo. «Ho avuto la fortuna di vivere Tallinn in tutte le stagioni, dal 2011, conoscendo anche diverse altre località minori. Di aspetto, Tallinn è la tipica città anseatica, con un centro medievale adagiato su di un colle al margine di un’ampia baia sul Mare Baltico. Culturalmente e socialmente ho trovato un ambiente al passo con i tempi e a tratti addirittura in

Agenda dal 17 al 23 marzo 2014 Eventi sostenuti dalla Cooperativa Migros Ticino H. Tubman & Wadada Leo Smith Tra jazz e nuove musiche Giovedì 20, ore 21.00 Studio2 RSI, Lugano Linda Jozefowski Trio Jazz a Primavera Sabato 22, ore 20.30 Casa Cav. Pellanda, Biasca Hamburg Ballet Chiassodanza Sabato 22, ore 20.30 Cinema Teatro, Chiasso

La vocalist estone Kadri Voorand.

vantaggio: persone dalla curiosità sincera e vorace che creano un clima dinamico e stimolante. Prova concreta del fatto che il mondo non si muove soltanto a Tokyo o a New York». Una curiosità, quella estone, che ha forse delle concrete conseguenze anche in ambito musicale? «La giovane scena musicale estone è una pentola a pressione che fischia sottovoce. La produzione artistica è enorme (anche perché istituzionalmente molto incoraggiata), assai variegata e di altissima qualità. Per indole, gli estoni ci tra-

smettono tutto ciò con grande modestia, con “understatement” ben più sincero rispetto a quello British. E presso tutti questi giovani artisti, cresciuti già in epoca post-sovietica, si riscontra una forte coscienza nazionale, che non è slogan bensì rispetto di tutto ciò che è autenticamente e tradizionalmente estone. Il canto popolare, soprattutto, che è molto diffuso tra la gente, e che permea di sé ogni espressione musicale, anche la più moderna e anche quelle esclusivamente strumentali».

Percussus 900presente Domenica 23, ore 17.30 Auditorio RSI, Lugano La bambina dei fiammiferi Primi Applausi Domenica 23, ore 16.00 Teatro Sociale, Bellinzona Per saperne di più su programmi, attività e concorsi del Percento Culturale Migros consultate anche percento-culturale.ch e Facebook

Suoni dall’altro continente Tra Jazz e nuove musiche La seconda parte della rassegna dedicata da Rete Due RSI

a jazz e dintorni propone una nutrita schiera di gruppi americani e due formazioni appartenenti alla scuderia ECM

Concorsi

È una delle edizioni più marcatamente statunitensi degli ultimi anni: «Tra jazz e nuove musiche» vede sette gruppi americani protagonisti negli otto concerti che caratterizzano la primavera live 2014 di Rete Due. Per chi ama il jazz l’occasione è molto ghiotta. Anche se nel corso dei decenni è evidente come questa musica si sia ormai affrancata da ogni sudditanza verso il nuovo continente, è pur vero che quella scena artistica rimane incredibilmente fertile e sempre stimolante. Dopo lo splendido concerto offerto da Archie Shepp al festival di Chiasso

091/821 7162 Orario per le telefonate: dalle 10.30 fino a esaurimento dei biglietti

nelle scorse settimane, un’altra opportunità storica nel cartellone predisposto da Paolo Keller è quella di ascoltare il 20 marzo, nello Studio 2 RSI a Lugano, un capofila tra i grandi «vecchi combattenti» afroamericani, il trombettista Wadada Leo Smith, che si unirà al trio Harriet Hubman. Altri appuntamenti molto vivaci e sicuramente godibili, quello con il trombonista Fred Wesley e la sua nuova funk-band, The New Jbs (il 27 marzo allo Studio Foce) e quello con il trio Medeski, Martin e Wood (il 7 aprile, Auditorio RSI). I primi offriranno un’enne-

sima rielaborazione del repertorio di James Brown, di cui Wesley era trombonista e arrangiatore, mentre i secondi per una volta non saranno accompagnati da John Scofield ma dall’eccezionale chitarrista Nels Cline. Serata inequivocabilmente newyorkese sarà quella con Ches Smith and these Arches (Jazz in Bess, 28 aprile): nel gruppo dell’ombroso batterista da un lato due grandi sassofonisti come Tim Berne e Tony Malaby, dall’altro due eccellenti strumentiste, la chitarrista Mary Halvorson e la fisarmonicista Andrea Parkins.

Morbido velluto swing lo offrirà poi il duo dell’americana Sandy Patton e del contrabbassista svizzero Thomas Dürst, il 30 aprile prossimo al Jazz Cat Club di Ascona. Infine, ecco tornare le prestigiose ECM Sessions: alle due serate dedicate al sound della gloriosa casa discografica di Manfred Eicher, parteciperà il quartetto del contrabbassista Michael Formanek (8 maggio, Studio Foce), mentre si esibirà in solo la cantante-violinista Iva Bittovà al Teatro San Materno di Ascona il 15 maggio. Info su: www.rsi.ch/jazz. /AZ

Swiss Chamber Soloist Concerto Conservatorio, Lugano Lunedì 24 marzo, ore 19.00

Com.x Rassegna della comicità Teatro Sociale, Bellinzona Gio-ve-sa 27-28-29 marzo, 20.45

Tra jazz e nuove musiche Rassegna di Rete Due Studio Foce, Lugano Giovedì 27 marzo, ore 21.00

Minispettacoli Rassegna teatrale per l’infanzia Oratorio S. Giovanni, Minusio Domenica 30 marzo, ore 15/17.00

RiflessoHolliger

Quelli del Cabaret

Fred Wesley & the New JBs

L’amica del vento

Musiche di J.C. Bach, X. Dayer, W.F. Bach, H. Holliger, W.A. Mozart. I musicisti: Heinz Holliger, oboe; Felix Renggli, flauto; Daria Zappa, violino; Jürg Dähler, viola; Daniel Haefliger, violoncello; Matthias Würsch, percussione.

Di e con Cochi e Renato. Finalmente in Ticino lo spettacolo che celebra i 50 anni di cabaret di una delle coppie più amate dello spettacolo, Cochi e Renato.

Un omaggio alla musica di James Brown da parte dei uno dei membri più famosi del suo gruppo. Con F. Wesley, tb; G. Winters, tr.; P. Whack, sax; R. Ward, g; P. Madsen, kb; D. Dolphin, b; B. Cox, dr.

Compagnia Teatro dei Fauni, Ticino. L'amicizia di una ragazza con il vento: una leggenda dalle Ande dell’Ecuador. Spettacolo di figura e musiche dal vivo per un pubblico dai 5 anni.

www.conservatorio.ch

www.teatrosociale.ch

www.rsi.ch/jazz

www.minispettacoli.ch

Regolamento Migros Ticino offre ai lettori biglietti gratuiti per le manifestazioni sopra menzionate.

Massimo due biglietti per economia domestica. La partecipazione è riservata a chi non ha beneficiato di vincite in occasione di analoghe promozioni nel corso degli scorsi mesi.

Biglietti in palio per gli eventi sostenuti dal Percento culturale di Migros Ticino

Wadada Leo Smith. (D. Villa)

In collaborazione con

Per aggiudicarsi i biglietti basta telefonare martedì 18 marzo al numero sulla sinistra nell’orario indicato. Buona fortuna!


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Cultura e Spettacoli Rubriche

In fin della fiera di Bruno Gambarotta Benedetti Michelangeli, il giorno dopo Sempre a proposito dei sessanta anni dall’inizio delle trasmissioni televisive in Italia (3 gennaio 1954) celebrati per tutto l’anno in corso. Questa volta voglio rievocare il mio primo giorno di lavoro nella televisione italiana. Era il mese di aprile del 1962 ed io ero stato assunto, grazie al diploma di perito fotografo, per svolgere le mansioni di cameraman. Durante l’esame orale, alla domanda su quali fossero i miei interessi culturali, volendo fare la ruota del pavone, avevo esibito una lunga frequentazione ai concerti organizzati dall’Unione Musicale di Torino. Vengo assegnato allo studio destinato a registrare un evento che rimase unico nella storia della televisione italiana, poiché fu la prima e unica occasione in cui Arturo Benedetti Michelangeli accettò la proposta di far riprendere un suo concerto dalle telecamere di uno studio. Tutto il numeroso personale fu adeguatamente catechizzato: avrete il privilegio di riprendere il più grande pianista vivente; il maestro è un artista sensibi-

lissimo che in più occasioni ha interrotto un concerto perché era infastidito dai colpi di tosse degli spettatori; perciò non fate rumore, non muovetevi e, se proprio dovete, fatelo indossando le pantofole che vi forniremo e in ogni caso quando non sta suonando. Le riprese furono pianificate tenendo ferme le tre telecamere, azionando solo lo zoom degli obbiettivi e la torretta di una camera. Così tante precauzioni e il tassativo divieto agli estranei di mettere piede in studio durante le registrazioni, avevano resa febbrile l’attesa del gran giorno. Alle 14 di un lunedì il maestro arriva, indossa un maglione nero girocollo, ha i baffetti, un’aria da spiritato, è pallidissimo. Ennio Flaiano avrebbe detto, grazie a quel pallore, che era il più grande pianista morente. Dimenticavo: ha il collo avvolto da una vistosa sciarpa di lana bianca con i due capi che scendono fin quasi a toccare terra. Gli uscieri, istruiti a dovere, aprono solleciti le porte e il maestro avanza con passo deciso fino al centro dello studio, si

guarda attorno, individua il suo interlocutore nel nostro direttore che accorre sollecito a un suo cenno. I due confabulano. Il maestro imbocca l’uscita dello studio e il direttore ci spiega che il pianista ha mal di gola e che in quelle condizioni non può certo dare il meglio di sé alla platea televisiva. A domani. Il giorno dopo, alla stessa ora, il maestro indossa la medesima tenuta, ha lasciato in albergo la sciarpa bianca e al suo posto inalbera un vistoso paio di occhiali neri. Stessa cerimonia dell’arrivo e stessa scena dell’accoglienza. I due, maestro e direttore, confabulano. Il maestro fa dietro front e imbocca l’uscita dallo studio; non ha bisogno di essere guidato, oramai conosce la strada. Il direttore, affranto, ci spiega che il più grande pianista di tutti i tempi è afflitto da un fastidioso orzaiolo che lo tormenta e gli impedisce di suonare al meglio. A domani, a domani. Terzo giorno di studio, mercoledì. Arturo Benedetti Michelangeli arriva e questa volta non cerca con lo sguardo il

direttore ma va direttamente al pianoforte che, sorretto da una pedana, troneggia al centro dello studio. Il «suo» pianoforte, che il «suo» accordatore ha messo a punto in sei ore di accanito lavoro, saltando anche il pranzo. Entrambi lo seguivano in giro per il mondo. A me è sempre sembrato uno spreco esagerato finché non mi hanno spiegato che Maurizio Pollini viaggia con tre pianoforti al seguito. Torniamo in studio: il maestro solleva il coperchio della tastiera e inizia a saggiare lo strumento. Esegue delle scale facendo correre il dito indice della mano destra sui tasti, prova la pedaliera, insiste con ostinazione sui tasti dell’estrema destra, che generano le note più acute. Tutti i presenti trattengono il fiato. Il maestro scuote ripetutamente la testa. È impensabile suonare con un pianoforte in quelle condizioni, senza che sia stato accordato come si deve. Il sublime interprete di Debussy richiude il coperchio sulla tastiera e se ne va. Domani, domani sarà la volta buona. Uscendo passa da-

vanti a un manovale, seduto su un gradino, un piemontese doc. Costui lascia che il maestro si allontani e poi, scuotendo la testa, pronuncia in dialetto la sua sentenza: «Mi sa che quello non è mica capace di suonare il piano». In altre parole, cerca ogni giorno una scusa per non svelare il suo bluff. Per la cronaca, il giovedì il maestro non solo ha suonato ma, terminate le riprese, ha continuato a suonare senza smettere. A mezzanotte il custode ha telefonato al direttore: «Questo va avanti, io devo chiudere, cosa faccio». Il direttore: «Lo lasci suonare finché vuole. Lei resti lì, le pagheremo gli straordinari». Di tutt’altra pasta era fatto un altro grande della musica, il virtuoso della chitarra Andrès Segovia, che registrò da noi molti concerti. Alloggiava in un albergo nei pressi della Rai. Era così puntuale che una volta, non vedendolo arrivare, il direttore telefonò all’ingresso per chiedere se avevano visto Segovia. La risposta: «Qui non c’è nessun Segovia, c’è solo un vecchietto con la chitarra». Era lui, naturalmente.

in infradito dorate che faceva acquisti in bella boutique. Forse era un modo per comunicare al mondo che un autista l’aveva lì depositata e lì l’avrebbe ripresa, impedendole di infangare il piedino dorato. Comunque era in infradito, e comunque la pioggerellina quasi-di marzo verso sera si è trasformata in grandinata e temporale, come accade di solito tra giugno e settembre. Nessuno si azzardi a chiedere, all’acquazzone monsonico, «Che dice la pioggerellina / di marzo, che picchia argentina / sui tegoli vecchi / del tetto, sui bruscoli secchi / dell’orto, sul fico e sul moro / ornati di gèmmule d’oro? Perché invece di Passata è l’uggiosa invernata, / Passata, passata!» Vi sentirete rispondere «Sarebbe passata, l’uggiosa invernata, se fosse passata». Ora, il problema non è nostro, perché con il ridursi della mole del cambio stagione ogni donna e uomo di casa sa che il peggio è evitato, lo tsunami di cartine profumate, di sacconi di plastica anche un

po’ lugubri, di andirivieni dall’esosa tintoria, tutti ricordi dei tempi andati, e nemmeno tanto belli. Ma qui si profilano drammi non da poco. Cosa ordina il signore? Una quattro stagioni. Spiacente, ormai abbiamo solo la due stagioni, no, non costa la metà, ha solo metà del condimento. E si affretti, prima che venga decretata la «stagione unica», che le togliamo pure i funghetti. Che fare poi con l’armadio quattro stagioni, pagato non poco e montato dal maschio di casa? Due ante su quattro saranno vuote. Si rendono necessarie sessioni supplementari di shopping, col rischio di far crollare definitivamente la finanza domestica, senza nemmeno potersi prendere il merito di aver rianimato quella nazionale, dato che è difficile non comprare made in China. Non parliamo del caos che sorgerà a breve nei programmi dei teatri, nella programmazione delle scuole e università. Semestre invernale? Vacanze di primavera? Nulla di tutto ciò avrà più

senso. Gli astronomi dovranno dare altri nomi a solstizi ed equinozi, da sempre sospettati di essere un po’ rigidi nel decretare la fine di una stagione e l’inizio di un’altra. L’unica sapienza che non avrà problemi è quella popolare, che da sempre è rispettosa del corso naturale delle cose. Così il 2 febbraio, «Madonna della Candelora, dall’inverno siamo fora». «Ma», prosegue il sapiente detto, «se piove o tira vento, nell’inverno siamo dentro». Quindi siamo pronti a tutto, stupiti da nulla. «Col tempo e con la paglia maturano le nespole», per dire che tutto ciò che cresce ha bisogno del suo tempo. Ma non dice: in primavera, o in autunno. Quando cogli le nespole, mettile al coperto nella paglia e quando saranno pronte saranno mature, quando che sia. Qualche perplessità, forse, sulla pratica di mettere le nespole nel pagliaio, ma nessuna sul buon senso nascosto nell’accettazione dei tempi della natura, in barba a primavera autunno inverno estate, cose d’altri tempi.

moria, come la password del tuo computer, il pin del telefonino e quello del conto corrente online, le cifre del bancomat e quelle della carta di credito, la login di Twitter e quella di Facebook, il codice per accendere l’ipad. Insomma, chiami. Risponde una voce femminile preregistrata: «Benvenuto nel servizio Infoline della città, per chiedere certificati a un operatore automatico premere 1, per informazioni sulla viabilità premere 2, per car sharing premere 3...». La voce va avanti con disinvoltura fino al numero 25 e al numero 26, quando ormai il tuo orecchio è caldo e rossiccio, senti la parola «rifiuti». Ti rivolgi stravolto alla tastiera del tuo BlackBerry, cerchi affannosamente il numerino giusto, ma sbagli, hai premuto il 3, senti una musichetta e subito dopo una voce cordiale e un po’ metallica che dice: «benvenuti in car sharing, se hai bisogno di informazioni car sharing premi 1, se hai bisogno di prenotare o modificare scegli 2, se vuoi abbonarti a car sharing premi

3...». Premi e prenoti un’auto, tanto per cogliere l’opportunità: decidi di andare in ufficio in auto, niente mezzi pubblici. Oggi è una giornata speciale. Andrai a ritirare la vettura all’angolo, te l’ha detto un’altra voce che ha individuato dove sei e ti ha indicato la vettura più vicina. Sai come fare, in totale autonomia, senza interferenze di esseri umani come succede per un normale noleggio. Oggi, visto che la giornata è cominciata con il cameriere-robot del Caffè Torino, hai deciso di far tutto da solo. Non è difficile, in fondo. Del resto, hai già deciso dall’anno scorso di aggirare la presenza fisica del commercialista affidandoti al fiscalista telematico, che ti risparmia attese in studio e altre noie. I referti medici sul tasso del tuo colesterolo ti arrivano da tempo online. Mentre guidi verso il lavoro fischiettando felice, fissi la strada pensando lieto al futuro: pare che in qualche angolo del mondo abbiano creato diligentissime baby sitter e badanti robotiche: non vedi l’ora di liberarti di Gabry e

di licenziare la rude ucraina che assiste tuo padre. Hai saputo che arriveranno i robot-vigilanti, che in Giappone esistono già dei robot-cuochi che ti preparano un pasto completo in un minuto e 40 e sei ansioso di vederli all’opera. In fondo, lavori anche tu nell’informatica iperspecialistica e sai che i progressi della tecnologia sono illimitati. Il futuro è nei tuoi polpastrelli. Lasci l’auto in un parcheggio qualunque, stasera tornerai a casa sulla nuova linea della metro che dispone del guidatore automatico. Prendi l’ascensore e sulla porta dell’ufficio hai l’ennesima sorpresa della giornata. Ti accoglie un simil-omuncolo alto non più di 60 centimetri dal quale ti senti scandire: «Caro G., mi spiace comunicarle che da oggi l’esercito delle macchine intelligenti Warren sostituisce il personale della ditta di ricerca informatica PassWorld. La saluto cordialmente ringraziandola della collaborazione». (Voto globale al mondo dei robot: 1–).

Postille filosofiche di Maria Bettetini Sono finite le stagioni Si era già affrontato il temibile argomento. Esse non esistono più, sì, loro, quelle che avevamo definito le ms, per non essere accusati di parlare di argomenti triti e stereotipi. Ma la situazione ora è ancora più preoccupante. Non esistono più le stagioni! Già, come faccio a saperlo, domanderete. Nel modo più ovvio, grazie a quella parte di me che, con grande soddisfazione, fa la casalinga. Impossibile? Che cosa, la casalinga, la soddisfazione o la certezza della scomparsa delle stagioni? Quanto ai primi due assunti, dichiaro la felicità compresa nel combattere i merli che mi divorano gli sparuti bulbi e fiorellini del balcone della cucina, nel ricevere complimenti per la torta alle pere e al cioccolato, nel risolvere da sola il dilemma di un orlo che ha perso il filo della retta via. Dite che le casalinghe fanno ben altro? No, ma anche io lavo i piatti etc., con meno soddisfazione e comunque con sempre eguale riposo della mente, che osserva la schiuma e riesce a non

pensare a nulla, oppure canticchia un ritornello dello Zecchino d’Oro. Un nirvana a portata di lavello. Ma bando alle ciance, veniamo alla scomparsa delle stagioni. Signore e signori miei, lo avete già fatto il cambio di stagione? Allora siete in ritardo (l’inverno è passato) o in anticipo (si sentono ancora i primi, ops, gli ultimi freddi). E dunque, signore e signori, provate a farlo, il cambio di stagione. Vi accorgerete che c’è poco da cambiare: stivali col pelo, muffole, cappelli di lana, sciarponi a triplo strato sono ancora lì, dove li avete posati a fine settembre. Non ha fatto abbastanza freddo. Invece avete fatto bene a non mettere in naftalina gli abiti leggeri, perché con un golfino o una giacchetta ecco che sono risultati utili anche a Natale e per la festa della Donna. Si livellano gli estremi, si ruotano solo costumi da bagno e giacche a vento, infradito e doposci da città. Ma nemmeno questo è vero, è stata individuata nei giorni scorsi sotto pioggia tremenda fanciulla

Voti d’aria di Paolo Di Stefano Il mondo invaso dai robot C’è nell’aria qualcosa di strano, oggi. Qualcosa che somiglia a un romanzo di Guido Morselli che hai letto molti anni fa. Si intitolava Dissipatio H.G. (dove H.G. sta per «humani generis») e raccontava di un tizio che, dopo aver resistito alla tentazione di suicidarsi, si ritrova unico vivente in una grande città. «Dove sono andati. Perché sono andati», ti chiedi, esattamente come quel tizio del libro di Morselli. Esci di casa e in realtà vedi un sacco di gente, ma è come se non ci fosse nessuno. Ti dirigi verso il bancomat. Da quanto tempo non scambi una battuta con un impiegato di banca? Neanche te lo ricordi. Ma oggi c’è qualcosa in più che ti rende persino leggermente euforico. Ti accorgi che puoi fare a meno degli altri e che gli altri, probabilmente, possono fare a meno di te. Vai al Caffè Torino, come ogni mattina e dietro il bancone non c’è più Mario, il simpatico cameriere portoghese con l’orecchino, ma una specie di umanoide che ha l’aspetto del meccano

con cui giocavi da piccolo. Lo guardi negli occhi, ma quell’ammasso di ferraglia colorata non ti fa nemmeno dire la parola e, nel giro di pochi secondi, ti porge gentilmente il cappuccino proprio come lo vuoi tu, con poca schiuma e senza cacao, emettendo da una fessura una voce metallica che scandisce: «Buongiorno, dottor G.» Stai sognando, sei sicuro di sognare. Eppure tempo fa hai letto nel sito lenewspiùstravaganti.com che un ingegnere tedesco aveva inventato Carl, un cameriere-robot super-rapido. «Ciao, Carl», gli dici mentre deponi le tue monete sul banco prima di accorgerti che sono state inghiottite in un imbuto traslucido che si è aperto e richiuso in un istante sputando fuori la ricevuta. Non fai in tempo a deglutire la sorpresa, che ti ricordi che devi telefonare in Comune perché ieri ti è arrivata la richiesta di pagamento della bolletta dei rifiuti che hai pagato mesi fa. Tiri fuori il cellulare, componi il numero che conosci a me-


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Idee e acquisti per la settimana

shopping Sciròpp, dolce sapore nostrano Novità Una magia di frutta, zucchero e acqua per i nuovi sciroppi della Sicas di Chiasso

Flavia Leuenberger

Tradizione, qualità e cura del dettaglio. Questi ingredienti fondamentali sono alla base della filosofia aziendale della Sicas di Chiasso, che oltre la produzione di succhi e gazose ha intrapreso una nuova avventura in collaborazione con Migros Ticino. Uva americana e frutti di bosco, frutti tipici delle nostre regioni, sono stati scelti per il lancio dello sciroppo dei Nostrani del Ticino, lo Sciròpp. Questa azienda familiare, da più di cinquant’anni attiva sul mercato svizzero, nasce dall’intuito del capostipite Renzo Nespoli che dopo una prima avventura nella vendita di latte e gelati si dedica alla lavorazione del succo di pomodoro. Il passo alla produzione di succhi di frutta e gazzosa è breve, per un’azienda dalle dimensioni modeste ma dalle idee chiare. Creatività e capacità di stare al passo con i tempi vanno a braccetto con un principio fondamentale: la tradizione non si tocca. Le ricette rimangono inalterate, gli ingredienti base oggi come allora sono la frutta fresca – selezionata a mano per garantirne la massima qualità – l’acqua, lo zucchero e l’acido citrico. Nel caso specifico degli sciroppi l’uva proviene direttamente dai filari di Renzo Nespoli, nipote del capostipite e attuale direttore, mentre i frutti di bosco sono coltivati in Valle Verzasca da Saverio Foletta. L’uso della pastorizzazione – ovvero il trattamento ad alte temperature delle bottiglie già riempite di sciroppo – garantisce una lunga conservabilità senza dover ricorrere all’aggiunta di additivi. Negli sciroppi non vi è traccia né di conservanti, né di coloranti artificiali. Unica concessione, gli aromi e coloranti totalmente naturali, per stabilizzare la miscela. Il prodotto finale ha le stesse caratteristiche dello sciroppo che una volta veniva preparato in casa, qualità esaltata dalla classica bottiglia con il tappo a pressione che viene confezionata ed etichettata rigorosamente a mano. L’uso di prodotti locali, la stagionalità e la lavorazione manuale rendono lo sciroppo disponibile in quantità limitate proprio in virtù del rispetto dei cicli naturali e della disponibilità della materia prima. Una bevanda deliziosa – il termine latino medievale sirupus deriva infatti dall'arabo sharàb «bevanda» – che si presta a diversi usi, dalla bibita rinfrescante, all’aromatizzazione di ghiaccioli, granite e gelati fatti in casa o semplicemente come dolce aggiunta a frutta e yogurt. / Luisa Jane Rusconi

Renzo Nespoli, direttore della Sicas di Chiasso.

Sciròpp Früta di Bósch dala Verzasca 3,5 dl Fr. 6.90 Sciròpp Üga Americana dal Mendrisiòtt 3,5 dl Fr. 6.90 In vendita nelle maggiori filiali Migros.


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Idee e acquisti per la settimana

Meno sale, più salute Attualità Il pane con solo lo 0,7% di sale, un buon alleato per la salute Migros si impegna costantemente a ridurre il tenore di sale nei suoi prodotti, contribuendo così a promuovere nella propria clientela uno stile di vita sano (Migros è partner di «actionsanté», iniziativa dell’Ufficio Federale della Sanità Pubblica a favore della promozione della salute). Un contributo supplementare in questo senso, Migros Ticino l’ha fornito tre anni fa, lanciando sul mercato un pane con un contenuto di sale molto inferiore rispetto alla media, svolgendo così in questo settore un ruolo da pioniere nella grande distribuzione. Come tutti gli altri pani, anche il pane con solo lo 0,7% di sale è un prodotto della Jowa di S. Antonino, il panificio della Migros. Tra gli ingredienti cardine dell’impasto, troviamo il pregiato lievito madre naturale, un impasto prodotto e gelosamente conservato dal panificio stesso, in grado di conferire al prodotto finale un sapvore equilibrato e armonioso e una più lunga conservabilità. Gli altri ingredienti utilizzati sono la farina di frumento di produzione integrata TerraSuisse, fiocchi di patate e farina di malto d’orzo. Altro aspetto che caratterizza il pane con poco sale è l’artigianalità: infatti la maggior parte della lavorazione richiede ancora il lavoro manuale dell’abile fornaio Jowa.

Flavia Leuenberger

Pane con poco sale 250 g Fr. 2.40 In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Il parere dell’esperta

Alimentazione e consumo di sale Il sodio, contenuto nel sale da cucina (che è cloruro di sodio) è importante e deve essere assunto tramite l’alimentazione. Tra i suoi molti ruoli, regola l’equilibrio acido-basico dell’organismo e insieme al potassio regola l’equilibrio idrico del corpo. Un’alimentazione equilibrata assicura questo apporto vitale, per cui le carenze di sodio sono rarissime. Gli eccessi di consumo di sale sono invece la regola. Il bisogno vitale di sodio è di 550 mg al giorno, che corrisponde a 1,5-2 g di sale al giorno. Attualmente il consumo medio giornaliero di sale della popolazione svizzera è molto maggiore: le stime portano il consumo a circa 10g al giorno. Un eccessivo consumo di sale può avere ripercussioni negative sulla salute. Ad esempio provocando un aumento della pressione arteriosa (ciò che può accrescere il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e renali) oppure un aumento dell’eliminazione di calcio nelle urine. Si è inoltre stabilito un legame diretto tra alimentazione con elevato apporto di sale e presenza di una sindrome metabolica, e anche di gravi obesità. In seguito a queste considerazioni,

Pamela Beltrametti, dietista diplomata S.S.S., titolare dello studio di consulenza e terapia dietetica «La Dietista» di Cadenazzo www.ladietista.ch

l’Ufficio Federale della Sanità Pubblica ha elaborato una strategia nazionale di riduzione del consumo di sale detta «strategia sale 2008-2012», una cam-

pagna che è stata prolungata fino al 2016. L’obiettivo è portare il consumo giornaliero di sale a meno di 8 grammi al giorno per persona; a più lungo termine, portare il consumo a meno di 5 grammi al giorno, conformemente alle norme dell’OMS. Fonti alimentari di sodio, oltre al sale di cucina, sono principalmente il pane, il formaggio, i prodotti a base di carne e i piatti già pronti. Ridurre il proprio consumo di sale diventa più facile se ci si abitua a: leggere le etichette sugli imballaggi degli alimenti; diminuire il consumo di sale gradualmente per dare la possibilità al palato di abituarsi; lasciare la saliera in cucina e non sulla tavola; alternare al sale l’uso di erbette aromatiche o spezie per esaltare il sapore delle pietanze; aggiungere il sale ai propri piatti solo dopo aver assaggiato; preferire stili di cottura che concentrano i sapori (cottura con pochissima acqua per le verdure, stufare, cuocere al cartoccio al forno). (Fonti: Ufficio Federale Sanità Pubblica, Federazione Svizzera di Cardiologia, Società Svizzera di Nutrizione, Fédération Romande Consommateurs, Revue Médicale Suisse).

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche il pane con poco sale della Jowa.

Serate in panetteria Volete scoprire i segreti della lavorazione delle colombe Jowa? In questo caso iscrivetevi alla serata in panetteria dei due laboratori interni di S. Antonino e Serfontana. La stessa si terrà martedì 1. Aprile, dalle ore 18.30 alle 21.00. Per assicurarvi il vostro posto chiamate il numero 091 840 12 61, martedì 18 marzo, tra le ore 10.30 e 11.30. I posto sono limitati a 10 persone per supermercato.


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Idee e acquisti per la settimana

Cime di rapa: un orgoglio tutto pugliese Attualità Molte le teorie sulle origini di questo ortaggio di fine inverno, sano e facile da preparare con le immancabili

orecchiette pugliesi. A Migros Ticino trovate ora le cime di rapa della Puglia nomi abbondano a seconda delle zone: «recchietedde» (piccole orecchie), «chiancarelle», «fiaffioli», «facilletti» o ancora «stacchioddi». Rotonda e cava, affinché possa seccare più in fretta e conservarsi a lungo, la forma tipica si ottiene premendo il pollice sulla spianatoia, rendendo il centro più sottile e mantenendo la superficie ruvida. Ma anche questa pasta ha origini misteriose, francesi, secondo alcuni: sarebbe stata diffusa nel Medioevo dalla dinastia dei d’Angiò, conti di Provenza i cui domini comprendevano anche le terre di Puglia. Per altri avrebbe a che fare con le «orecchie di Haman» della tradizione dolciaria di Israele, conservata e protetta in Puglia già nel Dodicesimo secolo sotto la dominazione normanna-sveva. Comunque le orecchiette erano già presenti a Bari nel Cinquecento: in un documento si legge infatti di un padre che lascia in dote matrimoniale... l’abilità della figlia di preparare le orecchiette! L’orgoglio pugliese per la paternità di questa pasta, gustosissima con le cime di rapa lessate in acqua salata, con olio, aglio, acciughe e peperoncino, non è forse nemmeno così casuale: la loro forma a cupola non ricorda i tetti dei trulli, le tipiche costruzioni contadine pugliesi? / Marco Jeitziner

Marka

Ha tanti nomi quante sono le sue ipotetiche origini. Le classica cima di rapa, una pianta erbacea prettamente mediterranea, si chiama anche «rapacaula del Salento leccese», broccoletto di rapa, «cavolo di Siria» o «cavolo di Cipro». Possiamo comunque dire che è un ortaggio tipicamente italiano diffusissimo nelle regioni Lazio, Puglia, Campania, ma ormai coltivato anche in Lombardia e, di recente, perfino negli Stati Uniti e in Australia. La sua diffusione non può che essere positiva, viste le ottime proprietà nutritive delle sue tenere foglie e delle sue infiorescenze in boccio, ricche di sali minerali, vitamine e antiossidanti. I semi delle cime di rapa sarebbero giunti in Europa dall’Oriente grazie ai navigatori genovesi e, dapprima, coltivati in Francia, ma le prime piantagioni comunque compaiono nel Regno di Napoli e poi in tutta la Pianura Padana. Si tratta di una pianta prettamente autunnale e invernale, quindi ancora ottima in questo periodo di fine stagione, dopo che è stata raccolta quando i fiori sono ancora chiusi e si sono sviluppati i germogli laterali. Ma con cosa accompagnarla se non con le classiche orecchiette, la tipica pasta «strascinata» della Puglia? Anche qui i

Marka

Lo sapevate che…?

Una tradizionale bontà: il brasato con polenta.

Il verbo brasare, deriva da brace, parola di origine germanica, è uno dei modi di cucinare più antichi, ma sempre d’attualità. Si tratta di cuocere un pezzo di carne a fuoco dolce per stufarlo con più o meno liquido. La parte più importante del procedimento del brasare è costituito dall’iniziale formazione di una crosta di buona consistenza per mezzo della rosolatura. Così facendo i succhi e le sostanze proteiche restano nella carne e sviluppano il tipico aroma d’arrosto.

Al termine della rosolatura si aggiunge il liquido di cottura – vino o brodo - e il coperchio alla brasiera. La cottura deve essere molto lenta – anche 3 ore per i pezzi più grossi - e può avvenire sul fornello oppure nel forno. I pezzi più grandi cuociono meglio in forno perché il calore si distribuisce in modo più uniforme. A fine cottura il liquido di cottura dovrà risultare piuttosto sciropposo. Uno dei classici accompagnamenti del manzo brasato è la polenta.


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Idee e acquisti per la settimana

I nuovi smalti Gel Effect firmati Deborah Milano Le appassionate che vogliono sempre avere unghie perfette amano gli effetti originali e i colori «alla moda» sofisticati ed eleganti, senza tempo. Per loro è fondamentale ottenere risultati professionali anche a casa, senza ricorrere a strumenti come lampade UV e LED, facendo capo a prodotti facili e veloci da utilizzare. Deborah Milano, grande esperta della bellezza al femminile e sempre attenta alle ultime tendenze, esaudisce ora i desideri delle donne lanciando una linea di smalti professionali e di semplice utilizzo: i Gel Effect. I nuovi smalti assicurano una brillantezza estrema effetto specchio e un sorprendente risultato volumizzante in una sola passata grazie alla texture fluida e al maxi pennello. Inoltre, per una tenuta dello smalto ancora più duratura Deborah Milano ha sviluppato l’innovativo Plumping Effect Top Coat, da applicare sullo smalto asciutto fino a due volte a settimana. La gamma dei Gel Effect è ottenibile in ben 23 tonalità per ogni gusto, desiderio e occasione. I prodotti Deborah Milano sono in vendita nelle maggiori filiali di Migros Ticino. I nuovi smalti Gel Effect fino al 31.3 sono offerti con il 40% di sconto.

19 marzo: la festa del papà

I dolci rappresentano la più ghiotta espressione della devozione popolare verso i Santi. Anche per la festa di San Giuseppe, protettore dei padri di famiglia e dei falegnami, alcune specialità come le frittelle e i tortelli rispuntano come usanza dopo essere state in auge per carnevale. Presso i banchi pasticceria di Migros Ticino, domani troverete in vendita i tradizionali tortelli di San Giuseppe farciti di delicata crema pasticciera al marsala, come pure le torte a forma di cuore a base di pasta sfoglia ricoperte di frutta fresca. Accanto alle specialità di pastic-

ceria, nei nostri supermercati non mancano sicuramente altre idee regalo per sottolineare degnamente la ricorrenza: dai cioccolatini ai vari gusti ai libri sugli argomenti più diversi, dai dischi più attuali ai capi d’abbigliamento alla moda, fino agli attrezzi da lavoro proposti da OBI e Do it + Garden per i babbi amanti del fai da te. Inoltre, per molti bambini la giornata offre anche una divertente occasione per passare ai fornelli – magari facendosi aiutare dalla mamma – preparando il piatto preferito dal proprio papà.

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Buoni come i dessert fatti in casa. Dopo le varietà Crème Vanille, Crème Caramel e Crème Café, siamo lieti di presentarti la quarta creazione della linea Dessert Tradition: la deliziosa Crème Chocolat au lait. Scopri la nuova e delicata crema per dessert arricchita da cioccolato al latte. OFFERTA VALIDA SOLO DAL 18.3 AL 31.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Responsabili progetto e testi Anna-Katharina Ris; illustrazioni KellenbergerKaminski; styling Monika Hansen; trucco e acconciature Nicole Zingg

Idee e acquisti per la settimana

Da sinistra: anemoni, mazzo da 7 9.80 (anche nel terzo vaso da destra), giacinti, fresie, ranuncoli, mazzo da 10 8.90 garofani e narcisi

Facile da realizzare

Fantasia colorata in vaso

La primavera conquista casa vostra!

Acquistate un mazzo di fiori primaverili misti tutti colorati e tenete pronti diversi vasi e bottigliette di vetro, precedentemente puliti a fondo. Tagliate, poi, leggermente in obliquo l’estremità dello stelo dei fiori recisi con l’aiuto di un coltello (non utilizzate le forbici). In seguito, eliminate i fiori e le foglie immerse nell’acqua. Infine, aggiungete all’acqua il nutrimento per fiori recisi seguendo le istruzioni riportate sulla bustina, versatela nei vasi e disponete i fiori in modo decorativo. ivo.

Dopo le pulizie di primavera, fino a Pasqua avete ancora tanto tempo a disposizione per regalare un tocco primaverile alla vostra casa, ornandola con splendidi fiori e colorate decorazioni pasquali Quest’anno, la primavera è arrivata in anticipo illuminando le nostre giornate con i primi piacevoli raggi di sole. Mentre i meteorologi hanno celebrato l’inizio della primavera già il primo marzo, quella astronomica deve ancora cominciare: infatti, giovedì 20 marzo sarà l’equinozio di primavera, giorno in cui il sole teoricamente splenderà per 12 ore e

il giorno e la notte avranno, così, la stessa durata. Comunque sia, la voglia di primavera prima o poi contagia tutti. Ma anche se il sole non sempre ci concede la sua presenza, con l’arrivo della bella stagione ci si dedica alle pulizie domestiche per rendere la casa ancora più accogliente con magnifiche idee decorative, proprio in vista delle feste e delle

spontanee e allegre serate in compagnia. Su queste pagine vi proponiamo, quindi, qualche fantasioso capolavoro da realizzare con i fiori e il materiale decorativo disponibile alla vostra Migros. Trovate tanti altri consigli utili relativi alla Pasqua su www.migros.ch/pasqua

Il nostro consiglio per voi: non esponete i fiori alla luce diretta del sole e, se possibile, durante la notte teneteli in un luogo fresco. La Migros offre 5 giorni di garanzia sui fiori recisi. Se appassiscono prima, provvediamo a sostituirli gratuitamente.


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Idee e acquisti per la settimana

Facile da realizzare

Fantasia alla ribalta! Questa corona di fiori artificiali può essere impreziosita a piacere. Nel nostro esempio, abbiamo integrato dei rametti di gattini del salice, sistemato un dolce pulcino in un nido, in basso alla corona, e quindi completato l’opera con un vasetto per confettura vuoto contenente tre narcisi e fissato con del filo di ferro. E a fine lavoro, basta applicare un nastro decorativo alla corona per attaccarla alla porta o esporla in qualsiasi altro angolo della casa.

Per mani esperte

Composizione di tulipani perla tavola Riempite dei piccoli contenitori, per esempio delle ciotoline da zuppa, con della spugna puntafiori e create poi delle piccole composizioni usando tulipani e gattini del salice. Dopodiché prendete un pratico supporto, come per esempio un vassoio o un centrotavola, e decoratelo a piacere con dei nastri colorati. Rivestite il vassoio con del muschio e sistematevi le ciotoline con i fiori, quindi distribuite attorno delle cerinte. Per regalare un tocco ancora più festivo alla composizione, impreziositela con ulteriori elementi decorativi, come delle farfalle colorate. Otterrete così una fantasiosa opera d’arte floreale in grado di catturare gli sguardi dei vostri ospiti. Ovviamente potete esporre le singole ciotoline in tutta la casa oppure utilizzarle come eleganti decorazioni per la tavola.

Tutto il materiale presentato è disponibile alla Migros oppure da Do it + Garden.

* In vendita nelle maggiori filiali Migros

Corona di fiori artificiali* verde/bianco Fr. 24.80

Pulcini piumati gialli set da 2 Fr. 5.90

Nastri primaverili* 6 diverse esecuzioni, rosa, crema, verde Fr. 5.90 l’uno

Nastri primaverili* 6 diverse esecuzioni Fr. 3.90 l’uno

Farfalle con clip* rosa o verdi, set da 3 Fr. 3.90

Cartoline primaverili set da 5 Fr. 2.90

Tulipani mazzo da 20 Fr. 9.90 invece di 14.50 dal 18 al 24.3

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All’acquisto di un Samsung Galaxy Y S5360 Incl. scheda SIM e credito di conversazione di fr. 15.–, SIM Lock, versione bianca fino a esaurimento dello stock. Traffico dati Prepaid 28 ct./MB, fr. 4.80/mese per 150 MB con l’opzione «National Data Package», acquisto di una nuova scheda SIM e registrazione obbligatori. Utilizzabile presso melectronics e le filiali Migros in Svizzera. Non cumulabile con altri buoni.

* Con l’opzione «My Country» ora dalla Svizzera puoi telefonare alla tariffa di soli fr. 0.03/min. sulle reti fisse di Svizzera, Germania, Francia, Italia, Austria, Spagna e Portogallo. Offerta speciale: Ogni attivazione di questa opzione è gratuita dal 1o marzo al 31 maggio 2014! (Poi fr. 3.– /30 giorni). Trovi tutte le informazioni su: www.m-budget-mobile.ch/prepaidit

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Idee e acquisti per la settimana

La vescica va protetta

Actilife Medisana Cranberry Med Dall’azione protettiva in caso di infezioni alla vescica. 30 capsule Fr. 10.80

In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Le capsule Cranberry Med di Actilife Medisana agiscono nella vescica e nelle vie urinarie inferiori, promuovendo la salute di questi organi. La sostanza attiva, un particolare estratto delle bacche di mirtilli rossi americani, impedisce ai batteri di aderire alle cellule epiteliali urinarie e riduce così la predisposizione alle infezioni della vescica e delle vie urinarie. L’assunzione di queste capsule è con-

sigliata come misura temporanea o mirata ai primi sintomi di disagio, ad esempio in caso di minzione frequente e dolorosa. I prodotti Medisana Actilife sono dispositivi medici dall’efficacia scientificamente confermata, che spiccano, tra l’altro, per l’ottimo rapporto prestazioni-prezzo. In caso di disturbi persistenti o ricorrenti consultare un medico.

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Noblesse Decaffeinato, UTZ in busta, 100 g

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Luganighe e cotechini per es. luganighe, prodotte in Ticino, imballate, per 100 g

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Tortelloni alla carne o ravioli al formaggio e al pesto M-Classic in conf. da 3 per es. ravioli al formaggio e al pesto, 3 x 250 g

Salse e sughi per la pasta Anna’s Best in conf. da 2 20% di riduzione, per es. pesto al basilico, 2 x 150 ml

Diversi articoli di salumeria Heidi 20% di riduzione, per es. carne secca di montagna mini, Svizzera, per 100 g

Prosciutto crudo di Parma Beretta Italia, affettato in vaschetta da 100 g

Società Cooperativa Migros Ticino OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 24.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


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Patate fritte e patate fritte al forno M-Classic in busta da 2 kg surgelate, per es. patate fritte al forno

Tutto l’assortimento di pasta M-Classic a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.40 di riduzione l’una, per es. pipe grandi, 500 g

Tutte le pizze e le baguette Finizza surgelate, 20% di riduzione, per es. pizza Finizza al salame, 320 g

Ketchup Heinz normal oppure hot in conf. da 2 20% di riduzione, per es. normal, 2 x 700 g

Fleischkäse al prosciutto, al tacchino o Delikatess Malbuner in conf. da 6 20% di riduzione, per es. Fleischkäse Delikatess, 6 x 115 g

Tutte le confezioni di Pepsi da 6 x 1,5 l per es. Pepsi Regular

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Berliner 6 pezzi, 390 g

Tortine pasquali in conf. da 2 2 pezzi, 150 g, 20% di riduzione

Crème d’or alla vaniglia, al caramello o al cioccolato da 1000 ml 20% di riduzione, per es. Vanille Bourbon

Miscela per torta al formaggio M-Classic in conf. da 2 2 x 250 g, 20% di riduzione

Tutte le salse in bustina Bon Chef a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.30 di riduzione l’uno, per es. salsa per arrosti legata, 30 g

Tutta l’acqua minerale San Pellegrino in conf. da 6 x 1,5 l

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6.30 invece di 7.90

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15.90 invece di 19.80

Tutti i Pain Création –.40 di riduzione, per es. Le Baluchon chiaro, 340 g

Tutte le palline Frey Adoro, UTZ 20% di riduzione, per es. Adoro al latte, 200 g

Tutti gli ovetti di cioccolato Frey, di una sola varietà, in sacchetto da 165 g, UTZ 20% di riduzione, per es. ovetti Giandor al latte

Narcisi da campo il mazzo da 30

Tutti i drink Bifidus 20% di riduzione, per es. alla fragola, 6 x 65 ml

Red Bull Standard o Sugarfree in conf. da 12 12 x 250 ml

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Detersivi per capi delicati Yvette in flaconi da 3 l per es. Care, 3 l

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Calze Bio Cotton o calze da trekking da uomo in conf. da 3 per es. calze da trekking

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Linee di posate Cucina & Tavola per es. coltello da tavola Creazione, offerta valida fino al 31.3

Maglie per bambini disponibili in diversi colori, tg. 104–164, offerta valida fino al 31.3

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* In vendita nelle maggiori filiali Migros. OFFERTE VALIDE SOLO DAL 18.3 AL 24.3.2014, FINO A ESAURIMENTO DELLO STOCK


Tutte le miscele per dolci e i dessert in polvere, per es. Crème Patisserie alla vaniglia, 2 x 100 g 1.65 invece di 2.40 30%

ALTRE OFFERTE. FRUTTA E VERDURA Pomodorini ciliegia su rametto, Spagna / Italia, vaschetta da 500 g 2.40 Broccoli, Italia / Spagna, al kg 2.60 Formentino, Svizzera, per 100 g 2.– Fragole, Spagna, vaschetta da 500 g 2.30 invece di 3.50 33% Asparagi bianchi, Perù, mazzo da 1 kg 6.60 invece di 8.90 25% Ananas, Costa Rica, al pezzo 2.50 invece di 3.20 20%

PESCE, CARNE E POLLAME Wienerli M-Classic 5 x 2 paia, Svizzera, 1 kg 9.30 invece di 15.50 40% Prosciutto cotto in conf. da 2, TerraSuisse, Svizzera, per 100 g 2.10 invece di 3.– 30% Diversi articoli di salumeria Heidi, per es. carne secca di montagna mini, Svizzera, per 100 g 6.95 invece di 8.70 20% Bistecca di lonza di maiale, TerraSuisse, marinata, per 100 g 2.40 invece di 4.– 40%

Tutti i drink Bifidus, per es. alla fragola, 6 x 65 ml 2.80 invece di 3.50 20% Starbucks Discoveries Skinny Latte, 220 ml 2.20 NOVITÀ *,**

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Lassi ai lamponi o al mango, bio, per es. al lampone, 230 ml 1.90 NOVITÀ *,**

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Mezza panna UHT Valflora in conf. da 2, 2 x 500 ml 3.50 invece di 5.– 30% Tutti gli yogurt Excellence, per es. alla vaniglia, 150 g –.75 invece di –.95 20% Crème Chocolat au lait Tradition, 175 g 1.30 NOVITÀ *,**

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Emmentaler Surchoix, per 100 g 1.40 invece di 1.80 20% Miscela per torta al formaggio M-Classic in conf. da 2, 2 x 250 g 7.10 invece di 8.90 20% Camembert Suisse Crémeux, 300 g 4.40 invece di 5.50 20% Caseificio Canaria, prodotto in Ticino, a libero servizio, al kg 19.60 invece di 28.10 30%

Narcisi da campo, il mazzo da 30 5.90 Calla, in vaso da 15 cm, la pianta 15.80 invece di 19.80

ALTRI ALIMENTI

Prosciutto crudo di Parma Beretta, Italia, affettato in vaschetta da 100 g 5.30 invece di 7.60 30%

Tutte le palline Frey Adoro, UTZ, per es. Adoro al latte, 200 g 6.30 invece di 7.90 20%

Salame del Mendrisiotto (pezzo ca. 400 g), prodotto in Ticino, per 100 g 2.95 invece di 4.35 30%

Novità pasquali di cioccolato Frey, UTZ, per es. Bunny Shiny 20x bianco, 170 g 6.50 NOVITÀ **

Branzino 300–600 g, Grecia, per 100 g 1.95 invece di 2.80 30% fino al 22.3

PANE E LATTICINI Tutti i Pain Création –.40 di riduzione, per es. Le Baluchon chiaro, 340 g 3.50 invece di 3.90

*In vendita nelle maggiori filiali Migros.

Tutte le confezioni di Pepsi da 6 x 1,5 l, per es. Pepsi Regular 5.50 invece di 11.– 50%

Polenta bramata, TerraSuisse, 500 g 1.40 invece di 1.80 20% * Tutti i tipi di polenta M-Classic, per es. polenta (con semolino fino), 500 g –.95 invece di 1.20 20% Tutto l’assortimento di pasta M-Classic, a partire dall’acquisto di 2 confezioni, –.40 di riduzione l’una, per es. pipe grandi, 500 g 1.10 invece di 1.50 Spaghetti Léger, 500 g 2.90 NOVITÀ **

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Olio di colza, TerraSuisse, 50 cl 2.65 invece di 3.35 20%

FIORI E PIANTE

Croccantini di pangasio M-Classic, d’allevamento, Vietnam, 700 g 9.80 invece di 14.– 30%

Fettine fegato di vitello, Svizzera, imballate, per 100 g 2.85 invece di 4.10 30%

Crème d’or alla vaniglia, al caramello o al cioccolato da 1000 ml, per es. Vanille Bourbon 7.80 invece di 9.80 20%

Tutta l’acqua minerale San Pellegrino in conf. da 6 x 1,5 l 4.– invece di 6.– 33%

Tulipani, il mazzo da 20 9.90 invece di 14.50

Arrosto spalla di manzo, TerraSuisse, Svizzera, imballato, per 100 g 2.55 invece di 3.40 25%

Patate fritte e patate fritte al forno M-Classic in busta da 2 kg, surgelate, per es. patate fritte al forno 5.20 invece di 10.40 50%

Red Bull Standard o Sugarfree in conf. da 12, 12 x 250 ml 15.90 invece di 19.80

Fettine di pollo Optigal, Svizzera, per 100 g 2.70 invece di 3.30

Luganighe e cotechini, per es. luganighe, prodotte in Ticino, imballate, per 100 g 1.25 invece di 1.85 30%

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Tutte le pizze e le baguette Finizza, surgelate, per es. pizza Finizza al salame, 320 g 3.90 invece di 4.90 20%

Tutti gli ovetti di cioccolato Frey, di una sola varietà, in sacchetto da 165 g, UTZ, per es. ovetti Giandor al latte 3.60 invece di 4.50 20% Biscotti alla spelta, bio, o biscotti al miglio e ai semi di lino, bio, in conf. da 2, per es. biscotti alla spelta, 2 x 260 g 5.50 invece di 6.90 20%

Aceto alle erbe aromatiche o aceto di mela Condy 750 ml, per es. aceto alle erbe 20x aromatiche 2.20 NOVITÀ *,** Ketchup Heinz normal oppure hot in conf. da 2, per es. normal, 2 x 700 g 5.40 invece di 6.80 20% Tutte le salse in bustina Bon Chef, a partire dall’acquisto di 2 prodotti, –.30 di riduzione l’uno, per es. salsa per arrosti legata, 30 g 1.20 invece di 1.50 Fleischkäse al prosciutto, al tacchino o Delikatess Malbuner in conf. da 6, per es. Fleischkäse Delikatess, 6 x 115 g 7.20 invece di 9.– 20% Tonno Rio Mare in confezioni multiple, per es. tonno rosa in olio d’oliva, 3 x 104 g 9.40 invece di 11.85 20% Chips Zweifel da 170 g, 280 g e 300 g 1.– di riduzione, per es. alla paprica, 280 g 4.60 invece di 5.60

Tutto l’assortimento di capsule Delizio, per es. Lungo Crema, UTZ, 48 capsule 19.80 10x 10x PUNTI

Tuiles Sélection, 100 g 8.80 NOVITÀ *,**

Tutti i müesli e i fiocchi di cereali Farmer in conf. da 2, per es. Flakes al naturale, 2 x 500 g 7.30 invece di 9.20 20%

Tortine pasquali in conf. da 2, 2 pezzi, 150 g 2.05 invece di 2.60 20%

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Tortelloni alla carne o ravioli al formaggio e al pesto M-Classic in conf. da 3, per es. ravioli al formaggio e al pesto, 3 x 250 g 9.– invece di 12.90 30% Salse e sughi per la pasta Anna’s Best in conf. da 2, per es. pesto al basilico, 2 x 150 ml 4.60 invece di 5.80 20% Lasagne Anna’s Best in conf. da 2, 2 x 400 g 8.– invece di 10.– 20% Cannellini, Borlotti, Ceci al vapore Valfrutta, 3 x 150 g 3.80 Brezel di Sils precotti, 8 pezzi, 496 g 4.90 Cake Salvatore, 300 g 4.40 invece di 5.50 20%

NEAR FOOD / NON FOOD Snack per gatti Cat Hearts o Cat Crunch Selina, per es. Cat Hearts con pollo e salmone, 120 g 20x 2.90 NOVITÀ *,** Shampoo per cani Natruvet, shampoo e balsamo per diversi tipi di pelo, 400 ml 11.– 20x NOVITÀ *,** Prodotti Syoss Hair in confezioni multiple, per es. shampoo e balsamo Color Protect, 2 x 500 ml 10.70 invece di 13.40 Prodotti Always, Tampax e o.b. in confezioni multiple e speciali, per es. assorbenti Always Ultra Normal Plus, conf. da 28 pezzi 4.40 invece di 5.85 Salviettine cosmetiche e fazzoletti Linsoft e Kleenex in confezioni multiple, per es. fazzoletti Linsoft Classic, FSC, 56 x 10 pezzi 3.55 invece di 5.95 40% ** Calze e calzini sportivi da donna in confezioni multiple, per es. calzini da donna in conf. da 4 9.80 Calze roll-up da donna in conf. da 3 9.90 Calze Bio Cotton o calze da trekking da uomo in conf. da 3, per es. calze da trekking 12.90 Maglie per bambini, disponibili in diversi colori, tg. 104–164 22.– invece di 33.– 3 per 2 ** Completino da bambina, 2 pezzi, tg. 98–128 23.– NOVITÀ *,**

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Triciclo Be fun Confort 69.– Detersivi per capi delicati Yvette in flaconi da 3 l, per es. Care, 3 l 9.90 invece di 16.80 40% Carta igienica Hakle in confezioni multiple, per es. alla camomilla, FSC, 24 rotoli 14.15 invece di 20.25 30% Scarpa multifunzionale Adidas AX1 GTX Ladies, n. 37–41 97.30 invece di 139.– 30% ** Linee di posate Cucina & Tavola, per es. coltello da tavola Creazione 2.95 invece di 5.90 50% **


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Lassi ai lamponi o al mango, bio per es. al lampone, 230 ml

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Idee e acquisti per la settimana

Dolci tentazioni vestite a festa: palline Adoro della Frey.

Delizie pasquali Come elegante regalo oppure quale decorazione per la tavola: nel periodo pasquale le palline Adoro sono particolarmente apprezzate

Il giudizio dei lettori Simi Simonet (51 anni), Argovia, pubblicitario Frey Adoro palline al latte 200 g Fr. 6.30* invece di 7.90 500 g Fr. 12.95* invece di 16.20

Verdure al giovedì santo, pesce al venerdì santo e sabato dedicato ai preparativi per il ricco brunch della domenica pasquale: a Pasqua si fa di tutto per rendere felici i propri cari. È il periodo della famiglia, dello stare insieme e delle piccole attenzioni, con tavole graziosamente decorate, nidi pasquali e regalini scelti. Si è vestita della festa anche la più recente creazione di praline di casa Chocolat Frey: le palline Adoro, note per il

loro croccante guscio e il cremoso cuore, che per Pasqua si presentano in un’elegante confezione, perfetta anche per essere regalata. Le palline Adoro sono prodotte dalla Chocolat Frey a Buchs, nel Canton Argovia, che utilizza cioccolato certificato UTZ. Il marchio è sinonimo di una coltivazione del cacao socialmente e ecologicamente sostenibile. / Nicole Ochsenbein; foto Raphael Zubler; styling Katja Rey; stoviglie Globus

*20% su tutte le palline Adoro dal 18 al 24.3. Fino ad esaurimento scorte. In vendita nelle maggiori filiali Migros.

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche le palline Adoro della Frey.

Le palline Adoro mi ricordano i giorni di festa e sono un peccato di gola irresistibile. Le regalo volentieri ai miei cari. Sapore: sono delicatamente cremose ma dal guscio croccante e ben confezionate. Il loro grado di dolcezza risponde proprio ai miei gusti. Rituale: amo gustare alcune palline Adoro dopo una buona cena.


Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Idee e acquisti per la settimana

Bio al quadrato Già nel Medioevo il pane tostato era ritenuto una prelibatezza. E ancor oggi il pane per toast è molto apprezzato, tanto che lo si trova praticamente ovunque. La Migros ne propone diverse varietà anche in versione Bio Il pane, in tutte le sue forme, occupa un posto fondamentale nella nostra alimentazione. Una varietà molto apprezzata è quella in cassetta, conosciuta generalmente nella versione bianca, tagliata a fette, dalla mollica finemente porosa e dalla crosta sottilissima, nota come pane per toast. Versatile come pochi altri cibi, questa leccornia inebria con la sua incredibile fragranza già nel tostapane e una volta in tavola incanta i palati con tutta la sua bontà. Bio è sinonimo di misure severissime nella coltivazione di materie prime. La massima priorità è riservata al minimo impatto ambientale, al rispetto delle materie prime e alla naturalità dei prodotti come pure al benessere degli animali.

Il pane per toast di qualità Bio è preparato con farina di frumento e disponibile nella versione classica chiara e nella più rustica variante scura. Entrambi i tipi sono arricchiti con una miscela Bio ad alta energia germinativa. Si tratta di una speciale farina di germi di frumento, granoturco, miglio, farro, grano saraceno, orzo e avena, particolarmente ricca di vitamine e sali minerali, in grado di incrementare la conservabilità del pane e migliorare le sue qualità nutrizionali. La produzione del pane per toast Bio sottosta alle severe direttive dettate da Bio Suisse, che garantiscono una coltivazione rispettosa della natura e dell’ambiente che ci circonda. / Dora Horvath

Parte di

Generazione M è il nome del programma testimone dell’impegno Migros a favore della sostenibilità. Migros Bio offre un prezioso contributo.

Pane per toast Bio chiaro, con farina ad alta energia germinativa 250 g Fr. 1.90

Pane per toast Bio scuro, con farina ad alta energia germinativa 250 g Fr. 2.–

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui il pane per toast di qualità Bio.

Ad ognuno il suo: con il pane Bio appena tostato a colazione c’è più gusto.


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Idee e acquisti per la settimana

Prendete gli spaghetti alla leggera! Per tutti gli amanti della cucina mediterranea con un occhio di riguardo sul consumo di carboidrati, Léger offre ora i tanto attesi spaghetti Gli alimenti ricchi di carboidrati come müesli, pane, riso, pasta e patate sono un’importante fonte energetica. Se però il loro consumo supera il fabbisogno energetico personale, il piacere di gola si ripercuote sul peso. Sono sempre di più le persone che scelgono un’alimentazione povera di carboidrati, una tendenza alimentare che ha origine in America, meglio conosciuta sotto il nome “low carb”. Léger propone cibi in linea con questo stile alimentare, che contengono almeno il 30 percento di carboidrati in meno rispetto alla versione comune. Nessuna differenza di gusto

Per ottenere un tenore di carboidrati contenuto, viene sostituita una parte della semola di grano duro con amido di frumento modificato (una fibra alimentare) e proteine dello stesso cereale. Il gusto degli spaghetti Léger è lo stesso di quello degli spaghetti comuni. Per la loro preparazione ci vuole, però, un po' di tempo in più; la loro composizione richiede, infatti, dai 12 ai 14 minuti di cottura. E per gustarli davvero a cuor leggero, anziché servirli con sughi pieni, si può optare per una salsa a base di cipollotti, rapanelli e diverse erbette gustose, rosolati in qualche goccia di olio d’oliva. / Anette Wolffram Eugster; illustrazioni Veronika Studer

La prima pasta svizzera a lunga conservazione, con il 30 percento di carboidrati in meno, è servita!

Spaghetti Léger 500 g Fr. 2.90 Punti Cumulus moltiplicati per 20 dal 18 al 31.3

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui anche gli spaghetti Léger.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Idee e acquisti per la settimana

Cuori di carciofo marinati

Il nostro cuore batte per il Fairtrade in scatola

Aperitivo per 6 persone

PERU

Trujillo

Tarapoto

Preparazione Tritate finemente i pomodori, le olive e il basilico. Grattugiate la buccia del limone e spremete il succo. Mescolate il tutto con l’olio e insaporite la marinata con sale e pepe. Scolate i carciofi, sciacquateli con l’acqua fredda e lasciateli sgocciolare bene. Tagliate in due o quattro parti i carciofi e lasciateli macerare per ca. 2 ore nella marinata. Accompagnate con pinoli tostati e pane.

Lima

I cuori di palma e di carciofo in scatola sono ora disponibili anche con certificazione Fairtrade Max Havelaar. Gustosi se serviti in insalata o come stuzzichini, regalano alla tavola un tocco esotico

Tempo di preparazione ca. 10 minuti + marinatura ca. 2 ore

200 km Nella regione ad est di Trujillo, si coltivano carciofi, mentre i cuori di palma provengono da Tarapoto e dintorni.

In Perù, a nord di Lima, ora si coltivano anche carciofi con certificazione Fairtrade, che dopo il raccolto vengono trasformati in gustose conserve in scatola. Chi predilige il marchio Fairtrade Max Havelaar, in futuro, potrà sostenere il commercio equo e di conseguenza i coltivatori con certificazione Fairtrade, anche acquistando queste conserve. I contadini certificati approfittano, tra l’altro, del premio Fairtrade, che può per esempio essere investito per migliorare le superfici di coltivazione. E i produttori possono decidere in modo democratico, quali progetti realizzare con il denaro ottenuto. Anche la produzione delle conserve avviene sul posto

Enrico Antonini (49), responsabile acquisti Conserve della Migros, si è recato in questa straordinaria regione, non lontano dalla città marittima Trujillo. Grazie

Ingredienti 30 g di pomodori secchi con aglio 8 olive nere snocciolate 3 gambi di basilico ½ limone 3 cucchiai d’olio d’oliva sale, pepe 1 vasetto di cuori di carciofo* da 400 g (240 g, peso sgocciolato)

Per persona ca. 1 g di proteine, 9 g di grassi, 2 g di carboidrati, 350 kJ/90 kcal

Il marchio Fairtrade Max Havelaar, sinonimo di prodotti coltivati in modo sostenibile e provenienti da un commercio equo, sostiene i piccoli produttori e i lavoratori delle piantagioni nei Paesi in via di sviluppo e in quelli di nuova industrializzazione, permettendo loro di migliorare le loro condizioni di vita. Ulteriori informazioni: www.maxhavelaar.ch

al suo impegno pionieristico a favore del marchio Fairtrade e dei contadini, trasmette loro la certezza di collaborare con un partner affidabile come la Migros, che acquista ogni anno ben 200’000 scatole di

Cuori di palma Aperitivo per 6 persone Ingredienti 1 vasetto di cuori di palma* da 400 g (220 g, peso sgocciolato) 1 cucchiaio di burro cardamomo macinato sale, pepe ½ mazzetto di coriandolo 100 g di prosciutto cotto a fette I contadini raccolgono i cuori di palma a mano durante tutto l’anno.

Il lavaggio, la mondatura e il taglio delle verdure avvengono in fabbrica.

«Fairtrade dona maggiore sicurezza ai produttori»

Enrico Antonini, acquisitore di prodotti in scatola di Migros.

cuori di carciofo. «Fairtrade punta a rafforzare i produttori nei Paesi in via di sviluppo e di nuova industrializzazione», spiega Antonini, aggiungendo che la produzione delle conserve avviene direttamente sul posto; in questo modo, il valore aggiunto rimane nel Paese di produzione. Per i singoli contadini, Fairtrade significa in particolar modo un rafforzamento della loro posizione sul mercato, soprattutto per quanto riguarda le trattative. E ovviamente, la prospettiva di riscuotere il premio Fairtrade, stimola i

coltivatori a certificare la loro azienda. Per i piccoli contadini, è importante sapere che durante il processo di certificazione non vengono abbandonati a loro stessi: infatti, per superare gli ostacoli amministrativi, vengono accompagnati da un collaboratore messo a disposizione da Fairtrade International. Cambio di scena: nella regione intorno a Tarapoto, circa 400 chilometri a nord-est di Trujillo, oltre 900 contadini raccolgono i cuori di palma, preparandoli alla successiva lavorazione. Enrico

Antonini ha spiegato anche a loro, direttamente sul posto, i vantaggi della certificazione Fairtrade. I cuori di palma, chiamati anche palmito e ricavati dai germogli della pianta, sono lunghi circa 10 centimetri e spessi dai tre ai quattro centimetri. Per il raccolto, che avviene durante tutto l’anno, si abbattono alberi dai dieci ai quindici anni d’età, che vengono puntualmente sostituiti con giovani piantine. Da ogni albero si ricavano circa 500 grammi di cuori di palma. Questi spiccano per la

delicata consistenza e il gusto intenso piacevolmente nocciolato. L’assortimento Fairtrade cresce costantemente

Ogni anno, sugli scaffali Migros approdano centinaia di migliaia di conserve certificate Fairtrade. L’introduzione di prodotti Fairtrade nel segmento Conserve, è un passo importante per raggiungere gli obiettivi previsti dal programma Generazione M. Entro il 2015, infatti, la Migros vuole ampliare l’as-

sortimento Fairtrade Max Havelaar del 75 percento. Per la produzione di conserve di verdure, si elaborano esclusivamente materie prime ineccepibili subito dopo il raccolto. Per bloccare la formazione di enzimi, che farebbero maturare ulteriormente le verdure, quest’ultime vengono brevemente sbollentate dopo il lavaggio. E solo dopo questa tappa si procede alla conservazione senza aggiunta di conservanti. Ampliando costantemente l’assortimento Fairtrade, la Migros offre ai

suoi clienti maggiori possibilità per acquistare in sintonia con il commercio equo. / Anette Wolffram Eugster

Parte di

Generazione M è il nome del programma a favore della sostenibilità della Migros. Fairtrade Max Havelaar offre un prezioso contributo.

Preparazione Scolate i cuori di palma, sciacquateli con l’acqua fredda e fateli sgocciolare bene. Dimezzate orizzontalmente i cuori di palma. Rosolateli da ogni lato nel burro a fuoco medio per ca. 3 minuti. Condite con cardamomo, sale e pepe. Tritate il coriandolo finemente e cospargetelo suoi cuori di palma. Tagliate il prosciutto a strisce. Avvolgete ogni cuore di palma in una striscia di prosciutto. Tempo di preparazione ca. 20 minuti

• Cuori di carciofo Fairtrade M-Classic 240 g Fr. 3.40

Per persona ca. 4 g di proteine, 4 g di grassi, 2 g di carboidrati, 200 kJ/50 kcal

• Cuori di palma Fairtrade M-Classic 220 g Fr. 3.20

* Disponibile con il marchio Max-Havelaar.

• Asparagi verdi Fairtrade M-Classic 100 g Fr. 1.90 • Macedonia di frutta Fairtrade Sun Queen 230 g Fr. 1.85


UNA PRIMAVERA DAL LOOK ETNICO. 19.80 Sciarpa arancione

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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Idee e acquisti per la settimana

Un’irresistibile trilogia di fragranze La linea di ammorbidenti Exelia Parfumeur propone ora tre esclusive creazioni; ognuna di loro, infatti, vanta il suo ideatore personale La linea di ammorbidenti premium Exelia Parfumeur della Migros ha iniziato il nuovo anno lanciando tre esclusive novità, che si distinguono dai tradizionali ammorbidenti, grazie alle tre fragranze nate dall’ispirazione di altrettanti profumieri di spicco. Golden Temptation conferisce al bucato un armonioso profumo di vaniglia e spezie, mentre il più frizzante Pink Pleasure sorprende con una nota fruttata e floreale impreziosita da un tocco di gelsomino. La variante Violet Senses, invece, rievoca la magica essenza dei fiori delicati, valorizzata da una leggera sfumatura fruttata. Le materie prime vengono miscelate al computer

Tre fragranze, tre creatori. Uno di loro è Gerard Leblanc, il profumiere dell’International Flavors & Fragrances che per Mibelle Group ha sviluppato il balsamo ammorbidente Violet Senses. «A volte realizzo le mie idee, altre, invece, collaboro direttamente con chi mi assegna l'incarico e quindi secondo indicazioni ben precise, relative ai desideri e alle esigenze dei clienti», ci svela Leblanc. C’è chi rimarrà sorpreso scoprendo che per il suo lavoro il signor Leblanc trascorre molte ore al computer. Infatti, oggigiorno lo sviluppo di una fragranza avviene tramite supporto elettronico e solitamente richiede dai due mesi ai cinque anni di tempo. «Abbino diverse materie prime e cerco, poi, di immaginarmi il risultato », spiega Leblanc. «In seguito, le varie componenti vengono miscelate, per permettermi di percepire il profumo della nuova creazione. Spesso, però, la prima composizione non corrisponde subito all’idea di base e deve quindi essere ulteriormente raffinata». È ovvio che nel suo lavoro si ispira ai mille profumi presenti in natura, che cattura, per esempio, durante lunghe passeggiate nei boschi, sui prati in fiore oppure durante meravigliose escursioni in montagna o al mare. Leblanc aggiunge: «L’attività fisica all’aria aperta fa bene al naso, che così si libera e prepara ad affrontare nuovi progetti». Previene pieghe e usura

Oltre a regalare straordinarie note profumate, gli ammorbidenti Exelia sono anche validi alleati domestici. Infatti, proteggono i vestiti, le tovaglie e la biancheria da letto dall’usura, facilitandone la stiratura e prevenendo la formazione di pieghe e di scariche elettrostatiche. / Heidi Bacchilega

Sviluppato da Gerard Leblanc: Exelia Violet Senses 1 litro Fr. 6.50.

Exelia Golden Temptation 1 litro Fr. 6.50 sviluppato da Philippe Durand

Exelia Pink Pleasure 1 litro Fr. 6.50 sviluppato da Martine Gaffet

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui troviamo anche gli ammorbidenti Exelia.


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Azione Settimanale della Cooperativa Migros Ticino • 17 marzo 2014 • N. 12

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Idee e acquisti per la settimana

Con la pelle ben trattata, il sole di primavera non fa più paura e uscire all’aria aperta per un giro di shopping con le amiche è un assoluto piacere.

Le quattro specialiste Non bisogna strapparsi la pelle di dosso, perché secca, irritata da influssi climatici nocivi o segnata da macchie pigmentate e il suo aspetto non ha l’uniformità desiderata. Questi quattro prodotti I am sono pronti a dare una mano

La linea di prodotti per la cura della pelle I am è particolarmente apprezzata dalle donne che desiderano cosmetici efficaci che non costano una fortuna. E ora propone quattro nuovi arrivati, nati per far fronte a esigenze specifiche, e completare così al meglio le linea dall’ottimo rapporto prestazioni-prezzo. La causa principale della pelle secca è la mancanza d’idratazione. Indispensabile in questi casi la crema-gel Aqua Care ad azione prolungata, che idrata a fondo l’epidermide. Per combattere gli influssi ambientali nocivi, poi, si può ora contare sull’aiuto della crema Detox Protection Care, che avvolge la pelle,

proteggendola al meglio come una pellicola. Rafforza inoltre il sistema di difesa antiossidante e svolge un effetto equilibrante e calmante, riducendo il senso di tensione. Per riconquistare un aspetto omogeneo e combattere le irregolarità cutanee e le macchie pigmentate, infine, I am propone due nuove esperte in materia: la crema da giorno Brightening Care AntiSpot, in grado di ridurre l’iperpigmentazione, e la Colour & Control Care, che è leggermente colorata e copre così le irregolarità trattando l’epidermide. / Dora Horvath; illustrazioni Getty Images

La crema idratante con protezione solare previene l’invecchiamento cutaneo precoce. Rafforza il sistema di difesa della pelle contro gli influssi climatici e riduce il senso di tensione. I am face Detox Protection Care, IP 15 50 ml Fr. 11.–

La crema da giorno con protezione solare schiarisce le chiazze scure e le macchie pigmentate, prevenendone la ricomparsa. Il risultato è una carnagione uniforme e luminosa. I am face Brightening Care Anti-Spot, IP 20 50 ml Fr. 11.–

La crema gel idrata a fondo la pelle secca e svolge così un’azione emolliente duratura, in profondità. In grado di prevenire le piccole rughe, risultato di una mancata idratazione, regala inoltre una pelle piacevolmente morbida. I am face Aqua Care 50 ml Fr. 11.–

La crema da giorno multifunzionale con protezione solare copre perfettamente le irregolarità e conferisce uno splendido aspetto omogeneo. I am face Colour & Control Care, IP 15 50 ml Fr. 11.–

L’industria Migros produce numerosi prodotti molto apprezzati, tra cui la cura per il viso I am.


Renzo Nespoli, Sicas SA, Chiasso La «Gazusa Nustrana» è la bevanda a «chilometro zero» prodotta con ingredienti naturali dalla Sicas di Chiasso, fondata nel 1962 che da oltre 45 anni fornisce a Migros Ticino bibite e succhi di frutta.

I nostri sapori. I Nostrani del Ticino sono la riscoperta dei sapori locali e provengono esclusivamente da aziende ticinesi che ne garantiscono la qualità, la freschezza e la genuinità. Essi rappresentano l’impegno concreto e coerente nel sostenere agricoltori, allevatori e produttori alimentari della nostra regione. dal 1933

T er il p o n i in Tic

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